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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 28 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro Paese sempre più spesso ha affrontato – e continua ad affrontare – il tema dell'immigrazione, evocando pericoli di invasione che servono solo ad attribuire ai migranti il ruolo di nemici della società;
    le emergenze sbarchi sono, in realtà, emergenze umanitarie e devono essere affrontate nel rispetto dei principi cui una democrazia non può rinunciare senza rinnegare se stessa: primo dovere delle istituzioni pubbliche è organizzare il soccorso e l'assistenza dei migranti, cooperando con le organizzazioni umanitarie e facendo sì che esse possano adempiere i loro compiti in autonomia e con efficacia;
    la legislazione sull'immigrazione e sul diritto d'asilo e le prassi amministrative devono essere coerenti con i princìpi dello Stato costituzionale di diritto e del diritto internazionale;
    uno stato di perenne emergenza e un approccio alle questioni dell'immigrazione schiacciato su tale logica non possono che portare, al contrario, inevitabilmente alla negazione dei diritti fondamentali della persona;
    il frutto della logica emergenziale che ispira da anni le politiche migratorie è rappresentato da un diritto speciale dei migranti costituito da un insieme di misure amministrative e penali finalizzate all'allontanamento dello straniero «irregolare»;
    per il migrante la limitazione della libertà personale non è l'eccezione e l’extrema ratio, secondo il canone garantistico del costituzionalismo contemporaneo, ma rappresenta la regola; essa non è necessariamente legata a condotte soggettive meritevoli di sanzione, ma, nel suo significato complessivo, ad una condizione individuale, la condizione di migrante; viene disposta e direttamente eseguita – in via ordinaria e non solo in casi eccezionali – dall'autorità di polizia, mentre il giudice interviene solo in un secondo momento;
    sempre nel segno della logica dell'emergenza, la discussione pubblica è ormai tutta orientata verso il contrasto degli ingressi e l'incremento indiscriminato delle espulsioni, di modo che le norme vengono valutate non per la loro attitudine a governare con efficacia, nel rispetto dei diritti fondamentali, il complesso fenomeno dell'immigrazione, ma per il numero degli espulsi;
    con particolare riferimento alla riserva di giurisdizione, la Consulta esplicitamente nega che «le garanzie dell'articolo 13 Cost. subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 105 del 2001). Altrettanto espressamente la Corte costituzionale ha riconosciuto allo straniero, anche se irregolare o clandestino, il pieno esercizio del diritto di difesa con riferimento alla garanzia del contraddittorio, all'assistenza linguistica, al gratuito patrocinio, al reingresso in Italia per partecipare al processo penale, ai giudizi di convalida relativi ai provvedimenti espulsivi ed alle relative modalità di esecuzione. Quanto, più in generale, alla tutela giurisdizionale, «il diritto a un riesame del provvedimento di espulsione, con piena garanzia del diritto di difesa, spetta non soltanto agli stranieri che soggiornano legittimamente in Italia, ma anche a coloro che sono presenti illegittimamente sul territorio nazionale»;
    se così è in linea di principio, tuttavia non pare garantito in concreto il godimento del diritto alla tutela giurisdizionale di cui lo straniero è formalmente titolare; il suo pieno esercizio, infatti, talvolta è negato de facto, in ragione delle modalità esecutive delle misure di allontanamento, altre volte de jure, a causa di una disciplina legislativa omissiva o carente;
    tale distinzione tra titolarità ed effettivo godimento rispetto alle garanzie giurisdizionali, che differenzia la condizione dello straniero da quella di cittadino, non ha pregio sul piano costituzionale, ma trova giustificazione sul diverso piano della politica del diritto in materia di immigrazione;
    la tutela giurisdizionale contro le decisioni delle commissioni di rigetto delle domande costituisce una fase più delle altre cruciale della procedura di esame delle istanze di protezione, per tutelare effettivamente il diritto soggettivo all'asilo, ma la normativa italiana in materia è oltremodo confusa, anche per effetto di più interventi normativi tra loro non coordinati – e che rispondono alle logiche sopra menzionate – che devono essere modificati;
    peraltro, va considerato che procedure poco snelle, farraginose, dovute in primis alla disciplina vigente, e solo in subordine all'applicazione della normativa confusa sulla materia, portano ad un grave ritardo sulla tempistica delle decisioni, con conseguenze sia sui costi delle procedure, sia sul ritardo nel rispetto delle garanzie che il nostro Paese è tenuto ad assicurare;
    in particolare, come ad esempio riferito dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania, Giovanni Salvi – in sede di audizione nell'ambito della Commissione di inchiesta sull'immigrazione, insediata nell'anno corrente – le procedure di riconoscimento dello status di rifugiato o persona internazionalmente protetta pendenti attualmente innanzi al tribunale di Catania ammontano a 2.800, e sono fissate fino al 2016; un richiedente asilo costa mediamente intorno ai 25 euro al giorno, ovvero circa 9.000 euro all'anno; considerati i 2.800 migranti oggetto dei procedimenti pendenti, un anno di ritardo nella definizione delle procedure costa più di 25 milioni di euro;
    un magistrato in più distaccato presso il tribunale di Catania costa – in aggiunta al suo stipendio – per il trattamento di missione circa 18.000 euro all'anno; destinando in pianta fissa un magistrato in più, il costo è di 70.000 euro l'anno circa;
    quanto all'aspetto relativo alla garanzia dei diritti, non è dignitoso che vi siano persone che attendono un anno e mezzo, o due anni, in luoghi nei quali non hanno possibilità di avere una vita, ove sono prive della possibilità di raggiungere i loro obiettivi, in condizioni inumane;
    i ritardi nella definizione dei procedimenti, dunque, sono gravi sia per l'aspetto economico, sia per l'aspetto umano,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative urgenti circa:
    a) il conseguimento di una effettiva tutela giurisdizionale concernente gli atti in materia di ingresso, soggiorno, trattenimento, accompagnamento e allontanamento degli stranieri e in materia di diritto di asilo, attraverso una riforma delle giurisdizioni e dei giudici competenti con preferenza per un'unica giurisdizione estesa al merito spettante al giudice ordinario di carriera, anche istituendo apposite sezioni specializzate, tenendo conto del rispetto delle riserve di legge e delle riserve di giurisdizione e dell'effettività delle tutele giurisdizionali e delle garanzie di difesa;
    b) la garanzia di un effettivo accesso alla giustizia dei richiedenti asilo, anche attraverso il concreto accesso al patrocinio a spese dello Stato.
(1-01045) «Palazzotto, Scotto, Costantino, Daniele Farina, Quaranta, Sannicandro, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    nelle giornate del 14 e 15 ottobre 2015 un violento nubifragio si è abbattuto sulle province di Casetta e Benevento; le precipitazioni a carattere torrenziale, intense e persistenti hanno provocato esondazioni dei fiumi Calore, Tammaro, Isclero, del torrente Lente e di numerosi corsi d'acqua con allagamenti, rottura di argini e collasso del sistema idrogeologico e idraulico; gravissime le conseguenze sulle abitazioni; in particolare nella zona industriale di Benevento, ingenti i danni alle strutture e alle attività produttive, agli esercizi commerciali, alle infrastrutture, ai servizi pubblici essenziali;
    per allagamenti, frane e cedimenti di ponti, i collegamenti e la viabilità sono state interrotti in molti punti, con comuni isolati per giorni;
    particolarmente gravi i danni al settore agricolo: il distretto vitivinicolo sannita nell'area compresa tra le valli Vitulanese e Telesina ha subìto danni per decine di milioni di euro; pregiati vigneti e numerose strutture agricole sono andati completamente distrutti; il dilavamento dei terreni ha gravemente compromesso la produzione per l'intero anno e per i successivi, dei comparti di olio e ortofrutta; azzerate le scorte di foraggio; secondo una prima stima delle associazioni imprenditoriali, l'alluvione ha distrutto circa idoli ila aziende agricole e danneggiato 30 mila agricoltori;
   l'intensità degli eventi atmosferici, unita alle peculiari criticità dei singoli territori, ha determinato conseguenze di straordinaria gravità sugli edifici residenziali e sui servizi e ha reso necessaria l'evacuazione dalle case di centinaia di persone; ingenti i danni all'industria del beneventano, che si distingue per produzioni di eccellenza di rinomata qualità;
    la Campania, con 258.110 persone esposte al rischio di alluvioni, 75.568 esposte al rischio di frane, in 504 comuni è una regione ad elevato rischio idrogeologico; in particolare, nel Sannio, il 96 per cento dei comuni si trova in condizioni di dissesto idrogeologico;
    la messa in sicurezza del territorio «rappresenta un'assoluta emergenza nazionale» come ha ricordato il Ministro dell'ambiente in audizione, alla Camera, il 21 ottobre 2015, «e nell'ambito del Piano operativo nazionale contro il rischio idrogeologico che prevede 7 miliardi per il periodo 2014-2020, avviato dal Ministero dell'Ambiente, in coordinamento con la Struttura di Missione della Presidenza del Consiglio dei ministri, è stato individuato un nucleo di 127 interventi (33 immediatamente cantierabili) nelle aree metropolitane e urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, con un costo di oltre 1.389 milioni di euro, di cui oltre 1.153 milioni a carico del bilancio dello Stato»;
    è necessario che in tale nucleo di interventi prioritari sia ricompresa la zona del Sannio) colpita dall'alluvione come area soggetta a frequenti esondazioni;
    il Governo ha annunciato lo sblocco degli avanzi di amministrazione dei comuni nell'ambito della legge di stabilità 2016; è essenziale che una parte congrua di queste risorse sia investita in attività di manutenzione del territorio;
    dopo una settimana dalla grave alluvione, una ventina di aziende hanno ripreso la produzione nell'area industriale di Ponte Valentino, grazie all'impegno di circa 500 uomini della protezione civile nazionale, dei vigili del fuoco, degli operai delle aziende e di numerosi volontari, molti dei quali giovanissimi;
    è indispensabile avviare iniziative straordinarie per la celere riparazione dei danni e la ripresa delle attività produttive, con interventi immediati per il ripristino della funzionalità delle infrastrutture, delle reti strategiche, dei servizi pubblici essenziali e degli impianti di produzione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative in tempi rapidi, affinché, per il tramite delle amministrazioni territoriali competenti e d'intesa con le associazioni imprenditoriali, siano concessi contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili residenziali e ad uso produttivo, in relazione ai danni effettivamente subiti per gli eventi alluvionali, in misura sufficiente a coprire le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la messa in sicurezza degli immobili danneggiati, per l'acquisto o la riparazione immediata delle macchine utensili, per l'indennizzo e il ripristino delle scorte;
   ad assumere iniziative per prevedere che i soggetti destinatari dei contributi siano i titolari di reddito di impresa, nonché i titolari di reddito di lavoro autonomo e gli esercenti attività commerciali, turistiche, industriali, artigianali, di servizi, agricole e di allevamento, per i danni subiti agli immobili e agli impianti;
   ad assumere iniziative per sospendere i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria per tali soggetti, nonché degli studi di settore per le attività localizzate nelle zone alluvionate;
   a prevedere che il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
   a promuovere, anche mediante protocollo d'intesa con l'Associazione bancaria italiana, la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da effettuare dopo la sospensione dei termini;
   ad assumere iniziative per attribuire anche alle imprese ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 15 ottobre 2015, nei territori colpiti dagli eventi alluvionali, che non beneficiano di contributi ai fini del risarcimento del danno ma che possano dimostrare di aver subito un danno economico indiretto (quale diminuzione del volume d'affari, ricorso a strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori per fronteggiare il calo di attività, caduta della domanda conseguente agli eventi alluvionali) un contributo pari al costo sostenuto per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione di beni d'impresa o di lavoro autonomo o per la riduzione, documentata, dell'attività produttiva, agricola, di servizio o commerciale;
   ad incentivare la realizzazione di opere di difesa del suolo, di contrasto all'erosione, di contenimento degli alvei fluviali e di impermeabilizzazione;
   a contrastare la speculazione e gli abusi edilizi nelle zone alluvionali:
   ad adottare iniziative per conferire agli enti locali colpiti dagli eventi alluvionali contributi per interventi di riduzione del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio, escludendo tali spese dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, per stanziare risorse per il riassetto idraulico, per le casse di espansione, per il rafforzamento degli argini, per la manutenzione della rete idraulica, per il drenaggio efficiente di fiumi, fossi e canali a favore dei comuni colpiti dagli eventi alluvionali.
(1-01046) «Tabacci, Dellai, Capelli, Caruso, Baradello, Fauttilli, Gigli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli, Piepoli, Santerini, Sberna».


   La Camera,
   premesso che:
    l'onda lunga degli sbarchi percorre lo Stivale e fa impennare il numero delle richieste di asilo politico, e più della metà viene respinta, ma i ricorsi intasano i già ingolfati palazzi di giustizia;
    corrono ai ripari i capi delle procure tra Milano, Torino e Catania organizzando gruppi di lavoro e dipartimenti per fronteggiare quella che sembra avere tutti i caratteri di un'emergenza;
    in media solo il 40 per cento di coloro che dichiarano di non potere rientrare nel proprio Paese perché rischiano di essere perseguitati per motivi di razza, religione, etnici o per le opinioni ottiene l'asilo politico dalle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale;
    ciò si traduce in un permesso di soggiorno che consente di rimanere sul territorio italiano per cinque anni, mentre gli altri possono sempre e comunque ottenere la «protezione sussidiaria», che dura tre anni ed è riservata a chi rischia una condanna a morte oppure di essere trattato in modo «inumano o degradante» e la protezione «umanitaria» dura un anno ed è attivabile soltanto quando ci sono, appunto, motivi di carattere umanitario, come le catastrofi naturali o ambientali;
    gli esclusi dovrebbero essere rimpatriati, ma quasi sempre fanno ricorso perché non di rado viene accolto e anche perché generalmente blocca la procedura di espulsione garantendo un buon periodo di permanenza in Italia grazie a una lunga sequenza di procedimenti giudiziari;
    l’iter inizia dal tribunale e, nel caso che anche questo «bocci» la richiesta, si può andare in corte d'appello e poi fino in Corte di Cassazione usufruendo, in questo viaggio giudiziario, anche del «gratuito patrocinio», l'assistenza legale garantita da avvocati pagati dall'erario;
    da circa venti al mese che erano nel 2013, questi ricorsi a Milano sono decollati a 632 nel 2014 per arrivare a 42 nel gennaio 2015, a 70 a febbraio, fino a 100 nel mese di marzo. Si prevede in aumento la previsione nel corso di quest'anno pari a circa tremila in Lombardia, di cui duemila a Milano e la quota residua a Brescia;
    ad esaminare i sopracitati ricorsi è il settore affari civili affidato al pubblico ministero Nicola Cerrato, che non di rado ha ribadito il diniego all'asilo e, per affrontare la situazione, si è deciso di ricorrere ai viceprocuratori onorari che, come in tutta Italia, anche a Milano smaltiscono centinaia e centinaia di cause ogni anno permettendo alla giustizia di andare avanti senza essere travolta definitivamente dai processi;
    dopo aver partecipato a un corso di specializzazione organizzato alla prefettura sulla normativa, i viceprocuratori onorari smaltiranno le pratiche per la modica cifra di 7 euro ciascuna;
    da quando è cominciata la guerra in Siria, a Catania sbarcano i due terzi dei migranti che attraversano il Mediterraneo e ci sono circa 3 mila procedimenti in carico che arrivano a una media di 800 ricorsi l'anno con una fissazione delle udienze al 2016 un'emergenza che ha portato il procuratore della Repubblica Giovanni Salvi ad organizzare un gruppo di lavoro in cui ruoteranno 6 sostituti guidati da un procuratore aggiunto;
    anche a Torino il procuratore Armando Spataro ha costituito un pool composto da due sostituti e da un procuratore aggiunto per far fronte ai numerosi ricorsi presentati, dal momento che si tratta di una materia molto sensibile e impegnativa visto che è necessario esaminare le ragioni dei richiedenti alla luce delle leggi e della giurisprudenza;
    spesso ci si trova di fronte a domande simili l'una all'altra addirittura nei fatti, che vengono raccontati con gli stessi particolari, firmate da persone che arrivavano dalla stessa area di un Paese, dove non ci sono particolari problemi e il sospetto è che dietro tutto questo si nascondano organizzazioni internazionali che, approfittando delle tragedie che coinvolgono migliaia di persone perseguitate, forniscono una sorta di «pacchetto assistenziale» che va dal viaggio alle pratiche per fare ottenere il permesso in Italia anche a chi non ne ha diritto,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative per prevedere l'istituzione presso i tribunali ordinari, di sezioni specializzate dedite alle materie relative ai fenomeni migratori e ai ricorsi dei migranti avverso i provvedimenti di diniego dello status di rifugiato e di espulsione, valutando l'opportunità di predisporre meccanismi diretti a velocizzare tutte le procedure relative all'esame delle domande, così da ridurre i tempi di permanenza sul territorio nazionali degli esuli.
(1-01047) «Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Agenda europea sulla migrazione, adottata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, afferma che «il sistema di rimpatrio dell'UE (rimpatrio degli immigrati irregolari e di coloro le cui domande di asilo sono rifiutate) funziona in modo imperfetto. Spesso le reti di trafficanti contano sulla percentuale relativamente bassa delle decisioni di rimpatrio effettivamente eseguite: solo il 39,2 per cento delle decisioni di rimpatrio emesse nel 2013 è stato effettivamente eseguito»;
    la stessa Commissione, nel documento, ammette che «l'UE ha bisogno di un sistema chiaro di accoglienza dei richiedenti asilo al suo interno. Una delle debolezze che accusa il sistema attuale è la mancanza di fiducia reciproca tra Stati membri, in particolare a causa della frammentazione del sistema di asilo»;
    secondo il «Rapporto sull'accoglienza di migranti e rifugiati in Italia», presentato il 21 ottobre scorso dal Ministero dell'interno, a fronte di un calo degli sbarchi del 7,4 per cento (dal primo gennaio al 10 ottobre sulle nostre coste sono sbarcate 136.432 persone rispetto alle 147.377 dello stesso periodo del 2014), le richieste d'asilo presentate alle Commissioni territoriali competenti sono arrivate a quota 61.545 (+ 31 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014);
    un analogo andamento si riscontra nel numero di richieste esaminate (+70 per cento): 46.490 nel 2015 contro le 27.393 del 2014. Sono state 23.905 le domande rigettate quest'anno, contro le 9.564 dell'anno scorso;
    nel 2015 le commissioni territoriali, raddoppiate grazie decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, convertito dalla legge 17 ottobre 2014, n. 146, hanno riconosciuto lo status di rifugiato a 2549 persone, la protezione sussidiaria a 7.242, la protezione umanitaria a 10.821. 1.926 persone che avevano fatto domanda di asilo sono risultate poi irreperibili;
    in relazione alle commissioni territoriali, pur riconoscendo i miglioramenti sopra ricordati, appare necessario – anche alla luce delle disposizioni recentemente adottate dall'Unione europea che richiedono un'efficienza ancora maggiore delle strutture di esame delle domande – rafforzarne le strutture, attraverso la destinazione di ulteriori risorse finanziarie e di personale adeguatamente qualificato;
    pare altresì opportuno adottare, ai fini della remunerazione dei componenti della commissione, meccanismi di incentivazione basati sull'efficienza e sulla qualità del lavoro svolto, da valutare rispettivamente in termini di numero di pratiche smaltite e di provvedimenti annullati dall'autorità giudiziaria;
    l'articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, in attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure  applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, prevede all'articolo 35 che «avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento»;
    nel corso di un'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani svolta dalla Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato il 10 febbraio 2015, il prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, ha osservato che «una delle criticità da superare riguarda i ricorsi per i migranti ai quali è stata rigettata la richiesta d'asilo: i tempi della decisione del giudice ordinario sono lunghissimi, spesso superano i due anni, e ai ricorrenti va comunque assicurata l'accoglienza»;
    per accelerare i procedimenti di impugnazione, sono opportune iniziative sotto il profilo dell'organizzazione degli uffici giudiziari, se del caso anche attraverso la creazione di sezioni specializzate, o comunque con interventi di organizzazione degli uffici giudiziari che consentano di destinare maggiori risorse alla gestione di questi procedimenti;
    appare infine opportuno valutare una revisione della disciplina dell'impugnazione dei provvedimenti di diniego e del relativi effetti sul diritto del richiedente di restare nel territorio dello Stato,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative per il rafforzamento delle commissioni territoriali, attraverso la destinazione di ulteriori risorse finanziarie e di personale adeguatamente qualificato, al fine di accelerare i tempi di gestione delle domande;
   a valutare modifiche ai meccanismi di remunerazione dei membri delle commissioni territoriali che si basino sull'incentivazione dell'efficienza e qualità del lavoro svolto;
   ad adottare misure organizzative negli uffici giudiziari che consentano di migliorare la gestione delle procedure di impugnazione dei provvedimenti di diniego, valutando altresì l'istituzione di sezioni specializzate;
   a valutare di assumere iniziative per apportare modifiche alla disciplina dell'impugnazione dei provvedimenti di diniego nel rispetto della disciplina europea e internazionale sui rifugiati.
(1-01048) «Mazziotti Di Celso, Monchiero, Galgano».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia, a causa della sua posizione nel Mediterraneo ma anche per l'attrattiva esercitata, rispetto ad altri Paesi rivieraschi come la Spagna, dalle sue politiche eccessivamente tolleranti in materia di immigrazione clandestina, è da anni oggetto del maggiore afflusso di immigrati provenienti soprattutto, ma non esclusivamente, dal continente africano;
    nel 2014 sono stati registrati 170 mila sbarchi, (ospitati in caserme, alberghi, residence) dei quali 66 mila immigrati hanno presentato domanda di asilo in Italia. Di queste, 36 mila sono state esaminate e solo il 10 per cento è stata accolta con il riconoscimento dello status di rifugiata; nel 2015 i dati registrati sono pari a 140 mila sbarchi, 61 mila domande presentate e 45 mila effettivamente esaminate. Le accolte sono intorno a 2500, sotto il 6 per cento;
    mentre l'Italia e alcuni, paesi europei affrontano un afflusso enorme di immigrati, l'Unione Europea registra l'ennesimo fallimento nel dare una risposta comune ed efficace: le missioni navali derivate da Frontex, nate per monitorare e salvaguardare i comuni confini europei, si sono trasformate in servizi traghetto che vanno in acque africane a imbarcare chi ha pagato gli scafisti per la traversata, continuando comunque poi a trasportarli e a sbarcarli in territorio italiano;
    il piano di ripartizione europeo, che doveva portare al trasferimento di 40 mila migranti in due anni che avrebbero dovuto lasciare l'Italia per essere ospitati negli Stati dell'Unione Europea che avevano accettato l'agenda messa a punto dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker, si è rivelato l'ennesima pagliacciata europea. Sarebbero dovuti partire 80 stranieri al giorno, ma da allora hanno lasciato l'Italia 90 immigrati in tutto. Ciò è anche dovuto al fatto che la disponibilità degli altri Paesi è stata puramente di facciata: dei 28 paesi la Germania ha dato disponibilità per dieci posti, la Francia per 20, la Spagna per 50 persone, la Svezia 100 e la Finlandia 200. Tutti gli altri nulla;
    stando alla richiesta del Governo alla commissione europea di una clausola di flessibilità sul Patto legata alla gestione degli immigrati, i costi a carico del bilancia dello stato sono 3,2 miliardi all'anno, ben al di sopra delle cifre fino ad oggi dichiarate;
    ma al netto della libertà di fare deficit, l'Europa ha dato un contributo economico di miseri 310 milioni di euro;
    nel frattempo qualunque politica di rimpatrio di chi non abbia legittimamente titolo a rimanere sul territorio è completamente sparita sia dall'agenda politica europea che da quella italiana, con l'azzeramento del fondo rimpatri, lo stop agli accordi di riammissione e la rinuncia a voler distinguere tra chi scappa realmente da una guerra e chi è semplicemente attratto dalla facile chimera di venire in Italia a godere di benefici e servizi garantiti senza alcuna selezione;
    di pari passo, e direttamente correlata, è la rinuncia collettiva dell'Europa ad assumere un ruolo nella risoluzione delle crisi in Libia, Siria ed Iraq, cause di molti esodi, conflitti che se non risolti continueranno ad alimentare instabilità, terrorismo, traffico di esseri umani e morti sulle rotte dell'esodo e in mare;
    la proposta di sottrarre risorse e magistrati ai tribunali per dedicarli alla gestione delle domande di asilo e ai ricorsi contro i dinieghi rappresenterebbe una pericolosa discriminazione verso le parti coinvolte in altre tipologie di contenzioso pendenti presso il sistema giudiziario nazionale: la situazione dei processi è al limite delle garanzie costituzionali, si registrano 5 milioni di cause civili pendenti e 3,5 milioni di cause penali. Il ritardo nella conclusione dei processi rappresenta il vero cancro di tutta la giustizia italiana oltre che una negazione dei diritti e della certezza della pena, che non può essere risolto in maniera discriminatoria solo per alcune categorie, o solo per gli immigrati;
    dedicare maggiori risorse o personale riservato all'esame dei ricorsi contro il diniego dell'asilo potrebbe diventare addirittura un incentivo a presentare ricorsi pretestuosi ed attrarre maggiori richiedenti, certi di potere comunque esperire molte vie prima di addivenire all'espulsione, Già oggi, nei bandi emessi dalle prefetture per l'ospitalità agli immigrati, sono spesso inserite clausole che pretendono uno specifico impegno, delle strutture di accoglienza ad assicurare l'assistenza a presentare i ricorsi contro i provvedimenti di diniego da parte delle stesse autorità nazionali competenti,

impegna il Governo:

   a predisporre iniziative normative volte a prevedere, in capo ai giudici di pace, un preventivo vaglio di ammissibilità e di fondatezza delle domande di protezione internazionale al momento stesso di presentazione della domanda, attribuendo ai medesimi giudici la possibilità, se evidenziata la manifesta infondatezza, di emettere un provvedimento di espulsione immediatamente esecutivo impugnabile solo dalla corte di cassazione;
   a prevedere un plafond, una limitazione ai costi legali a carica dello Stato per i ricorsi contro il respingimento delle domande di protezione internazionale;
   ad accelerare i tempi di smaltimento dei ricorsi pendenti, prevedendo il respingimento immediato o la non procedibilità per tutti quelli depositati da ricorrenti provenienti dai Paesi ritenuti «sicuri» dall'Unione europea sotto il profilo della riammissibilità.
(1-01049) «Molteni, Cirielli, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzione in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    la Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo o del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, entrata in vigore il 28 dicembre 2006, viene anche denominata «Direttiva servizi» o «Direttiva Bolkenstein», dal nome del Commissario europeo per il mercato interno, Fritz Bolkenstein, che ha curato o sostenuto questa direttiva;
    si pone l'obiettivo di facilitare la circolazione e la fruibilità dei servizi nell'Unione europea tramite alcune azioni strategiche come la libertà di stabilimento dei servizi nell'Unione europea, la libertà di prestazione, la promozione della qualità, nonché la cooperazione amministrativa effettiva tra gli Stati. Nasce anche dalla convinzione che «una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la crescita economica e creare posti di lavoro nell'Unione europea» e dalla consapevolezza che «i servizi costituiscono il motore della crescita economica e rappresentano il 70 per cento del Pil e dei posti di lavoro nella maggior parte degli Stati membri»;
    la Direttiva, Servizi si presenta come una «direttiva quadro». Essa non mira a dettare norme specifiche per la regolamentazione della materia dei servizi, ma tratta le questioni con un approccio orizzontale, con l'obiettivo di perseguire l'armonizzazione della materia nel tempo;
    gli Stati membri hanno dovuto esaminare e semplificare le procedure e le formalità applicabili per accedere ad un'attività di servizi ed esercitarla;
    con il decreto legislativo n. 59 del 2010, lo Stato italiano ha dato attuazione alla direttiva comunitaria per la liberalizzazione dei servizi nel mercato interno;
    con gli articoli 16 e 70 del decreto legislativo citato si sono apportate modificazioni alla normativa vigente in materia di commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, stabilendo, prima di tutto, nuovi criteri per la selezione dei candidati al rilascio di concessioni di posteggio su aree pubbliche, nel caso in cui queste siano in numero limitato. Al comma 4 dell'articolo 16 è stato definito il divieto di rinnovo automatico delle concessioni stesse, e all'articolo 70, si prevede che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita sulle aree pubbliche possa essere rilasciata, oltre che a persone fisiche e a società di persone, anche a società, di capitali regolarmente costituite o cooperative;
    tali modifiche normative hanno messo in seria difficoltà un settore già particolarmente colpito dalla crisi;
    il comma 5 dell'articolo 70, dispone che «Con intesa in sede di Conferenza unificate, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, anche in deroga al disposto di cui all'articolo 16 del presente decreto, sono individuati, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell'impresa, i criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto ed a quelle prorogate durante il periodo intercorrente fino all'applicazione di tali disposizioni transitorie»;
    in data 5 luglio 2012 è stata adottata l'intesa in sede di Conferenza unificata sui criteri da applicare nelle procedure di selezione per l'assegnazione di posteggi su aree pubbliche, in attuazione dell'articolo 70, comma 5, prevedendo che la durata della concessione non può essere inferiore a nove anni, né superiore ai dodici. Sono inoltre individuati i criteri di priorità da applicare nel caso di pluralità di domande concorrenti;
    successivamente, il 24 gennaio 2013 è stato approvato un documento unitario delle regioni e province autonome, per l'attuazione dell'intesa della conferenza unificata al fine di rendere omogenei i criteri e le modalità dell'Intesa del 5 luglio 2012. In tale documento le regioni propongono di fissare la durata delle concessioni comunali dei posteggi per l'esercizio del commercio sulle aree pubbliche e nei mercati turistici, nel limite massimo consentito dall'Intesa pari a 12 anni. Inoltre, viene definita la fase transitoria prevedendo che le concessioni scadute e rinnovate dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010, siano prorogate di diritto per sette anni quindi fino al 7 maggio 2017. Per le concessioni in scadenza dopo l'entrata in vigore dell'intesa della Conferenza unificata e nei cinque anni successivi, si prevede la proroga di diritto fino al 4 luglio 2017, mentre per le concessioni scadute prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010, e che sono state rinnovate automaticamente, mantengono efficacia fino alla naturale scadenza prevista al momento di rilascio o di rinnovo;
    superata la fase transitoria, dopo il mese di maggio 2017, i comuni dovranno dare il via alle selezioni in attuazione della nuova normativa, dando la massima evidenza alle disposizioni attuative dell'intesa e, almeno novanta giorni prima dell'effettuazione delle selezioni, darne comunicazione anche mediante avvisi pubblici, informandone le strutture comunali o provinciali delle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore per pianificare la messa a bando delle stesse,

impegna il Governo:

   ad assumere le necessarie iniziative in sede di Unione europea affinché possa essere rivista la normativa riguardante i posteggi su aree pubbliche;
   ad attivare un confronto tra le associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche per approfondire le criticità contenute nella nuova normativa di recepimento della direttiva 2006/123/CE.
(7-00832) «Abrignani, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Mottola, Parisi, Francesco Saverio Romano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TULLO, BASSO, CAROCCI, GIACOBBE, ERMINI e VAZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento all'azione del Governo, nell'ambito delle politiche industriali, volta in particolare a dare un assetto proprietario stabile all'azienda Ilva e a garantire il processo di ambientalizzazione del sito di Taranto;
   è drammatica la situazione che coinvolge l'ILVA di Taranto con il rischio concreto di ripercussioni sugli stabilimenti di Genova e Novi;
   va tenuto conto del ruolo che la filiera dell'acciaio, il suo mantenimento e il suo sviluppo rivestono per l'economia italiana;
   il recente accordo raggiunto in sede ministeriale reintroduce dal 1o ottobre i contratti di solidarietà fino al 70 per cento del reddito fino al 31 dicembre 2015 con l'impegno di proseguire per i successivi due anni, senza sufficienti garanzie circa la necessità di mantenere la copertura al 70 per cento;
   è stato convocato il collegio di sorveglianza per verificare l'attuazione dell'accordo di programma del 1999 e successive modificazioni;
   è necessario garantire la piena attuazione delle condizioni sociali e industriali previste dall'accordo di programma e contemporaneamente verificare la sua attualità rispetto alla situazione come si è evoluta in questi mesi –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere a favore di tutti gli stabilimenti del gruppo ILVA, considerando adeguatamente il peso e l'incidenza gli stabilimenti di Genova e Novi sugli assetti del gruppo, in particolare per garantire la piena operatività dello stabilimento di Genova, sollecitando il commissario a definire un piano industriale esplicitamente destinato allo sviluppo del complesso Genova — Novi, e nello specifico per Genova mettendo al centro il contributo che la produzione di banda stagnata può portare allo sviluppo generale del gruppo ILVA e alla produzione di acciaio in Italia;
   quali iniziative intenda assumere per garantire la piena operatività degli impianti di zincatura recentemente sottoposti a ristrutturazione e tuttora non attivi;
   se vi sia la disponibilità a riconvocare il tavolo di confronto tra i firmatari secondo le procedure previste dall'accordo di programma per valutare la possibilità di un riutilizzo della aree non strategiche e inutilizzate dell'Ilva a fini industriali;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere per garantire congrue risorse volte a finanziare ulteriori 2 anni di contratti di solidarietà con copertura al 70 per cento del reddito. (5-06790)


   BARBANTI e BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è fatto notorio che il settore sanitario della regione Calabria è commissariato dal 2010 e tra gli obiettivi che il Governo ha assegnato al commissario Massimo Scura e al sub commissario Andrea Urbani c’è la «Definizione dei contratti con gli erogatori privati accreditati e dei tetti di spesa delle relative prestazioni»;
   il 6 luglio 2015, è stato emanato il decreto commissariale n. 80 del 2015 con il quale, pur mantenendo invariato il saldo del capitolo di bilancio pari a 189 milioni di euro, riassegna la parte del fondo precedentemente erogato alla fondazione Campanella;
   l'importo in questione è pari a circa 10 milioni di euro, fondi che dovrebbero essere utilizzati, come disposto da decreto, per garantire il miglior funzionamento di tutti gli enti che erogano prestazioni per il servizio sanitario nazionale e che la struttura commissariale dovrebbe utilizzare dando priorità dell'utilizzo che garantisca la possibilità di fornire maggiori e migliori prestazioni ai Drg (raggruppamenti omogenei di diagnosi) caratterizzati da forte mobilità passiva dei pazienti, con i conseguenti disagi e aumento dei costi di cura per gli stessi;
   dalla comparazione del budget assegna o alle singole strutture accreditate con il decreto n. 80 del 2015 rispetto al budget 2014 e con la prestazioni e attività effettivamente fornite nel 2014, emerge che il criterio adottato appare diametralmente opposto a quello stabilito nel decreto citato infatti sono state premiate con finanziamenti alcune strutture che non erogano prestazioni a forte impatto sulla mobilità passiva; 
   vi è poi da rilevare il fatto che nel decreto sopra citato la struttura commissariale non ha reso noto i criteri utilizzati per l'erogazione dei fondi quindi, ad avviso degli interroganti, c’è il fondato sospetto che i criteri utilizzati non siano coincidenti coi criteri di trasparenza ma al contrario a quelli di opacità e soprattutto siano stati improntati a quello della discrezionalità;
   si segnala altresì che il budget per le strutture dell'Asp di Cosenza è stato incrementato di 6 milioni di euro, e fonti di stampa hanno reso noto che il 3 luglio sono state convocate tutte le strutture sanitarie della provincia di Cosenza per un incontro tenutosi il 6 luglio alle ore 11 presso la sede dell'Asp stessa al fine di stabilire l'ottimale allocazione delle risorse rispetto alle finalità previste nel decreto. Durante l'incontro non sono stati in alcun modo illustrati i criteri che sarebbero stati adottati per l'utilizzo dei fondi pubblici. Nonostante ciò, il giorno stesso la struttura commissariale ha proceduto a firmare il decreto nel quale sono indicate le strutture sanitarie beneficiarie di fondi pubblici e pubblicarlo, circostanza che fa supporre che i budget erano stati già definiti ben prima dell'incontro con le strutture sanitarie competenti. A nostro avviso risulta evidente che la riunione sia stata meramente formale poiché era stato di già deciso modalità e beneficiari dei fondi del budget 2015 da assegnare;
   si rileva da fonti di stampa che il 33 per cento della quota già assegnata alla fondazione Campanella oggi in liquidazione, pari a un valore di 10 milioni di euro, sia stata distolta dalla disponibilità della stessa fondazione per essere assegnata, senza alcun confronto preventivo con gli organi politici della regione e senza dare alcuna motivazione a sostegno della decisione presa unilateralmente dal commissario ad acta, a due strutture sanitarie private di Cosenza in evidenti e note difficoltà economiche, le case di cura, «Sacro Cuore» e «Madonna della Catena» che fanno tutte capo al gruppo «iGreco» di Cariati;
   in seguito ai fatti descritti, il presidente della regione Mario Oliverio ha chiesto al commissario per il piano di rientro di sospendere gli effetti scaturenti dal decreto e dare avvio ad una nuova istruttoria per l'emanazione di un decreto sostitutivo. Il commissario ha ritenuto inopportuno quanto richiesto da Oliverio dichiarando di voler proseguire nella sua azione;
   si segnala che, in un caso analogo, il Consiglio di Stato con sentenza n. 870 del 2014 ha censurato l'azienda sanitaria di Bari la quale, assegnando il budget seguendo un criterio meramente storico ha attribuito una ulteriore quota ad una sola struttura accreditata. I giudici hanno chiarito che è necessario, nel caso di assegnazione di fondi pubblici, seguire il principio di trasparenza rendendo noti i criteri adottati per l'assegnazione delle risorse, in modo che venga evitata l'alterazione del principio di concorrenza tra imprese e venga reso possibile il fatto che le prestazioni in precedenza erogate dall'azienda avvantaggiata possono essere fornite da altre strutture del territorio, siano esse pubbliche o private convenzionate col servizio sanitario nazionale –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative gravi e soprattutto urgenti intendono porre in essere al fine di scongiurare il ripetersi di simili fatti e per evitare l'instaurarsi di un contenzioso tra la regione Calabria e le case di cura potenzialmente in grado di beneficiare dei fondi stessi in cambio dell'erogazione del servizio e far sì che in Calabria si adottino provvedimenti da parte del commissario di governo improntati al rispetto del principio di trasparenza. (5-06806)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO, LUIGI DI MAIO, FICO, SIBILIA, COLONNESE, PISANO e LUIGI GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 13 ottobre 2015 veniva data notizia a mezzo stampa dell'arrivo di un ciclone sulla penisola ovvero «un'ondata di maltempo, la quale potrebbe causare notevoli disagi e danni in molte regioni» (http://www.sannioportale.it);
   il 14 ottobre 2015 il bollettino di vigilanza meteorologica nazionale della protezione civile avvertiva di «Precipitazioni diffuse, anche a carattere di rovescio o temporale, sul Lazio meridionale e Campania settentrionale, con quantitativi cumulati da moderati ad elevati» (http://www.protezionecivile.gov.it);
   nella notte del 15 ottobre 2015 violenti nubifragi si sono abbattuti sulla città di Benevento, dove si sono riversati in poco tempo oltre 200 mm di pioggia, provocando principal modo l'esondazione del fiume Calore e di altri piccoli canali che hanno sommerso in breve tempo la città di acqua e fango. Una donna di 70 anni è morte nella zona di Pago Veiano, perché travolta dalla furia della corrente fangosa (http://www.inmeteo.net);
   pioggia copiosa e persistente ha provocato frane, smottamenti e allagamenti causando danni ad abitazioni, strutture ed imprese;
   i fiumi Sabato, Tammaro e Calore sono esondati dagli argini;
   sono impressionanti le immagini giunte da Benevento rilanciate soprattutto sul web;
   due persone hanno perso la vita;
   centinaia di persone sono state sfollate dalle proprie case (http://napoli.fanpage.it);
   secondo Coldiretti i danni subiti alle imprese agricole ammonterebbero a circa 120 milioni di euro (http://www.benevento.coldiretti.it);
   per il presidente di Confindustria Mataluni ammonterebbero a 500 milioni di euro i danni registrati con 70 aziende ferme (http://www.tgcom24.mediaset.it) –:
   di quali notizie disponga il Governo circa gli allarmi (pare siano stati di codice «arancione») precedenti all'alluvione, che ha colpito la città di Benevento, in particolare come siano stati organizzati e gestiti gli aiuti locali ed i soccorsi, se questi siano stati tempestivi e sufficienti alla richiesta di aiuto della popolazione nel pieno dell'emergenza; quali siano le iniziative che si intendono mettere con urgenza in campo per restituire in sicurezza il territorio ai cittadini e far ripartire il tessuto produttivo della città; quali interventi tecnici straordinari, per quanto di competenza, si intendano porre in essere ed infine a quanto ammontino i fondi pervenuti in questi anni in questa città per prevenire situazioni di dissesto idrogeologico e come siano stati spesi stando almeno alle notizie di cui si dispone;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali per la situazione nel Sannio per la propria parte di competenza;
   se il Governo non ritenga opportuno riconoscere, nell'ambito delle competenza proprie, lo stato di emergenza in favore dei territori colpiti. (4-10889)


   COZZOLINO, SPESSOTTO, DA VILLA, NUTI e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 22 ottobre 2015 è scattato il blitz che ha visto circa 300 finanzieri del nucleo tributario della Guardia di finanza eseguire numerose ordinanze di custodia cautelare ed oltre 90 perquisizioni. L'inchiesta ha toccato anche il nord Italia, come il Friuli Venezia Giulia (Udine e Gorizia), e il Veneto (Padova e Venezia) coinvolgendo grosse imprese come la Vittadello Intercantieri di Limena (Padova), già coinvolta marginalmente nel 2014 nell'indagine Mafia Capitale e Vidoni spa di Tavagnacco (Udine);
   l'imprenditore friulano Giuliano Vidoni, titolare dell'omonima azienda, si trova agli arresti domiciliari con l'accusa di corruzione, mentre risultano indagati due dirigenti della Vittadello spa di Limena per reati contro la pubblica amministrazione e corruzione di persone incaricate di pubblico servizio;
   entrambe le aziende hanno in essere numerosi lavori commissariati dall'Azienda nazionale autonoma delle Strade;
   nel 2014 l'impresa padovana si è aggiudicata la progettazione esecutiva ed esecuzione dell'opera per la realizzazione della strada statale 268 del Vesuvio e lavori di costruzione del IIIo tronco compreso lo svincolo di Angri (Salerno) per un valore di oltre 40 milioni di euro; nel 2011 la  società si è aggiudicata anche l'appalto dell'Anas per la realizzazione di un tratto della Grosseto – Fano, un cantiere da 158 milioni di euro;
   Vittadello spa ha partecipazioni del 49,90 per cento nella Molo Garibaldi scarl, una società costituita nell'aprile 2014 per l'esecuzione dei lavori di bonifica e scavo dei fondali esterni al molo Garibaldi per conto dell'autorità portuale di La Spezia. Inoltre, vanta il 40 per cento della Ferie scarl, sorta nell'ottobre del 2014 per la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori del Centro Congressi in Fiera a Padova l'ex palazzo delle Nazioni;
   le collegate sono molte altre, sempre per la realizzazione di opere: Trionto scarl, Cilarese scarl, Park Fenice srl, Nuova Farma scarl, Arsenale Nuovo scarl, Trinacria scarl, Laurenzana e Gip. Sei le società controllate della galassia Vittadello: Park Repubblica spa, Progevi srl, e le scarl Valdisotto, Condotta 34, Moline e Bellolampo;
   l'azienda di Limena farebbe inoltre parte con una quota della compagine azionaria del Consorzio Venezia Nuova, il pool di imprese che sta costruendo il Mose;
   Vidoni spa ha realizzato numerose opere pubbliche, in Italia e all'estero, aggiudicandosi diversi appalti anche con l'Anas in tutta Italia; ad oggi, la società seguendo dei cantieri stradali Anas in Sardegna e Calabria –:
   viste le pesanti ipotesi di reato, se non vi siano i presupposti per avviare iniziative volte all'immediata sospensione degli appalti dell'Anas in carico alle aziende sottoposte a indagini. (4-10902)


   BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 settembre 2013 (nota prot n. 74491 Rif S.I. 2446/V) il Ragioniere generale dello Stato ha disposto l'esecuzione di una verifica amministrativo contabile presso la regione;
   la verifica ha avuto oggetto la gestione e le spese di personale, ai sensi dell'articolo 60, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165;
   la verifica si è conclusa con una relazione del 14 aprile 2014 contenente una serie di rilievi riguardanti, tra l'altro, il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato a dipendenti regionali di categoria D;
   su suddetto punto, la relazione rileva in particolare, l'inosservanza delle disposizioni dell'ordinamento statale (articolo 19, comma 6, decreto legislativo n. 165 del 2001) in materia di conferimento di incarichi a tempo determinato e dei principi costituzionali sul reclutamento nelle pubbliche amministrazioni (articolo 97 Cost.) che le regioni devono osservare in quanto principi fondamentali dell'Ordinamento;
   avverso la relazione la Regione Marche ha sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri per l'annullamento, tra l'altro, della nota in data 14 aprile 2014, n. 36675, con cui la relazione contenente i risultati della verifica amministrativo contabile eseguita è stata trasmessa alla Regione;
   detto conflitto di attribuzioni è stato risolto in modo favorevole alle amministrazioni centrali dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 87 del 15 maggio 2015, con la quale è stato dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzioni stesso;
   avverso la relazione, la regione Marche ha promosso ricorso al Tar Marche (registro generale n. 453/2014) per il quale si è in attesa della fissazione della udienza di merito;
   la Corte dei Conti, in sede di esame della relazione annuale del Presidente della Regione Marche sulla regolarità della gestione nonché sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni ex articolo 1, comma 6, decreto-legge n. 174 del 2012, esercizio 2013, ha raccomandato: «in tema di incarichi di funzioni dirigenziali, il rispetto dei presupposti e dei limiti previsti dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, così come osservato in sede di parifica del rendiconto 2013. Il protrarsi di incarichi a tempo determinato, peraltro in via generale soggetti a specifici limiti di durata e il mancato completamento di corrette procedure concorsuali rappresenta un elemento di debolezza ed incertezza dell'organizzazione regionale, a fronte dell'esigenza di specifiche garanzie ordinamentali di indipendenza delle figure di vertice»;
   non è noto all'interrogante se i dirigenti incaricati a tempo determinato risultino essere ancora regolarmente in servizio;
   all'interrogante non appare conforme ai principi generali dell'ordinamento in materia di reclutamento del personale che il periodo di servizio nelle funzioni da dirigente a tempo determinato – sulla base di incarichi conferiti senza il rispetto della normativa statale di riferimento – possa essere comunque considerato come titolo di servizio valutabile, con l'attribuzione di punteggi nelle procedure concorsuali bandite dalla regione;
   la situazione di sostanziale instabilità in cui versa detta dirigenza regionale ad avviso dell'interrogante rischia di ripercuotersi in modo negativo sotto il profilo della legittimità amministrativa;
   detti comportamenti potrebbero creare una situazione di effettiva sfiducia e discredito nei confronti della pubblica amministrazione –:
   se i dirigenti incaricati a tempo determinato di cui in premessa siano ancora in servizio e, in tal caso, quali iniziative intendano assumere al riguardo;
   se non reputino che l'attuale assetto normativo riguardante dette verifiche sia privo della sua effettività, tenuto conto che – a fronte dell'obiettivo dispiego di risorse pubbliche necessarie allo svolgimento di detti controlli – non pare vi siano strumenti adeguati per evitare le eventuali carenze ed omissioni rilevate;
   se siano a conoscenza degli esiti della vicenda a seguito della verifica amministrativo-contabile alla regione Marche, posto che, alla luce delle considerazioni in premessa, i citati dirigenti a tempo determinano verserebbero nella medesima situazione sotto il profilo della legittimità dell'incarico in cui si sono trovati i dipendenti dell'Agenzia delle entrate a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015. (4-10903)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, LUPO, BENEDETTI, PARENTELA, SCAGLIUSI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le Isole Far Oer, arcipelago danese nell'Oceano atlantico e territorio indipendente del Regno di Danimarca, sono una terra pregna di uno storico splendore e ricca di rigide tradizioni culturali. Tra queste tradizioni, purtroppo, si deve annoverare anche la «Grindadràp». Questa assurda pratica consiste in una caccia ai globicefali, senza scopi commerciali, ed aperta a chiunque voglia parteciparvi. Gli animali vengono spinti dagli abitanti dell'isola nelle insenature della costa, anche trascinate fino a riva servendosi di un uncino e dilaniati sotto gli occhi di tanti spettatori, bambini inclusi;
   ogni anno, si riaccende la polemica tra associazioni e politici animalisti e la maggior parte dei faroesi che considera questa caccia irrinunciabile, in quanto tradizione secolare;
   le due principali compagnie di navigazione tedesche, AIDA e Hapag-Lloyd, hanno annullato ad agosto le crociere nelle Isole Far Oer, dando un colpo devastante al turismo locale;
   anche in Italia ci si mobilita per fermare questa mattanza di specie di cetacei rigorosamente protetti dalla convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali in Europa;
   in data 29 luglio 2015, la prima firmataria del presente atto ha inviato una raccomandata all'ambasciatore italiano in Danimarca, Stefano Queirolo Palmas, facendo seguito alla petizione lanciata su www.change.org per dire no alla strage di cetacei e chiedere un intervento presso il Governo autonomo delle Isole Far Oer al fine di rappresentare le posizioni italiane in materia di difesa dei cetacei a tutela della biodiversità marina;
   le Isole Far Oer, peraltro, attraverso la Danimarca ricevono sussidi dall'Europa nonostante le leggi e le convenzioni europee vietino pratiche di questo tipo;
   durante i mesi di luglio e agosto 2015, numerosi cittadini comunitari, tra cui le cittadine italiane Marianna Baldo e Alice Rusconi Bodin, sono stati arrestati per aver partecipato alle campagne di protesta della «Sea Shepherd conservation society», organizzazione no-profit che si batte per il rispetto della Carta internazionale per la natura redatta dall'ONU nel 1982;
   la Danimarca, Stato membro dell'Unione europea, non soltanto ha violato la Convenzione di Berna (capitolo III, articolo 6, lettera a)) circa il divieto di cattura e uccisione deliberate, e la direttiva Habitat n. 92/43/CEE, il pilastro centrale della protezione delle specie animali selvatiche su suolo e in acque europee, ma ha anche impiegato il proprio Corpo di Polizia e la nave della Marina Militare Triton per arrestare gli ambientalisti che manifestavano pacificamente contro la mattanza di globicefali;
   secondo quanto emerso da uno scambio di informazioni con il legale che segue l'associazione Sea Shepherd conservation society, ci sarebbero aspetti controversi nello svolgimento del processo che ha portato alla sentenza di espulsione e condanna delle due attiviste –:
   se il Governo non ritenga opportuno attivarsi presso il Consiglio dei ministri europeo e la Commissione europea, affinché venga rispettata la direttiva «Habitat» e la convenzione di Berna circa la conservazione delle specie animali selvatiche su suolo e in acque europee;
   se il Governo possa chiarire le circostanze processuali di cui in premessa, nelle quali si sono venute a trovare le due cittadine italiane, Marianna Baldo e Alice Rusconi Bodin, attiviste di «Sea Shepherd conservation society». (5-06805)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Mariglianella, provincia di Napoli, nel 1995 un incendio distrusse il deposito di fitofarmaci denominato Agrimonda provocando un disastro ambientale nel mezzo di un territorio densamente popolato;
   la vicenda ha determinato un crescente allarme sociale chiamando in causa tutte le istituzioni che a vario titolo hanno responsabilità di intervento;
   nel 2006, la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle ecomafie, favorì l'inserimento dell'ex deposito nel sito di interesse nazionale «Litorale Domizio Flegreo ed Agro Aversano» favorendo così nel 2012, lo stanziamento di un milione di euro da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   nel mese di febbraio del 2015 la regione Campania, dopo aver incrementato il fondo con ulteriori 600 mila euro, pubblicò il bando per l'affidamento dei lavori di bonifica;
   la data di scadenza dell'avviso pubblico fu fissata al 4 maggio 2015;
   l'affidamento dei lavori era stato previsto entro i 40 giorni successivi al 4 maggio;
   il crono programma degli interventi aveva previsto una durata di 4 mesi, comprese una serie di indagini e trattamenti preliminari alla rimozione dei rifiuti ed uno studio ambientale successivo alle operazioni –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, alla luce delle risorse investite dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per verificare il motivo di un inspiegabile ritardo anche alla luce delle risposte da dare alla popolazione che attende da 20 anni la risoluzione del problema. (5-06792)


   CIPRINI, GALLINELLA, DAGA, CHIMIENTI, LOMBARDI, COMINARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Rocchetta spa copi socio unico, con sede legale in Roma via Saverio Mercadante n. 22, è titolare di una concessione di acqua minerale denominata «Rocchetta» su una superficie di ettari 208 in comune di Gualdo Tadino (Perugia);
   il 12 dicembre del 2014 la società ha presentato alla regione Umbria una istanza di proroga della concessione mineraria per acqua minerale denominata «Rocchetta» in comune di Gualdo Tadino (Perugia) con scadenza al 2022 e per altri 25 anni;
   in data 31 marzo 2015 la medesima società, in un contesto di potenziamento, modernizzazione, crescita aziendale e affermazione del marchio sul mercato nazionale ed internazionale, presentava una integrazione all'istanza di proroga del dicembre 2014, indicando un incremento dei prelievi pari a 30 l/s (trenta litri/secondo) medi annui dalle captazioni «Rocchetta» a pieno regime, a fronte dell'attuale prelievo pari a 15 1/s (quindici litri/secondo), e l'attivazione del prelievo di acqua da un nuovo pozzo («captazione R6 – Serrasanta»), sito all'interno della concessione, stimando una capacità di prelievo dalla nuova captazione R6 pari a 101/s (dieci litri/secondo) medi annui a pieno regime;
   il prelievo totale passerebbe, dunque, dagli attuali 14-15 litri/secondo a 40 litri/secondo;
   l'area oggetto di concessione è soggetta ai vincoli previsti per i siti della Rete Natura 2000 — SIC-1T5210014 «Monti Maggio-Nero» – direttiva «Habitat» 92/43/CEE, all'interno dei quali gli interventi che non sia finalizzati al recupero o ripristino dell'habitat stesso sono soggetti a valutazione di incidenza ambientale (che nella fattispecie agli interroganti non risulta eseguita);
   i pozzi Rocchetta spa insistono sullo stesso bacino idrico che alimenta l'acquedotto pubblico e nel perimetro della concessione rilasciata alla Rocchetta spa sono comprese le sorgenti di S. Marzio al servizio dell'acquedotto comunale;
   nella conferenza di servizi del 30 luglio 2015 inerente all'istruttoria sull'istanza di proroga della predetta concessione di acqua minerale, il sindaco del comune di Gualdo Tadino sottolineava «la necessità di garantire in via prioritari le necessità di approvvigionamento idrico per la comunità di Gualdo Tadino»;
   effettivamente nel luglio 2015 l'Arpa dell'Umbria lanciava l'allarme per le sorgenti lungo la fascia appenninica: «La data dell'ultimo rilevamento è recentissima: il 25 giugno scorso. L'analisi dei tecnici dell'Agenzia regionale di protezione ambientale è netta e per certi versi spietata. La maggior parte delle sorgenti monitorate dall'Agenzia è entrata in fase di recessione a partire dal mese di aprile e le portate diminuiscono con una progressione legata alle caratteristiche idrogeologiche del bacino di ricarica: i sistemi carbonatici della fascia appenninica, contraddistinti da una risposta relativamente rapida alle precipitazioni atmosferiche, presentano decrementi più accentuati» (Corriere dell'Umbria del 15 luglio 2015); 
   ai sensi dell'articolo 97 del decreto legislativo n. 152 del 2006, le concessioni di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente vengono rilasciate tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del piano di tutela delle acque;
   in riferimento al nuovo prelievo di acque dal pozzo «R6», a parere degli interroganti non vengono fornite le prescritte garanzie, in particolare: garanzia deflusso minimo vitale, capacità di ravvenamento della falda (tempi di ricarica) ed equilibrio del bilancio idrico del bacino di riferimento;
   dai verbali delle conferenze di servizi (9 giugno 2015 e 30 luglio 2015) e del tavolo tecnico (18 giugno 2015), non risulterebbero agli interroganti  studi idrogeologici aggiornati, che consentano di stabilire l'incidenza di un ulteriore, notevole prelievo, sul bilancio idrico degli acquiferi;
   è necessario, pertanto, che il Governo intervenga, per quanto di competenza, per fare chiarezza sui rischi e le modalità del nuovo attingimento delle acque per effetto della utilizzazione del nuovo pozzo «R6»;
   è necessario garantire che la risorsa idrica venga tutelata e utilizzata secondo criteri di solidarietà salvaguardando i diritti e gli interessi legittimi degli abitanti delle zone interessate e le aspettative delle generazioni future a un ambiente integro –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta;
   quali iniziative intenda assumere affinché non si arrechi pregiudizio alla salvaguardia del patrimonio idrico e degli equilibri idrologici dell'area interessata da numerosi vincoli ambientali, salvaguardando i diritti e le aspettative degli abitanti e delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale;
   se l'incremento considerevole dei prelievi risulti conforme agli obiettivi qualità ambientale e alle misure di tutela qualitative e quantitative individuate nel piano di tutela sottoposto a verifica ministeriale. (5-06795)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un vero e proprio disastro ambientale, in sei giorni, ha messo in ginocchio l'intera provincia di Benevento in Campania;
   in particolare, nella notte tra il 14 e 15 ottobre 2015 l'esondazione del fiume Calore in diverse località della provincia ha procurato 3 morti e danni nell'ordine delle centinaia di milioni di euro;
   non solo vi sono paesi isolati, strade distrutte, ponti crollati, ma intere aziende a rischio di chiusura; l'agricoltura è in ginocchio e c’è il rischio che molti danni siano perenni;
   i centri più colpiti, oltre le zone di Benevento più vicine agli argini del fiume Calore (ad esempio, l'area cosiddetta Pantano e l'area ASI di Benevento) sarebbero i comuni di Solopaca, Telese e Amorosi, dove il corso d'acqua confluisce nel fiume Volturno, i comuni di Torrecuso, Ponte, Paupisi ma anche l'alto Sannio, con Castelpagano, Baselice, Cerreto Sannita, Colle Sannita e Fragneto Monforte;
   secondo l'allarme lanciato dalla Coldiretti in Campania, al danno già arrecato dalla furia dell'acqua, si aggiunge il rischio di far saltare le semine su migliaia di ettari pregiudicando anche le produzioni del prossimo anno, soprattutto in provincia di Benevento;
   il presidente di Confindustria Benevento, Biagio Mataluni, in un intervento su Radio 24 ha rivelato che sono settanta le aziende sannite attualmente ferme, 500 i milioni di euro di danni calcolati per il solo comparto industriale e 500 le richieste di cassa integrazione per altrettanti lavoratori;
   al di là dei fondi che saranno stanziati dal Governo per la messa in sicurezza con il doveroso riconoscimento dello stato di emergenza, forti dubbi rimangono sulle responsabilità dirette di quanti avrebbero dovuto porre in essere tutte quelle misure urbanistiche e idrauliche necessarie ad arginare o quantomeno mitigare la furia dell'acqua;
   il Sannio, infatti, sarebbe stato messo in ginocchio da una pioggia sì torrenziale ma che, secondo molti, rientra nella normalità del ciclo stagionale e, pertanto, bisognerebbe interrogarsi su quanto sia stato fatto per evitare l'esondazione del Calore e dei suoi piccoli affluenti: dalla costruzione di ponti secondo criteri adeguati ad un'adeguata e costante pulizia d'alveo e subalveo, con rimozione della vegetazione infestante fino alla diffusa pratica di discariche illegali a cielo aperto, come il monte che sovrasta il comune di Paupisi, diventato un vero e proprio sversatoio clandestino;
   a conferma di ciò, la procura della Repubblica ha aperto un fascicolo per cercare tra tecnici e amministratori locali responsabilità, inadempienze, condotte colpose e l'ipotesi sarebbe quella di reato di inondazione colposa;
   tra la documentazione acquisita dalla procura sannita circa la gestione dell'emergenza maltempo ci sarebbe anche quella relativa alla diga di Campolattaro (Benevento) che, secondo le prime indiscrezioni, non sarebbe stata fatta funzionare in maniera regolare;
   tutta la situazione sembra riassumersi perfettamente nelle parole di don Raffaele Pettenuzzo, il parroco di Paupisi, uno dei comuni maggiormente colpiti dall'alluvione, quando dice: «Oggi si pensa alla spending review, al risparmio. Non alla vita delle persone» –:
   quali urgenti iniziative ritengano opportuno adottare per accertare, per quanto di competenza, le responsabilità degli organi dello Stato che avrebbero potuto e dovuto prevedere e contenere il disastro ambientale che ha messo in ginocchio l'intera provincia di Benevento;
   quali urgenti iniziative ritengano opportuno adottare per sostenere economicamente il beneventano e garantire il ripristino delle infrastrutture danneggiate, nonché per mettere in atto quegli interventi idrogeologici e urbanistici che non sono stati operati nel passato. (4-10905)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, VACCA, DI BENEDETTO, BRESCIA e DALL'OSSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1 del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, in materia di «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito con modificazioni dalla legge del 29 luglio 2014, n. 106, è stato introdotto un credito d'imposta per le erogazioni liberali in denaro a sostegno della cultura e dello spettacolo, il cosiddetto «art bonus»;
   l’«art bonus» nasce, quindi, come supporto per «interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione e per la realizzazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo»;
   in attuazione del comma 5 del succitato articolo, i soggetti beneficiari delle erogazioni liberali sono tenuti a comunicare mensilmente al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo l'importo totale delle erogazioni liberali ricevute nel mese di riferimento, nonché a fornire pubblica comunicazione di tale importo e della destinazione d'uso dello stesso, mediante il proprio sito web e in un apposito portale, artbonus.gov.it, gestito dal medesimo Ministero, in cui, in riferimento a ciascun soggetto destinatario di erogazioni liberali vengono pubblicate tutte le informazioni relative allo «stato di conservazione del bene, gli interventi di ristrutturazione o riqualificazione eventualmente in atto, i fondi pubblici assegnati per l'anno in corso, l'ente responsabile del bene, nonché le informazioni relative alla fruizione»;
   allo scopo di agevolare le erogazioni liberali da parte di tutti i cittadini interessati ad intervenire per valorizzare i beni culturali del nostro Paese, in data 22 ottobre 2015 sono stati accolti due ordini del giorno, uno firmato dall'interrogante e l'altro a firma Simone Valente, rispettivamente per prevedere la possibilità per associazioni culturali presenti sul territorio di chiedere l'accreditamento di ulteriori siti culturali statali a cui destinare le erogazioni liberali e per prevedere la possibilità di effettuare i versamenti per i siti culturali accreditati direttamente online sul portale succitato;
   ciò nonostante, dall'analisi del portale artbonus.gov.it, seppure risulti presente una lista di interventi, per ciascuno dei quali vengono fornite informazioni sullo stato della conservazione e sugli interventi da effettuare con relativi costi e erogazioni ricevute, non risulta ancora possibile effettuare i versamenti direttamente online, per i quali, invece, sono reperibili solo le coordinate bancarie per l'accreditamento mediante bonifico;
   tale stato dei fatti indiscutibilmente non agevola tutti i cittadini interessati ad aiutare a migliorare tutti i siti simboli storici e culturali del nostro Paese, rischiando in questo modo di perdere talune forme di liberalità il cui ammontare potrebbe permettere di ridare splendore a molti beni culturali pubblici;
   oltracciò, appare utile ricordare anche che, a garanzia dell'effettiva fruizione del patrimonio culturale di cui disponiamo, sarebbero utili ed auspicabili, come già espresso da ordine del giorno firmato dalla deputata Marzana, la valorizzazione e il tempestivo riconoscimento di figure professionali afferenti al settore in questione;
   nello specifico, è stata fatta esplicita richiesta di riconoscimento della figura professionale dell'economista della cultura o anche detto manager culturale, in quanto risultante da specifici e differenziati corsi di laurea magistrale che afferiscono alla classe LM-76 (ex S-83) – scienze economiche per l'ambiente e la cultura –:
   con quali modalità e tempistiche il Ministro interrogato intenda dare attuazione agli impegni di cui in premessa accolti in Aula dal Governo a garanzia dell'effettiva fruizione del patrimonio culturale di cui si dispone. (5-06803)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'avancorpo dell'Acropoli della città di Ferentino (FR) rappresenta una testimonianza di straordinario interesse dell'architettura romano-italica di età tardo repubblicana e il bene monumentale più illustre dell'antica città di fondazione ernica;
   facendo seguito a ripetute segnalazioni da parte di associazioni e cittadini, riprese anche da articoli comparsi sulla stampa locale, il presidente pro tempore della Pro Loco del comune di Ferentino ha indirizzato l'8 maggio 2015 alla soprintendenza per i beni archeologici del Lazio una richiesta d'intervento urgente per far fronte ai gravi fenomeni di erosione dei massi «ciclopici» della cinta muraria;
   in data 24 giugno 2015 con atto prot. MBAC-SAR-LAZ n. 4118 il soprintendente ai beni archeologici del Lazio e dell'Etruria meridionale, dottoressa Alfonsina Russo, ha risposto alla segnalazione della Pro Loco con una breve nota, indirizzata per conoscenza alla curia vescovile della diocesi di Frosinone – Veroli – Ferentino in qualità di proprietaria della sostruzione dell'Acropoli e al comune di Ferentino quale proprietario del circuito murario;
   la nota su citata fa presente come l'intero complesso monumentale rientri tra i beni culturali ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni e che a norma dell'articolo 30 del medesimo codice dei beni culturali «... lo Stato le regioni, gli altri enti pubblici territoriali, nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l'obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza»;
   la nota rappresenta inoltre come la soprintendenza sia a conoscenza dei fenomeni di erosione delle superfici della pietra calcarea, materiale costituente non solo l'antica sostruzione dell'Acropoli, ma anche l'intero circuito murario difensivo e come la stessa abbia più volte avanzato richieste di finanziamento per il restauro del circuito murario nella propria programmazione ordinaria, senza esito;
   il soprintendente, a conclusione della nota più volte richiamata, assicura che continuerà a porre in atto ogni azione possibile per la tutela e la conservazione degli importanti monumenti nell'ambito delle proprie competenze istituzionali –:
   se il Ministro intenda attivarsi presso le sedi di competenza per verificare l'effettiva portata dei processi disgregativi in atto nell'avancorpo dell'Acropoli di Ferentino e quali iniziative intenda assumere per garantire lo stanziamento di adeguate risorse necessarie all'intervento conservativo del complesso monumentale, nel pieno rispetto dell'articolo 30 del codice dei beni culturali. (4-10891)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   RUOCCO e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-06731, presentata dal deputato Giovanni Paglia il 21 ottobre 2015, si chiedeva di conoscere quali siano, con riferimento al periodo 2015-2016, i contratti derivati in scadenza, e se con riferimento a questi siano state effettuate rinegoziazioni o apposte proroghe di scadenza, quali siano le controparti degli stessi, quale sia il loro valore attuale di mark-to-market, e quali i relativi risultati positivi o negativi;
   nella risposta fornita dal Governo alla predetta interrogazione, fornita il 22 ottobre 2015, si riportava che ”con riferimento agli anni 2015 e 2016, il nozionale delle operazioni in scadenza, per le quali sono terminati o cesseranno gli obblighi di pagamento nel biennio indicato, ammonta complessivamente a circa 16.609 milioni di euro. Più in dettaglio, nell'anno 2015 sono scadute le seguenti posizioni:
    quattro Interest Rate Swap, per un nozionale di circa 4.034 milioni di euro;
    otto Cross Currency Swap, per un nozionale di circa 7.558 milioni di euro;
   per quanto riguarda l'anno 2016, invece, i derivati in scadenza hanno un valore di mercato pari a circa 254 milioni di euro positivo per il Tesoro e sono tre Cross Currency Swap, per un nozionale complessivo pari a circa 5.018 milioni di euro. Inoltre, nel periodo in considerazione, rientrano le date di esercizio di due clausole di estinzione anticipata: [...] e l'altra a marzo del 2016, relativa a un Interest Rate Swap con nozionale 2.000 milioni di euro e valore di mercato negativo per circa 849 milioni di euro. Delle posizioni in scadenza nel 2015 e 2016, solo un Interest Rate Swap e due Cross Currency Swap sono stati in passato oggetto di ristrutturazione nell'ambito dell'ordinaria gestione del portafoglio di strumenti derivati”;
   in merito a tali contratti appare tuttavia necessario conoscere ulteriori dati –:
   con riferimento alle 12 posizioni in scadenza nel 2015, quante alla data odierna siano già scadute e quante debbano scadere entro fine anno con indicazione separata del rispettivo nozionale e con il dettaglio sulla tipologia contrattuale indicando, per quelle già scadute, quali siano stati, in termini di importo e di segno (positivo o negativo) per il Ministero dell'economia e delle finanze, i flussi di cassa regolati nel 2015; per quelle che scadranno entro il corrente anno, quale sia il relativo valore di mercato in termini di importo e di segno (positivo o negativo) per il Ministero dell'economia e delle finanze; con riferimento all’Interest Rate Swap con clausola di risoluzione anticipata a marzo 2016, nozionale pari a 2.000 milioni di euro e valore di mercato negativo per circa 849 milioni di euro (cioè oltre il 42 per cento del nozionale), quali sano le caratteristiche contrattuali (e.g. tasso a pagare per il Ministero dell'economia e delle finanze, tasso a ricevere per il Ministero dell'economia e delle finanze, data di scadenza), quale sia la controparte contrattuale e se siano o meno in corso interazioni con tale controparte finalizzate all'eventuale ristrutturazione del contratto ovvero alla sostituzione della clausola di risoluzione anticipata con la prestazione di garanzie bilaterali o, in ogni caso, al raggiungimento di obiettivi similari; con riferimento alle tre posizioni (tra quelle in scadenza nel 2015 e 2016) che in passato sono state oggetto di ristrutturazione, se una o più di queste posizioni rientrino tra quelle in scadenza nel 2015 e, in caso affermativo, per ciascuna posizione in scadenza nel 2015 e ristrutturata in passato, l'importo e il segno (positivo o negativo) per il Ministero dell'economia e delle finanze dei flussi di cassa scambiati a scadenza (se già decorsa) o del valore di mercato corrente (se la scadenza è entro fine anno). (5-06816)


   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, SEGONI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'assistenza distrettuale fornita dai medici di base è prestata al fine di coordinare ed integrare tutti i percorsi di accesso ai servizi sanitari da parte del cittadino avvalendosi soprattutto dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, convenzionati con il Servizio sanitario nazionale Essi, valutando il reale bisogno sanitario del cittadino, regolano l'accesso agli altri servizi offerti dal Servizio sanitario nazionale;
   la Corte di Cassazione ha statuito che questi professionisti operano all'interno di una organizzazione a loro esterna (così viene rappresentato dalla giurisprudenza il medico di assistenza primaria (M.A.P.) operante all'interno al sistema sanitario nazionale);
   conseguenzialmente i Medici di assistenza primaria dovrebbero essere esentati dal pagamento dall'IRAP. Tale considerazione, ad avviso degli interroganti, dovrebbe rappresentare una evidenza giuridica incontrovertibile e valida a prescindere dall'esistenza o meno dei presupposti soggettivi atteso che la presenza di un collaboratore part time o infermiere presso lo studio medico del medico di assistenza primaria, la cui presenza è altresì prevista nell'ACN (accordo collettivo nazionale) ed è in parte rimborsata ai sensi del medesimo accordo collettivo nazionale, non integra una fattispecie di sostituzione del professionista e, conseguentemente, non può concorrere ad incrementarne il reddito;
   a tal proposito si ricorda che il Sindacato dei medici italiani – SMI – è stato nel corso degli anni particolarmente attivo su questi argomenti, promuovendo ricorsi per i propri iscritti giungendo all'ultimo grado di giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, giudizi conclusi sempre con esito favorevole per i medici stessi;
   si cita in questa sede un caso emblematico relativo alla vicenda del dottor Cosmo De Matteis, «Medico di Famiglia» operante in Paola (CS), centro dell'Alto Tirreno Cosentino, la cui vicenda è stata oggetto di discussione in una recente trasmissione andata in onda sul La7. Grazie alla trasmissione, è stato portato alla ribalta nazionale ed è stato fatto conoscere diffusamente il copioso contenzioso in essere tra Agenzia delle entrate e professionisti, in particolare quello relativo con «medici di famiglia», incalzati dall'Agenzia delle entrate;
   l'Ente citato prosegue imperterrito nelle richieste massificate ai medici di assistenza primaria di pagamento dell'IRAP, nonostante la consolidata giurisprudenza dell'organo nomofilattico che ha da tempo indicato un preciso, saldo e dettagliato orientamento giurisprudenziale. La stessa cosa può dirsi della giurisprudenza di merito che, sulla base delle sentenze della Corte di cassazione, ha ben delimitato la portata delle norme regolanti tale tributo nei confronti dei professionisti;
   ciò appare agli occhi degli interroganti come un grave vulnus ai diritti dei medici di assistenza primaria, frutto di ignoranza nel senso etimologico della giurisprudenza, caso grave di amministrazione che non riesce ad eseguire correttamente il contenuto delle norme nonostante il soccorso prestato dal potere giudiziario, oppure, caso ben più grave anche se identico nei risultati, frutto di una pervicace  volontà coercitiva nei confronti di professionisti la cui opera e scienza è fondamentale per fornire il servizio pubblico e garantire il diritto alla salute costituzionalmente garantito a chiunque;
   il mancato rispetto dello Stato di diritto da parte dell'Agenzia delle entrate ha raggiunto il suo apice nella vicenda che ha riguardato il dottor De Matteis (caso che si teme non sia isolato) al quale continuano ad arrivare cartelle di pagamento avente ad oggetto la contestazione del mancato versamento dell'IRAP (gravate di interessi e oneri di riscossioni ad avviso degli interroganti definibili esosi), nonostante ben due sentenze della magistratura tributaria abbiano acclarato la non assoggettabilità del professionista al pagamento di detto tributo, con, addirittura, condanna del Ministero, alla ripetizione al medico contribuente di quanto indebitamente già pagato e quindi da rimborsare;
   sulla linea tracciata dalla Corte Costituzionale i giudici di merito e di legittimità hanno ripetutamente sancito l'assenza del presupposto impositivo in presenza di un'attività professionale come nel caso di specie. Sul punto, appaiono dirimenti le sentenze della Corte di Cassazione del febbraio 2007 ed in particolare la n. 3678 del 2007;
   si fa notare che nel caso di specie ricorrono entrambe le condizioni sancite dalla suddetta sentenza al fine di escludere che ricorra il presupposto impositivo dell'Irap ovvero che: a) il ricorrente è inserito in una organizzazione altrui quale è il servizio sanitario nazionale in qualità di medico di assistenza primaria convenzionato; b) il ricorrente non svolge attività autonomamente organizzata. Nel caso di specie, ricorre l'ipotesi di esenzione dall'IRAP prevista dalle sentenze della Corte di Cassazione sopra menzionate;
   il professionista è inserito in una organizzazione altrui, il servizio sanitario nazionale, e svolge la sua attività sotto il diretto controllo dell'ASL, secondo le direttive da questa impartite, con l'obbligo di apertura dello studio negli orari predeterminati dall'ASL e con compensi predeterminati dalla convenzione di medicina generale di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000;
   il ricorrente esercita la professione di medico di medicina generale convenzionato con la ASL; in qualità di medico convenzionato per la medicina generale, non svolge «attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi» come presuppone l'articolo 2 del decreto legislativo n. 446 del 1997, istitutivo dell'imposta in questione. Si consideri che l'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000, che ha recepito l'accordo collettivo nazionale per l'area della medicina generale, da cui viene regolato il rapporto di lavoro del ricorrente, definisce l'attività in questione come «lavoro autonomo, continuativo e coordinato, che si instaura fra le Aziende unità sanitarie locali ed i medici di medicina generale»;
   aggiungasi che, ai sensi dell'articolo 22, comma 1, del menzionato decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000 «lo studio del medico di assistenza primaria è considerato presidio del Servizio sanitario nazionale» a dimostrazione dell'assenza di quella organizzazione che è invero rimessa all'ASL. Quindi, il medico di medicina generale, titolare di rapporto convenzionale, continuativo e coordinato, svolge nell'ambito della pubblica organizzazione del servizio sanitario nazionale un servizio pubblico con compiti e compensi predeterminati, in uno studio medico che è definito presidio del servizio sanitario nazionale. Inoltre, con la circolare n. 28/E del 28 maggio 2010, l'Agenzia delle Entrate ha riconosciuto l'esonero dall'Irap per i medici privi del requisito dell'autonoma organizzazione;
   concludendo, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 27008 del 19 dicembre 2014, emessa in pari data delle precedenti ordinanze sopra citate, ha ribadito il principio secondo cui «I medici condotti convenzionati con il sistema sanitario nazionale sono obbligati ad avvalersi di determinati mezzi e personale ausiliario, i quali non costituiscono di per sé un incremento reddituale imponibile ai fini IRAP» –:
   se i fatti esposti in premessa trovino conferma e quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, con estrema urgenza, al fine di garantire il rispetto dello stato di diritto sollevando da quelle che gli interroganti giudicano le oppressioni dell'Agenzia delle entrate descritte in premessa la categoria dei «medici di famiglia», conformemente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza citata, e come intenda adoperarsi per ottenere, da parte dell'Agenzia dell'entrata il rispetto della legge sottraendo i contribuenti alla citata vessazione, che è conseguente alla richiesta di imposte non dovute. (5-06817)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni l'Agenzia delle entrate, e quindi tutto quello che la stessa rappresenta in tema di lotta all'evasione fiscale, sembra essere il bersaglio di un fuoco di fila da parte di esponenti del Governo, teso ad avviso dell'interrogante ad isolare e delegittimare l'istituzione nella persona della direttrice, dottoressa Rossella Orlandi;
   nonostante la dottoressa orlandi guidi oramai da alcuni anni l'Agenzia ed il suo operato, come evidenziato nello stesso «Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto dell'evasione fiscale» ed allegato alla nota di aggiornamento del DEF 2015 presentato il 19 settembre 2015 al Parlamento, abbia raggiunto negli ultimi anni risultati molto lusinghieri rispetto alle aspettative, avendo assicurato, nel solo 2014, all'erario riscossioni per complessivi 14,2 miliardi di euro con un incremento rispetto al 2013 pari all'8,4 per cento, il consolidamento della sua strategia di azione sembra all'interrogante oggi essere sconfessato dalle recenti scelte del Governo, ultima delle quali, in ordine di tempo, quella di innalzare, al fine di aumentare la domanda aggregata, da 1.000 euro a 3.000 euro il limite di utilizzo del contante nei pagamenti;
   un'ulteriore minaccia per l'Amministrazione finanziaria è quella rappresentata, nell'ambito del riordino dei comparti della pubblica amministrazione, previsto dalla legge n. 150 del 2009 (cosiddetta legge Brunetta) e contemplato anche dalla recente «riforma Madia», dalla riduzione da 11 a 4 degli stessi; la stessa amministrazione, infatti, non ha ancora avuto alcuna rassicurazione sulla sua sorte, anzi, dalla contrattazione sarebbe già scomparso il comparto delle agenzie fiscali determinandone la fine definitiva;
   un'altra barriera erta sul percorso dell'azione di contrasto all'evasione fiscale e che ha paralizzato l'attività di accertamento dell'Agenzia delle entrate bloccandone le leve di comando, è stata a giudizio dell'interrogante la sentenza emessa lo scorso mese di marzo dalla Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimi gli incarichi dirigenziali attribuiti a 767 funzionari della stessa, lasciando così scoperti gangli delicatissimi per l'accertamento sui grandi contribuenti e per il prelievo sulle multinazionali, oltre a quell'effetto domino generatosi, com'era facilmente immaginabile, all'indomani del pronunciamento, che ha generato a carico delle commissioni tributarie provinciali un contenzioso tributario ingestibile che avrebbe comportato, relativamente al solo trimestre aprile-giugno, un danno erariale pari ad un miliardo e mezzo di euro: una voragine nei conti pubblici destinata a ripercuotersi anche, con i medesimi effetti, con riferimento all'anno 2016 stante il ritardo con i quali si sta organizzando la copertura dell'organico;
   anche la vicenda dei suddetti 767 dirigenti degradati a semplici funzionari rappresenta per la dottoressa Orlandi un altro fronte stavolta interno, una sorta di «fuoco amico»: infatti la metà di loro, opponendosi alla decisione della Corte costituzionale, ha citato in giudizio davanti al Tribunale civile di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri e lo stesso Direttore dell'Agenzia delle entrate al fine di accertare se lo Stato è stato inadempiente nell'attuazione della direttiva europea sull'abuso nella reiterazione dei contratti a termine, abuso che per l'Europa sarebbe sanzionato con la trasformazione a tempo indeterminato dei contratti; per tali motivi i ricorrenti richiedono il definitivo riconoscimento dello status di dirigente a tempo indeterminato, o, in alternativa, il risarcimento dei danni subiti dopo la retrocessione, da calcolare sia in termini di stipendio che di perdita di opportunità di carriera pari a circa 70 milioni di euro, con immaginabili effetti per il bilancio statale;
   un'altra parte degli ex dirigenti ha preferito, invece, lasciare l'incarico per avviare, nel privato, una nuova attività professionale;
   tale situazione ha portato la dottoressa Orlandi ad esternare tutto il suo disagio, alludendo ad una forma di isolamento nella quale si sente confinata nella conduzione dell'attività di contrasto all'evasione fiscale ed a tutte le difficoltà oggettive del sotto-organico con le quali, all'indomani del suddetto pronunciamento della Consulta, l'Agenzia delle entrate è stata costretta ad operare, tutte accuse rivolte ad un Governo che ha dimostrato scarsa compattezza sui motivi e sulla risoluzione di tutte le questioni –:
   quanti siano quei dirigenti che hanno preferito dimettersi ed abbandonare l'amministrazione finanziaria, quali fossero gli incarichi che gli stessi ricoprivano e quali di questi incarichi siano scoperti, quali uffici risultino sotto-organico, e, conseguentemente, quali siano le aree di attività dell'Agenzia delle entrate attualmente in difficoltà o che a breve rischiano di ricadervi. (5-06818)


   MARCO DI MAIO, PELILLO, DONATI, FANUCCI e PARRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, reca, tra l'altro, misure urgenti volte a fronteggiare la grave emergenza abitativa in atto, nell'attuale eccezionale situazione di crisi economica e sociale; facendo riferimento, per un verso, alla necessità di intervenire in via d'urgenza per far fronte al disagio abitativo che interessa sempre più famiglie impoverite dalla crisi e di fornire immediato sostegno economico alle categorie meno abbienti che risiedono prevalentemente in abitazioni in locazione, e, per l'altro, ad intervenire sull'offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica e di alloggi sociali;
   dopo sette anni consecutivi di riduzione del numero di abitazioni compravendute (-53,6 per cento tra il 2007 ed il 2013), nel corso del 2014 si è registrato un'interruzione del trend negativo con una crescita del 3,6 per cento rispetto al 2013;
   il rinnovato interesse verso il bene casa è confermato anche dai dati dell'Istat relativi alle intenzioni di acquisto di abitazioni da parte delle famiglie che torna a crescere posizionandosi su dei livelli tra i più alti degli ultimi anni;
   una riprova dell'interesse delle famiglie verso l'acquisto dell'abitazione è data dalle recenti statistiche di CRIF, in base alle quali a maggio 2015 il numero di domande di mutui presentate dalle famiglie è cresciuta del 84,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2014; nonostante nel 2014 si sia registrato un dato positivo nell'offerta di mutui pari al 13,4 per cento rispetto all'anno precedente, per i piccoli proprietari il miglioramento della qualità dell'abitare passa prevalentemente per uno scambio tra l'abitazione di proprietà ed una nuova o riqualificata più performante sotto il profilo energetico e strutturale;
   l'operazione di permuta immobiliare risulta però particolarmente difficile nel caso in cui l'abitazione di proprietà abbia goduto, all'atto dell'acquisto, dell'imposta di registro agevolata al 2 per cento di cui all'articolo 1, comma 1, e alla relativa nota II-bis, della Tariffa, Parte Prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e, in fase di rogito della nuova casa acquistata, il proprietario non sia riuscito ancora a vendere tale immobile;
   la norma citata prevede, infatti, che, ai fini dell'applicazione dell'aliquota del 2 per cento, agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni: a) che l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza (...); b) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare; c) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con la medesima aliquota agevolata;
   tale situazione può limitare significativamente il contributo alla ripresa del settore immobiliare e, pertanto, sarebbe opportuno preservare il trattamento fiscale agevolato anche nei casi in cui l'acquisto dell'immobile, da considerarsi come «prima casa», avvenga prima di aver venduto l'immobile sul quale si è già goduto delle agevolazioni cosiddette «prima casa» –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere, al fine di favorire le operazioni di permuta dell'abitazione, la possibilità di applicare le agevolazioni per la «prima casa» e per il mutuo «prima casa», di cui all'articolo 18, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, anche qualora il nuovo acquisto sia effettuato prima della vendita dell'abitazione da sostituire, da effettuarsi comunque entro un termine limitato, e quali sarebbero gli eventuali oneri per la finanza pubblica. (5-06819)


   PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il comma 666 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è stata soppressa l'agevolazione fiscale per le auto storiche di età tra i 20 e i 30 anni, prevista dall'articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che consentiva di non pagare il bollo auto, qualora il veicolo non circolasse o forfettariamente, in caso di circolazione, e fosse iscritto negli elenchi speciali costituiti dall'Auto moto club storico italiano o dalla Federazione motociclistica italiana; il maggior gettito previsto era di 78,5 milioni di euro a decorrere dal 2015;
   nel rispondere il 25 febbraio 2015 all'interrogazione 5-04816 in Commissione finanze alla Camera, il Governo precisava che «non può essere oggetto di sindacato la scelta operata dal legislatore nazionale di rivisitare alcuni aspetti della disciplina delle tasse automobilistiche» e che quindi l'eventuale esonero dal pagamento della tassa automobilistica per le auto storiche da parte di alcune regioni, non è legittimo; nella risposta del 25 febbraio 2015 il Governo sostiene che «Le regioni, in ossequio al principio di leale cooperazione ed al fine di garantire chiarezza e uniformità alla materia, dovrebbero invece adeguare le proprie norme alla legge statale»;
   risulta all'interrogante che diverse regioni, ivi comprese talune di quelle ad autonomia speciale, non hanno inteso accogliere questa impostazione, perseguendo politiche autonome –:
   quali siano i risultati di gettito della norma descritta in premessa, quali siano gli orientamenti del Governo sulla questione evidenziata e se i cittadini possessori di auto storica che abbia tra i 20 e i 30 anni siano direttamente obbligati al pagamento del bollo auto 2015 a prescindere da qualsiasi diversa decisione regionale o se, invece, l'esonero non debba ricadere direttamente sulla casse regionali. (5-06820)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la SOGIN è la società per azioni, interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi; tale società, operativa dal 2001 diventa gruppo nel 2004 con l'acquisizione della quota di maggioranza del 60 per cento, di Nucleco spa, l'operatore nazionale incaricato del condizionamento e dello stoccaggio temporaneo dei rifiuti e delle sorgenti radioattive provenienti dalle attività medico-sanitarie e di ricerca scientifica e tecnologica;
   il nostro Paese non è ancora dotato di una struttura centralizzata per la definitiva messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, in contrasto con quanto previsto dalla direttiva 2011/70/Euratom, recepita con il decreto legislativo n. 45 del 2014, ai sensi della quale anche l'Italia deve definire ed attuare una strategia di gestione dei rifiuti radioattivi, dalla fase di generazione a quella di smaltimento. Entro settembre 2015 doveva essere resa pubblica la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito di rifiuti radioattivi, ma tale pubblicazione è stata rinviata a data da destinarsi;
   il quotidiano «La Repubblica» del 27 ottobre 2015 ha riportato stralci della lettera inviata dall'amministratore delegato di Sogin Riccardo Casale ai Ministri dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, e dello sviluppo economico, Federica Guidi, dove ha rassegnato le sue dimissioni per presunti contrasti interni al consiglio d'amministrazione;
   nella lettera Casale farebbe riferimento ad «un Cda sfiancato da interminabili e sterili polemiche instillate irresponsabilmente da chi lo presiede» che «si attarda sempre più su questioni di – micromanagement mentre manca di visione e non è più in grado di deliberare con la necessaria serenità»;
   la decisione delle dimissioni sarebbe il frutto di una riflessione più ampia visto che in questi mesi non è stato possibile portare a termine gli obiettivi prefissati: verbali che attendono da 5 mesi di essere approvati, il consiglio di amministrazione che non viene convocato da 4 mesi, opere soggette a prescrizione VIA che non vengono deliberate con il rischio di incorrere in illeciti penali, ritardi nell'approvazione del piano quadriennale, e in pericolo anche le attività svolte dai lavoratori temporanei;
   i contrasti all'interno di Sogin sono emersi anche nella relazione ufficiale sulla gestione delle scorie radioattive in Italia, presentata nel mese di settembre 2015 al Parlamento, dove la Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha auspicato che la Sogin mostri una maggiore compattezza e migliori le capacità complessive di gestione dei progetti dei quali è responsabile, anche in vista di quello della realizzazione del deposito nazionale, appena avviato;
   le dimissioni dell'amministratore delegato Casale giungono mentre Sogin è impegnata nell’iter per la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti nucleari. Il 20 agosto 2015 la società doveva pubblicare la carta nazionale delle Aree potenzialmente idonee (Cnapi), per costruire il deposito, che potrà contenere fino a 90 mila metri cubi, sufficienti a gestire i rifiuti radioattivi italiani fino al 2065;
   a tutt'oggi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quello dello sviluppo economico, che devono autorizzare la pubblicazione, hanno chiesto ancora ulteriori approfondimenti (non meglio specificati) a Sogin prima di dare il via libera –:
   se i Ministri interrogati ritengano necessario intervenire affinché venga fatta chiarezza su quanto esposto in premessa;
   se ritengano opportuno vigilare e intraprendere eventuali iniziative, affinché Sogin possa adempiere alla gestione ordinaria attuando i programmi prefissati, garantendo la stabilità dell'azienda e valorizzando il potenziamento delle competenze professionali. (5-06800)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAMANI, MIOTTO, NACCARATO, NARDUOLO e ROSTELLATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 giugno 2015 la giunta comunale di Abano Terme, comune della provincia di Padova, con delibera n. 139, ha approva la bozza di bilancio 2015/2017;
   il collegio dei revisori, i primi di luglio, con verbale n. 105, ha espresso sullo schema di bilancio un parere favorevole condizionato, dichiarando: «preso atto (...) che l'impostazione del bilancio di previsione finanziario 2015-2017 è compatibile con il rispetto dell'obiettivo del patto (di stabilità) solo al verificarsi di due condizioni: concessione degli spazi finanziari per euro 1.000.000 tramite il patto nazionale orizzontale e accettazione da parte della Provincia di Padova di rateizzare il debito del Comune di Abano Terme. (...) Si dà atto che in ogni caso il raggiungimento dell'obiettivo è strettamente legato alla vendita di un'area, pertanto si raccomanda il costante monitoraggio delle entrate in conto capitale, poiché nell'eventualità in cui non si verificasse la vendita, l'ente deve procedere ad adottare tutte le misure necessarie in modo da dimostrare il contenimento delle spese correnti»;
   in data 16 luglio 2015, con delibera n. 154, la giunta comunale fa proprio un emendamento proposto dal responsabile dell'ufficio ragioneria che, prendendo atto che le due condizioni indicate nel parere dei revisori sullo schema di bilancio non si sono avverate, se non parzialmente con la concessione di spazi finanziari per euro 149.000, prevede una modifica allo schema di bilancio per riportarlo in pareggio;
   in data 20 luglio 2015 il collegio dei revisori, con verbale n. 112, prendendo atto che le condizioni non si sono avverate e valutando l'emendamento proposto dall'amministrazione, scioglie le proprie riserve al bilancio di previsione finanziario dell'Ente ed esprime parere favorevole con la seguente raccomandazione: «poiché il raggiungimento dell'obiettivo è strettamente legato alla vendita di un'area, si raccomanda il costante monitoraggio delle entrate in conto capitale, poiché nell'eventualità in cui si non verificasse la vendita, l'ente deve procedere ad adottare tutte le misure necessarie in modo da dimostrare il contenimento delle spese correnti»;
   il 27 luglio 2015 il consiglio comunale ha, quindi, proceduto all'approvazione dell'emendamento proposto dalla giunta (10 voti favorevoli, 2 contrari, 3 astenuti) e del bilancio di previsione finanziaria 2015/2017 e dei relativi allegati (10 voti favorevoli, 3 contrari, 1 astenuto);
   da quanto esposto si evince che la condizione del rispetto del patto di stabilità per l'anno 2015 sia strettamente vincolata al perfezionamento dell'alienazione di un'area di proprietà comunale sita in Abano Terme in Via Ghislandi, valorizzata a bilancio per euro 2.998.760 (iva inclusa);
   a questo si deve aggiungere quella che appare agli interroganti la totale mancanza di controllo e monitoraggio sull'andamento delle finanze locali, con il conseguente peggioramento, nel corso dell'esercizio, dei conti pubblici in riferimento all'obiettivo programmatico fissato dal patto di stabilità, in particolare:
    1. le entrate correnti nette (titolo I, II e III), accertate al 14 settembre 2015, sono pari euro 8.764.244,16;
    2. le entrate in conto capitale (titolo IV), incassate al 14 settembre 2015, sono pari a euro 977.911,66;
    3. le spese correnti nette (titolo I), impegnate al 14 settembre 2015, sono pari a euro 14.169.808,95;
    4. le spese in conto capitale (titolo II), pagate al 14 settembre 2015, sono pari a euro 3.304.132,87;
   dall'analisi dei dati su esposti effettuata dagli interroganti si evincerebbe che il saldo finanziario per il 2015 è, quindi, pari a euro –7.731.786,00 a fronte di un obiettivo programmatico annuale del saldo finanziario, come determinato ai sensi dei comuni da 2 a 6 dell'articolo 31, legge n. 183 del 2011, di euro –293.000,00, dunque fuori dal vincolo del patto di stabilità, per euro 7.438.786,00;
   preoccupante, appare anche la situazione se analizzata nell'ipotesi di realizzare al 100 per cento le previsioni di entrata e uscita corrente, come da bilancio di previsione: 
    1. le entrate correnti nette (titolo I, II e III) stanziate per l'anno 2015, sono pari a euro 19.704.209,58;
    2. le entrate in conto capitale (titolo IV), accertate al 14 settembre 2015, sono pari a euro 977.911,66;
    3. le spese correnti nette (titolo I, al netto del Fondo Crediti dubbia esigibilità), stanziate per l'anno 2015, sono pari a euro 18.873.788,46;
    4. le spese in conto capitale (titolo II), effettuate al 14 settembre 2015, sono pari a euro 3.304.132,87;
   il saldo finanziario per il 2015 è, in questa ipotesi, pari a euro –1.495.800,09;
   anche in questo caso, a fronte di un obiettivo programmatico annuale del saldo finanziario, come determinato ai sensi dei commi da 2 a 6 dell'articolo 31, della legge n. 183 del 2011, di euro –293.000,00, l'ente presenta una differenza tra il risultato netto e l'obiettivo programmatico per euro –1.202.800,29;
   si aggiunga che, malgrado la situazione finanziaria sia quella sopra descritta, nessuna azione sia stata compiuta dalla amministrazione per contenere in maniera efficace, in termini preventivi, la spesa, né di natura corrente, né, tanto meno, sul versante del conto capitale. Ad oggi, infatti, pur essendo evidente la necessità di ridurre, o meglio, bloccare, qualsiasi spesa in conto capitale prima dell'inverarsi della ipotizzata alienazione, il cronoprogramma degli investimenti, approvato dall'organo esecutivo, prevede un importo di spesa autorizzato pari a euro 5.418.815,06, di cui euro 3.304.132,87 già effettuate, a dimostrazione che neppure il perfezionamento della vendita consentirebbe di evitare lo sforamento del patto;
   esprimendo profonda preoccupazione per la situazione finanziaria dell'ente, in data 28 agosto 2015, 6 consiglieri chiedono la convocazione di un consiglio comunale straordinario, ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del TUEL, per chiedere alla amministrazione quali procedure intenda adottare nel caso in cui non si verifichi la vendita;
   in data 16 settembre 2015 si riunisce il consiglio comunale. Nel corso della seduta, ponendo una questione pregiudiziale, peraltro secondo quanto risulta agli interroganti non prevista dal regolamento per il funzionamento degli organi collegiali, il punto all'ordine del giorno viene trasformato in interpellanza;
   al momento della presentazione dell'interpellanza, il sindaco per primo, seguito da tutti i consiglieri di maggioranza, abbandonano la seduta facendo venir meno il numero legale ed impedendo così, di fatto, la discussione del punto;
   viene, quindi, richiesta nuovamente una convocazione del consiglio comunale, ex articolo 39 comma 2 TUEL, che si riunisce regolarmente in data 7 ottobre 2015. In questa occasione, l'Assessore al Bilancio conferma che alla data della adunanza il comune di Abano Terme risulta tecnicamente fuori dal patto di stabilità per circa 1 milione di euro;
   a fronte della situazione finanziaria sopra descritta, e solo in seguito alla discussione in consiglio comunale, è stato pubblicato, in data 13 ottobre 2015, il bando di gara per la vendita dell'area indicata in premessa, bando che si chiuderà il 16 novembre e che dovrebbe essere aggiudicato il 19 novembre, definendo, quindi, una tempistica molto rallentata rispetto alle necessità messe in evidenza anche dal collegio dei revisori, già ai primi di luglio, di accelerare le procedure e, di conseguenza, ad avviso degli interroganti pregiudicando di fatto in maniera irreversibile i conti dell'ente nell'ipotesi in cui il bando non dovesse essere assegnato;
   inoltre, sempre a seguito della discussione in consiglio comunale, e cioè il 15 ottobre, la giunta, con delibera n. 221, ha modificato il cronoprogramma dei pagamenti in misura a giudizio degli interroganti assolutamente insufficiente rispetto alla condizione sopra descritta, riducendolo a euro 4.818.815,06 tramite una diminuzione ad avviso degli interroganti scorretta di un pagamento a saldo verso la provincia di Padova per una opera conclusa e collaudata. Malgrado questo intervento, peraltro, continuerebbe a persistere lo sforamento del patto nel caso di mancata alienazione –:
   se, viste le differenze e gli effetti contabili di bilancio esposti in premessa, non sia opportuno assumere urgentemente iniziative, anche per il tramite dei servizi ispettivi di finanza pubblica, per verificare la situazione finanziaria del comune di Abano Terme, in particolare alla luce degli obblighi concernenti il rispetto del patto di stabilità, come da parere del collegio dei revisori;
   se i Ministri interrogati non ritengano doveroso ed urgente attivarsi al fine di effettuare verifiche, per quanto di competenza, sulle numerose e reiterate violazioni di norme che sembrano emergere da quanto esposto in premessa. (4-10895)


   PANNARALE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 ottobre 2014 il Consiglio Comunale di Grumo Appula ha deliberato, oltre che sul bilancio di previsione 2014, anche su regolamenti, aliquote e tariffe in materia di imposte e tasse comunali e in particolare con deliberazione n. 42 del 29 ottobre 2014 il consiglio comunale ha approvato l'aumento dell'aliquota dell'addizionale irpef allo 0,80 per cento;
   il termine ultimo per l'approvazione del bilancio di previsione per gli enti locali è stato fissato, per l'anno 2014, al 30 settembre 2014, con decreto del Ministro dell'interno del 18 luglio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 169 del 23 luglio 2014;
   l'articolo 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, così recita: «Gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali, per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio, purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1o gennaio dell'anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno;
   in materia di approvazione dei regolamenti tributari, l'articolo 53, comma 16, della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 che così recita: «16 – Il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l'aliquota dell'addizionale comunale all'Irpef di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, recante istituzione di una addizionale comunale all'Irpef e successive modificazioni, e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1o gennaio dell'anno di riferimento»;
   in effetti, nella precitata deliberazione consiliare si fa espresso riferimento ai sopraesposti riferimenti normativi;
   sul tema della mancata approvazione nei termini dei regolamenti tributari, e sulla mancata applicazione dell'ulteriore termine ad adempiere assegnato dai prefetti, si è formata una corposa e costante giurisprudenza ed è anche ben consolidata la prassi ministeriale in tal senso;
   solo per citare alcuni esempi:
   il Consiglio di Stato con sentenza n. 6400/2006 ha respinto il ricorso del comune di Procida riconoscendo l'illegittimità della tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani approvata oltre i termini per l'approvazione del bilancio di previsione;
   la Corte dei Conti - sezione regionale di controllo per l'Abruzzo, con deliberazione n. 263/2007 del 31 maggio 2007 ha espresso il proprio parere al comune di Sulmona in merito alla esatta applicazione del citato articolo 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 e all'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997 stabilendo che la «perentorietà» dei termini e la mancata validità dei regolamenti, e delle modifiche regolamentari, approvati oltre i termini fissati per legge per l'approvazione del bilancio di previsione;
   il Ministero dell'economia e delle finanze con nota prot. 27681 del 14 dicembre 2012 a firma del direttore della direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale, è intervenuto in materia dichiarando invalide le deliberazioni regolamentari del comune di Conversano relativi all'anno 2012 approvate in data 19 novembre 2012, dopo il termine previsto per legge per l'approvazione del bilancio di previsione 2012 (31 ottobre 2012) ma entro i venti giorni concessi dal prefetto con la propria diffida solo per l'approvazione del bilancio;
   il TAR Calabria con propria sentenza n. 366/2014 del 6 marzo 2014 ha accolto il ricorso di alcuni cittadini di Lamezia Terme annullando l'incremento delle aliquote IMU 2013 approvate in data 2 dicembre 2013 (nel termine della diffida prefettizia) rispetto al termine perentorio del 30 novembre 2013;
   nella citata sentenza, tra l'altro, si statuisce: «Nella specie, risulta per tabulas che l'impugnata Delibera è stata approvata in data 2 dicembre 2013 e, quindi, in violazione del termine perentorio del 30 novembre 2013. Né può condurre a differenti conclusioni il rilievo secondo cui, nella specie, l'approvazione del bilancio sia stata assunta a seguito di intimazione diffida del Prefetto di Catanzaro, poiché l'ulteriore periodo di venti giorni, assegnato dal Prefetto, riguarda soltanto l'approvazione del bilancio preventivo, quale provvedimento funzionale, in caso di persistenza dell'inadempimento da parte del Comune di Lamezia Terme, allo scioglimento d'imperio (e quant'altro) del CC dell'ente locale medesimo e non incide sul termine finale del 30 novembre 2013, per l'approvazione da parte degli Enti Locali delle aliquote (e quant'altro) concernenti l'imposta municipale propria (IMU) per il 2013, trattandosi di termine prestabilito dal legislatore a pena di decadenza, accompagnato da specifiche prescrizioni sanzionatorie, testualmente comminate per l'ipotesi di inosservanza.
   Nella medesima ottica, la delibera della Corte dei Conti nr. 263/2007 (sopracitata) in relazione ad analoga fattispecie, ha espressamente stabilito che l'aumento delle tariffe e delle aliquote decise oltre il termine indicato dalle leggi Statali, anche se prorogato a seguito dei termini ulteriori concessi dal Prefetto per la solo approvazione del Bilancio di previsione, non hanno valore e, quindi, non possono essere applicate, producendo effetto solo le tariffe dell'anno precedente. I medesimi principi risultano altresì confermati dalla recente delibera n. 4 del 2014 della Corte dei Conti di Catanzaro.
   Nella sentenza si evidenzia, inoltre, che anche il Collegio dei revisori dei conti, in data 12 dicembre 2013, ha rilevato che «considerato che l'ente ha approvato con la delibera nr. 49 del 2 dicembre 2013 la determinazione delle aliquote per l'applicazione dell'Imposta Municipale Propria IMU anno 2013, oltre il termine stabilito dalle norme su citate; ritiene che le aliquote adottate con la Delibera in oggetto non possono avere efficacia con decorrenza 1o gennaio 2013»;
   infatti, la Corte dei Conti – sezione regionale di controllo per la Calabria con la deliberazione n. 4/2014 ha ribadito in merito:
    «ciò premesso, emerge ictu oculi che il termine finale fissato per l'approvazione da parte del Consiglio Comunale delle aliquote IMU per il 2013 è esattamente quello del 30 novembre 2013, ed essendo questa, peraltro, la data ultimativa fissata, al termine di ripetuti differimenti, dal legislatore statale per l'approvazione del bilancio preventivo del 2013 da parte degli enti locali. Al riguardo, ove occorra, è appena il caso di precisare che l'ulteriore periodo di venti giorni contenuto nella intimazione/diffida del Prefetto di Catanzaro riguarda soltanto (né potrebbe essere diversamente) l'approvazione del bilancio preventivo...»;
   tale sentenza del TAR Calabria è stata confermata dalla recentissima sentenza del Consiglio di Stato n. 3808 del 2014 del 17 luglio 2014 che:
   a) ha ribadito la perentorietà del termine previsto dall'articolo 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006 è desumibile dal dato testuale della disposizione;
   b) ha rigettato il riferimento del comune di Lamezia Terme ai diversi termini per la pubblicazione delle delibere fissati dal decreto legislativo 201 del 2012 e decreto legge n. 102 del 2013 confermando che, la norma sopra riportata si riferisce solamente alla modalità di «pubblicazione» della delibera consiliare che modifica le aliquote dell'IMU, fermo restando che la delibera, ai fini della sua validità, deve essere approvata nel termine del 30 novembre 2013 stabilito dalla legge;
   ancora il Consiglio di Stato con sentenza n. 4409 del 28 agosto 2014 ha ribadito la perentorietà del termine previsto dall'articolo 1, comma 169, della legge 296 del 2006 e che il termine ulteriore di impulso prefettizio non differisce i termini per l'approvazione dell'aliquota, sicché il rispetto dello stesso consente soltanto di evitare le gravi conseguenze collegate alla sua inosservanza, quali lo scioglimento del consiglio comunale;
   ancora si ricorda il caso del comune di San Nicola la Strada, laddove la giunta, con deliberazione n. 75 del 30 settembre 2014, ha revocato la propria deliberazione di approvazione dello schema di bilancio di previsione per l'anno 2014 prendendo atto del fatto che la mancata approvazione dell'aliquota per l'addizionale irpef 2014 e per l'approvazione delle aliquote e tariffe IMU e TARI 2014 nei termini previsti hanno creato uno squilibrio di bilancio;
   da ultimo si segnala la sentenza del Tar Calabria n. 740/2014 concernente l'impugnazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze della deliberazione, in materia di addizionale Irpef, del comune d Botticello approvata oltre i termini perentori fissati per l'approvazione del bilancio di previsione;
   in realtà la citata deliberazione n. 42 del 29 ottobre 2014 reca un evidente errore proprio nella parte deliberativa laddove, reca il verbo «confermare» quando, evidentemente si è in presenza di un aumento (dallo 0.40 per cento allo 0,80 per cento) dell'aliquota, come si può facilmente evincere dalla lettura della deliberazione del consiglio comunale n. 52 del 28 novembre 2013 che, questa sì, confermava l'aliquota allo 0,40 per cento per l'anno 2013, tali informazioni sono anche desumibili dal sito del MEF nella sezione relativa alla fiscalità locale;
   è evidente, quindi, che l'aumento deliberato era, ed è di dubbia legittimità, perché intervenuto oltre i termini previsti dalla normativa; si ritiene che l'errore contenuto nel deliberato abbia tratto in inganno anche il dipartimento delle finanze – direzione legislazione tributaria e federalismo, che sicuramente, in mancanza del verbo «conferma» ne avrebbe impugnato la legittimità come risulta dai precedenti citati;
   la dubbia legittimità dell'aliquota deliberata per l'anno 2014 dal comune di Grumo Appula ha i suoi effetti anche per l'anno 2015 visto che, anche per quest'anno, la deliberazione di «conferma» di un'aliquota con tali modalità è intervenuta oltre il termine previsto del 30 luglio 2015 e precisamente con deliberazione del Consiglio Comunale di Grumo Appula n. 25 del 28 agosto 2015 –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per chiarire le modalità e i termini per l'aumento dell'addizionale Irpef da parte dei comuni e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda promuovere in relazione al caso del comune di Grumo Appula per gli anni 2014 e 2015. (4-10900)


   COVA e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto legislativo n. 288 del 16 ottobre 2003, è stata regolata la trasformazione degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico in fondazioni IRCCS, enti aventi natura pubblica per espressa previsione normativa;
   con decreto del Ministro della salute del 29 dicembre 2004, l'IRCCS Ospedale Maggiore di Milano viene trasformato in fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena (ora Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico), con decorrenza dalla data d'insediamento del nuovo organo di governo dell'ente, ossia dal gennaio 2005;
   fra i soggetti chiamati a formare l'organo di governo della Fondazione IRCCS (consiglio di amministrazione), si annoverano, quali fondatori, il Ministero della salute, la regione Lombardia, il comune di Milano e l'Arcivescovado di Milano e, quali soci partecipanti, come consentito dall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 288 del 2003, ripreso dallo statuto della Fondazione IRCCS, ad oggi, la sola Fondazione Fiera Milano spa;
   il patrimonio immobiliare disponibile urbano è stato conferito ad un fondo immobiliare, gestito dalla Società Polaris Real Estate SGR S.P.A. e recentemente, Cassa depositi e prestiti ha acquisito il 40 per cento delle quote a fronte di un versamento alla Fondazione IRCCS dell'importo di circa 100 milioni di euro;
   il patrimonio immobiliare disponibile rurale è stato invece ceduto – in diritto reale, per 30 anni, a titolo gratuito – ad una fondazione di diritto privato dotata di autonomia statutaria e aperta alla partecipazione di altri soggetti, anche privati, Fondazione Sviluppo Ca’ Granda, costituita dalla medesima Fondazione IRCCS;
   nel 2000 è stato sottoscritto l'accordo di Programma fra il Ministero della salute, la regione Lombardia, il comune di Milano, l'azienda ospedaliera istituti clinici di perfezionamento e l'Ospedale Maggiore di Milano (ora, appunto, la Fondazione IRCCS), e rivisto fra gli stessi soggetti nel 2004, finalizzato a definire le condizioni necessarie per la realizzazione di una grande ristrutturazione del complesso ospedaliero che fa capo alla fondazione IRCCS, stabilendo, in particolare, la soluzione di un mutuo per il finanziamento della ristrutturazione ospedaliera;
   le complesse operazioni di carattere finanziario immobiliare, la prima, e societario immobiliare, la seconda, non sembrano agli interroganti rispettare quanto previsto nell'accordo;
   la gestione del patrimonio agricolo in questi ultimi secoli è stata volta nell'interesse dello sviluppo e valorizzazione dei terreni agricoli e dei fabbricati rurali. Gli agricoltori hanno consentito di mantenere questi terreni fertili e produttivi preservando il territorio in cui erano posti. La crisi dell'agricoltura ha portato diverse aziende agricole a riconvertirsi ad aziende a produzione di energia da biomasse, dove la produzione agricola/zootecnica non gioca più un ruolo fondamentale mettendo a rischio il patrimonio rurale originario della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e le caratteristiche di fertilità dei terreni –:
   quali siano i contenuti e i tempi di approvazione del nuovo accordo di programma, da tempo ormai scaduto, e verso quale prospettiva istituzionale si intenda portare, di fatto, la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico;
   quali iniziative intendano mettere in atto i Ministri interroganti, per quanto di competenza, per promuovere un controllo puntuale e sistematico sulle operazioni che hanno interessato negli ultimi anni l'ingente patrimonio immobiliare di cui da secoli il policlinico di Milano è titolare e che è stato lasciato per fini umanitari, di assistenza e di ricerca da parte dei benefattori;
   se i Ministri interrogati abbiano verificato che il patrimonio rurale continui ad essere valorizzato e mantenuto visto che gli indirizzi gestionali affidati alla fondazione di diritto privato (Fondazione Sviluppo Ca’ Granda), cui è stato ceduto il patrimonio rurale, sembrano perseguire fini diversi da quelli precedenti, non registrandosi più l'interesse primario a mantenere il valore del patrimonio, e quale sia l'uso che viene fatto degli introiti della gestione ordinaria;
   se le cessioni dei terreni e in generale di tutta l'attività (contratti passivi, contratti attivi, assunzione del personale e contratti di lavoro applicati, limiti alle assunzioni e altro) seguano le norme del diritto pubblico o seguono modalità privatistiche, e nel caso con quali vincoli a garanzia del patrimonio per il futuro;
   come sia garantito, per quanto di competenza nei confronti della Fondazione di diritto privato il rispetto delle norme su trasparenza e anticorruzione quale sia ora lo stato di attuazione della normativa in materia;
   se i Ministri interrogati abbiano verificato, per quanto di competenza, che l'elenco del personale assunto e ad ogni titolo in collaborazione, le consulenze di ogni genere, i fornitori, con i relativi contratti e remunerazioni, siano conformi alle norme sulla trasparenza e all'anticorruzione. (4-10904)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DADONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 23 ottobre 2015 l'interrogante, ai sensi dell'articolo 67 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354), si è recata in visita alla casa di reclusione di Saluzzo;
   dall'incontro con il direttore sono emerse diverse problematiche che riguardano il suddetto istituto penitenziario: risulta una grave carenza di personale, dato che la pianta organica prevede 256 unità, mentre attualmente ne sono impiegate, contando i distacchi, all'incirca 190; sono presenti, inoltre, solo 7 ispettori e 4 sovraintendenti, mentre i primi dovrebbero essere 27 (di cui 2 donne) e i secondi 30 (di cui 1 donna);
   nel 2016, inoltre, aprirà un nuovo padiglione da 196 posti; risulta evidente, pertanto, che, se l'organico rimarrà quello attuale, sarà del tutto impossibile espletare le normali attività di controllo e sorveglianza dei detenuti;
   l'amministrazione della giustizia, in cronica sofferenza di organico, è destinataria delle procedure di mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni innescate dal combinato disposto di cui alla legge cosiddetta «Delrio» e alla legge di stabilità per il 2015, commi da 425 a 429 dell'articolo 1, procedure che sono state estese anche al personale della Croce rossa italiana;
   all'interno della citata casa di reclusione si svolgono alcune attività attuative del principio della funzione rieducativa della pena: si sottolinea, in particolare, la presenza di una cooperativa di produzione di birra artigianale, di una scuola di falegnameria e di una scuola di cucina; tali attività, a causa degli esigui fondi pubblici messi a disposizione e degli elevati costi che gli imprenditori privati devono sostenere, occupano un ristretto numero di detenuti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave carenza di organico della casa di reclusione di Saluzzo;
   se non intenda provvedere al dislocamento di agenti, ispettori e sovraintendenti di polizia penitenziaria presso lo stesso istituto, tenuto conto anche del fatto che a breve aprirà un nuovo padiglione da 196 posti;
   se, e in quale misura, l'amministrazione della giustizia potrà beneficiare di unità di personale proveniente dalla procedure di mobilità esposte in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare per implementare le attività lavorative presso la casa di reclusione di Saluzzo, in modo che, a fini rieducativi, essa sia fruibile da tutti i detenuti, anche valutando incentivi o convenzioni con aziende private del territorio. (5-06788)


   CRIVELLARI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la data del 31 marzo 2015 costituiva il termine ultimo di una proroga prevista per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e per l'avvio di un loro definitivo superamento in favore delle nuove residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza;
   il decreto con cui si stabiliva la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52 – convertito dalla legge 30 maggio 2014, n. 81) prevedeva che le regioni comunicassero al Ministero della giustizia e al comitato paritetico interistituzionale in materia di sanità penitenziaria lo stato di realizzazione delle nuove strutture sanitarie e le iniziative messe in atto per il superamento effettivo degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   da quanto risulta all'interrogante, la regione Veneto ha ritardato a lungo qualsiasi comunicazione ai sopracitati organi istituzionali in previsione dei cambiamenti che sono stati stabiliti per legge in materia di ospedali psichiatrici giudiziari e residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare per sostenere e supportare l'attività del personale di polizia penitenziaria – personale che, spesso già carente nell'organico, si trova attualmente ad affrontare e a gestire senza alcuna specifica preparazione la delicatissima situazione di persone con problemi psichiatrici colpite da ordini di arresto e accompagnate all'interno delle carceri, con particolare riferimento alla realtà del Veneto. (5-06791)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca locale di Verona riporta un altro caso di incendio, avvenuto il 12 ottobre 2015, provocato da un detenuto all'interno della propria cella nella casa circondariale di Verona;
   il gesto insano del detenuto sembrerebbe stato provocato a seguito di una comunicazione negativa ricevuta pochi minuti prima dal personale dei servizi sociali operanti presso la stessa struttura penitenziaria;
   una volta rientrato nella sua cella, l'uomo, probabilmente in segno di protesta rispetto alla notizia appresa, ha dato alle fiamme oggetti in plastica, abiti e suppellettili che si trovavano nella sua cella, materasso compreso;
   le fiamme hanno velocemente generato un fumo denso ed acre e saturato la stanza e l'intera sezione detentiva; per fortuna gli agenti della polizia penitenziaria immediatamente intervenuti sul posto, dopo aver tratto in salvo il detenuto, con l'ausilio di estintori e manette antincendio, hanno domato le fiamme, sebbene fossero sopraggiunti anche i vigili del fuoco con una squadra, immediatamente allertati;
   in merito all'evento il segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria, Sappe, Donato Capace, dichiara: «Sono stati momenti di grande tensione e pericolo, gestiti con coraggio e professionalità dai poliziotti penitenziari. Prima hanno salvato la vita al detenuto che aveva dato fuoco alla cella, poi hanno domato le fiamme»;
   contestualmente gli agenti veronesi hanno provveduto ad evacuare l'intera sezione detentiva, indirizzando gli altri reclusi all'aperto nelle aree destinate ai passeggi;
   complessivamente il bilancio è comunque pesante: ben 12 agenti e tre detenuti intossicati e condotti presso il locale pronto soccorso per le cure del caso. Per 4 di essi è stato necessario ricorrere alla permanenza in camera iperbarica;
   il segretario regionale per il Triveneto dell'USPP (Unione Sindacati Polizia Penitenziaria) già UGL polizia penitenziaria, Giulio Pegoraro, ha stigmatizzato sia l'atto incendiario, che l'aggressione da parte di un detenuto albanese nei confronti di un agente penitenziario. Questo carcerato ha creato molti eventi critici nel carcere veronese e la dirigenza non lo ha mai fatto trasferire per riportare l'ordine e la disciplina interna. La segreteria regionale dell'Uspp, già Ugl polizia penitenziaria, ha denunciato più volte la mala gestione nel carcere di Montorio che, sempre ad avviso della medesima organizzazione sindacale, pensa solamente all'immagine personale per creare eventi, come gare podistiche;
   continua il Segretario Pegoraro: «Solo il pronto intervento e l'alto grado di professionalità degli uomini della Polizia Penitenziaria ha scongiurato quella che poteva essere una tragedia. Dato il ripetersi di casi critici con cadenza quasi quotidiana, non si può ridurre simili gesti di gratuita violenza ad isolati “incidenti di percorso” ne tantomeno sminuire l'accaduto adducendo puntualmente a causa, le condizioni generali di un sistema penitenziario oramai in crisi. È opportuno invece circostanziare gli eventi e riflettere sulle cause del crescente e preoccupante senso d'impunità che sembra accompagni spesso i ristretti della Casa Circondariale di Verona resisi protagonisti di queste scellerate azioni»;
   l'episodio dell'incendio, infatti, non è nuovo nel carcere di Verona: agli inizi di aprile di quest'anno si era già verificato un incendio in condizioni analoghe che aveva portato all'intossicazione di 13 persone: undici agenti di polizia penitenziaria e due detenuti; in merito a quell'evento è stata presentata dal primo firmatario del presente atto un'interrogazioni, la n. 5-05545, che non ha tuttavia ancora avuto risposta;
   si nota, tuttavia, che da molto tempo le varie sigle sindacali della polizia penitenziaria lamentano più in generale una gestione non ottimale dell'istituto penitenziario di Verona con particolare riguardo alle esigenze di sicurezza del personale e dei detenuti;
   il segretario regionale veneto del Sappe, Giovanni Vona ha dichiarato: «Verona non è un carcere semplice, è una realtà con una presenza media di 500/600 detenuti. Dal 2012 al 30 giugno di quest'anno sono 70 i tentati suicidi di detenuti sventati per fortuna in tempo dalla polizia penitenziaria, più di 600 episodi di autolesionismo, oltre 100 ferimenti e 650 colluttazioni. Anche e soprattutto per questo il Sappe e la polizia penitenziaria sono in stato di agitazione da diverso tempo»;
   le sigle sindacali infatti hanno più volte segnalato problemi in relazione alle richieste di maggior sicurezza ai piani, questioni relative alla video-audio sorveglianza, che sembra essere rivolta ai punti già sorvegliati dalla polizia penitenziaria, anziché offrire sorveglianza nei punti più frequentati dai detenuti ed in particolare nei corridoi ove insistono le celle;
   i sindacati veronesi affermano che l'amministrazione penitenziaria non è in grado di assolvere il mandato istituzionale all'interno della casa circondariale di Verona;
   dal 2012, anno nel quale s’è insediata l'attuale dirigenza, s’è registrata un'impennata del numero degli eventi critici, addirittura triplicati a fronte di un dimezzamento della popolazione detenuta; la malagestione si manifesta in molti settori, quali: l'assoluta incapacità di gestire la popolazione detenuta, il mancato rispetto dei ruoli gerarchici del personale, l'inasprimento dell'azione disciplinare nei confronti dei poliziotti, gestione poco chiara della mobilità interna del personale; i servizi della mensa che sono accusati di somministrare il cibo avanzato nei giorni precedenti anche nei giorni successivi;
   preoccupante indi è la circostanza che, parte del personale stabilizzato nella provincia veronese, abbia presentato istanza di trasferimento nelle sedi vicine, ovvero richiesta di distacco presso altri istituti detentivi;
   più di recente i sindacati hanno evidenziato che è stato organizzato all'interno della casa circondariale di Verona, da parte dell'autorità dirigenziale, un evento consistente in una corsa podistica che si terrà il prossimo 31 ottobre 2015; l'evento, seppur prestigioso e qualificante sotto il profilo dell'immagine, considerate le autorità interessate e gli sponsor partecipanti, sembrerebbe, tuttavia, assolutamente di cattivo gusto ed inappropriato, stante il momento storico che l'istituto de quo sta vivendo; ciò apparirebbe, secondo le firme sindacali, essere un modus operandi del direttore del carcere di Verona, il quale si è mostrato particolarmente attento e sensibile alla visibilità, ai mass-media ed alle public relation, piuttosto che ai disagi del personale ed alle enormi criticità che stanno travolgendo il penitenziario di cui è al vertice –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se e quali interventi intenda attuare per poter verificare la situazione esistente nel carcere di Verona e nelle carceri italiane in genere, a fronte dei tanti episodi di violenza che si manifestano negli istituti di pena italiani;
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali presso la casa circondariale di Verona ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza in merito ai fatti di cui sopra. (5-06796)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Ferriera di Servola (Trieste) è uno stabilimento industriale la cui attività è volta principalmente alla produzione di ghisa, passato, nel 2014, dalla Lucchini in amministrazione straordinaria alla Siderurgica Triestina S.r.l., società del Gruppo Arvedi;
   numerose sono state, nel corso degli anni, le segnalazioni relative alle immissioni inquinanti del complesso siderurgico, la cui area è stata inserita nel sito di interesse nazionale (SIN) di Trieste, riconosciuta quale «area di crisi industriale complessa» con articolo 1, 7-bis della la legge 24 giugno 2013, n. 71, di conversione del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, e per la quale sono stati sottoscritti nel 2014 e 2015 accordi di programma specifici per il risanamento ambientale e industriale;
   dal 2008 al 2012 privati cittadini e rappresentanti dell'associazione ambientalista «No smog» hanno presentato numerosi esposti e segnalazioni alla procura della Repubblica di Trieste per denunciare il degrado ambientale e sanitario nel comprensorio abitativo di Servola e le emissioni dello stabilimento industriale che per più anni consecutivi hanno superato notevolmente i limiti di legge e i valori obiettivo;
   tale problematica è stata già affrontata dall'interrogante con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-01360, presentato il 22 luglio 2013, al quale non ha fatto seguito alcuna risposta;
   da un particolareggiato articolo del quotidiano Il Piccolo, pubblicato il 3 dicembre 2013, si apprende che il pubblico ministero Matteo Tripani abbia avviato un'inchiesta secondo la quale sarebbero 83 gli operai della Ferriera morti a causa di tumori dal 2000 al 2013. Sarebbe stata minuziosamente ricostruita la carriera lavorativa di ognuna delle vittime, dalla data di assunzione, alle mansioni svolte, alle malattie segnalate ai medici. Inoltre, grazie ad un'indagine effettuata svolta per conto del pubblico ministero Tripani sempre nel 2013 dal dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria prendendo in considerazione i dati dell'Inps e dell'Inail ed incrociandoli con quelli dei dipendenti succedutisi nello stabilimento, verrebbe evidenziato come per i lavoratori della Ferriera la probabilità di ammalarsi di tumore ai polmoni o ai bronchi sia stata il 50 per cento superiore rispetto al resto della popolazione;
   obbiettivo del fascicolo sarebbe stato di accertare sia il nesso di casualità tra l'esposizione all'inquinamento prodotto dagli impianti del sito industriale e l'insorgere delle neoplasie, sia di risalire alle responsabilità di chi intenzionalmente non abbia posto rimedio alla situazione, pur essendone a conoscenza;
   lo stesso articolo fa riferimento anche ad un'altra inchiesta, condotta dal procuratore Federico Frezza. Nel 2007, il documento sottoscritto dai dottori Pierluigi Barbieri e Ranieri Urbani dell'università di Trieste, consulenti tecnici della procura, riportava i seguenti dati tecnici: «Si rileva che dopo un'unica somministrazione del particolato si ha sia un'accelerazione della crescita tumorale, che perturbazioni del ciclo cellulare nelle cellule normali, con una tendenza a una crescita incontrollata. Sono in corso test di mutagenesi su linee batteriche selezionate e standardizzate che evidenziano sostanze capaci, sia come tali che come precursori di altre ancora più attive, di provocare danni di diversa natura al Dna»; nell'inchiesta del procuratore Frezza, parallela a quella del pubblico ministero Tripani, sarebbe stato evidenziato il nesso causale tra l'esposizione al benzene e agli idrocarburi e l'insorgenza di neoplasie tra chi ha prestato servizio nello stabilimento di Servola;
   l'articolo sottolinea che l'indagine «nel giro di qualche mese dovrebbe concludersi con una raffica di rinvii a giudizio», addirittura ipotizzando la celebrazione dei relativi processi nel 2014; tuttavia, non risulta disponibile alcuna informazione in relazione al termine effettivo delle indagini che, alla luce dei molti particolari riportati dal quotidiano, nel dicembre del 2013 si stessero avviando verso la conclusione;
   a parere degli interroganti appare quantomeno preoccupante come alcuna informazione sia rintracciabile in relazione al seguito dell'inchiesta sugli 83 operai della Ferriera deceduti dal 2000 e come la maggior parte degli esposti presentati dal 2008 al 2012 da cittadini ed associazioni non abbia avuto seguito –:
   se il Ministro interrogato intenda attivare iniziative ispettive presso l'autorità giudiziaria coinvolta nelle vicenda di cui in premessa, ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza e quale ne sia l'eventuale tempistica. (4-10906)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   DE ROSA, MANNINO, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del CIPE n. 8 del 2008: «collegamento tra la s.s. n. 11 “Padana Superiore” a Magenta e la tangenziale ovest di Milano, con variante di Abbiategrasso e adeguamento in sede della S.S. n. 494 da Abbiategrasso fino al nuovo ponte sul Ticino» (cup f32c05000320001), al comma 2.1, viene assegnato, per la realizzazione dell'intervento, in via programmatica, un contributo di euro 6.095.743 per 15 anni, con decorrenza 2009;
   tale contributo, individuato come «Fondo Malpensa», risulta ammontare, ad oggi, ad euro 102 milioni, come indicato nella risposta all'interrogazione n. 5-05832;
   con delibera n. 63 del 2015 viene approvato il contratto di programma Anas che finanzierebbe l'intervento per ulteriori 118 milioni di Euro, coprendo l'intero costo dell'opera per un totale di 220 milioni di euro;
   per la regione Lombardia, solo il 15 per cento dei fondi stanziati dal contratto di programma con Anas è destinato alla manutenzione delle strade ed il restante 85 per cento è destinato a questa unica opera;
   questo progetto ha il fine di affrontare nodi viabilistici, tutti risolvibili con interventi puntuali di decongestionamento e circonvallazione sulla viabilità esistente, con una nuova infrastruttura lineare la quale, correndo a ridosso del confine tra Parco del Ticino e Parco Sud, comprometterebbe molte connessioni ecologiche e paesaggistiche tra le due aree protette;
   il dichiarato beneficio di questa nuova opera non appare agli interroganti supportato da una seria valutazione di efficacia in ordine ai costi, economici e ambientali, che la sua realizzazione comporta, quali la frammentazione dei fondi agricoli, la riduzione di superfici coltivabili, la perdita di superfici per la gestione dei reflui zootecnici, la maggior dipendenza da importazioni di foraggi, l'interferenza con l'infrastruttura irrigua che mette a rischio il tipico sistema di irrigazione per scorrimento, particolarmente appropriato, in quest'area, a perpetuare la fertilità e la produttività della terra;
   se realizzata, l'opera distruggerebbe, dunque, il territorio del parco agricolo sud Milano, tra i più fertili d'Europa e il parco della valle del Ticino, dichiarato dall'Unesco «riserva della biosfera mab.»;
   i cittadini, gli enti territoriali, le associazioni di categoria, gli agricoltori e le associazioni ambientaliste hanno individuato le risposte ai problemi locali di mobilità in opere alternative, quali la risoluzione dei nodi critici, come l'attraversamento di centri urbani e l'eliminazione delle intersezioni semaforiche;
   resta ancora inattuato, inoltre, il collegamento, dei maggiori centri al servizio ferroviario suburbano, che oggi si attesta ad Albairate, sebbene l'infrastruttura ferroviaria esista e richieda solo degli adeguamenti per servire le città di Abbiategrasso e Vigevano;
   tali interventi ridurrebbero il consumo di suolo, i costi e gli impatti sociali rispettando, comunque, l'obiettivo del progetto che è il collegamento di Malpensa a Milano;
   per realizzare l'opera sarebbe necessario individuare ulteriori risorse, mentre per realizzare gli interventi di adeguamento proposti da associazioni e comitati si potrebbero utilizzare i già stanziati e disponibili –:
   se il Governo, alla luce di quanto premesso e dell'imminente superamento della «legge obiettivo» previsto dal disegno di legge delega di revisione della normativa sugli appalti –, non intenda assumere iniziative per un'integrale revisione del progetto di adeguamento viario, tenendo conto delle indicazioni pervenute dai comitati e dalle associazioni ed inserendo l'opera nel piano generale dei trasporti e della logistica, attribuendone contestualmente le risorse pubbliche già stanziate attraverso il «fondo Malpensa» e i fondi ANAS destinati al collegamento tra Malpensa e Milano. (5-06804)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   decine di motociclisti ogni anno perdono ancora la vita, quando non rimangono brutalmente mutilati, a causa dei guard rail che vengono installati ai bordi delle strade;
   tali dissuasori sono stati progettati per contenere automobili e camion in caso di urto, ma non tengono in considerazione la presenza dei motociclisti e dei ciclisti;
   le principali associazioni motociclistiche che si occupano di sicurezza e prevenzione hanno iniziato a segnalare il problema negli anni ’90;
   da ormai 20 anni si sta cercando di far prendere in considerazione questo terribile pericolo per i dueruotisti;
   si tratta di un problema facilmente risolvibile, in quanto esistono soluzioni adeguate già da parecchio tempo;
   le aziende che realizzano i guard rail salva-motociclista sono in gran parte italiane;
   una banale scivolata può condurre a conseguenze disastrose;
   impattare contro i sostegni metallici dei guard rail, che sono vere e proprie lame significa nella migliore delle ipotesi riportare lesioni da taglio e fratture, nella peggiore delle ipotesi si può arrivare alla decapitazione o alla mutilazione di uno o più arti;
   l'abbigliamento protettivo non può fare nulla contro tagliole di questo genere;
   per essere decapitati dai paletti di sostegno dei guard rail non è necessaria una velocità d'impatto elevata;
   sono purtroppo decedute anche persone che stavano andando in bicicletta, e questo fatto dovrebbe far riflettere seriamente;
   si tratta di lame di metallo che possono provocare ferite semplicemente passando una mano su di esse «a mo’ di carezza»;
   le scivolate non dipendono sempre dall'imperizia dei motociclisti, infatti a volte essi sono vittime di automobilisti che li investono facendoli cadere dal mezzo;
   una volta finiti sull'asfalto non hanno più alcun controllo sul proprio corpo e se davanti a loro compare un ostacolo non c’è niente che possano fare per evitarlo;
   le statistiche dicono che nella assoluta maggioranza dei casi le lesioni subite dai motociclisti si verificano non al momento dell'impatto della moto, ma dopo la caduta dal veicolo a causa di ostacoli di vario genere incontrati durante la scivolata;
   se fossero presenti vie di fuga e protezioni morbide attorno alle infrastrutture il numero di motociclisti morti o anche solo feriti diminuirebbe drasticamente;
   la presenza del guard rail aggrava in molti casi le conseguenze degli incidenti;
   molti esperti di sicurezza stradale sostengono che rimuovere i guard rail mal posizionati e obsoleti contribuirebbe a ridurre le conseguenze di una eventuale uscita di strada;
   la soluzione del problema riguarda i guard rail di nuova installazione e l'adattamento di quelli già esistenti;
   l'intervento prevede di coprire i paletti di sostegno dei guard rail con un materiale elastico che possa contenere il corpo umano in caso di impatto durante una scivolata sull'asfalto;
   occorre adattare i guard rail di vecchia concezione senza sostituirli, e installare laddove manchino barriere moderne concepite espressamente per contenere qualsiasi tipo di impatto;
   tale barriera moderna impedisce ai veicoli (moto comprese) di finire fuori strada e al tempo stesso funge da ammortizzatore nei confronti del corpo umano;
   non esiste una legge nazionale che imponga a chi si occupa delle strade di tenere conto delle esigenze dei motociclisti;
   all'estero, come spesso accade, si è cominciato a correre ai ripari già da tempo;
   in Spagna è stato compiuto un grosso sforzo per adattare i guard rail già esistenti sulle strade più frequentate dai motociclisti; quelli di nuova installazione devono seguire lo stesso principio;
   in Austria, Francia, Svizzera e Germania sta accadendo la stessa cosa –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative affinché i gestori delle reti viarie avviino un processo di adeguamento dei vecchi guard rail in modo da eliminare o limitare le conseguenze di tali incidenti;
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative stringenti, anche attraverso modifiche al codice della strada, per obbligare all'adeguamento ai necessari parametri di sicurezza rispetto al tema richiamato;
   se non ritenga di dover predisporre un monitoraggio costante di tale tematica al fine di definire un piano articolato in grado di limitare tale grave fenomeno legato alla inadeguatezza delle strade italiane;
   se non ritenga di dover convocare le associazioni dei motociclisti al fine di valutare gli interventi da attuare con urgenza sulla rete viaria. (5-06799)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'annullamento del decreto che imponeva, gli oneri di servizio sulle tratte aeree che collegano la Sardegna verso gli scali minori italiani – la «continuità territoriale 2» – si è registrato un deciso incremento delle tariffe che rende particolarmente onerosi gli spostamenti da e per l'isola;
   la fine del monopolio di Meridiana sulle rotte aeree verso gli scali minori ha avuto in particolare come effetto immediato il «decollo» delle tariffe;
   il disinvestimento che la compagnia aerea Meridiana sta operando rischia di spaccare in due l'isola, rendendo sempre più acuto l'isolamento della Sardegna (e del Nord Sardegna, in misura maggiore) dal resto d'Italia;
   l'Adiconsum ha segnalato che, nel giro di pochi giorni, i prezzi sono raddoppiati e, pertanto, ha annunciato una segnalazione all'Antitrust per capire se le società si siano messe d'accordo;
   la Sardegna è l'unica regione italiana in cui l'arrivo della concorrenza ha portato un aumento dei prezzi;
   i rincari riguardano tutte le tratte e tutte le compagnie, senza eccezione alcuna;
   dopo l'annullamento del decreto, la compagnia Meridiana ha deciso di ritoccare al rialzo i prezzi. Nello specifico: i voli da Cagliari verso Bologna e Napoli sono passati da 86 euro a 135 euro a tratta. È peggiore la situazione per i voli da Cagliari a Torino, dove la tariffa supera i 200 euro (prima costava 90 euro);
   chi deve partire verso gli scali minori dell'ex «continuità territoriale 2», è costretto ad abituarsi alle logiche delle compagnie low cost: si risparmia soltanto programmando per tempo il viaggio. In caso contrario, i prezzi sono altissimi, superiori a quelli delle compagnie tradizionali;
   inoltre, con le compagnie aeree low cost, come è noto, anche imbarcare un bagaglio nella stiva è costoso, soprattutto se fatto all'ultimo momento: Ryanair chiede fino a 160 euro, Volotea si ferma a 40 euro;
   sugli aerei delle compagnie low cost poi non possono inoltre viaggiare i passeggeri in barella. In ogni caso, i servizi offerti dalle compagnie low cost sono diversi da quelli imposti nel decreto in materia di continuità territoriale, revocato di recente –:
   se sia a conoscenza di questa situazione;
   se non ritenga opportuno segnalare il «caso Sardegna» all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai sensi dell'articolo 12 della legge 10 ottobre 1990, n. 287;
   se non ritenga grave questa situazione e quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire ai cittadini sardi di potersi muovere liberamente in aereo, con l'individuazione di prezzi e servizi che siano all'altezza di un sistema di trasporti moderno ed efficiente.
(5-06807)


   CRIVELLARI e CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 2008 è stato dato avvio al nuovo sistema di gestione dei veicoli sottoposti a provvedimenti di fermo, sequestro e confisca, ai sensi dell'articolo 214-bis del vigente codice della strada. A supporto del nuovo processo di gestione che si proponeva come obiettivo, oltre a quello volto a garantire il rispetto del codice della strada, anche quello di ridurre le spese relative agli oneri di custodia a carico dello Stato, l'Agenzia del Demanio ha realizzato, di concerto con il Ministero dell'interno, un applicativo informatico denominato S.I.Ve.S., il cui scopo principale era di rendere più celeri e facilmente fruibili le comunicazioni e le informazioni tra tutti i soggetti coinvolti nel processo di gestione, tramite la creazione di una banca dati nazionale;
   il S.I.Ve.S. ha determinato una riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti; ciononostante permangono numerose criticità connesse soprattutto all'errato inserimento dei dati da parte di alcuni organi accertatori, quale ad esempio la mancanza o l'erroneità dei dati relativi al trasgressore e all'obbligato in solido;
   con circolare del 1o agosto 2014, il Ministero dell'interno, sempre nell'ottica del contenimento e della riduzione della spesa, ha disposto l'obbligo di affidare il veicolo sottoposto a provvedimenti di fermo, sequestro e confisca al proprietario o, in assenza, al conducente dello stesso. Soltanto nel caso in cui i soggetti predetti rifiutino, ovvero non abbiano i requisiti previsti per assumere la custodia, il veicolo sequestrato o fermato deve essere consegnato al custode-acquirente convenzionato e competente per territorio;
   tale previsione non garantisce la sospensione della circolazione dei soggetti a provvedimento di fermo;
   l'articolo 214-bis del codice della strada aveva previsto la figura del custode-acquirente, convenzionato con il Ministero dell'interno e con l'Agenzia del demanio, al quale i veicoli sequestrati, che non sono stati consegnati al proprietario o al conducente, devono essere affidati con l'onere di custodia e con l'eventuale obbligo di acquistarne successivamente la proprietà. Il custode-acquirente, cui è affidato il servizio di recupero e custodia nell'ambito di ogni provincia, è individuato a seguito di procedure ad evidenza pubblica. Con lo stesso, la prefettura e la filiale dell'Agenzia del demanio competente stipulano un contratto, sulla base del contratto-tipo predisposto dal Ministero dell'interno;
   le spese di custodia del veicolo sono corrisposte al custode da parte dell'autorità amministrativa che successivamente è tenuta al recupero delle stesse nei confronti del proprietario dello stesso;
   tale ultima indicazione, unitamente ai lunghi tempi di permanenza dei veicoli all'interno delle depositerie autorizzate, ha determinato costi altissimi per lo Stato che, anche a causa della cronica insufficienza dei fondi ad esso destinati, nonché dell'ingente debito già in arretrato, non riesce a far fronte al pagamento di quanto dovuto ai «custodi-acquirenti»;
   la lentezza di tale sistema è inoltre confermata anche dal fatto che il Ministero dell'interno e l'Agenzia del demanio, nel 2012, hanno indetto una procedura aperta per il rinnovo dell'affidamento del servizio di recupero, custodia e acquisto dei veicoli oggetto dei provvedimenti di sequestro amministrativo, fermo o confisca ai sensi dell'articolo 214-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992 (cosiddetto custode acquirente). Tuttavia, nonostante tale procedura risulti conclusa, a quanto risulta agli interroganti, nessuna delle aziende vincitrici ha, ad oggi, ancora ottenuto l'assegnazione per l'ambito di competenza –:
   lo stato dell'arte della procedura, conclusasi nel 2012, per il rinnovo dell'affidamento del servizio di recupero, custodia e acquisto dei veicoli oggetto dei provvedimenti di sequestro amministrativo, fermo o confisca ai sensi dell'articolo 214-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992;
   quali altre azioni si intendano intraprendere per ovviare alla situazione critica derivante dalla prolungata permanenza dei veicoli nelle depositerie autorizzate, nonché dall'assenza dei pagamenti nei confronti delle aziende che risultano creditrici verso le amministrazioni interessate. (5-06815)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   martedì 21 ottobre 2015 presso Sailetto, frazione del comune di Suzzara in provincia di Mantova, è stato arrestato dalla digos un cittadino pakistano ritenuto responsabile di associazione a delinquere con finalità di terrorismo;
   l'arresto, rientra nell'operazione «Looming» condotta dalla polizia di Stato;
   la persona arrestata, Muhammard Bilal di 25 anni, risulta domiciliata a Sailetto e avrebbe divulgato attraverso i suoi profili Facebook, materiale inneggiante alla jihad e al martirio, istigando gli utenti del social network a compiere atti di violenza con finalità di terrorismo;
   secondo gli inquirenti farebbe parte di un'organizzazione terroristica anticristiana e antisciita;
   l'indagine, protattasi per quasi un anno ed estesa anche in un ambito di collaborazione internazionale dal servizio centrale antiterrorismo della direzione centrale della polizia di prevenzione, si è giovata anche di attività di intercettazione telefonica ed ambientale. In particolare, in alcune conversazioni sono stati registrati dialoghi tra l'arrestato e suoi connazionali vertenti su addestramenti militari e disponibilità di armi;
   l'arrestato è arrivato, a bordo di un barcone proveniente dalla Libia, nel gennaio 2014 ed è stato smistato in un centro di accoglienza di Siracusa;
   il 19 giugno, 2014 è stato collocato nella comunità «Città del Sole» di Piazza Armerina ed è proprio durante la sua permanenza nella città ennese che gli investigatori hanno attenzionato i suoi comportamenti;
   i poliziotti hanno accertato che l'uomo era il leader della comunità pakistana presente a Piazza Armerina e che, nonostante possedesse sei schede telefoniche, tutte date in uso ad altre persone, per le sue chiamate personali ne utilizzava una settima, non intestata a lui;
   gli inquirenti stanno ricostruendo la rete di contatti che aveva sul territorio nazionale e quindi l'arresto del venticinquenne pakistano rappresenta solo il primo capitolo di un'inchiesta più ampia anche perché Bilal era pronto a partire per il Canada dove aveva contatti con altri suoi connazionali –:
   se, alla luce del suddetto arresto, vi siano elementi che possano far presupporre la presenza di una possibile cellula eversiva operativa sul territorio mantovano e quali iniziative di competenza intenda attivare per il rafforzamento dell'attività di controllo delle forze dell'ordine rispetto a simili fattispecie di reato.
(5-06802)


   LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, VACCA, D'UVA, DI BENEDETTO, BRESCIA e NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere — premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159, è stata introdotta, a far data dal 1 gennaio 2015, una nuova disciplina in materia di ISEE;
   l'ISEE, l'indicatore della situazione economica equivalente, introdotta nel nostro ordinamento dal decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 109, è una delle principali misure della ricchezza dei nuclei familiari italiani a garanzia dell'equità sociale e al fine di consentire ai contribuenti a basso reddito di accedere a prestazioni sociali e servizi di pubblica utilità a condizioni agevolate, ivi compresi le tasse e i contributi universitari;
   con l'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159, e con il conseguente inasprimento dei criteri per il computo dell'ISEE, secondo i dati pubblicati dalle Aziende per il diritto allo studio universitario di diversi atenei rielaborati dalle organizzazioni studentesche: nella regione Lazio, su 24 mila domande di borsa di studio presentate, gli esclusi risulterebbero 11 mila; il 25 per cento a Cagliari; in Veneto, in base ai dati relativi alle residenze universitarie, gli idonei si sono ridotti a 880 unità contro le 1332 dello scorso anno (-39 per cento); in Puglia, il calo delle domande sarebbe del 30 per cento a Bari e del 23 per cento a Lecce; a Milano, nelle università statale e Bicocca, le domande di riconferma di alloggio sono calate del 15 per cento; in Toscana, rispetto allo scorso anno le domande di borsa di studio sono crollate di 1349 unità a Firenze, di 990 a Siena e addirittura di più di 1800 a Pisa;
   proprio a Pisa il 20 ottobre 2015, un gruppo di studenti ha occupato alcune aule dell'edificio che ospita il polo dedicato ai corsi di scienze per la pace in via Emanuele Filiberto (cosiddetto «Ex Gea»), l'edificio che l'ateneo vorrebbe cedere alla Cemes dei fratelli Madonna in un'operazione speculativa che l'amministrazione universitaria starebbe concertando per consentire ai costruttori di realizzare delle nuove residenze private;
   secondo «il Tirreno», le cui tesi sono comprovate da altre testate giornalistiche, l'occupazione ha rappresentato un atto di contestazione maturato al termine di un'assemblea studentesca tenutasi al polo universitario Fibonacci al fine di fare un bilancio e discutere nuove iniziative di protesta contro la suddetta nuova riforma dell'ISEE;
   alle ore 18:00 del giorno 22 ottobre, come chiaramente testimoniato in un video pubblicato in tempo reale sulla pagina Facebook «Exploit Pisa» dagli stessi studenti occupanti l'Ex-Gea che ritrae un poliziotto (poi identificato come il dirigente Digos Rainone) che brandisce un'arma da fuoco durante il blitz, «polizia e reparti della celere» hanno fatto irruzione «pistola alla mano, terrorizzando e accerchiando i presenti», chiedendo i documenti agli studenti, identificandoli e sgomberando in tal modo l'edificio;
   la situazione ha, poi, rischiato di precipitare, causando violenti scontri e tafferugli per le vie della città tra studenti e forze dell'ordine;
   all'avvocato Tiziano Checcoli, chiamato dagli studenti e arrivato sul posto a intervento già avvenuto, è stato riferito che le forze dell'ordine stavano procedendo «per furto»;
   due giorni prima, il 20 ottobre, infatti, al momento dell'occupazione delle aule Ex-Gea in seguito all'assemblea, gli studenti hanno rinvenuto una sorta di deposito contenente un ingente numero di pubblicazioni in stato di evidentemente abbandono, come dagli stessi direttamente denunciato agli organi di stampa contestualmente al ritrovamento;
   ciononostante, l'ateneo, il 23 ottobre, ha comunicato in una nota di essersi «limitato a segnalare il fatto agli organi competenti a fronte di ripetute segnalazioni che denunciavano la sottrazione di libri dal magazzino presente nel complesso e all'evidenza che tali comportamenti erano ancora in corso, l'Università ha provveduto ad allertare il 113»;
   le proteste non si sono placate neanche nelle 24 ore successive al blitz delle forze dell'ordine: gli studenti sono confluiti verso il rettorato chiedendo le dimissioni del rettore Massimo Augello e del funzionario dell'economato dell'ateneo Federico Massantini;
   alle proteste corali degli studenti, secondo i quali l'amministrazione dell'ateneo avrebbe richiesto uno sgombero armato perché avevano scoperto lo scandalo delle migliaia di libri abbandonati, il rettore ha risposto che tali accuse erano false, che quello dell'Ex-Gea è un magazzino in piena regola e ha sottolineo a più riprese, al megafono, che nessuno dell'Ateneo ha mai chiesto lo sgombero degli studenti occupanti –:
   se, da quali soggetti, con quali autorità e in quali circostanze sia stato ordinato uno sgombero, di fatto armato di studenti universitari e con quali modalità intendano accertare, per quanto di competenza quelle che gli interroganti giudicano gravissime ed evidenti responsabilità nel caso in questione che, oltre a rappresentare un abominio per un Paese democratico, avrebbero potuto causare una tragica degenerazione degli avvenimenti.
(5-06814)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un'abitazione situata in una delle zone residenziali di maggior pregio a Como, in via Petrarca, è stata attaccata il 24 ottobre 2015 nelle prime ore della sera da alcuni topi d'appartamento;
   nell'abitazione si trovava in quel momento una famiglia, che si è trovata quindi «a tu per tu» con i malviventi, apparentemente due stranieri che si esprimevano in una lingua dell'Est europeo;
   ne derivava una colluttazione, durante la quale uno dei membri della famiglia, il proprietario dell'abitazione, stava riuscendo ad immobilizzare uno dei malviventi, quantunque questo fosse armato di coltello;
   l'altro tuttavia puntava nel frattempo un'arma da fuoco contro uno dei ragazzi che abitavano nella casa, caricandola e dando così l'impressione di esser pronto a sparare allo scopo di aprire ad entrambi i malviventi la via della fuga;
   i fatti si svolgevano tutti all'interno dell'appartamento, trasformando quello che poteva essere soltanto un furto in una rapina a mano armata;
   i malviventi quindi fuggivano, permettendo finalmente alla famiglia rapinata di chiamare le forze dell'ordine, giunte sul posto nel breve volgere di pochi minuti;
   si apprendeva nella circostanza che prima di aver tentato la rapina appena descritta, i due malviventi avevano compiuto un furto in un secondo appartamento adiacente;
   una terza casa veniva inoltre svaligiata la stessa notte nell'area, almeno stando a quanto ha riportato la stampa locale lariana –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare l'inviolabilità del domicilio e la sicurezza delle persone a Como;
   se non si ritenga opportuno rafforzare i presidi delle forze dell'ordine a Como. (4-10890)


   DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nella visita in Giappone del mese di agosto 2015 il Presidente del Consiglio ha evidenziato l'importanza dei rapporti tra Italia e Giappone e, come si legge da fonti giornalistiche, ha assicurato l'appoggio del nostro Paese affinché «l'Unione europea dia un'approvazione rapida sia dell'accordo di libero scambio Ue-Giappone sia per il partenariato strategico»;
   sulla base di queste premesse un primo passo potrebbe essere fatto proprio sul piano culturale rendendo più semplice il soggiorno studio nei due Paesi e favorendo gli scambi tra università e scuole di specializzazione;
   la normativa attuale sui permessi per gli studenti che vogliono trascorrere periodi di studio o di studio/lavoro in Italia prevede una possibilità di soggiorno senza visto per soli 3 mesi e non consente di svolgere attività retributive in quel periodo, per studiare e lavorare per periodi più lunghi, invece, le procedure di ottenimento di un visto sono molto più complesse;
   diversamente avviene per altri Paesi europei tra cui Germania, Francia, Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda, con i quali il Giappone ha concluso un accordo sulle vacanze di lavoro (Working Holiday Agreement). Tale accordo prevede che gli studenti dai 18 ai 30 anni possano ottenere un permesso di soggiorno per un anno e incoraggia questi giovani a cercare un lavoro per coprire le spese;
   sarebbe, pertanto, opportuno adeguare la normativa nei rapporti bilaterali tra Italia e Giappone anche in questo campo e la celebrazione – ormai prossima – dei 150 anni dalla firma del primo trattato diplomatico tra i due Paesi potrebbe rappresentare l'occasione perfetta per un impulso significativo agli scambi culturali e umani (tra l'altro a costo zero) proprio nell'anno in cui si festeggia l'amicizia Italo-Nipponica –:
   se il Governo abbia già avviato un'interlocuzione con le autorità giapponesi su questi temi e quali iniziative intenda adottare per favorire lo scambio culturale tra studenti dei due Paesi. (4-10901)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DADONE, BRESCIA, DI BENEDETTO, VACCA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica è decisione attualmente rimessa alla volontà delle famiglie o degli alunni maggiorenni, da esprimersi per iscritto all'atto dell'iscrizione nelle scuole pubbliche italiane;
   un recente articolo di stampa ha posto in rilievo i dati del territorio nazionale in ordine al numero di alunni che si avvalgono della cosiddetta «ora di religione», che risulta in forte riduzione, in moltissimi casi si tratta di pochi alunni per classe, in alcuni casi, pur isolati, anche di un unico alunno; in sostanza, l'insegnamento della religione avverrebbe, effettivamente, in «aule semivuote»;
   in epoca di sofferenza del comparto dell'istruzione, di necessità di risparmi, in presenza dei tagli che si sono perpetrati negli anni recenti, a fronte degli accorpamenti delle classi adottati nel caso di riduzione o non raggiungimento del necessario numero di alunni, che ha intaccato, in alcuni casi, anche il diritto alle classi a tempo pieno o al cosiddetto sistema del «modulo», almeno nella scuola elementare, la notizia relativa all'insegnamento della religione colpisce in modo particolare;
   preme agli interroganti segnalare che la disciplina vigente a questo riguardo è data dalla legge 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica del Concordato modificato nel medesimo anno, e dalla circolare ministeriale 20 dicembre 1985, n. 368, applicativa dell'intesa tra CEI e Ministero dell'istruzione;
   la legge n. 121 del 1985 dispone in ordine all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole materne, elementari, medie e superiori, lasciando alle famiglie la facoltà di avvalersene o meno; è stabilito specificamente che: «avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non deve dar luogo a nessuna forma diretta o indiretta di discriminazione»;
   nella circolare n. 368 viene aggiunto che: «La scelta in ordine all'insegnamento della religione cattolica non deve in alcun modo interferire o condizionare, o costituire comunque criterio per la composizione delle classi»;
   è stata altresì riportata dalla stampa la dichiarazione delle diocesi competenti: «Accorpare le classi per formare gruppi di studenti più numerosi è vietato. Sarebbe considerato discriminatorio»;
   non sembrerebbe trovarsi rispondenza tra la suddetta dichiarazione, il dettato normativo ed il testo della circolare, anche perché, nel caso di specie, non si tratterebbe di accorpare «classi», bensì alunni; la situazione sembrerebbe, al contrario, produrre una discriminazione rispetto all'insegnamento delle altre materie –:
   quale sia l'orientamento del Ministro in ordine ai fatti esposti in premessa e se non ravveda in essi motivi e cause di discriminazione. (5-06801)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la tutela delle minoranze linguistiche è prevista dall'articolo 6 della Costituzione (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche);
   nel 1999 la Conferenza generale dell'UNESCO ha istituito per il 21 febbraio la Giornata internazionale della lingua madre; nella risoluzione n. 12 Attuazione di una politica linguistica mondiale fondata sul plurilinguismo, la Conferenza generale dell'UNESCO individua nella differenziazione delle lingue un valore da difendere e un principio di tolleranza e di mutuo rispetto tra culture e popoli;
   anche il Parlamento europeo ha mostrato particolare attenzione alla questione dei diritti linguistici, già a partire dalla risoluzione Arfè del 1981, volta alla valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico delle regioni europee, fino ad arrivare all'emanazione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 1992 e alla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali del 1994;
   in Italia è stata approvata la legge n. 482 del 1999 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» che prevede la tutela della lingua e della cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo. Nel 2001 viene emanato il regolamento di attuazione, che disciplina le modalità di delimitazione dell'ambito territoriale di tutela e le misure da assumere in ambito scolastico, nella pubblica amministrazione e nei mezzi di comunicazione. La produzione legislativa nazionale in materia di minoranze linguistiche è stata affiancata e integrata da leggi regionali che hanno introdotto specifiche, ma non sempre coerenti, disposizioni in tema di valorizzazione delle alterità linguistiche e dei patrimoni linguistici locali. Ad esempio, i provvedimenti relativi al bilinguismo in provincia di Bolzano hanno riguardato anche la minoranza ladina del Sudtirolo (ma non quella delle province di Trento e di Belluno);
   la regione del Veneto, con legge regionale 23 dicembre 1994, n. 73, promuove la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale delle minoranze etniche e linguistiche presenti nel Veneto. In applicazione della normativa, ogni anno sono previsti fondi nel capitolo n. 70040 avente ad oggetto «Fondo per interventi di promozione delle comunità etniche e linguistiche del Veneto», contributi per iniziative culturali riguardanti la tutela, il recupero, la conservazione e la valorizzazione di testimonianze storiche che legano le comunità al proprio territorio; lo sviluppo della ricerca storica e linguistica, la pubblicazione di studi, ricerche e documenti, l'istituzione di corsi di cultura locale, la valorizzazione della lingua e della toponomastica; la costituzione e valorizzazione di musei locali o di istituti culturali specifici; l'organizzazione di manifestazioni rivolte alla valorizzazione di usi, costumi e tradizioni proprie delle comunità. La regione Veneto favorisce la costituzione di un istituto regionale di cultura ladina, tra le associazioni culturali ladine e gli enti locali interessati (articolo 6 della legge regionale n. 73 del 1994);
   il consiglio provinciale di Belluno — con delibera n. 30 del 244 del 27 ottobre 2001 — ha delimitato l'ambito territoriale delle minoranze linguistiche ladine e germaniche sulla base delle rispettive deliberazioni consiliari dei propri comuni. Per quanto riguarda la minoranza linguistica ladina, dal 2003 la provincia di Belluno riconosce unicamente l'istituto Ladin de la Dolomites come l'istituto provinciale bellunese di cultura ladina, che rappresenta le comunità ladine di 35 comuni di Agordino, Cadore, Comelico e Zoldo;
   i ladini sono una minoranza linguistica che vive sulle frontiere regionali, nazionali ed internazionali che attraversano le Alpi: i ladini delle Dolomiti che formano il gruppo centrale, i ladini svizzeri del cantone dei Grigioni ed i ladini friulani del Friuli. Il ladino dolomitico costituisce una serie di dialetti appartenenti al gruppo delle lingue retoromanze, parlati da circa 30.000 persone nella parte orientale dell'arco alpino, che ha come centro naturale il massiccio del Sella: la Val Badia con Marebbe e la Val Gardena in provincia di Bolzano; la Val di Fassa con Moena in provincia di Trento; Livinallongo del Col di Lana, Colle Santa Lucia e Cortina d'Ampezzo in provincia di Belluno;
   i ladini delle Dolomiti sono presenti in tre province (Trento, Bolzano e Belluno) e due regioni (Trentino-Alto Adige e Veneto): questa ripartizione attualmente rappresenta il più grande ostacolo al tentativo di unificazione, tenendo anche conto che ognuna di queste comunità ha un diverso grado di tutela a seconda delle province in cui sono ubicate:
    alle comunità di Bolzano sono assicurate il diritto alla valorizzazione delle proprie iniziative ed attività culturali di stampa e ricreative nonché il rispetto della toponomastica e delle tradizioni, analoghe ai due gruppi linguistici maggiori (l'italiano ed il tedesco); nelle scuole delle Valli Ladine di Gardena e di Badia vige il sistema paritetico in cui gli insegnamenti sono impartiti nelle lingue italiane e tedesca per lo stesso numero di ore complessive settimanali con la presenza della lingua ladina come lingua strumentale e in parte come materia di insegnamento;
    al gruppo presente in provincia di Trento è garantita una tutela stabilita dallo statuto e dalla legislazione regionale;
   i ladini del Veneto fruiscono delle misure di tutela previste dalla legge nazionale n. 482 del 1999 e dalla legislazione regionale: si registra l'impegno da parte dello Stato e della regione Veneto, anche attraverso l'erogazione di contributi destinati a progetti locali di diffusione della cultura e della lingua, per la tutela delle lingue minoritarie riconosciute; nelle scuole l'educazione linguistica prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative e come strumento di insegnamento (facoltativo e non obbligatorio);
   in Veneto, l'insegnamento della lingua ladina nelle aree territorialmente riconosciute è facoltativo e di fatto non viene esercitato anche per la mancanza di adeguata formazione del corpo docente, pur essendoci a Bressanone (BZ) una sezione universitaria di linguistica che potrebbe essere il riferimento per gli aggiornamenti professionali, stante l'esistenza di accordi transregionali e progetti transfrontalieri in materia;
   nella provincia di Belluno esistono due istituti culturali ladini, con identità differenti:
    l'istituto Ladin de la Dolomites con sede a Borca di Cadore, riconosciuto ufficialmente nel 2003 dall'amministrazione provinciale e che riceve contributi dalla regione Veneto;
   l'Istitut Cultural Ladin «Cesa de Jan» con sede a Colle S. Lucia, sostenuto economicamente dai comuni di Livinallongo del Col di Lana, Colle Santa Lucia, Cortina d'Ampezzo e dalle unioni ladine del Trentino-Alto Adige, che si occupa della salvaguardia delle varianti ladine parlate nella parte orientale delle Dolomiti a Cortina d'Ampezzo, Colle S. Lucia e Livinallongo del Col di Lana. L'istituto culturale non è riconosciuto ufficialmente in Veneto come ente di riferimento della cultura ladina, pur appartenendo alla Unione generale dei ladini delle Dolomiti (Union Generela di Ladins dla Dolomties con sede a Ortisei-BZ) istituita per la prima volta nel 1905 e riferimento storico della cultura ladina;
   la Union Generela di Ladins dla Dolomties dal 2010 al 2013 ha ottenuto dallo Stato un contributo annuo di circa 42 mila euro (complessivamente 170.080,00 i 5 anni) per il progetto di diffusione della lingua e della cultura ladina attraverso il giornale di minoranza linguistica «La Usc di Ladins». L'associazione però ha ricevuto ogni anno dallo Fato solo acconti (complessivamente 98.295,01 euro) — sempre decrescenti – del contributo promesso e ad oggi avanza ancora 71.784,99 euro, per iniziative già svolte e di cui si è trovata costretta ad anticipare le somme) A fronte di richieste e solleciti presentati per sapere se e quando verrebbe erogato il saldo, non è arrivata alcuna risposta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se i Ministri interrogati intendano, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, adottare iniziative normative che consentano di ottenere una disciplina che superi le attuali differenze tra regioni e province a statuto speciale rispetto a quelle ordinarie, così come sopra riportato a titolo di esempio e che permetta di avere uniformità di tutela delle comunità linguistiche minoritarie nei vari contesti territoriali;
   se intendano promuovere progetti ed iniziative che consentano e favoriscano, così come previsto dall'articolo 5 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, l'insegnamento della lingua minoritaria, nelle scuole del Bellunese in cui è presente la comunità ladina, per evitare il rischio della dispersione dell'identità culturale e linguistica;
   quali iniziative intendano assumere per la chiusura, entro brevissimo tempo di tutte le pratiche in sospeso (fra cui quella relativa a «La Usc di Ladins») relative a enti, associazioni e istituti culturali che hanno avuto acconti in questi anni, ma non sono stati totalmente pagati da parte dello Stato. (4-10888)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che negli istituti comprensivi Corrado Melone e Ladispoli 1, nella cittadina laziale, frequentati da 1.230 bambini tra i 3 e i 10 anni di cui il 20 per cento provenienti dall'Est Europa, la lingua rumena è diventata materia obbligatoria;
   tutti gli alunni anche quelli italiani sono perciò obbligati a seguire il corso «lingua, cultura e civiltà romena» per un'ora a settimana, ed è anche prevista un'altra ora facoltativa, in orario extrascolastico;
   il progetto sarebbe finanziato dal Governo della Romania con l'obiettivo di realizzare una maggiore integrazione e comprensione reciproca tra gli italiani e i migranti di origine rumena;
   molti genitori non hanno apprezzato affatto l'iniziativa. Avrebbero preferito piuttosto rinforzare lo studio dell'inglese e dare spazio a materie a loro avviso più importanti, sottolineando come dovrebbero essere gli immigrati a dover imparare la lingua italiana e non il contrario;
   il dirigente del plesso scolastico in questione si è difeso dicendo che il corso non toglierebbe nulla ad altre discipline, che era tutto scritto nel programma della scuola e che quindi i genitori avrebbero dovuto informarsi bene prima di iscrivere i figli in quelle scuole, mostrando quindi, ad avviso dell'interrogante, una posizione di totale chiusura, senza neppure cercare di trovare un'intesa, anzi aggiungendo, secondo quanto riportato dalla stampa, che se il corso non fosse di loro gradimento possono chiedere il nulla osta e andare ad iscrivere i loro figli altrove;
   si stanno raccogliendo le firme per sottoporre il caso al Ministro affinché sia fatta luce sull'intera vicenda –:
   sulla base di quali presupposti sia possibile finanziare corsi come quello di cui in premessa nelle scuole e quali tipi di controlli siano effettuati al riguardo;
   se il Ministro ritenga di inviare immediatamente gli ispettori in questi due istituti scolastici di Ladispoli per verificare la veridicità di queste notizie e, in caso affermativo, se intenda intervenire al fine di impedire questa iniziativa che appare all'interrogante come una provocazione che strumentalizza la scuola e i bambini per portare avanti discutibili battaglie politiche. (4-10893)


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta agli interroganti, dal settembre 2011, data in cui si sarebbe insediato l'attuale dirigente scolastico del liceo «Fermi» di Cosenza – la più grande scuola della provincia di Cosenza e una delle più grandi della Calabria, si è riscontrata una ininterrotta serie di fatti lesivi dei diritti dei lavoratori e della loro dignità, fatti che disattendono le disposizioni contrattuali e che sono stati denunciati e documentati puntualmente dalle locali organizzazioni sindacali del settore scuola;
   nel dicembre 2013 i rappresentanti sindacali provinciali e regionali hanno consegnato all'ufficio scolastico regionale della Calabria una serie di materiale probatorio, attestante tutte le anomalie e le irregolarità avvenute nel Liceo «Fermi»;
   nell'aprile 2014 gli stessi rappresentanti sindacali hanno consegnato un corposo fascicolo sul liceo «Fermi» sia al direttore generale dell'ufficio scolastico regionale della Calabria che al direttore generale del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   purtuttavia, nel luglio 2014, nonostante la naturale scadenza del contratto triennale del dirigente scolastico del liceo, lo stesso è stato riconfermato nella sua attuale sede;
   dopo alcune ispezioni inviate dall'ufficio scolastico regionale, si è svolta, nel settembre 2014, un'ispezione collegiale inviata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che ha ascoltato personale docente, personale tecnico e studenti;
   l'ispezione ha prodotto una pesantissima relazione, che ha determinato il provvedimento di sospensione del dirigente scolastico, una sospensione che, intervenendo per soli 15 giorni, non ha certamente individuato una soluzione definitiva alle irregolarità riscontrate;
   ciononostante, il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale della Calabria, a quanto consta agli interroganti, non ha preso ulteriori provvedimenti in merito –:
   se il Ministro interrogato non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive presso le strutture dirigenziali dell'ufficio scolastico regionale della Calabria e del liceo «Fermi» di Cosenza, per verificare con certezza e trasparenza le motivazioni che hanno condotto alla riconferma del dirigente scolastico, e se, al contrario, non sussistano effettive condotte irregolari tali da giustificare l'individuazioni di soluzioni alternative per la gestione del liceo «Fermi» Cosenza. (4-10899)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARINELLI e PESCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Centro assistenza minori (CAM) di Milano, con sede in via Pusiano 22, è una struttura pubblica che accoglie bambini tra gli zero e i sei anni per i quali il tribunale dei minori e i servizi sociali hanno disposto l'allontanamento temporaneo dal nucleo famigliare di origine e il collocamento in comunità;
   la struttura ospita bambini con handicap, vittime di abusi, abbandonati o con situazioni drammatiche familiari;
   la permanenza nelle comunità varia da sei mesi a tempi più lunghi, a seconda della problematica familiare e dei tempi necessari per una decisione da parte del tribunale;
   l'intervento educativo sviluppato in oltre 50 anni di esperienza e competenza prevede un progetto individualizzato, volto a raggiungere obiettivi di crescita e di benessere psico-fisico specifici per ciascun bambino in spazi attrezzati, coinvolgendoli in attività e giochi come i laboratori creativi, l'orto sinergico e la psicomotricità;
   il lavoro delle educatrici è supportato da una équipe multi-professionale, composta da assistente sociale, medico pediatra, psicologa, pedagogista;
   nonostante la provincia di Milano non avesse più le deleghe per i servizi alla persona fin dal 1997, il CAM è stato gestito analogamente in modo continuo proprio perché svolgeva un servizio d'eccellenza a favore dei minori più disagiati che, in altre strutture private, probabilmente, non avrebbero ricevuto cura e protezione uguale a quanto ricevuto dal CAM di Milano;
   in base alla legge n. 56 del 2014 la città metropolitana di Milano ha comunicato che la gestione del CAM non rientra nelle sue funzioni e che la chiusura della struttura è prevista per il 31 dicembre 2015;
   per effetto della legge n. 56 del 2014 e del vuoto legislativo creatosi, c’è il rischio che, con la chiusura del CAM, i bambini ospitati attualmente nel centro e che già provengono da una difficile realtà familiare subiscano nuovi traumi –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se intenda assumere iniziative di carattere normativo finalizzate a risolvere le criticità determinate dalla riforma delle province e delle città metropolitane, con particolare riguardo ai servizi afferenti alle politiche sociali, in modo da trovare una positiva soluzione per il caso del CAM di Milano e casi analoghi. (5-06793)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, NICCHI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI e SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 ottobre 2015 la testata Il Corriere Adriatico nella versione on line riporta la notizia di un blitz interforze eseguito all'interno di un laboratorio cinese di confezioni per abbigliamento, situato a Senigallia sulla strada provinciale Arceviese;
   l'ispezione è stata condotta dal commissariato di polizia di Senigallia, dalla direzione territoriale del lavoro di Ancona, dalla polizia municipale di Senigallia e dal comando provinciale dei vigili del fuoco nell'ambito dei servizi di monitoraggio e controllo nei confronti di attività artigianali gestite da soggetti stranieri, presenti sul territorio del comune di Senigallia;
   dall'ispezione è emersa l'irregolarità totale di due lavoratori, mentre i vigili del fuoco hanno riscontrato violazioni gravi alla normativa in materia di sicurezze sui luoghi di lavoro, quali il mancato funzionamento degli impianti di illuminazione di emergenza e la presenza di materiali e scarti di lavorazione in quantità tali da rendere elevato il rischio d'incendio;
   il laboratorio è stato posto sotto sequestro;
   l'interrogante ha già in passato segnalato situazioni analoghe (interrogazione a risposta scritta n. 4-09423 dell'11 giugno 2015, seduta n. 440) che interessano il territorio marchigiano, soprattutto nei distretti ad elevata presenza di attività manifatturiere –:
   se il Ministro interrogato, in ordine alle iniziative di monitoraggio e controllo nei confronti di attività artigianali, a in grado di fornire i dati relativi ai lavoratori irregolari e alle violazioni delle norme a presidio della sicurezza sui luoghi di lavoro riscontrate nelle Marche nel corso dell'ultimo biennio;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per rafforzare i presidi a tutela di salute e sicurezza dei lavoratori e della legalità nell'esercizio delle attività economiche. (5-06798)


   MICCOLI e ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica ha determinato la fuga di molte aziende italiane all'estero. Questo fenomeno, noto come delocalizzazione, ha interessato, tra il 2000 e il 2011, un numero di imprese italiane di poco superiore alle 27.100 unità, con un aumento del 65 per cento rispetto al passato. Lo rivela una elaborazione realizzata dall'ufficio studi della CGIA di Mestre;
   tra le cause del fenomeno, indicate dallo studio, vi è la presenza di significative spinte alla minimizzazione del costi di produzione, anche in considerazione dell'elevato carico fiscale imposto sul lavoro, in particolare attraverso l'Irap, che porta allo spostamento delle attività in Paesi esteri, caratterizzati da un costo del lavoro inferiore (anche del 75 per cento rispetto alla paga di un lavoratore italiano), collocati sia all'interno (Romania e Bulgaria), sia all'esterno dell'Unione europea (Albania e Tunisia);
   nel settore dei call center, le attività di aziende italiane vengono spesso concentrate nei Paesi dell'Est Europa (in particolare proprio in Albania) dove spesso, oltre al costo inferiore del lavoro, non vigono normative autoctone sulla salvaguardia della privacy in materia di pirateria informatica;
   per call center s'intende l'insieme dei dispositivi, anche informatici, e delle risorse umane utili a gestire in modo razionale, le informazioni provenienti dall'esterno. Lo scambio bilaterale di informazioni è, o dovrebbe essere, svolto su più livelli: una prima selezione anche automatica (menu); un contatto telefonico con un operatore generico al quale, ove non sufficiente, segue un contatto con altro operatore diversamente specializzato o abilitato;
   esistono purtroppo casi nei quali alcuni centri si trasformano in sistemi invasivi, oppure in veri e propri sistemi di produzione di pratiche scorrette o addirittura frodanti;
   in tutti i casi sopraindicati, la responsabilità del funzionamento non è mai degli operatori anzi, spesso, ogni tipo di pratica è forzata o indotta dai livelli superiori dell'azienda di riferimento;
   nei casi peggiori, le aziende possono trarre vantaggio, diminuendo o eliminando ogni elemento potenzialmente costituente un rischio giuridico, adottando ogni forma di coercizione verso i propri operatori proprio ricorrendo – come sopra accennato – a sistemi giuridici più flessibili, in cui si possano erogare sanzioni meno pesanti, come in quelli di Paesi non appartenenti all'Unione europea;
   la qualità dei servizi a difesa dei consumatori, così come tutelata nel preambolo della «Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea», proviene in gran parte dagli operatori: ovvero dalla loro esperienza e conoscenza specifica nel settore;
   tra gli esempi importanti di imprese che hanno delocalizzato le proprie attività di call center in Albania – Paese extra Unione Europea, alle possibili condizioni descritte – si trovano: Telecom Italia (tra Albania, Tunisia, Romania, Turchia, per un totale di circa 600 lavoratori, mentre in Italia sono stati dichiarati negli ultimi tre anni oltre 9.000 esuberi di personale); Wind (tra Romania e Albania tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori); H3G (tra Albania, Romania e Tunisia tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 400 lavoratori impiegati); Sky Italia (tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 250 lavoratori impiegati);
   nell'ultimo anno sono stati circa 5.000 i posti di lavoro perduti solamente nei call center che operano nel settore delle telecomunicazioni, tra licenziamenti e cassa integrazione;
   secondo stime di fonte sindacale, citate dall'Isfol, in una audizione presso la Camera dei deputati il 29 maggio 2014 – nell'ambito di una indagine conoscitiva avviata dalla Commissione Lavoro «sui rapporti di lavoro presso i call center presenti sul territorio italiano» – il fenomeno interesserebbe circa il 10 per cento dei volumi di produzione e coinvolgerebbe circa 10.000 lavoratori;
   a fronte di tale situazione, nel 2012 il legislatore è intervenuto con l'articolo 24-bis della legge n. 134 del 2012, recante disposizioni volte a garantire la protezione dei dati personali in caso di contatti con call center collocati al di fuori dell'Unione europea e ad escludere il riconoscimento degli incentivi all'occupazione di cui alla legge 29 dicembre 1990, n. 407, ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri;
   nello specifico il comma 2 dell'articolo 24-bis così recita: «Qualora un'azienda decida di spostare l'attività di call center fuori dal territorio nazionale deve darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali indicando i lavoratori coinvolti. Inoltre deve darne comunicazione all'Autorità garante per la protezione dei dati personali, indicando quali misure vengono adottate per il rispetto della legislazione nazionale, in particolare del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del registro delle opposizioni. Analoga informativa deve essere fornita dalle aziende che già oggi operano in Paesi esteri»;
   sembrerebbe, a quanto consta agli interroganti, che il Gruppo Green Network, uno dei principali attori sullo scenario del libero mercato dell'energia in Italia, voglia trasferire in Albania il proprio servizio di customer care, attualmente gestito da Almaviva Contact nota azienda di outsourcing, leader nel settore;
   a tal proposito, il 15 ottobre 2015, il collegio delle rappresentanze sindacali unitarie di Almaviva Contact è stato convocato dall'azienda proprio per comunicazioni circa gli intenti di Green Network, la quale ha dichiarato di voler gradualmente trasferire il traffico inbound in Albania e che, per tale operazione, si è rivolta ad un competitor (senza rivelarne il nome). Quest'ultimo le avrebbe garantito la stessa qualità di servizio offerto da Almaviva Contact, applicando uno sconto sul prezzo del 70 per cento;
   a margine del suddetto incontro, le rappresentanze sindacali unitarie si sono adoperate nel manifestare la propria preoccupazione circa tale operazione: con la perdita della commessa Almaviva 170 lavoratori perderanno il proprio posto in Italia;
   l'operazione di delocalizzazione qui paventata avverrebbe a seguito di un'offerta fatta a Almaviva a Green Network già con un ribasso del prezzo del 40 per cento –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle dinamiche esposte in premessa;
   quali siano i loro orientamenti in merito alle attività commerciali di delocalizzazione considerato che, a giudizio degli interroganti, esse confliggerebbero con le statuizioni presenti nella legge n. 134 del 2012 e con la normativa europea dunque con precisi doveri sia in capo alla committenza, circa la comunicazione ai Ministri e alle autorità competenti dello spostamento delle suddette attività, sia nell'ambito della tutela dell'utenza che ha il diritto di essere consultata preventivamente per essere assistita da un operatore nazionale straniero, a tutela della propria privacy;
   quali iniziative intendano assumere per scoraggiare l'adozione di tali comportamenti e come intendano adoperarsi al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali. (5-06808)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 3 agosto 2009 n. 102 individua l'Inps come l'ente pubblico deputato al processo di gestione dell'invalidità civile;
   l'articolo 20, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, a seguito della modifica introdotta dall'articolo 2, comma 159, della legge n. 191 del 2009 e da ultimo dall'articolo 10, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, dispone che: «(...) per il triennio 2010/2012 l'Inps effettua, con le risorse umane e finanziarie previste a legislazione vigente, in via aggiuntiva all'ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, un programma di 100.000 verifiche per l'anno 2010 e di 250.000 verifiche annue per ciascuno degli anni 2011 e 2012 nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile»;
   con decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 si registra il passaggio di competenza dalle Asl all'Inps in materia di «accertamento sanitario, di revisione (articolo, 25, comma 6-bis), di accertamento delle condizioni sanitarie per le prestazioni erogabili agli invalidi maggiorenni già minori, titolari d'indennità di frequenza (articolo 25, comma 5) e di semplificazioni per le prestazioni economiche erogabili agli invalidi maggiorenni già minori titolari di indennità di accompagnamento o di comunicazione (articolo 25, comma 6);
   già dal 2012 la Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259, ha individuato con propria determinazione n. 101 del 2013 (Determinazione e relazione della sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Inps per l'esercizio 2012): «(...) l'inefficacia delle scelte procedurali operate e del massiccio ricorso a medici esterni convenzionati, che mette a rischio le capacità di governo del settore da parte dell'Ente» e che: «(...) come già esposto nei precedenti referti, per assolvere i nuovi e sempre più numerosi compiti in materia di invalidità civile, si è reso indispensabile per l'Inps il ricorso ai servizi di medici esterni convenzionati, con un conseguente maggiore onere»;
   sempre attraverso la determinazione n. 101 del 2013, la Corte dei conti ha rilevato come: «(...) dal 2008 al 2012 i carichi di lavoro dell'area medica sono aumentati di oltre il 130 per cento (in termini di produzione omogenizzata), a fronte di una sempre maggiore riduzione, tanto delle dotazioni organiche, che della consistenza»;
   la stessa Corte dei conti ha inoltre avuto modo di constatare come, nonostante l'autorizzazione ottenuta nel 2010, l'Inps: «non abbia mai attivato le procedure concorsuali che avrebbero consentito l'assunzione di 48 medici»;
   già dal 2009, si sono succeduti diversi bandi di reclutamento per medici «esterni» a contratto, fino ad ora annuale: per sopperire alle necessità dell'ente in ordine ai carichi di lavoro ordinario, relativi all'attuazione, dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2009, da parte dell'Inps, di un piano straordinario di 200.000 accertamenti di verifica (sanitaria e reddituale) nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile, cecità civile e sordità civile (circolari nn. 77 del 21 luglio 2008 e 26 del 23 febbraio 2009) come previsto dall'articolo 80 della legge n. 133 del 2008 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112;
   la legge n. 191 del 2009, articolo 2, comma 159, (legge finanziaria 2010) ha esteso anche al 2010 il programma di ulteriori 100.000 verifiche nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile;
   i medici interni, dipendenti con contratto a tempo pieno ed indeterminato attualmente in servizio presso l'ente, ammonterebbero a circa 300 unità, la maggior parte dei quali non giovanissimi, stante che l'ultimo concorso pubblico espletato dall'Inps risale al 1989;
   con richiesta di disponibilità pressoché annuale, dal 2009 l'ente affida incarichi libero-professionali a medici esterni a contratto (dal luglio 2014 sono stati individuati 1.191 medici) che espletano, per conto dell'ente, mansioni sostanzialmente assai simili a quelle svolte dai medici interni dipendenti, ovvero si occupano di medicina previdenziale e assistenziale, a condizioni contrattuali lesive della dignità professionale;
   il decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 recante disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183», pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 24 giugno 2015 recita che: «Dal 1° gennaio 2017 è comunque fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare i contratti di collaborazione di cui al comma 1»;
   secondo la normativa vigente e come ribadito dalle conclusioni dell'indagine conoscitiva sull'organizzazione dell'attività dei medici che svolgono gli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute del dipendente assente per malattia, svolta dalla XII Commissione affari sociali e conclusasi il 27 maggio 2014, i medici fiscali Inps di lista hanno la priorità ad effettuare le visite fiscali –:
   se siano a conoscenza dei rilievi sollevati dalla Corte dei conti, contenuti nella determinazione n. 101 del 2013 e, a quanto consta all'interrogante, sostanzialmente rimasti «lettera morta» nelle azioni attuative;
   se, anche alla luce di quanto disposto dal decreto legislativo n. 81 del 2015, non ritengano opportuno avviare le procedure di stabilizzazione dei medici esterni attualmente contrattualizzati dall'Inps, che prestano la propria opera in regime libero-professionale già dal 2009 e che svolgono mansioni analoghe a quelle dei medici interni dipendenti;
   se siano a conoscenza dell'intendimento dell'Inps di esperire l'ennesimo bando per titoli (si tratterebbe del quarto bando a far data dal 2010) per l'affidamento di incarichi, ancora una volta libero-professionali, che decorrerebbero dal gennaio 2016, a tempo determinato e con retribuzione oraria, rivolto, ancora una volta, al reclutamento medici esterni a contratto, a cui affidare attività di istituto, sostanzialmente sovrapponibili a quelle svolte dai medici dipendenti dell'ente previdenziale;
   nella deprecabile ipotesi della reiterazione del bando per esterni da parte dell'Inps, quali iniziative intendano assumere per garantire che, quanto meno, siano specificati in modo chiaro, analitico ed inequivocabile, non solo i criteri di valutazione dei titoli ai fini della redazione della successiva graduatoria di merito, ma anche le mansioni che verrebbero attribuite al personale selezionato. (4-10898)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MONGIELLO, OLIVERIO, AMATO, CAPONE, CENSORE, D'INCECCO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GRASSI, IACONO, LAVAGNO, LODOLINI, PATRIZIA MAESTRI, MOGNATO, MONTRONI, NARDUOLO, PARIS, PATRIARCA, PORTA, ROMANINI, ROSTELLATO, RUBINATO, SANI, SGAMBATO, TARICCO, VENITTELLI, VICO, ZOGGIA e CIMBRO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 26 ottobre 2015 è stata diffusa e ripresa una notizia sulle sintesi di un lavoro di indagine condotto dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione e che fa parte dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), la quale avrebbe inserito le carni rosse e lavorate fra le sostanze che possono causare il cancro;
   in sintesi, sugli organi di informazione e sulle agenzie di stampa è stata data visibilità alla pubblicazione rilasciata sulla rivista scientifica The Lancet Oncology, secondo cui la IARC, dopo aver revisionato oltre 800 studi epidemiologici che indagavano l'associazione fra carni rosse e insorgenza di cancro in tutto il mondo, avrebbe deciso di catalogare fra i cancerogeni certi che fanno parte del gruppo 1 sulla base di sufficienti evidenze che le legano al tumore del colon «le carni rosse lavorate, ovvero quelle salate, essiccate, fermentate, affumicate, trattate con conservanti per migliorarne il sapore o la conservazione. Inoltre un legame è stato individuato anche con il tumore allo stomaco»;
   il consumo di carne rossa (per esempio manzo, maiale, vitello, agnello, montone, cavallo o capra) sarebbe stato invece inserito nella lista dei probabili carcinogeni per l'uomo (gruppo 2o), «in considerazione dei numerosi e rilevanti dati che dimostrano un'associazione positiva fra carni rosse e soprattutto cancro al colon, ma anche tumori di pancreas e prostata»;
   tali notizie sono subito apparse eccessivamente radicali e ad ogni modo sconcertanti, creando nell'immediato un evidente allarme tra il pubblico e tra gli operatori alimentari che trattano il settore delle carni, soprattutto perché non sembrerebbero confortate da effettivo rigore scientifico e tali da non prestarsi a dubbi ed incertezze di effettività;
   in effetti già dal 23 ottobre 2015, gli stessi esperti dell'IARC avevano circostanziato più correttamente il loro risultato ribadendo con chiarezza, nella loro pubblicazione sulla rivista scientifica The Lancet Oncology, che la carne si conferma comunque come un «alimento con alto valore nutrizionale», che «contiene anche proteine e micronutrienti importanti» (come la vitamina B, il ferro e lo zinco) seppure invitando i consumatori alla moderazione;
   inoltre il contenuto di grassi dipende dalla specie dell'animale, dall'età, dal sesso, da come è stato allevato e nutrito e, infine, dal taglio della carne; anche per quanto riguarda la cottura, è bene fare delle differenze e ricordare che l'essicazione o l'affumicamento di tutti i cibi (carne inclusa) possono determinare la formazione di agenti chimici a loro volta cancerogeni; lo stesso dicasi di fritture, barbecue, grigliate che sono generalmente più pericolosi per le sostanze che si possono sprigionare rispetto ad altri metodi di preparazione;
   secondo l'IARC «Per una persona il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto a causa del consumo di carne rimane basso, ma aumenta se si esagera con le quantità. In considerazione però del gran numero di persone che nel mondo mangiano giornalmente questo alimento, l'impatto globale sull'incidenza dei tumori è un fattore importante per la salute pubblica» chiarendo che i risultati dell'indagine «devono far riflettere sulla possibilità di rivedere le attuali raccomandazioni sui limiti all'assunzione di carne»;
   nei limiti e con le precisazioni sopra riportate, la notizia in questione appare molto più rassicurante e circoscrivibile di quanto non lo sarebbe stato se ci si fosse limitati alle scarne informazioni desumibili dalla agenzie diffuse nella giornata del 26 ottobre 2015;
   appaiono tuttavia sorprendenti e forse imprudenti altre dichiarazioni che sullo stesso argomento hanno fornito alcuni rappresentanti del mondo scientifico che avrebbero ripreso ed accentuato il solo aspetto legato al rischio cancerogeno della carne rossa, chiedendo di rivedere l'attuale orientamento delle istituzioni sanitarie su tale aspetto;
   ad essi si sono affianca, al contrario, ulteriori dichiarazioni dei rappresentanti dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), che hanno invitato ad evitare gli allarmismi. Infatti, secondo tale associazione la IARC non avrebbe fatto altro che confermare dati già conosciuti da tempo, ovvero che la presenza di conservanti o di prodotti di combustione in questi alimenti è legata ad alcuni tipi di tumore. Per quanto riguarda le carni rosse è una questione di modalità e di quantità, non esisterebbe quindi una «soglia di esposizione» oltre la quale ci si ammala sicuramente. Il messaggio da dare sarebbe che la carne rossa va consumata nella dovuta modalità, una o due volte a settimana al massimo;
   con lo stesso tenore di rassicurazione sono intervenuti che le associazioni del mondo agricolo e quelle del settore delle carni, le quali hanno sottolineato che gli allarmi sorti sono infondati. La Coldiretti, ad esempio, ha affermato che le carni italiane sono più sane. «Le carni Made in Italy sono più sane, perché magre, non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione “doc” che assicurano il benessere e la qualità dell'alimentazione degli animali tanto da garantire agli italiani una longevità da primato con 84,6 anni per le donne e i 79,8 anni per gli uomini»;
   stessa linea è stata espressa anche da Assocarni e Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi), che sottolineano come «gli italiani mangiano in media due volte la settimana 100 grammi di carne rossa (e non tutti i giorni) solo 25 grammi al giorno di carne trasformata»;
   un tema così delicato ed avente un tale, ampio, riverbero scientifico, culturale ed economico andrebbe affrontato in maniera circostanziata e secondo criteri laici senza eccedere in conclusioni affrettate ed inutilmente allarmistiche. Gli effetti che notizie dubbie o fuorvianti possono avere sulle scelte dei consumatori, sulla salute dei cittadini e sul contesto economico nazionale, segnatamente sul settore della carni, suggerirebbero linee di condotta più prudenti –:
   quali iniziative intendano intraprendere, in particolare, per informare i cittadini sul tema descritto in premessa e se, anche al fine di rassicurare l'opinione pubblica e concorrere ad evitare incresciosi e gratuiti riverberi negativi sul comparto delle carni di qualità italiane, siano in grado di fornire notizie adeguate in materia di consumo delle carni fondate, possibilmente, su dati scientifici riconosciuti come tali. (5-06797)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI e RAMPELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con apposito decreto 6 febbraio 1997 veniva istituito presso la tenuta presidenziale di Castelporziano un nucleo operativo per la salvaguardia e la vigilanza dell'importante sito naturalistico;
   allo stato attuale il nucleo è composto da 15 unità di personale, con una durata di assegnazione fissata in cinque anni;
   in data 9 gennaio 2012 l'ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato con circolare Prot. 193 pos. VIII-1/C programmava un piano di avvicendamento del suddetto nucleo;
   in particolare, il piano prevedeva l'individuazione di cinque unità nel gennaio 2012, nel settembre/ottobre 2012 e nel mese di marzo 2013;
   tale avvicendamento, ad oggi, risulta essere stato attuato solo per i due terzi dei componenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per far sì che gli uffici competenti del Corpo forestale dello Stato completino il previsto avvicendamento del personale così come disposto dalla stessa circolare del 2012 citata in premessa. (4-10907)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSTO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), con sede a Lione, è un'organizzazione di ricerca che fa parte dell'Organizzazione mondiale della sanità, la cui missione è quella di coordinare e condurre ricerche sulle cause del cancro nell'uomo, sui meccanismi di cancerogenesi, e di sviluppare strategie scientifiche per il controllo del cancro;
   lo scorso 26 ottobre 2015, lo IARC ha divulgato i risultati di una ricerca che ha valutato la cancerogenicità del consumo di carne rossa e di carni lavorate. In particolare, questo studio ha preso le mosse da una precedente raccomandazione dello IARC del 2002, con la quale l'Ente invitava a limitare il consumo di carne rossa o carni lavorate dal punto di vista della riduzione del consumo di grassi e di sodio, che sono fattori di rischio per le malattie cardiovascolari e obesità;
   la ricerca ha classificato il consumo di carne rossa, (carne di manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo, capra), come probabilmente cancerogena per l'uomo (gruppo 2A), un'associazione che è stata osservata principalmente per il tumore del colon-retto, ma anche per cancro al pancreas e il cancro alla prostata;
   per quanto riguarda le carni lavorate (quelle cioè trasformate attraverso salatura, stagionatura, la fermentazione, il fumo, o altri processi per aumentare il sapore o migliorare la conservazione), sono state classificate come cancerogene per l'uomo (gruppo 1A) sulla base di prove sufficienti che hanno accertato come il consumo di carni lavorate provochi il cancro del colon-retto. Gli esperti, infatti, hanno concluso che ogni porzione di 50 grammi di carne lavorata mangiata ogni giorno aumenta il rischio di cancro colonrettale del 18 per cento;
   la ricerca in questione ha anche messo in evidenza che i metodi di cottura ad alta temperatura generano composti che possono contribuire a determinare rischi cancerogeni. Al riguardo, anche se il gruppo di lavoro della IARC ha specificato che i dati attuali non sono ancora sufficienti per raggiungere una conclusione sul fatto che il modo in cui la carne è cotta influenza il rischio di cancro, è stato riscontrato che la cottura a temperature elevate o con il cibo in diretto contatto con una fiamma o superfici calde,(come nel barbecue o frittura), producano diversi tipi di sostanze chimiche cancerogene (ad esempio, gli idrocarburi policiclici aromatici e ammine aromatiche eterocicliche);
   il capo del programma monografie dello IARC, Kurt Straif, in relazione alle risultanze dello studio appena pubblicato ha spiegato che «per un individuo, il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto a causa del loro consumo di carne rimane piccolo, ma questo rischio aumenta con la quantità di carne consumata e, in considerazione del gran numero di persone che consumano carne, l'impatto globale sulla incidenza del cancro è di importanza per la salute pubblica»;
   dopo le allarmanti conclusioni dello studio dello IARC sulla pericolosità del consumo delle carni lavorate, il Codacons ha presentato un'istanza urgente al Ministero della salute, nonché un esposto al pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello, affinché le autorità preposte, in applicazione del principio di precauzione, adottino provvedimenti per tutelare la popolazione, compresa la sospensione della vendita per quei prodotti che Io IARC ha certificato come cancerogeni;
   parimenti, Federconsumatori e Adusbef hanno chiesto al Ministro della salute, all'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ed al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di fornire chiarimenti sugli esami da effettuare, sui campioni presi in esame e soprattutto sulla reale ed effettiva pericolosità della carne in questione –:
   se il Ministro, sulla base delle risultanze della ricerca dello IARC, non ritenga necessario adottare iniziative urgenti per fornire ai cittadini informazioni corrette ed attendibili sui rischi generati da un uso eccessivo della carne e dei suoi derivati, nonché per raccomandare un uso ridotto della stessa, tenendo conto anche delle più recenti stime del Global Burden of Disease Project, organizzazione indipendente di ricerca accademica, secondo cui circa 34.000 decessi per cancro ogni anno in tutto il mondo sono attribuibili a diete ricche di carni lavorate;
   ad intraprendere le dovute iniziative di competenza per incentivare un'alimentazione priva di alimenti di origine animale nelle mense pubbliche, specialmente per quelle destinate ai bambini, ovvero a garantire che sia assicurato un menù alternativo nelle stesse, basato solo su alimenti di origine vegetale. (5-06794)


   COLLETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa risulta che la procura di Milano abbia aperto un fascicolo per omicidio colposo e aborto colposo a carico della clinica San Pio X che ha curato una donna all'ottavo mese di gravidanza, morta all'ospedale Niguarda insieme al suo bambino a oltre nove ore dal ricovero. Nel registro degli indagati sono stati iscritti anche alcuni medici coinvolti;
   la donna si era presentata il 16 ottobre 2015 intorno alle 19 nella clinica vicino a Viale Zara, lamentando forti dolori addominali. Dopo alcuni accertamenti, è stata dimessa con la raccomandazione di tornare in ospedale se i dolori si fossero ripresentati. Nella notte, poi, la situazione è precipitata. Intorno alle 5 di mattina del 17 ottobre, marito della signora, una quarantenne italiana già mamma di un bambino di 4 anni, ha chiamato il 118. I soccorritori hanno portato la donna al Niguarda, dov’è stata sottoposta ad un cesareo d'urgenza, ma i medici non sono riusciti ad arrestare l'emorragia devastante causata dalla rottura dell'utero della paziente. La donna e il feto sono morti in ospedale a seguito di un arresto cardiocircolatorio;
   la clinica San Pio X ha già fornito tutta la documentazione alla procura e sono attesi per i prossimi giorni gli esiti dell'autopsia e degli accertamenti medici;
   il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, che detiene temporaneamente la delega sulla sanità, ha disposto che funzionari preposti effettuino «immediate verifiche» sulla vicenda della donna incinta morta, insieme con il feto che portava in grembo, nove ore dopo essere stata dimessa dalla clinica «San Pio X» di Milano –:
   se il Ministro, come accaduto in casi analoghi, abbia già disposto o intenda disporre, per quanto di competenza, un'ispezione ministeriale presso la clinica San Pio X. (5-06813)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha lanciato un allarme rispetto alla pericolosità della carne rossa e in particolare gli insaccati definendoli pericolosi quanto l'alcool e il fumo e indicandoli come cancerogeni;
   l'allarme si rivolge con particolare riferimento contro le carni rosse lavorate quelle salate, essiccate fermentate e affumicate e inserisce il consumo di altra carne rossa (maiale, vitello, agnello e altro) nella lista dei probabili alimenti cancerogeni;
   sempre secondo l'Iarc vi sono evidenti prove scientifiche che dimostrano il legame tra carni rosse e tumori al colon, pancreas e prostata;
   si esprimono forti perplessità su tale allarmismo, che rischia di essere non solo dannoso per i consumatori, ma anche irresponsabile nei confronti di chi fa del settore alimentare il proprio mestiere, consapevoli che un consumo di carne rossa eccessivo e prolungato nel tempo non è salutare –:
   se l'Agenzia abbia preso in considerazione le metodologie di preparazione e la presenza di sale nelle carni, ma soprattutto quali siano i dosaggi e la durata temporale oltre le quali il rischio diventa reale e non solo teorico; se gli esiti di tale ricerca scientifica tengano conto dello stile di vita del consumatore e delle quantità di consumo. (4-10892)


   MURA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è oramai accertato che nelle cave di Orani, in provincia di Nuoro, della Maffei Sarda c’è l'amianto;
   le analisi, effettuate nel mese di giugno 2015 dall'Asl di Viterbo e dal Politecnico di Torino, hanno individuato la tremolite d'amianto nei minerali provenienti dal sottosuolo;
   a distanza di mesi, gli approfondimenti sono ancora in corso e dei controlli non vi è nessuna traccia;
   lo scarso coordinamento dei due settori dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (il centro regionale per l'ambiente e il dipartimento geologico) sta determinando un ulteriore ritardo che può mettere in pericolo la sicurezza dell'ambiente e delle persone;
   una legge del 1992 vieta «l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione e la produzione d'amianto e di tutti i prodotti contenenti amianto», che possono essere maneggiati solo per essere rimossi;
   la Maffei Sarda, società facente capo al colosso minerario Minerali Industriali, ha attivato una convenzione con l'università di Cagliari per verificare la presenza della tremolite nelle cave;
   tuttavia, la presenza di asbesto nelle cave è certa: anche le pubblicazioni del geologo Giorgio Conti-Vecchi nel 1991 e del professore di Scienze della terra dell'università di Cagliari Carlo Marini nel 2000 parlano della presenza di tremolite nelle formazioni geologiche oggetto di attività estrattiva ad Orani;
   i geologi sono concordi nell'affermare che la tremolite sia quasi sempre associata alle formazioni di feldspati e talco di cui è ricco il centro Sardegna;
   a metà settembre 2015 non erano ancora pervenuti i risultati delle analisi effettuate a luglio sui residui dei prodotti lavora dalle aziende del comprensorio laziale rifornite con i feldspati isolani –:
   se sia a conoscenza di questa situazione e quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, per impedire l'utilizzo di materiali provenienti dalle cave di Orani dove è verificata la presenza di tremolite d'amianto, al fine di tutelare la salute dei cittadini. (4-10894)


   RICCIATTI e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 135 del 2012 (cosiddetta «spending review») stabilisce un nuovo standard di posti letto per mille abitanti, portando il tasso dal 4 per mille al 3,7 per mille, al fine di contenere i costi del servizio sanitario nazionale;
   in applicazione di tale norma, la regione Marche ha adottato la DGRM 1969/2012 per provvedere alla riduzione dei posti letto per numero di abitanti;
   con la delibera n. 735/2013 la giunta regionale delle Marche ha approvato un progetto di riordino delle strutture sanitarie denominato «Riduzione della frammentazione della Rete Ospedaliera, Riconversione delle piccole strutture ospedaliere e Riorganizzazione della Rete Territoriale della Emergenza-Urgenza della Regione Marche in attuazione della DGR 1696/2012», che prevede la riconversione di diversi piccoli ospedali in «case della salute»;
   molte delle realtà interessate dalle conversioni da nosocomi in case della salute sollevano da tempo numerose perplessità circa tale piano di riordino, che porta ad una inconfutabile diminuzione dei servizi medico sanitari sui presìdi territoriali, comprimendo in molti casi il diritto alla salute dei cittadini interessati, anche per la scarsa cognizione delle situazioni peculiari sotto il profilo geografico e demografico
   l'interrogante ha già segnalato al Ministro interrogato con interrogazione a risposta scritta n. 4-10852 del 22 ottobre 2015, seduta n. 508) la vicenda dell'ospedale di Sassocorvaro;
   in condizioni non dissimili pare essere anche l'ospedale «Angelo Celli» di Cagli (Pesaro e Urbino), che un bacino di utenza di 21.888 persone su un territorio piuttosto ampio 580 chilometri quadrati (appena 10 chilometri quadrati meno dell'area di Urbino, che dispone – nel piano regionale – di ospedale con pronto soccorso), pari al 22,61 per cento dell'intero territorio delle Marche;
   il territorio di riferimento del polo ospedaliero Celli di Cagli, presenta caratteristiche territoriali e demografiche tali per cui l'applicazione della normativa sul riordino citata, rischierebbe di compromettere sensibilmente il concreto diritto alla salute dei cittadini residenti nell'area servita dal nosocomio;
   tra le caratteristiche più evidenti si segnalano la bassa densità di popolazione, concentrata in parte in comuni di media dimensione ed in parte in piccoli nuclei abitativi ed abitazioni uniche sparse; un alto indice di invecchiamento della popolazione; la presenza di nuclei familiari con basso numero di componenti; una difficoltosa viabilità dovuta al territorio prevalentemente montano, unità alla scarsità di mezzi pubblici;
   proprio su tale ultimo punto si segnala come il «regolamento Balduzzi» del 2012 («Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, in attuazione dell'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dell'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135») preveda al paragrafo 9.2.2 condizioni particolari per i «Presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate, (distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento, o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso), disponendo che per i «presìdi situati in aree considerate geograficamente e meteorologicamente ostili o disagiate, tipicamente in ambiente montano o premontano con collegamenti di rete viaria complessi e conseguente dilatazione dei tempi, oppure in ambiente insulare» occorre «garantire una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto attività di medicina interna, di chirurgia generale ridotta»;
   per quanto riguarda l'ospedale di Cagli sebbene tali distanze in linea teorica risultino essere rispettate, si rileva come in concreto vi siano diversi problemi. Innanzitutto, la scarsità di mezzi pubblici impone, nel caso non infrequente di dover raggiungere gli ospedali per acuti di riferimento (l'azienda ospedali riuniti Marche Nord di Pesaro e l'ospedale di rete di Urbino sede del pronto soccorso più vicino), tragitti che arrivano a toccare tempi di percorrenza pari al doppio di quelli stimati per la percorrenza con mezzo privato;
   l'attività di mezzi pubblici circoscritta ai soli giorni feriali;
   le distanze tracciate in linea teorica non tengono conto, poi, delle pessime condizioni delle strade e dei tempi necessari alla ambulanze per raggiungere i territori dai quali parte la chiamata di soccorso (tempi medi di percorrenza che possono variare dai 20 ai 45 minuti, a seconda della effettiva posizione dell'ambulanza al momento della ricezione della chiamata);
   mero titolo di esempio si elencano alcune situazioni tipo, con il calcolo composto dal tempo di arrivo dell'ambulanza più quello del tragitto necessario per raggiungere la struttura di riferimento per l'emergenza: comune di Apecchio 103 minuti per Pesaro e 79 minuti per Urbino; comune di Cantiano 96 minuti per Pesaro e 72 minuti per Urbino; comune di Serra Sant'Abbondio 101 minuti per Pesaro e 81 per Urbino;
   appare pertanto evidente come la conversione dell'ospedale di Cagli in Casa della Salute sia e di pregiudicare in modo sensibile il concreto diritto alla salute dei cittadini;
   la questione è inoltre rilevante anche sotto il profilo del principio di uguaglianza costituzionalmente dove si pensi che i cittadini-contribuenti ricevono servizi (essenziali) marcatamente diseguali –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato al fine di verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza per i cittadini dell'area indicata in premessa, caratterizzata da una situazione geografica critica, e per tutti quelli che versano in situazioni analoghe. (4-10896)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, ZACCAGNINI, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da molto tempo è stata presentata l'interpellanza n. 2-00351 con riferimento alle centrali geotermoelettriche dell'area del Monte Amiata cui il Governo, nonostante la gravità delle considerazioni ivi contenute, non ha mai fornito ad oggi alcuna risposta;
   per quanto risulta, secondo notizie circolanti nell'ambiente, sembrerebbe che per ogni centrale geotermoelettrica costruita è come se Enel Green Power riesca a costruire un'altra centrale tradizionale fossile;
   non appare chiaro se i certificati verdi di Enel Green Power abbiano comportato o comportino benefit per la società;
   con riferimento alla suesposta annosa vicenda dell'Amiata ad oggi non è dato sapere se sia stata avviata una nuova indagine epidemiologica considerato che l'ultima è stata commissionata dalla regione Toscana, attraverso l'Agenzia regionale di sanità (Ars), alla fondazione «Gabriele Monasterio» e al Cnr di Pisa nel 2010, per verificare i possibili danni alla salute dei cittadini ivi residenti –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere il Ministro interrogato alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione e quali elementi intenda fornire per chiarire in via definitiva se i certificati verdi di Enel Green Power comportino benefit per la società e, in tal caso, quali siano e se possano essere in qualche modo impiegati per la costruzione di altre centrali. (5-06809)


   POLIDORI e BALDELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. – per sapere – premesso che:
   il 6 ottobre 2015 la Camera ha approvato all'unanimità la mozione, a prima firma del proponente del presente atto di sindacato ispettivo, recante iniziative per la tutela dei diritti dei consumatori nei confronti degli operatori del mercato dell'energia elettrica e del gas, protagonisti di comportamenti presumibilmente scorretti e attualmente oggetto di indagini, come l'emissione di maxibollette frutto di conguagli pluriennali, fatturazioni incongrue, basate su conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, errori di valutazione, e mancate considerazioni delle autoletture;
   il testo del dispositivo approvato con un voto unanime dell'Assemblea e con il parere favorevole del Governo, impegnava il Governo stesso ad «intervenire nell'ambito delle proprie competenze, affinché fosse assicurata dagli operatori del settore una moratoria sulle recenti maxibollette derivanti da conguagli superiori a due anni, finché le autorità non abbiano completato gli accertamenti circa eventuali violazioni del codice del consumo»;
   nel frattempo gli utenti continuano a pagare, i più fortunati a rate, gli importi di queste maxibollette, i cui importi pesano spesso come macigni sulle economie domestiche dei soggetti interessati –:
   quali iniziative di competenza il Governo abbia intrapreso in questi venti giorni, allo scopo di far sì che venga «assicurata» al più presto dagli operatori la moratoria sulle maxibollette richiamate in premessa. (5-06810)


   CRIPPA, DA VILLA, VALLASCAS, FANTINATI, DELLA VALLE e CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 56, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (la legge di stabilità per il 2014), che ha istituito il fondo per la manifattura digitale, il Ministro dello sviluppo economico, con decreto 17 febbraio 2015 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 aprile 2015, ha definito le modalità e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni a favore delle aggregazioni di imprese che promuovono programmi innovativi nell'ambito dell'artigianato digitale e della manifattura sostenibile; le risorse stanziate sono pari a oltre 9 milioni di euro;
   potranno accedere alle agevolazioni le associazioni temporanee di imprese (ATI), i raggruppamenti temporanei di, imprese (RTI) e le reti di imprese, costituite da almeno 15 imprese di cui almeno il 50 per cento rappresentato da imprese artigiane o microimprese; le aggregazioni di imprese dovranno presentare programmi innovativi che prevedano: la creazione di centri di sviluppo di software e hardware a codice sorgente aperto per la crescita e il trasferimento di conoscenze alle scuole, alla cittadinanza, agli artigiani e alle microimprese; la creazione di centri per l'incubazione di realtà innovative nel mondo dell'artigianato digitale; la creazione di centri per servizi di fabbricazione digitale rivolti ad artigiani e microimprese; la messa a disposizione di tecnologie di fabbricazione digitale; la creazione di nuove realtà artigianali o reti manifatturiere incentrate sulle tecnologie di fabbricazione digitale;
   in data 11 maggio 2015 è stato firmato il decreto del direttore generale per gli incentivi alle imprese del Ministero dello sviluppo economico che ha indicato nel 25 settembre 2015 la data di presentazione delle domande per la concessione delle agevolazioni a sostegno di attività innovative nell'ambito dell'artigianato digitale e della manifattura sostenibile;
   con decreto direttoriale 24 settembre 2015, il termine finale per la presentazione delle domande di agevolazione, previsto per il 25 settembre 2015, è stato prorogato al giorno 15 ottobre 2015 –:
   se il Ministro sia a conoscenza del numero delle domande presentate per la concessione delle agevolazioni disposte dal fondo a sostegno della manifattura digitale e delle risorse da impegnare, anche al fine di monitorare l'efficacia della norma e prevedere ulteriori risorse finanziarie nell'ambito di prossime iniziative normative. (5-06811)


   BENAMATI, CAMANI, BASSO e SENALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in queste settimane in Veneto si sta assistendo ad un preoccupante fenomeno di abbandono del territorio da parte di alcune multinazionali che preferiscono concentrare i propri stabilimenti per contenere le spese di gestione;
   solo a titolo di esempio gli interroganti ricordano due casi emblematici che interessano la provincia di Padova;
   il gruppo belga Vandemoortele, leader europeo nella produzione di specialità da forno surgelate per la grande distribuzione e la ristorazione, che possiede l'azienda LAG Italia ha recentemente comunicato alle rappresentanze sindacali e ai lavoratori dell'azienda LAG di Cornegliana di Due Carrare, in provincia di Padova, l'intenzione della proprietà di chiudere lo stabilimento padovano e di procedere al licenziamento collettivo di 35 dei suoi 39 dipendenti, facendo altresì sapere di voler investire ben 10 milioni in macchinari esclusivamente nella sede di Ravenna, senza possibilità di trasferire personale da Due Carrare, specificando che, per l'elevato livello di automazione della nuova linea da installare nello stabilimento romagnolo, non servirà un solo lavoratore in più rispetto agli attuali;
   il 15 settembre la Haier Appliances Spa di Campodoro, in provincia di Padova, ha comunicato la volontà della proprietà di cessare l'attività dello storico stabilimento della nota azienda produttrice di frigoriferi;
   la Haier è una multinazionale cinese, fondata nel 1984 e specializzata nella produzione di elettrodomestici guidata, nella sede padovana dal manager Francesco Albrizio, che ha comunicato ai sindacati e ai 102 lavoratori la decisione di chiudere la sede e di avviare la cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs);
   la proprietà si è detta consapevole dell'impatto sociale di questa tragica decisione che ha colto i lavoratori alla sprovvista, specialmente dopo gli investimenti del 2012 per lo sviluppo di una nuova generazione di frigoriferi, decisione che sembrerebbe essere stata presa a causa del mancato raggiungimento della necessaria stabilità finanziaria dell'azienda;
   come ricordato si tratta solo di esempi che però coinvolgono centinaia di famiglie e generano fortissime preoccupazioni nelle comunità locali per l'impatto disastroso sul tessuto socio-economico del territorio;
   gli interroganti esprimono ulteriori preoccupazioni perché queste chiusure rappresentano un ulteriore grave perdita per il territorio della provincia di Padova e in generale del Veneto;
   questa tendenza è stata registrata almeno dal 2010 quando la Carrier di Torreglia in provincia di Padova decise la chiusura dello stabilimento che occupava oltre 190 addetti con un indotto capace di coinvolgere decine di altre aziende e almeno altri 200 lavoratori;
   da allora numerose multinazionali hanno acquisito marchi prestigiosi di tali territori, hanno utilizzato competenze e maestranze e, successivamente, hanno deciso, il più delle volte in modo unilaterale di abbandonare gli stabilimenti produttivi, senza tenere in minima considerazione quei territori;
   il Veneto possiede un tessuto produttivo di piccole e medie aziende e di un numero limitato di industrie medio-grandi: i distretti industriali, dove presenti, sono compositi e risentono della dimensione delle aziende che spesso faticano a raggiungere una dimensione internazionale e a fare innovazione;
   più in generale occorre ricordare che le numerose chiusure di aziende cui si è assistito in questi anni di crisi economica possono essere ricondotte a due diversi motivi: da un lato aziende in crisi che non sono riuscite a rimanere sul mercato, dall'altro aziende che hanno reagito alla crisi riorganizzandosi e cercando di dare risposte che consentissero di mantenere in vita almeno i filoni principali della produzione;
   a questa seconda famiglia appartengono i casi citati di fronte ai quali occorre al più presto offrire una risposta di politica industriale che tenga conto della necessità di evitare la desertificazione industriale dei territori –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti e quali interventi di politica industriale intenda adottare per evitare che la produzione industriale dei territori citati venga irrimediabilmente ridimensionata dalla cessazione di attività delle multinazionali, determinando un impoverimento delle comunità locali e del tessuto produttivo dell'intera regione Veneto.
(5-06812)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO, BASSO, CAROCCI, ERMINI, GIACOBBE, MARIANI e VAZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera del Consiglio di amministrazione di Finmeccanica del 30 luglio 2015 la holding dà avvio al processo di divisionalizzazione delle società controllate, che investirà tra le altre Selex E.S., processo che avrà efficacia con l'esercizio 2016;
   questo processo comporterà la scomposizione delle attività presenti in Selex in quattro divisioni business: radar e sistemi di controllo, avionica, information and communication technology e automazione;
   questo processo di riorganizzazione rischia di comportare la ricollocazione di almeno 150 addetti e, in particolare, la dismissione di un intero ramo aziendale come il settore monetica;
   il settore monetica si occupa di sistemi di tariffazione automatica rivolti principalmente alle aziende di trasporto mediante l'utilizzo di titoli di viaggio su supporto magnetico ed elettronico (smart-card), sistemi che possono essere estesi anche ad altri campi soggetti a pagamento elettronico, come il pagamento di soste nei parcheggi o di altri servizi, quali manifestazioni, ingressi a musei o altre iniziative;
   in questi anni il settore monetica, che occupa una trentina di persone di skill medio-alto, ha realizzato per Selex il sistema di bigliettazione di Milano SBME, di Perugia Minimetro, delle Ferrovie egiziane, della metro dell'università Princess Noura a Ryadh e sta finalizzando i sistemi di bigliettazione di Torino, Novara e Biella nonché quello del sistema ferroviario algerino;
   il settore è in dismissione da circa un anno e questo ha portato ad un progressivo abbandono di un mercato, per altro in espansione, con la rinuncia da parte dell'azienda non solo all'acquisizione di nuovi progetti ma anche di varianti e contratti di assistenza su progetti in corso –:
   quale sia l'orientamento del Governo sulla riorganizzazione di Selex E.S., ed in particolare sulla possibile dismissione del settore, monetica e qualora il processo di dismissione vada avanti, se intenda agire e come per garantire che l'unità produttiva risultante dalla cessione resti ad operare a Genova e, in ogni caso, quali iniziative intenda intraprendere per assicurare ai lavoratori il diritto di scegliere se seguire la nuova azienda o restare nel perimetro genovese di Selex E.S.
(5-06789)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Industria Italiana Autobus, detenuta per l'80 per cento dalla King Long Italia, ha acquisito l'ex Irisbus di Flumeri, in provincia di Avellino;
   il restante 20 per cento è detenuto da Finmeccanica;
   stando ai documenti pubblicati in data 24 ottobre 2015 dal Quotidiano del Sud, si evince che l'azienda cinese Xiamen King Long, che vende autobus in tutto il mondo, sarebbe del tutto estranea alla acquisizione della ex Irisbus;
   tale circostanza sarebbe emersa da una missiva inviata al Sottosegretario De Vincenti l'estate scorsa che suonerebbe come una vera e propria sconfessione dell'imprenditore Del Rosso che – stando a quanto scrive Christopher Cassar, responsabile europeo dell'azienda cinese – avrebbe dato l'impressione che la Xiamen King Long avrebbe investito nella ex Irisbus per avere garanzie dal Governo e, di conseguenza, finanziamenti pubblici; circostanza, questa, che parrebbe nettamente smentita da Cassar, almeno stando al virgolettato pubblicato da Il Quotidiano;
   se tutto ciò fosse vero, a giudizio dell'interrogante si avrebbero tre effetti devastanti: la fabbrica ex Irisbus non riprenderebbe la produzione, così come auspicato e previsto dal Governo per bocca dello stesso Premier; la Fiat avrebbe concesso inutilmente un patrimonio che apparteneva alla provincia di Avellino e i lavoratori sarebbero di nuovo a rischio licenziamento nonostante le aspettative e le garanzie date dal Ministero dello sviluppo economico;
   l'ex Irisbus rappresenta una realtà fondamentale per l'economia della Valle Ufita e dell'Irpinia;
   sono decine le aziende irpine e campane legate all'indotto, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, che rischiano di avere ripercussioni dal mancato rilancio dell'attività produttiva della ex Irisbus;
   il Governo ha già dimostrato grande sensibilità e attenzione nei confronti di detta realtà industriale irpina con la convocazione di una serie di incontri tra la nuova proprietà e le parti sindacali, e la recente sottoscrizione dei decreti che autorizzano la cassa integrazione per gli operai –:
   se il Ministro interrogato sia informato sulla documentazione pubblicata da Il Quotidiano del Sud e quali determinazioni abbia assunto all'atto della ricezione della missiva dal gruppo cinese Xiamen King Long; se non ritenga di dover convocare nuovamente il tavolo di crisi per affrontare, alla luce dei fatti emersi nelle ultime ore, la complessa situazione che riguarda i lavoratori della ex Irisbus.
(4-10897)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Di Lello e altri n. 1-01007, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Locatelli.

  La mozione Quintarelli e altri n. 1-01031, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Santerini.

  La mozione Misiani e altri n. 1-01032, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.

  La mozione Fiano e altri n. 1-01035, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Miotto, Carnevali.

  La mozione Mazziotti Di Celso e Monchiero n. 1-01043, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Galgano.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Lorefice e altri n. 4-10506, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mannino.

  L'interrogazione a risposta scritta L'Abbate e Scagliusi n. 4-10742, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cariello.

  L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi n. 4-10877, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: L'Abbate, Villarosa, Pesco, Marzana, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, D'Ambrosio, Cariello, Brescia, De Lorenzis, Del Grosso.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Risoluzione in Commissione Della Valle n. 7-00789 del 30 settembre 2015.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Zanin n. 2-00565 del 3 giugno 2014;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione De Rosa n. 5-06738 del 21 ottobre 2015.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Fiano e altri n. 1-01035, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2015: è stata ritirata la firma del deputato Marzano.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Barbanti e Bechis n. 4-09861 del 16 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06806.