Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 12 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si è assistito ad un'evoluzione normativa finalizzata a razionalizzare la spesa degli enti del Servizio sanitario nazionale; da ultimo, ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica di cui all'articolo 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e in attuazione di quanto stabilito dalla lettera e) dell'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 26 febbraio 2015, prevista dall'articolo 1, comma 398, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e dall'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 2 luglio 2015, gli articoli 9-bis e seguenti del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015 – introdotti in sede di conversione con emendamento del Governo, hanno individuato specifiche misure di razionalizzazione della spesa sanitaria; in particolare, tali misure sono volte a:
     a) concorrere alla riduzione, su base annua del 5 per cento, della spesa per beni e servizi e dei dispositivi medici sostenuta dagli enti del Servizio sanitario nazionale; con un risparmio su base annua per l'anno 2015 di 788 milioni di euro e di 805 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016;
     b) introdurre disposizioni volte a disciplinare il meccanismo del «pay-back» in caso di superamento del tetto di spesa da parte dei fornitori dei dispositivi medici;
     c) prevedere, entro il 30 settembre 2015, la conclusione, da parte dell'Aifa, della rinegoziazione dei prezzi dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, con le aziende farmaceutiche, dei prezzi dei medicinali compresi nell'ambito dei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili;
     d) rinviare a un decreto ministeriale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'individuazione delle condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ad alto rischio di inappropriatezza; il risparmio complessivo stimato per tale misura è pari a circa 106 milioni di euro, a fronte di una riduzione complessiva di prestazioni stimate nel settore pubblico e privato per un valore tariffario di 192 milioni di euro;
     e) ridurre il numero dei ricoveri in regime di riabilitazione ospedaliera potenzialmente inappropriati sotto il profilo clinico e ridurre le giornate di ricovero oltre quelle definite appropriate;
    le misure sopra sintetizzate, unitamente a quelle già poste in essere – quali, ad esempio, il regolamento sugli standard ospedalieri – hanno il merito di essere finalizzate a garantire l'utilizzo etico delle risorse pubbliche, la riduzione degli sprechi e, quindi, la riduzione della spesa pubblica, senza pregiudicare o limitare la qualità delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale;
    non vi è dubbio, infatti, che la tutela della salute, diritto fondamentale dell'individuo e della collettività, è garantita attraverso il Servizio sanitario nazionale; ma è pur vero che, nel rispetto delle vigenti disposizioni, devono essere posti a carico del Servizio sanitario nazionale le forme di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano specifiche condizioni cliniche o di rischio, nonché evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute;
    va anche detto che parallelamente alla riduzione del livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato, di cui sopra, sono previste misure che possano consentire a tutte le regioni di efficientare il loro servizio sanitario regionale, dal momento che anche nelle regioni cosiddette «benchmark» possono esistere aree di inefficienza gestionale e/o aree di inappropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sanitarie, tali da far ritenere che anche le regioni oggi più «performanti» (e in equilibrio di bilancio) possano ridurre i propri costi, mantenendo comunque inalterati i livelli e la qualità dei servizi. Ecco perché anche interventi in tema di inappropriatezza risultano essere necessari per un'ottimizzazione delle risorse destinate alla sanità, che consenta di aggredire ambiti del sistema sanitario ove sussistono sprechi;
    va ricordato che sprecare risorse equivale a sottrarre le stesse ad altri impieghi particolarmente necessari per la tutela della salute, come possono essere gli investimenti per i farmaci innovativi e per le malattie rare;
    peraltro, stante la normativa vigente in materia di ripianamento dei disavanzi, che pone l'intero onere della copertura a carico delle regioni, le misure di contenimento della spesa, dettate a livello nazionale, non possono che andare nella direzione di offrire alle regioni medesime gli strumenti necessari per rimanere in equilibrio economico-finanziario o, comunque, per non alterarlo;
    inoltre, gli interventi previsti dalla normativa citata vanno saldati anche con una politica che renda finalmente effettivi i costi standard, così da misurare le aree di inefficienza e di inappropriatezza e per verificare progressivamente gli sviluppi del sistema, con l'obbligo per le stesse regioni che hanno costi superiori a quelli delle regioni benchmark di efficientare il sistema;
    peraltro, le disposizioni sopra richiamate consentono, coerentemente con quanto convenuto nell'intesa del 2 luglio 2015, che le regioni, al fine di salvaguardare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possano comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario a loro carico, anche adottando misure alternative, purché assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario;
    va tenuto conto di quanto già posto in essere con le misure di razionalizzazione della spesa sanitaria,

impegna il Governo:

   pur confermando le riduzioni dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale, di cui al decreto-legge n. 78 del 2015 (cosiddetto decreto enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, a proseguire nella promozione e nell'adozione di iniziative, anche normative, volte ad implementare interventi responsabili, da parte di tutti gli attori istituzionali coinvolti, a garanzia e a sostegno del diritto alla salute e alle cure dei cittadini, nonché a tutela del Servizio sanitario nazionale;
   ad assumere, già a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità, specifiche iniziative dirette a garantire che l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore protesico venga compiuto indifferibilmente entro il 2016;
   a proseguire, già nell'ambito del prossimo disegno di legge di stabilità, sul percorso avviato di stabilizzazione dei precari che da anni svolgono attività nell'ambito del Servizio sanitario nazionale;
   su di un piano più generale, a dare attuazione alle previsioni del Patto per la salute 2014-2016 che impongono di reinvestire in sanità, segnatamente per le finalità di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore protesico, nonché per le esigenze connesse all'erogazione di farmaci innovativi, i risparmi derivanti da misure di razionalizzazione in campo sanitario.
(1-01010) «Dorina Bianchi, Calabrò, Roccella».


   La Camera,
   premesso che:
    da troppo tempo si sta assistendo a un'intollerabile «girandola» di dichiarazioni, tutte interne al Governo, che si contraddicono tra di loro e cambiano ogni giorno i numeri relativi al finanziamento del Servizio sanitario nazionale;
    il 30 settembre 2015, nell'Aula della Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri confermava quanto da lui stesso dichiarato nei giorni precedenti, ossia che il fondo sanitario nazionale poteva contare su 110 miliardi di euro per il 2015, e su 111 miliardi di euro nel 2016;
    15 giorni prima, il 15 settembre 2015, la Ministra Lorenzin dichiarava che per proprio per «la sostenibilità delle sfide che abbiamo in campo, sotto i 112 miliardi di euro non si può andare», dando così una cifra diversa da quella del Presidente del Consiglio dei ministri;
    peraltro nello stesso giorno in cui il Presidente del Consiglio dei ministri alla Camera dei deputati parlava di 111 miliardi di euro nel 2016, la medesima Camera stava esaminando la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza presentata dal suo Governo, dove è scritto chiaramente che la spesa sanitaria per il 2016 sarà di 113,4 miliardi di euro. Un aumento programmato frutto dell'accordo in Conferenza Stato-regioni del 2 luglio 2015. Il Presidente del Consiglio dei ministri, quindi, oltre a contraddire la Ministra Lorenzin, smentiva di fatto se stesso, dando un importo per il Servizio sanitario nazionale di 2,4 miliardi di euro inferiore a quanto scritto nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza;
    il 1o ottobre 2015 ancora la Ministra della salute, rispetto alle dichiarazioni spiazzanti del Presidente del Consiglio dei ministri, dichiarava che: «L'aumento non è stato quanto ci aspettavamo (...), se me lo si chiede, per me ci vuole di più»;
    al di là di questo «balletto» di cifre, rimane il fatto che meno di un anno fa, la legge di stabilità per il 2015 aveva stabilito in 115,44 miliardi di euro per il 2016 il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato;
    il decreto-legge n. 78 del 2015, approvato nell'agosto 2015, ha ridotto le risorse previste per il 2016 (e per gli anni successivi) per il Servizio sanitario nazionale di circa 2,35 miliardi di euro;
    il risultato finale, dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, è che per il 2016 si passerà dai 115,4 miliardi, previsti dalla legge di stabilità per il 2015, a 111 miliardi di euro;
    in pratica in meno di un anno le risorse assegnate dal Governo alla sanità pubblica si sono ridotte di oltre 4 miliardi di euro rispetto a quanto previsto;
    se poi si passa dai dati assoluti ai dati percentuali, si vede come la spesa per la sanità pubblica in rapporto al prodotto interno lordo andrà diminuendo negli anni. Infatti, le previsioni della suddetta nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2015, riguardo alla spesa sanitaria, confermano una crescita inferiore a quella del prodotto interno lordo, con un calo dal 6,8 per cento del 2015, al 6,7 per cento nel 2016 e 2017, al 6,6 per cento per il 2018, fino al 6,5 per cento per l'anno 2019, nel rapporto fra spesa sanitaria e prodotto interno lordo. È quindi evidente la riduzione in termini percentuali della spesa sanitaria per i prossimi anni;
    tutto ciò fa capire come il disegno di legge di stabilità per il 2016 in via di presentazione al Senato della Repubblica, porterà ad ulteriori riduzioni di risorse a danno del Servizio sanitario del nostro Paese. Insomma, il recente taglio di 2,352 miliardi di euro all'anno a decorrere dal 2015 non è stato sufficiente;
    il Governo persevera con la politica dei tagli al Servizio sanitario nazionale, senza ricordare che la spesa sanitaria pubblica italiana risulta inferiore a quella dei principali Paesi europei: poco meno di 2.500 dollari pro capite nel 2012, a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e Germania;
    anche il recentissimo rapporto sullo stato sociale 2015 del dipartimento di economia e diritto de «La Sapienza», Università di Roma, ha confermato come i dati della spesa sanitaria italiana, sia in rapporto al prodotto interno lordo (7 per cento) che pro capite, indichino che di è sotto la media dei rispettivi valori dell'Unione europea a 15 (8,7 per cento); dopo l'Italia ci sono solo Spagna, Grecia e Portogallo;
    si è ancora molto lontani dall'uscire dal paradigma dei tagli ed entrare in quello della qualità. In questi ultimi anni, il nostro Paese è diventato più diseguale sul piano della garanzia delle cure, con territori periferici che negli anni si sono visti sottrarre servizi, tagliare prestazioni sanitarie e sociali, depauperare il sistema di protezione sociale. Con un sistema di prevenzione sempre più impoverito;
    si sta sempre più andando verso un sistema sanitario a due binari: uno pubblico sempre meno efficiente e non adeguato, e destinato alle fasce sociali medie e basse, e un sistema misto pubblico-privato di sanità integrativa, finanziato con assicurazioni sanitarie private o di categoria, e con prestazioni spesso quali-quantitativamente migliori destinate ai cittadini con maggiori possibilità economiche. Le politiche del definanziamento del Servizio sanitario nazionale e dei ticket di questi anni stanno, quindi, rendendo competitive le prestazioni private e mettono in crisi i diritti alle prestazioni sanitarie di larghe fasce di popolazione;
    a confermare la strada intrapresa, che, di fatto, conduce a soluzioni privatistiche di uscita dalla crisi, è la ricerca Censis-Rbm salute, presentata nei mesi scorsi a Roma, dal quale emerge come il servizio sanitario pubblico è sempre più ingolfato per le lunghe liste d'attesa e per gli italiani diventa più conveniente ricorrere alle strutture private. La scelta del privato spesso diventa un obbligo per accorciare i tempi. Così un miliardo di euro in più in un anno uscito dalle tasche degli italiani, per un totale di 33 miliardi di euro nel 2014 (+2 per cento rispetto all'anno precedente). A tanto ammonta la spesa sanitaria out of pocket. Mentre la spesa sanitaria pubblica supera i 110 miliardi di euro;
    il medesimo rapporto Censis evidenzia come «pagare diventa per tutti, anche per le persone con redditi bassi, la condizione per accedere alla prestazione in tempi realistici». Oltre 9 milioni di italiani hanno effettuato visite specialistiche nell'ultimo anno nel privato a pagamento intero (2,7 milioni di questi sono persone a basso reddito);
    a spingere sempre più cittadini a rivolgersi al privato, con sacrifici economici considerevoli, contribuiranno certamente le norme varate dal recente decreto-legge n. 78 del 2015, cosiddetto decreto enti locali;
    l'articolo 9-quater del suddetto decreto-legge n. 78 del 2015 prevede, in particolare, una serie di misure volte alla riduzione delle prestazioni sanitarie inappropriate. In pratica si interviene su prestazioni specialistiche e riabilitative ritenute non necessarie, ma prescritte ugualmente dai medici, con misure penalizzanti (riduzione della retribuzione), per i medici stessi qualora questi non rispettino le condizioni di erogabilità e le indicazioni per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale;
    sono norme che nelle intenzioni del Governo dovranno produrre dei risparmi, ma che nei fatti finiranno per avere ricadute negative sulla prevenzione e per ridurre il perimetro del servizio sanitario nazionale;
    a pagarne le conseguenze sarà ancora una volta il cittadino che si vedrà «scaricare» la responsabilità di una prestazione sanitaria, che gli è stata prescritta ma che si giudica non appropriata. Al di fuori delle condizioni di erogabilità consentite, le prestazioni saranno, infatti, poste a totale carico dell'assistito, che si vedrà posto nella condizione di rivolgersi al privato, accollandosi così il relativo costo;
    è in via di emanazione, previo passaggio in conferenza Stato-regioni, e a conclusione di un confronto con i soggetti interessati, il previsto decreto del Ministero della salute di attuazione dell'articolo 9-quater del suddetto decreto-legge n. 78 del 2015, che individua 208 misure che saranno soggette a condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva;
    le suddette misure riguardano odontoiatria, radiologia, risonanze magnetiche, tac, esami di laboratorio e genetici, test allergici e molte altre. Chi vorrà sottoporsi alle prestazioni elencate nella bozza di decreto ministeriale potrà ottenerle a carico del Servizio sanitario nazionale solo a certe precise condizioni, altrimenti dovrà rivolgersi al privato e pagarle di tasca propria;
    si tratta di misure che, volendo affrontare il problema reale della medicina difensiva, finiscono per tradursi in disposizioni sostanzialmente punitive nei confronti dei pazienti e dei medici;
    tutto questo mentre nel nostro Paese è aumentata la povertà sanitaria. Sono raddoppiati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare medicinali, anche quelli con prescrizione medica. È uno scenario grave, che colpisce in modo profondo il diritto alla salute e l'accesso alla cura dei cittadini più esposti;
    in sede di esame al Senato della Repubblica della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2015, è stato approvato un emendamento alla risoluzione della maggioranza, con il quale si chiede di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza delle prestazioni sociali, assicurando qualità e quantità dei servizi,

impegna il Governo:

   ad incrementare, già dal disegno di legge di stabilità per il 2016, le risorse per il fondo sanitario nazionale e per la non autosufficienza, o perlomeno a confermare lo stanziamento di 113,4 miliardi di euro, come peraltro previsto dalla stessa nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2015, al fine di riportare dette risorse ai livelli della media dell'Unione europea e dell'Ocse;
   ad assumere iniziative per prevedere, come peraltro promesso in molte occasioni dalla Ministra della salute, che ulteriori risparmi e tagli di risorse a carico del Servizio sanitario nazionale siano effettivamente reinvestiti nella sanità pubblica per una sua reale difesa e riqualificazione, a garanzia della piena applicazione dei livelli essenziali di assistenza e quindi della sua universalità ed equità;
   a mettere in atto tutte le iniziative necessarie finalizzate allo sblocco del turnover e alla stabilizzazione dei precari – che spesso assicurano i livelli essenziali di assistenza – al fine di consentire la riorganizzazione e riqualificazione del Servizio sanitario nazionale e sociale;
   ad assumere iniziative volte a individuare altre modalità di risparmio rispetto a quanto previsto dall'articolo 9-quater del decreto-legge n. 78 del 2015 e a sospendere conseguentemente l'emanazione del decreto ministeriale di cui in premessa, al fine di rivedere profondamente, attraverso un preventivo percorso di consultazioni e di serio confronto con gli operatori e i soggetti interessati, le misure in materia di prescrizioni sanitarie ritenute non appropriate;
   ad attivare opportune ed efficaci iniziative, anche normative, volte a intensificare il contrasto alle frodi e alla corruzione, purtroppo troppo presente in questo settore, anche al fine di liberare risorse importanti per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale;
   a promuovere, per quanto di competenza, un sistema di accreditamento più rigoroso e di qualità all'interno della programmazione pubblica e con valutazione dei risultati.
(1-01011) «Nicchi, Fratoianni, Scotto, Melilla, Marcon».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione stabilisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. Si tratta dunque di una norma che è, al contempo, programmatica, poiché impegna il legislatore a promuovere idonee iniziative volte all'attuazione di un compiuto sistema di tutela adeguato alle esigenze di una società che cresce e progredisce;
    l'instabilità governativa, dovuta all'avvicendamento di diversi Esecutivi in un breve lasso temporale, e la rapidità con cui sono stati approvati i relativi tagli alla sanità, specie nella presente legislatura, hanno comportato un'evidente assenza di programmazione sanitaria nonché notevoli problematiche all'intero sistema sanitario;
    alla luce del riordino imposto dalla cosiddetta legge Delrio, il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (cosiddetto decreto enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha previsto una serie di misure concernenti i bilanci degli enti locali tra cui la riduzione della spesa sanitaria;
    nello specifico, il decreto-legge sopracitato ha previsto un taglio di 2,3 miliardi di euro al fondo sanitario nel 2015 e altrettanti nel 2016 e nel 2017. La parte maggiore dei risparmi consisterà in una riduzione di 1,3 miliardi di euro sull'acquisto di beni e servizi, un taglio di 308 milioni di euro per anno alla spesa farmaceutica ed un'ulteriore stretta sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale e sui ricoveri di riabilitazione;
    nel decreto-legge è stata recepita l'intesa siglata il 2 luglio 2015 dal Governo e dalle regioni, in sede di Conferenza Stato-Regioni, sulla spesa sanitaria e sulla revisione del Patto triennale per la salute 2014-2016. Intesa che ha previsto una riduzione del livello complessivo del finanziamento del Servizio sanitario nazionale pari a 2.352 milioni di euro annui, a decorrere dal 2015, cifra già concordata in una precedente intesa tra Stato e regioni del 23 febbraio 2015, attuativa della legge di stabilità n. 190 del 2014;
    il Patto per la salute sottoscritto da Governo e regioni il 10 luglio 2014, con valenza triennale, ha stabilito le risorse necessarie per la sanità nonché per la programmazione sanitaria per il triennio 2014-2016 precisando, contestualmente, che gli stanziamenti sono destinati al fondo sanitario nazionale «salvo eventuali modifiche che non si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazione del quadro macroeconomico», rendendo in questo modo possibile, in qualsiasi momento, una variazione degli stanziamenti per un settore che riveste un ruolo cruciale per il Paese;
    l'Ocse nel secondo report «Health Statistics 2015» che ha mappato la spesa sanitaria dei 34 Paesi dell'organizzazione e delle economie emergenti mostra come la spesa sanitaria ha continuato a ridursi in Grecia, Italia e Portogallo. In rapporto al prodotto interno lordo la spesa sanitaria italiana è più bassa di quella greca nonostante la crisi del paese ellenico: addirittura nel 2013 la Grecia ha investito in sanità, tra pubblico e privato, il 9,2 per cento del prodotto interno lordo, mentre l'Italia si è fermata all'8,8 per cento;
    a livello europeo, la situazione sanitaria del nostro Paese non sembra migliorare, anzi, continua a perdere punti nella classifica dell'indice europeo health consumer (EHCI). L'Italia con 648 punti su 100 si presenta al ventunesimo posto della classifica, perdendo un punto rispetto al 2014, con l'Olanda che resta al primo posto con un punteggio di 898 su 100, seguita da Svizzera, Norvegia, Finlandia e Danimarca;
    a destare preoccupazione vi è anche la percentuale di italiani che per problemi economici sono costretti a rinunciare alle spese mediche. Le ultime statistiche, infatti, mostrano che la percentuale di famiglie, tra quelle con un reddito inferiore a 1.550 euro al mese, che rinuncia alle cure si attesta al 61 per cento e il 46 per cento degli italiani deve rinunciare ad almeno una cura l'anno;
    alla luce della precaria situazione della sanità pubblica e al fine di evitare che le regioni siano oggetto di continui tagli lineari, la soluzione invocata è quella di ricorrere ai costi standard consentendo la rideterminazione del fabbisogno ideale, necessario per assicurare a tutti i cittadini le prestazioni ed i servizi essenziali;
    le esigenze di razionalizzazione e di risparmio sono evidenti, ma bisogna evitare il susseguirsi continuo di tagli che non seguono una logica e non consentono, in definitiva, di realizzare quella che è la vera esigenza della sanità italiana, ovvero un organico piano di rivisitazione del Servizio sanitario nazionale;
    il settore nel quale appaiono urgenti la definizione e l'adozione dei costi standard è certamente quello della sanità, che rappresenta la voce di gran lunga più importante della spesa regionale e, al contempo, quella su cui è più pregnante il vincolo di assicurare i livelli essenziali di assistenza in tutto il Paese;
    come se non bastasse, recentemente, il Ministero della salute ha stilato un elenco di 205 prestazioni sanitarie ritenute non necessarie, che dovranno essere sostenute direttamente dal cittadino stesso, e per di più i medici che violeranno tali disposizioni rischieranno il taglio dello stipendio;
    l'approccio del Governo sulla sanità risulta, quindi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sbagliato e inadeguato poiché la riduzione dei costi deve passare, innanzitutto, dall'introduzione dei costi standard e da una centrale unica di acquisto in ogni regione, comprese quelle a statuto speciale;
    è altresì necessario completare il processo di digitalizzazione introdotto dal Governo Berlusconi, riferito a ricette mediche digitali, prescrizioni mediche digitali e esami digitali, così da ottenere una riduzione dei costi, lo snellimento della burocrazia ed un aumento della qualità del servizio al cittadino,

impegna il Governo:

   a garantire il diritto alla salute, così come previsto dall'articolo 32 della Costituzione, valutando l'opportunità di assumere iniziative per una revisione dei tagli alla sanità previsti nel cosiddetto decreto-legge enti locali;
   ad assumere le opportune iniziative volte ad introdurre nel sistema sanitario i costi standard, al fine di ottimizzare e omogeneizzare i valori produttivi e, attraverso di essi, procedere ad un contenimento dei costi su scala nazionale.
(1-01012) «Palese».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VII e XII,
   premesso che:
    il concorso per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina, che negli anni passati era svolto localmente con graduatorie stilate per singole sedi universitarie, è stato trasformato in sistema di selezione nazionale, a seguito della conversione in legge del decreto-legge n. 104 recante «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca» del 2013;
    il conseguente e correlato regolamento concernente le modalità di selezione per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina, emanato con il decreto del Ministro dell'istruzione, università e ricerca n. 105 del 30 giugno 2014, ha stabilito che vengano stilate singole graduatorie nazionali per ogni tipologia di scuola di specializzazione e che i concorrenti possano concorrere sino a un massimo di 6 tipologie di scuole e per non più di 2 tipologie di scuole per area (area medica, chirurgica e dei servizi clinici), indicando le preferenze di sede;
    le prove di concorso, basate su test a risposta multipla e sulla valutazione dei titoli conseguiti nei 6 anni del corso di Medicina, per quanto perfettibili, hanno garantito oggettività e trasparenza nelle selezioni;
   il meccanismo utilizzato per l'assegnazione dei contratti di formazione specialistica e l'ampia possibilità di scelta da parte dei candidati hanno richiesto tempi tecnici troppo lunghi per l'attuazione degli scorrimenti delle graduatorie di merito. Pertanto, dopo la prima edizione del concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione di Medicina, relative all'anno accademico 2013/2014, il regolamento specifico è stato modificato con il decreto del Ministero dell'istruzione, università e ricerca n. 48 del 20 aprile 2015;
    il nuovo decreto ministeriale n. 48 del 2015 ha sostanzialmente limitato la possibilità di scelta per i concorrenti, consentendo di indicare in ordine di preferenza al massimo 3 tipologie di scuole, con non più di 2 tipologie di scuole per area, e le relative scelte di sede, anche queste in ordine di preferenza, migliorando le procedure al fine di garantire tempi celeri per lo scorrimento delle graduatorie;
    il concorso nazionale, per quanto migliorabile in alcuni punti critici, ha garantito anche quest'anno oggettività e trasparenza nelle prove, confermando l'esigenza di proseguire nel futuro con questo metodo di selezione;
    l'accesso ai corsi regionali di formazione specifica in medicina generale, a differenza di quanto avviene per le scuole di specializzazione in medicina, viene espletato tramite concorsi regionali banditi dalle singole regioni, su iniziativa del Ministero della salute, in modo che le prove di selezione si espletino nello stesso giorno ed alla medesima ora in tutta Italia;
    nel 2014 sono emerse notevoli criticità nel sistema concorsuale a gestione regionale, dovute a deficit organizzativi e scarsità di controlli, confermando la necessità di un cambiamento anche per l'accesso alla formazione specifica in medicina generale;
    come conseguenza delle predette criticità, le recenti ordinanze del Consiglio di Stato (n. 1897/2015 e n. 1891/2015) hanno disposto l'accesso in soprannumero ai corsi regionali di alcune centinaia di partecipanti al concorso per l'accesso ai corsi triennali di formazione specifica in Medicina generale 2014-17, con gravi ripercussioni sia sulla programmazione del fabbisogno di medici generalisti, sia sulla qualità della formazione dei corsisti;
    per l'accesso ai predetti concorsi è necessario ottenere l'abilitazione all'esercizio della professione medica ed attualmente i laureati in medicina sono costretti ad aspettare anche sette mesi tra laurea ed esame di abilitazione, si crea così un prolungamento ingiustificato del percorso formativo;
    nonostante lo sforzo finanziario straordinario che per i concorsi dell'anno accademico 2014/15 ha consentito di mettere a bando circa 6.300 borse per la medicina specialistica e circa 900 contratti di medicina generale, persiste tuttora un significativo divario tra i posti a disposizione per la formazione specialistica e specifica di medicina generale, il numero dei nuovi laureati in medicina e chirurgia e quello dei nuovi specialisti e medici di medicina generale richiesti dalle regioni per un adeguato funzionamento del sistema sanitario nazionale,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per stanziare maggiori risorse per il finanziamento dei contratti di formazione in medicina specialistica e generale in modo da ridurre il divario tra i posti a disposizione ed il numero di nuovi specialisti richiesti dalle regioni e ad adottare idonei strumenti di programmazione del fabbisogno di medici generalisti e specialisti;
   ad introdurre nel più breve tempo possibile, anche attraverso specifiche iniziative normative, un sistema di accesso a graduatoria di merito unica nazionale che sia contemporaneamente valida per le scuole di specializzazione in medicina e per i corsi triennali di formazione specifica di medicina generale, in modo da consentire ad ogni singolo concorrente, nell'ordine della graduatoria di merito, di scegliere tipologia e sede della scuola di specializzazione, ovvero la sede regionale del corso di medicina generale;
   ad organizzare e somministrare le prove di selezione, ove possibile, in poche sedi di grandi dimensioni, garantendo adeguati ed omogenei standard di sorveglianza e ricorrendo anche all'utilizzo di ausili tecnologici, informatici e telematici (tablet, PC portatili, videocamere, sistemi di schermatura di connessione dati e telefonica, e altro), sulla scorta dell'esperienza consolidata di altri Paesi;
   ad applicare un criterio di omogeneizzazione dei titoli curricolari conseguiti durante il corso di laurea in medicina nelle diverse sedi universitarie che sia valido per tutto il territorio nazionale, ovvero a ridurre il peso percentuale dei titoli collegati al conseguimento della laurea ai fini della valutazione nel punteggio complessivo;
   ad aumentare il numero delle domande a risposta multipla previste nelle prove d'esame, avendo cura che i quesiti siano formulati in modo che i concorrenti possano dimostrare la loro capacità di ragionamento clinico;
   ad assumere iniziative per prevedere che la laurea in medicina diventi titolo abilitante all'esercizio della professione.
(7-00805) «Crimì, Coscia, Lenzi, Ghizzoni, Cova, Blazina, Capone, Casati, Miotto, Giuditta Pini, Paolo Rossi, Sbrollini, Sgambato, Ventricelli».


   Le Commissioni XI e XIII,
   premesso che:
    i recenti fatti di cronaca hanno messo in evidenza come, ancora oggi, sussista un diffuso ed incontrollato ricorso alla manodopera clandestina di lavoratori che vengono pagati in nero e adescati attraverso il cosiddetto caporalato, ossia una vera e propria attività criminale che fa vittime persone che vivono in grave disagio sociale, soprattutto extracomunitari, che vengono costrette a lavorare abusivamente ed illegalmente in diversi settori, in particolare, in quello agricolo attraverso il lavoro nei campi;
    sono circa 400 mila i lavoratori coinvolti in forme di caporalato, si tratta di braccianti che si riversano ogni anno nelle campagne, provenendo da altre nazioni o spostandosi internamente tra le regioni italiane, utilizzati, per lo più, a fronte di picchi di produzione e lavorazione di prodotti agro-alimentari. Queste persone, oltre ad essere sottoposte ad una condizione di sfruttamento lavorativo, sono vittime di vessazioni e vivono in gravi condizioni sanitarie, non avendo accesso addirittura a servizi igienici, all'acqua corrente e spesso costretti ad alloggiare in strutture fatiscenti in prossimità del luogo di lavoro, condizioni considerate al limite della schiavitù;
    il caporalato in agricoltura è presente in tutta Italia, da Nord a Sud, sebbene più esteso nel Mezzogiorno, e determina, tra l'altro, una truffa aggravata in danno allo Stato con un costo per le casse dell'erario, in termini di evasione contributiva, non inferiore ai 600 milioni di euro l'anno;
    per comprendere l'estensione del fenomeno basti pensare che in Italia gli addetti all'agricoltura sono circa un milione e duecentomila; da dati Istat, nel 43 per cento dei casi si tratta di lavoro sommerso. È quindi evidente che tale fenomeno, sino ad oggi, non è stato combattuto efficacemente, al riguardo, è anche indubbio che le sue gravi conseguenze siano state sottovalutate visto che solo pochi anni addietro, per punire tale pratica era prevista una sanzione amministrativa. Solo dall'anno 2011 è stato introdotto come reato penale l’«intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro», previsto all'articolo 12 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
    tuttavia, le pene stabilite non costituiscono un concreto deterrente per combattere tale reato e anche l'assenza di efficaci controlli determina una sporadica applicazione, rispetto all'estensione del fenomeno, di condanne penali a caporali ed imprese agricole;
    il caporalato è uno dei fenomeni criminali legati al business delle agro-mafie, stimato in base ai dati della direzione nazionale antimafia per un importo di circa 12,5 miliardi di euro all'anno. Va da sé la necessità di contrastare il fenomeno con il medesimo impegno con cui vengono combattute le mafie. È, dunque, urgente adottare efficaci provvedimenti per una decisiva azione di contrasto a tale reato, prevedendo adeguati controlli e pene più severe, nonché misure volte a tutelare e proteggere, attraverso gli organi di polizia competenti, i lavoratori che denunciano tale reato;
    in particolare, vanno introdotte norme punitive che aumentino il potere di deterrenza, dirette a colpire gli attori di questo fenomeno criminale quali caporali, false agenzie interinali e soprattutto le imprese che hanno fatto uso di tale illecita azione di reclutamento di manodopera, prevedendo anche provvedimenti che vanno a colpire il patrimonio, come la confisca, nonché la possibilità di ricevere contributi pubblici come quelli europei collegati alla politica agricola comune (PAC);
    per quanto concerne i controlli, va rafforzato il numero degli ispettori, anche prevedendo l'intervento di forze armate speciali, considerando che le cronache documentano la commissione di gravi atti di violenza di caporali, anche muniti di armi, nei confronti di lavoratori nonché di sindacalisti che hanno denunciato e manifestato contro il fenomeno;
    inoltre, è necessario promuovere azioni per favorire un migliore e trasparente incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedendo, tra l'altro, l'inserimento in una lista pubblica delle aziende che hanno ricevuto condanne per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, le quali non devono poter accedere a contributi pubblici a qualsiasi titolo,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per istituire una pubblica lista delle imprese condannate per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, dandone adeguatamente pubblicità ai consumatori, provvedendo altresì un inasprimento delle pene;
   a promuovere ulteriori iniziative nei confronti delle imprese che si avvalgono di tale illecita intermediazione, volte ad aggredire il patrimonio nonché a bloccare, da subito, la possibilità di ricevere contributi pubblici come quelli europei collegati alla politica agricola comune (PAC);
   ad adottare misure di protezione a tutela dei lavoratori che denuncino tale reato;
   a rafforzare il numero degli ispettori del lavoro impegnati nei controlli, nonché gli strumenti, anche informatici, a loro disposizione (videoriprese eseguite con nuove tecnologie), con particolare riferimento al settore agricolo, prevedendo ai fini delle verifiche anche la possibilità di intervento di forze armate speciali.
(7-00806) «Rizzetto, Baldassarre, Barbanti».


   Le Commissioni XI e XIII,
   premesso che:
    nell'anno dell'Expo 2015 dove il tema è «Nutrire il pianeta, energia per la vita» e intende includere tutto ciò che riguarda l'alimentazione e i cicli produttivi, nel nostro Paese si registrano, finora, almeno 13 decessi, 4 nella sola regione Puglia, tra gli addetti all'agricoltura;
    in Italia da tempo i riflettori sono accessi sul fenomeno del caporalato ed è di questi giorni la notizia – Giornale di Sicilia – che la guardia di finanza nell'effettuare l'ennesima operazione, questa volta nel Ragusano, finalizzata al contrasto del fenomeno del caporalato, ha accertato che il titolare di una azienda agricola e quattro caporali avrebbero costituito un'organizzazione dedita al reclutamento di manodopera a basso costo da utilizzare nelle serre per la raccolta dei pomodori;
    nel corso del blitz i finanziari della Tenenza di Vittoria hanno individuato 44 lavoratori, tutti di nazionalità rumena, tra cui 4 minorenni e 20 donne, alcuni totalmente «in nero»;
    l'Istat ha recentemente rilevato che, su un totale di un milione e 200 mila addetti in agricoltura, il 43 per cento è lavoro sommerso e una buona parte di esso è gestito da organizzazioni criminali, cosiddette «Agromafie», con un giro d'affari – stima della direzione nazionale antimafia – di oltre 12,5 miliardi di euro l'anno;
    l'Osservatorio Placido Rizzotto di Flia CGIL afferma che almeno 400 mila lavoratori agricoli – circa l'80 per cento stranieri – si confrontano ogni giorno con l'arcaica pratica dello sfruttamento con una evasione di oltre 600 milioni di euro l'anno;
    fulcro di tale organizzazione è il cosiddetto «caporale», vero e proprio criminale che sfrutta manodopera poco qualificata, soprattutto donne ed immigrati, con metodi illegali e violenti. Costui, solitamente nelle primissime ore del giorno, adesca manodopera giornaliera per farla lavorare abusivamente ed illegalmente in diversi settori produttivi, in maniera particolare nell'agricoltura e nei cantieri edili abusivi;
    per arginare tale fenomeno criminale l'articolo 12 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazione, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha introdotto nel Codice penale italiano il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, punito con la reclusione da cinque a otto anni e con una sanzione amministrativa da 1.000 a 2.000 euro per ogni lavoratore coinvolto. Reato difficile da provare a causa delle difficoltà oggettive e soggettive che incontrano le vittime nel denunciare;
    i dati ufficiali del Ministero del lavoro dicono che ci sono state 1.818 ispezioni nella sola Puglia nel 2014 e quelle che hanno riscontrato irregolarità sono state 925, circa il 50 per cento, per un totale di 1.299 lavoratori. Questo nonostante la regione Puglia abbia recentemente introdotto, con legge regionale sul lavoro, esempi virtuosi come i cosiddetti indici di congruità;
    dal 1o settembre 2015, le imprese agricole interessate possono fare richiesta di adesione alla rete del lavoro agricolo di qualità se dimostrano di essere in regola con il versamento dei contributi ai lavoratori e se non hanno procedimenti in corso in materia di lavoro,

impegnano il Governo:

   a predisporre un'iniziativa normativa urgente sul mercato del lavoro agricolo, affinché possa essere gestito in modo pubblico e trasparente attraverso un vero coinvolgimento della rete del lavoro, gli enti locali, le organizzazioni sindacali e le strutture preposte a colpire e contrastare il fenomeno del lavoro irregolare;
   a prevedere anche l'utilizzo di moderni sistemi tecnologici di controllo – droni – a supporto dell'attività di vigilanza esercitata dagli ispettorati del lavoro e dalle forze dell'ordine;
   ad assumere iniziative per introdurre nell'ordinamento misure come la confisca dei beni sia per i cosiddetti caporali che per le aziende che utilizzano manodopera «in nero»;
   a monitorare le aziende, anche uninominali, che effettuano servizio di noleggio e trasporto di persone al fine di colpire più incisivamente il fenomeno del caporalato.
(7-00807) «Labriola, Schullian, Gregori, Fassina, Mottola, Pastorino, Pastorelli, Capelli, Pisicchio».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «Decreto Sviluppo») pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012, ha modificato l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», ed in particolare ha rideterminato l'oggetto della disciplina del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 con riferimento alle attività di ricerca, di prospezione, nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9;
    le modifiche apportate all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 consentono le attività di ricerca, di prospezione, nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 per procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128;
    le modifiche apportate all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 consentono le attività di ricerca, di prospezione, nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 per i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati prima del 26 agosto 2010, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi;
    le modifiche introdotte dall'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «Decreto Sviluppo»), pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012, salva in modo retroattivo tutti i procedimenti antecedenti alla data del 26 agosto 2010, tra i quali il progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi «Ombrina Mare» nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD;
    la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, in virtù del divieto di coltivazione disposto con il decreto legislativo 128 del 2010, riguardante anche l'istanza presentata dalla Medoilgas Italia spa in data 17 dicembre 2008, aveva espresso parere negativo sulla compatibilità ambientale con provvedimento n. 541 del 7 ottobre 2010, motivando, con riferimento alla presenza in zona costiera prospiciente l'area di ricerca, di «due Siti di Importanza Comunitaria (S.I.C.) ... denominati “Fosso delle Farfalle” e Lecceta litoranea di Torino di Sangro e Foce del Fiume Sangro», oltre che di un'area sottoposta a vincolo paesaggistico di dichiarato interesse pubblico;
    con nota dell'8 novembre 2010 la direzione generale per le valutazioni ambientali, ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 241 del 1990, informava per tempo la Medoilgas Italia spa circa il parere negativo permettendo a questa di formulare, nei termini di legge, le sue osservazioni con nota del 22 novembre 2010. A partire da quest'ultima data, momento della ricezione di suddetta nota, decorreva il termine di quindici giorni entro il quale il Ministero, a norma dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 484 del 1994, avrebbe dovuto formalizzare il provvedimento di diniego dell'autorizzazione per la coltivazione. E, invece, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota n. 783 del 12 gennaio 2011, richiedeva al Consiglio di Stato parere in merito all'interpretazione dell'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 152 del 2006, come modificato dal decreto legislativo 128 del 2010: il Consiglio di Stato, già nell'adunanza della Seconda Sezione del 20 ottobre 2011, aveva fatto chiarezza al Ministero esplicando che «la prima questione interpretativa sottoposta debba essere risolta nel senso di estendere ai proposti siti di importanza comunitaria il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi previsto dall'articolo 6, comma 17, decreto legislativo 152 del 2006 come modificato dall'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 128 del 2010»;
    l'area marina, in cui si sviluppa il progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi «Ombrina Mare», nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD, è collocato a circa 6 chilometri di distanza dal Parco nazionale «Costa Teatina» come disposto, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della legge 8 marzo 2001, n. 931 con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione interessata;
    la fascia costiera della provincia di Chieti compresa tra il comune di Francavilla al Mare e quello di San Salvo contiene elementi paesistici e panoramici di grande importanza, data l'omogeneità morfologica consistente in colline degradanti sul mare, con movimenti di cunei sul mare stesso che generano rocce strapiombanti quali Ortona, Fossacesia e Vasto e rocce rientranti come nel caso di San Salvo, Casalbordino e Francavilla al Mare. La continuità di collegamento tra le spiagge sabbiose e le scogliere scoscese della costa ha permesso, nei secoli, lo spontaneo insediamento di spazi umani in armonia con la realtà naturale, come l'Abbazia di Fossacesia e la cittadina di San Vito Chietino. In questa area insiste un vincolo paesaggistico dichiarato di notevole interesse pubblico dalla legge 1497 del 1939 (oggi articolo 136 del decreto legislativo 42 del 2010). In particolare, è stata vincolata l'area di costa denominata «Fascia costiera che va da Francavilla al Mare fino a San Salvo con colline degradanti sul mare inglobando tutte le singole aree vincolate istituite in precedenza (codice vincolo 130102)»;
    il territorio della costa teatina, e quello dell'intera regione Abruzzo, è caratterizzato dalla presenza di tre parchi nazionali ed uno regionale, oltre che di una zona costiera molto suggestiva e tali caratteristiche territoriali hanno permesso un forte sviluppo di turismo, artigianato, pesca, oltre che del settore agroalimentare e di tutte le attività indotte e connesse; la concessione di coltivazione di idrocarburi potrebbe causare gravi motivi di pregiudizio rispetto situazioni di particolare valore ambientale o archeologico-monumentale;
    la regione Abruzzo, gli enti locali, le comunità territoriali, le realtà produttive e le associazioni sono inclini ad un sistema regionale integrato mare-montagna di sviluppo economico e sociale ecosostenibile; la realizzazione del progetto Ombrina Mare potrebbe fortemente compromettere tale sviluppo, motivo per cui in sede di valutazione di impatto ambientale sono state presentate numerosissime osservazioni sia dalle pubbliche amministrazioni che da gruppi sociali e da diverse associazioni;
    senza ogni dubbio l'area oggetto della richiesta di coltivazione di idrocarburi, denominata «Ombrina mare 2», risulta essere di ragguardevole attenzione pubblica, ambientale e culturale;
    il 14 ottobre 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico è stata convocata la conferenza di servizi decisoria per adottare provvedimenti definitivi del procedimento autorizzatorio dell'istanza di coltivazione di idrocarburi Ombrina Mare 2;
    alcuni consiglieri regionali dell'Abruzzo hanno chiesto al presidente della regione di investire la «Commissione regionale per il patrimonio culturale per l'Abruzzo» della redazione della «integrazione del contenuto delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico» riguardanti la costa teatina e in particolare la cosiddetta Costa dei Trabocchi, nel tratto che comprende i comuni di San Vito Chietino (decreto ministeriale 10 febbraio 1971 e decreto ministeriale 21 giugno 1985), Rocca San Giovanni (decreto ministeriale 3 dicembre 1970 e decreto ministeriale 21 giugno 1985) e Fossacesia (decreto ministeriale 2 maggio 1966, decreto ministeriale 10 giugno 1970 e decreto ministeriale 21 giugno 1985), ai sensi dell'articolo 39 comma 2, lett. h), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 171 del 2014 e dell'articolo 141-bis Codice dei beni culturali, in quanto l'area in oggetto risulta essere sede anche delle tradizionali macchine da pesca denominate «trabocchi», indicandone il rilevante e innegabile valore storico e culturale;
    il paesaggio osservato da terra vedrebbe interferire le singolarità morfologiche costiere e marine, compresi i trabocchi, con una nave serbatoio FPSO con desolforatore, lunga 330 metri — come circa 17 TIR – , alta 54 metri — come un palazzo di 15 piani – e larga 30 metri – le dimensioni sono superiori a quelle di un campo di calcio – in quanto stabilmente ancorata a 6,5 chilometri dalla costa per 30 anni;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 171 del 2014 prevede la possibilità di riesaminare i pareri, nulla osta o altri atti di assenso comunque denominati, rilasciati dagli organi periferici del Ministero «entro il termine perentorio di 10 giorni dalla ricezione dell'atto» (e dunque dovendosi presumere che il processo di riesame sia applicabile ad atti recenti e non definitivi); la stessa norma non vieta che sia chiesto il riesame di atti emanati prima dell'entrata in vigore delle citate norme;
    il Ministero per i beni e le attività culturali con nota n. DG/PBAAC/34.19.04/19889/2010 del 30 giugno 2010, e, successivamente, con nota DG/PBAAC/34.19.24/4211 dell'11 febbraio 2013, ha espresso parere favorevole dichiarando, nelle premesse, «che le opere previste non avranno nessuna interferenza sugli ambiti paesaggistici del territorio costiero, sottoposti ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004»;
    in base alla normativa allora vigente, ovvero il decreto legislativo 128 del 2010, la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale (CTVIA) aveva espresso il parere n. 541 del 2010 che risultava negativo;
    dalla data di preavviso di rigetto della valutazione di impatto ambientale comunicata alla Medoilgas Italia SpA, sul progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi «Ombrina Mare», nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD, in data 8 novembre 2010, il Ministero, a quanto risulta ai firmatari del presente atto, non ha mai formalmente adottato il provvedimento di rigetto, nonostante non sussistesse alcun impedimento formale o esigenze interpretative di quanto disposto dal decreto legislativo n. 128 del 2010, anche alla luce del parere del Consiglio di Stato n. 00123/2011;
    la non adozione definitiva del provvedimento negativo della valutazione di impatto ambientale alla luce del parere n. 541 del 2010, rilasciato dalla CTVIA, ha permesso il riavvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale, come da nota DVA 2012 — 0016621 dell'11 luglio 2012, alla luce della nuova normativa introdotta dal decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012 convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012;
    in applicazione della nuova disciplina, che ha modificato in maniera sostanziale quanto stabiliva la precedente normativa, ovvero il decreto legislativo n. 128 del 2010, in data 21 gennaio 2013, la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale ha espresso un giudizio positivo di compatibilità ambientale sul «Progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi “Ombrina Mare”, nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD», come documentato sul portale web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    ai sensi dell'articolo 6, comma 11, e dell'articolo 9, comma 2, della legge 9 gennaio 1991, n. 9, ove sussistano gravi motivi attinenti al pregiudizio di situazioni di particolare valore ambientale o archeologico-monumentale, il permesso di concessione di coltivazione di idrocarburi può essere revocato, anche su istanza di pubbliche amministrazioni o di associazioni di cittadini ai sensi dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241;
    alla luce delle numerosissime osservazioni presentate, in sede di valutazione di impatto ambientale, sia dalle pubbliche amministrazioni, che da gruppi sociali e da alcune associazioni, all'istanza di permesso di coltivazione di idrocarburi «Ombrina mare 2», è presumibile che, in seguito ad una probabile concessione di permesso di estrazione di idrocarburi, saranno presentate molte istanze di revoca del permesso, anche in tutela e nel rispetto delle caratteristiche paesaggistiche, culturali e ambientali del territorio accennate in premessa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a promuovere un riesame del provvedimento con il quale la Soprintendenza per i beni archeologici dell'Abruzzo — Chieti ha espresso parere favorevole con prescrizioni (nota prot. 0000582 del 28 gennaio 2010), in quanto tale parere risulta focalizzato sulla eventuale presenza di reperti archeologici nel tratto di mare antistante la costa interessata, ignorando, ad avviso dei firmatari del presente atto, del tutto i vincoli paesaggistici e la presenza di un patrimonio culturale di notevole interesse pubblico;
   ad attivarsi anche in sede di Conferenza di servizi, per consentire l'acquisizione di un nuovo parere della Soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo, al fine di ottenere un parere complessivo o revisionato che non si limiti ad un'attenta valutazione degli elementi archeologici in situ, bensì si estenda anche ai beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici.
(7-00809) «Vacca, Del Grosso, Colletti, Melilla».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    la storia dell'umanità e del mondo del lavoro è stata attraversata da millenni di progresso tecnologico. Dalle prime tecnologie agricole alle macchine della rivoluzione industriale fino alla più recente diffusione dei personal computer e della digitalizzazione che ha fatto crescere esponenzialmente il terziario e i servizi. Nonostante i numerosi e profondi cambiamenti, il numero totale di posti di lavoro, al netto delle periodiche crisi economiche, è sempre andato aumentando;
    eppure da sempre, soprattutto nei periodi di crisi occupazionale, l'innovazione tecnologica viene da molti indicata come responsabile della distruzione di posti di lavoro. Questa tesi, esistente sin dai tempi del luddismo, sembra essere tornata in voga negli ultimi supportata anche da analisti ed osservatori secondo i quali l'innovazione tecnologica di cui si è testimoni oggi genererà crisi occupazionali, distruzione di massa di posti di lavoro e povertà diffusa;
    l'innovazione tecnologica viene accusata di rendere obsoleti i lavoratori non solo perché in grado di realizzare macchine che possono svolgere le stesse mansioni svolte dagli uomini, ma perché, avendo solitamente come effetto quello di aumentare la produttività delle imprese, si ritiene provochi una ulteriore riduzione del fabbisogno di manodopera;
    le analisi degli studiosi e l'evidenza empirica non forniscono però elementi a supporto di tali tesi;
    innanzitutto, come evidenziato molti anni fa dagli economisti O. Blanchard (oggi capo economista del Fondo monetario internazionale) e Robert Solow (premio Nobel per l'economia 1987 per i suoi contributi alla teoria della crescita economica), occorre tener presente che l'impatto dell'innovazione sulla produttività e sull'occupazione è collegato alle scelte relative ai livelli produttivi e alle strategie competitive. Solo se l'impresa decide di «congelare» interamente gli incrementi di produttività senza alterare il proprio modello competitivo e quindi senza reinvestire in nuova capacità produttiva si avrà una perdita netta di lavoro. Ma se, come accade tipicamente, l'impresa traduce gli incrementi di produttività in nuova strategia competitiva, per esempio abbassando il prezzo di vendita e aumentando la quota di mercato e la produzione, in tal caso si tende ad avere un aumento di occupazione;
    è importante inoltre ricordare che i miglioramenti di produttività ottenuti tramite innovazione tecnologica solitamente si traducono non solo in un aumento di produzione ma anche in altre tipologie di investimento: in maggior ricerca e sviluppo, in miglior comunicazione, pubblicità, distribuzione, qualità del servizio al cliente e così via, trasferendo risorse ad altri settori produttivi (ricerca, servizi professionali, trasporti e logistica, software, design e altro) e generando anche in tali settori nuovi posti di lavoro. Gran parte degli incrementi di produttività conseguiti dall'industria negli ultimi decenni hanno avuto effetti di questo genere: ovvero creazione di più posti di lavoro nei servizi di quanti ne venissero creati (o distrutti) nell'industria stessa;
    l'evidenza empirica mostra che, in effetti, non esiste una correlazione positiva tra la crescita della produttività e l'aumento della disoccupazione, e neppure tra l'aumento dell'innovazione tecnologica e la disoccupazione. Come evidenziato nel citato articolo di Blanchard e Solow basati su oltre cento anni di dati sull'economia statunitense e su quella francese, (http://economics.mit.edufiles/1909) al netto del periodo della Grande depressione, non si rileva alcuna correlazione significativa tra i due fenomeni;
    anche per quanto riguarda la relazione tra innovazione tecnologica e disoccupazione non si rilevano studi basati su dati ed evidenza empirica a supporto di tale tesi. Dati pubblicati dalla Federal Reserve Bank nel 2001, in cui veniva messo a confronto il tasso di crescita dell'innovazione con il tasso di disoccupazione tra il 1980 e il 2000, mostravano come i due aggregati a partire dal 1984 abbiano avuto una evidente correlazione negativa: all'aumento dell'innovazione corrispondeva un calo della disoccupazione;
    dagli anni ottanta anche in Italia si è avuta una fortissima diffusione della computerizzazione e dei processi di digitalizzazione, con un rilevante impatto sulla struttura produttiva ed occupazionale del nostro Paese: nonostante ciò, il numero delle persone in cerca di occupazione nel 2007 (prima della crisi finanziaria internazionale) era quasi la metà di venti anni prima, grazie alla crescita esponenziale del terziario e alla nascita di nuovi servizi. Si tratta di una trasformazione economica e produttiva in realtà già in atto dall'inizio degli anni Settanta, il cui saldo complessivo è da considerarsi decisamente positivo. Nei quarant'anni tra il 1970 e il 2009 — anni di profondissima trasformazione tecnologica ed economia – l'industria italiana ha perso circa un milione di posti di lavoro, l'agricoltura un altro milione, ma i servizi ne hanno creati circa cinque milioni, con un saldo complessivo nettamente positivo (fonte: Istat, «L'Italia in 150 anni», tavola 10.11);
    tra l'altro, le previsioni sulle dinamiche occupazionali andrebbero accompagnate da un'attenta lettura dei trend demografici. Il declino dei tassi di natalità nei Paesi sviluppati, infatti, contrarrà la quantità di forza lavoro disponibile del futuro, e secondo alcuni analisti questo rende meno preoccupante una eventuale contrazione della domanda di lavoro, semplicemente perché anche l'offerta si andrà progressivamente restringendo. Le stime dell'organizzazione internazionale per il lavoro (ILO) indicano che la forza lavoro globale nella fascia d'età tra i 5 e i 24 anni si sta contraendo di 4 milioni di unità ogni anno; e secondo alcuni economisti la contrazione dell'offerta di manodopera sarà superiore alla contrazione della domanda, dando luogo a delle «labor shortages» che saranno sempre più significative;
    di fatto, già oggi numerosi settori stanno denunciando difficoltà a reperire manodopera, soprattutto quella più specializzata e qualificata: nel 2014 le richieste di lavoratori con competenze matematiche ed informatiche negli Stati Uniti sono state 5 volte superiori alla disponibilità di lavoratori disoccupati con quelle caratteristiche. Anche in Italia rilevazioni come per esempio quelle di Unioncamere sulle previsioni di assunzione delle imprese (rilevazione Excelsior) denunciano una forte difficoltà delle imprese a trovare alcuni profili professionali, in particolar modo quelli con elevate competenze tecniche ed informatiche. Assinform stima che in Italia nei prossimi 5 anni ci sarà una richiesta di 170.000 persone con competenze informatiche specifiche, per cui non si ha il sistema di preparazione necessario;
    la trasformazione del sistema economico-produttivo fa inoltre aumentare anche la domanda di alcuni profili professionali meno specializzati, come i collaboratori domestici o gli autotrasportatori, di cui vi è crescente carenza sia in Italia che altri Paesi come mostra anche l'ultimo rapporto Talent Shortage Survey (2015) di Manpower. Appare evidente, quindi, che più che una «scomparsa» di lavori, il cambiamento tecnologico e l'innovazione determinino via via una «sostituzione» di alcuni lavori con altri;
    in sintesi, la maggior parte degli studiosi, economisti, demografi e altri osservatori sono concordi nel sostenere che l'innovazione tecnologica in sé e per sé (al netto, quindi, delle crisi e dei cicli economici più profondi) non ha mai comportato nel medio-lungo periodo conseguenze occupazionali negative, né ritengono possa comportarne in futuro;
    tuttavia, è sempre molto difficile fare previsioni per il futuro in contesti, come quello dell'innovazione tecnologica, che cambiano in modo rapido e spesso imprevedibile. Alcuni analisti temono, per esempio, che la natura dell'innovazione tecnologica attualmente in corso (come per esempio gli enormi progressi sul fronte dell'intelligenza artificiale) possano avere inediti effetti sulla forza lavoro, incluso quella più qualificata. Purtroppo la scarsità di studi e analisi scientifiche in materia rendono difficile valutare l'effettivo impatto delle future tecnologie e gli eventuali effetti di sostituzione nel futuro mercato del lavoro, ma certamente i Paesi, soprattutto quelli più avanzati, dovrebbero approfondire tali questioni con analisi e ricerche accurate per adeguare tempestivamente i propri sistemi produttivi, educativi e di formazione. Inoltre, il fatto che in una prospettiva di ampio respiro l'innovazione non rappresenti un pericolo per i tassi di occupazione complessivi non significa che nel breve periodo e in determinati settori produttivi essa non possa avere effetti anche dirompenti, soprattutto per quei lavoratori che non posseggano le competenze e le qualifiche necessarie per ricollocarsi facilmente e in tempi brevi in nuove occupazioni e in settori emergenti;
    le differenze nella velocità con cui sistemi produttivi da un lato e istituzioni e mercato del lavoro dall'altro si adattano alle nuove tecnologie (molto più rapidi i primi, più lenti e disomogenei i secondi) possono dar luogo a grandi difficoltà per migliaia di persone, con ripercussioni profonde non solo sulle loro famiglie ma anche, seppur in via temporanea, su variabili economiche rilevanti come i consumi e la spesa sociale per ammortizzatori. Senza contare che, nei periodi di transizione legati a forti cambiamenti tecnologici, la scarsità di manodopera qualificata in grado di rispondere alle nuove esigenze tipicamente causa un aumento delle retribuzioni per questa fascia ristretta di lavoratori a fronte di un calo delle retribuzioni e dell'occupazione per gli altri, facendo aumentare, per un certo lasso di tempo, i tassi di diseguaglianza;
    in sintesi: le incertezze sull'evoluzione della tecnologia e del mercato del lavoro, nonché i disagi e le problematiche individuali e collettive che i periodi di transizione produttiva e tecnologica possono portare con sé, seppur temporanei sono problematiche rilevanti, e richiedono strumenti di monitoraggio, analisi e di intervento molto più sofisticati e tempestivi di quelli attualmente esistenti;
    tra i possibili interventi ipotizzati nel corso degli anni si è diffusa l'idea di una riduzione dell'orario di lavoro come metodo per far fronte agli incrementi di produttività che riducessero la necessità di manodopera, ispirandosi al principio «lavorare meno lavorare tutti»;
    misure di questo genere sono state adottate in Paesi come la Francia (nel 1982 e nel 1998) e la Germania (negli anni tra il 1984 e il 1994). Purtroppo però le riduzioni di orario imposte per via normativa ad interi sistemi produttivi non hanno portato i risultati sperati. Anzi, come hanno mostrato numerosi studi, in alcuni casi hanno persino finito per provocare un incremento della disoccupazione (legata al fatto che, per poter mantenere lo stesso livello di retribuzione mensile, lavoratori e sindacati avevano negoziato un salario orario più elevato, determinando così un incremento del costo del lavoro dell'azienda che finiva per licenziare o sostituire i lavoratori con manodopera meno qualificata e meno costosa), in altri casi hanno provocato un incremento dei secondi lavori o del lavoro nero, e nessun miglioramento delle condizioni di lavoro per i lavoratori (per la Germania si veda in particolare lo studio di Jennifer Hunt pubblicato da The Quarterly Journal of Economics nel 1999, per la Francia gli studi di Marcello Estevao del Fondo monetario internazionale e Filipa Sa del Massachusetts Institute of Technology);
    l'unico elemento che, fino ad oggi, emerge sistematicamente come cruciale nell'attenuazione dei fenomeni di spiazzamento e sostituzione nel mercato del lavoro è l'istruzione e la formazione. Numerosi studi mostrano come l'istruzione sia l'unico fattore in grado di attutire l'effetto dei cambiamenti produttivi e tecnologici sui lavoratori: lavoratori con più elevati livelli di istruzioni sono meno indifesi di fronte alle innovazioni tecnologiche e a un mercato del lavoro sempre più competitivo;
    inoltre, poiché le innovazioni tecnologiche tendono a penalizzare maggiormente i lavori meno qualificati e routinari e le aziende meno innovative, ma ad ampliare o creare nuove opportunità sia per i lavori tipicamente a monte dei processi, come la progettazione, la ricerca e sviluppo, che per le aziende più innovative, ne risulta che i Paesi con i maggiori tassi di investimento in ricerca ed innovazione presentano una maggior resilienza rispetto all'impatto delle nuove tecnologie sul mercato del lavoro, e una maggior capacità di beneficiarne e contrastarne i potenziali effetti negativi;
    purtroppo in Italia come in molti altri Paesi europei la ricerca sugli sviluppi tecnologici ed il loro impatto sul sistema produttivo è molto scarsa, gli investimenti per l'ammodernamento tecnologico delle imprese nel quadro della cosiddetta «Industria 4.0» sono molto inferiori a quelli di molti competitor europei, e lo scollamento tra sistema della produzione, sistema dell'istruzione e della formazione professionale resta ancora molto profondo;
    la recente riforma della scuola ha rivolto una particolare attenzione al rafforzamento del rapporto tra scuola e lavoro, dotando la scuola di nuovi strumenti per far fronte alle esigenze e ai cambiamenti del mercato, e l'Agenzia nazionale per le politiche attive sul lavoro prevista dalla riforma dei servizi per l'impiego contenuta nel Jobs Act potrà rappresentare un efficace strumento di analisi delle nuove competenze richieste dal mercato del lavoro e di coordinamento delle politiche volte a soddisfare i fabbisogni emergenti;
    tuttavia, l'assenza di un monitoraggio costante ed adeguato delle dinamiche tecnologiche ed occupazionali, sia a livello nazionale che internazionale, rende molto difficile orientare ad aggiornare continuamente la formazione e rischia di indebolire l'efficacia dei nuovi strumenti appena varati dal Governo. Inoltre la relativa scarsità di investimenti in ricerca ed innovazione ed in programmi educativi e formativi all'avanguardia rendono il sistema produttivo italiano più lento nell'adeguarsi e nell'incorporare le nuove tecnologie trasformandole in maggiore produttività, maggiore capacità produttiva, investimenti e strategie di mercato espansive,

impegna il Governo:

   a promuovere, nel quadro di una collaborazione tra i Ministeri competenti e gli enti di ricerca e di statistica nazionali ed internazionali, la creazione di un osservatorio permanente sulle dinamiche e le evoluzioni del mercato del lavoro e dell'impatto delle nuove tecnologie sull'evoluzione delle competenze e delle figure professionali, un osservatorio che, basandosi su una puntuale raccolta ed analisi dei dati sui trend occupazionali e sui trend tecnologici, possa fornire tempestive ed accurate analisi sulle dinamiche occupazionali, sull'evoluzione delle competenze richieste dal mercato del lavoro e sull'impatto delle nuove tecnologie da trasmettere periodicamente al Parlamento, ai Ministeri competenti, alle Agenzie e agli enti dedicati alla formazione e ai servizi per l'impiego e le politiche attive;
   a promuovere e a supportare, attraverso l'azione ed il coordinamento della nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, la creazione di specifici progetti formativi per la riqualificazione costante dei lavoratori a maggior rischio di sostituzione od obsolescenza a causa delle innovazioni tecnologiche;
   a promuovere misure per rafforzare gli investimenti in ricerca e sviluppo sia pubblica che privata e gli investimenti per l'ammodernamento tecnologico delle imprese, in modo da rendere il sistema produttivo più competitivo e da stimolare la creazione e diffusione di nuove figure professionali legate all'innovazione tecnologica.
(7-00808) «Tinagli, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Di Salvo, Giacobbe, Gnecchi, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Zappulla».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VILLAROSA, GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione siciliana ha siglato il 31 luglio 2007 il piano di rientro dal disavanzo sanitario;
   i piani di rientro dal disavanzo sanitario sono indirizzati a verificare la qualità delle prestazioni e a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari. Il Ministero della salute è impegnato nell'affiancare la regione siciliana nel raggiungere gli obiettivi di tale piano, assicurando che siano garantiti ai cittadini i livelli essenziali di assistenza;
   l'articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 484, disciplinano la procedura per il conferimento degli incarichi di struttura complessa nelle aziende sanitarie, regolandone tutte le fasi del procedimento, dalla pubblicazione del bando di concorso, ai requisiti per l'accesso, fino all'atto di conferimento dell'incarico;
   nel 2006 l'azienda ospedaliera provinciale n. 5 di Messina, con delibera n. 1453 dell'11 maggio 2006, bandiva una selezione per titoli per il conferimento di n. 1 incarico quinquennale per la copertura del posto di direttore medico con incarico di direttore di struttura complessa, disciplina di cardiologia;
   con delibera n. 701 dell'8 marzo 2007 la predetta azienda provvedeva alla nomina della Commissione di esperti, prevista dall'articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, competente a verificare l'idoneità dei partecipanti al concorso a ricoprire il posto in questione e a stilare l'elenco degli «aspiranti giudicati idonei» selezionati, il quale era successivamente approvato dall'azienda ospedaliera de qua con delibera n. 133 del 21 gennaio 2008;
   in data 7 aprile 2011, dopo più di tre anni dall'approvazione dell'elenco, con due distinte delibere, la n. 1248 e la n. 1249, l'azienda ospedaliera di Messina, tramite il suo direttore generale, dottor Salvatore Giuffrida, conferiva n. 2 incarichi di direttore di struttura complessa di cardiologia a due professionisti, per la copertura dei posti presso il presidio ospedaliero di Sant'Agata di Militello, che non risulterebbe contemplato nella procedura selettiva, e presso il presidio ospedaliero di Patti, per il quale sarebbe stata inizialmente bandita la procedura selettiva, nel 2005;
   secondo quanto denunciato dall'ANAAO ASSOMED, l'attribuzione dell'incarico a Sant'Agata di Militello sarebbe stata effettuata senza avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;
   l'articolo 35, comma 5-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, stabilisce che le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine non superiore a tre anni dalla data di pubblicazione;
   il decreto legislativo del 14 marzo 2013 n. 33, riguardante il riordino della disciplina degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni prevede, all'articolo 19, norme per la pubblicazione dei bandi di concorso di reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche;
   occorrerebbe verificare che siano state rispettate, nella vicenda descritta in premessa, le procedure previste da:
    a) l'articolo 15 del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502 che al comma 7, stabilisce che alla dirigenza sanitaria si accede mediante concorso pubblico per titoli ed esami, disciplinato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483;
    b) l'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con cui è stabilito che le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione;
    c) il decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33, in tema di obblighi di pubblicazione dei bandi di concorso di reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche –:
   se non ritenga di assumere iniziative di competenza, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, per verificare se la nomina da parte dall'ASP n. 5 di Messina di due persone per il conferimento di due incarichi quinquennali per direttore di struttura complessa di cardiologia – uno presso il presidio ospedaliero di Patti e l'altro presso il presidio ospedaliero di Sant'Agata di Militello – sia compatibile con le esigenze di razionalizzazione della spesa di cui al piano di rientro dal disavanzo sanitario, concordato con la regione siciliana e, al tempo stesso, garantisca i livelli essenziali di assistenza ai cittadini. (5-06629)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Arnetta è un torrente che scorre in Lombardia, attraversando le province di Varese e di Milano, appartenente al bacino del Ticino, nasce presso la frazione Torre San Quirico di Varese, quasi al confine con Gazzada Schianno, e scorre in direzione nord-sud parallelo all'Autostrada A8;
   da un articolo del quotidiano on-line «La Prealpina.it» del 21 settembre 2015 intitolato «Il muro crolla, allarme Arnetta» si apprende che dall'alluvione del mese di luglio 2015, un muro adiacente all'argine dell'Arnetta, situato in via Volta, ha ceduto franando nell'alveo senza provocare danni ad altre cose o esseri viventi, ma lasciando una preoccupante lacerazione nel muro che dà verso i parcheggi sotterranei di alcune palazzine di recente costruzione;
   nonostante i solleciti per un intervento che possa porre rimedio, nulla è stato fatto e si è ancora nella fase d'individuazione del soggetto deputato a intervenire;
   la responsabilità dovrebbe essere dei privati, ma soprattutto dell'Aspo, l'Agenzia interregionale per il fiume Po e solo in ultimo del comune di Gallarate;
   l'AIPO è stata istituita nel 2003, in sostituzione del magistrato per il Po, con quattro leggi approvate dai consigli regionali di Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, con il compito di curare la gestione del reticolo idrografico principale del maggiore bacino italiano, occupandosi, essenzialmente, di sicurezza idraulica, di demanio idrico e di navigazione fluviale;
   per svolgere tali funzioni, AIPO è articolata con sedi territoriali nel bacino — da Torino (Moncalieri), fino a Rovigo — e ha la sua sede principale a Parma;
   AIPO, inoltre, è parte del «Servizio nazionale di protezione civile», di cui alla legge n. 225 del 24 febbraio 1992, così come integrata e modificata dalla legge n. 100 del 12 luglio 2012, in particolare per la gestione degli eventi di piena. Nell'architettura organizzativa definita dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, l'Agenzia è chiamata a svolgere il duplice ruolo di centro di competenza — per la modellistica idraulica e lo sviluppo di procedure di gestione in emergenza a scala di bacino, a supporto tecnico della rete dei centri funzionali regionali e delle autorità istituzionali deputate al governo delle piene — e di presidio territoriale idraulico. Le funzioni di centro di competenza sono svolte dal settore PIM — ufficio per il monitoraggio idrologico e il coordinamento del servizio di piena, così come quelle di centro previsionale per il fiume Po e di segreteria tecnica dell'unità di comando e controllo (UCC), mentre l'azione sul territorio è svolta dai presidi territoriali idraulici dell'Agenzia in stretta collaborazione con il sistema di protezione civile;
   i blocchi burocratici e la situazione d'immobilismo dell'AIPO, più volte segnalato dall'ente locale secondo quanto dichiarato dall'assessore all'edilizia del comune di Gallarate, potrebbero causare gravi conseguenze in caso di un'alluvione simile a quella dello scorso anno –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda avviare, di concerto con gli enti locali, per ripristinare l'alveo del torrente Arnetta eliminando il rischio di esondazione in caso di alluvione;
   se il Governo non ritenga di eseguire una verifica sull'idoneità e funzionalità dell'articolazione complessiva del servizio nazionale di protezione civile. (4-10708)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Cassa del Trentino spa, società costituita nel 2005 in applicazione della legge provinciale 9 aprile 1973, n. 13 e il cui capitale sociale di euro 52.555.650,00 è detenuto integralmente dalla provincia autonoma di Trento, svolge attività di raccolta delle risorse finanziarie destinate agli investimenti pubblici a favore del territorio e attività di supporto tecnico nel coordinamento e realizzazione delle strategie del governo provinciale;
   il 30 aprile 2015 l'assemblea dei soci di Cassa del Trentino spa ha nominato il professor ordinario dell'università degli studi di Trento (area scienze economiche e statistiche) Gianfranco Cerea, per il triennio 2015-2017 (e con un compenso di 35.000 euro all'anno), alla presidenza del consiglio di amministrazione della società medesima rinnovando così la carica già ricoperta nel triennio precedente;
   nonostante la disposizione dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 «Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica», e con particolare riferimento alla lettera 10), il professor Cerea non è stato collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, né per il triennio in corso e nemmeno per il triennio precedente;
   l'articolo 108 del decreto del Presidente della Repubblica 382 del 1980, che regola l'attuazione del regime delle incompatibilità, prevede che i professori collocati in aspettativa ai sensi dell'articolo 13 possono optare per il tempo pieno acquisendo il diritto al relativo trattamento economico qualora competa esplicitando così il divieto di accumulo dei compensi;
   il decreto legislativo n. 165 del 2001, le cui disposizioni costituiscono anche per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, prevede, all'articolo 53 comma 8, che il pubblico dipendente prima di assumere incarichi esterni debba richiedere ed ottenere l'autorizzazione da parte dell'amministrazione di appartenenza. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento. In assenza di tale autorizzazione il relativo provvedimento è nullo di diritto;
   sui siti informatici di Cassa del Trentino e dell'Università degli, Studi di Trento non risultano essere stati pubblicati atti e provvedimenti amministrativi relativi all'autorizzazione rilasciata dall'università degli studi di Trento per la nomina del professor Gianfranco Cerea alla presidenza di Cassa del Trentino ai sensi dell'articolo 32 legge n. 69 del 2009. La pubblicazione non risulta essere stata fatta né per la nomina che si riferisce al triennio in corso né per quello precedente;
   in data 16 settembre 2015, dalla stampa locale, si apprende secondo quanto indicato dal rettore dell'Università degli Studi di Trento professor Paolo Collini che il professor Cerea ha chiesto l'autorizzazione all'istituzione universitaria, ma che, in merito alla stessa, è stato chiesto un parere all'Avvocatura dello Stato per i dubbi sorti. Da tale dichiarazione riportata sulla stampa locale emerge il fatto che l'autorizzazione non sarebbe stata rilasciata al momento della nomina;
   in data 17 settembre, il consigliere della provincia autonoma di Trento Filippo Degasperi ha inoltrato un'istanza di accesso agli atti al rettore dell'università degli studi di Trento per avere in visione copia del documento che avrebbe dovuto essere stato rilasciato dall'università di Trento per autorizzare il professor Gianfranco Cerea ad assumere l'incarico esterno di presidente di Cassa del Trentino e copia del parere ufficiale dell'Avvocatura di Stato richiesto dall'università di Trento;
   il rettore dell'università degli studi di Trento, nella risposta notificata al consigliere il 25 settembre, non fornisce i documenti richiesti, ma afferma che, in relazione alla richiesta di autorizzazione avanzata dal professor Cerea, si è proceduto ad autorizzare la prosecuzione dell'incarico da parte dell'interessato, in quanto l'attività svolta rientrava, ad un primo esame, tra quelle previste dal vigente regolamento per lo svolgimento di incarichi extraistituzionali del personale docente e ricercatore. Aggiunge inoltre che, ravvisati alcuni dubbi interpretativi è stato richiesto un parere facoltativo all'avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, subordinando l'autorizzazione al pronunciamento del predetto, organo. Acquisito il parere nel quale l'Avvocatura ha ritenuto che l'incarico in questione fosse autorizzabile solo con il collocamento in aspettativa dell'interessato, l'università, comunicando gli esiti del pronunciamento, ha richiesto allo stesso di far conoscere la propria volontà all'amministrazione di appartenenza. In relazione alla suddetta richiesta, il Professor Gianfranco Cerea ha comunicato di non essere più interessato allo svolgimento;
   dalla risposta del rettore, e in assenza di documentazione che possa comprovare il contenuto delle comunicazioni tra il rettore e il professor Cerea, emergerebbe una nuova tipologia autorizzativa utilizzata per permettere a un professore l'esercizio della facoltà di accettare la nomina alla carica di presidente o amministratore delegato di una società a partecipazione pubblica che però non è rinvenibile nella giurisprudenza in materia, l'autorizzazione subordinata;
   in data 26 settembre 2015, a mezzo stampa, il professor Cerea annuncia le sue dimissioni dalla presidenza di Cassa del Trentino restando tuttavia nel consiglio d'amministrazione della società –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda assumere iniziative normative per garantire che siano pienamente attuati i principi di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché all'articolo 108 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980. (4-10714)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, ALBERTI, D'INCÀ, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, DE LORENZIS, TOFALO, TERZONI, SPESSOTTO, PARENTELA, BECHIS, NICOLA BIANCHI, BRUGNEROTTO e AGOSTINELLI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Terzigno (NA) è ricompreso all'interno del territorio del Parco nazionale del Vesuvio-Riserva MAB-UNESCO dal 1997 (dunque area destinata a presentare la conservazione delle specie animali e vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche di formazioni paleontologiche di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici di processi naturali, di equilibri idraulici ed idrogeologici, di equilibri ecologici, nonché allo scopo di promuovere tutta una serie di attività di educazione, formazione, ricerca, restauro, e altro);
   nel 2008, proprio quest'area a mezzo della legge n. 123, veniva individuata come sede «ideale» di una discarica, sita in località Pozzelle, successivamente tristemente nota quale «Cava Sari», inaugurata nel maggio 2009 e chiusa perché stracolma, soltanto tre anni dopo, nel maggio 2012;
   nel corso degli anni, nonostante comitati cittadini e consiglieri comunali abbiano più volte richiesto informazioni circa la natura dei rifiuti interrati nella «Cava Sari», nessuna chiara e ufficiale risposta e giunta né dal commissariato gestione rifiuti, né dalla società affidataria della discarica, la ASIA Napoli spa, né tantomeno dal comune di Terzigno;
   la Asia Napoli spa in una nota del 12 luglio 2010, relativa ai monitoraggi effettuati ex decreto legislativo 36 del 2003 dei pedometri presso l'impianto di discarica Cava Sari, rendeva noto agli enti preposti il superamento delle concentrazioni superiori ai limiti consentiti dalla legge nella falda acquifera di elementi quali nichel, zinco, PCB, cadmio, aldrin, benzo(a)pirene ed altri, che avrebbero comportato un gravissimo e palese inquinamento della falda acquifera;
   con nota prot. N. 2415/SP del 25 ottobre 2010, la regione Campania convocava un tavolo tecnico presso la prefettura di Napoli per l'avvio di un piano di monitoraggio ambientale della discarica;
   sulla scorta di tale convocazione il comune di Terzigno incaricava un proprio tecnico di fiducia di assistere al prelievo di campioni di acqua tratte dai pozzi «spia» posti a monte e a valle della discarica Sari e, altresì, di relazionare sui risultati delle analisi effettuate dai tecnici dell'ARPAC;
   da tali analisi emergevano, nella falda acquifera, il superamento delle concentrazioni superiori ai limiti massimi consentiti di sostanze quali ferro, manganese, fluoruri, nichel, zinco, PCB e cadmio, diossine, prodotti derivanti da idrocarburi, pesticidi, cadmio, nichel ed altri;
   poche di queste sostanze possono essere riconducibili ed attribuibili alla natura geomorfologica vulcanica, tutte le altre sono di certo frutto di contaminazione causata dallo smaltimento scellerato dei rifiuti, scellerato sia nella scelta del luogo (Parco nazionale del Vesuvio) sia nelle modalità di trattamento dei rifiuti;
   con nota del 1o febbraio 2011, la Direzione Generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiedeva ai gestori della discarica di adottare entro 20 giorni idonei interventi di messa in sicurezza d'emergenza delle acque di falda contaminate a valle della discarica Cava SARI, sita nel comune di Terzigno, in località Pozzelle;
   da ciò si evince che le falde acquifere di Terzigno sono contaminate e che ciò è già noto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   vale la pena ricordare i disastrosi effetti che dette sostanze, accumulandosi nei terreni coltivati e nelle falde acquifere destinate all'irrigazione ed al consumo, possono avere sulla salute delle persone: patologie dei reni, ossa e sangue, disturbi della crescita, danni allo scheletro, carenze riproduttive, tumori al fegato, alla prostata ed ai polmoni, disturbi permanenti se si è fortunati, altrimenti mortali;
   a ciò si aggiunga che la discarica, allo stato, viene gestita dalla società Ecodeco srl, gruppo A2A, che ne cura la captazione dei biogas, ma la popolazione locale lamenta la cattiva gestione di tale impianto dal quale provengono continui miasmi, che costringono i residenti a rifugiarsi in casa, ben serrando porte e finestre, in ragione della presenza di una coltre di vapori sulla discarica;
   i danni causati dalla «Cava Sari» sono molteplici: la presenza di oltre 500 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati all'interno del Parco nazionale del Vesuvio, l'inquinamento di acqua, terreno e aria, l'aumento concreto di patologie tumorali tra la popolazione residente nella zona;
   ad oggi, l'unico «provvedimento» che è stato preso per tutelare la salute della popolazione residente nella zona consta all'interrogante che sia stato l'invito da parte del comune di Terzigno a non utilizzare l'acqua proveniente da detta falda né per il consumo quotidiano né per l'irrigazione delle colture;
   è evidente come si renda necessario, stante la gravità e l'emergenza della questione, un intervento diretto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché si faccia chiarezza sulla corretta gestione della discarica Cava Sari sita in Località Pozzelle, sul rispetto delle norme vigenti in materia di smaltimento dei rifiuti da parte dei gestori, anche a mezzo dell'ausilio del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) per la vigilanza e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente;
   è, altresì, evidente come si renda necessario, stante la gravità e l'emergenza della questione, un intervento diretto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché si prenda contezza dello stato dei luoghi e del reale inquinamento dei terreni, delle acque e dell'aria e, soprattutto, affinché nei luoghi suddetti vengano adottati tutti gli idonei e necessari interventi di messa in sicurezza delle aree inquinate per la tutela del salute delle popolazioni residenti –:
   se e quali urgenti e improrogabili controlli del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenderà disporre per accertare i suesposti fatti e le eventuali condotte tenute in violazione delle leggi e in danno della salute della popolazione locale ed anche se e quali misure d'emergenza finalizzate alla messa in sicurezza e/o bonifica delle aree contaminate il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenderà prendere per salvaguardare la salute dei cittadini e degli abitanti delle zone limitrofe a Cava Sari a tutela della salubrità dell'acqua, del terreno e dell'aria. (5-06628)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che da parte dell'Agenzia delle entrate, direzione provinciale II di Roma, ufficio territoriale di Roma 6 – Eur Torrino sarebbero stati inviati molteplici avvisi di pagamento con relativi interessi a seguito di dichiarazioni dei redditi relative ad anni passati non correttamente compilate;
   in alcuni di questi la motivazione della messa in mora del contribuente con relativo avviso di pagamento da effettuarsi entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione inviata, è individuata dalla comunicazione stessa esclusivamente nel fatto che la documentazione richiesta per la verifica è stata trasmessa dal contribuente, ma essendo stata inviata tramite il canale telematico «civis» dell'Agenzia delle entrate, non è stato possibile aprire i file allegati;
   tale malfunzionamento da imputarsi al sistema «civis» e comunque all'Agenzia delle entrate che ne è il gestore, e che a quanto risulta all'interrogante sarebbe frequente, è stato equiparato ad un mancato invio della documentazione richiesta al contribuente e, senza che seguisse ulteriore comunicazione allo stesso di inviare la documentazione sotto altra forma; da ciò ne consegue la sua messa in mora con invito a sanare, nei termini di legge, una dichiarazione dei redditi considerata errata;
   è di tutta evidenza che una simile motivazione e la conseguente richiesta di pagamento inviata al contribuente oltre ad essere sconcertante e ad attribuire ulteriori oneri al cittadino, contravviene ad avviso dell'interrogante, ad ogni criterio di corretta e trasparente amministrazione, e configura un rapporto assolutamente vessatorio tra amministrazione e cittadino contribuente e che soprattutto inverte il principio dell'onere della prova imputando al cittadino un'inefficienza dell'amministrazione;
   altro elemento che desta qualche perplessità è il contenuto e il tono della lettera che accompagna la comunicazione dell'avviso di pagamento. Nella lettera infatti si sottolinea che l'importo da pagare deve essere saldato entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione e che, se si paga entro tale termine, la sanzione è ridotta del 10 per cento. Nel comunicare che è possibile rateizzare l'importo dovuto, la lettera ribadisce che la riduzione del 10 per cento è valida anche per la rateizzazione, purché il pagamento della prima rata avvenga entro i 30 giorni dal ricevimento della comunicazione. Infine, la lettera dà correttamente notizia al contribuente che può comunque comunicare ulteriori elementi che non siano stati considerati nel corso dell'accertamento formale, ma subito ribadisce ancora una volta che il termine per accedere alla sanzione ridotta è sempre quello di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione. In sostanza, appare all'interrogante di riscontrare nella comunicazione inviata, anche a fronte di motivazioni invero sconcertanti come quella riportata in precedenza, una neppure tanto velata pressione nei confronti del cittadino a pagare subito e usufruire di un piccolo sconto, senza far valere i propri diritti e le proprie ragioni –:
   se quanto riportato in premessa trovi conferma, se sia verificato anche in altre parti d'Italia in danno di altri contribuenti, e quali iniziative intenda adottare in merito il Ministro interrogato al fine di tutelare il cittadino contribuente da condotte che all'interrogante appaiono vessatorie da parte dell'amministrazione.
(4-10706)


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli affitti degli immobili ad uso non abitativo, cioè ad uso commerciale, tra privati, continua ad essere regolato da una normativa di quasi quarant'anni fa, la cosiddetta legge sull'equo canone del 1978, una direttiva del tutto anacronistica e gravemente limitante per l'attività economica del nostro Paese;
   si tratta di una normativa nata in un contesto storico, economico e sociale distante anni luce da quello attuale, e che risponde solo a bisogni che sono radicalmente mutati nel corso degli ultimi decenni; una disciplina che già da molti anni risulta superata, per l'eccesso di vincolismo e per le rigidità che determina in rapporti contrattuali fondamentali per l'esercizio dell'attività economica e di impresa e che, con la crisi economica, ha rivelato ancor di più la sua inadeguatezza rispetto alle esigenze degli operatori, in particolare nel settore del piccolo commercio e dell'artigianato;
   la principale complicazione di questa legge del 1978 consiste nell'obbligo di stipulare contratti di durate inderogabilmente stabilite in periodi che vanno da 12 o addirittura 18 anni, secondo il tipo di attività, nel corso dei quali il canone di locazione deve per legge rimanere immutato, salvo per l'aggiornamento Istat, per giunta solo al 75 per cento;
   con queste metodologie, in una fase di crisi in cui si trova il nostro Paese, è impossibile concordare canoni ridotti rispetto a quelli di mercato, cosa che invece si verificherebbe se la legge consentisse di stipulare contratti di più breve durata o di stabilire anticipatamente una differenziazione dei canoni negli anni;
   nella relazione ufficiale ad un decreto-legge di qualche mese fa, si leggeva che la normativa del 1978 continua a presentare rilevanti elementi di rigidità che non hanno pari oggi nei principali Paesi europei, che l'attuale disciplina vincolistica limita la libertà delle parti di regolare liberamente il rapporto, predeterminandolo in molti elementi essenziali e, che tale inflessibilità costituisce un freno allo sviluppo del mercato delle locazioni commerciali e degli immobili anche ad uso turistico;
   tale situazione, se il Governo non interverrà al più presto, farà aumentare il numero di negozi sfitti, con la conseguenza che continueranno a perdersi attività economiche e posti di lavoro –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di intervenire su una disciplina che impedisce l'incontro tra domanda e offerta e che, soprattutto, scoraggia l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali, specie da parte di giovani;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di affrontare l'urgenza di un provvedimento che disciplina le locazioni commerciali e che è resa ancora più impellente dalla pesante tassazione patrimoniale che gli immobili stanno subendo dal 2012 che, combinata con la non applicabilità agli immobili non abitativi della «cedolare secca», porta ad un'imposizione tale da erodere fino all'80 per cento del canone di locazione, senza considerare le spese. (4-10710)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto penitenziario «Francesco Uccella» di Santa Maria Capua Vetere è attivo come casa circondariale dal 1996 ed ha avuto un ampliamento nel 2013 con l'apertura di un nuovo padiglione detentivo per 370 detenuti;
   oggi ospita una sezione di reclusione per 200 detenuti, una sezione «salute mentale», una per tossicodipendenti, una femminile alta sicurezza, due reparti alta sicurezza maschili, due reparti per detenuti comuni, una sezione protetta per sex offender, ed è dotato di 10 sale colloqui; oltre che di n. 2 campi sportivi, n. 5 palestre, un teatro, n. 5 biblioteche, n. 3 locali di culto, n. 2 laboratori ed un'officina;
   le aule scolastiche sono 20 mentre le stanze detentive sono complessivamente 392, mentre sono in corso lavori per dotare di doccia altre 60 stanze;
   presso la struttura i detenuti possono frequentare la scuola secondaria di 2o grado, l'istituto professionale – enogastronomico, il liceo artistico ed attività lavorative, quali sartorie, nonché compiere attività teatrali;
   nonostante tale condizione di generale efficienza, l'Istituto da diversi mesi sta subendo gravissimi casi di malfunzionamento che stanno provocando numerosi disagi alla popolazione detenuta, con particolare riferimento alla mancanza d'acqua;
   pur essendo intervenuto il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria, di concerto con l'ambito territoriale ottimale 2 e la regione Campania, ad oggi l'istituto vive una gravissima condizione di precarietà che andrebbe affrontata immediatamente e se possibile risolta mediante soluzioni tecniche e finanziarie adeguate e definitive –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali criticità e quali iniziative ormai improcrastinabili intenda adottare per garantire con continuità la fornitura idrica per la Casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. (4-10705)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Ferrovia circumetnea è un'azienda di trasporto pubblico posta sotto la direzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, come risulta dal sito istituzionale;
   dal sito istituzionale si legge, inoltre, che gli obiettivi della Ferrovia circumetnea possono sintetizzarsi nell'offerta di un sistema di trasporto che costituisca un'attuazione delle politiche di mobilità dell'area etnea incentrate sull'utilizzo dei mezzi pubblici, avendo come riferimento la qualità dei servizi, la soddisfazione dell'utenza e il rispetto dell'ambiente;
   l'azienda collega i principali paesi alle pendici dell'Etna con la città di Catania tramite una linea ferroviaria, diversi autobus e una linea metropolitana; in alcuni centri abitati è l'unico servizio di trasporto pubblico attivo;
   l'azienda non compie, però, nessun servizio la domenica e nei festivi;
   lo sviluppo turistico dell’hinterland etneo passa anche dalla disponibilità di un servizio pubblico di trasporto interurbano efficiente e affidabile, tra l'altro molto suggestivo e caratteristico, come nel caso delle carrozze della Ferrovia circumetnea;
   l'attivazione del servizio domenicale gioverebbe all'azienda che potrebbe incamerare nuovi guadagni provenienti dall'utenza pendolare e turistica;
   il potenziamento del servizio migliorerebbe il rapporto costi-benefici grazie all'enorme potenzialità di attrazione di un circuito turistico integrato e funzionante tutti i giorni della settimana;
   la divisione 3 – mobilità dei pendolari – del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha tra le sue competenze: monitoraggio della qualità dei servizi di trasporto per la mobilità dei pendolari; piani urbani della mobilità per gli aspetti di competenza; interventi per il miglioramento della mobilità nelle aree urbane finanziati dallo Stato –:
   se non ritenga di avviare un'azione di monitoraggio sulla qualità dei servizi di trasporto per la mobilità dei pendolari dell'area etnea, a partire dai servizi erogati dal Ferrovia circumetnea;
   se intenda adottare tutte le iniziative di competenza per migliorare la mobilità dell'area territoriale servita dalla Ferrovia circumetnea e, in particolare, adoperarsi affinché il servizio venga effettuato di domenica e nei giorni festivi;
   se non intenda avviare con l'azienda un confronto mirato al potenziamento del servizio per tutti i giorni della settimana, al fine di garantire agli utenti un trasporto pubblico affidabile per l'intero anno.
(5-06630)


   MOGNATO, MARTELLA, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 1, della legge 8 febbraio 2001, n. 21, ha previsto che il Ministero dei lavori pubblici (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) promuova un programma innovativo in ambito urbano finalizzato prioritariamente ad incrementare, con la partecipazione di investimenti privati, la dotazione infrastrutturale dei quartieri degradati di comuni e città a più forte disagio abitativo ed occupazionale e che preveda, al contempo, misure ed interventi per incrementare l'occupazione, per favorire l'integrazione sociale e l'adeguamento dell'offerta abitativa;
   l'articolo 2 del decreto ministeriale 27 dicembre 2001, n. 2522, ha individuato le risorse finanziarie destinate all'attuazione di un programma innovativo in ambito urbano denominato «contratti di quartiere II»;
   con il decreto ministeriale 30 dicembre 2002 è stato modificato il citato decreto 27 dicembre 2001 e sono state ripartite alle regioni le risorse destinate al programma «contratti di quartiere II»;
   ai sensi dell'articolo 4 del citato decreto ministeriale 30 dicembre 2002 le regioni e le province autonome sono state autorizzate a predisporre ed approvare, sulla base del bando di gara allegato al richiamato decreto 30 dicembre 2002, appositi bandi di gara mediante i quali vengono fissate le modalità di partecipazione dei comuni, i contenuti delle proposte nonché specificati i criteri di valutazione delle proposte da assumere da parte della Commissione esaminatrice delle stesse;
   con deliberazione della giunta della regione Veneto n. 2281 del 25 luglio 2003, è stato approvato il bando di gara per la partecipazione ai finanziamenti da parte dei comuni interessati;
   con decreto del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti protocollo n. 391/04 del 21 ottobre 2004, è stata approvata la graduatoria delle proposte di «contratto di quartiere II» presentate dai comuni della regione Veneto ritenuti ammissibili e finanziabili fino alla capienza dei fondi a disposizione della regione medesima;
   tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Veneto, in data 15 dicembre 2005 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro il quale ha assegnato al comune di Venezia per la realizzazione del contratto di quartiere «Altobello» un finanziamento pari ad euro 10.000.000,00;
   sulla base del predetto accordo di programma quadro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Veneto, il comune di Venezia e l'ATER della provincia di Venezia, in data 25 ottobre 2006 è stato sottoscritto il protocollo d'intesa per la realizzazione degli interventi sperimentali nel settore dell'edilizia residenziale ed annesse urbanizzazioni da realizzare nell'ambito del programma innovativo in ambito urbano denominato «contratto di quartiere II» ricadente nel comune di Venezia;
   il citato protocollo è stato integrato con la «convenzione per l'attuazione del programma di sperimentazione ricadente all'interno degli interventi di edilizia residenziale ed annesse urbanizzazioni da realizzare nell'ambito del programma innovativo in ambito urbano denominato “contratto di quartiere II” nel comune di Venezia», sottoscritta tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Veneto, il comune di Venezia e l'ATER della provincia di Venezia in data 24 ottobre 2007;
   è tra l'altro oggetto della predetta intesa il recupero da parte di ATER Venezia dell'intero complesso costituito da 6 edifici prospettanti su via Fornace a Mestre, comprendente gli interventi sovvenzionati di ristrutturazione edilizia degli edifici n. 1 «Campo dei Sassi», n. 2, n. 3 e n. 4 «Tettoie», aventi un costo complessivo previsto di euro 9.758.877,00, e fruenti di un contributo pubblico di euro 8.144.480,00, la parte maggioritaria del quale messa a disposizione dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonché l'intervento convenzionato di ristrutturazione edilizia degli edifici n. 5 e n. 6 «Tettoie», avente un costo previsto di euro 1.938.079,00, interamente finanziato con risorse proprie dell'ATER, a titolo di anticipazione da recuperare con la vendita a prezzo convenzionato degli 11 alloggi e delle 4 botteghe da realizzare;
   a seguito della sottoscrizione del citato protocollo d'intesa l'ATER ha espletato le attività di progettazione, acquisizione dei titoli edilizi e assegnazione dei lavori. Al 31 dicembre 2009 risultavano infatti avviati i lavori degli interventi di edilizia sovvenzionata degli edifici n. 1, detto Campo dei Sassi, per la realizzazione di 36 alloggi, 24 dei quali destinati ad un progetto speciale a carattere sperimentale per gli anziani definiti «fragili»; n. 2 e n. 3 per la realizzazione rispettivamente di 12 alloggi e di 6 alloggi per locazione a canone sociale; n. 4, detto Tettoie, per la realizzazione di 7 alloggi da destinare in locazione a studenti. Risultavano pure iniziati gli altri edifici n. 5 e n. 6 delle Tettoie, destinati ad 11 alloggi e 4 botteghe da porre in vendita a prezzo convenzionato;
   in data odierna, dopo 6 anni circa dall'inizio dei lavori, risultano abitati i soli edifici n. 2 e n. 3 (consegnati entrambi ai locatari il 19 luglio 2012), mentre gli altri interventi, nonostante siano anch'essi da tempo pressoché ultimati, sono in situazione di totale stallo. Infatti, nulla è ancora stato fatto per completare gli allacciamenti e le previste opere esterne di pertinenza e di urbanizzazione dell'isolato, ragion per cui non risulta possibile conseguire l'agibilità e dunque l'utilizzo dei fabbricati;
   questo stato di abbandono potrebbe, a giudizio degli interroganti, configurarsi come un danno erariale per il conseguente e inevitabile deperimento degli edifici ultimati, e per la ritardata messa a reddito degli immobili realizzati con risorse pubbliche (43 unità da locare e 15 unità da vendere);
   la presenza dei cantieri ATER sta inoltre procrastinando il completamento del contratto di quartiere, inficiando il regolare svolgimento degli altri interventi previsti e causando numerosi disagi ai cittadini e all'amministrazione comunale, tra i quali il blocco della mobilità della zona con il conseguente isolamento di parte delle abitazioni del quartiere, lo slittamento di progetti speciali già finanziati dallo stesso contratto (progetto «anziani fragili») e danni economici per l'amministrazione comunale;
   ciò che appare oltremodo preoccupante è il rischio della revoca dei finanziamenti, fattispecie individuata dalla Corte dei Conti (deliberazione sezione n. 15/2013/G emessa nell'adunanza del 21 novembre 2013) tra le possibili ed estreme misure correttive da adottare per contrastare l'eccessiva dilatazione dei tempi di realizzazione degli interventi, eventualità che bloccherebbe definitivamente la riqualificazione urbana del quartiere di Altobello, rendendo vano gran parte dell'investimento pubblico assegnato ed in larga parte già speso –:
   se il Ministro intenda verificare la situazione di stallo creatasi nell'ambito del contratto di quartiere «Altobello» dovuta in particolare al ritardo del completamento degli interventi in capo all'azienda ATER di Venezia, anche adottando – laddove tale inerzia da parte di ATER proseguisse – le necessarie iniziative, nell'ambito del Comitato paritetico per l'attuazione del programma, ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi, ai sensi di quanto previsto all'articolo 11 del citato accordo di programma. (5-06632)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN) è stabilito nel regolamento (UE) n. 1315 del 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE, in cui si individuano i progetti di interesse comune e si stabilisce quali sono le priorità per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti comprendente una struttura a doppio strato che consiste in una «rete globale» e in una «rete centrale» istituita sulla base della rete globale. L'aeroporto di Foggia, Gino Lisa, appartiene alla rete Globale della TEN-T;
   nell'anno 2011, la regione Puglia si è impegnata tramite l'utilizzo dei Fondi FAS, a stanziare 14 milioni di euro per l'allungamento della pista dell’«Aeroporto Gino Lisa» di Foggia. Nel giugno del 2012 la Commissione europea ha ritenuto opportuno contattare la regione Puglia per chiarire la coerenza dello stanziamento con le regole vigenti in materia di aiuti di Stato;
   in risposta alla comunicazione delle autorità italiane, avvenuta il 23 luglio 2014, il 3 settembre 2014 i servizi della Commissione hanno inviato a dette autorità una lettera in cui elencavano le informazioni mancanti, che sono tuttavia necessarie per valutare la compatibilità con il mercato interno, alla luce degli orientamenti del 2014 sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree. I finanziamenti pubblici previsti potranno essere sbloccati soltanto dopo che la Commissione si sarà pronunciata sulla compatibilità degli aiuti destinati all'aeroporto Gino-Lisa, purché risultino rispettate le altre disposizioni del diritto dell'Unione;
   da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 18 luglio 2015, si apprende che la regione Puglia abbia ricevuto una lettera dalla Commissione europea in cui la stessa vuole conoscere chi verserà la quota di spettanza privata per l'allungamento della pista dell'aeroporto di Foggia Gino Lisa per cui sembrerebbe che a fronte di questa richiesta, i 14 milioni di euro stanziati dalla regione Puglia si configurerebbero come «aiuti di Stato» e non potranno essere utilizzati interamente per le opere di allungamento della pista perché verrebbe decurtata una parte pari al 25 per cento dell'investimento –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di chiarire la situazione che si è venuta a creare. (4-10713)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, COSTANTINO, PANNARALE, DURANTI, NICCHI, PELLEGRINO, MELILLA, SCOTTO, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, SANNICANDRO, DANIELE FARINA, PIRAS e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del convegno «Stalking: ossessione criminale», tenutosi alla Scuola superiore di polizia di Roma il 7 ottobre 2015, il Ministro interrogato, presentando i dati dell'incidenza di alcuni reati legati al fenomeno della violenza di genere relativi al primo semestre del 2015, ha illustrato quelli che a suo avviso sono i pilastri di aiuto in caso di atti persecutori, ossia: «Prevenire, punire, proteggere» (AdnKonos, 7 ottobre 2015);
   nella stessa giornata la stampa ha dato conto di diversi episodi di stalking e violenza nei confronti di donne. Tra questi un caso di stalking da parte di due soggetti, padre e figlio, ai danni della ex moglie di quest'ultimo, al sesto mese di gravidanza (Ansa 7 ottobre 2015), verificatosi a Falconara Marittima (Ancona) e conclusosi con l'arresto dei due uomini effettuato dai carabinieri chiamati dalla donna stessa. Ai due uomini sono stati contestati i reati di atti persecutori, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali aggravate, violazione di domicilio e danneggiamento;
   purtroppo non è il primo caso evidenziato dalle cronache, indice di un fenomeno che, a dispetto delle statistiche, continua ad essere presente con evidente diffusione ed aggressività;
   nel corso dell'incontro alla Scuola superiore di polizia, poc'anzi citato, il Ministro interrogato ha riferito che nel 1o semestre dello scorso anno gli atti persecutori denunciati sono stati 6.532, dei quali il 77,25 per cento a danno di donne; mentre nello stesso periodo di quest'anno gli atti persecutori sarebbero scesi del 21,30 per cento, fermandosi a 5.141;
   secondo quanto ha dichiarato il Ministro, tale dato sarebbe attribuibile agli effetti della legge n. 119 del 2013 (cosiddetta legge sul «femminicidio»), tuttavia il calo delle denunce non è di per sé indice assoluto della diminuzione di reati, giacché il calo delle denunce potrebbe essere anche determinato da condizioni di omertà o sfiducia nella giustizia –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire gli ulteriori elementi o dati che permettano di legare il dato del calo delle denunce a quello della diminuzione dei reati di persecuzione;
   quali iniziative sul piano della prevenzione siano state adottate ai fini del contrasto dello stalking e della violenza di genere. (4-10709)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 30 settembre 2015 è scaduto il rapporto in base al quale la cooperativa denominata «Il Biancospino» gestiva il centro di prima e seconda accoglienza per minori stranieri non accompagnati situato a Tavernola, frazione del comune di Como;
   il contratto non è stato rinnovato ed il centro è stato immediatamente sgombrato;
   la decisione, presa dall'amministrazione comunale comasca, è stata argomentata facendo riferimento allo stato di degrado della struttura ospitante i minori stranieri, danneggiata gravemente in seguito alla carenza dei controlli sui giovani ospitati da parte della cooperativa Il Biancospino;
   il centro di prima e seconda accoglienza è risultato in particolare aver perduto i requisiti minimi di sicurezza, stando ai ripetuti accertamenti effettuati dalla azienda sanitaria locale territorialmente competente;
   il comune ha preannunciato iniziative legali per ottenere il risarcimento dei danni dalla cooperativa Il Biancospino, apparentemente piuttosto ingenti, riguardando arredi, porte e strutture igienico-sanitarie;
   gli ospiti minori del centro di Tavernola sono stati già trasferiti altrove;
   in una replica scritta consegnata agli organi di stampa, il responsabile della cooperativa Il Biancospino, Michele Borzatta, ha attribuito all'arrivo di un numero molto più alto di minori non accompagnati i problemi incontrati nel gestire la struttura di Tavernola;
   si è quindi appreso che gli ospiti, 20, per un certo periodo sono stati addirittura 30, a fronte della predisposizione di capacità volte ad accoglierne 16, numero poi sceso addirittura ad 8 –:
   quali iniziative il Governo ritenga di assumere nei confronti della cooperativa Il Biancospino ed, in particolare, se si intenda o meno assumere iniziative per escluderla in futuro da ulteriori appalti per la gestione dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati;
   nelle more dell'azione legale che il comune di Como intenterà nei confronti de Il Biancospino, da quale ente o istituzione saranno sostenuti i danni subiti dalla struttura situata a Tavernola;
   per quali ragioni si sia permesso ad un centro che non doveva ospitare più di 16 minori stranieri non accompagnati, poi scesi ad otto, di accoglierne fino a 30, come affermato dal suo stesso responsabile. (4-10711)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dagli organi di informazione ed in particolare da Repubblica quattro istituti scolastici di Bari hanno rifiutato l'iscrizione ad un bambino di 10 anni, figlio di un criminale noto nella città pugliese e da anni in carcere, fuori regione, per scontare la pena;
   il bambino è in attesa di iniziare la prima media ed ora la pratica è nelle mani del direttore scolastico regionale a seguito dei quattro dinieghi ricevuti ufficialmente, da parte di altrettanti istituti della città, a partire da maggio 2015;
   non è l'unico bambino della città vecchia a non trovare ospitalità nelle scuole di tutta la città il che evidenzia la criticità di una condizione;
   la famiglia del bambino è decisa a proseguire in questa battaglia affinché possa regolarmente frequentare un istituto scolastico, anche in considerazione del fatto che si tratta di scuola dell'obbligo e che le colpe dei padri non possono ricadere sui figli;
   l'ufficio regionale ha fatto sapere di voler risolvere la questione invitando, per iscritto, le scuole a una immediata soluzione;
   Giovanni Falcone sosteneva che per sconfiggere la mafia serviva un esercito di insegnanti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative intenda adottare al fine di consentire al bambino di potersi iscrivere e frequentare un istituto scolastico nella sua città, nonché per evitare che possano verificarsi casi simili, magari meno clamorosi, che rendono lo Stato meno forte e più fragile nel contrastare l'illegalità. (3-01758)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   in attuazione della raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013, il Governo ha approvato il piano nazionale «Garanzia Giovani»; l'iniziativa, che ha preso avvio il 1o maggio 2014, si pone l'obiettivo di fornire ai giovani dai 15 ai 29 anni, disoccupati o i cosiddetti «Neet» (Not in Education, Employment or Training), un'offerta qualitativamente valida di lavoro, un proseguimento degli studi, un apprendistato, un tirocinio, un inserimento nel servizio civile o altra misura di formazione;
   secondo l'ultimo rapporto sul monitoraggio del piano, depositato l'11 settembre 2015, si evidenzia una crescita dei giovani che vi hanno aderito. Al 10 settembre, infatti, il numero degli utenti complessivamente registrati ha superato le 746 mila unità, con un netto delle cancellazioni pari a 646.977. Inoltre, si continua a registrare l'inserimento spontaneo delle occasioni di lavoro: le aziende continuano ad inserire annunci sul portale nazionale, direttamente o per il tramite delle agenzie per il lavoro e, stando sempre ai dati del rapporto ufficiale, le opportunità di lavoro complessive pubblicate dall'inizio del progetto sono pari a 61.223, per un totale di posti disponibili pari a 88.215; di queste 751 disponibilità sono ad oggi attive, per un totale di 1.584 posti disponibili. A questi numeri vanno poi aggiunti quelli derivanti dall'incrocio che può avvenire tramite i servizi per l'impiego, in attesa della partecipazione alle singole misure a seguito degli avvisi regionali e dell'avvio dei bonus occupazionale;
   questi sono i risultati in positivo di un piano che, articolato sulle annualità 2014 e 2015, riguarda l'intero territorio nazionale (ad eccezione della provincia autonoma di Bolzano), è stato avviato con una dotazione finanziaria complessiva di 1.513 milioni di euro e viene attuato per il mezzo delle regioni o delle province autonome che, collegate in rete tra loro, raccolgono le adesioni dei giovani al piano, prendendosi carico della profilazione dei richiedenti mediante l'ausilio dei servizi per l'impiego o delle agenzie private accreditate;
   i giovani, selezionati in base al profilo e alle disponibilità territoriali, sulla base di un «patto di servizio» regolano l'inserimento al lavoro, l'apprendistato, il tirocinio, il servizio civile o le altre opportunità di istruzione e formazione o autoimprenditorialità, con l'intermediazione degli operatori competenti e delle regione o delle province autonome;
   sono le regioni o le province autonome, infatti, a definire le modalità organizzative e di attuazione del piano, sulla base di linee guida emanate a livello ministeriale; le stesse regioni o le province autonome, poi, determinano l'ammontare dei bonus occupazionali e degli incentivi di cui possono usufruire le imprese che assumono con contratto a tempo determinato o indeterminato. Inoltre, sempre le regioni o le province autonome, stabiliscono l'importo delle indennità da corrispondere per i tirocini e, tramite apposite convenzioni, basate sulla Convenzione quadro approvata con Determinazione commissariale del 7 agosto 2014, n. 185, scelgono, o meno, di affidare all'Istituto nazionale della previdenza sociale – INPS il servizio di gestione dell'indennità del tirocinio. Con il messaggio del 3 settembre 2014, n. 6789, l'INPS comunicava l'elenco delle regioni o delle province autonome che hanno stipulato suddette convenzioni e che, ad oggi, è il seguente: Lazio, Puglia, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Campania, Valle D'Aosta, Piemonte, Marche, Basilicata, Liguria, Umbria, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo, Sicilia, Lombardia. Tra queste regioni e province autonome, alcune hanno affidato all'INPS anche il servizio di erogazione dell'indennità di tirocinio, mentre altre hanno scelto di attribuire al soggetto ospitante il compito dell'erogazione diretta del compenso, salvo consentire a quest'ultimo il rimborso tramite l'INPS, una volta concluso il tirocinio medesimo;
   purtroppo, tra le regioni e le province autonome che hanno deciso di affidare all'INPS anche il servizio di erogazione dell'indennità di tirocinio, si sono registrati numerosi ritardi nella corresponsione di quanto dovuto ai tirocinanti, senza che questi ultimi possano contestare tali ritardi in quanto, nello schema di Convenzione approvata il 7 agosto 2014 è specificato che «l'INPS non si assume alcuna responsabilità nei confronti dei beneficiari in ordine a eventuali ritardi nell'accreditamento», ex articolo 3, comma 3, e che l'ente «effettua i pagamenti nei limiti delle risorse finanziarie anticipate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali», ex articolo 2, comma 3, mancando ogni indicazione, invece, sul quando e ogni quanto l'erogazione del rimborso vada effettuata;
   nonostante lo schema di Convenzione preveda che l'ultimo pagamento a favore dei beneficiari dovrà essere effettuato entro il 30 novembre 2018, termine di validità del medesimo provvedimento, la situazione in cui molti giovani tirocinanti a tutt'oggi versano appare contraria alle stesse finalità del piano «Garanzia Giovani» al quale hanno aderito;
   anche nell'azione servizio civile «Garanzia Giovani», che si è sviluppata con proprie modalità decise in alcuni territori da normative regionali e in altri da normative affidate dalle regioni al Dipartimento gioventù e servizio civile nazionale, si stanno presentando casi di ritardi nei pagamenti ai giovani. In questi casi il disagio è acuito ulteriormente dalla normativa, che prevede per il servizio civile nazionale il pagamento mensile dei giovani, mentre per la azione servizio civile «Garanzia Giovani» il pagamento decorre trascorso il terzo mese di servizi –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali provvedimenti intenda adottare per porvi rimedio.
(2-01110) «Ascani, Bonomo, Coccia, Ginato, Giulietti, Capodicasa, Manfredi, Carrozza, Oliverio, Albanella, Sereni, D'Incecco, Cominelli, Lodolini, Amato, Cani, Gadda, Patriarca, Garavini, Galperti, Tino Iannuzzi, Blazina, Verini, Arlotti, Antezza, Grassi, Carra, Tacconi, Rampi, Paola Boldrini, Prina, Fragomeli, Rocchi, Carrescia, Basso, Moscatt, Minnucci, Gasparini, Carella, Carloni, Ghizzoni, Giuliani, Marco Di Maio, Ventricelli, Patrizia Maestri, Capozzolo, Chaouki, Malisani, Castricone, Tentori, Amoddio, Borghi, Zardini, Piazzoni, Rubinato, Narduolo, Rostellato, Impegno, Giuditta Pini, Capone, Nicoletti, Rigoni, Sgambato, Rotta, Donati, Lattuca, Taricco, Tinagli, Cova, Cinzia Maria Fontana, Censore, Venittelli, Di Salvo, Preziosi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:

   si apprende che nei primi 8 mesi del 2015, le denunce di infortuni mortali sul lavoro trasmesse all'Inail sono state 752, a fronte di 652 nel 2014, prendendo in considerazione lo stesso periodo di riferimento. Si assiste, dunque, ad un aumento degli infortuni sul lavoro che richiede l'adozione di specifiche iniziative;

   al riguardo, oltre ad intervenire in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro per prevenire gli infortuni, è necessaria l'adozione di urgenti provvedimenti a tutela delle vittime degli incidenti. Sul punto, come più volte affermato dall'Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro (ANMIL), si deve procedere ad una riforma dell'Indicatore della situazione economica equivalente, poiché la rendita INAIL non può essere inclusa tra i redditi determinanti la situazione economica dell'individuo visto che si tratta di prestazioni di natura risarcitoria;

   del pari, è necessario procedere alla riforma del sistema di indennizzo del danno biologico, riducendo la percentuale di menomazione indennizzabile in rendita passando dall'attuale 16 per cento all'11 per cento, per ricomprendere, quindi, gradi di invalidità comunque considerevoli rispetto ai quali va riconosciuto un sostegno economico;

   ulteriori interventi necessari sono la revisione della tabella delle menomazioni e un meccanismo di rivalutazione dei trattamenti per danno biologico, poiché è assurdo, infatti, che si tratti delle uniche prestazioni sociali a non essere adeguate automaticamente ogni anno; è evidente che la mancanza di un meccanismo di rivalutazione determina una perdita reale di valore delle prestazioni di invalidità che grava ovviamente sugli invalidi del lavoro;

   è doveroso, inoltre, promuovere concrete iniziative per un migliore reinserimento degli invalidi nel mercato del lavoro, rafforzando la rete dei servizi per il collocamento affinché riesca a dare un nuovo impulso alle assunzioni. A riguardo, infatti, dall'ultima relazione al Parlamento sull'attuazione della legge n. 68 del 2013 risulta che, per ogni quattro nuovi disabili iscritti alla lista del collocamento obbligatorio, solo uno ha trovato effettivamente un lavoro; addirittura, procedendo ad un calcolo relativamente al numero degli iscritti alle liste di collocamento, emerge un dato ancora più negativo poiché risulta un avviamento al lavoro ogni 36 iscritti al collocamento –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto a quanto esposto in premessa;

   in particolare, se e quali iniziative intenda adottare in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e per procedere agli specifici interventi individuati in premessa che l'interrogante ritiene necessari per un'adeguata tutela delle vittime di infortuni sul lavoro. (5-06633)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la tromba d'aria abbattutasi il 10 ottobre 2015, in provincia di Agrigento, ha provocato numerosi danneggiamenti ad edifici pubblici e privati, alle opere di difesa idraulica, alle infrastrutture viarie, alla rete dei servizi essenziali ed alle attività produttive, determinando forti disagi alla popolazione interessata;
   le aree maggiormente colpite sono state quelle di Licata, Naro, Caltanissetta e Canicattì, il cui forte vento ha distrutto numerosi ettari di vigneti e piantagioni di pesche, che avevano ancora il frutto pendente, oltre che causato ingenti danni alle strutture agricole (impianti di irrigazione, fabbricati, mezzi ed attrezzi) dell’hinterland;
   secondo quanto risulta dalle segnalazioni pervenute alle autorità locali e alla prefettura della regione siciliana, a subire i danni maggiori sono stati i serricultori, in considerazione che almeno cinquanta ettari di serre e tunnel sono stati letteralmente spazzati via dai venti che a velocità da record hanno imperversato, per pochissimo tempo in tutta l'area agrigentina;
   le comunità interessate attualmente stanno provvedendo a censire i danni al patrimonio pubblico e privato, alle infrastrutture e all'economia agricola delle aree in precedenza indicate, i cui danni secondo le prime stime risultano essere di alcuni milioni di euro;
   l'interrogante segnala come l'economia agricola siciliana, (com’è peraltro noto), nonostante le numerose difficoltà determinate dalla crisi economica, dai ritardi cronici del Mezzogiorno determinati dalle carenza strutturali e dalla concorrenza sleale degli altri Paesi, (in particolare quelli asiatici), risulta essere l'attività principale dell'isola, le cui avversità atmosferiche verificatesi negli ultimi anni ed in particolare nel presente anno, hanno causato gravissimi riflessi economici e sociali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di gravità determinatasi lo scorso fine settimana in provincia di Agrigento, causata dal maltempo, in cui una tromba d'aria ha provocato per intensità ed estensione, ingenti danni alle colture agricole;
   se non ritenga opportuno, in considerazione dei livelli di criticità in precedenza richiamati, attivare interventi in grado di stabilire l'entità complessiva dei danni subiti alle strutture agricole e alle piantagioni, dei territori di Licata, Naro, Caltanissetta e Canicattì, in cui il forte vento ha reso peraltro inagibile la prosecuzione di molte attività rurali;
   quali iniziative urgenti e necessarie, per quanto di competenza, intenda prevedere, a seguito della conclusione dell'analisi dei danni accertati alle filiere agricole maggiormente interessate dall'evento esposto in premessa, a partire dalla serricoltura, anche attraverso la dichiarazione dello lo stato di calamità naturale in favore dei territori colpiti. (4-10712)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI e COVA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della Salute ha dato il via libera al sistema informatizzato per la digitalizzazione e la tracciabilità dell'intera filiera dei medicinali veterinari e alla sperimentazione dell'utilizzo della ricetta elettronica anche per gli animali;
   la ricetta veterinaria e la tracciabilità del farmaco veterinario rappresentano alcune tra le priorità che il Governo si è dato con l'adozione dell'Agenda di semplificazione 2015-2017 che, tra gli obiettivi, prevede proprio il superamento dell'attuale onere di compilazione e trasmissione delle ricette cartacee;
   con il nuovo sistema per l'informatizzazione della ricetta, messo a punto dal Ministero della salute, i veterinari non dovranno far altro che introdurre i dati del medicinale prescritto utilizzando tablet, smartphone o un pc tradizionale;
   tuttavia, la ricetta «semplificata» rischia di non essere tale per chi opera su singoli animali all'interno delle stalle piccole, per le scorte di farmaci degli allevamenti zootecnici ed anche per quanto concerne gli animali da compagnia, tenendo nella dovuta considerazione, anche le situazioni relative alle banche dati nazionali, in particolare per bovini e cani;
   con tale sistema rischia di aumentare la percentuale di proprietari che nemmeno acquista il farmaco, considerato che si tratta di farmaci mai rimborsati dallo Stato ai privati e comunque prescritti a spese del proprietario;
   in verità, vi sono già delle proposte che potrebbero ovviare a queste criticità e consentire davvero raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal Governo;
   si tratterebbe di seguire il farmaco usando la tracciabilità dei farmaci già prevista tra casa farmaceutica e grossista o farmacia. La destinazione finale del farmaco per gli animali da reddito è già previsto dal decreto legislativo 193 del 2006 che identifica il reale acquisto dei farmaci e il suo utilizzo fino al singolo animale. Invece la destinazione finale dei farmaci, realmente acquistati, per gli animali da compagnia può essere fatta con i dati di codice fiscale e partita iva perché è l'unico modo per giungere alla ricetta per singolo capo su farmaci realmente distribuiti con risparmio di costi rispetto a quanto invece si sta verificando in questo avvio di sperimentazione;
   figura cardine di questo processo sarebbero le farmacie che sono già dotate di reti e software in grado di gestire in maniera efficace e trasparente la declinazione pratica della volontà del Ministero;
   l'uso della ricetta nel servizio sanitario nazionale umano, prevede un rimborso ai medici sia per l'acquisto del software che per l'uso del formato digitale delle ricette –:
   se il Governo sia a conoscenza delle criticità inerenti alla questione delle prescrizioni per singolo animale e se non intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'introduzione di alcune modifiche finalizzate a rafforzare la tracciabilità del percorso del farmaco, come riportato in premessa, compresa anche la previsione di un rimborso per i medici veterinari liberi professionisti che faranno uso di ricette elettroniche, piuttosto che creare una gestione complessa e onerosa per tutti senza certezze di efficacia in settori in cui né chi prescrive né quanto è prescritto ricade, a differenza delle prescrizioni per le persone, sui bilanci pubblici. (5-06631)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   BONAFEDE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 settembre 2013 l'interrogante presentava una interrogazione a risposta scritta n. 4/01715 nella quale si evidenziava il caso della cooperativa «Il Forteto», balzato alla cronaca per il verificarsi, negli anni, di episodi di violenze e maltrattamenti su minori;
   la cooperativa «il Forteto», fondata nel 1977 da Rodolfo Fiesoli e da Luigi Goffredi e situata dal 1982 presso l'omonima azienda agricola di 500 ettari a Vicchio (Firenze) – quest'ultima con un fatturato di circa 20 milioni di euro all'anno e 130 collaboratori – è considerata una delle principali comunità toscane di recupero per minori disagiati; il 20 dicembre 2011 Rodolfo Fiesoli, detto «il Profeta», viene arrestato con l'accusa di presunti atti di violenza sessuale anche ai danni di un minore e, assieme a 22 soci della cooperativa, per maltrattamenti commessi all'interno della comunità; il 3 aprile 2012 il consiglio regionale della Toscana istituisce una commissione d'inchiesta sull'affidamento dei minori. Tale commissione – si legge nell'atto di costituzione – «risponde alla necessità di un'accurata valutazione del fenomeno dell'affidamento dei minori a comunità come Il Forteto, oggetto di indagini della magistratura per maltrattamenti, abusi e violenze»; nella relazione finale della Commissione d'inchiesta pubblicata in data 15 gennaio 2013, in cui emerge un quadro mortificante dei raccapriccianti abusi subiti dai minori affidati alla comunità, viene altresì pubblicato un elenco recante decine di nominativi di politici di livello locale e nazionale, nonché di magistrati e professionisti, personalità pubbliche che, a vario titolo e con differenti finalità, hanno visitato la comunità de Il Forteto, fornendo peraltro in tal modo un implicito sostegno e legittimazione alle attività della struttura. Mentre, sotto il profilo economico, vengono quantificati in più di 1 milione e 250.000 euro i contributi pubblici ottenuti da Il Forteto nel periodo 1997 al 2010; in data 12 aprile 2013 tutti e 23 gli indagati di cui sopra vengono rinviati a giudizio con le accuse di violenze su minori e maltrattamenti; dal 28 aprile 2013, la trasmissione televisiva «Le Iene» ha dedicato alcune inchieste al caso de «Il Forteto», con interviste alle vittime degli abusi, minorenni all'epoca dei fatti, rendendo la vicenda tristemente nota a livello nazionale; in data 17 agosto 2013, dopo quattro mesi di indagine, scaturita da una richiesta del consiglio regionale della Toscana, il Ministero dello sviluppo economico ha redatto una relazione conclusiva sui profili amministrativo gestionali della cooperativa agricola il Forteto, chiedendo il commissariamento della stessa. Commissariamento ritenuto indispensabile a causa della pesante ed invasiva commistione tra la comunità di Rodolfo Fiesoli e la cooperativa Il Forteto laddove – indicano i commissari – tra cooperativa e comunità esiste «un legame imprescindibile» e la «tendenza a confondere le regole e i principi della “comunità” con il rapporto lavorativo e societario della cooperativa», rilevando altresì che tutto «viene delegato ai capi ed i soci vengono lasciati all'oscuro persino dei propri diritti»; con l’«inconsapevolezza riferita da alcuni soci interrogati di aver sottoscritto atti importanti, come ad esempio titoli obbligazionari o altri strumenti finanziari, nella completa ed acritica fiducia nei confronti dei proponenti, senza la reale conoscenza di ciò che stavano sottoscrivendo», concludendo con l'allarmante constatazione secondo la quale, la comunità Il Forteto «non appare dotata di strumenti normativi (...) che tutelino e/o garantiscano i diritti di eventuali “ospiti” disadattati e/o minori», in riferimento al fatto che alcuni minori, in passato, non erano stati formalmente affidati a delle coppie residenti nella comunità, ma alla cooperativa stessa, senza che questa però avesse previsto norme e regolamenti interni ad hoc;
   in data 23 agosto 2013 l'Assemblea della cooperativa si è espressa in senso favorevole alla proposta di controdeduzioni formulata dal consiglio di amministrazione in relazione al verbale di revisione degli ispettori ministeriali con 65 soci favorevoli, nove contrari e tre astenuti su 102;
   tale decisione di respingimento della richiesta di commissariamento viene corredata da un comunicato nel quale il presidente afferma che «la cooperativa Il Forteto in questi mesi è stata spesso impropriamente coinvolta su argomenti e fatti come gli affidamenti dei minori per i quali è assolutamente da sempre estranea», considerazione, questa, in apparente contraddizione con una cospicua documentazione ufficiale attestante l'effettiva assegnazione negli anni dei minori da parte del tribunale alla stessa cooperativa agricola;
   nel 1985 la corte di appello di Firenze aveva condannato Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi – la Corte di Cassazione respinse il ricorso dei due condannati – a due anni di reclusione il primo e a dieci mesi il secondo per maltrattamenti ed abusi sessuali su persone, anche affette da disabilità, accolte nella comunità; pur in presenza di tali pesanti condanne, i servizi sociali competenti continuarono a raccomandare al tribunale per i minorenni di Firenze «Il Forteto» quale luogo idoneo per la collocazione di minori allontanati dalle famiglie di origine, ottenendo dal tribunale la destinazione, fino al 2009, di ben sessanta minorenni all'interno della comunità, alcuni dei quali ancora presenti in loco; il 13 luglio del 2000 la Corte europea per i diritti dell'uomo sanzionò l'Italia al pagamento di 200 milioni di lire per i danni morali subiti da due bambini, figli di italiani emigrati in Belgio, affidati alla comunità Il Forteto da parte del tribunale dei minorenni di Firenze;
   successivamente, con la sentenza n. 3267/2015 del tribunale di Firenze, depositata il 9 settembre 2015, in cui il collegio spiega le motivazioni della condanna di Rodolfo Fiesoli e delle altre persone imputate nel processo, nel testimoniare le drammatiche «sofferenze e costrizioni psicologiche» inflitte ai giovani affidati a «Il Forteto», si è stabilito in maniera inequivocabile che la cooperativa era, a differenza di quanto sostenuto dai responsabili della struttura, direttamente coinvolta nella gestione degli affidamenti dei minori. Tale che, a detta dei giudici, «appare evidente la responsabilità dell'ente cooperativa per il fatto illecito dei propri dipendenti, con riferimento alle condotte di cui sono stati ritenuti penalmente responsabili e che: «L'affermazione della responsabilità civile della Cooperativa trova il suo fondamento sugli elementi di prova raccolti e sulle considerazioni svolte nel corso della presente motivazione, essendo provata in modo certo da un lato la totale commistione tra la cooperativa, la comunità ed i singoli soggetti che le componevano; dall'altro la finalità propria della Cooperativa ed il suo oggetto sociale, mantenuto tale fino ai nostri giorni, modificato “in corsa” soltanto nel 2014, con il processo in pieno svolgimento, al precipuo fine di scongiurare quel commissariamento che la prima Commissione di inchiesta regionale aveva proposto, all'esito della sua indagine, proprio per l'intollerabile legame tra la parte produttiva-cooperativa e quella degli affidamenti di “minori e disadattati”»;
   la sentenza, inoltre, a sostegno di suddetta ipotesi, individua una serie di elementi costitutivi la realtà della cooperativa «il Forteto» quali: «la qualità degli imputati, soci della cooperativa, membri dell'associazione, individui della comunità; l'individuazione dell'oggetto sociale con riferimento all'accoglimento e all'ospitalità delle persone disagiate e/o minori di età; la previsione statutaria dell'impiego di questi ultimi nelle attività della cooperativa per il raggiungimento dei suoi fini – lo svolgimento dell'attività economica e la promozione della vita comunitaria dei soci delle loro famiglie –; l'assegnazione di minori e disadattati ai soci della cooperativa, in violazione dei principi essenziali di disciplina dell'istituto dell'affido – caratterizzato dalla temporaneità, affiancamento alla famiglia naturale del minore con la quale deve essere garantito il mantenimento dei rapporti e nella quale deve essere previsto il rientro del minore –, operando una sistematica mistificazione dello stato reale delle cose, con la pretesa di distinguere tra socie famiglie dei soci, le quali ultime, semplicemente, non esistevano al Forteto; la fattiva ingerenza della cooperativa nelle questioni inerenti l'affidamento; la confusione arbitraria tra le suddette entità; il vantaggio derivato alla comunità dall'utilizzo di forza lavoro interna, costituita ad un certo punto, in mancanza di nascite e di vocazioni, queste ultime tutte concentrate solo all'origine, solo dagli affidati», in grado di delineare «un contesto in cui appaiono evidenti – e consapevolmente creati e mantenuti – la confusione e l'intreccio dei ruoli e delle posizioni, con riferimento alle condotte illecite» oggetto della condanna –:
   il Ministero dello sviluppo economico può disporre ispezioni straordinarie delle cooperative ogni qualvolta se ne ravvisi l'opportunità con l'osservanza delle disposizioni stabilite nelle norme in materia ed, inoltre, può prevedere il ricorso alla gestione commissariale delle cooperative in caso di irregolare funzionamento;
   alla luce di quanto esposto in premessa, e della sopraggiunta sentenza n. 3267/2015 del tribunale di Firenze, se il Ministro interrogato non ritenga opportuno ed improcrastinabile ricorrere al commissariamento della cooperativa «Il Forteto», così come disposto dall'articolo 2545 sexiesdecies del codice civile che prevede il ricorso al commissariamento in caso di irregolare funzionamento della società cooperativa tale da comportare un impedimento all'effettiva persecuzione della funzione mutualistica;
   quante ispezioni straordinarie ministeriali siano state disposte presso la comunità del «Il Forteto», con specifica indicazione delle date in cui si sono verificate le eventuali ispezioni. (4-10707)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Martella e altri n. 4-10363, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Moretto.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Luigi Gallo e altri n. 3-01279 del 10 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06628;
   interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis e Petraroli n. 5-06129 del 23 luglio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10713;
   interrogazione a risposta in Commissione Losacco n. 5-06607 dell'8 ottobre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01758.