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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 2 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e X,
   premesso che:
    nei Paesi in via di sviluppo, dal 2001, circa 227 milioni di ettari di terre sono state vendute o affittate a investitori internazionali;
    secondo le ricerche effettuate dalla Land Matrix Partnership, la maggior parte di queste acquisizioni di terreni è avvenuto negli ultimi due anni e l'incremento recente degli accordi di acquisizione delle terre può essere spiegata a seguito della crisi dei prezzi alimentari del biennio 2007/8, dopo il quale investitori e governi hanno ricominciato a interessarsi all'agricoltura dopo decadi di indifferenza;
    questo interesse nasconderebbe cause importanti: le terre acquisite sono destinate alla produzione di cibo per l'esportazione o di biocarburanti. In questi e molti altri casi si può parlare di «accaparramento di terre» o land grabbing;
    la definizione più citata di land grabbing è quella che emerge dalla Dichiarazione di Tirana, siglata da governi, organizzazioni internazionali e gruppi della società civile che hanno preso parte a una grande conferenza sulle regolamentazioni dei diritti fondiari nel maggio del 2011: «acquisizioni o concessioni di terra ... (i) in violazione di diritti umani, in particolare i pari diritti delle donne; (ii) non basate sul consenso libero, preventivo e informato di chi utilizza quella terra; (iii) non basate su una valutazione rigorosa, o che non tengono conto degli impatti sociali, economici e ambientali, inclusa la loro dimensione di genere; (iv) non basate su contratti trasparenti che specificano impegni chiari e vincolanti sulle attività, i posti di lavoro e la condivisione dei benefici; (iv) non basate su una pianificazione efficace e democratica, su una supervisione indipendente e su una partecipazione significativa di tutti gli attori»;
    nel 2012 è stata lanciata la Nuova alleanza per la sicurezza alimentare e la nutrizione (New alliance for food security and nutrition) dal presidente Obama e dal gruppo G8 a Camp David, dopo anni di sottoinvestimento in agricoltura per la sicurezza alimentare globale, promessa in occasione della riunione del G8 del 2009 tenutosi a L'Aquila;
    la Nuova Alleanza è un insieme di accordi che nasce per dare alle grandi società un ruolo chiave nello sviluppo agricolo in Africa e che richiede ai governi partecipanti di dare incentivi al settore agroalimentare, ampliando l'accesso delle imprese a terra, acqua, lavoro e mercati, con lo scopo prioritario di estinguere la fame per 50 milioni di persone entro il 2020;
    per milioni di persone che vivono nei paesi più poveri del mondo, l'accesso alla terra non è una questione di ricchezza, ma di sopravvivenza, di identità culturale e appartenenza sociale: 1,4 miliardi di persone guadagnano meno di 1,25 dollari al giorno e la maggior parte vive nelle aree rurali e dipende per la propria sussistenza in larga misura dall'agricoltura, mentre si stima che 2,5 miliardi di persone siano impiegate a tempo pieno o parziale nell'agricoltura su piccola scala;
    gli impegni all'interno della Nuova Alleanza coinvolgono leader africani, partner del settore privato e governi dei membri del G8. Finora Tanzania, Mozambico, Ghana, Etiopia, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Malawi, Nigeria e Benin hanno firmato alcuni accordi;
    in queste zone, le imprese sono incoraggiate dai governi dei Paesi partner (host states) e dai donatori a stabilire le proprie attività attraverso una serie di incentivi fiscali, normativi e fondiari, così come attraverso nuove infrastrutture;
    in aggiunta alle attività bilaterali, i governi stanno finanziando accordi in terra su larga scala attraverso il supporto fornito alle banche multilaterali e alle istituzioni finanziarie di sviluppo, come ad esempio la Banca mondiale, la Banca europea degli investimenti (BEI), la Banca interamericana di sviluppo (BID), la Banca asiatica di sviluppo (BAS) e la Banca africana di sviluppo (African Development Bank – AfDB). Queste istituzioni agiscono come investitori di riferimento in una serie di fondi internazionali e giocano un ruolo chiave nel rendere possibili gli accaparramenti di terra da parte del capitale privato;
    i Governi locali stanno facilitando gli investimenti agricoli attraverso l'acquisizione di terra da parte di imprese multinazionali per sostenere l'espansione della produzione industriale di cibo, fibre e biocarburante, attraverso quattro modalità: vendite dirette di terra e accordi di locazione a lungo termine; politiche pubbliche che incentivano accordi commerciali in terra collegati a strategie di sviluppo agricolo; sostegno ad accordi commerciali su larga scala da parte di istituzioni finanziarie multilaterali appoggiate dai governi; accordi condotti da imprese finanziate con fondi pubblici di investimento agricolo;
    le più grandi delle 180 aziende coinvolte sono: Yara (concime), Dupont, Syngenta, Monsanto (semi e prodotti chimici), AGCO (trattori), Bunge, Cargill, Diageo, Louis Dreyfus, Kraft e Unilever (materie prime agricole);
    ad avviso dei firmatari del presente atto, tali investimenti aumentano il rischio del cosiddetto land grabbing;
    secondo i dati raccolti attraverso il Land Matrix i principali Paesi di origine degli investimenti internazionali in terra sono gli Stati Uniti (7,09 milioni di ettari) seguiti dalla Malesia (3,35 milioni di ettari), dagli Emirati Arabi Uniti (2,82 milioni di ettari), dal Regno Unito (2,96 milioni di ettari), dall'India (1,99 milioni di ettari), da Singapore (1,88 milioni di ettari), dai Paesi Bassi (1,68 milioni di ettari), dall'Arabia Saudita (1,57 milioni di ettari), dal Brasile (1,37 milioni di ettari) e dalla Cina (1,34 milioni di ettari);
    spesso gli investitori e le élite locali coinvolti in accordi fondiari descrivono le aree individuate come terre «vuote», «inutilizzate» o «sottoutilizzate» ma questo appare come un quadro fuorviante della realtà. Gli investitori puntano generalmente ad aree che sono facilmente accessibili, che hanno un alto potenziale e spesso una densità di popolazione considerevole. Degli accordi documentati nel Land Matrix, quasi metà della terra presa in considerazione era già utilizzata per la coltivazione;
    le progressive ondate di liberalizzazione commerciale avvenute attraverso le politiche dell'Organizzazione mondiale del commercio e gli accordi commerciali bilaterali e regionali hanno favorito l'ingresso di investitori stranieri nella produzione e nelle esportazioni agricole e il loro accesso alla terra, con un spio sostegno da parte di agenzie multilaterali come l'OCSE, la Banca mondiale e persino la FAO;
    uno dei principali problemi che caratterizzano le acquisizioni di terra su larga scala è l'assenza di controllo pubblico: nella maggioranza dei casi documentati, infatti, la mancanza di trasparenza e di accountability indica che le comunità locali non hanno dato il proprio «consenso libero, preventivo e informato» al trasferimento dei titoli di proprietà;
    il «consenso libero, preventivo e informato» (FPIC) è un diritto umano internazionale sviluppato inizialmente per proteggere i diritti delle popolazioni indigene ed è il principio secondo il quale una comunità ha il diritto di dare o rifiutare il proprio consenso ai progetti che le vengono proposti e che possono interessare le terre che possiede, occupa o utilizza abitualmente;
    l'impatto più immediato associato alle acquisizioni di terra su larga scala è anche la perdita di accesso alla terra e in alcuni casi il trasferimento forzato delle comunità locali: nel suo rapporto 2013, Human Rights Watch denunciava che in Cambogia, ad esempio, la situazione delle violazioni dei diritti umani nel Paese aveva registrato un crollo a seguito del supporto governativo alle acquisizioni di terra, inclusi i trasferimenti forzati e le violenze contro le comunità che cercavano di opporsi all'esproprio delle loro terre ancestrali;
    un rapporto pubblicato il 10 gennaio 2014 dal difensore civico del gruppo Banca Mondiale ha criticato la divisione prestiti ai privati della banca, la Società finanziaria internazionale (IFC), sostenendo che non ha rispettato le sue stesse politiche per la protezione delle comunità locali, quando ha investito in un'impresa al centro di un'ondata di violenza e uccisioni in Honduras. Il difensore civico ha concluso che lo staff della IFC non ha adeguatamente valutato e risposto ai rischi di violenza e trasferimenti forzati legati all'investimento, in violazione delle regole stesse dell'organizzazione;
    le donne sono i soggetti più vulnerabili agli accaparramenti di terra perché in genere affrontano una discriminazione sistematica in termini di accesso, proprietà e controllo sulla terra e perché spesso non hanno potere e influenza all'interno dei centri decisionali politici ed economici;
    anche il nostro Paese è parte di questa rete globale sia attraverso azioni, politiche e incentivi promossi dalle istituzioni pubbliche e private (ministeri, imprese, agenzie, istituti finanziari e altro) sia attraverso gli investimenti diretti per progetti agro-industriali realizzati dalle aziende italiane;
    nel Documento di programmazione triennale 2015-2017, approvato con delibera n.2 del CICS dell'11 giugno 2015, l'agricoltura sostenibile e inclusiva e la sicurezza alimentare vengono ribadite come priorità della cooperazione italiana e si sostiene che l'Italia continuerà ad assicurare la propria attiva partecipazione alla definizione della «New alliance to increase food security and nutrition»,

impegna il Governo:

   a riconsiderare la partecipazione alla citata Nuova Alleanza sostenendo, coerentemente alle proprie linee guida in materia di cooperazione agricola, gli investimenti diretti dei piccoli agricoltori e la produzione sostenibile, aumentando le risorse destinate a tali progetti;
   ad adottare le iniziative necessarie a garantire che la politica di internazionalizzazione delle imprese italiane, attraverso l'utilizzo di risorse finanziarie pubbliche e l'azione diplomatica, non finisca per causare, direttamente o indirettamente, fenomeni di land grabbing, adoperandosi affinché, in tutte le operazioni di sostegno agli investimenti e alle esportazioni, si adotti la Eurodad Responsible Finance Charter 81 e si preveda l'osservanza di linee guida vincolanti ispirate alle direttive volontarie sulla governance responsabile dei regimi fondiari (TGs);
   a garantire un migliore e trasparente accesso alle informazioni relative ai progetti finanziati;
   a dare priorità, nell'ambito delle politiche di cooperazione agricola, sviluppo rurale e sicurezza alimentare, al sostegno per l'implementazione delle, direttive volontarie per una governance responsabile dei regimi di proprietà applicabili alla terra, alla pesca e alle foreste nel contesto della sicurezza alimentare nazionale (TGs – Tenure Guidelines);
   a promuovere, attraverso le politiche di sviluppo, il riconoscimento, il rispetto e la protezione dei diritti consuetudinari e informali sulla terra, favorendo politiche di redistribuzione fondiaria e garantendo equi diritti e accesso alla terra per le donne sia all'interno di sistemi fondiari formali, sia consuetudinari;
   ad adoperarsi, nelle opportune sedi europee e a livello nazionale affinché sia promossa la coerenza delle politiche con gli obiettivi di sviluppo, garantendo che politiche settoriali come quelle commerciali, di investimento, agricole, energetiche e climatiche non finiscano per promuovere forme di «accaparramento» di terra;
   ad adoperarsi affinché nell'ambito del Comitato per la sicurezza alimentare (CFS) sugli investimenti responsabili in agricoltura (Responsible Agricultural Investment – RAI) venga valutato l'obbligo, per gli investitori, di rispettare i diritti alla terra legittimi delle donne, dei piccoli agricoltori e delle popolazioni indigene, facendo si che sia riconosciuto il principio del consenso previo, libero e informato per le forme tradizionali di uso della terra e sia prevista l'introduzione di misure atte a proibire le acquisizioni di terra su larga scala, compreso l'accaparramento di acqua e altre risorse naturali;
   a sostenere con risorse finanziarie adeguate la corretta implementazione delle direttive volontarie sulla governance responsabile dei regimi fondiari (TGs) attraverso il ruolo attivo del Comitato per la sicurezza, alimentare nel monitoraggio e coordinamento di tali iniziative;
   a sostenere iniziative che consentano ai legittimi utilizzatori della terra e delle risorse, donne soprattutto, di impegnarsi a difendere i propri diritti alla terra, anche attraverso il sostegno al lavoro del Consiglio per i diritti umani dell'ONU, per l'elaborazione di una dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e di chi lavora nelle aree rurali.
(7-00791) «Spadoni, Da Villa, Busto, Battelli, L'Abbate, Gallinella, Manlio Di Stefano, Scagliusi, Grande, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Massimiliano Bernini, Micillo, De Rosa, Benedetti, Gagnarli, Lupo, Parentela, Terzoni, Daga, Mannino, Zolezzi, Nesci, Fraccaro, Petraroli, Vignaroli».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    nel corso della Conferenza su sistemi sanitari e crisi economica, che si è svolta il 17 e 18 aprile 2013 ad Oslo, l'Organizzazione mondiale della sanità, data la situazione congiunturale e i dati relativi al carico di spesa sanitaria dei Paesi europei, ha individuato nella prevenzione e nel trattamento precoce una via efficace per il mantenimento della sostenibilità economica dei sistemi sanitari nei Paesi ad alto reddito;
    l'Unione europea ha avviato il terzo programma in materia di salute per il periodo 2014-2020, Health for Growth, che ha tra i suoi obiettivi la promozione della salute dei cittadini e la prevenzione delle malattie, indicando ai singoli Stati membri la strada da seguire per la crescita dell'Europa. Nel piano triennale 2014-2017 l'Unione europea afferma: «la prevenzione delle malattie e la promozione della salute contribuiscono ad aumentare la speranza di vita e il numero di anni in salute. Oltre al fatto che la salute è la più grande ricchezza e un obiettivo di per sé, i cittadini sani contribuiscono alla prosperità economica in virtù della maggiore partecipazione al mercato del lavoro e della produttività. L'investimento ben indirizzato a promuovere la salute e a prevenire le malattie è uno degli strumenti più costo-efficaci per stimolare la crescita del PIL. Ciò diviene fondamentale nel contesto di una società che invecchia e che lavora più a lungo»;
    il Ministero della salute afferma che in Italia la spesa destinata al primo livello di assistenza, che comprende, tra le altre, le attività di prevenzione rivolte alla persona, quali vaccinazioni e screening, si attesta al 4,1 per cento della spesa sanitaria, contro il livello fissato nel patto per la salute 2010-2012 del 5 per cento;
    non solo il 5 per cento del fondo sanitario regionale non viene speso interamente dalle regioni per il fine per cui è stato allocato, ma soltanto l'1 per cento del fondo sanitario nazionale viene utilizzato per attività di prevenzione rivolte alle persone senza nessuna correlazione tra allocazione e obiettivi di copertura e adesione definiti dagli enti di sanità pubblica sia per vaccinazione che per screening;
    secondo l'ultimo rapporto Osmed sull'uso dei farmaci in Italia, la spesa per vaccini in Italia nel 2013 è stata solo di 322 milioni di euro e il costo per vaccini per tutta la popolazione residente in Italia dai neonati agli anziani, in termini pro capite, sarebbe di soli 5,4 euro. Un valore decisamente ridotto se si considera che la spesa pro capite per farmaci in Italia è pari a 187,7 euro; il piano nazionale di prevenzione vaccinale 2012-2014 riconosce come priorità di sanità pubblica la riduzione o l'eliminazione del carico delle malattie infettive prevenibili da vaccino e prevede di diffondere la cultura della prevenzione come scelta consapevole e responsabile dei cittadini e di realizzare azioni per potenziare l'informazione e la comunicazione al fine di promuovere l'aggiornamento dei professionisti sanitari;
    il Sottosegretario De Filippo, intervenendo in XII Commissione, ha affermato che è di primaria importanza raggiungere e mantenere elevate coperture vaccinali: la presenza di un'offerta capillare e gratuita, garantita dall'obbligo, è stata negli anni passati un potente fattore di lotta alle disuguaglianze, offrendo gli stessi diritti alla prevenzione ai bambini nati in ogni parte del nostro Paese;
    lo European centre for disease prevention and control ha certificato che l'Italia, così come altri Paesi europei, ha ridotto, dal 2009 a oggi, la copertura vaccinale contro l'influenza stagionale negli over 65, nonostante la prevenzione sia uno dei focus della strategia europea da qui al 2020 e nonostante uno studio europeo abbia dimostrato che il raggiungimento di un tasso di copertura del 75 per cento potrebbe salvare 35.000 vite umane ed evitare costi indiretti per 112 milioni di euro; il programma europeo Health for Growth ha tra i suoi obiettivi quello di «combattere le crescenti minacce sanitarie derivanti dagli spostamenti delle popolazioni a livello globale», contribuendo, tra l'altro, a introdurre «una copertura vaccinica ottimale per lottare efficacemente contro la ricomparsa di malattie infettive»;
    nel momento attuale in cui vi è una crescente presenza di migranti provenienti da Paesi ad alta incidenza di patologie infettive, è alto il rischio di ricomparsa di malattie comunemente considerate debellate, come dimostrano i recenti fatti di cronaca che hanno visto un presunto contagio di tubercolosi tra i militari impegnati nell'operazione Mare Nostrum e così come è avvenuto con l'epidemia di Ebola, che da Guinea, Sierra Leone e Liberia ha rischiato di diffondersi nel resto del mondo con due casi che sono arrivati nel nostro Paese;
   l'Italia ha ricevuto un importante riconoscimento internazionale nel settore della vaccinazione: nell'ambito del summit di Washington sulla «Global Health Security Agenda». Il 26 settembre del 2014, è stata formalizzata la leadership del nostro Paese nella predisposizione di piani strategici di implementazione, comunicazione e monitoraggio sulle vaccinazioni. Tra i compiti assegnati al Governo italiano rilevanti quelli nel campo educativo e della comunicazione sulla vaccinazione;
    nel corso del semestre di presidenza italiana, il Consiglio dei ministri della salute dell'Unione europea ha adottato specifiche conclusioni sulle vaccinazioni quale strumento efficace per la sanità pubblica. In questa sede gli Stati membri sono stati invitati – tra le altre cose – a migliorare i programmi di vaccinazione nazionale, ad incoraggiare la ricerca su nuovi vaccini e ad informare in modo efficace la popolazione per rafforzarne la fiducia nei programmi di vaccinazione;
    la necessità di una comunicazione efficace nei confronti delle famiglie sulla prevenzione vaccinale è emersa anche dai dati del rapporto del Censis «La Cultura della vaccinazione in Italia: un'indagine sui genitori». A titolo di esempio, meno del 6 per cento del campione intervistato è risultato essere a conoscenza di quali siano le vaccinazioni obbligatorie. Altro aspetto, rilevante affrontato dal rapporto è la scelta dei canali di accesso alle informazioni scelti dai genitori: il 42,8 per cento del campione ha cercato informazioni su internet al momento di decidere se vaccinare o meno i propri figli e, sulla base di quanto reperito in rete, il 7,8 per cento ha deciso di non procedere alla profilassi;
    i vaccini sono inoltre oggetto di contestazione da parte di chi obietta che la profilassi abbia conseguenze negative sulla salute di bambini e adulti, sebbene, recenti sentenze dei tribunali, come quello di Rimini abbiamo negato il legame tra vaccinazioni e malattie come l'autismo;
    occorre anche fare chiarezza su pronunce giurisdizionali relative a eventuali danni da vaccini, come le sentenze del 2014 del Tar del Friuli Venezia Giulia e della corte d'appello di Lecce, che si sono pronunciate sulla somministrazione di vaccini in modo ravvicinato e massiccio nei confronti di due militari, deceduti rispettivamente nel 2002 e nel 2008: nel primo caso il tribunale ha invitato il Ministero della difesa a riesaminare la richiesta della famiglia di considerare il proprio figlio «vittima del dovere», mentre nel secondo caso è stato condannato il Ministero della salute a risarcire la famiglia del militare deceduto;
    con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2015 n. 160 della delibera del 30 giugno 2015 è stata disposta dalla Camera dei deputati l’«Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni»,

impegna il Governo:

   ad aggiornare in tempi rapidi il calendario vaccinale incluso nel piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014 con l'inserimento dei nuovi vaccini disponibili e di comprovata efficacia e l'ampliamento delle popolazioni che possono usufruire della gratuità, assicurando, ad esempio, l'abbassamento dell'età per la vaccinazione antinfluenzale a 60 anni e con essa l'introduzione della vaccinazione anti pneumococcica per la prevenzione delle polmoniti, l'estensione della vaccinazione anti HPV ai maschi, la vaccinazione anti varicella, la vaccinazione anti Herpes Zoster nella popolazione anziana, la vaccinazione contro il meningo B, la vaccinazione antirotavirus;
   ad assumere iniziative per potenziare, in attuazione del piano nazionale di prevenzione vaccinale 2015-2018 e sulla scorta del ruolo che l'Italia ha ricevuto nella Global Health Security Agenda, la formazione e l'informazione sull'importanza delle vaccinazioni nei confronti della popolazione, dei genitori, bambini e operatori sanitari;
   ad assumere le necessarie iniziative a tutela della salute pubblica e del personale italiano impiegato in missioni militari sulla base delle risultanze che la costituenda Commissione parlamentare di inchiesta produrrà.
(7-00792) «D'Incecco, Lenzi, Amato, Miotto, Casati, Capone, Patriarca, Piccione, Piazzoni, Grassi, Argentin, Giuditta Pini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   VALLASCAS, BENEDETTI, GAGNARLI, TOFALO, DEL GROSSO e NICOLA BIANCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   è operativo, presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'ufficio per il mercato interno e la concorrenza che, tra le sue articolazione, annovera il servizio per gli aiuti di Stato;
   il decreto del presidente del consiglio dei ministri 4 febbraio 2015, sull'organizzazione della struttura dipartimentale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all'articolo 5, comma 7, sui compiti dell'ufficio recita: «Assicura la vigilanza e l'attività d'informazione preventiva nel settore degli aiuti di Stato al fine di garantire la coerenza della legislazione e della prassi applicativa dello Stato e delle autonomie locali con i principi e le normative dell'Unione europea, e partecipa ai tavoli di coordinamento e consultazione in sede europea e nazionale sulle tematiche collegate»;
   il medesimo decreto, all'articolo 5, comma 9, lettera d), nell'enunciare i compiti del servizio aiuti di Stato, definisce nel dettaglio quanto illustrato al citato comma 7;
   da quanto esposto, apparirebbe chiaro il ruolo fondamentale dell'ufficio per il mercato interno e la concorrenza, per il tramite del servizio aiuti di Stato, nell'informazione preventiva, presso le articolazioni dello Stato, le regioni, le autonomie locali, dei criteri di erogazione e dei requisiti in base ai quali gli aiuti di Stato possano essere considerati compatibili con il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che disciplina la materia agli articoli 107 e 108;
   questa attività risulterebbe determinante per salvaguardare il rispetto della normativa, per prevenire errate applicazioni e per evitare di incorrere in valutazioni negative e contestazioni da parte della Commissione europea sulla natura dei benefici concessi dagli Stati membri, evenienza che, oltre al rischio di distorsione della concorrenza del mercato, determinerebbe l'avvio del procedimento di recupero degli aiuti presso i beneficiari degli stessi;
   quest'ultima evenienza, considerata la celerità con cui la Commissione europea imporrebbe il recupero, a fronte di investimenti particolarmente rilevanti, determinerebbe in molti casi la condizione di insolvibilità da parte dei beneficiari, con conseguente compromissione dell'organismo societario che ha beneficiato dell'aiuto illecito;
   è il caso di rilevare che, al 5 giugno 2014, erano sedici le decisioni che non risultavano archiviate dalla Commissione europea, e pertanto ancora in corso, per le quali la Commissione aveva sollecitato la restituzione dei benefici erogati;
   nei casi citati sembrerebbe che si delinei l'assurda situazione in base alla quale, per un'errata interpretazione della normativa europea da parte dell'organismo erogatore, sia il destinatario del beneficio illecito a subirne le conseguenze peggiori;
   in caso di riconoscimento di incompatibilità degli aiuti di Stato con il regolamento sul funzionamento dell'Unione europea, verrebbero attivate dall'ente erogatore procedure di recupero con tempistiche che risulterebbero incompatibili con la liquidità e la solvibilità del beneficiario e che determinerebbero situazioni di grave sofferenza finanziaria che spesso sfocerebbero nella chiusura delle intraprese economiche;
   è il caso di citare la vicenda della Saremar, società di cabotaggio marittimo della regione Sardegna, ammessa al concordato preventivo che si concluderà il 31 dicembre 2015 con la liquidazione dell'azienda e il licenziamento di 167 dipendenti, a causa dello stato di insolvenza che si sarebbe determinato a seguito della decisione della Commissione europea che ha disposto il recupero di 10 milioni e 800 mila euro, considerati aiuti di stato ottenuti dalla regione Sardegna, tra il 2011 e il 2012, nell'ambito del progetto Flotta Sarda;
   egualmente assurda sembrerebbe la situazione di 28 albergatori della Sardegna, condannati a restituire 35 milioni di euro, ottenuti come finanziamento per riqualificare le strutture ricettive, a quanto pare a causa di un errore commesso dalla regione Sardegna in fase di predisposizione e pubblicazione dell'apposito bando;
   tutto questo sembrerebbe delineare una situazione in cui l'informazione preventiva potrebbe essere stata insufficiente ovvero potrebbe essere stato carente lo stesso coordinamento a livello nazionale e regionale sugli aiuti di Stato e porrebbe la questione di una corretta interpretazione della normativa europea in materia –:
   quali iniziative intenda adottare per creare le condizioni affinché si ottenga una diffusione chiara dei criteri e dei princìpi che regolamentano a livello europeo il sistema degli aiuti di Stato, al fine di evitare che si determinino situazioni in cui la Commissione europea non riconosca la compatibilità degli aiuti di Stato con il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   in che cosa consistano, nel dettaglio, le attività del servizio aiuti di Stato dell'ufficio per il mercato interno e la concorrenza, presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con particolare riguardo alle attività di informazione preventiva presso le articolazioni dello Stato, le regioni e le autonomie locali;
   se non ritenga opportuno avviare un'attività di sensibilizzazione, informazione, nonché di formazione, per il tramite del servizio aiuti di Stato dell'ufficio per il mercato interno e la concorrenza, presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, presso tutte le articolazioni dello Stato, le regioni, le autonomie locali, al fine di fornire indicazioni chiare sulle modalità di concessione di aiuti di Stato che possano essere valutati legittimi e compatibili con il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. (4-10579)


   COSTANTINO, DURANTI, RICCIATTI, PANNARALE, PALAZZOTTO, MELILLA e PIRAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dall'articolo pubblicato il 15 settembre 2015 sul blog La 27 Ora del Corriere della Sera, prima delle vacanze scolastiche del corrente anno, presso la scuola media paritaria di Trento, l'Istituto Arcivescovile, uno dei docenti di religione nonché vicepreside del suddetto istituto, ha invitato alunne e alunni ad acquistare il libro di testo «Voglio imparare ad amare» di Gimmi Rizzi, edizioni Elledici;
   il libro riporta testualmente le parole: l'omosessualità è «un disordine nella costruzione della propria identità sessuale» e quindi «è alquanto opportuno accompagnare l'omosessuale perché modifichi il suo orientamento sessuale», che è «una tendenza contro il progetto di Dio» e che «un rapporto fra omosessuali è dunque sempre da condannare». Dice anche che «poiché all'origine dell'omosessualità non vi stanno cause genetiche ma vi stanno certe relazioni che il soggetto ha vissuto in famiglia e in altri ambienti che lo hanno portato ad un disordine nella costruzione della proprio a identità sessuale è alquanto opportuno accompagnare l'omosessuale perché modifichi il suo orientamento sessuale»;
   dopo averne parlato in famiglia e verificato che gli stessi figli erano turbati dalle parole riportate nel testo, scatenando obiezioni anche in classe, durante la lettura, alcune madri di ex alunne e alunni di quel corso hanno perciò denunciato l'accaduto presso l'Arcigay locale;
   il professore e vicepreside, raggiunto dall'associazione, ha confermato che il testo di cui sopra è utilizzato per l'educazione all'affettività dei ragazzi e delle ragazze anche per quest'anno scolastico;
   le teorie riportate nel libro sono state ampiamente contraddette dalla scienza. Il presidente nazionale dell'ordine degli psicologi, Fulvio Giardina: ricorda infatti che secondo: «l'Organizzazione mondiale della sanità, l'omosessualità è una variante naturale della sessualità umana, non è dovuta a squilibri psichici e l'orientamento sessuale non è modificabile con interventi terapeutici»;
   l’American Psycological Association aggiunge che si tratta di «una variante normale e positiva della sessualità umana», che non rimane confinata nell'ambito ristretto della vita sessuale di una persona, ma che coinvolge tutto il suo essere, la sua vita affettiva, familiare, scolastica e professionale;
   l'Istituto Arcivescovile è un istituto confessionale, ma anche paritario, è beneficiario di fondi pubblici e svolge una funzione pubblica;
   l'articolo 29 della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza stabilisce che chiunque può creare e dirigere istituzioni didattiche, ma a condizione che sia rispettato il suo diritto fondamentale all'identità personale e che l'educazione impartita in tali istituzioni sia conforme alle norme minime prescritte dallo Stato;
   lo Stato italiano, l'Unione europea e il Consiglio d'Europa, riconoscono che l'orientamento sessuale, sia omosessuale sia eterosessuale, sono elementi costitutivi dell'identità personale di ciascuna persona e che vanno garantiti allo stesso modo;
   in particolare, l'orientamento omosessuale è considerato ad ogni livello della legislazione una condizione personale che può esporre la persona al rischio di discriminazione o violenza e che lo Stato e tutte le sue espressioni devono impedire che ciò accada;
   il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione (decreto ministeriale 16 novembre 2012 n. 254) dichiara espressamente la centralità della persona nell'educazione; infatti, le finalità della scuola «devono essere definite a partire dalla persona che apprende». Una persona concreta e non astratta «da porre al centro dell'azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi»;
   la legge obbliga tutte le scuole e istituzioni educative, non solo quelle pubbliche, ad avere un approccio affermativo, libero da pregiudizi, nei confronti degli studenti e delle studentesse omosessuali, di qualunque età;
   le scuole – come quella di Trento – che a giudizio degli interroganti negano alla radice la dignità delle persone omosessuali, ci siano o meno tra i loro studenti è indifferente, commettono il peggiore dei delitti contro la persona che il nostro ordinamento ha scelto di non tollerare;
   le conseguenze di insegnamenti come quello attuato nella scuola trentina comportano negli studenti il rafforzamento di stereotipi e pregiudizi, dell'omofobia interiorizzata e del minority stress, con conseguenze che producono discriminazione, violenza omofobica e arrivano fino al suicidio che – non a caso – è statisticamente più alto tra i minori omosessuali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intendano agire affinché venga garantito, in qualunque scuola, pubblica, privata o paritaria di ordine e grado, nelle attività curricolari e in quelle del piano formativo, che vi sia un atteggiamento affermativo nei confronti delle persone gay e lesbiche e quali iniziative di competenza intenda assumere, con immediatezza, per evitare nella scuola di Trento e non solo, l'utilizzo di libri di testo, anche solo consigliati, che si pongono in aperto contrasto con le finalità educative della scuola e contro le leggi dello Stato. (4-10581)


   COSTANTINO, DURANTI, RICCIATTI, PANNARALE, PALAZZOTTO, MELILLA e PIRAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del commissario ad acta (DCA) n. 66 2015 della regione Calabria recepisce il DPGR – CA n. 37 del 21 marzo 2014 il quale recita «A02BC — Inibitori della pompa protonica (IPP), individuare come target di riferimento regionale un consumo non superiore a 74,0 DDD (Dose Definita Die)/1000ab./die.»;
   per il decreto del commissario ad acta dunque, il consumo dei farmaci per le patologie acido-correlate, ovvero i cosiddetti gastroprotettori (che si usano per l'ulcera duodenale, l'ulcera gastrica, reflusso gastroesofageo e altro, e per la prevenzione delle complicanze gravi del tratto gastrointestinale superiore nelle persone anziane e non solo che assumono acido acetilsalicilico – la cardioaspirina – a basse dosi per la prevenzione di eventi gravi di tipo cardio-cerebrovascolari) in Calabria è consentito, in regime di rimborsabilità, a 74 calabresi su mille;
   otto medici di famiglia dell'Associazione medici di base Mediass di Catanzaro collegati in rete, i quali utilizzano lo stesso programma di gestione della cartella clinica (denominato Millewin) e con le stesse modalità validate e in collegamento con altri mille medici di famiglia in tutta Italia che operano alla stessa maniera, ha effettuato una estrazione dei dati del proprio archivio (che contiene i dati di oltre dodicimila assistiti a Catanzaro) e il risultato è stato che vi sono ben 81 assistiti ultrasessantacinquenni per ogni mille assistiti che assumono la cardioaspirina e che quindi necessitano «obbligatoriamente» per come impone la nota 1 dell'AIFA, della prescrizione degli IPP (i gastroprotettori). Si evince quindi che il limite imposto dal decreto del commissario ad acta n. 66 per questa categoria di farmaci, in regime di dispensazione da parte del servizio sanitario nazionale) è abbondantemente sottostimata;
   a questi 81 su mille assistiti si aggiungono: gli infra sessantacinquenni che possono aver diritto alla prescrizione, sempre in regime di dispensazione da parte del servizio sanitario nazionale; gli assistiti, ultra e infra sessantacinquenni, che acquistano di tasca propria la cardioaspirina perché a causa delle compartecipazioni, dovute anche al piano di rientro sanitario cui è sottoposta la Calabria, il farmaco costa di più con la ricetta che senza, che quindi non risultano nella estrazione fatta perché non riprescritti ogni volta nella loro cartella clinica; gli assistiti affetti dalle patologie acido correlate che hanno una prevalenza sulla popolazione a due cifre e autorizzate alla prescrizione con il servizio sanitario nazionale dalla nota 48 dell'AIFA, si comprende che il decreto del commissario ad acta permette di curare soltanto una minima parte dei calabresi che ne avrebbero diritto;
   oltre al «razionamento» degli IPP il piano di rientro sanitario calabrese prevede numerosi tagli verso altre categorie di farmaci a larghissima diffusione, ma il dato specifico è che il suddetto piano non tiene conto che in Calabria vi sono molti più malati, che non nel resto d'Italia, affetti da patologie come ipertensione arteriosa, diabete mellito, cardiopatie ischemiche e altre malattie cardiometaboliche e che perciò necessitano della terapia con cardioaspirina e conseguentemente di quella con IPP (dati Sfera Italia 2013) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano intraprende, per quanto di competenza, affinché l'accesso a questi farmaci salva-vita venga garantito in un contesto come quello della regione Calabria, in cui le percentuali dimostrano un'incidenza particolarmente significativa rispetto ai bisogni di prescrizione dei farmaci IPP. (4-10585)


   KRONBICHLER. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto enti locali, n. 78 2015, articolo 10, abolisce il documento digitale unificato (DDU) e reintroduce la carta d'identità elettronica (CIE);
   per gli oneri derivanti dall'adeguamento della anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e la introduzione della nuova carta d'identità elettronica è autorizzata la spesa di 59,5 milioni di euro già per questo anno e di 8 milioni di euro l'anno 2016;
   da dicembre 2016 inizieranno a scadere le tessere sanitarie dotate di chip (carta nazionale dei servizi CNS) e tale ri-emissione (costosa) potrebbe essere evitata con l'implementazione della nuova CIE;
   attualmente le tessere sanitarie CNS sono dotate di tecnologia contactless RFID con standard criptografici non utilizzati largamente dal mercato;
   la diffusione di cellulari dotati di Near Field Communication (NFC) invece è ampia ed in costante aumento fra la popolazione immaginando, quindi, una possibile sempre maggiore possibilità di accesso ai servizi online della pubblica amministrazione;
   utilizzando lo standard NFC i cittadini potrebbero usare i servizi online parallelamente al sistema pubblico identità digitale semplicemente usando il cellulare come lettore della CNS appoggiando la carta d'identità al cellulare, eliminando il costo del lettore e aumentando la fruibilità dell'accesso ai servizi online –:
   quale sia lo stato di avanzamento dei decreti attuativi e delle iniziative per l'implementazione della carta d'identità elettronica, visti i fondi disponibili per il 2015;
   se non ritenga necessario e urgente assumere iniziative per utilizzare lo standard NFC per le nuove carte per ampliare la platea di servizi e dispositivi utilizzabili. (4-10589)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Espresso ha di recente pubblicato un articolo di Emiliano Fittipaldi che riporta un lungo elenco di nomi, cognomi dei cosiddetti «Renzomandati», ovvero coloro che hanno ottenuto cariche o nomine pubbliche durante il premierato di Matteo Renzi, sottolineando che tali cariche sarebbero state date per motivi ben diversi dalla meritocrazia tanto sostenuta dal Premier stesso;
   nonostante frasi come «la meritocrazia è l'unica medicina per l'Italia», il Premier avrebbe «sistemato» un elevato numero di amici in molti posti di potere delle società per azioni pubbliche, dalla burocrazia statale a tutte le aziende partecipate e controllate, trascurando tutti quei criteri di selezione legati ai titoli e alla reale competenza, fondamentali quando si tratta di affidare nomine pubbliche, pagate coi soldi dei cittadini e determinanti per il futuro del Paese;
   il Presidente Renzi avrebbe attinto, per le nomine, fra i suoi amici personali, gli amici degli amici, i finanziatori della sua fondazione «Open», i frequentatori della «Leopolda», qualche indagato, e per rispetto ai poteri forti, una lunga serie di ex-politici in cerca di ricollocamento, affidando incarichi rilevanti ad amici, raccomandati di ferro e manager privi di laurea, con curricula impresentabili o comunque inadatti al ruolo ottenuto;
   tra i nominati di cui si parla nell'inchiesta sopra citata, vi sarebbero:
    un imprenditore del settore calzaturificio, che ha regalato a Renzi le D'Acquasparta, le scarpe con il tricolore che il Premier ha indossato allo show del recupero della Costa Concordia, e che avrebbe finanziato la fondazione del Premier, Open, con 25 mila euro, nominato dal Governo vicepresidente dell'Ismea, l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare controllato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
    una manager della Fiat e membro della direzione nazionale del Pd, inserita nel consiglio di amministrazione dell'Anas;
    un amico tributarista del Premier, nominato amministratore delegato di Equitalia;
    il commercialista del Premier, già revisore del comune di Rignano sull'Arno e sindaco della Stazione Leopolda, inserito nel collegio sindacale dell'Eni, colosso energetico dove è diventato da poco vicepresidente senior Lapo Pistelli, fedelissimo di Matteo, assunto dall'azienda controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze mentre era Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
    un ingegnere elettrotecnico, coordinatore della campagna elettorale di Renzi nelle primarie del 2012, sistemato prima con un incarico politico di rilievo, promosso sottosegretario all'istruzione, all'università e alla ricerca e poi, dopo alcune divergenze con il Premier e il Ministro Stefania Giannini, spostato all'Agenzia del demanio dove non ci si occupa né di scuola né di elettricità, ma di patrimonio immobiliare;
    il presidente della Fondazione Open che cura l'evento e raccoglie i fondi per la manifestazione alla Leopolda, che ora siede nel consiglio di amministrazione di Enel;
    un economista e amico personale di Matteo, promosso nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica;
    un «gran maestro» del renzismo televisivo, cacciato da La7 perché accusato di creare buchi milionari in bilancio, prima inserito nel consiglio di amministrazione di Poste, poi nominato direttore generale della Rai;
    l'ex capo dei vigili urbani di Firenze, voluta dal Premier nel delicatissimo compito di capo del dipartimento affari giuridici della presidenza del Consiglio, anche se la sua nomina «era stata inizialmente bocciata dalla Corte dei conti per mancanza dei requisiti, poi spuntati fuori. Ora gestisce il traffico dei corridoi di Palazzo Chigi, e guadagna 207 mila euro l'anno»;
    una conoscenza di vecchia data del Premier, fino ad agosto direttore del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, oggi neo-vicesegretario generale di Palazzo Chigi;
    il patron della New Basket Brindisi e candidato senza fortuna alle ultime europee, che qualche settimana fa è stato nominato presidente di Invimit, società del Ministero dell'economia e delle finanze che gestisce fondi immobiliari per miliardi di euro anche se nel suo curriculum non si trova traccia di alcuna laurea, ma un titolo di ragioniere raggiunto all'istituto tecnico «G. Calo» di Francavilla Fontana;
    un amico del Premier ed ex direttore dell'Asl di Firenze, messo alla presidenza della Consip (società pubblica del Ministero dell'economia e delle finanze che fa consulenze alle amministrazioni pubbliche negli acquisti di beni e servizi vari);
    un fotografo, originario di Rignano sull'Arno, amico di famiglia, assunto come nuovo fotografo ufficiale di Palazzo Chigi a 70 mila euro l'anno;
   inoltre, sembra che colui che è divenuto presidente di Cassa depositi e prestiti, avrebbe avuto rapporti stretti con Luigi Bisignani, il lobbista condannato per la maxitangente Enimont e la P4: come risulta dal brogliaccio inedito (pubblicato da L'Espresso) degli atti dell'inchiesta sulla P4, nel 2010 i due chiacchieravano al telefono di vita, morte e miracoli di Andrea Orcel, il banchiere inviso a Bisignani come possibile successore di Alessandro Profumo alla guida di Unicredit;
   inoltre, a Palazzo Chigi, riporta L'Espresso, sarebbero «Tutti rigorosamente toscani. Il segretario particolare Franco Bellacci per seguire l'agenda di Matteo prende 85 mila euro l'anno, il capo della segreteria tecnica Giovanni Palumbo un po’ di più. Palumbo assiste il premier dai tempi della Provincia, quando fu fatto segretario senza titoli: leggendo una sentenza del 2011 si scopre che la Corte dei Conti contestò la sua assunzione a Palazzo Vecchio, in quanto «privo di titolo di laurea (conseguito successivamente) e, comunque, non in possesso di un curriculum congruo rispetto alle mansioni per cui è stato assunto». Ora di lauree ne ha due (una alla Nicolò Cusano, non proprio Harvard) e guadagna 110 mila euro l'anno»;
   e poi il Premier «per migliorare i suoi rapporti con gli Agnelli ha piazzato all'Enit Evelina Christillin, manager robusta e moglie dell'attuale presidente delle Generali Gabriele Galateri di Genola. A qualcuno è sembrata una nomina senza senso: non tanto per le capacità della Christillin, ma perché l'Agenzia per il turismo italico è regina indiscussa degli enti inutili, talmente malmessa che gli stessi dipendenti hanno scritto una lettera al premier pregando di chiuderlo»;
   ed inoltre, sempre secondo l'inchiesta de L'Espresso, «nemmeno Franco Bassanini ed Emma Marcegaglia sono stati rottamati. Il primo, perso il posto da capo della Cdp, è stato nominato “consulente speciale” di Renzi per la banda larga, mentre l'ex presidente di Confindustria è finita alla guida dell'Eni nonostante il rischio di conflitto d'interessi: non solo il gruppo Marcegaglia è una delle aziende siderurgiche più importanti del Paese, ma il fratello Antonio, presidente e amministratore delegato dell'azienda di famiglia, nel 2008 patteggiò per una vicenda di tangenti pagate per alcuni appalti a un manager di Enipower»;
   per quanto riguarda la «lottizzazione dei partiti, infine, sono stati premiati anche due berlusconiani di ferro come Luisa Todini, ex europarlamentare di Forza Italia promossa ai vertici di Poste, e Mauro Masi, l'ex direttore della Rai intercettato al telefono con Bisignani e Berlusconi mentre discutevano di come far fuori Michele Santoro da viale Mazzini, confermato sulla poltrona di ad della Consap, importante società di servizi assicurativi pubblici dove l'aveva parcheggiato Berlusconi, dandogli come cadeau anche l'incarico di presidente»;
   dallo studio fiorentino dell'avvocato Umberto Tombari sarebbero usciti, invece oltre che, Maria Elena Boschi oggi Ministro, l'avvocato Federico Lovadina, «battezzato» nel consiglio di amministrazione di Trenitalia, e Anna Genovese, da giugno nuovo commissario della Consob, «Tutti indicati al premier da Francesco Bonifazi, oggi tesoriere del Pd e un tempo, ovviamente, avvocato dello studio Tombari»;
   invece dalla società toscana Publiacque, che si occupa del ciclo integrato dell'acqua a Firenze, Prato, Pistoia e Arezzo, verrebbero il nuovo capo di Enav Roberta Neri, il nuovo capo di Acea Alberto Irace e persino il nuovo direttore dell’«Unità» Erasmo D'Angelis;
   numerosi organi di stampa avevano già messo in luce nei mesi scorsi come le recenti nomine di Eni, Enel, Poste e Finmeccanica fossero state effettuate seguendo logiche spartitorie e di appartenenza, nominando amici intimi e finanziatori del Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, oltre che manager con un passato politico;
   il Governo aveva pagato 50 mila euro più iva la consulenza di due società di head hunting (cacciatori di teste), la Spencer & Stuart e la Korn Ferry, incaricate di selezionare i curricula per individuare i nuovi top manager pubblici fuori da logiche di lottizzazione politica, per perseguire una logica meritocratica, che è stata poi, a quanto sembrerebbe, tradita;
   il Ministro dell'economia e delle finanze ha emanato una direttiva, in base alla mozione n. 1-00060 approvata al Senato della Repubblica il 19 giugno 2013, che dispone che, per la valutazione delle candidature, i candidati non devono essere membri del Parlamento, del Parlamento europeo, del consiglio di una regione o di enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti, devono possedere comprovata professionalità ed esperienza in ambito giuridico, finanziario o industriale e non devono avere conflitti di interesse rispetto all'incarico da assegnare;
   inoltre, si stabilisce come causa di ineleggibilità o decadenza dall'incarico l'aver subito una condanna, anche non definitiva, per delitti contro la pubblica amministrazione o per altri reati in materia bancaria, finanziaria, assicurativa;
   sarebbe opportuno, secondo il parere dell'interrogante, assumere urgentemente un'iniziativa normativa di rango primario volta a prevedere che le proposte governative di nomina dei membri dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo fossero effettuate anche secondo criteri come l'esclusione di coloro che abbiano un procedimento giudiziario in corso, di coloro che abbiano già ricoperto l'incarico per due mandati consecutivi e di coloro che abbiano superato i limiti di età di 66 anni o che pur essendo stati candidati, non siano stati eletti nel Parlamento, nel Parlamento europeo, nel consiglio di una regione o di enti locali con popolazione superiore a 15 mila abitanti o abbiano ricoperto incarichi governativi negli ultimi cinque anni –:
   se il Governo non ritenga chiarire se quanto segnalato dall'inchiesta de l'Espresso e riportato in premessa risulti vero e, in tal caso, quali iniziative intenda intraprendere in merito;
   se il Governo non intenda chiarire al più presto le ragioni di queste nomine, prodotte da logiche di selezione poco chiare e difficilmente condivisibili, e se non consideri necessario altresì rivalutare immediatamente le nomine che non hanno seguito i criteri stabiliti dalla direttiva del Ministero dell'economia e delle finanze del 24 giugno 2013;
   se il Governo non consideri necessario ed urgente assumere un'iniziativa normativa volta a seguire, per le proposte governative di nomina dei membri dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo, i criteri auspicati di cui in premessa nel nome di quella trasparenza e meritocrazia tanto invocate in precedenza dallo stesso Premier. (4-10597)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   DAGA, LIUZZI, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in seguito ad un piano di lottizzazione risalente agli anni 80’, il comune di Maratea, nell'anno 2012, ha approvato una variante al programma di fabbricazione per consentire l'edificazione di 196 abitazioni di altezza fino a 9 metri visibili dal mare, pari a trentamila metri cubi di volumetria, in una zona costiera di incredibile bellezza, interessata da un'area rientrante in programmi europei (natura 2000, SIC, direttiva «habitat»);
   la variante al programma di fabbricazione che prevede edificazioni totalmente difformi per sagoma, per tipologia edilizia e per distribuzione planimetrica, rispetto alle opere esistenti, è stata illegittimamente approvata giustificandola come «intervento di interesse pubblico»; la documentazione ambientale prodotta descrive luoghi diversi da quelli dove dovrebbero sorgere le nuove edificazioni, omettendo di indicare la reale posizione geografica delle nuove opere, ubicate a «ovest», in zona territoriale ricompresa tra quota 350 e 500 m slm, in un'area prospiciente lo scenario costiero dell'Isola di Santo Janni, paesaggisticamente tutelata nonché sito di interesse comunitario;
   nonostante la normativa europea imponga la verifica ambientale strategica a piani di lottizzazione che superano la soglia volumetrica di 25 mila metri cubi, il comune di Maratea ha adottato ed approvato la variante al programma di fabbricazione in argomento, senza esperire gli adempimenti di cui alle direttive comunitarie VAS e VIA, del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   le nuove edificazioni che diventerebbero parte integrante del già esistente megacomplesso turistico «Pianeta Maratea», dovrebbero sorgere in una zona classificata ad elevatissimo rischio idrogeologico c.d. –R4-, così come emerge dalla tavola del piano stralcio;
   molte risorse pubbliche sono state impiegate negli ultimi dieci anni, in consulenze e incarichi professionali per affrontare studi ed indagini sul territorio per redigere il piano strutturale comunale (strumento di pianificazione urbanistica generale che deve essere predisposto dal comune, per delineare le scelte strategiche di assetto e sviluppo e per tutelare l'integrità fisica ed ambientale e l'identità culturale del territorio comunale), ma ad oggi non risulta ancora essere adottato-approvato;
   degli ultimi studi compiuti e della documentazione depositata presso gli uffici della regione Basilicata nell'agosto dell'anno 2010, si rileva un elevatissimo rischio idrogeologico sia nell'aree interessate dai nuovi interventi edificatori, che nelle restanti zone d'interesse, ove negli anni 80’ sono state già realizzate circa 200 abitazioni turistiche, pari a circa centomila metri cubi di cemento;
   nel mese di giugno 2015 l'associazione ITALIA NOSTRA Onlus, ha presentato un ricorso al Tar di Roma avverso il silenzio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in ordine alla richiesta di intervento ex articolo 309 ed all'opposizione ex articolo 310 del codice dell'ambiente; ricorso connesso alla vicenda del completamento del Villaggio turistico «Pianeta Maratea»;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con nota prot. 1443 del 28 gennaio 2015, ha trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la nota prodotta dai rappresentanti del presidio di Maratea dell'associazione Italia Nostra, avverso la realizzazione delle opere in questione –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere riguardo alle istanze di Italia Nostra Onlus;
   in considerazione dell'elevatissimo dissesto e rischio idrogeologico che interessa gran parte della costa di Maratea e tenuto conto che i gravi eventi calamitosi degli ultimi anni che hanno interessato le frazioni di «Acquafredda» e «Castrocucco», hanno causato la chiusura per numerosi mesi, di due delle uniche tre vie di accesso alla città lucana. (4-10596)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   LIUZZI. —Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere — premesso che:
   il comune di Venosa rappresenta dal punto di vista artistico e culturale uno dei centri più importanti della Basilicata, sia per la ricchezza di testimonianze storiche sia per la particolarità delle stesse;
   nell'ottica di una promozione del turismo e della cultura, anche alla luce di Matera 2019, dovrebbe essere interesse di tutte le istituzioni locali valorizzare il più possibile il patrimonio artistico e culturale di Venosa;
   di fatto, da anni la situazione dei monumenti di Venosa si caratterizza per una gestione inadeguata da parte di chi dovrebbe occuparsi non solo della conservazione ma anche della promozione;
   in particolare, si assistono a continui problemi per l'apertura e la fruibilità di importantissimi monumenti quali le catacombe ebraiche, il sito paleolitico di Notarchirico, completamente abbandonato e privo delle adeguate misure di sicurezza per una adeguata fruibilità, nonché il parco archeologico interdetto al pubblico nelle ore pomeridiane;
   con riferimento al parco archeologico dalla seconda metà di marzo a.c., dopo aver soppresso temporaneamente il turno notturno del personale addetto ai servizi di vigilanza presso il Museo di Venosa, è stato possibile aprire il parco anche nel pomeriggio. Dal 1o giugno 2015, però, si è ritornati allo status quo, con i turni notturni ripristinati e la chiusura del Parco archeologico durante le ore pomeridiane;
   il personale addetto ai servizi di vigilanza della sede di Venosa è composto da numero 15 unità a fronte di 5 siti da gestire in concreto (Museo; Parco archeologico; Anfiteatro romano; Catacombe ebraiche; Parco paleolitico di Notarchirico), mentre la vicina sede di Melfi dispone di n. 13 unità (addetti ai servizi di vigilanza) per un solo sito (Museo archeologico all'interno del castello federiciano);
   negli ultimi anni il personale dislocato presso la sede di Venosa ha visto una diminuzione a causa di pensionamenti e/o trasferimenti, passando dalle iniziali 22 unità alle attuali 15;
   il decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2014 attuata dall'attuale Ministro interrogato, prevede la coesistenza su uno stesso territorio di due organismi (soprintendenza archeologia e polo museale) rispetto ai quali non sono ancora state specificate le relative competenze. Ai sensi della normativa suddetta, alcuni importanti musei italiani non sono stati considerati «di rilevante interesse nazionale» e sono stati inseriti soltanto nella lista dei poli Museali, non potendo tra l'altro dotarsi dell’«autonomia speciale». Per i tanti musei minori altrettanto importanti, il pericolo è ancora più grave: isolati da quelli maggiori, potrebbero restare senza adeguate risorse finanziarie e senza progetti. La riforma non enuncia chiaramente come si intenda strutturarli, finanziarli, rilanciarli e genera una struttura – a detta dell'interrogante – eccessivamente accentrata, con ben 12 direzioni generali, con il rischio di una sovrapposizione di competenze come nella fattispecie della città di Venosa;
   tale situazione genera confusione e problemi burocratici che gli operatori del settore sono costretti a riscontrare quotidianamente e che con il passare dei mesi fanno sentire i loro effetti sulla situazione già precaria dei luoghi della cultura gestiti dal Ministero;
   allo scenario sopra descritto segue un'incertezza generalizzata che non permette la predisposizione di una seria programmazione, costringendo ad azioni non coordinate e spesso frutto dell'iniziativa privata dei Soprintendenti e dei responsabili delle sedi periferiche;
   nel caso specifico, non si comprendono le ragioni che hanno indotto la soprintendenza a ripristinare i turni notturni presso il Museo del Comune di Venosa a discapito della apertura pomeridiana del Parco archeologico, soprattutto se si considera che il Castello (all'interno del quale è ubicato il Museo) resta comunque chiuso ed interdetto alle visite durante le ore serali e quindi non vi è alcun vantaggio per il turismo cittadino;
   non si comprende quale programmazione vi sia e quale idea di promozione turistica, culturale si celi dietro tali scelte;
   le possibili soluzioni ai problemi sollevati sono molteplici e in particolare si evidenzia la possibilità di intervenire su due fronti: a) spostamento personale presso la sede di Venosa; b) adeguamento degli impianti antifurto ed antincendio del Museo con conseguente attivazione del personale interno o affidamento dei controlli a vigilanza esterna –:
   come intenda intervenire al fine di promuovere il patrimonio culturale e artistico della città di Venosa e delle città italiane che si trovano nella medesima situazione della città lucana;
   come intenda intervenire per chiarire e semplificare le procedure decisionali per una seria programmazione e coordinamento con gli enti locali coinvolti;
   quali siano le ragioni di tali scelte operate dalla sovrintendenza della città di Venosa e se intenda intervenire per richiamare i soggetti interessati, allo svolgimento dei loro doveri. (3-01740)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALTIERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   molti dei beni storico-artistici privati versano in condizioni estremamente preoccupanti;
   l'articolo 31 del «codice dei beni culturali» (decreto legislativo n. 42 del 2004), dispone l'erogazione di contributi, ai sensi dei successivi articoli 35 e 37, per il restauro e gli altri interventi conservativi su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo;
   molti proprietari hanno provveduto a realizzare opere conservative su detti beni, debitamente autorizzate ed ammesse ai contributi richiamati;
   lo Stato deve corrispondere ai proprietari di beni culturali che hanno effettuato opere manutentive di difesa, circa 100 milioni di euro –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quanti e quali siano gli immobili ristrutturati e per quali il Ministro interrogato abbia provveduto al pagamento;
   allo scopo di verificare le priorità del caso, quale sia il numero totale dei proprietari creditori che hanno effettuato le suddette opere e se non sia opportuno riconoscere acconti a chi non ne abbia ancora ricevuti per far fronte a situazioni di crollo in atto. (5-06558)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane le imprese napoletane aderenti all'ARTEC (Associazione regionale teatrale della Campania) hanno eresse viva preoccupazione relativamente all'assegnazione, da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dei contributi alle attività dello spettacolo dal vivo con l'applicazione del decreto ministeriale del 1o luglio 2014;
   a tal proposito si constata che, ancora una volta, Napoli ha dovuto subire altri duri tagli e dolorose esclusioni: al giusto riconoscimento di teatro nazionale al teatro stabile di Napoli, importantissimo giacché nessun altro teatro del Mezzogiorno ha ricevuto tale riconoscimento, è corrisposta una generale penalizzazione dell'insieme del tessuto teatrale napoletano;
   nonostante il numero delle attività produttive e della sale in attività a Napoli sia molto fitto e dal livello medio indiscutibilmente elevato, risulta essere particolarmente corposo l'elenco degli esclusi dai finanziamenti;
   il Teatro Bellini è stato declassato ed altre esperienze culturali di grande rilevanza non sono riuscite ad ottenere lo status di teatro di rilevante interesse culturale;
   il teatro Augusteo, il teatro Cilea ed altre realtà che operano da decenni con successo di pubblico e di critica per le loro produzioni non hanno ricevuto, ugualmente, alcun riconoscimento, mentre esperienze quali il teatro Elicantropo e l'ICRA Projet, che hanno intessuto in questi anni significativi rapporti internazionali di grande qualità e spessore, sono stati addirittura esclusi da una commissione consultiva della prosa dotata di ampi poteri discrezionali e nominata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con altrettanto ampi poteri discrezionali;
   questo elenco, incompleto e puramente indicativo, evidenzia la vitalità dell'offerta teatrale napoletana, ricchissima di proposte, temi, esperienze, sempre aperta ad un confronto vivo, continuo e straordinario tra innovazione e tradizione, e la poca attenzione prestata dal Ministero a tale scenario;
   Napoli vanta antiche e nobili tradizioni nel settore del teatro di prosa, ed il tessuto teatrale napoletano non ha eguali, nel nostro Paese;
   le conseguenze per le strutture delle mancate ammissioni rischiano di avere una ricaduta drammatica su Napoli, città ricca di cultura teatrale, ma economicamente fragilissima a causa della crisi economica che attraversa l'Italia e che ha colpito più duramente il Sud del Paese;
   il rischio serio è la pressoché totale cancellazione di un importante e fondamentale tessuto culturale che rappresenta una forte ricchezza ed un'affermata realtà del territorio;
   anche ai livelli occupazionali del settore verrebbe inferto un durissimo colpo: si può facilmente stimare una perdita immediata complessiva di ben 20.000 giornate lavorative, destinata a continuare per almeno altri due anni;
   le imprese di spettacolo, private di un totale di circa 550 mila euro che sarebbero, di fatto, ritornati allo Stato come contributi assistenziali, rischiando di non essere in grado di sostenere questo autentico collasso;
   ciò anche in considerazione del fatto che il mancato sostegno è arrivato in piena estate, a stagione ormai svolta al 70 per cento e con i relativi impegni economici già assunti –:
   se non ritenga di dover modificare il decreto ministeriale del 1o luglio 2014;
   se non ritenga di dover consentire alle imprese finanziate ma non soddisfatte dell'assegnazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di poter chiedere il riesame della pratica senza bisogno di dispendiosi ricorsi al Tar;
   se non ritenga, in subordine, di dover concedere ad esse la possibilità di ripresentare la pratica già a partire dal mese di gennaio 2016 senza dover aspettare un intero triennio;
   se non ritenga opportuno riconoscere alle imprese che non sono state ammesse e che erano destinatarie di contributo nell'anno 2014 un intervento a sostegno delle spese sostenute ad attività già svolta al 70 per cento e che prevedeva nel bilancio il contributo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. (4-10590)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TARICCO, GRASSI, GIACOBBE, PATRIARCA, CARRA, CAPONE, SENALDI, ZANIN, CENNI, MIOTTO, CARLO GALLI, ROSTELLATO, LAVAGNO, CRIVELLARI e GINATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre 2014, la Camera dei deputati ha approvato una mozione proposta dal Partito Democratico a prima firma di Giampiero Scanu che impegnava il Governo a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti e a ricercare, entro questi limiti di spesa, ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali;
   il Parlamento ha potuto leggere il documento programmatico pluriennale della difesa dove, per gli F35, l'impegno di spesa originariamente previsto sembra rimanere confermato fino al 2020, mentre si dichiara possibile una rimodulazione della spesa rinviandone la fattibilità al biennio 2020-2026;
   in sostanza sembra di capire che il programma F35 venga confermato nelle pianificazioni di spesa dei prossimi anni, peraltro di competenza di questo Governo, durante il quale non è contemplato il previsto dimezzamento, anche se nel documento programmatico si parla di «rispetto delle mozioni» e che questo impegno venga trasmesso a competenze di futuri Governi;
   il contesto economico e sociale che sta caratterizzando questa stagione richiede che le risorse da destinarsi ai sistemi d'arma nel nostro Paese tengano conto sicuramente delle esigenze della difesa ma anche delle risorse disponibili e degli obiettivi complessivi del Paese sia ai fini del contenimento della spesa pubblica, sia in relazione a finalizzazioni sociali fondamentali in termini di equità sociale per questo la Commissione difesa della Camera ha ribadito la necessità che ciascuna decisione in tema di pianificazione nel settore degli strumenti militari debba essere necessariamente rapportata sia a un esame degli impegni assunti sia a quello delle risorse effettivamente disponibili;
   nella mozione sopra citata si chiedeva anche al Governo di mantenere un costante controllo sulla iena rispondenza dei velivoli ai requisiti di efficienza operativa;
   il programma F-35, a cui l'Italia ha da sempre partecipato, è stato al centro di significative e permanenti riserve sulla qualità del funzionamento dei velivoli, riserve che tra l'altro hanno portato gli stessi Stati Uniti dopo un periodo di sospensione dei voli a prendere in considerazione la decisione di sottoporli a limitazioni sino alla risoluzione dei problemi tecnici ed a rivedere l'entità della propria partecipazione –:
   come il Governo, nell'ambito di questa legislatura, intenda dare attuazione a all'impegno di dimezzamento del budget finanziario originariamente previsto, così come indicato dalla mozione e nel documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma;
   se il Governo ed in particolare, il Ministro della difesa nel confermare la volontà di attuare la riduzione della spesa per gli F35 intendano chiarire i tempi e le modalità di recepimento delle indicazioni del Parlamento. (5-06556)


   RIZZO, FRUSONE, CORDA, BASILIO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da organi di stampa (La Nuova Sardegna del 15 agosto 2015) che il sindaco di La Maddalena nel mese di agosto 2015 ha confermato l'ordinanza sindacale già in vigore che vieta l'uso dell'acqua corrente per fini potabili e per la cottura di alimenti. L'unità sanitaria locale ha, infatti, rilevato una concentrazione di agenti nocivi oltre la soglia minima prevista;
   in merito si è espresso il Consiglio nazionale di rappresentanza della guardia costiera con delibera n. 139/XI del 23 settembre 2015, allarmato da tale situazione dal personale della scuola sottufficiali della Marina militare, in quanto vi sono presenti circa 30 frequentatori del corso VF4 oltre il personale della locale guardia costiera che consuma i pasti presso codesto istituto di formazione;
   da notizie assunte dagli interroganti, risulta talmente grave la situazione che dai rubinetti dei lavandini degli alloggi del suddetto istituto di formazione, si denuncia non di rado l'erogazione di acqua di colore rossastro impedendo, di fatto, l'uso igienico-sanitario;
   sempre da quanto appreso, le infrastrutture dove vivono e studiano i frequentatori risulterebbero particolarmente fatiscenti, con due servizi igienici, tre lavandini e due docce per otto persone che non sempre risultano essere tutti utilizzabili;
   il numero di frequentatori del corso VFP4 è di circa 60 tra gli appartenenti la guardia costiera e la Marina militare, a fronte di circa 200 persone tra militari e civili li destinati;
   a Taranto il centro addestramento reclute «Maricentro» nonostante le diverse centinaia di VFP1 che frequentavano il corso è stato da poco tempo chiuso ai fini della razionalizzazione della spesa per spostare gli allievi presso le scuole Sottufficiali di Taranto;
   si è consapevoli che l'isola de La Maddalena ha un buon rapporto con la Marina militare che mostra attenzione per quella sede e risulta positiva la presenza di tale istituto nella sede –:
   se la scuola sottufficiali della Marina militare di La Maddalena in particolare, ma tutte le scuole ove vengono ospitati allievi delle Forze armate e dei Carabinieri, siano dotate di impianti rispondenti al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, «Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano», e siano provviste delle necessarie certificazioni;
   se la qualità dell'acqua della scuola sottufficiali della Marina militare de La Maddalena, che sarebbe dotata di filtri, venga, periodicamente controllata nel rispetto delle normative vigenti e sia idonea all'uso per cucinare, gli alimenti, nonché all'igiene personale e quando siano state effettuate le ultime verifiche e quali siano gli esiti delle stesse;
   se, nel caso specifico della ordinanza sindacale de La Maddalena, come sia stata affrontata l'emergenza idrica della scuola sottufficiali della Marina militare, a tutela e garanzia del benessere del personale presente;
   se intenda valutare di spostare i corsi VFP4 presso le scuole sottufficiali di Taranto o di altri enti simili nelle disponibilità dell'amministrazione della Difesa e lasciare ed integrare corsi specialistici come ad esempio quelle per abilitazioni al comando di rimorchiatori della Marina e motovedette della guardia costiera e per abilitazioni all'uso di motori navali;
   se ritenga di lasciare, presso le scuole sottufficiali (alla stessa stregua di Maricentadde), i corsi specialistici in quanto i corsi di formazione di base, come i VFP4, hanno una condizione di vita di caserma e norme igienico sanitarie e di sicurezza più dispendiose per l'amministrazione;
   quale sia lo stato di conservazione degli immobili utilizzati dal Ministero per attività di formazione del personale delle Forze armate e dei Carabinieri vincitore di concorso e reclutato, con particolare riferimento ai certificati di agibilità, di staticità sismica, di conformità degli impianti idrici, elettrici e di condizionamento/riscaldamento, della sussistenza dei piani di emergenza e di evacuazione, nonché dei sistemi di rilevazione e spegnimento incendi. (5-06557)


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la normativa in materia di rappresentanza militare risale alla legge 11 luglio 1978, n. 382, Norme di principio sulla disciplina militare, con la quale sono stati istituiti gli organismi rappresentativi del personale militare, articolati sui tre livelli distinti degli organi di base, (i COBAR), gli organi intermedi (i COIR), e un organo centrale, il COCER, a carattere nazionale e interforze, articolato in commissioni nazionali interforze di categoria (ufficiali, sottufficiali, volontari) e in sezioni di Forza armata o di Corpo armato (Esercito, Marina, Aeronautica, carabinieri e guardia di finanza);
   la legge n. 382 del 1978 è stata abrogata a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 66 del 2010, recante il codice dell'ordinamento militare. Il contenuto della legge n. 382 del 1978 è stato riportato nel citato, codice (articoli 1465 e seguenti);
   la natura rappresentativa dell'istituto si realizza attraverso un sistema di elezione a tre stadi: di primo grado per i COBAR, di secondo grado per i COIR e di terzo grado per il COCER. Il COCER ha la facoltà di formulare pareri, proposte e richieste su tutte le materie che formano oggetto di norme legislative o regolamentari circa «la condizione, il trattamento, la tutela – di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale – dei militari»;
   ai sensi dell'articolo 1477 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010 «codice dell'ordinamento militare» gli organi di rappresentanza militare sono rieleggibili due sole volte, così come modificato dal decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 convertito, con modificazioni, con la legge 24 febbraio 2012, n. 13;
   nel 2012 sono avvenute le ultime elezioni dei delegati dei consigli di rappresentanza militare che scadrà a fine luglio 2016 e, a partire dal prossimo mese di gennaio, dovranno essere avviate le attività che porteranno all'elezione dei nuovi delegati;
   l'attuale normativa è volta a prevedere che i citati militari possano essere rieletti nel limite complessivo di due volte prevedendo in oltre che per gli eletti, sussista il limite assoluto delle tre consiliature;
   in passato è già avvenuto che il Governo, tramite lo strumento della decretazione d'urgenza, autorizzasse delle proroghe al mandato dei delegati dei consigli di rappresentanza militare a tutti livelli, tra cui si ricorda l'ultimo previsto con il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, che li ha prorogati fino al 30 aprile 2012;
   forti perplessità vennero espresse dal personale delle forze armate, dell'Arma dei carabinieri e della guardia di finanza, riguardo alla proroga che, di fatto, lese un diritto/dovere di poter manifestare il proprio parere sull'operato dei delegati in carica, in contrasto con la normativa di riferimento;
   nella XVI legislatura, il Governo Monti accolse un ordine del giorno, il 9/4865-B/43, che impegnava il Governo a garantire, in futuro, il rinnovamento democratico a scadenza degli organismi in cui si articola il sistema delle rappresentanze militari nel nostro Paese;
   attualmente sono in discussione presso la commissione difesa della Camera dei deputati diversi progetti di legge in materia di rappresentanza militare che dovrebbero favorire l'ammodernamento della normativa di riferimento vecchia di 37 anni e non più in grado di poter garantire efficacia e rappresentatività democratica –:
   se o quando il Ministro abbia previsto di avviare le procedure per le elezioni dei nuovi delegati dei Consigli della rappresentanza militare a tutti i livelli e se non reputi di escludere fin da ora ogni proroga del mandato degli attuali organi di rappresentanza;
   a quanto ammontino i costi sostenuti dal proprio dicastero per il funzionamento degli organismi della rappresentanza militare dell'attuale mandato con particolare riferimento alle differenti sezioni dei consigli centrali (Cocer) e comunque a tutti quegli organismi della rappresentanza militare che risultano essere permanentemente convocati in differenti attività.
(5-06560)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE MARIA, NARDI, FERRO, TIDEI, ZOGGIA e MARIANI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel 1994 nelle stanze della procura generale militare furono rinvenuti 695 fascicoli, «archiviati provvisoriamente» nel 1960, relativi a centinaia di processi riguardanti le decine di migliaia di italiani (civili e militari) trucidati dai tedeschi e dai fascisti in Italia e all'estero durante la fase finale della Seconda Guerra Mondiale;
   a partire dal 1994 molti di quei processi vennero celebrati e decine di condanne all'ergastolo comminate, anche se nessun condannato ha poi nei fatti scontato un solo giorno di prigione;
   studi di recente pubblicazione evidenziano come molti dei suddetti fascicoli siano stati aperti solo formalmente per poi essere richiusi frettolosamente, senza reali indagini, dal momento che tra il 1994 e il 1995 le carte vennero mandate alle procure militari competenti, ma i processi sono stati istruiti e si sono svolti perlopiù solo dal 2003 a oggi;
   su 695 fascicoli rinvenuti, le più di 300 indagini istruite e portate a compimento sono state effettuate quasi tutte dalla procura militare di La Spezia tra il 2002 e il 2008, da quella di Verona dal 2008 al 2010 e da quella di Roma dal 2010 a oggi;
   particolarmente disattesi appaiono i casi relativi agli eccidi di militari italiani compiuti in territorio estero all'indomani dell'8 settembre 1943 soprattutto nelle isole greche, nei Balcani, nei campi di prigionia. In particolare, su 41 episodi (in 26 dei quali vi erano i nomi di alcuni dei presunti responsabili) solo per l'8 si è tentato un qualche tipo di indagine che non ha dato esito. Un caso esemplare è quello della strage di Cefalonia, l'isola dove i soldati della divisione Acqui, che si rifiutarono di arrendersi, vennero sterminati. La documentazione relativa alla strage avvenuta nell'isola ionica spettava, per competenza, alla procura militare di Roma;
   l'indagine su Cefalonia partì però solo nel 2007, dopo sollecitazioni provenienti dalla stampa e da un'istanza presentata da alcuni parenti delle vittime. L'unico indagato, l'allora sottotenente Otmar Mühlhauser, venne rinviato a giudizio nel 2009, ma poco tempo dopo morì e l'indagine condotta dalla procura romana si concluse;
   altro caso esemplare è quello delle stragi di Kos e Leros per le quali l'allora pubblico ministero militare chiese nel 1995 l'archiviazione per prescrizione. Richiesta respinta dal giudice in quanto trattasi di reati imprescrittibili. Dopo otto mesi venne indirizzata alla Germania la richiesta di individuare il generale responsabile nella persona di Friedrich Wilhelm Muller, ma il nome fu trascritto erroneamente per cui le ricerche non ebbero esito. Così, il 12 ottobre 1999, si chiese nuovamente l'archiviazione e questa volta venne concessa;
   sorte simile a quella delle stragi di Kos-Leros toccò ad altri fascicoli sui casi esteri di competenza della procura romana. Le statistiche di recente pubblicazione dimostrano, a giudizio degli interroganti, la frettolosa e inadeguata attenzione riservata alle indagini sui massacri dei soldati italiani. I procedimenti per i quali non è stata svolta alcuna attività di indagine (in tutto 22) sono stati archiviati entro il 1996 (ad eccezione di un fascicolo archiviato nel 1999). Gli altri 18 fascicoli, per i quali pure è stata svolta qualche forma di indagine, sono stati archiviati nel 1999;
   la procura della Repubblica militare di Roma chiese l'archiviazione dei 18 procedimenti in soli 11 giorni: per cinque l'8 ottobre 1999, per otto il 12 e per gli ultimi cinque il 19 ottobre. Il giudice per le indagini preliminari risponde con grande velocità. Archivia undici procedimenti il 5 novembre, sei il 9 novembre e solo per uno la decisione slitterà al 28 luglio del 2000;
   alla procura militare di Roma, dopo l'assegnazione – tra il 1994 e il 1995 – dei processi alle procure competenti, non restarono solo i fascicoli sui «casi esteri» ma anche quelli sulle stragi di civili massacrati dai nazifascisti nel Centro Italia durante il periodo dell'occupazione;
   attraverso organi di stampa fu inoltrata al Gip militare di Roma, formale richiesta di visionare i fascicoli archiviati e la procura militare dava parere positivo spiegando che non sussiste «alcun impedimento». Il gip rigettava invece la richiesta perché «generica, relativa alla totalità degli atti, di una serie sostanzialmente indeterminata di procedimenti». Eppure la richiesta era accompagnata dall'elenco dettagliato dei processi fornito ufficialmente dalla procura;
   incrociando l'elenco fornito dalla procura e gli atti della commissione parlamentare che indagò sull'occultamento dei fascicoli si capisce facilmente come anche i fascicoli sui casi italiani abbiano subito la sorte dei molti di quelli esteri. Ricorrono, ad esempio, le stesse date. In data 18 aprile 1996 il gip di Roma archivia senza nessuna attività investigativa quattro casi esteri. Lo stesso giorno, verosimilmente a seguito di nessuna attività investigativa, vengono archiviate la strage di Calvi, in Umbria (dodici morti), di Tolfa, in provincia di Roma (quattro morti), dell'Aquila (nove morti). Il 5 novembre 1999, il giorno in cui il gip firma l'archiviazione di 11 casi esteri viene archiviato anche il fascicolo 536 relativo a fatti avvenuti a Capistrello (L'Aquila) e lo stesso giorno si procede all'archiviazione degli omicidi commessi a Tagliacozzo, sempre nell'aquilano –:
   se il Governo, nell'ambito delle sue competenze, disponga di elementi sulle questioni illustrate in premessa. (4-10599)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   VALLASCAS, GAGNARLI, TOFALO, DEL GROSSO, NICOLA BIANCHI, BENEDETTI e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, il quotidiano nazionale d'informazione economico finanziaria, il Sole 24 Ore, ha pubblicato la notizia in base alla quale, in occasione dell'offerta pubblica iniziale del 40 per cento di Poste Italiane s.p.a., in programma il 12 ottobre 2015, un fondo sovrano cinese sarebbe intenzionato a entrare nel capitale azionario della società;
   la notizia individua nei fondi China Investment Corporation e People's Bank of China, quest'ultimo già presente in diverse società italiane, il probabile candidato all'acquisizione, con una quota che varierebbe dal 2 al 5 per cento;
   secondo quanto trapelato, la notizia sarebbe emersa nel corso degli incontri intercorsi in questi mesi, tra dirigenza societaria, consorzio di banche di collocamento e investitori, con particolare riguardo all'incontro che si è tenuto il 15 settembre 2015 a New York;
   l'ipotesi di acquisizione sarebbe motivata, secondo gli analisti, dalla necessità degli investitori cinesi di allocare in mercati sicuri e redditizi una forte disponibilità di liquidità, in considerazione della situazione di criticità e instabilità del mercato mobiliare cinese;
   questa circostanza sarebbe peraltro in linea anche con il crescente interesse degli investitori cinesi per l'Italia;
   secondo l'agenzia di rating Dagon Europe, nel 2014, il 27 per cento degli investimenti stranieri in Italia era rappresentato da cinesi;
   sempre nello stesso lasso temporale, su 18 miliardi di dollari di capitali cinesi investiti in Europa, 3,5 hanno interessato l'Italia;
   il nostro è il primo Paese dell'Eurozona per dimensione dei capitali allocati;
   i settori d'investimento sono strategici per la stabilità e lo sviluppo dell'economica del nostro Paese, e riguardano aziende quali Eni, Enel, Assicurazioni Generali, Telecom, Finmeccanica;
   tra gli investimenti di maggior rilievo, c’è l'acquisizione, da parte della State Grid Corporation of China, del 35 per cento di CDP Reti, che possiede il 30 per cento di Terna e il 29,8 per cento di Snam;
   con un importo di 2,1 miliardi di euro, quello di CDP Reti è stato il più importante investimento cinese in Italia e in Europa (il 10o a livello mondiale) in una società finanziaria non quotata;
   questo stato di cose ha già sollevato molteplici perplessità sulla salvaguardia della sovranità italiana nella gestione di aziende strategiche per il Paese;
   Poste Italiane s.p.a. è un'azienda storica, nata con l'unità d'Italia, che con oltre 13 mila uffici postali offre la copertura capillare di servizi postali, finanziari e assicurativi, in base al principio del «servizio universale», garantito anche in assenza di redditività perché necessario;
   l'ingresso di privati nel capitale sociale dell'azienda, ad avviso degli interroganti, potrebbe esporre la stessa alle valutazioni e alle logiche di mercato, inficiando il servizio universale sino ad oggi garantito nel settore dei recapiti;
   questa ipotesi genera ulteriori perplessità in considerazione degli interessi da parte di fondi sovrani cinesi, che sarebbero motivati da strategie finanziarie che potrebbero mettere a repentaglio livelli occupativi e standard qualitativi dei servizi offerti da Poste Italiane, con grave danno per gli utenti del servizio;
   nelle attività di Poste Italiane s.p.a. acquistano estrema rilevanza, alla luce anche delle performance degli ultimi anni, i prodotti finanziari e assicurativi (le polizze assicurative, ad esempio, rappresenterebbero il 70 per cento del ricavo e oltre la metà degli utili delle Poste);
   in concomitanza, si sarebbero ridotte le attività legate al settore recapiti, che rappresenterebbero appena il 13-14 per cento dei ricavi;
   Poste Italiane, con circa 450 miliardi di euro di risparmio postale per Cassa depositi e prestiti, buoni del tesoro detenuti e prodotti assicurativi, è uno dei più grandi forzieri del risparmio diffuso;
   da quanto esposto, emergerebbe la necessità di accompagnare l'offerta pubblica iniziale con un piano a tutela del servizio universale, dei risparmi depositati e della qualità dei prodotti finanziari e assicurativi erogati;
   la programmazione dell'immissione nel mercato del 40 per cento delle azioni di Poste Italiane, considerata la percepita inadeguatezza dei piani sul futuro dell'azienda e i numerosi tagli posti in essere dal management, che si sono esplicati nella riduzione degli uffici postali e dell'operatività degli stessi, farebbe ipotizzare l'assenza di una strategia chiara del Governo sugli obiettivi che si vorrebbero perseguire con l'offerta pubblica iniziale, ad eccezione di un'operazione necessitata dalla ricerca di nuove entrate per lo Stato;
   per converso, come detto, i fondi sovrani cinesi avrebbero mostrato interesse per Poste Italiane s.p.a. unicamente perché motivati dalla ricerca di mercati sicuri e di alta redditività dove allocare una grande disponibilità di liquidità in un momento in cui si registra una pericolosa flessione dei mercati finanziari cinesi;
   la notizia di un interessamento da parte dei fondi sovrani cinesi nei confronti di Poste Italiane s.p.a. desta numerose preoccupazioni in considerazione del fatto che gli investitori cinesi avrebbero già mostrato, nell'acquisizione del capitale azionario di altre importanti aziende italiane di procedere secondo un piano e secondo interessi che concernono le strategie di sviluppo e gli interessi economici della Cina, a fronte di un Paese come l'Italia che avrebbe dimostrato di essere privo di un piano o di una strategia nelle diverse operazioni di cessione di aziende strategiche del nostro Paese;
   per diffusione e presenza capillare nel territorio, per la natura e la qualità del servizio offerto, per i prodotti trattati e l'entità del risparmio raccolto, Poste Italiane può essere considerata la più grande infrastruttura di servizi al cittadino nonché di servizi finanziari presenti nel nostro Paese, una caratteristica che mal si concilia con esigenze di natura mercantile e con la necessità di conseguire utili d'impresa;
   sembrerebbe che, secondo gli analisti di Mediobanca Securities, uno dei global coordinator dell'Ipo, assieme a Banca Imi, Unicredit, Citigroup e Bofa Merrill Lynch, Poste Italiane avrebbe un valore che oscilla tra i 9,3 e gli 11,2 miliardi di euro, una valutazione che apparirebbe del tutto inadeguata rispetto al valore della struttura aziendale e dei risparmi custoditi –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che con l'offerta pubblica iniziale del 40 per cento del capitale azionario di Poste Italiane s.p.a. possa generarsi una flessione dell'operatività dell'azienda e dei servizi offerti capillarmente nel territorio, con grave danno per i cittadini e gli utenti dell'azienda;
   quale sia il piano aziendale e quali siano le strategie e le valutazioni alla base della programmata offerta pubblica iniziale di Poste Italiane s.p.a.;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che i depositi dei cittadini presso Poste Italiane s.p.a. possano subire delle ripercussioni negative a seguito dell'offerta pubblica iniziale;
   se il Governo non ritenga inadeguata al valore dell'azienda, delle attività finanziarie e assicurative e alla stessa qualità economica del risparmio gestito la valutazione formulata da Mediobanca Securities in merito alla quotazione di Poste Italiane s.p.a. (4-10595)


   DI GIOIA e MONGIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che nel comune di Foggia è cambiata la società di riscossione dei tributi, passando dall'Aipa, che ha presentato domanda, il 5 agosto 2015, al tribunale fallimentare di Milano per la procedura del concordato preventivo, alla Mazal Global Solution;
   la Mazal è una società di riscossione, inserita nell'albo del Ministero, alla quale l'Aipa, che ha un contratto con il comune dal 2011 fino al 2020, ha ceduto un ramo dell'azienda;
   la Mazal ha già sostituito l'Aipa dal 1o luglio 2015, con comunicazione al comune effettuata il 29 luglio, mentre la determina sull'albo pretorio è stata pubblicata oltre la metà del mese di settembre;
   da ciò si deduce che la richiesta di concordato preventivo è avvenuta 7 giorni dopo la comunicazione al comune del subentro della nuova società e, sempre da notizie di stampa, si apprende che l'Aipa avrebbe dichiarato «Non abbiamo ancora assunto alcuna decisione rispetto a questo trasferimento da Aipa a Global. Non ci sono pareri unanimi sul trasferimento del contratto essendoci stata una gara d'appalto», confermando così tutte le perplessità create da tale operazioni;
   tale tempistica ha suscitato più di una perplessità, tenuto conto che l'Aipa ha, con il comune di Foggia, un credito sospeso da 7 milioni di euro relativo ad una quota di aggio IMU che sembrerebbe essere stato trattenuto illegittimamente dalla società medesima;
   su tale vicenda vi è stata una denuncia alla Procura della Repubblica da parte di un consigliere comunale;
   il comune di Foggia ha così risposto: «Il passaggio del servizio di riscossione dei tributi comunali dalla società Aipa SpA alla società Mazal Global Solutions Srl, avvenuto a seguito del fitto di ramo d'azienda effettuato dalla società titolare del servizio sino al 2020 alla società Gruppo KGS SpA, è un passaggio di natura esclusivamente gestionale, di cui l'organo politico di governo comunale ha semplicemente preso atto»;
   sulla legittimità del subentro vi è stato, però, un parere diverso da parte di alcuni funzionari del comune, «via libera dal dirigente dei contratti, Ernesto Festa, e dal segretario generale, Maurizio Guadagno; contrario il responsabile finanziario e tributario, Carlo Dicesare»;
   le motivazione che hanno portato il Dicesare ad esprimere un parere negativo, si possono così riassumere:
    a) assenza da parte della «Mazal» dei requisiti posseduti da «Aipa» all'epoca della gara e previsti dal disciplinare (fatturato globale di 40 milioni di euro in tre anni e 20 milioni di fatturato in gestione di servizi analoghi);
    b) impossibilità da parte della «Mazal» di ereditare tali requisiti dal ramo di azienda preso in fitto essendo «Maipa» in concordato preventivo;
    c) ai contratto di fitto prevede il futuro acquisto e, conseguentemente, si tratterebbe di una cessione simulata;
   il sindaco Landella ha seguito l'intero iter del procedimento in questione;
   l'amministrazione comunale ha assicurato che il contenzioso resterà aperto e che sarà chiesto un nuovo parere al Ministero dell'economia e delle finanze sull'aggio IMU trattenuto dalla vecchia società;
   in tutta questa situazione non si comprende per quale motivo il comune non abbia deciso di risolvere il contratto con Aipa, tenuto conto che, sempre da notizie di stampa, segretario generale del Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe autorizzato tale risoluzione ai sensi dell'articolo 16, relativamente alla trattenuta indebita di circa 7 milioni di euro dell'IMU e di 924 mila euro dal fondo di solidarietà comunale del 2013;
   l'intera vicenda apre grossi punti interrogativi e la possibilità che ci si trovi di fronte ad un grosso danno erariale che potrà riversarsi sui cittadini, così come già accaduto in seguito al fallimento del vecchio concessionario GEMA, non sembra all'interrogante essere così remota e, in ogni caso, appare, in tutta la sua evidenza, un percorso non lineare e poco trasparente che ha accompagnato l'intera vicenda e che dovrà essere totalmente chiarito –:
   se corrisponda al vero che vi sia già stato un parere da parte del segretario generale del Ministero dell'economia e delle finanze e che in esso fosse stata autorizzata la risoluzione del contratto e come intenda, nell'ambito delle proprie competenze, intervenire affinché non si prefiguri un nuovo grosso danno economico che si riverserebbe pesantemente sulla cittadinanza di Foggia. (4-10598)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 154 del 2013, novellando l'articolo 317-bis codice civile ha attribuito agli ascendenti la legittimazione a promuovere un giudizio in cui far valere il loro diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, nella stessa novella, è stato modificato anche l'articolo 38, primo comma, disposizione attuativa del codice civile, inserendo, nell'ambito della competenza del tribunale per i minorenni, anche il giudizio promosso ai sensi dell'articolo 317-bis del codice civile;
   nel brevissimo tempo intercorso dalla sua entrata in vigore il decreto legislativo n. 154 del 2013 attuativo della legge n. 219 del 2012 di riforma della filiazione, è già stato sollevato il primo dubbio di costituzionalità di una norma;
   i recenti interventi legislativi richiamati, hanno interamente riformulato l'articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, in merito al quale il tribunale per i minorenni di Bologna, con l'ordinanza del 5 maggio 2014, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 38, comma I, nella parte in cui prevede che sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti contemplati dall'articolo 317-bis del codice civile, per violazione degli articoli 76, 77, 3 e 111 della Costituzione;
   il tribunale per i minorenni di Bologna, infatti, nell'ordinanza di rimessione sostiene che è ammissibile e rilevante la questione di legittimità costituzionale della norma di cui all'articolo 38 disposizione attuativa primo comma, per eccesso di delega legislativa e violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione, nella parte in cui attribuisce al tribunale per i minorenni la competenza funzionale ed inderogabile a trattare le controversie relative al diritto dei nonni di conservare rapporti significativi con i nipoti. Ciò comporterebbe la frantumazione della tutela, processuale che dovrebbe essere univoca, come era nello spirito della legge n. 219 del 2012, e creerebbe una proliferazione di processi che non tiene affatto conto dell'interesse preminente del minore. La previsione introdotta dal decreto legislativo 154 del 2013 si porrebbe anche in contrasto con gli articoli 3 e 111 Costituzione per irragionevolezza e rottura del principio di concentrazione processuale, poiché impedirebbe di trattare nello stesso giudizio la regolamentazione dei rapporti tra genitori, figli minori e nonni;
   ciò che ha dato origine al provvedimento di sospensione del processo e di rimessione alla Corte costituzionale, è in merito ad un ricorso presentato dai nonni paterni di una minore (in forza del novellato articolo 317-bis codice civile e all'articolo 38, primo comma, disposizione attuativa del codice civile), in pendenza di un giudizio di separazione giudiziale tra il figlio e la nuora – ove quest'ultima manifestava nei loro confronti un'accentuata ostilità – per far accertare il loro diritto a mantenere rapporti assidui e significativi con la nipote minorenne, chiedendo di adottare i provvedimenti idonei ad assicurare l'esercizio effettivo del diritto, disciplinando i tempi e i modi di frequentazione della bambina da parte degli stessi;
   questa disposizione è sospettata d'incostituzionalità, nello specifico, per eccesso di delega legislativa;
   infatti, l'articolo 2, comma 1, lettera p), della legge delega, legge n. 219 del 2012; ha conferito al legislatore delegato il compito di disciplinare «la legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti»;
   da un punto di vista del diritto sostanziale, l'attuazione di questo principio è avvenuta attraverso la riformulazione dell'articolo 317-bis codice civile che riconosce agli ascendenti il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, e in caso di impedimento, attribuisce loro la facoltà di ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell'esclusivo interesse del minore;
   il legislatore delegato, tuttavia, ha introdotto anche una modifica di diritto processuale: aggiungendo alle già individuate competenze funzionali del tribunale per i minorenni, il giudizio promosso dai nonni e il giudizio per l'autorizzazione al riconoscimento di un figlio, di cui all'articolo 251 del codice civile;
   secondo il ragionamento logico-giuridico adottato dal tribunale per i minorenni di Bologna, non sarebbe stato di competenza del legislatore delegato influire sulle norme processuali e quindi disporre anche sulla competenza, ed in tal senso la norma di cui all'articolo 38 disposizione attuativa è da ritenere viziata da illegittimità costituzionale per eccesso di delega legislativa per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione. L'attribuzione di competenza — da quanto emerge dai lavori preparatori – sarebbe giustificata dal fatto che l'azione s'inquadra nell'ambito dei procedimenti di cui all'articolo 333 del codice civile (provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale);
   tuttavia, tale qualificazione non è univoca ed in giurisprudenza è in atto un dibattito al riguardo. C’è chi riconduce tali controversie nell'articolo 333 del codice civile quali sarebbe competente il giudice minorile, ma secondo un'opposta opinione, si tratta di provvedimenti regolativi dei tempi di frequentazione della prole che coinvolgono anche i genitori e sono equiparate alle decisioni in tema di affidamento e di tempi di permanenza dei minori con i genitori e con gli altri parenti, ai sensi dell'articolo 337-ter del codice civile, di competenza del giudice ordinario (Cass. Civ., sez. I, sentenza 11 agosto 1011, n. 17191);
   prima della riforma, la giurisprudenza di legittimità aveva negato ai nonni di intervenire nel giudizio di separazione o divorzio in cui si decideva circa l'affidamento del minore e le modalità di visita. Dal punto di vista tecnico-processuale non era consentito né un intervento principale né ad adiuvandum, ossia a supporto delle ragioni di un genitore, poiché la legge al momento non attribuiva ai nonni alcuna legittimazione in quanto non titolari di un diritto in via autonoma (Cassazione Civile n. 22081/2009 e Cassazione Civile n. 28902/2011);
   sino alla novella, quindi, l'unica azione giudiziale percorribile per i nonni che avrebbero voluto frequentare i nipoti, era quella di rivolgersi al tribunale per i minorenni ai sensi dell'articolo 333 del codice civile, per far accertare la condotta pregiudizievole di uno o di entrambi i genitori nei confronti del minore, per aver ostacolato il rapporto con i nonni, in danno degli interessi del minore stesso;
   tale interpretazione era consentita poiché la legge sull'affido condiviso del 2006, aveva riconosciuto ai minori il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti, ma non era invece stato attribuito agli ascendenti un corrispondente diritto a conservare i rapporti con i nipoti minorenni, esercitabile in via autonoma;
   invece oggi a seguito della novella del 2013, il quadro normativo è mutato radicalmente: gli ascendenti sono titolari di un autonomo diritto sia a livello sostanziale che processuale;
   lo spirito della legge 219 del 2012, si legge nel provvedimento, è quello di concentrare in capo al tribunale ordinario la competenza a trattare tutte le controversie che non siano espressamente riservate al giudice minorile, già individuate dal riformato articolo 38;
   la novella procedurale introdotta dal decreto legislativo 154 del 2013, che attribuisce una competenza funzionale inderogabile del Tribunale minorile, si porrebbe anche in contrasto con gli articoli 3 e 111 Costituzione, «per un'intrinseca irragionevolezza e una rottura del principio di concentrazione processuale»;
   l'irragionevolezza consisterebbe nel fatto che i minori, già coinvolti nel procedimento di separazione pendente dinanzi al tribunale ordinario, ora possono essere chiamati in giudizio anche avanti al tribunale per i minorenni, per essere necessariamente ascoltati (articolo 336-bis del codice civile), ma solo relativamente ai rapporti con gli ascendenti;
   per il tribunale dei minori di Bologna, tale previsione comporterebbe una frantumazione della tutela processuale che dovrebbe, invece, essere univoca, creando, peraltro una proliferazione di processi che non tiene affatto conto dell'interesse preminente del minore, con possibile contrasto di giudicati tra il giudizio ordinario ed il giudizio minorile;
   inoltre, si paleserebbe un'evidente contraddizione considerando che in base allo stesso articolo 38 disposizione attuativa, i procedimenti di cui all'articolo 333 del codice civile possono essere trattati anche dal tribunale ordinario in pendenza del procedimento di separazione, divorzio, o di affidamento di minori nati al di fuori del matrimonio;
   un ulteriore aspetto d'irragionevolezza consisterebbe nel fatto che l'articolo 337-ter del codice civile attribuirebbe anche ai minori il diritto ad intrattenere regolari rapporti con gli ascendenti, pertanto, si realizza la situazione secondo cui dinanzi al tribunale per i minorenni, viene tutelata la situazione giuridica soggettiva degli ascendenti cioè il diritto a mantenere rapporti assidui e significativi con i discendenti, e dinanzi al tribunale ordinario, la situazione giuridica soggettiva dei nipoti a mantenere rapporti assidui e significativi con gli ascendenti;
   in un siffatto quadro giuridico si ritiene che il recente intervento legislativo non abbia saputo offrire la necessaria chiarezza dal punto di vista procedurale ampliando la possibilità di eccessivo ricorso alla giustizia, astrattamente idoneo a creare un contrasto tra giudicati, una proliferazione di processi che non tiene affatto conto dell'interesse preminente del minore ed un conflitto di competenza tra il tribunale ordinario e quello minorile –:
   se sia a conoscenza della situazione testé descritta;
   se e quali iniziative, di carattere normativo abbia intenzione di adottare, nelle more della definizione del giudizio di legittimità costituzionale, al fine di definire precisamente i limiti di competenza funzionale, anche in merito alle norme procedurali, per l'esperimento dell'azione di cui all'articolo 317-bis del codice civile, di modo da garantire un maggior grado di chiarezza delle norme tale da ovviare al possibile caso di contrasti di competenza e di giudicati tra tribunali ordinari e minorili, ed assicurare così un reale diritto degli ascendenti a mantenere rapporti assidui e significativi con i discendenti in armonia con lo spirito della legge n. 219 del 2012. (3-01742)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA e DE ROSA. MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'elenco-anagrafe delle opere incompiute, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi dell'articolo 44-bis, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha la finalità di coordinare, a livello informativo e statistico, i dati sulle opere pubbliche incompiute in possesso delle amministrazioni statali, regionali o locali;
   con decreto 13 marzo 2013, n. 42, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 96 il 24 aprile 2013, vengono definite le modalità di redazione del suddetto elenco-anagrafe, ripartito in due sezioni dedicate, rispettivamente, alle opere di interesse nazionale e alle opere di interesse regionale e degli enti locali;
   la sezione dell'elenco relativa alle opere incompiute di interesse nazionale è pubblicata sul sito istituzionale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti mentre quella relativa alle opere incompiute di interesse regionale e degli enti locali è pubblicata dalle (regioni e dalle province autonome sui siti predisposti ed attivati dalle regioni e dalle province autonome medesime ai sensi del decreto del Ministro dei lavori pubblici 6 aprile 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 2 maggio 2001, n. 100;
   l'articolo 3, comma 1, del citato decreto ministeriale prevede che, entro il 31 marzo di ciascun anno, le stazioni appaltanti, gli enti aggiudicatori e gli altri soggetti aggiudicatori – di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – individuino le opere incompiute di rispettiva competenza e, conseguentemente, trasmettano, ciascuna secondo l'ambito territoriale definito all'articolo 2, la lista delle suddette al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ovvero alla regione e alla provincia autonoma di appartenenza;
   entro il 30 giugno di ciascun anno, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e le province autonome pubblicano le sezioni di rispettiva competenza dell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute – all'interno delle quali, giova ricordarlo, rientrano i soli interventi relativi a nuove costruzioni, ampliamenti, ristrutturazioni, recupero e restauro, non estendendosi la definizione di opera incompiuta di cui all'articolo 1 del decreto 13 marzo 2013, n. 42, agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e a quelli di demolizione che, pertanto, restano esclusi — secondo l'ordine di priorità di cui all'articolo 4, tenuto conto dello stato di avanzamento raggiunto nella realizzazione dell'opera e di un possibile utilizzo dell'opera stessa anche con destinazioni d'uso alternative a quella inizialmente prevista;
   la direzione generale per la regolazione e i contratti pubblici, appositamente individuata quale struttura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti deputata all'attuazione delle disposizioni concernenti l'elenco-anagrafe delle opere incompiute di interesse nazionale, di concerto con le regioni e le province autonome, ha, dunque, avviato il sistema informatico di monitoraggio delle opere incompiute (SIMOI), organizzato su base nazionale e regionale;
   nei tabulati, per ciascuna opera, sono indicate la descrizione dell'intervento e la denominazione della stazione appaltante, le risorse finanziarie disponibili e la percentuale dei lavori che sono stati eseguiti, la fruibilità dell'opera e le cause che ne hanno determinato l'interruzione (tra le più comuni, la mancanza di fondi o di requisiti per il collaudo, la sopravvenienza di nuove norme tecniche, l'attivazione di procedure concorsuali nei confronti dell'impresa appaltatrice o il mancato interesse al completamento dell'opera da parte della stazione appaltante);
   si evidenzia che, dalla ricognizione delle opere incompiute – con riferimento agli anni 2012, 2013 e 2014 – il numero delle suddette risulta in costante crescita: nel 2012 (anno di prima applicazione del censimento nazionale a carattere sperimentale) il numero delle opere incompiute pubblicate è stato di 593 – di cui 316 rilevate con SIMOI e 277 rilevate dai sistemi regionali – 692 nel 2013 ed 868 nel 2014 (con il dato record relativo alla Sicilia con ben 215 opere non ancora completate, esattamente 148 in più rispetto all'anno precedente);
   la Sicilia, più nello specifico, non si trova a dover affrontare, soltanto, la questione inerente all'incompiutezza di un così cospicuo numero di opere, ma deve anche sostenere tutti i disservizi, di carattere economico e sociale, che sono stati provocati dalle recenti emergenze del comparto stradale, ad oggi, piuttosto debole e del tutto inadeguato ai bisogni dei cittadini; sul tema, il MoVimento 5 Stelle ha già presentato alla Camera in VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici diversi atti di sindacato ispettivo e di indirizzo a prima firma Claudia Mannino, (risoluzione in Commissione n. 7/00662 del 15 aprile 2015, interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5/05575 del 12 maggio 2015, interrogazione a risposta scritta n. 4/09346 del 4 giugno 2015, interpellanza n. 2/01017 del 25 giugno 2015, risoluzione in Commissione n. 7/00715 del 25 giugno 2015 approvata, nella sua versione definitiva n. 8/00129, in data 29 luglio 2015) che evidenziano, in maniera trasversale, l'assoluta necessità di dover colmare il pesante deficit infrastrutturale dell'isola rispetto alle altre aree del Paese;
   a mero titolo esemplificativo e per avere maggior contezza delle problematiche che investono il settore delle opere pubbliche nel nostro Paese, basti pensare che – da un'analisi su 35 mila interventi realizzati negli ultimi 15 anni in Italia, dei quali il 70 per cento al Sud, condotta sulla base di elaborazioni DPS-UVER su dati del Ministero dell'economia e delle finanze e del DPS-dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica – per realizzare un'opera pubblica finanziata dalle politiche di coesione ci vogliono circa 4,5 anni, quale media tra i 7 anni della Sicilia e i 3,8 dell'Emilia Romagna. Ma vi è di più: a livello nazionale pesano fortemente sull’iter delle opere i tempi morti dovuti a blocchi amministrativi che in media occupano il 61 per cento della durata complessiva dell'opera, arrivando nella progettazione preliminare addirittura al 75 per cento;
   orbene, alla luce della suddetta ricognizione e della valutazione dei dati sopra richiamati il Ministro interrogato, il 2 luglio 2015 – ancor prima che fossero resi pubblici i tutt'altro che rassicuranti dati relativi alla regione siciliana – aveva già sottolineato l'esigenza di dover provvedere quanto prima all'istituzione di un'apposita task force incaricata di procedere all'individuazione delle opere incompiute meritevoli di essere completate;
   infine, il riordino complessivo della disciplina vigente in materia di appalti pubblici e concessioni – sulla base dei principi enunciati nelle direttive comunitarie 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE – e la conseguente espressa abrogazione delle disposizioni di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive (così detta legge obiettivo) debbono rappresentare un'importante occasione per verificare la valenza strategica e l'effettiva utilità delle opere che sono contenute nell'elenco-anagrafe relativo all'anno 2014 –:
   in che tempi intenda istituire e rendere operativa la suddetta task force per l'individuazione delle opere incompiute meritevoli di essere completate;
   sulla base di quali criteri ed attraverso quali modalità provvederà alla verifica della valenza strategica e dell'effettiva utilità degli interventi ricompresi nell'elenco-anagrafe 2014;
   attraverso quali risorse finanziarie ed in che tempi intenda provvedere, a valle della verifica, al completamento delle suddette opere;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare, nel breve e nel lungo periodo, il rilancio e lo sviluppo delle opere infrastrutturali del Mezzogiorno e, in particolare, in che modo intenda operare per ripristinare tutte le opere che hanno subito importanti cedimenti strutturali e che, pertanto, risultano, ad oggi, inutilizzate. (4-10583)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile club Italia (ACI), oltre ad essere una federazione sportiva nazionale a carattere pubblico riconosciuta dal CONI e dalla Fédération Internationale de l'Automobile (FIA) con il compito di favorire lo sviluppo dello sport automobilistico, del comparto dell'auto, di associare e tutelare gli automobilisti e di organizzare manifestazioni sportive, è un ente pubblico non economico, a cui è riferita la gestione del pubblico registro automobilistico e l'acquisizione dei relativi tributi (la tassa di circolazione), per i quali è soggetto al controllo del Ministero della giustizia;
   il decreto del Ministero delle finanze n. 514 del 2 ottobre 1992 regola le modalità e le procedure di funzionamento degli uffici del pubblico registro automobilistico, la tenuta degli archivi, la conservazione della documentazione prescritta, la elaborazione e fornitura dei dati e delle statistiche dei veicoli iscritti, la forma, il contenuto e le modalità di utilizzo della modulistica occorrente per il funzionamento degli uffici medesimi, in particolare l'articolo 8 istituisce certificato di proprietà e l'articolo 17, comma 5, stabilisce che il certificato di proprietà deve essere stampato dal sistema informatico;
   il 24 settembre 2015 l'agenzia di stampa Ansa ha diramato un comunicato dell'ACI in cui si annuncia «una importante novità per gli automobilisti italiani: a partire dal 5 ottobre, infatti, i proprietari potranno dire addio al certificato di proprietà (Cdp) nella sua versione cartacea»; nel comunicato, inoltre, è specificato che tale novità risponde alle previsioni del decreto legislativo di attuazione della riforma della pubblica amministrazione, la quale prevede il rilascio del «documento unico del veicolo» contenente i dati sia di proprietà, che di circolazione dei veicoli, motoveicoli e rimorchi;
   a tale comunicazione è seguita, il 25 settembre, un'intervista a «Quattroruote» del presidente dell'ACI, Angelo Sticchi Damiani, che conferma: «da ottobre e progressivamente fino al dicembre 2016 tutte le 5.500 agenzie che effettuano l'intermediazione tra il PRA (Pubblico Registro Automobilistico) e i cittadini provvederanno a rendere virtuale il certificato di proprietà, che manterrà la sua funzione giuridica: agli automobilisti sarà sufficiente collegarsi al sito con la propria targa per visualizzarlo»;
   il 28 settembre l'AO con propria circolare ha informato ufficialmente studi di consulenza automobilistica (agenzie pratiche auto) dell'inizio del procedimento di dematerializzazione a partire dal 5 ottobre;
   la legge 7 agosto 2015, n. 124, contenente «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (nota come riforma Madia) stabilisce all'articolo 8, comma 1, lettera d): «con riferimento alle amministrazioni competenti in materia di autoveicoli: riorganizzazione, ai fini della riduzione dei costi connessi alla gestione dei dati relativi alla proprietà e alla circolazione dei veicoli e della realizzazione di significativi risparmi per l'utenza, anche mediante trasferimento, previa valutazione della sostenibilità organizzativa ed economica, delle funzioni svolte dagli uffici del Pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con conseguente introduzione di un'unica modalità di archiviazione finalizzata al rilascio di un documento unico contenente i dati di proprietà e di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, da perseguire anche attraverso l'eventuale istituzione di un'agenzia o altra struttura sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; svolgimento delle relative funzioni con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»;
   con tale provvedimento si delega il Governo ad adottare entro dodici mesi uno o più decreti legislativi al fine di operare il passaggio definitivo delle funzioni svolte dal pubblico registro automobilistico, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   da Il Sole 24 Ore del 18 settembre 2015 si apprende che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe già provveduto alla stesura di una prima bozza del decreto di attuazione della «riforma Madia» con il quale si regolerebbe il passaggio delle funzioni dal pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   secondo il quotidiano risulterebbe che tale bozza di decreto indichi due fasi: con la prima si dovrebbe, a partire dal 1o gennaio 2016, dare inizio al trasferimento delle funzioni attualmente svolte dal pubblico registro automobilistico al Ministero e alla realizzazione di una nuova sezione contenente i dati relativi alle vetture che integri l'archivio nazionale dei veicoli, tenuto presso la motorizzazione civile; con la seconda, dal 1o luglio 2016, si avvierebbero le procedure per l'eliminazione del certificato di proprietà ed il rilascio del «documento unico di circolazione», il cui costo per gli utenti sarebbe di 29 euro;
   inoltre, nella bozza di decreto sarebbe prevista l'istituzione di un'Agenzia per il trasporto stradale, ente autonomo sotto il profilo giuridico e patrimoniale vigilato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il compito di prendere in carico, a partire dal primo luglio prossimo tutte le funzioni relative «alla circolazione, sicurezza e trasporto stradale di persone e cose, nonché le funzioni proprie del pubblico registro automobilistico;
   è parere dell'interrogante che la decisione presa dall'ACI di procedere, in questo frangente, alla dematerializzazione del certificato di proprietà poco prima dell'attuazione della «riforma Madia» non sia necessaria, oltre che affrettata, soprattutto in previsione del rilascio del certificato unico contenente sia i dati relativi alla proprietà che alla carta di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi; inoltre con l'introduzione del certificato di proprietà digitale ad opera dell'ACI dovrebbe scomparire il certificato cartaceo senza apportare significativi vantaggi per gli utenti in termini costi e semplificazione delle procedure –:
   se i Ministri interrogati intendano fornire informazioni dettagliate in merito al progetto di dematerializzazione promosso dall'ACI, anche chiarendo il costo dell'intera operazione e quali risorse siano state utilizzate;
   se, in vista dell'emanazione del decreto attuativo della «riforma Madia», ritengano utile l'avvio del procedimento di digitalizzazione del certificato di proprietà promosso dall'ACI;
   come si concili la circolare emanata dall'ACI in data 28 settembre possa 2015 con le disposizioni impartite dal decreto del Ministero delle finanze n. 514 del 2 ottobre 1992 che prevede la stampa del certificato di proprietà;
   se, come previsto dall'articolo 15, comma 2-bis, del 7 marzo 2005, nella valutazione del progetto si sia tenuto conto degli effettivi risparmi derivanti dal certificato di proprietà digitale, nonché dei costi e delle economie che ne derivano;
   se sia prevista, unitamente alla digitalizzazione, anche l'eliminazione dell'imposta di bollo che attualmente deve venir corrisposta per l'emissione del certificato cartaceo di proprietà e se siano previste delle riduzioni negli emolumenti, per il pubblico registro automobilistico corrispondenti al risparmio legato alla mancata emissione del certificato di proprietà;
   quali siano i costi che l'amministrazione dovrà sostenere per il trasferimento delle funzioni del pubblico registro automobilistico all'Agenzia per il trasporto stradale. (4-10594)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, GALLINELLA, GAGNARLI, BENEDETTI, PARENTELA e L'ABBATE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n. 15 «Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, a norma dell'articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122», all'articolo 2 «Finalità ed ambito di applicazione», comma 3, riporta che le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi si distinguono nelle categorie A, B e C, come individuate nell'Allegato I in relazione alla dimensione dell'impresa, al settore di attività, alla esistenza di specifiche regole tecniche, alle esigenze di tutela della pubblica incolumità;
   per ciascuna delle suddette categorie sono previsti procedimenti differenziati, più semplici per le attività di categorie A e B;
   in materia di rilascio del certificato di prevenzione incendi ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 15 del 2011, è competente il Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   secondo il comma 2 dello stesso articolo, nell'ambito di applicazione del presente regolamento, rientrano tutte le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi riportate nell'Allegato I del decreto del Presidente della Repubblica;
   il punto 12 dell'Allegato I riporta: i depositi e/o rivendite di liquidi infiammabili e/o combustibili e/o oli lubrificanti, diatermici, di qualsiasi derivazione, di capacità geometrica complessiva superiore a 1 mc; categoria A: liquidi con punto di infiammabilità superiore a 65 oC per capacità geometrica complessiva compresa da 1 mc a 9 mc; categoria B: liquidi infiammabili e/o combustibili e/o lubrificanti e/o oli diatermici di qualsiasi derivazione per capacità geometrica complessiva compresa da 1 mc a 50 mc, ad eccezione di quelli indicati nella colonna A; categoria C: liquidi infiammabili e/o combustibili e/o lubrificanti e/o oli diatermici di qualsiasi derivazione per capacità geometrica complessiva superiore a 50 mc;
   nella scheda di sicurezza dell'oliva, ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, nelle informazioni sulle proprietà fisiche e chimiche fondamentali e indicazioni generali, è scritto:
    cambiamento di stato: Temperatura di ebollizione/ambito di ebollizione: >ca. 350 oC;
    punto di infiammabilità: 288 oC;
    temperatura di accensione: >240 oC;
    pericolo di esplosione: Prodotto non esplosivo;
    densità a 20 oC: 0,91 g/cm3;
    solubilità in/Miscibilità con acqua: Insolubile;
   secondo la direttiva 67/548/CE, modificata dal regolamento (CE) n. 1272/2008, e i vari recepimenti nazionali, concernenti la classificazione, l'imballaggio ed etichettatura delle sostanze pericolose, queste vengono classificate secondo tre livelli di infiammabilità decrescenti: altamente infiammabili (F+), facilmente infiammabili (F) e infiammabili;
   sono altamente infiammabili le sostanze e preparati liquidi che hanno un punto di infiammabilità inferiore a 0 oC e un punto di ebollizione inferiore o uguale a 35 oC; facilmente infiammabili, le sostanze non altamente infiammabile, spontaneamente infiammabili all'aria o che a contatto con l'aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia, possono riscaldarsi e quindi infiammarsi, oppure le sostanze che possono facilmente infiammarsi in seguito a un breve contatto con una sorgente di accensione e che continua a bruciare o a consumarsi anche dopo l'allontanamento di tale sorgente, o anche le sostanze o preparati liquidi il cui punto di infiammabilità è inferiore a 21 oC, ma che non è altamente infiammabile; infiammabile, le sostanze e preparati liquidi il cui punto di infiammabilità è compreso tra 21 e 55 oC;
   un lubrificante è una sostanza, in genere liquida e di origine fossile, che interposta tra due superfici ne riduce l'attrito e l'usura, creando un sottilissimo strato che consente la separazione fra le due superfici a contatto;
   è detto fluido diatermico, il fluido usato in impianti termici per scambiare e trasportare calore;
    è opinione degli interroganti che l'olio di oliva per le proprie caratteristiche fisicochimiche non rientri in nessuna delle classificazioni precedenti, ma può essere annoverato tra i «combustibili», ovvero nelle sostanze che ossidate in un processo di combustione, sprigionano energia termica;
   presso il sito per la consultazione diretta del Corpo nazionale di vigili del fuoco, alla domanda posta da un utente che testualmente riporta: «un frantoio oleario, per la molitura di olive e produzione olio e che detiene olio extravergine d'oliva superiore a 25 mc, è soggetto al decreto del Presidente della Repubblica 151/2011», la risposta è stata: «Il deposito di olio in un frantoio può essere ricompreso al punto 12 dell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica 151/2011 in funzione della quantità depositata»;
   l'interpretazione dei vigili del fuoco non chiarisce se gli oli d'oliva siano liquidi infiammabili e/o combustibili e/o oli lubrificanti, considerato che gli oli d'oliva non sono diatermici, requisito posto per tutte le fattispecie considerate per rientrare nella norma;
   con la legge n. 11 del 27 febbraio 2015 di conversione del decreto «Milleproroghe» 2015, per i nuovi soggetti obbligati ad ottemperare alla normativa antincendio, è prevista una proroga, con presentazione del progetto di valutazione antincendio ai vigili del fuoco entro il 1o novembre 2015 e presentazione della Scia entro il 6 ottobre 2016;
   ai sensi del punto 12 dell'Allegato I, i depositi e/o rivendite di liquidi infiammabili e/o combustibili e/o oli lubrificanti, diatermici, di qualsiasi derivazione, di capacitò geometrica complessiva superiore a 1 mc, rientrano nella categoria «B» e nella categoria «C» qualora superino i 50 mc –:
   se i depositi di olio di un frantoio per la molitura delle olive siano ricompresi nel punto 12 dell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011, come da interpretazione del Comando nazionale dei vigili del fuoco;
   qualora tali depositi non rientrino nel punto 12 dell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011, in quale delle altre «attività» del medesimo allegato siano ricompresi;
   quale siano le caratteristiche fisicochimiche dell'olio d'oliva legalmente riconosciute;
   se abbia previsto di assumere iniziative per l'emanazione di specifiche regole tecniche per gli impianti di stoccaggio degli oli di origine vegetale che tengano conto del loro peculiare rischio antincendio, difficilmente assimilabile a quello degli altri liquidi infiammabili o combustibili, in modo da prevenire uno sproporzionato ed oneroso adeguamento dei depositi dei frantoi. (5-06559)


   MATTIELLO, ZAMPA, GIUSEPPE GUERINI e MARZANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 119 del 22 agosto 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2014, n. 146, all'articolo 2-bis, prevede che il Ministero dell'interno ogni anno entro il 30 giugno debba produrre una relazione dettagliata sul sistema di accoglienza primario, rendendo in particolare conoscibili quali centri vengano finanziati, con quali risorse, a quali condizioni;
   ad oggi, però, a distanza di un anno, non è ancora disponibile la relazione citata;
   cresce tra i cittadini la comprensibile preoccupazione sulla utilizzazione dei pubblici in materia di accoglienza dei migranti;
   gli interroganti ritengono che legalità e trasparenza siano ingredienti fondamentali per una solidarietà giusta, oltre che doverosa –:
   se al Ministro risulti che la relazione stia per essere licenziata dagli uffici preposti, e, in caso affermativo, se non ritenga necessario trasmetterla alla Camere nei tempi più celeri possibili. (5-06561)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO, BASILIO, PAOLO BERNINI, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso, in questi giorni, dello scandalo che ha colpito la casa costruttrice di autovetture Volkswagen, relativamente ai test truccati sulle emissioni inquinanti di alcune tipologie di motori diesel prodotti dall'azienda tedesca;
   a fine 2014, il Ministero dell'interno ha indetto un bando di gara per l'acquisto di nuove autovetture da destinare alla polizia di Stato e all'Arma dei carabinieri, aggiudicato, non senza poche polemiche, al gruppo Volkswagen tramite il marchio Seat;
   la casa automobilistica tedesca ha così fornito ben 206 vetture di cui 106 per i carabinieri e 100 per la polizia di Stato, garantendo, per come previsto dal contratto stipulato con la pubblica amministrazione, anche le spese per l'equipaggiamento e allestimento auto, la manutenzione ordinaria per 6 anni o, in alternativa, per la percorrenza di 150.000, chilometri;
   come riportato dal quotidiano ilgiornale.it, a causa del cosiddetto «dieselgate» potrebbero sorgere alcuni problemi in merito alla flotta consegnata alle forze dell'ordine italiane;
   sembra infatti che, come riportato dal quotidiano inglese «l'Indipendent», i motori ES189 della casa costruttrice tedesca, siano stati montati anche sulle vetture SEAT LEON 2.0 TDI, consegnate a polizia di Stato e Arma dei carabinieri, che potrebbero rientrare nel piano di richiamo in via di predisposizione da parte di Volkswagen;
   qualora questa ipotesi diventi una certezza sussisterebbe il rischio concreto di lasciare senza autovetture le nostre forze dell'ordine, considerando, inoltre, che esiste una prelazione di ulteriori 4000 veicoli da parte del Ministero per un costo massimo che si aggira intorno ai 184 milioni di euro –:
   se il Ministro abbia già avviato dei contatti con la Volkswagen per verificare tempestivamente se le autovetture attualmente in servizio rientrino tra quelle previste nel piano di ritiro dal mercato;
   se il Ministro ritenga di intraprendere azioni legali, sulla base del contratto d'appalto siglato con la casa costruttrice tedesca, atte a risolvere lo stesso e a procedere a eventuali richieste di risarcimento danni;
   quali soluzioni intenda perseguire, in considerazione del fatto che ben 206 vetture potrebbero, eventualmente, essere ritirate dalle dotazioni delle forze dell'ordine causando gravi problemi di efficienza nel controllo del territorio. (4-10580)


   CRIVELLARI e ROSTELLATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con un incontro era stata esternata al prefetto di Rovigo forte preoccupazione sulla situazione dei richiedenti e titolari di protezione internazionale o umanitaria presenti nel territorio polesano;
   destava ulteriore preoccupazione quanto emerso in merito alle conseguenze derivanti dall'allontanamento dalle strutture di accoglienza intimato dalla prefettura ai richiedenti protezione internazionale la cui domanda di asilo non aveva ottenuto esito positivo ed avevano proceduto a ricorso ex articolo 35 del decreto legislativo n. 25 del 2008;
   il prefetto oltre alla massima attenzione per garantire controllo e sicurezza, ha garantito l'avvio dei lavori del consiglio territoriale per l'immigrazione ed eventuali tavoli di dialogo e coordinamento con tutte le realtà locali impegnate sul fronte dell'immigrazione e dell'assistenza ai richiedenti asilo;
   la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona – sezione di Padova, pur nell'assiduo e difficile lavoro di giudizio sulle richieste di asilo, ha respinto la quasi totalità delle richieste di protezione internazionale;
   peraltro gli esiti delle richieste di asilo arriverebbero dopo periodi di tempo medio molto lunghi, durante i quali il richiedente ha già di fatto intrapreso un percorso di integrazione nelle realtà di accoglienza e territoriali;
   il mancato accoglimento delle richieste ha determinato l'insorgere di procedimenti avanti ai tribunali territorialmente competenti a seguito di proposizione di ricorso da parte degli interessati;
   le decisioni di allontanamento dalle strutture promosse dalla prefettura di Rovigo anch'esse potranno essere motivo di ricorso da parte dei richiedenti;
   la situazione lascia spesso spazio a quelle che agli interroganti appaiono evidenti strumentalizzazioni da parte di alcuni partiti o esponenti politici;
   le attività di riconoscimento dello status di rifugiato o protezione sussidiaria ovvero della protezione umanitaria, oltre che l'organizzazione delle politiche di accoglienza ed integrazioni, sono per loro natura complesse e difficili che spesso richiedono una collegialità tra istituzioni, attori sociali e cittadinanza estremamente complessa ed articolata;
   sono entrate in vigore le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 142 del 2015 di attuazione della direttiva 2013/33/EU e della direttiva 2013/32/EU e tali nuove disposizioni introducono importanti modifiche sia in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, sia in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria;
   tra tali rilevanti novità vi è anche quanto disposto dall'articolo 14, comma 4, del decreto legislativo n. 142 del 2015 che stabilisce che le misure di accoglienza devono essere assicurate anche al richiedente protezione internazionale che si trova in fase di ricorso per il tempo in cui è autorizzato a restare sul territorio nazionale –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per verificare la situazione cui si è giunti da parte della prefettura di Rovigo relativamente all'allontanamento dalle strutture di accoglienza dei richiedenti asilo, accertando, per quanto possibile, con chiarezza la corretta applicazione delle norme e delle prassi anche alla luce delle sostanziali modifiche apportate dalle nuove norme. (4-10582)


   FRACCARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 settembre 2015 il sindaco del comune di Bolzano si è dimesso dall'incarico rivestito; in conseguenza di tali dimissioni, successivamente, si sono altresì dimessi il vicesindaco e gli assessori comunali. Conseguentemente, il 30 settembre 2015, il commissario del Governo per la provincia di Bolzano, ritenendo che le dimissioni di tutti gli assessori determinassero l'impossibilità di normale funzionamento degli organi e dei servizi dell'ente, ha sospeso il consiglio comunale ed ha nominato un commissario per la provvisoria amministrazione. Al commissario governativo sono stati conferiti i poteri spettanti al consiglio comunale, alla giunta e al sindaco;
   lo scioglimento e la sospensione dei consigli comunali della provincia di Bolzano sono regolati dalle leggi regionali e dallo statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol che attribuiscono i relativi poteri alla giunta provinciale. In particolare, l'articolo 54, comma 5,del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972 prevede che «Alla Giunta provinciale spetta: la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorzi e sugli altri enti o istituti locali, compresa la facoltà di sospensione e scioglimento dei loro organi in base alla legge. Nei suddetti casi e quando le amministrazioni non siano in grado per qualsiasi motivo di funzionare spetta anche alla Giunta provinciale la nomina di commissari, con l'obbligo di sceglierli, nella provincia di Bolzano, nel gruppo linguistico che ha la maggioranza degli amministratori in seno all'organo più rappresentativo dell'ente. Restano riservati allo Stato i provvedimenti straordinari di cui sopra allorché siano dovuti a motivi di ordine pubblico e quando si riferiscano a comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti»;
   lo statuto di autonomia prevede quindi che l'avocazione da parte dello Stato del potere di scioglimento e sospensione degli organi degli enti operanti nell'ambito della provincia possa intervenire in un ambito ben delimitato, cioè al ricorrere di due condizioni cumulativamente considerate e cioè quando vi siano motivi di ordine pubblico e nell'ambito dei comuni con popolazione superiore a 20 mila abitanti;
   il citato decreto del commissario di Governo del 30 settembre 2015, ad avviso dell'interrogante, non ha correttamente interpretato l'articolo 54 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, avocando allo Stato i provvedimenti di sospensione e scioglimento del consiglio comunale e della nomina di un commissario pur in assenza di motivi di ordine pubblico, condizione necessariamente richiesta dalla norma;
   è evidente come, ai sensi dell'articolo 54 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, tale provvedimento, esulando, a giudizio dell'interrogante, dalla competenza dello Stato, è suscettibile di produrre una lesione concreta delle prerogative proprie della provincia autonoma di Bolzano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative intenda assumere per garantire il rispetto delle prerogative costituzionalmente attribuite alla provincia autonoma di Bolzano. (4-10588)


   NARDI, DE MARIA, TIDEI, FERRO e MARIANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione nazionale partigiani italiani (ANPI nazionale) ha sporto formale denuncia presso la procura della Repubblica di Tivoli contro il sindaco di Affile, Ercole Viri, ed altri eventuali compartecipi, a seguito della costruzione del monumento-sacrario a Rodolfo Graziani, per vari reati (apologia del fascismo, apologia di delitti ed altri reati previsti dalla legge Mancino);
   il 21 settembre 2015 di quest'anno si è tenuta davanti al tribunale di Tivoli la prima udienza del processo contro Ercole Viri e due assessori della sua giunta;
   il mausoleo dedicato a Graziani nella cittadina di Affile, inaugurato l'11 agosto 2012, nel 130o anniversario dalla nascita di Rodolfo Graziani è ancora intatto;
   essendo noto che Rodolfo Graziani, firmatario delle leggi razziali e criminale di guerra, è stato condannato a 19 anni di carcere nel dopoguerra per tradimento del popolo italiano, avendo combattuto al servizio dei nazisti, tale mausoleo ad avviso degli interroganti suona come un'offesa a tutti gli antifascisti e come un grave oltraggio ai popoli africani, in particolare nei confronti del popolo etiope, presso il quale l’ex maresciallo del regno è noto come «il macellaio»;
   Graziani, a quanto risulta agli interroganti, non ha mai mostrato pentimento per le numerose stragi perpetrate dai nazifascisti in Italia;
   il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, nel settembre 2012 ha chiesto agli uffici regionali di sospendere il finanziamento concesso al comune di Affile e originariamente destinato al «completamento del parco Rodimonte» e alla «realizzazione di un monumento al soldato», cioè al milite ignoto;
   il comune di Affile a giudizio degli interroganti ha, impropriamente e arbitrariamente, dedicato tale mausoleo a Rodolfo Graziani;
   per la prima volta nel 1996 il Governo italiano ha ammesso ufficialmente che il regime fascista tra il 1935 e il 1936 utilizzò i gas nella guerra d'Etiopia e più precisamente furono impiegati bombe d'aereo e proiettili d'artiglieria caricati a iprite e arsine e che l'impiego di tali gas era noto al maresciallo Badoglio e al generale Graziani;
   i comuni di Stazzema, di Massa, di Carrara, di Montignoso, di Marzabotto e la provincia di Massa Carrara hanno chiesto di costituirsi parte civile nel procedimento;
   sono stati depositati vari atti di sindacato ispettivo a tale proposito e il Ministro è stato più volte sollecitato sulla questione –:
   se il Governo sia a conoscenza e quali iniziative per quanto di competenza, intenda assumere in merito;
   se si intendano assumere iniziative normative per impedire che siano intestati a personalità condannate per gravi reaticontro lo Stato monumenti, sacrari o pubbliche vie o piazze al fine di evitare casi come quello di cui in premessa. (4-10592)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da articoli di stampa si è appreso che nel comune di Settala vi sia un'associazione che utilizza i locali nei quali svolge la propria attività come luogo di culto;
   il problema è stato sollevato dai consiglieri di minoranza con diverse interrogazioni rivolte al sindaco ed all'assessore competente;
   le risposte ricevute sono state assolutamente insufficienti e lacunose, soprattutto alla luce delle risultanze del sopralluogo effettuato dalla polizia municipale, durante quale sarebbe stato rilevato «per quanto attiene all'arredo del vano posto al piano terra, si precisa che il pavimento della parte sottostante il soppalco risultava coperta di tappeti, mentre la rimanente porzione era pavimentata a moquette... I rappresentanti presenti riferivano che la parte pavimentata a tappeti, dove trovava posto una poltrona sulla quale siede un Imam che a volte partecipa alle riunioni dell'Associazione, viene utilizzata dai soci (40 o 50 persone), che si trovano incidentalmente nei locali nei momenti stabiliti dalla Religione Musulmana, per la preghiera comunitaria»;
   dalle risposte date dagli associati ai verbalizzanti sembrerebbe evincersi che si tratti di luogo di culto, a differenza di quanto dichiarato dal sindaco –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se e quali iniziative di competenza siano state assunte dalla prefettura e dalle forze dell'ordine nell'ambito delle consuete attività di monitoraggio in materia di ordine pubblico. (4-10600)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del 20 maggio 2015 che determina il fabbisogno dei medici specialisti da formare nelle scuole di specializzazione di medicina e chirurgia per il triennio 2014-2017. Sono 8.073 unità per l'anno accademico 2014-2015, 7.909 per l'anno accademico 2015-2016 e 7.967 per il 2016-2017;
   per il 2014-2015 lo Stato ha finanziato 6 mila borse – inizialmente erano 5.000 – a cui si sono aggiunte pochi contratti in più finanziati dalle regioni, per cui parrebbe ragionevole immaginare un aumento sostanzioso del numero dei contratti a disposizione dei neo-laureati nei rispettivi anni di corso;
   da un semplice calcolo emerge però che se ci fosse parità di stanziamento, nel prossimo triennio verranno a mancare almeno 6.000 posti nelle scuole di specializzazione, a cui andranno aggiunti i neo-laureati che già da quest'anno sono rimasti fuori dalla graduatoria di assegnazione dei contratti di lavoro-formazione;
   il decreto prevede che per far fronte ad esigenze formative specifiche evidenziate dalle singole regioni e province autonome in cui insistono le strutture formative, ove sussistano risorse aggiuntive, comunque acquisite dalle università e nel limite dei posti programmati, possono essere previsti ulteriori contratti di formazione specialistica in aggiunta a quelli finanziati dallo Stato;
   non risulta inoltre del tutto chiara l'affermazione: «ove sussistano risorse aggiuntive, comunque acquisite dalle Università e nel limite dei posti programmati». Concretamente se i contratti di formazione previsti dal decreto nei prossimi anni coincidono con i cosiddetti posti programmati, non si capisce perché le regioni e le università dovrebbero cercare risorse aggiuntive per posti non programmati; se invece non fosse così, ancor meno si capisce perché si stabilisca per decreto un numero di contratti inferiori a quelli dei posti programmati;
   trattandosi però di un concorso su base nazionale, questo potrebbe creare qualche incertezza nella interpretazione dei destinatari dei contratti aggiuntivi, come è già accaduto in questi ultimi due anni;
   nello stesso tempo vale la pena ribadire che i numeri degli iscritti al corso di laurea in medicina negli anni 2005, 2006 e 2007, che dovrebbero laurearsi al 90 per cento negli anni 2016-2017-2018, presi in considerazione dal decreto superano di almeno 2000 unità i posti comunque programmati –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, in che modo il Ministro intenda intervenire per ottenere già per l'attuale anno accademico 2015-2016 un sostanzioso numero di contratti in più per i giovani laureati, coerente con il numero degli iscritti al corso di laurea, secondo la programmazione fatta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con il Ministero della salute e la Conferenza Stato-regioni sei anni fa;
   in che modo e quando si procederà ad uno stretto coordinamento tra il numero degli iscritti corso di laurea in medicina e chirurgia e la programmazione dei rispettivi contratti per le scuole di specializzazione, posti in essere al termine dei sei anni del corso di laurea. (3-01741)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   fra i numerosi e negativi risultati della recente approvazione della legge 13 luglio 2015, n. 107, concernente: «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», cosiddetta «buona scuola», l'interrogante segnala l'ulteriore aumento del contributo scolastico pari a 105 euro, stabilito dall'istituto scolastico Mossotti di Novara, i cui fondi, secondo la dirigenza, si rendono necessari per la sicurezza della struttura di competenza della provincia di Novara, che risulta non erogare più finanziamenti all'istituto;
   l'interrogante evidenzia, più specificatamente, che l'obolo richiesto dal suddetto istituto scolastico, è finalizzato ad una serie di opere di ristrutturazione quali: la sistemazione delle aule (stuccatura e tinteggiatura dei muri, ripristino delle veneziane, sostituzione di banchi e sedie, sostituzione di lampadine esaurite), il ripristino della funzionalità dei bagni e il risanamento degli intonaci e dei muri a causa di perdite d'acqua;
   l'interrogante evidenzia altresì come, sebbene il contributo previsto sia di natura volontaria, ciononostante, secondo le denunce degli studenti, chi oppone un rifiuto a tale obolo, viene escluso dalle numerose offerte formative quali: le visite culturali, i viaggi d'istruzione, le gite sportive e didattiche, oltre ai soggiorni formativi linguistici, di partecipazione ai concorsi e più in generale, all'ampliamento dell'offerta formativa;
   tale esclusione, a giudizio dell'interrogante, oltre ad essere «autoritaria» desta sconcerto e preoccupazione, in quanto fortemente lesiva nei confronti degli studenti e delle famiglie, in considerazione degli svantaggi che essa si ripercuote sui diritti dei medesimi;
   in un momento di grave difficoltà economica tutt'altro che superata, tra l'aumento delle tasse scolastiche, l'incremento dei costi per il corredo scolastico, il caro libri ed il suindicato obolo pari a 105 euro, tale decisione dell'istituto scolastico di Novara, peraltro altamente discriminante per coloro che non aderissero all'iniziativa, risulta all'interrogante inaccettabile oltre che di dubbia legittimità in quanto trasforma un atto volontario, in obbligatorio;
   al riguardo, a giudizio dell'interrogante, la circolare del dirigente della scuola Mossotti di Novara in merito, contrasta fra l'altro, con i principi fondamentali della Costituzione, in quanto il mancato pagamento del suindicato «obolo», non può escludere dall'offerta formativa gli studenti, le cui famiglie già pagano una retta scolastica al momento dell'iscrizione dei propri figli alla scuola pubblica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle decisioni assunte dall'istituto scolastico Mossotti di Novara, che ha imposto alle famiglie un obolo stabilito in una cifra pari a 105 euro, finalizzato all'esecuzione di una serie di interventi infrastrutturali e di messa in sicurezza della medesima scuola, in precedenza richiamati;
   quali orientamenti intenda esprimere, con riferimento al contenuto della, circolare scolastica sopra richiamata, che, in caso di inosservanza del contributo da parte delle famiglie degli studenti, prevede l'esclusione degli stessi studenti da una serie di iniziative culturali e scolastiche, che dovrebbero rientrare nell'ambito dell'offerta formativa cui essi hanno diritto in virtù del pagamento delle tasse d'iscrizione;
   quali iniziative, infine, intenda intraprendere nei riguardi della scuola novarese suindicata, affinché le decisioni assunte dalla dirigenza scolastica che, come esposto in premessa, risultano a giudizio dell'interrogante, discriminatorie e di dubbia legittimità, siano oggetto di una revisione. (4-10591)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato il 24 settembre 2015, dal quotidiano «La libertà» di Piacenza, il Ministro interrogato, ha visitato la scorsa settimana la provincia piacentina, per presenziare alla ricorrenza della nascita di una ditta collegata ad una multinazionale americana, che a partire dal prossimo anno, licenzierà circa sessanta lavoratori e che da informazioni in possesso dell'interrogante risulta essere la Biffi;
   il medesimo articolo evidenzia, inoltre, che altre aziende della Val d'Arda in provincia di Piacenza, come la Vanessa, dalla cui crescita aziendale dipende in larga parte l'intera economia territoriale, sono in evidenti difficoltà a causa della crisi economica tutt'altro che superata;
   si evidenzia infine come il contenuto dell'articolo di stampa in precedenza richiamato contenga anche elementi che, ad avviso dell'interrogante risultano paradossali, con riferimento alla presenza dello stesso Ministro interrogato, intervenuto per salutare l'anniversario di un'azienda «la Biffi», che tuttavia tra pochi mesi, sembrerebbe intenzionata a licenziare decine di addetti –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se sia a conoscenza delle difficoltà in merito alla situazione economica e occupazionale delle imprese in precedenza richiamate, che stando a quanto riporta l'articolo di stampa suddetto, si apprestano a licenziare decine di lavoratori a partire dal prossimo anno;
   in caso affermativo, quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di tutelare i livelli occupazionali dei lavoratori delle aziende della Val d'Arda, il cui distretto industriale, secondo quanto risulta dagli organi di stampa piacentina, è in grave difficoltà economica. (4-10587)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 6 marzo 2011 è entrata in vigore la nuova legge (legge 3 febbraio 2011, n. 4) «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari» che, all'articolo 4, recita: «Per i prodotti alimentari non trasformati, l'indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati, l'indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti»;
   secondo il regolamento (CE) n. 178/2002, articolo 18, i prodotti non trasformati sono: i prodotti alimentari non sottoposti a trattamento, compresi prodotti che siano divisi, separati, sezionati, affettati, disossati, tritati, scuoiati, frantumati, tagliati, puliti rifilati, decorticati, macinati, refrigerati, congelati, surgelati o scongelati, più semplicemente si tratta della carne fresca, del pesce fresco, delle uova e altro. Per questi alimenti se si trova scritto che è prodotto in Italia si può essere certi che il prodotto è al 100 per cento made in Italy;
   le cose sono diverse quando ci si riferisce ai prodotti trasformati: passate, affettati, conserve e altro. In questi casi la legge stabilisce che l'indicazione da etichetta riguarda «il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione». Pertanto basta che il confezionamento avvenga in Italia che il prodotto diventa prodotto in Italia. Quindi, a parere dell'interrogante, risulta che l'Italia importa passata di pomodoro dall'estero ed in particolare dalla Cina. Ovviamente la produzione di tali alimenti rispetta le normative del Paese dove sono prodotti: dall'uso dei pesticidi (in Italia sono vietati alcuni pesticidi utilizzati all'estero) alla qualità dei mangimi dati agli animali. Le regole sono diverse per i prodotti biologici; questi, infatti, devono portare in etichetta obbligatoriamente il luogo di produzione. Invece, i prodotti DOP (denominazione di origine protetta) IGP (indicazione geografica protetta) garantiscono un prodotto italiano al 100 per cento;
   occorre, pertanto, garantire, attraverso misure adeguate, che anche per i prodotti trasformati debbano valere le stesse regole che concernono i prodotti non trasformati. Infatti, molte aziende del nostro Paese si recano ad acquistare la materia prima in Nazioni dove il costo della stessa risulta più conveniente per poi diffonderlo sul territorio italiano;
   si è, pertanto, di fronte alla diffusione di prodotti di scarsa qualità per di più trattati in modo non congruo secondo regole che come descritto non rispondono a quelle italiane;
   la situazione è particolarmente difficile per le aziende produttrici del nostro Paese e, in particolare, nella zona della provincia di Ragusa, dove esistono numerose aziende che producono, ad esempio, pomodoro di alta qualità, che non vengono prese in considerazione proprio perché lo stesso ortaggio viene comprato a condizioni più vantaggiose in Paesi come la Cina che ha costi inferiori;
   la situazione sopra descritta compromette la produzione e quindi la sopravvivenza di molte piccole aziende della stessa provincia di Ragusa già colpita da una grave crisi economica –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda avviare per rivedere la normativa vigente che compromette in modo ingiusto l'economia del nostro Paese e, in particolare, quella della provincia di Ragusa;
   se non sia opportuno promuovere una campagna informativa a tutela delle esigenze dei concittadini che devono essere a conoscenza della qualità dei prodotti acquistati. (4-10586)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   continuano a verificarsi con grande frequenza le segnalazioni di disservizi o di assenza anche prolungata della linea telefonica nell'alta Langa (Gorzegno, Torre Bormida, Roero) e nelle comunità montane piemontesi della Granda;
   in quelle aree esiste una reale situazione di scarsa o assente copertura, costante ed efficiente, della telefonia fissa nelle zone collinari, montane o, comunque, periferiche e a bassa densità di popolazione, che determina, di fatto, una grave situazione di digital divide;
   le centrali telefoniche in quelle aree sono obsolete e la necessità d'interventi di sostituzione di strumentazioni, dalle più semplici a quelle più complesse, è oramai a cadenza mensile se non settimanale, e per questo motivo non può o non deve essere considerata come occasionale;
   il servizio di comunicazione telefonica, pur essendo oramai da anni gestito da privati, ha una funzione di utilità pubblica, sociale, commerciale, sanitaria e, non ultimo, di sicurezza;
   se si aggiunge che in quelle stesse zone la copertura della rete di telefonia mobile è piuttosto scadente sia per le caratteristiche geografiche che per l'assenza di un adeguato numero di ripetitori, i rischi legati alla sicurezza diventano ancora maggiori;
   per quanto concerne la funzione commerciale, la Corte di Cassazione ha stabilito che in mancanza di copertura di rete sulla linea telefonica si può avere diritto ad un risarcimento dei danni sia economico che di immagine;
   in merito, esistono numerose altre sentenze (si veda quella del Tribunale di Grosseto, 30 gennaio 2015) che affermano che «il servizio di telefonia domestica è un »bene essenziale «e per l'effetto va risarcito il disagio psico-fisico derivante dallo stato di reiterato isolamento nelle comunicazioni con adeguato risarcimento», e anche l'Unione europea inquadra l'accesso ai servizi di telefonia, comunicazione e internet come diritto fondamentale della persona;
   sotto il profilo sanitario, nel terzo millennio, si auspica l'uso della telemedicina come strumento salvavita soprattutto nelle aree cosiddette «disagiate»;
   la necessità di usufruire della banda larga a scopi burocratico-amministrativi aumenta ulteriormente la discriminazione verso quei cittadini e quei comuni che a malapena riescono ad usufruire di obsolete reti internet –:
   se non ritenga di adottare le opportune iniziative, anche normative, affinché tutti i gestori di telefonia ammodernino definitivamente tutte le centrali e reti telefoniche nelle aree citate e in tutto il territorio nazionale, garantendo eguali diritti e servizi a tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo di residenza e dal relativo bacino di utenza. (4-10584)


   TONINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da diversi mesi è oggetto di dibattito la fusione tra A2A, multiutility operante nei servizi ambientali e dell'energia nata dalla fusione delle relative municipalizzate di Milano e Brescia e oggi quotata in borsa, e Linea Group Holding (LGH), gruppo di società operante nel settore dei servizi pubblici locali partecipato dalle aziende municipalizzate di Cremona, Pavia, Lodi, Rovato e Crema. In particolare l'azienda cremonese che partecipa al gruppo è la AEM Cremona spa;
   le ultime notizie di stampa riportano che un'offerta, ancora solo non vincolante, per l'acquisto da parte di A2A per l'acquisizione del 51 per cento di LGH riceverà risposta nei primi giorni di ottobre, momento in cui si è quindi ancora ben lontani dalla fusione tra le società;
   nel mentre, nel mese di settembre 2015 giungono numerose segnalazioni da parte di cittadini di Cremona, i quali riportano la circostanza per la quale gli operatori si siano presentati affermando di chiamare per conto della società «A2A AEM Cremona» e per proporre le «migliori offerte» in qualità di «gestori dell'energia nel territorio di Cremona»;
   occorrerebbe verificare se si siano verificate operazioni di associazione tra società formalmente ancora del tutto distinte suscettibili di alterare gravemente i rapporti tra erogatori di servizi pubblici locali, sia sotto il profilo della trasparenza e distinzione dei profili amministrativi e societari, sia, conseguentemente, sotto il profilo della tutela della concorrenza e, nel caso, segnalare gli eventuali profili di anomalia emergenti all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico –:
   di quali elementi disponga in relazione alla eventuale situazione di grave anomalia prospettata in premessa e quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere per promuovere la concorrenza nel settore dei servizi pubblici locali e tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti, a cominciare dal caso sopra descritto. (4-10593)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  La interrogazione a risposta scritta Martella e altri n. 4-10363, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: De Menech, Casellato, Crivellari, Miotto, Pastorelli, Zardini.

Modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  Mozione Fanucci e altri n. 1-00934, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2015, l'ordine delle firme viene così modificato: «Fanucci, Milanato, Vignali, Melilla, Antimo Cesaro, Rondini, Tabacci, Taglialatela, Barbanti, Alfreider, Di Lello, Arlotti, Ascani, Bargero, Becattini, Benamati, Bini, Bossa, Paola Bragantini, Bruno Bossio, Camani, Capodicasa, Capone, Carloni, Cenni, Coppola, Cova, Covello, Crimì, Currò, D'Incecco, Dallai, Marco Di Maio, Donati, Fabbri, Famiglietti, Fauttilli, Folino, Fregolent, Fucci, Fusilli, Gadda, Giampaolo Galli, Galperti, Ginato, Gribaudo, Iacono, Kronbichler, Patrizia Maestri, Magorno, Manfredi, Marrocu, Mazzoli, Miotto, Mongiello, Montroni, Moretto, Moscatt, Pilozzi, Porta, Raciti, Richetti, Romanini, Rostellato, Rubinato, Saltamartini, Sannicandro, Schirò, Tartaglione, Vazio, Vico».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   interrogazione a risposta in Commissione Colletti n. 5-06072 del 16 luglio 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-05781 dell'11 giugno 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01740;
   interrogazione a risposta in Commissione Turco e altri n. 5-05973 del 3 luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01742.