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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 22 dicembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e IX,
   premesso che:
    il settore del trasporto merci su strada, nel territorio del Nordest, sta subendo un'evoluzione strutturale generata non da una naturale esigenza delle imprese di autotrasporto di espandere la propria attività a seguito di una maggiore disponibilità di fattori produttivi (risorse umane, risorse naturali e capitale) o di una migliore capacità di un loro utilizzo che ne determina un aumento della produttività (innovazione tecnologica e progresso tecnico), ma, prevalentemente, a causa di fattori esterni quali la concorrenza sleale operata dalle imprese straniere, il dumping sociale subito dal nostro Paese e la delegittimazione, da parte del Governo, di agevolazioni fiscali nel tempo acquisite e, quindi, strutturali per le imprese del comparto;
    nel Veneto esiste un tessuto di imprese che per forma giuridica, livelli di reddito e dotazioni di mezzi, rientrano nella connotazione di piccola e media impresa artigiana;
    in tema di «deduzioni forfettarie per le spese non documentate» si è riscontrato un uso corrente e massiccio da parte delle imprese potenzialmente beneficiarie, essendo questa misura oggetto del protocollo d'intesa del 2014 con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per una durata triennale;
    riguardo al rimborso delle accise sul gasolio di autotrazione per i veicoli merci con massa complessiva a pieno carico superiore o uguale a 7,5 tonnellate, ad eccezione dei veicoli più inquinanti fino alla classe euro 2, lo scopo iniziale, che nel 2005 portò ad istituire questo tipo di agevolazione, era quello di ridurre il maggior impatto economico, in termini di accise che si sarebbe dovuto pagare rispetto a quelle operanti in mercati stranieri ove il costo del gasolio è inferiore;
    le imprese nazionali, operanti all'estero, usano spesso fare rifornimento all'estero per ovvi motivi anche di natura economica; il rimborso delle accise dovrebbe essere una misura prettamente a favore delle imprese che operano sul territorio interno;
    in merito all'ipotesi di decontribuzione nella misura dell'80 per cento e per un periodo di tre anni in favore delle imprese che operano con conducenti che esercitano attività internazionale e con veicoli a cui si applica il regolamento (CE) n. 561 del 2006, equipaggiati con tachigrafo digitale, vengono nuovamente penalizzate le piccole e medie imprese artigiane che realizzano i trasporti nazionali e locali;
    esiste ancora l'espandersi del fenomeno di dumping sociale, problema avvertito non solo sul territorio nazionale, e in alcuni Paesi è stato previsto che le imprese di autotrasporto che svolgono operazioni di cabotaggio sul territorio nazionale siano tenute a corrispondere ai propri conducenti delle tariffe retributive minime e le suddette operazioni siano precedute dall'invio telematico di una notifica in formato elettronico, direttamente indirizzata al Ministero dei trasporti, almeno 7 giorni prima del viaggio,

impegnano il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare i valori delle «deduzioni forfettarie per le spese non documentate» vigenti fino al periodo d'imposta 2013;
   ad assumere iniziative per inserire anche le piccole e medie imprese artigiane che operano sul territorio interno con mezzi più datati nel novero delle agevolazioni per autotrazione;
   a trovare un corretto equilibrio tra le agevolazioni alle grandi imprese e quelle alle piccole imprese artigianali, nel tentativo di salvaguardare il più possibile il trasporto nazionale ed i posti di lavoro che questo settore ancora sostiene;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare l'efficacia dell'articolo 7-ter del decreto legislativo n. 286 del 21 novembre 2005, reintroducendo una effettiva responsabilità del committente del servizio di trasporto;
   ad assumere iniziative per inasprire, per quanto di competenza, la legislazione in merito al fenomeno del dumping sociale e alle tariffe retributive minime prevedendo procedure telematiche di notifica in formato elettronico prima del viaggio;
   ad assumere iniziative per istituire percorsi di formazione obbligatoria nei momenti di cassa integrazione degli autotrasportatori con il duplice scopo di aumentare le qualifiche e gli attestati relativi alla propria professione e di attivare percorsi utili ad un futuro reinserimento al lavoro.
(7-00877) «Crivellari, Zoggia, Mognato, Ginato».


   Le Commissioni X e XI,
   premesso che:
    STMicroelectronics, azienda che rappresenta un'eccellenza mondiale nel campo della microelettronica, partecipata del Ministero dell'economia e delle finanze italiano e dal Fondo strategico francese, occupa circa 43.800 lavoratori in 35 paesi del mondo e circa 9.850 addetti in Italia. Di questi, quasi la metà sono impiegati nelle attività produttive concentrate nei siti di Agrate Brianza (MB) e Catania, mentre la restante parte è dedita ad attività di progettazione, ricerca e sviluppo nei siti di Agrate Brianza, Catania e Cornaredo (Milano), oltre quattro centri ad Aosta, Arzano (Napoli), Lecce e Palermo, che lavorano in stretto contatto con le università locali;
    in data 23 novembre 2015, si è riunito il coordinamento nazionale di STMicroelectronics, in cui erano presenti i Segretari nazionali dei sindacati FIM (Federazione Italiana Metalmeccanici), FIOM (Federazione impiegati operai metallurgici), UILM (Unione italiana lavoratori metalmeccanici), insieme alle rappresentative sindacali unitarie di tutte le sedi italiane, per discutere della situazione dell'azienda, del contratto integrativo aziendale, delle sue scelte strategiche e del suo piano industriale. Nel corso dell'incontro è stato evidenziato come l'azienda continui a procrastinare nel tempo gli investimenti necessari a mantenere efficienti ed aggiornati gli stabilimenti produttivi ad Agrate Brianza e Catania, così come quelli necessari per garantire il necessario sviluppo tecnologico di prodotto (come dovrebbe accadere con il potenziamento dell'area M9 a Catania e con l'avvio della linea pilota a 12 per prodotti avanzati ad Agrate Brianza), dichiarando che questi investimenti verranno fatti quando serviranno e se le condizioni di mercato lo permetteranno. Nel frattempo, però, il sito di Catania vede ridimensionarsi la capacità produttiva a causa dell'avviata dismissione di un reparto che occupa circa 600 lavoratori, aggravando la situazione di un sito già provato dalla considerevole riduzione delle sue attività di ricerca e sviluppo tecnologico e da una progressiva diminuzione del numero degli occupati. Allo stesso modo, il ritardo nell'avvio della linea pilota di Agrate Brianza, mette a rischio la stessa possibilità che questa divenga utile a garantire il futuro tecnologico ed occupazionale del sito;
    nel DEF (documento di economia e finanza) relativo al 2015 e approvato dal Parlamento, si prevedeva la cessione della partecipazione di STMicroelectronics in capo al Ministero dell'economia e delle finanze, al Fondo strategico italiano. A detta delle sopraindicate organizzazioni sindacali, questo passaggio potrebbe rappresentare l'anticamera per la completa privatizzazione dell'azienda in oggetto, sancendo l'abbandono della microelettronica tra i settori strategici nazionali pur in presenza di iniziative ed azioni, a livello continentale, per il rilancio del settore della microelettronica, agendo così in controtendenza rispetto agli obiettivi europei per i quali più volte è stata ribadita la necessità di una strategia condivisa a livello continentale, con investimenti provenienti dalle istituzioni comunitarie, dando la meritata attenzione alla rilevanza della forza lavoro ivi impiegata, il cui patrimonio di conoscenze non può essere disperso;
    come riferito dalle organizzazioni sindacali sopraindicate, risulta che nel corso degli ultimi 10 anni si siano susseguiti piani industriali poveri di investimenti e caratterizzati da un'eccessiva attenzione per gli aspetti finanziari e da una scarsa attenzione, invece, per le scelte industriali e strategiche, con l'effetto di una costante riduzione degli investimenti per innovazione e ricerca, che hanno fatto scivolare STMicroelectronics dal terzo all'undicesimo posto della classifica mondiale delle aziende produttrici di semiconduttori. La politica aziendale, mirata solo all'incremento dei dividendi da distribuire e senza un'ottica di sviluppo a medio e lungo termine, ha portato ad una diminuzione della cifra di affari dal 2005 ad oggi di circa il 20 per cento con una riduzione dei profitti nonostante il favorevole contesto di un mercato in forte crescita. Tale politica aziendale ha portato il gruppo italo-francese a presentare, nel corso degli anni, piani segnati da importanti tagli di attività attraverso scorpori e vendite, con effetti negativi anche sull'occupazione. I dipendenti di STMicroelectronics hanno, inoltre, subito una rigida politica di austerità mentre, al contrario, sono aumentati i compensi dei manager e i dividendi degli azionisti, distribuiti in grande quantità anche nei periodi di maggiori difficoltà aziendali, con l'evidente conseguenza che la massiccia distribuzione dei dividendi ha ridotto al minimo le risorse disponibili per gli investimenti;
    i dati finanziari di STMicroelectronics del terzo trimestre 2015 rappresentano un quadro preoccupante dello stato di salute dell'azienda, evidenziando la profonda crisi dovuta alle strategie adottate negli ultimi anni. La crisi è, infatti, estesa anche a settori considerati sinora trainanti per la STMicroelectronics;
    ad aggravare il suddetto quadro e a destare ulteriori preoccupazioni, è l'attuale situazione della divisione E.P.S. (Embedded Processin Solutions), concentrata soprattutto in Francia, all'interno della quale una parte importante del gruppo D.P.G. (Digital Product Group) versa da diversi anni in uno stato di crisi. Il settore digitale risente della mancanza di commesse e i principali clienti sono drasticamente diminuiti. Si pone come esempio quello del cliente Nokia che in passato garantiva oltre 3,5 miliardi di euro di commesse alla STMicroelectronics e che oggi non riesce a garantire neanche lontanamente tale volume;
    destano inoltre particolare preoccupazione le dichiarazioni fatte a maggio 2015 dal management circa una possibile riorganizzazione dell'azienda basata su un pesante intervento nel settore digitale, che potrebbe avere effetti drammatici in territorio francese ma che, si teme, potrebbe avere pesanti ripercussioni anche sulle attività e sull'occupazione in Italia. Un eventuale ed ulteriore intervento di contrazione delle attività per soddisfare i conti finanziari, avrebbe effetti fortemente dannosi per la forza tecnologica e la solidità dell'intera azienda. Risulterebbe più opportuno, al contrario, puntare sul rilancio, tramite investimenti adeguati, di un settore strategico per le economie nazionali dei due Paesi e per il possibile utilizzo del know-how esistente a favore di tutti i settori dell'azienda;
    a giudizio degli interroganti, le analisi delle ragioni delle numerose difficoltà dell'azienda sono riconducibili all'inadeguatezza delle scelte operate ed all'assenza di politiche industriali legate ad una visione di medio e lungo periodo che possono trovare rimedio solo tramite una visione di forte sviluppo industriale e tecnologico atta a consolidare e sviluppare la presenza e l'occupazione italiana nell'intero settore della microelettronica. Sarebbe necessario superare, secondo gli interroganti, la visione conservativa e prevalentemente finanziaria che guida l'azienda da alcuni anni, sostituendola con una coraggiosa visione che punti allo sviluppo di nuovi prodotti e sulla ricerca tecnologica;
    il Governo, ancora più per STMicroelectronics perché azionista dell'azienda tramite il Mef, dovrebbe considerare di iniziare dalla ricostruzione di una politica industriale che serva da guida e sostegno allo sviluppo dei settori tecnologici più avanzati come quello della microelettronica, ed alla ricostruzione di un tessuto industriale colpito dalle delocalizzazioni e dalla crisi;
    sarebbe opportuno perseguire una distribuzione dei dividendi correlata all'andamento di STMicroelectronics, superando definitivamente la politica legata al valore garantito a prescindere dai risultati e favorendo, nelle situazioni di difficoltà, l'utilizzo dei fondi finora destinati ai dividendi per attività di sostegno alle attività industriali e di ricerca;

impegnano il Governo:

   ad adoperarsi affinché si attivi, nel più breve tempo possibile, un tavolo di confronto presso il ministero dello sviluppo economico con le parti sociali;
   a promuovere un concreto cambiamento della gestione societaria di STMicroelectronics, al fine di assicurare una strategia di sviluppo a lungo termine in tutti i settori dell'azienda che ponga al centro delle priorità gli investimenti necessari per l'innovazione e l'indipendenza tecnologica e a definire con il Governo francese, di concerto con il sindacato europeo dell'industria e tutte le parti sociali coinvolte, una strategia comune per la salvaguardia occupazionale in tutti i Paesi ove è presente la stessa STMicroelectronics;
   ad assumere iniziative per confermare e rafforzare il controllo pubblico paritario tra i Governi di Italia e Francia al fine di raggiungere l'obiettivo di un reale sostegno strategico da parte di entrambi, proponendo al tempo stesso un'azione presso l'Unione europea a sostegno della microelettronica in Europa, volta a salvaguardare la società di cui in premessa e adoperandosi affinché la direzione aziendale predisponga tutte le iniziative necessarie all'utilizzo concreto dei fondi pubblici per ricerca ed innovazione tecnologica, inclusa la presentazione di progetti di innovazione e ricerca di entità e qualità adeguate;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per incentivare la ripresa del confronto riguardante la piattaforma di contratto integrativo, ponendo come priorità la necessità di condividere e rilanciare la strategia industriale.
(7-00874) «Tripiedi, Cominardi, Ciprini, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso, Alberti, Pesco, Villarosa, Grillo, Carinelli, Manlio Di Stefano, Toninelli, Crippa, Da Villa, Vallascas».


   La III Commissione,
   premesso che:
    oggi, nel mondo, vivono oltre 300 milioni di indigeni, distribuiti in più di sessanta Paesi diversi. Tra questi, 150 milioni di persone appartengono in senso stretto ai popoli tribali e comprendono almeno settanta gruppi che non hanno mai avuto contatti con l'esterno;
    solitamente, i popoli indigeni rappresentano gli abitanti originari dei luoghi in cui vivono. Nella maggior parte dei casi, infatti, essi abitano le loro terre da secoli se non addirittura da migliaia di anni. Le loro società si distinguono notevolmente dalle altre: sono complesse, vitali e in costante mutamento. Culture, lingue e stili di vita dei popoli tribali, infatti, sono molto diversi, ed essi stessi si percepiscono come nettamente distinti dai popoli confinanti, anche se accomunati da un fortissimo attaccamento spirituale alle loro terre ancestrali;
    pur vivendo in ambienti incredibilmente diversi ed in regime di autosufficienza, i popoli tribali sono costantemente ed incessantemente minacciati dalla sostanziale mancanza di rispetto dei loro diritti territoriali da parte di Governi, società ed altri enti. Le loro terre, infatti, vengono invase senza soluzione di continuità. A farlo sono coloni, allevatori, società e multinazionali, soprattutto quelle petrolifere, minerarie o di disboscamento. Frequentemente, però, risultano essere invasivi e devastanti anche i progetti di sviluppo privati o governativi che vengono varati, ad esempio, per la costruzione di strade e dighe, o per la creazione di parchi e riserve naturali, determinando sempre, in un modo o nell'altro, invasioni che si traducono poi nella distruzione delle risorse necessarie alla loro sussistenza: il cibo e la casa;
    le invasioni sopra descritte, inoltre, spesso causano la morte, introducendo malattie verso cui, i popoli tribali, specialmente quelli più isolati, non hanno difese immunitarie. La mancanza di terra può turbare e sconvolgere la struttura sociale delle comunità portando sconforto e depressione, fino ad arrivare alla scomparsa irreversibile di un popolo. Nel nome del progresso, intere tribù sono ancora oggi cacciate dalle terre dei loro avi, ricorrendo in molti casi alla violenza, attaccando, imprigionando e uccidendo gli indigeni;
    per citare alcuni dei recenti casi, in cui sono state denunciate delle gravissime violazioni nei confronti delle popolazioni tribali, basti pensare a quanto stia tuttora accadendo ai Penan, popolazione indigena dello Stato malese del Sarawak, minacciati dalla programmata ed avviata costruzione di una serie di dighe, che li obbligherà ad abbandonare la loro terra, oppure alle tribù indigene del Brasile come gli Awà, popolo di cacciatori-raccoglitori la cui sopravvivenza è a rischio per i continui disboscamenti, o i Guaranì, soggetti alle continue violenze da parte degli allevatori locali. Proprio in Brasile diverse proposte di legge stanno minando la base dei diritti costituzionali faticosamente conquistati dagli indios, indebolendo le loro posizioni sulla questione territoriale, aprendo, tra l'altro, alla edificazione nelle loro terre di basi militari, attività minerarie, dighe ed altri progetti industriali. Così come le pratiche turistiche di veri e propri «safari umani» stanno seriamente compromettendo la preservazione dell’habitat e delle risorse degli Jarawa, popolo natio delle isole indiane Andamane, o nello stato africano del Botswana, la popolazione indigena dei Boscimani continui ad essere perseguitata, arrestata e maltratta, impedendo l'ingresso e la caccia nella loro terra di appartenenza, nonostante una pronuncia della Corte Suprema di quello Stato avesse confermato il loro diritto a vivere e cacciare nella riserva;
    tuttavia, laddove i diritti dei popoli indigeni sono rispettati e viene data loro la possibilità di vivere in pace sulle proprie terre, molte società tribali prosperano e crescono numericamente, invertendo la tendenza al forte ribasso demografico che li caratterizzava fino a qualche tempo fa;
    la comunità internazionale, riconoscendo come le violazioni perpetrate negli ultimi cinque secoli nei confronti dei popoli indigeni abbiano condotto ad un vero e proprio genocidio, e come esse abbiano causato la perdita della vita di milioni di persone e l'estinzione di centinaia di culture, lingue, tradizioni, stili di vita e conoscenze, ha sancito, in diversi atti internazionali, la necessità di tutelare la diversità culturale dei popoli indigeni, nel rispetto degli universali principi di giustizia, democrazia, eguaglianza, non discriminazione, e dei diritti umani;
    in forza di ciò, a partire dal 1982 l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha istituito il « Working Group on Indigenous Populations», mentre il 27 giugno del 1989, l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ha adottato la Convenzione n. 169, concernente il riconoscimento e la tutela dei diritti dei popoli indigeni e tribali in Stati indipendenti. In seguito, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato l'anno 1993 come «Anno internazionale dei popoli indigeni» ed il periodo 1995 – 2004 come «Decennio internazionale dei popoli indigeni» e ancora, successivamente, il periodo 2005 – 2014 come «Secondo Decennio Internazionale dei Popoli Indigeni», istituendo la «Giornata mondiale delle Popolazioni indigene» nella data del 9 agosto, mentre il 13 settembre 2007 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la «Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni», in cui l'Italia ha assunto un importante ruolo di sponsor nel difficile processo di negoziazione;
    in data 22 settembre 2014 si è tenuta la riunione plenaria ad alto livello dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, conosciuta come Conferenza mondiale sui popoli indigeni, che ha adottato la risoluzione 69/2 che ha identificato le misure necessarie per assicurare il rispetto dei loro diritti riconosciuti sia dalla Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni (UNDRIP), che dalla Convenzione n. 169;
    la diversità culturale dei popoli indigeni ancora oggi costituisce la stragrande maggioranza della diversità culturale dell'umanità e tale diversità culturale è una ricchezza che è necessario trasmettere alle generazioni future;
    la possibilità di costruire un futuro di pace, fondato su un vero rapporto di rispetto e incontro reciproco fra i popoli indigeni ed il mondo non indigeno, può essere possibile solo partendo dal riconoscimento di ciò che è accaduto in passato, e continua ad accadere anche oggi, ai popoli indigeni in ogni parte del mondo, dall'Africa all'Asia, dalle Americhe all'Oceania;
    la data dell'11 ottobre 1492 può essere considerata, simbolicamente, come l'ultimo giorno di libertà dei popoli indigeni,

impegna il Governo

ad istituire la «GIORNATA DELLA MEMORIA DEL GENOCIDIO DEI POPOLI INDIGENI», in corrispondenza dell'11 ottobre di ogni anno a venire.
(7-00876) «Palazzotto, Zaratti, Scotto, Marcon, Melilla, Claudio Fava».


   La IV Commissione,
   premesso che:
    il tragico incidente che, il 24 maggio 2012, ha causato la morte del nocchiere Alessandro Nasta mentre era a bordo della nave Amerigo Vespucci è noto a tutti, non solo per il clamore mediatico della vicenda, ma anche per una inchiesta della procura della Repubblica di Civitavecchia, che ha generato un processo penale, tuttora in corso presso il competente tribunale, con rinvio a giudizio degli imputati e udienza di apertura del dibattimento fissata per il 16 marzo 2016;
    la prima firmataria del presente atto, con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-08896 presentato in data 22 aprile 2015 ed ancora senza risposta, ha esplicitamente chiesto al Ministro della difesa dettagli relativi al giudizio di idoneità al servizio del nocchiere Nasta, al mancato sequestro della nave a seguito dell'incidente, al mancato utilizzo dei dispositivi anticaduta da parte della Marina militare;
    con la predetta interrogazione, si chiedeva al Ministro anche l'eventuale sospensione precauzionale dal servizio per i vertici della Marina militare rinviati a giudizio nell'ambito del processo penale attualmente pendente innanzi al tribunale di Civitavecchia;
    i predetti quesiti, ancora di stringente attualità, necessitano pertanto di dettagliate e puntuali risposte da parte del Ministro interrogato;
    il processo penale che si celebra presso il tribunale di Civitavecchia e che conta numerosi imputati, tra cui esponenti al vertice della Marina militare, in caso di condanna degli stessi potrebbe comportare un notevole danno di immagine al prestigio ed al decoro della Marina e dell'intero comparto della difesa;
    l'udienza di apertura del dibattimento è fissata per il 16 marzo 2016 ed, entro tale data, è possibile formalizzare la costituzione di parte civile nel processo penale, in ragione del danno di immagine, al decoro ed al prestigio che alla Difesa potrebbe derivare dalla condanna dei vertici della Marina militare rinviati a giudizio,

impegna il Governo:

   a fornire risposte dettagliate circa la ristrutturazione e la messa in sicurezza della nave Amerigo Vespucci;
   a valutare la costituzione di parte civile del Ministero della difesa nel processo penale in corso innanzi al tribunale di Civitavecchia, da effettuarsi entro e non oltre l'udienza dibattimentale prevista per il 16 marzo 2016.
(7-00873) «Basilio, Rizzo, Corda, Frusone, Tofalo».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    con l'espressione «educazione degli adulti» si intende il complesso di tutte quelle attività finalizzate all'arricchimento culturale, alla riqualificazione ed alla mobilità professionale;
    queste possono essere organizzate instaurando una collaborazione tra scuola e comunità locali, coinvolgendo il mondo del lavoro e i principali partner sociali attivi su un territorio, sia come prolungamento che come integrazione dell'educazione impartita nell'età dell'obbligo scolastico, oppure in sostituzione di essa per coloro che abbiano precocemente abbandonato il normale percorso scolastico;
    in questo complesso di attività possono ricadere tutte quelle forme organizzate di arricchimento del bagaglio culturale di una persona sia che si tratti di attività formali, volte all'acquisizione di un titolo di studio sia che si tratti di attività intraprese per arricchire il proprio patrimonio culturale personale;
    l'espressione «istruzione degli adulti» ha un dominio più limitato in quanto considera solo quelle attività educative volte all'acquisizione di un titolo di studio, allo scopo di elevare il livello di istruzione della popolazione adulta;
    lo sviluppo del lifelong learning (programma di educazione permanente) è di particolare importanza in un Paese come l'Italia in cui settori consistenti della popolazione adulta sono privi delle competenze indispensabili all'occupabilità e alla cittadinanza. Più in generale, è evidente che la domanda di conoscenza e di competenza, che proviene dal mercato del lavoro, richieda lo sviluppo di un sistema formativo che, partendo dall'utilizzo coordinato ed integrato di tutte le risorse istituzionali, culturali, del privato sociale, offra agli adulti una formazione lungo tutto il corso della vita;
    i risultati di una importante indagine internazionale commissionata dall'OCSE, il Progetto PIAAC, Programme for International Assessment of Adult Competencies, delineano un quadro sconfortante delle competenze in lettura e calcolo degli adulti italiani: ultime o penultime posizioni in classifica a testimonianza di quella che gli esperti della commissione costituita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sul Progetto PIAAC hanno definito una vera e propria «rinuncia cognitiva»;
    per migliorare tale quadro e con notevole ritardo rispetto al contesto europeo, il riconoscimento dell'importanza dell'apprendimento permanente è stato sancito dalla legge n. 92 del 2012 che, all'articolo 4, commi 51-61, stabilisce il diritto individuale e universale del cittadino al riconoscimento e alla validazione degli apprendimenti e delle competenze acquisiti in ambiti formali, non formali e informali; in tal senso, si affermano tre principi fondamentali: si apprende lungo tutto l'arco della vita, nel senso di una prospettiva diacronica lifelong; si apprende in ogni luogo lifewide e la persona ha il diritto di vedersi riconoscere e validare le competenze acquisite; inoltre, la suddetta legge ha previsto l'istituzione di un sistema pubblico nazionale di certificazione delle competenze, fondato su standard minimi di servizio omogenei su tutto il territorio. Per «competenza certificabile» si intende un insieme strutturato di conoscenze e di abilità riconoscibili anche come crediti formativi, previa apposita procedura di validazione nel caso degli apprendimenti non formali e informali. La certificazione delle competenze viene definita come un atto pubblico finalizzato a garantire la trasparenza e il riconoscimento degli apprendimenti, in coerenza con gli indirizzi fissati dall'Unione europea;
    la certificazione conduce al rilascio di un certificato, un diploma o un titolo che documenta formalmente l'accertamento e la convalida effettuati da un ente pubblico o da un soggetto accreditato o autorizzato; per poter riconoscere e certificare il patrimonio di competenze il decreto legislativo n. 13 del 2013 ha istituito il Sistema nazionale di certificazione delle competenze e, per favorire la mobilità della persona e la spendibilità delle certificazioni in ambito nazionale ed europeo, ha statuito la definizione di un Repertorio nazionale di titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, di cui all'articolo 4 della legge n. 92 del 2012; oppure, in tal senso, per poter riconoscere o certificare il patrimonio di competenze, il decreto legislativo n. 13 del 2013 ha definito le norme generali sul sistema nazionale di certificazione, rendendo operativo il nuovo Sistema nazionale di certificazione delle competenze. L'obiettivo è quello di far emergere e far crescere le competenze professionali acquisite non solo sul lavoro, ma anche nel tempo libero, in modo da promuovere la mobilità geografica e professionale, favorire l'incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, accrescere la trasparenza degli apprendimenti e la spendibilità delle certificazioni in ambito nazionale ed europeo;
    in questo scenario si colloca la riforma ordinamentale dell'istruzione degli adulti, regolamentata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 2012 che segna il passaggio dagli ex centri territoriali permanenti (Ctp), istituiti con l'ordinanza ministeriale n. 445 del 29 luglio 1997, ai centri Provinciali di istruzione per gli adulti (Cpia); in base alle nuove disposizioni, l'offerta educativa dei centri Provinciali di istruzione per gli adulti è organizzata per livelli apprendimento finalizzati all'ottenimento delle qualifiche rilasciate nel sistema educativo ordinario; i centri Provinciali di istruzione per gli adulti sono istituti di istruzione autonomi, organizzati in reti locali. Essi hanno lo stesso livello di autonomia delle scuole, vale a dire che sono dotati di sedi, personale e organi collegiali propri. Il centro provinciale di istruzione per gli adulti costituisce l'unità centrale ed amministrativa che gestisce il personale scolastico anche delle sedi associate, ex centri territoriali permanenti, organizza i percorsi di istruzione per livelli di apprendimento in una dimensione integrata di interazione «reticolare» con il territorio che esprime e richiede specifici bisogni formativi. I centri provinciali di istruzione per gli adulti, all'interno delle reti per l'apprendimento permanente (di cui alla legge n. 92 del 2012) nella loro articolazione in reti territoriali di servizio, costituiscono quindi il soggetto pubblico di riferimento in grado di realizzare, in raccordo con le autonomie locali, il mondo del lavoro delle professioni e tenendo conto dei particolari bisogni dell'utenza — popolazione adulta, stranieri e Neet – una nuova offerta formativa. Dopo una prima fase di avvio sperimentale dei centri provinciali di istruzione per gli adulti, attraverso i progetti assistiti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dal 1o settembre 2014 sono stati attivati 56 centri provinciali di istruzione per gli adulti dislocati in 8 regioni (10 in Piemonte, 19 in Lombardia, 4 in Friuli Venezia Giulia, 2 in Veneto, 7 in Emilia Romagna, 8 in Toscana, 1 in Umbria e 5 in Puglia), a cui si sono aggiunti, a partire da questo anno scolastico, altri 64 per un totale su scala nazionale di 120; è stato, inoltre, previsto che il passaggio al nuovo sistema di istruzione degli adulti venga accompagnato da iniziative nazionali per l'aggiornamento del personale dei centri provinciali di istruzione per gli adulti; a tal fine, a febbraio 2015, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato le linee guida per il piano di attività per l'innovazione dell'istruzione degli adulti, P.A.I.D.E.I.A; sono, inoltre, state pubblicate con decreto ministeriale del 12 marzo 2015 le nuove linee guida per l'autonomia organizzativa dei centri provinciali, che disciplinano il passaggio al nuovo ordinamento a sostegno dell'autonomia organizzativa e didattica dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti;
    ad oggi, tuttavia, questo insieme di norme sembra inadeguato ad avviare la nascita di un nuovo sistema di istruzione degli adulti che abbia l'obiettivo prioritario di promuovere la crescita, realizzando un quadro di interventi che faccia riferimento alle più significative esperienze realizzate nel corso degli anni dai centri territoriali permanenti e dai corsi serali che hanno prodotto modelli organizzativi e didattici innovativi conseguendo risultati soddisfacenti per quanto riguarda la partecipazione degli adulti alla formazione; in tal senso, nel decreto ministeriale del 25 ottobre 2007 si indicava come obiettivo dei percorsi:
     1. il conseguimento del livello di istruzione primaria e l'acquisizione del titolo di studio conclusivo del primo ciclo;
     2. l'acquisizione della certificazione di assolvimento dell'obbligo di istruzione;
     3. il conseguimento del diploma di istruzione superiore;
     4. l'alfabetizzazione funzionale (finalizzata all'acquisizione dei saperi e delle competenze riferiti all'obbligo di istruzione e a un titolo di scuola superiore);
     5. la conoscenza della lingua italiana da parte degli immigrati;
    tale normativa aveva il merito di fornire un quadro di riordino dell'esistente che, a partire dalla valorizzazione dell'esperienza, affrontava le questioni nella loro essenzialità, limitandosi ad indicare le linee generali entro le quali muoversi, rendendo così possibile la costruzione di un sistema che desse spazio agli elementi di innovazione e di sperimentazione che questo settore necessariamente richiede (in rapporto, ad esempio, alle esigenze rilevate in specifiche realtà territoriali e/o in relazione a specifici gruppi di utenti); ciononostante, la riforma ordinamentale seguita all'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 2012 ha profondamente modificato il contenuto della normativa precedente: è stato ridimensionato l'ambito di intervento dei Centri, l'assetto didattico è stato omologato al modello previsto per i normali percorsi scolastici destinati ai ragazzi; con la ridefinizione operata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 2012 alcune importanti attività realizzate dai centri territoriali permanenti sono state cancellate (alfabetizzazione funzionale per gli italiani e alfabetizzazione di livello A1 per gli stranieri). Inoltre, i percorsi per l'acquisizione di un diploma di istruzione superiore non sono stati ricondotti all'interno dei centri provinciali di istruzione per gli adulti, nonostante la legge n. 296 del 2006 lo prevedesse espressamente; in questo quadro, appare necessario, secondo gli interroganti, che i centri provinciali di istruzione per gli adulti siano dotati delle risorse e delle regole necessarie per sviluppare i seguenti compiti:
     analizzare i bisogni formativi, individuandone le priorità;
     promuovere la domanda, anche quella non esplicita;
     orientare gli allievi in ingresso e in uscita accertandone le competenze;
     certificare le competenze acquisite, anche nei percorsi di tipo non formale;
     promuovere reti con la scuola secondaria superiore e con la formazione professionale per l'attivazione di percorsi integrati;
    per queste ragioni, nella legge n. 107 del 2015, all'articolo 1 comma 23, è stato previsto un monitoraggio annuale dei percorsi e delle attività di ampliamento dell'offerta formativa dei centri di istruzione per gli adulti e, più in generale sull'applicazione del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 2012, con la previsione – una volta completata la fase di monitoraggio – di apportare modifiche al predetto regolamento; in questo senso appare necessario ampliare le funzioni dei centri provinciali di istruzione per gli adulti coerentemente con la logica del lifelong learning;
    l'educazione degli adulti, all'interno di un sistema efficace di lifelong learning, è una parte prioritaria del profilo universalistico ed inclusivo del sistema educativo e formativo italiano e della sua necessaria apertura a bisogni formativi più diversi,

impegna il Governo:

   a promuovere una indagine ministeriale sul tema del lifelong learning, nel più breve tempo possibile, raccogliendo informazioni su tutto il territorio nazionale e contribuendo in modo fattivo al monitoraggio previsto dalla legge n. 107 del 2015;
   a utilizzare i risultati dell'indagine per assumere iniziative per la modifica del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 2012.
(7-00875) «D'Ottavio, Ascani, Coccia, Malisani, Carocci, Fabbri, Narduolo, Ghizzoni».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il nostro Paese registra un costante calo delle coperture per le malattie infettive più gravi. Le coperture sono scese al di sotto del 95 per cento per malattie come poliomielite, difterite, tetano, Haemophilus influenzae di tipo b ed epatite B. Sono sotto l'86 per cento le coperture contro il morbillo, la parotite e la rosolia. Ricordiamo al riguardo, che l'obiettivo dell'OMS è di eliminare il morbillo in Europa entro il 2015;
    altrettanto in calo è il numero dei bambini vaccinati. Secondo i recenti dati presentati a Roma dalla Società italiana di pediatria, sono 147.456 quelli non sottoposti alle vaccinazioni obbligatorie, cioè non immunizzati con un ciclo completo di esavalente (il vaccino che comprende polio, difterite, epatite B, tetano, pertosse, Hemophilus influenzae);
    la scelta di non vaccinare i propri bambini da parte dei genitori non implica solo un possibile rischio per loro, ma possono avere conseguenze sulla salute degli altri. Esistono diversi bambini ed adulti (immunodepressi, donne gravide non vaccinate in passato, sottoposti a chemioterapia, non rispondenti alle vaccinazioni, affetti da malattie particolari) che non possono vaccinarsi e sono a rischio di ammalarsi per epidemia scatenata dal basso livello di vaccinazione. La libertà di scelta individuale dunque si integra e completa con la nozione di immunità di gruppo, sia in senso di difesa che in senso di pericolo;
    in Italia, la legge prevede attualmente 4 vaccinazioni pediatriche obbligatorie (antidifterica, antitetanica, antipoliomielitica e antiepatitica B). Sono però almeno altri cinque i vaccini considerati necessari dal ministero della Salute e inseriti nel calendario vaccinale, due dei quali (haemophilus b e pertosse) vengono iniettati insieme ai quattro obbligatori, nel cosiddetto esavalente, praticato comunemente, e quindi ben oltre gli obblighi di legge;
    proprio l'esavalente viene iniettato in una sola seduta, mentre risulta difficile il reperimento dei singoli vaccini;
    si ricorda che la quasi totalità dei Paesi dell'Europa Occidentale non obbliga ad alcuna vaccinazione, ma si limita a delle raccomandazioni: dei 29 Paesi dell'Unione europea (i 27 dell'Unione europea più Norvegia e Islanda), 17 non hanno alcuna vaccinazione obbligatoria (quasi tutti i Paesi dell'Europa Occidentale più Estonia e Lituania); tra i Paesi dell'Europa Occidentale, hanno vaccinazioni obbligatorie solo Italia e Grecia (con 4 vaccini) e Francia (con 3 vaccini); per questo i vaccini introdotti negli ultimi anni sono raccomandati e non obbligatori. La regione Veneto è andata in questa direzione abbandonando l'obbligo di legge anche per i vecchi 4 obbligatori. Si abbandona la vecchia idea della coercizione nell'ottica della condivisione degli obiettivi con la famiglia. Tutto ciò non rende quegli obiettivi meno importanti (si pensi solo alla scomparsa delle malformazioni da rosolia congenita ottenibile ed ottenuta con la vaccinazione antirosolia tra bambini e bambine);
    oltre alle vaccinazioni in età pediatrica, la legislazione italiana prevede alcune altre vaccinazioni obbligatorie per determinate categorie di persone adulte e di lavoratori. Le vaccinazioni antimeningococcica, antitifica, antidiftotetanica, antimorbillo-parotite-rosolia sono obbligatorie per tutte le reclute all'atto dell'arruolamento; oppure la vaccinazione antitubercolare obbligatoria soltanto per il personale sanitario e altro;
    la Conferenza delle regioni nella seduta del 5 novembre 2015 ha approvato il piano nazionale di prevenzione vaccinale 2016-2018 con la richiesta di attivare un tavolo di monitoraggio che valuti gli effetti del decremento delle vaccinazioni e formulare le proposte più adatte. L'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni è stata rinviata per dare modo al tavolo di insediarsi e iniziare i lavori. Il Piano, è comunque al vaglio del Ministero dell'economia e delle finanze per le verifiche di compatibilità economica. Detto piano, con tutti i nuovi vaccini previsti avrebbe un onere di circa 600 milioni di euro;
    il nuovo piano vaccinale 2016-2018, prevede l'introduzione di numerosi, e nuovi vaccini. Sotto questo aspetto, si segnala come lo stesso responsabile del dipartimento di salute pubblica del Mario Negri, Maurizio Bonati, ha sottolineato la poco chiara strategia del Governo circa l'immissione nel piano di tutti questi nuovi vaccini gratuiti. La varicella, il meningococco B responsabile di alcune meningiti, il rotavirus che nei casi più gravi può provocare ricoveri per gastroenterite, il papillomavirus introdotto di recente (con scarso successo) tra le adolescenti che ora viene esteso ai maschi e altro;
    sullo stesso vaccino anti meningococco B, lo stesso Istituto superiore di sanità di aveva sollevato qualche perplessità, circa l'efficacia clinica. E lo stesso studio dell'università di Milano e della Bocconi, pubblicato sulla rivista Plos One, indica come «probabilmente negativa dal punto di vista dei costi-benefici» la scelta di estendere detta vaccinazione anzi meningococco B a tutti i neonati;
    gli interessi economici delle case farmaceutiche sono evidenti. Ancora più evidenti devono però essere i motivi e i presupposti scientifici e sanitari a supporto di una ulteriore immissione di nuovi vaccini;
    proprio riguardo alla prevista introduzioni di ulteriori nuovi vaccini, un articolo pubblicato su «La Repubblica» del 10 dicembre 2015, riporta il commento di Vittorio De Micheli, epidemiologo esperto di vaccini della Cochrane Collaboration, che ha dichiarato come «se qualche volta le autorità sanitarie rispondessero di no a quel che l'industria propone, ci guadagnerebbero in credibilità»;
    è comunque estremamente importante, nell'ambito delle scelte vaccinali, e con particolare riferimento a quelle pediatriche, garantire che il medico, attraverso un'accurata e obbligatoria anamnesi verifichi lo stato e le condizioni sanitarie di ciascun soggetto ricevente, come da legge e da buone pratiche già consolidate;
    in questo senso è quindi indispensabile garantire il rapporto di fiducia medico/paziente e medico/genitore, e questo deve passare anche attraverso una corretta informazione sui vaccini, la loro efficacia e le loro controindicazioni. Il consenso informato deve sempre più, anche in questo ambito, rappresentare un momento centrale e ineludibile che deve precedere il trattamento vaccinale;
    va peraltro evidenziato come, se attualmente è ancora il pediatra di famiglia a essere maggiormente interpellato dai genitori sulle scelte vaccinali rispetto al proprio foglio, e a farsi quindi carico per primo di un compito informativo, è anche vero che sono sempre più in aumento le informazioni «fai da te» che si possono ottenere sui siti internet. E non è sempre detto che siano informazioni attendibili e di buona qualità. Insomma, il web sta diventando sempre di più una delle fonti utilizzate per le decisioni che una persona deve prendere rispetto a questo aspetta scelta così importante;
    la materia concernente le vaccinazioni e la valutazione collegata dei rischi/benefici è infatti estremamente complessa, e chiama in causa una quantità di variabili sanitarie e non solo, che impongono un'informazione completa proprio per scongiurare speculazioni o atteggiamenti superficiali;
    in questo ambito va inoltre implementata e pienamente attuata la pratica della segnalazione da parte del medico e del cittadino, delle sospette reazioni avverse a farmaci, anche se non gravi. Le segnalazioni spontanee di sospette reazioni avverse costituiscono infatti un'importante fonte di informazioni per le attività di farmacovigilanza, inclusi i vaccini;
    da qui l'importanza e la necessità di una maggiore formazione dei medici interessati, e di campagne di informazione da parte delle istituzioni, che prevedano un utilizzo sempre maggiore del web e delle nuove forme di comunicazione, e che dovranno vedere coinvolti per primi i siti istituzionali dei Ministeri interessati, delle regioni, degli assessorati, e altro;
    va inoltre evidenziato un altro punto essenziale, direttamente connesso con la salute del personale militare, e riguardante l'uso indiscriminato delle pratiche di vaccinazione. Elemento che è stato preso in considerazione dalle passate Commissioni d'inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, ma evidentemente non è stato adeguatamente approfondito, né si è provveduto con interventi normativi volti a migliorare una situazione di violazione di diritti;
    sono stati infatti riscontrati, e documentati, numerosi casi di vaccinazioni ripetute in lassi di tempo brevissimo, senza alcun rispetto delle precauzioni indicate dalle stesse case farmaceutiche e senza, addirittura, la preventiva e indispensabile anamnesi del paziente. Come se la normativa nazionale sulla salute procedesse su un binario parallelo rispetto a quella applicata dagli stati militari,

impegna il Governo:

   a escludere qualsiasi iniziativa volta a impedire l'ingresso nelle scuole dell'obbligo ai bambini non vaccinati;
   a valutare con estrema attenzione, e prevedere un coinvolgimento di tutti i servizi e soggetti interessati, riguardo ai casi di ingresso nelle scuole materne e d'infanzia di bambini non vaccinati;
   ad adoperarsi per una omogeneizzazione dei calendari vaccinali di tutta Italia;
   a prevedere un confronto con la comunità medica e scientifica, prima dell'approvazione definitiva del nuovo piano nazionale di prevenzione vaccinale, al fine di verificare l'effettiva congruità del piano e il rapporto tra costi economici e risparmi attesi, anche alla luce dei nuovi vaccini previsti;
   a garantire, anche attraverso la formazione diretta in ECM (educazione continua in medicina), un costante aggiornamento professionale dei pediatri di libera scelta e medici di medicina generale attraverso la conoscenza di studi scientifici e statistici sui costi/benefici sanitari legati alla pratica vaccinale su cui si basano le scelte delle commissioni vaccini;
   ad assumere iniziative per ribadire che l'operatore, come da legge e buone pratiche, debba ottenere il consenso informato del paziente o genitore, prevedendo conseguentemente che il medesimo medico, prima della somministrazione del vaccino, come da legge e buone pratiche, sia tenuto a fornire una corretta informazione sui vaccini, la loro efficacia e le loro controindicazioni, ma anche dei rischi della non vaccinazione, e le sue possibili conseguenze, nonché ad approfondire le condizioni sanitarie di ciascun soggetto ricevente e dei suoi familiari, al fine di adeguare e personalizzare l'eventuale trattamento medico, e ridurre conseguentemente il più possibile il rapporto rischio/beneficio;
   a prevedere che il medico sia tenuto ad informare il paziente/genitore, circa l'esistenza della legge n. 210 del 1992 in materia di indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze causate da vaccinazioni obbligatorie;
   ad assumere iniziative per garantire l'obbligo della segnalazione da parte del medico, delle sospette reazioni avverse, anche se non gravi, a farmaci, compresi i vaccini;
   ad assumere iniziative per garantire, accanto ai vaccini pediatrici multipli, l'effettiva commercializzazione dei medesimi vaccini singoli;
   ad assumere iniziative per garantire l'obbligo della segnalazione da parte dei medici delle malattie prevenibili, dei loro effetti collaterali, dei ricoveri, sia attraverso studi specifici sia attraverso l'adozione delle migliori ed economiche tecniche disponibili (si veda l'adozione della polimerase chain reaction in Toscana per la diagnosi eziologica di meningite e sepsi);
    a prevedere efficaci iniziative, anche normative, volte a garantire l'assenza di anche potenziali conflitti di interesse tra i soggetti coinvolti ai fini dell'autorizzazione dell'immissione in commercio di vaccini e le aziende farmaceutiche;
   ad assumere iniziative per prevedere idonee forme di pubblicità e di corretta informazione, volte a garantire ai cittadini un'obiettiva conoscenza delle pratiche vaccinali, i vantaggi sanitari, i rischi della malattie evitabili, le eventuali controindicazioni e il rapporto rischio/beneficio delle vaccinazioni, anche attraverso l'utilizzo dei siti istituzionali dei Ministeri interessati e degli enti territoriali;
   ad adottare le opportune iniziative, anche alla luce delle conclusioni a cui giungeranno i lavori della Commissione d'inchiesta, recentemente insediatasi relativamente alla salute del personale militare, con riferimento all'uso delle pratiche di vaccinazione, di cui in premessa.
(7-00878) «Nicchi, Gregori».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la commissione europea ha aperto una procedura di infrazione per aiuto di Stato SA.33413 (2012/C) (ex 2012/NN) – Delcomar srl;
   con lettera del 19 settembre 2012, la Commissione ha comunicato all'Italia la propria decisione di avviare il procedimento di cui all'articolo 108, paragrafo 2, del TFUE in relazione alla misura in questione;
   il 19 luglio 2011 la Commissione ha ricevuto una denuncia in merito ad un presunto aiuto di Stato illegale concesso dalla regione Sardegna a Delcomar srl. La denuncia è stata protocollata con il numero SA.33413;
   il 5 ottobre 2011 la Commissione ha trasmesso alle autorità italiane la versione non riservata della denuncia, chiedendo nel contempo a queste ultime di fornire informazioni supplementari su alcune questioni ivi sollevate;
   a seguito di un sollecito inviato il 28 novembre 2011, la Commissione ha ricevuto la risposta delle autorità italiane il 23 dicembre 2011;
   le informazioni fornite dalle autorità italiane mediante la lettera summenzionata erano incomplete, la Commissione ha chiesto informazioni supplementari con lettera del 6 marzo 2012;
   non avendo ricevuto alcuna risposta alla seconda lettera, l'11 aprile 2012 la Commissione ha inviato un ulteriore sollecito. Le autorità italiane hanno risposto il 4 giugno 2012 e trasmesso ulteriori informazioni il 22 giugno 2012;
   come detto, nel luglio 2011 la Commissione ha ricevuto una denuncia in merito ad un presunto aiuto di Stato illegale concesso dalla regione Sardegna a Delcomar srl. Il denunciante sostiene essenzialmente che la compensazione versata a Delcomar dalle autorità italiane nel quadro di un contratto di servizio pubblico per la gestione della rotta La Maddalena – Palau costituisce un aiuto di Stato illegale e incompatibile con il mercato interno poiché da molti anni la stessa rotta è servita da numerosi operatori secondo condizioni commerciali;
   il contratto di servizio pubblico tra la regione Sardegna e Delcomar, concluso il 1o luglio 2004 a seguito di trattativa privata, riguardava la prestazione di servizi di trasporto marittimo notturno lungo la rotta La Maddalena – Palau;
   il contratto iniziale aveva una durata di due anni (1o luglio 2004 – 30 giugno 2006) e prevedeva una compensazione annua di 710.000 euro. Gli obblighi di servizio pubblico imposti riguardavano la frequenza e gli orari del servizio (cinque coppie di corse notturne) nonché le tariffe massime da applicare. La frequenza del servizio è stata aumentata due volte, nel 2006 e nel 2007;
   in attesa della pubblicazione di un bando di gara per un nuovo contratto di servizio pubblico, il contratto originale è stato successivamente prolungato mediante atti formali fino al 31 dicembre 2011;
   il bando di gara per la selezione dell'operatore del collegamento tra la Sardegna e le isole minori La Maddalena e Carloforte è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 28 gennaio 2011;
   alla luce delle informazioni disponibili secondo la Commissione risulta che nel presente caso i criteri Altmark non siano stati rispettati e che quindi la misura conceda un vantaggio economico a Delcomar;
   le autorità italiane, sempre secondo la Commissione, non hanno fornito informazioni sufficienti in merito ai criteri applicati per calcolare l'importo della compensazione. Secondo i dati forniti alla Commissione, l'importo della compensazione è stato fissato in base ai costi di esercizio di una nave di medie dimensioni. Il contratto prevedeva semplicemente che l'importo della compensazione non superasse i 710.000 euro compresi tutti i costi sostenuti per la fornitura del servizio (presumibilmente includendo un margine di utile ragionevole). Risulta inoltre che tutte le entrate derivanti dalla gestione del servizio pubblico fossero trattenute dall'operatore, anziché essere detratte dai costi sostenuti, in aggiunta alla suddetta compensazione;
   la compensazione annua concessa al beneficiario dal 2004 al 2011 risulta essere superiore a quanto stabilito nel contratto di servizio pubblico;
   la scelta del beneficiario non è stata effettuata nell'ambito di una procedura d'appalto che consenta di selezionare il candidato in grado di fornire tali servizi al costo minore per la collettività;
   le autorità italiane avrebbero ripetutamente prorogato il contratto originale firmato nel 2004, consentendo in tal modo, all'operatore già presente di continuare a ricevere la compensazione per la fornitura di servizi di trasporto marittimo;
   dato che il beneficiario opera in concorre con altre imprese che forniscono servizi di trasporto marittimo nell'Unione europea le compensazioni per gli obblighi di servizio pubblico corrisposte a Delcomar fra il 2004 e il 2011 costituirebbero un aiuto, di Stato ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1, del TFUE;
   la nuova disciplina relativa ai SIEG si applica retroattivamente agli aiuti illegali sui quali la Commissione prende una decisione dopo il 31 gennaio 2012, fatte salve le eccezioni previste dai punti 14, 19, 20, 24, 39 e 60;
   a questo stadio, secondo la Commissione, la misura d'aiuto oggetto d'esame risulta essere incompatibile con il mercato interno, dal momento che le condizioni pertinenti previste dal nuovo quadro SIEG non sono rispettate;
   la Commissione, dopo aver esaminato le informazioni trasmesse dalle autorità italiane relative alla misura in questione, ha quindi deciso di avviare un procedimento ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
   la Commissione, nel quadro della procedura di cui all'articolo 108, paragrafo 2, del TFUE, ha invitato l'Italia a trasmetterle eventuali osservazioni e a fornirle tutte le informazioni che possano essere utili ai fini della valutazione delle misure succitate, entro il termine di un mese dalla data di ricezione della presente. La Commissione invita le autorità italiane a trasmettere immediatamente copia della citata lettera ai potenziali beneficiari degli aiuti;
   la Commissione richiama l'attenzione delle autorità italiane sul fatto che l'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio stabilisce che ogni aiuto illegale può formare oggetto di recupero presso il beneficiario –:
   se il Governo abbia dato seguito alla richieste intervenute da parte della Commissione europea;
   se il Governo abbia avuto comunicazioni sull'esito di tale procedura;
   se non ritenga di dover valutare l'opportunità di assumere iniziative per disciplinare i rapporti, anche convenzionali, con società sottoposte a procedura di infrazione e a rischio recupero di aiuti di Stato;
   se non intenda assumere le iniziative di competenza, relazionandosi con la regione Sardegna, per evitare che siano compiuti atti che possano aggravare la procedura di infrazione e impedire azioni che possano creare difficoltà nell'eventuale recupero degli aiuti eventualmente erogati. (5-07284)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO, ALBERTI, PESCO, GRILLO, CARINELLI, MANLIO DI STEFANO, TONINELLI, CRIPPA, DA VILLA, VALLASCAS e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   STMicroelectronics, azienda che rappresenta un'eccellenza mondiale nel campo della microelettronica, partecipata del Ministero dell'economia e delle finanze italiano e dal Fondo strategico francese, occupa circa 43.800 lavoratori in 35 paesi del mondo e circa 9.850 addetti in Italia. Di questi, quasi la metà sono impiegati nelle attività produttive concentrate nei siti di Agrate Brianza (MB) e Catania, mentre la restante parte è dedita ad attività di progettazione, ricerca e sviluppo nei siti di Agrate Brianza, Catania e Cornaredo (MI), oltre a quattro centri ad Aosta, Arzano (NA), Lecce e Palermo, che lavorano in stretto contatto con le università locali;
   in data 23 novembre 2015, si è riunito il coordinamento nazionale di STMicroelectronics, in cui erano presenti i Segretari nazionali dei sindacati FIM (Federazione italiana metalmeccanici), FIOM (Federazione impiegati operai metallurgici), UILM (Unione italiana lavoratori metalmeccanici), insieme alle rappresentanze sindacali unitarie di tutte le sedi italiane, per discutere della situazione dell'azienda, del contratto integrativo aziendale, delle sue scelte strategiche e del suo piano industriale. Nel corso dell'incontro è stato evidenziato come l'azienda continui a procrastinare nel tempo gli investimenti necessari a mantenere efficienti ed aggiornati gli stabilimenti produttivi ad Agrate Brianza e Catania, così come quelli necessari per garantire il necessario sviluppo tecnologico e di prodotto (come dovrebbe accadere con il potenziamento dell'area M9 a Catania e con l'avvio della linea pilota a 12 per prodotti avanzati ad Agrate Brianza), dichiarando che questi investimenti verranno fatti quando serviranno e se le condizioni di mercato lo permetteranno. Nel frattempo, però, il sito di Catania vede ridimensionarsi la capacità produttiva a causa dell'avviata dismissione di un reparto che occupa circa 600 lavoratori, aggravando la situazione di un sito già provato dalla considerevole riduzione delle sue attività di ricerca e sviluppo tecnologico e da una progressiva diminuzione del numero degli occupati. A stesso modo, il ritardo nell'avvio della linea pilota di Agrate Brianza, mette a rischio la stessa possibilità che questa divenga utile a garantire il futuro tecnologico ed occupazionale del sito;
   nel DEF (documento di economia e finanza) relativo al 2015 e approvato dal Parlamento, si prevedeva la cessione della partecipazione di STMicroelectronics in capo al Ministero dell'economia e delle finanze, al Fondo strategico italiano. A detta delle sopraindicate organizzazioni sindacali, questo passaggio potrebbe rappresentare l'anticamera per la completa privatizzazione dell'azienda in oggetto, sancendo l'abbandono della microelettronica tra i settori strategici nazionali pur in presenza di iniziative ed azioni, a livello continentale, per il rilancio del settore della microelettronica, agendo così in controtendenza rispetto agli obiettivi europei per i quali più volte è stata ribadita la necessità di una strategia condivisa a livello continentale, con investimenti provenienti dalle istituzioni comunitarie, dando la meritata attenzione alla rilevanza della forza lavoro ivi impiegata, il cui patrimonio di conoscenze non può essere disperso;
   come riferito dalle organizzazioni sindacali sopraindicate, risulta che nel corso degli ultimi 10 anni si siano susseguiti piani industriali poveri di investimenti e caratterizzati da un'eccessiva attenzione per gli aspetti finanziari e da una scarsa attenzione, invece, per le scelte industriali e strategiche, con l'effetto di una costante riduzione degli investimenti per innovazione e ricerca, che hanno fatto scivolare STMicroelectronics dal terzo all'undicesimo posto della classifica mondiale delle aziende produttrici di semiconduttori. La politica aziendale, mirata solo all'incremento dei dividendi da distribuire e senza un'ottica di sviluppo a medio e lungo termine, affari dal 2005 ad oggi di circa il 20 per cento con una riduzione dei profitti nonostante il favorevole contesto di un mercato in forte crescita. Tale politica aziendale ha portato il gruppo italo-francese a presentare, nel corso degli anni, piani segnati da importanti tagli di attività attraverso scorpori e vendite, con effetti negativi anche sull'occupazione. I dipendenti di STMicroelectronics hanno, inoltre, subito una rigida politica di austerità mentre, al contrario, sono aumentati i compensi dei manager e i dividendi degli azionisti, distribuiti in grande quantità anche nei periodi di maggiori difficoltà aziendali, con l'evidente conseguenza che la massiccia distribuzione dei dividendi ha ridotto al minimo le risorse disponibili per gli investimenti;
   i dati finanziari di STMicroelectronics del terzo trimestre 2015 rappresentano un quadro preoccupante dello stato di salute dell'azienda, evidenziando la profonda crisi dovuta alle strategie adottate negli ultimi anni. La crisi è, infatti, estesa anche a settori considerati sinora trainanti per la STMicroelectronics;
   ad aggravare il suddetto quadro e a destare ulteriori preoccupazioni, è l'attuale situazione della divisione E.P.S. (Embedded Processing Solutions), concentrata soprattutto in Francia, all'interno della quale una parte importante del gruppo D.P.G. (Digital Product Group), versa da diversi anni in uno stato di crisi. Il settore digitale risente della mancanza di commesse e i principali clienti sono drasticamente diminuiti. Si pone come esempio quello del cliente Nokia che in passato garantiva oltre 3,5 miliardi di euro di commesse alla STMicroelectronics e che oggi non riesce a garantire neanche lontanamente tale volume;
   destano inoltre particolare preoccupazione le dichiarazioni fatte a maggio 2015 dal management circa una possibile riorganizzazione dell'azienda basata su un pesante intervento nel settore digitale, che potrebbe avere effetti drammatici in territorio francese ma che, si teme, potrebbe avere pesanti ripercussioni anche sulle attività e sull'occupazione in Italia. Un eventuale ed ulteriore intervento di contrazione delle attività per soddisfare i conti finanziari, avrebbe effetti fortemente dannosi per la forza tecnologica e la solidità dell'intera azienda. Risulterebbe più opportuno, al contrario, puntare sul rilancio, tramite investimenti adeguati, di un settore strategico per le economie nazionali dei due Paesi e per il possibile utilizzo del know-how esistente a favore di tutti i settori dell'azienda;
   a giudizio degli interroganti, le analisi delle ragioni delle numerose difficoltà dell'azienda sono riconducibili all'inadeguatezza delle scelte operate e dall'assenza di politiche industriali legate ad una visione di medio e lungo periodo che possono trovare rimedio solo tramite una visione di forte sviluppo industriale e tecnologico atta a consolidare e sviluppare la presenza e l'occupazione italiana nell'intero settore della microelettronica. Sarebbe necessario superare, secondo gli interroganti, la visione conservativa e prevalentemente finanziaria che guida l'azienda da alcuni anni, sostituendola con una coraggiosa visione che punti allo sviluppo di nuovi prodotti e sulla ricerca tecnologica;
   il Governo, ancor più per STMicroelectronics perché azionista dell'azienda tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, dovrebbe considerare di iniziare dalla ricostruzione di una politica industriale che serva da guida e sostegno allo sviluppo dei settori tecnologici a più avanzati come quello della microelettronica, e alla ricostruzione di un tessuto industriale colpito dalle delocalizzazioni e dalla crisi –:
   se il Governo non intenda istituire un tavolo di confronto con le parti sociali e i rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico al fine di assicurare una strategia di sviluppo a lungo termine in tutti i settori dell'azienda, ponendo al centro delle priorità gli investimenti necessari per l'innovazione e l'indipendenza tecnologica;
   se il Governo, per quanto di sua competenza, non intenda assumere iniziative per definire con il Governo francese, di concerto con il sindacato europeo dell'industria e tutte le parti sociali coinvolte, una strategia comune per la salvaguardia occupazionale in tutti i Paesi ove risulta essere presente STMicroelectronics;
   se il Governo, per quanto di sua competenza, non intenda assumere iniziative confermare e rafforzare il controllo pubblico paritario tra i governi di Italia e Francia, al fine di raggiungere l'obiettivo di un reale sostegno strategico a parte di entrambi, proponendo al tempo stesso un'azione presso l'Unione europea a sostegno della microelettronica in Europa, volta a salvaguardare la società di cui in premessa e adoperandosi affinché la direzione aziendale predisponga tutte le iniziative necessarie all'utilizzo concreto dei fondi pubblici per ricerca ed innovazione tecnologica, inclusa la presentazione di progetti d'innovazione e ricerca di entità e qualità adeguate;
   se il Governo non intenda assumere, per quanto di sua competenza, iniziative volte ad una distribuzione dei dividendi correlata all'andamento di STMicroelectronics, superando definitivamente la politica legata al valore garantito a prescindere dai risultati e favorendo, nelle situazioni di difficoltà, l'utilizzo dei fondi finora destinati ai dividendi per attività di sostegno alle attività industriali e di ricerca;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per quanto di competenza, per incentivare la ripresa del confronto riguardante la piattaforma di contratto integrativo, ponendo come priorità la necessità di condividere e rilanciare la strategia industriale. (5-07286)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO, D'INCÀ e CHIMIENTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2015 si è svolta la manifestazione di protesta dei molti precari della città di Padova da tempo senza stipendio; contestualmente i sindacati di categoria hanno incontrato il prefetto di Padova, Patrizia Impresa, consegnando un documento da inviare alla Presidenza del Consiglio, al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministero dell'economia e delle finanze;
   nel loro appello alle istituzioni locali e nazionali, la FLC CGIL Padova e il Coordinamento precari della conoscenza di Padova chiedono di definire in modo positivo la triste vicenda dei precari della scuola, supplenti docenti ed ATA, che da mesi lavorano nelle scuole senza percepire il compenso;
   si legge nel documento: «È da anni che ormai ci si trova in questo periodo a sollecitare, diffidare, invitare gli Uffici preposti e la politica tutta ad adempiere ad un semplice dettato Costituzionale (articolo 36), che possa garantire la giusta e costante retribuzione dei lavoratori. Centinaia di lavoratori dall'inizio dell'anno non sono stati ancora pagati per il loro regolare lavoro e le condizioni che ci vengono prospettate sono ancora raggelanti. È da mesi che i vari operatori del Governo rassicurano che tutto va bene, che la Buona Scuola ha dato una marcia in più al Paese, che adesso è finita la vergognosa ressa dei precari etc... ! !. Tante belle parole ma di fatto, in provincia di Padova ci sono ancora circa 500 precari che devono ricevere gli stipendi. Ad alcuni è stato dato un acconto relativo a brevi periodi ad altri ancora nulla. E col nulla anche la beffa ! ! ! In questi giorni stanno arrivando i cedolini relativi alla tredicesima mensilità maturata... e in diversi casi l'importo accreditato è pari ad un euro ! !... Adesso Sua Eccellenza, Lei comprende bene che c’è qualcosa che non torna ! ! Se a ciò ci mettiamo tutta la pubblicità che questo Governo sta facendo sui 500 euro di bonus formazione (salvo poi continuare a non rinnovare il contratto bloccato da 7 anni) che molti colleghi non hanno ancora speso o non sanno come spendere mentre i supplenti precari parlano di non potere pagare il carburante per andare al lavoro, l'affitto, le tasse, se ci mettiamo che più della metà dei docenti in questione è lontano migliaia di chilometri da casa perché provengono dal meridione d'Italia e quindi vogliono, giustamente, in questo periodo raggiungere i propri cari per passare almeno delle serene festività, se ci mettiamo che, per il lavoro che facciamo, figlio di passione, competenza e grande senso di umanità e responsabilità... ogni mattina siamo in classe col sorriso sulle labbra e coinvolgiamo, educhiamo e ci confrontiamo con il Ns futuro (bambini, ragazzi), con il futuro di questo Stato, questo Stato che noi amiamo, che rispettiamo ma che non ci ama e non ci rispetta, la situazione diventa insopportabile ed incontrollabile. Il nostro senso di responsabilità (e ne abbiamo tanto), ci impedisce di mettere in atto azioni al limite del pensiero umano quando è in difficoltà ma a tutto c’è un limite e noi cercheremo di rispettare questi limiti. Infatti onde evitare clamorose decisioni da parte di qualche operatore della scuola precario in questi giorni forte della sensibilità e della solidarietà che ci contraddistingue, stiamo aiutando moralmente, ma soprattutto economicamente, diversi colleghi/e le cui condizioni sono disperate»;
   con l'interrogazione 4-11038, in attesa di risposta, si chiedevano iniziative urgenti in risposta alle criticità legate ai mancati pagamenti degli insegnanti precari;
   gli insegnanti precari risultano essere inoltre penalizzati anche per quanto concerne il riconoscimento del periodo di pre-ruolo; con l'interrogazione 4-10970, in attesa di risposta, si sollecitavano iniziative normative al fine di riconoscere per intero il periodo pre-ruolo per il personale della scuola neo-immesso in ruolo, ai fini della ricostruzione della carriera e della relativa progressione, così come previsto dalla normativa comunitaria, rivedendo conseguentemente gli effetti, a che ai fini contributivi, su pensioni e trattamento di fine rapporto –:
   quali urgenti iniziative intendano intraprendere al fine di garantire il rispetto dei diritti degli insegnanti precari.
(4-11540)


   CANCELLERI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento alle iniziative che il Ministero dell'economia e delle finanze intende portare avanti di concerto con la Banca d'Italia in ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale del 5 novembre 2015, n. 216;
   l'euro, valuta comune di diciannove Stati membri dell'Unione europea, fu introdotto per la prima volta in Italia nel 1999 (come unità di conto virtuale), mentre la sua introduzione sotto forma di denaro contante avvenne per la prima volta nel 2002, con contestuale cessazione del corso legale della lira;
   in virtù delle disposizioni di cui all'articolo 3, comma 1-bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96, e all'articolo 52-ter, commi 1 ed 1-bis, del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, le banconote e le monete in lire si prescrivevano a favore dell'erario decorsi dieci anni dalla data di cessazione del corso legale, e, dunque, potevano essere convertite in euro presso le filiali della Banca d'Italia non oltre il 28 febbraio 2012;
   l'articolo 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha previsto, in deroga alle su richiamate disposizioni, la prescrizione immediata delle banconote, dei biglietti e delle monete in lire, ancora in circolazione, a favore dell'erario e il versamento del relativo controvalore all'entrata del bilancio dello Stato, con una anticipazione dei tempi rispetto alla normativa vigente di 2 mesi e 22 giorni;
   avverso la predetta disposizione è stato presentato ricorso avanti il tribunale ordinario di Milano, che, con ordinanza del 28 febbraio 2014, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e rimesso la questione alla Corte costituzionale, per non manifesta infondatezza, in quanto la norma denunciata sembrava contrastare con gli articoli 3, 97, 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e della libertà fondamentali (CEDI), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge agosto 1955, n. 848;
   la Corte costituzionale, con sentenza n. 216 del 5 novembre 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6 del decreto-legge n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   a seguito della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 213 del 5 novembre 2015, la Banca d'Italia ha comunicato sul proprio sito istituzionale che «...in attuazione dell'articolo 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, la Banca d'Italia non ha più potuto effettuare dopo il 6 dicembre 2011, le operazioni di conversione richieste. Il controvalore delle banconote in lire ancora in circolazione (complessivamente circa 1,2 miliardi di euro) è stato versato al bilancio dello Stato. Subito dopo avere appreso dell'emanazione della sentenza della Corte, sono stati avviati con il MEF gli approfondimenti necessari per definire le modalità con le quali darvi esecuzione»;
   la cifra stimata complessivamente in circa 1,2 miliardi di euro è stata versata dalla Banca d'Italia in tre rate nelle casse statali al fine di ridurre il debito pubblico;
   per la Corte costituzionale tale finalità non è idonea a giustificare il «grave sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote in lire possedute»;
   sono numerosi i possessori di banconote, che confidando nella legittima aspettativa a convertire in euro entro il termine che sarebbe venuto a scadenza il 28 febbraio 2012, non hanno potuto provvedere al cambio delle stesse;
   nel rispetto dei principi di affidamento e ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione, richiamati dalla Corte costituzionale nella sentenza 216/2015, deve essere concesso a tutti i possessori delle banconote e monete in lire di poter effettuare le operazioni di cambio –:
   quali iniziative il Governo stia portando avanti, di concerto con la Banca d'Italia, al fine di ottemperare alla sentenza della Corte costituzionale del 5 novembre 2015, n. 216;
   nello specifico, quali siano i tempi e le modalità per consentire ai possessori di banconote di poter effettuare le operazioni di cambio. (4-11543)


   DI GIOIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i diritti connessi al diritto d'autore sono diritti patrimoniali privati che spettano a produttori di fonogrammi e artisti audio e video ogni qualvolta un fonogramma o un'opera audiovisiva da loro realizzati è ritrasmessa al pubblico;
   fino a luglio del 2009 vigeva un monopolio di fatto in cui l'Istituto mutualistico artisti interpreti ed esecutori, IMAIE, si occupava della raccolta e distribuzione dei compensi relativi ai suddetti diritti per la quota artisti interpreti ed esecutori;
   il 14 luglio 2009, l'IMAIE è stato estinto dal prefetto di Roma e messo in liquidazione sotto la guida dei tre commissari, Giovanni Galoppi, Enrico Laghi e Giuseppe Tepedino con il compito di ripartire circa 130 milioni di euro bloccati nelle casse dell'Istituto, a causa della manifesta incapacità gestionale dell'IMAIE di individuare gli aventi diritto e distribuirne i compensi;
   il presidente del collegio dei revisori dei conti dell'IMAIE era lo stesso avvocato Galoppi che, in continuità, è stato nominato liquidatore dell'istituto stesso;
   con il decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito dalla legge 29 giugno 2010, n. 100 sulle fondazioni lirico sinfoniche, all'articolo 7, veniva istituito il nuovo IMAIE. L'allora Governo in carica riteneva, infatti, che – nonostante il fallimentare operato dell'IMAIE – ci fosse la necessità di costituire un nuovo istituto per garantire il salvataggio del posto di lavoro dei circa 40 dipendenti del vecchio IMAIE;
   quando rifondato, il nuovo IMAIE ha mantenuto – secondo quanto previsto dalla legge – la stessa organizzazione gestionale e amministrativa, tutti i dipendenti nonché le figure di rappresentanza e dirigenziali che già collaboravano con il precedente Istituto;
   il nuovo IMAIE ha altresì beneficiato della messa a disposizione, a titolo di locazione, dei medesimi uffici in via Piave in Roma, di proprietà di IMAIE in liquidazione, dove gli stessi commissari e i loro collaboratori operano e lavorano, dando adito ad un'inevitabile commistione di ruoli;
   l'articolo 7, comma 2, del decreto-legge n. 64 del 2010 prevedeva che al termine della procedura di liquidazione l'eventuale residuo attivo e i crediti maturati fossero trasferiti al nuovo IMAIE, posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   l'articolo 39, commi 2 e 3 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, dispone che l'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi degli artisti è libera. L'introduzione della norma aveva il duplice obiettivo di chiarire e rafforzare il pieno diritto per ciascun titolare del diritto connesso (artista o produttore) di scegliere liberamente a quale soggetto collettivo affidare l'intermediazione dei propri diritti connessi al diritto d'autore e promuovere la nascita di nuove imprese intermediarie e conseguentemente nuovi posti di lavoro;
   presso il dipartimento informazione ed editoria (DIE) è istituito l'elenco delle imprese che svolgono intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore, previo possesso di tutti i requisiti previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012;
   i requisiti previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – come anche indicato dal parere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 3 dicembre 2012 – si applicano a tutti gli intermediari che operano nel mercato;
   ad oggi risultano essere nove, tra audio e video, le società di collecting in possesso dei requisiti ed iscritte all'elenco istituito presso il DIE;
   la VII Commissione istruzione pubblica e beni culturali del Senato della Repubblica l'11 marzo 2014 ha approvato una risoluzione che, tra le altre cose, impegna il Governo ad intervenire con legge per la razionalizzazione complessiva della disciplina in materia di gestione dei diritti connessi al diritto d'autore;
   a seguito e sulla base della risoluzione del Senato della Repubblica, il 23 settembre 2014 il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'editoria, onorevole Luca Lotti, ha convocato le organizzazioni che svolgono attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore (articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2012) ad un tavolo informativo per illustrare gli orientamenti legislativi in merito del Governo;
   tra le linee guida esposte in occasione dell'incontro, il Sottosegretario Lotti ha portato all'attenzione dei partecipanti, la volontà di intervenire con norma primaria per far sì – visto il nuovo assetto del mercato – che il residuo attivo dell'IMAIE in liquidazione fosse devoluto a tutte le società di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore rappresentative di artisti, in base a criteri oggettivi da stabilirsi successivamente;
   il 2 luglio 2015 il nuovo IMAIE ha pubblicato sul proprio sito una comunicazione agli artisti con cui veniva annunciata l'imminente distribuzione di 35 milioni di euro di compensi derivanti dalla procedura di liquidazione, la cui attività di calcolo per la ripartizione era stata affidata dai liquidatori di IMAIE a nuovo IMAIE e quindi gestita dal nuovo istituto;
   per quanto consta all'interrogante l'incarico per le attività di calcolo sarebbe stato affidato al nuovo IMAIE a titolo oneroso, ma senza alcuna procedura di gara e senza che ne fosse data informazione alla categoria o agli altri intermediari, unici soggetti deputati alla gestione dei compensi per conto dei loro mandanti;
   a seguito dei quesiti posti da alcune società di collecting in merito all'affidamento di tale incarico, i commissari liquidatori hanno risposto che al nuovo IMAIE sarebbe stato conferito un incarico finalizzato al completamento dell'attività di attribuzione e di ripartizione dei compensi musicali e audiovisivi fino alla data di estinzione della stessa liquidazione;
   tale risposta, in base al principio di successione temporale delle norme, si scontra con la norma che prevede che le disposizioni vigenti originariamente in capo al nuovo IMAIE non si sarebbero potute considerare ulteriormente in vigore in presenza del mutato quadro normativo pro-competitivo sopravvenuto;
   in tal caso i liquidatori, nel condurre la propria attività, avrebbero dovuto tenere conto del mutato contesto normativo che caratterizza il mercato nonché degli obblighi di diligenza, trasparenza, imparzialità e correttezza professionale, anche al fine di tutelare al meglio l'interesse degli artisti-creditori;
   conseguentemente, l'affidamento a un soggetto terzo del medesimo compito che dovrebbe considerarsi di stretta ed esclusiva competenza degli stessi commissari liquidatori è un fatto tanto singolare quanto straordinario; in quanto tale, proprio per le sue caratteristiche, esso avrebbe dovuto essere sottoposto ad una specifica autorizzazione del presidente del tribunale di Roma, nella qualità di organo vigilante sul complesso delle attività di liquidazione;
   ai rilevanti compensi corrisposti e dovuti ai liquidatori per l'esecuzione dell'incarico, si aggiungerebbe così il costo per l'ulteriore attività affidata al terzo appaltatore nuovo IMAIE. Costo che andrebbe ad erodere ulteriormente i compensi degli aventi diritto, creando quindi un grave ed ulteriore pregiudizio economico in danno degli artisti interpreti creditori;
   i liquidatori hanno affidato al nuovo IMAIE il compito più delicato e sensibile della procedura di liquidazione, quello dell'attribuzione e ripartizione dei compensi individuali: le stesse attività che la medesima struttura organizzativa del vecchio IMAIE non era stata in grado di portare avanti negli anni precedenti all'estinzione, tanto da portare al procedimento di liquidazione per circa 130 milioni di euro;
   l'affidamento di tale incarico e le attività di comunicazione inevitabilmente decettiva – basata sulla confusione di nome, di ruolo e di sede tra vecchio e nuovo IMAIE – posta in essere dagli uffici del nuovo IMAIE, a giudizio dell'interrogante, hanno non solo rafforzato la posizione dell’ex monopolista, assicurandogli un incolmabile vantaggio competitivo nei confronti degli altri intermediari concorrenti, ma anche ingenerato un immediato danno a carico di questi ultimi, causato dalla mancata possibilità di gareggiare con il nuovo IMAIE nell'affidamento dell'appalto;
   tutto ciò mentre l'Italia si appresta a liberalizzare il mercato dell'intermediazione del diritto d'autore secondo quanto previsto dalla direttiva 26/2014 il cui recepimento è previsto dallo schema di legge di delegazione 2015 già esaminata in via preliminare dal Consiglio dei ministri e che si accinge ad arrivare all'esame di questa Camera;
   la summenzionata risoluzione del Senato della Repubblica impegna il Governo ad intervenire, anche con l'adozione di specifiche norme primarie, affinché il residuo attivo della liquidazione sia ripartito tra tutti gli operatori in possesso dei requisiti minimi sulla base di criteri di rappresentanza effettivi e sostanziali;
   appare quindi evidente che fosse del tutto chiara la volontà del Governo di prevedere che tutti gli intermediari iscritti all'elenco del DIE dovessero essere coinvolti nel processo di ripartizione della liquidazione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   se non ritengano che i liquidatori di IMAIE – nel corso di una procedura liquidatoria di rilevanza nazionale, concernente un intero settore di mercato liberalizzato – avrebbero dovuto indire una procedura di gara che coinvolgesse tutti gli operatori del mercato per affidare le attività al miglior offerente;
   se non ritengano che i fatti sopraesposti abbiano di fatto determinato una distorsione anti-competitiva del mercato;
   se il Governo non ritenga di doversi adoperare, con ogni iniziativa di competenza, in favore dei diritti patrimoniali degli artisti-creditori;
   se non intendano assumere urgentemente iniziative per far sì che si rimetta ordine sul tema, prevedendo che gli artisti possano ricevere ciò che è loro dovuto da quelle società di intermediazione alle quali hanno liberamente deciso di affidare la gestione dei propri diritti patrimoniali;
   quali iniziative di competenza intendano adottare affinché sia effettivamente garantito un nuovo equilibrio ad un mercato liberalizzato e sia permesso agli artisti, interpreti ed esecutori di beneficiare dei servizi dagli intermediari di propria libera scelta. (4-11556)


   LOMBARDI, BARONI, DAGA, DI BATTISTA, RUOCCO, GRANDE e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 ottobre 2015, 26 consiglieri comunali, uno più del quorum, si sono dimessi in Campidoglio, determinando lo scioglimento dell'assemblea capitolina, della giunta, già orfana di otto assessori, e di conseguenza la decadenza del sindaco Ignazio Marino dalla sua carica;
   in base al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), articolo 141, comma 3 (secondo cui: «Nei casi diversi da quelli previsti dal numero 1) della lettera b) del comma 1, con il decreto di scioglimento si provvede alla nomina di un commissario, che esercita le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso»), il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, ha firmato il provvedimento di nomina del commissario prefettizio Francesco Paolo Tronca per la provvisoria gestione dell'ente;
   in base al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), articolo 141, comma 4: «Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge»;
   di conseguenza, la capitale dovrebbe tornare alle urne la prossima primavera per eleggere il nuovo sindaco e il nuovo consiglio capitolini;
   tuttavia, nelle ultime ore, con sempre maggiore insistenza, si rincorrono notizie di stampa secondo cui si starebbe pensando di rimandare l'appuntamento elettorale fissato per i cittadini romani –:
   quali siano gli orientamenti del Governo circa un eventuale slittamento delle elezioni capitoline per il rinnovo del consiglio comunale e del sindaco e, in caso positivo, sulla base di quali presupposti normativi si intenda pervenire ad una proroga della gestione provvisoria dell'ente affidata al prefetto Tronca. (4-11558)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la testimonianza raccolta dal sito web « www.iacchite.com» e ripreso poi da diversi organi di stampa locale, il giorno 15 dicembre 2015 al pronto soccorso, dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza una paziente è stata lasciata per ore nuda e abbandonata su un lettino;
   racconta la succitata testimone: «Arrivata presso la struttura vengo “catalogata” come codice rosso e immediatamente portata nella stanza al fine di praticare le prime cure. Dopo circa mezz'ora chiedo di poter andare in bagno all'infermiera che in quel momento si trovava in stanza con me, ma mi viene negato con giustificazioni a parere di chi scrive assurde. Ovviamente, dopo aver ricevuto il diniego, la sottoscritta insisteva sul proprio diritto anche perché non avevo necessità alcuna di essere accompagnata né dall'infermiera stessa né dagli operatori socio sanitari in quanto insieme a me era presente la persona che mi aveva accompagnata presso il pronto soccorso e che si era resa immediatamente disponibile ad accompagnarmi in carrozzina»;
   stando al racconto della paziente, alle continue pressioni l'infermiera cui lei si era rivolta, rispondeva testualmente «fattela addosso», tanto che la povera testimone è «costretta a seguire le indicazioni dell'infermiera visto che non vi era altra possibilità. Successivamente all'accaduto — racconta ancora la paziente — sono stata ovviamente denudata e senza essere in alcun modo pulita, sono stata avvolta in un pannetto e coperta con un lenzuolo»;
   stando ancora alla testimonianza riportata su « www.iacchite.com», «la stanza in cui sono stata posizionata era dotata di aria condizionata centralizzata ovviamente non funzionante. Infatti, piuttosto che emanare aria calda emanava aria fredda. Poiché ero stata precedentemente denudata, chiedevo quantomeno una coperta ma anche qui la risposta è stata negativa. Difatti, il pronto soccorso non era munito di coperte poiché la ditta che si occupa del lavaggio non aveva provveduto ancora a restituire i panni puliti»;
   a parere dell'interrogante, i fatti testé esposti sono di una gravità assoluta e necessitano di essere chiariti, risalendo ai comportamenti tenuti dal personale ospedaliero e dal pronto soccorso dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza –:
   se non intenda assumere iniziative per verificare i livelli essenziali di assistenza, nel rispetto anche di quanto previsto dall'articolo 32 della Costituzione che tutela il diritto alla salute come fondamentale, e l'efficienza del pronto soccorso dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza, anche per il tramite del commissario per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese, Massimo Scura. (4-11559)


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   troppe volte nel nostro Paese si è assistito a tragedie avvenute negli edifici scolastici a causa della precaria solidità strutturale degli stessi: il crollo del soffitto dell'Istituto Darwin di Rivoli (Torino) nel 2008 e quello della scuola di San Giuliano di Puglia (Campobasso) avvenuto nel 2002, sono solo alcuni drammatici esempi che richiamano alla memoria come l'incuria, la negligenza e la superficialità sovente hanno fatto pagare un intollerabile prezzo di sangue agli studenti;
   la circostanza che molti edifici scolastici risultino inidonei quanto a manutenzione delle strutture ed alla verifica delle condizioni di sicurezza, è stata ammessa, del resto, dallo stesso Presidente del Consiglio, il quale sin dal primo giorno di mandato si è impegnato a fornire risposte concrete al grave problema;
   nonostante ciò, in alcune realtà territoriali come quella calabrese sono riscontrabili lampanti situazioni di rischio, connesse a fenomeni di opacità ed irregolarità nella gestione delle procedure tecnico-amministrative, che è assolutamente doveroso segnalare onde consentire al Governo di valutarne attentamente la criticità e, laddove ritenuto necessario, disporre un intervento in via sostitutiva teso ad accertare l'esistenza o meno di situazioni di pericolo e, quindi, prevenire il ripetersi di tragedie annunciate;
   la vicenda cui l'interrogante fa riferimento è relativa all'edificio scolastico che ospita la scuola «Vittorio Bachelet» di Condofuri (Reggio Calabria), vicenda costellata da accadimenti incredibili occorsi sin dalla consegna dell'immobile al comune di Condofuri, avvenuta il 18 maggio 1985. Appena cinque giorni dopo, infatti, il sindaco pro tempore comunicò al preside della scuola, ancor prima dunque che vi entrasse un solo studente, che «la palestra ed il cortile non potevano essere utilizzati in quanto non ritenuti idonei»;
   come si apprende dalla relazione del consigliere comunale di minoranza dottor Tommaso Iaria, consegnata all'interrogante, fin dall'ultimazione dei lavori iniziali «formalmente» era tutto in ordine: «la certificazione tecnica relativa all'edificio era completa: c'era la relazione di collaudo statico; c'era la relazione a struttura ultimata; c'erano i certificati delle prove di compressione del calcestruzzo»;
   nonostante ciò, però, sin da subito fu impedito agli studenti di utilizzare i locali della palestra in quanto pericolante e, dichiara lo stesso consigliere, «com'era facilmente intuibile, qualche anno dopo “crollò su se stessa” senza che alcun evento esterno ne provocasse il collasso strutturale»;
   successivamente all'inaugurazione del complesso scolastico Vittorio Bachelet, com’è riscontrabile dalla documentazione prodotta, tra cui il carteggio tra la dirigenza scolastica ed il comune nonché dall'ordinanza del 12 novembre 1988, numerose furono le segnalazioni di deficit strutturali quali infiltrazioni di acqua dal tetto, cortocircuiti nell'impianto elettrico e malfunzionamenti vari. Dopo trent'anni ed ulteriori ingenti risorse pubbliche impiegate nell'edificio, ci si ritrova oggi con il persistere dell'inagibilità della struttura e quindi con l'impossibilità per gli studenti di Condofuri di usufruire di un edificio idoneo;
   a riprova della complessiva precarietà strutturale dell'edificio fa fede, 14 anni dopo, una relazione del comando dei vigili del fuoco di Reggio Calabria, datata 22 novembre 2002, che accerta, relativamente alla scuola media statale Bachelet, il fatto che «i solai di alcune aule presentano vistose lesioni» e che «analoghe lesioni sono presenti anche sui muri interni divisori, nonché su una trave in cemento armato prospiciente un'entrata»;
   ciò che tuttavia è di maggiore gravità è che nel periodo antecedente alla gestione commissariale del comune di Condofuri – sciolto per infiltrazioni mafiose ai primi di ottobre del 2010 – si è realizzato, nell'edificio scolastico in questione, un intervento «di adeguamento sismico» che sembrerebbe all'interrogante presentare incongruenze negli elaborati relativi al «calcolo strutturale», riportante l'indicazione di valori quantomeno «strani» e che susciterebbe negli addetti ai lavori molte riserve circa le opere realizzate rispetto ai criteri di efficienza, efficacia ed economicità;
   la commissione straordinaria, invece, approvò successivamente – deliberazione del 15 dicembre 2011, un primo progetto di «ristrutturazione dell'edificio» pari ad euro 489.425,82 ma, dopo pochi mesi, esattamente il 18 ottobre 2012, la stessa commissione revocò, cosa a dir poco anomale, tale delibera per approvare un «nuovo» progetto di ristrutturazione che prevedeva stavolta lavori per un importo complessivo di euro 1.250.000,00;
   anche tale rilevante aumento di costi, giustificato con l'entrata in vigore del nuovo prezzario regionale e con la necessità di rispettare alcune osservazioni operate dai vigili del fuoco, genera parecchie perplessità, oltre a non aver portato alle elementari verifiche strutturali nelle fondamenta dell'edificio che rimangano, a tutt'oggi un'incognita;
   in proposito, il consigliere ingegner Vadalà ha stigmatizzato, nel corso di un consiglio comunale, la non omogeneità dei valori di calcestruzzo presente nei pilastri, ricavato attraverso le cosiddette prove di carotaggio, nonché la totale assenza di prove strutturali su fondamenta e travi in elevazione che giustificassero i valori di calcestruzzo utilizzati nel calcolo di adeguamento strutturale;
   i valori di calcestruzzo delle fondamenta, in effetti, rappresentano la maggiore incognita circa la «tenuta» strutturale dell'edificio;
   molta parte della cittadinanza avanza dubbi reali sulla sicurezza complessiva della struttura, come emerge anche dall'articolo «Condofuri: maggiore l'interesse nei confronti della scuola Bachelet» apparso il 19 dicembre 2013 sul quotidiano ntacalabria.it: in esso alcune associazioni chiedono «la messa a disposizione di attrezzature e mezzi idonei ad effettuare nuove analisi in particolare attraverso la realizzazione di ulteriori ed approfondite indagini (cosiddetti “carotaggi”) al fine di meglio stabilire la reale consistenza dei preesistenti manufatti in calcestruzzo oggi affiancati da strutture di adeguamento probabilmente non proporzionati»;
   in sostanza, il timore espresso dalla cittadinanza, dai consiglieri di opposizione dell'attuale amministrazione e che emerge nitidamente dalla lettura dei dati sopra riportati è che sia la stessa struttura portante, ed in particolare le fondamenta, ad essere inadeguata visto l'immediato insorgere di problemi strutturali acuitisi nel tempo;
   in ragione di ciò, il 15 novembre 2013 fu presentata una mozione a firma dei consiglieri Iaria, Maisano e Vadalà per chiedere «una campagna di indagini strutturali sulla stessa scuola al fine di accertare il grado di sicurezza che la medesima può garantire»;
   tale richiesta si basava sul fatto che il calcolo strutturale del progetto di adeguamento sismico avrebbe mostrato diverse incongruenze tecniche, tanto da lasciare presagire la possibilità che gli stessi non siano corretti;
   veri e propri chiarimenti al riguardo non sono pervenuti dall'area tecnica dell'ente e neppure dall'ex genio civile, puntualmente interpellati dal consigliere Iaria, se non limitatamente a missive «interlocutorie» vergate con mesi e mesi di ritardo (ben otto per l'ufficio comunale);
   a seguito della mozione di cui sopra, a quanto emerge da un esposto presentato il 12 agosto 2014 alle forze dell'ordine dai consiglieri di opposizione Tommaso Iaria e Vadalà Antonino, il consiglio è stato riunito dal presidente, dottor Guamari Antonino, il 20 dicembre 2013 «con la presenza dell'ingegner Olivito che si è occupato della progettazione dell'adeguamento strutturale dell'edificio il quale rispetto alle domande ed alle problematiche sollevate non è riuscito a fornire risposte soddisfacenti e, soprattutto, l'ingegner Olivito non è stato in grado di fornire delucidazione alcuna in merito alle criticità tecniche sollevate dall'ingegner Vadalà attinenti gli input di elaborazione del calcolo strutturale su cui è stato poi imperniato l'adeguamento strutturale»; in particolare, la non corrispondenza tra il valore di resistenza cubica del calcestruzzo utilizzato (Rck) e i valori di resistenza cilindrica (fck) che ad esso avrebbero dovuto essere correlati;
   a quanto emerge dal verbale della seduta, a detta dell'ingegner Olivito i carotaggi nelle fondamenta non sarebbero stati effettuati per carenza di fondi;
   nel tentativo di ottenere risposte relative alla sicurezza delle struttura, il 15 gennaio 2014 il consigliere Iaria richiedeva al responsabile dell'area tecnica «di verificare, a tutela della sicurezza dei bambini del paese nonché della legalità e della trasparenza, se effettivamente il calcolo strutturale applicato al progetto sia corretto nella sua determinazione e non presenti, invece, l'indicazione di valori arbitrari ed ingiustificati» facendo specifico riferimento all'incongruenza di dati contraddittori relativi al valore di fck ed al valore ricavato di Rck;
   non ottenendo risposta il consigliere Iaria decideva di diffidare il responsabile dell'area tecnica e di presentare al presidente del consiglio, congiuntamente al consigliere Vadalà, una mozione denominata «Scuola Bachelet: trasparenza amministrativa e diritto di accesso agli atti» per ottenere risposte dall'Amministrazione;
   nonostante il deposito la mozione, protocollo n. 1408094 del 23 luglio 2014, non viene inserita dal presidente del consiglio comunale all'ordine del giorno a motivo di esplicita richiesta avanzata in tal senso dal segretario comunale, dottor Polimeni, e dal responsabile dell'area tecnica architetto Gangemi;
   va ricordato in proposito che l'articolo 39 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, – Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti Locali – dispone che «il Presidente del consiglio comunale o provinciale è tenuto a riunire il consiglio in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, o il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste»;
   va ricordato, altresì, che l'articolo 43, comma 2, del medesimo decreto legislativo stabilisce che «i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato»;
   va rilevato poi che oltre al rifiuto della calendarizzazione della mozione sopra citata, a fronte di diverse richieste di accesso agli atti, i consiglieri di opposizione non ottenevano risposte sufficienti e successivamente il segretario comunale, avvocato Donatella Palmisani, ha addirittura segnalato, lo smarrimento del parere redatto dal tecnico comunale pro tempore che affermava la convenienza economica e la necessità di demolire l'immobile invece che continuare a realizzare interventi costosi e non risolutori. Cosa ancora più inquietante è che tutto ciò, a quanto consta all'interrogante, sia avvenuto prima che la giunta municipale affidasse l'incarico per la realizzazione del progetto di «adeguamento strutturale»;
   è dovere morale dell'interrogante rilevare come siano palesi, a fronte dei fatti sopra riportati, i segnali relativi alla scarsa sicurezza e all'inattendibilità dei dati relativi alla stabilità strutturale dell'edificio scolastico Vittorio Bachelet di Condofuri (Reggio Calabria), rilevando il fatto che sussistono allarmanti dubbi circa l'effettiva solidità strutturale dello stesso –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto  di competenza, intenda adottare per accertare la stabilità strutturale degli edifici dell'istituto comprensivo Vittorio Bachelet di Condofuri (Reggio Calabria), specie con riferimento alle fondamenta e alle travi di elevazione, e, di conseguenza, per garantire il diritto alla sicurezza di studenti e insegnanti del comune calabrese. (4-11560)


   CRISTIAN IANNUZZI, MASSIMILIANO BERNINI, SEGONI, BALDASSARRE e ARTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Isernia, sotto la giunta Melogli, nel 2005, in sintonia con la regione Molise, sotto la giunta Iorio, sulla base di un finanziamento regionale pari a euro 258.228,45, indiceva un concorso per l'aggiudicazione di un appalto per la progettazione preliminare e definitiva del collegamento tra il bivio di Pesche al chilometro 181+500 della strada statale n. 17 ed il lotto 1 della strada statale Isernia Castel di Sangro, denominato «Lotto Zero»;
   a seguito dell'espletamento della gara di appalto, risultava vincitrice una Associazione Temporanea di imprese, composta dalla società Bonifiche, con sede legale in piazza Campitelli 2 – Roma e due professionisti isernini, ing. Maurizio De Vincenzi e ing. Giovanni Paolo Canè: il progetto veniva così assegnato con determina dirigenziale n. 347 del 10 giugno 2005 del comune di Isernia; 
   detta progettazione, una volta definita, sarebbe stata messa a disposizione dell'A.N.A.S. per inserirla in un eventuale finanziamento statale di opere pubbliche; 
   il comune di Isernia, con noti problemi di bilancio, ha assunto iniziative per la definizione e il finanziamento delle opere pubbliche necessarie che ad avviso degli interroganti sarebbero di competenza statale;
   questa inusuale prassi degli appalti-concorso non è sconosciuta all'amministrazione Melogli, già protagonista di un altro caso simile per la realizzazione dell'Auditorium, in occasione dell'anniversario dell'Unità d'Italia che, con un costo iniziale di 5 milioni di euro, lievitò ad oltre 50 milioni di euro; 
   il cosiddetto «Lotto Zero» è un progetto che prevede la costruzione di una strada di 5,450 chilometri, al fine di creare un collegamento tra la strada statale n. 17 e la strada Isernia-Castel di Sangro, all'altezza del bivio per Miranda, attraverso la costruzione di otto viadotti e due gallerie;
   il costo dell'opera, in principio stimato in 120 milioni di euro, poi lievitato a circa 160 milioni di euro (32 milioni di euro a chilometro), ha comportato un contemporaneo aumento della spesa per la progettazione che è passata da 1.445.228,45 euro a 3.845.228,45 euro – senza che peraltro ne siano ancora ben chiare le motivazioni;
   con delibera di giunta regionale n. 88 del 2013, venne rilasciato giudizio positivo di compatibilità ambientale, nonostante l'autorità di bacino dei fiumi Liri, Garigliano e Volturno avesse sollevato, a quanto consta agli interroganti, osservazioni in merito all'impatto dell'opera viaria sulle sorgenti San Martino e, in generale, sul sistema acquifero. Il tutto con un più che potenziale rischio di intorbidimento delle acque sorgive, soprattutto in fase di costruzione. Pare che gli stessi dubbi sollevati dall'autorità di bacino non siano stati sciolti nemmeno da uno studio di consulenza idrogeologica affidato all'università del Molise;
   tale giudizio di compatibilità ambientale risulta adottato altresì, a quanto risulta agli interroganti, con modalità non conformi alla valutazione della «opzione zero» (ex articolo 21, comma 2, lett. b, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 e ex articolo 1, comma 1, lett. c della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10) il che renderebbe incompleto il predetto «giudizio positivo»;
   da quanto si è potuto appurare nella fase di accesso agli atti da parte di appartenenti al Comitato «No Lotto Zero», eseguita presso gli uffici del responsabile unico del procedimento del comune di Isernia, non sarebbe stato possibile rinvenire, tra tutta la documentazione esaminata, alcuni documenti;
   per assenza di stanziamenti, da ormai sette mesi, i cittadini protestano per la chiusura della galleria di Belmonte del Sannio, e per i conseguenti gravissimi disagi ai pendolari – lavoratori e studenti – che ogni mattina devono raggiungere Agnone, essendo essa l'unico collegamento tra Abruzzo e Molise su quel versante. Da molto più tempo si lamentano anche gli abitanti della «località Macerone», nei pressi di Isernia, rimasti isolati dalla frana. E si tratta solo di esempi tra gli altri in una regione, il Molise, con una sanità pubblica disastrata e oberata da un debito di oltre 300 milioni di euro; 
   a quanto risulta agli interroganti, per riaprire la galleria di Belmonte, sarebbero necessari 180 mila euro che la regione e il comune di Isernia non provvedono a stanziare, mentre, così come accadde con la spropositata opera magna «dell’auditorium-cementorium», sono state già utilizzate cospicue risorse del «fondo europeo per la coesione sociale» a fronte di un'opera di cui non sono ancora certi la realizzazione e il finanziamento, che a tutt'oggi manca come dichiarato dal responsabile Anas del Molise –:
   di quali elementi informativi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   se il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa, intenda ancora destinare risorse al citato progetto anziché ad altre iniziative relative a opere di bonifica ambientale, di risanamento idrogeologico e di potenziamento e riqualificazione del sistema ferroviario, anche in considerazione degli effetti positivi di ricaduta di cui beneficerebbero le comunità interessate in termini di viabilità e occupazione. (4-11567)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERZONI, DAGA, MICILLO, ZOLEZZI, DE ROSA, BUSTO, VIGNAROLI e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si è recentemente prospettata l'ipotesi di prorogare di un anno la validità del contratto con Selex per la gestione del sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI al fine di garantire il corretto adempimento degli obblighi europei in materia di gestione e tracciabilità dei rifiuti, nonché di evitare il rischio di apertura di una procedura di infrazione;
   nella risposta all'interrogazione n. 5-06943 a prima firma Terzoni, pubblicata il 19 novembre 2015 nell'allegato al bollettino in Commissione VIII, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha risposto alla parte della domanda con la quale si chiedeva di confermare che il nuovo sistema partirà a decorrere dalla data del 1o gennaio 2016;
   le associazioni di categoria hanno già più volte espresso la difficoltà degli operatori di programmare le proprie attività in assenza di certezze riguardo al sistema di tracciabilità dei rifiuti e ora temono che il provvedimento di proroga del contratto a Selex, con conseguente slittamento dell'adeguamento tecnologico del sistema, possa essere inserito nel «decreto-legge milleproroghe» atteso per i primi mesi del 2016 –:
   se il Ministro sia in grado di fornire un cronoprogramma dei futuri passaggi che dovrà portare all'affidamento del servizio di tracciabilità dei rifiuti SISTRI a un nuovo concessionario;
   se il Ministro sia in grado di confermare che l'applicazione dei nuovi standard tecnologici potrà avvenire nei primi mesi del 2016;
   se il Ministro sia in grado di escludere il rischio di apertura di eventuali procedure di infrazione;
   se il Ministro abbia allo studio iniziative per lo slittamento dell'avvio del nuovo sistema e dell'affidamento a un nuovo concessionario al 2017.
(5-07293)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 disciplina la qualità dell'aria per un'aria più pulita in Europa;
   l'articolo 12 (prescrizioni per i casi in cui i livelli siano inferiori ai valori limite) della direttiva 2008/50/CE riporta: nelle zone e negli agglomerati nei quali i livelli di biossido di zolfo, biossido di azoto, PM10, PM2,5, piombo, benzene e monossido di carbonio presenti nell'aria ambiente sono inferiori ai rispettivi valori limite indicati negli allegati XI e XIV, gli Stati membri mantengono i livelli di tali inquinanti al di sotto dei valori limite e si adoperano per preservare la migliore qualità dell'aria ambiente che risulti compatibile con lo sviluppo sostenibile;
   l'articolo 13 (valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana) della direttiva 2008/50/CE riporta: «1. Gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell'aria ambiente non superino, nell'insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell'allegato XI. Per quanto riguarda il biossido di azoto e il benzene, i valori limite fissati nell'allegato XI non possono essere superati a decorrere dalle date indicate nel medesimo allegato. Il rispetto di tali requisiti è valutato a norma dell'allegato III. I margini di tolleranza fissati nell'allegato XI si applicano a norma dell'articolo 22, paragrafo 3 e dell'articolo 23, paragrafo 1. 2. Le soglie di allarme applicabili per le concentrazioni di biossido di zolfo e biossido di azoto nell'aria ambiente sono indicate nell'allegato XII, punto A»;
   l'allegato I lettera a) della direttiva 2008/50/CE rileva gli Obiettivi di qualità dei dati per la valutazione della qualità dell'aria ambiente;
   l'allegato II della direttiva 2008/50/CE rileva la determinazione dei requisiti per la valutazione delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente in una zona o in un agglomerato;
   l'allegato III della direttiva 2008/50/CE rileva la valutazione della qualità dell'aria ambiente e ubicazione dei punti di campionamento per la misurazione di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente;
   l'allegato IV della direttiva 2008/50/CE stabilisce i criteri per determinare il numero minimo di punti di campionamento per la misurazione in siti fissi delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente;
   l'allegato VI della direttiva 2008/50/CE determina i metodi di riferimento per la valutazione delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene, monossido di carbonio, e ozono;
   l'allegato XI della direttiva 2008/50/CE individua i valori limite per la protezione della salute umana;
   l'allegato XVI della direttiva 2008/50/CE disciplina le informazioni del pubblico; al comma 1 si prevede: «Gli Stati membri provvedono affinché siano messe sistematicamente a disposizione del pubblico informazioni aggiornate sulle concentrazioni nell'aria ambiente degli inquinanti disciplinati dalla presente direttiva. Al comma 2 si stabilisce che le concentrazioni nell'aria ambiente ottenute devono essere presentate come valori medi secondo i periodi di mediazione applicabili indicati nell'allegato VII e negli allegati da XI a XIV. Le informazioni devono indicare almeno i livelli superiori agli obiettivi di qualità dell'aria, in particolare i valori limite, i valori-obiettivo, le soglie di allarme, le soglie di informazione o gli obiettivi a lungo termine fissati per l'inquinante interessato. Deve inoltre essere presentata una breve valutazione riguardo agli obiettivi di qualità dell'aria e informazioni adeguate sugli effetti per la salute o, se del caso, per la vegetazione. Al comma 3 si prevede che le informazioni sulle concentrazioni nell'aria ambiente di biossido di zolfo, biossido di azoto, particolato (almeno PM10), ozono e monossido di carbonio devono essere aggiornate almeno ogni giorno e, se fattibile, anche su base oraria. Le informazioni sulle concentrazioni nell'aria ambiente di piombo e benzene, presentate come valore medio degli ultimi 12 mesi, devono essere aggiornate almeno su base trimestrale e, se fattibile, su base mensile;
   la Commissione europea attraverso una lettera di messa in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, inviata all'Italia ha aperto la procedura di infrazione 2015-2043 per la cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria in particolare per l'inottemperanza all'obbligo di rispettare i livelli di biossido di azoto (NO2);
   l'Italia è il Paese dell'Unione europea che segna il record del numero di morti prematuri rispetto alla normale aspettativa di vita per l'inquinamento dell'aria. La stima arriva dal rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea): il Belpease nel 2012 ha registrato 84.400 decessi di questo tipo, su un totale di 491 mila a livello di Unione europea. Tre i «killer» sotto accusa per questo triste primato: le micro polveri sottili (Pm2.5), il biossido di azoto (NO2) e l'ozono, quello nei bassi strati dell'atmosfera (O3), a cui lo studio attribuisce rispettivamente 59.500, 21.600 e 3.300 morti premature in Italia. Il bilancio più grave se lo aggiudicano le micropolveri sottili, che provocano 403 mila vittime nell'Unione europea a 28 e 432 mila nel complesso dei 40 Paesi europei considerati dallo studio. L'impatto stimato dell'esposizione al biossido di azoto e all'ozono invece è di circa 72 mila e 16 mila vittime precoci nei 28 Paesi dell'Unione europea e di 75 mila e 17 mila per 40 Paesi europei. L'area più colpita in Italia dal problema delle micro polveri si conferma quella della Pianura Padana, con Brescia, Monza, Milano, ma anche Torino, che oltrepassano il limite fissato a livello dell'Unione europea di una concentrazione media annua di 25 microgrammi per metro cubo d'aria, sfiorata invece da Venezia. Considerando poi la soglia ben più bassa raccomandata dall'organizzazione mondiale della sanità di 10 microgrammi per metro cubo, il quadro italiano peggiora sensibilmente, a partire da altre grandi città come Roma, Firenze, Napoli, Bologna, arrivando fino a Cagliari –:
   quali siano le zone ovvero le regioni e gli enti locali interessati dalla procedura di infrazione 2015-2043;
   se ritenga utile – così com’è avvenuto per la questione delle acque reflue – predisporre una sezione del sito http://italiasicura.governo.it/site/home.html dedicata all'informazione dei cittadini relativamente alle zone ovvero alle regioni e agli enti locali interessati a procedura di infrazione concernenti la qualità dell'aria;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in campo affinché la procedura di infrazione 2015-2043 venga chiusa;
   se intenda fornire un elenco sullo stato dei piani regionali per la qualità dell'aria indicando quali aree rientrino nel monitoraggio;
   se i criteri di zonizzazione siano omogenei a livello nazionale. (4-11533)


   RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 22 aprile 2015 al Ministro è stata indirizzata un'interrogazione sulle percentuali record delle polveri sottili presenti in atmosfera e rilevate da una centralina installata dall'Arpac all'interno di una scuola di via Risorgimento a San Vitaliano;
   secondo quanto emerge dalle inchieste giornalistiche che il quotidiano Il Mattino di Napoli ha dedicato anche negli ultimi giorni alla vicenda, il comune della provincia di Napoli resta ai primissimi posti nella classifica italiana dei territori più inquinati;
   a quasi un anno dall'entrata in funzione della centralina i dati registrati continuano a rilevare lo sforamento del limite di polveri sottili previsto dalla legge ben oltre le 35 volte all'anno;
   ad oggi nessuna indicazione sulle cause che determinano l'inquinamento è stata comunicata alla popolazione né risulta che un'indagine appropriata sia mai stata avviata;
   come riportato nella risposta del Ministero alla citata interrogazione «occorrerà attendere la fine dell'anno di monitoraggio affinché la regione Campania possa avere un quadro esaustivo della qualità dell'aria nella zona in esame necessario a determinare le opportune politiche di gestione dell'ambiente» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche con il coinvolgimento dell'Ispra e del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per dare risposte celeri alla popolazione residente e per estende l'analisi della qualità dell'aria anche ai comuni limitrofi, ed in particolare a quelli dell'area nolana, considerato che la stessa Arpac continua a sostenere che si tratta di problema di area vasta. (4-11542)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha appreso da fonti di stampa dell'operazione della polizia provinciale di Nola che nel pomeriggio  di martedì 24 novembre 2015, dopo un sopralluogo effettuato d'intesa con gli ambientalisti dell'associazione Fare Ambiente, che ne avevano denunciato il degrado, sono stati messi i sigilli a tre grossi locali sottostanti un fabbricato per civili abitazioni ubicati nell'area popolata della zona «Ponte» di Pomigliano D'Arco;
   gli agenti, dopo aver constatato il profondo stato di abbandono in cui versa l'intera struttura, hanno accertato che nei locali, senza alcun tipo di precauzione, erano depositati da più di 10 anni, più di 3.500 bidoni di vernice lavabile, circa 500 flaconi di materiale vario (shampoo per auto, sbloccante per tubi idraulici, kit per riparazione pneumatici). Molti solventi erano in condizioni di elevata pericolosità;
   sono stati trovati, inoltre, circa 5 metri cubi di inerti da demolizione e cumuli di piastrelle. Inoltre, mentre alcuni bidoni sono risultati vuoti, numerosi erano intatti e altri corrosi dalla ruggine a causa delle infiltrazioni d'acqua. Inoltre, nel seminterrato sono stati rinvenuti rifiuti di vario genere, come plastica e suppellettili –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se siano note le ragioni per cui, per oltre dieci anni, i materiali descritti siano stati lasciati in quelle condizioni;
   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di rispettiva competenza e anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, di doversi attivare al fine di monitorare il territorio ed evitare che la situazione di abbandono dell'area indicata in premessa possa degenerare contaminando irrimediabilmente il territorio;
   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di rispettiva competenza e anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, di doversi attivare al fine di organizzare una scrupolosa mappatura del territorio della cosiddetta «terra dei fuochi», al fine di individuare eventuali altre «bombe ecologiche» simili a quella descritta in premessa avvalendosi di modalità e strumenti migliori di quelli già previsti negli ultimi anni che si sono evidentemente rivelati inutili e inefficaci. (4-11555)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MORANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel centro storico di Urbino, incluso nella lista dei patrimoni mondiali dell'UNESCO dal 1998, sono state predisposte delle installazioni per il periodo natalizio da parte dell'amministrazione comunale: in particolare in piazza della Repubblica è stata installata una struttura in metallo (albero di Natale artistico), ed in piazza delle Erbe un tendone da circo;
   in piazza della Repubblica la struttura in metallo ha coperto interamente un'architettura preesistente, ovvero la fontana in marmo disegnata da Diomede Catalucci nel 1908;
   ad avviso dell'interrogante, tali installazioni, a prescindere dal gusto artistico e senza entrare nel merito, sono molto impattanti dal punto di vista architettonico in un centro storico come quello di Urbino, e se si chiede ai cittadini il rispetto della legalità nell'installazione di opere permanenti o temporanee, si dovrebbe a maggior ragione richiedere maggior rigore da parte della pubblica amministrazione;
   l'amministrazione comunale ha dichiarato di avere le autorizzazioni necessarie, ma l'assessore alla cultura del comune di Urbino Vittorio Sgarbi sostiene pubblicamente che non sia possibile rilasciare tali autorizzazioni, in contrasto con quanto sostiene il sindaco –:
   quali informazioni e dati possa fornire rispetto alle autorizzazioni rilasciate dalla Soprintendenza alle belle arti e al paesaggio delle Marche, rispetto alle sopraddette autorizzazioni per un'opera che seppur temporanea, insiste in un centro storico tutelato come quello di Urbino. (5-07285)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il castello di Miramare, sito turistico di primo piano per la città di Trieste e meta tra le più visitate del Friuli Venezia Giulia, già dimora di Massimiliano d'Asburgo, è circondato da un parco storico di 22 ettari da anni in uno stato di abbandono e degrado;
   il castello ed il parco, essendo beni di interesse pubblico, sono soggetti al regime di tutela dei beni culturali ai sensi degli articoli 10, 11 e 12 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137», in consegna al polo museale del Friuli Venezia Giulia;
   le indecorose e preoccupanti condizioni dei giardini sono costantemente oggetto di attenzione da parte dei cittadini attraverso i social network, oltre che degli organi di informazione. Nel mese di agosto 2015, una mostra intitolata «Il Parco di Miramare e le condizioni di degrado» è stata organizzata dalla sede di Trieste di Italia Nostra e dall'Associazione Orticola del Friuli Venezia Giulia e curata dall'ingegner Stefania Musco, con un'accurata ricerca storica ha posto un'ulteriore accento sullo stato del Parco;
   in data 4 gennaio 2012, sono stati sottoscritti l'accordo di programma ed un finanziamento congiunto Stato-regione per il restauro e la valorizzazione del castello e del parco di Miramare con l'apporto di un finanziamento di un milione e ottocentomila euro complessivi (1,2 milioni statali e 0,6 milioni regionali). L'accordo, pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione Friuli Venezia Giulia n. 7 del 15 febbraio 2012, indica nel «Programma di interventi per la valorizzazione del Parco di Miramare» elaborato nel dicembre 2011 dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia, un programma specifico di azioni;
   l'articolo 11, comma 2, prevede che l'accordo possa essere integrato o modificato per concorde volontà dei sottoscrittori;
   appare evidente che, mentre i lavori indicati nella sezione dedicata alla ristrutturazione delle serre, a diverse opere murarie e di contenimento di versanti, siano stati realizzati o a tutt'oggi in corso, al centro dell'attenzione debba essere posta la cura e la manutenzione del verde del parco;
   appare altrettanto evidente come il mantenimento di un parco storico richieda specifiche e particolari competenze, oltre ad una conoscenza approfondita del sito, della sua storia e delle sue peculiarità;
   risulta, pertanto, opportuno il coinvolgimento diretto di esperti, quali botanici, agronomi, architetti del paesaggio, fitopatologi, e di conoscitori della realtà e della storia del Parco, presenti sul territorio, che potrebbero essere organizzati in un Comitato scientifico di indirizzo (vincolante) e di supporto all'elaborazione di un piano programmatico e definito nelle tempistiche e nelle azioni finalizzato al recupero e ad una corretta gestione del sito;
   secondo l'interrogante, risulterebbe necessaria una riflessione approfondita e concreta da parte del Ministro interrogato sull'individuazione della soluzione ottimale per una gestione corretta dei parchi storici presenti sul territorio, essendo le soprintendenze e i poli museali privi delle necessarie competenze;
   un esempio virtuoso potrebbe essere rappresentato dal caso di Villa Hanbury, importante e famoso giardino storico di Ventimiglia che, divenuto demanio statale dagli anni ’60 e dopo una gestione problematica da parte della Soprintendenza regionale ligure, è stato preso in gestione dall'università di Genova che l'ha riportato alla bellezza originaria;
   trarre spunto da casi positivi ed adattarli alle diverse realtà territoriali non può che apparire, dunque, un approccio condivisibile. In questo contesto, una gestione del parco di Miramare, vista l'importanza e la maestosità del sito, affidata all'università e coadiuvata dal polo museale del Friuli Venezia Giulia potrebbe rappresentare un progetto pilota su cui concentrare le energie. Tale proposta sgraverebbe il polo di una serie di oneri ai quali risulta complesso fare fronte e permetterebbe di iniziare un percorso di recupero che porti ad una gestione consona ad un Parco storico –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto espresso in premessa;
   se intenda valutare, per quanto di competenza, la proposta di affidamento del parco storico di Miramare all'università di Trieste ed analizzarne, di concerto con gli organi coinvolti, la concreta fattibilità;
   se intenda considerare la possibilità di far diventare un progetto pilota la tipologia sperimentale di gestione del parco di Miramare, in maniera da poter poi replicare la modalità di conduzione ad altri parchi e giardini storici presenti sul territorio. (5-07297)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge 16 marzo 2001, n. 72, «Interventi a tutela del patrimonio storico e culturale delle comunità degli esuli italiani dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia» pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 28 marzo 2001 ha introdotto, in ottemperanza all'articolo 9 della Costituzione, la tutela delle tradizioni storiche, linguistiche e culturali italiane delle comunità istriane, fiumane e dalmate residenti in Italia. In particolare, la suddetta legge ha stabilito le tipologie specifiche dei progetti oggetto del sostegno economico statale, l'ammontare del contributo e la modalità di erogazione;
   la legge specifica come lo stanziamento, di durata triennale, debba venir utilizzato attraverso un'apposita convenzione da stipulare tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo la Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, sentiti la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, previa adeguata consultazione con associazioni e centri culturali, esistenti alla data del 31 maggio 2000, promossi dagli esuli dai detti territori e che si pongano come fine statutario preminente lo studio e la ricerca sul patrimonio storico culturale dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia;
   la convenzione stabilisce annualmente le modalità di accesso ai finanziamenti e di erogazione degli stessi, le procedure per i controlli sulle spese ad essi connesse e i termini di presentazione delle relative domande;
   successivamente, la legge 28 luglio 2004, n. 193, «Proroga e rifinanziamento della legge 16 marzo 2001, n. 72, recante interventi a tutela del patrimonio storico e culturale delle comunità degli esuli italiani dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia», ha stabilito alcune semplificazioni di natura formale, oltre alla proroga ed al rifinanziamento della legge precedente;
   successivamente, la disposizione è stata prorogata e rifinanziata fino al 31 dicembre 2015 dall'articolo 1, comma 295, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, autorizzando l'erogazione della somma di euro 2.300.000 per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, a valere sull'apposito capitolo di bilancio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   facendo seguito a quanto previsto da detta legge, in data 6 novembre 2013 è stata firmata la convenzione tra il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero degli affari esteri e la Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati avente come oggetto la realizzazione di un piano di interventi a tutela del patrimonio storico e culturale delle comunità degli esuli italiani dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia;
   l'articolo 2 della Convenzione stabilisce la costituzione, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nominata con decreto del segretario generale, di una commissione tecnico-scientifica, composta da nove membri, due dei quali nominati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, due dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, tre dalla Federazione, due dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con il compito di valutare e selezionare i progetti specifici da far rientrare nel piano annuale degli interventi; tale piano avrebbe dovuto essere approvato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale entro il 1o aprile 2014 ed il 1o aprile 2015 con apposito decreto;
   ad oggi, tale Commissione non risulta ancora stata nominata, nonostante il decreto di approvazione della Convenzione sia stato registrato presso la Corte dei Conti il 30 gennaio 2014 e nonostante tutte le parti coinvolte abbiano da tempo fornito la lista dei membri che dovrebbero costituirla causando una serie notevole di problematiche legate alla continuità delle attività ed alla relativa programmazione –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto esposto;
   se si intenda provvedere urgentemente alla costituzione della Commissione di cui in premessa, onde permettere la realizzazione ed il finanziamento delle attività previste dalle citate leggi. (5-07298)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, PASTORINO e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 106 del 2014 prevede la soppressione delle soprintendenze museali e la creazione dei «poli museali regionali» e conseguentemente, al museo nazionale preistorico etnografico «Luigi Pigorini», il soprintendente è stato sostituito di recente dal direttore Edith Gabrielli, nominata dal Ministero, che per effetto della normativa vigente ha il compito di gestire altri quarantatré musei laziali appartenenti allo stesso polo del Pigorini;
   la legge n. 106 del 2014 prevede un bando nazionale per la gestione dei servizi aggiuntivi, ma a oggi nessun bando è stato predisposto e quindi l'attività didattica del Museo Pigorini è bloccata;
   all'interno del museo nazionale preistorico etnografico «Luigi Pigorini» di Roma, il gruppo multidisciplinare composto di operatori museali facenti parte dell'associazione «Amici del Pigorini», dal 2008 svolgeva con eccellenza programmi didattici per le scuole del territorio e per quelle provenienti da tutta Italia;
   l'attività di gestione dell'Associazione era in linea con le strategie e gli obiettivi comuni di valorizzazione che promuovono l'integrazione dei percorsi culturali di fruizione, nonché dei conseguenti itinerari turistico-culturali;
   i dipendenti dell'associazione «Amici del Pigorini» hanno formazione in preistoria, bioantropologia, antropologia culturale, mediazione ed esperienza in didattica dei musei. L'associazione ha tra le proprie finalità lo sviluppo delle attività svolte dal Museo Pigorini, la diffusione del dibattito scientifico e la divulgazione dei contenuti culturali collegati alle collezioni preistoriche ed etnografiche del museo;
   dal 2008 il museo propone ai visitatori laboratori e visite guidate per scolaresche, bambini e famiglie, incontri, conferenze, corsi per appassionati e studenti presentazioni di libri, spettacoli e tanti altri eventi per far conoscere in modo giocoso e interattivo la storia dell'uomo viaggiando nel tempo e nello spazio e mostrando attraverso gli oggetti conservati nel museo, le tecniche e i saperi delle diverse culture del mondo;
   dal mese di settembre 2011 al mese di giugno 2015 sono state 65.955 le presenze registrate di gruppi e scolaresche durante il periodo di gestione del servizio didattico da parte dell'associazione «Amici del Pigorini». Le iniziative sono state rivolte principalmente a scuole di ogni ordine e grado e si stima che le attività educative abbiano coinvolto circa 300 scuole ogni anno, distribuite sul territorio regionale e nazionale, con il supporto degli operatori didattici dell'associazione, tra archeologi preistorici, bioantropologi e antropologi museali;
   i dipendenti dell'associazione «Amici del Pigorini», pur essendo in possesso di un contratto che prevedeva quattro anni più una proroga di altri quattro, per effetto dell'accorpamento dei musei – come previsto dalla legge n. 106 del 24 – sono rimasti senza occupazione in attesa e nella speranza di un bando nazionale che possa portare alla ricollocazione dei dipendenti stessi;
   la retribuzione dei dipendenti dell'associazione «Amici del Pigorini» era esclusivamente a valere sulle risorse ricavate dall'attività didattica stessa, contribuendo con una quota parte al pagamento dell'affitto dell'edificio ove era insediata l'associazione stessa. Inoltre, sulle visite paganti e attività svolte, era riconosciuta una percentuale d'incasso da versare al Museo stesso. Di conseguenza le attività organizzate e svolte dall'associazione e la retribuzione dei dipendenti non erano da considerarsi sul bilancio museale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della sorte dei dipendenti dell'associazione «Amici del Pigorini» nell'eventualità positiva, quali siano le iniziative di competenza che intende mettere in atto per salvaguardarli assieme alle loro famiglie che per effetto della legge suddetta sono attualmente disoccupati;
   se sia a conoscenza della scarsa affluenza di visitatori e di scolaresche al museo da quando è stata sospesa l'attività didattica promossa dall'associazione;
   quali siano gli strumenti e le iniziative che intende mettere in atto per non penalizzare le visite delle scolaresche al museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini;
   quali siano i tempi – a seguito della nomina del direttore del polo museale del Lazio avvenuta il 9 marzo 2015 – per l'elaborazione e l'approvazione di progetti relativi alle attività e ai servizi di, valorizzazione, inclusi i servizi da affidare in concessione che dovevano essere effettuati entro novanta giorni dalla nomina del direttore. (4-11538)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, CECCONI, TERZONI, RIZZO, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la cassa di previdenza delle Forze armate, che dal 2009 raggruppa tutte le preesistenti casse previdenziali militari, è un ente di diritto pubblico non economico sottoposto alla vigilanza del Ministero della difesa, che ne gestisce poteri e funzioni attraverso lo Stato maggiore della difesa e gli uffici dell'amministrazione competenti per materia;
   con atto di approvazione del 24 aprile 2015, emesso in conclusione del procedimento amministrativo per l'affidamento dei servizi di gestione dei conti correnti intestati a fondi previdenziali, la Cassa di previdenza delle Forze armate ha aggiudicato, in via definitiva, l'affidamento dei predetti servizi alla Banca delle Marche s.p.a.;
   il predetto istituto di credito, già oggetto di amministrazione straordinaria, è attualmente coinvolto in un processo di ristrutturazione aziendale, mediaticamente definito di «salvataggio», a causa di un dissesto finanziario che ha comportato danni per le azioni ed obbligazioni di migliaia di risparmiatori e che ha riguardato anche Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti;
   tale crisi economica, che ha generato incertezze e preoccupazione in migliaia di risparmiatori, ha indotto alcuni organi di stampa ad ipotizzare un rischio anche per i conti correnti dei fondi previdenziali militari dal momento che, nonostante l'amministrazione straordinaria ed i bilanci non in regola, la Banca delle Marche ha mantenuto la gestione dei servizi precedentemente affidati;
   appare quantomai anomalo, secondo gli interroganti, che, tra i criteri di esclusione per la scelta della banca aggiudicatrice, il bando di gara pubblicato dal Ministero della difesa non abbia previsto anche quello relativo allo stato di amministrazione straordinaria e quello del livello di solidità dell'istituto, in termini di bilancio;
   prima di aggiudicarsi la gara per la gestione della Cassa di previdenza delle Forze armate, la Banca delle Marche ha amministrato, fin dal 2011, i fondi di previdenza di ufficiali e sottufficiali di Esercito, Arma dei Carabinieri, Marina militare ed Aeronautica militare;
   è di tutta evidenza, a giudizio degli interroganti, che, in un sistema di regolamentazione bancaria diretto dalla Banca centrale europea e dalla Banca d'Italia, tali organismi dovrebbero porre in essere tutti i meccanismi per evitare simili dissesti finanziari e controllare la gestione del credito, incoraggiando la tutela del risparmio dei cittadini, quale principio costituzionalmente garantito dall'articolo 47 della Costituzione –:
   se i contributi previdenziali finora versati dal personale delle Forze armate alla Cassa di previdenza delle Forze armate, e i cui fondi sono gestiti dalla Banca delle Marche s.p.a, siano oggetto di salvaguardia e risultino attualmente nella immediata disponibilità dell'istituto di credito;
   quali siano i bilanci consuntivi della Cassa di previdenza delle Forze armate per l'ultimo biennio 2014-2015, posto che l'ultimo bilancio attualmente disponibile sul sito internet risale al 2013;
   se i contributi previdenziali finora versati nelle casse di Banca delle Marche dal personale delle Forze armate siano stati in tutto o in parte utilizzati per l'acquisto di prodotti finanziari a rischio;
   se non si ritenga opportuno, alla luce di quanto emerso e delle sopravvenute difficoltà di gestione, procedere alla revoca dell'affidamento dei servizi aggiudicati alla Banca delle Marche e valutare l'indizione di un nuovo bando di gara per le medesime attività di tesoreria;
   quali siano i criteri di valutazione sottesi all'affidamento alla Banca delle Marche della gestione dei servizi di cui in premessa e se non sia opportuno assumere iniziative per introdurre, per le gare future, accanto al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, anche l'ulteriore criterio dell'indice di solidità dell'istituto di credito. (5-07279)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA e PETRAROLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in viale Castro Pretorio n. 95, in Roma, insiste il «Complesso logistico Pio IX», struttura che si trova nel centro di Roma, a pochi passi dall'università La Sapienza e dalla Stazione Termini;
   all'interno del predetto immobile si trova sia il circolo ufficiali, sia la foresteria dell'Esercito;
   nello specifico l'utilizzo del complesso, come riportato da organi di stampa ed, in particolare dal Fatto Quotidiano, dovrebbe essere riservato all'alloggio di personale militare o con rapporti con la Difesa;
   il complesso consta di 7 suite internazionali a 39,40 euro al giorno, di 6 suite nazionali allo stesso prezzo, di 4 camere di alta rappresentanza, di 9 camere matrimoniali e di 5 doppie a 28,90 euro a notte, di 55 camere singole (21,90 euro) e di 16 mini-alloggi oltre a 100 posti auto e 9 sale ristorante, palestra attrezzata, centro benessere, bagno turco, area sauna;
   dall'inchiesta del Fatto Quotidiano emerge come numerosi politici, deputati e senatori, che non sembrerebbero aver alcun titolo ad usufruire degli alloggi della Difesa, siano stati ospitati all'interno degli alloggi e delle camere del predetto complesso;
   ad esempio, Roberto Formigoni ha soggiornato in una suite da 40 euro a notte, il viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Nencini in una stanza simile, ma anche l'ex Ministro Gian Guido Folloni, Sabrina De Camillis (esperta del Ministro della salute Lorenzin per la riforma del titolo V ed ex deputata Ncd), nonché i deputati Giovanna Petrenga ed Andrea Manciulli hanno alloggiato in una delle camere del complesso;
   due ambasciatori, Claudio Bisogniero (Stati Uniti) e Francesco Zazo (Australia), sembra che abbiano utilizzato le camere del complesso oggetto del presente atto di sindacato ispettivo;
   sembra, inoltre, che la foresteria sia stata utilizzata e frequentata addirittura da ex deputati della nazionale dei parlamentari come Costantino Boffa, Michele Cappella e Salvatore Buglio;
   da una lettera inviata il 25 giugno 2015 dal capo ufficio affari generali dello Stato Maggiore dell'Esercito, Paolo Ruldino, in risposta ad una richiesta di utilizzo degli alloggi da parte dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, si evidenzia che «Le predette foresterie devono essere utilizzate obbligatoriamente dal personale dell'amministrazione in caso di missioni all'interno del territorio nazionale. E sono destinate prioritariamente per esigenze, anche di carattere familiare, del personale in servizio e in quiescenza dell'esercito» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in narrativa;
   quali siano le condizioni di utilizzo delle camere e degli alloggi del cosiddetto «Complesso Pio IX», sito in viale Castro Pretorio n. 95, e quali categorie di soggetti possono esservi ospitati ed a che condizioni;
   se trovi conferma che gli alloggi e le camere del complesso de quo devono essere utilizzate obbligatoriamente dal personale dell'amministrazione, in caso di missioni all'interno del territorio nazionale e che sono destinate prioritariamente per esigenze, anche di carattere familiare, del personale in servizio e in quiescenza dell'Esercito;
   se trovi conferma che soggetti che non hanno alcun rapporto di dipendenza e/o collegamento con il Ministero della difesa abbiano usufruito delle camere e degli alloggi del «Complesso Pio IX», per quali ragioni sia stato consentito tale utilizzo di un bene immobile in uso all'amministrazione della Difesa e perché, in ogni caso, non siano stati applicati prezzi di mercato. (4-11562)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSTAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la situazione finanziaria del comune di Messina risulta essere particolarmente critica, pur in presenza di un piano di riequilibrio formalizzato dall'amministrazione locale e più volte rimodulato, così che la precarietà economico-finanziaria della città dura ormai da parecchi anni;
   ad oggi, il comune, per il corrente anno, non ha provveduto ad effettuare le procedure di riallineamento contabile di cui all'articolo 193 del TUEL e tale inadempienza si è verificata anche negli anni passati, tanto che la Corte dei Conti, con la relazione sul conto consuntivo 2013, l'ultimo approvato, ha messo in evidenza gravi criticità in ordine alla gestione contabile dell'Ente;
   il comune di Messina non ha provveduto al recepimento ed all'approvazione dei bilanci delle società partecipate, non consentendo, in tal guisa, una reale e completa valutazione della massa debitoria dell'Ente (si veda, ad esempio, quanto accaduto rispetto ai bilanci dell'A.T.M. società che ha chiuso l'esercizio finanziario 2014 con un passivo, per perdite pregresse, di oltre 50 milioni di euro appostato in conto capitale);
   non sono ancora stati formalizzati in consiglio comunale i contratti di servizio attraverso i quali poter determinare le risorse annue da corrispondere per lo svolgimento dei servizi prestati dalle società partecipate;
   altrettanto drammatica appare la situazione della Messinambiente spa la quale ha subito un pignoramento di oltre 29 milioni di euro da parte dell'Agenzia delle entrate;
   lo stato di precarietà della situazione finanziaria delle partecipate, associata ad una sostanziale paralisi dell'attività del consiglio comunale, lascia concretamente presagire il prossimo blocco di alcuni servizi pubblici essenziali;
   quanto alla situazione dei debiti fuori bilancio che sono stati stimati in diversi centinaia di milioni di euro, gli stessi ad oggi non risultano riconosciuti né transatti pregiudicando radicalmente la formazione dei programmi di riequilibrio;
   a tutt'oggi, in contrasto con le norme del TUEL, non risultano presentati in consiglio comunale per l'approvazione né il bilancio consuntivo 2014, né il bilancio preventivo 2015 né, infine, il programma economico triennale –:
   se il Ministro dell'interno sia edotto circa le attività della commissione ministeriale di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 preposta ai controlli ed alle verifiche circa le finanze dell'ente comunale citato, con particolare riferimento allo stato di avanzamento delle attività transattive con i terzi creditori del comune indicate nel piano di riequilibrio;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze sia a conoscenza di tali criticità e quali improcrastinabili iniziative di competenza intenda assumere per scongiurare la paralisi del comune di Messina ed evitare il blocco dei servizi pubblici essenziali;
   se il Ministero dell'economia e delle finanze se intenda promuovere una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso il comune di Messina, al fine di verificare il corretto adempimento degli obblighi contabili e finanziari da parte dell'ente e la loro regolare esecuzione anche in relazione alle società municipalizzate e/o controllate. (4-11553)


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», all'articolo 16, dispone la tassazione degli aeromobili privati con un'imposta basata sul peso massimo che, diversamente dall'analogo provvedimento per automobili e natanti, non contempla alcuna riduzione in funzione dell'età, dunque del valore commerciale, delle macchine;
   la legge esenta dal pagamento della tassa sugli aeromobili quelli che appartengono alle imprese di lavoro aereo che fanno attività di aerotaxi;
   in Italia, salvo rare eccezioni, non ci sono aeromobili executive (bireattori, bimotori a turbina ed elicotteri di lusso) intestati a privati, poiché, in genere, chi si compra un bireattore costituisce una società di lavoro aereo e poi affitta l'aeroplano da quest'ultima e in questo modo gli aeroplani di lusso vengono esentati dal pagamento della tassa, meccanismo inevitabile perché il nostro Paese è l'unico dell'area dell'Unione europea a non consentire l'uso «aziendale» di un mezzo aereo privato;
   la tassa, in ultima analisi, finisce per colpire solo gli aeromobili piccoli, i velivoli storici o quelli autocostruiti con un'aliquota reale variabile fra il 4 ed il 10 per cento del valore di mercato che, nella grande maggioranza dei casi, è dell'ordine di poche decine di migliaia di euro;
   secondo quanto denuncia AOPA Italia, la sezione italiana di IAOPA – Associazione mondiale dei piloti dell'aviazione generale e del lavoro aereo, analogamente a ciò che è avvenuto per il comparto nautico anche per l'aviazione generale nazionale la manovra ha avuto come conseguenza un mancato gettito impositivo previsto, a fronte di perdite di posti di lavoro e fatturato delle piccole e medie imprese del settore, oltre ad una grave contrazione del mercato e al mancato incasso di accise sui carburanti e IVA, e a tutto ciò si sommano il danno causato dalla «fuga» di aeromobili italiani immatricolati ora all'estero, il calo drastico di nuove iscrizioni presso il registro ENAC – Ente nazionale aviazione civile, la grave contrazione della domanda di trasporto aerotaxi e la «fuga» all'estero di giovani piloti;
   i dati dell'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile aggiornati a fine 2010 mostrano poco meno di 2.700 aeromobili (compresi alianti e mongolfiere), dai quali una volta sottratti i mezzi che il decreto esclude dalla base imponibile (compagnie aeree, aerotaxi, eliambulanza, soccorso, antincendio, addestramento, Aero Club) resta un numero totale dei velivoli tassabili pari a 1.007 macchine per un gettito di poco superiore ai 3,5 milioni di euro;
   stando ai dati AOPA, la flotta di velivoli italiani in linea di volo ha un'età media che supera i 25 anni, è composta da aeromobili dal valore commerciale di gran lunga inferiore al costo di una piccola berlina di lusso e la drastica caduta di ore volate dovuta all'aumento del costo per ora di volo, rappresenta un potenziale pericolo in termini di sicurezza, per ciò che riguarda il livello di allenamento dei piloti –:
   quale sia il gettito ottenuto dallo Stato dal 2011 ad oggi derivato dalla tassazione degli aeromobili privati;
   quanti veicoli siano soggetti a tassazione e quanti invece siano esenti.
(4-11554)


   RUOCCO e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 dicembre 2015, un servizio andato in onda su Striscia La Notizia di Riccardo Trombetta, ha messo in luce una vera e propria vessazione dell'Agenzia delle entrate sugli affittacamere, trasformati d'ufficio in albergatori;
   l'inviato di Striscia nel servizio realizzato, ha intervistato l'Avvocato Giuseppe Marino, esperto in diritto tributario, che ha chiarito alcuni abusi evidenti dell'Agenzia delle entrate, la quale con una semplice visura catastale, trasforma d'imperio ed in automatico gli affittacamere, che per le vigenti normative non possono avere alloggi con più di 6 stanze, in albergo che tra l'altro devono avere un minimo di 7 stanze con 12 posti letto;
   le categorie catastali, utilizzate ai fini delle imposizioni fiscali, si differenziano con le lettere alfabetiche: A) abitazioni civili; B) case di cura, prigioni, uffici pubblici; C) negozi e magazzini; D) alberghi, banche, pensioni; E) stazioni, ponti, cimiteri differenziano (http://www.catasto.it/categorie.html);
   come si può leggere da alcuni pareri legali pubblicati in rete, compresi quelli dell'Avvocato Marino, intervistato da Striscia, sarebbe illegittima la rettifica di classamento «automatica» dei cosiddetti «affittacamere» e dei « bed & breakfast» da cat. A a cat. D/2;
   nell'ambito dell'ormai nota attività di rettifica catastale «automatica» di buona parte degli immobili siti nel centro di Roma, l'Agenzia delle entrate ha di recente «preso di mira» anche i cosiddetti «affittacamere», definiti dalla legge come «strutture extralberghiere composte da non più di sei camere, ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati in uno stesso stabile, nei quali sono forniti alloggio ed eventualmente servizi complementari tra i quali colazione uso cucina (...)»;
   in particolare, l'Agenzia delle entrate, del tutto arbitrariamente e con motivazione a dir poco generica, dispone d'ufficio, quasi sempre senza alcun sopralluogo, la rettifica dell'accatastamento degli «affittacamere», di regola e per legge ubicati in appartamenti classificati in catasto in cat. A, includendoli nella cat. D/2 (riservata invece ad alberghi e pensioni). Analoga situazione sta di recente riguardando anche i cosiddetti « bed and breakfast» (B&B). Dalla motivazione di siffatti avvisi di accertamento catastale – per lo più identica nella maggior parte dei casi – la rettifica della categoria catastale da cat. A a cat. D/2 sembrerebbe esser stata operata per le seguenti ragioni: «Con la variazione di diversa distribuzione degli spazi interni, oggetto del presente collaudo Do.c.Fa, vengono apportate delle modifiche sostanziali alle caratteristiche estrinseche ed intrinseche della uiu. La presenza di camere con bagno ad uso esclusivo, e l'alta dotazione di servizi, fanno sì che non ci siano unità-tipo di riferimento censibili delle tipologie ad uso «residenziale»;
   ciò premesso, non può non rilevarsi la carenza e comunque l'erroneità della motivazione di siffatti classamenti degli appartamenti adibiti ad «Affittacamere» (o a « bed&breakfast») da cat. A (civili abitazioni) a cat. D/2 (alberghi e pensioni), posto che tale attività non è equiparabile né ad un albergo, né ad una pensione, risultando invece un'attività di tipo «extralberghiero», e che, in base alla normativa di riferimento, deve essere svolta in unità immobiliari adibite ad uso abitativo, quali quelle classificabili quindi nella categoria catastale «A»;
   invero, esaminando in primo luogo la normativa di riferimento, è d'obbligo richiamare il regolamento della regione Lazio n. 16 del 24 ottobre 2008 il quale, come tutti gli altri regolamenti regionali, disciplina (articolo 1, comma 2) i «procedimenti finalizzati alla classificazione delle strutture ricettive extralberghiere e al rilascio delle autorizzazioni per l'esercizio delle relative attività». E tra le strutture ricettive «extralberghiere» (differenti da alberghi e pensioni) rientrano in primo luogo gli «affittacamere» ed i « bed and breakfast», oltre agli «ostelli per la gioventù», alle «case e appartamenti per vacanze», agli «ostelli per ferie», e altro, come d'altra parte specifica il cennato regolamento regionale all'articolo 2 («Definizioni»), comma 1, lett. a) – e). Con particolare riguardo, poi, agli «affittacamere», il successivo articolo 4, comma 1, richiede espressamente che tale attività sia esercitata all'interno di locali adibiti a civile abitazione, e quindi classificabili nella categoria catastale «A», e non certo nella categoria «D», che invece concerne gli «immobili a destinazione speciale». Analoga disposizione è poi prevista per i « bed and breakfast». Si consideri, fra l'altro, che se, per qualsivoglia ragione, il fondamentale requisito del classamento nel gruppo catastale «A» dei locali adibiti ad «affittacamere» o a « bed and breakfast» dovesse venire a mancare, la provincia potrebbe addirittura revocare l'autorizzazione concessa per lo svolgimento dell'attività medesima. Ci si troverebbe nella situazione paradossale di non poter esercitare né l'attività di albergo, disponendo di un numero di camere inferiore a 7, né di affittacamere risultando improvvisamente in una categoria catastale non ammessa;
   correttamente, dunque, chi invia al comune (o alla Provincia) la cosiddetta «Segnalazione certificata di inizio di attività di affittacamere» dichiara che i locali oggetto dell'attività rientrano nella categoria catastale A: differentemente, se i locali rientrassero nella cat. D/2 (alberghi e pensioni), il comune (o la Provincia) non potrebbe rilasciare alcuna autorizzazione per lo svolgimento dell'attività di «affittacamere» o di « bed and breakfast»;
   nel servizio su Striscia, si faceva presumere che possa essere individuata la trasformazione catastale da affittacamere in albergo, dal numero dei bagni presenti negli alloggi –:
   come si concili con la normativa vigente il comportamento dell'Agenzia delle entrate, che prendendo di mira gli «affittacamere», definiti per legge come «strutture composte da non più di sei camere, ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati in uno stesso stabile, nei quali sono forniti alloggio ed eventualmente servizi complementari», realizza il solo risultato di conseguire cospicui introiti;
   come si giustifichi il comportamento dell'Agenzia delle entrate, che con motivazione a dir poco generica, disponendo d'ufficio, e la maggior parte delle volte senza alcun sopralluogo, la rettifica dell'accatastamento agli «affittacamere», di regola ubicati in appartamenti classificati in catasto in categoria A, includendoli nella categoria D/2 (riservata invece ad alberghi e pensioni), analogamente ai « bed and breakfast» (B&B), produce vessazioni che determinano giusto risentimento nei contribuenti onesti, che vogliono pagare una equa tassazione;
   se la diversa distribuzione degli spazi interni, con modifiche sostanziali alle caratteristiche estrinseche ed intrinseche della unità immobiliare urbana la presenza di camere con bagno ad uso esclusivo, e l'alta dotazione di servizi, possano rappresentare la prova della trasformazione da unità-tipo di riferimento censibili delle tipologie ad uso «residenziale»;
   se il comportamento dell'Agenzia delle entrate non sia in contrasto con alcuni documenti recanti le indicazioni di prassi dell'Agenzia stessa in cui sono stati approfonditi gli aspetti che attengono alla corretta attribuzione della categoria catastale e ai criteri generali per la corretta individuazione del minimo perimetro immobiliare, funzionalmente e redditualmente autonomo, nei quali si è affermato che le unità censite nella categorie del gruppo D sono costituite da immobili «non ordinari», non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni, circostanza della quale occorre tener conto al momento del classamento e che non è presente negli immobili destinati ad affittacamere;
   se il comportamento dell'Agenzia delle entrate tenga conto di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 162 del 20 maggio 2008 nella quale la Corte dopo aver riaffermato l'esaustività della disciplina del catasto in ordine alle nozioni, ai principi ed ai metodi che sono alla base dell'estimo catastale, ha chiarito che, nella determinazione della rendita catastale, deve tenersi conto di tutti gli impianti che caratterizzano la destinazione dell'unità immobiliare, senza i quali la struttura perderebbe le caratteristiche che contribuiscono a definirne la specifica destinazione d'uso e che, al tempo stesso, siano caratterizzati da specifici requisiti di «immobiliarità», a prescindere dal sistema di connessione utilizzato per il collegamento alla struttura;
   quali sarebbero negli immobili destinati ad affittacamere le componenti che contribuiscono in via ordinaria ad assicurare, ad una unità immobiliare, una specifica autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo e da considerare elementi idonei a descrivere l'unità stessa ed influenti rispetto alla quantificazione della relativa rendita catastale tali da far sì che siano equiparati addirittura agli alberghi;
   se il comportamento dell'Agenzia delle entrate non possa comportare conseguenze sulle autorizzazioni amministrative rilasciate per l'esercizio dell'attività di affittacamere, quali la revoca della stessa autorizzazione, esponendo l'Agenzia ed i suoi funzionari personalmente a responsabilità risarcitoria per l'eventuale illegittimità degli atti da questi posti in essere;
   se il Governo sia consapevole dei danni che tali iniziative di dubbia legittimità inutilmente producono su un importante valore economico costituito da capillari e rilevanti attività produttive nel settore turistico e risorse fondamentali per il nostro Paese;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere per evitare che, nella pur sacrosanta battaglia contro evasione ed elusione fiscale, possano verificarsi vessazioni inutili e comportamenti arbitrari, illegittimi o abusivi da parte delle pubbliche amministrazioni, che assieme a risentimento, generano effetti contrari nei tartassati e vessati contribuenti, italiani.
(4-11564)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Tempi, sezione fallimentare avrebbe deciso di concedere altri 70 giorni al magnate neozelandese per versare o meno i 3 milioni di euro per l'acquisto di Budelli;
   tale ulteriore proroga rappresenta, ad avviso dell'interrogante, un evidente favore speculativo a un progetto deprecabile e di dubbia legittimità;
   appare all'interrogante che tale proroga avvantaggi di fatto solo ed esclusivamente un piano speculativo che verrebbe permesso dal tribunale fallimentare che con la proroga consente di valutare l'affare attraverso la modifica o meno dei livelli di salvaguardia e tutela del bene;
   con questa proroga si subordina l'acquisto ad un valore, quello immobiliare, e non all'aspetto naturalistico tanto dichiarato e sbandierato;
   la proroga, dunque, favorisce di fatto quello che l'interrogante ritiene un piano speculativo sull'isola di Budelli ed appare evidente che tale progetto non ha niente di ambientalista ma mira solo al recupero e ampliamento, di volumetrie all'interno dell'oasi naturalistica;
   per questa ragione l'interrogante ha trasmesso una segnalazione alla procura di Tempio su tale evidente «discriminazione» temporale rispetto ad altri possibili concorrenti e rispetto allo stesso diritto di prelazione dello Stato;
   la richiesta di proroga è secondo l'interrogante un avallo alla strategia speculativa del privato: se la regione modifica il piano e abbassa i livelli di tutela fa speculare con volumetrie aggiuntive;
   si è dinanzi ad un'operazione totalmente speculativa con molti attori e protagonisti;
   la decisione della sezione fallimentare di Tempio costituisce a giudizio dell'interrogante, obiettivamente un cavallo grave ad un piano speculativo spregiudicato e inaccettabile;
   il progetto presentato in maniera silente al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nei mesi scorsi era stata la conferma di un piano edilizio e non certo di un progetto naturalistico tiro ambientale;
   le suite ricavate dai vecchi ruderi sono il più evidente obiettivo di questo vergognoso progetto speculativo sull'isola rosa;
   vi è da sperare che la magistratura intervenga su questa vicenda a partire dal tentativo del direttore del parco di sovvertire i vincoli del parco, attraverso delibere di fatto non veritiere e poi corrette di suo pugno dallo stesso presidente, assegnando a Budelli una tutela parziale che consentirebbe al magnate di attuare il suo progetto speculativo;
   su quei ruderi e sugli edifici esistenti sull'isola si gioca, a giudizio dell'interrogante, il piano speculativo del banchiere di turno;
   con questa proroga da stigmatizzare si avalla il piano cementificatorio del magnate;
   questa proroga, richiesta e concessa, fa levare sempre più il velo su quella che all'interrogante appare un'operazione tutta giocata nelle alte sfere e con l'avallo di potenti di turno –:
   se il Ministro della giustizia non ritenga di dover valutare la sussistenza dei presupposti per l'avvio di iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di cui in premessa;
   se non ritenga il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di dover intervenire con tempestività, anche attraverso le vie legali, per rivendicare il diritto alla prelazione, considerato che non vi è stato il versamento del denaro da parte del potenziale acquirente nei termini prestabiliti;
   se non ritenga il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di dover assumere ogni iniziativa di competenza per confermare senza se e senza ma il vincolo massimo per l'isola di Budelli;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per sollevare dall'incarico il direttore del parco di La Maddalena alla luce della sua manifesta contrarietà al mantenimento dei vincoli di massima tutela nell'isola di Budelli, obiettivo perseguito anche in dispregio alle regole fondamentali che disciplinano i rapporti istituzionali con il presidente del parco stesso. (5-07287)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto viario Quadrilatero Marche Umbria si sviluppa su una serie di interventi stradali che comportano un investimento complessivo di oltre 2,2 miliardi di euro;
   tale progetto, approvato dal Cipe con delibera n. 13 del 2004, è suddiviso in due maxilotti relativi alla direttrice Foligno – Civitanova Marche (ML1) e alla direttrice Perugia – Ancona e Pedemontana delle Marche (ML2);
   nell'ambito del progetto viario Quadrilatero Marche-Umbria, la galleria La Franca lunga un chilometro, fa parte del potenziamento della strada statale 77 Val di Chienti, tratto Foligno – Collesentino (completamento 4 corsie). Tale tratta è ricompresa nell'ambito del maxilotto 1, affidato con gara ad evidenza pubblica, all'associazione temporanea di imprese costituita da Strabag Ag, CMC e Grandi Lavori Fincosit che hanno costituito la società cooperativa per azioni «Val di Chienti»;
   dal punto di vista tecnico, la galleria si compone di due canne, una per ciascun senso di marcia, con carreggiata composta da due corsie di 3,75 metri con banchina in destra di 1,75 metri e in sinistra di 0,5 metri (sezione stradale di tipo B del decreto ministeriale del 5 novembre 2001). La lunghezza della canna nord è pari a 1.052 metri, dei quali 1.018 scavati in sotterraneo e 34 in artificiale. La lunghezza della canna sud è di 1.075 metri, dei quali 1.033 scavati in sotterraneo e 42 in artificiale. Le attività di scavo e di rivestimento definitivo della galleria sono state eseguite nel periodo che va dal novembre del 2009 al dicembre del 2011;
   la galleria La Franca, essendo ubicata in un tratto allo stato non funzionale, sarà aperta al traffico, previo collaudo, con l'apertura al traffico dell'intera tratta Foligno-Collesentino;
   nei primi mesi del 2015 sono state denunciate, in maniera anonima da due operai che hanno prestato servizio nella costruzione del tunnel e segnalate dalla trasmissione Report su Rai 3 presunte criticità in merito alla realizzazione della galleria «La Franca»;
   i sospetti denunciati dai lavoratori riguardano il fatto che si sarebbe utilizzato meno cemento del necessario nella realizzazione del tunnel; secondo le testimonianze dei due operai, al fine di risparmiare tempo e costi, la galleria sarebbe stata costruita con materiali scadenti, in alcuni punti non ci sarebbe cemento a sufficienza per reggerne il peso e all'interno della struttura, che si trova in una zona altamente sismica, si registrerebbero seri problemi di sicurezza;
   il Presidente dimissionario dell'Anas, Pietro Ciucci, ha minimizzato le accuse sostenendo che si tratti di «denunce anonima priva di riscontri» ed ha difeso la totale legalità nell'esecuzione dei lavori: «Sulla galleria La Franca, in corso di costruzione nell'ambito dei lavori di realizzazione del Quadrilatero Marche-Umbria, la qualità e la quantità dei materiali utilizzati (calcestruzzo, ferro, centine) risulta ben superiore rispetto a quanto previsto dal progetto esecutivo, e senza alcun aumento dei costi, trattandosi di corrispettivo per lavori «a corpo». Peraltro, nell'ambito dei protocolli di legalità sottoscritti dalla nostra società Quadrilatero con le prefetture di Macerata e Perugia, sono stati adottati controlli specifici sulla qualità del calcestruzzo condotti dal Gruppo interforze e tesi a garantire la completa tracciabilità ed originalità delle forniture. Già nel 2014 è stata inoltre effettuata un'indagine georadar su circa il 25 per cento dell'opera, ispezionando complessivamente 240 metri per ciascuna canna. Da tale indagine non è emersa alcuna criticità in merito a sottospessori, né a vuoti a tergo dei rivestimenti»;
   inoltre, la stessa società Quadrilatero ha evidenziato che, in data 20 aprile 2007, il consiglio di amministrazione deliberò di adottare le «nuove norme tecniche sulle costruzioni» di cui al decreto ministeriale 14 settembre 2005, sopraggiunte successivamente alla pubblicazione dei bandi di gara del novembre 2004. Tenuto conto che la norma ha innovato totalmente la disciplina degli interventi in zona sismica, da un lato, la società doveva tener conto delle garanzie di sicurezza e, dall'altro, del dettato della norma stessa che consentiva l'applicazione delle norme preesistenti, ma per un periodo transitorio. Tuttavia, il ricorso al periodo transitorio avrebbe comportato forti disomogeneità nella qualità delle opere stradali di competenza della Quadrilatero; inoltre, il rischio sismico dell'area richiedeva l'adozione della nuova normativa per garantire il massimo della sicurezza e della durabilità delle infrastrutture. A valle di tale delibera, sono state richieste ai contraenti generali le modifiche necessarie a contemperare l'impiego delle nuove norme antisismiche e, conseguentemente, sono stati adeguati i progetti;
   la società ha altresì aggiunto che, rispetto al progetto esecutivo e considerato il contesto geomeccanico rilevato in corso d'opera, è stata incrementata l'applicazione delle sezioni tipo impiegate per contesti mediamente instabili. Infatti, per la realizzazione della galleria sono stati impiegati 53.461 metri cubi di calcestruzzo (+3.517 metri cubi rispetto al volume teorico previsto nel progetto esecutivo, che era di 49.943,90 metri cubi, pari al 7 per cento in più) e 405,50 tonnellate di acciaio (11,16 tonnellate in più rispetto al peso teorico previsto in progetto esecutivo, che era di 393.844,22, pari al 2,8 per cento in più della originaria previsione), come risulta dal registro dei getti di calcestruzzo e dal registro degli acciai, contenuti nei dossier qualità della società Quadrilatero. In relazione alle maggiori quantità di materiali impiegati, i lavori sono stati contabilizzati «a corpo», come da contratto, e quindi gli importi forfettari delle singole opere previsti nel progetto esecutivo restano invariati;
   per quanto concerne le attività svolte per il controllo della qualità dell'opera, la Quadrilatero ha informato che, oltre ai previsti controlli effettuati in corso d'opera, nel 2013 e nel 2014, è stata disposta una indagine georadar sul 20 per cento di ciascuna opera su tutte le gallerie della tratta, al fine di indagare eventuali sottospessori nel rivestimento definitivo;
   in particolare, per la galleria La Franca sono stati ispezionati con tecnologia georadar 240 metri del rivestimento definitivo per ciascuna canna, pari a quattro tratte di 60 metri; i tratti da ispezionare sono stati scelti dall'alta sorveglianza Quadrilatero. Le risultanze dei controlli hanno evidenziato che il rivestimento di calotta presenta spessori conformi a quelli teorici, previsti nel progetto esecutivo approvato;
   ad ogni buon fine, dopo la segnalazione della trasmissione Report, per fugare qualsiasi dubbio in relazione alle denunce anonime, l'ANAS ha disposto l'estensione sull'intera galleria delle verifiche tramite tecnologia georadar, già compiute su oltre il 20 per cento della lunghezza complessiva, e le relative attività hanno avuto inizio alla presenza delle telecamere di Report in data 10 aprile 2015;
   l'ANAS, oltre a garantire l'avvio immediato delle verifiche e l'ultimazione delle stesse nel giro di pochi giorni, ha assicurato che le risposte degli accertamenti eseguiti con i georadar sarebbero state fornite in breve, entro massimo una decina di giorni dall'inizio delle verifiche;
   i controlli effettuati da Anas con i georadar hanno accertato che «per tratti pari al 23 per cento e 32 per cento rispettivamente delle canne Nord e Sud della galleria La Franca sono state evidenziate riduzioni di spessore superiori a 5 cm, di queste circa il 10 per cento circa presenta entità superiore ai 20 cm e qui per una quota pari al 3 per cento saranno previsti interventi integrativi, quali ad esempio il placcaggio con lastre di acciaio, ma in ogni caso per questi tratti non sono presenti rischi di natura statica. Per i restanti tratti pari al 77 per cento della canna Nord e il 68 per cento della Sud non sono presenti sottospessori significativi e, più in generale, dai controlli non sono emersi vuoti dietro al rivestimento definitivo»;
   è stata avviata una verifica su tutte le gallerie della Quadrilatero Marche-Umbria per accertare che nei tunnel dell'infrastruttura Perugia-Ancona e Foligno-Civitanova non ci siano ulteriori riduzioni di spessore rispetto agli accordi contrattuali. In questo senso, è stata disposta una procedura di audit (indagine interna) per verificare le modalità di attuazione dei controlli posti in essere;
   intanto, per motivi tecnici non inerenti all'indagine sulla galleria La Franca, l'inaugurazione della statale 77 Valdichienti, prevista per il 4 dicembre 2015, è slittata. L'apertura al transito dell'intero tratto avverrà presumibilmente entro il primo semestre del 2016. Questo è quanto emerso dal vertice del 23 ottobre 2015, al comune di Foligno, alla presenza del sindaco Nando Mismetti, dell'amministratore unico della Quadrilatero spa Guido Perosino, dei capigruppo consiliari;
   il 26 novembre 2015 sono state effettuate verifiche sulle spessore del cemento della volta e sulla qualità dei materiali impiegati per la galleria «La Franca» lungo la nuova strada 77 Val di Chienti Foligno – Civitanova Marche dai carabinieri nell'ambito delle indagini della procura di Spoleto su presunte irregolarità nella realizzazione dei lavori. Sugli accertamenti gli inquirenti mantengono il riserbo, non escludendo comunque la possibilità di estendere i controlli anche ad altre gallerie della 77;
   il 12 dicembre 2015 la stampa locale umbra ha pubblicato indiscrezioni sulla presunta iscrizione di almeno sei persone nel registro degli indagati, per alcune delle quali si configurerebbero gravi ipotesi di reato come truffa per pubblica fornitura e tentata strage. La fuga di notizie sarebbe avvenuta dalla procura della Repubblica di Spoleto, che da mesi sta indagando sull'adeguatezza di questa nuova arteria stradale, rispetto alle norme previste;
   la società Quadrilatero ha assicurato sin dall'inizio la massima collaborazione con i magistrati, ponendosi come parte lesa e auspicando di fare chiarezza ed accertare eventuali responsabilità –:
   considerate le varie vicissitudini che hanno caratterizzato la realizzazione dell'opera, il Governo se intenda fare al più presto chiarezza, per quanto di competenza, su eventuali responsabilità, rimuovere qualsiasi ostacolo all'apertura al traffico della galleria e fornire adeguate garanzie circa la sicurezza e la solidità strutturale del tunnel;
   essendo la strada statale 77 un asse viario fondamentale per il progetto del Quadrilatero Marche-Umbria e quindi per il potenziamento infrastrutturale del territorio interessato, quali iniziative intenda assumere affinché si proceda celermente alla ultimazione e all'apertura della suddetta arteria stradale. (3-01910)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FRATOIANNI, FRANCO BORDO, FOLINO, PLACIDO, AIRAUDO, MELILLA, NICCHI, QUARANTA, PIRAS, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 18 dicembre 2015 la testata Umbria24 ha riportato la notizia di ulteriori verifiche in merito al lavori della galleria «La Franca» sulla strada statale 77 Foligno-Civitanova, al fine di accertare eventuali illeciti ambientali;
   la realizzazione della citata opera è al vaglio degli investigatori a seguito della testimonianza anonima di un operaio che aveva preso parte ai lavori, divulgata nell'ambito di una inchiesta giornalistica della trasmissione televisiva Report, che testimoniava come i quantitativi di materiale utilizzati per realizzare l'opera erano insufficienti e sensibilmente difformi rispetto alla regola d'arte;
   la prima firmataria del presente atto ha presentato sul punto due atti di sindacato ispettivo, ai quali si richiama (interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07123 del 27 novembre 2015; interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05313 del 13 aprile 2015) per ottenere chiarimenti sulla realizzazione dell'opera e sulle verifiche e le misure predisposte dalle amministrazioni competenti a seguito della denuncia;
   dalle indiscrezioni riportate dalla stampa si apprende come, oltre alle indagini relative alla quantità di materiale utilizzato, al vaglio della procura di Spoleto – che ha aperto un fascicolo sulla vicenda – ci sarebbero anche verifiche sui materiali di scarto provenienti dalle gallerie e la relativa procedura di smaltimento;
   nel registro degli indagati sarebbero state iscritte sei persone indagate per reati che vanno dalla truffa in pubblica fornitura a tentata strage –:
   se il Ministro interrogato, anche alla luce degli sviluppi segnalati in premessa, non ritenga opportuno promuovere ulteriori ispezioni, per quanto di competenza, al fine di fornire ulteriori elementi sulle modalità di realizzazione dell'opera;
   se non intenda estendere tali verifiche ad ulteriori opere realizzate dalle medesime aziende aggiudicatarie dei lavori per la galleria «La Franca»;
   se sia in grado di riferire sullo stato degli interventi integrativi disposti a seguito delle verifiche già effettuate, annunciati nella risposta all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05313.
(5-07282)


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che dal 1o gennaio 2016 Trenitalia abbia deciso di archiviare l'esperienza dei biglietti chilometrici;
   si tratta di tagliandi che sono in commercio da circa un quarto di secolo, che hanno rappresentato una grande comodità per gli utenti, non avendo né indicazione della tratta, né data di scadenza, ed erano reperibili presso bar e tabaccherie;
   Trenitalia ritieni indispensabile il passaggio dalla carta al digitale anche per contrastare il fenomeno dell'elusione e dell'evasione che sarebbe a suo dire facilitato dai biglietti chilometrici;
   nel 2015 risultano essere stati venduti 35 mila biglietti chilometrici pari ad oltre 15 per cento del totale di tutti i tipi di tagliandi emessi;
   la loro cancellazione rischia di provocare non pochi disagi agli utenti anche perché quel tipo di biglietto era comodo per quelle tratte in cui non c’è biglietteria in funzione, dove non ci sono stazioni operative a seguito della loro soppressione, ed evitava code;
   nel Mezzogiorno spesso le stazioni sano fuori dal centro abitato e questo comporta difficoltà nel reperire un biglietto elettronico e comporterà un ulteriore costo anche per edicole, bar e tabacchi che dovranno aggiornarsi per non privare l'utenza di un servizio;
   i biglietti chilometrici avranno una fase di transizione e potranno essere acquistati fino al 31 marzo 2015 e utilizzati entro il 30 giugno –:
   se il Governo sia, in qualità di azionista di Trenitalia, a conoscenza di tale decisione e se non intenda valutare l'opportunità di verificare nell'ambito del contratto di servizio di mantenere in vita il biglietto chilometrico cartaceo, in particolare lungo quelle tratte con maggiori disagi per l'utenza. (5-07289)


   BIASOTTI e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a causa dell'entrata in vigore delle nuove tariffe di cui al decreto 5 ottobre 2015, n. 331, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti recante «Incremento delle tariffe per le operazioni in materia di motorizzazione» c’è un grave stato di disagio nel settore delle revisioni periodiche degli autoveicoli;
   gli incrementi tariffari sembravano interessare soltanto i punti 1) e 2) della tabella 3 della legge 1o dicembre 1986, n. 870, ovvero gli esami per conducenti di veicoli a motore e i duplicati e le certificazioni inerenti ai veicoli, ai componenti e alle unità tecniche degli stessi, interpretazione, peraltro, ufficialmente avallata dalla stessa direzione generale della motorizzazione e conseguentemente comunicata ai centri di revisione;
   in data 10 dicembre 2015, un giorno prima dell'entrata in vigore del decreto n. 331 del 2015, venivano diffuse le tabelle con le nuove tariffe per le varie tipologie di operazioni da cui si evince, invece, che l'aumento di 1,20 euro, a valere sul c/c 9001 in favore dello Stato, riguarda anche le revisioni effettuate presso le officine private autorizzate, ai sensi dell'articolo 80 del codice della strada;
   a causa dell'impossibilità da parte delle imprese di adeguare tempestivamente l'aggiornamento previsto, si sono verificate continue interruzioni nei collegamenti telematici, con la conseguente impossibilità di effettuare il servizio di revisione e tale situazione si è immediatamente riversata sulle imprese e, quindi, sugli automobilisti provocando sconcerto e notevoli disagi;
   a questo si aggiunga il maggior costo (1,78 euro a prenotazione) a carico delle imprese per i diritti postali, relativi alle prenotazioni dei pagamenti on line, che, in taluni casi, raggiungono cifre significative;
   al di là dei disagi, che si auspica possano essere risolti in tempi brevissimi, è necessario affrontare il problema, non più differibile, delle tariffe previste per le revisioni effettuate ex articolo 80 del codice della strada, che non sono mai state adeguate e sono ferme all'anno 2007; peraltro, al momento della definizione delle tariffe spettanti alle imprese, il Ministero si era impegnato a rivedere annualmente gli importi, sulla base dell'adeguamenti ISTAT;
   negli ultimi anni le imprese sono state chiamate ad affrontare importanti investimenti, necessari per adeguare, o modificare, le attrezzature alle procedure previste dal nuovo protocollo di comunicazione MCTCNet2;
   non è dato sapere come mai un investimento sostenuto dalla pubblica amministrazione debba essere ripagato attraverso un aumento tariffario, mentre quello richiesto alle imprese debba essere autofinanziato, erodendo i margini di guadagno delle stesse –:
   se il Governo non ritenga urgente individuare tempestivamente una soluzione tariffaria organica che consenta alle imprese la sostenibilità economica delle loro attività e di continuare a garantire agli automobilisti un servizio di fondamentale importanza per la sicurezza stradale. (5-07291)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DALL'OSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le Ferrovie dello Stato italiane (Trenitalia) garantiscono da sempre (a rigor di legge) tutela nei confronti delle persone con invalidità visiva (da ridotta sino ad assoluta assenza di visus);
   dati i connessi problemi derivanti dalla cecità, l'assistenza si esplica quasi interamente nel favorire la ridotta mobilità dei soggetti non vedenti;
   la società a tal proposito si occupa di accompagnare i soggetti in questione dalla discesa dal convoglio sino al successivo mezzo (anche su gomma e di diversa gestione) per permettere al disabile di fruire del mezzo ferroviario (più comodo per lunghe tratte) e, di proseguire sino alla destinazione prefissata anche con altri mezzi;
   oggi quanto appena premesso è affidato a cooperative di servizi che, su incarico della Rfi (Rete ferroviaria italiana), gestiscono il traffico delle «persone con ridotta mobilità» coordinate da centri denominati «Sale blu» ubicati solo nelle stazioni di grandi dimensioni;
   il soggetto disabile viene accompagnato dai familiari presso la stazione ferroviaria dove l'operatore lo prende in carico, naturalmente in orario congruo e cioè in netto anticipo rispetto il passaggio del treno;
   alla chiamata del capostazione l'operatore si dispone sul binario d'attesa all'altezza della prima carrozza o comunque dietro disposizioni dei responsabili (mai a caso) e, non appena fermatosi il convoglio, sale con il disabile;
   a questo punto, di norma, dovrebbe essere già presente il «capotreno» che prende in carico il passeggero scortando i due fino al posto riservato già precedentemente segnalato (con un foglio) dallo stesso capotreno che lascia scendere l'operatore;
   il viaggio continua fino alla stazione di arrivo dove con le stesse modalità sale un altro operatore inviato per prelevare il soggetto disabile e veicolarlo proprio in direzione della stessa «Sala blu» che ha predisposto i tempi della ripresa terminando qui l'attività;
   lo stesso iter si ripresenterà al rientro del soggetto al luogo di residenza;
   sono accaduti più episodi (che per rispetto dei soggetti interessati l'interrogante non cita esplicitamente) in cui il capotreno, al momento della salita e della discesa del soggetto disabile, non sempre è presente; al contrario, avrebbe l'obbligo di assistere all'operazione di trasbordo del passeggero disabile effettuata dall'operatore della cooperativa –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti denunciati che appaiono all'interrogante di rilevante gravità;
   come il Governo intenda assumere iniziative al fine di garantire l'assistenza dovuta ai disabili che viaggiano sui mezzi pubblici, siano essi dedicati al trasporto su rotaia o al trasporto su ruota. (4-11552)


   ALBERTI, COMINARDI, TRIPIEDI, PESCO, VILLAROSA, CIPRINI e CHIMIENTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 disciplina i servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria ed in particolare all'articolo 90 precisa che gli incarichi per le pubbliche amministrazioni devono essere affidati a professionisti iscritti all'albo;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 5 giugno 2001, modifica ed integra la disciplina degli ordinamenti professionali;
   secondo il costante orientamento giurisprudenziale, le norme che regolano l'esercizio delle attività professionali e relativi limiti sono dettate anche al fine di assicurare che la compilazione dei progetti e la direzione dei lavori siano affidati a chi abbia adeguata preparazione e ciò a salvaguardia dell'incolumità delle persone e dell'economia pubblica;
   come si evince da un esposto inviato all'Ordine degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della provincia di Brescia, la società a responsabilità, limitata denominata Iso Ambiente srl, è stata affidataria di numerosi incarichi di natura professionale da parte di pubbliche amministrazioni ed in particolare, come pubblicizzato sul sito internet http://www.isoambiente.it, il « curriculum» della società contempla la redazione dello studio di valutazione ambientale strategica per i comuni di Lumezzane, Desenzano, Rezzato, Bagnolo Mella, Nave, Bovezzo, Ospitaletto, Castegnato, Rodengo Saiano, Coccaglio, tra gli altri;
   inoltre la società ha provveduto alla redazione cartografia della provincia in scala 1:50.000 per conto della provincia di Brescia e all'analisi per la verifica della vulnerabilità sismica edifici strategici dei comuni di Bagnolo Mella, Ghedi, Fiero, Poncarale, Travagliato, Nuvolento;
   secondo quanto risulta agli interroganti e rinvenibile dai curricula e dallo statuto pubblicati online, nessuno dei soci o amministratori o direttori tecnici della società Iso Ambiente srl, a far data dal 2005 ad oggi, è od è stato iscritto all'albo professionale degli architetti o degli ingegneri; è invece certo che alla società sia precluso lo svolgimento di attività e/o l'assunzione di incarichi riservati agli iscritti agli ordini professionali, secondo le norme di legge e secondo quanto espressamente riportato nello statuto della società medesima:
   gli enti pubblici sopra citati avrebbero pertanto conferito incarichi ad una società commerciale carente sotto ogni profilo dei necessari requisiti tecnici;
   anche qualora essa, per ipotesi, si fosse avvalsa di professionisti in possesso dei requisiti minimi, si assisterebbe a quella che appare agli interroganti una fattispecie palese ed ingiustificabile di «interposizione fittizia» in quanto, la pubblica amministrazione, avrebbe dovuto selezionare ed incaricare direttamente i professionisti in possesso degli adeguati requisiti, non demandando tale selezione ad un soggetto terzo o società commerciale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto e se non intenda assumere iniziative normative per implementare la disciplina concernente l'affidamento da parte delle pubbliche amministrazioni di incarichi che richiedono competenze professionali in materia di architettura e ingegneria, in modo da evitare casi come quello descritto in premessa. (4-11561)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi un importante flusso di cittadini e cittadine extracomunitari richiedenti protezione internazionale sta interessando il territorio nazionale;
   le persone coinvolte nel traffico di esseri umani – in particolare le giovani e giovanissime donne nigeriane sfruttate con l'inserimento coatto nei circuiti di prostituzione – confluiscono sempre più spesso nei percorsi dei richiedenti asilo, come per altro ben rappresentato nel recente «Rapporto sulle vittime di tratta nell'ambito dei flussi migratori misti in arrivo via mare aprile 2014-ottobre 2015» dell'OIM, Organizzazione internazionale per le migrazioni;
   le situazioni di violenza, abuso sessuale e negazione sistematica delle basilari condizioni di dignità umana a cui sono sottoposte le donne nigeriane coinvolte richiedono con urgenza un intervento di prevenzione e contrasto del fenomeno;
   dunque, risulta fondamentale lavorare sempre più sull'integrazione dei percorsi rivolti a vittime di tratta, rifugiati e richiedenti asilo, per aumentare la capacità di identificare e di fornire assistenza alle vittime di tratta all'interno del sistema di protezione internazionale –:
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere per:
    a) contrastare tale fenomeno, sia in termini di repressione delle reti criminali che lo pongono in essere, sia soprattutto per tutelare e promuovere i diritti, la dignità e l'incolumità fisica delle donne che ne sono vittime;
    b) migliorare le collaborazioni tra i diversi sistemi di intervento che direttamente o indirettamente vengono in contatto con il fenomeno (Sprar, dispositivo di accoglienza dei rifugiati, sistema anti-tratta), ad iniziare dalla condivisione di prassi comuni finalizzate all'identificazione e alla tutela delle vittime di tratta e sfruttamento, attraverso la strutturazione di un rapporto di costante interlocuzione fra le diverse componenti che operano nei percorsi rivolti a vittime di tratta, rifugiati e richiedenti asilo;
    c) incrementare il budget per consentire il mantenimento e lo sviluppo del sistema di interventi e servizi territoriali che in questi anni, attraverso la collaborazione tra enti locali, forze dell'ordine e soggetti del privato sociale, ha consentito a circa 35.000 persone di sottrarsi alla tratta e ai trafficanti e in molte occasioni di denunciare i loro sfruttatori.
(2-01213) «Martelli, Locatelli, Luciano Agostini, Albanella, Amoddio, Antezza, Brandolin, Brignone, Bruno Bossio, Bueno, Capelli, Carloni, Carocci, Civati, Cimbro, Cominelli, Fassina, Fitzgerald Nissoli, Galgano, Giacobbe, Andrea Maestri, Malisani, Marzano, Mognato, Monaco, Pastorelli, Pastorino, Polverini, Realacci, Santerini, Tentori, Tidei, Zardini».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la Costituzione sancisce all'articolo 19, tra i diritti fondamentali dei cittadini, la libertà di professare «la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto»;
   la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite all'articolo 18 indica come fondamentale la «libertà di religione» e tutela «la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
   la Costituzione italiana, all'articolo 16, stabilisce che «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche»;
   la libertà di circolazione e soggiorno delle persone all'interno dell'Unione europea costituisce la pietra angolare della cittadinanza dell'Unione europea, introdotta dal trattato di Maastricht nel 1992 e regolamentata dal trattato di Schengen;
   il comune di Pontoglio, in provincia di Brescia, ha affisso segnali stradali nei quali riporta, oltre all'indicazione della località, le seguenti testuali frasi: «Paese a cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana. Chi non intende rispettare la cultura e le tradizioni locali è invitato ad andarsene»;
   tali cartelli, che configurano ad avviso degli interpellanti un evidente profilo di incostituzionalità e di mancato rispetto del trattato di europeo di Schengen, sono stati stampati e posizionati a carico dell'amministrazione comunale e quindi dei cittadini del comune di Pontoglio, con un evidente spreco ed uso distorto di denaro pubblico per finalità di dubbia legittimità –:
   quali siano le iniziative di competenza, in ragione degli elementi riportati in premessa, che il Governo ha intenzione di intraprendere, anche sul piano normativo, per salvaguardare concretamente il diritto di libertà di religione e di culto sul territorio nazionale, come sancito dagli articoli 19 della Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell'ONU e il diritto alla libera circolazione come previsto dall'articolo 16 della Costituzione italiana e dal trattato di Schengen.
(2-01214) «Lacquaniti, Berlinghieri, Campana, Carra, Chaouki, Cominelli, Crivellari, Giuseppe Guerini, Lavagno, Marchi, Piazzoni, Rampi, Rostellato, Sberna, Tentori, Zan, Malpezzi».

Interrogazione a risposta orale:


   FERRO e BONACCORSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2015 sono stati dati alle fiamme tutti i mezzi della riserva naturale regionale Nazzano-Tevere-Farfa di proprietà dell'ente parco;
   si tratta di un atto gravissimo e inquietante che di fatto da oggi impedisce qualunque attività operativa dell'ente;
   sono stati distrutti: un'automobile, un fuoristrada, un trattore, due moduli antincendio, tre motori nautici, un pulmino per il trasporto collettivo attrezzato per i disabili, oltre ai danni riportati per quanto riguarda il parcheggio coperto, la rimessa delle attrezzature da lavoro ed altro;
   in base ad una prima stima si valuta il danno in circa 150,000,00 euro;
   suddetto Ente è fortemente impegnato in questi mesi nell'attività di contrasto al commercio illegale di selvaggina e nelle attività di controllo del territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda porre in essere per verificare l'accaduto e valutare, di concerto con la regione Lazio, la possibilità di supportare e tutelare l'attività dell'ente parco, considerate le oggettive difficoltà in cui si trova dopo il gravissimo atto di cui è stato oggetto. (3-01911)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE e BATTAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 20 il 21 dicembre 2015 ad Irsina (Matera) presso un immobile di corso Musacchio è stato fatto esplodere il postamat;
   i malviventi tuttavia non sono riusciti a portarlo via e a rubare il denaro contenuto;
   sul luogo sono intervenuti i anche i vigili del fuoco, allertati da numerosi cittadini che, pure a distanza di diverse centinaia di metri, hanno sentito il boato dell'esplosione;
   sull'episodio sono in corso le indagini da parte degli inquirenti;
   già nelle scorse settimane, il primo firmatario del presente atto, ha depositato degli atti di sindacato ispettivo al Governo, poiché si stanno verificando una serie di inquietanti episodi con rapine e tentativi di rapine a danno di banche e uffici postali;
   il 10 novembre 2015 è accaduto all'ufficio postale di Grottole, fatto saltare in aria per portare via denaro, un ufficio che aveva fatto registrare già ad agosto un tentativo fallito che ha messo a repentaglio la sicurezza di cittadini che abitano ai piani superiori dell'immobile dove è ubicato lo sportello;
   altri episodi si sono verificati a palazzo San Gervasio, Banzi ed anche ad Irisina stessa, nel luglio 2015, con un assalto al bancomat della Banca popolare di Puglia e Basilicata;
   è del tutto evidente che questo comprensorio della Basilicata è oggetto di una escalation di rapine da parte di bande specializzate;
   si tratta di una situazione che desta molta preoccupazione tra cittadini e istituzioni da non sottovalutare –:
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere con la massima urgenza per un più attento e capillare controllo del territorio al fine di prevenire simili episodi e garantire la massima sicurezza.
(5-07280)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con atti di sindacato ispettivo presentati dal sottoscritto in data 4 novembre 2015 (interrogazione a risposta scritta 4-11077) e in data 4 dicembre 2015 (interrogazione a risposta scritta 4-11390) si ponevano all'attenzione dei Ministri interrogati questioni di particolare gravità e rilevanza riguardanti la presenza di amianto in edifici pubblici quali un asilo comunale o in strutture prossime a edifici analogamente sensibili (asili, ospedali), per le quali la richiesta urgente di attenzione del Governo era motivata dalla notorietà della situazione, dall'accertamento della sua gravità da parte degli enti preposti, della natura del bene gravemente minacciato (la salute dei cittadini e in particolare dei minori) e dalla sostanziale inerzia delle istituzioni locali deputate a intervenire;
   a brevissima distanza da queste segnalazioni, l'interrogante torna a invocare un intervento urgente e una pianificazione organica per la risoluzione di questi problemi, segnalando il crollo di una tettoia in amianto collocata a meno di cento metri dall'asilo di Casanova del Morbasco, in provincia di Cremona (come riportato nell'articolo dal titolo «Amianto, crollato sito contaminato a Casanova del Morbasco, vicino all'asilo: paura tra i genitori» del quotidiano online Cremona Oggi del 18 dicembre 2015);
   anche in questo caso, così come nei precedenti, l'Ona (Osservatorio nazionale amianto) di Cremona in seguito alle numerose segnalazioni e ai sopralluoghi effettuati, aveva presentato un esposto in procura nel maggio 2015, atto rimasto ancora senza un esito. L'aggravamento della situazione esige quindi un intervento urgente, anche alla luce della considerazione per cui il pesante degrado del materiale potrebbe portare alla dispersione di particelle inquinanti nell'aria, nel terreno e nell'acqua della zona abitata circostante –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di situazioni analoghe in altre strutture pubbliche, e in particolare in strutture sensibili come asili e scuole e quali iniziative di competenza intendano adottare nell'immediato per il sito indicato, stanti le ragioni di urgenza illustrate in premessa, nonché a livello generale per risolvere il problema delle tempistiche degli interventi, inclusi quelli per le singole situazioni problematiche analoghe eventualmente già note. (4-11539)


   BRIGNONE. – Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la zooerastia è una deviazione o perversione sessuale, un disturbo che stimola la fantasia di avere rapporti sessuali con animali, o dal praticare attività sessuali con gli stessi in modo non occasionale;
   nei mesi scorsi sono pervenute alla Lega Antivivisezione numerose segnalazioni secondo cui, su internet, nelle pagine web dedicate agli «incontri», appaiono numerosi annunci riguardanti la ricerca di animali, da utilizzare per attività di zooerastia;
   secondo il report pubblicato dalla Lav, nei diversi annunci, con dovizia di particolari, venivano cercati animali come cani, stalloni, capre, giumente, per praticarvi attività sessuali;
   la Lav, a seguito dell'indagine sulla zooerastia e per quanto emerso, ha denunciato gli autori delle pubblicazioni online chiedendo alle autorità competenti il sequestro preventivo delle pagine del sito in cui compaiono gli annunci, e il sequestro degli animali eventualmente utilizzati nelle attività di zooerastia;
   nell'esposto presentato dalla LAV alla polizia postale e delle comunicazioni, è stato ipotizzato il concorso di più persone nella realizzazione dei reati di maltrattamento di animali, articolo 544-ter c.p. (animali sfruttati per attività zoopornografiche) e d'istigazione a delinquere, articolo 414 c.p., poiché il contenuto degli annunci e il tenore degli stessi, esaltavano l'attività di sesso con animali;
   la Corte di cassazione ha dichiarato che «ogni abuso sessuale su animali integra il reato di maltrattamento di animali» –:
   se il Governo sia a conoscenza della diffusione del fenomeno zooerestia se non reputi opportuno promuovere le iniziative di competenza per incrementare il livello di attenzione nelle attività di contrasto da parte delle forze dell'ordine;
   se il Governo non reputi opportuno assumere iniziative per prevedere un'articolata rivisitazione della normativa, anche sotto il profilo della tutela penale, e una giusta collocazione del precetto in seno al codice penale, predisponendo una disciplina specifica. (4-11541)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio acquedottistico marsicano (C.A.M.) nasce il 16 novembre 1994 a seguito della trasformazione del Consorzio comprensoriale della Marsica per poi divenire, ai sensi dell'articolo 113, unico comma del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, società per azioni;
   infatti, con la legge n. 36 del 5 gennaio 1994 si è profondamente innovata la normativa relativa al settore delle risorse idriche, cercando di superare la frammentazione del servizio e promuovendo il concetto di servizio idrico integrato SII;
   il C.A.M.  s.p.a. somministra acqua igienico-potabile per usi diversi mediante le reti comunali dei comuni convenzionati;
   il CAM serve i comuni dell'ATO  (ambito territoriale ottimale) n. 2 Marsicano della regione Abruzzo e nove comuni della provincia di Rieti;
   la cronaca di questi giorni riporta la notizia che dopo che è stato disatteso il pagamento del debito per la fornitura idrica (3,9 milioni di euro) da parte della regione Lazio, il Cam si attiverà per avviare la procedura di riduzione del flusso di acqua verso i comuni del Cicolano: Borgorose, Collalto Sabino, Collegiove, Fiamignano Marcetelli, Nespolo, Pescorocchiano, Petrella Salto e Camerata Nuova;
   la riduzione del 50 per cento dell'attuale fornitura idrica partirà dal 28 dicembre 2015 a meno che l'amministrazione regionale non accrediti le somme dovute;
   l'attivazione di tale procedura è stata comunicata, con largo anticipo, all'amministrazione regionale, al prefetto di L'Aquila, al vice prefetto di Rieti, nonché alla regione Abruzzo e all'Ato 2 marsicano e, nelle parole dell'amministrazione delegato del CAM si rinvengono le motivazioni che hanno portato a tale drastica decisione: «Fornire acqua alla Regione Lazio ha dei costi per il Cam che, per un principio economico di base, devono rientrare altrimenti si genera un corto circuito che manda a picco la nostra società di gestione. Questa società non è più in condizione di dare certezza sulla regolarità della fornitura poiché rischia il taglio dell'energia elettrica dal proprio fornitore» –:
   quali iniziative il Governo, per le parti di competenza, abbia intenzione di assumere al fine di evitare, in collaborazione con i soggetti interessati nella vicenda sopra descritta, una situazione emergenziale sotto il profilo dell'ordine pubblico a causa degli inevitabili disagi derivanti dall'imminente riduzione della fornitura idrica per tutti i cittadini dei comuni della provincia di Rieti e del Marsicano;
   se non si intendano assumere iniziative volte a rivedere e implementare la normativa in materia di gestione delle risorse idriche anche nel quadro di un incremento delle risorse finanziare a disposizione delle regioni e degli enti locali per tali servizi pubblici. (4-11545)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad Agrigento la situazione riguardante i respingimenti e le espulsioni nei confronti di richiedenti asilo sta assumendo dimensioni sempre più preoccupanti;
   dal mese di settembre 2015 la questura di Agrigento sta emanando provvedimenti di respingimento differito nei confronti dei migranti provenienti da Paesi quali: Gambia, Senegal, Mali, Costa d'Avorio, Guinea, Nigeria, Ghana, Pakistan, Somalia, Eritrea, Marocco, Tunisia ed Egitto;
   in un incontro tenutosi ad Agrigento in data 3 dicembre 2015 ed a cui hanno preso parte rappresentanti di Borderline Sicilia, Caritas e della sezione siciliana Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione) con funzionari della questura di Agrigento è emerso che l'attuale atteggiamento sarebbe dovuto a nuove disposizione emanate dal Ministero dell'interno;
   dalle informazioni emerge che il provvedimento di respingimento differito viene notificato sistematicamente ai cittadini provenienti dai Paesi del nord Africa a cui è stato somministrato il questionario «foglio notizie» finalizzato ad una prima scrematura dei migranti per aree di provenienza, senza che gli operatori provvedano ad offrire ai migranti le informazioni, previste per legge, sulla possibilità di chiedere asilo politico;
   appare rilevante sottolineare come il questionario venga sottoscritto pur trattandosi, spesso, di documento scritto in lingua non comprensibile dai migranti stessi;
   gli effetti di tali procedure per i migranti consistono nella notifica, già durante il tragitto Lampedusa-Porto Empedocle, del provvedimento di respingimento; successivamente risulta che gli stessi vengano lasciati nei pressi della stazione ferroviaria di Agrigento a tarda sera;
   in conseguenza di ciò queste persone rimangono tagliate fuori dal circuito dell'accoglienza, a causa della mancanza di posti nei dormitori, rimangono a vivere per strada e viene di fatto loro impedito di accedere ad una difesa legale, in quanto privi di mezzi economici e di informazioni sui servizi del territorio;
   dalle testimonianze rilasciate da alcuni migranti di origine gambiana emerge come gli stessi abbiano espresso la volontà di chiedere asilo sul traghetto ai poliziotti che li scortavano senza alcun esito. Altri, ai quali è stato consegnato il provvedimento di respingimento con la dicitura «si rifiuta di firmare», smentiscono di essersi rifiutati;
   risulta inoltre all'interrogante che alcuni pakistani provenienti da Agrigento, si siano rivolti all'ufficio immigrazione della questura di Palermo e al commissariato di Licata per presentare la domanda di asilo, ma i funzionari dell'amministrazione si sarebbero rifiutati di riceverla, in quanto respinti dalla questura di Agrigento;
   un difensore di altri respinti ha provveduto ad inoltrare via pec (posta elettronica certificata) le manifestazioni di volontà di richiedere la protezione internazionale presso l'ufficio immigrazione di Agrigento senza ottenere alcuna risposta;
   è stato segnalato inoltre all'interrogante che tra i respinti di diverse nazionalità vi siano diversi soggetti vulnerabili, tra cui: minori non accompagnati, donne in stato di gravidanza, persone affette da gravi patologie, potenziali richiedenti asilo, vittime di torture e violenze subite in Libia o nel loro Paese di origine;
   a seguito dei numerosi arrivi avvenuti nei giorni scorsi il numero dei migranti respinti è in continuo aumento –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanti siano i provvedimenti di respingimento differito emanati ai sensi del testo unico sull'immigrazione, a partire dal settembre 2015 e quale sia la nazionalità dei soggetti destinatari;
   quali iniziative siano state adottate e quali il Governo intenda adottare per assicurare la corretta informazione sulla possibilità di richiedere asilo politico ai migranti transitanti per l’hotspot di Lampedusa;
   se il Governo sia a conoscenza di espulsioni combinate per «manifesta infondatezza» della richiesta di asilo anche per minori non accompagnati o soggetti deboli tutelati dalle norme nazionali e internazionali;
   se il Ministero sia a conoscenza della richiesta da parte della prefettura di Agrigento concernente l'immediata espulsione dai centri di accoglienza di chi ha ricevuto già la notifica di diniego della richiesta di asilo. (4-11548)


   REALACCI e MINNUCCI. – Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dalle agenzie di stampa nazionali e locali e da articoli apparsi sui social media in rete, ignoti si sono introdotti all'interno delle strutture della riserva naturale di Tevere-Farfa incendiando tutti i mezzi utili alla gestione, monitoraggio e manutenzione della riserva;
   si tratta di un gravissimo atto, che appare di chiara matrice dolosa, con il quale si vogliono colpire le attività di contrasto al bracconaggio ed al commercio illegale di selvaggina e le altre attività di controllo del territorio portate avanti dalla riserva;
   la riserva naturale regionale Nazzano Tevere-Farfa è la prima area naturale protetta istituita dalla regione Lazio, nel 1979;
   tra il 1953 e il 1955 l'ENEL costruì, per la produzione di energia elettrica, uno sbarramento sul fiume Tevere poco più a valle della confluenza con il torrente Farfa;
   in seguito alla realizzazione di questa diga, subito a monte di quest'ultima, si innalzò il livello dell'acqua, con la conseguente inondazione dei terreni circostanti. Si formò così una specie di «lago», esteso per circa 300 ettari, in grado di ospitare un gran numero di specie di uccelli durante le loro migrazioni;
   l'importanza naturalistica del predetto lago di Nazzano portò quindi nel 1968 alla creazione di una «Oasi di protezione della fauna», istituita grazie all'intesa fra ENEL, comune di Nazzano e WWF Italia. In seguito a questa protezione, gli uccelli aumentarono ancora al punto da rendere l'area meritevole di essere inserita nel 1977, con decreto del Ministero dell'agricoltura e foreste, nell'elenco delle «Zone umide di importanza internazionale» tutelate dalla «Convenzione di Ramsar» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del grave atto criminale e intimidatorio compiuto ai danni delle strutture della riserva naturale Nazzano-Tevere-Farfa;
   se non ritengano necessario, nel rispetto delle competenze regionali, aumentare la vigilanza nell'area interessata e coadiuvare l'attività di controllo ambientale. (4-11549)


   PALAZZOTTO, SCOTTO, CLAUDIO FAVA, COSTANTINO, MARCON, FRATOIANNI e NICCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi si è registrato un aumento delle notifiche di respingimenti differiti a cittadini d'Africa subshariana arrivati nei porti italiani;
   tale aumento è stato rilevato grazie all'attività delle numerose associazioni italiane presenti sul territorio in attività di assistenza giuridica e sociale ai migranti sbarcati sul territorio italiano e nell'ambito del sistema Hotspost, le quali, riunite nel tavolo nazionale asilo hanno espresso – in una lettera al Ministro dell'interno – grande preoccupazione sull'applicazione nei centri di sbarco e nei punti di accoglienza di prassi contrarie alla normativa interna e internazionale;
   tali preoccupazioni sarebbero state confermate in un recente reportage della tv belga RTBF, in cui si sarebbe evidenziata la diffusione della pratica di respingimenti differiti sulla sola base discriminante della nazionalità;
   il Consiglio italiano per rifugiati, in data 3 dicembre 2015, ha denunciato le cattive prassi introdotte in Italia in concomitanza con l'apertura del primo hotspot a Lampedusa, in particolare in ordine alla notifica di provvedimenti di respingimento differito e la non ammissione alle procedure di asilo di alcune specifiche nazionalità (specificamente persone provenienti dal Gambia, Senegal e Mali);
   come denunciato in un comunicato dall'associazione ARCI un numero importante di persone a cui è stato notificato un respingimento in differita sono di nazionalità gambiana;
   nella road map italiana sull'immigrazione, a pagina 12 si evince che un accordo in tal senso sarebbe stato firmato. Nel documento in particolare si legge: «In questo contesto, un accordo tecnico con il Gambia è stato sottoscritto il 6 giugno 2015 e, al contempo, grazie al supporto da parte della rete diplomatica italiana all'estero, il Dipartimento di Pubblica Sicurezza sono stati stabiliti proficui contatti con le autorità competenti dei seguenti Paesi asiatici e africani, da cui originano consistenti flussi di immigrazione irregolare diretti verso l'Italia: Costa d'Avorio, Ghana, Senegal, Bangladesh e Pakistan»;
   l'11 novembre 2015 il quotidiano spagnolo El Pais pubblicava un reportage sulle gravi condizioni che spingono i gambiani a lasciare il Paese, i quali meriterebbero protezione in base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati;
   nel rapporto 2014-2015 di Amnesty international si ricorda che in Gambia il presidente Yahya Jammeh ha festeggiato il suo 20o anno al potere nel 2014. Due decenni caratterizzati da una forte intolleranza nei confronti del dissenso, in cui giornalisti, oppositori politici e difensori dei diritti umani hanno continuato a essere vittime di intimidazioni e tortura. Il 2014 è terminato con un tentativo di colpo di Stato nella notte del 30 dicembre, che ha portato a decine di arresti e a un duro giro di vite sugli organi di stampa;
   il 22 luglio 2014 in molti Paesi del mondo organizzazioni non governative come Amnesty international, Article 19 Afrique de l'Ouest, Rencontre africaine pour la défense des droits de l'homme e la comunità gambiana in esilio hanno organizzato proteste e manifestazioni per ricordare il colpo di Stato che ha portato al potere il presidente Yahya Jammeh e per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla terribile situazione dei diritti umani in Gambia, dove la gente teme di subire un arresto arbitrario e dove la tortura e la scomparsa degli oppositori sono una pratica ricorrente;
   il Governo del Gambia, nel novembre 2014, ha vietato ai 2 ispettori dell'ONU, Christof Heins (sudafricano, relatore speciale sulle esecuzioni extra-giudiziali, sommarie o arbitrarie) e Juan Mandes (statunitense, relatore speciale sulla tortura), l'accesso al braccio della morte nelle galere di Banjul, la capitale del Gambia. Heins e Mandez volevano entrare nell'ex colonia britannica per indagare su torture ed esecuzioni di attivisti, giornalisti e oppositori politici, uccisioni extragiuridiziarie. I 2 sono rimasti nel Paese dal 3 al 7 novembre 2014 e hanno raccolto molte informazioni in proposito: la pena di morte è stata reintrodotta nel 2012 e nell'immediato sono state uccise 9 persone;
   indipendente dagli accordi internazionali coi Paesi di provenienza, andrebbero garantite alle persone, al di là delle modalità di ingresso e di soggiorno, i diritti fondamentali come ad esempio, il diritto ad una difesa effettiva, diritto che, in base a quanto esposto in premessa, appare gravemente compresso;
   altrettanto può dirsi per il divieto di non refulement sancito all'articolo 33 della Convenzione di Ginevra, che esclude la possibilità di respingimenti collettivi che siano in qualsiasi modo collegati, esclusivamente, alla nazionalità. A questo riguardo, la dottrina più attenta ha sollevato dei seri dubbi di costituzionalità in ordine al respingimento differito per come previsto dal Testo unico immigrazione e la commissione De Mistura, già nel 2007, ne chiedeva una revisione profonda –:
   quanti siano i provvedimenti di respingimento differito emanati ai sensi del Testo unico sull'immigrazione, a partire dal settembre dell'anno in corso, e quale sia la nazionalità dei soggetti destinatari;
   se i Ministri interrogati non ritengano di chiarire il contenuto dell'accordo Italia-Gambia richiamato in premessa, con particolare riguardo agli aspetti connessi ad eventuali accordi di riammissione o comunque concernenti il trattamento (riconoscimento, rimpatrio) di cittadini gambiani presenti in Italia. (4-11563)


   GELMINI, GREGORIO FONTANA, RAVETTO, GARNERO SANTANCHÈ, SQUERI e PALMIERI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la giunta comunale di Milano ha ripresentato in data 17 dicembre 2015 al Consiglio comunale una delibera relativa al recupero degli scali ferroviari milanesi che era stata «bocciata» pochi giorni prima (9 dicembre 2015), essendovisi opposta non solo la minoranza di centrodestra ma anche parte della maggioranza di centrosinistra;
   la delibera rappresenta la ratifica dell'accordo di programma sottoscritto nel luglio 2007 e confermato dal piano di governo del territorio vigente per la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse e in dismissione nel comune di Milano («Scalo Farini», Scalo Romana, Scalo e Stazione di Porta Genova, Scalo Basso di Lambrate, parte degli Scali Greco-Breda e Rogoredo, aree ferroviarie San Cristoforo) in correlazione con il potenziamento del sistema ferroviario in ambito milanese;
   la «bocciatura» ha rappresentato per la giunta di Milano un grave vulnus, in quanto conteneva una parte fondamentale del programma del mandato, cioè la riqualificazione e lo sviluppo di oltre un milione di metri quadrati di territorio milanese, di cui metà da destinare a verde;
   la delibera è stata ripresentata con variazioni minime ed esclusivamente formali, al fine di ricevere il via libera già negato;
   i consiglieri comunali di centrodestra (e quelli di maggioranza che avevano votato contro la delibera) sono stati costretti ad una seduta fiume durata anche la notte per replicare le stesse posizioni già dichiarate sulla prima delibera, oltretutto con un utilizzo straordinario di risorse, personale, tempo e con ricadute di spesa e ritardi sugli altri lavori del Consiglio in attesa di discussione;
   non appare agli interroganti corretto da parte di una giunta comunale ripresentare più volte al Consiglio comunale lo stesso atto già bocciato la prima volta forzandone l'approvazione;
   questo comportamento ad avviso degli interroganti configura una violazione delle prerogative del consiglio e una sua riduzione a mero strumento di ratifica delle decisioni della giunta, esponendo il consiglio stesso ad un'indebita pressione interna ed esterna con il pericolo di condizionare e intimidire la libertà di mandato dei consiglieri;
   quanto accaduto potrebbe rappresentare un precedente replicabile in altri comuni, anche in considerazione del ruolo guida che esercita una città importante come Milano –:
   se non sia necessario assumere iniziative normative tali da evitare situazioni come quella accaduta a Milano, ovvero che una giunta, possa continuare a presentare al consiglio la stessa delibera, anche se già bocciata, in attesa che un fatto contingente, come l'assenza di un consigliere comunale, possa provocare l'approvazione del documento. (4-11566)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   lo schema di decreto legislativo recante modifica e abrogazione di disposizioni di legge che prevedono adozione di provvedimenti non legislativi di attuazione, al punto 41 dell'allegato 1 – abroga l'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge n. 104 del 2013 (legge n. 128 del 2013), che prevede l'invio, da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per via telematica, a tutti gli studenti iscritti alle scuole secondarie di secondo grado, di un opuscolo informativo sulle borse di studio universitarie, nonché degli indirizzi web degli organismi regionali per il diritto allo studio;
   la relazione illustrativo allegata al provvedimento, fa presente che la previsione è superata con l'intervento della legge n. 107 del 2015, articolo 1, commi 136-141 che ha istituito il portale unico dei dati della scuola;
   i commi 137 e 139 riportano tra la pubblicazione dei dati quelli afferenti al sistema nazionale di valutazione; all'anagrafe scolastica; ai dati in forma aggregata dell'Anagrafe degli studenti; agli incarichi di docenza; ai piani dell'offerta formativa; all'Osservatorio tecnologico; ai materiali e alle opere autoprodotte dalle scuole ai sensi dell'articolo 15 del decreto-legge 112 del 2008, (convertito dalla legge n. 133 del 2008); alle informazioni utili a valutare l'avanzamento didattico, tecnologico e di innovazione del sistema scolastico; alla normativa, agli atti e alle circolari;
   pertanto, a livello normativo non è previsto che nel portale unico dei dati della scuola siano pubblicate anche le informazioni relative alle borse di studio universitarie –:
   stanti la diversa natura e le diverse finalità del portale unico dei dati della scuola di cui alla legge 107 del 2015, quali siano le ragioni che abbiano portato ad oggi a non dare ancora attuazione all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge n. 104 del 2013, (convertito dalla legge n. 128 del 2013); che dispone la realizzazione dell'unico strumento informativo sul diritto allo studio universitario per gli studenti medi. (5-07295)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dal 2001 si tiene ogni anno nel nostro Paese la settimana della lingua italiana nel mondo, una iniziativa che nasce dall'intesa fra la Farnesina e l'Accademia della. Crusca, sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica e promuove l'italiano come grande lingua di cultura classica e contemporanea;
   lo scorso anno è stata lanciata la proposta di istituire in Italia un «Erasmus delle arti», affinché il nostro Paese assuma di nuovo il ruolo di gigante culturale riconosciuto nel mondo;
   quest'anno si è svolta dal 19 al 24 ottobre a Firenze con un titolo significativo «Italiano della musica, musica dell'italiano»;
   la città di Firenze ha promosso presso l'Unesco il riconoscimento dell'opera lirica italiana come patrimonio dell'umanità;
   l'opera, infatti, rappresenta uno degli elementi trainanti della lingua italiana ed è amata anche dai giovani, soprattutto all'estero; affiancare alla musica classica quella popolare e moderna aiuterebbe ad ampliare la platea di coloro che, attraverso la musica, apprendono la lingua italiana e la nostra cultura;
   queste iniziative, a cui partecipano esponenti della cultura e rappresentanti del panorama artistico nazionale e internazionale, offrono momenti di riflessione e confronto sulle possibili strategie da seguire per promuovere il Paese e la lingua italiana e sulle nuove sfide da affrontare, perché cultura è anche ricerca, innovazione, saperi e altro;
   il patrimonio musicale italiano è, però, anche più esteso perché fatto di madrigali, melodrammi, canzoni, che hanno contribuito negli anni a costituire un lessico specifico della musica classica e non, tanto che le opere italiane vengono eseguite in tutti i teatri del mondo e cantate anche da artisti stranieri nella lingua italiana –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative per:
    a) potenziare il sostegno a questo settore, destinando congrui finanziamenti al fondo unico per lo spettacolo (che, invece, da anni subisce tagli) assicurando così la crescita dei flussi turistici, attraendo migliaia di studenti stranieri, garante di posti di lavoro e salvando associazioni, fondazioni, enti lirici, teatri, laboratori che da anni operano sul territorio, diffondendo cultura e creando aggregazione sociale nelle periferie spesso dimenticate;
    b) non limitare gli sforzi della promozione dell'arte e della tradizione musicale italiana a eventi – pur significativi – e investire maggiori risorse su un settore che da secoli rappresenta l'eccellenza indiscussa nel mondo. (4-11544)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la riforma delle nuove classi di concorso (settore scuola) presenta un'anomalia come segnalato all'interrogante da un docente precario sulla classe di concorso A049 laureato in ingegneria vecchio ordinamento;  
   il decreto ministeriale n. 354 del 10 agosto 1998 prevede che i laureati in ingegneria vecchio ordinamento (con determinate annualità sostenute) hanno la possibilità di accedere alla classe di concorso A049 (cosa che non risulta dai menu «titoli di accesso» sul sito del Ministero dello sviluppo economico, che peraltro fa riferimento esplicito al decreto ministeriale n. 354);
   secondo la tabella A, nella riforma, l'accesso alla classe di concorso A049 non è più consentito ai laureati in ingegneria –:
   sulla base di quali presupposti siano cambiate le condizioni di accesso alle classi di concorso senza tenere conto del decreto ministeriale citato;
   se il laureato in ingegneria, vecchio ordinamento, possa utilizzare gli anni di servizio maturati nella classe di concorso A049 e accedere al tirocinio formativo attivo o percorso abilitante speciale o a qualunque tipo di abilitazione della classe A049. (4-11546)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'educazione fisica a scuola non migliora solo la forma fisica e la salute, ma ha effetti positivi sulla vita quotidiana perché abitua a lavorare in squadra, fa acquisire la consapevolezza del corpo, fa apprendere il valore del rispetto delle regole e delle diversità e della lealtà, favorisce la comprensione e l'integrazione, fa scoprire il valore dell'amicizia, della solidarietà e della tolleranza, educa al contrasto del doping;
   l'attenzione dell'Unione europea verso la promozione dell'attività fisica è cresciuta notevolmente e il Trattato di Lisbona ha offerto le basi, sul piano giuridico, affinché crescesse la dimensione europea dello sport; la rete Eurydice ha prodotto il rapporto «Educazione fisica e sport a scuola in Europa» per censire e mettere a confronto le esperienze di 30 Paesi e valutare forza e debolezza di questa pratica nelle singole realtà;
   in tutti i Paesi europei la pratica sportiva è obbligatoria nei livelli di istruzione primaria e secondaria con alcune differenze:
    a) per numero di ore (37 ore in Irlanda/108 in Francia per anno scolastico);
    b) per organizzazione dell'attività (nelle scuole danesi gli studenti praticano la corsa prima dell'inizio delle lezioni, in altri Paesi si utilizzano intervalli prolungati fra materie diverse per attività motorie all'aperto o in palestra);
    c) per l'interdisciplinarietà con scienze naturali e sociali (in Germania, Repubblica Ceca e Norvegia, oltre a lavorare sulla forma fisica, durante l'ora dedicata allo sport, vengono insegnate regole di comportamento stradale per pedoni e ciclisti);
   in Slovenia, per esempio, le lezioni possono essere interrotte per «un minuto della salute» da dedicare ad attività motorie o di rilassamento;
   in diversi Paesi l'educazione fisica viene ritenuta importante al fine di consentire agli alunni di familiarizzare con gli ideali e i simboli olimpici;
   la qualità dei programmi motori impartiti è fondamentale perché si raggiungano gli obiettivi culturali, educativi e sociali previsti con lo sport;
   il Ministero della salute con l'iniziativa «OKkio alla SALUTE» – Promozione della salute e della crescita sana dei bambini della scuola primaria» sta cercando di monitorare i numeri del sovrappeso e dell'obesità infantili per i rischi che comportano per la salute degli adulti di domani;
   l'Organizzazione mondiale per la sanità è impegnata da tempo nella promozione dell'attività fisica e ha stimato che una carente attività motoria è responsabile di quasi due milioni di decessi annui nel mondo, oltre al grande costo sociale che deriva dalle patologie legate a uno stile di vita sedentario;
   la regione Toscana ha ritenuto lo «Sport come elemento di educazione permanente» e antidoto alla dispersione scolastica e per questo ha deciso di assegnare a ciascun istituto scolastico che volesse aderire al progetto «Sport e scuola compagni di scuola» (il bando è di giugno 2015), un esperto laureato in scienze motorie (o diploma di laurea quadriennale in scienze motorie vecchio ordinamento o diploma ISEF o titoli equipollenti) che dia la disponibilità minima di dieci ore settimanali e partecipi a un corso di formazione di almeno 12 ore organizzato da enti che promuovono il progetto (regione, ufficio scolastico regionale, università di Firenze e Pisa, Coni, Comitato regionale –:
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno assumere iniziative per:
    a) promuovere a livello nazionale, considerati i valori positivi della pratica sportiva associata equilibrata e sana alimentazione, il progetto della regione Toscana al fine di affidare non a insegnanti generalisti, ma a personale qualificato e professionalmente formato, l'insegnamento dell'attività motoria agli alunni delle scuole elementari e medie;
    b) investire su questo modello educativo, soprattutto nelle periferie degradate, modello che nel tempo ripagherà degli, investimenti iniziali consentendo agli adulti di domani di beneficiare delle positività di un corretto stile di vita assunto sin da bambini. (4-11547)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   due distinte note del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intervengono sulla scandalosa situazione del mancato pagamento degli stipendi dei precari della scuola ormai a quattro mesi dall'inizio dell'anno scolastico;
   in data 18 dicembre 2015 il Ministero dell'economia e delle finanze attraverso NoiPA annuncia «un'emissione speciale, con esigibilità 24 dicembre, che ha interessato 25 mila supplenze brevi per una spesa di 16,6 milioni di euro»;
   sempre in data 18 dicembre il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca invia alle scuole un'altra nota nella quale la situazione è riconosciuta come un'emergenza e invita in via eccezionale le scuole durante le vacanze di Natale a (ri)autorizzare il pagamento delle supplenze svolte per poi poter «attribuire il corretto capitolo/piano gestionale e inviare al competente organo di controllo del MEF (UCB) i decreti di riparto delle risorse finanziarie...», e «velocizzare le operazioni di pagamento che avverranno con la prima emissione utile prevista da NoiPA entro la prima metà del mese di gennaio 2016»;
   l'oggetto delle due note è lo stesso: parlano di precari, cioè di docenti e ATA a disposizione per qualsiasi esigenza ed emergenza di funzionamento delle scuole, in attesa ogni giorno di poter supplire e sostituire i titolari per non sospendere le lezioni o chiudere le scuole e per garantire il diritto allo studio; parlano di supplenze/prestazioni di lavoro svolte a settembre, ottobre, novembre e dicembre 2015;
   le interrogazioni a risposta in Commissione n. 5-07110 e a risposta scritta n. 4-10990 presentate da Sinistra Italiana-SEL, avevano già denunciato la drammatica situazione del personale precario e l'insostenibile situazione delle procedure e degli strumenti di lavoro (SIDI) a disposizione degli uffici di segreteria delle scuole, senza però avere ad oggi risposta –:
   quali siano le informazioni dei Ministri interrogati sulla situazione esposta in premessa;
   quanti siano i precari interessati all'emissione del 24 dicembre 2015 e quali retribuzioni saranno erogate con tale emissione;
   quanti siano i precari esclusi e perché non abbiano percepito ancora alcun compenso;
   quanti precari saranno interessati all'emissione prevista entro la metà del mese di gennaio 2016 e quali retribuzioni saranno erogate;
   quali iniziative intendano assumere, di coordinamento, organizzative e gestionali, per evitare per il futuro che accadano simili incresciosi avvenimenti. (4-11565)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   BOSSI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dopo mesi di attesa, di accordi sulla cassa integrazione, di proposte varie sul personale in esubero, finalmente nel luglio 2015 la multinazionale Whirpool ha reso noto le proprie scelte strategiche presentando al Ministero dello sviluppo economico il piano industriale;
   nello specifico il piano prevede una missione per ogni sito: a Fabriano verrà creato un centro direzionale con circa 600 dipendenti, sede del Consumer Service, compresi la pianificazione dei ricambi e quality; NPI (new product introduction), divisione piccoli elettrodomestici, sistemi informativi, ricerca e sviluppo e parte del procurement; Melano diventerà l'unico hub europeo-mediterraneo per la produzione di piani cottura della zona Emea, con rientro delle produzioni dall'estero; vi sarà la chiusura del sito di Albacina con cessazione delle attività produttive del sito medesimo presumibilmente entro il primo semestre del 2016; Comunanza produrrà lavatrici con carica frontale e sarà produttore esclusivo in Emea di lavasciuga, con utilizzo dei contratti di solidarietà; il magazzino di NONE sarà ceduto in continuità alla società piemontese Mole, ma il personale in alternativa potrà comunque optare per il trasferimento ad altra sede del gruppo o accedere ai percorsi di uscita incentivata specificamente previsti; Napoli produrrà le lavatrici di alta gamma, anche con un modello aggiuntivo rivolto ai mercati extra-europei, e si utilizzeranno i contratti di solidarietà; Siena sarà il polo di produzione dei congelatori orizzontali, con rientro di prodotti anche dall'estero e possibilità di crescita ulteriore verso i mercati extra-europei ed anche per questo sito si utilizzeranno i contratti di solidarietà; a Caserta sarà costituito il polo europeo di ricambi e accessori, in cui troveranno inizialmente occupazione 320 persone, mentre il restante organico potrà accedere al trasferimento volontario incentivato per Varese con possibilità di colloqui anche per i familiari conviventi, ovvero accedere ai percorsi di uscita incentivata specificamente previsti per la Campania; Cassinetta di Biandronno perderà il Service Parts Centre, ma si consoliderà come polo Emea per l'incasso, con produzione di forni, frigoriferi e microonde;
   proprio le scelte sul sito di Caserta destano non poche preoccupazioni tra gli interinali – circa 380 – in forza al sito di Cassinetta di Briandronno;
   si vocifera, infatti, che la proposta di trasferimento volontario incentivato per circa 400 lavoratori della ex Indesit di Caserta preveda un bonus di 32 mila euro, l'assunzione con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, nonché l'assunzione di un familiare da loro indicato tramite agenzia interinale;
   ovvio che tale notizia abbia creato allarme tra i 380 lavoratori somministrati di Cassinetta di Briandronno, preoccupati di ritrovarsi sostituiti dall'oggi al domani dal personale proveniente da Caserta –:
   se trovi conferma quanto riportato in premessa ovvero in quali termini si concretizzi la proposta di trasferimento volontario incentivato da Caserta a Varese per il personale interessato;
   se non ritenga doveroso intervenire, per quanto di competenza, affinché per ogni sito siano garantiti in primis – in termini di occupazione e di contratto di lavoro – i lavoratori già attivi presso i medesimi ed in subordine il personale in esubero che sarà trasferito su base volontaria tra i poli delle diverse regioni.
(3-01909)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Stelline rappresenta uno dei più prestigiosi enti di Milano, con un patrimonio immobiliare di grande prestigio, tra cui palazzo delle stelline in corso Magenta. Nello specifico si tratta di un ente senza scopo di lucro finalizzato alle attività di scambio culturale e scientifico e che ha, tra i fondatori pubblici, la regione Lombardia e il comune di Milano;
   regione Lombardia e comune di Milano devono esercitare un controllo di congruità dei bilanci della Fondazione in qualità di soggetti pubblici che hanno istituito la Fondazione Stelline, così come indicato dallo statuto della stessa;
   da notizie di stampa (vedasi Il Fatto Quotidiano del 13 febbraio 2015) si apprende che, nel periodo 2000-2010, c’è stata una gestione anomala delle casse dell'ente da parte del Consiglio di amministrazione: in particolare, le anomalie riscontrate sono riferibili agli stipendi pagati dalla Fondazione al Consiglio di amministrazione, pari a circa 540 mila euro corrisposti proprio negli anni 2000-2010 agli otto componenti del Cda, emolumenti deliberati dallo stesso Cda e che non rispettavano i limiti previsti dalla legge regionale n. 63/82, in vigore nel periodo, che stabiliva un tetto massimo pari a 1.032 euro all'anno a persona, 8.265 euro per tutti gli otto membri del cda;
   risulta inoltre che nel 2009 il bilancio non fu mai approvato dal collegio dei revisori dei conti proprio perché furono ritenuti illegittimi gli emolumenti corrisposti;
   la vicenda è venuta alla luce anche grazie alla segnalazione da parte di un dipendente della Fondazione, il signor S.W.A., il quale ha denunciato le gravi irregolarità di cui era venuto a conoscenza, agli organi di vertice dell'ente ma che, in tutta risposta, è stato licenziato, con motivi pretestuosi e nel giro di poco tempo, nonostante un rapporto di lavoro ventennale;
   l'episodio sopra descritto evidenzia un classico caso di whistleblowing, per cui un lavoratore che denuncia un caso di irregolarità, un fatto illecito o un comportamento anomalo di cui sia venuto a conoscenza nell'ambito lavorativo, dopo aver effettuato la segnalazione di denuncia, è stato arbitrariamente licenziato, con grave danno a livello economico e morale;
   il «caso» della Fondazione Stelline è stato illustrato anche in un'interrogazione presentata dal consigliere regionale del M5S Eugenio Casalino, con la quale si provava a fare chiarezza sulle gestioni anomale della Fondazione. In risposta la regione Lombardia evidenziava che gli emolumenti corrisposti negli anni dal 2000 al 2010 sono da ricondurre alla sfera discrezionale della Fondazione, al pari della corresponsione del contributo di gestione da parte della regione Lombardia –:
   se i Ministri siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intendano assumere le iniziative di competenza, anche normative, per tutelare il cosiddetto whistleblowing, anche al fine di impedire che si verifichino comportamenti anomali che possano arrecare danni alle casse statali. (5-07294)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRIGNONE e CIVATI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ancora difficile diagnosi relativa alla celiachia e la malattia stessa, che è una patologia sistemica e complessa, costituiscono le linee di azione dell'Associazione italiana celiachia, che ha già prodotto alcuni importanti risultati: nel 2015 il board scientifico dell'Associazione italiana celiachia ha lavorato al «Progetto Donna», tradotto in una semplice e breve guida, per aiutare le donne a riconoscere la celiachia anche alla presenza di sintomi non classici;
   nella scorsa estate è stato diffuso in Gazzetta Ufficiale il nuovo «Protocollo per la diagnosi e il follow up della celiachia», rivisto per volontà del Ministero della salute, frutto di un'importante revisione proposta dallo stesso board;
   grazie all'impegno di istituzioni, medici e volontari, si è dato modo all'Associazione italiana celiachia di raggiungere un traguardo nella diagnosi della celiachia volto a migliorare il quadro attuale di prevenzione, monitoraggio della malattia;
   sono circa 170.000 le persone che compongono la parte emersa dell’iceberg e che grazie alla diagnosi hanno potuto accedere con sicurezza all'unica cura a oggi conosciuta, la dieta senza glutine, se pur con le difficoltà sociali che ancora oggi i soggetti celiaci vivono nel nostro Paese;
   vi sono tuttavia indicativamente oltre 400.000 pazienti ancora non diagnosticati, che non sanno di essere celiaci e che oltre a non condurre una vita normale influiscono sui costi collettivi sanitari: infatti, in Italia le diagnosi sono solo il 25 per cento di quelle attese e in media occorrono ancora 6 anni per sapere di essere celiaci;
   allo scopo di contenere le gravi complicanze della celiachia non trattata e ridurre così progressivamente gli elevati costi sociali della celiachia non diagnosticata che paradossalmente si sommano a quelli derivati dalle troppe diagnosi errate, occorre riflettere sulla sostenibilità del sistema «Italia celiachia» per i pazienti oggi in cura ma anche per tutte quelle persone a oggi non diagnosticate –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente assumere iniziative per migliorare la performance diagnostica per consentire ai pazienti non noti di emergere attraverso diagnosi precoci, maggiore informazione e ricerca e, nell'eventualità positiva, quali politiche di sensibilizzazione e di diagnosi precoce intenda mettere in atto. (5-07281)


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO, BARONI, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del provvedimento di riassetto ospedaliero della regione Campania, approvato con decreto n. 49 del 27 settembre 2010 per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario attraverso piani attuativi aziendali, è prevista la rimodulazione della quota dei posti letto programmati, per singole discipline specialistiche, in ragione di una migliore risposta a specifici bisogni assistenziali ed in presenza di maturate professionalità, competenze ed esperienze delle risorse umane disponibili;
   si legge nel piano sanitario regionale 2011-2013 della regione Campania:
    «un sistema sanitario territoriale, nella sua complessa architettura, deve conferire alla Medicina Generale il compito di intercettare i bisogni di assistenza del cittadino e assicurare la continuità del ciclo dell'assistenza governando la “domanda di salute” (....) La struttura fisica dei luoghi di lavoro, l'organizzazione logistica degli ambulatori e la finalizzazione delle risorse economiche, vanno adeguati a precise strategie di “assistenza/governo” finalizzate più e meglio a gestire in modo corrispondente l'intero Processo di Assistenza e il delicato meccanismo di erogazione delle cure per i pazienti malati»;
   il nuovo piano sanitario regionale che riorganizza la rete di assistenza in Campania si delinea ispirandosi al modello « hub and spoke» (letteralmente: mozzo e raggi) parte dal presupposto che per determinate situazioni e complessità di malattia siano necessarie competenze rare e, costose che non possono essere assicurate in modo diffuso ma devono invece essere concentrate in centri regionali di alta specializzazione a cui vengono inviati gli ammalati dagli ospedali del territorio («servizi ospedalieri periferici»). Il modello prevede, pertanto, la concentrazione dell'assistenza di maggiore complessità in «centri di eccellenza» (hub) e l'organizzazione dell'invio a questi « hub» da parte dei centri periferici dei malati che superano la soglia dei complessità degli interventi effettuabili a livello periferico;
   il nuovo piano sanitario regionale, a quanto pare, punterebbe quindi a realizzare reti specialistiche: da gennaio 2016 dovrebbe entrare in funzione quella per l'infarto del miocardio acuto nella provincia-pilota di Salerno; si dimezzano le neurochirurgie «abilitate» a trattare l’ictus emorragico e a provvedere all'intervento endovascolare. Si accorpano venti punti nascita (uno su tre), si riduce il numero di strutture che operano gli ammalati oncologici, si riconvertono ospedali (subito Agropoli, poi i presidi del centro storico di Napoli: San Gennaro Ascalesi e Incurabili), si riducono le centrali operative del 118 (probabilmente da 8 a 5, di cui tre oggi sono concentrate nella provincia partenopea), si promuove il numero unico di emergenza, il 112, per smistare le telefonate tra Napoli e Salerno;
   la situazione attuale dei nosocomi campani, già prima dell'entrata in vigore del nuovo piano sanitario regionale che prevede ulteriori tagli e accorpamenti, versa purtroppo in grave stato di degrado e di caos con sale operatorie al collasso, dimezzamento delle sedute operatorie, corsie sovraffollate di barelle, ambulatori da cancellare, medici e infermieri costretti ad assistere un numero doppio di pazienti rispetto agli standard di legge, liste d'attesa sempre più lunghe ed emergenze a rischio; la realizzazione dell'ospedale del Mare nel quartiere Ponticelli a Napoli è al centro di un piano regionale di riorganizzazione delle strutture sanitarie che, nel prefigurato obiettivo di accorpamento dei presidi ospedalieri San Gennaro, Loreto Mare, Incurabili e Ascalesi, ha già innescato il progressivo smantellamento di diversi reparti presso i cinque ospedali. Tuttavia, i tempi di programmazione del nosocomio, condizionati ulteriormente dalla chiusura del cantiere nel 2010 a seguito di un'inchiesta per difformità fra lavori eseguiti e la preliminare progettazione e che vide coinvolte 12 persone fra dirigenti asl e amministratori delle ditte concessionarie, non garantiscono un'adeguata assistenza sanitaria ai cittadini napoletani –:
   se e quali iniziative si intendano intraprendere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, affinché, nelle more dell'effettiva entrata in esercizio di tutti i reparti del realizzando ospedale, si ponga argine alla situazione caotica in cui versa il settore ospedaliero in Campania, riattivando i reparti già dismessi nei presidi ospedalieri oggetto degli interventi di riorganizzazione di cui al citato decreto n. 49 del 2010 e sospendendo tutti i provvedimenti volti alla dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi stessi, quanto meno sino all'effettivo funzionamento in piena efficienza dell'ospedale del mare;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per monitorare l'impiego dei fondi pubblici destinati alla sanità campana ed evitare che vengano utilizzati per la realizzazione frettolosa di interventi nati per tamponare emergenze solo temporanee, valutando la possibilità di un riassetto delle infrastrutture sanitarie esistenti, e che potrebbero dimostrarsi soluzioni a valere anche sul lungo periodo;
   se e quali osservazioni siano state, fatte sulle decisioni di riorganizzazione della rete sanitaria in Campania da parte dei rappresentanti del Ministro interrogato in sede di monitoraggio del piano di rientro della regione Campania, con particolare riferimento a quanto descritto in premessa. (5-07283)


   PILI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Governo deve urgentemente assumere iniziative riguardo a quanto sta accadendo nella regione Sardegna e scongiurare la distruzione di 20 mila sacche di plasma;
   se entro le prossime ore il Governo non assumerà una decisione urgente e immediata 20 mila, sacche sangue potrebbero essere destinate all'inceneritore;
   si tratta di unità di sangue che rischiano di essere distrutte per mere questioni burocratiche e per le inadempienze della regione che non è in grado nemmeno di pianificare questioni così urgenti e delicate come quella della conservazione del sangue e dell'autorizzazione al suo utilizzo;
   una settimana di tempo per un vero e proprio scandalo per la regione con il più alto tasso di talassemici, con il maggior fabbisogno di sangue;
   20 mila sacche di preziosissimo plasma potrebbero essere destinate all'inceneritore. Sangue prelevato, lavorato, analizzato, messo sottovuoto, congelato e per buona parte spedito all'industria farmaceutica che produce gli emoderivati;
   si tratta di un patrimonio fondamentale per tante vite ma al momento inutilizzabile, perché queste unità di sangue risultano prive di autorizzazione;
   si rischia di distruggere non solo 20 mila sacche di sangue ma anche tutti gli sforzi che dall'estate in poi hanno profuso l’équipe del centro trasfusionale e i volontari dell'Avis;
   per le operazioni di prelievo si appoggia all'Avis, che ha la convenzione per coprire questo servizio, e passa al centro le sacche di plasma riempite dai donatori;
   la regione ha sottostimato la reale attività che si riversa su Sassari e ha autorizzato la gestione di un numero troppo basso di sacche di plasma, rispetto a quelle che effettivamente arrivano al centro trasfusionale;
   secondo il direttore del servizio Mario Manca «l'emergenza sangue non si ferma e non possiamo permetterci di rifiutare sacche di plasma raccolte attraverso i donatori. Tra l'altro sarebbe un reato: interruzione di pubblico servizio. Perciò abbiamo lavorato al doppio delle capacità»;
   la soglia delle 6200 donazioni è stata superata a ottobre 2015, e il tetto dei test di Dna di 27 mila analisi è stato oltrepassato a settembre;
   tutto il sangue lavorato dopo quelle date, quindi, risulta scoperto dai requisiti, quindi «fuori legge» e inutilizzabile;
   20 mila di queste sacche conservate a Sassari e inviate alle industrie sono prive di copertura normativa, in scadenza e a «rischio inceneritore»;
   è a giudizio dell'interrogante, semplicemente vergognoso che regione abbia praticamente dimensionato anche le capacità di raccolta del sangue e non sia stata in grado di monitorare tale raccolta limitandone di fatto il suo utilizzo;
   è impensabile che in una regione come la Sardegna da sempre affetta da carenza di plasma si possa perdere tempo e non attivare immediatamente tutte le procedure necessarie per non porsi nemmeno lo scandaloso problema dello smaltimento di questo patrimonio;
   una regione che limita la raccolta del sangue e quindi respinge, o come in questo caso rischia di buttare, la donazione di tanti volontari è secondo l'interrogante incapace di gestire un servizio così delicato –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze, di dover immediatamente intervenire per favorire una positiva conclusione di questa scandalosa vicenda;
   se non ritenga di dover assumere iniziative urgenti, per quanto di competenza, per scongiurare tale possibile distruzione di sangue, anche valutando se sussistano i presupposti per procedere alla nomina di un commissario governativa in relazione alla salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza. (5-07288)


   ZAN e PIAZZONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 novembre 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (serie generale n. 259) una determina datata 16 ottobre 2015 dell'Agenzia italiana del farmaco (n. 1327/2015) dal titolo: «Modifica del regime di fornitura di medicinali per uso umano a base di testosterone»;
   tale delibera, che riguarda tutti i farmaci attualmente somministrati a persone in transizione FtM in terapia ormonale sostitutiva (TOS), stabilisce che il regime di fornitura passi da RR a RNRL, ossia da «medicinali soggetti a prescrizione medica» a «medicinali soggetti a prescrizione medica limitativa: medicinali vendibili al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti», prescrizione da rinnovarsi volta per volta;
   ogni persona trans che si trova ad acquistare questi farmaci è seguita da un endocrinologo, ma, nella realtà, dal 7 novembre 2015 le farmacie hanno iniziato a non erogare i farmaci a chi non presentasse una ricetta non ripetibile firmata da un medico endocrinologo; nella pratica, infatti, il medico di base, dopo tale delibera, non può più prescrivere ai propri pazienti la TOS, neppure su indicazione dello specialista;
   la quasi totalità dei farmaci a base di testosterone vanno assunti dalle persone trans ogni 15-20 giorni circa;
   gli endocrinologi che si occupano di terapia ormonale sostitutiva non sono molti e i pazienti spesso si vedono costretti a spostarsi per centinaia di chilometri una o due volte l'anno per poter eseguire una visita dal proprio specialista. Inoltre, le tempistiche dei centri ospedalieri sono molto lunghe e limitanti: ottenere una visita attraverso il Servizio sanitario nazionale ogni due settimane appare, infatti, altamente improbabile, se non addirittura impossibile;
   per la comunità trans FtM la delibera dell'Agenzia italiana del farmaco rappresenta un problema oggettivo: sia in quanto rende quasi impossibile ottenere le impegnative mediche necessarie da parte dello specialista entro le scadenze imposte dalla frequenza di somministrazione dei farmaci, sia in quanto obbliga – seppur indirettamente – ad abbandonare il Servizio sanitario nazionale e a rivolgersi a medici specialisti in regime privato, con conseguenti aggravi economici che per l'utente medio sono certamente insostenibili nella lunga durata;
   a parere degli interroganti, appare lesivo dei diritti fondamentali della persona, e in particolare dell'articolo 32 della Costituzione, che una delibera dell'Agenzia italiana del farmaco renda la terapia ormonale nuovamente inaccessibile alle persone trans, in questo caso FtM, spingendo nuovamente una comunità minoritaria verso l'invisibilità e l'illegalità –:
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere per tutelare il diritto delle persone trans in transizione FtM di beneficiare della terapia ormonale sostitutiva senza dover affrontare ingenti costi per visite specialistiche ravvicinate vista l'irripetibilità dell'impegnativa. (5-07296)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria conta oltre centomila malati cronici in più per milione di abitanti rispetto alla media delle altre regioni d'Italia;
   a causa delle formule di riparto dei fondi sanitari, basate essenzialmente su criteri demografici e statistici (popolazione pesata, costi standard) anziché epidemiologici, la Calabria, pur contando più malati, riceve molti meno fondi rispetto ad altre regioni d'Italia che ne hanno un numero minore;
   il costo pro capite annuo per la sanità è di 3.169 euro in Val d'Aosta, mentre di soli 2.200 euro per la regione Calabria;
   ciononostante, la Val d'Aosta e altre regioni (soprattutto del Nord Italia) che spendono cifre similari sono considerate regioni virtuose, mentre la Calabria è considerata regione «sprecona», e perciò assoggettata al piano di rientro;
   in Calabria si verificano molti più casi di comorbilità (ovvero di casi in cui coesistono più malattie nella stessa persona);
   assistere una persona affetta da comorbilità costa molto di più di quanto costerebbe curare le stesse malattie se si manifestassero separatamente;
   avendo più casi di comorbilità, è logico pensare che la Calabria dovrebbe ricevere più fondi per fare fronte a tale condizione;
   i malati calabresi, pur essendo spesso affetti da più malattie croniche, eseguono, per ragioni prevalentemente economiche, circa la metà delle visite specialistiche, degli esami del sangue e di quelli strumentali rispetto a quelli cui si sottopongono i cittadini di altre regioni;
   per effetto del piano di rientro sanitario i malati calabresi, costretti a pagare di tasca propria, finiscono con l'eseguire meno esami clinici;
   i fondi pagati di tasca propria dai malati calabresi concorrono alla sostenibilità complessiva del sistema sanitario nazionale;
   paradossalmente, dunque, la Calabria conta più malati, riceve meno fondi per sostenere la spesa sanitaria e concorre a sostenere le spese sanitarie di altre regioni (prevalentemente del Nord) che hanno meno ammalati, ricevono più fondi dallo Stato e sono mediamente molto più ricche;
   chi non ha i fondi per pagare le compartecipazioni imposte dal piano di rientro rischia di curarsi poco, male e tardi, vedendo le sue condizioni di salute peggiorare e aggravarsi, e quindi si vede costretto, a costo di sofferenze, disagi, e costi disastrosi per la propria economia familiare, a farsi curare nei centri di eccellenza del Nord;
   il ricorso alla sanità «fuori regione» costa circa 250/300 milioni di euro all'anno aggravando ulteriormente il deficit sanitario della Calabria e «giustificando» così altri tagli ed altri sacrifici in ossequio al piano di rientro sanitario, con una spirale perversa senza vie di uscita che strozza socialmente la Calabria;
   il decreto del commissario Scura n. 66 del 25 giugno 2015, in attuazione del piano di rientro fissa in 74 ogni mille abitanti il limite massimo dei pazienti che possono essere curati a carico del servizio sanitario nazionale con i farmaci «gastroprotettori» (i farmaci cioè che prevengono le emorragie gravi del tratto gastroenterico superiore di quanti assumono la cardioaspirina e che curano le ulcere duodenali e gastriche e la malattia da reflusso gastroesofageo);
   ciò costringe tantissime persone che avrebbero diritto secondo le note dell'AIFA alla prescrizione dei farmaci «gastroprotettori» a carico del servizio sanitario nazionale a curarsi a proprie spese o non curarsi affatto;
   molti medici di base calabresi, a causa del proliferare di leggi, decreti, circolari, «raccomandazioni» (talvolta in palese contrasto tra loro), sono costretti a stare più attenti alla burocrazia che alle malattie;
   se il riparto dei fondi sanitari avvenisse in base alla frequenza ed alla prevalenza delle patologie, le regioni con più malati, come la Calabria, riceverebbero risorse più consistenti;
   i dati riportati sono stati elaborati dalla Associazione dei medici di base di Catanzaro sulla scorta del decimo rapporto sanità CREA-Tor Vergata, Roma, trasmesso alle Commissioni competenti di Camera e Senato nell'ottobre 2014, di note AIFA, della relazione Anaao Assomed del 7 ottobre 2015 e di rapporti ISTAT e CENSIS;
   tantissimi malati calabresi sono quindi costretti a sopportare, oltre alla sofferenza derivante dalle gravi patologie di cui sono affetti, anche un pesante disagio umano e sociale;
   associazioni, istituzioni e cittadinanza attiva hanno segnalato ripetutamente l'iniquità dei criteri utilizzati per l'assegnazione dei fondi sanitari –:
   se non ritenga doveroso assumere iniziative per una revisione dei detti criteri, abbandonando quelli essenzialmente demografici fin qui adottati e sostituendoli con criteri epidemiologici, perché unici idonei a garantire il diritto alla salute nell'intero Paese, senza ingiustificabili ed inaccettabili sperequazioni territoriali;
   se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per revocare, o, in subordine, sospendere, il piano di rientro della sanità calabrese dati i suoi effetti ingiusti e dannosi. (4-11534)


   GALLINELLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 novembre 2015 si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e ogni anno il nostro Paese partecipa a questo evento mondiale con iniziative capillari su tutto il territorio nazionale, spesso affidate all'organizzazione di associazioni di volontari, con la collaborazione di comuni e istituzioni;
   molti sono stati i passi avanti fatti dall'Italia su questo fronte, attraverso campagne di sensibilizzazione verso un tema difficile e delicato da affrontare, ma moltissimi sono ancora i passi da fare: il numero dei femminicidi aumenta e le denunce delle donne che subiscono violenza sono ancora troppo poche rispetto ai casi reali, anche a causa della difficoltà che le donne incontrano nel rivolgersi a centri specializzati nell'accoglienza e l'ascolto;
   in Italia, secondo un'indagine Istat del 2006, la prima sulla violenza femminile, su sei milioni e 743 mila donne che hanno subito almeno un episodio di maltrattamento (cioè il 31,9 per cento della popolazione femminile), solo il 7 per cento ha avuto il coraggio di denunciare l'aggressore, che nel 48 per cento dei casi è il marito, nel 12 per cento il convivente e nel 23 per cento l'ex;
   tuttavia, la violenza sulle donne non è solo quella fisica, quella immediatamente riconoscibile perché lascia dei segni sul corpo, esiste una violenza più sottile che non ha segni fisici evidente ma che spesso può fare più male e logorare nel tempo;
   l'abuso psicologico non presenta segnali evidenti, né per le altre persone né per la vittima e spesso molte donne non comprendono la violenza che subiscono: la violenza psicologica si fa non facendo qualcosa, sminuendo l'importanza di un pensiero, compromettendo il benessere psicologico della vittima;
   la violenza psicologica si fa provocando continuamente la vittima, con le offese, denigrando, con il disprezzo e con l'umiliazione. Inculcando nella sua mente il germe dell'ossessione, privando la vittima della sua libertà o della sua intimità. Mentendo o mettendo l'accento sugli aspetti della realtà più svalutanti, con l'esclusione dal potere decisionale o con l'esclusione da un gruppo di persone importante;
   se però già denunciare la violenza fisica è difficile per una donna, denunciare la violenza psicologica è ancora più difficile poiché spesso è la stessa donna a non riconoscere i segni di questa violenza, a non percepirla come abuso, spesso anche più grave di quello fisico perché più subdolo e costante;
   però, far capire anche a chi è deputato ad accogliere denunce o semplicemente ad ascoltare la gravità di una violenza psicologica non è semplice; per questo, accanto alla sensibilizzazione contro la violenza fisica, sarebbe importante anche promuovere programmi di sensibilizzazione contro la violenza psicologica, diffondendo ricerche e studi sul tema e cercando la chiave per far capire ai cittadini che questo tipo di violenza si può riconoscere e non è certo meno importante o grave della violenza fisica;
   anche lo stalking è un esempio, anche se più conclamato, di violenza psicologica e da un'indagine della direzione statistica del Ministero della giustizia, emerge che le azioni giudiziarie intraprese dalle vittime sono in crescita. Nel 2010 i procedimenti iscritti erano 7.296 e quelli portati a termine 4.441. Due anni dopo quelli in corso erano 11.436, mentre quelli con sentenza 8.453. La pena media inflitta allo stalker è di 14 mesi. Il 44 per cento delle donne si costituisce parte civile. Di queste, il 71 per cento ottiene il risarcimento danni. Per fortuna solo una vittima su quattro ritira la querela e le assoluzioni del maschio maltrattante sono più rare delle condanne (42,5 per cento) e dei patteggiamenti (14,9 per cento);
   grazie alle recenti campagne di sensibilizzazione su questa specifica forma di violenza, molte vittime arrivano già con la documentazione raccolta nel corso degli anni, quando non erano ancora pronte a stroncare il rapporto –:
   se, sulla base anche di quanto esposto in premessa, non si intenda affiancare alle campagne sociali contro la violenza fisica sulle donne, programmi mirati alla sensibilizzazione sulla violenza psicologica che molto spesso precede o accompagna la violenza fisica, ma che da sola è più complicata da riconoscere e dimostrare, sia per le donne sia per chi è demandato ad accoglierne le denunce. (4-11535)


   GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano con la legge 20 febbraio 2006, n. 9, ha sancito la definitiva soppressione del termine «sordomuto» sostituendolo con «sordo»; il tutto fa chiaro riferimento al fatto che il progresso scientifico e pedagogico mettono in condizione oggi la persona che nasce con un deficit uditivo di non essere più muto e di acquisire il linguaggio orale. Una condizione affinché questo si realizzi compiutamente è di sicuro la diagnosi precoce, che tuttavia ancora nel nostro Paese non è universale;
   l'ipoacusia infantile è una patologia dell'apparato uditivo che interessa circa 1/1000 nuovi nati e che, se non diagnosticata precocemente, può interferire con la vita futura del bambino e dell'adulto, poiché una normale funzione uditiva è il requisito indispensabile per un regolare sviluppo del linguaggio caratterizzato da una strutturazione precisa del sistema uditivo nervoso centrale e dei sistemi di articolazione e ideazione fonatoria;
   lo screening uditivo neonatale è, al momento, l'unico strumento a disposizione per iniziare l'accertamento della patologia e curarla preventivamente, per questo rappresenta la risposta sia ad un approccio razionale e medico del problema, sia ad un approccio economico;
   da alcune fonti emerge infatti che un bambino sottoposto a diagnosi in ritardo e destinato quindi al sordo/mutismo, abbia un costo sociale di 750 mila euro nell'arco della vita, contro i 17 mila di un bimbo che invece ha ottenuto la diagnosi in maniera precoce e che quindi è stato ri-abilitato alla lingua orale sin da subito;
   oggi, nel nostro Paese, mentre esiste lo screening obbligatorio per le malattie metaboliche – di incidenza proporzionalmente inferiore all'ipoacusia – non esiste alcuna legge nazionale che obblighi le strutture sanitarie a sottoporre i nuovi nati allo screening uditivo neonatale, che avrebbe il solo costo di un investimento iniziale sull'apparecchio per l'esame delle otoemissioni acustiche (circa 5 mila euro);
   in più di una occasione, nelle passate legislature, si è cercato di inserire lo screening uditivo nei livelli essenziali di assistenza, ma ad oggi solo alcune regioni (12 secondo alcuni dati del 2014) hanno attivato un programma di diagnosi precoce nelle proprie strutture sanitarie, tra queste l'Umbria, che effettua tali indagini dal 2004, la Toscana, che ha avviato il proprio progetto nel 2007 e la Lombardia, che ha avviato un progetto nel 2012 ma che sostanzialmente lascia l'iniziativa alla buona volontà delle singole strutture ospedaliere;
   l’American Academy of Pediatrics e l’European Consensus Statement on Neonatal Hearing Screening hanno fissato l'obiettivo per identificare e avviare una terapia riabilitativa entro i sei mesi di vita, ma ciò è evidentemente possibile solo con uno screening neonatale obbligatorio e capillare, non soltanto sui bambini a rischio audiologico ma sull'intera popolazione;
   considerando i problemi per i bambini e i futuri adulti affetti da una patologia del sistema uditivo che potrebbe poi sfociare nel sordo/mutismo, nonché l'elevata spesa sanitaria che una sordità riconosciuta tardivamente potrebbe avere, è evidente che a fronte di un – neanche troppo elevato, a parere degli interroganti – costo iniziale, effettuare lo screening uditivo neonatale universale in tutte le regioni e con un modello unico e condiviso, anche a partire dalle esperienze già presenti, vedrebbe un rapporto positivo costi/benefici sanitari –:
   quante siano attualmente le regioni che in autonomia hanno attivato e stanno effettuando un programma di prevenzione che include lo screening per la sordità neonatale;
   se ci siano a disposizione studi e dati successivi all'avvio dei programmi regionali suddetti, forniti dalle stesse regioni, che provino la reale efficacia dello screening uditivo neonatale;
   se abbia intenzione di avviare iniziative, anche di carattere normativo, per inserire lo screening uditivo neonatale nei livelli essenziali di assistenza. (4-11536)


   RICCIATTI, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, NICCHI, PANNARALE e PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la decisione della regione Marche di eliminare il punto nascite del reparto materno infantile dell'ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche ha mobilitato tutta la popolazione del territorio afferente alla struttura, unita nel protesta contro tale decisione;
   oltre alla preoccupazione espressa alla regione dalle assise comunali, dai primi cittadini e dai presidenti delle Unioni montane di San Severino Marche, Camerino e San Ginesio, si è costituito un Comitato per la salvaguardia del punto nascite che serve un territorio dell'entroterra in gran parte montano, molto vasto e disagiato per quanto riguarda la viabilità che, soprattutto nel periodo invernale, moltiplica i tempi di percorrenza;
   tale comitato ha dato, e continua a dare, vita a varie manifestazioni di protesta che riempiono le piazze (11 dicembre 2015); ha portato la protesta presso la sede della regione Marche (15 dicembre 2015), in occasione della discussione delle mozioni, cercando di dialogare con il presidente della regione Marche. Inoltre, si accinge, a quanto si apprende da notizie diffuse dalla stampa, a firmare un esposto. Tali iniziative sono finalizzate a ottenere una revisione della decisione da parte della regione Marche;
   qualora il punto nascite di San Severino Marche venisse chiuso, l'utenza delle aree, interne e montane, sarebbe costretta a rivolgersi al reparto di ostetricia più vicino, situato a Macerata. In tale ipotesi una donna si troverebbe ad affrontare, durante il travaglio, lunghi viaggi con il rischio di neve, gelo, incidenti, strade impervie, raddoppiando in più casi i tempi di percorrenza ad oggi previsti per raggiungere l'ospedale di San Severino Marche. Ciò anche in situazioni d'emergenza dove è fondamentale la vicinanza alla struttura ospedaliera, quali parti improvvisi o distacchi di placenta come verificatosi nella cittadina, in un caso risalente agli inizi di novembre 2015, dove solo un tempestivo cesareo ha salvato la vita ad una mamma e a suo figlio nato prematuramente;
   nel reparto di ostetricia dell'ospedale Bartolomeo Eustachio ci sono un numero di nascite superiori alle 500, ma si è chiesto comunque di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (cosiddetto «decreto Lorenzin»);
   la regione non ha infatti ritenuto sufficienti, per conservare il servizio, le oltre 515 nascite effettuate sino alla data odierna, motivando la decisione con una questione di sicurezza, non essendo in quel nosocomio presente il reparto di rianimazione neonatale;
   tale valutazione mette in realtà, ad avviso degli interroganti, in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario –:
   se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, per le ragioni esposte in premessa, al fine di garantire la permanenza di punti nascita, seppur in deroga ad alcun parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010;  
   come si intendano garantire i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, che trova tutela al più elevato rango dell'ordinamento, in considerazione degli oggettivi rischi per la salute delle mamme e dei nascituri causati dalla difficoltà, dovute a viabilità limitata e caratteristiche meteo-territoriali disagiate, di raggiungere il nosocomio designato dalla nuova proposta di organizzazione avanzata dalla regione Marche. (4-11537)


   PLANGGER. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è dal 2012 che, nei media di tutto il mondo, è presente la notizia secondo cui gli alimenti che contengono organismi geneticamente modificati avrebbero un pericoloso effetto tossico sugli animali;
   questa conclusione è avvalorata da uno studio francese sulla tossicità del mais transgenico «NK 603» e del Roundup (un erbicida tra i più venduti al mondo ed associato prevalentemente al mais transgenico, entrambi prodotti dalla multinazionale statunitense Monsanto) realizzato su 200 topi da Gilles Eric Séralini, ricercatore di biologia fondamentale e applicata all'Università di Caen, e pubblicato sulla rivista « Food and Chemical Toxicology»;
   i risultati di tale indagine hanno rilevato un effetto tossico del mais «NK 603» e del «Roundup» sugli animali; infatti è stato realizzato uno studio su 200 topi che ha stabilito come, anche a piccole dosi, l'assorbimento a lungo termine del mais geneticamente modificato, così come nel caso del «Roundup», agisce come un veleno molto spesso mortale, i cui effetti colpiscono prioritariamente i reni, il fegato e le ghiandole mammarie; al diciassettesimo mese dell'esperimento è stato inoltre osservato che i topi alimentati con gli ogm avevano una mortalità di cinque volte superiore rispetto agli altri;
   è parere dell'Efsa, che lo studio descritto da Séralini e altri non permette di trarre conclusioni certe sulla differenza di incidenza di tumori tra i gruppi di trattamento ed i controlli, ritenendo lo studio di scarsa qualità scientifica e concludendo che le prove attualmente disponibili non influiscono sulla rivalutazione in corso della sostanza, ammettendo altresì che non sono disponibili ulteriori studi su cui basare obiettive conclusioni;
   tale parere è contestato dallo stesso ricercatore Séralini che ha posto dei dubbi sull'Efsa stessa sostenendo che «assolutamente scandaloso che l'Efsa tenga segreti dei dati che gli hanno consentito di valutare la bontà degli Ogm e del pesticida incriminato» nel percorso per la concessione dell'autorizzazione alla commercializzazione;
   il mais transgenico «NK 603» nell'Unione europea non può essere coltivato, ma è lecita l'importazione e la commercializzazione di alimenti e ingredienti alimentari contenenti, costituiti o prodotti da esso (decisione 2005/448/CE);
   in data 24 aprile 2015 la Commissione europea con decisione di esecuzione (UE 2015/684) ha rinnovato per altri 10 anni l'autorizzazione alla commercializzazione degli alimenti, ingredienti alimentari, mangimi che contengono o sono costituiti da granturco NK603;
   tale decisione è arrivata senza il parere del comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, in quanto non si è riusciti a trovare un accordo nei tempi stabiliti dal presidente;
   secondo una indagine effettuata da Coldiretti/Swg «la contrarietà degli italiani agli organismi geneticamente modificati (Ogm) negli alimenti riguarda il 71 per cento della popolazione, una percentuale che è rimasta stabile negli ultimi cinque anni»;
   molte regioni italiane hanno votato atti di richiesta di impegno da parte del Governo a bandire gli alimenti geneticamente modificati o con additivi geneticamente modificati dal territorio nazionale, l'ultima in ordine di tempo proviene dal consiglio della provincia autonoma di Bolzano (n. 15/14 dell'8 ottobre 2015) nella quale si fa esplicito riferimento a tutti i prodotti derivanti dall'NK 603 e al mais stesso che, seppur non può essere coltivato in Europa nella sua purezza, viene coltivato come incrocio (per esempio, con MON89034, in Germania);
   la mozione del Consiglio della provincia autonoma di Bolzano chiede espressamente al Parlamento e al Governo di impegnarsi per l'introduzione di norme a livello di Unione europea, che consentano agli Stati membri di imporre divieti per quanto concerne alimenti e additivi geneticamente modificati –:
   se i Ministri non ritengano opportuno, per quanto di competenza, promuovere iniziative in sede europea, per istituire un protocollo unico per la definizione di studi «a lunga durata» sugli effetti degli ogm sugli animali e sulla salute umana;
   se il Governo non ritenga opportuno appellarsi alla clausola di salvaguardia fino all'adozione delle misure comunitarie dirette a consentire a ciascuno Stato interessato di agire di propria iniziativa per quanto riguarda il divieto di proliferazione di organismi geneticamente modificati.
(4-11557)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MOGNATO e MARTELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Finmeccanica, attraverso la propria società controllata Alenia Aermacchi partecipa con la russa SCAC alla Joint Venture per la produzione e commercializzazione del velivolo denominato «Superjet 100»;
   «Superjet 100» è un vettore innovativo, ad alto contenuto tecnologico, concepito per essere impiegato sulle tratte aeree di corto e medio raggio occupando un segmento di mercato estremamente appetibile;
   «Superjet International spa» è una società detenuta per il 51 per cento da Alenia-Aermacchi e per il 49 per cento da SCAC con sede operativa a Tessera, che impiega complessivamente circa 250 lavoratori;
   «Superjet International spa» ha come compito la commercializzazione del velivolo sul mercato europeo e occidentale, l'allestimento del vettore secondo i più avanzati standard tecnici di comfort, l'intera filiera post-vendita come pure le attività worldwide di customer support. Sono stati investiti fino ad oggi da Finmeccanica/Alenia circa 400 milioni di euro sul progetto;
   sono installati nel polo di Tessera due simulatori di volo dal valore complessivo di 11 milioni di euro per effettuare l'addestramento dei piloti;
   a più riprese nel corso degli ultimi mesi si sono succedute dichiarazioni da parte dei vertici di Finmeccanica in merito al disimpegno di Alenia-Aermacchi dalla collaborazione con SCAC, attraverso la progressiva fuoriuscita dal capitale azionario della joint venture;
   tale disimpegno sarebbe causato anche dallo scarso numero di ordinativi di velivoli, limitati sostanzialmente al mercato russo;
   la compagnia aerea messicana «Interjet» ha acquistato 20 veicoli «Superjet 100», e nel marzo 2015 ha confermato l'opzione per altri 10, da impiegare prevalentemente sulle tratte interne messicane e su quelle con il nord America;
   la compagnia aerea irlandese «Cityjet» nel mese di ottobre 2015 ha ufficializzato la commessa di 15 «Superjet 100», (1 Billion US Dollars) con un'opzione per altri 10 vettori, che opereranno dal 2017 nell’hub del «London City Airport» della stessa compagnia;
   nel mese di luglio 2015 il Ministro dei trasporti russo, Maxim Sokolov, ha confermato che erano in corso trattative con l'Iran per la vendita di 100 velivoli «Superjet 100» per ammodernare la flotta civile di quel paese;
   anche il Governo cinese ha confermato con la firma di un memorandum da parte della società per azioni «Aerei civili Sukhoi» riguardante la vendita alla società cinese «Oubei» di 100 aerei che è uno degli avvenimenti principali per l'industria aeronautica russa di quest'anno. Il contratto contribuirà all'ulteriore sviluppo di uno dei più promettenti progetti russi nel campo dell'aviazione civile;
   il Ministro degli esteri della Federazione russa, Sergei Lavrov, in visita diplomatica nel nostro Paese pochi giorni fa, ha incontrato il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Gentiloni confermando il ruolo strategico della collaborazione italo-russa nella produzione del «Superjet 100», dicendo: «Le parti continuano a realizzare progetti economici di importanza prioritaria come quello della costruzione dell'aereo Sukhoi Superjet-100, la produzione in Russia di elicotteri Agusta Westland e la modernizzazione degli stabilimenti russi per la produzione di pneumatici con la partecipazione della Pirelli»;
   vi è l'assoluta necessità di chiarire come già richiesto con l'interrogazione n. 5/06626 del 9 ottobre 2015, quali siano le prospettive di sviluppo del polo aeronautico di Tessera che oltre a «Superjet International» ospita le attività di Alenia-Aermacchi di manutenzione degli aerei Awacs oggi in esaurimento, che occupano 140 lavoratori oltre ai 250 della joint venture, per un totale di quasi 400 lavoratori –:
   se il Governo sia a conoscenza delle effettive intenzioni di Finmeccanica in merito al mantenimento della sua quota societaria in «Superjet International spa» e quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare la continuità produttiva e occupazione del polo aeronautico di Tessera, data l'attuale ripresa del mercato occidentale con le recenti vendite e prospettive commerciali. (5-07290)


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 10 dicembre 2015, l'autorità giudiziaria ha disposto il sequestro nei comuni di Decimoputzu e Guspini, in Sardegna, di due centrali a biogas di proprietà sembrerebbe della società Agricola Agrifera del gruppo Fera (Fabbrica energie rinnovabili alternative) con sede a Milano che opera nel settore delle rinnovabili;
   il provvedimento sarebbe stato preso nell'ambito dell'inchiesta «Terra nostra» condotta dal Corpo della guardia forestale della Sardegna e dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza con il coordinamento della direzione distrettuale antimafia della procura di Cagliari;
   secondo quanto emerso dai resoconti degli organi di stampa, l'inchiesta avrebbe portato alla scoperta di presunti illeciti volti al conseguimento di erogazioni pubbliche, tra finanziamenti e rimborsi energetici, pari a 8 milioni di euro (4.521.428,03 euro per l'impianto di Guspini e 3.511.349,13 per quello di Decimoputzu);
   tra i soggetti indagati risulterebbe anche la cooperativa BioEnergy di Guspini che avrebbe favorito la Agrifera nell'ottenimento, dalla regione autonoma della Sardegna e dal GSE spa, delle autorizzazioni necessarie per poter accedere agli incentivi riconosciuti ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, la società Agrifera avrebbe dovuto alimentare le due centrali, attraverso la coltivazione di fondi agricoli e la fornitura di biomassa;
   nel corso delle indagini gli inquirenti avrebbero rilevato che la società non avrebbe avuto i requisiti per ottenere le autorizzazioni e i contributi;
   allo stato attuale, sarebbero indagate nove persone, del management di Fera, Agrifera e BioEnergy;
   l'indagine sarebbe scaturita da una serie di segnalazioni giunte da comitati di cittadini preoccupati per la presenza di centrali a biomasse in territori a esclusiva vocazione agropastorale;
   GSE spa società pubblica, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, svolge molteplici attività nell'ambito della promozione delle fonti rinnovabili, tra cui, attività di controllo e certificazione, anche al fine di erogare incentivi e finanziamenti;
   nel caso venissero confermate le contestazioni che sarebbero state formulate dagli inquirenti, si potrebbe ipotizzare che, tra le altre cose, si siano determinate delle inefficienze nel sistema dei controlli e delle sanzioni, in capo al GSE, in materia di incentivi alla produzione da fonti rinnovabili;
   la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è incentivata con il contributo di tutti i cittadini, attraverso un rincaro della tariffa elettrica; risulterebbe inaccettabile che si verificassero delle inefficienze e criticità nel sistema che vigila sulla legittima allocazione delle risorse derivanti dalla tariffa elettrica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per accertare eventuali inefficienze o responsabilità nel sistema per la certificazione, il controllo e l'erogazione degli incentivi, di cui in premessa, anche al fine di evitare che si possano verificare in futuro vicende analoghe a quelle illustrate in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per rendere più efficiente la disciplina dei controlli e delle sanzioni in materia di incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, a garanzia di una legittima allocazione delle risorse derivanti dalla tariffa elettrica.
(5-07292)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a distanza di una settimana, l'8 e il 14 dicembre 2015, due scosse di terremoto, di magnitudo 2 e 2,5, hanno messo in allarme i cittadini della provincia di Lodi, alimentando dubbi, domande e timori sul collegamento del sisma al deposito di stoccaggio del gas autorizzato a Cornegliano Laudense;
   non ci sono stati danni, anche a causa della distanza dell'epicentro, a 8 chilometri e a 37 chilometri di profondità;
   a Cornegliano Laudense, nel Comune di Lodi, è stata autorizzata la conversione di un giacimento esaurito di gas naturale in impianto di stoccaggio di gas;
   la società Ital Gas Storage s.r.l. ha presentato il primo progetto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per una verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale il 31 maggio 2006; con provvedimento direttoriale DSA/2007/21157, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha escluso dalla valutazione di impatto ambientale solo la parte del progetto relativa alla prospezione sismica 3D, e ha assoggettato a valutazione di impatto ambientale tutta la restante parte di progetto, come la perforazione dei pozzi e la costruzione e l'esercizio della centrale di stoccaggio;
   pertanto, in data 30 ottobre 2007 la società Ital Gas Storage s.r.l. ha presentato istanza di valutazione di impatto ambientale relativa alla «concessione di stoccaggio di modulazione di Gas naturale»; il decreto di valutazione di impatto ambientale DVA-DEC-2009-0000047 è stato emanato nel 2009 e l'autorizzazione finale del Ministero dello sviluppo economico è stata rilasciata nel 2011;
   come tutti i campi di stoccaggio di gas, il lavoro dell'impianto sarà ciclico: per 6 mesi (da aprile a settembre) si inietta il gas entro il giacimento e per i successivi 6 mesi (da ottobre a marzo) lo si estrae; pertanto, la zona verrà continuamente sottoposta a sollecitazioni per l'iniezione e sottrazione di gas;
   il ciclo di funzionamento ordinario per il giacimento di Cornegliano prevede nella fase di svaso l'erogazione di un flusso di 10 milioni di metri cubi giorno con una capacità di punta di 16,5 milioni di metri cubi giorno, per fronteggiare un picco di domanda di gas; tuttavia, articoli dei giornali riportano una capacità dell'impianto stimata in 2,2 miliardi di metri cubi di gas e picchi di movimentazione pari a 27 milioni di metri cubi giornalieri;
   da quanto si apprende dal sito web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il problema degli effetti della possibile sismicità indotta dalla iniezione del fluido nel sottosuolo è contemplato delle prescrizioni del decreto di valutazione ambientale che comprendono, tra l'altro:
    «l'installazione di una rete microsismica per la valutazione della possibile sismicità indotta dalla iniezione del fluido nel sottosuolo, attraverso geofoni di precisione, entro le pertinenze minerarie, collegati via cavo e via radio all'unità di registrazione. Si prevedono verifiche sperimentali per escludere le interferenze prodotte dal traffico veicolare e dai compressori;
    approfondimento delle caratteristiche fisico-meccaniche delle rocce costituenti il serbatoio e il rock, finalizzato alla verifica del comportamento sotto sforzo delle rocce e degli stati limite, attraverso un programma di prelevamento di campioni durante le perforazioni da assoggettarsi a prove geotecniche e petrofisiche e successive modellazioni;
    realizzazione di un modello tridimensionale polifasico policomponente calibrato del flusso nei mezzi porosi per la verifica della tenuta della struttura geologica durante la fase di esercizio»;
   si apprende dai giornali che ultimamente, sono state mappate dall'ISPRA due nuove faglie capaci, la 34 e la 35, che toccano il territorio lodigiano e attraversano l'area del deposito di gas;
   nonostante le scosse sismiche, i lavori sono stati avviati per la costruzione del deposito di stoccaggio di gas e la popolazione teme che l'attività dell'impianto, con la continua iniezione ed estrazione di gas, possa causare sismi naturali –:
   se i Ministri interrogati intendano sospendere i cantieri per effettuare ulteriori indagini sulla compatibilità del deposito di stoccaggio del gas, autorizzato a Cornegliano Laudense, in relazione alle caratteristiche telluriche della zona e se non intendano dare risposte certe ai cittadini della provincia di Lodi circa la possibilità di collegamento delle scosse avvenute nei giorni scorsi con l'inizio delle attività di cantiere per la costruzione dell'impianto. (4-11550)


   RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi della chimica italiana sembra non avere fine. Eni ha deciso di vendere la Versalis, la società che ha raccolto l'eredità di Enichem, a tutt'oggi e nonostante la varie ristrutturazioni, il principale gruppo del settore in Italia, una delle società controllate, che conta 4.400 dipendenti ed ha stabilimenti sparsi in tutta Italia;
   un altro pezzo importante dell'industria italiana sta per passare sotto il controllo di un gruppo estero. Quello che una volta era il colosso di Stato della chimica sta per abdicare, per cederne il controllo a una multinazionale, con tutte le incognite che questo tipo di operazione comporta;
   la cessione delle chimica «verde» di Versalis è stata avviata dopo l'arrivo – un anno fa – del nuovo amministratore delegato Claudio Descalzi che vuole riposizionare le attività industriali di Eni: in pratica, concentrarle solo sull'estrazione e commercializzazione di idrocarburi (più gas che petrolio);
   per i sindacati si tratta dell'ennesima cessione di attività industriali all'estero. E per di più con l'avallo del Governo, visto che ne è il socio di controllo. Per Eni, si tratterebbe «di dare un futuro al gruppo». Le stesse motivazioni con cui il Governo ha dato il «via libera» alla cessione di Ansaldo Breda e Ansaldo Sts, uscite dal perimetro del gruppo Finmeccanica per passare sotto ai giapponesi di Hitachi, che come primo atto provvederanno a cancellarne lo storico marchio;
   secondo l'analisi fatta dalle sigle sindacali non si è di fronte ad un normale riassetto di una grande azienda, ma allo smantellamento della chimica italiana e ad una accelerazione del processo di trasformazione dell'Eni che vede le sue attività tutte concentrate fuori dall'Italia;
   la Commissione industria del Senato ha avviato una indagine conoscitiva su Versalis, la cui ventilata cessione di quote, visto il basso prezzo del greggio, può generare appetiti speculativi –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di evitare che l'ultimo campione della chimica nazionale venga ceduto all'estero con sicure gravi ripercussioni sui livelli occupazionali, cosa che farebbe seguito alle scelte di Eni di mettere sul mercato le attività di trading del gas ai clienti finali e del pacchetto di maggioranza di Saipem, tenendo conto che per impedire che anche quest'ultima finisse in mano a gruppi stranieri, interessati solo alla quota di mercato, il Governo è intervenuto con il fondo strategico della cassa depositi e prestiti che ne ha rilevato il 12 per cento, operazione che sarebbe indispensabile fosse replicata per Versalis. (4-11551)

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ATTAGUILE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un affitto su due, in Italia, non è pagato regolarmente. In media, oltre il 50 per cento dei proprietari denuncia mensilità non pagate, con punte vicine al 60 per cento a Napoli e al 45 per cento a Roma, quota che scende al 35 per cento a Milano;
   i dati sugli sfratti esecutivi nel 2013 pubblicati dal Ministero dell'interno rivelano che i provvedimenti di sfratto emessi sono stati 73.385, in crescita su base annua del 4,4 per cento. Tra le cause, nell'89 per cento dei casi, vi è la morosità;
   per fare fronte all'emergenza abitativa il Governo ha varato, nel luglio 2014 il fondo per la morosità incolpevole;
   il Fondo di garanzia a copertura del rischio di morosità involontaria è stato dotato di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. L'obiettivo è quello di «garantire il rischio di morosità da parte di quei locatari, generalmente affidabili, che a causa della sfavorevole situazione economica che attraversa il Paese, si trovano momentaneamente in difficoltà». L'accesso al Fondo consente la sospensione temporanea del pagamento dei canoni di affitto;
   secondo i dati pubblicati dal Ministero dell'interno, sul totale dei 73.385 provvedimenti di sfratto del 2013 sono diversi i motivi per cui si giunge all'insolvenza: la morosità per l'89 per cento, la finita locazione per il 7,4 per cento e la necessità del proprietario per il 3,6 per cento;
   il 53,8 per cento degli sfratti riguardano i comuni capoluogo mentre il 46,2 per cento le province. Le richieste di esecuzione sono state 129.575 con una crescita del 2,15 per cento. L'aumento più importante, il 7,75 per cento, è rappresentato dagli sfratti eseguiti per morosità, 31.399;
   negli ultimi 5 anni gli sfratti sono stati 332.169, di cui 288.934 per morosità. Su 332.169 sentenze sono 145.208 gli sfratti eseguiti con intervento dell'ufficiale giudiziario, mentre le richieste di esecuzione sono state 129.577. In sostanza, più di un inquilino su dieci in affitto da privati ha subito uno sfratto per morosità;
   l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre le tradizionali categorie a rischio, anche fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
   purtroppo, sussistono ancora le condizioni che hanno indotto a concedere la proroga dell'esecuzione degli sfratti riguardanti particolari categorie sociali disagiate, concessa con l'articolo 8, comma 10-bis, del decreto Milleproroghe (decreto-legge n. 192 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2015), il quale ha prorogato al 28 giugno 2015 l'esecuzione degli sfratti per finita locazione di cui alla legge 8 febbraio 2007, n. 9;
   tale normativa ha disposto che, al fine di ridurre il disagio abitativo e di favorire il passaggio da casa a casa per le particolari categorie sociali individuate dall'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9, gli inquilini «disagiati», in attesa della realizzazione delle misure e degli interventi previsti dal Piano nazionale di edilizia abitativa di cui all'articolo 2 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo è stata ulteriormente differita al 28 giugno 2015 dall'articolo 8, comma 10-bis, del decreto-legge n. 192 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2015;
   possono richiedere la proroga di 4 mesi i cosiddetti inquilini «disagiati», vale a dire quei soggetti che:
    a) hanno un reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro;
    b) sono o hanno nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento;
    c) non possiedono altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza. Sono inclusi anche i nuclei familiari che, ferme le condizioni precedenti, includono figli fiscalmente a carico;
   peraltro la proroga concessa fino al 28 giugno 2015 ed in prossima scadenza presenta delle evidenti criticità. In primo luogo la proroga è disposta su istanza di parte ma a discrezione del giudice che valuta caso per caso; in secondo luogo, se finora le condizioni che davano diritto alla proroga (età, reddito, handicap, malattie terminali, composizione dello stato di famiglia) potevano essere semplicemente autocertificate con dichiarazione consegnata all'ufficiale giudiziario, ora invece è necessario un ricorso al tribunale e per farlo si devono sostenere dei costi anche superiori a 300 euro: tra iscrizione, copie, notifiche e l'onorario dell'avvocato;
   la necessità di concedere un'ulteriore proroga e a condizioni più ragionevoli di quelle illustrate emerge dal fatto che gli inquilini «disagiati» pagano regolarmente il canone di locazione e, se non fosse loro concessa una proroga, sarebbero incostituzionalmente e irragionevolmente discriminati rispetto ai conduttori morosi i quali, essi si, potrebbero beneficiarne;
   la negazione di una proroga agli inquilini disagiati sarebbe secondo l'interrogante incostituzionale per disparità di trattamento e irragionevolezza se si considera che generalmente il locatore che ha stipulato un contratto ordinario a equo canone, può richiedere il rilascio dell'immobile solo se ha necessità dello stesso per sé o per la propria famiglia, anche solo al fine di farne una speculazione edilizia;
   è evidente che, se l'inquilino appartenente alle categorie disagiate (ragione per cui naturalmente riscontra maggiori difficoltà nel trovarsi un'altra sistemazione abitativa) corrisponde regolarmente il canone di locazione (quindi non è moroso), egli è certamente più meritevole di tutela rispetto all'inquilino moroso ovvero che corrisponde un canone di locazione in misura minore del dovuto e al quale si concede una proroga;
   inoltre, se il proprietario non ha necessità di abitare la casa, sarebbe ragionevole e conforme alla Costituzione far prevalere sull'interesse egoistico di quest'ultimo al rilascio dell'immobile, la funzione sociale del contratto liberamente concluso a suo tempo, contratto che almeno andrebbe rinnovato per altri sei anni, semmai lasciando al giudice la possibilità di stabilire se il proprietario abbia o meno motivi validi e meritevoli di tutela per rientrare in possesso dell'immobile medesimo;
   inoltre, sempre al fine di assicurare una più efficace tutela agli inquilini «disagiati» non morosi, andrebbe negata alle società di capitali proprietarie di immobili la possibilità di richiederne il rilascio solo per perseguire un profitto o per ragioni di speculazione;
   in merito, appare utile evidenziare che la maggior parte degli immobili per i quali scadrà prossimamente la proroga sono di proprietà di enti o di società di capitali, il cui interesse al rilascio dei medesimi in danno di inquilini appartenenti alle categorie «disagiate» non è meritevole di tutela se questi ultimi pagano regolarmente il canone di locazione e quindi non sono morosi;
   la necessità di concessione di una ulteriore proroga oltre il 28 settembre 2015 appare, infine, doverosa considerata la situazione economica stringente che si riverbera proprio sui soggetti più deboli quali disoccupati, ammalati senza reddito, famiglie numerose, diseredati e senza casa, circostanze che non possono essere ignorate da uno Stato sociale che ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, che, ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione prescrive quale compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», e che, infine, ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione «... La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti...» –:
   se il Governo, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, non intenda promuovere delle iniziative per far fronte alla situazione di difficoltà e di urgenza, ovvero se, stante la grave situazione di indigenza in cui versano centinaia di migliaia di famiglie italiane, intenda assumere iniziative normative per la proroga dell'esecuzione degli sfratti oltre la data del 28 giugno 2015 (previsto, da ultimo, dall'articolo 8, comma 10-bis, del decreto milleproroghe (decreto-legge n. 192 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2015) a beneficio delle seguenti categorie di soggetti: anziani ultrasessantacinquenni; portatori di handicap gravi o minori; malati gravi o terminali e soggetti che non dispongono di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza, a condizione che i beneficiari non siano incorsi in morosità e posseggano un reddito annuale complessivo familiare inferiore a 27.000 euro. (4-09418)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 22 giugno 2015, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La legge 8 febbraio 2007, n. 9, al fine di contenere il disagio abitativo presente soprattutto nei comuni metropolitani, ha sospeso le procedure esecutive di sfratto per finita locazione nei confronti di determinate categorie. Si tratta di nuclei familiari in possesso dei seguenti requisiti; reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro; che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, purché non in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza. La sospensione si applica, alle stesse condizioni, anche ai conduttori che abbiano, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico.
  Successivamente, ulteriori provvedimenti legislativi, hanno prorogato la sospensione delle procedure di sfratto per tali categorie; l'ultima proroga ha avuto efficacia fino al 31 dicembre 2014. La sospensione ha interessato circa 2000 nuclei familiari. Il dato è stato desunto dall'Agenzia delle entrate sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate dai proletari che possono, a fronte del mancato rilascio dell'immobile, non dichiarare ai fini Irpef il reddito derivante dalla locazione dell'immobile interessato dalla sospensione. Per maggiore informazione va segnalato che il fenomeno sfratti riguarda anche la categoria morosità (circa 65.000 a livello aggregato), unitamente a quella della finita locazione (circa 5000) che investe categorie più ampie di quelle considerate dalla legge n. 9 del 2007; residuale risulta essere lo sfratto per necessità del locatore (circa il 3 per cento).
  Tra le diverse recenti misure di contrasto al disagio abitativo adottate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) si ricorda il Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili ed alloggi di edilizia residenziale pubblica (ERP), adottato ai sensi ex articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014, il quale, con una dotazione di 467,9 milioni di euro, prevede espressamente che parte degli alloggi recuperati siano prioritariamente assegnati ai soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio in possesso delle caratteristiche economico-sociali individuati dal citato articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9.
  Per quanto concerne il Fondo nazionale per l'accesso alle abitazioni in locazione di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (definanziato dal 2012) è stata ripartita ed erogata alle regioni la disponibilità 2014-2015 di complessivi 200 milioni di euro nel biennio.
  Si evidenzia che tale strumento può essere ora utilizzato, oltre che per la concessione ai conduttori aventi determinati requisiti di contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione, anche per sostenere iniziative intraprese dai comuni e dalle regioni volte a favorire la mobilità nel settore della locazione, attraverso il reperimento di alloggi da concedere in locazione a canoni concordati di cui può beneficiare l'intera platea dei soggetti sottoposti a procedura di rilascio dell'immobile purché in possesso di determinati requisiti, secondo quanto stabilito dall'articolo 2 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito dalla legge 13 maggio 2014, n. 80.
  Con il decreto 29 gennaio 2015, concernente il riparto della disponibilità assegnata al mondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per l'anno 2015 (100 milioni di euro) si è ritenuto di avviare, in aggiunta alle finalità generali del mondo che consente di erogare contributi per il pagamento dei canoni di locazione per soggetti in possesso di determinati requisiti anche concrete azioni di contrasto al disagio abitativo dei conduttori di immobili appartenenti alle categorie sociali di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2009, n. 9, sottoposti a procedure esecutive di rilascio per finita locazione.
  Per le sopracitate finalità il decreto intende promuovere, prioritariamente, la sottoscrizione di nuovi contratti a canone concordato.
  Il decreto ministeriale 29 gennaio 2015 ha previsto che i comuni interessati, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso, comunicassero alla regione il numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle categorie sociali di cui al citato articolo 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007 e che le regioni, nei successivi trenta giorni, provvedessero al riparto delle disponibilità e all'erogazione delle risorse statali trasferite; si è trattato, pertanto, di una procedura che si è svolta esclusivamente a livello territoriale (comunale e regionale).
  Si segnala, inoltre, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comunque avviato un monitoraggio per misurare l'efficacia delle misure di sostegno poste in essere relativamente alle annualità 2014 e 2015.
  Fattore di forte criticità, segnalato dalle regioni, all'interno della procedura di assegnazione e utilizzo delle risorse relativamente all'utilizzo dell'accantonamento del 25 per cento del riparto 2015 del Fondo di cui alla legge n. 431 del 1998, è l'estrema difficoltà dei comuni di accedere ai dati relativi al numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle categorie sociali di cui al citato articolo 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007.
  In merito al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni, dai dati acquisiti al 30 aprile 2015, sulla disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 pari ad oltre 324 milioni di euro (di cui 200 milioni statali) le risorse assegnate dalle regioni ai comuni ammontano a 93,7 milioni di euro e quelle effettivamente trasferite sono circa 75 milioni. Mentre, sull'utilizzo della riserva del 25 per cento sul riparto 2015 di 100 milioni, il monitoraggio restituisce un dato di pressoché inutilizzo: 1,4 milioni su 25. Anche alla data del 30 giugno 2015 si evidenzia un utilizzo che, seppure incrementato rispetto al precedente valore riscontrato, risulta comunque ridotto euro 3.540.854,23. In tale contesto le regioni che hanno utilizzato seppure parzialmente la riserva del 25 per cento sono: Toscana euro 994.000,00 – Lazio euro 900.000,00 – Abruzzo euro 14.460,00 – Molise euro 205.148,141 – Puglia euro 1.344.000,00 – Sardegna euro 133.245,82 euro.
  Peraltro, dette regioni che hanno parzialmente utilizzato tale riserva e hanno fornito esclusivamente il dato aggregato economico utilizzato e non il numero dei contributi assegnati. Soltanto le regioni Puglia e Sardegna hanno elencato i comuni cui hanno trasferito le risorse.
  Per quanto concerne, poi, il fondo inquilini morosi incolpevoli, il monitoraggio restituisce un quadro procedurale regionale molto articolato. Su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (di cui 68,46 statali) le risorse assegnate dalle regioni si attestano a 23,49 milioni mentre quelle effettivamente trasferite sono pari a poco più di 12 milioni. I contratti rinnovati ammontano a 204; i nuovi contratti sottoscritti a canone concordato sono 78; quelli rinegoziati con un canone inferiore risultano 38; i differimenti di esecuzione dei provvedimenti di rilascio sono 501; le assegnazioni di alloggi ERP sono 31.
  A fronte del quadro sopra descritto, che restituisce un utilizzo non soddisfacente delle risorse impiegate da parte degli enti beneficiari, è intenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti precisare, mediante apposita circolare, le iniziative da assumere per un coinvolgimento più incisivo degli enti locali al fine di ridurre l'impatto degli sfratti innalzando l'efficacia della misure di sostegno poste in essere.
  In particolare, si è sensibilizzato il Ministero dell'interno affinché i prefetti diano comunicazione ai sindaci della data di impiego della forza pubblica per l'esecuzione dei provvedimenti di sfratto al fine di consentire agli stessi di adottare tutte le misure che favoriscono il passaggio di casa in casa dei soggetti interessati dalle procedure esecutive di rilascio per finita locazione, e di attivarsi inoltre, per l'utilizzo delle risorse di cui al punto 2 del citato decreto 29 gennaio 2015 di riparto della disponibilità 2015 assegnata al fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione promuovendo, prioritariamente, la sottoscrizione di nuovi contratti a canone concordato; ancora l'assegnazione in via prioritaria, qualora i soggetti interessati siano in possesso dei requisiti previsti per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, degli alloggi di risulta da recuperare con interventi di non rilevante entità, vale a dire massimo 15 mila euro ad alloggio, del predetto programma di recupero ERP; infine, qualunque ulteriore e utile iniziativa, anche per il tramite di agenzie o istituti per la locazione.
  Si ricorda, da ultimo, che sul tema della proroga sfratti sono in corso, presso il diversi incontri con il sindacato inquilini e altre associazioni di categoria per individuare azioni che non siano una «proroga della proroga», ma che portino a realizzare la politica del passaggio da casa a casa dei soggetti interessati.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   BASILIO, RIZZO, FRUSONE, TOFALO e LOMBARDI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del 7 aprile 2015 a firma del vice-direttore del Centro unico stipendiale dell'Esercito viene data disposizione di estendere al personale in posizione di ausiliaria cessato dal servizio nel quadriennio 2011-2014 gli adeguamenti economici per effetto del cosiddetto sblocco stipendiale previsti dalla legge di stabilità 2015;
   analoghe disposizioni sarebbero state estese anche al personale delle altre forze armate e dei carabinieri;
   per effetto della disposizione in parola i militari pensionati, ma ancora nella posizione di ausiliaria, vedono così incrementato il proprio trattamento economico con conseguente ricalcolo della pensione una volta conclusa l'ausiliaria, cosa che non sembra corrispondere né alla lettera né allo spirito del provvedimento di sblocco che era diretto al personale in servizio –:
   se il Ministro sia a conoscenza di queste disposizioni;
   quali siano i presupposti interpretativi delle norme contenute nella legge di stabilità 2015 che le giustifichino.
(4-08821)

  Risposta. — Al personale militare in ausiliaria, che può permanere in tale posizione al massimo per 5 anni, compite, in ragione degli obblighi e dei vincoli ai quali è sottoposto, ima peculiare indennità, mirata a riconoscergli una percentuale (attualmente il 50 per cento) della differenza tra la pensione maturata e la retribuzione dovuta al pari grado in servizio (con riferimento alle voci di carattere fisso indicate dalla legge). A fronte di ciò, l'intero trattamento di quiescenza (composto da pensione e indennità di ausiliaria) è gravato delle medesime ritenute previdenziali applicate in servizio, in funzione del ricalcolo della pensione previsto all'atto della cessazione dall'ausiliaria.
  In tale contesto, venendo più direttamente ai contenuti dell'atto di sindacato ispettivo in esame, lo sblocco intervenuto, dal 2015, delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, grazie all'azione propulsiva di questo Governo, ha correttamente trovato, di riflesso, parziale applicazione anche nei riguardi dei militari collocati in ausiliaria durante il quadriennio 2011-2014, se ancora si trovavano in tale posizione al 1o gennaio 2015, in quanto ha comportato, in taluni casi, la rivalutazione dalla medesima data dell'indennità di ausiliaria.
  In particolare, a seguito del riavvio delle ordinarie dinamiche retributive al personale in argomento è stata riconosciuta nell'ambito dell'indennità di ausiliaria una percentuale di quegli emolumenti (ad esempio connessi a una promozione al grado superiore) che aveva solo teoricamente maturato quand'era in servizio ma che non aveva potuto percepire in costanza del regime di blocco.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   SDA Express Courier, azienda del gruppo Poste Italiane, è il partner unico per la gestione logistica, distributiva, l’e-commerce e per la vendita a distanza;
   un network radicato sull'intero territorio nazionale consegna ogni giorno migliaia di spedizioni in oltre 200 Paesi nel mondo, grazie ad una squadra di oltre 4.000 persone tra dipendenti e collaboratori e circa 4.500 mezzi che collegano l'Italia quotidianamente;
   si apprende dalla stampa che mentre i facchini SDA dei magazzini romani di via di Corcolle erano in stato di sciopero — in solidarietà con i lavoratori dell’hub di Bologna sotto licenziamento — e dopo la rottura dell'ennesimo tavolo di trattativa, «una squadraccia di una decina di driver e crumiri, capeggiata da un responsabile Sda ed un padroncino, entrambi noti fascisti, ha attaccato il presidio con manganelli telescopici, bottiglie e caschi»;
   sempre dall'articolo stampa si apprende «Impassibile la reazione delle due volanti della polizia presenti sul posto già dalle prime ore del mattino. L'attacco, visibilmente premeditato, ha colto di sorpresa il picchetto causando il grave ferimento di 4 facchini — trasportati d'urgenza al pronto soccorso — e alcune lesioni per molti dei solidali accorsi in sostegno» –:
   se la descrizione sopra riportata corrisponda al vero e, nel caso, quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di evitare il ripetersi di simili eventi, nel rispetto del diritto di sciopero sancito dalla Costituzione. (4-09276)

  Risposta. — La manifestazione a cui fa riferimento l'interrogante si è svolta senza che fosse stato dato alcun preavviso agli organi di polizia che, appena allertati, sono giunti tempestivamente sul luogo evitando che la situazione degenerasse.
  Ciò premesso, si rappresenta che il 19 maggio 2015 a Roma, verso le ore 6.00, personale del commissariato di pubblica sicurezza «San Basilio» è stato allertato circa lo svolgimento di una manifestazione già in corso in via di Salone, nei pressi della sede della società di spedizioni «SDA Express Courier», azienda legata a Poste italiane.
  Giunte sul posto, le forze dell'ordine, successivamente supportate anche da personale del Reparto Mobile, della Digos e della Polizia scientifica, hanno constatato la presenza di circa 30 persone, fra le quali alcuni dipendenti delle cooperative di facchinaggio presso la società SDA, altri spedizionieri delle aziende circostanti (TNT, GLS, BRT), esponenti delle organizzazioni sindacali di base e di alcuni centri sociali, che manifestavano la propria solidarietà ai dipendenti della SDA di Bologna nei cui confronti pendevano provvedimenti di licenziamento.
  L'inizio delle colluttazioni, sviluppatesi fra manifestanti e altri dipendenti non aderenti alla protesta e presenti sul posto al solo fine di raggiungere la sede di lavoro o di uscirne, aveva anticipato, seppur di poco, l'arrivo sul posto delle Forze dell'ordine, costrette pertanto ad interporsi fra le opposte fazioni in uno scenario di ostilità già in atto.
  L'agitazione ha determinato il blocco totale del flusso dei mezzi di trasporto sia in entrata che in uscita dall'azienda, con gravi ripercussioni anche sul normale traffico veicolare della zona di Settecamini.
  Grazie all'azione di contenimento esercitata con non poche difficoltà dagli operatori di polizia, la regolare viabilità è stata ripristinata e, dalle ore 8,00 circa, i manifestanti sono stati fatti spostare in un altro settore adiacente alla società di spedizioni.
  Alle ore 13.00 circa, tutti i convenuti si sono allontanati e le attività della società di spedizione hanno ripreso normalmente il loro ciclo.
  Si informa che cinque dei manifestanti rimasti contusi nella colluttazione sono stati refertati presso alcuni nosocomi della Capitale.
  Si rappresenta, infine, che in ragione del permanere dello stato di agitazione sindacale dei dipendenti della SDA e di possibili iniziative di protesta da parte di soggetti aderenti all'area antagonista finalizzate al blocco dell'attività della predetta società, la Digos ed il commissariato di zona hanno monitorato costantemente la situazione con mirata attività preventiva.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MATTEO BRAGANTINI, CAON, MARCOLIN e PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 20 agosto 2015 si è inaugurata, a Reggio Emilia, Festareggio, la festa del Pd. Ad aiutare gli organizzatori anche una trentina di profughi, che avrebbero collaborato come volontari e che sarebbero stati impiegati come lavapiatti, per la preparazione degli stand e per piccole manutenzioni. Il tutto come attività gratuita e volontaria. Ma la scelta ha sollevato non poche polemiche;
   queste sono riferite non solo alla sicurezza di tali lavoratori, ma, soprattutto, alle motivazioni che hanno spinto gli organizzatori a far ricorso a questi soggetti, dal momento che alcune immagini di un servizio televisivo di TgReggio riprendono i profughi — volontari durante alcune operazioni preparatorie: come la movimentazione di un frigorifero e di alcuni tavoli e di come questi fossero privi di guanti di protezione ed utilizzassero anche un transpallet che sicuramente può essere pericoloso se non usato da personale esperto. Ci si è, dunque, chiesto da più parti se piuttosto di impiegare queste persone per un evento simile, non fosse più opportuno impiegarle per lavori al servizio dell'intera collettività, visto che è l'intera comunità che si assume i costi per il loro sostentamento nel periodo di permanenza nel nostro Paese;
   gli organizzatori investiti dalle polemiche replicano che: «Noi abbiamo aderito a un progetto della cooperativa che coinvolge diverse associazioni e diverse parrocchie, per far fare a queste persone attività in favore della comunità... Hanno la possibilità di farsi raccontare dagli altri volontari le particolarità della comunità che li ospita, di imparare l'italiano. Non è una cosa nuova, abbiamo 12 carcerati che lavorano già per la Festa»;
   si ricorda che la polemica scoppia all'indomani della firma in Regione Emilia Romagna di un protocollo per l'impiego dei profughi in lavori socialmente utili. In ogni caso, alcuni giorni dopo l'inaugurazione, il coordinatore del centro di accoglienza straordinaria della cooperativa «Dimora d'Abramo», in un comunicato stampa, ha fatto sapere che: «Da oggi nessun profugo sarà più presente come volontario a “Festareggio”. È una decisione assunta insieme alla prefettura di Reggio Emilia, che resta il nostro punto di riferimento per tutti i temi legati alla accoglienza e all'assistenza ai profughi» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, per verificare, nel caso specifico, la regolarità dell'impiego di questi soggetti, seppur per pochi giorni, all'interno della sopra citata festa e comunque, in via generale qualsiasi impiego di «profughi» in ambiti privati e non al servizio dell'intera comunità che li ospita. (4-10384)

  Risposta. — L'interrogazione in esame verte su un aspetto peculiare di «Festareggio», la festa del Partito Democratico tenutasi la scorsa estate a Reggio Emilia, cioè sulla collaborazione prestata a titolo volontario da una trentina di profughi adibiti, nel corso dell'iniziativa, a lavori manuali. In proposito, l'interrogante ha chiesto se sia stata valutata la regolarità dell'impiego dei predetti stranieri.
  Si premette, in linea generale, che con circolare del 27 novembre 2014 il Ministero dell'interno-dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ha richiamato l'attenzione delle Prefetture sulla possibilità di sottoscrivere protocolli di intesa con gli enti locali, anche costituiti in consorzio, volti a porre in essere percorsi finalizzati a superare la condizione di passività dei migranti ospitati nelle province di rispettiva competenza, attraverso l'individuazione di attività di volontariato di pubblica utilità svolte a favore delle popolazioni locali.
  Nella circolare è stato precisato che le attività oggetto dei protocolli d'intesa, da un lato, devono essere rivolte esclusivamente ai richiedenti asilo e a coloro che sono in attesa della definizione del ricorso in caso di impugnativa della decisione negativa della competente Commissione territoriale, dall'altro, devono rispondere ai seguenti requisiti:
   1) devono essere svolte esclusivamente su base volontaria e gratuita;
   2) devono essere finalizzate al raggiungimento di uno scopo sociale e non lucrativo;
   3) deve essere sottoscritta un'adeguata copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi e contro gli infortuni, non a carico di quest'Amministrazione;
   4) deve essere assicurata una formazione adeguata alle attività che saranno svolte dai migranti volontari;
   5) gli stranieri devono aderire, in maniera libera e volontaria, ad un'associazione e/o ad un'organizzazione di volontariato.

  Tanto premesso, venendo alla specifica vicenda segnalata con l'interrogazione, si rappresenta che la prefettura di Reggio Emilia, rilevata nella circostanza l'insussistenza dei presupposti – in particolare quello della pubblica utilità delle attività svolte presso «Festareggio» – che avrebbero legittimato la partecipazione di stranieri a mirati progetti di volontariato, ha formalizzato una lettera di contestazione alla cooperativa sociale «Dimora d'Abramo», capofila dell'ATI aggiudicataria dell'appalto per l'accoglienza dei migranti nella provincia di Reggio Emilia, invitandola a non proseguire nell'iniziativa in questione.
  Ha poi interessato anche la locale direzione territoriale del lavoro, per le verifiche di competenza attinenti i profili relativi a eventuali attività lavorative improprie.
  Al riguardo, la presidenza della cooperativa «Dimora d'Abramo» ha giustificato l'accaduto, motivandolo con l'intento di promuovere iniziative volte a favorire la socializzazione e il superamento dell'inattività dei suddetti migranti nella fase di accoglienza. Ha rappresentato che comunque l'impiego dei migranti era avvenuto in modo assolutamente volontario e senza alcun compenso, sulla base di una convenzione tra la stessa cooperativa e il Partito Democratico «Circolo Festa Reggio».
  Contestualmente, la cooperativa, con la medesima nota di precisazioni, ha altresì assicurato che i volontari impiegati erano stati comunque tutelati sotto il profilo previdenziale-antinfortunistico, in quanto coperti da apposita polizza assicurativa.
  Riguardo a quest'ultimo aspetto, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha rappresentato che non sono emerse situazioni di violazioni della normativa in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, come riferito dalla competente AUSL di Reggio Emilia, appositamente incaricata.
  Per completezza si fa presente inoltre che, sulla vicenda, il 25 settembre 2015 la prefettura di Reggio Emilia ha anche riferito al capogruppo consiliare della Lega Nord, riscontrando analoga richiesta.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie sulla stampa si evince che Poste italiane, nel piano di «rimodulazione» degli uffici a livello nazionale, ha previsto che l'ufficio postale di Fossalon (Gorizia) cesserà l'attività dal 13 aprile 2015, unico in tutta la provincia di Gorizia a subire questa sorte: decisione che le Poste hanno giustificato citando i ridotti flussi di utenti e gli alti costi di gestione, essendo i locali in affitto;
   Fossalon è un comune situato nella zona del Gradese, distante da altri centri abitati e dai loro uffici postali, tanto che gli sportelli più «vicini» sarebbero quelli di Grado centro e Grado pineta o Monfalcone, tutti ad almeno una ventina di chilometri;
   la chiusura dello sportello quindi causerebbe disagi non indifferenti specie agli utenti anziani, impossibilitati o fortemente in difficoltà a muoversi;
   una precedente preoccupazione per il piano di chiusura degli uffici avviato da Poste italiane è già stata sottoposta al Governo, il quale ha ricordato come spetti all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e non al Ministero dello sviluppo economico, verificare il rispetto degli obblighi del piano annuale sulla distribuzione degli uffici postali sul territorio, fissati dal decreto 7 ottobre 2008;
   in un incontro per discutere di tale tema, indetto il 12 febbraio 2015 al Ministero dello sviluppo economico, l'amministratore delegato di Poste italiane, Francesco Caio, e il presidente dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni, Angelo Cardani, hanno dichiarato di voler coinvolgere fin da subito le regioni e l'Associazione dei comuni italiani nella fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali –:
   se il piano di dismissioni degli uffici postali nella regione Friuli Venezia Giulia, che coinvolge una trentina di sportelli, sia già stato confermato o se sia ancora in discussione con regioni e Associazioni dei comuni italiani, con la possibilità di mantenere, magari sotto forma ridotta o in altra sede più economica, lo sportello di Fossalon di Grado, importante per una località che sarebbe altrimenti molto penalizzata dalla sua distanza da altri centri abitati. (4-08280)

  Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per effetto del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge del 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
  Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale, termine è posticipato al 31 marzo 2016. La Società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'autorità entro il 1o luglio 2016.
  Per completezza di informazione si rappresenta che l'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, ha, altresì, assicurato che proseguirà nell'attività di vigilanza provvedendo a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane S.p.A.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a causa delle piogge invernali si è verificato uno smottamento di terreno all'ingresso dello svincolo Fagnano-«Lago 2 Uomini» direzione Guardia Piemontese della SS 283 denominata delle «Terme»;
   l'ANAS, in seguito all'evento franoso, procedeva opportunamente a chiudere lo svincolo e a deviare la circolazione;
   la deviazione costringe a percorsi alternativi assai lunghi e tortuosi con grave disagio per i cittadini di Fagnano Castello e per i numerosi turisti che si recano al mare o alle montagne percorrendo quella strada;
   nei pressi dello smottamento esiste una costruzione adibita a ristorante che si trova in condizioni di grave emergenza strutturale tanto da essere divenuta pericolante;
   i lavori di ripristino da parte dell'ANAS della viabilità dello svincolo sono resi più difficoltosi proprio dalla presenza di questo immobile pericolante;
   l'ANAS, a quanto consta all'interrogante, più volte ha richiamato e diffidato il proprietario a provvedere alla messa in sicurezza dell'immobile che costituisce un rischio non solo per la circolazione ma anche per l'incolumità pubblica –:
   quali iniziative si intendano intraprendere per consentire all'ANAS un rapido completamento dei lavori di ripristino della viabilità nello svincolo di cui in premessa;
   quali iniziative l'ANAS intenda attuare per la definitiva messa in sicurezza dell'intera area interessata dallo smottamento. (4-09904)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il 31 gennaio 2015, a seguito delle abbondanti piogge che si sono abbattute su tutta la provincia di Cosenza, si è verificato uno smottamento di terreno che ha interessato la scarpata di monte della rampa in uscita dello svincolo di Fagnano Castello, sito al Km 18+300 della Strada statale 283 delle Terme Luigiane.
  Anas riferisce che effettuati i necessari sopralluoghi con le autorità competenti è emerso che la causa principale dello smottamento era da attribuire all'assenza di idonee opere di regimentazione idraulica, a servizio delle strutture abitative realizzate da parte di privati, di cui alcune abusive, la cui costruzione ha alterato, negli anni, lo stato dei luoghi, e in particolare il naturale incanalamento delle acque di superficie.
  Il sindaco del comune di Fagnano Castello ha disposto, pertanto, che il proprietario di una struttura ricettiva a monte della zona in frana provvedesse a regimentare a norma di legge le acque e gli scarichi nel suo terreno e che l'Anas rimuovesse la frana sulla rampa di accesso dello svincolo in questione, al fine di riaprirlo al traffico veicolare.
  I lavori di rimozione del terreno franato e di messa in sicurezza della scarpata sono stati ultimati e pertanto la rampa è fruibile.
  Tuttora, Anas ha fatto presente che nel caso di mancata realizzazione delle necessarie opere di regimentazione idraulica e di controllo della staticità dei fabbricati, qualora si verifichino condizioni meteorologiche avverse, esiste il concreto rischio di interdizione al transito della rampa di svincolo. Anas ha comunque provveduto a sensibilizzare sulla questione il sindaco del comune di Fagnano Castello.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   CAPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 1° e 2 ottobre 2015 sulla Sardegna, in particolare sulla zona di Olbia, si è abbattuto il cosiddetto «Ciclone Mediterraneo»;
   la Sardegna è purtroppo soggetta ad eventi disastrosi dovuti alle intense piogge, i cui effetti si accentuano per la fragilità naturale ma anche causata dall'uomo del suo territorio;
   tra i tanti eventi calamitosi basti ricordare la spaventosa alluvione del novembre 2013 che sconvolse l'intera isola causando 16 morti e circa 200 milioni di euro di danni;
   la zona di Olbia fu una delle più colpite dall'alluvione di due anni fa, ed è ancora una volta il centro della nuova crisi, che solo per circostanze fortunate – se così si può dire – non ha visto questa volta vittime;
   infatti, le aree colpite dalle violente piogge di inizio ottobre 2015, sono le stesse nelle quali due anni fa persero la vita Patrizia Corona e la sua piccola figlia Morgana, travolte dalla furia delle acque mentre erano in auto;
   la popolazione di quei quartieri, giustamente indignata, ha fatto notare che l'alluvione era del tutto scontata dato che non si era mai provveduto a pulire il letto del fiume, in particolare quando esso è in secca, ossia durante la lunga estate;
   nel nuovo evento calamitoso si sono registrati allagamenti diffusi, black out elettrici, sospensioni preventive del traffico ferroviario, oltre alla chiusura di scuole ed uffici pubblici, mentre circa ottanta sono le strade che in vari momenti sono state chiuse per allagamenti;
   in particolare, almeno cinquecento persone sono state sfollate avendo avuto allagate le case, mentre almeno quaranta persone sono state costrette a trascorrere la notte fuori casa nella zona di Torpé, dove, tra l'altro, è esondato un canale tombato;
   per affrontare l'emergenza sono stati mobilitati in tutta la Sardegna 10 mila uomini e donne della Protezione civile, cui si sono aggiunti duemila addetti dell'Ente foreste, seicento mezzi e sette colonne mobili;
   inoltre, su richiesta della prefettura di Sassari l'esercito è intervenuto ad Olbia in soccorso della popolazione locale colpita dalle esondazioni del rio Siligheddu e del rio San Nicola;
   proprio in riferimento al rio Siligheddu, già tristemente protagonista del disastro del 2013, non si può non notare che si è reso necessario l'abbattimento del ponte costruito sul rio stesso;
   quel ponte era stato distrutto dalla piena del 2013 e, nonostante i molti dubbi espressi anche dal sindaco di Olbia, era stato da poco ricostruito, con la non indifferente spesa di 80 mila euro;
   è stato, però, necessario abbattere il ponte sopra ricordato, in quanto vero e proprio tappo sul rio Siligheddu, e causa non secondaria delle esondazioni;
   si tratta di un caso limite, ma che evidenzia come l'opera dell'uomo accentui i danni che le sempre più frequenti e violente perturbazioni che si abbattono sulla Sardegna già di loro causano;
   non si era, infatti, ma visto che si arrivasse a distruggere una struttura, appena ricostruita, per evitare che il tappo causasse altri danni, peggiori di quelli che già si stavano registrando;
   il rio Siligheddu non è certo un grande fiume, ma è uno di quei corsi d'acqua che assurgono a triste fama per le improvvise «collere» che li sconvolgono e che travolgono tutto ciò che incontrano sul loro cammino;
   queste «collere» improvvise vengono certo accentuate dall'azione scriteriata dell'uomo, di cui il caso del ponte sopra ricordato non è certo un caso unico;
   va, purtroppo, detto che Olbia stessa è una città costruita sull'abuso edilizio, e per questo esposta ai rischi peggiori ad ogni pioggia che sia un poco più violenta del «normale»;
   non si tratta, infatti, di fiumi «assassini» o di piogge «killer», ma di eventi causati certamente dai cambiamenti climatici e soprattutto dall'azione dell'uomo, eventi assolutamente prevedibili e che ormai vengono quasi dati per scontati, tirando un sospiro di sollievo (ipocrita) quando, come in questo caso «non ci scappa il morto»;
   nell'ultima alluvione, infatti, è stata la sorte, e l'abnegazione dei volontari della protezione civile, a impedire altri lutti, dato che l'alluvione stessa è avvenuta di mattina e non di notte come, invece, nel 2013;
   inoltre, stavolta l'allarme meteo è stato tempestivo e ascoltato dai cittadini che hanno collaborato con le autorità nell'affrontare l'emergenza;
   non la sola zona di Olbia è stata colpita dagli eventi calamitosi: infatti, è stato duramente colpito dalle precipitazioni anche il Nuorese, in particolare la zona di Orosei, che ha subito anche danni, al momento non quantificati, alle colture;
   non si può non osservare che, non solo per quel che riguarda la Sardegna, non si impara mai dagli errori commessi, e ogni volta che, in autunno, stagione delle piogge, una perturbazione si avvicina, si scrutano le previsioni meteorologiche e il cielo con una preoccupazione che l'uomo moderno non dovrebbe certo avere nei confronti dei normali eventi climatici di stagione;
   in conseguenza del disastro del 2013 il Governo ha annunciato un finanziamento di 80 milioni di euro – il cosiddetto «piano Mancini» – per la messa in sicurezza, in particolare di Olbia;
   di questi 80 milioni di euro, 16 sono stati già finanziati, come ha confermato il sottosegretario Bressa rispondendo recentemente ad atti di sindacato ispettivo, mentre gli altri interventi saranno finanziati in un secondo momento;
   sono questi i fondi di cui ha parlato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Galletti nella sua visita ad Olbia subito dopo l'alluvione;
   dal sito di Italia sicura, la struttura contro il dissesto idrogeologico voluta da Palazzo Chigi, si legge che gli interventi per Olbia sono lievitati ad 81,2 milioni di euro che la città è stata inserita nelle opere previste dal piano nazionale 2015-2020;
   i primi 16 milioni di euro, già previsti dopo l'alluvione catastrofica del 2013, però, verranno – stanziati solo alla fine di ottobre 2015 e, come dichiara lo stesso direttore di Italia Sicura Mauro Grassi, in questi due anni si è fatto poco o nulla: «gli interventi inizialmente previsti non sono mai arrivati alla fase di progettazione definitiva»;
   non si può non notare come questi ritardi rendano più pesante la situazione della Sardegna che, come ricordato anche nella mozione 1-00697 presentata nel gennaio 2015 e approvata nel mese di giugno 2015, vive una crisi gravissima che i continui disastri naturali non possono che aggravare in modo pesante –:
   quali ulteriori concrete iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per affrontare in modo concreto ed organico le continue emergenze, che proprio perché continue non possono più essere considerate tali, e vanno quindi affrontate in modo strutturale e non sempre e solo sotto l'impatto, anche emotivo, del memento di crisi, inserendo la «questione Sardegna», come previsto nella succitata mozione n. 1-00697, nell'agenda del Governo collaborando attivamente con la regione e con gli enti locali nell'azione di prevenzione di ulteriori disastri. (4-11355)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame indicato si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente ha oramai superato la logica del finanziamento degli interventi emergenziali e puntuali, ricorrendo fin dal 2010 allo strumento dell'accordo di programma che definisce programmi di intervento di mitigazione del rischio idrogeologico che richiedono, per la loro completo realizzazione, l'azione integrata e coordinata dell'amministrazione centrale, delle regioni e di altri soggetti pubblici, quali le Autorità di bacino e la protezione civile.
  Con il recente finanziamento del piano stralcio delle aree metropolitane ed aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di esondazione, l'azione del Ministero dell'ambiente, è orientata ad affrontare in maniera sistemica il dissesto in Italia.
  Sono stati finanziati, perciò, gli interventi che agiscono sul territorio in maniera strutturale, risolvendo annose e gravi criticità ambientali come a Milano, Genova e Olbia.
  Tali interventi, peraltro, rientrano nei piani di intervento regionali, inquadrati dalle perimetrazioni dei piani di assetto idrogeologico (P.A.I.) o delle mappe della pericolosità e del rischio alluvioni pubblicate, quest'ultime, alla fine del 2013.
  Al riguardo, gli interventi proposti dalla Regione Sardegna, sia per il territorio della provincia di Olbia, sia per quello della provincia di Cagliari, sono inseriti nell'ambito di studi di fattibilità generali, volti a risolvere complessivamente le cause del dissesto per quei territori. In particolare l'accordo di programma sottoscritto tra il Ministero dell'ambiente e la Regione Sardegna è in corso di registrazione presso i competenti organi di controllo.
Si sottolinea che un'ordinanza del commissario governativo del 2008 ha stabilito che il programma di interventi, finanziato anche con risorse ministeriali, da attuarsi nelle aree colpite dalla alluvione del 22 ottobre 2008 nel comune di Capoterra, fosse definito sulla base delle risultanze dello studio denominato Hydrodata curato dalla direzione generale dell'agenzia di distretto idrografico della presidenza della giunta, con il quale vennero individuate in maniera organica conseguenziale tutte le opere necessarie per la mitigazione del rischio idraulico nell'intero territorio interessato.
  Tale studio, peraltro, costituisce il presupposto ai fini dell'adozione della variante al P.A.I. che stabilisce così le nuove perimetrazioni ed i nuovi elementi di rischio.
  Dalle informazioni acquisite dal Dipartimento di protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, relativamente alla demolizione del ponte sul rio Siligheddu, emerge che la struttura non è stata distrutta dagli eventi alluvionali del 2013: in quella circostanza, infatti, gli eventi meteorici hanno solamente danneggiato la strada di accesso al ponte.
  I necessari interventi di ripristino della sede stradale sono stati eseguiti nell'ambito degli interventi di somma urgenza di cui al piano ex ordinanza capo dipartimento protezione civile n. 122/2013 («
Ripristino completo della scarpata stradale e del rilevato stradale compresa la stesa di conglomerato bituminoso»), così come riferito dalla struttura commissariale, per l'importo di euro 120.000,00 a fronte di uno stanziamento previsto di euro 200.000,00, con una economia, pertanto, di euro 80.000,00.
  La necessità di demolire e ricostruire il ponte sul rio Siligheddu era stata rappresentata nell'ambito della ricognizione dei fabbisogni per il ripristino del patrimonio pubblico (di cui all'articolo 5, comma 2, lettera
d), della legge n. 225 del 1992). Detto intervento rientra al l'interno di un insieme di opere per la complessiva sistemazione idraulica nel rio Siligheddu, del costo stimato di circa 34 milioni di euro, e prevede, oltre alla demolizione e ricostruzione del ponte di che trattasi, anche il rifacimento di altri 16 ponti stradali nonché l'incremento della capacità di deflusso del ponte ferroviario.
  Infine, si rappresenta che per i danni occorsi a seguito degli eventi alluvionali verificatisi tra il 30 settembre e il 10 ottobre 2015, la regione Sardegna ha richiesto al Governo, con nota del 19 novembre scorso, la «dichiarazione dello stato di emergenza» il cui iter istruttorio è in corso per la successiva deliberazione da parte del Consiglio dei ministri.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 ottobre 2014, a Bagheria, ignoti hanno incendiato l'autovettura dell'ispettore Alessandro Carollo;
   il Nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Bagheria della legione Carabinieri Sicilia ha provveduto, alle ore 03.10 del giorno sopra indicato, al sequestro penale del mezzo;
   in pari data, il danneggiato ha formalmente presentato denuncia contro ignoti, facendo mettere a verbale proprie dichiarazioni relative a danneggiamenti di minore entità che sarebbero avvenuti nel medesimo mese di ottobre 2014;
   come si legge su La Repubblica del 2 novembre 2014, in un articolo a firma Emanuele Lauria, «Carollo è un ispettore delle Poste che ha denunciato alla polizia, già nel maggio scorso, il fenomeno delle assunzioni di figli e stretti congiunti di sindacalisti in azienda. La stessa parentopoli di cui Repubblica si è occupata nel giornale di martedì scorso. “Una pratica clientelare notoria a ogni livello”, ha ribadito Carollo ai carabinieri bagheresi venerdì mattina, rispondendo a una domanda sulle possibili cause dell'attentato subito. Ma non solo: lo stesso ispettore ha ricordato, nel verbale compilato dagli uomini dell'Arma, di aver collaborato con la procura di Palermo, nell'ambito dell'inchiesta Lost Pay che nel marzo del 2013 ha portato al sequestro di 72 agenzie di poste private»;
   l'attività del predetto ispettore è già stata citata in svariati atti di sindacato ispettivo (v. ex pluribus, interrogazione n. 4-04991) –:
   di quali notizie sia a conoscenza il Governo;
   se, consultate anche le strutture periferiche dell'amministrazione di pubblica sicurezza, il Governo ritenga sussistere ulteriori rischi per l'incolumità del predetto Alessandro Carollo, a fronte di possibili illecite aggressioni alla sua persona e ai suoi beni;
   in caso di risposta positiva, come il Governo intenda intervenire. (4-07062)

  Risposta. — Il signor Alessandro Carollo, già dipendente della sede palermitana di «Poste Italiane spa» con incarico di addetto al dipartimento «Gestione delle Frodi», è stato vittima di due episodi di natura intimidatoria, verosimilmente uniti dal vincolo della continuazione.
  In particolare, oltre all'incendio dell'autovettura di sua proprietà, avvenuto il 31 ottobre 2014, il signor Carollo ha rinvenuto fuori dalla porta della propria abitazione, il 7 febbraio scorso, una busta contenente la targa anteriore della stessa autovettura – non rinvenuta al momento dell'incendio – con una scritta dal tenore poco chiaro.
  Gli episodi sembrano potersi ricondurre alla collaborazione con gli organi inquirenti che il predetto ha prestato in ordine ad alcune attività d'indagine, tra cui l'operazione giudiziaria denominata «Lost pay» con la quale, nel marzo 2013, sono state emesse misure cautelari anche nei confronti di alcuni dipendenti di Poste Italiane.
  Dall'8 febbraio 2015, giorno successivo al secondo episodio, è stato attivato in via cautelare, presso l'abitazione e presso il luogo di lavoro del testimone, un dispositivo di vigilanza generica radiocollegata a cura dell'Arma dei carabinieri.
  Tale misura è stata ratificata nel corso della riunione tecnica di coordinamento delle Forze di polizia tenutasi il 22 aprile presso la prefettura di Palermo.
  Allo stato, la misura risulta prorogata sino al 31 dicembre 2015. Nell'imminenza della scadenza, si procederà, come prescritto dalla normativa vigente, al riesame dell'esposizione a rischio del signor Carollo.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   già in data 21 giugno 2014, «il Gazzettino Locale» denunciava gravi disagi determinati da ritardi o mancanze nella distribuzione della posta ad Acerra (NA);
   fra i disagi denunciati, vi sono numerosi casi di bollette maggiorate perché quella del bimestre precedente non è mai stata recapitata, casi di ritardo o mancato arrivo di lettere urgenti, tasse, contributi degli ordini professionali;
   gli utenti sarebbero addirittura costretti ad andare di persona a cercare la propria corrispondenza e le proprie bollette presso il centro di smistamento;
   a causare il disservizio sarebbe la scarsità di personale in servizio e la confusa situazione della toponomastica comunale;
   i danni, anche economici, a un tessuto sociale già pesantemente colpito dalla crisi risultano significativi;
   in data 8 aprile 2015, Striscia la Notizia ha mandato in onda un servizio di denuncia della situazione del recapito di Acerra, così evidenziando che la situazione non è minimamente migliorata rispetto ai mesi precedenti –:
   se quanto premesso corrisponde al vero;
   di che notizie disponga il Governo;
   come il Governo intenda intervenire al fine di ripristinare e garantire livelli minimi di efficienza del servizio pubblico postale in Campania e più in generale nel Sud della penisola. (4-08733)

  Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per effetto del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge del 22 dicembre 2011, n. 214.
  In merito ai disservizi nel recapito della corrispondenza riscontrati in alcune zone del comune di Acerra, la società Poste italiane ha assicurato di essere impegnata, già da tempo, a supportare le Istituzioni locali al fine di individuare ogni possibile azione che consenta di svolgere il servizio con regolarità; ciò nella consapevolezza sia delle particolari criticità presenti sul predetto territorio che dell'importanza che riveste il servizio di recapito per la clientela.
  Su tali problematiche è intervenuta, altresì, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che a seguito del servizio mandato in onda l'8 aprile 2015 nel corso della trasmissione televisiva di Canale 5 «Striscia la Notizia», ha avviato prontamente l'attività di vigilanza di competenza, riscontrando gravi ed oggettive difficoltà nella gestione del servizio di recapito nel comune di Acerra e confermando le cause evidenziate dalla società poste italiane ovvero la carente toponomastica, e la frequente mancata comunicazione da parte dei destinatari degli invii verso i propri mittenti, dell'esatto indirizzo di recapito cui ricevere la posta.
  L'Agcom rappresenta che tale casistica integra la fattispecie di cui all'articolo 23 della delibera n. 385/13/CONS «Condizioni generali di servizio per l'espletamento del servizio universale postale», che prevede, per gli invii con indirizzo inesatto, insufficiente e/o inesistente, nell'impossibilità di effettuare il recapito, il rinvio al mittente.
  L'Autorità, nel premettere che l'attività istruttoria è ancora in corso, rappresenta che negli ultimi anni il comune di Acerra, al fine di risolvere le suddette problematiche ha messo in atto una vasta rivisitazione della toponomastica.
  Nella prospettiva di pervenire ad una soluzione definitiva, l'amministrazione comunale di Acerra ha inoltre predisposto un piano straordinario di assestamento anagrafico, individuando tre vaste macro-aree dal comune di Acerra, quale aree di intervento per le modifiche alla toponomastica. Al contempo è stato sviluppato un piano di comunicazione volto, attraverso la distribuzione e diffusione di un apposito volantino, nonché l'affissione di un manifesto a sensibilizzare la cittadinanza affinché si attivasse presso i mittenti (inclusi i fornitori e operatori dei servizi pubblici) per il corretto indirizzamento della corrispondenza.
  L'Agcom evidenzia, inoltre, che dall'ispezione svolta risulta che la gravità del contesto non ha consentito di per sé il regolare svolgimento del servizio di recapito, il quale si è acuito e si acuisce in caso di eventuale assenza di portalettere e relativa sostituzione con personale a tempo determinato, che hanno minore conoscenza del territorio e degli abitanti.
  La stessa Autorità, infine, ha assicurato che sta proseguendo nello svolgimento delle attività di vigilanza provvedendo a verificare periodicamente il percorso di regolarizzazione della fornitura del servizio postale nel comune di Acerra.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste Italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto apprende l'interrogante, i militari appartenenti all'Esercito italiano che risultano essere ri-eletti nei consigli comunali debbono comunque rientrare nel reparto di appartenenza, in attesa che si reiteri la domanda per l'assegnazione temporanea al reparto prossimo al luogo di elezione;
   a differenza di quanto stabilito dall'Esercito, le altre Forze armate dispongono diversamente e consentono al militare (poliziotto, carabiniere, e altro) di rimanere nel reparto di provvisoria assegnazione nelle more della proclamazione da parte della corte d'appello;
   questa procedura amministrativa, a totale carico delle casse dello Stato, prevede, quindi, che il militare rientri al reparto originario d'appartenenza per poi tornare al reparto prossimo al comune di elezione;
   le altre Forze armate e di Polizia, secondo quanto appurato dall'odierno interrogante, si comporterebbero diversamente lasciando il militare nel proprio reparto di provvisoria assegnazione dovuta all'incarico elettivo;
   a  giudizio dell'interrogante questa procedura risulta poco comprensibile, inutilmente complicata oltre che ultronea –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-10205)

  Risposta. — Si rappresenta, in via preliminare, che ai sensi del combinato disposto dell'articolo 33 del codice dell'ordinamento militare e dell'articolo 95 del testo unico dell'ordinamento militare la competenza in materia del personale della Forza armata risale al Capo di Stato Maggiore dell'esercito che la esercita attraverso l'emanazione di direttive interne ai sensi della normativa vigente.
  Tali disposizioni, in alcuni casi, differiscono nelle modalità attuative da quelle delle altre Forze armate, in ragione del fatto che ciascuna di esse ha una sua specificità, essendo differenti le esigenze organizzative ed istituzionali.
  In ambito Forza armata, la materia della temporanea assegnazione per lo svolgimento di un mandato elettorale, in applicazione del decreto legislativo n. 267 del 2000, è disciplinata dalla direttiva sulle «procedure per l'impiego del personale militare dell'esercito» che, attualmente, è in fase di revisione al fine di renderla maggiormente aderente e rispondente alle esigenze del personale militare nonché per prevedere anche la possibilità, per il personale interessato allo svolgimento di un mandato elettorale in caso di nuova candidatura alle successive elezioni, di permanere presso il Reparto di temporanea assegnazione nelle more della definizione delle stesse.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali, nella giornata del 21 febbraio 2014 si sarebbe verificato un grave episodio di violenza che ha riguardato l'assessore alle politiche sociali e un consigliere del comune di Salerno;
   come descrivono le cronache, l'assessore comunale Nino Savastano, che stava passeggiando sul lungomare insieme al suo amico consigliere Luigi Bernabò, è stato avvicinato con fare aggressivo da un estraneo che gli si è riversato addosso, prima usando parole offensive e poi tentando di aggredirlo anche fisicamente;
   ad impedire l'aggressione fisica, dinanzi allo sguardo di automobilisti e passanti, sarebbe stato il passaggio di una volante in servizio di controllo sul territorio, che ha raccolto subito dopo la denuncia dell'assessore;
   su quanto accaduto nella tarda mattinata sul lungomare sono in corso indagini da parte della questura di Salerno per cercare di ricostruire innanzitutto l'accaduto, ma anche per individuare aggressore e movente;
   tra le ipotesi al vaglio della polizia ci sarebbe la possibilità che, ad aggredire l'assessore, possa essere stato uno degli inquilini delle case di via Capone al Rione Calcedonia, di recente trasferiti dal comune in altre abitazioni: si tratta di persone senzatetto del post terremoti ai quali, ma solo per quanti ne hanno titolo, sono stati assegnati nuovi alloggi popolari, ma tra questi ci sarebbero alcuni che non avrebbero maturato alcun diritto e per loro il trasferimento si sarebbe trasformato in uno sfratto;
   non si esclude, però, che la motivazione dell'aggressione possa trovarsi in un incontro avuto una decina di giorni prima da Savastano con un gruppo di giovani di Salerno Pulita che avanzavano pretese lavorative in maniera chiassosa e con le quali l'assessore avrebbe avuto uno scontro dialettico piuttosto acceso;
   secondo le cronache, si starebbe valutando anche l'ipotesi che l'episodio possa essere ricondotto a questioni di carattere personale;
   già due anni fa Savastano era stato protagonista di un altro episodio simile, legato all'affissione di manifesti politici;
   ad avviso dell'interrogante, sono sempre più numerosi i casi di violenza che si verificano a danno di esponenti politici ed al contempo dell'immagine della stessa città di Salerno, in un quadro di pericoloso inasprimento del confronto politico che non si addice affatto al principio del rispetto della democrazia;
   la crisi economica si fa sempre più pesante e gli scenari più temuti sono propri quelli degli atti di singoli esasperati che quasi sempre colpiscono obiettivi sensibili come sedi politiche, istituzionali o persone aventi cariche pubbliche –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, atteso il ruolo di assessore comunale della vittima, se risulti la matrice dell'aggressione. (4-04035)

  Risposta. — L'episodio a cui fa riferimento l'interrogante si è verificato a Salerno il 19 febbraio 2014, quando l'assessore alle politiche sociali del comune di Salerno Giovanni Savastano, assieme al consigliere comunale e vice presidente della commissione alle politiche sociali, Luigi Bernabò, è stato assalito in pieno centro cittadino da un individuo munito di bastone, poi identificato in M. G.. Il pronto intervento di una volante della polizia ha interrotto l'aggressione, impedendo che degenerasse ulteriormente.
  Nella circostanza, i due amministratori pubblici hanno riferito che l'uomo, dopo essere sceso dalla propria autovettura, si era scagliato contro di loro, in particolare contro il signor Savastano, inveendo e colpendoli ripetutamente alle gambe con il bastone.
  Si rappresenta che, nell'ambito del procedimento penale instaurato a seguito dell'increscioso episodio, il signor M. G. è stato rinviato giudizio per porto di oggetto atto ad offendere, violenza privata, minaccia aggravata e percosse. La prima udienza è prevista per il giorno 19 maggio 2016.
  Al riguardo, occorre comunque precisare che la vicenda giudiziaria
de qua non ha alcun legame con la funzione pubblica e politica della vittima, in quanto è stato accertato che il movente dell'atto aggressivo va ricercato in questioni di carattere strettamente personale.
  Per completezza di informazione si comunica, infine, che, a seguito dell'aggressione subita, dal 6 al 31 marzo 2014 è stata disposta nei confronti del signor Savastano la misura della vigilanza generica radiocollegata presso l'abitazione e la sede dell'assessorato alle politiche sociali.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi mesi fa la notizia del ritrovamento di un cadavere nella campagna di Palma Campania (Napoli);
   in particolare, il 17 gennaio 2014, in uno scavo nella zona industriale del comune campano i carabinieri hanno rinvenuto un corpo in avanzato stato di decomposizione ucciso con un colpo di pistola;
   secondo quanto riportato dalle cronache locali, sebbene non sia stato possibile identificare il corpo divenuto quasi scheletrico, potrebbe trattarsi di Antonio Ferrara, imprenditore edile di Sarno scomparso il 9 dicembre 2012;
   accanto al cadavere sarebbero stati infatti ritrovati degli oggetti appartenenti al costruttore, di cui si erano perse le tracce da quando, dopo una telefonata, si era recato a un appuntamento di lavoro con il suo socio, Antonio Parisi, a San Gennaro Vesuviano;
   la vittima era un imprenditore edile che nel 2012 aveva fatto diversi lavori proprio nel territorio del napoletano e non aveva mai avuto problemi con la giustizia;
   quello di Antonio Ferrara, per dettagli e modalità, ricorda un classico caso di «lupara bianca» cui i clan camorristici dell'area nolana e vesuviana sono spesso ricorsi;
   l'inchiesta sin dall'inizio è stata coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, a sottolineare che il coinvolgimento della criminalità organizzata non è stato mai escluso dagli inquirenti;
   lo stesso socio, Antonio Parisi, all'epoca dei fatti, era intestatario di un terreno su cui sorge un vivaio da sempre gestito da Giovanni Fabbrocino, figlio di uno storico capo dell'omonimo clan della camorra finito in cella la vigilia di Natale per estorsione aggravata e appare difficile che un delitto sia stato compiuto in quella zona senza che i referenti della cosca ne fossero all'oscuro;
   ogni giorno le cronache regalano episodi di inaudita gravità, sintomatici di una escalation di violenza e criminalità che deve essere prontamente affrontata e arginata con fermezza e determinazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere per accertare la matrice dell'omicidio, nonché per contrastare tali fenomeni e garantire una maggiore tutela del territorio. (4-04349)

  Risposta. — Il 17 gennaio del 2014, in un fondo terriero del comune di Palma Campania in provincia di Napoli, sono stati rinvenuti i resti di un imprenditore locale, la cui scomparsa era stata denunciata dai familiari il 10 dicembre 2012. Il terreno appartiene a un imprenditore edile pregiudicato, ritenuto vicino al sodalizio «Fabbrocino», egemonico nell'area vesuviana e nolana.
  La Direzione investigativa antimafia, interessata al riguardo, ha comunicato che il capo del gruppo criminale è Mario Fabbrocino, alias «
o’ granunaro», attualmente detenuto, mentre in relazione al delitto in questione ha precisato di non disporre di elementi utili.
  Le indagini sui fatti riferiti, coperte da segreto istruttorio, sono state condotte dall'arma dei carabinieri. Gli esiti delle risultanze investigative, comunicati lo scorso 11 febbraio alla direzione distrettuale antimafia di Napoli, sono attualmente al vaglio dell'autorità giudiziaria.
  Per quanto concerne più in generale le iniziative intraprese per arginare fenomeni criminosi e illeciti, l'attività di prevenzione e contrasto dispiegata sul territorio da parte delle forze dell'ordine continua a essere mantenuta a livelli elevati, grazie anche al concorso di contingenti di rinforzo assegnati alla provincia di Napoli. Detta azione è particolarmente intensa nelle zone più esposte al rischio di penetrazione della criminalità organizzata.
  Negli ultimi anni è stata posta in essere un'attività di controllo ad ampio raggio, nell'intento di coprire il territorio con servizi «aggressivi» e con operazioni di «alto impatto». In particolare, per quanto riguarda il territorio del nolano, il questore di Napoli ha rappresentato che, all'interno della sezione criminalità organizzata della locale squadra mobile, è presente un
team impegnato esclusivamente sul fronte della lotta ai clan.
  Il raffronto dei dati sulla criminalità del 2013 con quelli del 2014 dimostra che le strategie operative messe in atto hanno dato buoni risultati, avendo fatto registrare un trend in diminuzione per alcune tipologie di reati – come i furti, le rapine, le estorsioni e l'usura – che destano maggiore preoccupazione tra i cittadini e sono oggetto di gran parte delle richieste di intervento rivolte alle istituzioni.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2015 è stata distrutta dalle fiamme l'auto del parroco della chiesa di Santa Lucia di Cava de’ Tirreni, don Beniamino D'Arco;
   l'incendio, che ha danneggiato anche la facciata dell'abitazione dove il parroco risiede con l'anziana madre, è scoppiato all'alba e immediata è stata la segnalazione ai vigili del fuoco della compagnia di Salerno e agli agenti della Polizia di Stato, che sono subito intervenuti sul posto;
   è mistero sull'origine dell'incendio, ma, secondo quanto riportato dalla stampa locale, ci sarebbero dei sospetti relativi alle circostanze in cui è divampato il rogo;
   la frazione di Santa Lucia, infatti, non è nuova ad episodi incendiari anche di natura dolosa e sembrerebbe che molti cittadini abbiano sottolineato un dettaglio importante: qualche personaggio del centro anziani, vicino al parroco, è candidato al consiglio comunale in appoggio ad un candidato sindaco diverso dallo schieramento di centrodestra che ha sempre ottenuto forti consensi in gran parte della frazione Luciana;
   ad avviso dell'interrogante, sono sempre più numerosi i casi di atti violenti generati da un pericoloso inasprimento del confronto politico che non si addice affatto al principio del rispetto della democrazia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se sussistano elementi in merito alla matrice del citato incendio. (4-09368)

  Risposta. — Nelle prime ore dell'8 maggio 2015, personale del commissariato di pubblica sicurezza distaccato di Cava de’ Tirreni è intervenuto in località Santa Lucia, a seguito della segnalazione di incendio di un'autovettura in sosta all'interno del cortile della chiesa.
  Gli operatori hanno constatato che il veicolo di proprietà del parroco della chiesa, don Beniamino D'Arco, parcheggiata all'interno dell'area recintata della parrocchia, era stata distrutta dalle fiamme che avevano raggiunto anche la facciata laterale del fabbricato della canonica, provocandone l'annerimento, la rottura dei vetri delle finestre, il danneggiamento degli infissi ed altro.
  Sul posto è intervenuto anche personale della Polizia Scientifica che non ha rinvenuto alcun oggetto o elemento utile a delineare la natura dell'evento.
  Il sacerdote ha dichiarato di aver regolarmente parcheggiato l'autovettura la sera precedente all'interno dell'area parrocchiale e di aver chiuso il cancello automatico della recinzione. Il medesimo ha escluso di aver avuto contrasti e di aver ricevuto richieste di alcun genere.
  Le indagini, tuttora in corso, non hanno consentito allo stato di acquisire elementi utili all'attività di polizia giudiziaria, neanche con riferimento ad un eventuale collegamento dell'atto criminoso con le posizioni assunte dal sacerdote In occasione delle elezioni amministrative svoltesi quest'anno nel comune metelliano.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nello schema di decreto del Presidente della Repubblica che contiene il regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'interno sarebbero sparite d'un colpo 23 prefetture e altrettante questure;
   tale scelta, lungi dal rappresentare un'operazione di «razionalizzazione», pur condivisibile, si tradurrebbe in un'ulteriore e inaccettabile sforbiciata al dispositivo della sicurezza;
   ancora una volta si intende tagliare sui presidi territoriali, gli unici che garantiscono la presenza dello Stato nelle periferie della nostra Nazione;
   in particolare, alcune regioni subiranno riduzioni pesanti con zone lontane dal centro che rischiano di essere quasi abbandonate dallo Stato;
   la tagliola scatterà in tutta Italia: Teramo (accorpata a L'Aquila), Chieti (accorpata a Pescara), Vibo Valentia (accorpata a Catanzaro), Benevento (Avellino), Piacenza (Parma), Pordenone (Udine), Rieti (Viterbo), Savona (Imperia), Sondrio (Bergamo), Lecco (Como), Cremona (Mantova), Lodi (Pavia), Fermo (Ascoli Piceno), Isernia (Campobasso), Asti (Alessandria), Verbano-Cusio-Ossola (Novara), Biella (Vercelli), Oristano (Nuoro), Enna (Caltanissetta), Massa-Carrara (Lucca), Prato (Pistoia), Rovigo (Padova), Belluno (Treviso);
   invece di colmare i buchi che si creano nella sicurezza del nostro Paese, particolarmente evidenti di fronte all'emergenza sbarchi, si pensa solo a tagliare e il risultato è già sotto gli occhi di tutti: oggi non si è in grado di garantire la sicurezza dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per scongiurare il rischio della chiusura delle 23 prefetture e altrettante questure, che va nella direzione opposta a quella di garantire la sicurezza dei cittadini. (4-10567)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in oggetto l'interrogante chiede quali urgenti iniziative intenda adottare il Ministro dell'interno per scongiurare la chiusura di 23 prefetture e delle corrispondenti questure, misura prevista dall'annunciato schema di decreto del Presidente della Repubblica recante la riorganizzazione del Ministero dell'interno.
  Il tema evidenziato è particolarmente sentito nella società civile e anche in Parlamento, tant’è che nelle scorse settimane il Governo è stato chiamato a più riprese a discuterne in Assemblea e in Commissione Affari costituzionali della Camera, in sede di
question time, di interpellanze urgenti e di interrogazioni a risposta orale.
  Preliminarmente, si ribadisce quanto lo stesso Ministro dell'interno ha avuto modo di sottolineare in aula alla Camera e cioè che l'iter di approvazione del regolamento è solo agli inizi. Quindi nessuna decisione definitiva è stata assunta sugli accorpamenti da effettuare.
  Vi sarà, quindi, anche lo spazio per un confronto serio con le istituzioni locali, che tenga conto delle istanze provenienti dal territorio.
  Nel merito si osserva che il regolamento in questione, avente ancora la forma di schema, costituisce attuazione della più ampia manovra di ridefinizione degli assetti organizzativi, a livello centrale e periferico, di tutte le amministrazioni dello Stato voluta dal Governo Monti e suggellata nel decreto legge n. 95 del 2012.
  E fa seguito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 maggio scorso, con cui sono state rideterminate le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale dell'amministrazione civile dell'interno.
  Quanto alle ricadute negative paventate dall'interrogante sulla risposta dello Stato nell'area oggetto di accorpamento, si rappresenta che, nella visione dell'amministrazione dell'interno, ogni possibile opzione sarà oggetto di attenta valutazione, e comunque non potrà mai andare a scapito della sicurezza reale dei territori.
  Non un'unità di personale sarà sottratta ai compiti di istituto e a quelli operativi, con la conseguenza che le comunità manterranno intatti gli attuali standard dei servizi.
  In sostanza, il regolamento non prefigura alcun arretramento dello Stato sui temi della sicurezza. E non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una
mission fondante del Ministero dell'interno.
  Si ricorda, poi, che la procedura di approvazione del regolamento prevede l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
  Occorre, infine, tener presente che su questo disegno di riforma si è venuta ora a innestare la legge Madia, che contiene, come è ben noto, disposizioni volte a riorganizzare l'intera presenza dello Stato sul territorio.
  Questo articolato, pur annoverando tra i criteri di delega la riduzione del numero delle prefetture, ne rafforza la funzione strategica, come è attestato dal fatto che esse andranno ad assorbire tutti gli uffici periferici dello Stato e si configureranno, quindi, quali «punti di contatto unico» tra lo Stato e i cittadini. Le prefetture, inoltre, continueranno ad essere il cardine del sistema territoriale della sicurezza.
  Alla luce di quanto detto, si ritiene che le perplessità manifestate nell'interrogazione possano considerarsi fugate.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   COSTANTINO e FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'attestazione di idoneità alloggiativa è un documento che certifica, in base ai parametri di cui al decreto ministeriale 5 luglio 1975 (recante indicazioni relative alla «Altezza minima ed ai requisiti igienico sanitari principali dei locali d'abitazione»), l'adeguatezza di un alloggio dal punto di vista igienico-sanitario e rispetto ai requisiti minimi di abitabilità;
   ai fini del rilascio di tale certificazione, gli uffici comunali devono dunque valutare le caratteristiche dell'alloggio nonché, in base ai parametri indicati dal citato decreto ministeriale, la sua capienza effettiva concernente il numero di persone per le quali risulti adeguato;
   la certificazione di idoneità alloggiativa ha validità per soli 6 mesi, come risulta «a contrario» dall'articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 (a norma del quale, «I certificati che riguardano fatti e qualità personali non soggette a modificazioni hanno validità illimitata. Le altre certificazioni hanno validità di sei mesi dalla data del rilascio»);
   questure e prefetture si conformano a tale interpretazione richiedendo generalmente (salvo virtuosi casi di ragionevole tolleranza) attestazioni rilasciate non oltre 6 mesi prima;
   il certificato di idoneità alloggiativa è richiesto unicamente ai cittadini stranieri per i seguenti procedimenti amministrativi: richiesta di permesso di soggiorno di lungo periodo, anche nell'interesse dei familiari conviventi (articolo 9 testo unico dell'immigrazione e articolo 16, comma 4, lettera b, decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999), richiesta di nulla osta ricongiungimento familiare (articolo 29, comma 3 lettera a) del testo unico dell'immigrazione, articolo 6, comma 1 lettera c), decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999), sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato solo in caso di primo ingresso (a seguito di decreto flussi o a seguito di sanatoria per l'emersione di lavoro irregolare);
   l'abrogazione delle norme che ne richiedevano il possesso in sede di rinnovo del permesso o di cambio del datore di lavoro ne ha decisamente ridimensionato l'importanza e la frequenza di richiesta;
   con ordinanza 6 agosto 2014, il tribunale di Bergamo – accogliendo il ricorso presentato da ASGI, CGIL Bergamo e Coop. Ruah insieme a 3 cittadini stranieri residenti a Bolgare (Bergamo) – ha dichiarato la natura discriminatoria per ragioni di etnia e nazionalità della delibera comunale 6/2014, nella parte in cui aveva aumentato da 150 a 500 euro (mentre nel 2011 era di soli 30 euro) il costo del certificato di idoneità alloggiativa;
   nonostante detta ordinanza sia passata in giudicato altri comuni della medesima provincia hanno seguito la medesima strada emanando delibere comunali con incrementi anche del 100 per cento della tassa richiesta per ottenere il certificato (Telgate: euro 325; Albino: euro 160; Seriate: euro 220) e motivando con riferimento ad asseriti costi e oneri per l'amministrazione per il rilascio del certificato;
   in realtà non risulta affatto che l'attività di verifica preliminare al rilascio del certificato sia diventata più onerosa rispetto al passato (quando veniva comunque svolta dai comuni con i medesimi strumenti e le medesime finalità, non essendo per nulla mutata la normativa in materia), tanto è vero che la maggioranza dei comuni italiani (come si può evincere dai portali internet dei singoli enti locali) richiede un tributo attorno ai 30/50 euro;
   vi è quindi ragione di ritenere che l'improvviso e ingiustificato incremento della tassa richiesta per il rilascio del certificato sia determinato dalla illecita finalità di dissuadere gli stranieri dalla residenza nei comuni in questione, aggravando illegittimamente i procedimenti che li riguardano;
   l'equilibrata distribuzione dei migranti sul territorio nazionale e il divieto di forme protezionistiche che influenzino illegittimamente detta distribuzione, oltre a costituire espressione del diritto alla mobilità dei migranti che soggiornano regolarmente sul nostro territorio, costituisce compito del governo quale titolare delle politiche migratorie –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se ritengano di assumere iniziative, anche normative, al fine di evitare che il potere di determinazione della tassa per il rilascio del certificato di idoneità alloggiativa possa incidere negativamente sulla libertà di circolazione dei migranti e sulla determinazione delle politiche migratorie. (4-08727)

  Risposta. — In merito alla delibera di giunta n. 6 del 15 gennaio 2014, con la quale il comune di Bolgare aveva provveduto all'adeguamento della «tabella dei diritti di segreteria Settore tecnico», stabilendo, tra l'altro, il pagamento di una tariffa di 500 euro per il rilascio della certificazione di idoneità alloggiativa, si rappresenta preliminarmente che l'ordinamento vigente, come noto, non prevede in capo a organi dell'Amministrazione dell'interno poteri di controllo di legittimità sulle delibere di giunta e consiliari. Gli eventuali vizi di legittimità degli atti in questione, pertanto, possono essere fatti valere solo nelle competenti sedi giurisdizionali o con ricorso straordinario al Capo dello Stato, secondo le consuete regole vigenti in materia.
  Tanto detto, si fa presente che il 18 settembre 2014 il comune bergamasco ha revocato la delibera sopra citata. Ciò in esecuzione della sentenza con la quale il tribunale di Bergamo aveva accolto l’«azione civile contro la discriminazione» promossa, ai sensi dell'articolo 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e dell'articolo 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011, da alcuni cittadini stranieri residenti nel predetto comune, nonché dall'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione), dalla Cooperativa impresa sociale Ruah di Bergamo e dalla CGIL-Camera del lavoro territoriale di Bergamo.
  Si informa inoltre che, su impulso del competente ufficio dipartimentale dell'Amministrazione dell'interno, funzionari delegati dalla prefettura di Bergamo hanno effettuato, in data 27 ottobre 2014, un accesso ispettivo presso l'ufficio anagrafe del comune in questione, rilevandone la regolare tenuta.
  Un'analoga ispezione – con analoghi esiti – è stata svolta anche presso il Comune di Telgate che, con delibera di giunta n. 55 del 17 giugno 2014, aveva aumentato da 100 a 350 euro l'importo dei diritti di segreteria relativi alla certificazione di idoneità alloggiativa.
  La delibera in questione è stata impugnata dinanzi al tribunale di Bergamo ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011, con ricorso presentato da dieci cittadini stranieri residenti in quel comune.
  Il giudice adito, con ordinanza adottata il 16 agosto 2015, ha dichiarato «il carattere discriminatorio della condotta del Comune di Telgate» ordinando la revoca della la deliberazione in questione nonché la restituzione della somma di 250 euro ai ricorrenti e, previa istanza degli interessati, agli altri stranieri che abbiano versato l'importo di 350 euro nel periodo di efficacia della deliberazione.
  Si soggiunge che anche i comuni di Albino e di Seriate (nel periodo novembre/ dicembre 2014), nell'ambito della stessa provincia, hanno provveduto a rimodulare l'importo dei diritti di segreteria relativi alle certificazioni di idoneità alloggiativa, ma le relative delibere non risultano oggetto di alcun atto di impugnazione.
  Si rappresenta, inoltre, che gli accessi ispettivi condotti dai funzionari della prefettura nel dicembre del 2014, non hanno evidenziato irregolarità nella tenuta delle anagrafi dei suddetti due comuni.
  Si assicura che la prefettura di Bergamo, nell'ambito delle specifiche competenze, continuerà ad effettuare un attento monitoraggio su quanto evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo, anche al fine di azionare il potere di vigilanza di cui all'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   COVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la questione della sicurezza lungo le stazioni ferroviarie della Lombardia e di Milano in particolare è di forte attualità, anche alla luce degli ultimi eventi accorsi a personale ferroviario;
   in data 27 marzo 2013 il dipartimento della pubblica sicurezza avviava un confronto con le organizzazioni sindacali del personale della polizia di Stato avente per oggetto l'istituzione del posto di polizia ferroviaria di Milano Rogoredo, chiuso nell'anno 2004;
   la riapertura del citato ufficio veniva motivato come un progetto più ampio di rimodulazione degli uffici di polizia finalizzata a dare più efficacia ed efficienza alla luce delle mutate esigenze di sicurezza che imponeva un riposizionamento dei presidi di sicurezza sul territorio sulla base del traffico ferroviario e viaggiatori;
   alla data odierna non siamo a conoscenza del futuro di tale ufficio nonostante dalla predetta stazione transitano giornalmente circa mille convogli tra arrivi e partenze: Freccia Rossa-Italo, Intercity, passante ferroviario, treni regionali, nonché linea tre della metropolitana –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere, affinché si possa riaprire il citato ufficio di polizia in modo da poter aumentare la percezione di sicurezza dei viaggiatori e del personale ferroviario.
(4-09873)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante è seguita con attenzione da questa Amministrazione che, nell'ambito del progetto di riordino della «specialità», prevede l'apertura del posto di polizia ferroviaria di Milano Rogoredo, con propria dotazione di personale e mezzi.
  Attualmente presso la stazione ferroviaria di Milano Rogoredo i servizi di «specialità» sono assicurati dal personale Polfer del presidio di Milano Lambrate, che utilizza locali resi disponibili dalle competenti articolazioni del gruppo Ferrovie dello Stato.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con determinazione del dirigente del servizio energia, reti e infrastrutture, materiali per lo sviluppo della regione Puglia, n. 31 del 24 maggio 2013, è stato autorizzato un impianto di produzione di energia elettrica di tipo biomassa della potenza elettrica di 25,200 MW elettrici, sito nel comune di Sant'Agata di Puglia (Foggia), località «Viticone»;
   con determinazione del dirigente del servizio energia, reti e infrastrutture, materiali per lo sviluppo della regione Puglia, n. 31 del 24 maggio 2013, è stato autorizzata la costruzione e l'esercizio di una stazione autoproduttore di trasformazione e consegna elettrica da 30/150 kV sita nel comune di Deliceto (Foggia), collegata con cavo a 150 kV con la sezione a 150 kV della stazione a 380 kV di Deliceto (Foggia), condivisa con la società Vibinum Srl (A.U. n. 195/2009);
   con determinazione del dirigente del servizio energia, reti e infrastrutture, materiali per lo sviluppo della regione Puglia, n. 31 del 24 maggio 2013, è stato autorizzata la costruzione delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione ed esercizio dell'impianto stesso, da realizzarsi nel comune di Sant'Agata di Puglia (Foggia), località «Viticone»;
   la società proponente i suddetti impianti è la AGRITRE S.R.L., sede legale sita a Ravenna (Ravenna), in via Zuccherificio 10 – frazione Mezzano;
   dal punto di vista geomorfologico l'area d'intervento risulta inserita nelle aree a pericolosità geomorfologica 1 (P.G.l) ovvero a pericolosità media. Seppur dagli elaborati di carattere geologico si apprenda la mancanza di dissesti o di rischio, il Comitato prescrive che siano posti in essere tutti gli accorgimenti perché l'intervento garantisca la sicurezza e non modifichi negativamente le attuali condizioni morfologiche sia dell'area direttamente coinvolta nel progetto sia delle aree limitrofe;
   dalla lettura dei sondaggi geognostici eseguiti (relazione geotecnica – Elab. AG3-AMB-REL.07) si evidenzia la presenza di una falda acquifera superficiale, rinvenibile tra – 1,50 m (sondaggio SI del 18.01.2011) e – 1,10 m (sondaggio S2 del 18.01.2011); inoltre nella relazione idrogeologica (elab. AG3 - AMB-REL-08) si legge che «dalla campagna di monitoraggio eseguita sulla falda superficiale è emerso che essa è fortemente condizionata dagli eventi meteorici registrando delle oscillazioni di circa 1.0 ad una profondità di –1.50 m dal p.c.». Sulla scorta di tale stato di fatto il Comitato prescrive che la Ditta garantisca, sia in fase di cantiere che in fase di esercizio dell'impianto, la tutela e la salvaguardia di tale falda superficiale, eseguendo un monitoraggio semestrale sia delle acque di falda che del suolo;
   la Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia richiede documentazione relativa ai terreni delle infrastrutture e si riserva di fornire parere tecnico successivamente all'acquisizione di tale rapporto. Dal resoconto dell'AU non emerge parere della Soprintendenza su questo punto, mentre l'ufficio energia, dopo un anno e mezzo, comunica la conclusione positiva del procedimento allo stesso ente;
   il comando militare Esercito «Puglia», pur concedendo il nullaosta alla società, che rileva l'esistenza del rischio di presenza ordigni residuati bellici interrati, e che detto rischio è totalmente eliminabile con la bonifica, per la cui esecuzione dovrà essere presentata apposita istanza all'Ufficio BCM del 10° reparto infrastrutture di Napoli, di cui manca allo stato attuale la verifica –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di evitare che vi siano rischi per la salute e l'incolumità dei cittadini e garantire la tutela dei beni culturali e paesaggistici dell'area. (4-07016)

  Risposta. — La bonifica da ordigni esplosivi residuati bellici è regolata dall'articolo 22 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, come modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 24 febbraio 2012, n. 20.
  Per quanto riguarda la «bonifica sistematica» (ricerca e individuazione di ordigni esplosivi residuati bellici interrati), la Difesa provvede all'organizzazione del servizio e alla formazione del personale specializzato, oltre a esercitare le funzioni di vigilanza sulle attività di ricerca e scoprimento di ordigni che possono essere eseguite su iniziativa e a spese dei soggetti interessati, mediante ditte che impiegano personale specializzato.
  L'attività di bonifica sistematica viene svolta sulla base di un parere vincolante dell'autorità militare, relativamente alle «specifiche regole tecniche da osservare in considerazione della collocazione geografica e della tipologia dei terreni interessati ...», in linea con l'articolo 91 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di sicurezza sul lavoro per la bonifica degli ordigni bellici, così come modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera
b) della legge 1o ottobre 2012, n. 177.
  In caso di rinvenimento di ordigni bellici, invece, le operazioni di disinnesco/brillamento, dette anche di «bonifica occasionale», vengono condotte da personale militare specializzato che opera in forma concorsuale, sotto il coordinamento delle prefetture competenti.
  Ciò premesso, riguardo alla situazione rappresentata dall'interrogante, si fa presente che la Difesa ha posto in essere tutte le azioni di competenza.
  Nello specifico, il 24 dicembre 2012 il comando militare esercito «Puglia» ha concesso il nulla osta alla costruzione e all'esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica di tipo biomasse nel comune di Sant'Agata di Puglia – località Viticone – evidenziando, tra l'altro, che il coordinatore per la sicurezza deve valutare, in fase di progettazione, il rischio derivante da un eventuale rinvenimento di ordigni bellici inesplosi, in linea con le disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008, come modificato dalla legge n. 177 del 2012.
  La realizzazione dell'impianto e delle opere connesse è stata autorizzata dalla regione Puglia con determinazione dirigenziale 24 maggio 2013, n. 31.
  Al riguardo, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha comunicato che:
   i progetti delle opere e degli impianti, oggetto della citata determinazione, sono stati esaminati dalle soprintendenze competenti per territorio e materia, le quali hanno espresso le proprie valutazioni, impartendo le prescrizioni ritenute più opportune a tutela del patrimonio paesaggistico e archeologico;
   la soprintendenza archeologica della Puglia ha rilevato l'assenza di provvedimenti di vincolo sui terreni individuati in progetto, con la richiesta di dati integrativi sulle opere connesse all'impianto e di attività di archeologia preventiva;
   la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia, esaminate le integrazioni richieste alla società realizzatrice dell'impianto, ha potuto accertare, attraverso l'esame dell'analisi di intervisibilità, il rapporto dell'impianto previsto con il contesto paesaggistico dell'area circostante e ha valutato positivamente la realizzazione delle opere di mitigazione previste, da rendere il più possibile in linea con le essenze tipiche dei luoghi.

  Per quanto concerne, invece, le operazioni di bonifica da ordigni bellici nell'area in questione, il 10o reparto infrastrutture dell'Esercito italiano ha autorizzato, il 5 febbraio 2014, l'esecuzione dei lavori – a cura della ditta specializzata Vilona s.r.l. di Manfredonia – e ha emanato le relative norme e prescrizioni tecniche; i lavori sono iniziati il 18 febbraio 2014 e si sono conclusi in data 8 aprile 2014.
  Lo stesso reparto infrastrutture, verificata la corretta esecuzione delle attività, ha rilasciato, in data 16 aprile 2014, il previsto verbale di constatazione, con il quale ha attestato la conformità dei lavori alla norma.
  Si sottolinea, in ultimo, che la Forza armata assicura la piena disponibilità a soddisfare eventuali richieste inoltrate dalle autorità o dagli enti interessati, sia di concorso in materia di bonifica da residuati bellici sia di pareri/autorizzazioni in merito alla realizzazione di opere e lavori.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento ha approvato di recente la legge n. 124 del 2015 di riforma della pubblica amministrazione in cui si è delegato il Governo ad adottare decreti delegati per la riorganizzazione degli uffici territoriali di Governo mediante l'attribuzione di nuove funzioni e razionalizzazione degli stessi;
   nell'ambito dei principi fissati dalla legge delega appare del tutto evidente che la razionalizzazione di detti uffici territoriali costituisce il punto di arrivo di un organico procedimento di riorganizzazione delle loro funzioni e deve essere rispondente a criteri specificamente indicati dalla legge;
   peraltro le delicate funzioni svolte dalle prefetture richiedono che la loro riorganizzazione e razionalizzazione sia attuata con molta cautela e analizzando in modo approfondito le singole realtà territoriali e le problematiche socio-economiche peculiari di ciascuna di esse;
   tuttavia, il Ministero dell'interno ha annunciato l'imminente adozione di un decreto finalizzato all'accorpamento entro il 31 dicembre 2016 di alcuni degli attuali uffici territoriali di Governo con conseguente soppressione di ben 23 sedi prefettizie: Teramo, Chieti, Vibo Valentia, Benevento, Piacenza, Pordenone, Rieti, Savona, Sondrio, Lecco, Cremona, Lodi, Fermo, Isernia, Verbano-Cusio-Ossola, Biella, Oristano, Enna, Massa-Carrara, Prato, Rovigo, Asti e Belluno;
   l'adozione di un simile provvedimento appare in contrasto con lo spirito ed il contenuto della legge delega di recente approvazione, in quanto finisce per anticipare in modo irreversibile processi decisionali che, viceversa, devono costituire il punto conclusivo di un più ampio progetto di riorganizzazione della rappresentanza del Governo sul territorio; in assenza dell'abolizione delle province e della riorganizzazione delle funzioni e compiti degli uffici territoriali l'accorpamento delle prefetture appare del tutto prematura rispetto all'attuale organizzazione dell'apparto centrale e periferico dello Stato;
   in un particolare contesto storico caratterizzato da forti tensioni sociali, anche a causa del fenomeno dell'immigrazione e dell'emergenza connessa ai numerosi sbarchi di rifugiati politici e caratterizzato altresì dal forte espandersi della criminalità organizzata di tipo mafioso, anche proveniente dall'estero, appare del tutto inopportuno diminuire la presenza sul territorio di quelli che ad oggi rappresentano presidi di legalità e controllo sul territorio;
   principi di razionalizzazione e riduzione della spesa non possono giustificare il progressivo ridursi della presenza dello Stato sul territorio; non a caso al solo annuncio del provvedimento si è sollevato un ampio coro di voci contrarie: sindacati, politici di tutti gli schieramenti, esponenti della società civile;
   la commissione affari costituzionali della Camera, il 16 aprile 2013 sull'analogo schema recante regolamento in materia di riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio, predisposto ai sensi dell'articolo 10, commi 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 aveva espresso parere negativo perché:
    a) «in mancanza di un quadro normativo certo sull'assetto delle province, l'intervento di cui allo schema di regolamento in esame – richiesto dagli obiettivi di riduzione della spesa fissati dal citato decreto-legge n. 95 del 2012 – non potrà essere affrontato compiutamente prima che sia stata definita la questione del futuro assetto delle province, anche al fine di evitare una serie di costi connessi alla riorganizzazione a fronte di una cornice istituzionale ancora in corso di definizione»;
    b) «vi sono molte perplessità, innanzitutto in relazione alla effettiva possibilità di conseguire i risparmi di spesa attesi e al rischio che, al posto dei risparmi, si determinino spese aggiuntive andrebbero calcolati non solo i costi aggiuntivi, ma anche quelli indiretti della revisione proposta, calcolando, in particolare, le spese del personale che viene distolto dal suo lavoro ordinario ai fini dell'impiego nel processo di riorganizzazione del sistema –:
   sulla base di quali motivazioni il Ministro abbia inteso anticipare la razionalizzazione degli uffici territoriali del Governo vanificando di fatto la portata razionalizzatrice della legge delega n. 124 del 2015, sia perché la riduzione delle prefetture non appare coordinata con la complessiva opera di riforma dell'assetto istituzionale dello Stato, sia perché non appare contestualmente rafforzato il presidio dello Stato sul territorio;
   quali siano stati i criteri utilizzati per la individuazione delle sedi da sopprimere e sulla base di quale istruttoria esse siano state individuate;
   come intende il Governo sopperire all'inevitabile ridimensionamento dell'attività di controllo e di legalità svolta fino ad oggi dalle prefetture oggetto del provvedimento di soppressione sui rispettivi territori. (4-10353)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione sull'annunciato schema di decreto del Presidente della Repubblica che, nel disporre la riorganizzazione degli uffici centrali e periferici del Ministero dell'interno, prevede la chiusura di 23 prefetture. Tale misura sarebbe prematura in assenza dell'abolizione delle province e della riorganizzazione delle funzioni e compiti delle prefetture secondo i dettami della cosiddetta legge Madia; sarebbe inoltre inopportuna in quanto si tradurrebbe in una riduzione della presenza nel territorio degli apparati dello Stato preposti alla sicurezza.
  Il tema evidenziato è particolarmente sentito nella società civile e anche in Parlamento, tant’è che nelle scorse settimane il Governo è stato chiamato a più riprese a discuterne in Assemblea e in Commissione Affari costituzionali della Camera, in sede di
question time, di interpellanze urgenti e di interrogazioni a risposta orale.
  Preliminarmente, si ribadisce quanto lo stesso Ministro dell'interno ha avuto modo di sottolineare nell'Aula della Camera e cioè che l’
iter di approvazione del regolamento è solo agli inizi. Quindi nessuna decisione definitiva è stata assunta sugli accorpamenti da effettuare.
  Vi sarà, quindi, anche lo spazio per un confronto serio con le istituzioni locali, che tenga conto delle istanze provenienti dal territorio.
  Nel merito si osserva che il regolamento in questione, avente ancora la forma di schema, costituisce attuazione della più ampia manovra di ridefinizione degli assetti organizzativi, a livello centrale e periferico, di tutte le amministrazioni dello Stato voluta dal Governo Monti e suggellata nel decreto-legge n. 95 del 2012.
  E fa seguito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 maggio 2015, con cui sono state rideterminate le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale dell'amministrazione civile dell'interno.
  Quanto alle ricadute negative paventate dall'interrogante sulla risposta dello Stato nell'area oggetto di accorpamento, si rappresenta che, nella visione dell'Amministrazione dell'interno, ogni possibile opzione sarà oggetto di attenta valutazione, e comunque non potrà mai andare a scapito della sicurezza reale dei territori.
  Non un'unità di personale sarà sottratta ai compiti di istituto e a quelli operativi, con la conseguenza che le comunità manterranno intatti gli attuali standard dei servizi.
  In sostanza, il regolamento non prefigura alcun arretramento dello Stato sui temi della sicurezza. E non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una
mission fondante del Ministero dell'interno.
  Si ricorda, poi, che la procedura di approvazione del regolamento prevede l'acquisizione del parere delle commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
  Occorre, infine, tener presente che su questo disegno di riforma si è venuta ora a innestare la legge Madia, che contiene, come è ben noto, disposizioni volte a riorganizzare l'intera presenza dello Stato sul territorio.
  Questo articolato, pur annoverando tra i criteri di delega la riduzione del numero delle prefetture, ne rafforza la funzione strategica, come è attestato dal fatto che esse andranno ad assorbire tutti gli uffici periferici dello Stato e si configureranno, quindi, quali «punti di contatto unico» tra lo Stato e i cittadini. Le prefetture, inoltre, continueranno ad essere il cardine del sistema territoriale della sicurezza.
  Alla luce di quanto detto, si ritiene che le perplessità manifestate nell'interrogazione possano considerarsi fugate.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN) è stabilito nel regolamento (UE) n. 1315 del 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE, in cui si individuano i progetti di interesse comune e si stabilisce quali sono le priorità per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti comprendente una struttura a doppio strato che consiste in una «rete globale» e in una «rete centrale» istituita sulla base della rete globale. L'aeroporto di Foggia, Gino Lisa, appartiene alla rete Globale della TEN-T;
   nell'anno 2011, la regione Puglia si è impegnata tramite l'utilizzo dei Fondi FAS, a stanziare 14 milioni di euro per l'allungamento della pista dell’«Aeroporto Gino Lisa» di Foggia. Nel giugno del 2012 la Commissione europea ha ritenuto opportuno contattare la regione Puglia per chiarire la coerenza dello stanziamento con le regole vigenti in materia di aiuti di Stato;
   in risposta alla comunicazione delle autorità italiane, avvenuta il 23 luglio 2014, il 3 settembre 2014 i servizi della Commissione hanno inviato a dette autorità una lettera in cui elencavano le informazioni mancanti, che sono tuttavia necessarie per valutare la compatibilità con il mercato interno, alla luce degli orientamenti del 2014 sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree. I finanziamenti pubblici previsti potranno essere sbloccati soltanto dopo che la Commissione si sarà pronunciata sulla compatibilità degli aiuti destinati all'aeroporto Gino-Lisa, purché risultino rispettate le altre disposizioni del diritto dell'Unione;
   da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 18 luglio 2015, si apprende che la regione Puglia abbia ricevuto una lettera dalla Commissione europea in cui la stessa vuole conoscere chi verserà la quota di spettanza privata per l'allungamento della pista dell'aeroporto di Foggia Gino Lisa per cui sembrerebbe che a fronte di questa richiesta, i 14 milioni di euro stanziati dalla regione Puglia si configurerebbero come «aiuti di Stato» e non potranno essere utilizzati interamente per le opere di allungamento della pista perché verrebbe decurtata una parte pari al 25 per cento dell'investimento –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di chiarire la situazione che si è venuta a creare. (4-10713)

  Risposta. — L'intervento sull'aeroporto di Foggia prevede il prolungamento della pista di volo in modo da poter permettere, ad aeromobili di categoria C (100-150 passeggeri) tipo A319, l'attivazione di voli con carico pagante maggiore e costi di esercizio inferiori.
  L'attuale ridotta lunghezza della pista di volo, che ha consentito dal 2008 al 2011 l'operatività di aeromobili da max 50 posti, ha dimostrato di costituire un vincolo insormontabile alla garanzia di equilibrio economico-finanziario delle compagnie aeree.
  L'intervento è finanziato nell'ambito dell'accordo di programma quadro trasporti sottoscritto il 27 maggio 2013 dalla regione Puglia, dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per un importo di euro 14.000.000,00 a valere sulle risorse di cui alla delibera Cipe n. 62/2011 (fondo sviluppo e coesione FSC).
  Ad oggi, come è noto e come riferisce la regione Puglia, non si è ancora proceduto all'aggiudicazione definitiva in quanto è in corso l'istruttoria da parte della commissione europea per la verifica della compatibilità con la normativa sugli aiuti di Stato ai sensi dei regolamenti dell'Unione europea n. 659/99 e n. 794/04.
  Pertanto, fino al definitivo pronunciamento da parte della Commissione europea l'intervento è sottoposto al cosiddetto
standstill.
  Nelle varie richieste di informazioni da parte della commissione è stata individuata la criticità principale dell'intervento nell'individuazione del co-finanziatore privato, almeno per il 25 per cento.
  Nella prima interlocuzione con la commissione, la regione Puglia comunicava che nel disciplinare del bando di gara pubblicato in data 13 dicembre 2013, aeroporti di Puglia s.p.a. ha previsto espressamente che la parte di finanziamento non coperta da contributo pubblico dovrà essere reperita con l'intervento di risorse private (ad esempio, associazioni di categoria di operatori economici). Questa non potrà contribuire a concorrenza di almeno il 25 per cento al finanziamento dei costi ammissibili dell'investimento, in quanto l'attuale rapporto debiti bancari patrimonio netto ha raggiunto livelli critici e, nel caso in cui non si dovessero formalizzare interventi finanziari da parte di soggetti privati, la stessa società procederà alla revoca/annullamento della gara.
  Successivamente, la commissione si soffermava su come possa essere giustificato l'intervento del 25 per cento di capitale privato nell'operazione e la Regione argomentava che la proporzionalità dell'Aiuto viene rispettata attraverso l'individuazione dei costi ammissibili e il rispetto dell'entità massima sovvenzionabile, come previsto al punto 97 delle linee guida dell'Unione europea del 2014. Per gli aeroporti con traffico annuo inferiore a 1 milione di passeggeri è prevista una soglia massima del 75 per cento. Nel caso in cui non si dovessero formalizzare interventi finanziari da parte di soggetti privati per la quota rimanente, aeroporti di Puglia s.p.a. procederà alla revoca/annullamento della gara.
  In ogni caso, le autorità Italiane hanno informato la commissione dell'intenzione di mantenere l'idea del progetto sebbene, al momento, nessun investitore privato abbia mostrato la disponibilità a partecipare all'investimento.
  Nel corso di una riunione il 22 giugno scorso – cui hanno partecipato rappresentanti della commissione dell'Unione europea, regione Puglia e aeroporti di Puglia – si è deciso che la commissione avrebbe riesaminato tutti gli elementi del fascicolo per verificare la sussistenza delle altre condizioni previste.
  Qualora ricerca e analisi sfociassero in un esito positivo, su richiesta dell'Italia, la Commissione comunicherebbe i risultati dell'analisi preliminare del progetto notificato con lettera ufficiale fatto salvo che l'autorizzazione all'aiuto potrà essere rilasciata solo a fronte della comprova del cofinanziamento di operatori economici privati per un importo pari almeno al 25 per cento dell'investimento.
  Questa lettera della Commissione servirebbe a rassicurare i potenziali investitori circa la compatibilità con le norme sugli aiuti di stato del finanziamento pubblico a favore dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia.
  Lo scorso 29 luglio, la commissione europea ha chiesto alla regione Puglia ulteriori chiarimenti e la stessa regione ha risposto il successivo 7 agosto.
  Ad oggi, si è in attesa del pronunciamento della Commissione europea.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Governo dichiara di avere un grande interesse per l'istruzione dei cittadini, per la formazione culturale e per la crescita qualitativa del nostro Paese;
   a questo proposito, oltre all'evasione ed alla dispersione scolastica, vi è un altro grave fenomeno che sta divenendo insostenibile, specialmente nel territorio campano: il furto di attrezzature e di strumenti informatici indispensabili per la didattica;
   nelle ultime settimane, secondo quanto si apprende da fonti di stampa, hanno subito incursioni notturne gli edifici scolastici di Teverola (prima la scuola media e poi l'elementare dell'istituto comprensivo Ungaretti) e Casaluce (presso la scuola media Beethoven) nel territorio di Caserta, che si aggiungono ad altri istituti scolastici che hanno subito la stessa sorte nei mesi scorsi;
   in tali occasioni, sono stati purtroppo altresì vandalizzati gli edifici;
   si pone all'attenzione dei Ministeri competenti come appaia evidente che i furti non avvengono in considerazione del valore commerciale delle attrezzature, peraltro inutilizzabili per le loro caratteristiche tecniche, ma in funzione del discredito delle istituzioni scolastiche e del conseguente depauperamento culturale dei giovani che rappresenta un obiettivo storico delle organizzazioni criminali che intimoriscono anche i docenti ed impongono la cultura della violenza;
   appare di stringente necessità considerare il fenomeno nella sua complessità per prevenire e reprimere, coinvolgendo in primo luogo gli alunni delle scuole nel giudizio relativo a tali ignobili atti –:
   quali siano le informazioni in possesso dei Ministri interrogati in merito alle vicende segnalate;
   quali siano gli orientamenti del Governo al fine di garantire la sicurezza e l'integrità degli edifici scolastici, soprattutto per fornire una risposta fermissima a questi atti criminali;
   se i Ministeri competenti non ritengano doveroso attivarsi immediatamente affinché i dirigenti scolastici siano adeguatamente sostenuti e per far sì che tutta la comunità scolastica (studenti, genitori, insegnanti e personale non docente) sia coinvolta in iniziative pubbliche di denuncia di tali deprecabili atti che offendono la coscienza civile. (4-05022)

  Risposta. — Effettivamente, il 28 aprile e l'8 maggio del 2014, alcuni ignoti si sono introdotti all'interno dell'istituto scolastico «Ungaretti» di Teverola, danneggiandone alcune suppellettili e impadronendosi di 8 personal computer.
  Analogo episodio si è verificato pochi giorni dopo, il 31 maggio, nella scuola media «Ludwig Van Beethoven» di Casaluce da dove sono stati asportati 13 personal computers.
  Entrambi i reati si sono verificati durante le ore notturne, in occasione della chiusura dei plessi scolastici per il fine settimana o per le festività pasquali.
  Le relative indagini, tuttora in corso a cura dell'Arma dei Carabinieri, pur non facendo emergere elementi utili all'identificazione dei responsabili, hanno consentito di escludere collegamenti con la criminalità organizzata, riconducendo i fatti nell'alveo dei reati predatori.
  I rilievi tecnici effettuati hanno inoltre evidenziato la mancanza di sistemi di allarme o di videosorveglianza. Al riguardo, si rappresenta che è stato disposto che le pattuglie delle forze di polizia impegnate nel controllo del territorio intensifichino la vigilanza notturna degli istituti scolastici in questione e di analoghi obiettivi.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO, CIPRINI, FRUSONE, NESCI e LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denunciato da fonti sindacali, lo scorso 26 dicembre 2014 alcuni poliziotti del reparto mobile di Palermo, della questura di Messina e personale della polizia scientifica sono stati impiegati presso il porto di Messina per dare assistenza allo sbarco dei circa novecento migranti, appena salvati nel canale di Sicilia;
   sempre secondo le medesime segnalazioni, i poliziotti che hanno raggiunto il molo verso le 18, si sono presto resi conto che, nonostante la pioggia battente ed il freddo, non era stata preparata l'assistenza necessaria per l'accoglienza dei migranti eccezion fatta per due tende, una della CRI ed una della Protezione Civile Regionale assolutamente insufficienti a dare riparo sia ai poliziotti che ai migranti dalle piogge che fino alla serata hanno continuato a cadere abbondanti;
   secondo quanto segnalato, a soffrire questa situazione c'erano ovviamente anche i migranti, il cui unico «riparo», per alcune ore è stato il telino termico in vinile dato loro a bordo della nave militare ed i cui animi, come è comprensibile, si andavano sempre più esagitando. Le operazioni al molo sono andate avanti ben oltre le 21, quando tutti fradici e infreddoliti, migranti e poliziotti, sono stati trasportati con autobus pubblici e privati, che hanno fatto la spola, dal porto all'ex campo di baseball, dove è stata allestita una tendopoli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se non ritenga di dover intervenire affinché simili incresciose vicende non abbiano a ripetersi. (4-07443)

  Risposta. — La vicenda cui fa riferimento l'interrogante è stata seguita attentamente da questa Amministrazione che, non appena ricevuta la notizia, ha attivato tempestivamente tutti i canali necessari per accogliere gli immigrati che sarebbero giunti il 26 dicembre 2014 al porto di Messina.
  Nel tardo pomeriggio di giovedì 25 dicembre, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ha allertato telefonicamente il funzionario di turno della prefettura di Messina, comunicando l'arrivo previsto per il giorno successivo dell'unità navale militare «Etna» con a bordo 886 migranti.
  Conseguentemente, è stato attivato, a cura della prefettura di Messina, il sistema di prima accoglienza dei migranti, con il consueto contributo della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia costiera, nonché dei Vigili del fuoco, dell'ASP 5 di Messina, dell'USMAF, della Croce Rossa, dell'ente gestore dei centri d'accoglienza e dell'associazione «Misericordia».
  Si fa presente che le procedure organizzative messe in atto sono state quelle sperimentate, senza particolari criticità, in occasione di precedenti sbarchi che hanno interessato la provincia di Messina sin dal mese di aprile del 2014.
  Tuttavia, l'eccezionalità dell'evento, atteso il numero mai così elevato di migranti che sarebbero sbarcati, avrebbe richiesto un supporto maggiore anche da parte di altre componenti del sistema di accoglienza, al fine di garantire una più efficace assistenza.
  Ciò detto, si rappresenta che nella circostanza dello sbarco, avvenuto al molo «Colapesce» del porto di Messina intorno le ore 13.30 del 26 dicembre, la questura di Messina ha disposto i necessari servizi di ordine, sicurezza e vigilanza, mediante l'impiego di personale delle Forze di Polizia territoriali con il concorso dei Reparti opportunamente assegnati dal Ministero dell'interno.
  A causa delle avverse condizioni meteorologiche, registrate a partire dalle ore 14.00 del 26 dicembre, il questore di Messina, presente durante le fasi di attesa, sbarco e trasferimento dei migranti, ha disposto di far stazionare gli operatori di polizia impiegati nei servizi di accoglienza quanto più possibile a bordo dei rispettivi automezzi di servizio, pur assicurando che i medesimi, al momento dello sbarco, prestassero ai migranti la necessaria assistenza che si è protratta sino alla conclusione delle operazioni, con conseguente inevitabile esposizione agli effetti del maltempo.
  Il servizio si è svolto regolarmente e si è concluso con l'avvio dei migranti presso le strutture di accoglienza del capoluogo messinese e i centri sul territorio nazionale individuati dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.
  I migranti rimasti a Messina sono stati sistemati nei centri siti presso il plesso universitario «Primo Nebiolo» e presso l'ex caserma «Gasparro» preventivamente liberati al fine di garantire un ricambio delle persone ivi ospitate.
  Le circostanze che evidentemente hanno rallentato le operazioni vanno individuate, oltre che nelle avverse condizioni atmosferiche, anche nel fatto che il trasferimento dal molo Colapesce ai predetti centri di accoglienza non è stato assicurato dai mezzi di trasporto pubblico del comune di Messina, ma da una ditta privata individuata in brevissimo tempo dalla prefettura e incaricata di reperire, nell'immediatezza, un numero sufficiente di pullman per organizzare il trasferimento di circa 800 migranti in altre località della Sicilia e in altre regioni d'Italia.
  Si rappresenta, infine, che a bordo della nave «Etna» vi erano anche settanta minori non accompagnati che sono stati fatti alloggiare presso il centro «Ahmed» che già ospitava in via temporanea altri 103 minori stranieri.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LUIGI DI MAIO, MASSIMILIANO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la regione autonoma della Valle D'Aosta, ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione italiana, dispone di «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale»;
   lo statuto speciale per la Valle d'Aosta, adottato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, all'articolo 2, comma 1, lettera z) dispone che tale «regione ha potestà legislativa», tra le varie, anche in materia di «servizi antincendi»;
   l'articolo 19 della legge 16 maggio 1978, n. 196 recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta» ha previsto che «le funzioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di servizi antincendi relativi al territorio della Valle d'Aosta si intenderanno trasferite alla regione Valle d'Aosta all'atto dell'emanazione delle relative norme legislative da parte della regione medesima»;
   ciò è avvenuto con la legge regionale della Valle d'Aosta 19 marzo 1999, n. 7 , che, all'articolo 1 recita: «La presente legge disciplina, nel territorio regionale, la prevenzione e l'estinzione degli incendi nonché i servizi di soccorso tecnico urgente attribuiti alla regione, in sostituzione degli organi centrali e periferici dello Stato, ai sensi dell'articolo 19 della legge 16 maggio 1978, n. 196 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Valle d'Aosta)»;
   la legge regionale 19 marzo 1999, n. 7 è stata abrogata e sostituita dalla legge regionale 10 novembre 2009, n. 37, recante «nuove disposizioni per l'organizzazione dei servizi antincendi della Regione autonoma Valle d'Aosta» ove all'articolo 2, comma 3 ha disposto che «ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 196 del 1978, il Corpo valdostano dei vigili del fuoco sostituisce, nel territorio regionale, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e svolge le funzioni e i compiti allo stesso attribuiti»;
   le attuali necessità di revisione della spesa pubblica e di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni impongono oggi un ripensamento sulla frammentazione dei Corpi dei vigili del fuoco, con particolare attenzione alle necessità di accorpamento per migliorare l'integrazione operativa e l'efficienza della sicurezza e del soccorso pubblico;
   secondo quanto riferisce il sindacato autonomo dei vigili del fuoco CONAPO, anche la maggioranza del personale del «Corpo Valdostano dei vigili del fuoco», si è dichiarato favorevole al passaggio nel «Corpo Nazionale dei vigili del fuoco». Il sindacato riferisce altresì di sperequazioni a danno dei vigili del fuoco valdostani relative ad un trattamento previdenziale e pensionistico deteriore rispetto ai vigili del fuoco statali;
   il subentro dello Stato nei servizi antincendi e di soccorso pubblico della Valle D'Aosta (come già esistente sino al 1999) non avrebbe nessuna ricaduta negativa sulla sicurezza dei cittadini valdostani, ma potrebbe invece costituire, previ opportuni accordi Stato-regione, una opportunità sia per i vigili del fuoco valdostani (che si troverebbero equiparati ed integrati con quelli statali), sia per la regione autonoma Valle D'Aosta e per i propri cittadini (che si troverebbero a non dover sostenere gli onerosi costi dei servizi antincendi e di soccorso pubblico);
   sempre secondo quanto riferisce la medesima fonte sindacale sussistono attualmente talune difficoltà di integrazione operativo-logistica tra i due corpi di vigili del fuoco, specie in caso di emergenze e calamità ed è pertanto necessario sfruttare al meglio le comuni esperienze operative e formative –:
   se i Ministri interrogati, anche alla luce dell'accordo da parte dei lavoratori interessati, non ritengano opportuno promuovere un urgente iniziativa che porti alla unificazione del Corpo valdostano e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   se il Ministro dell'interno, nelle more della unificazione dei due corpi, non ritenga opportuno promuovere un «accordo quadro» tra lo Stato e la regione autonoma della Valle d'Aosta, al fine di iniziare un processo di integrazione operativa e accorpamento degli acquisti, con indubbio vantaggio in termini di efficienza e risparmio della spesa pubblica. (4-07819)

  Risposta. — In merito a quanto auspicato dall'interrogante con l'interrogazione indicata in esame, si rappresenta che il Ministero dell'interno ha predisposto uno schema di accordo quadro da stipularsi con la regione Valle d'Aosta, finalizzato «a migliorare l'efficienza del sistema di soccorso pubblico, di protezione e difesa civile, a salvaguardia delle persone, dei beni e dell'ambiente in ambito regionale, nazionale e internazionale».
  L'accordo, nel prevedere una più compiuta definizione delle modalità di collaborazione, laddove necessario anche attraverso specifiche intese, prevede: la promozione di attività di coordinamento con il Corpo dei vigili del fuoco valdostano finalizzate a favorire la programmazione congiunta degli acquisti esperiti dal dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile per mezzi, materiali, attrezzature ed equipaggiamenti; lo sviluppo di piani per l'integrazione delle risorse logistiche e strumentali, anche attraverso la condivisione di procedure informatiche e dei sistemi di comunicazione, nei limiti delle disponibilità e garantendo le esigenze di sicurezza e riservatezza dei dati e dei programmi; la prosecuzione della collaborazione e del supporto nelle attività di formazione del personale; il perfezionamento della collaborazione tra i reparti territorialmente contigui nelle attività di soccorso tecnico e di protezione civile.
  In linea con il predetto accordo, è stato già predisposto anche il testo di un protocollo operativo in materia di approvvigionamenti, volto a promuovere specifiche iniziative per l'integrazione delle risorse logistiche e strumentali tra il corpo nazionale ed il corpo valdostano.
  L'accordo quadro in questione è in fase di approvazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Afragola (Napoli) da alcuni mesi ha terminato un intervento di riqualificazione di un immobile da destinare al commissariato di polizia di Stato;
   l'intervento è stato possibile sfruttando un finanziamento europeo ed è costato 4,2 milioni di euro, dal momento che la struttura, formata da tre piani, per una superficie pari a 15 mila metri quadri, ubicata nel popoloso e degradato quartiere Salicelle, negli anni scorsi era stata totalmente vandalizzata;
   l'esigenza di trasformare la struttura in un fortino di legalità all'interno di un quartiere dove il clan Moccia di Afragola (tuttora egemone nell'area a nord di Napoli) è nata dal fatto che l'edificio che attualmente ospita il commissariato di polizia, sito nella piazza Salvator Rosa, sarebbe in uno stato di avanzata fatiscenza, ai limiti dell'inagibilità;
   inoltre, la cronica carenza di organico che affligge tutto il comparto, secondo quanto segnalato all'interrogante, avrebbe stremato gli operatori costretti peraltro a svolgere turnazioni particolari che ovviamente sottraggono personale ai compiti di controllo del territorio;
   da circa sei mesi, a quanto consta all'interrogante, i lavori di ristrutturazione della nuova struttura sarebbero stati completati, ma essa è stata lasciata in stato di abbandono totale e senza vigilanza da parte degli organi competenti, dal momento che il Ministero dell'interno non avrebbe ancora autorizzato il passaggio dalla vecchia alla nuova struttura;
   tutto ciò ha esposto la struttura ad atti di vandalismo che in quattro mesi hanno portato alla rottura di due citofoni ai cancelli delle volanti e quello del pubblico, tre marmi rotti, un vetro anteriore in frantumi, muri perimetrali imbrattati con scritte utilizzando pittura spray;
   tutto ciò rappresenta uno sfregio ad un simbolo di legalità in un quartiere ad alta densità criminale; l'Agenzia del demanio di Napoli ha ritenuto congruo il canone richiesto del comune di Afragola, con nota n. 2015/9101/DRCAM/NA2 del 5 marzo 2015;
   a questo proposito, occorre evidenziare che per il fatiscente edificio che attualmente ospita il commissariato di polizia sito nella piazza Salvator Rosa, per quanto risulta all'interrogante, è corrisposto ad un privato un canone annuo di 102.290,39 euro, laddove il comune di Afragola fornirebbe una struttura appena ristrutturata in cambio di un canone annuo di 65.800 euro, producendo quindi un effettivo risparmio di 34.490,39 euro all'anno;
   nel frattempo, la prefettura di Napoli avrebbe inoltrato la pratica al Ministro interrogato, cui spetterebbe il nulla osta definitivo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare per procedere quanto prima all'assegnazione definitiva della nuova struttura. (4-08686)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, concernente il trasferimento del commissariato di Polizia di Stato di Afragola, nella nuova sede di proprietà comunale in località Salicelle, si è conclusa positivamente.
  In data 5 maggio 2015, è stato sottoscritto il contratto di locazione tra il Ministero dell'interno e il comune di Afragola, per la nuova sede del commissariato di pubblica sicurezza, alla presenza del prefetto e del questore di Napoli. Il successivo 1o luglio 2015 vi è stata l'inaugurazione del nuovo commissariato.
  L'immobile in argomento è una struttura moderna e attrezzata in grado di garantire al personale di polizia condizioni lavorative migliori sia dal punto di vista dell'efficienza che della funzionalità.
  Si precisa, inoltre, che i locali in questione sono stati concessi in locazione dall'amministrazione comunale per un importo annuo pari ad 65.800 euro con un conseguente risparmio per l'amministrazione dell'Interno – rispetto al canone pagato per la vecchia sede (102.290,37 euro) – di oltre il 35 per cento.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO, LOMBARDI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa e secondo quanto denunciato da fonti sindacali, per l'intera giornata del 1° luglio i server della polizia scientifica di Palermo sono stati bloccati a causa delle temperature troppo alte e della mancanza di un impianto di condizionamento ambientale adatto;
   nonostante le numerose richieste inoltrate da oltre un anno al Ministero dell'interno al fine di ottenere una sistemazione idonea – secondo quanto denunziato dai vertici siciliani del sindacato di polizia Consap – sono stati installati in una stanza che custodisce i tre grandi e delicati server solo due condizionatori per uso domestico del tutto insufficienti. Pertanto, tutte le attività della polizia scientifica, dalla balistica al laboratorio fotografico, dalla squadra sopralluoghi alla grafologia, compresa la ricezione reperti, si sono fermate fino al giorno dopo;
   inoltre, agli inizi del 2011, il Ministero ha dotato il gabinetto di polizia scientifica di Palermo di due camper, attrezzati per effettuare rilievi a fronte di attacchi batteriologici. Poco dopo uno di questi due camper venne dotato di macchinari per effettuare foto segnalamenti in situazioni di emergenza o di lontananza dalla sede della polizia scientifica;
   sempre secondo quanto segnalato dalle medesime fonti sindacali, il camper adibito al «foto-segnalamento» è fermo da circa due mesi perché, come tutte le normali vetture, necessita di revisione periodica. In un rimpallo di competenze tra il Ministero e la questura di Palermo non si riescono a reperire i 600 euro necessari alla riparazione di alcune disfunzioni causate dalla normale usura: il risultato di ciò è che un camper dotato di attrezzature per migliaia di euro è inutilizzabile;
   un'ulteriore problematica segnalata da fonti sindacali è che il laboratorio fotografico della questura di Palermo èbloccato da circa un mese perché la stampante dedicata è fuori uso e al momento, quindi, non è possibile stampare le foto dei sopralluoghi. Per i fascicoli più urgenti da presentare all'autorità giudiziaria i funzionari di polizia sono costretti all'utilizzo di stampanti di fortuna. Sembrerebbe imminente l'arrivo dei ricambi dei pezzi non funzionanti, ma, non essendo previsto l'intervento di un tecnico, dovrebbero essere i poliziotti stessi, pur senza avere nessuna competenza specifica, a procedere alle sostituzioni;
   la valutazione di quanto illustrato in premessa non può che essere estremamente negativa, dal momento che la polizia scientifica di Palermo ha una mole di lavoro enorme e ha sempre svolto lavoro di grande eccellenza e qualità, anche nei periodi oscuri delle stragi di mafia, dimostrandosi all'altezza;
   in tempi più recenti, spesso il personale della scientifica è stato impiegato per l'identificazione delle vittime dei tragici naufragi dei barconi nel canale di Sicilia e con l'esodo dei migranti la scientifica di Palermo svolge un ruolo di primaria importanza, ma risulterebbe clamorosamente sprovvista di un sistema di aerazione per i suoi server. Il mancato collegamento con il server centrale a Roma comporta l'impossibilità di identificare, in tempo reale, le persone sottoposte a foto segnalamento per risalire alla loro identità, qualora queste siano considerate sospette di legami con ambienti terroristici. Il rischio, pertanto, è di non essere in grado di effettuare importantissimi controlli sui migranti in arrivo nella Sicilia occidentale;
   tutta questa vicenda pone degli inquietanti interrogativi sulla affidabilità e impenetrabilità del livello di massima allerta e sul potenziamento della polizia per i pericoli legati al terrorismo, soprattutto in considerazione del fatto che le coste siciliane distano poche decine di chilometri da quelle libiche in mano all'organizzazione terroristica internazionale denominata ISIS –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto segnalato in premessa e se non ritenga di dover tempestivamente intervenire al fine di garantire la funzionalità di indispensabili settori operativi della questura di Palermo. (4-09816)

  Risposta. — Nell'interrogazione in oggetto, l'interrogante richiama l'attenzione su alcune problematiche riguardanti la polizia scientifica di Palermo riconducibili ad alcuni episodi di mal funzionamento dei server in dotazione causati dalla mancanza di un impianto di condizionamento ambientale idoneo, all'inutilizzo temporaneo di un camper adibito al fotosegnalamento in situazioni di emergenza e alle disfunzioni che hanno interessato il laboratorio fotografico della locale questura.
  Al riguardo, si informa che la polizia scientifica di Palermo dispone di una sala
server che gestisce tutta la rete informatica di quell'ufficio, dotata di impianto di refrigerazione costituito da due condizionatori.
  Lo scorso 29 giugno, a causa di un guasto a uno dei due condizionatori dell'impianto, si è attivato il sistema di allarme dei
server che, per conseguenza, sono andati In protezione, riducendo le loro ordinarie prestazioni. Ciò è accaduto, però, per il solo tempo necessario ad attivare gli interventi tecnici necessari al ripristino dell'ordinaria funzionalità degli impianti, risultato raggiunto grazie alla sostituzione del condizionatore in avaria.
  Peraltro, nell'occasione, in ragione delle problematiche tecniche sopra rappresentate e al fine di evitare ulteriori disservizi, è stato immediatamente attivato il collegamento diretto al sistema automatizzato di identificazione delle impronte del servizio polizia scientifica di Roma, che permette il trasferimento dei dati del fotosegnalamento in modalità Gid (Gruppo di identificazione dattiloscopica). In tal modo, è stato possibile continuare a svolgere con regolarità le attività di riscontro dattiloscopico senza interrompere il delicato servizio.
  Per quanto riguarda invece il camper, si comunica che a novembre del 2011 è stato consegnato al Gabinetto regionale per la Sicilia occidentale della polizia scientifica un veicolo Fiat Iveco targato F3383 con allestimento nucleare biologico chimico radiologico, trasformato qualche mese dopo in un mezzo mobile di fotosegnalamento, in ragione della crescente necessità di svolgere i fotosegnalamenti fuori sede.
  Lo scorso marzo, poiché era necessario procedere alla revisione del mezzo (che risulta in carico al gabinetto regionale della polizia scientifica di Roma), è stata inoltrata la richiesta di autorizzazione alla spesa alla competente sezione motorizzazione della questura di Roma. Nelle more, il veicolo è stato collocato nell'area antistante l'ufficio immigrazione continuando a fornire – e ciò avviene ancora oggi –, un valido contributo all'espletamento delle complesse attività di fotosegnalamento, in particolar modo in occasione di sbarchi di un elevato numero di extracomunitari.
  Inoltre, con i fondi assegnati per l'intera attività del gabinetto regionale per la Sicilia occidentale della polizia scientifica è stato emesso, tramite la prefettura di Palermo, l'ordine di acquisto anche per il materiale di consumo necessario al laboratorio fotografico e, poiché tale materiale non è stato consegnato al gabinetto della polizia scientifica entro i termini previsti, la prefettura ha provveduto a diffidare la ditta incaricata della fornitura.
  Si assicura infine che, malgrado le problematiche riferite e seppure con qualche difficoltà, l'ufficio di polizia scientifica di Palermo ha espletato la propria attività con continuità, fornendo con la dovuta puntualità i necessari riscontri dattiloscopici agli operatori di polizia giudiziaria, senza alcuna compromissione dell'attività di identificazione e fotosegnalamento delle persone sospette.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DIENI, LOMBARDI, TONINELLI, COZZOLINO e DADONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dal dialogo tra ’ndranghetisti intercettato dagli investigatori nell'aprile del 2008, nell'ambito dell'operazione «Saggezza», coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che ha portato all'arresto di 39 esponenti di spicco dei clan della Locride e dintorni, emergono chiare e inconfutabili prove dell'inquinamento da rifiuti tossici in Calabria e, in particolare, in Aspromonte («Ne hanno atterrati di questi cosi tossici qui nella montagna, che glieli hanno portati i «pianoti», che lì a Gioia Tauro dice che stanno scoppiando che Dio ce ne liberi»);
   nell'intercettazione, finora inedita, parlano il «capo corona» Vincenzo Melia, il suo consigliere Nicola Romano e, per interposta persona, un altro elemento dell'organizzazione criminale Nicola Nesci, i quali ricostruiscono per filo e per segno la storia dei rifiuti tossici interrati in Aspromonte e nella piana di Gioia Tauro negli anni ’70 («A Gioia Tauro dicono che sotto ogni albero d'ulivo c’è un bidone!») e dei loro effetti devastanti sulla popolazione («Perché qua è una distruzione di paesi, di famiglie... tutti con la leucemia»);
   ad Africo, un comune della Locride di 2.850 abitanti, negli ultimi 15 anni sono morte per tumore 180 persone, di cui più di 33 solo in via Matteotti (dove vivono 50 persone e 20 famiglie), e almeno un centinaio oggi combattono la malattia, a causa di un quantitativo di scorie tossiche, presumibilmente radioattive, che – secondo l'audizione del direttore dell'Aisi Giorgio Piccirillo, allegata alla relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta del 28 febbraio 2013 – sono state fatte scaricare nella zona dal boss Giuseppe Morabito, in cambio di una partita di armi;
   nel 1995, moriva in circostanze misteriose il capitano Natale De Grazia, che indagava sulle navi cariche di rifiuti tossici affondate nei mari calabresi, accertate nella suddetta relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta;
   nei giorni scorsi, il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, intervistato da Radio24, si è detto convinto che «ci sia un equivalente della Terra dei fuochi campana anche in Calabria»: «le mafie si sono arricchite sui rifiuti» e «varie sono le notizie sui rifiuti sversati intorno al territorio di Reggio Calabria»; «un'attività di contrasto su questo ancora non è stata compiuta», ma l'indagine che sta per essere avviata «dovrà spaziare a 360 gradi»; «Legambiente nel suo rapporto dipinge un quadro preoccupante. Ma mi chiedo – ha concluso il procuratore stesso –: come mai nulla è stato fatto visto che questo sversamento di rifiuti è avvenuto tanti anni fa?»;
   come recentemente denunciato dalla Cgil in un comunicato, nel quale invocava una visita in Calabria del Ministro dell'ambientò, «Il problema dei rifiuti pericolosi e tossici in Calabria è stato fino ad oggi fortemente sottovalutato e va invece affrontato con tempestività e trasparenza». «La Calabria, a conferma delle rivelazioni di Carmine Schiavone, sconta ritardi e superficialità su un tema di rilevanza fondamentale per la salute dei cittadini e per l'ambiente». «Dopo la manifestazione nazionale dell'ottobre 2009 ad Amantea», «pochi sono stati i segnali positivi e anzi da allora sembra essere calato quasi un velo di silenzio e rassegnazione»;
   un residente di Africo Antonio Pratticò ha da poco lanciato una petizione popolare per denunciare la grave situazione in cui versa il territorio, alla quale hanno aderito 1800 concittadini, e l'ha spedita alle istituzioni statali e calabresi e all'Asp;
   qualche mese fa, Carmine Schiavone, l'esattore dei casalesi, in un'intervista a RaiNews24, affermava: «Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non è che li rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se la gente moriva o non moriva? L'essenziale era il business», che – come accertato nell'audizione citata – coinvolgeva mafia, ’ndrangheta e sacra corona e confidava nel sostegno dello Stato; «fino al 1991, la zona del Sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall'Italia»;
   dal 2005, diversi pentiti, da Francesco Fonti a Antonino Lo Giudice, hanno confermato che, in Calabria, la ’ndrangheta ha, buttato rifiuti radioattivi sia in mare che in montagna, rivelando che tra i luoghi maggiormente a rischio vi sono il Cassanese (dove sono stati interrati per anni ferriti di zinco), la Marlane (dove si sospetta la presenza di fanghi tossici) e il fiume Oliva (che cela sostanze inquinanti), ma le loro deposizioni sono rimaste inspiegabilmente chiuse per 4 anni nei cassetti della direzione nazionale antimafia;
   nonostante tutto quanto detto e mentre continuano ad aumentare i casi di patologie oncologiche, in Calabria, Ministri, Governi nazionali e regionali, amministratori locali, Arpacal e buona parte della magistratura continuano a rassicurare la cittadinanza che non c’è nulla nelle montagne dell'Aspromonte e nel tirreno cosentino e che la mancata bonifica dell'ex Pertusola di Crotone è solo frutto di intoppi amministrativi ed economici e non incide sullo stato di salute dei cittadini;
   in questi anni sono morte decine di migliaia di vittime innocenti e altrettante si preparano a soffrire –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per la tutela della salute e del benessere dei cittadini e se il Governo intenda promuovere o favorire per quanto di competenza in concorso con gli enti territoriali competenti e con le forze sociali, del lavoro e dell'impresa, l'accertamento dei fatti e delle responsabilità e la bonifica delle acque e delle terre calabresi. (4-04314)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  La regione Calabria, nell'ambito delle attività del PON «Sicurezza per lo sviluppo-Obiettivo Convergenza 2007-2013», è stata beneficiaria, unitamente alle altre regioni obiettivo delle risorse per la realizzazione del progetto promosso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il «Monitoraggio ed Individuazione di Aree Potenzialmente Inquinate (MIAPI)».
  L'obiettivo del progetto MIAPI è la localizzazione di possibili fonti di inquinamento attraverso l'individuazione di anomalie di alcuni parametri geofisici (magnetici, termici e radiometrici) misurati mediante sensori alloggiati su una piattaforma aerea.
  La modalità di rilevamento è innovativa e prevede una verifica a terra delle anomalie rilevate, con il costante coinvolgimento del comando Carabinieri tutela dell'ambiente e delle agenzie regionali di protezione dell'ambiente territorialmente competenti.
  Al termine dei voli e delle indagini sulle aree non sorvolabili (centri abitati, o aree con pendenze superiori al 15 per cento, dall'interpretazione dei dati telerilevati saranno mappati gli eventuali siti che presentano anomalie rilevanti per i quali si procederà con specifici rilievi sul campo.
  In caso di riscontro positivo seguiranno quindi ulteriori attività
in situ volte alla definizione della tipologia di rischio e alla successiva messa in sicurezza e bonifica dell'area.
  Tutti i dati rilevati confluiranno in un'unica banca dati che permetterà agli enti locali di avere una conoscenza più approfondita degli eventuali rischi presenti sul territorio.
  Il progetto MIAPI, che ha ricevuto il plauso della Commissione europea, si inquadra nell'ambito di una serie di interventi coerenti con gli obiettivi del programma PON-Sicurezza, fornendo valore innovativo e conoscenza alle autorità pubbliche preposte alla tutela del territorio, per meglio tutelare i singoli cittadini nei confronti dei pericoli provenienti dalle attività delle ecomafie.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società, partecipata al 100 per cento, dal Ministero dell'economia e delle finanze, che gestisce i servizi postali in un regime di sostanziale monopolio sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui Poste italiane si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli riguardanti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi essenziali, Poste italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità; nonostante ciò il piano di riorganizzazione dell'azienda stabilisce, a livello nazionale, la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   il piano di riorganizzazione nazionale di Poste italiane spa prevede, per i primi giorni di aprile, in provincia di Verona, la chiusura di 10 uffici postali e per uno la riduzione di orario;
   gli uffici interessati alla chiusura sono localizzati nelle aree che dalla collina arrivano alla Bassa, passando per l'Est veronese e il Garda, zona di enorme pregio turistico;
   nel dettaglio: a Monteforte d'Alpone, i cittadini dovranno rinunciare ai servizi dell'ufficio di Costalunga Brognoligo, quelli di Albaredo d'Adige alla sede di Coriano. Nella Bassa, a Cerea verrà meno l'ufficio di Asparetto, a Oppeano quello di Ca’ degli Oppi e a Gazzo Veronese chiuderanno i battenti sia quello di Correzzo che di San Pietro in Valle. Sul Garda, invece, la chiusura interesserà sia l'ufficio postale di Sandrà, ma anche per Pacengo, a Lazise. Infine, doppia chiusura per Caprino che dovrà rinunciare sia all'ufficio postale di Pesina, che a quello di Spiazzi, nella frazione che ospita il Santuario della Madonna della Corona, sede d turismo e pellegrinaggi. Non chiusura ma orario ridotto, infine, per l'ufficio di Selva di Progno;
   sono già numerosi gli svantaggi che le zone periferiche si trovano ad affrontare rispetto ai centri urbani e appare inaccettabile la decisione unilaterale di privarle dei servizi postali, fondamentali in particolare per famiglie e imprese: basti pensare al pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   una scelta tanto più inaccettabile se letta alla luce della delibera dell'Agcom del 24 giugno 2014, n. 342, in cui l'Autorità ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
   la scelta di Poste italiane conferma l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni che va nella direzione di una esclusiva logica di guadagno, puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, il tutto a danno dei cittadini costretti a spostarsi per avere gli stessi servizi e a scapito dei lavoratori che subiscono i trasferimenti. Nel contempo, magari, banche e affini, aprono filiali o succursali nelle zone rimaste «scoperte» –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere per garantire il rispetto dei disposti stabiliti dall'Autorità garante delle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate, e contestualmente promuovere tavoli di confronto tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali al fine di scongiurare la già annunciata chiusura degli uffici postali nei comuni più piccoli del veronese. (4-08298)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  Le chiusure e le rimodulazioni orarie, comunicate preventivamente all'Agcom, sono previste dal piano di rimodulazione degli orari degli uffici postali nel periodo estivo, redatto da Poste italiane in conformità ai criteri di cui al decreto del 22 giugno 2007, come integrato dalla delibera Agcom 293113/CONS del 16 aprile 2013.
  Inoltre il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste Italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Il Ministero, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, è in più occasioni intervenuto affinché ogni modifica dell'assetto della rete di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare, ove possibile, l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un
asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenendo conto della necessità del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche mediante accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui l'ipotesi di interventi di riduzione della rete di sportelli debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nel valutare le ipotesi di potenziamento e di maggiore efficienza dei servizi, dovrà svolgere un'analisi del rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. Poste italiane dovrà quindi valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.
  Parallelamente all'azione del Ministero, persiste l'attività di vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha assicurato che provvederà a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane S.p.A., compresi gli eventuali interventi sulle sedi a cui si riferisce la presente interrogazione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CLAUDIO FAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Sud Trasporti è un'azienda di trasporti catanese colpita nel settembre 2013 da un provvedimento di sequestro preventivo;
   l'amministratore Angelo Ercolano in quell'occasione fu denunciato per frode fiscale, per un giro di false fatturazioni di oltre cinque milioni di euro;
   Angelo Ercolano è cugino del boss mafioso Aldo Ercolano, attualmente all'ergastolo e detenuto già in regime di 41-bis, considerato dall'ultimo rapporto della DIA attuale referente della cosca mafiosa dei Santapaola;
   lo zio di Angelo e padre di Aldo, Giuseppe Ercolano, oggi defunto, è stato riconosciuto e condannato come capo di una delle più violente e spregiudicate famiglie di Cosa Nostra, quella appunto degli Ercolano;
    la storia della famiglia Ercolano ha segnato nel sangue, fuori da ogni dubbio, la storia di Cosa Nostra a Catania e nella Sicilia Orientale;
   nonostante tutto ciò la Sud Trasporti risulta oggi regolarmente inserita nella cosiddetta «white list» della prefettura di Catania, iscrizione che le dà titolo per poter concorrere ad ogni pubblica gara d'appalto –:
   perché sia stato permesso alla Sud Trasporti della famiglia Ercolano di accedere alla succitata white list presso la prefettura di Catania;
   se il Ministro non ritenga di dover chiedere formali spiegazioni di tutto ciò al prefetto di Catania;
   se il Ministro non ritenga di dover provvedere immediatamente al depennamento della Sud Trasporti dalla white list. (4-06262)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede se il Ministro dell'interno non ritenga di depennare dalla white list presso la prefettura di Catania la società Sud Trasporti s.r.l., il cui amministratore risulta avere legami di parentela con un noto boss mafioso.
  In data 10 dicembre 2013, l'amministratore delegato della società SUD TRASPORTI s.r.l., Maria Ercolano, ha formulato alla prefettura di Catania richiesta di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa per le seguenti attività: trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto terzi; autotrasporto per conto terzi.
  La prefettura ha curato la relativa istruttoria, acquisendo i contributi informativi da parte delle forze di polizia e della locale procura della Repubblica-direzione distrettuale antimafia ed estendendo le verifiche anche ad altre aziende riconducibili alla «famiglia Ercolano», atteso che la predetta Maria e i fratelli Angelo e Aldo, anch'essi amministratori della società in questione, sono nipoti di Giuseppe Ercolano, elemento di spicco della criminalità organizzata catanese e cognato di Benedetto Santapaola.
  Dalle risultanze di tali attività, compendiate nel resoconto delle riunione dell'apposita struttura interforze, operante in materia antimafia presso la prefettura, non è emerso, nei confronti della predetta società, alcun elemento ostativo ai sensi della normativa antimafia.
  Nell'assumere le proprie determinazioni, la prefettura ha tenuto conto anche di un consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato in ordine alla corretta valutazione da attribuire, in materia di rilascio di certificazione antimafia ostativa, ai rapporti di parentela sussistenti con soggetti legati alla criminalità organizzata di stampo mafioso. In particolare il citato consesso ha evidenziato che
«... l'eventuale attività pregiudizievole posta in essere da un genitore non può riverberarsi automaticamente sull'attività imprenditoriale del figlio, perché altrimenti quest'ultimo sarebbe, senza sua colpa, nell'impossibilità di poter svolgere attività lecite costituzionalmente tutelate» (sentenza del Consiglio di Stato – Sez. Terza n. 930/2014 del 16 gennaio 2014).
  Tale orientamento è stato ribadito dal TAR Sicilia – Sez. Prima n. 01031/2014 del 16 aprile 2014, che, in sede di annullamento di una certificazione antimafia interdittiva adottata dalla prefettura di Palermo nei confronti di una ditta di proprietà di un parente acquisito di un noto capo di mandamento mafioso, ha evidenziato
«... il mero rapporto di parentela, coniugio o affinità con soggetti gravati da precedenti penali o comunque ritenuti in possibile contiguità con la malavita organizzata non è di per sé sufficiente a suffragare l'ipotesi della sussistenza di tentativi di in filtrazione mafiosa, essendo necessari altri elementi, sia pure indiziari, tali nel loro complesso, da fornire obiettivo fondamento di giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata».
  Alla luce di quanto detto, in data 17 marzo 2014, la prefettura di Catania ha rilasciato nei confronti della società Sud Trasporti s.r.l. informative antimafia liberatorie e contestualmente, in accoglimento dell'istanza presentata, ha provveduto all'iscrizione della medesima nella white list.
  Si soggiunge che, nei confronti delle società iscritte nelle white list provinciali, sono effettuati costanti aggiornamenti allo scopo di verificare il mantenimento dei requisiti che ne hanno determinato l'iscrizione.
  Nell'ambito di tali attività, il 28 luglio 2015 la prefettura, a seguito dell'acquisizione di ulteriori approfonditi rapporti informativi, ha adottato nei confronti della società in questione il provvedimento di informazione antimafia interdittiva.
  Nel medesimo senso, il 21 settembre 2015 è stato disposto il rigetto dell'istanza della Sud Trasporti s.r.l. di permanere nella
white list.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   FEDRIGA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa locale si apprende che nei giorni scorsi nel comune di Remanzacco (Udine) si è consumata una tragedia familiare che si è conclusa con la morte di un giovane ragazzo e il ricovero in ospedale di una donna in gravi condizioni;
   la donna, di 48 anni e di nome Isavela, si era trasferita a Remanzacco dalla Moldavia anni fa, e qui viveva assieme al marito e ad uno dei due figli Ian, di 19 anni;
   era noto a tutti a Remanzacco che il marito della donna, Andrei Talpis, rientrava spesso ubriaco a casa la sera e picchiava la moglie: le liti, come hanno riferito i vicini agli uomini della squadra mobile della questura, diretti da Massimiliano Ortolan e coordinati dal pm Elisa Calligaris, che si stanno occupando del caso, erano all'ordine del giorno ormai da anni;
   malgrado ciò, qualche giorno fa durante l'ennesimo litigio, l'uomo, sempre ubriaco, ha aggredito con un coltello il figlio che stava difendendo la madre, uccidendolo con una coltellata al cuore davanti alla moglie, che terrorizzata ha cercato, a quel punto, di fuggire;
   Elisaveta è allora scappata di casa, riuscendo comunque a ripararsi dalla furia omicida del marito, che nel frattempo raggiuntala l'aveva pugnalata più volte all'addome, riparando nella corte di un complesso da cui un caporalmaggiore dell'esercito, che qui abitava e che si era affacciato in quel momento alla finestra, le aveva suggerito di entrare per nascondersi;
   successivamente Elisaveta è stata portata all'ospedale di Udine dove è entrata subito in sala operatoria ed al momento sembra sia ancora ricoverata in terapia intensiva;
   la tragedia consumatasi a Remanzacco può considerarsi peraltro annunciata non solo perché le liti e la violenza del signor Andrei Talpis erano da tempo noti ma anche perché la stessa sera in cui si è consumata la tragedia sopra riportata, poco prima verso le 21, era scoppiata già una lite in casa Talpis, tanto che i vicini avevano chiamato carabinieri e 118, ma poco dopo il signor Talpis era stato rilasciato, consentendogli dunque di fare rientro a casa dove poi ha ucciso il figlio e quasi la moglie –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra riportati, se non ritenga che la tragedia familiare consumatasi nei giorni scorsi a Remanzacco, che ha portato all'uccisione di un giovane ragazzo e al grave ferimento di una donna, ora in gravi condizioni, per mano di un soggetto violento e già noto alle forze dell'ordine, avrebbe potuto essere evitata se all'uomo fosse stato impedito di fare rientro a casa;
   per quali motivi l'uomo sia stato rilasciato, nonostante i precedenti episodi di violenza domestica e disturbo alla quiete pubblica e se non ritenga che le politiche di scarcerazione portate avanti dal Governo favoriscano casi simili a quello verificatosi a Remanzacco. (4-02965)

  Risposta. — In merito ai fatti riferiti dall'interrogante, si comunica che gli operatori della questura di Udine, verso le prime ore del 26 novembre 2013, sono prontamente intervenuti nel comune di Remanzacco, nei pressi dell'abitazione di una famiglia di origini moldave, a seguito della segnalazione della presenza di una donna che era stata vista chiedere aiuto in strada.
  Sul posto, gli agenti hanno trovato Andrei TaIpis, un cittadino straniero che, con indumenti e mani imbrattati di sangue, ha dichiarato di aver ucciso il proprio figlio. Qualche ora prima, l'uomo era già stato controllato In un esercizio pubblico dagli operatori della squadra volante e sanzionato per ubriachezza.
  Di lì a poco è stata ritrovata anche la moglie dell'omicida, Elisaveta Talpis, anch'essa insanguinata, che ha accusato il marito di averla accoltellata e di aver ucciso il loro figlio. Il cadavere del ragazzo è stato poi rinvenuto all'interno dell'appartamento dei genitori.
  Premesso ciò, si evidenzia che la signora Talpis aveva già presentato presso la questura di Udine una formale querela per un episodio di violenza subito nell'agosto del 2012, asserendo di essere stata picchiata e minacciata dal marito con un coltello. In seguito a ciò, alla donna era stata trovata ospitalità presso una struttura protetta.
  Nel corso del procedimento penale dinanzi la procura della Repubblica di Udine, tuttavia, la donna ha ritrattato la denuncia, negando l'esistenza di episodi di violenza da parte del coniuge. Ha quindi abbandonato la struttura protetta per riprendere la convivenza con il marito (che pure continuava ad abusare di sostanze alcoliche), affermando che non si sentiva più in pericolo perché la situazione si era normalizzata.
  Nell'ambito del predetto procedimento penale, pertanto, Andrei Talpis è risultato indagato, pertanto, solo per lesioni volontarie nei confronti della moglie.
  Tornando al fatto di sangue del 26 novembre 2013, risulta che già la sera antecedente i carabinieri erano dovuti intervenire presso l'abitazione dei coniugi Talpis su segnalazione del 118. Nell'occasione, la signora Elisaveta aveva riferito che, sebbene il marito fosse in stato di ubriachezza, né lei e né il figlio avevano subito atti di violenza. Il cittadino moldavo, a questo punto, era stato accompagnato dal personale sanitario al pronto soccorso dell'ospedale di Udine per accertamenti connessi all'abuso di bevande alcoliche. Poco dopo, l'uomo si è allontanato spontaneamente dalla struttura.
  Si comunica, infine, che nel mese di gennaio 2015 Andrei Talpis è stato condannato all'ergastolo dal Gup del Tribunale di Udine, che lo ha ritenuto colpevole di omicidio volontario del figlio e del tentato uxoricidio aggravato da un contesto di maltrattamenti familiari.
  Alla moglie, costituitasi parte civile, il giudice ha riconosciuto il giusto risarcimento del danno. Attualmente, Elisaveta Talpis risulta ancora residente a Remanzacco, dove viene seguita dai servizi sociali di quel comune.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo aver dato notizia dei tagli apportati alle dotazioni di personale della polizia di Frontiera al Tarvisio, privati del 25 per cento degli organici per rafforzare i presidi aeroportuali lombardi, la stampa locale friulana pubblica reportage e testimonianze che avvalorano le perplessità manifestate anche dalla magistratura circa l'opportunità della scelta fatta;
   secondo una testimonianza, resa da un imprenditore di Porpetto e pubblicata il 27 aprile 2015 da Il Messaggero Veneto, non sarebbero infatti rari gli arrivi nelle prime ore del mattino di mezzi pesanti, che uscirebbero dall'autostrada al casello di zona, percorrerebbero meno di un chilometro di strada provinciale in direzione del Comune di San Giorgio di Nogaro, scaricando infine il loro carico umano nei pressi dell'area artigianale;
   stando alla medesima testimonianza, i clandestini arriverebbero a gruppetti di 5-6 persone ospitate nei cassoni sul retro dei camion – che sarebbero per lo più di apparente provenienza afghana, pakistana e siriana: circostanza che darebbe forza alle opinioni già espresse dal procuratore di Udine, Tito, secondo il quale Tarvisio sarebbe la porta d'accesso degli immigrati asiatici e mediorientali, che si radunerebbero in Ungheria e verrebbero poi convogliati verso il nostro Paese;
   sempre stando alla testimonianza dell'imprenditore di Porpetto, tutti gli extracomunitari scaricati dal mezzo pesante si incamminerebbero verso San Giorgio di Nogaro o altra destinazione, come fossero attesi da qualcuno, che poi permetterebbe loro di far perdere le tracce;
   nella stessa edizione del 27 aprile 2015, la medesima testata locale dà altresì notizia del fermo, avvenuto a Coccau, di altri sei clandestini di nazionalità afghana, condotti alla nostra frontiera da un autista rumeno, che è stato arrestato –:
   se alla luce di quanto la stampa sta documentando sul flusso di clandestini extracomunitari che entrano dal Tarvisio il Governo non ritenga di dover restituire ai presidi della Polizia di Frontiera gli organici appena sottrattigli;
   se il Governo non consideri inoltre opportuno rafforzare comunque tutti i presidi delle Forze dell'Ordine in Friuli-Venezia Giulia. (4-08965)

  Risposta. —   Il previsto aumento del traffico aereo presso gli scali lombardi di Milano-Linate, Varese-Malpensa e Bergamo-Orio al Serio, correlato all'evento Expo 2015, ha reso necessario predisporre – a suo tempo – una dettagliata pianificazione finalizzata a garantire idonei livelli di funzionalità nell'espletamento delle attività di controllo della frontiera e, segnatamente, per assicurare il rafforzamento dei necessari controlli documentali.
  Si è provveduto, quindi, nel mese di marzo 2015, ad approntare il dispositivo di rinforzo per le esigenze degli uffici Polizia di frontiera aerea operanti presso i citati scali lombardi.
  In tale ambito, a decorrere dal mese di aprile 2015, è stata disposta, tra l'altro, l'assegnazione ai predetti uffici di una congrua aliquota di personale specializzato, di cui 52 unità aggregate dalla IV zona Polizia di frontiera di Udine.
  Nei mesi successivi, grazie al mutato quadro esigenziale, l'aliquota di personale aggregato dalla citata IV zona è stata gradualmente ridotta fino ad azzerarsi.
  Si informa, inoltre, che da alcuni mesi la fascia di confine tra Italia e Austria è presidiata attraverso un dispositivo rinforzato di polizia che vede operare, presso il solo valico di Tarvisio, 60 appartenenti alla polizia di Stato.
  Uguale rafforzamento è stato disposto al confine italo-sloveno, con l'invio, presso la questura di Trieste, di un contingente aggiuntivo di 50 unità. Nello stesso capoluogo giuliano opera altresì l'Ufficio di Polizia di Frontiera marittima, che ha un organico pari a 66 unità.
  Sono in atto, inoltre, dal mese di maggio 2015, nell'ambito dell'accordo italo-austriaco, una serie di servizi congiunti di pattugliamento sulle principali tratte ferroviarie e stradali transfrontaliere.
  Ovviamente, qualora la situazione dovesse richiederlo, questo Ministero non esiterà a disporre un ulteriore potenziamento dei controlli nel rispetto delle previsioni del regolamento Schengen.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   questura di Udine e polizia carinziana avrebbero stipulato un protocollo transfrontaliero che prevede la creazione di nuclei operativi congiunti, ciascuno composto da due pattuglie binazionali, da schierare a partire dal 12 maggio 2015 sui punti nevralgici di strade, autostrade e ferrovie del Friuli;
   sarebbero in particolare interessate la tratta ferroviaria Udine-Tarvisio-Villach, quella autostradale Pontebba-Warmbad e la viabilità ordinaria entro i 30 chilometri dal confine di Stato;
   la finalità sarebbe quella di rinforzare i controlli in territorio friulano, per meglio affrontare l'afflusso dei migranti richiedenti asilo in entrata dal Tarvisio, frontiera recentemente privata di personale per soddisfare concorrenti esigenze negli aeroporti lombardi malgrado sia punto di transito per decine di migliaia di migranti clandestini in arrivo dall'Ungheria;
   tuttavia, stando a quanto si afferma in un articolo del Messaggero Veneto, pubblicato il 5 maggio 2015, le pattuglie miste italo-austriache che saranno attive per tre mesi a partire dal 12 maggio 2015 non copriranno le 24 ore né, tanto meno, la settimana di servizio;
   i pattugliamenti congiunti opereranno invece con cadenza bisettimanale e comunque con orari ridotti;
   la causa principale di questa situazione sarebbe la carenza di organici in Friuli-Venezia Giulia, determinata dal trasferimento in Lombardia di ben 52 agenti che vi erano normalmente stanziati;
   il personale proveniente dalla Carinzia, inoltre, non potrebbe utilizzare l'armamento in dotazione, salvo che per legittima difesa, né sarebbe in grado di esercitare alcun potere sul territorio del nostro Paese, cosa che ridurrebbe la valenza della sua presenza a funzioni di consultazione «nelle procedure di riammissione e supporto informativo per il contrasto all'immigrazione clandestina»;
   le pattuglie miste, inoltre, sarebbero composte da due sole persone, circostanza che, in presenza dei limiti imposti agli organici provenienti dall'Austria, ne ridurrebbe la forza ad un unico agente, compromettendone l'efficacia;
   il servizio di pattugliamento binazionale, inoltre, inizierebbe sulle ferrovie prima che il personale distaccatovi abbia potuto partecipare al corso concernente le modalità d'intervento e le regole d'ingaggio da adottare –:
   se le circostanze generalizzate in premessa e riportate dal Messaggero Veneto trovino conferma;
   in quest'ultimo caso, come si conti di conferire efficacia alle pattuglie miste binazionali italo-austriache o comunque di assicurare un più efficace controllo delle zone prossime alla frontiera del Tarvisio, attraverso la quale passa un consistente flusso di migranti clandestini. (4-09075)

  Risposta. — Il 28 aprile 2015, nell'ambito della cooperazione di polizia tra Italia e Austria, consacrata in un accordo firmato nel 1997 e rinnovato l'anno scorso, è stato sottoscritto un protocollo d'intesa fra la Questura e la IV zona Polizia di frontiera di Udine, da un lato, e la direzione regionale di Polizia del Land federale della Carinzia, dall'altro, divenuto operativo dal 12 maggio 2015.
  Detto protocollo prevede l'espletamento di pattugliamenti congiunti sulla tratta ferroviaria Udine/Tarvisio-Villach, sulla tratta autostradale Pontebba-Warmbad/Villach e sulla viabilità stradale ordinaria.
  Le pattuglie miste operanti sulla predetta tratta ferroviaria sono espletate «almeno» due volte la settimana e nella «sola» fascia notturna durante la quale transitano i treni internazionali (di norma utilizzati dai migranti irregolari), che eseguono una sosta tecnica proprio per consentire alla pattuglia di salire a bordo e svolgere i controlli fino alla stazione di Villach e viceversa.
  La scelta di non effettuare servizi con cadenza quotidiana è dovuta non alla carenza di personale, bensì all'esigenza di rispettare i regolamenti comunitari che, come noto, non consentono di eseguire controlli sistematici alle persone lungo le frontiere interne Schengen (Reg. CE 562/2006 e successive modifiche).
  Nelle ore diurne, invece, hanno luogo gli ordinari servizi che la polizia ferroviaria svolge, quotidianamente, in occasione della sosta dei treni sia presso la stazione di Udine che di Tarvisio.
  Come detto, analoghi controlli, sia in forma dinamica sia statica, sono eseguiti da pattuglie miste lungo la tratta autostradale PontebbaWarmbad/Villach, nonché sulla viabilità stradale ordinaria sia nelle ore diurne che serali/notturne.
  Tali pattuglie sono composte da operatori di polizia dei due Stati dotati di armamento individuale dietro rilascio delle prescritte autorizzazioni da parte delle rispettive autorità competenti. L'introduzione e il porto sul territorio nazionale dell'arma in dotazione alla polizia austriaca sono disciplinati dall'articolo 9, comma 2-bis
della legge n. 36 del 1990, come modificato dalla legge n. 306 del 2003, che consente ai prefetti delle province di confine la possibilità di autorizzare gli agenti di polizia di Paesi con i quali sono sottoscritti specifici accordi di collaborazione interfrontaliera per lo svolgimento dei servizi congiunti, all'introduzione e al porto sul territorio nazionale delle armi in dotazione per fini di difesa.
  I servizi sono programmati per un intero mese e gli operatori che vi partecipano sono preventivamente individuati e formati all'inizio di ogni mese nel corso di un incontro della durata di circa quattro ore: due in lingua italiana e due in lingua tedesca.
  Si evidenzia, per completezza di informazione, che la questura di Udine ha predisposto servizi coordinati anche con altre forze di polizia e con l'impiego di pattuglie del reparto prevenzione crimine, sempre lungo la fascia confinaria.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come denunciato a mezzo stampa da esponenti politici locali nella città di Trieste è stato istituito un servizio taxi in piena regola per il trasporto di immigrati, che non riguarda le urgenze bensì qualunque spostamento dai centri di accoglienza alle strutture sanitarie locali;
   lo stesso servizio per i cittadini italiani è gratuito solo a condizioni molto restrittive: un'età minima anni 18, una invalidità fisico – motoria al 100 per cento e impossibilità a deambulare senza l'aiuto di un accompagnatore, il tutto comprovato da idonea certificazione sanitaria rilasciata dalle, commissioni pubbliche preposte all'accertamento degli stati invalidanti, attestante il grado di invalidità suddetto;
   la decisione del commissario straordinario dell'azienda sanitaria locale di Trieste comporta presumibilmente, a bilancio invariato, un taglio ad altre spese sanitarie –:
   se esistano a livello nazionale protocolli o linee guida in materia di assistenza e gestione degli immigrati o dei richiedenti asilo che prevedano, anche solo in via opzionale, quanto attivato dalla ASL di Trieste. (4-09638)

  Risposta. — Il servizio di trasporto dei migranti su cui verte l'interrogazione dell'interrogante nasce dalla necessità di promuovere ed attuare politiche e soluzioni concrete finalizzate al controllo ed al contenimento dei rischi sanitari che potrebbero incidere sulla popolazione a causa del notevole flusso di migranti nella provincia di Trieste.
  Questi ultimi, sia per il fatto di provenire da territori ove sono diffuse particolari patologie anche contagiose, sia per le condizioni precarie in cui affrontano i lunghi viaggi che li portano a varcare i confini del nostro Paese, risultano potenziali portatori di malattie che, se non diagnosticate, arginate e curate in tempo dai competenti servizi sanitari, potrebbero diffondersi con conseguenze pericolose per la cittadinanza.
  Per tale motivo la locale azienda per l'assistenza sanitaria ha ritenuto fondamentale dotarsi di uno specifico protocollo sanitario, condiviso con le autorità e le istituzioni interessate al fenomeno, tra le quali anche la prefettura, denominato «Protocollo sanitario per gli immigrati nella Provincia di Trieste» che permette ai servizi aziendali ed extra-aziendali di coordinarsi in modo uniforme nell'organizzazione dei trasporti dei migranti intercettati nel territorio provinciale, verso le opportune sedi sanitarie locali qualora ne sussistano i presupposti, ossia in caso di sospetta o conclamata patologia infettiva o parassitosi.
  Per quanto detto, il servizio di trasporto di cui trattasi costituisce un sistema agevole e gratuito per garantire un rapido accesso dei migranti ai servizi sanitari e sociosanitari, con ciò tutelando la salute dei medesimi e, più in generale, la salute pubblica.
  In particolare, il servizio è effettuato con autoambulanze dedicate ai cosiddetti «trasporti secondari» in caso di sospetta o conclamata patologia infettiva o parassitosi, non caratterizzata dall'urgenza. Esso non comporta esborsi di denaro aggiuntivi, essendo realizzabile con le risorse previste dal normale assetto operativo del sistema sanitario 118 e all'Azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 – Triestina.
  Infine, secondo quanto riferito dalla locale azienda per l'assistenza sanitaria, l'attuazione di detto protocollo non ha causato alcun tipo di depotenziamento dei servizi essenziali, che continuano ad essere garantiti con mezzi riservati all'attività di soccorso d'emergenza, né tanto meno ha determinato disfunzioni di sorta nell'attività ordinaria.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   FORMISANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dal 30 aprile 2015, presso l'Expo Milano 2015, risultano impiegati 2.400 militari, di cui 1.800 nell'ambito di un programma di sicurezza per l'evento e 600 per l'operazione «strade sicure»;
   a causa della mancanza di posti nelle caserme dell’hinterland milanese almeno la metà di tale personale militare interforze avrebbe ricevuto come alloggio una sistemazione in tenda; per lo più detta dislocazione ha riguardato il personale dell'Esercito e perdurerà per tutto l'evento espositivo, e dunque, fino al 31 ottobre;
   soprattutto nell'accampamento all'interno della caserma Babini di Bellinzago Novarese, le problematiche logistiche/organizzative non sono di poco conto: i servizi igienici risultano essere pochi rispetto al numero dei militari e spesso inagibili a causa del sovraffollamento; la struttura dista almeno un'ora e mezza di viaggio dal sito dell'Expo; pertanto i militari non riescono ad usufruire del servizio mensa messo a loro disposizione, perché non coincidente negli orari con gli spostamenti necessari, per cui i pasti sono spesso costituiti da qualche fetta di pane, cibo in scatola e merendine; il riposo in tenda è reso pressoché difficoltoso, alla luce delle elevate temperature che si raggiungono durante il giorno, amplificate dal tessuto di cui le tende sono costituite;
   a fine maggio 2015, durante l'ondata di maltempo che ha investito il nord Italia, l'acqua ha allagato le tende dove erano stati alloggiati gli alpini friulani dell'ottavo reggimento di Cividale e Venzone e gli effetti personali che avevano sistemato all'interno sono finiti sott'acqua, ma altre situazioni sono state segnalate dai militari di stanza a Cividale, Venzone, ma anche da Villa Opicina, oltre che da altri reparti provenienti dal resto della penisola;
   il dispiegamento delle Forze armate alla manifestazione dell'Expo è reso ovviamente necessario per poter garantire che l'evento si svolga in condizioni di elevata sicurezza pubblica;
   il Co.Ce.R. è seriamente preoccupato per la situazione sopra esposta e altre preoccupazioni di natura economica sorgono per la mancanza di direttive, anche amministrative, derivanti da un decreto di missione per i militari stessi;
   il Co.Ce.R. sostiene giustamente che «... i militari hanno diritto alla propria dignità e alla tutela della salute come tutti i lavoratori di una nazione civile, pensare che delle persone uomini e donne solo perché militari si possano ritrovare nelle condizioni disastrose “denunciate” dalla stampa è semplicemente assurdo...»;
   a breve la stagione secca lascerà il posto a frequenti e violenti acquazzoni, già presenti in alcune zone a causa delle onde di calore –:
   se il Ministro interrogato abbia già posto in essere azioni volte al miglioramento delle condizioni di sistemazione del personale militare impegnato nelle operazioni volte a garantire la sicurezza dell'Expo, ciò anche al fine di non creare problemi di uniformità con il resto delle altre forze di polizia impegnate in tale manifestazione, che ha avuto la fortuna di essere allocato in strutture più dignitose. (4-10057)

  Risposta. — Si reputa opportuno evidenziare, in primo luogo, che la possibilità di alloggiare una parte del personale militare in tende presso le caserme «Montello» di Milano e «Babini» di Bellinzago Novarese era stata individuata, inizialmente, quale soluzione contingente e con carattere di assoluta provvisorietà, visti i brevi tempi di preavviso scaturiti dalla richiesta urgente del Ministero dell'interno e delle autorità locali per 1'Expo 2015.
  Già alla data del 3 giugno, una parte del personale alloggiato nella caserma Babini di Bellinzago Novarese, citata dall'interrogante, era stato riallocato in tendopoli realizzate a Milano, presso le caserme Montello e Santa Barbara, allo scopo di ridurre i tempi di trasferimento e avvicinare, quindi, il personale al sito di Expo 2015.
  Parallelamente, la difesa, da subito e in tempi brevi, aveva posto in essere le opportune iniziative per ospitare presso più adeguate infrastrutture i militari impegnati in compiti di sorveglianza del sito dove si è svolto l'evento Expo 2015, dando loro una migliore sistemazione alloggiativa rispetto a quanto, in un primo momento, era stato possibile approntare per ragioni di urgenza.
  Questo aveva consentito di ridurre a 286 unità su 1.855 unità impiegate il numero del personale che alloggiava nelle tende, garantendo, comunque, adeguate condizioni di abitabilità.
  Al termine dell'evento espositivo, la situazione alloggiativa era la seguente:
   411 militari presso la caserma «Annibaldi» di Milano, che è stata oggetto di interventi essenziali di ripristino e di messa in sicurezza degli spazi disponibili;
   354 militari presso la caserma «Magenta» di Milano, anch'essa oggetto dei necessari interventi di ripristino e di messa in sicurezza di una palazzina a tre piani;
   460 militari presso la caserma «Santa Barbara» di Milano;
   83 presso la caserma «Montello» di Milano;
   149 presso la caserma «Ugo Mara» di San Vittore Olona;
   45 presso la caserma «Babini» di Bellinzago Novarese;
   30 presso la caserma «Locatelli» di Orio al Serio;
   40 presso il Comando 1a Regione aerea di Milano.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   FRACCARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 settembre 2015 il sindaco del comune di Bolzano si è dimesso dall'incarico rivestito; in conseguenza di tali dimissioni, successivamente, si sono altresì dimessi il vicesindaco e gli assessori comunali. Conseguentemente, il 30 settembre 2015, il commissario del Governo per la provincia di Bolzano, ritenendo che le dimissioni di tutti gli assessori determinassero l'impossibilità di normale funzionamento degli organi e dei servizi dell'ente, ha sospeso il consiglio comunale ed ha nominato un commissario per la provvisoria amministrazione. Al commissario governativo sono stati conferiti i poteri spettanti al consiglio comunale, alla giunta e al sindaco;
   lo scioglimento e la sospensione dei consigli comunali della provincia di Bolzano sono regolati dalle leggi regionali e dallo statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol che attribuiscono i relativi poteri alla giunta provinciale. In particolare, l'articolo 54, comma 5,del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972 prevede che «Alla Giunta provinciale spetta: la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorzi e sugli altri enti o istituti locali, compresa la facoltà di sospensione e scioglimento dei loro organi in base alla legge. Nei suddetti casi e quando le amministrazioni non siano in grado per qualsiasi motivo di funzionare spetta anche alla Giunta provinciale la nomina di commissari, con l'obbligo di sceglierli, nella provincia di Bolzano, nel gruppo linguistico che ha la maggioranza degli amministratori in seno all'organo più rappresentativo dell'ente. Restano riservati allo Stato i provvedimenti straordinari di cui sopra allorché siano dovuti a motivi di ordine pubblico e quando si riferiscano a comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti»;
   lo statuto di autonomia prevede quindi che l'avocazione da parte dello Stato del potere di scioglimento e sospensione degli organi degli enti operanti nell'ambito della provincia possa intervenire in un ambito ben delimitato, cioè al ricorrere di due condizioni cumulativamente considerate e cioè quando vi siano motivi di ordine pubblico e nell'ambito dei comuni con popolazione superiore a 20 mila abitanti;
   il citato decreto del commissario di Governo del 30 settembre 2015, ad avviso dell'interrogante, non ha correttamente interpretato l'articolo 54 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, avocando allo Stato i provvedimenti di sospensione e scioglimento del consiglio comunale e della nomina di un commissario pur in assenza di motivi di ordine pubblico, condizione necessariamente richiesta dalla norma;
   è evidente come, ai sensi dell'articolo 54 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, tale provvedimento, esulando, a giudizio dell'interrogante, dalla competenza dello Stato, è suscettibile di produrre una lesione concreta delle prerogative proprie della provincia autonoma di Bolzano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative intenda assumere per garantire il rispetto delle prerogative costituzionalmente attribuite alla provincia autonoma di Bolzano. (4-10588)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante sostiene che il commissario del Governo per la provincia di Bolzano, avocando allo Stato i provvedimenti di sospensione e scioglimento del consiglio comunale del capoluogo altoatesino pur in assenza di motivi di ordine pubblico, avrebbe interpretato in maniera non corretta l'articolo 54, n. 5, dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, adottato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670.
  Si rileva che, ai sensi della disposizione statutaria appena citata, i provvedimenti di sospensione e scioglimento del consiglio comunale restano riservati allo Stato qualora ricorra almeno una delle seguenti circostanze: sussistenza di motivi di ordine pubblico; i provvedimenti medesimi riguardino comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
  Sulla base dell'interpretazione logico-sistematica di tale disposizione, il commissario del Governo per la provincia di Bolzano, prima, e il Presidente della Repubblica, poi, con provvedimenti del 30 settembre e del 2 novembre 2015, hanno decretato rispettivamente la sospensione e lo scioglimento del consiglio comunale del comune capoluogo, con contestuale nomina del commissario straordinario per la provvisoria gestione dell'ente.
  Entrambi i provvedimenti hanno avuto a fondamento l'accertata impossibilità del funzionamento degli organi elettivi del comune di Bolzano, a causa delle dimissioni succedutesi nel tempo del sindaco e della totalità dei componenti della giunta.
  Per quanto sopra, si ritiene che la provincia autonoma di Bolzano non abbia subito alcuna menomazione delle prerogative statutariamente garantite.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni abbiamo assistito al progressivo degrado delle condizioni di viaggio su rotaie, con riferimento in particolare ai treni regionali: tempi di percorrenza sempre più lunghi, numero dei treni sempre più ridotto, aumento delle tariffe, deterioramento della qualità, dell'igiene e della sicurezza dei treni;
   la questione del trasporto pubblico locale e del pendolarismo costituisce uno dei più gravi problemi per la mobilità urbana ed extraurbana nazionale e attribuisce all'Italia un triste primato europeo in termini di mobilità sostenibile, sicurezza, abbattimento delle emissioni da traffico veicolare e diritti dei passeggeri;
   i pendolari quotidianamente vivono il disagio causato dai ritardi nonché a volte dalla improvvisa cancellazione di corse ferroviarie che impediscono agli stessi di raggiungere regolarmente il posto di lavoro o di studio;
   l'ennesimo caso è accaduto in Valdichiana in data 29 aprile 2015, quando a seguito di un guasto al materiale, il treno regionale 6712 è stato cancellato da Chiusi CT a Firenze SMN. Il convoglio, che partendo da Chiusi alle 7:12 raggiunge Arezzo alle 7:44 per proseguire alla volta del Valdarno e di Firenze, avrebbe già subito una prima cancellazione per motivi simili il 21 febbraio 2015;
   la soppressione, naturalmente, ha causato disagio a centinaia di studenti e lavoratori di Chiusi, Castiglion del Lago, Cortona e Castiglion Fiorentino, che sono rimasti in stazione e coloro i quali sono riusciti ad organizzarsi con mezzi alternativi hanno raggiunto scuole o luoghi di lavoro in notevole ritardo;
   il Comitato pendolari locale ha già sollevato all'assessore regionale Ceccarelli il problema del potenziamento dei collegamenti dalla Valdichiana ad Arezzo e Firenze, in fascia pendolare. Nella consapevolezza del regime di contenimento della spesa, è stato suggerito di introdurre due fermate in Valdichiana, per il treno R11680 che parte attualmente da Chiusi alle 7:53 e raggiunge Arezzo alle 8:31 e prosegue direttamente a Firenze terminando la corsa a Santa Maria Novella alle 9:32;
   l'episodio del 29 aprile ripropone il tema del potenziamento che garantirebbe soluzioni paracadute anche in casi di guasti al materiale –:
   se il Governo sia al corrente di quanto riportato in premessa e quali eventuali iniziative intenda assumere per potenziare il servizio di trasporto pubblico locale, assumendo iniziative per incrementare, le risorse statali destinate a tale scopo così da evitare che casi come quello descritto in premessa abbiano a ripetersi. (4-09026)

  Risposta. — In premessa, si ricorda che, secondo la normativa vigente (decreto legislativo n. 422 del 1997), la programmazione dei servizi ferroviari regionali rientra nelle competenze delle singole regioni, nel caso specifico della regione Toscana, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili da ciascuna regione.
  Per quanto riguarda lo specifico episodio, riportato dall'interrogante, del treno regionale 6712 (Chiusi-Firenze SMN) del 29 aprile 2015, Ferrovie dello Stato italiane ha riferito che il treno è stato soppresso per un improvviso e imprevedibile inconveniente tecnico al mezzo di trazione, non risolvibile in tempi brevi.
  I viaggiatori da Chiusi hanno, comunque, potuto utilizzare il treno regionale 11680 (in arrivo a Firenze solo 5 minuti dopo il regionale 6712) per raggiungere Arezzo e Firenze, mentre i viaggiatori delle stazioni intermedie tra Chiusi e Arezzo hanno potuto utilizzare il regionale 2304, dopo circa 45 minuti, per le rispettive destinazioni.
  Infine, in merito alla richiesta di potenziamento dei collegamenti dalla Valdichiana attraverso l'assegnazione di due ulteriori fermate al treno regionale 11680, si segnala che la regione Toscana, cui compete come innanzi specificato la programmazione, ha già avanzato una richiesta in tal senso a Trenitalia, la quale, valutata positivamente la fattibilità, sta ponendo in essere le necessarie condizioni tecniche per assicurarne l'operatività in tempi brevi.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio umbro insistono sei discariche e l'Arpa ha recentemente diffuso i dati relativi al monitoraggio dell'anno 2014, evidenziando uno stato di salute carente per le aree che risiedono intorno ai siti;
   lo studio dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente riporta dati preoccupanti, anche a fronte del fatto che la regione Umbria ha recentemente stanziato 9 milioni di euro da Fondi Fas da ripartire tra gli Ati (ambiti territoriali integrati) umbri proprio per lo sviluppo e il potenziamento dell'impiantistica di trattamento e recupero dei rifiuti urbani, ma evidentemente al momento i lavori di miglioramento non sono ancora stati effettuati, né, in alcuni casi, esistono i progetti;
   in particolare, nella discarica di Belladanza gli esami hanno confermato «la presenza di composti organici aromatici ed alifatici clorurati nelle acque sotterranee sia nei pozzi a monte che in quelli a valle della discarica», confermando le problematiche rilevate negli anni precedenti; nel corso dell'anno è stata inoltre rilevata «la presenza di ferro, zinco e manganese nelle acque di ruscellamento»;
   i controlli effettuati nella prima metà del 2013 «hanno confermato il peggioramento di alcuni parametri nel monitoraggio delle emissioni diffuse, nonché, per la terza volta in quattro anni, un superamento dei livelli di guardia del parametro cromo»;
   non godono di migliore situazione le discariche di Borgogiglione, Colognola, Le Crete, Pietramelina e Sant'Orsola;
   da diversi anni si parla di un progetto per l'ampliamento della discarica di Belladanza, già raddoppiata rispetto alle dimensioni originali, che dovrebbe comprendere la realizzazione di un'intera zona industriale per il trattamento rifiuti, posta a mezza collina in una zona a forte impatto paesaggistico ed ambientale, in particolare un'impiantistica di pretrattamento dei rifiuti urbani indifferenziati e un biodigestore da ubicare sopra la vecchia discarica comunale che, secondo legge, dovrebbe essere riambientata e ripiantumata;
   diversi comitati cittadini ritengono questo nuovo progetto «inutile, perché non garantisce nessuna autonomia, tecnologicamente obsoleto, perché mentre l'Europa multa l'Italia per la presenza di discariche inquinanti noi raddoppiamo Belladanza già molto inquinata e progettiamo impianti già vecchi in zone a forte impatto paesaggistico ed ambientale con costi esagerati che ricadranno direttamente nelle bollette già salate e scellerato, perché nuovamente non si pensa affatto alla salute della popolazione»;
   alla luce di quanto affermato in premessa, appare evidente che la bonifica o comunque il contenimento del sito di Belladanza, siano la soluzione migliore per la gestione del sito, anche considerando che la stessa regione Umbria lo ha classificato quale sito inquinato che necessita di interventi di bonifica –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, relativamente alla discarica di Belladanza, non ritenga opportuno, per quanto di propria competenza, procedere al monitoraggio del sito da parte dei NOE, affinché siano riscontrate le problematiche lamentate da cittadini e comitati, che potrebbero peggiorare con l'eventuale ampliamento previsto. (4-07401)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, sulla base delle informazioni acquisite dalle strutture tecniche del Ministro, si rappresenta quanto segue.
  Il sito di Belladanza, gestito dalla SOGEPU s.p.a., è caratterizzato dalla presenza di una discarica esaurita e riambientata, una discarica di rifiuti non pericolosi attualmente in coltivazione, una stazione di trasferenza e un centro di raccolta comunale.
  Detto sito, secondo le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale, è soggetto a monitoraggio sulle matrici aria, suolo e sedimenti, vegetazione, percolato, rumore, acque superficiali, acque di ruscellamento e acque sotterranee. Alcuni punti di monitoraggio sono limitrofi alla discarica (sia a monte che a valle idrologica) altri sono esterni ad essa. L'attività di monitoraggio è espletata dal gestore e da ARPA Umbria, con frequenze e parametri variabili di matrice in matrice.
  I controlli effettuati sulle acque sotterranee in alcuni pozzi di monitoraggio del sito hanno evidenziato saltuari superamenti dei limiti previsti nella Tabella 2, allegato 5, parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per composti organoalogenati e un costante superamento per il ferro e manganese.
  A seguito di uno studio approfondito effettuato nel 2011, ARPA Umbria ha escluso che la presenza di tali composti sia legata a recenti interazioni con il percolato prodotto dalla discarica, stabilendo che la presenza di ferro e manganese oltre i limiti di concentrazione previsti dalla vigente normativa è compatibile con le caratteristiche geologiche del terreno e che la presenza occasionale del cloruro di vinile, in mancanza di ulteriori evidenze di interazione con il percolato, suggerisce l'ipotesi di una contaminazione residuale collegabile ad un evento datato e ancora riscontrabile per la natura particolarmente persistente di tale sostanza nell'ambiente idrico sotterraneo. I campionamenti effettuati nei pozzi esterni all'area di discarica, invece, non hanno evidenziato contaminazione da composti organoalogenati e da solventi organici aromatici.
  I dettagli del piano di monitoraggio e controllo e l'esito delle analisi effettuate negli ultimi anni sono consultabili nel portale dell'agenzia (
www.arpa.umbria.it).
  A seguito dei primi superamenti dei limiti di cui alla citata Tabella 2, ARPA Umbria ha provveduto ad inviare alle autorità competenti la comunicazione di potenziale contaminazione
ex articolo 242 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Il gestore ha, quindi, presentato un piano di caratterizzazione approvato dalla regione Umbria con determinazione dirigenziale n. 5717 del 30 luglio 2013. Ad integrazione di tale piano, su mandato del gestore al fine di valutare l'interazione del biogas di discarica con l'ambiente circostante, il dipartimento di fisica e geologia dell'università di Perugia ha condotto una campagna di misurazione dei flussi di anidride carbonica e di metano nelle aree circostanti la discarica.
  Le suddette indagini hanno evidenziato che l'unica fonte di contaminazione è da individuarsi nella vecchia discarica, esaurita e successivamente riambientata, costruita in epoca antecedente all'entrata in vigore della direttiva comunitaria 1999/31/CE in materia di discariche e, pertanto, sprovvista di adeguata impermeabilizzazione di fondo che ha comportato, con ogni probabilità, la pregressa contaminazione della falda sotterranea.
  È stato, allo stesso tempo, escluso che ulteriore fonte di contaminazione possa essere individuata nella parte di impianto più recentemente autorizzata e coltivata, in quanto provvista di adeguata impermeabilizzazione.
  Con determinazione dirigenziale n. 6607 del 16 settembre 2015, la regione Umbria ha approvato l'analisi di rischio sito specifica relativa all'impianto, finalizzata all'individuazione delle procedure per la risoluzione dell'inquinamento e la messa in sicurezza definitiva. Contestualmente, il gestore ha presentato un progetto di messa in sicurezza operativa per il contenimento della contaminazione all'interno del sito e la bonifica definitiva che è, ad oggi, in fase di valutazione.
  Tenuto conto di quanto su esposto, si evince che il monitoraggio del sito di Belladanza è stato già attivato da tempo e che le criticità evidenziate sono tutt'oggi all'attenzione delle autorità competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo 2015 è entrato in funzione il sistema di videocontrollo per l'accesso automobilistico all'interno del centro storico di Monza;
   si tratta di 11 varchi elettronici che dovrebbero garantire la rilevazione e la trasmissione alla centrale di controllo dei dati relativi alle presunte infrazioni riscontrate;
   il costo complessivo del progetto è di 980 mila euro, dei quali 480 mila a carico regione Lombardia;
   se il Ministero abbia rilasciato tutte le autorizzazioni necessarie per l'installazione e il funzionamento del sistema di videocontrollo per l'accesso nelle zone a traffico limitato del comune di Monza. (4-09107)

  Risposta. — In merito a quanto richiesto con l'atto di sindacato ispettivo in oggetto, si comunica che questo Ministero con decreto dirigenziale n. 4676 del 3 ottobre 2014, ha autorizzato il comune di Monza all'installazione e all'esercizio degli impianti per la rilevazione degli accessi dei veicoli alla zona a traffico limitato del centro storico di Monza, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 250 del 22 giugno 1999, a seguito di regolare istruttoria eseguita nei modi e nei tempi disciplinati dal citato decreto del Presidente della Repubblica.
  Si informa, altresì, che detta autorizzazione è riscontrabile anche sul sito di questo Ministero dove è presente l'elenco di tutti i comuni autorizzati all'installazione e all'esercizio degli impianti per il controllo elettronico degli accessi alle zone a traffico limitato.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Navacchio, in provincia di Pisa, con i fondi del comune di Cascina, è stata realizzata una grande caserma per l'Arma dei carabinieri, che vi ha destinato effettivi dipendenti dal comando di Pontedera;
   l'immobile è stato costruito da una ditta privata e pagato dal comune di Cascina con denaro ottenuto in prestito;
   la struttura è stata concessa in uso gratuito all'Arma dei carabinieri per sei anni, ma era convenuto il pagamento di un canone annuo di 70 mila euro a partire dal settimo;
   al settimo anno, il Ministero dell'interno non ha onorato l'impegno. Nessun canone è stato corrisposto al comune di Cascina per la caserma di Navacchio;
   le autorità comunali di Cascina non sono in grado di offrire ai carabinieri la struttura di Navacchio in regime di canone gratuito, come peraltro avrebbe chiesto la prefettura di Pisa, senza soffrire un pesante ammanco;
   i carabinieri sarebbero sul punto di perdere anche la caserma di Casciana Terme, soggetta al medesimo comando di compagnia basato a Pontedera e già sotto sfratto a causa della continua riduzione del canone versato dal Ministero dell'interno al suo proprietario, un soggetto privato;
   l'ipotesi di trasferire i carabinieri alloggiati a Navacchio e Casciana Terme nel vecchio municipio di quest'ultimo comune è divenuta di difficile praticabilità a causa di alcuni cedimenti riscontrati nella struttura;
   il territorio rischia conseguentemente di rimanere privo di un importante presidio dei carabinieri in un tempo di sfide crescenti alla sicurezza –:
   se il Governo intenda o meno corrispondere il canone d'affitto al comune di Cascina per la caserma di Navacchio e, nel caso in cui ritenga di non poterlo fare, come conti di assicurare la permanenza di un presidio dei carabinieri nella zona. (4-08530)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede se il Ministero dell'interno intenda corrispondere il canone di affitto per la caserma dei carabinieri di Navacchio, in provincia di Pisa, o come conti, altrimenti, di assicurare la permanenza di un presidio dei carabinieri nella zona.
  La citata stazione dei carabinieri è ubicata in un immobile di proprietà del comune di Cascina, concesso in uso gratuito per i primi sei anni, a partire da maggio 2007, con possibilità di rinnovo a titolo oneroso, previo accordo tra le parti.
  Come è noto, tuttavia, le sopravvenute normative di settore non consentono l'assunzione di ulteriori oneri rispetto a quelli attualmente sostenuti e, pertanto, a fronte delle richieste dell'ente proprietario di addivenire alla stipula di un contratto di locazione passiva per lo stabile, il Ministero dell'interno ha richiesto all'amministrazione comunale di confermare l'utilizzo gratuito dell'immobile.
  Il 18 agosto 2014 il comune di Cascina, in considerazione degli impegni a suo tempo assunti per la realizzazione della caserma e dei vincoli di bilancio di cui deve tener conto, ha formalmente comunicato di non poter rinnovare il contratto di comodato.
  Successivamente, l'avvocatura civica del comune di Cascina ha presentato una diffida ad adempiere, per il pagamento delle indennità di occupazione maturate pari a 119.000 euro, dato che l'occupazione dello stabile, dopo la scadenza del comodato, è comunque proseguita.
  Nello scorso mese di marzo, il Ministero dell'interno ha ribadito che l'eventuale assunzione dell'onere locativo in questione può avvenire solo nell'ambito di una più ampia operazione di razionalizzazione ed accorpamento delle strutture dell'arma dei carabinieri, da cui possa conseguire un corrispondente risparmio di spesa.
  A tal fine, la prefettura di Pisa ha in corso contatti con tutti i soggetti pubblici e privati proprietari degli immobili nella provincia in uso all'arma dei carabinieri, per ottenere ulteriori riduzioni dei canoni di affitto.
  Quanto alla caserma di Casciana Terme, comunico che non è stata intrapresa alcuna procedura di sfratto. È stata unicamente emessa, su iniziativa della proprietà, una dichiarazione di finita locazione da parte del tribunale di Pisa, in relazione al contratto che giungerà a naturale scadenza nel mese di luglio 2016.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa ha presentato, nel dicembre 2014, il nuovo piano strategico 2015-2019, che ridefinisce il servizio universale postale. Il piano prevede la chiusura di oltre 450 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici a livello nazionale;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con delibera n. 342/14/CONS, ha modificato i criteri di distribuzione degli uffici postali, integrandoli con specifiche previsioni a tutela delle realtà più piccole e remote del Paese, introducendo divieti di chiusura degli uffici postali nei comuni montani e rurali e in quelli delle isole minori. La stessa delibera, inoltre, impone a Poste di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali, in relazione alle misure di razionalizzazione, per consentire un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative;
   l'entità del piano prevede la consegna a giorni alternati da farsi in 5.296 comuni su 8.046, coinvolgendo 15,4 milioni di abitanti. Di questi, 778 soltanto in Piemonte (19,6 per cento della popolazione regionale), 49 in Valle d'Aosta (45,5 per cento della popolazione), 423 in Lombardia (29,4 per cento della popolazione), 156 in Liguria (13,4 per cento della popolazione);
   da quanto affermato dal sindacato Slp Cisl, la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari interessano non solo i piccoli centri, ma pure gli sportelli periferici dei comuni maggiori, zone importanti come quelli dei sobborghi di Alessandria o di Casale Monferrato –:
   quali misure intenda adottare il Ministro per garantire la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono in aree svantaggiate del Paese;
   quali iniziative intendano intraprendere affinché siano rispettate le indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sulla concertazione tra Poste italiane e le istituzioni del territorio nel processo di riorganizzazione degli uffici postali. (4-08871)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  Le chiusure e le rimodulazioni orarie, comunicate preventivamente all'Agcom, sono previste dal Piano di rimodulazione degli orari degli uffici postali nel periodo estivo, redatto da Poste italiane in conformità ai criteri di cui al decreto del 22 giugno 2007, come integrato dalla delibera Agcom 293113/CONS del 16 aprile 2013.
  Inoltre il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Il Ministero, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, è in più occasioni intervenuto affinché ogni modifica dell'assetto della rete di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare, ove possibile, l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un
asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenendo conto della necessità del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche mediante accordi con le regioni e gli enti locali: dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui l'ipotesi di interventi di riduzione della rete di sportelli debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nel valutare le ipotesi di potenziamento e di maggiore efficienza dei servizi, dovrà svolgere un'analisi del rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. Poste italiane dovrà quindi valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La Società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.
  Parallelamente all'azione del Ministero, persiste l'attività di vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha assicurato che provvederà a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane S.p.A., compresi gli eventuali interventi sulle sedi a cui si riferisce la presente interrogazione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   LAVAGNO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la caserma Pietro Mazza di Casale Monferrato (detta «casermette»), di proprietà del Demanio Militare, fu sede del battaglione di fanteria «Casale» ospitando nella propria storia d'esercizio anche reparti motorizzati;
   dal 1992, la caserma ha smesso di essere operativa;
   recentemente nell'ex caserma, sono stati abbattuti vari alberi e piante secolari, platani e meli selvatici che avevano un valore per il patrimonio verde della città;
   da quanto si apprende da organi di stampa, il lavoro è stato appaltato a costo zero, in quanto l'impresa che svolge l'intervento recupera il legname per produrre biomasse e quindi energia;
   da tempo nell'ex area militare l'amministrazione comunale di Casale Monferrato, aveva sollecitato il Demanio, proprietario dell'area, ad intervenire perché c'erano rami che si protendevano sulla strada;
   da quanto si apprende, i competenti uffici del Demanio avrebbero riferito all'ufficio ambiente del comune che la decisione di intervenire sarebbe legata «al tentativo di scongiurare il pericolo di autocombustione». Tale motivazione non pare commisurata, a quanto sostengono associazioni ambientaliste, con l'invasività del tipo d'intervento –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se e come intenda intervenire presso il demanio per chiarire la decisione relative all'abbattimento di piante e alberi secolari. (4-10259)

  Risposta. — Nel merito dei quesiti posti con l'atto di sindacato ispettivo in esame, si evidenzia che la caserma «Pietro Mazza» di Casale Monferrato, già sede del battaglione di Fanteria «Casale», è un immobile di circa 19 ettari che, a seguito della soppressione del citato ente, è stata ritenuta non più utile per i fini istituzionali della Difesa e, in tal senso, inserita dalla competente direzione dei lavori e del demanio nell'ambito del «1o pacchetto» dei beni da riconsegnare all'agenzia del demanio, ai sensi della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (cosiddetta finanziaria 2007).
  In tale quadro, il 5 marzo 2008 l'infrastruttura in questione è stata restituita all'organo finanziario e, pertanto, lo stesso bene non rientra più nelle disponibilità patrimoniali della Difesa.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   LODOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sembrerebbe prospettata la chiusura, nell'ambito delle operazioni di spending review del Ministero dell'interno, di alcuni posti di polizia nella provincia di Ancona, ovvero il commissariato di Osimo, i posti Polfer di Fabriano e Falconara e della squadra nautica;
   l'attività della polizia ferroviaria si svolge in importanti settori quali la prevenzione e repressione dei reati e la sicurezza a bordo dei treni e nelle stazioni;
   la Polfer di Falconara e Fabriano, snodi fondamentali da e verso Roma, rappresentano un elemento di rilievo nelle attività di controllo per la sicurezza, che non deve essere soppressa;
   la notizia sta creando notevole malumore e preoccupazione fra i cittadini e amministratori –:
   se corrisponda al vero la notizia di una possibile chiusura. (4-03731)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa alla chiusura di alcuni posti polizia nella provincia di Ancona, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dell'anno 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenute di recente delle novità normative non ancora delineate nei contenuti di dettaglio, dalle quali occorrerà tenere conto in sede di elaborazione del documento.
  Mi riferisco alla legge n. 124 del 2015, che, nel delegare al Governo l'emanazione di una serie di decreti legislativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, individua alcuni importanti criteri direttivi proprio in tema di riordino del sistema della sicurezza.
  La legge tratteggia un primo indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive nell'esercizio delle funzioni di polizia, nonché di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal provvedimento, più settoriale, è legato, invece, al riordino delle funzioni di polizia nei campi della sicurezza agroalimentare e della tutela dell'ambiente e del territorio, riordino per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Alla luce del nuovo quadro normativa, solo quando verranno emanati i decreti legislativi attuativi che puntualizzeranno i contenuti della riorganizzazione del sistema della sicurezza, si potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione dei presidi di polizia su tutto il territorio nazionale.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LOMBARDI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto segnalato all'interrogante, già a partire dal 2002 il tribunale di Napoli con una serie di sentenze acquisiva al patrimonio dello Stato – attraverso il sequestro e poi la confisca – una serie di abitazioni in uso da parte di boss e affiliati nel rione Forcella a Napoli;
   in particolare, risulta che in vico Carbonari al numero civico 20 e 31 del suddetto rione Forcella negli stabili sono presenti molti nuclei familiari dei Giuliano, noto clan criminale che da almeno mezzo secolo detta legge a Napoli e che negli ultimi mesi è tornato prepotentemente al disonore della cronaca sotto forma della «paranza dei bambini», un'aggregazione di giovanissimi che si segnalano per violenza ed efferatezza;
   all'interrogante risulta che questi appartamenti, nonostante siano oggetto di confisca, continuano ad essere abitati da pregiudicati e camorristi appartenenti alla suddetta famiglia-clan che nei fatti (si vedano intercettazioni ambientali contenute nell'ordinanza del 9 giugno della direzione distrettuale antimafia) diventano veri e propri covi e quartier generali;
   in una recente relazione della procura nazionale antimafia si sottolinea come «Tali nuovi assetti incidono sull'azione di contrasto resa particolarmente difficile dalla imprevedibilità delle condotte non inquadrabili in schemi razionali o strategie comprensibili» e ancora di più trasformano – come li definì oltre trent'anni fa il giudice Corrado Guglielmucci – il territorio partenopeo in «quartieri-Stato», e in «Governatorato criminale» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti e quale sia il loro orientamento in merito;
   se non ritenga urgente assumere le iniziative di competenza al fine di sollecitare lo sgombero degli immobili confiscati a soggetti appartenenti a clan camorristi;
   in che modo lo Stato intenda garantire sicurezza a chi poi andrà ad occupare con attività di recupero sociale quegli appartamenti; 
   se i responsabili dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata abbiano mai verificato per quale motivo nonostante la confisca, gli appartamenti in premessa siano da decenni ancora occupati;
   se i Ministri interrogati non ritengano doveroso fare piena luce sui fatti riportati in premessa e più in generale vigilare sull'allontanamento immediato dei camorristi dagli appartamenti confiscati.
(4-10262)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta innanzitutto che gli unici immobili definitivamente confiscati in vico dei Carbonari del rione Forcella, la cui gestione e monitoraggio rientrano nella competenza dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), sono due appartamenti, oggi accorpati, ubicati al civico 31 (piani 3-4).
  Tali beni, definitivamente confiscati a far data dall'11 febbraio 1997 a carico di Giuliano Luigi, sono stati destinati a favore del comune di Napoli con decreto prot. n. 2310 emesso il 22 gennaio 2003 dall'allora competente Agenzia del demanio.
  A seguito della consegna avvenuta in data 25 maggio 2004, i suddetti appartamenti sono stati assegnati dall'ente locale per finalità sociali.
  Nel mese di luglio 2015 – nell'ambito delle attività di monitoraggio condotte dall'Agenzia nazionale ai sensi del Testo unico antimafia – sono state acquisite dal comune di Napoli formali rassicurazioni circa il concreto e fattivo utilizzo degli stessi cespiti da parte del Consorzio di cooperative sociali PROODOS – Cooperativa MeTI.
  In merito all'asserita perdurante occupazione, da parte di affiliati al clan Giuliano, dei suddetti immobili definitivamente confiscati in vico Carbonari, al numero civico 20 e 31, l'Agenzia nazionale, a seguito di verifiche approfondite, ha fornito le seguenti notizie aggiuntive.
  Con provvedimento del 22 marzo 2006, il tribunale di Napoli-sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione ha confiscato a Luigi Giuliano un appartamento posto al civico 31, piano T, di vico dei Carbonari, successivamente restituito al medesimo con provvedimento di revoca 26 giugno-6 ottobre 2014 emesso dalla Corte di Appello di Napoli, V sezione penale. Per l'effetto, tale unità immobiliare è attualmente rientrata nella disponibilità degli aventi diritto.
  Dalle verifiche è emerso che nessun appartamento riconducibile al civico 20 di vico dei Carbonari, è inciso da provvedimenti resi, ai sensi della normativa antimafia, dall'Autorità giudiziaria penale e di prevenzione.
  Per completezza, si informa che l'Agenzia nazionale ha esteso le verifiche anche all'adiacente vicolo Zuroli, in ragione del fatto che molte abitazioni ivi censite catastalmente hanno un accesso separato anche sul suddetto vicolo dei Carbonari.
  È emerso che cinque appartamenti di vicolo Zuroli, aventi – appunto – un accesso anche sul vico dei Carbonari, sono incisi da provvedimenti ablativi resi ai sensi della normativa antimafia.
  In particolare al civico 6 di vico Zuroli sono collocati due appartamenti, giunti di recente a confisca definitiva.
  Quello posto al piano 5 è stato liberato dall'Agenzia nazionale e destinato per finalità sociali al Comune di Napoli con decreto del 25 maggio 2015.
  L'altro appartamento, posto al piano 2, è tuttora occupato. Tuttavia, nello scorso mese di novembre l'Agenzia nazionale ha provveduto a notificare le ordinanze di sgombero agli occupanti
sine titulo. Per effetto di tale intimazione, gli occupanti hanno già manifestato la disponibilità al rilascio dell'appartamento entro il 29 febbraio 2016. Conseguentemente il cespite sarà destinato alla Città metropolitana di Napoli per essere utilizzato nella realizzazione di progetti aventi finalità sociali.
  Un terzo appartamento definitivamente confiscato (fin dal 1998), posto al civico 10 del vicolo Zuroli, è stato destinato per finalità sociali al Comune di Napoli con decreto del 15 dicembre 2004 (bene consegnato l'8 novembre 2005).
  Tale bene è stato affidato all'Associazione culturale «Rinascita sociale & Salam house – Centro studi e ricerche».
  Al civico 4 di vico Zuroli sono collocati altri due appartamenti: quello posto al piano 7 è stato restituito agli aventi diritto in forza di provvedimento di revoca adottato dalla Corte di appello di Napoli, mentre quello posto al piano 9 è stato oggetto di un sequestro preventivo penale ai sensi dell'articolo 321 del codice di procedura penale emesso il 24 gennaio 2008 dal tribunale di Napoli, poi dissequestrato dalla X Sezione riesame presso il medesimo tribunale partenopeo.
  Per quanto attiene, infine, alla verifica dello stato di occupazione dei cespiti confiscati, sollecitata nell'interrogazione, si segnala che l'Agenzia nazionale unitamente alle prefetture territorialmente competenti, si attiva costantemente per consentire la loro liberazione dai familiari e affini dei soggetti legati alla criminalità organizzata.
  La suddetta attività ha portato alla liberazione, proprio nella Regione Campania, di oltre 200 immobili confiscati dall'inizio del corrente anno, ciò che ha consentito la loro destinazione a favore degli enti territoriali e delle altre Amministrazioni centrali dello Stato, per il conseguimento delle finalità normativamente previste.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 11 settembre 2015, si è svolta presso il dipartimento della P.S. una riunione durante la quale l'amministrazione ha portato in esame una proposta di decreto del Presidente della Repubblica che prevede la riorganizzazione del Ministero dell'interno e dei suoi dipartimenti, a cominciare proprio da quello della pubblica sicurezza;
   la riunione era presieduta dal vice capo della polizia prefetto Matteo Piantedosi ed ha visto la partecipazione del direttore centrale per le risorse umane prefetto Mazza, del direttore centrale per gli affari generali prefetto Truzzi, del direttore dell'ufficio per l'amministrazione generale prefetto Valentini e del direttore dell'ufficio per le relazioni sindacali vice prefetto Ricciardi;
   il progetto del decreto del Presidente della Repubblica – così come evidenziato dal vice capo della polizia – nasce dall'attuazione della legge 144 del 2014 inerente a misure di semplificazione amministrativa e della legge 147 del 2014 riguardante disposizioni sulle città metropolitane e sulle province;
   il provvedimento – ha continuato il prefetto Piantedosi – riguarderà la chiusura di prefetture e questure ed in luogo di queste ultime nasceranno comunque dei presidi territoriali di cui il vice capo non è stato ancora in grado di indicare la tipologia, né l'inquadramento ordinamentale, né la consistenza organica;
   il COISP, nel suo intervento, ha criticato fortemente il provvedimento proposto, specificando che «la malsana idea di chiudere 23 questure su tutto il territorio Italiano, accorpando le loro competenza presso le questure limitrofe è un disegno scellerato e pericoloso per il Sistema Sicurezza del Paese, e che mai nella storia della Repubblica Italiana, nessuno aveva pensato di incidere in modo così negativo e pesante sulla sicurezza dei cittadini»;
   proprio per la portata del provvedimento, inoltre, ha chiesto che il confronto avvenga con il Ministro dell'interno in quanto «è quest'ultimo che, prima dinanzi ai Cittadini e poi ai Poliziotti, si deve assumere la responsabilità di smantellare importanti articolazioni della Polizia di Stato, incidendo in modo profondo e inopportuno sulla sicurezza dei cittadini che risiedono in ventitré province Italiane, alcune delle quali anche fortemente aggredite dalla criminalità mafiosa»;
   l'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica proposto, magari con provvedimenti ovviamente conseguenti, comporterebbe – secondo il COISP – la inevitabile riduzione degli organici e conseguentemente dei posti di funzione, generando serie e concrete problematiche alla mobilità del personale, soprattutto presso le città che non saranno più sede di questura, dove diventerà praticamente impossibile essere senza sottovalutare anche un ulteriore blocco alla progressione di carriera per gli attuali appartenenti ai ruoli direttivo e dirigente;
   il COISP, durante la riunione, ha richiamato la necessita di procedere al più presto con quello che doveva essere l'oggetto della riunione, ovvero i decreti attuativi della cosiddetta legge Madia ed in modo particolare con una serrata discussione sul riordino delle carriere del personale della polizia di Stato, che purtroppo durante l'incontro è stato solo lambito dalla discussione –:
   se analoghe iniziative normative siano in corso per le altre forze di polizia, al fine di conoscere la reale portata di quello che l'interrogante reputa l'arretramento territoriale che si vuole far compiere al sistema sicurezza del paese oppure se si tratti di una strisciante militarizzazione dell'ordine e della sicurezza pubblica che comincerà con la Militarizzazione delle competenze e del personale del Corpo forestale dello Stato. (4-10558)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame l'interrogante richiama l'attenzione sull'annunciato schema di decreto del Presidente della Repubblica che, nel disporre la riorganizzazione degli uffici centrali e periferici del Ministero dell'interno, prevede la chiusura di 23 prefetture e delle corrispondenti questure.
  In proposito paventa, in particolare, che il provvedimento dia luogo a un arretramento della capacità di risposta dello stato sul territorio.
  Il tema evidenziato è particolarmente sentito nella società civile e anche in Parlamento, tant’è che nelle scorse settimane il Governo è stato chiamato a più riprese a discuterne in Assemblea e in Commissione Affari costituzionali della Camera, in sede di
question time, di interpellanze urgenti e di interrogazioni a risposta orale.
  Preliminarmente, si ribadisce quanto lo stesso Ministro dell'interno ha avuto modo di sottolineare in Aula Camera e cioè che l’
iter di approvazione del regolamento è solo agli inizi. Quindi nessuna decisione definitiva è stata assunta sugli accorpamenti da effettuare.
  Vi sarà, quindi, anche lo spazio per un confronto serio con le istituzioni locali, che tenga conto delle istanze provenienti dal territorio.
  Nel merito si osserva che il regolamento in questione, avente ancora la forma di schema, costituisce attuazione della più ampia manovra di ridefinizione degli assetti organizzativi, a livello centrale e periferico, di tutte le amministrazioni dello Stato voluta dal Governo Monti e suggellata nel decreto-legge n. 95 del 2012.
  E fa seguito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 maggio 2015, con cui sono state rideterminate le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale dell'Amministrazione civile dell'interno.
  Quanto alle ricadute negative paventate dall'interrogante sulla risposta dello Stato nell'area interessata all'accorpamento, si rappresenta che, nella visione dell'Amministrazione dell'interno, ogni possibile opzione sarà oggetto di attenta valutazione, e comunque non potrà comunque mai andare a scapito della sicurezza reale dei territori.
  Non un'unità di personale sarà sottratta ai compiti di istituto e a quelli operativi, con la conseguenza che le comunità manterranno intatti gli attuali standard dei servizi.
  In sostanza, il regolamento non prefigura alcun arretramento dello Stato sui temi della sicurezza. E non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una
mission fondante del Ministero dell'interno.
  Si ricorda, poi, che la procedura di approvazione del regolamento prevede l'acquisizione del parere delle commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
  Occorre, infine, tener presente che su questo disegno di riforma si è venuta ora a innestare la cosiddetta «legge Madia», che contiene, come è ben noto, disposizioni volte a riorganizzare l'intera presenza dello Stato sul territorio.
  Questo articolato, pur annoverando tra i criteri di delega la riduzione del numero delle prefetture, ne rafforza la funzione strategica, come è attestato dal fatto che esse andranno ad assorbire tutti gli uffici periferici dello Stato e si configureranno, quindi, quali «punti di contatto unico» tra lo Stato e i cittadini. Le prefetture, inoltre, continueranno ad essere il cardine del sistema territoriale della sicurezza.
  Quanto all'altro tema evidenziato nell'interrogazione, relativo alla paventata riorganizzazione delle forze di polizia, con particolare riferimento al Corpo forestale dello Stato, si rappresenta che sempre la cosiddetta «legge Madia», nel delegare al Governo l'emanazione di una serie di decreti legislativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, individua alcuni importanti criteri direttivi in tema di riordino del sistema della sicurezza.
  La legge tratteggia un primo indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive nell'esercizio delle funzioni di polizia, nonché di favorire la gestione associata dei servizi strumentali.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal provvedimento, più settoriale, è legato, invece, al riordino delle funzioni di polizia nei campi della sicurezza agroalimentare e della tutela dell'ambiente e del territorio, riordino per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  In tale quadro normativo, sono ancora in fase di elaborazione i decreti legislativi attuativi, che chiariranno tra l'altro gli intendimenti del Governo in ordine alla nuova collocazione del Corpo forestale dello Stato.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si è registrato durante una fase di lavorazione lo scoppio di un cassone di calcestruzzo una delle basi da 16 mila tonnellate su cui vengono fissate le paratoie delle dighe mobili del Mose;
   in fase di posa del cassone di soglia denominato CBA-02, alla barriera di Chioggia, avvenuta a ottobre 2014, si è verificato, come comunicato dal Consorzio Venezia Nuova, un danno consistente nel sollevamento del massetto fibrorinforzato esterno (soletta S4) e una parziale fuoriuscita del calcestruzzo di riempimento nelle celle 18a e 18b;
   nel dicembre 2014, l'amministrazione straordinaria è intervenuta sulle aziende costituenti l'ATI Codia Scarl, responsabili del lavoro, per la valutazione dei danni e l'avvio della soluzione per il ripristino in corso d'opera;
   sono già in corso i lavori sott'acqua mediante un'apposita camera iperbarica con limitazioni al transito di navi e pescherecci alla bocca di porto di Chioggia;
   i tecnici hanno valutato quale migliore intervento l'utilizzo di una «campana metallica», di 22 metri per 13 metri, in grado di mantenere un habitat subacqueo a pressione atmosferica;
   i lavori di riparazione sono iniziati lo scorso mese di giugno e la conclusione è prevista per il mese di ottobre e comportano un costo pari a 10 milioni di euro che secondo le dichiarazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Del Rio, dovrebbero essere coperti dalle assicurazioni;
   l'opera è ormai giunta all'85 per cento della sua realizzazione –:
   si chiede pertanto di conoscere se l'incidente in oggetto influirà sui costi complessivi dell'opera nonché sui tempi della consegna attualmente prevista per il 2018 e quali misure intenda porre in essere per evitare il ripetersi di incidenti di natura tecnica di tale rilevanza i quali purtroppo non è la prima volta che accadono. (4-10333)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente il grave danneggiamento di uno dei cassoni di soglia della barriera della Bocca di Chioggia, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Durante lo svolgimento delle attività di zavorramento solido dei cassoni prefabbricati di barriera, iniziate nel mese di ottobre 2014, si è verificata una fuoriuscita di materiale solido dalla sommità del cassone di soglia denominato CBA-02.
  In particolare, durante le ispezioni subacquee si sono riscontrati dei danneggiamenti alla soletta sommitale, denominata S5, e al sovrastante massetto in materiale fibrorinforzato del cassone, con parziale fuoriuscita del calcestruzzo di zavorramento.
  Dopo la constatazione dell'avvenuto danneggiamento della struttura sono stati avviati, all'interno delle galleria della complessa struttura, specifici monitoraggi topografici e strumentali di precisione per il puntuale controllo delle lesioni e delle eventuali deformazioni strutturali.
  Nel contempo, è stato interessato il progettista ai fini di una prima valutazione dei danni e della verifica del mantenimento delle condizioni di sicurezza delle strutture e dell'agibilità delle sottostanti gallerie ospitanti i complessi impiantistici.
  Accertato il permanere delle condizioni di sicurezza nelle suddette gallerie, che garantivano quindi la prosecuzione delle attività già in corso all'interno delle stesse, si è proceduto con la pulizia del materiale di zavorramento fuoriuscito, tramite aspirazione subacquea eseguita anche con l'ausilio di squadre di sommozzatori.
  Sulla base dei monitoraggi e delle indagini svolte dopo l'operazione di pulizia del materiale fuoriuscito sono state condotte ulteriori verifiche strutturali, sulla scorta delle quali il concessionario ha predisposto il progetto di ripristino strutturale dei danneggiamenti riscontrati.
  La progettazione dell'intervento è stata completata nel maggio del 2015. Tale progettazione ha tenuto conto della necessità di garantire sia il ripristino delle caratteristiche di durabilità del manufatto, così come originariamente eseguito, sia il mantenimento dei necessari requisiti di sicurezza durate le fasi operative dell'intervento riparatore.
  Trattandosi di intervento subacqueo è stata progettata la realizzazione di una «campana» a pressione atmosferica con accesso da torrino (
habitat stagno), che pur riducendo notevolmente, rispetto ad altre soluzioni analizzate, gli spazi operativi di lavoro, fornisce più ampie garanzie in termini di risultati attesi – trattasi in pratica di lavorazioni in asciutto – e di riduzione dei potenziali rischi.
  Si conferma che ad oggi le attività di ripristino, sostanzialmente in linea con il cronoprogramma dei lavori, sono in avanzato stato di esecuzione e la loro ultimazione è prevista entro il corrente mese di ottobre.
  Per quanto attiene ai costi dell'intervento, l'onere del ripristino del cassone rimane a completa cura e spese del concessionario e quindi senza nessun aggravio economico per l'amministrazione, né comporta alcuno slittamento della data di ultimazione prevista per il 2018.
  Infine, si fa presente che l'incidente occorso ha avuto caratteristiche di occasionalità e imprevedibilità le quali, ancorché rientranti nella piena responsabilità dell'esecutore, non sono reiterabili nella fattispecie, considerato che la posa di tutti i cassoni alle tre bocche di porto risulta ormai regolarmente completata da tempo senza particolari problematiche, se non quelle legate alla complessità intrinseca della fase operativa.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   MATTIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 111 del decreto legislativo n. 159 del 2011 prevede che l'Agenzia dei beni confiscati alla criminalità sia dotata di diversi organi tra i quali il direttore e il consiglio direttivo;
   il consiglio difettivo è l'organo fondamentale dell'Agenzia giacché – ai sensi dell'articolo 47 del medesimo decreto legislativo – adotta le delibere di destinazione dei beni confiscati agli scopi sociali di legge;
   il consiglio direttivo è presieduto dal direttore dell'Agenzia ed è composto da un magistrato designato dal Ministro della giustizia, da un magistrato designato dal procuratore nazionale antimafia e da due qualificati esperti in materia di gestioni aziendali e patrimoniali designati, di concerto, dal Ministro dell'interno e dal Ministro dell'economia e delle finanze;
   i decreti di nomina dei membri di designazione ministeriale sono predisposti dal Ministro dell'interno e proposti al Presidente del Consiglio dei ministri;
   la completa composizione del consiglio direttivo è fondamentale per il funzionamento dell'Agenzia, poiché senza l'Agenzia non può procedere alle destinazioni dei beni;
   al riguardo è necessario ricordare che sono attualmente ancora in attesa di destinazione definitiva migliaia di beni confiscati alla criminalità organizzata, tra cespiti immobiliari, compendi aziendali e beni mobili registrati e che dal 18 giugno 2014 (per come risulta dal sito dell'Agenzia) risultano destinati – in via provvisoria e salva ratifica – solo un'imbarcazione da diporto, una vettura Mercedes e un bene immobile –:
   se il Ministro abbia ricevuto la designazione necessaria a completare il procedimento da parte del Ministro della giustizia e a che punto sia la concertazione in merito con il Ministro dell'economia e delle finanze e se abbia, conseguentemente, predisposto i decreti di relativa nomina. (4-06260)

  Risposta. — In relazione ai quesiti posti dall'interrogante, concernenti la costituzione del consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, si comunica che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o dicembre 2014, debitamente vistato dal competente organo di controllo, sono stati nominati i componenti di detto consiglio direttivo.
  La conseguente ripresa delle attività di destinazione dei beni e dei processi di riorganizzazione dell'Agenzia stessa ha consentito, ad oggi, di giungere alla destinazione di oltre 3.800 beni.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Abruzzo l'unico treno a lunga percorrenza a fermarsi è il Frecciabianca, effettuando una sola sosta a Pescara. Il Frecciarossa infatti «salta» completamente l'Abruzzo fermandosi ad Ancona ed escludendo L'Abruzzo, il Molise e la Puglia dall'alta velocità. Eppure l'orario estivo di Trenitalia, appena varato, prevede fermate aggiuntive delle frecce bianche in Emilia-Romagna (Riccione, Cattolica), Marche (Senigallia) e Puglia (Fasano Monopoli, Ostuni), ma nulla concede all'Abruzzo;
   i turisti che volessero raggiungere le spiagge del Teramano o del Vastese continueranno a scendere a Pescara o a Termoli. Fa peggio il Frecciabianca che collega Roma all'Adriatico: salta letteralmente la regione per puntare a nord verso le stazioni di Falconara marittima, Pesaro, Rimini, Ravenna. Andare a Roma da Pescara e viceversa è un calvario, con tempi di percorrenza che si avvicinano alle 4 ore, cioè il doppio rispetto al collegamento autostradale;
   per Trenitalia la logica aziendale è quella della domanda e dell'offerta, poiché il servizio su queste tratte ferroviarie non prevede contributi. E dunque si lavora a mercato: se non ci sono fermate aggiuntive in Abruzzo, è perché non c’è sufficiente domanda di treni a lunga percorrenza. Ma è anche vero, fanno notare a Trenitalia, che non arriva dai territori la richiesta chiara e forte di un servizio aggiuntivo. Come per esempio è successo a Senigallia, dove l'associazione degli albergatori si è mossa per promuovere il Frecciabianca con accordi e convenzioni. La regione sta discutendo il rinnovo del contratto di servizio con Trenitalia nella previsione futura della concorrenza garantita da gare per l'affidamento del servizio. Tra le richieste della regione Abruzzo c’è il miglioramento complessivo dell'offerta di treni e un aumento delle fermate del Frecciabianca –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti di Trenitalia che, ad avviso dell'interrogante, con le sue scelte sta affossando la relazione ferroviaria tra la regione e il resto d'Italia penalizzando i viaggiatori abruzzesi sia nella linea adriatica che nella trasversale verso Roma e nel trasporto pubblico regionale creando gravi danni economici, in particolare nella stagione estiva, al turismo. (4-09571)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'offerta dei servizi ferroviari di media-lunga percorrenza relativa alla regione Abruzzo lungo la direttrice adriatica è articolata in:
   6 coppie di «
Intercity» da/per Bologna e Milano;
   3 coppie di «
Intercity Notte» da/per Milano e Torino;
   10 coppie di «
Frecciabianca» da/per Milano, Torino e Venezia;
   1 coppia di Intercity periodici Milano-Lecce e viceversa.

  Come è noto, i treni «Intercity» e «Intercity Notte» rientrano nel contratto di servizio 2009-2014 stipulato tra lo Stato e Trenitalia, scaduto il 31 dicembre 2014 e attualmente in regime di proroga fino alla fine dell'anno in corso. La caratteristica dei treni oggetto del contratto è quella di non essere economicamente sostenibili e, quindi, lo Stato eroga corrispettivi in coerenza con quanto stabilito nel piano economico-finanziario inserito anch'esso nel contratto. La programmazione dei servizi contrattualizzati comprende, fra l'altro, il numero, la tipologia dei collegamenti da effettuare, le fermate, gli itinerari dei collegamenti e le tariffe.
  I servizi delle Frecce (
Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca), non essendo oggetto di alcun corrispettivo pubblico, sono effettuati da Trenitalia in regime di mercato e, quindi, si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico, la relativa programmazione si fonda su valutazioni di carattere commerciale.
  Peraltro, come già è avvenuto per altre località turistiche italiane tra cui alcune di quelle citate dall'interrogante, nello scorso mese di luglio Trenitalia ha sottoscritto un accordo con gli operatori alberghieri di Giulianova che prevedeva per i clienti che raggiungevano la cittadina abruzzese in treno, il rimborso diretto del costo del biglietto da parte degli albergatori aderenti all'iniziativa, in misura variabile a seconda della durata del soggiorno.
  Pertanto, a seguito dell'attivazione della suddetta promozione denominata:
Al mare in treno, dal 31 luglio fino al 19 settembre scorso è stata assegnata la fermata di Giulianova a due treni Frecciabianca:
   
Frecciabianca 9813 in partenza da Milano alle 12:35 e arrivo a Giulianova alle 17:18;
   
Frecciabianca 9818 in partenza da Giulianova alle 12:33 e arrivo a Milano alle 17:25.

  Per quanto riguarda, infine, la presunta penalizzazione dei viaggiatori abruzzesi Trenitalia fa presente che sta lavorando per estendere a breve il network dei Frecciarossa sulla linea adriatica da Milano a Bari, servendo così con questa tipologia di servizio anche la regione abruzzese.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da notizie apparse su diversi quotidiani che martedì sera scorso, all'ora di cena, alcuni immigrati, entrati clandestinamente in Italia e ospiti del centro di accoglienza «Intesa Sociale» di Como, nel quartiere di Prestino, hanno scatenato una violenta rissa, degenerata e finita con due feriti gravi e dodici arresti;
   pare che la rissa sia esplosa mentre gli ospiti del centro erano in fila per ricevere il pasto serale, quando improvvisamente alcuni di essi, pare pakistani, non volendo attendere il proprio turno, hanno cominciato a inveire, dando così origine ad una discussione con altri ospiti in attesa;
   successivamente all'intervento del responsabile della struttura, che ha invitato il gruppo dei pakistani che inveiva ad attendere il proprio turno all'esterno della struttura, quest'ultimi, dopo aver recuperato assi di legno e bastoni dalle proprie camere, si sono ripresentati prontamente in mensa così armati ed hanno allora cominciato ad aggredire i «rivali», kossovari e slavi, e gli altri ospiti che stavano cenando;
   la situazione è a tal punto degenerata che il responsabile del centro si è visto allora costretto a chiedere l'immediato intervento degli agenti delle volanti della questura di Como, che sono poi riusciti a bloccare gli aggressori e dividere i due gruppi rivali;
   due immigrati, feriti in maniera seria sono stati trasportati all'ospedale Sant'Anna per le cure mediche, mentre a seguito degli accertamenti effettuati in questura, dodici immigrati, di cui 9 pakistani, un serbo, un kossovaro e un albanese, sono stati arrestati per rissa aggravata e lesioni personali aggravate e un minorenne è stato denunciato a piede libero per gli stessi reati;
   gli agenti di polizia sono ancora alla ricerca di alcuni immigrati coinvolti nella rissa che sono riusciti a scappare dalla struttura all'arrivo delle forze dell'ordine e che da allora hanno fatto perdere le proprie tracce;
   la polizia è riuscita a sequestrare solo una parte delle armi utilizzate nella rissa: tre bastoni, due della lunghezza di un metro e trenta centimetri e uno di ottanta centimetri, nonché un gran numero di sampietrini, tutto nella disponibilità degli ospiti del centro che tenevano tali oggetti inspiegabilmente nelle loro camere;
   dopo l'arresto e la convalida, pare che siano tutti i soggetti fermati dagli agenti siano tornati liberi e di nuovo al centro di accoglienza di Prestino, nelle loro camere;
   pare anche che gli ospiti della struttura coinvolti nei fatti di cui sopra abbiano presentato richiesta di asilo e siano in attesa, in questo caso, dell'esito della domanda;
   episodi del genere, in particolare il mancato rispetto delle regole e delle leggi qui vigenti, si ripetono ormai frequentemente in molti centri d'accoglienza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui sopra, se corrisponda al vero che gli ospiti del centro disponessero di armi ed oggetti atti ad offendere, se le persone arrestate siano ora di nuovo ospitate nel centro, se non ritenga opportuno disporre maggiori controlli in tali centri al fine di evitare i gravi episodi come quello in premessa, che sempre più si stanno verificando, quali misure intenda approntare per conseguire ciò e se non ritenga più opportuno che soggetti che non rispettano le regole del nostro Paese, e neppure il proprio turno in mensa, debbano essere immediatamente rimpatriati. (4-04984)

  Risposta. — Nella serata del 27 maggio 2014, presso il centro di accoglienza «Intesa Sociale» di Como-Prestino si è verificata una rissa tra gli ospiti della struttura.
  In particolare, due gruppi ospiti di diversa nazionalità, uno albanese e uno pakistano, in fila all'interno del locale mensa in attesa che giungesse il loro turno per il ritiro del pasto serale, hanno iniziato un acceso diverbio per futili motivi legati all'ordine di distribuzione dei pasti, passando immediatamente alle vie di fatto.
  Sedata momentaneamente la rissa, grazie all'intervento dei volontari presenti nel centro, alcuni cittadini pakistani si sono recati nelle camere per recuperare assi di legno e bastoni, al fine di usarli contro il gruppo di albanesi.
  I due gruppi di stranieri, circa una ventina in tutto, si sono affrontati nel cortile dando luogo ad un'altra rissa.
  Negli scontri, due di essi feriti in modo più serio venivano accompagnati, da personale del Centro accoglienza, a bordo dell'ambulanza, in due nosocomi cittadini.
  Gli agenti intervenuti sul posto resisi conto della situazione, coadiuvati dagli operatori del centro, hanno trattenuto il gruppo di pakistani che tentavano di allontanarsi, identificando tra di loro gli autori della rissa.
  Gli albanesi si sono allontanati prima dell'arrivo delle Forze dell'ordine, ma tre di essi sono tornati sul luogo dei fatti e sono stati prontamente accompagnati in questura.
  Nel contempo, il personale di polizia operante ha provveduto anche a sequestrare alcuni sampietrini in pietra, assi di legno e numerosi bastoni.
  Per quanto detto, si è proceduto all'arresto per i reati di rissa aggravata e lesioni personali (articoli 588, comma 2, 582 e 585 del codice penale) di 12 cittadini extracomunitari che, all'indomani, sono stati sottoposti a rito direttissimo, con convalida per tutti gli imputati dei capi di accusa da parte del GIP, e subito dopo sono stati rimessi in libertà.
  La prefettura di Como, acquisita la relazione redatta dal responsabile del centro di accoglienza, ha accertato che tra i predetti vi erano cinque cittadini pakistani richiedenti protezione internazionale e ha comunicato loro l'avvio del procedimento per la revoca delle misure di accoglienza.
  Tre cittadini pakistani, tramite di un legale, hanno presentato una memoria difensiva in cui asseriscono di essere intervenuti al solo fine di far cessare la rissa e di non aver tenuto, quindi, comportamenti violenti attivi.
  Il prefetto, sulla base delle informazioni acquisite, ha ritenuto non veritiere le asserzioni riportate nella memoria difensiva e, in data 18 giugno successivo, ha emanato, nei confronti dei richiedenti asilo coinvolti nell'episodio in questione, il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza, ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 140 del 2005.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MURA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno ha regolamentato i limiti di età per partecipare ai concorsi pubblici per accedere ai ruoli del personale in polizia di Stato;
   la riduzione dei suddetti limiti risponde, secondo il Ministero, alle esigenze di miglioramento della funzionalità operativa della polizia;
   tali esigenze di razionalizzazione sussistono anche per il personale che svolge attività tecnico-scientifica;
   per partecipare al concorso per direttori tecnici della polizia di Stato non bisogna aver compiuto i 32 di età;
   da notizie di stampa si apprende che un gruppo di esclusi di Cagliari, proprio per limiti di età, ha chiesto al Ministero dell'interno di innalzare quel limite per consentire anche a chi si è preparato in tempo, ma ha dovuto aspettare il bando, di poter aspirare al posto di lavoro;
   il riferimento è ai bandi di concorso, pubblicati sulla Gazzetta ufficiale del 14 aprile 2015 dal ministero dell'interno per l'assunzione nella polizia di Stato delle figure professionali di direttore tecnico ingegnere civile, di direttore tecnico fisico e di direttore tecnico biologo;
   gli esclusi si appellano anche a un principio affermato dalla Corte di giustizia europea in merito ai limiti di età per l'accesso ai concorsi pubblici;
   le gravi difficoltà di carattere sociale ed occupazionale costringono moltissimi giovani ad attendere lunghi anni dopo aver conseguito laurea o diploma, per i ritardi sistematici e strategici della pubblica amministrazione nell'indire i necessari concorsi;
   la crisi economica, particolarmente dura in realtà come la Sardegna, è una delle cause che prolunga l'inserimento nel mondo del lavoro –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per innalzare i limiti di età per accedere ai ruoli del personale della polizia di Stato attraverso i pubblici concorsi;
   quali iniziative, per quanto di competenza, e ove ne ricorrano i presupposti di diritto, intenda assumere per consentire ai candidati esclusi per limiti di età di partecipare al concorso per l'assunzione nella polizia di Stato delle figure professionali di direttore tecnico ingegnere civile, di direttore tecnico fisico e di direttore tecnico biologo. (4-09248)

  Risposta. — In relazione a quanto segnalato dall'interrogante si rappresenta che, in attuazione della direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000 (recante un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) è stato adottato il decreto legislativo n. 216 del 2001 che, all'articolo 3, in maniera chiara ed esplicita, «fa salve tutte le disposizioni vigenti in materia di sicurezza pubblica, ordine pubblico, prevenzione dei reati (...)».
  Questa clausola di salvaguardia trova fondamento nell'articolo 4 del suddetto atto comunitario, secondo cui «gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento... non costituisca discriminazione laddove per la natura di una attività lavorativa tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché la finalità sia legittima ed il requisito proporzionato».
  Ne consegue che, in talune circostanze, le disparità di trattamento in funzione dell'età possono essere giustificate ed introdotte mediante specifiche disposizioni che possono variare secondo le esigenze degli stati membri.
  Nello specifico, la normativa nazionale in materia di assunzione degli appartenenti alle forze di polizia, ed in particolare alla Polizia di Stato, pone un limite di età, fissato in 30 o 32 anni a seconda dei casi, per la partecipazione ai concorsi di accesso, in relazione allo svolgimento delle funzioni istituzionali. Il predetto limite di età è legato al possesso di ottimali condizioni psico-fisiche, costituenti un requisito essenziale e determinante, per lo svolgimento dell'attività istituzionale di protezione delle persone e beni. Esso soddisfa, inoltre, il requisito della «necessaria proporzionalità» rispetto al fine pubblico da perseguire, previsto dal citato articolo 4 della direttiva 2000/78/CE.
  La previsione, d'altra parte, ha il pregio di consentire l'immissione in ruolo di personale più giovane, in considerazione del fatto che l'età media degli operatori attualmente in servizio è sensibilmente aumentata.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è la regione in Italia che paga maggiormente il prezzo dell'isolamento non solo per la sua condizione geografica ma anche per un sistema di trasporto aereo che costringe i residenti a recarsi negli scali della penisola – diversi da Roma e Milano le cui tratte sono coperte dalle tariffe in continuità territoriale 1 (CT1) – con elevati costi economici e sociali;
   occorre uno sforzo per superare, come richiamato nelle mozioni approvate dai due rami del Parlamento, e da ultimo dal Consiglio regionale della Sardegna, gli svantaggi derivanti dall'insularità attraverso un modello di continuità aerea che sia molto più ampia di quella attuale;
   il mancato avvio della cosiddetta continuità territoriale 2 (CT2) — che copre le tratte tra la Sardegna e le città diverse da Roma e Milano — costringe i viaggiatori sardi a recarsi a Torino, Verona, Bologna, Napoli e Palermo con le compagnie low cost che, affidandosi alle logiche del libero mercato, non sono sottoposte a nessun obbligo di garanzia dei voli e di tariffe calmierate;
   senza un accordo tra le istituzioni, anche nazionali, e le compagnie aeree, i disagi per i passeggeri sardi sono destinati ad aumentare, con la prevedibile cancellazione di alcune rotte, la diminuzione della frequenza dei voli e il conseguente incremento delle tariffe;
   la Francia, per garantire la continuità territoriale aerea e marittima della Corsica (poco più di 350 mila abitanti) investe quasi 130 milioni di euro l'anno. La Sardegna, che ha quattro volte gli abitanti della Corsica, per la continuità aerea ne spende, totalmente a carico del proprio bilancio, meno di 50;
   occorre quindi garantire il diritto alla mobilità dei sardi tutto l'anno, con tariffe agevolate da e per le più importanti città della penisola, senza al contempo penalizzare gli utenti non residenti;
   un sistema agevolato di tariffe per i non residenti, soprattutto nei periodi di bassa stagione, è infatti considerato un fattore capace di far crescere il turismo nell'isola e aiutare l'economia regionale;
   un modello misto che assicuri la mobilità e insieme lo sviluppo turistico deve quindi necessariamente prevedere sia la CT1 sia la CT2, con lo scopo di consentire ai sardi di viaggiare in piena libertà (anche per ragioni di lavoro e salute) e incentivare l'arrivo di turisti che possono consentire alle imprese locali di poter offrire prodotti e servizi a un mercato più ampio di quello attuale –:
   quali iniziative intenda assumere per assicurare ai sardi il diritto alla mobilità che l'attuale regime di continuità territoriale limita fortemente;
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo con la regione Autonoma della Sardegna, i vettori aerei e le parti sociali per la definizione di un modello di continuità territoriale, che consenta a tutti – sardi e non – di viaggiare a costi sostenibili tutto l'anno, assicurando la mobilità da un lato e lo sviluppo turistico dall'altro, un sistema di continuità, che al pari di quello che la Francia assicura alla Corsica, possa contare su un importante apporto finanziario da parte dello Stato;
   quali iniziative intenda assumere affinché le rotte dalla Sardegna verso importanti città come Torino, Verona, Bologna, Napoli e Palermo siano coperte da tariffe agevolate attraverso un modello di continuità territoriale che oggi è assicurato solo per le città di Roma e Milano. (4-10629)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come è noto, l'articolo 1, comma 837, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, ha previsto il trasferimento alla regione Sardegna delle funzioni attinenti alla continuità territoriale e il successivo comma 840 ha disposto che gli oneri finanziari siano a carico della regione stessa a partire dal 2010.
  In attuazione della predetta legge, in data 7 settembre 2010, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'Enac e la regione Sardegna hanno sottoscritto un Protocollo d'intesa che, all'articolo 6, prevede che le risorse finanziarie necessarie per l'imposizione degli oneri di servizio pubblico sono a carico della regione autonoma Sardegna.
  In base all'articolo 4 dello stesso Protocollo d'intesa, spetta al Ministero disporre con proprio decreto gli oneri di servizio pubblico in conformità alle conclusioni dell'apposita conferenza di servizi, di cui all'articolo 36, comma 2, della legge n. 144 del 1999, indetta e presieduta dal Presidente della regione Sardegna.
  In tale quadro, l'individuazione della tipologia di continuità territoriale è sostanzialmente rimessa alle scelte e alle iniziative della regione Sardegna che stanzia sul proprio bilancio le somme da dedicare alla continuità stessa.
  Al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti compete soltanto partecipare alla conferenza dei servizi, emanare il decreto di imposizione degli oneri in conformità alle risultanze della medesima conferenza e relazionarsi con i competenti uffici della Commissione europea ai fini dell'invio del bando di gara di imposizione degli oneri.
  Allo stato attuale sulle rotte cosiddette storiche (collegamenti tra gli scali sardi di Cagliari, Alghero e Olbia con gli aeroporti Fiumicino e Linate) sono vigenti oneri di servizio pubblico imposti con il decreto ministeriale n. 61 del 21 febbraio 2013, a cui ha fatto seguito la gara europea con affidamento dei servizi in esclusiva:
   ad Alitalia Cai per le tratte Alghero-Roma Fiumicino e viceversa, Alghero-Milano Linate e viceversa, Cagliari-Roma Fiumicino e viceversa Cagliari-Milano Linate e viceversa;
   a Meridiana Fly per le tratte Olbia-Roma Fiumicino e viceversa, Olbia-Milano Linate e viceversa;

  Con riferimento, invece, alle cosiddette rotte minori sarde (collegamenti tra gli scali sardi di Cagliari, Alghero e Olbia con gli aeroporti di Bologna, Torino, Verona e Napoli) il nuovo esecutivo regionale ha espressamente richiesto di non procedere agli adempimenti per l'applicazione del nuovo regime onerato, deliberato dalla precedente giunta e imposto con decreto ministeriale n. 83 del 14 marzo 2014, a seguito dell'apposita conferenza dei servizi, in quanto è intendimento della medesima regione rivedere il regime impositivo sulla base della valorizzazione e soddisfacimento di nuove esigenze espresse dal territorio. Anche per le rotte storiche la regione ha manifestato l'intendimento di rivedere il modello impositivo. Al momento, il servizio sulle stesse è svolto, senza esclusiva e senza compensazione finanziaria, dal vettore Meridiana fly in regime di proroga ai sensi del decreto ministeriale n. 36 del 2005.
  Il tema della mobilità e della continuità territoriale sarda è una priorità all'attenzione del Governo; infatti al fine di valutare nuove soluzioni che assicurino il diritto alla mobilità dei sardi e contestualmente non penalizzino i non residenti si è avviato un confronto tra le autorità regionali e ministeriali per individuare un modello di continuità territoriale aerea condiviso più aderente alla esigenze di mobilità della popolazione regionale e che promuova lo sviluppo e l'accessibilità turistica dell'isola.
  Peraltro, la ricerca di soluzioni mirate e adeguate a soddisfare le esigenze di mobilità e di sviluppo della regione Sardegna dovrà tener conto, non solo delle norme generali interne in premessa richiamate, ma anche dei regolamenti europei di settore che disciplinano i servizi aerei nell'Unione europea, anche con riferimento ai particolari profili di continuità territoriale, in particolare, del Regolamento n. 1008 del 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008.
  A tale riguardo, si ritiene opportuno segnalare che le modalità di attuazione del sistema di continuità territoriale vigente in Sardegna sono attualmente sottoposte ad indagine da parte dei competenti servizi della Commissione europea in merito alla loro conformità con le disposizioni europee e che degli esiti di tali indagini non potrà non tenersi conto nel lavoro di predisposizione di un nuovo regime onerato.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo schema di decreto del Presidente della Repubblica inviato il 10 settembre dal Ministero dell'interno alle organizzazioni sindacali in merito alla nuova rivisitazione sull'intero territorio nazionale delle prefetture, che prevede la chiusura di 23 sedi, tra le quali quelle di Verbano-Cusio-Ossola, Biella e Asti, rappresenta a giudizio dell'interrogante, una decisione improvvida e sbagliata, in considerazione della massima emergenza in materia di gestione dell'immigrazione e della sicurezza;
   la suddetta disposizione, che addirittura anticipa i decreti delegati della cosiddetta «riforma Madia», ridimensionando il numero dei presidi di legalità e sicurezza sul territorio ed in particolare su quello piemontese, oltre a non considerare le prospettive di ricollocazione dei lavoratori delle stesse prefetture, rischia a parere dell'interrogante, di accrescere i livelli di insicurezza e di criminalità dilagante nelle città ed in particolare nel Nord Italia, che appaiono in costante aumento;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia altresì, come l'azione politica e legislativa del Governo Renzi, finalizzata ad una logica di riduzione della spesa pubblica, non può confliggere con l'esigenza di sicurezza e legalità espressa dal territorio come ad esempio, quello piemontese, penalizzato dalle decisioni di chiusura addirittura di tre sedi prefettizie;
   l'accorpamento delle prefetture di Verbano-Cusio-Ossola, Biella e Asti, a parere dell'interrogante, determinerà una serie di effetti indubbiamente negativi con disagi notevoli per i cittadini, come peraltro già accaduto per la chiusura dei tribunali, indebolendo ulteriormente la presenza dello Stato nei riguardi di una regione così economicamente importante quale il Piemonte –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se non intenda rivedere la decisione di sopprimere le tre sedi prefettizie piemontesi in precedenza richiamate, al fine di evitare inevitabili complicazioni in ordine alla sicurezza e alla legalità nei confronti dell'intera regione. (4-10337)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame, l'interrogante richiama l'attenzione sull'annunciato schema di decreto del Presidente della Repubblica che, nel disporre la riorganizzazione degli uffici centrali e periferici del Ministero dell'interno, prevede la chiusura di 23 prefetture tra le quali quelle di Verbano-Cusio-Ossola, Biella ed Asti. In proposito chiede, in particolare, se il Ministro dell'interno non intenda rivedere la decisione di chiudere le tre prefetture piemontesi.
  Il tema evidenziato è particolarmente sentito nella società civile e anche in Parlamento, tant’è che nelle scorse settimane il Governo è stato chiamato a più riprese a discuterne in Assemblea e in commissione Affari costituzionali della Camera, in sede di
question time, di interpellanze urgenti e di interrogazioni a risposta orale.
  Preliminarmente, si ribadisce quanto lo stesso Ministro dell'interno ha avuto modo di sottolineare nell'Aula della Camera e cioè che l’
iter di approvazione del regolamento è solo agli inizi. Quindi nessuna decisione definitiva è stata assunta sugli accorpamenti da effettuare.
  Vi sarà, quindi, anche lo spazio per un confronto serio con le istituzioni locali, che tenga conto delle istanze provenienti dal territorio.
  Nel merito si osserva che il regolamento in questione, avente ancora la forma di schema, costituisce attuazione della più ampia manovra di ridefinizione degli assetti organizzativi, a livello centrale e periferico, di tutte le Amministrazioni dello Stato, voluta dal Governo Monti e suggellata nel decreto-legge n. 95 del 2012.
  E fa seguito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 maggio 2015, con cui sono state rideterminate le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale dell'Amministrazione civile dell'interno.
  Quanto alle ricadute negative paventate dall'interrogazione sulla risposta dello Stato nell'area oggetto di accorpamento, si rappresenta che, nella visione dell'Amministrazione dell'interno, ogni possibile opzione sarà oggetto di attenta valutazione, e comunque non potrà mai andare a scapito della sicurezza reale dei territori.
  Non un'unità di personale sarà sottratta ai compiti di istituto e a quelli operativi, con la conseguenza che le comunità manterranno intatti gli attuali
standard dei servizi.
  In sostanza, il regolamento non prefigura alcun arretramento dello Stato sui temi della sicurezza. E non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una
mission fondante del Ministero dell'interno.
  Si ricorda, poi, che la procedura di approvazione del regolamento prevede l'acquisizione del parere delle commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
  Occorre, infine, tener presente che su questo disegno di riforma si è venuta ora a innestare la cosiddetta «legge Madia», che contiene, come è ben noto, disposizioni volte a riorganizzare l'intera presenza dello Stato sul territorio.
  Questo articolato, pur annoverando tra i criteri di delega la riduzione del numero delle prefetture, ne rafforza la funzione strategica, come è attestato dal fatto che esse andranno ad assorbire tutti gli uffici periferici dello Stato e si configureranno, quindi, quali «punti di contatto unico» tra lo Stato e i cittadini. Le prefetture, inoltre, continueranno ad essere il cardine del sistema territoriale della sicurezza.
  Alla luce di quanto detto, si ritiene che le perplessità manifestate nell'interrogazione possano considerarsi fugate.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   NESCI, NUTI, TONINELLI e DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto disposto dal Ministero dell'interno il 10 settembre 2015, verranno soppresse 23 prefetture in tutta Italia, che entro il 2016 saranno accorpate ad altre sedi di città vicine;
   il provvedimento colpirà le seguenti sedi: Teramo (accorpata a L'Aquila), Chieti (accorpata a Pescara), Vibo Valentia (accorpata a Catanzaro), Benevento (Avellino), Piacenza (Parma), Pordenone (Udine), Rieti (Viterbo), Savona (Imperia), Sondrio (Bergamo), Lecco (Como), Cremona (Mantova), Lodi (Pavia), Fermo (Ascoli Piceno), Isernia (Campobasso), Asti (Alessandria), Verbano-Cusio-Ossola (Novara), Biella (Vercelli), Oristano (Nuoro), Enna (Caltanissetta), Massa-Carrara (Lucca), Prato (Pistoia), Rovigo (Padova), Belluno (Treviso);
   preme ricordare che il territorio vibonese è uno dei più martoriati dal fenomeno ’ndranghetistico, per cui occorre una presenza costante delle istituzioni e delle forze dell'ordine, affinché sia garantita la sicurezza pubblica;
   come denunciato l'11 settembre 2015 dalla segreteria provinciale del Sap (Sindacato Autonomo di Polizia) di Vibo Valentia, dopo una riunione presieduta dal vice capo della polizia, dottor Matteo Piantedosi, «ancora una volta si intende tagliare sui presidi territoriali e non sulla elefantiaca macchina burocratica centrale», considerando che la soppressione delle prefetture porterà a un inevitabile depotenziamento anche delle questure e delle caserme dei vigili del fuoco, come sottolineato anche dal Conapo (sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco); 
   come sottolinea ancora il sindacato; «nulla è stato detto su quale sarà il modello di sicurezza che verrà attuato nelle 23 province che non avranno più la questura. Le timide assicurazioni che non vi saranno riduzioni organiche né taglio di posti di funzione non ci convincono e non appaiono coerenti con il nuovo modello proposto dal Regolamento in discussione»;
   tale regolamento prevede, in base ai decreti attuativi di riforma della pubblica amministrazione, anche l'accorpamento del Corpo forestale dello Stato con altra Forza di Polizia. Tuttavia sottolinea ancora il sindacato, «il non avere previsto nel Regolamento la possibilità che le funzioni attualmente svolte dal Corpo forestale siano contemplate tra le prerogative del Dipartimento della P.S diminuisce le possibilità, di un reale accorpamento con la Polizia di Stato». Il risultato di tale procedimento sarà quindi per il sindacato che il Corpo forestale seguirà «un percorso di militarizzazione» senza trovare «la sua naturale collocazione in una amministrazione civile che delle Specialità e delle specializzazioni ne ha sempre fatto vanto e lustro»;
   di contro, nessun taglio è stato disposto per gli uffici centrali del Viminale, per le dirigenze e per le sedi logistiche, in considerazione del fatto che secondo il sindacato è stata prevista semplicemente una «timida rivisitazione delle Direzioni Centrali dove le funzioni dell'attuale Ufficio Centrale Interforze per la sicurezza personale dovrebbe confluire nell'Ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle forze di polizia» –:
   se non ritenga opportuno rivedere la soppressione delle 23 prefetture, specie in quei territori, come la provincia di Vibo Valentia, in cui è necessario e doveroso salvaguardare la presenza delle istituzioni, nella lotta alla criminalità organizzata e alle sue ingerenze;
   quali azioni intenda assumere affinché venga garantito il controllo necessario e la sicurezza nei territori periferici.
(4-10377)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede se il Ministro dell'interno non intenda rivedere la chiusura di 23 prefetture, misura prevista dall'annunciato schema di decreto del Presidente della Repubblica recante la riorganizzazione del Ministero dell'interno.
  Il tema evidenziato è particolarmente sentito nella società civile e anche in Parlamento, tant’è che nelle scorse settimane il Governo è stato chiamato a più riprese a discuterne in Assemblea e in Commissione Affari costituzionali della Camera, in sede di
question time, di interpellanze urgenti e di interrogazioni a risposta orale.
  Preliminarmente, si ribadisce quanto lo stesso Ministro dell'interno ha avuto modo di sottolineare nell'Aula della Camera e cioè che l'iter di approvazione del regolamento è solo agli inizi. Quindi nessuna decisione definitiva è stata assunta sugli accorpamenti da effettuare.
  Vi sarà, quindi, anche lo spazio per un confronto serio con le istituzioni locali, che tenga conto delle istanze provenienti dal territorio.
  Nel merito si osserva che il regolamento in questione, avente ancora la forma di schema, costituisce attuazione della più ampia manovra di ridefinizione degli assetti organizzativi, a livello centrale e periferico, di tutte le amministrazioni dello Stato voluta dal Governo Monti e suggellata nel decreto legge n. 95 del 2012.
  E fa seguito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 maggio 2015, con cui sono state rideterminate le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale dell'amministrazione civile dell'interno.
  Quanto alle ricadute negative paventate dall'interrogante sulla risposta dello Stato nell'area oggetto di accorpamento, si rappresenta che, nella visione dell'Amministrazione dell'interno, ogni possibile opzione sarà oggetto di attenta valutazione, e comunque non potrà mai andare a scapito della sicurezza reale dei territori.
  Non un'unità di personale sarà sottratta ai compiti di istituto e a quelli operativi, con la conseguenza che le comunità manterranno intatti gli attuali standard dei servizi.
  In sostanza, il regolamento non prefigura alcun arretramento dello Stato sui temi della sicurezza. E non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una mission fondante del Ministero dell'interno.
  Si ricorda, poi, che la procedura di approvazione del regolamento prevede l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
  Occorre, infine, tener presente che su questo disegno di riforma si è venuta ora a innestare la legge Madia, che contiene, come è ben noto, disposizioni volte a riorganizzare l'intera presenza dello Stato sul territorio.
  Questo articolato, pur annoverando tra i criteri di delega la riduzione del numero delle prefetture, ne rafforza la funzione strategica, come è attestato dal fatto che esse andranno ad assorbire tutti gli uffici periferici dello Stato e si configureranno, quindi, quali «punti di contatto unico» tra lo Stato e i cittadini. Le prefetture, inoltre, continueranno ad essere il cardine del sistema territoriale della sicurezza.
  Alla luce di quanto detto, si ritiene che le perplessità manifestate nell'interrogazione possano considerarsi fugate.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   NESCI, DIENI, NUTI, D'UVA e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con determina dei responsabile del IV settore lavori pubblici n. 90 del 1° febbraio 2013 il servizio di «ritiro, trasporto e selezione» delle frazioni di rifiuto provenienti dalla raccolta differenziata – svolta dal comune di Gioia Tauro con proprio personale mediante la raccolta porta a  porta – era stato affiato alla ditta Eurocome srl, corrente in Gioia Tauro;
   detto servizio riguardava esclusivamente il rifiuto differenziato proveniente dalla raccolta comunale giornaliera tramite il «porta a porta» e il rifiuto differenziato conferito dal servizio di raccolta comunale e dai cittadini presso l'isola ecologica comunale;
   con ordinanza – dell'allora sindaco Renato Bellofiore – sindacale n. 137 del 2013, pubblicata il 30 dicembre del medesimo anno, si disponeva la compiuta attuazione del sistema di raccolta differenziata «porta a porta» per il comune di Gioia Tauro, mediante l'utilizzo di personale dello stesso municipio;
   successivamente, sulla base della citata determina, veniva stipulata tra il comune di Gioia Tauro e la ditta Eurocome srl apposita convenzione della durata di anni 2, con scadenza nel mese di febbraio 2015;
   con deliberazione n. 47/2015 con i poteri della giunta comunale, il commissario straordinario del comune di Gioia Tauro – il dottor Francesco Antonio Cappetta, nominato con decreto del Presidente della Repubblica del 23 febbraio 2015 a seguito delle dimissioni del sindaco Renato Bellofiore per questioni legate proprio alla gestione dei rifiuti – su parere, ai sensi dell'articolo 49 del testo unico n. 267 del 2000, del responsabile del IV settore, ingegner Angela Nicoletta, disponeva la risoluzione contrattuale in danno del nolo di mezzi costipatori dalla ditta La Fenice, con sede in Nicotera (Vv), sul presupposto che il doppio blocco dei mezzi della raccolta differenziata per mancati pagamenti dell'ente avesse causato un'interruzione di un servizio pubblico;
   in data 28 aprile 2015, con provvedimento affisso presso la casa comunale e pubblicato sul sito istituzionale del comune di Gioia Tauro, si avvisava la cittadinanza della sospensione del servizio di raccolta porta a porta dei rifiuti urbani «a causa di problemi tecnici»;
   il 27 maggio 2015, con determina n. 198 il responsabile del IV settore lavori pubblici dell'ente in questione, ingegner Angela Nicoletta, nel dare atto «che la ditta Eurocome srl ha svolto e sta svolgendo a tutt'oggi servizi di trasporto, selezione e smaltimento delle frazioni dei rifiuti solidi urbani provenienti dalla raccolta differenziata», «stante l'esigenza di non interrompere un servizio primario come quello del ritiro dei rifiuti solidi urbani differenziati e non ed al loro trasporto presso le isole ecologiche autorizzate», riteneva lecito prorogare – nelle more di indizione di una nuova procedura di gara – un servizio (a suo dire) analogo, per dodici mesi e con un ribasso del 40 per cento alla ditta medesima;
   la proroga avveniva pur allargando l'oggetto della convenzione originaria al ritiro dei rifiuti solidi urbani non differenziati, e benché in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di servizi l'amministrazione dovesse, in conformità con la normativa comunitaria, indire una nuova gara pubblica o procedura negoziata, ex decreto legislativo n. 163 del 2006;
   va precisato che il contratto originario intercorso tra ente ed Eurocome srl non prevedeva l'ipotesi di una proroga del servizio;
   in sostanza, il comune di Gioia Tauro preferì non avviare nessun bando di gara né procedura negoziata senza bando ai sensi dell'articolo 57, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
   con nota n. 9871 del 12 maggio 2015 (ampiamente oltre la scadenza del termine di durata del primo contratto) il municipio scelse di richiedere alla ditta Eurocome srl di accettare una proroga del servizio, poi avvenuta;
   il giorno 8 ottobre 2015, con determina n. 66 emessa dal responsabile del V e VII settore municipale, il comune di Gioia Tauro annullava la determina sopra richiamata n. 198 del 27 maggio 2015, con la quale si prorogava il servizio all'Eurocome, ritenendo la disposta proroga contra legem;
   avverso detta determina di annullamento la ditta Eurocome srl proponeva ricorso al Tar di Reggio Calabria che, inaudita altera parte, sospendeva l'efficacia della determina di annullamento n. 66/2015 fino alla trattazione del merito della causa;
   a seguito di tale sospensiva si sono ripristinati gli effetti della summenzionata determina n. 198/2015, che affidava il servizio di raccolta anche della indifferenziata alla Eurocome srl, di fatto senza aver previsto alcuna gara, senza alcun invito ad altre ditte, senza alcuna convenzione;
   l'amministratore unico della Eurocome srl è il signor Luigi Bagalà, suocero del sindaco in carica di Gioia Tauro, Giuseppe Pedà, eletto nello scorso giugno;
   a norma dell'articolo 61 del testo unico n. 267 del 2000, per come riformato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 450 del 2000, non può ricoprire la carica di sindaco, tra l'altro, chi ha affini sino al secondo grado che rivestano la qualità di appaltatore di servizi comunali;
   peraltro, in un'informativa del 2008 della polizia di Stato, si legge che «nel corso dell'attività di controllo e verifica sul comune di Gioia Tauro, in data 17 agosto 2006, è stata inoltrata una dettagliata informativa nei confronti di sette soggetti, tra amministratori comunali, Pubblici Ufficiali e titolari di impresa, ritenuti responsabili di vari delitti, relativi alla violazione della legge sugli appalti pubblici. Tra i soggetti privati è opportuno segnalare la figura del Bagalà Luigi (padre di Francesco, coniugato quest'ultimo con la figlia del Dal Torrione) ritenuto inserito nella ’ndrina Piromalli unitamente al Callipo Domenico» –:
   se non ritenga doveroso e urgente assumere iniziative affinché il prefetto di Reggio Calabria considerata la decadenza dalla carica di sindaco prevista dall'articolo 68 del testo unico n. 267 del 2000, promuova l'azione di cui all'articolo 70 del citato testo unico. (4-10839)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha richiesto urgenti iniziative affinché il prefetto di Reggio Calabria, valutata nei riguardi del sindaco di Gioia Tauro la sussistenza della causa di incompatibilità di cui all'articolo 61, comma 1-bis, del Testo unico degli enti locali, promuova l'azione di decadenza dalla carica ai sensi dell'articolo 70 del medesimo Testo unico.
  La questione evidenziata nell'atto di sindacato ispettivo è legata alla circostanza che il suocero del sindaco ricopre le cariche di amministratore unico e di socio di una società a responsabilità limitata aggiudicataria dell'appalto comunale per il servizio di ritiro, trasporto e selezione delle frazioni di rifiuto provenienti dalla raccolta differenziata porta a porta.
  La prefettura di Reggio Calabria, nel riferire che il contratto concernente l'appalto in parola è scaduto nel mese di febbraio 2015, ha precisato che l'ente locale ne ha prorogato la durata con una determinazione dirigenziale successivamente annullata in via di autotutela.
  Avverso la determina di annullamento in autotutela la società interessata ha proposto ricorso al TAR Calabria che, in accoglimento dell'istanza di misure cautelari monocratiche proposta dalla parte ricorrente, ha sospeso l'esecuzione del provvedimento, fissando per il 4 novembre 2015 la camera di consiglio in sede collegiale.
  Risulta, inoltre, che con ordinanza collegiale del successivo 5 novembre il giudice amministrativo abbia rigettato la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, fissando il 17 dicembre 2015 l'udienza per la trattazione nel merito del ricorso.
  Ciò premesso, si osserva che, secondo quanto chiarito in giurisprudenza, nella nozione di «appaltatore di lavori comunali» che qui interessa «rientrano sia le imprese individuali sia le imprese costituite in forma societaria (di persone o di capitali). Né a diversa conclusione potrebbe giungersi traendo spunto dal fatto che la società di capitali, avendo propria personalità giuridica, impedirebbe qualsiasi forma d'impedimento o condizionamento sull'azione politica e amministrativa. È ben vero che, quando affidataria dell'appalto (che vede come committente il Comune) sia una società di capitali, i rapporti giuridici e le obbligazioni nascenti dal contratto sono imputabili alla società medesima, munita di propria personalità giuridica. Ma nel contesto delle finalità perseguite dalla norma vengono in rilievo non l'imputazione del rapporto bensì gli interessi economici da questo nascenti, suscettibili di entrare in conflitto con l'interesse dell'ente di cui il sindaco è rappresentante. Ed è innegabile che i soci della società appaltatrice abbiano precisi interessi correlati all'appalto a questa affidato dal Comune, per gli ovvi riflessi patrimoniali derivanti dalla partecipazione societaria» (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 7 febbraio 2001, n. 1733; Id., 21 agosto 2007, n. 17769).
  Alla luce del richiamato indirizzo giurisprudenziale, il caso in esame potrebbe astrattamente rientrare nell'ambito di applicazione del citato articolo 61, comma 1-
bis.
  Nondimeno, allo stato, rimanendo impregiudicate le eventuali ulteriori considerazioni che potranno essere svolte all'esito del giudizio pendente innanzi al T.A.R. Calabria, non sembra in concreto ravvisabile la prospetta situazione di incompatibilità, atteso che il contratto stipulato tra il comune e la società de qua non può considerarsi attualmente in essere a causa della sopravvenuta determinazione dirigenziale in autotutela concernente l'annullamento della proroga del contratto medesimo e della richiamata ordinanza con la quale il collegio giudicante ha rigettato l'istanza cautelare di sospensione degli effetti della determinazione medesima.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giudice delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, assieme a numerosi amministratori giudiziari, tra cui spicca il nome dell'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, funzionari ed altri magistrati del tribunale di Palermo, risultano essere coinvolti nelle indagini della procura di Caltanissetta che hanno fatto luce su un presunto sistema criminale incentrato sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;
   questo sistema, di cui si discuteva già da vari mesi, sia grazie all'azione di alcuni organi di informazione, tra cui il Telegiornale di Telejato e il programma televisivo «Le Iene show», sia tramite la stessa Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, ha consentito la gestione in maniera clientelare dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, consentendo l'arricchimento spropositato e ingiustificato di pochi soggetti, portando ad una generalizzata mala gestione dei beni stessi e ad un sistematico fallimento della quasi totalità delle aziende sottoposte a misure di prevenzione;
   dalle indagini della procura di Caltanissetta, oltre a magistrati, funzionari e amministratori giudiziari, e loro parenti e amici, emergerebbe il coinvolgimento anche di altri esponenti istituzionali, tra i quali spicca il nome del prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo;
   in particolare emergerebbero raccomandazioni incrociate tra il prefetto Cannizzo e il magistrato Saguto, che condividono una cara amicizia, per l'assunzione o la nomina di soggetti a loro vicini: in particolare nelle intercettazioni emergerebbero le pressioni esercitate dai prefetto Cannizzo su richiesta della Saguto per la nomina del professor Carlo Provenzano, già amministratore giudiziario vicino al magistrato palermitano, a commissario del CARA di Mineo, lo stesso al centro dello scandalo di Mafia Capitale, il quale avrebbe inoltre inviato regalie allo stesso prefetto per ingraziarselo nonché le pressioni esercitate dal magistrato Saguto su richiesta del prefetto per l'assunzione di una persona da parte di un amministratore giudiziario;
   la stretta relazione tra queste due persone è confermata da altre intercettazioni: in particolare la cena organizzata nella residenza del prefetto di Palermo, Villa Pajno, per il compleanno del magistrato, ove vennero utilizzati, grazie all'azione di amministratori giudiziari, prodotti provenienti da aziende sequestrate; e la cena organizzata a casa del magistrato con il prefetto ove, con modalità molto similari, vennero recapitati alcuni chili di tonno provenienti da un'azienda sequestrata, con la connivenza dell'amministratore giudiziario;
   inoltre, come riportato in un articolo del giornale di Sicilia del 21 ottobre 2015 e ripreso da un articolo pubblicato su Telejato, «sembrerebbe emergere una complicità tra la Dott.ssa Saguto, l'Avv. Cappellano Seminara e, addirittura, l'attuale Prefetto Dott.ssa Cannizzo, allo scopo di neutralizzare il giornalista Giuseppe Maniaci e la sua emittente rea di avere alimentato e supportato le denunce successivamente riprese anche dal prefetto Giuseppe Caruso. Dal tenore dello stesso articolo sembrerebbe che la probabile denuncia per stalking presentata dall'avv. Cappellano Seminara contro Maniaci sia falsa e strumentale a tale diabolico disegno»;
   da quanto emergerebbe sinora dalle indagini, il comportamento tenuto dal prefetto di Palermo Cannizzo, secondo gli interroganti, collide pienamente con i dettami costituzionali contenuti in particolare agli articoli 97 e 98 della Costituzione ove si stabilisce che «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione» e che «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione» –:
   se non intenda assumere iniziative per procedere alla revoca dell'incarico al prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, ovvero ad una sua sospensione sino a quando le autorità giudiziarie non chiariranno la sua situazione in merito al coinvolgimento nello scandalo della gestione dei beni sequestrati e confiscati in provincia di Palermo;
   se non intenda procedere all'invio di ispettori ministeriali presso la prefettura di Palermo al fine di chiarire la posizione del prefetto medesimo e il suo coinvolgimento nello scandalo riguardante la gestione dei beni sequestrati e confiscati in provincia di Palermo. (4-10927)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in oggetto l'interrogante chiede l'adozione di iniziative volte a rimuovere o sospendere dall'incarico il prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, in attesa che le indagini dell'autorità giudiziaria chiariscano «la sua situazione in merito al coinvolgimento nello scandalo della gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata in provincia di Palermo».
  In proposito, si rappresenta che nella seduta del 6 novembre scorso il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, ha disposto la cessazione del prefetto Cannizzo dalle funzioni di prefetto di Palermo e la sua destinazione ad altro incarico.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa riportate dalla «Gazzetta del Sud» del 13 aprile 2014 si apprende che presso il comune di Nocera Terinese, in provincia di Catanzaro, sono stati rinvenuti, nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti provenienti dai lavori di sistemazione idraulica del Savuto e dalla successiva rimozione del materiale da asporto derivante da un ponte crollato diversi anni fa nello stesso corso d'acqua, materiali pericolosi ed inquinanti per l'ambiente;
   il comune di Nocera Terinese, antico centro della provincia di Catanzaro di circa 5.000 abitanti, è una importante meta turistica che può vantare antiche e ricche di tradizioni e una straordinaria bellezza del mare e delle sue spiagge;
   l'allarme, lanciato anche dal WWF, riporta che oltre a cemento e ferro è stato rinvenuto materiale catramoso derivante dal vecchio manto stradale che necessita di particolari siti di smaltimento in quanto il suo persistere nel terreno può causare gravi danni ambientali;
   la cittadinanza interessata evidenzia forti segnali di preoccupazione e sollecita le istituzioni ad intervenire per evitare danni che potrebbero essere irreversibili per l'ambiente, specialmente in una regione in cui i casi d'inquinamento e di danni alla popolazione sono diventati tristemente noti, colpendo anche una economia, quella calabrese, già fortemente penalizzata dalla grave crisi economica;
   a Nocera Terinese è urgente promuovere iniziative utili a tutelare l'ambiente e a valorizzare il paesaggio specialmente quello della fascia costiera circostante;
   anche altre organizzazioni ambientaliste si stanno muovendo affinché ci sia maggiore attenzione verso la tutela e l'integrità dell'alveo del Savuto e si intraprendano azioni per garantire la salute dei cittadini;
   la situazione del comune di Nocera Terinese appare decisamente delicata e la ricostruzione di una nuova e importante infrastruttura, come quella del ponte sul Savuto, deve necessariamente tenere conto dell'impatto ambientale che questo può avere nel territorio;
   i cittadini di Nocera Terinese chiedono l'intervento, prima di adire alle vie legali, delle istituzioni locali;
   sarebbe interessante conoscere quali saranno i piani di intervento previsti e le tempistiche per bonificare le aree in questione, anche in considerazione che il materiale di risulta può essere dannoso per la salute –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intenda assumere, anche promuovendo verifiche da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, per la difesa dell'ambiente e la tutela della salute dei cittadini. (4-04597)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo si fa presente che, la strada interessata dal crollo del ponte sul fiume Savuto è la strada provinciale n. 163/1. Allo stato attuale, l'amministrazione provinciale di Catanzaro competente per territorio della manutenzione dell'arteria, sta redigendo il progetto definitivo per la realizzazione del nuovo ponte.
  La stessa amministrazione ha inoltre provveduto, nell'ambito degli interventi integrati di ripristino dell'officiosità idraulica del fiume Savuto, a ripulire l'area conferendo le macerie del ponte crollato in un impianto idoneo.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OTTOBRE. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 1818 la contea principesca del Tirolo, compresi i territori abitati da popolazioni di lingua italiana, entrò a far parte della Confederazione germanica;
   nel 1866 le truppe italiane fecero la loro comparsa nel territorio del Trentino, la loro avanzata venne però fermata dalla fine della terza guerra d'indipendenza, che si concluse lasciando il Trentino in mani austriache, erano stati 3-400 i trentini fuoriusciti nei vicini stati italiani per partecipare alle campagne per l'indipendenza italiana, furono naturalmente più numerosi gli abitanti della contea tirolese, sia germanofoni che italofoni, arruolati nell'imperiale regio esercito austriaco;
   nel 1867 l'Impero d'Austria divenne impero austro-ungarico;
   con lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 buona parte della popolazione maschile della contea principesca del Tirolo, sia germanofona che italofona, vestì la divisa dell'imperiale regio esercito;
   l'Austria-Ungheria e l'Italia aderivano entrambe alla Triplice alleanza, che era di natura difensiva e non contemplava l'intervento italiano al fianco degli austro-tedeschi; l'Italia mantenne inizialmente la sua neutralità, ma in cambio di concessioni territoriali comprendenti anche l'Alto Adige/Südtirol in base ai termini del trattato segreto di Londra, stipulato nell'aprile 1915, poi l'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria; occorre ricordare che nel 1910 gli abitanti italofoni dell'odierna provincia di Bolzano erano solamente 6.950 su di una popolazione di 251.451 persone;
   «Welschtiroler» era il termine usato nell'esercito austro-ungarico, per definire quella parte di soldati provenienti dal territorio trentino;
   una buona opportunità per giungere a una quantificazione dei «Welschtiroler» presenti nell'esercito austro-ungarico è offerta dai fogli matricolari degli arruolati, conservati presso il Tiroler Landesarchiv di Innsbruk;
   si tratta di un fondo molto cospicuo, riguardante il Sudtirolo tedesco e il Trentino, che comprende circa 270 raccoglitori in cui sono conservati i «Grundbuchsblatter», fogli matricolari, di circa 54.000 soldati delle classi 1865-1900 e anche alcuni che risalgono al 1830;
   purtroppo questo fondo di documenti è lacunoso perché nel 1949 un consistente numero di questi atti fu trasmesso, insieme ad altri documenti militari, alla Repubblica italiana;
   da un verbale di consegna del 21 novembre del 1949 conservato presso il Tiroler Landesarchiv (Archivio storico del Tirolo) di Innsbruck, si può desumere che la Landesevidenz aveva, a quella data, consegnato al distretto militare di Belluno un intero vagone ferroviario di materiale d'archivio, nel quale, risulta all'interrogante ci fossero i documenti dei soldati della classe 1876-1925 del distretto militare di Bolzano e quelli della classe 1882-1924 dei distretto militare di Trento;
   risulterebbe, inoltre, da una comunicazione dell'ufficio italiano di collegamento di Innsbruck, del 22 novembre 1950, che gli atti siano arrivati a Belluno il 29 novembre 1949;
   tutta questa documentazione potrebbe essere una fonte insostituibile di ulteriori informazioni e potrebbe riempire il vuoto di notizie per alcuni distretti militari, nonché essere materiale utile per i parenti e discendenti –:
   se i Ministri interrogati possano, per quanto di competenza, appurare dove sia attualmente il materiale inviato, presso il distretto militare di Belluno, nel novembre 1949 da Innsbruck, perché attualmente risulta introvabile. (4-08910)

  Risposta. — Si risponde anche per conto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che ha fornito gli elementi di competenza.
  La documentazione comprendente i fogli matricolari dei militari di origine italiana arruolati nell'Esercito austro-ungarico e proveniente da territori passati all'amministrazione italiana al termine del 1o conflitto mondiale (Cortina d'Ampezzo, S. Lucia, Livinallongo del Col di Lana, tutti nella provincia di Belluno), nel novembre del 1949 fu consegnata, in base agli accordi di pace, al Distretto militare di Belluno.
  I documenti erano stati sottratti dagli archivi del Regio esercito dalle truppe tedesche negli anni 1943-1945, durante l'occupazione nelle province dell'allora zona di operazioni del litorale adriatico e zona di operazioni delle Prealpi che includevano, tra l'altro, i territori di Trento, Bolzano, Udine, Belluno, Trieste, Fola, Fiume e Gorizia.
  Come previsto dalla normativa in materia, il Distretto militare di Belluno effettuò nel 1957 un primo versamento presso l'archivio di Stato di Venezia, relativo ai ruoli matricolari delle classi 1836-1865.
  Fra il 1978 e il 1993 il fondo, periodicamente incrementato con successivi versamenti secondo i termini cronologici di legge, fu trasferito presso l'Archivio di Stato di Belluno – istituito nel 1973 – e comprende i ruoli matricolari delle classi dal 1836 al 1992 (con lacune per gli anni 1839 e 1854), in ordine cronologico e con le relative rubriche.
  All'interno del fondo sono presenti i registri numerati da 1 a 26 e contenenti, per gli anni 1875-1900, i ruoli matricolari dell'Esercito austro-ungarico.
  Tutti i nominativi dei titolari di fogli matricolari compresi nell'intero fondo sono riportati in ordine alfabetico in un
database e consultabili presso l'archivio di Stato di Belluno.
  Si segnala, nel merito, che tutto il materiale documentario è descritto sinteticamente nel sistema informativo degli archivi di Stato (
http://www.archivi-sias.it) accessibile sia dal sito web della Direzione generale archivi (http://www.archivi.beniculturali.it) sia dal sito dell'Archivio di Stato di Belluno (www.asbelluno.beniculturali.it).
  Il
link alla scheda descrittiva dell'Archivio del distretto militare è il seguente:
   
http://archivisias.it/Scheda-Complesso.asp?FiltraComplesso=190900035.

  Riguardo all'esistenza di tali registri, gli storici di quei territori sono più che informati.
  In particolare, la dottoressa Luciana Palla che studia le terre di confine tra il Bellunese e il Trentino ha pubblicato i volumi «Fra realtà e mito. La Grande guerra nelle valli ladine» (1991) e «Il Trentino orientale e la Grande guerra» (1994) utilizzando le fonti sopra citate, con riferimento al tema degli internati civili (austriaci filoitaliani, internati in campi austriaci).

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella prima mattinata del 15 ottobre 2016 le forze dell'ordine hanno proceduto allo sgombero dell'occupazione a scopo abitativo di via Solferino 42 a Bologna;
   negli spazi dell'edificio di proprietà dell'Istituto Cavazza, inutilizzato da 10 anni, trovavano ospitalità da febbraio 2015 circa 30 persone;
   a causa dell'intervento 30 persone hanno perso la possibilità di un alloggio e fra loro 5 minori;
   una prassi già non rispettata a Bologna vuole che in casi come questo sia avvisato il comune, così da poter predisporre l'intervento dei servizi sociali, a tutela particolare dei minori –:
   se risulti quali siano le ragioni per cui non si sia proceduto ad avvisare in alcun modo sindaco e amministrazione comunale, considerando anche la recente riunione del locale comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza. (4-10770)

  Risposta. — In relazione ai fatti riferiti dall'interrogante, occorre premettere che da più di un anno Bologna è interessata da occupazioni abusive di immobili da parte di movimenti antagonisti, i quali in questi luoghi svolgono le proprie attività politiche oppure danno alloggio a persone colpite da provvedimenti di sfratto, strumentalizzando di fatto lo stato di precarietà abitativa.
  La problematica è stata trattata in diverse riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica dedicate sia al fenomeno nel suo complesso che ai singoli casi di occupazione.
  In tali riunioni si è addivenuti, d'intesa con gli organismi competenti, alla definizione dei criteri per l'esecuzione dei provvedimenti di sgombero in questione.
  Si è stabilito di dare priorità alla esecuzione dei provvedimenti di sequestro dell'autorità giudiziaria e, dopo, di tenere conto, quale ulteriore criterio, del carattere socio-politico o «abitativo» dell'occupazione.
  Riguardo a quest'ultimo aspetto, si è convenuto sull'esigenza di una procedura accelerata per gli sgomberi non incidenti su situazioni a carattere «abitativo» e connotati da un basso numero di occupanti e favorevoli condizioni di intervento sotto il profilo della logistica, dell'ubicazione e della conformazione dei locali occupati.
  Per gli sgomberi caratterizzati dalla presenza di famiglie e di minori o da un consistente numero di occupanti, è stata prevista l'adozione di particolari misure e cautele da concordare di volta con gli enti interessati, segnatamente con i servizi sanitari, i Vigili del fuoco, i servizi sociali e la procura presso il tribunale dei minorenni.
  Per quanto riguarda specificamente lo sgombero citato dagli interpellanti, si rappresenta che nella mattinata del 15 ottobre 2015 il personale della questura di Bologna, in servizio di ordine pubblico, si è recato presso via Solferino, n. 42.
  Nella fattispecie, l'intervento di sgombero ha costituito esecuzione di un provvedimento giudiziario di sequestro dell'immobile di proprietà dell'istituto dei ciechi «Gavazza», occupato illegalmente il 18 febbraio 2015 da parte di attivisti del locale centro sociale TPO/Labas.
  Le modalità operative dell'operazione erano state esaminate nel corso di una apposita riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, durante la quale era emerso, sulla base delle informazioni acquisite, che l'occupazione non aveva carattere abitativo e il numero degli occupanti era costituito da poche persone aderenti al centro sociale. Ragion per cui si era ritenuto che l'intervento non presentasse particolari difficoltà.
  Solo all'atto dello sgombero, la questura di Bologna ha potuto verificare la presenza di quattro minori, verosimilmente aggregatisi all'occupazione in una fase successiva. Della circostanza sono stati immediatamente informati i servizi sociali del comune, che sono prontamente intervenuti fornendo la necessaria assistenza.
  Questa la ricostruzione dei fatti, dalla quale emerge la sostanziale correttezza dell'operato delle pubbliche autorità e il tempestivo adeguamento della loro azione alle situazioni contingenti.
  Si assicura, infine, che le autorità provinciali di pubblica sicurezza e delle forze di polizia, a Bologna come in tutto il territorio nazionale, continueranno a prestare la massima attenzione a che gli sgomberi degli immobili occupati
sine titulo, oltreché improntati a principi di legalità ed efficacia, avvengano nel rispetto della dignità delle persone, tanto più se in condizioni di vulnerabilità.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PALMIZIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano «La Voce di Romagna», il 20 giugno 2015, le condizioni del porto di Ravenna, sia dal punto di vista della precarietà legata al sistema infrastrutturale, che del progressivo insabbiamento dell'avamporto, sono divenute insostenibili;
   i gestori dei traffici delle navi sia in entrata che in uscita all'interno dello scalo marittimo (considerato di seconda categoria e prima classe in virtù del decreto ministeriale n. 1776 del 21 agosto 1975 e della legge n° 84 del 1994 che lo indica come sede di autorità portuale), come riporta il medesimo articolo, rilevano in particolare che il dosso all'imboccatura del porto sta determinando gravi disagi, penalizzando il traffico più importante (quello dei container) e la movimentazione quantitativamente rilevante nell'ambito dello scambio delle merci legate ai cereali;
   l'associazione degli spedizionieri internazionali è intervenuta nei confronti degli enti locali, in considerazione dei livelli emergenziali in cui si trova il porto ravennate, ribadendo la richiesta all'Autorità portuale d'intervento per la manutenzione ordinaria, al fine di evitare ulteriori declassamenti (come quelli recentemente disposti dalla capitaneria di porto), che hanno avuto effetti particolarmente gravi sui traffici commerciali;
   l'importanza dei fondali, per garantire una migliore efficienza all'interno dello scalo marittimo ravennate, prosegue l'articolo della «Voce della Romagna», è stata richiamata dal presidente della suesposta associazione, il quale ha auspicato il superamento delle contrapposizioni in corso tra il settore produttivo e l'ente portuale, al fine di addivenire ad un progetto condiviso in grado di rilanciare l'attività marittima e commerciale del porto di Ravenna che rappresenta l'unico porto dell'Emilia-Romagna e che in virtù della sua strategica posizione geografica, si caratterizza come leader in Italia per gli scambi commerciali con i mercati del Mediterraneo orientale e del mar Nero e svolge una funzione importante per quelli con il Medio e l'Estremo oriente;
   l'interrogante evidenzia inoltre ulteriori profili di criticità derivanti dalla situazione conflittuale determinatasi nella gestione del porto, che si riscontrano nell'ambito della decisione relativa all'imminente realizzazione della piattaforma logistica all'interno del porto, contrastata dalla Confindustria dell'Emilia – Romagna e condivisa invece dall'autorità portuale di Ravenna che ritiene quale unica soluzione possibile per il ripristino della normalità l'esecuzione dell'opera;
   nel frattempo dallo scorso febbraio, il porto si è insabbiato con un dosso che ne ha limitato la navigabilità, e il cui sbarramento rende impraticabile la prosecuzione delle attività al suo interno, con gravi ripercussioni sul piano commerciale ed economico per l'intera città –:
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere i Ministri interrogati per risolvere nel più breve tempo possibile la situazione del porto di Ravenna al fine di ripristinarne la piena operatività;
   quali piani intendano adottare per il ripristino delle condizioni di normalità a seguito dell'insabbiamento dell'avamporto e se a tal fine i Ministri interrogati non intendano acquisire elementi in merito al rispetto delle procedure di dragaggio al fine di evitare ulteriori situazioni di disagio;
   quali orientamenti intendano esprimere sulla proposta della realizzazione della piattaforma logistica, i cui costi sono stimati in circa 220 milioni di euro che nei fatti sta riscontrando pareri discordanti all'interno della società civile ravennate. (4-09787)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il porto di Ravenna nel 2014 è stato il primo porto dell'Adriatico (al netto del petrolio) e uno dei soli 4 porti italiani che ha superato le 20 milioni di tonnellate di merci attestandosi a 24,5 milioni ed è uno dei principali porti italiani anche per la sua posizione e vicinanza con le più importanti aree ad elevata concentrazione di aziende manifatturiere.
  Analogamente ad altri porti italiani, il porto di Ravenna ha la necessità di approfondire il proprio fondale per diventare un importante
asset di livello europeo: il fenomeno del gigantismo navale e le economie di scala in atto a livello mondiale comportano dimensioni delle navi sempre maggiori che richiedono fondali sempre più profondi.
  Gli attuali pescaggi del porto di Ravenna variano da -11,50 metri a -10,50 metri mentre il Piano regolatore portuale vigente (approvato con delibera di giunta provinciale n. 20 del 3 febbraio 2010) prevede quote da -14,50 metri a -13,00 metri.
  Lo scalo ravennate è un porto-canale con fondali limosi-sabbiosi che necessita di interventi di manutenzione costanti.
  Per circa 15 anni si è fatto fronte a tale necessità mediante frequenti lavori di escavo con successiva collocazione del materiale di dragaggio (non tossico, ma le cui concentrazioni di contaminanti rientrano nella soglia della tabella B, Allegato 5, parte IV, del decreto legislativo n.152 del 2006) in apposite casse di colmata presenti in area portuale.
  Le casse di colmata utilizzate per tali operazioni sono ad oggi piene (con circa 2.700.000 m3 di materiale) e necessitano di essere svuotate di sedimenti che finora non hanno trovato collocazione per attività di recupero e/o smaltimento. Le aree su cui tali casse sono state realizzate sono tutte di proprietà della Sapir S.p.a., società mista a maggioranza pubblica (regione, provincia, comune, Cciaa di Ravenna) con alcuni privati (gruppo Ottolenghi, fondazione C.R. Ravenna e Compagnia portuale) in quota di minoranza, alla quale l'Autorità portuale di Ravenna ogni anno paga affitti a prezzo di mercato, al fine di poter dragare il porto, non disponendo l'Ente di aree di sua proprietà.
  Per questi motivi, l'Autorità portuale di Ravenna sta adoperandosi, da circa 3 anni, per dar corso il prima possibile ai lavori relativi al progetto
Hub portuale di Ravenna – approfondimento Canali Candiano e Baiona, adeguamento banchine operative esistenti, nuovo terminal in penisola Trattaroli e utilizzo del materiale estratto in attuazione al P.R.P. vigente 2007 – prima fase; progetto che a livello preliminare è stato approvato dal Cipe con delibera n. 98 del 20 ottobre 2012.
  Alla fine del 2014, l'Autorità portuale ha trasmesso il relativo progetto definitivo alle Amministrazioni statali, regionali e locali competenti ai fini del prosieguo delle procedure previste dagli articoli 166 e seguenti del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n.163 del 2006): sono stati acquisiti i pareri e le valutazioni di alcuni degli enti suddetti e si è in attesa dei restanti pareri.
  Sempre in linea tecnica e di impostazione, l'intervento approvato dal Cipe a livello di progetto preliminare con tutti gli effetti, anche di variante urbanistica e di apposizione di vincolo preordinato all'esproprio
ex articolo 165 del citato decreto legislativo n. 163 del 2006, avendo previsto la possibilità di riutilizzo del materiale di dragaggio presente nelle attuali casse di colmata mediante specifiche operazioni di recupero, consentirebbe, tra l'altro, lo svuotamento delle casse medesime e il loro reimpiego per procedere ad un primo assolutamente necessario approfondimento dei fondali con un significativo salto di competitività del porto. A tale fine, l'Autorità portuale di Ravenna ha articolato le modalità di finanziamento del progetto hub nei seguenti termini:
   60 milioni di euro di cui alla delibera Cipe sopracitata;
   120 milioni di euro da finanziamento di tipo «
corporate» con Banca europea degli investimenti, sottoscritti in data 20 dicembre 2013;
   45 milioni di euro da avanzo primario dell'ente al 31 dicembre 2014; per un totale di 225 milioni di euro già disponibili.

  Va sottolineato che il venir meno del contributo Cipe farebbe decadere anche gli altri finanziamenti.
  Peraltro, l'Agenzia esecutiva per l'innovazione e le reti della Commissione europea, nell'ambito dei bandi
connecting Europe facility sui corridoi europei, ha riconosciuto un'alta valenza strategica e un'ottima qualità progettuale dello stesso progetto hub portuale di Ravenna, disponendo un contributo del 50 per cento sul progetto definitivo (sviluppato in-house), pari a 2,2 milioni di euro, che potrà essere completato da un contributo del 20 per cento sulla quota lavori, pari a circa 30 milioni di euro, sempre che siano risolte le criticità nel frattempo emerse.
  Elemento essenziale del progetto
hub è dato dalla presenza di casse di colmata, ovvero gli appositi siti su cui collocare i fanghi di dragaggio. Al riguardo, il progetto approvato dal Cipe prevede l'utilizzo delle casse di colmata esistenti, previo svuotamento, tramite specifiche operazioni di recupero, dei materiali in esse depositati per effetto di precedenti dragaggi in ambito portuale.
  Nelle more dell'istruttoria procedimentale sul progetto definitivo sono tuttavia emerse problematiche sull'effettiva disponibilità delle stesse in ragione di indagini penali – tuttora in corso – riguardanti da un lato le modalità di gestione dei materiali in passato depositati dai soggetti titolari delle relative autorizzazioni (in particolare la tematica del mancato rinnovo alla scadenza delle stesse autorizzazioni), dall'altro le procedure seguite dalle amministrazioni locali (comune e provincia di Ravenna) relativamente alle previsioni urbanistiche di talune aree previste come siti di recupero dei materiali.
  La situazione venutasi a determinare, condizionante sia l'effettiva disponibilità ed utilizzo delle casse di colmata esistenti che la ricollocazione dei materiali scavati in precedenti dragaggi e ancora presenti in cassa, ha avuto un impatto diretto sul progetto
hub portuale Ravenna, anche per l'impossibilità di prevedere tempi ed esiti dell'inchiesta penale.
  Inoltre, il ricorso al Tar contro il progetto
hub presentato proprio da Sapir è stato, tra l'altro, considerato come indiretto disconoscimento dell'impegno assunto dalla medesima Sapir nel corso dell'istruttoria C.I.P.E. sul progetto preliminare, ad investire 100 milioni di euro insieme ad altri privati per realizzare il nuovo Terminal Container su propria area. Questo anche in relazione alla circostanza che la stessa Sapir non ha mai dato riscontro formale alle richieste dell'autorità portuale di Ravenna di presentare il relativo piano finanziario.
  In tale stato di cose, l'autorità portuale si è fatta carico di procedere ad una rimodulazione del progetto definitivo che, in una prima fase, escluda l'utilizzo delle casse di colmata esistenti, allo stato inutilizzabili, con previsione di nuove casse da realizzare in linea con quanto previsto nel piano regolatore e nella Via, approvati rispettivamente con delibera della giunta provinciale n. 20 del 3 febbraio 2010 con cui la provincia di Ravenna ha approvato il nuovo piano regolatore portuale 2007 e con decreto Via n. 6 del 20 gennaio 2012 emesso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali. Il progetto verrebbe così suddiviso in 2 fasi:
   fase 1: escavo fino a 12,50 metri di tutto il canale senza la realizzazione del nuovo
terminal container e senza l'utilizzo delle attuali casse di colmata;
   fase 2: escavo fino a 13,50 metri (con 14,00 metri fino all'area di realizzazione del nuovo
terminal container), utilizzando le attuali casse di colmata (se nuovamente disponibili) oppure trattando il materiale di dragaggio in apposito impianto di trattamento; senza il dissequestro dell'area Trattaroli, di proprietà della Sapir, tale fase 2 sarebbe realizzabile solo in parte.

  Sulla base delle attività già svolte in sede di sviluppo del progetto hub, nonché alla luce delle integrazioni effettuate e di prossima attivazione, l'autorità portuale di Ravenna intenderebbe procedere presentando alle amministrazioni competenti un progetto di livello definitivo, come espressamente previsto dall'articolo 167, comma 5 del citato decreto legislativo n. 163 del 2006.
  Per sviluppare tale progetto, l'autorità portuale dovrà ottenere l'approvazione del proprio comitato portuale, modificare il Piano operativo triennale vigente (Pot) e affidare attraverso un bando di gara l'incarico di progettazione a società di ingegneria esterna.
  Allo stato attuale, l'autorità portuale sta procedendo anche a verifiche congiunte con regione, provincia e comune ai fini della puntuale strutturazione delle suddette due fasi, oltre che con il
cluster portuale. L'autorità portuale prevede che il nuovo progetto definitivo possa essere perfezionato per la presentazione al Cipe non prima di luglio/agosto 2016.
  Per quanto riguarda l'insabbiamento dell'avamposto, si comunica che i rilievi batimetrici che l'autorità portuale effettua con regolarità hanno evidenziato una situazione di criticità, soprattutto nel tratto di canale fra il bacino Trattaroli ed il bacino San Vitale, dove sono ubicati i
terminal più strategici, relativa alla conformazione del fondale marino che si è venuta a creare e al battente d'acqua disponibile in relazione alle unità che navigano in tale ramo. La non immediata disponibilità di siti compatibili con la realizzazione di nuove casse di colmata ha di fatto reso impossibile il dragaggio del canale.
  Inoltre, a seguito di un evento meteomarino eccezionale che ha investito tutta la costa romagnola fra il 5 e il 6 febbraio 2015 e ha portato alla dichiarazione dello stato di emergenza, si è formato un dosso appena fuori le dighe foranee che crea difficoltà all'ingresso delle navi in porto. Conseguentemente, la Capitaneria di porto di Ravenna, con ordinanze n. 12 del 10 marzo 2015 e n. 18 del 10 aprile 2015, ha limitato il pescaggio massimo delle navi in entrata e uscita dal porto.
  Successivamente, l'autorità portuale, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, lettera
m), della legge n. 84 del 1994 ha immediatamente indetto apposita Conferenza di servizi, ottenendo, come già nel 2014, la possibilità di immettere in mare, nei siti autorizzati e caratterizzati, il materiale accumulatosi fuori le dighe foranee.
  Preme al riguardo far presente come l'Autorità portuale – anche grazie all'apporto responsabile e collaborativo di tutte le amministrazioni ed enti competenti – sia riuscita a fare fronte alla situazione emergenziale creatasi in tempi del tutto peculiari. Si consideri, infatti, che acquisita a maggio 2015, a seguito della conclusione dei lavori della Conferenza di servizi, l'autorizzazione al deposito a mare, a fine giugno è stato pubblicato il bando di gara per circa 2,9 milioni di euro ed entro il termine del 5 agosto scorso sono state ricevute 4 offerte da ditte specializzate, ed è stata assegnata la commessa dopo aver atteso i 35 giorni previsti dalla legge.
  Fatte le necessarie verifiche ed adempimenti di legge, l'autorità prevede che i relativi lavori (dragaggio di circa 200.000 m3) potranno essere ultimati entro il corrente anno.
  La possibilità di affidare i lavori attraverso una procedura di somma urgenza è stata esclusa dall'ufficio legale dell'autorità, sentito il Collegio dei revisori dei conti, ritenendo non sussistenti le condizioni di pregiudizio alla pubblica incolumità.
  L'autorità portuale di Ravenna ha avviato, inoltre, un piano straordinario, presentato al comitato portuale il 6 agosto 2015, da finanziare con il proprio avanzo di gestione e articolato su una serie di azioni collaterali al progetto
hub:
   realizzazione di 2 aree di deposito a mare, all'interno delle dighe foranee in area demaniale, per il conferimento di circa 2.300.000 di m3 di materiale di tabella B del decreto legislativo n. 152 del 2006, attraverso un adeguamento tecnico funzionale del Piano regolatore portuale, già discusso informalmente con il Consiglio superiore dei lavori pubblici e per il quale l'Autorità portuale di Ravenna ha chiuso la Conferenza di servizi; il 24 settembre è stato presentato l'adeguamento tecnico-funzionale al Consiglio superiore dei lavori pubblici il cui costo è stimato in euro 45.000.000 e l'avvio dei lavori è previsto per la fine del 2016;
   realizzazione di un impianto provvisorio per dragare circa 200.000 m3 presso il
terminal container, impianto da ubicarsi presso area di proprietà dell'autorità portuale di Ravenna; il costo stimato è di circa euro 7.000.000 compreso dragaggio e trasporto con recupero del materiale e l'avvio lavori entro 6 mesi circa;
   realizzazione in
project financing di un impianto di trattamento definitivo in area ex-Sarom (Eni); il costo stimato è di circa euro 20.000.000 di cui euro 5.000.000 a carico dell'Autorità portuale di Ravenna e l'avvio lavori entro 24-30 mesi dall'agosto 2015, 18 mesi per la realizzazione.

  Tali azioni consentirebbero di dragare, previo adeguamento delle banchine, circa 2,5 milioni di m3 (inclusi i 0,2 milioni di m3 in Avamporto) iniziando tra circa 6 mesi con l'escavo al terminal container.
  Inoltre, l'impianto definitivo di trattamento consentirebbe di trattare, a regime, circa 200.000 m3/anno di materiale, che corrispondono ad una quota leggermente superiore alle necessità annuali. Con tale impianto, potrebbero trovare finalmente soluzione definitiva gli annosi problemi di manutenzione ordinaria tipici di un porto canale come quello di Ravenna.
  Si segnala, altresì, che al Comitato portuale del 6 agosto 2015, sono state invitate tutte le Associazioni che rappresentano il
cluster portuale, tra le quali quella degli spedizionieri internazionali citata dall'interrogante. In quella sede, come negli incontri preparatori tenuti dal Presidente dell'autorità portuale di Ravenna, le stesse associazioni hanno manifestato profonda condivisione e assicurato massimo supporto alla linea dell'autorità portuale di Ravenna sia con riferimento al Piano straordinario che alla rimodulazione del progetto hub.
  Infine, si segnala che recentemente la 13a Commissione del Senato della Repubblica ha approvato un emendamento all'A.S. 1676 recante: «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali» che prevede una modifica legislativa all'articolo 5-bis della legge 28 gennaio 1994, n. 94 in materia di dragaggio.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta all'interrogante, la sezione di Rieti della Polizia postale è stata inserita in una bozza di provvedimento avente ad oggetto la revisione e riduzione dei presidi di polizia in tutta Italia;
   la sezione in questione, composta di sole 7 (sette) unità, svolge una preziosa e complessa attività di contratto al crimine telematico, il quale è in costante espansione nel Paese;
   al riguardo, un Paese che ambisca ad essere competitivo sul piano internazionale dovrebbe essere in grado di garantire — specie agli occhi delle realtà imprenditoriali che vi vorrebbero investire — un'adeguata tutela della privacy e un utilizzo sicuro della rete;
   il lavoro della sezione reatina della polizia postale ha sempre mirato a questi ultimi due obbiettivi, occupandosi in maniera esclusiva della repressione di reati commessi on-line, quali lo stalking, il phishing, furti d'identità digitale, truffe su acquisti on-line, attacchi informatici ad enti pubblici e privati, pedopornografia, e altro;
   i costi di tale sezione non sono tali da giustificare ulteriori tagli di spesa, posto che le risorse per i mezzi telematici, per la sede e per i veicoli di servizio sono completamente a carico della società poste italiane spa;
   la soppressione di tale sezione andrebbe, quindi, ad esclusivo danno della cittadinanza, essendo palesemente illogica e irragionevole –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se il Ministro, di concerto con le conferenti sigle sindacali, non ritenga opportuno adottare le opportune misure affinché da un lato la sezione di Rieti della polizia postale non venga chiusa, e dall'altro siano rimodulati i criteri che governano la revisione dei presidi di polizia. (4-04037)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa alla chiusura della sezione della polizia postale di Rieti, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dell'anno 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenute di recente delle novità normative non ancora delineate nei contenuti di dettaglio, dalle quali occorrerà tenere conto in sede di elaborazione del documento.
  Mi riferisco alla legge n. 124 del 2015, che, nel delegare al Governo l'emanazione di una serie di decreti legislativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, individua alcuni importanti criteri direttivi proprio in tema di riordino del sistema della sicurezza.
  La legge tratteggia un primo indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive nell'esercizio delle funzioni di polizia, nonché di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal provvedimento, più settoriale, è legato, invece, al riordino delle funzioni di polizia nei campi della sicurezza agroalimentare e della tutela dell'ambiente e del territorio, riordino per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Alla luce del nuovo quadro normativo, solo quando verranno emanati i decreti legislativi attuativi che puntualizzeranno i contenuti della riorganizzazione del sistema della sicurezza, si potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione dei presidi di polizia su tutto il territorio nazionale.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa ha presentato un piano di riorganizzazione in cui viene prevista la chiusura di molti uffici e il ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando quindi notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela;
   a partire dal 13 aprile 2015 verrà chiuso anche l'ufficio postale attualmente aperto due giorni a settimana nella località di Tontola, frazione di Predappio che, contando al momento 38 conti correnti postali, è stato giudicato improduttivo e diseconomico dalla società che dovrebbe garantire il servizio pubblico postale;
   Poste Italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che deve garantire l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   il servizio pubblico postale deve essere garantito a tutti i cittadini come diritto e non come opportunità di guadagno, ma il piano di razionalizzazione presentato da Poste Italiane non sembra tenere conto dell'importanza che questi uffici rivestono, soprattutto nei piccoli centri già di per sé disagiati che lottano per contrastare lo spopolamento, dove la posta rappresenta un vero e proprio presidio, né della particolare morfologia del territorio;
   pochi giorni fa Poste Italiane, nella persona dell'amministratore delegato Francesco Caio, si è ufficialmente impegnata con il Sottosegretario allo sviluppo economico Antonello Giacomelli e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani a coinvolgere regioni ed enti locali nella fase precedente a quella di razionalizzazione per spiegare come verrà assicurata la tutela del servizio universale per i cittadini, eppure sembra che le amministrazioni locali dei comuni interessati siano state debitamente coinvolte ed informate;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa operazione di razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti;
   il criterio guida per la distribuzione degli uffici postali stabilito dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 è costituito, in base alla normativa vigente, dalla distanza massima di accessibilità al servizio, espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al presidio più vicino. In particolare, «il fornitore del servizio universale assicura un punto di accesso entro la distanza massima di 3 chilometri dal luogo di residenza per il 75 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di 5 chilometri dal luogo di residenza per il 92,5 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di 6 chilometri dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione». Nel caso specifico, l'ufficio postale alternativo a quello della frazione di Tontola, è quello del comune di Predappio che dista 7 chilometri»;
   la delibera n. 342/14/Cons dell'AgCom, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese –:
   se non ritenga urgente intervenire con tutte le iniziative necessarie, anche promuovendo una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa e le amministrazioni locali, per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste Italiane spa arrechino disagi agli abitanti della frazione di Tontola, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato fra le Poste Italiane spa e lo Stato;
   se non ritenga doveroso promuovere, per quanto di competenza, un tavolo di confronto fra le parti coinvolte finalizzato a valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e ad individuare possibili soluzioni alternative, più rispondenti allo specifico contesto territoriale, così come previsto dalla delibera dell'Agcom, che siano in grado di coniugare le esigenze di equilibrio economico con quelle di tutela dell'utenza;
   se siano stati svolti, per quanto di competenza, i dovuti controlli sul rispetto delle disposizioni stabilite dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 e dalla delibera n. 342/14/Cons dell'Agcom. (4-08564)

  Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per garanzie nelle comunicazioni per effetto del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge del 22 dicembre 2011. n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
  Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste Italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera c propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del Contratto di Programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, «iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'autorità entro il 1o luglio 2016.
  Per completezza di informazione si rappresenta che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha, altresì, assicurato che proseguirà nell'attività di vigilanza provvedendo a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane S.p.A.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   PISICCHIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, all'articolo 1, comma 364, prevede che: «Ai fini del contenimento delle spese relative al personale militare destinato a ricoprire incarichi all'estero, ove ciò risulti possibile per lo specifico incarico in relazione alle modalità di impiego definite per l'organismo o ente internazionale di destinazione, l'impiego del personale interessato è disposto per un periodo di quattro anni»;
   una eventuale mancata applicazione dell'articolo 1, comma 364, della succitata legge 23 dicembre 2014, n. 190 comporterebbe per il Ministero della difesa un duplice mancato risparmio delle spese di trasporto mobili e masserizie, spese vive di trasferimento e spese di prima sistemazione spettanti al personale militare che viene fatto rientrare dall'estero e al personale che viene inviato all'estero per l'avvicendamento;
   la relazione tecnica di accompagnamento alla legge prevede che l'applicazione del comma 364 porti ad un risparmio per l'erario di 1.6 milioni di euro annui;
   la legge di stabilità prevede come unica clausola esclusiva l'impossibilità da parte dell'organismo internazionale, per proprie normative interne, di impiegare il personale per una durata di 4 anni e non considera le esigenze nazionali di movimentazione del personale della difesa –:
   quali urgenti provvedimenti il Ministro interrogato intenda assumere per, far sì che il personale meritevole possa restare in servizio presso gli organismi internazionali che ne hanno fatto specifica richiesta e come intenda recuperare i mancati risparmi conseguenti ad un'applicazione restrittiva della normativa. (4-08872)

  Risposta. — Allo scopo di disciplinare l'applicazione dell'articolo 1, comma 364 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015), lo Stato Maggiore della Difesa ha emanato la direttiva sulla «Durata del mandato del personale militare destinato a ricoprire incarichi all'estero».
  L'applicazione della legge e della discendente direttiva si è tradotta nella riformulazione della pianificazione triennale degli avvicendamenti all'estero, con i seguenti risultati: per l'anno 2015, il numero dei trasferimenti è stato ridotto di 176 unità rispetto alle 450 unità complessive (-39 per cento), superando il numero previsto dalla relazione tecnica alla legge di stabilità 2015 indicata a riferimento (circa 120/130 unità annue), comportando di conseguenza una previsione di risparmio per la Difesa superiore rispetto a quanto inizialmente previsto dalla stessa relazione.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 7 agosto 2015, n. 124, a completamento di una profonda modifica della rete organizzativa dello Stato, è stata stabilita una revisione delle competenze e una riduzione delle funzioni degli enti periferici «in base a criteri inerenti all'estensione territoriale, alla popolazione residente, all'eventuale presenza della città metropolitana, alle caratteristiche del territorio, alla criminalità, agli insediamenti produttivi, alle dinamiche socio-economiche, al fenomeno delle immigrazioni sui territori fronte rivieraschi e alle aree confinarie con flussi migratori», e la trasformazione delle prefetture-uffici territoriali del Governo in uffici territoriali dello Stato, con la confluenza nell'ufficio territoriale dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato;
   a seguito delle leggi approvate il Ministero dell'interno ha proposto, con una bozza di decreto del Presidente della Repubblica, l'immediato avvio della chiusura di 23 prefetture in tutta Italia, compresa quella di Oristano, con relativo accorpamento alla prefettura di Nuoro;
   questa decisione rischia di portare alla declassificazione anche della questura di Oristano e con essa al ridimensionamento della presenza dello Stato in tutto il territorio della sua provincia, che in questo momento vista anche l'emergenza dei flussi migratori provenienti dall'Africa e dal Medio oriente, che stanno interessando la Sardegna e la provincia di Oristano, necessita invece di un potenziamento, garantendo ai cittadini i necessari servizi e livelli di sicurezza garantiti attualmente dai presidi di polizia che invece verrebbero meno;
   l'accorpamento a Nuoro della prefettura significherebbe mettere i cittadini in condizioni di non poter accedere a quei livelli minimi di garanzia dei servizi a causa del lungo tragitto di circa cento chilometri dal capoluogo oristanese, privo di qualsiasi collegamento pubblico, aggravando i costi per i cittadini costretti a spostarsi nel capoluogo nuorese e, in alcuni casi, comportando l'impossibilità di arrivare nei tempi dovuti negli uffici della stessa prefettura;
   oltre alla mancanza di sistema pubblico di trasporto, la Sardegna e i suoi cittadini vivono un atavico problema con la condizione delle strade, in alcuni casi al limite della praticabilità, e che richiedono tempi di percorrenza ben più lunghi rispetto alla durata che normalmente una distanza analoga richiederebbe;
   le dinamiche di impoverimento del tessuto economico e sociale, con la chiusura di scuole, caserme dei carabinieri, uffici postali, banche e uffici dello Stato aggraverebbero enormemente le difficoltà di questa parte della Sardegna che, invece, necessita di una attenzione straordinaria del Governo nazionale con interventi urgenti di sostegno all'economia e all'occupazione, in Sardegna, a causa del disimpegno da parte dello Stato in tanti servizi e uffici, si è ridato fiato a movimenti contro l'unità della Patria che facendosi forti dei tagli orizzontali e indiscriminati, trovano terreno fertile per radicarsi tra la popolazione;
   il Consiglio regionale della Sardegna, il 6 ottobre 2015, ha votato all'unanimità un ordine del giorno in cui è ribadita la contrarietà alla chiusura della prefettura di Oristano, e viene dato mandato al Presidente della giunta regionale della Sardegna di attivare immediatamente un tavolo di confronto con il Governo al fine di ridiscutere l'assetto organizzativo dell'amministrazione periferica pubblica, mantenendo e potenziando il miglioramento dei servizi ai cittadini, tenuto conto delle condizioni d'insularità di questa regione e affermando i principi costituzionali dell'autonomia della Sardegna sanciti dallo statuto –:
   se e quando intenda attivare un tavolo di confronto con la regione Sardegna per ridiscutere l'assetto organizzativo dell'amministrazione periferica pubblica sarda;
   quali siano le motivazioni che hanno portato alla decisione di chiudere la prefettura di Oristano e se si sia tenuto conto delle condizioni d'insularità della Sardegna, dei succitati problemi legati alla mancanza di servizio di trasporto pubblico e della precaria condizione stradale.
(4-10870)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame l'interrogante richiama l'attenzione sull'annunciato schema di decreto del Presidente della Repubblica che, nel disporre la riorganizzazione degli uffici centrali e periferici del Ministero dell'interno, prevede la chiusura di 23 prefetture e delle corrispondenti questure. In proposito chiede, in particolare, quali siano le motivazioni che hanno condotto alla decisione di chiudere, tra le altre, la prefettura di Oristano.
  Il tema evidenziato è particolarmente sentito nella società civile e anche in Parlamento, tant’è che nelle scorse settimane il Governo è stato chiamato a più riprese a discuterne in Assemblea e commissione Affari costituzionali della Camera, in sede di question time, di interpellanze urgenti e di interrogazioni a risposta orale.
  Preliminarmente, si ribadisce quanto lo stesso Ministro dell'interno ha avuto modo di sottolineare nell'Aula della Camera e cioè che l'iter di approvazione del regolamento è solo agli inizi. Quindi nessuna decisione definitiva è stata assunta sugli accorpamenti da effettuare.
  Vi sarà, quindi, anche lo spazio per un confronto serio con le istituzioni locali, che tenga conto delle istanze provenienti dal territorio.
  Nel merito si osserva che il regolamento in questione, avente ancora la forma di schema, costituisce attuazione della più ampia manovra di ridefinizione degli assetti organizzativi, a livello centrale e periferico, di tutte le amministrazioni dello Stato, voluta dal Governo Monti e suggellata nel decreto legge n. 95 del 2012.
  E fa seguito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 maggio scorso 2015, con cui sono state rideterminate le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale dell'Amministrazione civile dell'interno.
  Quanto alle ricadute negative paventate dall'interrogante sulla risposta dello Stato nell'area oggetto di accorpamento, si rappresenta che, nella visione dell'Amministrazione dell'interno, ogni possibile opzione sarà oggetto di attenta valutazione, e comunque non potrà mai andare a scapito della sicurezza reale dei territori.
  Non un'unità di personale sarà sottratta ai compiti di istituto e a quelli operativi, con la conseguenza che le comunità manterranno intatti gli attuali standard dei servizi.
  In sostanza, il regolamento non prefigura alcun arretramento dello Stato sui temi della sicurezza. E non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una mission fondante del Ministero dell'interno.
  Si ricorda, poi, che la procedura di approvazione del regolamento prevede l'acquisizione del parere delle commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
  Occorre, infine, tener presente che su questo disegno di riforma si è venuta ora a innestare la cosiddetta «legge Madia» che contiene, come e ben noto, disposizioni volte a riorganizzare l'intera presenza dello Stato sul territorio.
  Questo articolato, pur annoverando tra i criteri di delega la riduzione del numero delle prefetture, ne rafforza la funzione strategica, come è attestato dal fatto che esse andranno ad assorbire tutti gli uffici periferici dello Stato e si configureranno, quindi, quali «punti di contatto unico» tra lo Stato e i cittadini. Le prefetture, inoltre, continueranno ad essere il cardine del sistema territoriale della sicurezza.
  Alla luce di quanto detto, si ritiene che le perplessità manifestate nell'interrogazione possano considerarsi fugate.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   REALACCI, COVELLO e OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da recenti agenzie di stampa, da numerosi comunicati di alcuni blog internet, dal sito del gruppo cooperativo «GOEL» e dalla ferma condanna del movimento per la legalità «Ammazzateci Tutti», i gestori de «A lanterna» di Monasterace (RC) sono stati vittime di un ennesimo atto criminale ed intimidatorio con il tentativo di incendio perpetrato ai loro danni, la notte del 3 settembre scorso;
   il sopraddetto tentativo incendio risulta di chiara matrice natura dolosa e intende evidentemente minare e fiaccare con i danni e la paura l'impegno e i sacrifici di coloro i quali hanno costruito, in un territorio con grandi potenzialità naturali, economiche e turistiche, ma ad altissima infiltrazione mafiosa della ’ndrangheta, come l'area Jonica nella provincia di Reggio Calabria, una struttura agroturistica biologica di altissima qualità;
   la missione del consorzio GOEL, di cui fa parte «A Lanterna», come si legge dal sito di tutti gli appartenenti al gruppo cooperativo, si prefigge peraltro il «cambiamento della Locride e della Calabria nell'affermazione piena della libertà, della democrazia, della sussidiarietà, della giustizia sociale ed economica, del rispetto dei diritti delle persone e fasce sociali più deboli e marginali, del bene comune delle comunità locali e dei territori»;
   tutte le realtà caratterizzate afferenti al gruppo cooperativo GOEL BIO, oltre ad essere state colpite da altri atti intimidatori, sono caratterizzate dalla scelta di un modello di sviluppo sostenibile, legato alla Locride e rispettoso del lavoro e della legalità, con tutti i lavoratori regolarmente assunti –:
   quali iniziative urgentissime intenda mettere in campo il Ministro dell'interno per rafforzare il controllo del territorio della Locride affinché dette intimidazioni non abbiano più a verificarsi e affinché il rilancio legale e sostenibile di quel territorio non venga minacciato dalla criminalità mafiosa. (4-05928)

  Risposta. — In relazione ai fatti riferiti dall'interrogante, si rappresenta che la società «A lanterna di Annalisa Fiorenza Sas», è un'azienda agricola con annessa una struttura di ristorazione, la locanda «Cocintum», esercente attività di agriturismo, silvicoltura e allevamento. La sua sede legale si trova a Guardiavalle, in provincia di Catanzaro, mentre la sede operativa è a Monasterace.
  L'azienda è socia della «Goel Bio», una cooperativa sociale agricola che raccoglie molti produttori della Locride e della Piana di Gioia Tauro. Il raggruppamento, promosso dal Vescovo pro-tempore di Locri-Gerace, è stato costituito nel 2003 con l'obiettivo di contribuire allo sviluppo del territorio della Locride attraverso lo strumento dell'impresa sociale.
  Nel corso degli ultimi anni, la società «A lanterna» è stata oggetto di una serie di intimidazioni: il 9 agosto 2009 due sue distinte aree adibite a terreno agricolo sono state date alle fiamme; il 3 giugno 2010 sono stati rinvenuti davanti al portone della locanda un accendino e una bottiglia contenente benzina; nel settembre del 2011 è stata incendiata una vasca di irrigazione in contrada San Bernardo. E, ancora, il 23 gennaio 2012 e il 23 maggio 2013 sono stati incendiati, rispettivamente, il tetto di due miniappartamenti dell'agriturismo in località Cuturi e due botti ornamentali. Infine, il 3 settembre 2014 è stato dato fuoco ad alcune cassette di plastica poste all'esterno della locanda.
  Tali episodi sono stati più volte oggetto di esame nel corso delle riunioni del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, a conclusione delle quali – sulla base delle valutazioni formulate – sono state adottate adeguate misure di sicurezza.
  Attualmente, i crimini riferiti sono ancora oggetto di approfondite indagini, coordinate dalla competente autorità giudiziaria, e di attività informativa anche a carattere fiduciario, in modo tale da poter approfondire eventuali interessamenti della criminalità organizzata.
  Si assicura in ogni caso che le Forze dell'ordine continueranno, con la professionalità che le contraddistingue, la loro attività investigativa per contrastare tali fenomeni e adeguare tempestivamente i meccanismi di prevenzione in atto.
  Più in generale, per quanto riguarda il territorio della Locride, si comunica che lo stesso continua ad essere al centro di attente pianificazioni operative, regolarmente vagliate in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, allargato anche alla partecipazione del procuratore della Repubblica del locale tribunale titolare della direzione distrettuale antimafia e del procuratore della Repubblica di Locri.
  Nel corso degli incontri di tale organismo, sulla base delle linee guida impartite dalla direttiva del Ministero dell'interno del 23 aprile 2014 denominata «Focus ’ndrangheta-Piano d'azione nazionale e transnazionale», sono stati rafforzati e rimodulati i servizi di prevenzione e controllo del territorio, improntandoli alla massima visibilità e prevedendo il potenziamento delle attività infoinvestigative sull'intera area.
  Nel corso della Conferenza regionale delle autorità di pubblica sicurezza tenutasi il 24 giugno 2015 è stato, inoltre, perfezionato il sistema di governance della sicurezza, grazie a un'azione di maggior condivisione dei criteri metodologici d'intervento e all'individuazione di nuovi e più stringenti obiettivi strategici delle attività di prevenzione e contrasto.
  Il tutto, ovviamente, tenendo conto delle peculiarità del fenomeno ’ndranghetistico, della pervasività sul territorio delle «cosche» criminali e, soprattutto, del capillare rapporto che le lega al tessuto sociale, economico e produttivo della realtà locale, con ramificazioni anche regionali, nazionali e internazionali.
  Per quanto concerne i dispositivi di polizia che operano nella Locride, si menzionano i commissariati di pubblica sicurezza di Siderno e Bovalino, i quali si avvalgono anche del sistematico impiego di equipaggi in forza al Reparto prevenzione crimine di Siderno che implementano quotidianamente i servizi posti in essere con circa sei autopattuglie.
  Sempre nell'ambito del citato piano «Focus ’Ndrangheta», è anche previsto che le attività della polizia di Stato vadano ad integrarsi con quelle della capitaneria di porto, della polizia provinciale e delle polizie locali. In tal modo, attraverso una condivisa e rinnovata presenza dello Stato sul territorio, le indagini possono contemplare un raggio d'azione capace di includere non solo in Calabria, ma anche il resto del territorio nazionale e quello internazionale.
  Per il profilo specificamente investigativo e di lotta al crimine organizzato infine – a ulteriore riprova dell'attenzione riservata anche a livello centrale nei confronti della provincia reggina – si informa che, in attuazione del decreto del Capo della polizia del 10 luglio 2014, sono state istituite presso i commissariati di Siderno e Gioia Tauro due unità distaccate della sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Reggio Calabria, composte ciascuna da 20 unità.
  I risultati ottenuti grazie a tale impegno testimoniano in modo significativo l'efficacia dell'azione svolta dalle forze di polizia su tutto il territorio provinciale. A un anno dall'avvio delle pianificazioni operative derivanti dalla citata direttiva del Ministero dell'interno, nel periodo cioè compreso tra maggio 2014 e giugno 2015, sono state infatti controllate 338.217 persone e, tra queste, 2.969 sono state deferite all'autorità giudiziaria in stato di libertà. Sono stati inoltre arrestati in flagranza di reato 461 individui ed effettuati 87.074 controlli domiciliari e 10.112 perquisizioni sul posto. A ciò si aggiungono infine 675 sequestri penali, 1.992 sequestri amministrativi, 2.608 sanzioni amministrative elevate, 211.498 veicoli controllati e 49.171 violazioni accertate al codice della strada.
  Si assicura che le autorità provinciali di pubblica sicurezza continueranno a seguire con la massima attenzione la situazione della sicurezza pubblica nella Locride e più in generale nella provincia di Reggio Calabria, attraverso una costante azione di monitoraggio e la predisposizione di adeguate misure di vigilanza e di controllo del territorio.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – analogamente a quanto disposto dall'articolo 1, comma 641 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e dall'articolo 33, comma 2 della legge della provincia di Trento e Bolzano 26 maggio 2006, n. 4 – individua il presupposto per l'applicazione della tariffa nella suscettibilità di un immobile a produrre rifiuti urbani;
   le disposizioni citate, escludendo espressamente dall'applicazione della tariffa le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, precisano che la tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
   alla luce della normativa vigente, le attività svolte dalle imprese agricole ed i terreni agricoli non sono suscettibili di produrre rifiuti urbani, in quanto per lo più, dallo svolgimento delle attività agricole derivano residui esclusi dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti ai sensi dell'articolo 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che include in tale esclusione, espressamente, le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Per il resto, la maggior parte degli altri residui agricoli sono normalmente avviati al reimpiego come sottoprodotti ai sensi dell'articolo 184-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. In ogni caso, i rifiuti derivanti da attività agricole ed agroindustriali sono testualmente qualificati come rifiuti speciali ai sensi dell'articolo 184, comma 3, lettera a) del citato decreto legislativo;
   gli imprenditori agricoli provvedono autonomamente alla raccolta e gestione di tali rifiuti attraverso il conferimento a soggetti privati autorizzati;
   come si evince anche dalle norme in materia di esclusione dall'adesione al SISTRI (cfr. articolo 1 del decreto ministeriale 24 aprile 2014), le imprese agricole aderiscono a circuiti organizzati di raccolta, aventi le caratteristiche indicate dall'articolo 183, comma 1, lettera pp) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152;
   la categoria di rifiuti agricoli ed agroindustriali, che sono rifiuti speciali, è radicalmente diversa da quella indicata nell'articolo 184, comma 2, lettera e) che include tra i rifiuti urbani i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali. Infatti, l'articolo 184, comma 3, lettera a), nel definire i rifiuti derivanti da attività agricola ed agroindustriale, fa espressamente riferimento all'articolo 2135 del codice civile;
   ai fini dell'applicazione della tariffa rifiuti, residuerebbe la possibilità per i comuni ma con limiti ben definiti dal legislatore, di assimilare alcune tipologie di rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani;
   l'articolo 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) – come modificato dal decreto-legge n. 16 del 2014 – dispone che: «Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione.»;
   l'articolo 1, comma 657 della legge n. 147 del 2013 cit. dispone, tra l'altro, che «nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, la TARI è dovuto in misura non superiore al 40 per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita»;
   il comune di Laives non ha adempiuto a quanto disposto alla norma nazionale e, diversamente, ha commisurato l'applicazione della tariffa alla integrale estensione dei terreni agricoli;
   infatti con la delibera n. 91 del 18 dicembre 2013 il comune ha assoggettato le imprese agricole alla tariffa rifiuti sulla base del «presupposto dell'occupazione detenzione di aree esistenti sul territorio comunale, che producono rifiuti urbani e, assimilati e, quindi nel senso specifico, limitatamente alle superfici effettivamente coltivate»;
   il caso del comune di Laives che appare in contrasto con i principi sopra ricordati, risulta preoccupante anche considerato il possibile diffondersi di questa prassi errata sul resto del territorio nazionale;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda valutare l'opportunità di assumere urgenti determinazioni, per quanto di sua competenza, al fine di prevenire il diffondersi di interpretazioni della normativa errate anche con un'apposita circolare interpretativa, o con un parere per chiarire la non applicabilità della tariffa rifiuti urbani ai terreni agricoli non produttivi di rifiuti o che producano rifiuti speciali.
(4-06322)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 1, ai commi 641 e 642 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, prevede quanto segue: «// presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all'articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva. La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. In caso di pluralità di possessori o di detentori, essi sono tenuti in solido all'adempimento dell'unica obbligazione tributaria».
  Le disposizioni generali, pertanto, limitano chiaramente l'applicazione della tariffa alle ipotesi in cui l'immobile sia suscettibile di produrre rifiuti urbani, precisando altresì, all'articolo 1, comma 649, della richiamata legge n. 147 del 2013 che «nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente».
  Con specifico riferimento alle attività svolte delle imprese agricole, si rileva come l'articolo 184, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 elenchi espressamente tra i rifiuti speciali «i rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2135 del codice civile».
  I rifiuti eventualmente derivanti dalle attività svolte su terreni agricoli, pertanto, sono classificati, per legge, come rifiuti speciali.
  D'altra parte, si ricorda come, ai sensi dell'articolo 198, comma 2, lettera g) del predetto decreto legislativo n. 152 del 2006, i Comuni potrebbero procedere «all'assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all'articolo 195, comma 2, lettera e), ferme restando le definizioni di cui all'articolo 184, comma 2, lettere c) e d)».
  In tale ipotesi, stabilita la necessità che l'assimilazione sia limitata a rifiuti speciali non pericolosi ed avvenga a determinate qualità e quantità, è comunque necessario tenere conto di quanto disposto dall'articolo 1, comma 649, sopra indicato: «Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionale alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo direttamente o tramite soggetti autorizzati, con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materia prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione».
  Pertanto, tenuto conto di quanto evidenziato, si ritiene che l'applicazione della Tari ai produttori di rifiuti speciali relativamente all'attività svolta su terreni agricoli è possibile a condizione che vi sia stata l'assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani e che sia stato previsto il meccanismo di riduzione della quota variabile del tributo secondo le modalità e nel rispetto di quanto disposto dalle norme citate.
  La normativa di riferimento appare, dunque, sufficientemente chiara ed esaustiva.
  Ciò premesso, ferma restando la facoltà generale che l'ordinamento riconosce alla pubblica amministrazione in materia di autotutela amministrativa, dinanzi ad eventuali provvedimenti adottati dalle amministrazioni locali in difformità alle disposizioni di legge potrà essere adita la competente autorità giudiziaria.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI e BRAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo italo-svizzero, firmato a marzo 2015 e ratificato dal consiglio regionale della Lombardia con la legge regionale n. 29 del 2015, prevede l'impegno «ad instaurare e a sviluppare la collaborazione transfrontaliera nell'ambito della gestione e destino dei materiali inerti per l'edilizia dalla Lombardia verso il Ticino e del materiale di scavo non inquinato e dei rifiuti edili di origine minerale dal Ticino verso la Lombardia»;
   il suddetto accordo presenta alcune questioni di conformità con la legge nazionale;
   appare necessario valutare se:
    a) si rispetti il principio di reciproca utilità, oppure se l'accordo costituisca un danno univoco per la regione Lombardia e le province di Varese e Como, laddove all'esportazione di materiale vergine corrisponde l'importazione di quelli che già nell'accordo vengono definiti «rifiuti edili»;
    b) non sia ravvisabile nelle modalità dell'accordo una possibile contraddizione con il decreto ministeriale n. 161 del 2012, che ha sostituito l'articolo 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni che concerne l'importazione di materiali; secondo gli interroganti non si trova il corrispettivo principio di precauzione nel corpus normativo elvetico, in particolare nella definizione della tipologia di rifiuti secondo la direttiva UFAM 31-06;
    c) se il materiale proveniente da demolizioni che entra nel territorio italiano da un Paese extra Unione europea sia destinato ad avere un'etichetta di rifiuto ed un codice CER e possa pertanto essere conferito unicamente ad un recuperatore o ad un impianto di smaltimento, ovvero essere utilizzato per «ri-ambientalizzare» dei siti di cava, come invece previsto dall'accordo ratificato dalla legge regionale in questione;
    d) se non sussistano elementi di conflitto della legge regionale con principi e norme di rango costituzionale, legislativo nazionale o norme di diritto internazionale ed europeo, passibili anche di costituire un pericoloso precedente –:
   quali siano, per quanto di competenza, gli orientamenti del Governo in relazione alla criticità sovraesposte e se il Governo, alla luce di tali profili che appaiono sicuramente problematici dal punto di vista costituzionale, non intenda assumere iniziative per impugnare la norma regionale lombarda ex articolo 127 della Costituzione, anche a tutela dei territori, delle risorse naturali, e della salute dei cittadini del territorio lombardo.
(4-10955)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazioni in esame, relative alla legittimità dell'intesa di coordinamento transfrontaliero per la gestione dei materiali inerti fra la regione Lombardia e il Canton Ticino, ratificata con legge regionale n. 29 del 2015, si rappresenta segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che con nota protocollo n. 28315 del 29 ottobre 2014, la direzione generale competente di questo Ministero aveva espresso un primo parere sul testo della suddetta intesa, rilevando come potenziale criticità il mancato richiamo nella stessa della normativa vigente in materia di utilizzo delle terre e rocce da scavo di cui al decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161.
  Successivamente, la citata legge regionale di ratifica dell'intesa veniva posta all'attenzione della medesima direzione generale la quale, avendo verificato l'inserimento nella stessa dei riferimenti che fanno salva la vigente normativa di settore (Regolamento CE 1013/2006, articoli 194 e 196 del decreto legislativo n. 152 del 2006, decreto ministeriale n. 161 del 2012), faceva presente, con nota 14101 del 5 novembre 2015, che non vi erano osservazioni da comunicare.
  Ciò posto, si ritiene tuttora che non sussistano elementi di illegittimità costituzionale rilevabili nel testo della suddetta Intesa.
  In particolare, proprio perché l'intesa fa salvo il decreto ministeriale n. 161 del 2012, non si ravvisa alcuna contraddizione tra l'attività di importazione dal Canton Ticino dei materiali di scavo (terre e rocce) e il decreto stesso. Infatti, rimane in capo comunque all'autorità che autorizza le operazioni di riutilizzo del materiale di scavo importato verificare che lo stesso soddisfi i criteri in base ai quali le terre e rocce da scavo possono essere considerate sottoprodotti e non rifiuti ai sensi del suddetto decreto.
  Per quanto riguarda, invece, alle attività di recupero dei rifiuti edili, le stesse restano in ogni caso soggette alle procedure autorizzatorie in forma ordinaria (articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006) o in forma semplificata (articolo 214 e successive modificazioni e integrazioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e decreto ministeriale 5 febbraio 1998) alle quali l'intesa in questione non può certo derogare.
  In particolare, il recupero di rifiuti edili finalizzato al ripristino delle cave dismesse è soggetto, oltre che alle summenzionata normativa, anche alla disciplina dettata dal decreto legislativo n. 117 del 2008 recante attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE.
  Relativamente a tale ultimo decreto, si segnala l'articolo 10, comma 3, secondo cui «il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotti dall‘attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione di cui al presente decreto è sottoposto alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, relativo alle discariche di rifiuti», che in passato ha comportato difficoltà interpretative. In particolare, sembrava che le attività di riempimento dei vuoti di estrazione mediante rifiuti diversi da quelli estrattivi, rientrando nell'ambito di applicazione della disciplina sulle discariche, potesse essere considerata come mera attività di smaltimento. Tali difficoltà erano sorte nonostante la direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti, nel quindicesimo considerando, chiarisse che, ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti, il recupero dei rifiuti inerti o non pericolosi idonei ad essere utilizzati in lavori di accrescimento/ricostruzione e riempimento o a fini di costruzione non può costituire un'attività riguardante le discariche.
  Al riguardo si precisa che, la stessa direttiva, inoltre, all'articolo 3, paragrafo 2, esclude dal proprio ambito di applicazione «l'uso di rifiuti inerti idonei in lavori di accrescimento/ricostruzione e riempimento o a fini di costruzione nelle discariche». Sull'argomento la predetta direzione generale competente del Ministero aveva sottoposto un quesito alla commissione europea la quale ha fornito la propria interpretazione in merito, chiarendo che è possibile considerare come operazione di recupero l'operazione di riempimento di vuoti dell'attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione. Tale interpretazione risulta, inoltre, confermata dalla diffusione da parte della Commissione europea della proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti che contiene l'introduzione della definizione di «backfilling» (riempimento) descrivendola come un'operazione di recupero nella quale i rifiuti sono utilizzati in aree escavate quali miniere in sotterranea o cave di ghiaia per il ripristino morfologico dei luoghi.
  Pertanto, alla luce di quanto sopra detto, i riempimenti dei vuoti di estrazione ai fini del ripristino ambientale effettuati utilizzando dei rifiuti in sostituzione di materie prime, laddove i primi abbiano le caratteristiche idonee a sostituire queste ultime senza che ciò sia causa di aumento degli impatti sulla salute e sull'ambiente, non costituiscono attività di smaltimento di rifiuti ma operazioni di recupero.
  Tali caratteristiche si ritiene debbano essere le smesse previste, a garanzia della tutela della salute e dell'ambiente, dai commi 1 e 2 del citato articolo 10 del decreto legislativo n. 117 del 2008 per le operazioni di ripiena dei vuoti e volumetrie effettuate con rifiuti estrattivi. La verifica dell'esistenza di tali condizioni spetta all'autorità competente nell'ambito del rilascio delle autorizzazioni del caso.
  Si fa presente, infine, che il richiamo nel testo dell'intesa al regolamento CE1013/2006 sulle spedizioni di rifiuti garantisce che l'importazione di rifiuti edili all'interno del territorio della regione Lombardia avvenga nel rispetto delle procedure previste dal Regolamento stesso.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RIZZETTO e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per quanto è dato sapere, un affitto su due, in Italia, non è pagato regolarmente. In media, oltre il 50 per cento dei proprietari denuncia mensilità non pagate, con punte vicine al 60 per cento a Napoli e al 45 per cento a Roma, quota che scende al 35 per cento a Milano. In media, circa il 25 per cento del totale degli affitti registrati arriva a una situazione di insolvenza che giustificherebbe la richiesta di sfratto. Una soluzione che viene però rimandata il più possibile, per i tempi della giustizia e con la prospettiva di ottenere una transazione che salvi almeno parte dell'affitto pattuito, con una rinegoziazione. Si arriva alla richiesta di sfratto nel 10 per cento dei casi:
   a certificare un trend che viene segnalato in continua crescita sono i dati sugli sfratti esecutivi nel 2013 pubblicati dal Ministero dell'interno, che confermano le indicazioni raccolte: i provvedimenti di sfratto emessi sono stati 73.385, in crescita su base annua del 4,4 per cento. Tra i motivi, la morosità per l'89 per cento dei casi;
   di fronte a questo scenario, per fare fronte all'emergenza abitativa, il Governo ha istituito a luglio 2014, il fondo per la morosità incolpevole. Il Fondo di garanzia a copertura del rischio di morosità involontaria è stato dotato di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. L'obiettivo è quello di «garantire il rischio di morosità da parte di quei locatari, generalmente affidabili, che a causa della sfavorevole situazione economica che attraversa il Paese, si trovano momentaneamente in difficoltà». È rivolto agli inquilini residenti in comuni ad alta tensione abitativa dove siano già stati attivati bandi per l'erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli». L'accesso al Fondo consente la sospensione temporanea del pagamento dei canoni di affitto;
   secondo i dati pubblicati dal Ministero dell'interno, sul totale dei 73.385 provvedimenti di sfratto del 2013 sono diversi i motivi per cui si giunge all'insolvenza: la morosità per l'89 per cento, la finita locazione per il 7,4 per cento e la necessità del proprietario per il 3,6 per cento;
   il 53,8 per cento degli sfratti riguardano i comuni capoluogo mentre il 46,2 per cento le province. Le richieste di esecuzione sono state 129.575 con una crescita del 2,15 per cento. L'aumento più importante, il 7,75 per cento, è rappresentato dagli sfratti eseguiti per morosità, 31.399. Negli ultimi 5 anni gli sfratti sono stati 332.169, di cui 288.934 per morosità. Su 332.169 sentenze sono 145.208 gli sfratti eseguiti con intervento dell'Ufficiale Giudiziario, mentre le richieste di esecuzione sono state 129.577. In sostanza, più di un inquilino su dieci in affitto da privati ha subito uno sfratto per morosità;
   l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre le tradizionali categorie a rischio anche a fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
   una sospensione immediata dell'esecuzione di tutti gli sfratti, compresa la morosità incolpevole e uno stanziamento straordinario per ripristinare un fondo sociale per gli affitti adeguato alle esigenze delle famiglie in difficoltà appaiono necessarie;
   senza tralasciare l'esigenza di un piano straordinario per gli alloggi popolari, utilizzando con priorità il patrimonio pubblico e le aree pubbliche;
   la crisi economica ha ulteriormente amplificato il problema, anche considerando che le paghe e le pensioni sono le più basse d'Europa;
   purtroppo, sussistono ancora le condizioni che hanno indotto a concedere la deroga dell'esecuzione degli sfratti riguardanti particolari categorie sociali disagiate con l'articolo 4, comma 8, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, che ha convertito il decreto-legge 30 dicembre 2013 n. 150, la quale ha prorogato al 31 dicembre 2014 l'esecuzione degli sfratti per finita locazione di cui alla legge 8 febbraio 2007, n. 9;
   la situazione economica stringente e la crisi economica che si riverbera sulle fasce sociali più deboli, non possono essere ignorate da uno Stato sociale che ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo... e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale e ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione prescrive quale compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana ... e ai sensi dell'articolo 42» ... La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti... –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intendano promuovere delle iniziative per far fronte alla situazione di difficoltà e di urgenza, ovvero se, stante la grave situazione di indigenza in cui versano centinaia di migliaia di famiglie italiane, si intenda assumere un'iniziativa diretta ad accordare la proroga dell'esecuzione degli sfratti fino al 31 dicembre 2015, rispetto al termine del 31 dicembre 2014 (previsto, da ultimo, dall'articolo 4, comma 8 della legge 27 febbraio 2014, n. 15, che all'articolo 4 comma 8, conversione del decreto-legge 30 dicembre 2013 n. 150) a beneficio delle seguenti categorie di soggetti: anziani ultrasessantacinquenni; portatori di handicap gravi o minori; malati gravi o terminali e a soggetti che non dispongono di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza, a condizione che i beneficiari non siano incorsi in morosità e posseggano un reddito annuale complessivo familiare inferiore a 27.000 euro. (4-07064)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2 settembre 2015, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La legge 8 febbraio 2007, n. 9, al fine di contenere il disagio abitativo presente soprattutto nei comuni metropolitani, ha sospeso le procedure esecutive di sfratto per finita locazione nei confronti di determinate categorie. Si tratta di nuclei familiari in possesso dei seguenti requisiti: reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro; che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di
handicap con invalidità superiore al 66 per cento purché non in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza. La sospensione si applica, alle stesse condizioni, anche ai conduttori che abbiano, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico.
  Successivamente, ulteriori provvedimenti legislativi, hanno prorogato la sospensione delle procedure di sfratto per tali categorie; l'ultima proroga ha avuto efficacia fino al 31 dicembre 2014. La sospensione ha interessato circa 2000 nuclei familiari. Il dato è stato desunto dall'Agenzia delle entrate sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate dai proprietari che possono, a fronte del mancato rilascio dell'immobile, non dichiarare ai fini Irpef il reddito derivante dalla locazione dell'immobile interessato dalla sospensione. Per maggiore informazione va segnalato che il fenomeno sfratti riguarda anche la categoria morosità (circa 65.000 a livello aggregato) unitamente a quella della finita locazione (circa 5000) che investe categorie più ampie di quelle considerate dalla legge n. 9 del 2007; residuale risulta essere lo sfratto per necessità del locatore (circa il 3 per cento).
  Tra le diverse recenti misure di contrasto al disagio abitativo adottate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Mit) si ricorda il programma di recupero e razionalizzazione degli immobili ed alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp) adottato ai sensi
ex articolo 4 decreto-legge n. 47 del 2014, il quale, con una dotazione di 467,9 milioni di euro, prevede espressamente che parte degli alloggi recuperati siano prioritariamente assegnati ai soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio in possesso delle caratteristiche economico-sociali individuati dal citato articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9.
  Per quanto concerne il fondo nazionale per l'accesso alle abitazioni in locazione di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (definanziato dal 2012) è stata ripartita ed erogata alle regioni la disponibilità 2014-2015 di complessivi 200 milioni nel biennio.
  Si evidenzia che tale strumento può essere ora utilizzato, oltre che per la concessione ai conduttori aventi determinati requisiti di contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione, anche per sostenere iniziative intraprese dai comuni e dalle regioni volte a favorire la mobilità nel settore della locazione, attraverso il reperimento di alloggi da concedere in locazione a canoni concordati di cui può beneficiare l'intera platea dei soggetti sottoposti a procedura di rilascio dell'immobile purché in possesso di determinati requisiti, secondo quanto stabilito dall'articolo 2 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito dalla legge 13 maggio 2014, n. 80.
  Con il decreto 29 gennaio 2015, concernente il riparto della disponibilità assegnata al fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per l'anno 2015 (100 milioni di euro) si è ritenuto di avviare, in aggiunta alle finalità generali del fondo che consente di erogare contributi per il pagamento dei canoni di locazione per soggetti in possesso di determinati requisiti, anche concrete azioni di contrasto al disagio abitativo dei conduttori di immobili appartenenti alle categorie sociali di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2009, n. 9, sottoposti a procedure esecutive di rilascio per finita locazione.
  Per le sopracitate finalità il decreto intende promuovere, prioritariamente, la sottoscrizione di nuovi contratti a canone concordato.
  Il decreto ministeriale 29 gennaio 2015 ha previsto che i comuni interessati, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso, comunicassero alla regione il numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle categorie sociali di cui al citato articolo 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007 e che le regioni, nei successivi trenta giorni, provvedessero al riparto delle disponibilità e all'erogazione delle risorse statali trasferite; si è trattato, pertanto, di una procedura che si è svolta esclusivamente a livello territoriale (comunale e regionale).
  Si segnala, inoltre, che il Mit ha comunque avviato un monitoraggio per misurare l'efficacia delle misure di sostegno poste in essere relativamente alle annualità 2014 e 2015.
  Fattore di forte criticità, segnalato dalle regioni, all'interno della procedura di assegnazione e utilizzo delle risorse relativamente all'utilizzo dell'accantonamento del 25 per cento del riparto 2015 del fondo di cui alla legge n. 431 del 1998, è l'estrema difficoltà dei comuni di accedere ai dati relativi al numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle categorie sociali di cui al citato articolo 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007.
  In merito al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni, dai dati acquisiti al 30 aprile 2015, sulla disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 pari ad oltre 324 milioni di euro (di cui 200 milioni statali) le risorse assegnate dalle regioni ai comuni ammontano a 93,7 milioni di euro e quelle effettivamente trasferite sono circa 75 milioni. Mentre, sull'utilizzo della riserva del 25 per cento, sul riparto 2015 di 100 milioni, il monitoraggio restituisce un dato di pressoché inutilizzo: 1,4 milioni su 25. Anche alla data del 30 giugno 2015 si evidenzia un utilizzo che, seppure incrementato rispetto al precedente valore riscontrato, risulta comunque ridotto euro 3.540.854,23. In tale contesto le regioni che hanno utilizzato seppure parzialmente la riserva del 25 per cento sono: Toscana euro 994.000,00 – Lazio euro 900.000,00 – Abruzzo euro 14.460,00 – Molise euro 205.148,141 – Puglia euro 1.344.000,00 – Sardegna euro 133.245,82 euro.
  Peraltro, dette regioni che hanno parzialmente utilizzato tale riserva e hanno fornito esclusivamente il dato aggregato economico utilizzato e non il numero dei contributi assegnati. Soltanto le regioni Puglia e Sardegna hanno elencato i comuni cui hanno trasferito le risorse.
  Per quanto concerne, poi, il Fondo inquilini morosi incolpevoli, il monitoraggio restituisce un quadro procedurale regionale molto articolato. Su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (di cui 68,46 statali) le risorse assegnate dalle regioni si attestano a 23,49 milioni mentre quelle effettivamente trasferite sono pari a poco più di 12 milioni. I contratti rinnovati ammontano a 204; i nuovi contratti sottoscritti a canone concordato sono 78; quelli rinegoziati con un canone inferiore risultano 38; i differimenti di esecuzione dei provvedimenti di rilascio sono 501; le assegnazioni di alloggi Erp sono 31.
  A fronte del quadro sopra descritto, che restituisce un utilizzo non soddisfacente delle risorse impiegate da parte degli enti beneficiari, è intenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti precisare, mediante apposita circolare, le iniziative da assumere per un coinvolgimento più incisivo degli enti locali al fine di ridurre l'impatto degli sfratti innalzando l'efficacia della misure di sostegno poste in essere.
  In particolare, si è sensibilizzato il Ministero dell'interno affinché i prefetti diano comunicazione ai sindaci della data di impiego della forza pubblica per l'esecuzione dei provvedimenti di sfratto al fine di consentire agli stessi di adottare tutte le misure che favoriscono il passaggio di casa in casa dei soggetti interessati dalle procedure esecutive di rilascio per finita locazione, e di attivarsi inoltre, per l'utilizzo delle risorse di cui al punto 2 del citato decreto 29 gennaio 2015 di riparto della disponibilità 2015 assegnata al Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione promuovendo, prioritariamente, la sottoscrizione di nuovi contratti a canone concordato; ancora l'assegnazione in via prioritaria, qualora i soggetti interessati siano in possesso dei requisiti previsti per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, degli alloggi di risulta da recuperare con interventi di non rilevante entità, vale a dire massimo 15 mila euro ad alloggio, del predetto Programma di recupero Erp; infine, qualunque ulteriore e utile iniziativa, anche per il tramite di agenzie o istituti per la locazione.
  Si ricorda, da ultimo, che sul tema della proroga sfratti sono in corso, presso il Mit diversi incontri con il sindacato inquilini e altre associazioni di categoria per individuare azioni che non siano una «proroga della proroga», ma che portino a realizzare la politica del passaggio da casa a casa dei soggetti interessati.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha recentemente disposto, con proprio provvedimento, l'aggregazione, per il periodo dal 13 aprile al 31 ottobre prossimo, a Milano in occasione di Expo 2015, di n. 52 operatori in servizio presso la polizia di frontiera terrestre in forza agli uffici di Gorizia, Tarvisio (UD) e Trieste, organici alla IV zona di polizia frontiera di Udine;
   con successivo provvedimento, il dipartimento di pubblica sicurezza ha inoltre disposto anche l'aggregazione a Milano, per le medesime esigenze, di n. 58 unità appartenenti alla polizia ferroviaria del Friuli Venezia Giulia suddivise in turni di 15 giorni, a partire dalla fine di aprile fino al 31 ottobre; tale trasferimento, seppur temporaneo rappresenterebbe una importante privazione per la regione Friuli Venezia Giulia del personale che garantisce la pubblica sicurezza, proprio nelle stazioni ferroviarie, da sempre considerate presidio particolarmente sensibile rispetto al monitoraggio dei fenomeni di immigrazione clandestina; recentemente, sono stati già soppressi diversi uffici di polizia all'interno delle principali stazioni ferroviarie del Friuli Venezia Giulia;
   di fatto si tratterebbe di una soppressione di tutte le funzioni della polizia di frontiera nell'intero nord-est del Paese in quanto il personale che rimarrà in servizio, non sarà nelle condizioni di garantire la necessaria vigilanza alla frontiera;
   tale discutibile disposizione non tiene minimamente conto delle esigenze del personale di polizia di frontiera, peraltro anche con una certa anzianità di servizio, che si vedrà costretto ad una riorganizzazione penalizzante anche per quanto riguarda il godimento delle ferie, dal momento che si dovrà tenere in considerazione il periodo del trasferimento per svolgere il servizio a Milano;
   l'interrogante ritiene che, con tali disposizioni si decide di attingere dalla polizia di frontiera terrestre del Friuli Venezia Giulia per rinforzare la città di Milano, ma sguarnendo, di fatto, i confini orientali, da sempre molto sensibili, con la conseguenza di favorire possibili infiltrazioni di gruppi terroristici o comunque di persone provenienti da aree a rischio e da sempre sotto controllo, ad esempio, per il traffico di armi;
   a parere dell'interrogante risulta paradossale che la scelta di trasferire a Milano parte del personale quale presidio di frontiera in Friuli Venezia Giulia venga ufficializzata contestualmente all'annuncio dell'istituzione della «pattuglie miste» italo-austriache a Tarvisio (UD), con un organico di complessive 58 unità (48 agenti/assistenti, 4 sovrintendenti, 4 ispettori e due funzionari), per fronteggiare l'allarme profughi;
   da notizie ancora ufficiose, si apprende che, sempre al fine di garantire l'ordine pubblico e la sicurezza dei visitatori dell'Expo sarà a breve coinvolto nelle aggregazioni anche il personale che presta servizio nei reparti della polizia stradale e nelle quattro questure della regione Friuli, riducendo ulteriormente il personale in servizio presso la regione Friuli Venezia Giulia –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali interventi promossi dal suo dicastero;
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire per evitare che, durante lo svolgimento di Expo, nella città di Trieste sia operativa solamente una pattuglia di retro-valico della polizia di frontiera, rispetto alle quattro normalmente in servizio;
   se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative per evitare che, a causa dei trasferimenti di personale previsti per Expo, nelle città di Gorizia e Tarvisio (UD), non venga garantito il servizio di pattugliamento per 24 ore al giorno. (4-08857)

  Risposta. — Il previsto aumento del traffico aereo presso gli scali lombardi di Milano-Linate, Varese-Malpensa e Bergamo-Orio al Serio, correlato all'evento Expo 2015, ha reso necessario predisporre – a suo tempo – una dettagliata pianificazione finalizzata a garantire idonei livelli di funzionalità nell'espletamento delle attività di controllo della frontiera e, segnatamente, per assicurare il rafforzamento dei necessari controlli documentali.
  Si è provveduto, quindi, nello scorso mese di marzo, ad approntare il dispositivo di rinforzo per le esigenze degli uffici Polizia di frontiera aerea operanti presso i citati scali lombardi.
  In tale ambito, a decorrere dallo scorso mese di aprile, è stata disposta, tra l'altro, l'assegnazione ai predetti uffici di una congrua aliquota di personale specializzato, di cui 52 unità aggregate dalla IV zona Polizia di frontiera di Udine.
  Nei mesi successivi, grazie al mutato quadro esigenziale, l'aliquota di personale aggregato dalla citata IV zona è stata gradualmente ridotta fino ad azzerarsi.
  Si informa, inoltre, che da alcuni mesi la fascia di confine tra Italia e Austria è comunque presidiata attraverso un dispositivo rinforzato di polizia che vede operare, presso il solo valico di Tarvisio, 60 appartenenti alla polizia di Stato.
  Uguale rafforzamento è stato disposto al confine italo-sloveno, con l'invio, presso la questura di Trieste, di un contingente aggiuntivo di 50 unità. Nello stesso capoluogo giuliano opera altresì l'ufficio di Polizia di frontiera marittima, che ha un organico pari a 66 unità.
  Sono in atto, inoltre, dal mese di maggio 2015, nell'ambito dell'accordo italo-austriaco, una serie di servizi congiunti di pattugliamento sulle principali tratte ferroviarie e stradali transfrontaliere.
  Ovviamente, qualora la situazione dovesse richiederlo, questo Ministero non esiterà a disporre un ulteriore potenziamento dei controlli nel rispetto delle previsioni del regolamento Schengen.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Perrazze è una frazione del comune di Palomonte, situata nella parte nord del comune e completamente distaccata al resto del territorio comunale;
   Perrazze è la frazione più sviluppata commercialmente del comune di Palomonte e dell'alta Valle del Sele, nonché sede di numerose attività di servizio ed artigianali;
   la frazione di Perrazze è, inoltre, situata sull'importante arteria stradale provinciale che collega l'autostrada Salerno-Reggio Calabria con i Comuni di San Gregorio Magno, Ricigliano, Buccino e Palomonte, nonché con la parte sud del comune di Colliano;
   l'ufficio postale di Perrazze, in conseguenza della particolare posizione della frazione, svolge una funzione evidentemente intercomunale rispetto all'utenza del territorio;
   l'ufficio postale in questione nasce all'inizio degli anni ’70 e da subito l'annesso servizio di distribuzione postale serve parte dei comuni di Palomonte, Colliano e Contursi Terme;
   nel corso degli anni e ancora oggi l'ufficio postale di Perrazze è stato utilizzato da residenti di questi comuni per tutti i servizi che l'ente posta offre ai suoi cittadini, dal pagamento delle pensioni ai depositi postali o all'invio di posta ordinaria prioritaria o raccomandata;
   esso è situato a più di 3 chilometri dalla posta centrale di Palomonte, mentre l'altra più vicina, a Bagni di Contursi, dista addirittura oltre 6 chilometri;
   attualmente si va verso la chiusura dell'ufficio postale di Perrazze;
   la sua soppressione, tuttavia, sarebbe un grave danno per le attività e per i cittadini dell'area, molti dei quali pensionati ed in età avanzata che dovrebbero recarsi in altri uffici per espletare servizi che fino adesso hanno potuto espletare con sufficiente comodità;
   bisogna ricordare, peraltro, come nell'area in questione i servizi pubblici di trasporto siano assenti e come non vi sia alcuna alternativa allo spostamento attraverso mezzi di trasporto privati;
   insistendo l'ufficio postale di Perrazze su una importante arteria di comunicazione, esso è utilizzato non solo da persone del posto, ma anche da molti che, trovandosi obbligatoriamente a passare per la frazione Perrazze, approfittano della sua collocazione –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di mantenere in vita l'ufficio postale di Perrazze. (4-08498)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  Le chiusure e le rimodulazioni orarie, comunicate preventivamente all'Agcom, sono previste dal piano di rimodulazione degli orari degli uffici postali nel periodo estivo, redatto da Poste italiane in conformità ai criteri di cui al decreto del 22 giugno 2007, come integrato dalla delibera Agcom 293113/CONS del 16 aprile 2013.
  Inoltre il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Il Ministero, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, è in più occasioni intervenuto affinché ogni modifica dell'assetto della rete di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi. Per quanto concerne, in particolare, l'ufficio postale ubicato nella frazione di Perrazze, nel Comune di Palomonte (SA), citato nell'atto in esame, Poste italiane ha reso noto che a seguito del confronto con i rappresentanti delle amministrazioni locali è stato concordato di non procedere alla chiusura del menzionato ufficio, già inserita tra le iniziative previste nel piano di razionalizzazione, ed al momento lo stesso ufficio è aperto 6 giorni a settimana, dal lunedì al venerdì, con orario 8.20-13.45, ed il sabato con orario 8.20-12.45.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare, ove possibile, l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un
asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenendo conto della necessita del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche mediante accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui l'ipotesi di interventi di riduzione della rete di sportelli debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nel valutare le ipotesi di potenziamento e di maggiore efficienza dei servizi, dovrà svolgere un'analisi del rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. Poste italiane dovrà quindi valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.
  Parallelamente all'azione del Ministero, persiste l'attività di vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha assicurato che provvederà a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane Spa, compresi gli eventuali interventi a cui si riferisce la presente interrogazione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   SCOTTO. – Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'osservatorio sugli sfratti ha pubblicato i dati sull'andamento degli sfratti relativi al 2014;
   i dati offerti dal Ministero dell'interno confermano pienamente le preoccupazioni delle organizzazioni sindacali degli inquilini;
   l'andamento dell'emissione e più propriamente delle richieste di esecuzione dell'anno scorso confermano che a Napoli e provincia vi è un sostanziale aumento complessivo degli sfratti;
   gli sfratti per morosità rappresentano l'86,27 per cento degli sfratti emessi nel corso del 2014;
   rispetto a tutto il 2013 gli sfratti per morosità sono aumentati del 6 per cento circa, dato che in quell'anno la percentuale d'incidenza degli sfratti emessi per morosità su tutti gli sfratti decisi dal tribunale di Napoli era dell'80,84 per cento;
   altro dato preoccupante è quello relativo agli sfratti eseguiti rispetto alle richieste di esecuzione;
   gli sfratti eseguiti con l'intervento dell'ufficiale giudiziario nei primi sei mesi del 2014 avevano già superato la percentuale relativa all'intera annualità 2013;
   gli sfratti eseguiti nella prima metà del 2014, infatti, sono stati il 30 per cento delle richieste di esecuzione, mentre nel 2013 si sono eseguiti il 28,50 per cento delle richieste avanzate agli ufficiali giudiziari;
   il numero totale degli sfratti nel 2014 è stato di 3.583, di cui 1.767 nella città di Napoli, a fronte di 3.320 sfratti emessi nel 2013 (di cui 1.505 nel territorio comunale di Napoli);
   le richieste di esecuzione presentate agli ufficiali giudiziari sono state 6.590 nel 2014, mentre nel 2013 esse si erano fermate a 5.849;
   parliamo di variazioni che non possiamo in alcun modo considerare fisiologiche e, quindi, sottovalutare;
   questo incredibile aumento è avvenuto nonostante risultasse ancora in vigore, per il 2014, la sospensione degli sfratti per finita locazione per le categorie deboli (anziani, portatori di handicap, famiglie con figli a carico e così via);
   ciò implica che le cifre del 2015, di questo passo, rischino di assumere le proporzioni del dramma e di essere scoperte solo tra un paio d'anni, quando verranno raccolti i dati nella loro interezza;
   il tutto avviene nell'indifferenza delle istituzioni;
   in molte aree del Paese regioni e comuni, sebbene con ritardi ed insufficienze, hanno provveduto a dotarsi di strumenti di sostengo economico e risposte alloggiative, mentre invece la regione Campania ha sinora bloccato le già scarse risorse assegnate dal Governo, ed il comune di Napoli non è in grado, da solo, di far fronte a tale situazione;
   per fare qualche esempio, basti notare come il sostegno all'affitto, previsto dalla legge n. 431 del 1998 e riavviato da un anno dopo un blocco di risorse statali, viaggi con enormi ritardi, oppure come la regione non abbia ancora accreditato le risorse al comune di Napoli per il fondo affitto (per cui sono state pubblicate le graduatorie solo fino al 2010);
   in Campania le procedure previste dalla legge n. 11 del 2015 e le norme attuative indicate nel decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti emanato il 29 gennaio 2015 in merito al «Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione» non risultano ancora essere state attivate;
   vi sono, tuttavia, casi estremamente gravi che attendono una soluzione: parliamo non solo di famiglie sottoposte a sfratto e in condizioni soggettive di estrema difficoltà, ma soprattutto di famiglie che non hanno alcuna soluzione abitativa alternativa;
   in questi mesi alla CIGL Casa di Napoli, che più volte ha avanzato proposte e richieste di delucidazioni, non è mai stata data risposta, né dal Governo centrale né dagli enti locali –:
   se non ritengano opportuno e doveroso, per quanto di competenza, un intervento per porre un freno all'esponenziale crescita di sfratti eseguiti e garantire efficaci aiuti alle famiglie socialmente più deboli;
   se non ritengano di dover agire per accelerare le procedure al fine di distribuire le poche risorse stanziate;
   se non ritengano opportuna e doverosa un'iniziativa diretta alla sospensione della esecuzione degli sfratti e all'avvio di azioni amministrative per permettere, alle famiglie coinvolte, il passaggio da casa a casa. (4-09742)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 5 agosto 2015, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La legge 8 febbraio 2007, n. 9, al fine di contenere il disagio abitativo presente soprattutto nei comuni metropolitani, ha sospeso le procedure esecutive di sfratto per finita locazione nei confronti di determinate categorie. Si tratta di nuclei familiari in possesso dei seguenti requisiti: reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro; che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di
handicap con invalidità superiore al 66 per cento purché non in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza. La sospensione si applica, alle stesse condizioni, anche ai conduttori che abbiano, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico.
  Successivamente, ulteriori provvedimenti legislativi, hanno prorogato la sospensione delle procedure di sfratto per tali categorie; l'ultima proroga ha avuto efficacia fino al 31 dicembre 2014. La sospensione ha interessato circa 2000 nuclei familiari. Il dato è stato desunto dall'Agenzia delle entrate sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate dai proprietari che possono, a fronte del mancato rilascio dell'immobile, non dichiarare ai fini Irpef il reddito derivante dalla locazione dell'immobile interessato dalla sospensione. Per maggiore informazione va segnalato che il fenomeno sfratti riguarda anche la categoria morosità (circa 65.000 a livello aggregato) unitamente a quella della finita locazione (circa 5.000) che investe categorie più ampie di quelle considerate dalla legge n. 9 del 2007; residuale risulta essere lo sfratto per necessità del locatore (circa il 3 per cento).
  Tra le diverse recenti misure di contrasto al disagio abitativo adottate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Mit) si ricorda il Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili ed alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp) adottato ai sensi
ex articolo 4 decreto-legge n. 47 del 2014, il quale, con una dotazione di 467,9 milioni di euro, prevede espressamente che parte degli alloggi recuperati siano prioritariamente assegnati ai soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio in possesso delle caratteristiche economico-sociali individuati dal citato articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9.
  Per quanto concerne il Fondo nazionale per l'accesso alle abitazioni in locazione di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (definanziato dal 2012) è stata ripartita ed erogata alle regioni la disponibilità 2014-2015 di complessivi 200 milioni nel biennio.
  Si evidenzia che tale strumento può essere ora utilizzato, oltre che per la concessione ai conduttori aventi determinati requisiti di contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione, anche per sostenere iniziative intraprese dai comuni e dalle regioni volte a favorire la mobilità nel settore della locazione, attraverso il reperimento di alloggi da concedere in locazione a canoni concordati di cui può beneficiare l'intera platea dei soggetti sottoposti a procedura di rilascio dell'immobile purché in possesso di determinati requisiti, secondo quanto stabilito dall'articolo 2 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito dalla legge 13 maggio 2014, n. 80.
  Con il decreto 29 gennaio 2015, concernente il riparto della disponibilità assegnata al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per l'anno 2015 (100 milioni di euro) si è ritenuto di avviare, in aggiunta alle finalità generali del Fondo che consente di erogare contributi per il pagamento dei canoni di locazione per soggetti in possesso di determinati requisiti, anche concrete azioni di contrasto al disagio abitativo dei conduttori di immobili appartenenti alle categorie sociali di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2009, n. 9, sottoposti a procedure esecutive di rilascio per finita locazione.
  Per le sopracitate finalità il decreto intende promuovere, prioritariamente, la sottoscrizione di nuovi contratti a canone concordato.
  Il decreto ministeriale 29 gennaio 2015 ha previsto che i comuni interessati, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso, comunicassero alla regione il numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle categorie sociali di cui al citato articolo 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007 e che le regioni, nei successivi trenta giorni, provvedessero al riparto delle disponibilità e all'erogazione delle risorse statali trasferite; si è trattato, pertanto, di una procedura che si è svolta esclusivamente a livello territoriale (comunale e regionale).
  Si segnala, inoltre, che il Mit ha comunque avviato un monitoraggio per misurare l'efficacia delle misure di sostegno poste in essere relativamente alle annualità 2014 e 2015.
  Fattore di forte criticità, segnalato dalle regioni, all'interno della procedura di assegnazione e utilizzo delle risorse relativamente all'utilizzo dell'accantonamento del 25 per cento del riparto 2015 del Fondo di cui alla legge n. 431 del 1998, è l'estrema difficoltà dei comuni di accedere ai dati relativi al numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle categorie sociali di cui al citato articolo 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007.
  In merito al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni, dai dati acquisiti al 30 aprile 2015, sulla disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 pari ad oltre 324 milioni di euro (di cui 200 milioni statali) le risorse assegnate dalle regioni ai comuni ammontano a 93,7 milioni di euro e quelle effettivamente trasferite sono circa 75 milioni. Mentre, sull'utilizzo della riserva del 25 per cento, sul riparto 2015 di 100 milioni, il monitoraggio restituisce un dato di pressoché inutilizzo: 1,4 milioni su 25. Anche alla data del 30 giugno 2015 si evidenzia un utilizzo che, seppure incrementato rispetto al precedente valore riscontrato, risulta comunque ridotto euro 3.540.854,23. In tale contesto le regioni che hanno utilizzato seppure parzialmente la riserva del 25 per cento sono: Toscana euro 994.000,00 – Lazio euro 900.000,00 – Abruzzo euro 14.460,00 – Molise euro 205.148,141 – Puglia euro 1.344.000,00 – Sardegna euro 133.245,82 euro.
  Peraltro, dette regioni che hanno parzialmente utilizzato tale riserva e hanno fornito esclusivamente il dato aggregato economico utilizzato e non il numero dei contributi assegnati. Soltanto le regioni Puglia e Sardegna hanno elencato i comuni cui hanno trasferito le risorse.
  Per quanto concerne, poi, il Fondo inquilini morosi incolpevoli, il monitoraggio restituisce un quadro procedurale regionale molto articolato. Su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (di cui 68,46 statali) le risorse assegnate dalle regioni si attestano a 23,49 milioni mentre quelle effettivamente trasferite sono pari a poco più di 12 milioni. I contratti rinnovati ammontano a 204; i nuovi contratti sottoscritti a canone concordato sono 78; quelli rinegoziati con un canone inferiore risultano 38; i differimenti di esecuzione dei provvedimenti di rilascio sono 501; le assegnazioni di alloggi di edilizia residenziale pubblica sono 31.
  A fronte del quadro sopra descritto, che restituisce un utilizzo non soddisfacente delle risorse impiegate da parte degli enti beneficiari, è intenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti precisare, mediante apposita circolare, le iniziative da assumere per un coinvolgimento più incisivo degli enti locali al fine di ridurre l'impatto degli sfratti innalzando l'efficacia della misure di sostegno poste in essere.
  In particolare, si è sensibilizzato il Ministero dell'interno affinché i prefetti diano comunicazione ai sindaci della data di impiego della forza pubblica per l'esecuzione dei provvedimenti di sfratto al fine di consentire agli stessi di adottare tutte le misure che favoriscono il passaggio di casa in casa dei soggetti interessati dalle procedure esecutive di rilascio per finita locazione, e di attivarsi inoltre, per l'utilizzo delle risorse di cui al punto 2 del citato decreto 29 gennaio 2015 di riparto della disponibilità 2015 assegnata al Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione promuovendo, prioritariamente, la sottoscrizione di nuovi contratti a canone concordato; ancora l'assegnazione in via prioritaria, qualora i soggetti interessati siano in possesso dei requisiti previsti per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, degli alloggi di risulta da recuperare con interventi di non rilevante entità, vale a dire massimo 15 mila euro ad alloggio, del predetto Programma di recupero Erp; infine, qualunque ulteriore e utile iniziativa, anche per il tramite di agenzie o istituti per la locazione.
  Si ricorda, da ultimo, che sul tema della proroga sfratti sono in corso, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, diversi incontri con il sindacato inquilini e altre associazioni di categoria per individuare azioni che non siano una «proroga della proroga», ma che portino a realizzare la politica del passaggio da casa a casa dei soggetti interessati.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SEGONI, BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, MUCCI, PRODANI, ARTINI, BECHIS e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 89 (SS 89) denominata Garganica, pur essendo oggetto di numerose proposte progettuali che ne prevedono l'allargamento della sezione stradale (agevolando il transito verso località turistiche del Gargano quali Rodi Garganico, Peschici, Vieste, Mattinata e Manfredonia), risulta attualmente essere la strada statale con il numero più alto di incidenti e con il più alto numero di feriti della provincia;
   la manutenzione ordinaria e straordinaria della strada statale 89 è lacunosa nei tratti più interessati dai movimenti dei turisti (attività fondamentale per l'economia locale), mentre in altri tratti è praticamente assente e la programmazione dei lavori di manutenzione risulta essere approssimativa così che i disagi maggiori si verificano proprio durante il periodo estivo (quest'anno le gallerie «Monte Saraceno, Papone, San Benedetto, Sperlonga e Palombari» sono state chiuse dal 20 al 30 luglio nella fascia oraria compresa tra le 10 e le 18, con eccezione del sabato e della domenica);
   i problemi maggiori per la circolazione stradale si verificano nel tratto Mattinata-Manfredonia-Foggia, soggetto a volumi di traffico sostenuti durante tutto l'anno e, in particolare, il tratto fino all'aeroporto militare di Amendola (la prima base operativa italiana in cui sono collocati, tra l'altro, gli F35) è a corsia unica per senso di marcia e non provvisto di guard rail e banchine di larghezza idonea per la sosta d'emergenza (su tale tratto si segnala che la pericolosità dell'immissione in carreggiata degli autobus in prossimità della fermata vicino l'aeroporto militare è stata certificata durante sopralluoghi disposti dalla prefettura di Foggia a cui hanno partecipato ANAS e polizia stradale);
   tale tratto presenta, inoltre, problematiche rilevanti anche laddove la strada risulta più larga (due corsie per senso di marcia con guard rail spartitraffico) poiché è percorso generalmente da mezzi pesanti o agricoli, considerando che le vie complanari appaiono di larghezza insufficiente a garantire in sicurezza il transito di mezzi pesanti in quella zona a prevalente vocazione agricola e sono quasi del tutto a senti piazzole e corsie d'emergenza (si segnala, inoltre, che, in seguito a numerosi incontri presso la prefettura di Foggia, alla presenza dei gestori del trasporto pubblico CoTraP, polizia stradale, ANAS, amministrazione provinciale di Foggia e Comitato residenti, si è palesata anche l'impossibilità ai mezzi adibiti al trasporto pubblico di effettuare delle fermate in tale tratto della strada statale 89, eccezion fatta per la sola fermata situata all'altezza dell'unico distributore di carburante) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e delle problematiche della strada statale 89 e quali iniziative intenda intraprendere affinché venga garantita in totale sicurezza la viabilità della tratta in questione così rendendo fruibile e adeguato il servizio di trasporto automobilistico pubblico locale. (4-10294)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La strada statale 89 «Garganica» si estende per circa chilometri 200 collegando il capoluogo Dauno con i centri turistici del Gargano e presenta un tracciato in parte pianeggiante e in parte a mezza costa, in corrispondenza dei comuni di Peschici, Vieste e Mattinata. La statale in questione risulta caratterizzata da sezioni stradali di larghezza compresa tra metri 6,00 e metri 10,50 nel tratto tra San Severo e Manfredonia e di metri 15,00 nel tratto compreso tra Manfredonia e Foggia.
  A causa dei diffusi fenomeni di dissesto idrogeologico dei territori attraversati dalla strada statale 89, l'infrastruttura risulta soggetta a ricorrenti movimenti franosi e ad allagamenti. Nei casi di maggiore gravità, si sono riscontrati danni alle opere di regimentazione idraulica e al corpo stradale sul quale, in alcuni tratti, è affluito materiale inerte proveniente dai versanti rocciosi e dalla viabilità secondaria, tale da comportare la temporanea interdizione alla circolazione per l'effettuazione dei necessari interventi di ripristino, anche a carattere di somma urgenza, al fine di garantire le condizioni di sicurezza per il transito veicolare.
  In particolare, durante l'alluvione del 4-6 settembre 2014, che ha interessato tutta la viabilità dei comuni di Rodi Garganico, Peschici e Vieste in territorio garganico, si sono verificati diffusi movimenti franosi dai versanti di monte, con notevole riversamento di materiale terroso misto a fango e detriti sul corpo stradale nel tratto compreso tra il chilometro 64+450 ed il chilometro 87+300, e sul lungomare di Rodi Garganico.
  Tali criticità hanno determinato la chiusura, per evidenti motivi di sicurezza, della Statale 89, nel tratto compreso dal chilometro 64+450 al chilometro 76+000, con deviazione del traffico veicolare sulle strade provinciali adiacenti. L'Anas ha provveduto alla tempestiva riapertura al transito del tratto compreso tra Vieste-Peschici e San Menaio non appena conclusi i lavori di somma urgenza, pari a circa euro 200.000,00, finalizzati a rimuovere dal piano viabile l'enorme quantità di materiale franato.
  È stato necessario, altresì, disporre dal 12 febbraio 2014, la chiusura al traffico della strada statale 89 dal chilometro 137+100 al chilometro 140+750, a causa del distacco di un grosso masso dal costone roccioso che, dopo aver rotolato attraversando terreni privati, ha terminato la sua corsa sul piano viabile al chilometro 139+250; un simile evento si ripeteva in data 4 dicembre 2014 con la caduta di massi sulla strada al chilometro 140+200.
  Ad oggi, in assenza degli indispensabili interventi per il ripristino idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio in questione, a carico degli enti locali competenti, peraltro più volte sollecitati dalla medesima Anas, non risulta ancora possibile procedere alla riapertura del tratto di Statale interdetto al transito.
  Riguardo alla sicurezza della strada statale in questione, occorre rilevare che le indagini statistiche effettuate segnalano un indice di incidentalità non particolarmente elevato.
  Per quanto attiene, poi, alla manutenzione ordinaria e straordinaria della rete stradale nell'area garganica, si rappresenta che per la gestione dell'infrastruttura sono stati finanziati interventi, dal 2011 ad oggi, per circa 3,4 milioni di euro. I maggiori lavori di manutenzione sono stati realizzati sul tratto Foggia-Mattinata, considerato il notevole volume di traffico presente.
  Per quanto riguarda il tratto Foggia-Amendola, l'assenza delle corsie di emergenza è dovuta alla limitata larghezza della sede stradale, al momento non risultano programmati lavori di ampliamento.
  Per quanto riguarda, poi, la chiusura temporanea dei trafori nello scorso mese di luglio tra le ore 10 e le ore 18 ad esclusione del sabato e della domenica sulla strada statale 89, Anas ha fatto presente che tale misura si è resa necessaria per consentire i lavori di manutenzione e di ripristino, consistenti nella sostituzione di taluni dispositivi di illuminazione presenti all'interno delle gallerie, anche in previsione del maggior afflusso di traffico previsto per il successivo mese di agosto. Detto intervento è stato ultimato il 24 luglio 2015.
  Infine, in merito alla mancata possibilità degli autobus adibiti a trasporto pubblico di effettuare fermate lungo la strada statale 89, nei tratti più stretti, la società Anas ha riferito di avere più volte manifestato la propria disponibilità nei confronti della Società di trasporto locale Ataf spa, autorizzandola ad eseguire lavori per la realizzazione di n. 9 fermate sulle complanari della statale; analogamente, la Sita e le Ferrovie del Gargano sono state invitate alla regolarizzazione delle rispettive fermate autobus presenti lungo la sede stradale ma gli enti locali competenti non hanno ancora dato seguito alla realizzazione delle stesse.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SIBILIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane, spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in un regime di sostanziale monopolio;
   il servizio universale è erogato sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati standard di qualità, tra cui quelli riguardanti l'adeguatezza degli orari di apertura degli portelli rispetto alle prestazioni richieste;
   Poste Italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di erogare i servizi postali essenziali;
   il piano nazionale di riorganizzazione previsto dall'azienda, che diventerà operativo dal 13 aprile, prevede la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   in data 22 gennaio 2014 il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in risposta ad una specifica missiva del presidente dell'intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna, ha ricordato che, con apposita delibera, l'Autorità ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
   in tale missiva, l'Autorità chiarisce che «i divieti di chiusura, è bene sottolinearlo, tutelano situazioni individuate in base a parametri oggettivi: la natura prevalentemente montana e la scarsità abitativa sono desunte da classificazioni ISTAT e da dati demografici»;
   inoltre, la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni obbliga Poste Italiane ad avviare, con congruo anticipo, con le istituzioni locali, delle misure di razionalizzazione per intraprendere un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
   si stanno diffondendo notizie di imminenti chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia, con conseguente diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela soprattutto nei piccoli comuni e rispetto alla popolazione anziana;
   con nota assunta in atti al prot. n. 392 del 5 febbraio 2015, a firma del direttore di filiale di Poste Italiane di Avellino, l'amministrazione comunale di Castel Baronia riceveva notizia del nuovo orario di apertura al pubblico a partire dal 13 aprile solo nei giorni di lunedì mercoledì e venerdì dalle ore 8,20 alle 13,45;
   il sindaco di Castel Baronia, con nota prot. n. 440 del 9 febbraio 2015, comunicava ai vertici di Poste Italiane il netto dissenso per una tale iniziativa che provocherà disagi non solo alla cittadinanza ma anche alle comunità vicine poiché l'ufficio postale, tra l'altro ristrutturato di recente, soddisfa ad oggi le esigenze di un bacino d'utenza proveniente anche dai comuni di Carife, San Nicola Baronia e San Sossio Baronia –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere per garantire il rispetto del contenuto della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sul divieto di chiusura degli uffici postali in zone montane e scongiurare che nei comuni piccoli, come Castel Baronia, i cittadini-utenti debbano sopportare i disagi derivanti dalla mancata erogazione dei servizi postali essenziali. (4-08412)

  Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per effetto del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge del 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
  Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un
asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.
  Per completezza di informazione si rappresenta che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha, altresì, assicurato che proseguirà nell'attività di vigilanza provvedendo a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane Spa.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   SORIAL, COLONNESE, DELL'ORCO, CASO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO e COMINARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Trenitalia ha aderito ad una partnership con Expo Milano 2015 rivolta ai cittadini con basso reddito e ad agosto propone biglietti a metà prezzo per chi andrà a visitare la Esposizione mondiale: la riduzione sarà applicabile sui viaggi di andata e ritorno, utilizzando le Frecce o i treni Intercity con destinazione Milano oppure Rho Fiera Expo Milano 2015;
   è un'azienda partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato italiane, ed è la principale società italiana per la gestione del trasporto ferroviario di passeggeri e merci;
   il contratto di servizio pubblico – si legge sul sito internet di Trenitalia – è un atto stipulato tra l'autorità pubblica (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'economia e delle finanze) e Trenitalia, allo scopo di garantire il diritto alla mobilità, tramite servizi di trasporto effettuati per soddisfare esigenze sociali, ambientali e di assetto del territorio, e per far fronte all'esigenza di garantire particolari condizioni e tariffe a specifiche categorie di passeggeri;
   secondo il rapporto «Pendolaria 2014» di Legambiente, negli ultimi anni sono aumentati i costi dei biglietti e diminuiti i servizi a causa di politiche che stanno disincentivando il trasporto pubblico; ci sarebbero sempre meno treni, con carrozze vecchie e sovraffollate, o in ritardo, o soppressi all'ultimo: frutto dei tagli sistematici nel servizio ferroviario regionale che, dal 2010 ad oggi, si possono stimare pari al 6,5 per cento; mentre parallelamente e inspiegabilmente le tariffe aumentano;
   la politica intrapresa, in questi anni, da Trenitalia, sembra connotarsi essenzialmente in una drastica operazione di contrazione delle risorse e conseguentemente dei servizi che interessano ogni giorno milioni di studenti e lavoratori producendo disservizi che riempiono le pagine di cronaca dei quotidiani locali: lunghi tempi di percorrenza; mancanza di puntualità; soppressione senza preavviso delle corse; carenza di informazione; mancata garanzia di partenza delle coincidenze; guasti tecnici; carrozze non adeguate e poco pulite; sovraffollamento dei convogli; condizioni precarie delle infrastrutture ferroviarie; aumenti delle tariffe non giustificati dalla bassa qualità e riduzione generalizzata dei servizi offerti;
   un sistema di mobilità pubblica moderna ed efficiente rappresenta un obiettivo strategico per la realizzazione di politiche tese a promuovere sviluppo sostenibile e strategie di crescita economica e di progresso sociale –:
   se i Ministri interrogati non intendano fare chiarezza sull'operazione descritta in premessa che mal si comprende, illustrando i contenuti della convenzione stipulata in merito a tale iniziativa e indicando quali siano i costi per la sua realizzazione;
   se i Ministri interrogati non ritengano che risorse disponibili per promozioni come questa, non debbano piuttosto essere investite per l'efficientamento dei servizi erogati ai pendolari, per garantire un servizio pubblico adeguato e al passo con gli altri Paesi europei, nonché per promuovere la mobilità sostenibile in Italia. (4-09697)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  I servizi ferroviari si suddividono in: servizi a mercato, servizio universale di media-lunga percorrenza e servizi regionali.
  I servizi a mercato sono effettuati dalle imprese ferroviarie a proprio rischio e non essendo oggetto di alcun corrispettivo pubblico si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico, pertanto, la programmazione di tali servizi si basa su valutazioni di carattere commerciale finalizzate a garantirne la sostenibilità economica e i relativi prezzi tengono conto, oltre che della distanza da percorrere per ciascun viaggio, della situazione dei rispettivi mercati, dei costi di produzione per ciascuna relazione servita e dell'insieme dei servizi offerti per segmento di prodotto.
  Il servizio universale di media-lunga percorrenza è regolato dal contratto di servizio 2009-2014 stipulato tra Trenitalia e lo Stato, la caratteristica dei treni oggetto del contratto è quella di non essere economicamente sostenibili e, quindi, lo Stato eroga corrispettivi in coerenza con quanto stabilito nel Piano economico-finanziario inserito anch'esso nel Contratto. La programmazione dei servizi contrattualizzati comprende, fra l'altro, il numero e la tipologia dei collegamenti da effettuare e le relazioni da servire.
  I servizi regionali secondo il decreto legislativo n. 422 del 1997 rientrano invece nella competenza delle singole regioni, i rapporti con Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle stesse regioni.
  Per quanto concerne l'iniziativa specificatamente citata dagli Interroganti, questa è il risultato di un accordo tra Expo 2015, Inps e Trenitalia rivolta ai pensionati e ai lavoratori con un reddito inferiore ai 10.000 euro, il cui obiettivo è quello di dare a persone con limitate disponibilità economiche la possibilità di visitare l'Esposizione universale. La società organizzatrice di Expo ha concesso la gratuità dell'ingresso, mentre Trenitalia ha offerto la possibilità di raggiungere il sito espositivo in treno usufruendo, per il mese di agosto, di una riduzione del 50 per cento sul prezzo del biglietto di andata e ritorno, assumendone a proprio carico l'onere economico.
  Si tratta di un'agevolazione a sostegno di quanti, altrimenti, non avrebbero avuto la possibilità di prendere parte ad un evento di rilevanza mondiale e sostanzialmente irripetibile per il territorio italiano.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema di accesso e sosta mezzi all'interno del sedime aeroportuale di Tessera (Venezia) è stato sottoposto ad una nuova disciplina con la recente adozione da parte della Save s.p.a., società concessionaria per la gestione dell'aeroporto «Marco Polo» di Venezia, di un regolamento per l'accesso e la sosta dei veicoli NCC (noleggio con conducente), taxi e shuttle valido sulle aree appartenenti al sedime aeroportuale affidato a Save in regime di concessione da ENAC;
   in particolare, è intervenuta da parte del concessionario aeroportuale Save l'imposizione del pagamento di un pedaggio per l'accesso delle autovetture, sia all'area partenza che a quella degli arrivi, per il carico e lo scarico dei passeggeri trasportati;
   l'introduzione di tale pedaggio, che scatta a seguito del terzo passaggio della stessa autovettura nell'area del sedime aeroportuale, colpisce in particolar modo gli operatori professionali, i quali, trasportando i rispettivi clienti e compiendo di conseguenza, più passaggi giornalieri, sono costretti a pagare somme non indifferenti per poter svolgere la loro attività professionale;
   difatti, l'imposizione di un pedaggio, dopo il terzo passaggio giornaliero, rappresenta, per le strutture che offrono il trasporto di cortesia ai propri clienti, una spesa rilevante per il fatturato aziendale, dal momento che il trasporto di cortesia – il cosiddetto shuttle — è per legge gratuito;
   per quanto di conoscenza, la previsione di una sorta di «tassa di ingresso» a carico delle autovetture, per il semplice accesso alle aree di partenza e di arrivo per il carico e scarico dei passeggeri, senza la fruizione dei servizi offerti all'interno dello scalo, non trova simili esempi negli altri scali aeroportuali europei ed internazionali, ad eccezione di quello di Tessera, ma risulta bensì agli interroganti che sia dovere del concessionario aeroportuale prevedere e delimitare le corsie in cui possa avvenire l'operazione di scarico dei viaggiatori;
   alla imposizione di un pedaggio per i servizi di trasporto di cortesia, si aggiunge all'aeroporto «Marco Polo» anche l'introduzione, non autorizzata da Enac, di apposite sbarre di altezza atte a bloccare il passaggio sulle corsie di accesso alle aree partenze e arrivi dei veicoli commerciali adibiti a navette, che superano il livello dimensionale delle semplici autovetture per assumere quello dei veicoli immatricolati M2;
   per quanto attiene ai profili di competenza istituzionale, appare altresì di dubbia legittimità, ad avviso degli interroganti, l'adozione diretta da parte del concessionario dell'aeroporto, di specifiche disposizioni in materia di utilizzazione dello scalo, vincolanti nei confronti di tutti coloro che frequentano l'aeroporto, potere operativo che dovrebbe al contrario essere esercitato dalla direzione aeroportuale competente di ENAC –:
   se non si ravvisi profili di contrasto con la normativa vigente inerenti il regolamento aeroportuale di cui in premessa, emanato dalla concessionaria Save s.p.a., nella parte relativa all'introduzione dell'onere del pagamento di un pedaggio per gli operatori che svolgono per professione l'attività di trasporto viaggiatori su strada con autovetture, nonché all'introduzione di sbarre di altezza non autorizzate per bloccare il passaggio di accesso agli operatori professionali, e se non ritenga opportuno sospendere, con l'urgenza richiesta dal caso, l'efficacia operativa ed economica del suddetto regolamento, a tutela del rispetto dei diritti di tutti i fruitori aeroportuali. (4-09681)

  Risposta. — La circolazione stradale nelle aree aeroportuali è disciplinata dalla legge n. 33 del 2012 che all'articolo 1, comma 1, stabilisce che al fine di gestire i flussi veicolari in entrata e in uscita negli aeroporti aperti al traffico civile, la direzione aeroportuale dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) competente per territorio, sentita la società o ente di gestione aeroportuale, a salvaguardia della sicurezza della circolazione, dell'accessibilità, della fruibilità e della sicurezza dell'utenza, può, con ordinanza adottata ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, istituire corsie o aree nelle quali è limitato l'accesso o la permanenza, tenendo conto delle specifiche caratteristiche infrastrutturali e del traffico dell'aeroporto.
  Per quanto riguarda l'aeroporto di Venezia, la convenzione con la società Save prevede che l'affidamento della gestione totale dell'aeroporto comporta il trasferimento in uso alla Concessionaria delle aree, degli immobili e degli impianti facenti parte del sedime aeroportuale. A decorrere dalla data di affidamento e per l'intera durata della concessione la concessionaria è «ente proprietario» ai sensi e per gli effetti previsti dal codice della strada e dal relativo regolamento.
  Pertanto, in qualità di soggetto gestore dell'aeroporto e di ente proprietario del sedime aeroportuale, la Save è direttamente responsabile dei danni arrecati a persone e cose, in conseguenza dell'attività svolta nell'esercizio della concessione.
  Al riguardo l'Enac evidenzia che, alla luce delle caratteristiche infrastrutturali dell'aeroporto di Venezia Tessera, si è consolidata negli anni, specie ad opera dei trasportatori privati, la prassi di sostare, al fine del carico e dello scarico di passeggeri e bagagli, lungo le corsie che conducono al terminal di partenza e di arrivo, aree particolarmente congestionate e sensibili da un punto di vista della sicurezza dell'aeroporto.
  Dette modalità di carico e scarico «selvaggio» rappresentano un ostacolo alla regolarità dei transiti e alla fruibilità dell'aerostazione da parte dell'utenza, generando ritardi e frequenti situazioni di pericolo per i passeggeri stessi, segnalati più volte anche dalla stessa Polizia di frontiera.
  Le autovetture che sostano frequentemente in aree adibite al solo transito, causano intralci a ritardi nella circolazione nonché gravi situazioni di pericolo per i pedoni, dal momento che il cronico verificarsi di siffatte infrazioni e la sistematica violazione delle norme del codice della strada, sono spesso causa di incidenti nella zona antistante l'aerostazione. Tutto ciò nonostante i divieti di sosta e di fermata siano ampiamente segnalati.
  Pertanto, al fine di salvaguardare la sicurezza della circolazione, nonché l'accessibilità, la fruibilità e la sicurezza degli utenti, l'Enac con ordinanza n. 26 del 2014, ha adottato misure volte a regolare i flussi di servizi pubblici e privati che effettuano trasporto passeggeri da e per l'aeroporto Marco Polo di Venezia.
  Detta ordinanza ha aggiornato la disciplina di accesso, circolazione e sosta degli automezzi, mezzi speciali ed ogni altro mezzo adibito al trasporto di persone per uso privato sulle aree demaniali, aperte all'uso pubblico, dell'aeroporto.
  L'obiettivo dell'ordinanza è quello di regolamentare, mediante un provvedimento unitario e razionale, la viabilità dell'aeroporto al fine di contribuire al contrasto dei fenomeni di abusivismo da parte di soggetti non autorizzati e migliorare la fruibilità dell'area, particolarmente congestionata, a beneficio dei passeggeri e degli operatori stessi.
  L'ordinanza è scaturita dai numerosi tavoli di lavoro avviati nel 2013 e a seguito della segnalazione da parte degli organi di polizia e, del gestore stesso, di numerose problematiche e disfunzioni alla circolazione nella zona antistante l'aerostazione Marco Polo.
  Nello specifico, l'ordinanza in parola consente, su nove parcheggi ad uso pubblico: P1, P1S, P2, P3, P4, P5, Sosta breve, Stop&Go, e Speedy park, dotati di una capienza complessiva di 5.600 stalli, la permanenza gratuita per una durata massima di 10 minuti dall'accesso.
  L'imposizione del pagamento, a partire dal quarto accesso giornaliero, è limitato esclusivamente a tre dei 9 parcheggi sopra richiamati e, nello specifico, a quelli più prossimi all'aerostazione – Sosta breve, Stop&Go e Speedy Park – per un totale di 650 stalli, pari all'11,6 per cento dei parcheggi totali per i quali è previsto l'accesso gratuito.
  Si evidenzia, inoltre, che il parcheggio P2, collegato al terminal da passerella pedonale coperta, e il P3, ubicato a lato del terminal, distano solo un minuto a piedi dall'aerostazione. Il P2 è infatti utilizzato con continuità dalle navette non registrate presso la società Save, con una media di circa 300 accessi giornalieri in condizione di gratuità nei primi dieci minuti.
  L'imposizione del pagamento di una tariffa per gli accessi, successivi al terzo, alla zona a traffico limitato costituisce di fatto un deterrente e un fattore di limitazione del traffico veicolare, che naturalmente impatta maggiormente su coloro che effettuano un elevatissimo ed incontrollato numero di accessi giornalieri al sedime aeroportuale, impedendo, spesso, con il loro illegittimo comportamento, la fruizione in sicurezza della viabilità aeroportuale.
  Dai dati forniti dal gestore aeroportuale è emerso che i mezzi che eseguono meno di quattro accessi presso i parcheggi sottoposti alla Ztl, rappresentano circa il 98,5 per cento dell'utenza complessiva. Inoltre circa 385 vetture noleggio con conducente e 115 taxi hanno accesso ad aree riservate a parcheggi in prossimità dell'aerostazione.
  Si segnala, altresì, che un apposito spazio è stato riservato alle navette di operatori alberghieri e di car-parking a prezzi convenzionati, sempre in prossimità dell'aerostazione.
  Si evidenzia infine che il Tar Veneto è intervenuto sull'argomento rigettando, con ordinanza n. 438 del 4 agosto 2014, l'istanza cautelare formulata contestualmente al ricorso proposto dalle società che gestiscono parcheggi privati in prossimità dell'aeroporto di Venezia, argomentando che nel bilanciamento dei contrapposti interessi, deve senz'altro essere data prevalenza alle specifiche esigenze di sicurezza e di regolamentazione dei flussi veicolari a tutela delle aree sensibili in prossimità dell'aerostazione poste a fondamento delle misure limitative al sistema di viabilità dell'aeroporto Marco Polo di Venezia, introdotte con i provvedimenti impugnati.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   TENTORI, FRAGOMELI, BORGHI, FAMIGLIETTI, BOSSA, NARDUOLO, CARRA, LODOLINI, INCERTI, CARROZZA, ALBINI, CENNI, GADDA, GNECCHI, MARCO DI MAIO, DELL'ARINGA, RIGONI, ROMANINI, IORI, FOSSATI, LENZI, GALPERTI, CAPONE, TARICCO, ARLOTTI, FABBRI, DE MENECH, IACONO, ROTTA, MORETTO, CENSORE, PREZIOSI, CIMBRO e NARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   Poste italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali;
   il piano di riorganizzazione previsto dall'azienda come dichiarato dall'AD Caio in audizione in Parlamento dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile 2015 nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, e prevede a livello nazionale la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa razionalizzazione rischia di tradursi in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti, su territori particolarmente disagiati;
   il suddetto piano di riorganizzazione previsto dall'azienda dispone per la provincia di Lecco la chiusura degli uffici postali delle frazioni di Maresso nel comune di Missaglia, di Rossino nel comune di Calolziocorte, di Sala al Barro nel comune di Galbiate, di Beverate nel comune di Brivio, nonché la chiusura di due dei nove uffici della città di Lecco (ad Acquate e a San Giovanni) e di un ufficio nel comune di Verderio. Altri interventi riguarderanno poi la riduzione degli orari di apertura al pubblico degli uffici siti nei comuni di Carenno, Colle Brianza, Ello, Margno, Monte Marenzo, Pagnona, Primaluna, Santa Maria Hoè e Taceno;
   in data 22 gennaio 2014 il Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rispondendo a specifica missiva del Presidente dell'intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna ha ricordato che con apposita delibera l'Autorità ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
   la delibera dell'AGCOM n. 342/14/Cons del 26 giugno 2014 ha integrato i criteri elencati nell'articolo 2 del decreto ministeriale 7 ottobre 2008, prescrivendo all'articolo 2 relativo ai comuni rurali e montani, il divieto di chiusura di uffici postali situati in comuni rurali (quelli con densità abitativa inferiore a 150 abitanti per chilometro quadrato) che rientrano anche nella categoria dei comuni montani (quelli contrassegnati come totalmente montani), ed escludendo dal citato divieto soltanto i comuni in cui siano presenti più di due uffici postali e il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800;
   la delibera AGCOM obbliga altresì Poste italiane ad avviare con congruo anticipo con le istituzioni locali delle misure di razionalizzazione per avviare un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
   il Ministero dello sviluppo economico in data 12 febbraio 2015 a margine dell'incontro tenutosi tra il sottosegretario alle comunicazioni Antonello Giacomelli, l'amministratore delegato di Poste italiane Francesco Caio e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani aveva dichiarato che regioni e comuni sarebbero stati coinvolti nel piano di chiusura degli uffici postali e che Poste italiane avrebbe coinvolto regioni ed enti locali per spiegare come servizi innovativi avrebbero assicurato la tutela del servizio universale per i cittadini;
   il Consiglio di Stato, con la sentenza 1262/2015 depositata 1'11 marzo 2015, ha ritenuto fondato il ricorso del comune Torre Orsaia contro Poste italiane stabilendo che l'azienda deve garantire un adeguato numero di punti di accesso al servizio su tutto il territorio nazionale comprese le zone montane e rurali. Tale numero, secondo quanto previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo 261 del 22 luglio 1999, deve essere basato su precisi criteri. L'articolo stabilisce che il fornitore del servizio postale universale debba assicurare un punto di accesso entro la distanza minima di tre chilometri dal luogo di residenza per il 75 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di cinque chilometri dal luogo di residenza per il 92,5 per cento, della popolazione e un punto di accesso entro la distanza massima di sei chilometri dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione;
   nonostante questi pronunciamenti, in data 13 marzo 2015 perveniva presso gli uffici dell'amministrazione provinciale di Lecco la comunicazione della direzione provinciale delle poste di Lecco che «declinava l'invito» del presidente della provincia a partecipare all'incontro che era stato convocato per lunedì 16 marzo, proprio per avviare un confronto con le amministrazioni locali interessate dal piano di razionalizzazione della società, che avrebbe visto la presenza anche delle istituzioni del territorio;
   obiettivo dell'incontro era quello di confrontarsi costruttivamente con la suddetta direzione per cercare di individuare — anche solo in alcuni contesti — delle soluzioni che potessero contenere i disagi per l'utenza, ma la mancanza dell'interlocutore ha fatto venir meno lo scopo dell'incontro, che è stato dunque annullato;
   a parere degli interroganti evitando l'incontro con gli amministratori locali attraverso una formale telefonata, Poste italiane ha dimostrato assenza di attenzione nei confronti del territorio e dei suoi rappresentanti istituzionali, sottraendosi al confronto su un tema così delicato e di vitale interesse, che ha conseguenze rilevanti sui territori interessati –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, che sembra confermare la decisione unilaterale di Poste italiane senza alcun confronto con il territorio, e se intenda intervenire perché si possa aprire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, garantendo il rispetto dei disposti stabiliti dall'Autorità per il garante delle comunicazioni;
   se non ritenga altresì appurare che Poste italiane, in vista di questa riorganizzazione aziendale, si sia attivata nel comunicare le proprie determinazioni ai cittadini interessati. (4-09486)

  Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per effetto del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge del 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
  Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il Contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto Piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.
  Parallelamente all'azione del Ministero, persiste l'attività di vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha assicurato che provvederà a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane Spa, Compresi gli eventuali interventi sulle sedi a cui si riferisce la presente interrogazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   TIDEI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni addietro in Mazzano Romano, cittadina della provincia di Roma, il vicesindaco con la sua famiglia sono stati aggrediti mentre erano nella propria abitazione;
   da oltre un anno il vicesindaco riceve gravi e violenti atti di intimidazione, molestie ed insulti. Ciò lo ha indotto ad esporre una denuncia nei riguardi di un soggetto che si è reso responsabile di una serie di comportamenti irriguardosi e violenti nei confronti dell'amministratore locale e della sua famiglia. Come esposto nella suddetta denuncia, in data 29 giugno 2015 a seguito di un'aggressione subita da parte del medesimo individuo il vicesindaco e i suoi familiari hanno riportato gravi traumi refertati presso l'ospedale di Civita Castellana;
   nell'ultima aggressione, secondo quanto riportato da notizie diffuse a mezzo stampa, il vicesindaco sua moglie e la figlia sono stati medicati presso l'ospedale di Civita Castellana riportando diversi traumi contusivi ed escoriati con una prognosi di diversi giorni;
   il fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali è stato per troppo tempo sottovalutato. Pur distinguendo fra azioni intimidatorie e mondo della criminalità organizzata, il fenomeno degli atti intimidatori verso gli amministratori locali interessa soprattutto i comuni di piccole dimensioni, laddove l'azione intimidatoria risulta spesso configurarsi quale ritorsione nei confronti di decisioni assunte dall'amministratore locale e reputate ingiuste ingiustamente discrezionali, come anche in quelle aree dove i rapporti fra i diversi livelli istituzionali, anche delle forze dell'ordine, risultano più deboli, accentuandosi, proprio in quelle aree, la sovraesposizione degli amministratori locali;
   la dimensione del fenomeno è molto vasta e complessa, è necessario un intervento di ampio respiro in grado di arginare la deleteria azione intimidatoria nei riguardi degli amministratori locali che oltre a colpire nell'individualità i singoli, mina il sistema democratico, identità e dignità del pubblico ufficiale, che paga forse il prezzo maggiore della crisi economica e della scarsità di risorse finanziarie –:
   se il Ministro sia conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali provvedimenti di propria competenza intenda adottare al fine di garantire una maggiore e più ampia tutela degli amministratori locali;
   se intenda predisporre un'iniziativa normativa volta ad assicurare una adeguata tutela penale agli amministratori vittime di intimidazione. (4-09874)

  Risposta. — La vicenda a cui fa riferimento l'interrogazione parlamentare scaturisce verosimilmente da una controversia relativa al mancato pagamento di circa 82.000 euro, da parte del comune di Mazzano Romano, all'impresa di proprietà del signor A. L. per la realizzazione di taluni lavori eseguiti nel 2004.
  Sul contenzioso il Tribunale civile di Tivoli ha emesso una sentenza di primo grado che riconosce il debito a favore dell'impresa L., contro la quale il comune di Mazzano Romano ha presentato ricorso.
  Tanto premesso, il 24 luglio 2014, il sindaco e il vicesindaco, unitamente a due consiglieri del citato comune, hanno presentato querela nei confronti del signor A. L. relativamente alla diffusione di un volantino dal contenuto diffamatorio.
  Peraltro, il signor A. L. è stato anche deferito al autorità giudiziaria in stato di libertà dalla stazione carabinieri di Campagnano di Roma in quanto, senza preavviso, ha promosso e svolto, il 22 settembre 2014, una manifestazione di protesta contro gli amministratori comunali.
  Il 3 luglio scorso, invece, il vice sindaco, unitamente alla propria moglie e alla figlia, ha presentato formale querela a carico del signor A. L., denunciando di aver subito dallo stesso, il precedente 29 giugno, un'aggressione che ha coinvolto anche i familiari sopraindicati.
  Nella circostanza, il vice sindaco e la figlia hanno riportato entrambi lesioni guaribili in cinque giorni, mentre la moglie è stata refertata con una prognosi di sette giorni.
  Il successivo 10 agosto, A. L. ha presentato a sua volta formale querela presso la Procura della Repubblica di Tivoli a carico del vice sindaco e del suo coniuge, riferendo di essere stato insultato e percosso dal vice sindaco. Nella stessa giornata, il vice sindaco ha sporto un'ulteriore denuncia contro ignoti per un episodio da lui ritenuto intimidatorio.
  Tanto premesso, si informa che, al momento, gli organi preposti non hanno ritenuto di attivare dispositivi di protezione personale e di vigilanza nei riguardi del citato vice sindaco.
  Più in generale si assicura che, al fine di garantire il corretto funzionamento degli organi rappresentativi delle comunità locali, le autorità provinciali di pubblica sicurezza e le forze di polizia seguono con la massima attenzione tutti quegli episodi, quali forme di aggressione o di tentativi di condizionamento o di intimidazione, che possano incidere negativamente sulla libera determinazione degli amministratori locali nell'espletamento delle attività politiche ed amministrative cui sono deputati per legge.
  La protezione degli amministratori locali e delle altre persone esposte a rischio a causa delle funzioni esercitate costituisce, infatti, una priorità nella pianificazione dei servizi di polizia nell'ambito dei piani coordinati di controllo del territorio, che vengono rimodulati in relazione alle mutevoli esigenze del contesto in cui le stesse si trovano a operare.
  Oltre che per l'applicazione delle vigilanze generiche radio collegate nell'ambito dei citati piani di prevenzione generale, la valutazione dell'esposizione a rischio costituisce oggetto di un'approfondita e periodica rivisitazione – sia in ambito locale da parte della competente prefettura che in sede centrale da parte dell'ufficio centrale interforze per la «sicurezza personale (UCIS) – per l'applicazione dei dispositivi di protezione di livello più elevato previsti per i casi indicati dal decreto legge 6 maggio 2012, n. 83, convertito nella legge 2 luglio 2002, n. 133, e disciplinati dal Decreto ministeriale del 28 maggio 2003 in relazione ai diversi livelli di rischio.
  Nei confronti di amministratori locali sono attivi diciotto dispositivi tutori adottati su determinazione dell'ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS) e sono, altresì, in atto 586 servizi di vigilanza generica radiocollegata adottati, sempre nei confronti di amministratori locali, su disposizione delle autorità provinciali di pubblica sicurezza.
  Inoltre, dal 2 luglio scorso, è operativo presso questo ministero osservatorio permanente sugli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali, partecipato dalle associazioni rappresentative delle Autonomie locali e dai competenti dipartimenti di questo ministero.
  L'osservatorio ha il compito di costruire un modello di monitoraggio costante finalizzato a disporre degli elementi per una visione complessiva della situazione sul territorio nazionale, tenuto conto che vi confluiranno, semestralmente, anche i dati dell'attività di rilevazione degli episodi intimidatori, già avviata dal Ministero dell'interno.
  Lo stesso osservatorio promuove studi e analisi, al fine di individuare strategie condivise di supporto agli amministratori locali per rafforzarne il ruolo nell'ambito delle funzioni esercitate.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 aprile 2015 presso la stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova, si è verificato un guasto ad un quadro elettrico;
   intorno alle 17.30, con grande probabilità, una scintilla, provocava uno scoppio e successivamente un piccolo incendio ai quadri elettrici della sala impianti, sicurezza e segnalamento della stazione stessa, mandando in tilt tutti i programmi di viaggio sulle direttrici Milano – Venezia, e Bolzano – Bologna;
   nell'immediatezza dell'evento la stazione di Porta Nuova si blocca completamente: non c’è più energia elettrica, i treni spengono le luci, così come tutti i terminali; i viaggiatori in attesa dei treni nella stazione perdono ogni orientamento a causa anche della mancanza di annunci sonori di aggiornamento sulla situazione, in quanto non v’è nemmeno l'energia per consentirli;
   nell'immediatezza, grazie all'intervento combinato dei dirigenti delle Ferrovie della Polizia municipale di Verona, dei vigili del fuoco e della polizia ferroviaria si riesce comunque garantire la sicurezza dei viaggiatori e lavoratori presenti in stazione;
   l'incendio di materie plastiche, quali le guaine dei cavi elettrici del quadro elettrico di comando delle segnalazioni provoca un denso e pungente fumo pregno di sostanze chimiche che rende l'aria irrespirabile;
   l'intervento immediato consente la creazione di presidi che smistano i viaggiatori in transito; è interdetta l'area dell'incendio e vengono altresì evacuati gli uffici di operatori e dirigenti della stazione;
   la polizia ferroviaria di Verona per mezzo del dirigente Maria Grazia Di Masi, spiega che il guasto elettrico ha generato il blocco dell'erogazione di energia e la conseguente paralisi della stazione con ovvie ripercussioni su tutto il traffico di treni in circolazione da e per la stazione di Verona;
   sin da subito ci si è resi conto che il guasto avrebbe provocato notevoli disagi;
   le condizioni di sicurezza che venivano man mano ripristinate hanno consentito la partenza solo di alcuni treni, i passeggeri ed i viaggiatori degli altri treni che, invece, non sarebbero potuti partire, sono stati comunque invitati a restare sul marciapiede senza salire sui treni;
   nella zona, prima del guasto, erano stati segnalati alcuni problemi di sbalzi di tensione elettrica anche negli uffici proprio all'interno della stazione;
   l'incendio, domato con l'utilizzo di estintori ad anidride carbonica, a detta di Walter Picco, caporeparto dei vigili del fuoco in servizio alla stazione, potrebbe presumibilmente essere stato provocato da una sovratensione ai quadri elettrici all'interno della sala controlli;
   una volta evacuati i fumi sono intervenuti i tecnici delle Ferrovie per ripristinare il funzionamento dei quadri elettrici;
   il dirigente delle Ferrovie, in servizio al momento dell'incendio, Enzo Mauli, riferisce che nella situazione venutasi a creare tutti i treni che si sono trovati in coda a Venezia, Bolzano, Milano, hanno accusato inevitabili ritardi poiché tutti i treni passano sulla stessa rotaia;
   un gruppo di 600 persone, sono state fatte scendere, nella stazione di Buttapietra (Verona), da un treno Freccia Argento, questi passeggeri hanno atteso a lungo che qualcuno li informasse su come proseguire il viaggio;
   un testimone ha spiegato alla stampa che al momento dell'arrivo dei bus che avrebbero dovuto caricare i passeggeri per concludere il viaggio si è creata una grande calca e i mezzi sono stati presi d'assalto;
   il guasto verificatosi nella trafficata stazione di Verona Porta Nuova, snodo fondamentale del sistema ferroviario italiano, sia passeggeri, sia merci, delle direttrici nord-sud ed est-ovest, ha complessivamente causato ritardi di oltre due o in alcuni casi tre ore, con l'immaginabile grave disagio di tutti i passeggeri dei treni restati bloccati sui binari ed i viaggiatori nelle stazioni in attesa dei treni in arrivo e partenza –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se e quali strumenti intenda utilizzare per fare chiarezza sulla vicenda in merito ai dispositivi automatici di sicurezza in funzione nel sistema ferroviario anche approfondendo le eventuali responsabilità che possano venire ravvisate, in relazione alla sospensione del servizio ferroviario;
   se e quali azioni intenda intraprendere per verificare se il guasto verificatosi nella stazione di Verona Porta Nuova, snodo fondamentale del sistema ferroviario italiano, sia da imputare alla scarsa manutenzione ovvero a quali altre cause osso sia riconducibile;
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali presso la stazione Porta Nuova di Verona ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza in merito ai fatti di cui sopra. (4-10628)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sono state acquisite informazioni presso Rete ferroviaria italiana (Rfi) che ha comunicato quanto segue.
  Alle ore 17,30 circa del 30 aprile 2015, veniva riscontrata la mancanza di alimentazione a tutti gli apparati di stazione con fuoriuscita di fumo dai locali tecnologici e dall'ufficio movimento della stazione di Verona Porta nuova. Il personale della manutenzione di Rfi, chiamato a intervenire, riscontrava la fuoriuscita di fumo dalla zona della sala relè della stazione e allertava immediatamente i vigili del fuoco; questi, giunti sul posto alle ore 18,15, constatavano l'incendio al quadro di distribuzione di energia elettrica di importanti impianti di esercizio ferroviario della stazione.
  Alle ore 19,20, si concludeva l'intervento da parte dei Vigili del fuoco, i quali autorizzavano gli agenti della manutenzione di Rfi ad accedere ai suddetti locali per iniziare le operazioni di ripristino.
  Alle ore 21,10 veniva ripristinata l'alimentazione dell'apparato tramite gruppo elettrogeno e la parziale funzionalità dell'impianto necessario alla gestione della circolazione dei treni.
  Alle ore 21,35 veniva ripristinata la completa funzionalità dell'impianto di Verona Porta nuova, quindi 2 ore e 15 minuti dopo l'autorizzazione dei vigili del fuoco.
  Rfi ritiene che la causa dell'evento sia da imputare alle sovratensioni di natura armonica, probabilmente di forte entità e persistenti, dovute al particolare ma temporaneo assetto delle linee ad alta tensione che portano energia elettrica agli impianti di Rfi stessa. Si è pertanto trattato di una condizione eccezionale, assunta a seguito della necessità di modificarne il normale assetto per consentire l'esecuzione di lavori di manutenzione in sicurezza su linee elettriche disalimentate.
  Pertanto, l'accadimento non è da imputarsi alla scarsa manutenzione degli impianti che hanno subito la combustione né di altri impianti di Rfi.
  A seguito dell'evento, Rfi ha adottato contromisure organizzative in merito alla rete di distribuzione dell'energia elettrica, tali da non consentire il ripresentarsi del particolare assetto che ha determinato l'incendio. Inoltre, sotto il profilo tecnico-impiantistico, al fine di ridurre gli effetti sulla circolazione di un'eventuale futura mancanza o carenza di alimentazione, è stata realizzata una separazione delle fonti di alimentazione di zone distinte della stazione.
  Per quanto riguarda i dispositivi automatici di sicurezza in funzione nel sistema ferroviario, benché la circolazione ferroviaria abbia subito ripercussioni, il servizio non è stato sospeso; piuttosto sono stati adottati sistemi di gestione della circolazione, in applicazione dei regolamenti vigenti, che hanno comunque garantito la continuità del servizio in sicurezza.
  Con riferimento agli effetti dell'incendio sul sistema ferroviario, Rfi ha fatto presente che, sotto il profilo della prevenzione, il quadro di distribuzione dell'energia incendiatosi è stato realizzato in un locale separato e segregato dagli impianti di circolazione veri e propri, al fine di evitare che tali macchine strategiche potessero essere interessate da avarie come quella in esame. Proprio in virtù di questa scelta, è stato possibile garantirne l'integrità e realizzare il ripristino della completa funzionalità dell'impianto di Verona Porta nuova in un tempo relativamente contenuto (poco più di due ore).
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   VACCA, VIGNAROLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 17 settembre 2014, nello stadio Olimpico di Roma, si è giocata la partita di calcio Roma-Cska Mosca di Champions League;
   come ampiamente riportato dai mezzi di informazione, si sono verificati incidenti prima e durante la sfida tra Roma e Cska;
   in particolare, fuori dallo Stadio Olimpico prima dell'inizio della partita di Champions ci sono registrati i primi incidenti in quanto le fazioni delle due tifoserie sono venute a contatto;
   secondo le cronache riportate dai mezzi di informazione, la tensione è salita intorno alle 20, quando le due tifoserie sono venute a contatto nella zona dell'obelisco, luogo frequentato dal tifo organizzato della Curva Sud romanista. Un nutrito gruppo di russi (100 o addirittura 200, riportano le cronache) sarebbe riuscito a raggiungere piazza Duca d'Aosta dove ha incrociato gli ultras giallorossi che stavano recandosi allo stadio;
   negli scontri due tifosi del Cska di Mosca sono rimasti feriti, uno di loro è stato colpito all'addome e a un braccio da alcune coltellate. È stato, successivamente, trasportato dal 118 in codice rosso al policlinico Gemelli;
   sul luogo degli scontri i danni per le autovetture parcheggiate sono stati ingenti, con moltissimi vetri infranti e ammaccature alle carrozzerie delle autovetture parcheggiate;
   per garantire l'ordine pubblico le tifoserie avversarie non dovrebbero mai entrare in contatto tra di loro, tant’è che, solitamente, tifosi della squadra ospite vengono scortati dalla polizia fino all'ingresso dello stadio, nei distinti nord, dalla parte opposta al luogo dove si sono verificati gli scontri, proprio con l'obiettivo di evitare qualsiasi tipo di contatto tra gruppi di tifosi opposti;
   è evidente che qualcosa nella gestione dell'ordine pubblico del pre-partita non abbia funzionato;
   non è accettabile che continuino a verificarsi episodi di violenza e di scontri tra le tifoserie, nonostante i gravissimi incidenti che tutti conoscono, e che i responsabili dell'ordine pubblico non riescano nemmeno a garantire che le tifoserie avversarie non entrino in contatto fra loro;
   sugli stessi incidenti avvenuti il 17 settembre 2014 ha già rilasciato alcune dichiarazioni il segretario generale dell'Uefa Gianni Infantino affermando che la Uefa non può tollerare le scene viste in occasione della gara fra la Roma ed il Cska Mosca sottolineando l'intenzione di aprire una procedura disciplinare sugli incidenti verificatisi in occasione dell'incontro; ha dichiarato inoltre che l'Uefa non accetta mai questi episodi concludendo che dall'inchiesta si dovrà capire di chi sono le principali responsabilità di quelle scene intollerabili;
   mentre la Uefa, per voce del proprio segretario generale, afferma l'intenzione di aprire una inchiesta sugli scontri sopra descritti, si assiste al silenzio assordante del Ministro interrogato e dei responsabili dell'ordine pubblico della città di Roma –:
   come sia possibile che le tifoserie del CSKA di Mosca e della Roma siano entrate in contatto fuori dallo stadio, nella zona più calda del tifo organizzato romanista, durante il pre-partita, mettendo a repentaglio l'ordine pubblico e la stessa sicurezza dei tifosi che si recavano ad assistere alla partita. (4-06118)

  Risposta. — Il 17 settembre 2014, alle ore 20,45, si è tenuto presso lo stadio Olimpico l'incontro calcistico Roma – CSKA Mosca valevole per la «UEFA Champions League», con la partecipazione di circa 44.000 spettatori, di cui circa 600 appartenenti alla tifoseria ospite.
  La questura di Roma, come di consueto in occasione di eventi sportivi rilevanti, ha predisposto il necessario dispositivo a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, istituendo servizi di vigilanza nelle località di arrivo e nel punto di raccolta dei tifosi ospiti individuato a piazzale delle Canestre, nel centro cittadino e nell'area esterna ed interna dello stadio Olimpico.
  Presso il citato punto di raccolta della tifoseria ospite il servizio è stato potenziato con un'aliquota di rinforzo di 20 agenti del reparto mobile della polizia di Stato e di 20 carabinieri della linea mobile, in modo da garantire l'avvicinamento allo stadio Olimpico dei tifosi russi in condizioni di sicurezza per la cittadinanza e per loro medesimi.
  Solo 50 del circa 600 tifosi russi, già presenti o diretti a Roma, hanno utilizzato la località di concentramento così come era stato pubblicizzato attraverso gli organi di stampa con una apposita brochure, inviata all'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive e a tutti gli Uffici di polizia che potevano entrare in contatto con la tifoseria in arrivo alle stazioni ferroviarie, agli aeroporti e ai caselli autostradali.
  Alle ore 19.00 circa è iniziato il massiccio afflusso di tifosi ospiti che, a piedi, giungevano da più direzioni e in particolare da lungotevere Cadorna e lungotevere Flaminio, area esterna dello stadio riservata alla tifoseria romanista.
  Alcuni di questi tifosi detenevano il biglietto per una delle tribune e ciò ha creato evidenti problemi di contatto tra russi e romanisti.
  Tale criticità è stata gestita accompagnando la tifoseria ospite a piccoli gruppi da stewards coadiuvati da personale di polizia verso gli ingressi della Tribuna Montemario e, attraverso un percorso interno, fino al settore loro assegnato.
  Gruppi più folti di tifosi ospiti sono stati invece scortati da personale di polizia fino all'ingresso del settore loro riservato.
  I Servizi nell'area esterna dello stadio Olimpico sono stati organizzati con 5 Nuclei nobili di pronto intervento.
  Verso le 19.40, un gruppo di circa 50 tifosi russi si è mosso sul lungotevere Flaminio e, attraversato il ponte della Musica, ha proseguito sul lungotevere Cadorna in direzione di piazza Lauro De Bosis.
  All'altezza del ponte Duca d'Aosta, il gruppo, dopo avere ingaggiato azioni violente con i tifosi romanisti concentrati in quella località, loro consueto punto di stazionamento, è stato intercettato da uno dei Nuclei mobili e tenuto lontano dalla tifoseria locale.
  Un secondo nucleo mobile ha coadiuvato l'intervento controllando i gruppi di facinorosi romanisti coinvolti negli scontri.
  Nella circostanza, a causa del lancio di un tubo metallico, un operatore del reparto mobile di Firenze, colpito al volto, è stato ricoverato con 30 giorni di prognosi per frattura alla mandibola, nonostante indossasse il casco di ordinanza.
  I servizi interni all'area riservata sono stati organizzati come di consueto con stewards, militari dell'Arma dei carabinieri, agenti dei reparti mobili, carabinieri della linea mobile e militari della Guardia di finanza antiterrorismo pronto impiego, a disposizione di 7 funzionari direttivi con il coordinamento del dirigente e un congruo numero di operatori in abiti civili del commissariato Prati.
  Durante le operazioni di filtraggio dei tifosi ospiti, sono stati tratti in arresto 2 tifosi russi per possesso di 3 coltelli e 2 fumogeni abilmente occultati.
  Nelle prime fasi dell'incontro non si sono registrate criticità.
  Intorno alle 22.20 circa, durante il secondo tempo, un consistente gruppo di tifosi russi è avanzato verso gli stewards che delimitavano la fascia di rispetto, lanciando diversi fumogeni in direzione della curva nord e innescando un lancio reciproco di oggetti.
  Nella circostanza, gli stewards insieme ai dirigente del servizio con personale di polizia in abiti civili, hanno cercato di calmare gli ospiti invitandoli ad indietreggiare, ma la parte più facinorosa di questi li ha aggrediti con notevole violenza.
  Contestualmente il dirigente del servizio ha ordinato l'ingresso di personale dei reparti inquadrati nel settore ospiti, contenendo l'azione aggressiva dei facinorosi i quali inizialmente non hanno desistito dalle azioni violente neanche nei confronti del personale di Polizia.
  Al fine di procedere alla identificazione degli autori di dette azioni illegali, sono state acquisite le riprese dal circuito video interno e quelle delle postazioni televisive Mediaset.
  A questo punto la tifoseria ospite è stata fatta uscire dal settore con modalità tali da consentire di bloccare alcuni dei predetti tifosi.
  In particolare 15 tifosi corrispondenti nei lineamenti a quelli ripresi durante gli scontri sono stati accompagnati presso il posto di polizia per una più completa identificazione.
  Al termine delle operazioni 5 soggetti di nazionalità russa sono stati tratti in arresto.
  Nel corso delle fasi descritte, 13 steward sono rimasti feriti, mentre 3 operatori del Commissariato Prati hanno avuto lesioni giudicate guaribili in 20, 7 e 5 giorni. Il primo di questi è stato ricoverato in osservazione.
  Durante l'afflusso ed il deflusso delle tifoserie è stato fatto uso alternato di un elicottero della polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri con telecamera.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   VEZZALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 283 del decreto legislativo n. 209 del 7 settembre 2005, il Fondo di garanzia per le vittime della strada provvede, tra l'altro, al risarcimento dei danni alla persona causati da veicoli non identificati e non assicurati;
   per effetto della gravissima crisi economica in atto, negli ultimi anni è raddoppiato il numero dei veicoli non assicurati, raggiungendo la quota di circa tre milioni (dati ACI), così come il fenomeno di polizze false o addirittura compagnie assicurative inesistenti dati IVASS – Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni;
   negli ultimi anni, sarebbero conseguentemente aumentati anche gli incidenti provocati da veicoli non assicurati;
   il Fondo di garanzia per le vittime della strada è finanziato dal contributo obbligatorio del 2,5 per cento di ogni polizza RC Auto e dalle sanzioni comminate dall'IVASS alle compagnie assicurative che commettono delle irregolarità;
   nonostante il Governo Monti abbia adottato alcuni provvedimenti legislativi in materia, volti a combattere le frodi e ad allontanare il rischio default del predetto Fondo di garanzia per le vittime della strada attraverso l'introduzione del cosiddetto «tagliandino virtuale» (decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito), nonché a rafforzare i controlli incrociati tra archivio della Motorizzazione e l'ANIA, occorrerà del tempo prima che essi diano dei risultati visibili –:
   se disponga di elementi che confermino i dati sopra riportati e se esista, nel breve e medio periodo, il concreto rischio che il fondo di garanzia per le vittime della strada possa non essere in grado di far fronte alle crescenti richieste di risarcimento delle vittime di incidenti di veicoli non identificati e/o non assicurati.
(4-00503)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo parlamentare in esame, in premessa occorre far presente quanto segue.
  Preliminarmente, si evidenzia come l'ACI, con un comunicato stampa pubblicato il 28 novembre 2012 (sul proprio sito internet) quantifichi il parco auto circolante sprovvisto di copertura assicurativa in un valore pari a circa 2,8 milioni (limitatamente alle sole autovetture), secondo proiezioni basate su rilevazione condotta in collaborazione con il comune di Roma, polizia Roma capitale e Associazione nazionale per le imprese assicurative, incrociando in tempo reale i dati PRA-ANIA dei 41.825 veicoli che nella settimana dal 24 al 30 ottobre 2012 hanno generato 190.391 passaggi registrati dalle telecamere nelle zone a traffico limitato della capitale. Tale valore, sempre secondo la proiezione effettuata, raggiungerebbe i 4 milioni di veicoli sprovvisti di copertura, considerando tutti i mezzi in circolazione.
  Certamente, il dato riferito dall'interrogante, sebbene caratterizzato da una metodologia di analisi statistica per proiezione su tutto il territorio nazionale, trova conferma nella sostanza delle più recenti rilevazioni effettuate dall'associazione ANIA (pubblicate nella relazione annuale 2014-2015), e corrobora l'allarme sociale connesso al rischio cui sono esposti gli utenti della strada ed i cittadini, potenziali danneggiati.
  Tanto premesso, come pur evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo, in tutti i casi di danni alla persona causati, tra l'altro, da veicoli non assicurati, o per i quali comunque non può essere fatta valere una copertura assicurativa, il nostro codice delle assicurazioni private ha regolato il sistema di indennizzo rimesso al fondo di garanzia per le vittime della strada (operativo dal 1971), finanziato dai contributi incassati dalle imprese (aliquota applicata massima del 2,5 per cento sui premi incassati, al netto della detrazione per oneri di gestione, fissata annualmente con decreto del Ministro dello sviluppo economico), attualmente amministrato da Consap spa, con l'assistenza di un apposito comitato e sotto la vigilanza del Ministero dello sviluppo economico.
  In considerazione del suddetto limite dei contributi e dell'andamento decrescente delle entrate da sanzioni versate nel periodo 2011-2014, a fronte delle diverse ipotesi di copertura assicurativa fornita dal fondo, ulteriori rispetto alla mancata copertura assicurativa (tra gli altri, la copertura dei sinistri per imprese in liquidazione coatta amministrativa), sebbene lo scorso anno sia stato nuovamente registrato un rapporto sinistri e spese su contributi, superiore all'unità, dagli stessi dati di bilancio risulterebbero risultati positivi d'esercizio, con incremento del patrimonio netto, nel periodo 2011-2013 (nonostante un lieve disavanzo riportato nel rendiconto 2014), favoriti da un'attenta gestione del fondo da parte della società e del Comitato di gestione.
  In particolare, proprio le ampie garanzie e riserve patrimoniali esistenti ed amministrate dal fondo, nonché l'efficienza della gestione ordinaria, rimessa a Consap, con riferimento al sistema dei rimborsi corrisposti alle imprese designate (al pagamento dell'indennizzo), garantisce la complessiva sostenibilità a fronte delle presumibili richieste (future) di indennizzo, pur in un contesto di mercato caratterizzato dal recente aumento delle imprese poste in liquidazione coatta amministrativa (i cui sinistri hanno rappresentato un costo in crescita per la gestione del Fondo nel 2011), ovvero in esito al recente aumento dei massimali minimi di copertura ex lege (giugno 2012).
  Detto ciò, in considerazione del rischio potenziale più sopra espresso e rappresentato dal parco auto in circolazione sprovvisto di copertura assicurativa, oltre che dal fenomeno comunque costantemente monitorato da Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, relativo alle imprese non autorizzate o inesistenti, attraverso una serie di provvedimenti adottati nel corso del 2012 (decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, nonché decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 e decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179) il legislatore è intervenuto sul mercato di riferimento, predisponendo una serie di nuovi strumenti per il contrasto delle frodi e delle contraffazioni di polizza, al fine di ridimensionare la complessiva onerosità del sistema (risarcimenti e costi di gestione) a vantaggio degli assicurati e per il raggiungimento della graduale riduzione dei premi di polizza.
  In particolare, tra le altre iniziative pur previste dai decreti indicati (a titolo esemplificativo, l'utilizzo della telematica assicurativa, la previsione di nuovi criteri di efficienza produttiva e l'ampio ricorso all'uso delle risorse web e della digitalizzazione dei dati, anche per l'offerta del contratto base responsabilità civile auto) l'introduzione della dematerializzazione dei contrassegni assicurativi, prevista dall'articolo 31 del citato decreto-legge n. 1 del 2012, ha avuto come obiettivo il contrasto della contraffazione dei contrassegni relativi alle polizze responsabilità civile auto, e la sostituzione dei tagliandi con sistemi elettronici o telematici, anche in collegamento con banche dati, prevedendo l'utilizzo, ai fini dei relativi controlli, dei dispositivi o mezzi tecnici di rilevamento a distanza delle violazioni delle norme del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
  Il provvedimento è stato adottato con decreto ministeriale 9 agosto 2013, n. 110. Gli obiettivi connessi al contrasto delle frodi nel settore assicurativo, ampiamente condivisi e posti all'attenzione dall'attuale Governo, risultano perseguiti anche attraverso diversi interventi previsti dagli altri due decreti citati (ossia, il decreto-legge n. 179 ed il decreto-legge n. 95) in cui, come noto, è stata prevista la costituzione dell'IVASS (subentrato, dall'1o gennaio 2013, all'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private).
  Va altresì segnalata l'attribuzione alla stessa IVASS di nuove funzioni antifrode, attraverso l'utilizzo di un archivio informatico integrato con le banche dati istituzionali, pubbliche e private e per il miglioramento dei sistemi di liquidazione dei sinistri, istituito con decreto ministeriale 11 maggio 2015, n. 108.
  In ogni caso, anche l'implementazione della prevista banca dati dei contrassegni, costituita presso la Motorizzazione civile, in collaborazione con l'ANIA e con le imprese di assicurazione, già garantisce la verifica (dell'esistenza) della copertura assicurativa di auto, motoveicoli e ciclomotori attraverso funzionalità evolute ad accesso via web.
  Da ultimo, si segnala il contenuto del disegno di legge concorrenza, per la parte recante la riforma del settore assicurativo rc auto, approvato alla Camera dei deputati ed attualmente all'esame del Senato, nell'ambito del quale – tra l'altro – sono in discussione ulteriori implementazioni nell'utilizzo della banca dati dei contrassegni assicurativi e dell'archivio informatico antifrode. In particolare, viene disciplinato l'accertamento della violazione dell'obbligo dell'assicurazione per mezzo di dispositivi o apparecchiature di rilevamento omologati anche in assenza degli organi di polizia stradale, prevedendo il confronto dei dati dei veicoli con quelli risultanti dalla banca dati contenente le informazioni relative al contrassegno di assicurazione dematerializzato. Viene, inoltre, rafforzato l'archivio già istituito presso l'IVASS attraverso la previsione di ulteriori interconnessioni con specifiche banche dati pubbliche – casellario giudiziario, carichi pendenti, anagrafe tributaria e residenza, casellario centrale infortuni INAIL –, al fine di garantire la massima estensione alla lotta alle frodi in occasione delle denunce dei sinistri e la facoltà di consultazione del medesimo archivio.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   ZAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano La Stampa ha pubblicato in data 4 agosto 2015 un articolo dal titolo: «Brutto gay, non guardare il mio ragazzo». Poi con cinque amici lo riduce in fin di vita, laddove racconta di una brutale aggressione a sfondo omofobo su un autobus (il numero 1) subita da due ragazzi a Genova intorno alle 4 del mattino del 14 luglio 2015;
   uno dei due ragazzi, quarantenne, sarebbe stato ridotto in fin di vita; dalla ricostruzione fatta dalla fidanzata di questo, tuttora ricoverato in gravi condizioni (non parlerebbe e sarebbe alimentato a fatica), i due erano saliti alle 3,49 sull'autobus 1 da piazza Caricamento per rientrare a casa dopo una serata in compagnia; una volta a bordo, un gruppo di giovani, formato anche da due donne, avrebbe iniziato a inveire contro i due, eterosessuali, perché creduti gay, e successivamente a pestarli infierendo sul volto, sulle gambe, sulla schiena e usando pure delle catene;
   la vittima ferita più gravemente è riuscita ad allontanarsi, a tornare a casa e a raccontare tutto alla fidanzata, spiegando che li avevano massacrati soltanto perché li credevano omosessuali. Non sapeva di avere un ematoma cerebrale, che dopo una settimana, tra il 21 e il 22 luglio, lo ha mandato in coma, ridotto in fin di vita e un intervento di neurochirurgia lo ha salvato in extremis; dall'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena sarebbe infatti stato trasferito al Galliera per essere operato d'urgenza, e poi entrare in coma farmacologico. Solo il 23 luglio i carabinieri sono informati per la prima volta di quel ragazzo in condizioni gravissime (la prognosi è ancora riservata), che ormai non può raccontare nulla;
   sempre secondo il quotidiano di Torino, gli inquirenti, nel corso dell'inchiesta per tentato omicidio coordinata dal sostituto procuratore di Genova Vittorio Ranieri Minati, hanno messo nel mirino un gruppo di giovani che vivono in un quartiere popolare di Genova, ma nessuno di loro è stato al momento identificato con certezza;
   sarebbe scattata altresì una denuncia per favoreggiamento nei confronti dell'autista dell'autobus, che ha visto tutto ma non ha chiamato né i soccorsi né la polizia;
   quanto accaduto sembra senza ombra di dubbio ricondurre a un'aggressione di stampo omofobo, che si aggiunge ai numerosi gravi episodi verificatisi in Italia negli ultimi mesi e riportati dagli organi d'informazione;
   si tratta di una vera e propria escalation di violenza che non accenna a placarsi, ma contro la quale è assolutamente necessaria una stretta per impedire che il fenomeno divenga totalmente fuori controllo –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro dell'interno intenda attuare, di concerto anche con il dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, per scongiurare il verificarsi di episodi similari e tutelare pienamente le persone omosessuali e transgender da discriminazioni e violenze, garantendo loro il pieno rispetto dei propri diritti personalissimi;
   alla luce di quanto esposto in premessa, se e quali iniziative la Presidenza del Consiglio dei ministri intenda attuare per informare e sensibilizzare la popolazione al fine di contrastare le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere. (4-10169)

  Risposta. — Nelle prime ore del 14 luglio 2015, nella centrale piazza caricamento di Genova, su un autobus cittadino fermo al capolinea un cittadino quarantacinquenne e un suo amico di nazionalità britannica sono stati aggrediti e violentemente percossi da un gruppo di giovani, tra i quali due donne.
  Da una prima ricostruzione dei fatti, secondo quanto riportato dal rapporto dei carabinieri, è risultato che le due vittime, a bordo dell'autobus di linea, avrebbero avuto un diverbio con il citato gruppo di ragazzi, sfociato poi in un'aggressione.
  Al termine degli accertamenti, la compagnia carabinieri Genova centro ha deferito all'autorità giudiziaria quali autori dell'aggressione tre giovani tra i 18 ed i 19 anni, tratti in arresto il 19 settembre 2015 in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare per «tentato omicidio», e due ragazze di 19 e 20 anni. Per il minorenne è stato previsto l'accompagnamento in comunità.
  Al momento il pestaggio non sembra riconducibile a ragioni omofobe. Su un piano più generale, circa le iniziative assunte in materia di contrasto all'omofobia ed alle attività di divulgazione della cultura dell'antidiscriminazione, si rappresenta che l'osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) – istituito nell'ambito della direzione centrale della polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza – partecipa, presso l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) della Presidenza del Consiglio dei ministri, al Tavolo di lavoro interistituzionale per la definizione della «Strategia nazionale di prevenzione e contrasto della discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere», nell'ambito del programma «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», promosso dal Consiglio di Europa.
  In tale contesto, con la collaborazione del comune di Torino, capofila della «Rete Ready» (rete di pubbliche amministrazioni contro le discriminazioni ai danni delle persone LGBT), l'Oscad ha organizzato due corsi di formazione interforze a livello centrale (per complessivi 56 funzionari e ufficiali) e otto corsi di formazione a livello regionale, volti alla prevenzione ed al contrasto delle discriminazioni nei confronti delle persone LGBT (per complessive 240 unità).
  In materia di antidiscriminazione e di crimini d'odio, il personale dell'Oscad ha formato complessivamente circa 7.000 operatori delle Forze di polizia.
  Inoltre, l'osservatorio, anche in collaborazione con le istituzioni locali e nazionali, promuove costantemente e contribuisce ad organizzare molteplici iniziative, tese a divulgare il valore della cultura dell'accoglienza e dell'inclusione, il rispetto delle diversità e l'abbattimento di ogni forma di discriminazione.
  In particolare, nel maggio 2015, l'Oscad ha realizzato una campagna itinerante di educazione alla legalità denominata «Tutti differenti, tutti unici... insieme contro le discriminazioni», volta alla sensibilizzazione della cittadinanza sui temi del valore delle diversità e la prevenzione dei crimini d'odio.
  L'iniziativa, tramite l'utilizzo di un truck (dotato di aula multimediale), ha interessato sei città italiane (Venezia, Padova, Modena, Bologna, Ravenna, Ancona) e ha coinvolto sia le giovani generazioni, attraverso incontri nelle piazze principali con gli studenti, la distribuzione di specifico materiale informativo e la proiezione di filmati tematici, sia la cittadinanza, gli insegnanti, i genitori e il mondo dell'associazionismo, mediante convegni e dibattiti pomeridiani organizzati presso strutture individuate dalle realtà locali (teatri, sale conferenze, auditorium).
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.