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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 18 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i testimoni di giustizia sono persone che hanno assistito a eventi criminosi o addirittura ne sono state vittime, e che scelgono di denunciarli e di sostenere le autorità nelle indagini fornendo testimonianze che spesso risultano decisive ai fini dell'individuazione dei colpevoli e la loro successiva condanna;
    la figura del testimone di giustizia è stata introdotta nel nostro ordinamento con la legge 13 febbraio 2001, n. 45, che è intervenuta per stabilire una formale e netta distinzione tra testimoni e collaboratori e individuare i requisiti per il conseguimento di tale status;
    ai sensi di legge, lo status di testimone di giustizia è riconosciuto a «coloro che assumono rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rendono le dichiarazioni esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata dei fatti o di testimone, purché nei loro confronti non sia stata disposta una misura di prevenzione, ovvero non sia in corso un procedimento di applicazione della stessa, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575»;

al fine di permettere ai testimoni di vivere in sicurezza nel tempo di durata dei procedimenti penali ad essi si applicano le speciali misure di protezione già previste in favore dei collaboratori di giustizia dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, ma sin, dall'inizio queste – più che sostenere i testimoni nel proprio impegno in favore della giustizia – hanno alimentato in loro una condizione di profondo disagio;
    a causa delle misure di protezione, infatti, i testimoni si trovano costretti ad abbandonare le città nelle quali vivevano, le proprie professioni e abitudini, ritrovandosi isolati rispetto al loro contesto sociale e in parte familiare, e fanno grande fatica a rifarsi una vita nelle nuove condizioni;
    nel corso della XV legislatura la Commissione parlamentare antimafia ha condotto un programma di attività conoscitive teso a verificare le modalità di gestione dei testimoni di giustizia in applicazione della normativa vigente;
    la relazione sulla situazione dei testimoni di giustizia stilata nel 2008, in esito a tale attività conoscitiva, aveva già rilevato che ad oggi permangono quelle condizioni che «dopo un momento di assistenza iniziale, il teste viene “abbandonato” in balia di se stesso e delle sue esigenze familiari, lavorative e sociali che non solo non vengono prese in esame e soddisfatte, ma incontrano ostacoli per lo più di natura burocratica e amministrativa frapposti proprio da chi è, per legge, preposto a superarli e risolverli»;
    dalla medesima inchiesta erano emerse molteplici interventi necessari per migliorare la condizione dei testimoni, tra i quali: la modifica del modello organizzativo del servizio centrale di protezione, attraverso l'integrazione e il potenziamento del suo organico; la necessità di intervenire sulla variazione dei criteri nella redazione delle perizie e delle stime degli immobili di proprietà dei testimoni; una maggiore attenzione ai dispositivi di sicurezza e alla tutela dei testimoni che scegliessero di rimanere nella località di origine; la modifica della disciplina per il cambio delle generalità; il riconoscimento del danno biologico e del danno esistenziale subito dal testimone in relazione ai danni e sofferenze patite dallo stesso e dai suoi familiari nel programma di protezione;
    nonostante le criticità messe in luce dalla relazione del 2008, poco o nulla è stato fatto, in questi anni, per migliorare le condizioni in cui vengono a trovarsi i testimoni di giustizia in seguito all'inserimento nel programma di protezione;
    alla data del 30 giugno 2014 le persone a cui era riconosciuto lo status di testimone di giustizia erano 86, alle quali vanno aggiunti oltre 260 familiari;
    la relazione semestrale al Parlamento sui programmi di protezione del Ministero dell'interno, depositata nel settembre 2014, ha ribadito che il contatto diretto con la popolazione protetta ha consentito di evidenziare che «il periodo iniziale, riferibile all'applicazione delle misure di tutela ex articolo 17 legge n. 82 del 1991 e successive modifiche, risulta incidere negativamente sullo stato emozionale dei soggetti tutelati in quanto legato a condizioni di vita particolari, caratterizzate da incertezza e provvisorietà sia della collocazione che delle prospettive future»;
    allo stesso modo anche la seconda relazione redatta dalla Commissione antimafia sui testimoni di giustizia, depositata il 21 ottobre 2014 e approvata dal Parlamento nella primavera del 2015, ha evidenziato come «il sistema di protezione, giusto o sbagliato che fosse, è comunque inesorabilmente invecchiato. Ma soprattutto, il malcontento dei testimoni di giustizia, lungi dal placarsi con le migliorie, ha continuato ad accrescersi parimenti al tempo che scorre. Per molti di loro, altri anni si sono aggiunti alla già lunga durata del programma speciale di protezione. Altri anni durante i quali è diventato più difficile cogliere le ragioni di un recinto asociale che ostacola il passo e dell'immutabilità di un pericolo che rimane grave nonostante i decenni trascorsi»;
    la medesima relazione ha evidenziato altresì come l'inchiesta parlamentare si sia svolta «in un momento in cui la crisi della struttura di protezione ha assunto l'aspetto di un fenomeno sismico» e come sia diventato oltremodo necessario individuare le cause recondite del fallimento di un sistema che deve ritrovare la sua strada;
    dalla relazione sono emerse le medesime criticità già rilevate nel 2008; si è concentrata l'attenzione sul deficit informativo che i testimoni soffrono circa i diritti e doveri connessi con l'assunzione del nuovo status, sull'inadeguatezza delle sistemazioni logistiche e quella delle misure di protezione, sulla condizione di isolamento e su quella correlata dell'insufficienza delle misure atte a garantire il reinserimento socio-lavorativo dei testimoni, sull'eccessiva burocratizzazione delle procedure di rilascio dei diversi documenti;
    la commissione centrale, organo istituzionalmente demandato all'esame ed alle determinazioni in merito alle proposte di adozione ed all'applicazione delle misure di protezione, ha espresso l'auspicio di «un incremento complessivo delle risorse finanziarie, al fine di assicurare il buon funzionamento e l'equilibrio del sistema di protezione e, con esso, le favorevoli ricadute in termini di incoraggiamento alla disponibilità alla collaborazione con l'Autorità giudiziaria», considerato che, con riferimento alle misure assistenziali «data la criticità indotta dalla mancanza di disponibilità di congrui stanziamenti che si protrae fin dall'esercizio finanziario 2009, la linea gestionale seguita dal Servizio Centrale di protezione è stata impostata nell'ottica di un graduale contenimento delle spese»;
    per consentire un'efficace lotta alle mafie occorre superare la logica dei «confini nazionali», lavorando piuttosto nella direzione di un'armonizzazione delle normative europee ed internazionali per il loro contrasto;
    a partire dagli anni novanta, in ambito europeo si sono registrati molteplici interventi in materia di protezione dei testimoni, tra i quali la risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del novembre 1995, il piano di azione contro la criminalità organizzata, e nel 2005 la raccomandazione concernente la protezione dei testimoni, mentre in ambito ONU benché non esista una normativa che tratti unicamente la protezione dei testimoni, tale argomento è stato comunque affrontato nella convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale del 2001 e nella convenzione contro la corruzione del 2003;
    inoltre, nel 2000 è stata creata una rete europea di collegamento, coordinata da Europol, che riunisce su base volontaria i capi delle unità specializzate nella protezione dei testimoni, che negli anni è diventata una struttura professionale di dimensione mondiale, attiva in tutti i continenti, e che svolge un ruolo importante nello scambio di informazioni e per la messa a punto di strumenti, ma non contemplano attività operative;
    dalle discussioni in seno alla rete Europol sono scaturiti due documenti: quello relativo ai «principi fondamentali della cooperazione di polizia dell'Unione europea nel settore della protezione dei testimoni», che riguardano principalmente il trasferimento internazionale dei testimoni, e quello sui «criteri comuni per inserire un testimone in un programma di protezione», ossia l'insieme dei criteri applicabili affinché un testimone possa beneficiare di un programma di protezione;
    nel novembre 2007 la Commissione europea, al termine della sua attività volta a valutare l'impatto di un'eventuale proposta legislativa europea in materia di protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia, ha redatto un «Documento di lavoro sulla fattibilità di una normativa dell'Unione europea in materia di protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia», evidenziando come l'analisi svolta avesse dimostrato che malgrado alcuni risultati conseguiti principalmente negli ultimi anni le strutture legislative e amministrative degli Stati membri fossero ancora molto diverse, rendendo di fatto ancora prematura l'adozione di una normativa comune;
    i testimoni di giustizia sono i piccoli «mattoni» delle fondamenta della lotta alle mafie, sono persone che rendono un importante servizio alla comunità, promuovendo la sicurezza della società e dei singoli, e se saranno vittime e non eroi nel confronto con la malavita organizzata, questa risulterà sempre vincitrice;
    la relazione della Commissione antimafia del 2014 ha rilevato che «il testimone di giustizia, essendo colui che adempie a un dovere civico, non può essere retribuito per le sue dichiarazioni ma, al contrario, deve essere posto nella condizione di renderle in sicurezza e senza che la difesa statale possa per lui risolversi in un danno economico, lavorativo o sociale. Pertanto, un rapporto tra Stato e testimone che non si fonda, né può fondarsi, sulla premialità o sull'assistenzialismo, bensì sul riconoscimento e la garanzia dei diritti pregressi»;
    negli ultimi anni i testimoni di giustizia hanno a più riprese manifestato il proprio disagio, al fine di evidenziare all'opinione pubblica la condizione di disagio in cui spesso si trovano a vivere;
    gli interventi in materia di testimoni di giustizia promo si in ambito sovranazionale, pur avendo ormai acquisito la connotazione di un vero e proprio corpus etico (soft law) non costituiscono norme giuridicamente vincolanti, ed è pertanto necessario tradurre quest'insieme di buone pratiche in norme europee comuni, pena il rischio di disincentivare la collaborazione dei cittadini e minare la fiducia nelle istituzioni, mentre la criminalità organizzata persevera,

impegna il Governo:

   ad adottare, anche seguendo le indicazioni della citata relazione della Commissione antimafia, ogni iniziativa utile a migliorare le condizioni di vita dei testimoni di giustizia, in particolare attraverso: la corretta e completa informazione circa i diritti e doveri connessi allo status di testimone di giustizia; l'elaborazione di idonee forme di accompagnamento del testimone di giustizia sia al momento dell'ingresso nel sistema tutorio, sia durante il periodo di sottoposizione alle misure di protezione, sia all'atto della cessazione delle stesse; un maggior coinvolgimento diretto del testimone di giustizia nella scelta del sistema tutorio e delle sue modalità; adeguate misure di sostegno in favore dei testimoni che scelgono di rimanere nella propria località di origine; una riduzione della durata dei programmi speciali di protezione; una maggiore attività di sostegno psicologico in favore dei testimoni;
   a valutare l'istituzione di un tavolo di lavoro permanente per il miglioramento del sistema di tutela e di assistenza dei testimoni di giustizia, che possa elaborare le soluzioni normative e amministrative più idonee a garantire il miglioramento delle condizioni di vita dei testimoni di giustizia e la semplificazione procedurale;
   ad elaborare un sistema di analisi e monitoraggio sull'adeguatezza delle misure di assistenza economica ai testimoni di giustizia, con particolare riguardo al mantenimento della sua posizione reddituale, alle misure di tutela delle attività imprenditoriali eventualmente svolte, e alla valutazione dei progetti di reinserimento socio-lavorativo;
   ad attivarsi in sede europea al fine di giungere alla redazione di una normativa comune sul regime di tutela e protezione dei testimoni di giustizia, al fine di potenziare le tutele in favore di queste persone e di contrastare con maggiore efficacia le organizzazioni criminali.
(1-01064) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dal 1999, è applicato in Italia il principio del contingentamento del prelievo del tonno rosso (Thunnus thinnus), in ottemperanza ai regolamenti del Consiglio dell'Unione europea sul totale ammissibile di cattura per alcuni stock di specie ittiche altamente migratorie;
    ogni anno, nel mese di novembre, la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico (ICCAT), di cui l'Unione europea è parte contraente, fissa, attraverso raccomandazioni vincolanti per la Comunità e gli Stati non comunitari aderenti all'organismo, i limiti di cattura del tonno rosso nell'Atlantico e nel Mediterraneo, stabilendo le quote per ciascun organismo statuale aderente;
    l'Unione europea, attraverso i regolamenti del Consiglio dell'Unione europea, stabilisce la ripartizione tra gli Stati membri della quota attribuita alla Comunità, mentre ciascuno Stato membro definisce la ripartizione a livello nazionale tra categorie di pesca e soggetti autorizzati;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ripartisce la quota spettante all'Italia tra i diversi sistemi ammessi di cattura del tonno: circuizione, palangari, tonnara fissa, pesca sportiva e quote (indivisa e accessoria);
    in fase di applicazione del sistema di contingentamento del prelievo del tonno rosso erano stati definiti i criteri per l'individuazione delle imbarcazioni ammesse alla cattura, criteri che si sono rivelati stringenti ed escludenti rispetto alla molteplicità di soggetti operanti nel settore e rispetto al numero delle marinerie locali interessate dalle rotte dei tonni;
    in particolare, venivano ammesse alla cattura le imbarcazioni che dal ’94 al ’96, per la categoria «circuizione», e dal ’95 al ’98, per la categoria «palangari», avevano catturato esemplari di tonno rosso;
    nell'assegnazione, erano previste anche delle priorità, per le imbarcazioni della categoria «circuizione» che, in licenza, contenevano la voce «tonniera», per le imbarcazioni che catturavano una media annua superiore ai duemila chilogrammi, per coloro che operavano nell'ambito di organizzazioni di produttori e per le imbarcazioni di maggiore stazza;
    i citati limiti avrebbero, in un certo qual modo, condizionato lo sviluppo del settore della pesca del tonno e favorito un sistema di aggregazione tra imbarcazioni ammesse, che ha rafforzato i grandi e definitivamente escluso i piccoli operatori;
    nel 2000, operavano i Italia 238 imbarcazioni autorizzate alla pesca del tonno, suddivise per la pesca a circuizione (50) e per la pesca col palangaro (188), per la quasi totalità proveniente dalle marinerie siciliana e campana;
    oggi, a seguito dei citati processi di aggregazione e della rinuncia delle quote da parte di alcuni operatori, in Italia sono attive 42 imbarcazioni (12 per la circuizione e 30 per la pesca con il palangaro), con una persistente prevalenza di imbarcazioni delle marinerie siciliana e campana;
    questa situazione delinea un quadro fortemente restrittivo per il settore della pesca in Italia e per le potenzialità di sviluppo della cattura del tonno rosso, a fronte degli esiti positivi del piano pluriennale di ricostituzione degli stock di tonno rosso nell'Atlantico e nel Mediterraneo, che ha portato a una rideterminazione in aumento, da parte dell'ICCAT, del totale ammissibile di cattura, con una previsione di un ulteriore aumento nei prossimi anni;
    il sistema della pesca del tonno rosso presenta una serie di criticità rilevate dagli operatori del settore, come la citata diversità di opportunità offerte alle singole marinerie italiane, alcune delle quali fortemente presenti nel settore, altre, la maggior parte, escluse;
    tra le altre cose, è il caso di rilevare che la già residuale quota indivisa, da una parte, viene ulteriormente ridotta perché comprensiva dei sequestri, dall'altra, si raggiunge in breve tempo, al primo passaggio dei tonni lungo le coste italiane, escludendo così ancora una volta le regioni che per ultime vengono interessate dalla rotta del tonno;
    lo stesso sistema di regolamentazione della quota indivisa, con particolare riguardo al regime sanzionatorio, risulterebbe di difficile interpretazione e in definitiva inapplicabile;
    tra gli operatori si registrerebbero diverse incertezze sui comportamenti da assumere in caso di pesca accidentale per il timore di incorrere comunque nelle sanzioni;
    nel suo complesso, il sistema della cattura del tonno rosso, determinato da criteri individuati oltre quindici anni fa, non è più aderente alla situazione attuale del settore, oltre a presentare diversi elementi di iniquità, per effetto delle diverse opportunità offerte alle marinerie italiane;
    a fronte delle diverse condizioni e opportunità del settore, compreso un accresciuto sistema di controlli sulla pesca, continuano a operare le imbarcazioni individuate alla fine degli anni ’90, precludendo l'accesso a nuovi operatori e, di fatto, rendendo problematica anche la semplice pesca accidentale da parte di una piccola imbarcazione;
    si rende più che mai necessario individuare un nuovo sistema di organizzazione della pesca del tonno rosso in Italia, che tenga conto della necessità di aprire il settore a nuovi operatori, garantire pari opportunità di accesso a tutte le marinerie interessate dalle rotte del tonno e riordinare il sistema sanzionatorio,

impegna il Governo:

  ad avviare un processo di riorganizzazione del sistema della cattura del tonno rosso in Italia che tenga conto:
    a) di una più equa ripartizione delle opportunità offerte dalla pesca del tonno rosso agli operatori del settore, rimodulando il sistema di ripartizione delle quote, non più esclusivamente su base nazionale, ma su base regionale, ovvero favorisca, in ogni caso, eguali opportunità di accesso al settore alle marinerie interessate dalle rotte del tonno;
    b) della necessità di aprire il settore della cattura del tonno rosso a nuovi operatori rispetto a quelli rispondenti ai criteri individuati alla fine degli anni ’90.
(1-01065) «Vallascas, Della Valle, Villarosa, Cancelleri, Battelli, D'Ambrosio, Nicola Bianchi, Simone Valente, Brugnerotto, Brescia».

Risoluzioni in Commissione:


   La II Commissione,
   premesso che:
    è in corso il programma del Ministero della giustizia volto alla revisione degli uffici giudiziari delle corti di appello. Il programma fa riferimento a due atti: a) la relazione tecnica del Ministero della giustizia del 13 agosto 2014 e b) l'atto di indirizzo politico-istituzionale per l'anno 2015 del Ministro del 5 settembre 2014;
    in entrambi i documenti sopra citati, il Guardasigilli riferisce che le corti di appello vanno ridotte anche per mezzo della revisione di una regola della cosiddetta prima riforma della geografia giudiziaria (legge n. 148 del 2001 e decreto legislativo n. 155 del 2012 e n. 156 del 2012), cosiddetto «regola dei tre tribunali per distretto»;
    secondo le indicazioni ricavabili dagli atti politici sino ad oggi adottati (documento economico finanziario 2014; relazione tecnica del Ministro della giustizia 13 agosto 2014; atto ministeriale di indirizzo politico istituzionale per l'anno 2015), il processo di riduzione ed accorpamento delle corti d'appello dovrà attenersi, innanzitutto, a rigorosi criteri inerenti l'estensione del territorio, il numero degli abitanti, i carichi di lavoro e l'indice delle sopravvenienze. Oltre a ciò, è tuttavia espressamente previsto che si dovrà tenere conto anche della «specificità territoriale del bacino di utenza, ivi inclusa la specifica ed aggiornata situazione infrastrutturale e dell'effettivo tasso di impatto della criminalità organizzata»;
    se queste sono le linee guida cui ci si dovrà attenere per individuare quali corti d'appello ridurre o accorpare e se queste saranno rigorosamente rispettate appare evidente come molteplici sono gli argomenti che possono essere offerti per potere agevolmente sostenere, a giudizio degli interroganti, che la Corte di appello di Caltanissetta, così come quella di Messina, non possono neppure essere sfiorate a provvedimenti di tal genere;
    si consideri, inoltre, che il criterio territoriale che vorrebbe ridurre ai minimi termini il rapporto tra corti d'appello e regioni, non può non considerare come l'attuale struttura dello Stato sia nazionale e unitaria, anche in materia giurisdizione e, per tali ragioni, mal si comprende quale rapporto vi sia fra l'ente regione e l'esercizio giurisdizionale;
    per la comunità messinese, la chiusura della corte di appello costituisce un ulteriore danno con la perdita di un presidio importante di giustizia che potrebbe portare anche ad uno smembramento di tanti altri uffici giudiziari, con perdita di posti di lavoro, con riferimento tanto al personale amministrativo, quanto a magistratura e forze dell'ordine;
    per quanto concerne l'estensione territoriale, si rileva come la Città metropolitana di Messina risulti essere la tredicesima città più popolosa d'Italia, con un numero di abitanti che sfiora le 250.000 unità nel solo centro cittadino, fino ad arrivare alle 650.000 se si intende considerare l'intera provincia;
    in relazione al criterio dei carichi di lavoro, si rileva che, nel settore civile, alla data del 31 dicembre 2013 la corte di appello di Messina contava 9.659 procedimenti, una quantità superiore agli stessi indici di corti di appello di città quali Genova, (con 6753 procedimenti) e di Torino (con 6359 procedimenti);
    analoghe considerazioni possono essere fatte, relativamente al settore penale, dal momento che la pendenza presso la corte di appello di Messina, alla data del 31 dicembre 2013, risultava essere pari a 5672 procedimenti, un numero pari a quello delle corte di Salerno (5660), di Reggio Calabria (5.660), e di Palermo (5603);
    in data 20 dicembre 2014, l'agenzia di stampa «Adnkronos», riportava le dichiarazioni dei rappresentanti delle giunte distrettuali di Palermo, Caltanissetta, Messina e Catania dell'Associazione nazionale magistrati, rilasciate «in riferimento al paventato progetto di soppressione di alcune corti d'appello siciliane»;
    in tale articolo le giunte siciliane dell'Anm, «evidenziano la ferma contrarietà ad ogni ipotesi di soppressione ed indicano i motivi che rendono tale progetto inattuabile, esoso, oltre che dannoso per la realtà criminale esistente su tutto il territorio siciliano», ritenuto che «la soppressione anche soltanto di alcuni dei presidi distrettuali minerebbe l'efficienza della giurisdizione in Sicilia e delle politiche di contrasto alla criminalità organizzata, proprio per la particolare diffusione capillare del fenomeno mafioso in tutta la regione», determinando, inevitabilmente, «una perdita di “controllo” e di esercizio della legalità in un territorio da sempre caratterizzato da una pervicace presenza di criminalità organizzata»;
    «mancando, allo stato, sia nelle sedi di Catania che in quelle di Palermo, degli edifici idonei a garantire l'eventuale accorpamento degli uffici giudiziari sopprimendi», concludeva l'articolo, saranno inevitabili «gravi difficoltà di ordine logistico e meramente materiale conseguenti ad un'eventuale soppressione alcune Corti»;
    non è da sottovalutare che l'accorpamento di due strutture con tutto il loro carico di lavoro, possa portare ad un risultato negativo per l'intera città di Messina, aggravando, ad esempio, i tempi già esasperanti dei processi e che il risparmio contabile non genera necessariamente un impiego migliore delle risorse finanziarie e umane;
    secondo quanto appreso dagli interroganti, quale conseguenza dell'eliminazione della corte di appello di Caltanissetta, vi sarebbe, tra l'altro, anche la possibile soppressione della procura generale, di importanti uffici con competenza distrettuale (il tribunale minorile e il tribunale di sorveglianza, la Direzione distrettuale antimafia), nonché dell'avvocatura distrettuale dello Stato, e del distretto notarile;
    ad esempio, un primo argomento importante a tutela della corte d'appello di Caltanissetta è quello relativo proprio alla particolare pervasività del fenomeno mafioso nei territori che ricadono nel suo distretto;
    sebbene nel distretto di Caltanissetta il rapporto tra magistrati e popolazione amministrata non sia elevato, dalla lettura dei dati estrapolati dal sistema informatico del Ministero della giustizia ed in particolare dalla scheda denominata «tavola dei tassi di criminalità nei distretti della Sicilia» emerge chiaramente come, tra il 1o gennaio 2004 ed il 31 dicembre 2013 (dato che non tiene conto dell'avvenuto accorpamento del comune di Niscemi), mentre il tasso di criminalità rispetto alla popolazione residente si aggira sul 2 per cento, del tutto identico a quello del distretto di Palermo, allorquando si restringe l'esame ai soli reati per criminalità di tipo mafioso, la percentuale diventa dello 0,21 per cento, di gran lunga superiore sia al dato di Catania che ha lo 0,08 per cento, che a quello di Palermo che ha lo 0,09 per cento;
    altro secondo argomento a favore del mantenimento della corte d'appello sopra richiamata è dato dall'attività della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni che opera in un territorio distrettuale ad alta densità mafiosa, di oltre 450.000 abitanti, che, da sempre, vede dati tra i più alti relativi ai soggetti minorenni sottoposti ad indagine e/o processati per reati di criminalità organizzata, detenendo il poco invidiabile primato di avere il maggior tasso di criminalità mafiosa minorile dell'isola, statisticamente individuato nello 0,06 per cento rispetto alla popolazione residente;
    è ormai noto, come si evince da molte sentenze definitive, come le cosche mafiose del distretto da sempre prediligono l'utilizzo di adolescenti anche di 15-16 anni per la perpetrazione di omicidi, e, anzi, hanno fatto di questa opzione una precisa strategia militare, contando sull'effetto sorpresa del ragazzino che apparentemente sta bighellonando sulla strada mentre, in realtà, è armato e sta per portare a compimento una missione di morte; ma alla base dell'utilizzo dei minori vi è anche un cinica strategia processuale, in considerazione delle meno gravi sanzioni previsti dall'ordinamento penale nei confronti dell'imputato minorenne;
    per meglio comprendere la peculiarità del fenomeno della criminalità minorile nel distretto sopra citato val la pena di evidenziare che dal 1o gennaio 2004 al 31 dicembre 2013, pur a fronte notevoli scoperture di organico e solo per quanto attiene ai reati di tipo mafioso, la procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni ha iscritto ben 62 fascicoli contro 132 indagati noti e di essi ne sono stati definiti ben 52 in primo grado e 420 in secondo grado;
    dalla lettura dei dati statistici emerge come il numero di procedimenti iscritti a carico di indagati minorenni per reati di mafia sia il più alto, e di molto, rispetto a quello degli altri distretti siciliani e sarà destinato ad aumentare, posto che la rilevazione statistica non tiene conto del fatto che nel settembre 2013 vi è stato l'accorpamento del territorio del popoloso comune di Niscemi (in precedenza ricadente nel circondario di Caltagirone e, dunque nel distretto di Catania); si tratta di un centro di quasi 30.000 abitanti, il terzo più popoloso della provincia di Caltanissetta, con una triste tradizione di criminalità organizzata e di situazioni di disagio minorile e di allarme sociale, con particolare riferimento ai reati legati allo spaccio di stupefacenti, a quelli contro il patrimonio e la persona;
    maggiore è la distanza, e quindi la difficoltà degli spostamenti, minore sarà, a giudizio degli interroganti, lo scambio di informazioni e, per l'effetto, minore sarà l'attenzione dedicata al contrasto alla criminalità di tipo mafioso, con il rischio che ampie zone di territorio diventino una terra di nessuno, a disposizione delle organizzazioni criminali;
    non può sfuggire che il rischio sopra illustrato è ulteriormente alimentato dalle recenti vicende che hanno interessato la viabilità siciliana, dato il crollo che ha interessato un viadotto della Palermo-Catania, rendendo ancor più difficili i collegamenti;
    del problema delle infrastrutture e delle difficoltà dei collegamenti se ne è fatta carico anche la Commissione europea per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa che, nel dettare le linee guida del 21 giugno 2013, ha previsto che eventuali riforme in materia di giustizia non debbono incidere negativamente sulla possibilità di accesso della stessa da parte dei cittadini, fino al punto che secondo gli interroganti non sarebbe da escludere l'ipotesi che determinate situazioni potrebbero rendere necessaria l'istituzione di nuovi tribunali;
    gli esempi del territorio siciliano riportati, potrebbero essere replicati con i dovuti aggiustamenti anche in altri casi in Italia, secondo una progettualità che potrebbe essere espressa dagli stessi territori interessati,

impegna il Governo

ad intervenire, con idonee iniziative normative, per evitare la chiusura delle corti di appello che rispecchiano i criteri sopracitati, con particolare riguardo alla peculiarità della loro attività, al grado di efficienza elevato e ai problemi connessi alle condizioni viarie del luogo.
(7-00850) «Sarti, Cancelleri, Villarosa, D'Uva».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 36 della Costituzione stabilisce espressamente che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa...». Dunque, è evidente che senza un'equa retribuzione non vi è dignità per chi lavora, è questo un fondamentale principio della Carta Costituzionale; eppure, l'allarmante numero di lavoratori che in Italia viene sottopagato o, addirittura, svolge prestazioni gratuite, pone di fronte al dato di fatto che quello che dovrebbe essere un principio inviolabile, viene spesso del tutto disatteso;
    predisporre misure di contrasto alla piaga del lavoro sottopagato dovrebbe rappresentare un'emergenza per il Governo, tuttavia, ad oggi, lo stesso non ha adottato nessun provvedimento in merito. Di contro, tale problematica deve essere affrontata prioritariamente considerando che il suo continuo diffondersi, oltre a negare dignità al lavoratore, ostacola i consumi e impedisce all'Italia di crescere e di uscire dall'attuale stato di crisi;
    è evidente che l'istituzione di una «retribuzione minima garantita» rappresenterebbe un efficace strumento per attuare una maggiore equità e tutela della posizione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, conferendogli maggiore potere contrattuale. Difatti, un corrispettivo minimo fissato per legge, su base oraria, è attualmente applicato in molti Paesi europei, mentre in Italia esso vige solo per alcune categorie di lavoratori, in virtù dei contratti collettivi negoziati a livello nazionale;
    il riconoscimento di una «retribuzione minima» escluderebbe fenomeni di sfruttamento che, ad oggi, non sono evitati dai minimi salariali stabiliti nei contratti nazionali, poiché, come è noto, lasciano scoperti il 30-40 per cento del mercato del lavoro italiano, dalle imprese di modeste dimensioni ai lavoratori atipici. Al riguardo, non si ritiene condivisibile la tesi espressa da alcuni sindacati, i quali affermano che l'istituzionalizzazione di una «retribuzione minima» a livello nazionale avrebbe degli effetti negativi, poiché porrebbe le basi per una diminuzione dei salari nel medio termine. Riconoscere un importo minimo del corrispettivo, invece, è un provvedimento necessario per conferire maggiore potere contrattuale ai lavoratori più marginali e riconoscere il lavoro come strumento di dignità, in coerenza con i fondamenti della Repubblica;
    per riparare alla carenza del sistema attuale, pertanto, si ritiene urgente adoperarsi per attuare una dualità dello stesso, prevedendo una retribuzione minima su base nazionale che comprenderebbe quelle categorie di lavoratori che non sono tutelate dai contratti collettivi. Una volta che la «retribuzione minima» sarà in vigore, qualunque lavoratore avrà il diritto di ricevere almeno quel determinato corrispettivo all'ora, che includerebbe qualsiasi attività in agricoltura, nell'industria o nei servizi, senza distinzione di sesso o di età ed indipendentemente dal fatto che si tratti di lavoratori fissi, occasionali o temporanei;
    la retribuzione minima oraria deve configurarsi come il corrispettivo fissato annualmente dal Governo previa consultazione con le organizzazioni sindacali e le associazioni imprenditoriali maggiormente rappresentative, prevedendo una revisione e aggiornamento dello stesso ogni sei mesi, se l'indice dei prezzi al consumo superi le previsioni. È chiaro che l'importo fissato deve costituire una soglia minima, in qualità di garanzia stipendiale che ha lo scopo di evitare situazioni di sfruttamento. Del pari, mediante la contrattazione collettiva o un accordo individuale con il datore di lavoro, dovranno essere previste retribuzioni minime di un ammontare maggiore a quello previsto su base nazionale, qualora lo richiedano le specificità dei diversi comparti occupazionali. Sicché, la contrattazione collettiva avrebbe un ruolo fondamentale proprio per escludere una diminuzione dei salari nel medio termine in quei settori le cui caratteristiche richiedono l'individuazione di corrispettivi superiori, rispetto al minimo previsto su base nazionale;
    contestualmente all'istituzione del corrispettivo minimo, si ritiene necessario adottare adeguati sistemi di controllo per verificarne la concreta applicazione e, in caso di violazione, prevedere la responsabilità penale per i datori di lavoro, in modo da scoraggiare concretamente l'applicazione di retribuzioni che non consentono al lavoratore un'esistenza dignitosa come intende garantire la Carta Costituzionale,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a istituzionalizzare una «retribuzione minima oraria» su base nazionale per attuare una maggiore tutela della posizione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, garantendogli un'equa retribuzione, in conformità all'articolo 36 della Costituzione.
(7-00847) «Rizzetto».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia con una produzione media di oltre 700.000 tonnellate annue è, dopo Cina e Stati Uniti, il terzo produttore mondiale di pere e, di gran lunga, il primo dell'Unione europea;
    circa l'85 per cento della superficie coltivata è concentrata in quattro regioni italiane, ovvero Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte;
    grazie alle particolari caratteristiche ambientali, alla qualificazione degli operatori, allo sviluppo di metodi di coltivazione rispettosi dell'ambiente ed all'elevato livello di organizzazione della filiera, questa coltura ha assunto, nelle aree di maggior diffusione, una notevole importanza economica e sociale, rendendosi necessario porre in essere tutte le iniziative atte a favorire il mantenimento e lo sviluppo della produzione di pere nel nostro Paese;
    nel 2012 è stata segnalata la presenza, in un'area compresa tra le province di Reggio Emilia, Modena e Bologna, di una insetto di origine asiatica, ovvero la cimice Halyomorpha halys;
    inizialmente questa specie aliena non ha provocato problemi particolari ad esclusione del disturbo arrecato alla popolazione per la tendenza degli adulti a riunirsi, per svernare, in gruppi consistenti all'interno di abitazioni e di altri fabbricati, tuttavia, dopo soli due anni dalla comparsa di questo fitofago – caratterizzato da una notevole polifagia, dalla mancanza nel nostro ambiente di efficaci antagonisti naturali e da una grande resistenza nei confronti dei metodi di lotta attualmente consentiti – sono stati riscontrati danni significativi, rappresentati da malformazioni dei frutti provocati dalle punture, su diverse colture ed in particolare modo sul pero;
    nel corso della campagna frutticola 2015 in alcune aziende dell'Emilia-Romagna l'incidenza di pere malformate, e quindi non commercializzabili sul mercato del fresco, ha raggiunto il 50 per cento della produzione totale;
    la cimice Halyomorpha halys sta inoltre evidenziando una elevatissima capacità di adattamento all'ambiente testimoniata anche dalla forte tendenza all'espansione in nuovi territori;
    alla luce di queste evidenze è altamente probabile, entro un periodo di tempo limitato, una diffusione dei danni anche a carico di altre colture di fondamentale importanza per la nostra ortofrutticoltura quali: pesco, melo, susino, albicocco, vite, pomodoro da industria; unitamente all'estensione dei danni alle regioni confinanti dove la cimice è già stata segnalata;
    il Comitato fitosanitario nazionale nella seduta del 28 settembre 2015 ha preso atto dei livelli di dannosità e di pericolosità dovuti allo sviluppo di questo insetto ed espresso, in modo unanime, il proprio parere favorevole affinché venga rafforzato il coordinamento delle informazioni tra le regioni interessate a questa emergenza fitopatologica e sia dato sostegno e collaborazione ai programmi di studio intrapresi;
    per fronteggiare questa nuova emergenza il servizio fitosanitario della regione Emilia-Romagna, unitamente ai consorzi fitosanitari di Modena e Reggio Emilia ed all'università di Modena e Reggio Emilia, hanno attivato un programma di studio e sperimentazione concedendo, nel contempo, alcune deroghe all'impiego di prodotti fitosanitari caratterizzati da attività collaterale nei confronti della cimice asiatica;
    i trattamenti con questi prodotti sono stati effettuati contemporaneamente in vasti areali frutticoli del territorio infestato, sulla base delle indicazioni fornite dal «Coordinamento di produzione integrata» e, in ogni caso, all'interno dei vincoli applicativi dei disciplinari di produzione e nel rispetto delle prescrizioni riportate nelle etichette dei formulati;
    la «produzione integrata» rappresenta un punto di forza della frutticoltura nazionale e, di conseguenza, occorre dedicare una grande attenzione alla costante qualificazione dei disciplinari precedentemente indicati evitando, salvo casi eccezionali, il ricorso a deroghe;
    alla luce di queste considerazioni è assolutamente necessario che tutte le componenti del sistema agricolo italiano pongano in essere specifiche iniziative per bloccare la diffusione di questa specie aliena al fine di individuare e sviluppare, sul piano operativo, strategie di lotta in grado di contenere entro limiti sostenibili – con riferimento sia alla salvaguardia dell'ambiente, della salute degli agricoltori e dei consumatori oltre agli aspetti sociali ed economici – la presenza della cimice Halyomorpha halys nel nostro ecosistema,

impegna il Governo:

   ad avviare tutte le iniziative necessarie per gestire questa nuova emergenza fitosanitaria e, in particolare, ad implementare sia sotto il profilo finanziario che tecnico-organizzativo il programma di ricerca sulla cimice asiatica attualmente in corso, col fine di approfondire la conoscenza del ciclo biologico di questa specie alloctona e condividere le strategie di lotta disponibili per contenerne la diffusione, con l'obiettivo anche di fornire ai frutticoltori, che hanno subito danni nel 2015, le necessarie indicazioni operative per la prossima campagna produttiva;
   ad individuare e sperimentare efficaci metodi di controllo alternativi o di integrazione all'utilizzo di prodotti chimici per gestire la fase successiva alla comparsa ed all'insediamento dell'insetto, con particolare riferimento alla possibilità di testare, nel completo rispetto di tutte la cautele necessarie per evitare la diffusione di specie aliene difficilmente controllabili e potenzialmente dannose, l'efficacia dell'introduzione anche nell'ambiente nazionale di antagonisti naturali alla cimice Halyomorpha halys, secondo modelli di intervento che, come nel caso della lotta alla vespa cinese del castagno, stanno dando risultati particolarmente incoraggianti;
   ad assumere iniziative per attivare forme di credito mirato, col supporto degli strumenti pubblici a disposizione (ISMEA), per la costituzione di un fondo di garanzia che permetta alle aziende duramente colpite da questa emergenza fitosanitaria di ristrutturare e rendere più sostenibile la propria posizione debitoria;
   a promuovere, in particolare nelle aree dove la cimice risulta già insediata, capillari campagne di informazione rivolte alla totalità della popolazione sulla presenza di questo nuovo insetto e sulla sua tendenza a svernare in gruppi numerosi all'interno di abitazioni o altri fabbricati;
   ad accelerare le iniziative volte a dare seguito all'ordine del giorno n. 9/03104-A/001, che impegna il Governo ad emanare apposite linee di indirizzo per il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, al fine di sviluppare la ricerca sulle fitopatie non endemiche;
   ad adottare, anche sulla base del modello australiano che mette in campo severe leggi sulla quarantena, iniziative per vietare l'immissione nel territorio italiano ed europeo di vegetali ed alimenti provenienti da Paesi terzi.
(7-00848) «Zaccagnini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il coleottero giapponese, Popillia japonica, Newman, 1841, è un coleottero appartenente alla famiglia degli scarabeidi, originario del Giappone. Si tratta di una specie che infesta e distrugge tappeti erbosi, piante selvatiche, da frutto e ornamentali e la cui diffusione si sta ampliando. La Popillia japonica per i gravi danni che può arrecare è inserita tra gli organismi da quarantena compresi nell'allegato A parte II della direttiva del Consiglio dell'8 maggio 2000 n. 2000/29/CE e nella lista A2 dell'EPPO;
    la sua presenza, prima del ritrovamento avvenuto in Lombardia e Piemonte, era nota in Europa solo nelle isole Azzorre (Portogallo);
    la Popillia japonica, è una specie estremamente polifaga: negli Stati Uniti è segnalata su circa 300 specie vegetali ed è considerata dannosa su oltre 100 piante. Gli stadi larvali colpiscono principalmente i prati stabili e i tappeti erbosi in genere. Gli adulti invece attaccano in forma gregaria la parte aerea delle piante scheletrizzando le foglie e danneggiando fiori e frutti. Negli Stati Uniti e in Canada, dove è insediata dall'inizio del 1900, rappresenta una delle prime voci di costo per le imprese agricole a causa della difesa delle colture di soia e mais, rappresentando, inoltre, anche un problema ambientale a causa dell'impiego massiccio di insetticidi necessario al suo controllo;
    nel corso del 2014 la presenza di Popillia japonica è stata accertata per la prima volta in Italia ed in particolare:
     a) in Lombardia la Popillia japonica è stata rinvenuta e identificata nel mese di luglio del 2014 lungo il Naviglio Vecchio a Turbigo nel territorio del Parco del Ticino;
     b) in Piemonte la Popillia japonica è stata rinvenuta e identificata sempre nel luglio 2014, nel comune di Bellinzago Novarese, lungo la sponda piemontese del Ticino;
    a seguito del primo ritrovamento i servizi fitosanitari delle regioni Lombardia e Piemonte hanno acquistato dagli USA le trappole attivate con feromoni e kairomoni per valutare la diffusione: in Lombardia la sua presenza è stata accertata con un numero di catture molto modesto pari 480 individui. In Piemonte sono stati catturati complessivamente circa 28.000 adulti;
    nel corso del 2015 le attività di monitoraggio attivate sia dalla regione Lombardia che dalla regione Piemonte hanno evidenziato una crescita esponenziale delle popolazioni. Infatti, le catture nel corso del 2015 hanno riguardato, in Lombardia, circa un milione di insetti mentre in Piemonte circa 10 milioni. Inoltre, si è registrata una forte presenza di larve nei terreni campionati in Piemonte. L'area interessata dalla presenza dell'insetto è cresciuta in modo significativo in entrambe le regioni;
    nel 2015 i servizi fitosanitari delle regioni Lombardia e Piemonte hanno provveduto a definire ed attuare le seguenti misure fitosanitarie:
     a) delimitazione del territorio;
     b) definizione di un piano di lotta regionale coordinato tra Piemonte e Lombardia in assenza di misure comunitarie e nazionali;
     c) creazione di una rete di monitoraggio/cattura massale con l'utilizzo di 1.000 trappole a feromone, 400 posizionate in Lombardia e 600 in Piemonte;
     d) coinvolgimento del parco del Ticino nell'attività di controllo del territorio;
     e) tavolo di confronto con le organizzazioni professionali agricole, i produttori che operano nell'area di presenza dell'insetto e l'Ordine degli agronomi;
     f) tavolo di confronto con le amministrazioni territoriali e le organizzazioni ambientaliste;
     g) giornate formative e divulgative;
     h) attivazione di misure fitosanitarie nei confronti dei vivai con particolare attenzione alle prescrizioni per la protezione delle piante in vaso e con pane di terra;
     i) attivazione di monitoraggi preventivi presso le aree aeroportuali di Malpensa e Cameri al fine di evitare che l'insetto possa essere veicolato in aree indenni attraverso il traffico aereo;
    il trend di incremento dell'insetto registrato quest'anno fa prevedere, per il 2016, una crescita esponenziale della popolazione di Popillia japonica, con prevedibile comparsa di danni alle coltivazioni e alla flora spontanea. Inoltre, potrebbero prefigurarsi gravi conseguenze per le aziende vivaistiche delle zone infestate, in quanto potrebbero essere soggette a misure di blocco alla commercializzazione;
    anche a livello nazionale potrebbero esserci ricadute molto negative in quanto, malgrado l'impegno finora profuso dai servizi fitosanitari regionali, non è possibile escludere un rischio di diffusione di Popillia japonica nel resto dell'Unione europea;
    nella malaugurata ipotesi che ciò accadesse verrebbe ulteriormente compromessa la credibilità del sistema fitosanitario italiano nei confronti della Commissione europea, degli Stati membri e dei Paesi terzi che importano i nostri prodotti vegetali, già messa a dura prova dalle recenti emergenze fitosanitarie;
    in sede di Comitato fitosanitario nazionale sono in fase di definizione le misure fitosanitarie obbligatorie valide per tutto il territorio nazionale per la lotta a Popillia japonica,

impegna il Governo:

   ad avviare tutte le iniziative necessarie per gestire questa nuova emergenza fitosanitaria che, stante il potenziale di crescita manifestato, l'estrema adattabilità dell'insetto agli ambienti infestati e l'elevato numero di specie vegetali attaccabili, rischia di provocare gravi danni alle produzioni agricole ed alle attività vivaistiche;
   ad assumere iniziative per prevedere un sostegno finanziario per l'attuazione delle misure di lotta fitosanitaria obbligatorie da parte delle regioni Lombardia e Piemonte;
   ad assumere iniziative per prevedere un sostegno finanziario per risarcire i danni alle imprese agricole e vivaistiche che saranno oggetto dei provvedimenti fitosanitari obbligatori che le regioni dovranno adottare, anche nelle forme del credito agevolato e dei fondi di garanzia, avvalendosi degli strumenti ritenuti più opportuni;
   a raccordarsi con la Commissione europea sia per evitare l'adozione di misure di emergenza eccessivamente penalizzanti per i territori coinvolti, sia per attivare specifici piani di lotta che possano beneficiare del finanziamento comunitario;
   ad accelerare le iniziative volte a dare seguito all'ordine del giorno n. 9/03104-A/001, che impegna il Governo ad emanare apposite linee di indirizzo al Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria al fine di sviluppare la ricerca sulle fitopatie non endemiche;
   a promuovere ed adottare, anche sulla base del modello australiano che mette in campo severe leggi sulla quarantena, iniziative per vietare l'immissione nel territorio italiano ed europeo di vegetali ed alimenti provenienti da Paesi terzi.
(7-00849) «Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
%

Interrogazioni a risposta orale:


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il comprensorio turistico di Marsia, sito nel comune di Tagliacozzo, è stato realizzato tra gli anni ’60 e ’70 e avrebbe dovuto rappresentare un'importante opportunità di sviluppo economico per le comunicati locali;
   il comprensorio, situato in una zona montana di inestimabile valore naturale e turistico, comprende circa mille abitazioni, esercizi commerciali e lotti di terreno;
   per molto tempo i servizi comprensoriali sono stati gestiti dal «Consorzio di Marsia» (un cosiddetto «consorzio di urbanizzazione», giuridicamente un'associazione non riconosciuta) istituito dalla società lottizzatrice con sede legale a Roma, il quale, però, dopo una prima positiva fase di forte sviluppo, ha cambiato gestione e non è più stato in grado di realizzare opere fondamentali, quali la rete fognante e la messa in funzione dell'acquedotto, terminato nel 1985 e mai collaudato;
   per ovviare a questo stato di cose il  comune di Tagliacozzo dal 2002 svolge direttamente i servizi pubblici necessari quali, ad esempio, la manutenzione delle strade e lo sgombero della neve e nel 2009, in accordo con i proprietari degli immobili, ha istituito, a norma di legge, il «Consorzio stradale obbligatorio di Marsia», ente pubblico finalizzato a risolvere efficacemente i gravi problemi del comprensorio, subentrando al vecchio Consorzio Marsia, come previsto anche dall'atto costitutivo e dallo statuto di quest'ultimo, anche al fine di completare l'urbanizzazione e lo sviluppo del comprensorio;
   pertanto, dal 2002 il vecchio Consorzio Marsia ha cessato di svolgere le sue funzioni e la sua attività a Marsia, ma, nonostante questo stato di cose, gli amministratori dello stesso hanno continuato a produrre ogni anno i bilanci e i piani di riparto delle spese per centinaia di migliaia di euro, pretendendo che i consorziati continuino a corrispondere al Consorzio ingenti somme;
   tutti i provvedimenti adottati dal, comune di Tagliacozzo sono stati dichiarati legittimi da alcune sentenze del TAR Abruzzo e del Consiglio di Stato;
   i proprietari degli immobili di Marsia si sono rivolti alla giustizia per sanare la situazione, ma gli amministratori del vecchio Consorzio hanno avviato una serie di contenziosi presso le sedi giudiziarie di Roma e dell'Abruzzo, causando ulteriori, ingenti spese a danno delle amministrazioni locali e dei proprietari;
   tra le conseguenze dannose della succitata situazione vanno annoverate anche la perdita di valore degli immobili e la quasi totale chiusura degli esercizi commerciali;
   dal 2002 ad oggi sono stati adottati numerosi provvedimenti contro il predetto Consorzio, in particolare: a) alcune sentenze hanno annullato i bilanci preventivi e consuntivi del Consorzio (relativi agli anni dal 2000 al 2009 ed il preventivo del 2010); b) nel maggio del 2011 è stato emesso, dalla Procura della Repubblica di Roma, un decreto di rinvio diretto a giudizio a carico degli amministratori del Consorzio e del titolare delle società appaltatrici; c) nel settembre del 2012 il tribunale civile di Roma ha dichiarato sciolto dal 2009 il Consorzio di Marsia ed ha inibito agli amministratori il compimento di nuove operazioni; d) nel 2013 tre sentenze della Corte d'Appello di Roma hanno revocato altrettante ingiunzioni di pagamento (relative ad ingiustificate quote consortili) richieste dal Consorzio, perché lo stesso non ha prodotto alcuna documentazione attestante le spese sostenute; d) a giugno di quest'anno è stata pronunciata dalla Corte d'Appello una quarta sentenza dello stesso tenore delle altre;
   la situazione per i proprietari del comprensorio di Marsia diventa sempre più grave, infatti coloro, e sono tantissimi, che si rifiutano di versare le quote consortili vengono colpiti da decreti ingiuntivi con conseguenti cause civili presso il tribunale di Roma;
   il disciolto Consorzio continua a produrre bilanci con conseguenti decreti ingiuntivi a danno dei proprietari i quali, giustamente, non pagano, ma subiscono comunque pignoramenti e danni materiali per svariate migliaia di euro;
   ciò avviene in quanto la sentenza che ha dichiarato lo scioglimento del Consorzio di Marsia è stata impugnata in appello e non è ancora passata in giudicato;
   nel decreto di rinvio a giudizio è chiaramente evidenziato che il credito vantato nei confronti dei consorziati è azionato dalle procedure giudiziarie, in pratica, cioè, la continua minaccia e il ricorso alle procedure giudiziarie dal 2002 sono lo strumento di vessazione continua nei confronti dei proprietari del comprensorio di Marsia;
   i suddetti proprietari, a loro volta, hanno presentato altre denunce dalle quali è scaturita una nuova inchiesta, ancora non conclusa;
   questa vicenda rappresenta, a parere dell'interrogante, un incredibile prodotto della giustizia italiana: la magistratura penale, infatti, ha rinviato a giudizio i responsabili del Consorzio di Marsia, ma non ha adottato nessuna misura cautelare per impedire agli stessi di continuare a perpetrare, in assenza di giudizio, quei reati dei quali sono accusati, inoltre, attualmente pende su questi reati il rischio di prescrizione;
   da 15 anni è in atto una situazione che arreca enormi danni alle comunità locali, alle amministrazioni pubbliche del territorio di Tagliacozzo ed ai mille proprietari di immobili presenti nel comprensorio, costretti a pagare il comune ed il Consorzio stradale per servizi effettivamente svolti e centinaia di migliaia di euro al Consorzio privato, anche dopo la completa cessazione di ogni sua attività;
   con una lettera del 16 ottobre 2015, il sindaco di Tagliacozzo e i cittadini proprietari di immobili situati nel comprensorio hanno segnalato la vicenda ai più alti livelli istituzionali, tra cui il Presidente del Consiglio, il Ministro della giustizia e il Ministro dell'interno –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, quali risposte si intendano fornire alle istanze del sindaco e dei cittadini di Tagliacozzo e se non ritenga di assumere iniziative normative volte a evitare che, in casi come quello sopra descritto, vi possano essere applicazioni abnormi e reiterate dello strumento del decreto ingiuntivo, specialmente laddove si attenda la conclusione di procedimenti penali e civili già avviati, in modo da dare coerenza e concreta efficacia ai provvedimenti dell'autorità giudiziaria. (3-01853)


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 24 luglio 2014 il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi ha annunciato che la riforma costituzionale, attualmente in discussione come disegno di legge costituzionale 2613-B, sarà comunque sottoposta a referendum confermativo;
   presumendo che il Ministro si stesse riferendo al referendum di cui all'articolo 138 della Costituzione, è noto che esso prevede che il referendum è previsto nel caso in cui l'approvazione del disegno di legge costituzionale avvenga in seconda lettura con una maggioranza inferiore ai due terzi, quando entro tre mesi dalla pubblicazione della legge in forma notiziale ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali; tale referendum è stato inoltre successivamente annunciato inopinatamente fin da ora anche dallo stesso Presidente del Consiglio;
   con il presente atto di sindacato ispettivo si intende stigmatizzare nuovamente questi annunci e chiedere conto delle modalità della loro attuazione;
   non si capisce, infatti, in base a quale potere costituzionalmente previsto, il Presidente del Consiglio e il Ministro per le riforme costituzionali possano decidere l'indizione del referendum sulla riforma attualmente in discussione alle Camere;
   tale annuncio appare infatti essere all'interrogante una ulteriore e gravissima forzatura dell’iter di revisione costituzionale, che si aggiunge a quelle, gravi e numerose, alle quali si è già assistito in sede di discussione della riforma in questione;
   infatti, la previsione del referendum per i disegni di legge di revisione costituzionale ha lo scopo di offrire ai cittadini la possibilità di intervenire per impedire l'approvazione di una modifica della legge fondamentale dello Stato che non abbia una larga condivisione all'interno delle forze politiche presenti in Parlamento;
   l'annuncio del referendum da parte del Governo sottintendeva un ulteriore intervento diretto del Governo nell’iter della riforma, finalizzato appunto a raggiungere il risultato di indire il referendum costituzionale, che per precisi motivi di ordine costituzionale non è tra i poteri del Governo;
   l'intervento del Governo si articolerebbe in questo caso in due passaggi in primo luogo, il Governo interverrebbe sulla maggioranza parlamentare per far venire meno i voti favorevoli alla riforma, al fine di evitare il raggiungimento della maggioranza qualificata dei due terzi in sede di seconda lettura, in presenza del quale non potrebbe essere richiesto il referendum;
   il proposito di intervento in questo senso da parte del Governo è stato confermato dal competente Ministro per le riforme costituzionali nella risposta all'interrogazione presentata in Commissione affari costituzionali nel corso della seduta dell'8 ottobre 2014;
   in tale sede il Ministro ha spiegato che il Governo aveva condiviso con i gruppi parlamentari che lo sostengono in Parlamento l'ipotesi di garantire lo svolgimento del referendum previsto dall'articolo 138 della Costituzione, in virtù della quale alcuni parlamentari non parteciperanno alle votazioni del disegno di legge di riforma costituzionale in modo da non raggiungere la maggioranza di due terzi;
   impedendo il raggiungimento della maggioranza dei due terzi attraverso un intervento, ad avviso dell'interrogante, invero palesemente contraddittorio rispetto allo spirito del referendum previsto dall'articolo 138 della Costituzione, mancherebbe il successivo passaggio, quello della richiesta del referendum, che avverrebbe attraverso la domanda di un quinto dei membri di una Camera;
   a proposito di questo secondo passaggio si chiede in questa sede se il Governo intenda far richiedere il referendum ai gruppi parlamentari che lo sostengono in Parlamento;
   una simile richiesta apparirebbe infatti una forma plebiscitaria di approvazione della riforma costituzionale stessa, tipica di forme di governo autoritarie e del tutto estranea alle forme di democrazia diretta e partecipativa dei regimi democratici avanzati e utilizzata in modo particolarmente preoccupante nel caso di una riforma costituzionale della portata di quella in discussione;
   la natura del referendum costituzionale previsto dalla Costituzione italiana è infatti oppositiva. Come confermato dalla dottrina (si veda Roberto Romboli, Il referendum costituzionale nell'esperienza repubblicana e nelle prospettive di riforma dell'articolo 138 Cost. in Poteri, garanzie e diritti a sessanta anni dalla Costituzione. Scritti per Giovanni Grottanelli De’ Santi, a cura di Andrea Pisaneschi e Lorenza Violini, 2007), tale natura risulta abbastanza chiaramente da molti degli interventi svolti in Assemblea costituente, ripresi nella relazione con cui l'onorevole Rossi presentò quello che sarebbe divenuto l'articolo 138 in questione, ossia un referendum con lo scopo principalmente di garantire e tutelare le minoranze parlamentari, alle quali è riconosciuta la facoltà di richiedere il ricorso al corpo elettorale, allorché abbiano a percepire la revisione costituzionale come lesiva dei loro diritti;
   questa interpretazione è stata successivamente confermata dalla più autorevole dottrina costituzionalistica attraverso l'espressione: «se non c’è dissenso, non c’è referendum» (così Sergio Panunzio in Riforme costituzionali e referendum, in Referendum, a cura di Massimo Luciani e Mauro Volpi, Bari, 1992, pagina 91);
   deve inoltre ricordarsi la nota affermazione dello stesso relatore in Assemblea costituente onorevole Rossi, il quale sostenne che il riconoscimento della possibilità di approvare una legge di revisione con il voto favorevole della sola maggioranza assoluta doveva ritenersi strettamente legato al sistema elettorale di tipo proporzionale;
   in questo caso, infatti, il caso di richiesta di referendum da parte della stessa maggioranza che sostiene il Governo avrebbe, secondo l'interrogante, un carattere plebiscitario ancora più marcato, perché, come è noto, l'approvazione della riforma sta avvenendo a colpi di stretta maggioranza parlamentare, una maggioranza prodotta da un sistema elettorale di tipo non proporzionale, ma da un sistema elettorale che a causa della sua natura ipermaggioritaria e antidemocratica è stato dichiarato incostituzionale;
   in questo caso si è dunque in presenza non solo di una riforma organica della Costituzione approvata a «colpi» di maggioranza, quindi, ma una riforma organica della Costituzione approvata da una maggioranza prodotta da una legge elettorale, ad avviso dell'interrogante, antidemocratica e incostituzionale;
   quanto è accaduto in occasione della riforma costituzionale del Titolo V dovrebbe essere un precedente da non ripetere: la richiesta di un intervento diretto del corpo elettorale, che ebbe luogo il 7 ottobre 2001, non venne inoltrata soltanto dalle componenti parlamentari rimaste soccombenti nelle deliberazioni (il centro-destra, allora minoranza), bensì anche da parte dei sostenitori stessi della riforma, che richiedevano l'impiego dell'istituto di democrazia diretta per finalità non certo oppositive, ma sintetizzabili nella volontà di ottenere, come peraltro successivamente accadde, una sorta di «avallo incondizionato» da parte del popolo; il risultato è stata l'approvazione di una riforma definita «criminogena» dall'attuale presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, ma al di là dei giudizi di merito su quel risultato, resta pericoloso sul piano del metodo, per le ragioni esposte, il tentativo di trasformare il referendum di garanzia in uno strumento plebiscitario e pertanto tale tentativo non dovrebbe ripetersi –:
   se il Governo intenda sottoporre a referendum la riforma della Costituzione attualmente in discussione attraverso la richiesta del referendum da parte dei parlamentari della stessa maggioranza che lo sostiene e che approverà la riforma.
(3-01856)


   BOLOGNESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   suscita dubbi la procedura attraverso la quale Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, condannati rispettivamente a 8 e 9 ergastoli – il numero più alto nella storia giudiziaria italiana – per innumerevoli omicidi e per l'esecuzione della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, hanno ottenuto il beneficio della liberazione condizionale;
   la risposta data all'interrogante dal sottosegretario Cosimo Maria Ferri, in data 3 marzo 2015, sulla effettiva sussistenza dei presupposti richiesti dalle norme per concedere il beneficio della liberazione condizionale ai due citati stragisti, contiene motivazioni che appaiono all'interrogante non corrispondere alla realtà dei fatti noti, ovvero fondate su conoscenze parziali e imprecise;
   per l'ottenimento del beneficio della liberazione condizionale il requisito del ravvedimento non soltanto costituisce la condicio sine qua non, ma deve inoltre essere sicuro (articolo 176 codice penale);
   nessuno dei requisiti essenziali – il pieno ravvedimento e la certezza della sua esistenza – era presente nel caso dei due stragisti;
   gli elementi citati dai sottosegretario Ferri non dimostrano ad avviso dell'interrogante il ravvedimento perché la «circostanza desunta dai rapporti, dell'autorità penitenziaria che il condannato nel corso dell'espiazione della pena, abbia tenuto una condotta assolutamente incensurabile» – circostanza richiamata nelle risposta del sottosegretario Ferri – non configura il requisito imprescindibile consistente nell'interessamento dell'autore del reato nei confronti delle vittime del reato che ha commesso;
   la «consapevolezza» di Mambro e Fioravanti «della gravità del danno procurato alle vittime», affermata dal sottosegretario Ferri, non risulta affatto ai familiari degli 85 morti e ai 200 feriti, vittime della strage di Bologna, ai quali i due stragisti non hanno mai chiesto perdono, perseverando in un comportamento di totale indifferenza;
   il provvedimento di beneficio condizionale concesso ai due stragisti non può ritenersi giustificato in presenza di un atteggiamento di totale indifferenza rispetto alle vittime di gravissimi crimini;
   ad ulteriore prova della totale mancanza di un ravvedimento, vi è, ad abundantiam, la significativa dichiarazione di Fioravanti – riportata in audio sul sito del quotidiane Il Fatto, in data 26 luglio 2012 – rivolta al presidente dei familiari dell'Associazione 2 agosto ’80: «Paolo Bolognesi non può fare il presidente delle vittime, ha perso solo la suocera». Tale dichiarazione conferma ancora una volta il persistente disprezzo nei confronti della vita umana che ha contraddistinto la carriera criminale del Fioravanti, disprezzo che dimostra e conferma, in termini oggettivi, la mancanza di qualunque ravvedimento;
   il mancato ravvedimento è aggravato dai dato che i due stragisti hanno sempre negato l'esecuzione della strage, arrivando a criticare – in alcune interviste – i magistrati che li hanno condannati per un «modo di fare giustizia politicizzato». «Abbiamo avuto da fare per 15 anni», ha dichiarato Fioravanti, «contro questa che io chiamo una grande falsificazione. Abbiamo combattuto contro diverse decine di persone serie, ben pagate, ben stipendiate, che costruivano prove contro di noi» (La Discussione, 27 ottobre 2004);
   nella risposta data all'interrogante il sottosegretario Ferri – a sostegno della regolarità del beneficio concesso ai due stragisti – ha dichiarato che «la Digos di Roma aveva riferito che, dalle informazioni di polizia acquisite sul conto del Fioravanti e della Mambro, non constavano collegamenti attuali con la criminalità organizzata od eversiva; inoltre, non risultavano da altre fonti persistenti contatti dei due condannati con ambienti criminali o comunque personaggi sospetti»;
   l'affermazione riportata, a quanto consta all'interrogante, non risponde a verità;
   al contrario, nel corso del processo penale a carico di Gennaro Mokbel, già componente del gruppo terroristico NAR, capeggiato da Fioravanti, è emerso, come scrive il G.I.P. del Tribunale di Roma nella sua ordinanza, che Mokbel, «unitamente alla moglie Giorgia Ricci, continua a mantenere contatti, sia telefonici che di persona (...) con vecchi esponenti dell'eversione di destra, in particolare Francesca Mambro, indicata come la Dark, e Valerio Francesco Fioravanti, detto «Giusvà». Lo stesso Mokbel, in diverse conversazioni intercettate, «ha detto di essere sempre stato molto vicino ai due soggetti, anche attraverso rilevanti sostegni economici» affermando di avere speso un milione e duecento mila euro per la loro liberazione;
   se – come dichiarato dal sottosegretario Ferri – tali conversazioni non sono state considerate penalmente rilevanti, esse sono però secondo l'interrogante la prova oggettiva ed incontrovertibile della persistenza di collegamenti attuali, da parte di Mambro e Fioravanti, con la criminalità organizzata. E, specificamente, con il capo di un'associazione a delinquere, condannato – il 17 ottobre 2013 – a 15 anni di carcere, dal tribunale di Roma, nell'ambito della sentenza Fastweb Telecom Sparkle, per la frode di 2 miliardi di euro al fisco e riciclaggio di diamanti;
   nel 2008 il comune di Roma, di cui all'epoca era sindaco Gianni Alemanno oggi indagato per corruzione nell'inchiesta su Mafia Capitale, chiamò a collaborare l'associazione «Angeli4» di cui erano attivisti Mambro e Fioravanti, che all'epoca non avevano ancora estinto la pena per la strage di Bologna. Atto che l'allora segretario romano del Pdci, Fabio Nobile denunciò: «Vorremmo proprio sapere cosa avrà di dire Alemanno. Farà finta che non ne sapeva nulla o difenderà la sua scelta? Con tante associazioni che si occupano di bambini era proprio necessario chiamarne una in cui pare siano impegnati due fascisti ancora in galera per strage che, insieme, hanno collezionato più di 15 ergastoli?»;
   che il comma quarto dell'articolo 176 del codice penale recita quanto segue: «la liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempiere» –:
   se il Ministro interrogato, alla luce degli elementi esposti in premessa, intenda rivalutare i propri orientamenti in ordine all'avvio di iniziative ispettive ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza;
   se il Governo, sempre alla luce di quanto esposto in premessa, intenda fornire ulteriori chiarimenti rispetto a quanto già affermato dal Sottosegretario per la giustizia, nell'ambito delle proprie competenze, in ordine agli elementi informativi trasmessi dalle forze dell'ordine, in particolare dalla Digos, alle autorità preposte ai fini della concessione del beneficio condizionale;
   se risulti al Governo che i condannati per la strage di Bologna, autori inoltre di numerosi altri omicidi, abbiano adempiuto alle obbligazioni derivanti dai reati commessi e, in caso positivo, se l'adempimento, richiesto dalla legge, sia stato completo, ovvero, nel caso di adempimento soltanto parziale, in quale misura sia intervenuto e quali dei gravissimi danni provocati alle numerose vittime siano stati risarciti;
   se risulti al Governo se, nel caso in cui l'adempimento non sia intervenuto nemmeno parzialmente, i condannati abbiano dichiarato di trovarsi nell'impossibilità di adempiere;
   se risulti al Governo se, nel caso in cui i condannati abbiano rilasciato una dichiarazione formale di impossibilità di adempimento, abbiano altresì fornito la dimostrazione di tale impossibilità, come richiesto dalla legge sopra richiamata, e se tale dimostrazione sia stata data in relazione all'adempimento completo oppure anche alla impossibilità di adempimento parziale. (3-01857)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI, LUIGI GALLO, DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA e SIMONE VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Arnoldo Mondadori Editore, meglio nota come Mondadori, è la maggiore casa editrice italiana. Fondata nel 1907 da Arnoldo Mondadori, Mondadori pubblica libri e giornali (cartacei e digitali) in Italia e nel mondo, disponendo di un'estesa catena di negozi, anche con la formula del franchising. È attualmente controllata dal gruppo Fininvest, che detiene la maggioranza dell'azionariato con il 50,39 per cento (cfr. Wikipedia);
   nel 2009 la casa editrice Mondadori e i comitati di redazione della testata hanno siglato un accordo in cui si prevedeva la richiesta di riconoscimento dello stato di crisi, secondo la disciplina di cui alla legge 416 del 1981 ed al decreto ministeriale n. 47385 del 2009, per poter avviare un piano di risanamento aziendale, in parte finanziato dallo Stato nonostante i bilanci fossero in utile, semplicemente a fronte di previsioni negative per il futuro;
   si trattava di un pesante piano di ristrutturazione che prevedeva pensionamenti e prepensionamenti: calcolati 82 giornalisti in esubero fra tutte le testate del gruppo, 181 fra il personale poligrafico, e un 35 per cento dei dirigenti. Degli 82 esuberi di giornalisti, 52 sono stati affrontati con il prepensionamento, 10 con il pensionamento e altri 20 in altri modi, in particolare l'esodo incentivato;
   a febbraio 2013, Mondadori ha dichiarato altri 35 esuberi, comunicando l'intenzione di chiudere 4 testate mensili – Casaviva, Panorama Travel, Ville e Giardini e Men's Health (lo stesso comprato nel 2011 per rafforzare i periodici) e la Uor Mondadori Tv. A questi 35 esuberi definiti «strutturali» (in quanto derivati da chiusura di testate) se ne sono aggiunti altri che l'azienda e i singoli direttori di testata hanno individuato in altre 9 testate (Tv Sorrisi, Panorama, Tu Style, Ciak, Grazia, Chi, Donna Moderna, Confidenze e Starbene). L'azienda ha, inoltre, aggiunto all'ultimo minuto della trattativa altri 11 giornalisti in appoggio da precedenti situazioni di chiusure/riduzioni di testate (nessuno ha mai saputo chi sono e se esistono effettivamente), portando il numero totale a 87 esuberi;
   l'azienda ha addotto, anche in questo caso, motivi di andamento negativo del mercato per dichiarare la chiusura delle testate e lo stato di crisi. Ma il bilancio 2012 (pari a – 167,3 milioni di euro) che ha motivato l'apertura di questo 2o stato di crisi a giugno 2013 è frutto esclusivamente delle svalutazioni di Mondadori France (-140 milioni euro) e delle frequenze radiofoniche (-46,3 milioni di euro). Senza queste operazioni (non ricorrenti), anche questo secondo stato di crisi sarebbe stato dichiarato con un utile consolidato di 12 milioni di euro, come ammette l'azienda stessa nel comunicato ufficiale sul bilancio 2012;
   gli accordi per questo secondo biennio di stato di crisi (1o giugno 2013 – 31 maggio 2015) prevedevano di smaltire gli 87 esuberi con 44 prepensionamenti ed altri con esodo incentivato. Ma, nell'incertezza di raggiungere il numero totale, è stata decisa anche una solidarietà «cosiddetto difensiva» della durata di due anni su tutto l'organico dei giornalisti AME (pari, nel 2013, a oltre 300 dipendenti), con l'esclusione dei cosiddetti «apicali», ossia i vicedirettori;
   la cassa integrazione a rotazione comporta una riduzione dell'orario di lavoro pari a 2 giorni al mese, mentre la solidarietà è stata fissata pari a 4 giorni al mese, con una decurtazione degli stipendi (ed un risparmio per l'azienda) pari al 20 per cento. L'onere di questi ammortizzatori sociali fa capo sia all'Inpgi (l'ente previdenziale dei giornalisti), che ad un fondo statale da 20 milioni di euro creato nel 2009 per i prepensionamenti dei giornalisti. La parte restante, equivalente approssimativamente al 4-5 per cento delle retribuzioni, va a pesare sugli stipendi dei giornalisti medesimi;
   nonostante questi interventi, e nonostante i risultati economici del gruppo siano nettamente migliorati nel 2014 (come da dichiarazioni rese a varie testate dall'amministratore delegato Ernesto Mauri), la Mondadori ha avuto bisogno a giugno 2015 di dichiarare un nuovo stato di crisi basato sull'esistenza di altri 38 giornalisti in esubero, diversi dei quali in testate che presentavano e presentano conti in forte utile (come Tv Sorrisi e canzoni). In conseguenza di ciò è stato attivato, dal mese di luglio, un nuovo contatto di solidarietà al 15 per cento, che comporta l'astensione dal lavoro per tre giorni al mese;
   da un articolo pubblicato sul «Fatto quotidiano» del 10 novembre 2015, a firma di Marco Palombi (http://www.dagospia.com), si apprende che «... la ristrutturazione del gruppo l'hanno in parte pagata i contribuenti anche grazie a una legge del 2010, che ha concesso stati di crisi e prepensionamenti agli editori. A Palazzo Chigi c'era l'editore Silvio Berlusconi. Di che cifre parliamo ? I conti sono in una interrogazione al governo del deputato renziano Michele Anzaldi: tra prepensionamenti, cassa integrazione e contratti di solidarietà 2013-2015 (rinnovati questa estate) fanno un po’ meno di 15 milioni di euro, solo di utili – insieme ai sacrifici del personale – a rimettere in ordine i conti di Segrate ...». Nello stesso articolo si legge che sarebbero stati questi aiuti di Stato a consentire a Mondadori di tornare in utile, nonostante i ricavi da vendite e da pubblicità fossero addirittura in calo;
   il risanamento contabile dell'azienda sarebbe stata, poi, la condicio sine qua non che avrebbe consentito a Mondadori di accedere al finanziamento da 127,5 milioni di euro per l'acquisto di RCS, così come dichiarato dallo stesso amministratore delegato in una intervista sul Sole24Ore: «due anni fa, i 127,5 milioni di euro (tutti a debito) investiti per accaparrarsi i libri di Rcs, erano fuori dalla portata del gruppo della famiglia Berlusconi, oggi, invece, Mondadori è tornata in utile (6,6 milioni di margine operativo lordo nei primi 9 mesi del 2015) e ha ridotto l'indebitamento anche grazie alle vendite (le radio e i romanzi Harmony). Dalle medesime fonti stampa si apprende altresì che «è grazie a questi risultati che a breve Ernesto Mauri ha potuto beneficiare di un premio di risultato da 2,4 milioni (4 milioni circa il suo stipendio 2014 e a breve – Antitrust permettendo esisterà «Mondazzoli»)»;
   a fronte dei predetti aiuti statali, che hanno consentito all'azienda di rimettere i conti a posto, di acquisire RCS e perfino di attribuire un premio di risultato (di 2,4 milioni nel 2014) all'amministratore delegato Ernesto Mauri, a pagare sono stati esclusivamente, ancora una volta, i lavoratori dell'azienda;
   sempre da fonti stampa si apprende, infatti, che Mondadori ha annunciato a fine ottobre la vendita della sua sede di Roma, intimando a 5 dei 10 giornalisti ed agli amministrativi di trasferirsi a Milano, a partire dal prossimo 14 dicembre. Ad avviso degli interroganti, per una segretaria da 1.300 euro al mese, si tratta di un licenziamento «mascherato». Quanto, poi, ai 5 giornalisti che rimarranno a Roma, resterebbero per lavorare fuori dai locali aziendali, senza l'obbligo di utilizzare una postazione fissa;
   si tratta di una modalità non ancora disciplinata nel nostro ordinamento per la quale, tuttavia, è già previsto un finanziamento pubblico, attraverso un apposito fondo, istituito dalla legge di stabilità, per incentivare la «flessibilità tempo – luogo» anche per il lavoro a tempo indeterminato. Questa modalità, in assenza di un quadro legislativo chiaro, rischia però di squalificare ulteriormente il già mortificato profilo professionale del giornalista, ad avviso degli interroganti umiliando i 5 cronisti della ex sede romana;
   la Mondadori non è stata l'unica azienda interessata da processi di ristrutturazione, con conseguente attivazione di ammortizzatori sociali quali la cassa integrazione. Si apprende da fonti stampa (il velino.it) della vertenza che ha interessato la redazione dell'agenzia di stampa romana «il Velino» che ha proclamato uno sciopero di 5 giorni (dal 9 al 13 novembre), per protestare contro l'attivazione unilaterale della cassa integrazione; tra gli altri motivi dello sciopero vi sono:
    a) quattro anni di solidarietà, con punte del 45 per cento, che hanno fruttato all'editore risparmi sul costo del lavoro per milioni di euro;
    b) il tfr dei lavoratori trattenuto e non versato al fondo di previdenza complementare;
    c) il trasferimento in una sede disagiata sul grande raccordo anulare di Roma per risparmiare;
    d) la mancanza di investimenti, senza un vero piano di rilancio industriale ed editoriale;
   si apprende, altresì, che il 5 ottobre 2015 è stato chiuso anche il «Corriere di Maremma», della famiglia Angelucci, che ha determinato il collocamento in cassa integrazione a zero ore i 5 giornalisti della redazione grossetana, con l'interruzione dei rapporti di lavoro per molti altri collaboratori della testata. A fronte di 25 esuberi dichiarati dalla proprietà, poi ridotti a 18, a rimetterci è stata soprattutto la redazione grossetana, smantellata del tutto, mentre per altri giornalisti delle redazioni di Siena, Arezzo, Grosseto, Viterbo e Rieti potrebbe esserci la possibilità dei contratti di solidarietà. Per il Corriere dell'Umbria, invece, il contratto di solidarietà è già stato firmato;
   tutto questo mentre il gruppo Tosinvest della famiglia Angelucci sta trattando l'acquisto del Tempo di Roma, dopo aver fatto al tribunale un'offerta da 13 milioni di euro. Ancora una volta, quindi, si incassano contributi pubblici e, grazie a quei fondi, si comprano aziende, mandando a casa lavoratori e senza investire un euro in risorse umane –:
   se il Governo intenda attivarsi per monitorare, per quanto di competenza, i processi di ristrutturazione avviati dalla Mondadori e dalle altre case editrici, affinché vengano tutelati i diritti dei lavoratori coinvolti, riducendo al minimo i costi sociali, tanto più in considerazione del fatto che le aziende interessate hanno ricevuto cospicui finanziamenti pubblici;
   quali iniziative intendano intraprendere, per il futuro, onde evitare che il risanamento dei conti aziendali ed operazioni espansive sul mercato dell'editoria abbiano come contraltare il sacrificio dei lavoratori (prepensionamenti, cassa integrazione, solidarietà) ed ingenti ricadute sulle finanze statali e dell'INPGI. (5-07044)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALESE. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questo periodo si sta provvedendo ad adeguare all'indice Istat la tariffa che i comuni, quindi i cittadini, versano ai gestori degli impianti di conferimento per il trattamento e lo smaltimento rifiuti;
   tale adeguamento risulta particolarmente oneroso e sta causando notevoli preoccupazioni per numerosi sindaci pugliesi e della provincia di Lecce in particolare;
   i contratti sottoscritti dal commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Puglia con i soggetti gestori degli impianti complessi di biostabilizzazione di Poggiardo (Lecce), di Ugento (Lecce) e dell'impianto di produzione CDR di Cavallino (Lecce) prevedono una clausola di revisione della tariffa che così recita: «La tariffa sarà aggiornata, a partire dal 2o (secondo) anno di esercizio, entro il 28 (ventotto) febbraio di ciascun anno con conguaglio e valere dal 1o (uno) gennaio precedente sulla base dell'indice ISTAT dei prezzi della produzione dei prodotti industriali»;
   i soggetti gestori degli impianti, ai fini del calcolo della revisione tariffaria, rivendicano l'applicazione dell'indice ISTAT dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento», in quanto trattasi di indice specifico riferito alla tipologia di attività svolta ed in quanto il loro codice ATECO di impianto è ricompreso nell'elenco di codici attribuiti al suddetto indice;
   a seguito di specifiche analisi da parte della struttura tecnica dell'ATO provincia Lecce, è emerso che l'ISTAT nella formulazione dell'indice specifico di cui alla serie E non valuta le componenti di costo riferite ai servizi di trattamento e smaltimento dei rifiuti, bensì i costi riferiti ai servizi di fornitura delle acque; è stato posto ad ISTAT il seguente quesito: «Con riferimento all'Indice ISTAT dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – Mercato interno, Serie E “Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento” si chiede allo Spett.le Ente destinatario del presente quesito, se il suddetto indice fornisce informazione in merito alle variazioni mensili del costo del servizio di trattamento dei rifiuti. Si chiede, altresì, di conoscere i prodotti industriali valutati per la definizione dell'indice in questione con particolare riguardo alle attività di trattamento dei rifiuti»;
   al quesito formulato, seguiva la seguente risposta: «In riferimento alla richiesta in oggetto si comunica che all'interno della sezione E “Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento”, dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali è quotata solo la divisione 36 che contempla la “Raccolta, trattamento e fornitura di acqua, quindi buona parte dell'articolazione tariffaria delle società che gestiscono la fornitura di acqua. Lo smaltimento dei rifiuti si trova nella Divisione 38 delle attività economiche che non è considerata nel campione dei prezzi alla produzione” »;
   un consorzio ATO della provincia di Lecce (ex Consorzio ATO LE/2), sempre in merito alla medesima problematica, poneva all'ISTAT il seguente quesito: «A quale categoria di indice nazionale devo fare riferimento per aggiornare una tariffa di conferimento ribiostabilizzatore ?». L'ISTAT così rispondeva: «Scusandoci per il ritardo nella risposta dovuto ad un errore nella segnalazione della richiesta pervenuta, le invio il file con gli indici dei prezzi e le variazioni tendenziali per la voce “raccolta dei rifiuti” (indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (base 2010=100)). È l'unico indice diffuso sulla raccolta rifiuti»;
   le riflessioni effettuate dai tecnici ATO in merito all'attinenza della serie E dell'indice ISTAT dei prezzi della produzione dei prodotti industriali con le attività di trattamento/smaltimento dei rifiuti sono state confermate dall'ISTAT specificando che, pur con una denominazione riferita alle «attività di trattamento dei rifiuti e risanamento», la formulazione dell'indice prende in considerazione esclusivamente l'articolazione tariffaria delle società che effettuano attività di «raccolta, trattamento e fornitura di acqua»;
   emergerebbe, pertanto, in maniera evidente come l'applicazione dell'indice ISTAT dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento» al settore dell'impiantistica del trattamento/smaltimento dei rifiuti risulti non rispondente alle reali variazioni tariffarie che interessano quest'ultimo settore;
   altrettanto, inappropriata potrà essere l'applicazione dell'unico indice ISTAT sui rifiuti «raccolta dei rifiuti» (indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (base 2010=100)), in quanto riferibile a tipologie di servizi completamente diversi dal trattamento/smaltimento dei rifiuti;
   infine, si rileva come l'indice ISTAT dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – Mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento» risulta essere caratterizzato da variazioni estremamente rilevanti nei valori mensili con conseguenti sopravvalutazioni delle variazioni tariffarie di conferimento dei rifiuti solidi urbani –:
   alla luce delle problematiche e delle incongruenze sollevate dall'ato provincia di Lecce e, di fatto, in parte condivise anche dall'ISTAT, se il Governo non ritenga di doversi adoperare affinché venga fornito, agli enti pubblici, un indice che possa essere espressione reale delle variazioni tariffarie che interessano gli impianti di trattamento/smaltimento dei rifiuti solidi urbani, calcolato sulla base delle effettive variabili di costo che interessato tale settore. (4-11170)


   CATANOSO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 114 del 2014, recante disposizioni per la riorganizzazione della pubblica amministrazione, ha permesso lo scorrimento delle graduatorie in corso di validità dei concorsi svoltisi in precedenza per le forze di polizia in ragione dell'allora imminente inizio dell'Expo;
   il decreto-legge n. 78 del 2015, cosiddetto decreto «ente locali», ai fini della sicurezza pubblica connessa al prossimo Giubileo straordinario prevede l'assunzione straordinaria, nei rispettivi ruoli iniziali, di 1.050 unità nella polizia di Stato, di 1.050 unità nell'Arma dei carabinieri, di 400 unità nel Corpo della guardia di finanza, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, attingendo in via prioritaria alle graduatorie in corso di validità dei concorsi riservati ai VFP4, approvate in data non anteriore al 1o gennaio 2011, nonché, per i posti residui, attraverso lo scorrimento delle graduatorie degli idonei non vincitori dei medesimi concorsi;
   a causa dell'esiguità dei numeri messi a disposizione per la guardia di finanza, rimangono esclusi da questa procedura di assunzione, gli idonei del concorso per allievo finanziare bandito nel 2012;
   si tratterebbe, a giudizio dell'interrogante, di una grave disparità di trattamento nei confronti dei 769 ragazzi idonei non vincitori del concorso di allievo finanziere bandito dalla guardia di finanza nel 2012;
   in favore di questi 769 ragazzi fu votato un ordine del giorno, accolto come raccomandazione dal Governo, nel corso della conversione in legge del decreto-legge n. 90 del 2014 (decreto pubblica amministrazione) attraverso cui l'Esecutivo si impegnò formalmente a risolvere la vicenda;
   anche gli idonei al concorso per allievo carabiniere, con graduatoria pubblicata ad ottobre 2010, rimangono esclusi dalla procedura di assunzione visto che le immissioni in servizio nelle forze dell'ordine partivano per le graduatorie successive al mese di gennaio 2011;
   gli idonei del concorso per allievo carabiniere rimangono esclusi a differenza dei pari grado della guardia di finanza e della polizia di Stato solo per 2 mesi –:
   quali ulteriori iniziative, di natura normativa, intendano assumere i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-11174)


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 8, comma 3 della legge 23 marzo, 2001, n. 93 con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione interessata, è istituito il parco nazionale «Costa teatina» a cui si dà attuazione secondo quanto previsto ai sensi dell'articolo 34, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394;
   secondo l'articolo 34, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge istitutiva del parco, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede alla delimitazione provvisoria sulla base degli elementi conoscitivi e tecnico-scientifici disponibili, in particolare, sentiti le regioni e gli enti locali interessati, adotta le misure di salvaguardia necessarie per garantire la conservazione dello stato dei luoghi, presso i servizi tecnici nazionali, le amministrazioni dello Stato e le regioni;
   nonostante quanto stabilito dalle norme, il «Parco della costa teatina» non è stato mai concretamente attivato. Alla luce dell'inerzia dello stato di attuazione del parco, è intervenuto il decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225 convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10; in particolare, il contenuto dell'articolo 2, comma 3-bis, inequivocabile in quanto recita che «In ragione della straordinaria urgenza connessa alle necessità di tutela ambientale, di tutela del paesaggio e di protezione dai rischi idrogeologici», le disposizioni di cui all'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, n. 93, si attuano entro il 30 settembre 2011. Trascorso tale termine, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro i successivi trenta giorni, si procede alla nomina di un commissario ad acta che provvede alla predisposizione e attuazione di ogni intervento necessario;
   il tavolo tecnico coordinato dalla regione Abruzzo con gli enti locali interessati non ha prodotto in tempo utile una proposta concertata. Conseguentemente la direzione generale per la protezione della natura e del mare, alla scadenza temporale fissata dalla norma, con nota prot. 20376 del 3 ottobre 2011 ha informato il Ministro circa la necessità di provvedere alla nomina del commissario ad acta previsto dalla soprarichiamata disposizione normativa;
   secondo quanto riportato dal documento della direzione generale per la protezione della natura e del mare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, stante «la straordinarietà della situazione venutasi a determinare ove, per la prima volta dalla vigenza della legge quadro sulle aree protette n. 394/91, una norma prevede la nomina di un commissario ad acta [...] che provveda alla predisposizione e attuazione di ogni intervento necessario per l'istituzione di un parco nazionale», senza, peraltro, specificarne i compiti rispetto al procedimento ordinario, si è proposto il differimento del termine previsto dalla citata norma al 31 dicembre 2012, al fine di poter consentire la chiusura del procedimento in via ordinaria;
   nel corso dell'anno 2012, con la legge 24 febbraio 2012, n. 14, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, il termine è stato differito al 31 dicembre 2012 e, successivamente ulteriormente fissato al 30 giugno 2013 dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228;
   il comma 394 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 ha previsto la possibilità di procedere, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ad una ulteriore proroga al 31 dicembre 2013;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 luglio 2013, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in attuazione della disposizione sopra citata, il termine di scadenza per la conclusione, in via ordinaria, del procedimento è stato prorogato al 31 dicembre 2013;
   con nota del 15 aprile 2014, il Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare ha ravvisato la necessità di provvedere alla nomina di un commissario ad acta;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2014 è stato nominato il commissario ad acta ai fini dell'istituzione del parco nazionale «Costa Teatina»;
   il 30 aprile 2015 il commissario ad acta Pino de Dominicis ha dichiarato di aver concluso la perimetrazione del parco;
   l'incarico di commissario ad acta è concluso;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti, rispondendo al question time dell'onorevole Di Stefano tenutosi giovedì 9 aprile presso la Camera dei deputati, dichiarava che De Dominicis era stato nominato commissario ad acta in quanto ritenuto in possesso di capacità adeguate alle funzioni da svolgere, per titoli professionali e specifiche esperienze maturate;
   secondo 19 notizie riportate dall'ANSA e dai media il giorno 12 novembre 2015, presso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si è tenuta nel pomeriggio una riunione sul parco della Costa Teatina convocata dal Ministro Gianluca Galletti;
   secondo alcune notizie di stampa il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha acconsentito che si valutasse una nuova proposta condivisa riguardo il parco della costa-teatina, come richiesto dai sindaci contestanti la perimetrazione operata dal commissario ad acta;
   a tale riunione, oltre diversi sindaci dei comuni della costa abruzzese interessati dall'area del parco, erano presenti anche il presidente della Regione Abruzzo e il parlamentare lombardo Maurizio Lupi;
   i parlamentari abruzzesi non erano a conoscenza dell'incontro, tanto è vero che i deputati del Movimento 5 stelle ne sono venuti a conoscenza solo mediante mezzi di stampa –:
   per quale motivo è stato invitato l'onorevole Maurizio Lupi e non siano stati, invece, coinvolti i parlamentari abruzzesi;
   se sia veritiera la notizia che riporta il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare disponibile a valutare una nuova proposta condivisa riguardo la perimetrazione del parco della costa teatina, ad avviso degli interroganti sconfessando, tra l'altro, l'operato del commissario ad acta;
   a quale titolo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia manifestato la propria disponibilità considerando che il lavoro del commissario ad acta è concluso. (4-11186)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Siria dal 15 marzo 2011 vive una terribile guerra per procura alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi, dove, finora, sono morte più di 250.000 persone tra civili e militari;
   vista la situazione di caos, sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria e il sedicente Stato islamico (Isis);
   è stato documentato da diversi media in Turchia, così come dal dipartimento di Stato degli USA, il coinvolgimento dei servizi segreti turchi nel passaggio dei terroristi in Siria;
   l'Isis continua a ricevere i proventi dalla vendita di petrolio alla Turchia a un prezzo ridotto (come documentato da vari analisti e reporter di guerra) e dai reperti archeologici saccheggiati in Siria e Iraq e poi rivenduti sui mercati europei;
   la Giordania favorisce il passaggio di terroristi sul suolo siriano, mentre Israele accoglie i terroristi feriti in Siria e, come documentato dai media israeliani, offre loro supporto logistico per tornare nei campi di battaglia siriani;
   dal mese di aprile 2015, l'Isis e il Fronte al-Nusra hanno proseguito la loro avanzata in Iraq e Siria, occupando Ramadi (Iraq), Idlib e Palmyra (Siria); l'inviato dell'Onu in Siria, Staffan De Mistura, ha ribadito più volte che il presidente siriano Bashar al-Assad è parte della soluzione alla crisi siriana e che sarebbe necessario un maggior coordinamento con le forze armate siriane contro le organizzazioni terroristiche Isis e al-Nusra, avendo acquisito nel tempo importanti informazioni di intelligence;
   la cosiddetta coalizione anti-Isis a guida americana non solo si è dimostrata inconcludente, ma, come nel caso dell'occupazione di Palmyra, ha mostrato addirittura un chiaro atteggiamento non interventista. Preoccupante, inoltre, sarebbe l'intenzione da parte della suddetta coalizione di considerare al-Nusra tra i cosiddetti «ribelli moderati»;
   la cosiddetta coalizione nazionale siriana è divisa e lacerata da divisioni al suo interno tra continue liti e scandali per sottrazione di fondi; ha un riscontro minimo di popolarità sul suolo siriano e la sua formazione militare, il cosiddetto Free Syrian Army, e ormai parte integrante delle organizzazioni terroristiche presenti sul territorio siriano;
   dal 2011, la Repubblica araba di Siria è vittima dell'embargo economico e delle sanzioni dell'Unione europea, i cui effetti diventano devastanti solamente su una popolazione impossibilitata, tuttora, ad accedere a medicinali e beni di prima necessità. Nel mese di maggio 2015, inoltre, il Consiglio europeo ha esteso le sanzioni economiche contro questo Paese per un anno ulteriore, quindi, fino al 1o giugno 2016;
   la Repubblica araba siriana è una nazione laica che consente ai cristiani e alle altre minoranze religiose di professare liberamente la propria fede religiosa, dove la donna non è costretta a portare alcun velo né le è preclusa la carriera politica o l'accesso alle istituzioni, può esercitare qualsiasi professione e ha pieni diritti civili e piene libertà. A Damasco c’è una delle più antiche sinagoghe del Medio Oriente, colpita dai mortaio dai ribelli dell'Esercito libero siriano, considerati da molti Governi occidentali dei «moderati»;
   la Repubblica araba siriana non è isolata. È riconosciuta dall'ONU, dai Paesi cosiddetti BRICS, dai Paesi membri dell'Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), da Iran, Algeria, Libano, Kuwait e altri Paesi che stanno rivedendo la loro posizione. Stati che, nel complesso, rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale –:
   se e quali iniziative intenda intraprendere per ripristinare i rapporti diplomatici con la Siria, anche attraverso un concreto impegno in sede europea per la rimozione delle sanzioni di cui in premessa che, lungi dal colpire il regime siriano finiscono tuttora per creare disagi e sofferenze alla popolazione e essere un ulteriore ostacolo alla pacificazione.
(5-07042)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   FOSSATI, ALBINI e BENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è in corso la valutazione di impatto ambientale di competenza statale relativa al progetto «Aeroporto di Firenze-Master Plan aeroportuale 2014-2029», che prospetta fra l'altro la realizzazione di una nuova pista aeroportuale parallela alla autostrada di 2400 metri»;
   la procedura si trova nella fase della valutazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle osservazioni dei soggetti interessati e dei pareri delle istituzioni territoriali sulle integrazioni alla documentazione presentata in un primo tempo dai proponenti;
   il comune di Calenzano, in data 12 maggio 2015 ha inoltrato al Ministero la richiesta di attivazione dell'inchiesta pubblica ai sensi dell'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ai fini di garantire la massima partecipazione e trasparenza dell'intero procedimento di valutazione dell'impatto ambientale, senza avere risposta;
   invece la società aeroportuale ha attivato una campagna di informazione, anche attraverso la presenza di «Info Point» nelle piazze della città di Firenze, utilizzando dati che a giudizio dell'interrogante risulterebbero non validati e valutazioni di parte sugli effetti ambientali e urbanistici dell'opera;
   il comune di Calenzano ha reiterato, anche in seguito a ciò, la richiesta di inchiesta pubblica in data 28 ottobre 2015;
   il nucleo regionale di valutazione si è espresso rilevando che non è stata data risposta alle prescrizioni richieste dalla regione Toscana e che non è stata fornita sufficiente documentazione rispetto alle criticità rilevate dalla regione stessa e da altri soggetti istituzionali, in particolare riferite a livelli di rumore attesi, impatto della cantierizzazione, inquinamento da vibrazioni e radiazioni, smaltimento delle terre di scavo, rischio idrogeologico e assetto idraulico e sistemazione viaria della zona, impatto sul parco agricolo della piana, tutela dei siti UNESCO (ville e giardini medicei), delle aree lacustri e della fauna autoctona;
   il presidente dell'Enac Vito Riggio ha pubblicamente appellato con espressioni che agli interroganti appaiono offensive i tecnici regionali per i rilievi da essi espressi nella legittima sede istituzionale;
   ulteriori criticità, legate alla sicurezza dello scalo, delle aree e degli insediamenti circostanti (a partire dalla presenza in fascia di rischio del nuovo polo scientifico universitario di Firenze), sarebbero state eluse rinviando alle procedure urbanistiche relative alla fase finale di autorizzazione dell'opera, mentre autorevoli fonti istituzionali ritengono la sede urbanistica quella atta a trovare soluzioni di compensazione delle criticità emerse durante la fase di valutazione di impatto ambientale –:
   se non ritenga di attivare, in considerazione dell'attenzione e della preoccupazione dell'opinione pubblica rispetto alla qualità di un'opera strategica per il territorio fiorentino, una procedura di inchiesta pubblica o altre forme di processi partecipativi dei cittadini in merito alla valutazione di impatto ambientale relativa al master plan – aeroporto di Firenze 2014-2029, così da garantire una corretta informazione ai soggetti coinvolti e alla cittadinanza tutta sull'impatto dell'opera sul territorio e sugli insediamenti circostanti;
   se intenda assicurare, in sede di valutazione di impatto ambientale una approfondita ed adeguata risposta alle criticità rilevate nelle osservazioni e nei pareri dei soggetti coinvolti, anche richiedendo ad Enac ulteriori necessari approfondimenti e documentazione sui dettagli tecnici del progetto;
   se non ritenga di dissociarsi dalle parole del presidente di Enac sull'operato dei tecnici del nucleo regionale di valutazione. (3-01854)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 2011, n. 157, attua il regolamento (CE) N. 166/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 gennaio 2006 relativo all'istituzione di un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti e che modifica le direttive 91/689/CEE e 96/61/CE del Consiglio;
   ai sensi del citato regolamento, molte imprese devono dichiarare annualmente l'emissione nell'aria, nell'acqua e nel suolo, il trasferimento fuori sito di inquinanti nelle acque reflue e il trasferimento fuori sito di rifiuti per quantitativi superiori al valore di soglia di cui all'allegato II contenente le linee guida e il questionario per la relativa dichiarazione PRTR (Pollutant Release and Transfer Register);
   tale dichiarazione costituisce, nel suo complesso, un registro integrato di emissioni e trasferimenti di inquinanti per informare il pubblico sulle emissioni più significative di inquinanti e sul trasferimento di rifiuti;
   tra i soggetti obbligati alla dichiarazione PRTR ci sono anche i gestori degli impianti di smaltimento e recupero di cui all'allegato I del regolamento (CE) n. 166/2006, qualora l'attività comporti emissioni di sostanze inquinanti in aria, acqua e suolo, che superano i valori soglia stabiliti nelle tabelle 1.6.2 e 1.6.3 riportate nell'allegato I del decreto ministeriale 23 novembre 2001;
   a mero titolo esemplificativo, rientrano nella predetta fattispecie i gestori di attività di recupero di rifiuti pericolosi al di sopra della 10 t/die o di smaltimento dei rifiuti non pericolosi al di sopra delle 50 t/die;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 157 del 2011 indica nel Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che si avvale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), l'autorità competente per la valutazione delle dichiarazioni PRTR, fissa al 30 aprile di ogni anno il termine per la presentazione della dichiarazione e fornisce le «linee guida» per la dichiarazione;
   la dichiarazione E-PRTR si effettua online tramite il portale (www.dichiarazioneines.it), ma nel 2014, come evidenziato nella interrogazione presentata dal firmatario del presente atto n. 5-02861, ancora senza risposta, l'ISPRA non ha attivato in tempo utile il portale medesimo, per la presentazione della dichiarazione E-PRTR 2013, a causa di problemi tecnico-amministrativi e le aziende soggette all'obbligo di dichiarazione non hanno potuto accedere all'area riservata del portale stesso;
   le principali associazioni del settore – (Fise e Confindustria) erano intervenute nei confronti di ISPRA e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per segnalare il problema del mancato funzionamento del portale e le difficoltà di molte imprese nel rispettare il termine del 30 aprile previsto dalla legge;
   le imprese che non erano riuscite ad ottenere nei termini l'accesso al sito, hanno comunque poi provveduto nei primi giorni del mese di maggio 2014, ma ora rischiano pesanti sanzioni amministrative;
   le criticità sono rimaste nel tempo tant’è che nell'anno 2015 il suddetto portale è stato riaperto più volte in quanto sussistono anche ed ancora dubbi interpretativi in merito alle attività, obbligate all'invio della dichiarazione (Allegato I al regolamento CE n. 166/2006);
   in particolare, fra le attività di gestione dei rifiuti (punto 5 dell'Allegato I sopra richiamato) non è ancora stato chiarito:
    se siano soggetti tutti gli impianti autorizzati alla gestione (ex articolo 208 ed articolo 216) oppure solo gli impianti dotati di autorizzazione integrata ambientale;
    se i valori soglia debbano intendersi riferiti ai dati reali oppure alle quantità autorizzate;
    se, in quest'ultimo caso, si debba prendere in considerazione la quantità massima stoccabile oppure quella annuale divisa per 365 giorni;
   peraltro, i dati richiesti nella comunicazione E–PRTR vengono già comunicati nell'ambito della dichiarazione MUD obbligatoria per legge e/o tramite il piano di monitoraggio e controllo previsto dalle autorizzazioni AIA;
   il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 45.00d euro per il gestore che ometta di effettuare nei termini previsti la comunicazione in questione, e da 5.000 a 26.000 euro per il gestore che ometta di rettificare eventuali inesattezze nella comunicazione;
   in sintesi: da due anni le imprese sono a rischio di essere sanzionate, a causa delle difficoltà di funzionamento del portale e della difformità di interpretazione fra i vari organi di controllo –:
   se ritenga opportuno, viste le criticità che hanno riscontrato molte imprese nel presentare la dichiarazione E-PRTR, adottare specifiche iniziative per chiarire le difficoltà interpretative ancora irrisolte e quali invece intenda assumere per rendere non sanzionabile la ritardata presentazione della dichiarazione negli anni 2014 e 2015. (5-07031)


   PARENTELA, NESCI, DIENI e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante è cofirmatario di atto di sindacato ispettivo n. 4-06962 presentato in data 20 novembre 2014, ad oggi senza risposta, nel quale si evidenzia la drammatica situazione in cui versa un'area sita nel comune di Rende sulla quale ha operato la Legnochimica dalla fine degli anni 60 fino ad inizio millennio;
   l'impresa, impegnata nella lavorazione del legno da cui estraeva il tannino da utilizzare poi nel settore conciario, ha sempre fatto ricorso a continui e abbondanti contributi pubblici, non ultimo quello di 40 miliardi di lire, nel 2000, con il quale è stata realizzata una centrale a biomasse che prevede l'utilizzo degli scarti legnosi, poi rivenduta dalla Legnochimica per 38 milioni di euro;
   nel sito incriminato i residui di lavorazione (black liquor) venivano sversati all'interno di mega-bacini, privi delle più elementari norme di isolamento, tanto da provocare, come accertato, l'inquinamento delle falde acquifere. Oggi ne restano solo 3 mentre gli altri 5 sono stati interrati senza alcuna operazione di bonifica;
   le acque attinte da alcuni di questi pozzi – secondo quanto sostenuto dal sostituto procuratore della Repubblica, dottor Giuseppe Casciaro – erano abitualmente impiegate per l'irrigazione di orti e l'abbeveraggio di animali destinati all'alimentazione umana, nonché per l'irrigazione dei fondi agricoli. Oggi, restano 3 laghi presenti sul territorio;
   nel luglio 2011 la procura della Repubblica ha disposto la redazione di una consulenza tecnica sull'area. La consulenza evidenzia che «la falda acquifera sotto ed in prossimità dei bacini artificiali, risulta gravemente contaminata, anche in profondità e che detta contaminazione si è estesa ai pozzi esistenti in zona» ed evidenzia l'inquinamento da metalli pesanti: alluminio, ferro, manganese, arsenico, berillo, cromo, nickel, mercurio, benzene e tricloroetilene, con concentrazioni fino a centomila volte superiori al valore consentito. Tali sostanze sono classificate dalla IARC come rischio oncogeno documentato. I rilievi effettuati dall'ARPACAL sulle acque sotterranee confermano la contaminazione da sostanze cancerogene: diclorometano, tricloroetano, bromoclorometano, dibromoclorometano, Toluene e P-Isopropiltoluene;
   nei pressi dell'area dell'ex Legnochimica spesso si avverte un odore pungente che, nei casi più gravi, si percepisce anche ad alcuni chilometri di distanza. Le persone coinvolte lamentano prurito, difficoltà respiratorie, nonché bruciori agli occhi ed alla gola, tanto da avere un senso di soffocamento. Si evidenzia, altresì, un alto numero di malati di cancro residenti nei pressi dell'area. Una perizia dell'ingegnere Ernesto Infusino, nominato consulente tecnico d'ufficio dal tribunale di Cosenza (causa civile n. 4217/05) ha messo a nudo le analisi effettuate, soprattutto le indagini della Ledorex Sud nel 2001, una volta subentrata alla Legnochimica, che consigliavano ripetutamente di dismettere e/o confinare la copertura dello stabilimento che rilasciava nell'aria fibre di amianto, altamente cancerogeno;
   in diverse occasioni, nei giorni più caldi dell'estate, nell'area si verificano combustioni spontanee ma si ipotizzano anche reati di combustione illecita di rifiuti, avendo il Comando stazione forestale di Rende già riscontrato una mescolanza di rifiuti di varia natura nell'ex complesso industriale;
   nel consiglio comunale di Rende dell'11 maggio 2012 si faceva riferimento a 4 milioni di euro stanziati dalla regione Calabria per la bonifica;
   nel 2014, il piano di bonifica proposto dalla Legnochimica è stato accettato dal commissario straordinario del comune di Rende, Maurizio Valiante, nonostante la bocciatura ricevuta dalla conferenza di servizi. Il progetto presentato dalla Legnochimica prevede esclusivamente che i liquami siano aspirati, puliti in loco e scaricati nelle fognature o nel corso del fiume più vicino, senza un'effettiva depurazione dei fanghi (costo stimato 650 mila euro), mentre, secondo le autorità sanitarie, i liquami andrebbero aspirati, messi in un autobotte, portati ad un depuratore abilitato e solo successivamente scaricati (costo stimato 650 mila euro);
   nel consiglio comunale del 13 aprile 2015 con delibera n. 22 all'unanimità veniva intimata «alla proprietà la presentazione del piano operativo di bonifica entro il termine di 30 (trenta) giorni, per come prescritto dalla vigente legislazione e dai contenuti e prescrizioni delle precedenti Conferenze dei Servizi tenute sulla problematica»;
   la legge n. 68 del 29 maggio 2015 ha introdotto, all'articolo 452-terdecies codice penale, il reato di omessa bonifica che sanziona e punisce «chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un'autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi;
   l'articolo 250 del decreto legislativo 152 del 2006 prevede che: «qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione»;
   il consigliere del comune di Rende, dottor Domenico Miceli e l'avvocato Francesco Palummo hanno sottoscritto in data 23 giugno 2015 atto stragiudiziale di diffida e messa mora ex articolo 328, II comma, codice penale avverso la regione Calabria, nella persona del governatore pro tempore, alla regione Calabria, dipartimento politiche dell'ambiente, alla regione Calabria, dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie, il comune di Rende, in persona del sindaco pro tempore, ai sensi della legge 241 del 1990, e dell'articolo 328, II comma, del codice penale, a dare risposta nei termini di legge, ad oggi abbondantemente superati;
   i molteplici interventi di tutte le autorità competenti sono sempre risultati vani, pertanto emergerebbe una violazione attuale e continuativa della normativa europea in materia, con particolare riferimento alle direttive 2004/35/CE, 2000/60/CE e 2008/98/CE –:
   quali iniziative intendano adottare per evitare che gli elementi di contrasto con il quadro normativo comunitario possano determinare l'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia, con il rischio di dover sostenere i costi delle relative sanzioni pecuniarie;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per istituire, come più volte richiesto dagli interroganti, un apposito registro tumori vista la maggiore insorgenza di patologie nella regione Calabria rispetto alla media nazionale. (5-07039)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione dell'articolo 2, comma 5, della legge del 9 dicembre 1998, n. 426 con il decreto del Presidente della Repubblica dell'8 dicembre 2007 sono stati istituiti il parco nazionale dell'Appennino Lucano — Val d'Agri — Lagonegrese e l'Ente parco nazionale dell'Appennino Lucano — Val d'Agri — Lagonegrese, che «ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare»;
   con determinazione del direttore dell'Ente Parco nazionale del 27 ottobre 2014, n. 0502/DG, è stata promossa una selezione pubblica per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di una unità per l'area C, profilo professionale funzionario amministrativo-attività istituzionali e amministrative dell'Ente;
   l'articolo 10, comma 9, del predetto bando prevedeva che «in caso di necessità, previa opportuna programmazione, l'Ente Parco, nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 65 del 2001, utilizzerà la graduatoria finale per sottoscrivere contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato»;
   con determinazione del direttore dell'Ente Parco del 13 marzo 2015, n. 114, è stata approvata la graduatoria finale;
   in data 8 giugno 2015 è stata disposta l'assunzione a tempo determinato di una partecipante al concorso non vincitrice per il triennio 5 luglio 2015-5 luglio 2018, poi comandata presso la Segreteria particolare del Presidente della Giunta Regionale, con decorrenza dal 1o agosto 2015 per un anno, eventualmente prorogabile;
   l'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, richiamato nell'articolo 10, comma 9, dell'avviso per la suddetta selezione pubblica, prevede che le pubbliche amministrazioni possano avvalersi delle forme flessibili di assunzione solo «per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale» –:
   se l'assunzione di cui in premessa sia conforme alla normativa prevista dal decreto legislativo n. 165 del 2001. (4-11181)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   FRUSONE, BASILIO, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il sito della società britannica BAE Systems in data 17 agosto 2015 ha pubblicato un comunicato (http://www.baesystems.com) nel quale annuncia di aver completato la costruzione della prima sezione di coda per la versione a decollo corto ed atterraggio verticale (F-35B) del velivolo Lockheed Lightning II destinato all'Aeronautica militare italiana;
   il comunicato precisa che la costruzione della sezione denominata BL01 è stata fatta presso il sito Samlesbury, Lancashire, e, prosegue ancora il comunicato, «verrà ora trasportata alla Final Assembly and Check Out (FACO) di Cameri»;
   il Governo ha sempre affermato che gli unici ordini finora fatti per il velivolo F-35 riguardano 8 esemplari della versione «A» a decollo e atterraggio convenzionale;
   anche recentemente il Ministro ha smentito le dichiarazioni rilasciate al quotidiano Il Sole24ore del 6 ottobre 2015 da Patrick Dewar, executive vicepresident di Lockheed Martin International, secondo il quale l'Italia si è impegnata ad acquistare 32 F-35;
   poiché è da escludere che la società BAE abbia costruito un'intera sezione di aereo di propria iniziativa in mancanza di un ordine da parte di un cliente finale, gli interroganti, qualora la notizia venisse confermata, sarebbero portati a pensare che l'ordine ci sia stato ma non ne sia stato messo a conoscenza il Parlamento nonostante le promesse di trasparenza più volte fatte dal Ministro –:
   se trovino conferma informazioni fornite dal sito web ufficiale della ditta BAE Systems e se non ritenga, in caso contrario di dover smentire formalmente e pubblicamente le dichiarazioni della società stessa chiedendo una rettifica ufficiale. (5-07040)


   ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 13 ottobre 2015 il Ministero della difesa della Germania ha annunciato la decisione di sospendere temporaneamente le consegne alla Luftwaffe degli aerei da combattimento Typhoon prodotti dal consorzio Eurofighter composto da Airbus Defence & Space, BAE Systems e Alenia Aermacchi;
   la sospensione è stata decisa in seguito alla scoperta di alcuni problemi riguardanti la connessione tra lo stabilizzatore verticale e la sezione posteriore della fusoliera dell'aereo;
   con una nota inviata al Parlamento federale, il Ministero della difesa tedesco ha fatto sapere che il problema riguarda alcuni fori e la rimozione delle bave di lavorazione che non sarebbero stati effettuati in modo corrispondente alle specifiche;
   sempre secondo la nota del Bundestag, non si può escludere che gli accoppiamenti imbullonati e le strutture dei velivoli in specifiche aree possano essere danneggiati;
   il problema riguarderebbe tutti gli esemplari di Typhoon prodotti per tutti i clienti, dalla Tranche 1 alla Tranche 3A;
   il consorzio Eurofighter ha confermato di aver riscontrato, durante l'assemblaggio delle derive alle fusoliere posteriori, un nuovo problema di non conformità della manifattura che riguarderebbe i velivoli prodotti fino ad oggi;
   in particolare, si tratterebbe dei quattro fori destinati ad accogliere le viti che connettono la deriva alla sezione posteriore della fusoliera;
   un problema simile si era presentato anche a settembre 2014, quando Italia, Germania e Regno Unito sospesero le consegne dei Typhoon in seguito all'individuazione da parte del controllo qualità di Eurofighter di numerosi fori per viti, in varie parti della fusoliera posteriore, dai quali non era stata correttamente rimossa la bava di lavorazione;
   in entrambi i casi si tratta di lavorazioni effettuate dalla società britannica BAE Systems;
   il Ministero della difesa britannico ha fatto sapere che continuerà ad accettare le consegne dei Typhoon e che gli esemplari della Royal Air Force continueranno a operare normalmente;
   secondo quanto reso noto da un portavoce di Airbus Defence Systems citato dall'agenzia di stampa tedesca DPA, il problema non comporterebbe rischi per la sicurezza del volo e non sarebbe necessario imporre limitazioni nelle attività operative o riduzioni alla vita operativa dei Typhoon;
   tuttavia, secondo quanto reso noto dal Ministero della difesa tedesco, sebbene la sicurezza non sarebbe compromessa a breve termine, nel lungo periodo il problema riscontrato potrebbe sortire degli effetti negativi e accettare adesso i velivoli in consegna potrebbe avere un impatto sulle eventuali richieste di intervento in garanzia;
   la Luftwaffe ha deciso di porre sotto attento monitoraggio i propri Typhoon in servizio, ma non ha imposto restrizioni alle attività di volo;
   tuttavia, dal 15 ottobre 2015, la Luftwaffe avrebbe sospeso l'impiego dei serbatoi esterni dei propri Typhoon in seguito a un incidente avvenuto in Estonia quando un velivolo che si apprestava al decollo ha improvvisamente perso uno dei serbatoi esterni;
   le cause dell'incidente, che fortunatamente non ha prodotto gravi conseguenze, risultano essere ancora sotto investigazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei problemi recentemente emersi riguardo ai velivoli Eurofighter Typhoon e, in caso affermativo, se abbia provveduto ad adottare iniziative atte a garantire il massimo livello di sicurezza per il personale italiano operante con i Typhoon e ad assicurare che gli esemplari consegnati dal consorzio Eurofighter all'Aeronautica militare siano pienamente rispondenti alle specifiche definite dai contratti d'acquisto. (5-07041)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MATTEO BRAGANTINI e MARCOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'illustrare il bilancio della Difesa, il documento programmatico pluriennale (DPP) per la difesa per il triennio 2015-2017 reca, anche per l'anno 2015, previsioni di spesa relative al settore dell'Esercizio in diminuzione (- 195,0 milioni di euro, pari al –14,5 per cento) rispetto alla dotazione approvata dal Parlamento per l'anno precedente;
   lo stesso, documento precisa che «le disponibilità finanziarie attestate a legislazione vigente consentono, in minima parte, di soddisfare le esigenze prioritarie legate all'operatività dello Strumento militare, tenuto conto della necessità di dover sostenere finanziariamente la formazione di base del personale militare e, in parte, il pagamento delle spese ineludibili» aggiungendo che, tenuto conto dei contenuti stanziamenti e dei relativi contestuali limiti discendenti, per il 2015 si intende, tra l'altro, perseguire gli intenti che saranno individuati nel «libro bianco»;
   il capitolo 4 del libro bianco, al punto 106, afferma che «gli equipaggiamenti per le Forze armate dovranno rappresentare il migliore bilanciamento possibile in termini di costo-efficacia e puntare a essere omogenei in termini di qualità e livello tecnologico»;
   risulta all'interrogante che in molti magazzini delle Forze armate siano presenti in ingenti quantità suppellettili, equipaggiamenti ed altri beni materiali nuovi o seminuovi oramai inutilizzati o non più utili alle esigenze delle stesse Forze armate –:
   quale sia la reale consistenza dei beni materiali non più utili che giacciono nei magazzini delle Forze armate e quale sia la destinazione che il Ministero della difesa intende adottare per tali beni.
(5-07036)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA, MOGNATO, ZOGGIA, MURER e MORETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni sta emergendo nell'ambito dei territori della Riviera del Brenta colpiti dal tornado dell'8 luglio 2015 vicenda fiscale dai contorni molto controversi;
   i comuni più colpiti sono quelli di Mira Dolo e Pianiga con 71 milioni di euro di danni complessivi di cui 44,9 a Dolo, 19,2 a Pianiga e 6,5 a Mira; la maggior parte dei quali si sono verificati sulle abitazioni private;
   l'articolo 6, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 prevede l'imponibilità dei proventi, indennità o risarcimenti (anche assicurativi) riscossi in sostituzione di redditi;
   al fine di superare al più presto le criticità che hanno colpito i territori devastati da calamità naturali, nel corso della riunione dei sindaci dei comuni interessati con il commissario delegato per gli interventi di ricostruzione, nominato a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, è emersa anche la necessità di assicurare l'esclusione dal reddito imponibile dei risarcimenti ottenuti delle assicurazioni così da destinare maggiori risorse agli investimenti e garantire una rapida ricostruzione e una veloce ripresa economica –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative per definire idonee agevolazioni fiscali al fine di favorire la ricostruzione nei territori colpiti da eventi calamitosi e salvaguardare i cittadini e le imprese, anche prevedendo, per tali soggetti, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, l'esclusione dal reddito imponibile dei rimborsi assicurativi ricevuti a fronte dei danni subiti. (5-07035)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI, PELLEGRINO e PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza del 10 marzo 2014, n. 50, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;
   il predetto articolo 3 citato ha introdotto l'istituto della cedolare secca sui contratti di locazione, mentre i due commi dichiarati incostituzionali stabilivano una disciplina legale sostitutiva nel caso in cui il contratto di locazione fosse «in nero», perché non registrato entro il termine stabilito dalla legge, e l'inquilino procedeva alla registrazione;
   tali vantaggi consistevano nel far decorrere la locazione dalla data di registrazione del contratto, con una durata di quattro anni più quattro, e nella riduzione del canone annuo di locazione in misura pari al triplo della rendita catastale;
   dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, le associazioni degli inquilini avevano avviato una campagna per la registrazione dei contratti in nero, evidenziando i vantaggi economici e di durata che questo comportava per gli inquilini che procedevano alla registrazione;
   secondo le stime diffuse da tali associazioni nel 2011 i contratti di locazione erano oltre 500 mila, con punte a Roma di ben il 90 per cento tra i contratti degli studenti fuori sede (circa 70 mila contratti);
   la sentenza della Corte costituzionale ha giudico, del tutto correttamente, che la specifica misura per l'emersione delle locazioni «in nero» fosse incostituzionale in quanto adottata dal Governo andando molto oltre l'oggetto della delega ricevuta dal Parlamento;
   subito dopo la sentenza della Corte costituzionale, il legislatore ha introdotto l'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, secondo cui «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23»;
   come emerge dai lavori parlamentari, con questa norma il Parlamento ha inteso salvaguardare «fino al 31 dicembre 2015 gli effetti della legge contro gli affitti in nero che la Corte costituzionale ha cancellato. Si è trovata una soluzione che non mette in discussione la sentenza, ma riconosce che coloro che ne hanno beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver applicato la legge e garantisce loro un tempo congruo per non dover sopportare un aggravio ingiusto delle proprie condizioni di vita»;
   tuttavia, anche la nuova norma è stata portata dinanzi alla Corte costituzionale, che con la sentenza 24 giugno 2015, n. 169 – ha riconosciuto che con essa il Parlamento ha inteso perseguire l'obiettivo «di preservare, per un certo tempo, gli effetti prodotti dalla normativa dichiarata costituzionalmente illegittima, facendo beneficiare di una singolare prorogatio la categoria degli inquilini». Pertanto, anche l'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 è stato dichiarato incostituzionale;
   secondo la Corte costituzionale, infatti, «era evidente che il legislatore si è proposto non già di disciplinare medio tempore – o ex novo e a regime – la tematica degli affitti non registrati tempestivamente; e neppure quello di “confermare” o di “riprodurre” pedissequamente il contenuto normativo di norme dichiarate costituzionalmente illegittime; ma semplicemente quello di impedire, sia pure temporaneamente, che la declaratoria di illegittimità costituzionale producesse le previste conseguenze, vale a dire la cessazione di efficacia delle disposizioni dichiarate illegittime dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (articolo 136 della Costituzione)»;
   a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, che hanno evidenziato ad avviso degli interroganti una eccessiva superficialità del legislatore, anche quello delegato, si è venuta a creare una situazione difficile per quei conduttori che facendo affidamento sulla norma, hanno proceduto alla registrazione dei contratti. Al contempo, è venuto meno un presidio normativo per il contrasto al mercato delle locazioni in nero, che nel nostro Paese rappresenta un problema sociale rilevantissimo;
   va aggiunto che la Corte di cassazione, a sezioni unite, con le sentenze del 17 settembre 2015, n.18213 e la n.18214, ha stabilito che è nullo il patto con cui, a latere del contratto registrato con una certa misura del canone annuo, le parti si sono invece accordate per un corrispettivo maggiore e ha inoltre confermato la nullità assoluta della cosiddetta «locazione di fatto», di quella cioè stipulata in forma verbale;
   sulla base del combinato disposto degli articoli 1 e 13, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, la nullità del contratto verbale può essere sanata solo dal conduttore ricorrendo al tribunale per fare accertare l'esistenza del contratto e per ricondurlo agli schemi previsti dalla legge, soprattutto in tema di durata e di misura del canone. Tuttavia, il locatario deve fornire la difficile prova che il locatore gli abbia imposto il contratto verbale;
   secondo la Corte di cassazione, infatti, la norma che prevede la disciplina della nullità del contratto di locazione concluso in forma verbale non permette altra interpretazione. Se il conduttore non riesce a dimostrare l'abuso del locatore, deve presumersi che le parti si siano determinate liberamente a concludere un contratto verbale, che è nullo e costringerebbe il conduttore a rilasciare l'immobile al locatore –:
   come il Governo intenda far fronte al problema delle locazioni «in nero» e se conosca il numero o vi sia una stima dei conduttori che, confidando sulla norma dichiarata incostituzionale, hanno registrato il contratto e si sono successivamente trovati nella condizione di subire un procedimento giudiziario da parte del locatore e a dover versare le differenze non pagate del canone di locazione e a subire uno sfratto;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per creare un fondo con risorse adeguate per sostenere i conduttori che in maniera incolpevole hanno fatto affidamento su quanto previsto dalla legge. (4-11179)


   RABINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le vicende giudiziarie che hanno coinvolto i vestici della fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo dal 2010 sono state oggetto negli anni di numerose polemiche, di svariate ricostruzioni giornalistiche su testate nazionali e locali, nonché di molteplici iniziative parlamentari, alle quali non è seguito alcun provvedimento di ispezione effettiva da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
   tali vicende hanno per oggetto gravi anomalie e irregolarità nella gestione a trattativa privata di una gara di appalto di lavori di ristrutturazione da parte della fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e pesanti ingerenze nella gestione del credito della partecipata Banca regionale europea;
   la fondazione, dopo aver confermato nel febbraio 2010 la fiducia al presidente della partecipata, la revocava il mese successivo, dopo che il presidente non aveva accolto richieste di affidamento a favore di operatori vicini alla fondazione;
   l'appalto, il cui valore è di circa 1.200.000 euro, risale al 2009 e si riferisce alla ristrutturazione di un centro convegni di proprietà della fondazione;
   le irregolarità, emerse successivamente e documentate, a quanto consta all'interrogante sarebbero le seguenti:
    a) i vertici della fondazione sono legati tra loro da numerosi e documentati rapporti di affari;
    b) il titolare della ditta che si è aggiudicata l'appalto, Giuseppe Ferrero, era socio in affari, da prima, con il presidente del collegio sindacale della fondazione, Gian Luigi Gola; in base al codice etico della fondazione non avrebbe avuto titolo a partecipare alla gara. Lo stesso Ferrero era stato informato molti mesi prima dell'invito a partecipare, mentre la Fondazione sostiene che i partecipanti sarebbero stati scelti dai progettisti, tra i quali uno «storico» professionista di fiducia dell'impresa aggiudicataria;
    c) non sarebbe stata data pubblicità alla gara, contravvenendo ad un preciso obbligo di legge;
    d) non sarebbe stata chiamata alla gara una primaria azienda cuneese, leader nel settore delle ristrutturazioni di edifici storici, benché ne avesse fatto preventiva richiesta;
    e) vi sarebbe stata dazione di denaro, sul conto dell'azienda del presidente della fondazione prima della stipulazione del contratto di appalto, avvenuta il 13 marzo 2009, e in tempi immediatamente successivi, da parte della società di Ferrero e Gola, per complessivi 200.000 euro;
    f) il ribasso d'asta proposto da Ferrero ed accettato dalla fondazione è stato pari all'1,50 per cento, quando la media dei ribassi d'asta sul mercato della provincia di Cuneo è intorno al 20 per cento. La differenza è di circa 200.000 euro: è ipotizzabile un prezzo forse superiore a quello di mercato;
    g) in data 5 maggio 2009 Ferrero e Gola venivano in aiuto dell'azienda del presidente della fondazione, Ezio Falco, Lineacomputer srl, in gravi difficoltà finanziarie, entrando a far parte della sua società e conferendovi l'importo di euro 196.000, a titolo di sovraprezzo quote, e circa 3.300 euro per nominali, pari al 33,3 per cento del capitale. Il tutto, quando i lavori erano da poco iniziati;
   al riguardo, sono stati avviati procedimenti giudiziari nei confronti di alcuni soggetti ai vertici della fondazione, con le accuse di appropriazione indebita, falso ideologico, frode fiscale e ostacolo alle attività di vigilanza;
   in risposta all'interrogazione n. 5-04156 del 26 novembre 2014 degli onorevoli Pesco e Dadone in merito alle citate anomalie nella gestione della fondazione CRC, in conseguenza delle quali si richiedeva un'attenta verifica delle condizioni esistenti dentro e intorno alla fondazione, in data 11 dicembre 2014 il sottosegretario Zanetti a nome del Governo ha comunicato che «al riguardo, l'autorità di vigilanza, oltre ad aver effettuato nel corso del 2012, per gli aspetti di competenza, un'attività di verifica nei confronti della fondazione medesima, ha costantemente posto attenzione alle segnalazioni nel tempo pervenute da più parti. In particolare, con riferimento alla vicenda inerente il contestato affidamento a trattativa privata, da pare della fondazione, di un appalto di lavori di ristrutturazione per oltre un milione di euro, l'autorità ha interessato di recente l'Ente su alcuni specifici aspetti rispetto ai quali si è in attesa di ricevere elementi di chiarimento.»;
   il sottosegretario Zanetti ha inoltre fatto presente che, sulle vicende della fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo richiamati nell'interrogazione, legate all'appalto dei lavori e agli intrecci societari che hanno coinvolto alcuni suoi esponenti, l'autorità già nel 2012 ha comunicato ufficialmente alla fondazione, che «eventuali profili di illegalità circa i fatti contestati o eventuali altre ipotesi di reato possono essere acclarati solo dall'autorità giudiziaria e che, prima facie, gli intrecci societari in questione sembrano non configgere con le disposizioni in materia di incompatibilità e conflitti di interesse previsti per le fondazioni, né, d'altronde, risulta che abbiano portato danno alla fondazione medesima...»;
   la risposta del Governo terminava con l'impegno dell'autorità di vigilanza ad assumere adeguate iniziative rientranti nella propria sfera di competenza, ivi compresa un'ulteriore attività di verifica, qualora dovessero emergere ulteriori profili di criticità;
   in risposta all'interrogazione n. 3-01716 presentata il 16 dicembre 2014 dal senatore Marino, in cui si chiedeva al Ministro dell'economia e delle finanze quali iniziative erano state adottate sulla fondazione e quali azioni si intendeva tempestivamente avviare, anche attraverso specifiche ispezioni, il viceministro Casero in data 12 marzo 2015 faceva presente che «il Ministero medesimo ha costantemente monitorato la fondazione per quanto di sua competenza e sulla base delle segnalazioni pervenute» e assicurava che, «qualora dall'indagine giudiziaria incorso dovessero emergere elementi di interesse in relazione alla gestione della fondazione, saranno valutate le più opportune iniziative da adottare» –:
   se risulti se ed in quali termini la fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo abbia risposto alla richiesta di chiarimenti da parte dell'autorità di vigilanza e se dalla eventuale risposta siano emersi elementi che abbiano indotto l'autorità di vigilanza ad assumere ulteriori iniziative;
   se il Ministro non ritenga opportuno, in ogni caso, procedere, per quanto di competenza, ad effettive ispezioni e specifiche verifiche in loco, al fine di risolvere al più presto una vicenda che si protrae da anni e fornire risposte concrete ad una crescente domanda di chiarezza e trasparenza sull'operato della fondazione Cassa di risparmio di Cuneo. (4-11184)


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Corriere della sera del 14 novembre 2015, anche per i proprietari di un unico immobile, in molti comuni, potrebbe risultare comunque un considerevole numero di tributi da pagare nel 2016;
   la sanatoria delle delibere comunali sull'aumento delle aliquote imu, tasi e tari, del 2015 arrivate in ritardo, rischia infatti di non consentire di usufruire di tale beneficio, in considerazione del rischio che con le nuove norme dal prossimo 1o gennaio 2016, si determini un conguaglio a carico dei contribuenti nei primi mesi del prossimo anno;
   il trasferimento della sanatoria in un decreto-legge, tuttavia, evidenzia il medesimo articolo, consentirebbe l'approvazione dei bilanci consuntivi entro il 30 novembre 2015, consentendo l'adeguamento in tal modo delle aliquote imu e tasi in tempo per il pagamento del saldo previsto a metà dicembre;
   i comuni interessati alla sanatoria, secondo il servizio politiche territoriali della Uil, sono 844 e fra questi si contano anche dieci capoluoghi di provincia, fra i quali anche Verbania –:
   se trovino conferma le indicazioni riportate dal quotidiano esposto in premessa e, in caso negativo, quali iniziative di competenza intenda intraprendere, al fine di sostenere le numerose amministrazioni locali interessate dalle delibere ritardatarie sull'aumento delle aliquote, in precedenza richiamate, la cui vicenda a parere dell'interrogante, ribadisce le difficoltà che caratterizzano la disciplina fiscale degli enti locali. (4-11185)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   ZOGGIA, MARTELLA, MOGNATO, MORETTO e MURER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Venezia Terminal Passeggeri s.p.a. è una società a prevalente capitale pubblico costituita nel 1997 ai sensi della legge n. 84 del 1994 per la gestione e lo sviluppo del traffico passeggeri nel porto di Venezia costituito navi da crociera, navi traghetto e aliscafi;
   tale società ha fatto conquistare faticosamente nel corso degli anni al porto crociere di Venezia la prima posizione di homeport (porto capolinea) del Mediterraneo, passando da 299.450 crocieristi del 1997 a 1.815.823 del 2013 con crescita quasi sempre a doppia cifra e passando da 700.000 passeggeri complessivi (crociere, traghetti e aliscafi) del 1997 a oltre 2.000.000, e oggi rappresenta uno dei porti più moderni e competitivi sul piano mondiale;
   a seguito dell'emanazione dell'ordinanza n. 153 del 2013 della capitaneria di porto di Venezia su direttiva del dispaccio n. 0039200 del 20 novembre 2013 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e malgrado tale ordinanza sia stata annullata (previa sospensione) dal T.A.R. del Veneto con sentenza n. 13/2015 del 9 gennaio 2015, il traffico crociere nel porto di Venezia è notevolmente diminuito per l'adempimento volontario delle compagnie di crociera alla volontà governativa;
   il Tar Veneto ha infatti annullato l'ordinanza con cui la capitaneria di porto di Venezia aveva disposto la limitazione del transito nel canale della Giudecca e nel canale di San Marco delle grandi nave da crociera: il divieto prevedeva per il 2014 una riduzione alle navi passeggeri di stazza lorda superiore a 40.000 GT, e per il 2015 di navi passeggeri di stazza lorda superiore a 96.000 GT;
   si è registrato un calo del traffico crociere dal record storico di 1.815.823 del 2013 con una previsione a 1.599.000 per il 2015;
   la compagnia armatoriale MSC Crociere ha comunque previsto una drastica riduzione del proprio traffico passeggeri nel porto di Venezia nel 2016;
   la MSC ha annunciato un taglio pari a 49 transiti presso il porto di Venezia con un traffico ridotto del 40 per cento in considerazione di alcune scelte strategiche della compagnia che intende privilegiare rotte su Cina e Cuba a discapito del Mediterraneo;
   MSC rimarrà a Venezia con tre navi fisse, «Sinfonia», «Magnifica» e «Orchestra» con complessivi 83 transiti;
   quello di Venezia per quanto concerne le navi passeggeri superiori a 40 mila tonnellate rappresenta il 90 per cento del traffico dell'intero Adriatico ed un eventuale ridimensionamento non potrebbe non avere conseguenze negative su tutto il sistema «adriatico»;
   la crocieristica rappresenta una voce importante nell'ambito dell'economia veneziana e si declina attraverso oltre 4.000 occupati e 283 milioni di euro di fatturato a cui va aggiunto l'indotto;
   è del tutto evidente che un ridimensionamento del traffico crocieristico per il terminale veneziano si tradurrebbe in una perdita di posti di lavoro diretti nonché sull'indotto comportando conseguenze negative per tutta l'economia veneziana;
   le conseguenze del ridimensionamento di MSC potrebbe comportare un calo di circa il 10 per cento nel traffico passeggeri complessivo;
   si tratta di un elemento che non può non essere tenuto nella dovuta considerazione per il futuro del turismo crocieristico di Venezia su cui vi è un vivace e intenso dibattito –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di scongiurare un ulteriore e penalizzante ridimensionamento del traffico turistico da crociera riguardante il porto di Venezia e l'intero Adriatico, con l'obiettivo di salvaguardare un segmento importante dell'economia locale e nazionale e principalmente i livelli occupazionali degli attuali operatori, nonché quali iniziative e quali determinazioni intenda assumere, tra le proposte, fino ad ora avanzate, nell'assoluto rispetto dell'ambiente e con l'obiettivo di non far transitare le grandi navi in bacino S. Marco e lungo il canale della Giudecca, per dare certezze al settore crocieristico su Venezia. (3-01855)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 marzo 2015, si è avviata la procedura di valutazione d'impatto ambientale, «Aeroporto di Firenze – Master Plan aeroportuale 2014-2029» presentata dall'ENAC sul nuovo aeroporto di Firenze che tra l'altro prevede una nuova pista con orientamento 2-30» al posto dell'attuale pista con orientamento «05-23». Una delle principali motivazioni della costruzione di questa nuota pista, e quindi del nuovo progetto, è che secondo i calcoli dell'ENAC l'attuale configurazione della lista con orientamento «05-23» non permette un coefficiente di utilizzazione (CU) della stessa conforme alle norme ICAO in quanto è pari a 90,2 quando il minimo di CU dovrebbe essere almeno 95, mentre la nuova pista con orientamento 2-30» ha un CU pari al 97,5 e quindi conforme a quanto stabilito da ICAO (ENAC, valutazione delle due ipotesi con orientamento 09/27 e 12/30, febbraio 2012);
   in data 3 novembre 2015, l'università di Firenze ha depositato nuove osservazioni al progetto di valutazione di impatto ambientali del nuovo Aeroporto di Firenze. Tra le varie criticità che l'università di Firenze ha rappresentato, vi sono anche quelle che mostrano una carenza di istruttoria in relazione al calcolo del coefficiente di utilizzazione (CU) quale parametro necessario e presupposto per la costruzione di un nuovo aeroporto;
   l'ENAC, proponente del progetto, infatti, dichiara che il processo valutativo che ha portato al progetto della nuova pista contenuto nel masterplan, non è stato condotto secondo la metodologia standard ICAO «poiché tale metodologia prende in considerazione solo venti traversi sottintendendo che le piste siano bidirezionali, rendendo irrilevanti gli effetti dei venti in coda»;
   l'affermazione sopracitata dell'ENAC – espressa nelle controdeduzione ENAC alle prime osservazioni dell'università di Firenze e riportata anche nel DVA-00–2015-0027427 «Osservazione dell'Università degli Studi di Firenze in data 3 novembre 2015» – ricorda che la minimizzazione del CU calcolato dai venti trasversi prevista dalla normativa ICAO per la pista principale di un aeroporto fa si che la pista risulti disposta lungo la direzione dei venti prevalenti. La rosa dei venti forti (v> 10 kts) mostrata dall'università di Firenze già nelle precedenti osservazioni (DVA-2015-0013977; Allegato C) e anche nelle nuove (DVA-00–2015-0027427 Allegato 2) dimostra che la pista attuale «05-23» è proprio disposta come richiesto dall'ICAO e quindi lungo la direzione dei venti prevalenti del sito. Pertanto, rivela l'università degli studi di Firenze, «da ciò discende che la pista di progetto “12-30” sarebbe disposta in modo perpendicolare ai venti prevalenti. Non si è a conoscenza di una simile soluzione progettuale in nessuno dei principali aeroporti a livello globale. Si nota che né il Masterplan nè le precedenti relazioni tecniche di valutazione dell'orientamento della nuova pista hanno evidenziato il conflitto dell'orientazione 12-30 con la raccomandazione dell'ICAO. Al contrario, hanno semmai citato la normativa ICAO per giustificare i vantaggi di tale, orientazione»;
   la normativa ICAO (Annex 14, articolo 3.1) prevede che la pista principale, usata in modalità bidirezionale, sia allineata lungo i venti prevalenti per massimizzare il CU. Se ciò non basta ad ottenere il CU minimo di 95, si raccomanda la previsione di una seconda pista, generalmente perpendicolare alla prima. Questa procedura raccomandata dall'ICAO, a detta dell'interrogante è evidentemente completamente diversa da quella seguita nel processo di definizione della pista alla base del masterplan dell'aeroporto di Firenze da parte del proponente;
   l'università di Firenze ha effettuato il calcolo di un CU «non standard» seguendo le indicazioni qualitative del proponente, ovvero considerando sia i venti al traverso che quelli in coda, sia per una sola che per entrambe le direzioni di atterraggio possibili. I calcoli, riportati in dettaglio sia nelle precedenti osservazioni (DVA–2015-0013977, Allegato C) che nelle nuove osservazioni (DVA–00–2015-0027427 Allegato 2), mostrano valori intorno a 97 per la pista attuale «05-23», anziché 90,2 dichiarati da ENAC, e intorno a 98-99 per la nuova pista 2-30» anziché 97.5 dichiarati dal proponente ENAC. Di contro, l'ENAC, pur essendo stata esplicitata la grande differenza tra tali dati, non ha smentito la metodologia di calcolo seguita dall'università di Firenze. Infine, nelle osservazioni presentate dall'università di Firenze si legge che «D'altro canto, non è stato possibile per questo Ateneo riprodurre i valori dichiarati dal Proponente, se non ipotizzando un errore metodologico nell'analisi statistica dei dati anemometrici della stazione meteo dell'aeroporto di Firenze»;
   come riportato dall'ID 21 - DVA-2015-0013977 Osserv. 4 dell'università degli studi di Firenze, «la pista di progetto del Masterplan, come riaffermato nel Progetto Definitiva, è formalmente definita come bidirezionale. La Bidirezionalità è formalizzata dai seguenti elementi:
   a) Le distanze dichiarate per la pista 12-30 riportano le distanze disponibili per l'atterraggio e il decollo in entrambe le direzioni;
   b) il Progetto Definitivo della pista mostra chiaramente il segno della soglia 30, il quale segnala a livello formale ai piloti la possibilità di atterrare dal lato di Firenze. Nel caso in cui l'atterraggio lungo una particolare direzione sia escluso a livello formale, tale segno deve essere rimosso;
   c) la documentazione del SIA continua a citare come un elemento fondante del progetto di pista la superficie di avvicinamento alla pista 30, già definita nella relazione ENAV. Tale superficie è in realtà necessaria soltanto se sono previsti atterraggi dal lato di Firenze, altrimenti la normativa ICAO prevede un altro tipo di superficie ostacoli, la cosiddetta superficie di atterraggio interrotto. Si ritiene necessario che il Proponente chiarisca se a livello formale la pista è monodirezionale oppure bidirezionale. Se la pista è formalmente monodirezionale si richiede che venga modificato il Progetto Definitivo della pista come richiesto dalla normativa»;
   come riportato all'ID 22 – DVA-2015-0013977 Osserv. 4 dell'università degli studi di Firenze «ICAO non contempla la possibilità che la pista di volo principale di un aeroporto (a maggior ragione l'unica pista) sia monodirezionale. Anzi, esprime la necessità che sia bidirezionale»;
   come riportato all'ID 25 – DVA-2015-0013977 Osserv. 4 dell'università degli studi di Firenze, lettera c) «la descrizione della rotta di sorvolo della città di Firenze è solo approssimativa. L'affermazione “l'attraversamento di Firenze a quota elevata fino a circa Coverciano” confligge con la carta aeronautica in Fig. 5 della relazione 06–RS–ENAV–2015. Tale carta mostra infatti varie rotte, i cui punti di virata stanno ad una quota di soli 850 ft (circa 300 m) in vari punti della città. Quindi non sembra esserci una sola rotta predefinita e la quota di sorvolo non sembra essere alta, soprattutto sul lato Ovest della città. (...) Si nota che dalle tre criticità elencate discende un potenziale impatto ambientale sulla città di Firenze che sinora non è stato valutato»;
   come riportato all'ID 28 – DVA-2015-0013977 Osserv. 2 dell'università degli studi di Firenze «il Masterplan prevede un traffico [cargo] di avvio al 2018 di 18.000-20.000 tonnellate anno e la superficie dell'area cargo appare correttamente dimensionata per accogliere tale traffico. Il Masterplan non contiene però alcuna giustificazione di tale previsione, che appare evidentemente sproporzionata [...] Si ritiene infine necessario che il Proponente espliciti in modo chiaro le caratteristiche della viabilità di accesso all'area cargo, soprattutto se i volumi di traffico saranno quelli stimati nel Masterplan, che sopra si chiede di dimostrare. Questa richiesta era già contenuta nell'Osservazione n. 9 a cui però il Proponente non ha dato risposta. Si nota che il dimensionamento dell'area cargo contribuisce in modo sostanziale a determinare l'intero layout aeroportuale e di conseguenza l'impatto sul territorio»;
   come riportato all'ID 60 INT–AMB–01–REL-001 relativamente all'analisi degli effetti del progetto a livello di inquinamento atmosferico università degli studi di Firenze afferma «Si può quindi concludere che tutta l'analisi della dispersione degli inquinanti atmosferici riportata nel SIA sia stata compiuta utilizzando un set di dati anemometrici in cui il 40 per cento circa delle rivelazioni non contiene la misura della direzione di provenienza del vento» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di chiarire se l'ENAC abbia preso in considerazione la metodologia corretta stabilita da ICAO per il calcolo del coefficiente di utilizzazione (CU) e, in caso negativo, se sia corretto giustificare la costruzione di una nuova pista aeroportuale perché la vecchia non rispetta criteri scelti da ENAC sul CU e non, invece, in base alle normative ICAO;
   se il Ministro possa riferire qual è la metodologia di calcolo del CU adoperata da ENAC per giustificare la scelta della costruzione della nuova pista in direzione «12-30», visto che la stessa metodologia non sembra essere conforme alle norme ICAO, se ENAC abbia compiuto un errore metodologico nell'analisi statistica dei dati anemometrici della stazione meteo dell'aeroporto di Firenze;
   se il Ministro possa riferire se a livello formale la pista è monodirezionale oppure bidirezionale e nel caso in cui fosse formalmente monodirezionale, se concordi con quanto affermato dalla università degli studi di Firenze ed espresso in premessa e quindi che venga modificato il progetto definitivo della pista come richiesto dalla normativa;
   se il Ministro possa esplicitare in modo chiaro quali sono le caratteristiche della viabilità di accesso all'area cargo e, soprattutto, se i volumi di traffico saranno quelli stimati nel masterplan;
   se il Ministro possa confermare se l'analisi della dispersione degli inquinanti atmosferici riportata sullo studio di incidenza ambientale sia stata compiuta utilizzando un set di dati anemometrici in cui il 40 per cento circa delle rivelazioni non contiene la misura della direzione di provenienza del vento;
   se le autorità preposte abbiano comunicato all'UNESCO la notizia della costruzione del nuovo aeroporto alle porte della città, soprattutto in seguito alla possibilità che alcuni voli possano contemplare il sorvolo della città in caso di venti contrari o difficoltà di vario genere mettendo in pericolo il centro storico patrimonio mondiale dell'umanità. (5-07030)

Interrogazioni a risposta scritta:


   STELLA BIANCHI, REALACCI, BRATTI, BRAGA, TINO IANNUZZI, MARIANI e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il problema della fragilità del nostro territorio e dell'esposizione al rischio di frane e alluvioni riguarda molte aree della penisola. Secondo i dati forniti dall'Ispra nell'ultimo «rapporto di sintesi sul dissesto idrogeologico in Italia» ogni anno oltre un migliaio di frane colpiscono il territorio nazionale mentre il numero delle persone esposte a possibili fenomeni alluvionali di grave entità è di circa 2 milioni;
   gli eventi atmosferici di portata eccezionale, anche a causa del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici in atto, sono sempre più frequenti e il loro impatto sul territorio nazionale si fa sempre più devastante con costi economici e sociali immensi. Basta pensare a quanto successo a partire dal mese di settembre 2015 nel Piacentino (330 millimetri di pioggia in 4 ore il 14 settembre), nel Sannio (161 millimetri di pioggia in 5 ore il 15 ottobre), in Calabria (720 millimetri di pioggia in tre giorni a partire dal 31 ottobre) e in Sicilia nelle ultime settimane;
   la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici inserisce tra le misure prioritarie l'adozione di sistemi di monitoraggio innovativi e diffusi sul territorio per cogliere il primo manifestarsi di fenomeni franosi e prendere in modo tempestivo provvedimenti adeguati per la sicurezza della comunità e del territorio;
   in particolare nella strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, adottata con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si sottolinea come sia necessaria una maggiore conoscenza e in particolare «tale aumentata esigenza conoscitiva richiede capacità di prognosi e di monitoraggio assai più ampie di quelle attuali: ciò impone, innanzitutto, la necessità di adeguare, migliorare o rinnovare gli attuali sistemi di osservazione in funzione delle necessità emergenti e delle implicazioni climatiche, al fine di poter caratterizzare tempestivamente ed opportunamente i rischi e gli eventuali benefici associati ai cambiamenti climatici e di definire la vulnerabilità dei sistemi socioeconomici e degli ecosistemi naturali. Una buona comprensione dei fenomeni è, infatti, alla base di ogni azione finalizzata a ridurre la vulnerabilità del territorio e a contrastare gli effetti dannosi dei cambiamenti climatici, evitando che le misure di adattamento vengano attuate troppo tardi o in maniera errata con conseguenti danni e costi inutili. Elemento essenziale di una efficace strategia di adattamento è, pertanto, un insieme di sistemi di monitoraggio che sia in grado di fornire in modo regolare, continuo, omogeneo nel tempo i dati necessari»;
   sistemi di monitoraggio strumentali del terreno sono stati adottati in diverse parti del territorio nazionale particolarmente esposte a rischio idrogeologico e interessate da fenomeni franosi e alluvionali, ad esempio nell'area delle Cinque Terre, in Versilia e in Valle d'Aosta;
   la regione Sicilia è particolarmente esposta al rischio idrogeologico. Secondo quanto riportato dal «Rapporto preliminare sul rischio idraulico in Sicilia», redatto dalla regione, negli ultimi quindici anni sul territorio siciliano si sono verificate 78 frane o alluvioni che hanno provocato 58 vittime e danni stimati in almeno 3,3 miliardi di euro. Sempre secondo il rapporto nella regione sono circa ottomila i luoghi in cui è presente una situazione di rischio idrogeologico dovuta ad «interferenze» tra corsi d'acqua e insediamenti umani. Di questi ottomila punti di rischio 2300 sono localizzati nel messinese, numero che equivale al 29 per cento delle emergenze siciliane;
   la fragilità idrogeologica della provincia di Messina era già emersa tragicamente nel 2009 quando a causa di un violento nubifragio, dalla serata del 30 settembre al mattino successivo con intensità massime fino a 220 – 230 millimetri di pioggia in tre ore, persero la vita 37 persone. Tale tragedia fu causata dallo straripamento di alcuni corsi d'acqua e da numerose frane che colpirono il comune di Scaletta Zanclea e diverse località del comune di Messina (Giampilieri Superiore, Giampilieri Marina, Altolia, Molino, Santo Stefano di Briga, Briga Superiore e Pezzolo);
   il 24 ottobre 2015 il comune di Messina ha dovuto affrontare una nuova situazione di emergenza a causa di uno smottamento provocato dal maltempo che ha danneggiato la condotta idrica di Fiumefreddo e interrotto per diversi giorni l'approvvigionamento idrico della città. A distanza di una settimana l'emergenza sembrava essere stata risolta grazie alla realizzazione di un bypass tra gli acquedotti di Fiumefreddo e Alcantara. Tuttavia il bypass realizzato per superare l'emergenza è stato investito a sua volta da una frana, ancora dovuta al maltempo, causando una nuova interruzione dell'erogazione idrica che si protrae ancora, a distanza di oltre venti giorni;
   secondo quanto riportato da un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 7 novembre 2015 nel comune di Messina sarebbe stata smantellata la rete di sensori antifrana realizzata per monitorare e controllare i movimenti del terreno e realizzata in vista dell'apertura dei cantieri per la realizzazione del ponte sullo stretto. L'intera opera era costata 35 milioni di euro e monitorava un'area più estesa di quella interessata dal ponte vero e proprio;
   sempre secondo l'articolo del Corriere della Sera dopo la liquidazione della società Stretto di Messina spa la rete di monitoraggio ambientale, che avrebbe segnalato eventuali smottamenti del terreno, sarebbe stata offerta a diverse amministrazioni e società (comuni, province, Arpa, università e istituti di ricerca siciliani e calabresi e altro) che non si sono dimostrate interessate all'acquisizione e alla gestione della rete e degli strumenti di monitoraggio. L'offerta sarebbe stata lasciata cadere e lo smantellamento dei sensori è stato inevitabile –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se quanto esposto trovi conferma;
   se non ritengano necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a ripristinare la rete di monitoraggio ambientale nella zona di Messina soggetta ad un forte rischio idrogeologico;
   quali iniziative intendano adottare per garantire che tutte le aree vulnerabili del territorio nazionale siano adeguatamente e costantemente monitorate così come indicato dalla strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici;
   se non ritengano una assoluta priorità per il Paese l'adozione di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici con risorse e tempi definiti e quali iniziative intendano adottare per assicurarne una rapida definizione e attuazione. (4-11167)


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia è sempre più isolata dal resto del Paese per il carente sistema dei trasporti aggravato dal notevole incremento del costo dei biglietti aerei soprattutto nei periodi festivi e durante la stagione estiva;
   i collegamenti aerei sono indispensabili ed indifferibili per chi vive nelle isole non solo dal punto di vista turistico ed economico, ma anche per la qualità di vita degli abitanti della regione siciliana;
   la Sicilia, tra l'altro, è particolarmente svantaggiata rispetto al resto del Paese per un divario notevole in termini di infrastrutture e di servizi che comporta un notevole aggravio per la mobilità dei suoi cittadini;
   è necessario, pertanto, assicurare condizioni favorevoli per gli abitanti della Sicilia che non possono subire un'ingiustificata discriminazione che li mette in condizione di emarginazione non solo rispetto agli scali nazionali, ma anche rispetto all'Europa;
   è necessario, pertanto, favorire, proprio in virtù della situazione di marginalità socio-economica della Sicilia, interventi diretti a favorire la realizzazione di un servizio con tariffe sostenibili per i cittadini siciliani tali da ottenere condizioni paritarie alle altre regioni del nostro Paese;
   il diritto alla mobilità costituisce un servizio di interesse economico generale e quindi deve essere tale da dovere essere assicurato a tutti i cittadini indipendentemente dalla loro dislocazione geografica;
   da notizie riportate dalla stampa sembra che la regione Sardegna abbia ricevuto un contributo da parte dello Stato di 30 milioni di euro per la continuità territoriale –:
   quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare ai cittadini della regione Sicilia il superamento, in virtù della loro insularità, di svantaggi strutturali il cui perdurare ne ostacola lo sviluppo economico-sociale.
(4-11171)


   DISTASO, ALTIERI e FUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane, come annunciato dal Ministro interrogato, il Governo ha presentato i contenuti dell'attesa riforma dei porti delle autorità portuali;
   la riforma, in particolare, ha l'obiettivo di ridurre (da 25 a 14) il numero dei porti italiani più strategici da inserire nella rete portuale transeuropea attraverso l'accorpamento delle rispettive autorità portuali;
   per quanto riguarda la Puglia, dopo che inizialmente il Governo sembrava optare per il mantenimento delle sedi di Bari e Taranto, alla luce del ruolo strategico di entrambe, la riforma attuale prevede invece che la Puglia abbia una sola sede di autorità portuale, da individuare nella città di Taranto;
   a parere degli interroganti questo piano sulla Puglia non tiene conto del fatto che oggi Bari e Taranto sono entrambi porti riconosciuti come «core» dall'Unione europea. Riguardo al porto di Bari, nel primo trimestre del 2015 esso ha fatto registrare dati in crescita dal punto di vista del traffico passeggeri (+ 3,6 per cento), del trasporto di camion e veicoli (+ 3,2 per cento) del trasporto merci (+ 34 per cento);
   in una recente dichiarazione della Confindustria Bari e Bat viene inoltre evidenziato che sul porto di Bari sono stati effettuati grandi investimenti e che esso è caratterizzato da una crescente centralità geografica, intermodale e logistica;
   ferma restando l'importanza del porto di Taranto, a parere degli interroganti la scelta riguardante la Puglia, andrebbe rivista alla luce dei dati concreti, peraltro formalizzati dalla sezione di Confindustria Bari e Bat –:
   quali iniziative di competenza il Governo ritenga di assumere, anche alla luce delle considerazioni espresse in premessa ai fini di un effettivo riesame del piano di riforma delle autorità portuali nella regione Puglia. (4-11175)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ANZALDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 29 novembre 2007, n. 222 all'articolo 34, e il successivo decreto del Ministro dell'interno del 6 maggio 2008, prevedano la possibilità di conferire da parte del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, l'onorificenza di «vittima del terrorismo» con la consegna di una medaglia in oro;
   i destinatari di tale onorificenza sono i cittadini italiani appartenenti o non appartenenti alle forze dell'ordine, alla magistratura e ad altri organi dello Stato, che per le loro idee e per il loro impegno morale siano stati colpiti dalla eversione armata e dal terrorismo;
   secondo la normativa sono i feriti e i familiari dei deceduti aventi diritto che possono presentare domanda per ottenerla alla prefettura di residenza della vittima o direttamente al Ministero dell'interno, anche per il tramite delle associazioni rappresentative delle vittime del terrorismo;
   completata l'istruttoria, le istanze vengono esaminate dalla apposita commissione consultiva istituita presso il Ministero dell'interno;
   il Ministero dell'interno può prescindere dal richiederne il parere quando la risonanza dell'evento conclami l'opportunità del conferimento dell'onorificenza;
   nel corso degli attentati avvenuti a Parigi il 14 novembre 2015 e che hanno scosso il mondo ha perso la vita anche una giovane italiana: Valeria Solesin di 28 anni, originaria di Venezia, e che da quattro anni si era trasferita a Parigi dottoranda in demografia presso la prestigiosa università della Sorbona, studiava sociologia e si occupava di temi legati alla famiglia e ai bambini;
   ha pubblicato alcuni saggi sulla condizione femminile nel mondo del lavoro e dedicava parte del suo tempo al volontariato e ad aiutare i più bisognosi;
   la sua morte è avvenuta per mano del terrorismo di matrice islamica in circostanze in cui sembra emergere anche essere stata scudo umano, salvando altre vite;
   ad avviso dell'interrogante appare che vi siano conclamati presupposti circa l'opportunità di conferire suddetta onorificenza –:
   in considerazione di quanto espresso in premessa quali iniziative di competenza il Governo, nello specifico il Ministro dell'interno, intenda attivare affinché «motu proprio» possa essere insignita Valeria Solesin della onorificenza della medaglia d'oro quale vittima del terrorismo per non dimenticare una giovane donna caduta per mano della cieca violenza terroristica, che con il suo lavoro e i suo impegno, dava lustro al suo Paese. (3-01852)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia stradale di Brescia non avrebbe auto per pattugliare le strade della città tanto che il Siulp, sindacato autonomo delle forze di polizia, parlerebbe di un «collasso operativo della polizia stradale per mancanza di automezzi»;
   la situazione descritta è tale che «per l'indisponibilità dei mezzi di servizio a volte si verifica la soppressione delle pattuglie adibite alla vigilanza urbana e extra urbana» e il personale operante sarebbe costretto ad alternarsi per i turni sulla stessa auto di servizio, tanto che, se la pattuglia smontante non torna in tempo, quella successiva non può iniziare a lavorare;
   il parco auto in dotazione alla polizia stradale di Brescia sarebbe, ufficialmente, di trenta autovetture e venti motocicli, ma secondo il sindacato la realtà è ben diversa: «Attualmente, la sezione e i Reparti dislocati in provincia sono in grado di impiegare per la viabilità ordinaria 7 auto e 6 moto. Solo quattro auto risultano operative e una di queste, si tratta di una Fiat Freemont, è in prestito da Milano. Delle altre tre, una è ferma in attesa di riparazione, mentre le restanti due sono a disposizione dell'Autocentro lombardo in stato di fuori uso»; per quanto riguarda le moto: «Hanno dodici anni, le tre superstiti BMW 320 s.w. hanno percorso 316 mila chilometri»;
   in provincia la situazione è sempre carente: «La Sezione cittadina dispone di due veicoli per il pattugliamento sulle autostrade e nessuno per quanto concerne la vigilanza stradale urbana ed extraurbana, Iseo possiede un solo veicolo BMW, Darfo Boario Terme una sola vettura presa in prestito dal Reparto di Chiari, Salò una sola macchina messa a disposizione dalla Sezione, Desenzano del Garda una BMW e la Fiat Freemont di Milano, quest'ultima è ferma dal 3 novembre per un guasto elettrico, Chiari detiene 4 autovetture esclusivamente per l'espletamento del servizio in autostrada e nessuna per le arterie ordinarie, Montichiari solo tre auto tutte allocate in autostrada»;
   tutto questo accade mentre il disegno di legge di stabilità 2016 del Governo Renzi taglia 491,3 milioni di euro all'ordine pubblico e alla sicurezza: il Fondo straordinario del personale della polizia di Stato ha registrato -12,7 milioni di euro; la lotta contro la criminalità organizzata, 87 mila euro; l'arma dei carabinieri, tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, -317 milioni; la pianificazione e il coordinamento delle forze di polizia, -190,3 milioni; la direzione investigativa antimafia, -1,9 milioni; la prevenzione e il soccorso civile, -138,9 milioni; l'autorità nazionale anticorruzione, -1 milione; i servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica, -9,1 milioni;
   secondo il Siulp: «I tagli lineari alla spesa, frutto delle decisioni politico economiche degli ultimi anni, non hanno risparmiato il settore sicurezza e gli effetti collaterali sono più che evidenti. La scarsità delle risorse (taglio complessivo del 55 per cento rispetto alle quote stanziate) sta avendo ripercussioni drammatiche a livello nazionale, e Brescia presenta le sue sofferenze in tutti gli ambiti del processo lavorativo: mancanza di autovetture, comprese quelle civili, con annessa difficoltà riguardo le riparazioni; negli ultimi 5 anni si è assistito ad una discesa repentina dei fondi destinati alla manutenzione strutturale degli edifici (Questura, Commissariati, e altro) e a quelli connessi alla pulizia e igiene dei posti di lavoro; nella fornitura di vestiario ed equipaggiamento; di quelli inerenti la retribuzione del lavoro straordinario, le missioni ordinarie e straordinarie del personale; per quelli attinenti l'approvvigionamento di armi e munizioni con inevitabile riduzione del livello di addestramento professionale al tiro e infine, per l'acquisto di giubbotti antiproiettili per i reparti operativi»;
   il rapporto tra recessione e ondata delinquenziale è evidenziato nei recenti sondaggi di Censis e Confcommercio: oggi il 90 per cento degli imprenditori dichiara di non sentirsi sempre sicuro nella zona in cui opera;
   Brescia, rispetto al recente passato, risulterebbe maggiormente insicura tanto da posizionarsi in classifica come terza città in Lombardia e la ventiduesima in Italia per le intrusioni dei ladri nelle case; anche gli scippi e le frodi informatiche hanno subito la stessa sorte aumentando esponenzialmente il senso d'insicurezza percepita dalla collettività, per non parlare della presenza dei «tentacoli della mafia calabrese» di cui la città ha il primato nella sua provincia, seconda solo all'area milanese;
   la prevenzione e il controllo del territorio risultano gli elementi imprescindibili su cui puntare per attuare un'efficace azione di contrasto al crimine;
   secondo il comunicato del Siulp è necessaria: «un'implementazione strutturale e organizzativa che miri a ristabilire nelle varie interrelazioni funzionali, un'equilibrata distribuzione delle risorse umane, strumentali e tecnologiche che, purtroppo, a Brescia e in provincia risultano scarse come ribadiamo e denunciamo da anni» –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della grave situazione in cui si trova il parco mezzi della polizia stradale di Brescia di cui in premessa e se non intenda verificare la portata del problema sia a livello locale che a livello nazionale;
   se non intenda intervenire con urgenza, nell'ambito delle proprie competenze, allo scopo di favorire la risoluzione del problema legato alla carenza di risorse di cui in premessa che rende complesso lo svolgimento delle attività delle forze dell'ordine, fondamentali per il controllo del territorio e la sicurezza dei cittadini. (4-11166)


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i drammatici avvenimenti accaduti venerdì scorso a Parigi, causati da ripetuti e simultanei attacchi terroristici di radice islamica legata all'Isis, che hanno causato oltre 130 vittime fra cui una ragazza italiana e centinaia di feriti, moltissimi dei quali in gravissime condizioni, coinvolgono direttamente il nostro Paese ed in particolare le regioni italiane del Nord – Italia;
   l'allarme diffuso dalla polizia stradale nel pomeriggio di lunedì 16 novembre 2015, secondo cui uno degli autori degli attentati alla capitale francese, era entrato nel territorio italiano attraversando la città di Ventimiglia e dirigendosi in Piemonte, nonostante sia stato un falso allarme, a parere dell'interrogante, ribadisce tuttavia la necessità di potenziare il sistema di vigilanza e di pronto intervento delle autorità di pubblica sicurezza, per tutelare la stessa regione piemontese, quale area di confine con il territorio transalpino;
   al riguardo, l'interrogante segnala come in un articolo pubblicato dal sito web di un quotidiano novarese «Il Venerdì Tribuna», il sindacato autonomo di polizia novarese dia intervenuto in merito alla necessità di innalzare i livelli di sicurezza a seguito degli eccidi di Parigi, potenziando l'attività di prevenzione e di sorveglianza dell'area piemontese, in considerazione della situazione di estrema precarietà in cui essi operano;
   il sindacato autonomo di polizia evidenzia, a tal fine, l'impreparazione con la quale quotidianamente i poliziotti, svolgono l'attività di presidio e tutela pubblica caratterizzata da equipaggiamenti obsoleti, mancanza cronica di aggiornamento e formazione e inconvenienti logistici quotidiani, aggiungendo inoltre, che la maggior parte di essi può esercitarsi con l'arma di servizio soltanto una o due volte all'anno;
   le numerose insistenze da parte del responsabile provinciale del Sap novarese – evidenzia inoltre l'articolo in precedenza richiamato – per ottenere un adeguato materiale ed equipaggiamento efficiente in uso per i poliziotti, sono rimaste inascoltate, anche con riferimento all'organico considerando che mancano 14 mila ispettori e 9 mila sovrintendenti su scala nazionale;
   il medesimo articolo rileva fra l'altro come a seguito delle numerose iniziativa di protesta, da essi avviate e che l'interrogante giudica assolutamente condivisibili, il Governo abbia annunciato l'assunzione di 2.500 agenti di sicurezza, non considerando tuttavia gli imminenti 5 mila pensionamenti;
   la denuncia proveniente dal Sap di Novara in precedenza richiamata, a giudizio dell'interrogante, conferma anche e soprattutto nel presente periodo che la comunità nazionale ed internazionale europea sta attraversando a seguito degli attentati di Parigi, la necessità di un nucleo aggiuntivo di poliziotti da mettere a disposizione della regione Piemonte (oltre che nelle altre regioni italiane maggiormente a rischio di attentati) il potenziamento di tale organico risulta necessario ed urgente proprio in considerazione dell'estrema situazione di rischio in cui si trova la confinante Francia –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e con particolare riguardo alle osservazioni del sindacato autonomo provinciale di Novara, in merito alle condizioni di estrema difficoltà con le quali le forze dell'ordine operano quotidianamente a servizio della tutela e della sicurezza della comunità novarese e in generale in quella piemontese;
   se non ritenga, a tal fine, urgente e necessario avviare operazioni di potenziamento delle forze dell'ordine a disposizione della regione Piemonte, in considerazione dell'elevato livello di allarme in Italia a seguito degli eventi parigini, attraverso interventi di dispiegamento immediati nella medesima area di confine con la Francia e il miglioramento condizioni operative delle forze dell'ordine nella medesima regione, che secondo quanto riporta l'articolo di stampa esposto in premessa, risultano estremamente scarse.
(4-11168)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la disponibilità manifestata recentemente dal Presidente del Consiglio dei ministri ad aumentare i fondi per la sicurezza previsti dalla legge di stabilità è certamente positiva;
   sarebbe il caso, tuttavia, di rivedere anche il previsto aumento degli stipendi di poliziotti e carabinieri che, stando alle stime attuali, dovrebbe oscillare tra i 9 e i 14 euro lordi al mese;
   a giudizio dell'interrogante, tali cifre sono evidentemente insufficienti per chi ha un salario che è ben al di sotto della media europea e svolge un lavoro ad alto rischio;
   alla vigilia di importanti appuntamenti come il Giubileo, che vedranno le forze dell'ordine in prima linea per garantirne la sicurezza, è necessario che poliziotti e carabinieri abbiano il giusto riconoscimento per la peculiarità del proprio lavoro;
   gli organici delle forze dell'ordine risentono della spending review che ne ha determinato un costante assottigliamento;
   a fronte di circa 2500 agenti assunti all'anno ne vanno in pensione circa il doppio;
   stando ai dati dei sindacati di polizia, a Roma – città che ospita il Giubileo – tra il 2001 e il 2014 la popolazione è cresciuta del 13 per cento registrando un aumento di circa 300 mila residenti;
   nonostante tale aumento di popolazione, la questura ha ridotto i suoi organici del 26 per cento;
   dette circostanze rischiano di indebolire l'apparato di sicurezza necessario a prevenire disordini e attentati di ogni matrice;
   è noto che gli stipendi degli italiani, a partire da quelli degli statali, negli ultimi anni si sono ridotti significativamente;
   i dati diffusi recentemente dall'Istat rivelano cifre indicative: dall'anno che ha visto il blocco degli stipendi agli statali, il 2010, fino al 2014, i dipendenti della pubblica amministrazione hanno visto il loro compenso abbassarsi di circa 390 euro;
   detta somma scaturisce dalle somme correnti, senza tenere in considerazione gli effetti dell'inflazione;
   su queste cifre incide anche la riduzione delle assunzioni a fronte delle uscite: sono venute meno, infatti, circa 176.000 unità occupazionali;
   secondo l'Istat si tratta del numero delle unità equivalenti a tempo pieno, che misura l'effettivo input di lavoro impiegato nelle attività della pubblica amministrazione;
   il nostro Paese, come tutti i Paesi dell'Europa è particolarmente esposto al rischio del terrorismo di matrice islamica;
   quanto accaduto a Parigi dimostra la vulnerabilità delle nostre città;
   il Giubileo della Misericordia che si aprirà 1'8 dicembre 2015 espone ancora di più la città di Roma e l'intero territorio nazionale ad attacchi terroristici e ad atti dimostrativi dell'integralismo islamico –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per assicurare agli uomini delle forze dell'ordine stipendi che siano progressivamente parificati alla media europea; se non ritenga di dover promuovere in seno al Consiglio dei ministri iniziative per il potenziamento dell'organico delle forze dell'ordine per affrontare l'emergenza terrorismo in atto in Europa. (4-11172)


   COLONNESE, FICO, SIBILIA e MICILLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta i cittadini di Napoli stanno vivendo momenti di angoscia e di terrore in seguito alla recrudescente spirale criminosa e violenta da parte di organizzazioni criminali. In particolare, nel centro storico, al rione Sanità, non si ferma la sequela di omicidi: dopo Ciro Esposito (22 anni, ucciso il 7 gennaio 2015), Pasquale Ceraso (67 anni, ucciso il 3 settembre 2015) e Gennaro Cesarano (17 anni, ucciso il 6 settembre – dopo appena tre giorni) il 14 novembre è toccato a Pietro Esposito, pregiudicato di 45 anni, padre di Ciro Esposito. In particolare, in quest'ultimo agguato, è rimasto ferito il dipendente di un'attività commerciale sita nella piazza, Giovanni Catena, 29 anni, intercettato da un colpo mentre svolgeva la sua mansione, operato d'urgenza al Vecchio Pellegrini, in prognosi riservata al momento della stesura di questo atto. Anche per il diciassettenne Gennaro Cesarano è stata esclusa l'appartenenza a clan camorristici: sarebbe stato raggiunto e ucciso durante un'azione dimostrativa delle organizzazioni criminali in Piazza Sanità. Se per il giovane Cesarano si erano fatte mille illazioni, solo perché il fatto era accaduto intorno alle 4 di notte, l'ultimo episodio è invece occorso in pieno giorno, alle 16 del pomeriggio nella stessa piazza del popoloso rione, con le attività commerciali in pieno svolgimento nell'affollato pomeriggio prefestivo;
   sessantanove giorni dopo l'assassinio di Gennaro Cesarano, nel pomeriggio del 14 novembre 2015, i killer hanno agito alla luce del sole, senza neppure mascherarsi in qualche modo, nella stessa piazza, davanti alla stessa chiesa. Hanno ucciso un pregiudicato e ridotto in gravi condizioni un giovane che stava lavorando in un pub. Un altro innocente. Non c'era nessuna divisa dello Stato. Neppure un'auto. Nulla che potesse anche minimamente preoccupare i sicari della camorra che sono andati dritto al loro macabro obiettivo: uccidere, spargere il terrore, inquinare la vita di ogni giorno, l'economia, i rapporti sociali. Anche mietere vite innocenti rientra nella possibilità, anzi, meglio se accade: così la paura che genera omertà si diffonderà ancora di più;
   nel mese di luglio 2015, (dopo il verificarsi dell'esecuzione del giovanissimo boss Emanuele Sibilo e delle azioni criminali compiute dalla cosiddetta «paranza dei bambini» nella zona di Forcella, il Ministro interrogato ha disposto l'incremento da 50 a 100 unità «del contingente dei Reparti Inquadrati, peraltro già operativi nei quartieri di Scampia e Secondigliano, allo scopo di implementare i servizi di sicurezza e ordine pubblico nelle aree pubblico a rischio»;
   attraverso tale dispositivo, noto come «operazione alto impatto», il Governo ha voluto dare «una risposta importante a garanzia dei cittadini napoletani che possono e devono contare, specialmente dopo i gravi fatti recentemente avvenuti, su una costante presenza dello Stato, tradotta concretamente in una serie di interventi pronti e mirati anche al contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa»;
   dopo la morte del diciassettenne Gennaro Cesarano, il Ministro interrogato aveva annunciato l'invio di altre 50 unità, fra polizia e carabinieri, per il presidio dei quartieri che in queste ore sono maggiormente in balìa della violenza criminale messa in atto, sempre di più, dalle giovanissime leve delle organizzazioni camorristiche; il prefetto di Napoli, Gerarda Maria Pantalone, al termine del comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico ha dichiarato: «Il territorio del rione Traiano e Soccavo sarà presidiato h24 e lo stesso discorso vale anche per la Sanità»;
   all'interpellanza urgente n. 2/01067 dell'8 settembre 2015 a prima firma Fico, che oltre a chiedere quali misure urgenti siano state messe in atto per contrastare la recrudescenza criminale nel capoluogo campano, mirava anche a conoscere quali più ampie misure il Governo avesse intenzione di adottare sul piano del disagio socio-economico e del recupero ambientale, allo scopo di affrontare alla radice gli annosi problemi che affliggono la città e che richiedono interventi strutturali, (non caratterizzati quindi solo dall'emergenza del momento), il Ministro rispondeva:
    «Gli episodi a cui fanno riferimento gli interpellanti hanno già trovato una prima risposta nella decisione del Ministro dell'interno di rafforzare il dispositivo di prevenzione e di controllo tramite l'invio di ulteriori aliquote della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri, tratte rispettivamente dai reparti prevenzione crimine e dalle compagnie intervento operativo, per un incremento pari a 50 unità. Un ulteriore incremento del dispositivo deriverà inoltre dall'invio a breve di altri 5 equipaggi provenienti dal reparto prevenzione crimine dello stesso capoluogo campano. È stata, quindi, alimentata, e lo sarà ancora nei prossimi giorni, una linea di attenzione al territorio partenopeo già in atto da alcuni mesi. Risale, infatti, all'aprile scorso la convocazione in prefettura di una riunione straordinaria del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, presieduta dallo stesso Ministro Alfano, che ha disposto l'attivazione immediata di una task force dedicata il cui peculiare compito è quello di analizzare il rischio criminale quartiere per quartiere, sulla base di un'accurata ricognizione delle connotazioni di ciascuna area urbana, in maniera da differenziare adeguatamente la risposta preventiva e repressiva nei confronti della recrudescenza del fenomeno. Infatti, come hanno peraltro anche messo in luce gli onorevoli interpellanti, la situazione napoletana richiede uno sforzo particolare non solo nel presidio fisico della città, cosa che è già in atto da tempo, ma, soprattutto, una capacità profonda di leggere e di comprendere la complessa realtà criminale;
   di fronte all’«esercito» del male, si dispiega un imponente dispositivo di sicurezza non solo formato da uomini e donne delle forze di polizia, ma anche da 400 militari impiegati quotidianamente in attività di concorso nell'ambito dell'operazione «Strade Sicure». (...) La Questura di Napoli, del resto, concentra il suo massimo sforzo in tutte le diverse zone a rischio, tra le quali rientrano anche i quartieri di Forcella e della Sanità, teatro, come già rammentava l'interpellante, dell'uccisione del giovane Gennaro Cesarano. L'istituzione di Tavoli di confronto territoriale con le dieci municipalità di Napoli e gli attori del tessuto sociale che si prefiggono di approfondire i temi della sicurezza, anche per attivare processi di partecipazione più capillare, calibrati sulle diverse esigenze. Iniziative mirate, in collaborazione con le autorità scolastiche, sono state indirizzate alla popolazione studentesca, allo scopo di sviluppare e diffondere tra i giovani modelli relazionali positivi, improntati ai valori della legalità e del rispetto della convivenza civile. Al centro di tale iniziative, che prevedono l'impiego di personale dell'Asl in possesso di specifiche competenze psicologiche, vi è la cultura della prevenzione, indirizzata verso i fenomeni di devianza più diffusi, legati al consumo di stupefacenti e al bullismo, o rivolta ad affrontare tematiche connesse ai comportamenti responsabili, dall'uso del web all'inosservanza delle norme di comportamento in materia di circolazione stradale. Nella consapevolezza di dover affrontare alla radice le cause del disagio socio-economico, il Programma operativo nazionale «Legalità» 2014 e seguenti, di competenza del Ministero dell'interno, contempla apposite linee di intervento sia di natura sistemica a supporto dell'economia legale per aumentare la capacità di resistenza alle pressioni criminali, sia interventi puntuali a carattere sperimentale per agevolare e rafforzare le reti territoriali che si oppongono all'immobilismo e al degrado voluti e prodotti dalle organizzazioni criminali. Analoghe misure di sostegno sono presenti nelle programmazioni nazionali a titolarità del Ministero dell'istruzione e del lavoro e delle politiche sociali, queste ultime contenute nel PON «Iniziativa occupazione giovani» e nel PON «Inclusione»;
   dalle segnalazioni giunte dai cittadini e raccolte anche dagli organi di stampa, risulta agli interroganti che nessuna delle soluzioni elencate sia stata poi messa in atto e i cittadini denunciano una sorta di smarrimento, di abbandono e di forte insicurezza confermata dai fatti delittuosi che si susseguono senza soluzione di continuità. I fatti descritti in premessa sono quasi tutti accaduti in pieno giorno e tra le strade affollate da cittadini inermi, dove i criminali hanno potuto agire indisturbati, a volto scoperto probabilmente essendo a conoscenza che l'area interessata non è nemmeno coperta da telecamere di videosorveglianza –:
   se si a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali siano i motivi per cui le strategie di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso prospettate dal Ministro in risposta all'interpellanza n. 2/01067 di cui in premessa, secondo quanto risulta agli interroganti, non siano state attuate;
   in quali termini il Governo stia predisponendo una strategia più ampia di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso, che affianchi ai presidi sul territorio maggiori investimenti nelle risorse strumentali a disposizione delle autorità preposte e che si ponga l'obiettivo di rafforzare l'azione integrata del governo locale, della magistratura, delle forze dell'ordine e delle associazioni impegnate nella lotta alle cosche;
   quale sia la posizione del Governo e se, in particolare, non ritenga indifferibile l'avvio, in stretta intesa con gli enti locali interessati, di una politica strutturale di ampio respiro, che miri a ricostruire il tessuto sociale ed economico di interi quartieri umiliati dalle faide tra clan e, per questa via, ad affermare il principio di legalità nella sua accezione più pregnante;
   quali iniziative intenda intraprendere per tutelare la sicurezza delle persone (uomini, donne, bambini) che in quelle aree svolgono le loro esistenze e che subiscono inermi questa sorta di terrorismo. (4-11178)


   MANFREDI e RICHETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 ottobre 2015, i consiglieri del comune di Caivano (città metropolitana di Napoli) del gruppo politico di «Forza Italia» (partito della coalizione di maggioranza, di cui il sindaco è coordinatore locale), protocollavano una lettera del 19 ottobre, indirizzata al sindaco del comune di Caivano (prot. n. 17656), dottor Simone Monopoli, nella quale, nella loro funzione di organi di controllo, dopo un esame dei provvedimenti posti in essere dai vari settori tecnico amministrativi dell'ente, rilevavano un reiterato ricorso ai sistemi di affidamento di lavori, servizi e forniture, nonché incarichi professionali, mediante procedure eccezionali, quali procedure negoziate, cottimi fiduciari, le cui prestazioni a loro dire erano affidate a ditte che spesso si ripetono unitamente agli stessi professionisti ed invitavano il sindaco del comune di Caivano a disporre ogni opportuna iniziativa tesa a garantire il rispetto della normativa vigente, nonché ogni misura volta ad assicurare l'esatta osservanza delle norme in materia, nell'interesse dell'ente comunale e contestualmente, ringraziavano il sindaco per quanto fosse fatto per il ripristino della legalità e della trasparenza nell'attività amministrativa;
   riscontrando tali comunicazioni, sindaco dottor Simone Monopoli, a mezzo di un comunicato stampa diffuso in data 22 ottobre 2015, replicava ai suoi stessi consiglieri di maggioranza affermando che, con i problemi e le emergenze che viveva Caivano era inconcepibile che gli sforzi dei consiglieri comunali fossero solo orientati verso gli incarichi da affidare, come loro stessi chiedevano, ai professionisti del loro gruppo, così come era una pessima abitudine verificare che la politica anziché preoccuparsi dei problemi da risolvere dedicava tutta la sua attenzione agli appalti ed alle imprese. E poi, allo stesso tempo, con l'intento di incutere timore in chi amministrava, gli stessi consiglieri che chiedevano incarichi si permettevano di indicare il ripristino della legalità senza, tra l'altro, denunciare chi, come, dove e quando la legalità fosse stata violata;
   tali dichiarazioni, stando anche agli articoli di cronaca giornalistica, potrebbero ricondursi all'esistenza di un sistema radicato nella casa comunale tra i rappresentanti politici e la classe dirigente dell'ente, volto alla gestione di tipo affaristico dell'attività amministrativa e sembrerebbero far emergere che, unitamente ai fenomeni di mancato rispetto delle norme lamentati dai precitati consiglieri di Forza Italia, possano essere state avanzate da alcuni amministratori richieste pressanti di incarichi e prebende, a completo discapito dell'interesse dei cittadini alla buona ed efficiente amministrazione;
   la stessa segretaria comunale, in data 9 ottobre 2015 (prot. 462/seg) a seguito di un controllo di regolarità amministrativo relativo ad una determina di rinnovo/proroga del servizio di mensa scolastica, richiesto dai consiglieri di minoranza con ordine del giorno presentato nella seduta di consiglio comunale del 28 settembre 2015, ha ribadito che l'istituto della proroga tecnica non è previsto dal codice degli appalti e che bisogna precedere immediatamente con una regolare gara d'appalto, vista la scadenza del contratto originario;
   dagli atti amministrativi sembrerebbe emergere inoltre un ricorso ad avviso degli interroganti eccessivo, al sistema della proroga «atecnica» senza la predisposizione delle procedure concorsuali, nonché alle procedure per l'affidamento dei servizi e appalti con «somma urgenza» mediante cottimo fiduciario –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se non vi siano le condizioni, stante la gravità dei fatti menzionati, per promuovere una verifica amministrativo-contabile da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato nonché ogni altra verifica sia ritenuta opportuna, anche ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, a tutela della trasparenza e della legalità. (4-11182)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 2015 a Pisa è in programma una manifestazione dei Giovani Padani-Lega Nord dal titolo «Il degrado non ci aggrada» per richiamare l'attenzione sui temi del degrado e della sicurezza nella città toscana;
   da giorni il CUA (Collettivo universitario autonomo) dell'università di Pisa, emanazione del Centro sociale Newroz, attraverso la propria pagina Facebook sta pubblicando avvertimenti e accuse contro la manifestazione;
   lo stesso collettivo ha pubblicato anche immagini, associate ai testi, che suggeriscono azioni violente nei confronti della Lega, immagini riprese evidentemente in seno a strutture dell'università;
   il centro sociale Newroz occuperebbe, per quanto risulta all'interrogante, da 15 anni uno spazio in via Garibaldi, concesso in uso gratuito dal comune di Pisa, che provvederebbe anche al pagamento delle utenze. Detto spazio, a quanto consta all'interrogante, verrebbe utilizzato durante la settimana anche come discoteca;
   per far fronte al pericolo di possibili disordini, il questore di Pisa avrebbe chiesto rinforzi al Ministro dell'interno, da attingere dai reparti della polizia di Stato e dei carabinieri, ed intenderebbe adottare una strategia per tenere bassa la tensione;
   in tale contesto è da stigmatizzare anche la mancata denuncia, per quanto a conoscenza dell'interrogante, da parte dell'università di Pisa sia relativamente ai lunghi anni di occupazione abusiva di aule universitarie che relativamente all'uso di locali dell'università per attività che non alcuna attinenza con l'attività didattico- istituzionale dell'ateneo –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per permettere ai Giovani Padani di poter liberamente esercitare il diritto a manifestare ed esprimere il proprio pensiero il 14 novembre a Pisa al riparo da qualsiasi intimidazione. (4-11183)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   in queste settimane si sta completando l'assegnazione dei posti a tempo indeterminato dei docenti che hanno presentato la domanda prevista dal piano straordinario di assunzioni, (cosiddetta fase C), secondo quanto stabilito dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti»;
   gli interpellanti hanno raccolto la preoccupazione di molti docenti precari interessati, sia di coloro che hanno fatto domanda sia di coloro che hanno presentato domanda e nel contempo accettato una supplenza a tempo determinato, come previsto dalla suddetta legge, sia di docenti che hanno presentato la domanda e che sono in servizio presso scuole paritarie del sistema nazionale di istruzione in merito a:
    a) la possibilità di raggiungere la provincia assegnata e la relativa sede pur avendo accettato una supplenza a tempo determinato al 30 giugno 2016;
    b) la possibilità di rimanere nell'ambito territoriale assegnato per il prossimo anno scolastico 2016-17, successivamente al piano straordinario di mobilità previsto dal comma;
    c) la possibilità di rimanere in servizio presso le scuole paritarie del sistema nazionale di istruzione;
   il sistema nazionale di istruzione, infatti formato in base alla legge n. 62 del 2000 è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Obiettivo prioritario è l'espansione dell'offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione, dall'infanzia, lungo tutto l'arco della vita. Le scuole paritarie rispondono a precisi criteri e requisiti per ottenere la parità e per rientrare nel sistema nazionale di istruzione, garantendo il pluralismo e la libertà di scelta educativa, previsto dalle risoluzioni dell'Unione europea e dal Consiglio d'Europa;
   per quanto riguarda le procedure seguite sino a questo momento emerge ancora oggi la preoccupazione, come per la fase B, della garanzia, al momento della scelta della partecipazione al piano di assunzioni, del rispetto dei principi di certezza del diritto, trasparenza e imparzialità della pubblica amministrazione, non avendo preventivamente definito – ossia già nel decreto del direttore generale n. 767 del 21 luglio 2015, contenente «L'indizione delle procedure di assunzione del personale docente in attuazione dell'articolo 1, comma 95, della legge 13 luglio 2015, n. 107» e prima del periodo previsto per la presentazione delle domande da parte dei precari da assumere – i criteri con cui il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe proceduto all'attribuzione delle province di destinazione per i neo assunti, nelle fasi B e C; 
   i commi da 1 a 7 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 prevedono l'assegnazione alle scuola autonome dell'organico dell'autonomia che dovrebbe contribuire a dare piena attuazione all'autonomia scolastica ed ad implementare e potenziare l'offerta formativa nell'ottica di:
    a) affermare il ruolo centrale della scuola nella società;
    b) innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento, per contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali;
    c) prevenire e recuperare l'abbandono e la dispersione scolastica, in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale dei diversi gradi di istruzione;
    d) realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva;
    e) garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini;
   tali obiettivi sono in linea con i principi organizzativi di flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del servizio scolastico, integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, l'introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Il comma 7 dell'articolo 1 citato prevede 17 ambiti all'interno dei quali attuare attraverso l'organico dell'autonomia il potenziamento dell'offerta formativa delle scuole autonome;
   i commi da 12 a 15 dell'articolo 1 della suddetta legge prevedono, inoltre, che le istituzioni scolastiche predispongano il piano triennale dell'offerta formativa che comprende ed indica le professionalità e gli insegnamenti e le discipline tali da coprire:
    a) il fabbisogno dei posti comuni e di sostegno dell'organico dell'autonomia, sulla base del monte orario degli insegnamenti, con riferimento anche alla quota di autonomia dei curricoli e agli spazi di flessibilità, nonché del numero di alunni con disabilità;
    b) il fabbisogno dei posti per il potenziamento dell'offerta formativa –:
   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro interpellato per permettere ai docenti, a cui è stato assegnato l'ambito territoriale nella fase C che, ad oggi, sono destinatari di una supplenza a tempo determinato di poter raggiungere la provincia assegnata, contribuendo in questo modo a potenziare l'offerta formativa delle scuole degli ambiti territoriali assegnati, assicurando la permanenza in dette scuole per il triennio previsto dai piani dell'offerta, formativa triennali e permettendo altresì ai docenti in servizio presso le scuole paritarie del sistema nazionale di istruzione di restare fino al 30 giugno presso le scuole paritarie medesime.
(2-01168) «Centemero, Occhiuto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, BRESCIA, SIMONE VALENTE, VACCA, MARZANA, LUIGI GALLO, DI BENEDETTO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   al 1o settembre 2015 sono cambiate le modalità di erogazione degli stipendi dei docenti che effettuano supplenze; allo stato attuale la retribuzione dei supplenti avviene mediante l'immissione dei dati contrattuali da parte delle scuole nel sistema informativo del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il cosiddetto Sidi, e il successivo pagamento delle competenze è a carico del Ministero dell'economia e delle finanze, il quale emette un cedolino unico;
   il suddetto sistema, elaborato a seguito di un lungo iter legislativo, avrebbe dovuto snellire e velocizzare le procedure di pagamento degli stipendi, ma, ad oggi, sono migliaia i docenti con contratto di supplenza temporanea che lamentano il ritardo nell'emissione di quanto a loro dovuto;
   la lentezza della procedura di pagamento è attribuibile, in piccola parte, anche alle istituzioni scolastiche, le quali hanno riscontrato problemi di funzionamento del sistema informatico quali l'impossibilità di convalidare cumulativamente i contratti immessi nel sistema e problemi nell'inserimento dei dati di quei supplenti per i quali non vi era una data certa di fine supplenza;
   migliaia di docenti e di collaboratori scolastici precari attendono da diversi mesi la corresponsione degli stipendi e versano ormai in una situazione di estrema difficoltà insieme alle loro famiglie;
   il 22 ottobre 2015 si è svolta una riunione presieduta dai rappresentanti della direzione dei sistemi informativi e da alcuni esponenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tra cui il vicecapo di gabinetto, per risolvere i problemi legati al mancato pagamento delle supplenze del personale docente e ATA e le disfunzionalità del sistema Sidi;
   dalla riunione è emerso che entro il 13 novembre sarebbe avvenuta un'emissione straordinaria che avrebbe coperto le retribuzioni dei supplenti di settembre e ottobre;
   in quella sede veniva inoltre assicurato che il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe garantito la somma necessaria per la copertura degli stipendi relativi anche al mese di novembre e di dicembre, come dichiarato sul sito della FLC CGIL in una nota del 10 novembre 2015, intitolata «Emissione straordinaria per il pagamento delle supplenze di settembre e ottobre 2015»;
   a causa di ritardi tecnici la suddetta emissione straordinaria del 13 novembre è stata fatta slittare al 16 novembre 2015 ma ad oggi i precari non hanno ricevuto i tanto attesi stipendi arretrati –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di garantire, nel più, breve tempo possibile, il pagamento delle somme dovute di cui in premessa;
   quali iniziative si intendano adottare per risolvere, con la massima rapidità, i gravi problemi registrati in relazione al portale Sidi, di cui in premessa, allo scopo di garantire il corretto inserimento dei dati per tutti i docenti e di evitare il ripetersi di simili problematiche in futuro. (5-07033)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CHIMIENTI, MARZANA, LUIGI GALLO, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la nota n. 0004734 del 21 luglio 2015 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca inviava ai dirigenti scolastici di tutte le istituzioni scolastiche italiane l'invito a manifestare interesse alla collaborazione nella realizzazione dell'iniziativa «Cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico 2015/2016»;
   la suddetta nota specifica che possono partecipare al bando le scuole di ogni ordine e grado con particolare e conclamata esperienza nell'organizzazione di attività di carattere particolarmente complesso, presentando un progetto elaborato per la realizzazione della «cerimonia inaugurale»;
   la cerimonia inaugurale del nuovo anno scolastico si è svolta il 28 settembre 2015 a Ponticelli in provincia di Napoli presso l'istituto d'istruzione superiore «Davide Sannino», alla presenza del Capo dello Stato, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, delle massime autorità dello Stato e alcune celebrità;
   all'evento hanno partecipato circa 2.000 alunni, provenienti dalle scuole di tutta Italia, tra cui anche la classe IV B della scuola Mazzucchelli di Chivasso, in provincia di Torino, accompagnati come rappresentanza dall'assessore Mazzoli e dall'assessore Buo;
   come riportato in un articolo, apparso l'8 ottobre 2015 sul sito d'informazione «12alle12.it», alcuni genitori di alunni chivassesi chiedevano lumi sui criteri con cui gli uffici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del Piemonte avesse selezionato le classi da invitare alla suddetta cerimonia di inaugurazione;
   nell'articolo appare anche la risposta dell'assessore alla cultura del comune di Chivasso, Giulia Mazzoli, al quesito;
   l'assessore sostiene che: «Le scelte del MIUR sono indipendenti dal Comune che ha semplicemente preso atto delle scelte fatte dal ministero concordando con la Dirigente e le maestre della scuola Mazzucchelli se fossero d'accordo» –:
   quali criteri siano stati adottati dagli uffici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in Piemonte per la scelta della classe che ha partecipato all'evento in rappresentanza del comune di Chivasso. (4-11177)


   PELLEGRINO, GIGLI, MELILLA, SANNICANDRO, PASTORINO, BRIGNONE, GIANCARLO GIORDANO, PALAZZOTTO, RICCIATTI, DANIELE FARINA, AIRAUDO, PLACIDO, ZARATTI, ZANIN e ROSSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il professor Livio Bearzi, già dirigente scolastico del Convitto nazionale dell'Aquila, è recluso nel carcere di Udine in esecuzione della condanna a quattro anni per la morte di tre ragazzi minorenni a causa del crollo dell'edificio durante il terremoto del 2009;
   l'ordine di carcerazione è stato emesso dal tribunale dell'Aquila, dopo la sentenza confermata in via definitiva dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione;
   la sentenza stabilisce oltre a quattro anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose anche la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni;
   con la medesima pronuncia, è stato condannato a 2 anni e sei mesi di reclusione Vincenzo Mazzotta, dirigente della provincia de L'Aquila, ed il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato condannato al risarcimento alla parte civile;
   a giudizio degli interroganti la sentenza della Corte descrive la grave incongruenza della normativa che attribuisce responsabilità della sicurezza e della manutenzione degli edifici in quanto datori di lavoro ai dirigenti scolastici;
   paradossalmente ai dirigenti scolastici non sono attribuiti direttamente gli strumenti economici per esercitare effettivamente tale responsabilità e per intervenire autonomamente in via ordinaria e straordinaria sulle problematiche e sui rischi delle strutture, le cui caratteristiche, problematiche, inefficienze e inadeguatezze sono peraltro elementi inscindibili e limiti sostanziali nella definizione dell'offerta formativa;
   la riforma della scuola italiana afferma di voler riformulare e accentuare l'autonomia e dichiara di aver ridisegnato la governance delle scuole, ma ha lasciato inalterata la dicotomia funzionale/gestionale tra soggetti proprietari degli edifici scolastici e dirigenze scolastiche;
   va chiarito il ruolo delle dirigenze scolastiche nelle strategie di gestione dei finanziamenti da parte degli enti locali, come nel caso dell'atteso bando da 40 milioni di euro per le indagini diagnostiche su solai e controsoffitti delle scuole o nei progetti per i quali le regioni stipuleranno i mutui BEI per opere di riqualificazione, rinnovamento, messa in sicurezza e costruzione degli edifici scolastici;
   il primo ottobre 2015 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha ritenuto di istituzionalizzare la data del 22 novembre quale giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'accaduto e se e in quali tempi preveda di aumentare iniziative normative urgenti per risolvere gli aspetti più controversi dell'applicazione della disciplina sulla sicurezza sul lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008) in ambito scolastico, così da individua le responsabilità effettive e le relative ripercussioni legali. (4-11180)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINEFRA e VICO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 12 novembre 2015 si è verificato l'ennesimo incidente sul lavoro in un intervento di emergenza in località Cerro Maggiore in provincia di Milano. Coinvolti nell'esplosione, che ha letteralmente distrutto una casa, un'anziana signora deceduta, ed un operaio dell'Italgas ricoverato in rianimazione;
   desta profonda preoccupazione la sequenza degli incidenti avvenuti negli ultimi 8 mesi del 2015 nel suddetto comparto;
   le sigle sindacali confederali hanno denunciato, con un comunicato congiunto, tale situazione affermando che non si ricordano precedenti nella storia di Italgas;
   tre gli operai coinvolti in esplosioni durante gli interventi di emergenza (due sono deceduti ora il terzo ferito gravemente). Il primo a Barletta ad aprile 2015, il secondo a Roma a settembre, il 12 novembre il terzo in provincia di Milano in una sequenza di eventi che lascia poco spazio ad alibi quali il caso o l'imprevedibilità;
   l'accaduto sembrerebbe confermare che esistono gravi inadeguatezze, nell'organizzazione del lavoro, negli organici e negli strumenti disponibili, come più volte denunciato dalle rappresentanze sindacali unitarie, che si stanno purtroppo palesando soprattutto negli interventi di emergenza sulla rete della distribuzione;
   gli stessi sindacati hanno sollecitato Italgas e Snam, fin da ora, a rispondere di questi drammatici eventi, attivando in tempi celeri un tavolo di confronto per la sicurezza sul lavoro con le rappresentanze sindacali e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza –:
   se, per quanto di competenza, il Governo intenda convocare le parti in sede ministeriale per facilitare l'immediata attivazione del suddetto tavolo;
   se, in vista dell'avvio delle gare d'ambito (ex articolo 14 del decreto legislativo n. 164 del 2000 e successive proroghe) per avviare il processo di liberalizzazione dei servizi energetici, il Governo intenda, a tutela della sicurezza e degli altri diritti dei lavoratori nonché dei consumatori, convocare le parti interessate per la condivisione di percorsi idonei a garantirne le tutele. (5-07028)


   GINEFRA, VICO e PELILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2015 intorno alle nove un operaio di un'impresa esterna, che opera in un'area assegnata da Ilva alla ditta «Pitrelli» presso lo stabilimento di Taranto, è rimasto coinvolto in un infortunio mortale;
   Cosimo Martucci, questo il suo nome, 48 anni, dipendente della ditta «Pitrelli», era impegnato nel trasporto di tratti di una condotta che, durante le operazioni di movimentazione svolte all'interno dell'area di cantiere assegnata all'impresa esterna — per cause ancora in fase di accertamento — lo avrebbero colpito provocandone il decesso;
   l'Ilva ha aperto un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità e cautelativamente ha sospeso le attività del cantiere in cui operava l'impresa in attesa di chiarimenti su quanto accaduto;
   l'operaio pare sia morto poco dopo l'arrivo dell'ambulanza. Personale dello Spesal (servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) dell'azienda sanitaria locale, da quanto si apprende, starebbe raccogliendo informazioni per stabilire le cause dell'incidente –:
   se sia stato informato di tale luttuoso evento;
   quali iniziative di competenza intenda promuovere affinché sia garantito il diritto alla sicurezza per i lavoratori che prestano il loro servizio alle dipendenze dirette dell'azienda, nonché per quelli che operano al servizio di società esterne. (5-07029)


   BECATTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a quanto consta all'interrogante ogni anno diversi bambini residenti a Firenze ed affetti da sordità congenita, sono costretti a sottoporsi presso l'INPS del territorio a visita di conferma della permanenza dello stato invalidante ai fini della corresponsione dell'indennità di comunicazione ai sensi della legge 26 maggio 1970 n. 381, e successive modificazioni;
   il decreto del Ministero della sanità del 5 febbraio 1992 definisce le modalità per la valutazione dell'invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo ed indica le percentuali di riferimento a seconda dei diversi gradi di invalidità;
   l'articolo 25, comma 8, della legge 11 agosto 2014 n. 114, manteneva in vigore la parte del comma 2 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che così recita: «Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della Salute, sono individuate, senza ulteriori oneri per lo Stato, le patologie e le menomazioni rispetto alle quali sono esclusi gli accertamenti di controllo e di revisione ed è indicata la documentazione sanitaria, da richiedere agli interessati o alle commissioni mediche delle aziende sanitarie locali qualora non acquisita agli atti, idonea a comprovare la minorazione»;
   conseguentemente, l'esonero può essere concesso soltanto in base alle patologie individuate con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 2 agosto 2007, di attuazione della legge 9 marzo 2006, n. 80;
   nel summenzionato decreto ministeriale, tra le patologie rispetto alle quali sono escluse visite sulla permanenza dello stato invalidante, è compreso il «deficit totale dell'udito, congenito o insorto nella prima infanzia»;
   sembrerebbe evidente come sia la stessa legge ad escludere tale tipo di visita per il soggetto affetto da sordità; non si comprende pertanto il motivo per cui questi bambini siano chiamati ogni anno alla verifica del loro acclarato stato invalidante, situazione questa che suscita imbarazzo ed umiliazione nel soggetto che vi è sottoposto, oltre che nella famiglia;
   la suddescritta situazione sembrerebbe coinvolgere numerosi cittadini in tutto il territorio nazionale, anche in riferimento ad altre patologie –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario ed urgente accertare i fatti di cui in premessa e, ove risulti confermato quanto sopra riportato, porre in essere iniziative volte all'adeguamento alla legge 11 agosto 2014, n. 114, da parte dell'INPS, in relazione alle visite sulla permanenza dello stato invalidante ai fini della corresponsione dell'indennità di comunicazione. (5-07032)


   LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei reparti di gastronomia e macelleria presenti su tutto il territorio delle Marche all'interno dei discount ad insegna TUODÌ, circa 15 lavoratori, assunti in subappalto dalla cooperativa Hotel Italy, si sono visti licenziati in tronco senza essere tutti riassorbiti dalla ditta committente dell'appalto Eurobeef; solo una parte ha avuto la proposta di assunzione, il resto è stato mandato a casa;
   sono, dunque, rimaste inascoltate le richieste di riassunzione di tutto il personale avanzate dalla Filcams Cgil regionale, come subito non è stata data risposta alla richiesta d'incontro urgente avanzata ad inizio della stessa settimana al gruppo TUODÌ e ad Eurobeef dalla Filcams di Ancona e Macerata per un confronto sui crediti accumulati dai lavoratori con Hotel Italy e per capire il futuro occupazionale dei lavoratori;
   in altre parole, nell'arco di 12 mesi, i lavoratori, circa 50 quelli interessati, hanno subìto due subappalti, stipulati dalla Eurobeef prima con la ditta Alma, poi con la ditta Hotel Italy, accumulando crediti con entrambe per poi trovarsi in parte non riassunti dalla Eurobeef;
   stupisce che il ripetersi di situazioni simili nell'arco di poco tempo possa accadere all'interno di una catena di discount grande e consolidata come il gruppo TUODÌ e che processi di esternalizzazione diano vita ad altrettanti subappalti creando una situazione in cui i lavoratori si sono trovati a rimetterci denaro, tempo e posto di lavoro –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per favorire la riassunzione di tutto il personale delle citate aziende. (5-07034)


   CAPARINI e ALLASIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Albini di Bergamo – dal 2012 partner di NK in un progetto di rilancio della filatura di Ceto – ha comunicato il recesso dal contratto di fornitura che costituendo la principale entrata della filatura della Valle Camonica ne metta rischio il futuro. Le assemblee hanno confermato lo stato di agitazione. È evidente come la decisione di interrompere la partnership con la NK sulla produzione di alta qualità nella filatura di Valle Camonica sia determinata dal crollo del mercato: il gruppo Albini ha realizzato un investimento importante fatto in un momento in cui la crisi era estremamente pesante. «Proprio per questo, però, – ha aggiunto Beppe Marchi, segretario generale della Femca Cisl di Brescia – è doveroso chiedere oggi alle realtà industriali di dare un tempo più lungo alla vita di questa scommessa industriale che potrebbe anche intercettare una ripresa economica ormai concretamente avviata»;
   la NK ha sede centrale ad Albino, uno stabilimento a Brebbio in provincia di Varese, due in Egitto e uno nella Repubblica Ceca a proposito della fabbrica in Valle Camonica l'azienda bergamasca scrive: «L'attenzione alle materie prime è stata nuovamente confermata nel 2012 con l'inizio della produzione diretta di filati di altissima qualità nella nuova linea di filatura all'interno dello stabilimento di Ceto. Qui il gruppo Albini, in partnership con il Gruppo Niggeler & Küpfer, abbina alla produzione di filati un'intensa attività di ricerca e sviluppo per ottenere filati e, quindi, tessuti ancora più innovativi». Un progetto naufragato – stando alle dichiarazioni fatte dalla direzione della NK in un incontro con le organizzazioni sindacali avvenuto nella sede dell'Associazione Industriale. Bresciana – per la perdita di mercato del prodotto realizzato nella filatura di Valle Camonica. Una motivazione che non convince Femca Cisl e Filctem Cgil, visto che «il contratto di solidarietà in vigore dal primo gennaio 2015 è stato firmato a fronte di investimenti e obiettivi a medio e lungo termine». «Se la decisione di recesso del contratto con il committente principale dovesse essere definitiva – scrivono le organizzazioni sindacali in un comunicato – l'impatto sociale sarà pesantissimo in quanto ricadrà su un territorio già colpito dalla crisi industriale e privo di alternative occupazionali»;
   una situazione drammatica per l'occupazione camuna le istituzioni sembrano essere le grandi assenti. «L'impressione – dice Daniele Gazzoli neo segretario generale della CGIL Vallecamonica-Sebino – è che si stia sottovalutando il problema». Solo questa settimana sono esplosi tre casi: quello della NK, appunto, ma anche quello della New Cocot che con il nuovo accordo non prevede esuberi immediati, ma che entro due anni, di fatto, ridurrà i dipendenti di una cinquantina di unità. Dall'incontro con la Franzoni Filati è emerso inoltre che la storica fabbrica camuna, che aveva già dichiarato l'intenzione di cessare l'attività di Esine, mantenendo in Italia solo la logistica, la sperimentazione e i magazzini, sarebbe intenzionata a ridimensionare anche questi settori. «La situazione è davvero drammatica – incalza Gianfranco Bertocchi della CISL camuno-sebina – con la differenza, rispetto agli anni scorsi che ora il tessuto economico locale non è più in grado di riassorbire questi esuberi, non so cosa succederà se la politica non interviene»;
   la IV Commissione permanente attività produttive e occupazione del consiglio regionale ha audito le rappresentanze sindacali della NK di Ceto di trovare una prospettiva certa di lavoro per gli oltre 70 dipendenti dell'azienda. All'incontro in commissione promosso dal consigliere Donatella Martinazzoli, oltre ai sindacalisti (le rappresentanze sindacali unitarie dell'unità produttiva; Enzo Torri e Beppe Marchi per la Cisl, Gazzoli e Meloni per la Cgil) e ai rappresentanti delle istituzioni locali (il sindaco di Ceto Marina Lanzetti e il presidente della comunità montana Oliviero Valzelli; i rappresentanti di provincia di Brescia e provincia di Bergamo), erano presenti anche Aib e Confindustria Bergamo, Bernardo Mignani per la NK e Romani per il Gruppo Albini;
   si auspica che l'attenzione registrata in Commissione possa tradursi in una conferma degli impegni assunti con il sindacato («L'accordo sui contratti di solidarietà – ha ribadito Marchi della CISL – ha comportato rinunce da parte dei lavoratori in termini di orario e di salario, scelte fatte per accompagnare il rilancio dell'unità produttiva, non la sua chiusura». «Abbiamo anche evidenziato ha concluso Torri – la necessità che si rifletta su un possibile allargamento della committenza per una migliore ripartizione dei costi di gestione del progetto industriale») e nell'avvio di una verifica sugli effetti degli investimenti che ha bisogno di tempi lunghi per essere correttamente valutata. La commissione ha segnalato la possibilità di accedere per il caso specifico della NK di Ceto a fondi regionali per la ricerca industriale e la competitività –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per il mantenimento dei livelli occupazionali della NK di Ceto. (5-07038)


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 12 marzo 1999, n. 68, ha rappresentato un importante traguardo legislativo, riformando organicamente la normativa sul collocamento obbligatorio dei disabili ed introducendo una disciplina ispirata al concetto di «collocamento mirato», ovvero individualizzato in rapporto alla concreta capacità lavorativa del singolo soggetto disabile, permettendone la valorizzazione delle professionalità e delle capacità psicofisiche; la citata legge n. 68 del 1999 prevede, tra l'altro, la possibilità che vengano stipulate, tra il datore di lavoro e gli uffici competenti, convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali della legge medesima, nonché la possibilità che gli uffici competenti stipulino, con i datori di lavoro privati soggetti all'obbligo di assunzione, con le cooperative sociali e con liberi professionisti disabili, anche se operanti in ditta individuale, apposite convenzioni finalizzate all'inserimento temporaneo dei disabili presso le stesse cooperative sociali o i liberi professionisti; un ulteriore strumento per rafforzare l'inserimento lavorativo delle persone disabili è contenuto nell'articolo 14 del decreto legislativo n. 276 del 2003, recante «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30», meglio nota come «legge Biagi»; il citato articolo 14, difatti, prevede la stipula di apposite convenzioni quadro su base territoriale da parte degli uffici regionali, competenti riguardo alla programmazione, attuazione e verifica degli interventi volti a favorire l'inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati e di quelli disabili, nonché all'attuazione del collocamento mirato, con le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale e le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con i relativi consorzi; tali convenzioni quadro devono essere «validate» dalla commissione provinciale del lavoro, hanno per oggetto il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali da parte delle imprese aderenti o associate alle associazioni datoriali firmatarie e devono disciplinare taluni aspetti espressamente individuati dal comma 2 del citato articolo 14, tra cui le modalità di adesione da parte delle imprese interessate, l'individuazione dei lavoratori da inserire al lavoro, la promozione e lo sviluppo delle commesse a favore delle cooperative sociali ed i limiti di percentuali massime ai fini della copertura della quota d'obbligo che le imprese devono osservare in merito all'assunzione di soggetti disabili;
   in tale quadro si collocava la costituzione, nel novembre 2001, del consorzio Sintesi, società cooperativa sociale onlus, con sede legale in Roma, via Alfonso Rava n. 124, in persona del legale rappresentante Enzo Rimicci, con lo scopo di promuovere l'occupazione di soggetti svantaggiati e la creazione di imprese locali, proponendo – tramite la gestione in forma associativa – lo svolgimento di attività per l'inserimento lavorativo di persone disabili e/o svantaggiate;
   del consorzio Sintesi fa parte la cooperativa E-social società cooperativa sociale onlus (già Mediatica Social) che ora, per effetto di un trasferimento di azienda del dicembre 2013, ha fatto confluire tutti i propri dipendenti nella Call.it società cooperativa sociale onlus;
   il consorzio Sintesi è titolare di alcune convenzioni, in base alle quali la Wind Telecomunicazioni ha affidato al Consorzio e – per il suo tramite – alle cooperative aderenti al consorzio medesimo, la gestione di alcune attività di Customer Relationship Management, attività che prevedono la gestione in front-line e/o back-office di clienti consumer/business, finalizzate anche alla realizzazione del progetto G.O.R. (Gestione Obbligo Riserva), progetto ideato per favorire l'accesso al mondo del lavoro delle persone disabili con handicap medio/gravi, con alta qualificazione professionale: a Palermo è stata stipulata in data 9 ottobre del 2006 e 10 luglio 2009 una convenzione, ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 276 del 2003, tra servizio UPL di Palermo, Wind spa e consorzio Sintesi per l'assunzione di n. 62 unità disabili e successive modifiche, a Napoli è stata stipulata, in data 22 febbraio del 2007, una convenzione tra provincia di Napoli, Wind spa e consorzio Sintesi per l'assunzione di 6 unità disabili e, in data 27 dicembre 2012, una convenzione ai sensi dell'articolo 12-bis della legge n. 68 del 1999 tra la provincia di Napoli, Wind spa e consorzio Sintesi per l'assunzione di 36 unità disabili, a Roma è stata stipulata, in data 13 dicembre 2006, una convenzione sperimentale, ai sensi dell'articolo 14 del decreto n. 276 del 2003, tra l'ufficio per il collocamento mirato disabili della provincia di Roma, Wind spa e il consorzio Sintesi, per l'assunzione di 20 unità disabili, con scadenza dicembre 2008 rinnovata per ulteriori due anni, e altra convenzione del 3 dicembre 2008, ai sensi dell'articolo 12-bis della legge n. 68 del 1999, per l'assunzione di 6 unità disabili, con scadenza dicembre 2011, integrata con 12 unità disabili e rinnovata al 31 dicembre 2013 e infine una convenzione, in data 30 maggio 2011, ai sensi dell'articolo 12-bis della legge n. 68 del 1999, per l'assunzione di 5 unità disabili con scadenza dicembre 2014 e rinnovata fino al 31 dicembre 2016;
   le suddette cooperative sono cooperative integrate di tipo «b», con almeno il 33 per cento della forza lavoro composta da disabili che hanno quale unica attività in essere la gestione di un appalto di servizi formalmente intercorrente tra la Wind Telecomunicazioni spa e il consorzio Sintesi (di cui, come detto, fanno parte) e che negli anni è stato reiterato;
   in particolare, tali contratti di appalto di servizi sono conseguiti a diverse convenzioni che, nel tempo, sono state stipulate tra i medesimi soggetti e la provincia di Roma, ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 276 del 2003, norma che consente di soddisfare la quota di avviati d'obbligo, computando anche quelli in servizio presso le cooperative sociali, a cui sono state conferite «commesse di lavoro» in base a specifiche «convenzioni» validate dalla regione. Tali appalti dunque rientravano nel cosiddetto progetto G.O.R. (gestione obbligo di riserva). Successivamente, con ulteriori e distinti contratti di appalto, il consorzio Sintesi ha disposto l'effettivo svolgimento del servizio in capo alle cooperative E-social prima e Call.it poi;
   alcuni dipendenti della Call.it, con ricorso del luglio del 2015 (RG n. 26925/15), hanno citato in giudizio davanti al tribunale di Roma la società Wind Telecomunicazioni spa assumendo che:
    1) nei contratti di appalto intercorrenti tra Wind e consorzio Sintesi, si prevede quale compenso per il servizio reso, una somma comprensiva delle seguenti voci, nette annue pari a: a) euro 25.200 (sebbene nei contratti di servizio siano state erroneamente riportate euro 22.500) per ogni disabile assunto alle dipendenze della cooperativa, somma erogata per coprire il «costo» del lavoratore (costo complessivo); b) euro 13.000,00 (costi di guida e tutoraggio); c) il 12,5 per cento di quanto sopra indicato a titolo di spese generali per un totale complessivo di circa euro 39.937,5 per ogni lavoratore full time, ma posto che i dipendenti erano impiegati a 25 ore settimanali erano riparametrati a euro 27.700 per ogni lavoratore disabile;
    2) considerato il loro assoggettamento al potere direttivo e disciplinare della Wind e lo svolgimento continuativo delle medesime mansioni ed attività di assistenza commerciale, amministrativa e tecnica in relazione al servizio di telefonia mobile esplicate dai lavoratori impiegati alle dirette dipendenze Wind i lavoratori hanno chiesto l'assunzione diretta a carico della committente società Wind per irregolare interposizione di manodopera e violazione del decreto legislativo n. 276 del 2003 trattandosi dunque di un caso di appalto non genuino per mancanza dei requisiti previsti dall'articolo 29, comma 1, del decreto legislativo n. 276 del 2003, e cioè: l'organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore e l'assunzione del rischio di impresa;
    3) il costo del lavoro complessivo gravante sulla cooperativa E-social e Call.it, per ogni dipendente disabile è pari a circa euro 11.000 netti annui (erano tutti assunti part time a 25 ore e percepivano euro 850 mensili) mentre per i tutor circa a euro 12.350 netti annui (perché percepivano euro 950 mensili);
   in base all'articolo 4 della legge 8 novembre 1991, n. 381, quando una cooperativa sociale di tipo «b» onlus assume dei disabili a tempo indeterminato, gode di importanti agevolazioni per i contributi previdenziali ed assistenziali che sono posti a carico dello Stato;
   a Wind Telecomunicazioni spa applica, invece, ai propri dipendenti il contratto collettivo nazionale lavoro telecomunicazioni, ove la retribuzione prevista per il 3o livello è pari a euro 1.522,98;
   il progetto G.O.R. prevede che il luogo di lavoro dei dipendenti delle cooperative sociali sia ubicato anche all'interno degli edifici della Wind;
   secondo i lavoratori ricorrenti, l'assunzione dei dipendenti da parte del consorzio e delle cooperative E-social e Call.it – che godono di agevolazioni contributive ed assistenziali – costituirebbe un'interposizione fittizia di manodopera per il lavoro svolto direttamente alle dipendenze della Wind spa;
   la provincia di Roma ha stipulato, in data 3 dicembre 2008, una convenzione ai sensi dell'articolo 12-bis della legge n. 68 del 1999, con Wind spa e consorzio Sintesi, che ha stabilito una proroga per due anni della precedente convenzione stipulata il 13 dicembre 2006, ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 276 del 2003 per l'inserimento lavorativo di n. 20 lavoratori disabili;
   la provincia di Napoli ha stipulato una convenzione ai sensi dell'articolo 12-bis della legge n. 68 del 1999, in data 27 dicembre 2012, con Wind spa e consorzio Sintesi per l'inserimento lavorativo di n. 35 lavoratori disabili, con scadenza 31 dicembre 2015, con una copertura dell'aliquota di obbligo del 30 per cento;
   se la ricostruzione di cui in premessa in merito al consorzio Sintesi ed alle sue convenzioni corrispondesse al vero, secondo gli interroganti, si evidenzierebbe l'ennesimo episodio di ambiguità che caratterizza oramai il sistema delle cooperative sia in tema di assunzione, che in tema agevolazioni contributive –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, per quanto di competenza ed in raccordo con l'amministrazione coinvolta, al fine di chiarire se la convenzione quadro stipulata il 13 dicembre 2006 tra l'ufficio per il collocamento mirato disabili della provincia di Roma, il consorzio Sintesi e la Wind Telecomunicazioni spa sia stata stipulata, rinnovata e validata nel rispetto dei requisiti normativamente previsti dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 276 del 2003 e dalla legge n. 68 del 1999 a garanzia della corretta assunzione delle categorie protette, invalidi e disabili;
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato – anche di tipo normativo – al fine di garantire alle persone con disabilità il diritto al lavoro ed evitare abusi nella fase del collocamento lavorativo e dell'esecuzione della prestazione lavorativa del disabile, così come previsto dalla legislazione vigente, dalla Convenzione per i diritti dei disabili e dalla normativa europea in materia. (5-07043)

Interrogazione a risposta scritta:


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a poco meno di un anno dal varo della riforma sul mercato del lavoro (cosiddetto Jobs act) che ha, ad avviso dell'interrogante, già fallito ed esaurito la sua presunta forza propulsiva di generatore di sviluppo economico, sarebbe utile conoscere la misura dell'impatto che il suo incisivo intervento di modifica del quadro regolatorio vigente, soprattutto in materia di licenziamenti individuali e collettivi, ha determinato sull'occupazione, in un territorio a carattere industriale, come la città di Torino e la sua provincia, che per oltre cento anni è stata la principale ed indiscussa factory town italiana, ma la cui più alta densità industriale italiana ha esposto il sistema produttivo ad una crisi che ha comportato alti livelli di cassa integrazione, precarietà e disoccupazione giovanile preoccupanti, riduzione di reddito per molte famiglie;
   l'attuale fragilità del mercato del lavoro e la tendenza ad una sua precarizzazione, nonché l'esclusione sociale delle fasce più deboli della popolazione, come giovani, donne, anziani e stranieri, rendono necessaria un'attenta analisi dei risultati e dei dati relativi al quinquennio 2010-2015 che aiuti a comprendere se il ricorso al lavoro accessorio risponda nella realtà alla effettiva esigenza di richiedere forme di prestazione occasionale o, viceversa, a quella di mascherare rapporti di lavoro che dovrebbero invece essere regolati dalla normativa sul lavoro dipendente;
   parimenti necessari sarebbero, con riferimento agli stessi dati, i dettagli per caratteristiche socio-anagrafiche dei lavoratori coinvolti, per capire in che modo la suddetta riforma del mercato del lavoro abbia contribuito a rendere il mercato meno duale e discriminante nei confronti delle suddette categorie più vulnerabili;
   alla luce di quanto premesso, l'interrogante considera di estremo ausilio la conoscenza dei seguenti dati riferibili alla città di Torino e sua provincia ed in possesso, per competenza, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e dell'ISTAT –:
   quale sia la durata dei contratti a tempo determinato, divisi per classi di età dei lavoratori, sottoscritti nella città di Torino e provincia, nel periodo compreso tra il mese di dicembre 2010 al mese di settembre 2015 per classi di età;
   con riferimento al medesimo periodo (dicembre 2010-settembre 2015) ed alla medesima città di Torino e sua provincia, quali siano, riguardo al lavoro accessorio:
    a) i dati mensili dei voucher venduti suddivisi per cittadinanza e per le seguenti classi di età dei lavoratori: 15-24 anni, 25-34 anni, 35-54 anni, oltre 54 anni;
    b) i dati relativi alle attivazioni, alle cessazioni ed alle trasformazioni dei contratti;
    c) la serie storica, incorporando per tutti i mesi le rettifiche metodologiche fatte in corso d'anno e riportate nei report mensili da parte dello stesso Inps, delle attivazioni e cessazioni di contratti per genere, classi di età, cittadinanza, professione (operai, impiegati e altro), per settore di attività (industria manifatturiera, servizi, commercio, artigianato e altro) e per tipologia contrattuale (tempo determinato, tempo indeterminato, apprendistato, collaborazioni, lavoro in somministrazione);
   le serie storiche fornite in modo omogeneo, cioè incorporando per tutti i mesi le rettifiche metodologiche fatte in corso d'anno da parte dello stesso Inps e riportate nei report mensili relative:
    1) ad attivazioni e cessazioni per tipologia contrattuale da gennaio 2013 a settembre 2015;
    2) a trasformazioni di contratti a tempo determinato in tempo indeterminato da gennaio 2013 a settembre 2015;
    3) al numero di assunzioni con sgravi contributivi da gennaio 2013 a settembre 2015;
    4) al numero di trasformazioni con sgravi contributivi da gennaio 2013 a settembre 2015;
    5) al numero di trasformazioni di contratti a tempo determinato in contratti a tempo determinato;
    6) al numero di attivazioni e trasformazioni di contratti a tempo indeterminato che hanno usufruito dell'esonero contributivo previsto dalla legge di stabilità 2015;
    7) alla durata dei contratti a tempo indeterminato che hanno usufruito del suddetto esonero contributivo (cioè se e quanti dei contratti attivati con gli sgravi sono già cessati);
    8) alla durata delle trasformazioni che hanno usufruito dell'esonero contributivo (se e quante trasformazioni beneficiarie di sgravi siano già cessate);
    9) alla spesa totale per gli sgravi contributivi da gennaio 2015 a settembre 2015, relativa alla città di Torino;
   quali siano nel medesimo intervallo di tempo (dicembre 2010-settembre 2015):
    a) i tassi di occupazione e quelli di disoccupazione aggregati per genere e per classi di età;
    b) il numero degli occupati, per tipologia di contratto, orario, dipendenti a tempo determinato, indeterminato e indipendenti per genere, classi di età;
    c) la forza lavoro ed il tasso di attività per genere e classi di età;
    d) il numero di occupati per tipo di attività nei sei mesi precedenti (disoccupati, occupati, inattivi, pensionati, studenti). (4-11169)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARIELLO, L'ABBATE, GALLINELLA, GAGNARLI, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, PARENTELA, FANTINATI e RUOCCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'olio italiano deriva da Cultivar pregiati da cui deriva una produzione di estrema qualità, che si attesta su una fascia di mercato alta, nella quale il livello più elevato del prezzo è coerente con la maggiore qualità intrinseca, anche organolettica, del prodotto base;
   secondo le valutazioni di ISMEA, da una rilevazione condotta nel mese di dicembre 2014 si evidenzia che l'olio extravergine di oliva di produzione nazionale aveva un costo all'origine di circa 5,67 euro per chilogrammo, con punte di 11 euro al chilo per i generi a «denominazione protetta», contro valori medi di 3,09 euro al chilo per la Spagna, 3,22 euro per la Grecia e 2,98 euro per la Tunisia;
   il basso costo del prodotto importato dall'estero è uno dei fattori di rischio e di crescita della diffusione delle frodi, dal momento che l'attribuzione illecita della qualità di extra-vergine o vergine di un'origine nazionale ad un olio meno pregiato e con caratteristiche organolettiche di categorie inferiori, consente di lucrare ampi margini di guadagno;
   serve ogni strumento utile per tutelare il made in Italy, in particolare quello agro-alimentare, universalmente riconosciuto come una straordinaria leva competitiva e di sviluppo del nostro Paese;
   il comparto dell'olio extra-vergine di oliva è una ricchezza strategica per il nostro Paese e l'intero sistema olivicolo italiano deve essere curato, gestito, controllato e promosso in maniera specifica, così come avviene, ad esempio, per un altro settore di eccellenza italiana del comparto agricolo, quali il vino e la viticoltura;
   l'informativa inviata al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali il 3 giugno 2015 (prot. 64085) dalla direzione centrale antifrode e controlli dell'Agenzia delle dogane, con il seguente oggetto: «Settore Olio d'Oliva Com. Stati Membri ad. Reg. (UE) n. 299/13 e Reg. (UE) n. 1335/2013», conferma che il settore oleicolo è tra i più interessati da frodi commerciali;
   le informazioni contenute nel documento sopra citato ed in possesso del Ministro interrogato rilevano un elevato numero di reati accertati e reiterati in base all'articolo 15 del codice penale, la realizzazione di frodi commerciali da filiere di aziende italo-spagnole, le correlazioni soggettive tra aziende italo-spagnole in grado di movimentare il 40 per cento dell'intero interscambio commerciale in acquisto dalla Spagna con dichiarazione di valore inferiore ai 3 euro/kg, la presenza di gruppi aziendali governati dalla stessa persona fisica, la possibile presenza di cartelli italo-spagnoli in grado di condizionare il valore di transazione dichiarato;
   la miscelazione in Italia di olio spagnolo, tunisino e greco ed in minima parte di olio italiano per prodotti destinati all'esportazione classificata «olio extra-vergine di oliva», viene operata dai grandi esportatori di olio d'oliva dall'Italia (che sono anche i grandi acquirenti di olio spagnolo e tunisino) secondo l'articolo 24 del regolamento (CEE) n. 2913/92, interpretando il criterio della lavorazione sostanziale dal punto di vista economico. L'attribuzione dell'origine italiana è prevista qualora la massa olearia di prodotto sia composita e nessuna delle altre componenti (diverse dall'origine italiana) superi in massa il 25 per cento del totale. Per cui con solo il 16 per cento (in massa olearia) di olio italiano e con il restante 84 per cento di olio spagnolo, tunisino, greco, marocchino, turco, e altro può essere attribuita l'origine italiana all'intero prodotto;
   l'Agenzia delle dogane ha informato e tiene continuamente aggiornato l'ispettorato del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di quanto sopra descritto attraverso numerose informative periodiche inviate al Ministero;
   da informazioni diffuse a mezzo stampa, specificatamente dal quotidiano Corriere della sera dell'11 aprile 2014, con un articolo di Andrea Nicastro, si apprende che la Deoleo è stata acquisita da Cvc, un fondo inglese che avrebbe assicurato il Governo spagnolo «di non sottrarre alla regia spagnola il ciclo dell'olio» e che il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi informato sui fatti, ne avrebbe discusso con il suo «amico» Rajoy;
   da informazioni diffuse a mezzo stampa (la rassegna stampa sullo stesso argomento è numerosa) si apprende la notizia di una inchiesta mossa dal Pm di Torino Raffaele Guariniello nei confronti di sette aziende del settore, del reato di frode in commercio (articolo 515 c.p.) che coinvolge diversi brand molto conosciuti nel settore (alcuni dei quali, a dispetto dell'italianità del nome, di proprietà straniera): Carapelli, Bertolli, Sasso, Santa Sabina, Coricelli, Antica Badia e Primadonna;
   dalle ulteriori indagini effettuate dai carabinieri del Nas e dall'agenzia delle dogane e dei monopoli è scaturita una nuova ipotesi di reato di «vendita di prodotti industriali con segni mendaci atti ad indurre in inganno il compratore sulla qualità del prodotto». Il nuovo reato con testato (articolo 517 c.p.) e la maggiore gravità dello stesso, punibile con la reclusione fino a due anni, determina la competenza di altre procure della Repubblica (Firenze, Genova, Spoleto e Velletri) in quanto i luoghi di produzione degli oli oggetto delle indagini, si trovano nei loro rispettivi circondari. Una nota diffusa dalla procura di Torino spiega che l'indagine è stata pertanto trasferita per competenza territoriale: i procedimenti passeranno alle procura di Firenze, Genova, Spoleto e Velletri. La notizia è stata diffusa con un comunicato ufficiale in cui si spiega che la decisione è stata presa dal pm Raffaele Guariniello «nel quadro della sua nota e doverosa attenzione alla tutela della salute dei consumatori», e «in piena intesa con il procuratore» Armando Spataro;
   il Governo ha accolto l'ordine del giorno del M5S (ODG 9/01864-A/008) che prevede la creazione di una banca dati per confrontare le produzioni di olio extravergine di oliva su tutto il territorio nazionale utilizzando nuove tecnologie. Questi moderni metodi si basano sulla NMR (spettroscopia di risonanza magnetica nucleare) e sono complementari alle analisi convenzionali previste dai regolamenti dell'Unione europea –:
   se il fenomeno sia stato valutato ed accertato, ma soprattutto quali iniziative di contenimento siano state intraprese dal Ministro interrogato al fine di tutelare l'olio extravergine d'oliva, considerato un'eccellenza del made in Italy, e i livelli occupazionali esposti al rischio di questa continua frode perpetrata ai danni dell'olio extra vergine di oliva di produzione nazionale;
   se non ritenga che il fenomeno possa essere contrastato tramite l'attivazione degli strumenti di cui all'ordine del giorno già accolto dal Governo citato in premessa. (5-07037)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il linfedema degli arti inferiori è una patologia che colpisce i vasi linfatici. Molte cause patogene, congenite e acquisite, possono portare i vasi linfatici a non svolgere la loro funzione con accumulo di liquidi e poi di sostanze negli spazi intercellulari. Si distingue in tre gradi fondamentali: il primo consiste nel semplice accumulo di acqua che porta ad un edema degli arti inferiori, il secondo grado è quello in cui, insieme all'acqua, stagnano anche proteine e altri cataboliti cellulari, il terzo grado corrisponde allo stato indurativo del sottocute, quando per effetto del ristagno costante e persistente, l'organismo produce una fibrosi del tessuto, la terapia è semplice per i primi due gradi, difficile per il terzo. Occorre sempre ridurre l'edema (presso terapia, linfodrenaggio, dieta adeguata) e mantenere sgonfi gli arti (calza elastica). Nel secondo e terzo grado si possono associare la terapia del calore, la mesoterapia e altri farmaci più specifici anche in via generale;
   la distribuzione del linfedema è rispettivamente nel 79 per cento dei casi di tipo primario e nel 21 per cento dei casi secondario, di cui il 76,5 per cento dei casi di linfedema primario conta meno di 45 anni e l'80 per cento dei casi di linfedema secondario conta più di 45 anni;
   attualmente la prevenzione del linfedema, nella maggior parte dei casi, viene mirata a evitare le complicanze, soprattutto infettive, anche se dovrebbe essere soprattutto tesa a bloccarne l'evoluzione macroscopica ovvero, aumento di volume dell'arto affetto. Questo è attuabile solo se viene prontamente allestito e protratto nel tempo il protocollo terapeutico fisico complesso modificato secondo la clinica, con tutti gli accorgimenti consigliati al paziente, in tutti i tipi di linfedema ma in particolar modo se si tratta di un linfedema negli stadi iniziali. Nei casi non ancora complicati, selettivamente suscettibili di prevenzione, questi fini sono raggiungibili mediante una tempestività terapeutica rappresentata e dalla kinesiterapia e dall'uso di materiale compressivo, nonché da alcuni medicamenti ad azione linfotropa;
   si tratta di una patologia invalidante e ingravescente, regredisce, anche se in misura parziale, con l'intervento chirurgico e necessita di periodiche cure specialistiche, bendaggi medicamentosi, l'utilizzo continuo di tutori elastici a compressione graduata e cicli quindicinali di terapia, mediante trattamenti di drenaggio meccanico combinato, presso i pochi centri privati attrezzati;
   tale patologia, infatti, per quanto riguarda la terapia chirurgica e la ricerca può riferirsi a pochi centri universitari, come ad esempio il dipartimento di chirurgia dei linfatici presso l'università di Genova, mentre per quanto attiene le necessarie cure specialistiche periodiche, si fa riferimento a pochissime strutture ambulatoriali private localizzate nel nord Italia, dotate degli idonei presidi elettromedicali;
   malgrado tutto ciò, tale patologia non è contemplata nel novero delle malattie riconosciute come croniche e invalidanti (decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296) negando, di fatto, a migliaia di ammalati, pari dignità e uguali diritti in ordine alle prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale;
   sono a totale carico dei pazienti, oltre alle predette cure periodiche, i costi di acquisizione di tutori elastici, dei kit di bendaggio, di presidio elettromedicale per il drenaggio domiciliare, d'uso massivo quotidiano, oltre ai farmaci d'uso. Sono facilmente evincibili, per quanto argomentato, le innumerevoli difficoltà e lo stato di estremo disagio sociale, psicologico ed economico, in cui penosamente versa questa categoria di ammalati, costretta, per necessità, ad un periodico e disagevole «turismo sanitario», nei limiti obiettivi afferenti alla patologia –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di agevolare, anche da un punto di vista economico, il decorso curativo dei malati affetti da linfedema, ponendo fine a questa palese ingiustizia e sperequazione tra patologie e promuovendo la creazione in Italia di centri di ricerca e di cura volti specificatamente a questa patologia. (5-07026)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALPERTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha già presentato un atto di sindacato ispettivo in data 29 ottobre 2014 per sapere quale iter si intendesse adottare per procedere alla costituzione di una nuova società per l'amministrazione e la gestione dell'ILVA spa di Taranto sottoposta allora come adesso a regime commissariale;
   ricompaiono a distanza di circa un anno sui mezzi d'informazione, in particolare si veda il Sole 24 ore in data 23 ottobre 2015, notizie riguardanti la costituzione di una «newco» alla quale dovrebbero partecipare la Cassa depositi e prestiti, le banche, alcuni industriali siderurgici italiani;
   la disponibilità, peraltro lodevole, a partecipare alla nuova impresa, da parte di soggetti economici privati italiani, sarebbe stata individuata attraverso manifestazioni raccolte mediante una procedura pubblica;
   la Commissione attività produttive della Camera ha seguito positivamente e con scrupolo, anche attraverso una serie di audizioni, le tematiche connesse alle sorti dell'ILVA nonché quelle legate al sensibile e strategico comparto siderurgico e acciaiero del nostro Paese –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle procedure evidenziate dagli organi di stampa ed in premessa sommariamente descritte;
   se corrisponda al vero che tali iniziative siano state poste in essere e, in tal caso se sia possibile, stante la natura pubblica della Cassa depositi e prestiti, conoscere in quali forme si siano concretizzate e sostanziate, essendo iniziative indispensabili per la scelta dei partner industriali interessati alla «newco»;
   quali approfondimenti, giuridico-amministrativi, siano stati eventualmente espletati per escludere preventivamente, in una vicenda tanto delicata e complessa per il Paese, possibili procedure di infrazione da parte dell'Unione europea;
   se, considerando il grande impegno fino ad oggi profuso nella vicenda, il Ministro non ritenga utile fornire ogni utile aggiornamento in ordine agli sviluppi emersi negli ultimi mesi intorno alle circostanze economiche, industriali, giuridiche, della sopracitata società ILVA spa. (5-07027)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   circa 50 lavoratori della Eaton di Monfalcone sono stati licenziati con incentivo nel 2013, costretti ad accettare la proposta, dopo aver già accettato sacrifici ed umiliazioni di ogni genere pur di rimanere all'interno del processo produttivo dello stabilimento, come, ad esempio, la decurtazione dell'orario contrattuale di lavoro da 26 a 24 ore per i part-time notturno a fronte della possibilità di qualche ora di lavoro alla settimana, mentre ancora erano in cassa integrazione;
   ad oggi i lavoratori licenziati sono ancora disoccupati, non essendo riusciti a ricollocarsi in alcun campo, anche al di fuori del settore metalmeccanico, eppure risulta all'interrogante che la Eaton ricorra all'utilizzo di lavoratori interinali, soprattutto di recente per riaprire il turno week-end che la fabbrica inizialmente aveva puntato a chiudere proprio con l'esodo obbligatorio dei predetti 50 lavoratori;
   rispetto al periodo di crisi che ha portato la Eaton a scegliere di licenziare ed accompagnare con incentivo nel suo percorso di uscita lavorativa i predetti lavoratori, sembrerebbe, infatti, che la ditta monfalconese sia ora ritornata ad occupare spazi di mercato che le impongono di aumentare la produzione in precedenza crollata;
   tuttavia, invece di richiamare i lavoratori allontanati, peraltro con esperienza decennale e perfettamente a conoscenza dell'ambiente lavorativo, la Eaton ricorre all'assunzione di operai con contratto di lavoro interinale, diplomati o laureati da formare per coprire la produzione;
   alla richiesta di chiarimenti da parte dei lavoratori fuoriusciti, sembrerebbe che l'azienda, per voce dei sindacati, abbia addotto la motivazione di garantire così la sicurezza sul posto di lavoro (se ad esempio ci fosse la necessità di aprire il quadro elettrico di una macchina per ripristinarne l'utilizzo, l'addetto alla produzione sarebbe autorizzato senza bisogno di interpellare l'elettricista del reparto manutenzione) ed abbia affermato che non è contemplata nella politica aziendale la riassunzione di personale, anche esperto, che abbia volontariamente lasciato l'azienda a fronte di incentivi concessi;
   inoltre, alla proposta dei lavoratori fuoriusciti di restituire l'incentivo a fronte di riottenere il proprio posto di lavoro, sembrerebbe, secondo quanto risulta all'interrogante, che l'azienda abbia risposto che non è ciò che cerca e quel quantum rappresenta pochi spiccioli;
   alla fine del 2014 – si evidenzia – la provincia di Gorizia risultava essere 104a su 110 province italiane per numero di disoccupati ed i dati sulla cassa integrazione in deroga la vedono in testa nel Friuli Venezia Giulia, con un incremento del 52 per cento su base annua –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, intenda urgentemente adottare in merito alla vicenda esposta in premessa, anche mediante l'apertura di un tavolo di lavoro con tutti i soggetti coinvolti (azienda, sindacati, lavoratori, regione Friuli Venezia Giulia) che possa portar alla ricollocazione lavorativa di personale esperto e preparato;
   se, nell'ambito delle proprie competenze, non intenda adottare le opportune iniziative affinché un'azienda non possa ricorrere a forza lavoro con contratto di somministrazione nel mentre ponga in mobilità i propri dipendenti, come accaduto per la Eaton nell'inverno scorso. (4-11173)


   FOLINO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito dai media locali e riportato dai cittadini dell'area della Val d'Agri (Potenza) e confermato da una nota stampa dell'ENI, in data 13 novembre 2015 verso le ore 9,30/9,45 presso il COVA (Centro olii Val d'Agri) in località di Viggiano (Potenza), si è verificata un'anomalia alla fiaccola di sicurezza che ha generato una fiammata di dimensioni inusuali ben oltre i livelli medi, tanto da essere definita «impressionante». L'anomalia della fiamma pilota ha avuto una durata di circa 2 ore;
   la nota stampa della compagnia Eni dichiara che l'innalzamento è stato provocato da un transitorio che si inserisce nell'ambito dell'attuale fase di «Tuning — Allineamento e Settaggio» del programma operativo di messa in marcia e successivamente a regime della V linea di trattamento gas del COVA, previsto dall'autorizzazione AIA. Eni ha tempestivamente attivato i canali di comunicazione previsti dalle procedure, informando tutti gli enti e le autorità interessate, a partire dai sindaci. Per limitare il fenomeno di visibilità, sono stati chiusi alcuni pozzi, con contestuale riduzione della produzione, e attualmente sono in corso le operazioni finalizzate a ripristinare il normale assetto produttivo dell'impianto. Eni evidenzia che il controllo costante e puntuale dei dati di monitoraggio della qualità dell'aria, acquisiti sia dalla centralina di proprietà Eni sia dalla rete ARPAB, non ha fatto registrare alcun superamento dei valori di legge, sia regionale che nazionale, per tutti i parametri normati;
   nel comunicato dell'Eni non si fa riferimento a quali siano i pozzi interessati e chiusi per sicurezza per «limitare il fenomeno di visibilità» e se nelle comunicazioni siano state interessate regione Basilicata e l'UNMIG (ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse) indicando anche i motivi legati alla decisione di chiudere i pozzi e al relativo calo della produzione;
   il ripetersi continuo e costante delle anomalie e delle fiammate oltre livelli medi delle anomalie ingenera nella popolazione preoccupazioni e stato di inquietudine perenne dovuti anche all'assenza di informazione istituzionale;
   il più delle volte, infatti, le segnalazioni di anomalie avvengono esclusivamente dai cittadini residenti e dalle associazioni attive sul territorio;
   il predetto scenario è duraturo e costante, secondo la OLA (Organizzazione lucana ambientalista) «continua a esserci una informazione poco chiara e trasparente sull'attività estrattiva e sulla sicurezza in Val d'Agri e sulle cosiddette “anomalie” che causerebbero le fiammate del centro olio con la chiusura dei pozzi che con molta probabilità emetterebbero quantitativi di gas eccessivi ed incontrollabili per poter essere gestiti dalle strumentazioni e dagli impianti»;
   si registra il ripetuto mal funzionamento o funzionamento anomalo della V linea a gas del centro olio di Viggiano;
   il provvedimento adottato dall'UNMIG e indicato in una nota nel settembre 2014 dall'assessore all'ambiente della regione Basilicata imponeva all'Eni di adeguare l'impianto visto il ripetersi delle fiammante e la conseguente preoccupazione della popolazione. Le due prescrizioni richiedevano all'Eni, infatti, «di trovare soluzioni rapide e contingenti volte a scongiurare nell'immediato ulteriori malfunzionamenti dell'impianto. Soluzioni che eliminino le cause dell'attivazione così frequente delle procedure di sicurezza che generano il fenomeno delle fiammate» — e continua la nota — «riprogettare complessivamente l'impianto, obiettivo l'autonomia energetica. Alcuni recenti malfunzionamenti del Cova sono stati causati proprio da banali blackout» –:
   quali siano le informazioni e l'orientamento del Governo sui fatti esposti in premessa;
   se le prescrizioni stabilite l'anno scorso dall'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse siano state rispettate;
   se ci siano state nuove verifiche degli organi competenti nel valutare la sicurezza dell'impianto e dei processi al fine di scongiurare effetti di più grave portata per gli abitanti del territorio e i lavoratori del Centro;
   quali iniziative si intendano porre in essere per limitare al massimo il perdurante stato di anomalia;
   quali iniziative di comunicazione si intendano attivare per rendere più efficaci e trasparenti gli accadimenti all'interno del Centro Olii;
   se l'ENI abbia in previsione un adeguamento tecnologico dell'impianto per minimizzare il più possibile l'impatto sull'ambiente circostante e sui rischi legati all'impianto. (4-11176)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Bratti e altri n. 7-00816, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Bratti ed altri n. 2-01141, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Piccione n. 5-06860, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Burtone.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Ricciatti e altri n. 5-06944, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Kronbichler.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Da Villa e altri n. 5-06948, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Busto.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Arlotti e altri n. 5-07007, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.