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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 17 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    nel settembre del 2000 l'ONU ha adottato la Dichiarazione del Millennio con la quale 189 leader mondiali si erano impegnati a raggiungere 8 concreti obiettivi: dimezzare la povertà estrema e la fame; raggiungere l'istruzione primaria universale, promuovere l'uguaglianza di genere, diminuire la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere l'HIV/AIDS, la malaria e le altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale, sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo (l'Aiuto pubblico allo sviluppo); gli 8 Obiettivi di Sviluppo del Millennio dell'ONU (MDGs) hanno costituito il quadro di riferimento più importante anche per la cooperazione internazionale allo sviluppo e avrebbero dovuto essere raggiunti entro il 2015;
    in questo lasso di tempo si può complessivamente valutare positivamente il raggiungimento di alcuni risultati: il tasso di riduzione della povertà e l'aumento dell'accesso a servizi sanitari di base, all'educazione, all'acqua e ad altri servizi essenziali in molti Paesi è stato significativo;
    a partire dal Forum di alto livello tenutosi a Busan nel 2011, è in corso un dibattito sul passaggio da una visione centrata sull'efficacia dell'aiuto a quella dello sviluppo (sostenibile), con l'obiettivo di superare la dipendenza dei Paesi in via di sviluppo dai Paesi donatori, ponendo maggiore attenzione ai risultati concreti delle azioni intraprese ma anche prestando ascolto a chi opera direttamente sul campo, attraverso un approfondimento sui singoli obiettivi;
    tuttavia, non si può certo sottacere che molto rilevanti sono stati in questi decenni trascorsi gli interessi che i Paesi industrializzati hanno avuto nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto per lo sfruttamento delle risorse energetiche, a fronte dell'impegno a investire nella cooperazione; purtroppo, molti Paesi poveri, nel tentativo di ottenere un minimo livello di benessere economico, si sono resi disponibili a ospitare sul proprio territorio impianti pericolosi appartenenti alle imprese delle nazioni industrializzate, anche grazie all'assenza di leggi che tutelino l'ambiente e al fatto che molti governi, corrotti, accolgono sul loro territorio milioni di tonnellate di rifiuti tossici o radioattivi; non solo, nell'ultimo decennio molti Paesi industrializzati, compresa l'Italia, si sono trovati nella paradossale situazione di aver causato, dietro lo scudo della partecipazione alle «necessarie» missioni internazionali di pace, pesanti ripercussioni (povertà e mortalità infantile) cui hanno poi «riparato» con esigui fondi (rispetto all'enorme quantità di denaro sperperata in armamenti e altro) a favore di interventi di cooperazione allo sviluppo e di ricostruzione;
    il Vertice sullo sviluppo sostenibile indetto dalle Nazioni Unite (meglio noto come Rio+20), tenutosi dal 20 al 22 giugno 2012 a Rio de Janeiro, ha riguardato l'economia verde, nel contesto dello sviluppo sostenibile e della riduzione della povertà, e il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile indicandole come priorità mondiali, impegnandosi al contempo a lanciare quelli che sono stati definiti gli «obiettivi di sviluppo sostenibile»; tuttavia, il documento finale ha in gran parte disatteso le aspettative relative allo stanziamento di nuovi fondi per l'economia verde (come avevano chiesto i Paesi in via di sviluppo) o all'adozione di decisioni sulle divisioni di responsabilità tra i Paesi che più inquinano;
    una Commissione di alto livello, nominata dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, ha presentato, nel luglio 2014, il suo rapporto finale sull'Agenda di sviluppo post-2015 secondo cui una delle mancanze degli attuali Obiettivi di Sviluppo del Millennio è di essere stati elaborati senza un contributo sufficiente dei Paesi in via di sviluppo, senza aver raggiunto i gruppi emarginati, come le minoranze, senza aver integrato gli aspetti economici, sociali e ambientali di sviluppo sostenibile come previsto dalla Dichiarazione del Millennio e senza aver sostenuto la necessità di promuovere gli schemi di consumo e produzione sostenibili;
    in occasione del vertice Agenda post-2015, organizzato dalle Nazioni Unite e previsto per fine settembre 2015, i leaders mondiali si riuniranno a New York per una valutazione conclusiva del processo realizzato tra il 2000 e il 2015 (già esplicitata nel citato rapporto) e per proporre anche la nuova Agenda per lo sviluppo e la sostenibilità con il lancio dei nuovi Obiettivi Globali (Sustainable Development Goals – SDGs) che sostituiranno i Millennium Development Goals (MDGs);
    per un più efficace raggiungimento dei nuovi obiettivi, però, occorre disporre di dati affidabili, accurati e puntuali, quali dovranno mostrare dove concentrare gli interventi e aiutare a monitorarne i progressi; ad oggi, infatti, i dati necessari per comprendere quali progressi siano stati compiuti dai diversi Paesi risultano spesso difficilmente reperibili o raccolti attraverso metodi statistici inaffidabili;
    in tal senso, il Festival dei Dati tenutosi dal 20 al 22 aprile 2015 a Cartagena (Colombia), si è rivelato essere un utile momento di confronto e scambio tra statistici e ricercatori provenienti da tutto il mondo per rafforzare i sistemi di dati e migliorare gli esiti dello sviluppo, per lavorare concretamente su come finanziare la rivoluzione dei dati e come modernizzarne e armonizzarne i sistemi attraverso l'individuazione di metodi, per potenziare e coinvolgere le comunità nell'utilizzo e nella produzione di dati per affrontare le esigenze locali;
    si è tenuta, dal 13 al 16 luglio 2015, la conferenza ONU di Addis Abeba sul finanziamento dello sviluppo: la terza dopo quella svoltasi in Messico nel 2002, dalla quale era scaturito quello che viene chiamato il «Consenso di Monterrey» e quella tenutasi nel 2008 a Doha (Qatar); peraltro, i risultati di queste due conferenze sono stati piuttosto limitati poiché, se da una parte hanno prodotto delle buone analisi, l'implementazione delle risoluzioni prese è, invece, rimasta vaga e non vincolante;
    la citata conferenza di Addis Abeba è stata voluta per promuovere, tra gli altri scopi, la cooperazione internazionale allo sviluppo, rafforzare i processi di controllo dei finanziamenti allo sviluppo, avviare un nuovo percorso per il finanziamento dello sviluppo sostenibile e costruire una visione comune per un mondo sostenibile, libero dalla povertà;
    dopo quattro giorni di incontri ai più alti livelli, è stato raggiunto l'accordo, realizzato dai 193 paesi ONU partecipanti alla conferenza (definito dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon «una pietra miliare») sul documento finale (il Programma d'Azione di Addis Abeba) che ha fissato la cornice per il finanziamento allo sviluppo nei prossimi 15 anni. Il testo contiene più di 100 misure concrete che comprendono tutte le fonti di finanziamento e che riguardano la cooperazione su una serie di questioni, tra cui la tecnologia, la scienza, l'innovazione, il commercio e lo sviluppo della conoscenza; inoltre, il documento prevede una serie di misure volte a generare investimenti per affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali globali e la creazione di una «partnership globale rivitalizzata», al fine di garantire uno sviluppo sostenibile che non lasci nessuno indietro; infine, esso mira a promuovere una prosperità economica universale inclusiva e a migliorare il benessere della popolazione nel pieno rispetto dell'ambiente, oltre a fornire una base di partenza per l'attuazione della nuova Agenda di sviluppo sostenibile;
    tuttavia, va evidenziato come un ampio schieramento delle organizzazioni internazionali della società civile abbia espresso forti critiche sugli esiti della conferenza di Addis Abeba; la Confederazione Oxfam ha definito il summit come «un'occasione persa» per sconfiggere la povertà, evidenziando due principali criticità: 1) il documento conclusivo della conferenza assegna ai finanziamenti privati una posizione centrale nel piano degli stanziamenti per lo sviluppo, incoraggiando in particolare il ricorso a partnership fra il settore pubblico e quello privato e a strumenti misti di finanziamento. Tuttavia, appaiono scarse e inadeguate le garanzie che gli stanziamenti privati siano a tutti gli effetti utilizzati per favorire uno sviluppo sostenibile, garantire la tutela dei diritti umani e una maggiore responsabilità sociale e ambientale, assicurando, in via prioritaria, la tutela dell'interesse pubblico; 2) da parte dei Paesi in via di sviluppo era emersa chiaramente la volontà di lavorare insieme per la costituzione di un comitato intergovernativo per la cooperazione in materia di governance fiscale globale con risorse adeguate e un mandato chiaro per intervenire su alcuni dossier come l'armonizzazione dei regimi fiscali, il contrasto a pratiche di concorrenza fiscale aggressiva tra i Paesi e la lotta all'abuso fiscale (evasione ed elusione) internazionale, perpetrato da parte di grandi gruppi multinazionali che privano gli erari dei Paesi in via di sviluppo di miliardi di euro l'anno; il proposito è auspicabile, in particolare, che le grandi imprese siano soggette a misure obbligatorie di trasparenza finanziaria, come la rendicontazione Paese per Paese (il cosiddetto country-by-country reporting), volte a gettare luce sulle pratiche di tax planning aggressivo delle imprese, pratiche che agevolano l'erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili verso giurisdizioni fiscali, come i tax havens, a bassa tassazione o completamente tax free, privando i governi di risorse fondamentali per politiche pubbliche progressive di lotta alla povertà e contrasto alle disuguaglianze;
    infine, la conferenza di Addis Abeba ha portato all'istituzione di un nuovo fondo globale di finanziamento (Gff) da parte dei donatori internazionali, pari a 12 miliardi di dollari a sostegno della Strategia globale del segretario generale delle Nazioni Unite per la salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti e degli Obiettivi di sviluppo sostenibile; tale fondo sarà gestito, oltre che dalle Nazioni Unite, dalla Banca mondiale e dai governi di Canada, Norvegia e Stati Uniti, a sostegno di quattro paesi africani: Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Kenya e Tanzania;
    la conferenza è il primo di tre eventi cruciali programmati nel 2015 e i suoi risultati serviranno da incoraggiamento per finanziare e adottare a New York, nel settembre 2015, il programma di sviluppo sostenibile e per raggiungere un accordo vincolante a Parigi (in occasione della Conferenza delle Parti – COP21) a dicembre 2015 per ridurre le emissioni globali di CO2;
    la recente riforma della legge italiana per la cooperazione allo sviluppo (legge n. 125 del 2014) e il decreto ministeriale concernente lo Statuto della nuova Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo prevedono che si possa affidare a soggetti privati con finalità di lucro la realizzazione dei relativi interventi, nel rispetto delle finalità previste dalla citata legge. Al fine di scongiurare fenomeni di finanziamento a pioggia o di perdita di controllo sulle finalità della politica di cooperazione allo sviluppo, nel quadro della giusta valorizzazione del rapporto pubblico-privato, occorre, tuttavia, prevedere una specifica responsabilizzazione dei soggetti con finalità di lucro rispetto agli obiettivi della politica italiana di cooperazione, cui tali soggetti devono contribuire con un coinvolgimento attivo e qualificato;
    in tal senso, occorre, quindi, che le imprese rispettino pienamente le linee guida internazionali ed europee sulla questione, come indicato nelle recenti Comunicazioni della Commissione europea sul ruolo del settore privato nella cooperazione allo sviluppo: si tratta delle Linee guida dell'Ocse, con particolare riferimento al Capitolo IV sui diritti umani, punto 3 e al Capitolo VI, in tema di ambiente, punto 1; rilevano inoltre al proposito i Principi guida su imprese e diritti umani adottati dalle Nazioni Unite; è inoltre prioritario che le imprese adottino criteri di trasparenza consentendo l'accesso pubblico agli atti dimostrativi della loro adesione ai citati principi e alle suddette linee guida, nonché delle azioni intraprese per garantire l'applicazione di tali principi e il rispetto dell'uguaglianza di genere,

impegna il Governo:

   a rappresentare, nell'ambito del prossimo vertice per l'elaborazione dell'Agenda post-2015 delle Nazioni Unite, previsto per settembre 2015, le seguenti istanze:
    a) l'Agenda universale post-2015 sia guidata da grandi cambi di marcia volti a: non lasciare indietro nessuno; mettere lo sviluppo sostenibile al centro dell'azione politica; trasformare le economie in modo tale da creare nuovi posti di lavoro e una crescita inclusiva; costruire la pace e creare istituzioni efficienti, aperte e responsabili; realizzare un nuovo partenariato globale che includa tutti gli attori, i governi a tutti i livelli, il settore privato, la società civile e i cittadini;
    b) l'Agenda abbia valenza universale e riguardi «tutti i Paesi e tutti i popoli» secondo il principio delle «comuni ma differenziate responsabilità»;
    c) non si dispensino solo fondi ma si favorisca anche un loro uso efficace, attraverso criteri di buon governo, di responsabilità, oltre che con programmi di ampio respiro che vadano realmente incontro alle esigenze e alle necessità delle aree interessate;
    d) si preveda che i dati necessari per comprendere quali progressi siano stati compiuti dai diversi Paesi siano universalmente reperibili e raccolti attraverso metodi statistici affidabili;
    e) si preveda esplicitamente che le imprese partecipanti ai progetti di cooperazione che conducono attività che contribuiscono allo sviluppo del settore privato, seguano le procedure di due diligence, nel rispetto delle linee guida Ocse e dei princìpi guida su imprese e diritti umani adottati dalle Nazioni Unite.
(7-00776) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Sibilia, Scagliusi, Grande, Di Battista, Del Grosso».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 6, comma 3 del decreto legislativo n. 218 del 1997, recante la disciplina dell'accertamento con adesione, stabilisce: «Il termine per impugnare di cui al comma 2 è sospeso per un periodo di novanta giorni dalla presentazione dell'istanza del contribuente». Il richiamato comma 2 prevede: «Il contribuente destinatario di un avviso di accertamento non preceduto dall'invito a comparire, di cui all'articolo 5 decreto legislativo n. 218/97, può formulare anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi la Commissione Tributaria Provinciale istanza in carta libera di accertamento con adesione». Lo scopo della sospensione è quello di consentire al contribuente di valutare le possibilità di verificare la convenienza o meno di aderire alla proposta dell'ufficio, dopo aver esaminato gli elementi posti a base dell'accertamento e l'opportunità di evitare una soccombenza;
    ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 742 del 1969, invece, il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed amministrative «è sospeso dal primo di agosto al trentuno di agosto e riprende a decorrere dal termine del periodo di sospensione». Nella specie la sospensione si ispira al principio dell'irrinunciabilità del diritto alle ferie;
    per costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, i due termini di sospensione previsti dalle citate disposizioni sono cumulabili tra loro. In pratica, il termine per impugnare l'avviso di accertamento passa da 60 a 180 giorni in caso di presentazione dell'istanza di accertamento con adesione in concomitanza del periodo di sospensione feriale previsto dall'articolo 1 legge n. 742 del 1969;
    dello stesso avviso è l'orientamento del Ministero dell'economia e delle finanze che con la risoluzione dell'11 novembre 1999 n. 159/E, mai messa in discussione, ha precisato che il periodo di sospensione di 90 giorni, di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 218, rientra – per logica connessione con i termini processuali – nell'ambito applicativo dell'articolo 1, secondo periodo, della richiamata legge n. 742: «infatti, i due periodi di sospensione in argomento (feriale e quello di 90 giorni), avendo diverse finalità – collegata al periodo in cui ricadono i termini processuali, quella feriale; connessa ad un proficuo esercizio del contraddittorio in sede di adesione, quella dei 90 giorni –, non possono che applicarsi cumulativamente. Pertanto, si precisa che il periodo di sospensione feriale (1o agosto-15 settembre) è applicabile ogni qual volta il periodo di sospensione di 90 giorni venga a ricadere, come termine iniziale o come termine finale, nell'arco temporale che va dal 1o agosto al 15 settembre, come anche nell'ipotesi in cui il periodo feriale sia ricompreso nel periodo dei 90 giorni»;
   ebbene, il detto consolidato e condivisibile orientamento è stato di recente superato dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 11632 del 5 giugno 2015 con la quale ha ritenuto non applicabile la sospensione del periodo feriale al termine di novanta giorni relativo all'accertamento con adesione, superando il diverso orientamento della prassi amministrativa e l'univoco orientamento giurisprudenziale. La Corte di Cassazione ha chiarito la propria posizione ritenendosi contraria all'applicazione della sospensione dei termini riguardante il periodo feriale anche ai procedimenti non contraddistinti da natura propriamente giurisdizionale, quale quello dell'accertamento con adesione. Secondo la Corte la sospensione del termine di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 218 del 1997 è tesa a garantire (in vista dell'eventuale esperimento dell'accertamento con adesione) il tempo necessario per svolgere le opportune valutazioni in proposito. Tale sospensione, dunque, va riferita al relativo procedimento amministrativo e deve escludersi la cumulabilità della medesima con l'altra tipologia di sospensione dettata dall'articolo 15 della legge n. 289 del 2002;
   con il dovuto rispetto alla Corte e della funzione nomofilattica ad essa attribuita, la decisione espressa con l'ordinanza 11632/2015 non può trovare condivisione alcuna, soprattutto sotto il profilo giuridico. Contrariamente a quanto si sostiene, infatti, le previsioni normative di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 vanno necessariamente interpretate in combinato disposto con l'articolo 1 della legge n. 7427 del 1969: infatti, i commi 2 e 3 richiamano espressamente «i termini per l'impugnazione» (ossia i termini processuali) che sono sospesi per novanta giorni se il contribuente, prima del decorso di essi, formula istanza di accertamento con adesione. È evidente allora che i termini processuali richiamati dalla disposizione siano da considerarsi comprensivi, anche della sospensione feriale ove applicabile, giusta il disposto dell'articolo 1 della legge n. 742 del 1969. In altre parole, la locuzione del comma 3 dell'articolo 6 in commento contiene un rinvio implicito alla sospensione feriale e ciò non può che significare che i termini processuali, cioè quelli il cui decorso è sospeso nel periodo dal primo al trentuno di agosto, sono sospesi per novanta giorni in caso di presentazione di istanza di accertamento con adesione. Come rilevato dalla più attenta dottrina (si veda «Ancora equivoci su istanza di adesione e sospensione del termine per ricorrere» di Dario Stevanato, professor ordinario di diritto tributario presso l'Università di Trieste, su Corriere Tributario, ed. 34/2015 del 14 settembre 2015), la sospensione feriale dei termini processuali provocherebbe in sostanza un «sospensione della sospensione», senza che ciò significhi — come sostenuto dalla Corte – applicare la sospensione feriale ad un procedimento amministrativo (incentivando in tal modo il buon esito delle soluzioni extragiudiziali delle controversie tributarie). Alla luce di queste considerazioni, la cumulabilità delle due sospensioni dei termini appare conclusione inevitabile oltre che l'amica giuridicamente sostenibile;
   in disparte le considerazioni sul piano giuridico, anche dal punto di vista pratico la decisione meriterebbe, ad avviso dei firmatari del presente atto, di essere censurata. Essa getta sgomento tra gli addetti ai lavori andando a modificare un orientamento consolidatosi nel corso degli anni e mai contraddetto sin dalla sua introduzione risalente all'anno 1997, con le evidenti ricadute pratiche che ne derivano per il diritto alla difesa dei contribuenti. L'innovativa pronuncia, infatti, rischia di compromettere l'ammissibilità di migliaia di ricorsi pendenti, il cui termine per impugnare è stato calcolato attraverso il cumulo dei due diversi termini di sospensione, con ciò ledendo gravemente il diritto di difesa e il legittimo affidamento riservato nell'orientamento espresso dalla prassi amministrativa;
   inoltre, il criterio applicativo enunciato nell'ordinanza in commento crea ingiustificate disparità di trattamento ed uno stato di incertezza del diritto. A parità di condizioni, infatti, la non cumulabilità dei detti termini potrebbe anche non operare. Ad esempio, in presenza di avvisi di accertamento notificati in pari data (esempio, il primo luglio 2015), i termini della sospensione feriale e quello dell'accertamento con adesione sono cumulabili nel caso in cui l'istanza di adesione venga presentata l'ultimo giorno utile per il ricorso (30 settembre 2015 che diventerebbe 29 dicembre 2015); viceversa, la presentazione dell'istanza di adesione prima o durante la vigenza del periodo di sospensione feriale (esempio 30 luglio 2015) non consente il cumulo dei due termini (in questo caso il termine per impugnare scadrebbe il 30 novembre 2015). Si verificherebbero dunque delle distorsioni e disparità di trattamento in relazione ad una circostanza del tutto casuale, ovvero al momento di presentazione dell'istanza. È evidente dunque il «caos» applicativo che deriverebbe dall'attuazione del principio ermeneutico sancito dalla Corte;
   nel rispondere all'interrogazione parlamentare (n. 5-06008 del 9 luglio 2015), il Sottosegretario per l'economia e le finanze delegato ha ribadito l'orientamento espresso con la risoluzione dell'11 novembre 1999 n. 159/E, ipotizzando un intervento normativo chiarificatore già con lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (atto Camera n. 184), in linea peraltro con quanto già previsto dall'articolo 9 del citato provvedimento (che prevede la riformulazione dell'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992, disponendo che «Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di modifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo. Si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale»);
   come chiarito dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze, «appare evidente dunque la volontà del legislatore di riconoscere l'applicazione della sospensione dei termini feriali anche quando si attivino procedimenti che — seppur di natura amministrativa — risultino collocarsi in una fase prodromica a quella squisitamente processuale. Ciò al fine di deflazionare il contenzioso e di garantire al contribuente il pieno esercizio al diritto alla difesa riconoscendogli un tempo congruo per valutare la convenienza in ordine all'opportunità di definire la pretesa impositiva in sede amministrativa ovvero intraprendere la via giurisdizionale»;
   contrariamente a quanto annunciato, alcuna disposizione è stata inserita al riguardo nello schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (atto Camera n. 184),

impegna il Governo

ad assumere iniziative per introdurre una norma di interpretazione autentica che preveda la cumulabilità del periodo di sospensione di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 218 del 1997 con il periodo di sospensione feriale dei termini processuali di cui all'articolo 1 della legge n. 742 del 1969, confermando la prassi interpretativa consolidata, espressa dallo stesso Ministro dell'economia e delle finanze con la risoluzione 159/E/1999 e, da ultimo, nella risposta all'interrogazione n. 5-06008 del 9 luglio 2015.
(7-00774) «Pesco, Alberti, Fico, Pisano, Ruocco, Villarosa».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    con le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1 («Disposizioni urgenti per sbloccare gli interventi sugli assi ferroviari Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia», l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane è stato nominato, per la durata di due anni dall'entrata in vigore del decreto-legge, commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria conosciuto come »alta velocità ferroviaria light” Messina, Catania e Palermo;
    sotto un profilo prettamente territoriale nella prima ipotesi progettuale, la tratta che collegava Catania a Palermo avrebbe bypassato completamente le province di Enna, Caltanissetta e indirettamente anche la provincia di Agrigento. Per modificare questo progetto, oltre alle forti sollecitazioni dei territori della aree interne della Sicilia, sono state presentate da parte di parlamentari di tutti i Gruppi, diversi atti di sindacato ispettivo e di indirizzo;
    grazie alla pressione dell'opinione pubblica e del Parlamento nel nuovo tracciato è stato previsto l'obbligatorio passaggio nelle province di Enna e Caltanissetta, individuando di fatto, nella stazione di Caltanissetta Xirbi, lo snodo ferroviario principale al centro dell'isola;
    il comitato di pilotaggio istituito presso il dipartimento delle infrastrutture della regione siciliana, titolare del contratto istituzionale di servizio tra regione siciliana e Rete ferroviaria italiana, su indirizzo del Ministro interrogato, ha reso il 3 dicembre 2014 parere favorevole allo studio di fattibilità sulla velocizzazione del tracciato tradizionale Palermo-Catania che passa per Enna e Caltanissetta Xirbi, con un tempo di percorrenza con collegamento diretto di 1:45 minuti e con velocità di progetto a 200 chilometri all'ora;
    il nuovo progetto di «alta velocità ferroviaria light» in Sicilia, Messina-Catania-Palermo, altro non è che il prolungamento di un progetto infrastrutturale su scala europea che, una volta completato, da Nord a Sud dell'Europa, garantirà le percorrenze sul corridoio Berlino-Palermo;
    recentemente Trenitalia nell'ambito delle pattuizioni contrattuali con la regione siciliana in ordine al redigendo contratto di servizio ha previsto la realizzazione di nuovi collegamenti ferroviari in Sicilia, attraverso una mini dorsale sud-nord, la cosiddetta Ragusa-Gela-Licata-Canicattì-Caltanissetta. Anche i collegamenti a servizio dei paesi della provincia di Agrigento confluiranno su Caltanissetta Xirbi per dare al territorio agrigentino nuove opportunità di collegamenti verso Catania e Palermo;
    in questo quadro la stazione di Caltanissetta Xirbi può trasformarsi in un «hub» vero e proprio, mediante la realizzazione di una stazione intermodale dove avviene lo scambio tra «ferro e ferro» e tra «ferro e gomma» in tutte le direzioni;
    si ritiene opportuna un'azione mirata ad impegnare il Governo nazionale nel potenziamento, in termini di servizi e di efficienza, della stazione di Caltanissetta Xirbi, sia con l'ampliamento della struttura ferroviaria, sia con la previsione dei necessari collegamenti con linee di autobus, taxi e car sharing privati;
    peraltro il collegamento veloce Messina-Catania-Palermo necessita di un numero ridotto di fermate in ogni provincia. I paesi del Vallone, tra le province di Caltanissetta e Palermo, non devono rimanere isolati a causa della loro posizione geografica. Si ritiene necessario individuare una sola stazione, baricentrica nel Vallone, opportunamente valorizzata con un interscambio ferro-gomma coordinato,

impegna il Governo:

   a sottoscrivere gli adeguati protocolli di intesa con la regione siciliana, al fine di inquadrare il progetto «alta velocità ferroviaria light» che collegherà Messina, Catania, Enna, Caltanissetta e Palermo, in un più ampio e coordinato intervento di rilancio dei collegamenti e dei servizi infrastrutturali ai cittadini, prevedendo:
    a) l'ammodernamento e l'efficientamento della stazione di Caltanissetta Xirbi, quale snodo ferroviario principale al centro dell'isola e punto di scambio «ferro-ferro» e «ferro-gomma», anche tenendo conto dal traffico che deriverà dalla realizzazione della dorsale sud-nord Ragusa-Gela-Licata-Canicattì-Caltanissetta Xirbi;
    b) un intervento di manutenzione sulla strada statale 122bis che collega la città di Caltanissetta con la stazione di Caltanissetta Xirbi finalizzato a garantire una maggiore sicurezza e un maggior comfort per chi si dirige verso la stazione di Xirbi;
    c) il miglioramento dei collegamenti ferroviari minori e viari delle aree del centro dell'isola, con l’hub costituito dalla stazione di Caltanissetta Xirbi;
    d) la previsione di un numero limitato di fermate intermedie – oltre a quelle nei capoluoghi provinciali – al fine di garantire in alcune fasce orarie l'utilizzo della linea veloce Palermo-Catania anche ai cittadini delle aree interne della Sicilia mediante previsione, nei citati Protocolli, di adeguate soluzioni di collegamento tra le aree interne e le stazioni minori della tratta.
(7-00778) «Garofalo, Pagano, Cancelleri, Cardinale, Dell'Orco».


   La Commissione XII,
   premesso che:
    il parto è un evento unico che ogni donna ha il diritto di vivere serenamente e in totale sicurezza;
    l'articolo 32 della Costituzione prevede la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti;
    la salute è un diritto imprescindibile di ogni essere umano, ancor di più dei bambini e delle gestanti; nel caso della Sicilia, questo diritto sembrerebbe oggi non essere più garantito in determinate aree della regione;
    uno dei temi di maggiore rilievo con riguardo alla situazione attuale della sanità in Italia riguarda il numero e il livello qualitativo dei punti nascita. Le cronache degli ultimi anni – vedasi il recente caso della morte della piccola Nicole, la bambina morta in circostanze ancora poco chiare, «presumibilmente durante il trasporto da Catania verso l'Utin di Ragusa» – e le analisi formulate da esperti ed istituzioni disegnano da tempo il quadro di un Paese che nel suo complesso (e soprattutto nel Mezzogiorno) presenta un numero elevato di punti nascita, molti dei quali non sempre adeguatamente attrezzati;
    la riorganizzazione della rete dei punti nascita nasce in seguito all'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, recante «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo»;
    tale accordo impegna tutte le regioni, comprese quelle in piano di rientro dal deficit sanitario, ad attuare 10 linee di azioni per la ridefinizione del percorso nascita;
    la prima di tali linee (misure di politica sanitaria e di accreditamento) prevede la chiusura dei punti nascita con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire la sicurezza per la madre ed il neonato, prevedendo l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale e fissando il numero di almeno 1000 parti/anno quale parametro a cui tendere;
    l'accordo, inoltre, identifica i livelli di complessità assistenziale delle Unità operative di ostetricia/ginecologia e di neonatologia e terapia intensiva neonatale/pediatria, e definisce gli standard operativi, di sicurezza e tecnologici a cui le regioni devono conformarsi nel percorso di ridefinizione dei punti nascita;
    detti standard sono richiamati nel decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, del 2 aprile 2015, n. 70, contenente il «Regolamento recante definizione sugli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera», pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 4 giugno 2015;
    le linee di azione contenute nel citato accordo, che fanno specifico riferimento ad un sistema di rete dei punti nascita del tipo «Hub» e «Spoke», vincolano, in tal senso, le regioni ad attivare anche il sistema di trasporto assistito materno (STAM) e il sistema di trasporto in emergenza del neonato (STEN);
    tale processo di riorganizzazione della rete assistenziale materno-infantile ha determinato pertanto la progressiva chiusura di diversi punti nascita in varie regioni;
    tra questi va considerato il caso della Sicilia il cui assessorato regionale per la sanità provvedeva, già a partire dal 2012, a disporre la chiusura di diversi punti nascita obbligando conseguentemente molte donne a partire alcune settimane prima della data presunta del parto per raggiungere le strutture dove far nascere i loro bambini;
    il piano sanitario della regione siciliana in linea con gli orientamenti programmatici nazionali e internazionali, ha inteso dunque rimodulare la rete materno-infantile per garantire adeguati standard di qualità relativamente all'organizzazione ed alle funzioni collegate all'assistenza, con la finalità di attuare progressivamente le previsioni di cui alle citate Linee di indirizzo nazionali del 2010;
    con decreto del 14 gennaio 2015, «Riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera-territoriale della Regione Sicilia», l'assessorato alla salute siciliano ha stabilito la chiusura dei punti nascita siciliani che non raggiungono la soglia minima di 500 parti all'anno fissata dal «decreto Balduzzi» del 2012;
   l'ex assessore della salute della regione siciliana, Lucia Borsellino, dopo il provvedimento per rendere più efficace la rete delle emergenze neonatali, ha dunque dato il via ai provvedimenti attuativi della rete ospedaliera sui punti nascita non più previsti nella nuova rete varata a gennaio;
    tra i primi provvedimenti attuativi della nuova rete, l'assessorato ha dato disposizioni alle aziende sanitarie sedi di punti nascita per i quali è prevista la dismissione, di avviare gli ulteriori procedimenti di chiusura, con il mantenimento, nei presidi pubblici di interesse, della temporanea guardia attiva ostetrico – ginecologica H24, fino al completamento della dismissione. Le aziende dovranno provvedere a garantire la messa in sicurezza del percorso di assistenza alle future madri, assicurando contemporaneamente le condizioni di ricettività in sicurezza dei punti nascita che dovranno accogliere la maggiore domanda, nonché altre attività di supporto alle famiglie;
    dopo 15 punti nascita pubblici e privati che già dal 2012 con Leonforte e Piazza Armerina, hanno cessato l'attività legate al parto, seguite nel 2013 da Niscemi, Mazzarino, Augusta, Alcamo, Mazara e nel 2014 Barcellona e Mistretta, oltre alle case di cura private «Valsalva» di Catania, «Orestano» e «Demma» di Palermo, «Villa Rizzo» di Siracusa e «Villa dei Gerani» di Trapani, è stata la volta di Licata, Paternò e Cefalù. Disposizioni di disattivazione delle attività di ostetricia finalizzata alla nascita hanno riguardato anche la casa di cura «Argento» di Catania;
    a seguito delle disposizioni adottate, immediate e numerose sono state le proteste messe in atto dalle popolazioni locali a tutela del diritto alla nascita;
    in conseguenza di esse, gli orientamenti assunti dal Governo regionale sono stati rimessi in discussione e la giunta regionale ha di conseguenza provveduto a deliberare la deroga alla chiusura di alcuni punti nascita;
    le deroghe si fondano essenzialmente sul fatto che alcune realtà si collocano in una condizione di elevato disagio sia a causa della natura stessa dei luoghi che, soprattutto, dello stato di emergenza degli ultimi anni legato alla mutata condizione della rete stradale siciliana;
    a tal proposito, da ultimo, un documento che la direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute ha inviato all'assessore alla sanità della regione siciliana ha rilevato che «I punti nascita di Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, Petralia Sottana, S. Stefano di Quisquina e Licata devono essere disattivati entro il 31 dicembre»; il documento ricorda di avere impartito «stringenti prescrizioni inerenti il completamento del previsto piano di riorganizzazione dei Punti nascita. Le prescrizioni riguardano tra l'altro la chiusura/accorpamento dei Punti nascita con volumi di attività inferiori a 500 parti l'anno, il completamento dell'attivazione su tutto il territorio regionale di StamlSten e, laddove la Regione volesse mantenere in attività Punti nascita il cui numero di parti sia al di sotto dello standard minimo, la formulazione di una proposta sulla quale il ministero della Salute esprimerà un parere preventivo vincolante»;
    quindi la direzione per la programmazione sanitaria ha elencato le richieste di deroga inviate al Ministero dalla regione siciliana: «La Sicilia ha inviato una prima nota in cui viene chiesto di valutare la deroga per 9 punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti l'anno: Mussomeli, Bronte, Nicosia, Mistretta, Peraltro già chiuso nel 2012, Corleone, Lipari, Petralia, Pantelleria più casa di cura S. Stefano di Quisquina. Successivamente, il 23 aprile, è pervenuta al ministero una ulteriore nota con la quale la Regione chiede la deroga anche per i punti nascita di Cefalù e Licata, a causa degli oggettivi insuperabili disagi di viabilità che rendono difficili i collegamenti con il territorio»;
    valutato questo quadro complessivo, la direzione generale della programmazione sanitaria ha emesso il seguente «parere»: «La deroga è ritenuta non accoglibile per motivazioni legate alla necessità di assicurare la presenza degli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza di cui all'accordo Stato-Regioni nella logica del rispetto dei principi di appropriatezza organizzativa, efficienza, economicità ed efficacia»;
    e quindi: si procederà alla chiusura entro il 31 dicembre 2015 dei punti nascita di Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, Petralia Sottana, S. Stefano di Quisquina e Licata;
    per quanto riguarda Nicosia e Corleone, il Ministero chiede alla regione di valutare alcune opzioni, ovvero «attivare un sistema di collegamento tra i due Punti e i rispettivi centri Hub di Enna e Palermo, con la previsione della rotazione del personale medico (ostetricia, anestesiologia e pediatria del comparto) per almeno una settimana al mese. In alternativa, qualora la procedura non dovesse essere attivata in maniera sostanziale e continuata, i Punti nascita di Nicosia e Corleone dovranno essere disattivati ed il personale seguirà le donne in gravidanza fino alla 38o settimana e successivamente le indirizzerà verso i Punti nascita più vicini»;
    su Pantelleria, invece, per le caratteristiche orografiche di particolare disagio, il Ministero «concorda con il mantenimento in attività, esclusivamente per l'espletamento delle gravidanze fisiologiche, mentre per quelle a rischio deve essere previsto il trasferimento verso il centro Hub di riferimento»;
    il quadro si completa con Paternò (preso atto dell'informativa della regione e il punto nascita è già stato chiuso, con il trasferimento di utenza, personale e apparecchiature su Biancavilla) e con il punto nascite di Cefalù che resta in bilico, concordando il Ministero con la richiesta di deroga però previo monitoraggio annuale insieme al punto nascite di Termini Imerese;
    a proposito del centro nascite di Cefalù, però, occorre osservare che, qualora lo stesso venisse chiuso, le donne che abitano nella zona a cavallo fra le province di Palermo e Messina potranno allora optare fra gli ospedali di Termini Imerese e Sant'Agata di Militello. In tal caso però deve considerarsi che i chilometri di distanza tra Cefalù e le due città, dove è possibile far nascere i propri figli, sono ben cinquanta. Cinquanta chilometri di strada che hanno bisogno di circa un'ora di tempo per essere percorsi. Un vero e proprio buco nero che potrebbe trasformarsi in dramma per le partorienti di un bacino di circa trentamila persone;
    la nota ministeriale sembrerebbe lasciare comunque ancora spiragli. Se da un lato il parere della direzione dice chiaramente che «i Punti nascita menzionati devono essere disattivati», allo stesso tempo aggiunge che «laddove la Regione volesse mantenere in attività Punti nascita il cui numero di parti è al di sotto degli standard minimi di 500 parti l'anno» deve formulare una «proposta sulla quale il ministero esprimerà un parere preventivo vincolante»;
    alla luce del quadro appena delineato, sulla chiusura dei punti nascita in Sicilia si ravvisa in questo momento la necessità di modificare quanto concordato, o in via di essere concordato, tra il Ministero e l'assessorato per la salute della regione, rilevandosi l'attuale necessità – testimoniata da quotidiane manifestazioni di protesta di intere comunità locali – che nel proseguo della loro azione congiunta di riqualificazione della rete dei punti nascita siciliani, Governo e regione tengano d'ora in poi maggiormente conto, oltre che della distribuzione geografica ospedaliera e della situazione orogeografica, soprattutto della desolante e immutata situazione emergenziale della viabilità regionale per poter decretare correttamente quali punti nascita sarebbe giusto chiudere, quali invece potenziare e quali, magari, riaprire;
    è noto a tutti il recente cedimento di un pilone sulla A19 Palermo-Catania, investito da una frana in movimento dal 2005 sulla strada provinciale Stillato-Caltavuturo che costeggia l'autostrada;
    il cedimento del pilone sull'autostrada Al 9 Palermo-Catania è l'ultimo tassello di un mosaico di crolli che hanno coinvolto negli ultimi due anni le strade siciliane. Un elenco che si apre con il crollo di una porzione del viadotto Verdura il 2 febbraio 2013, lungo la statale 115 che collega Agrigento con Sciacca, in territorio di Ribera;
    anche il 7 luglio 2015 in contrada Petrulla, in territorio di Licata (Ag), sulla strada statale 626 che collega Campobello di Licata, Ravanusa, Canicattì fu sfiorata la tragedia: le carreggiate di un ponte si piegarono verso il basso a causa di un cedimento strutturale, toccando il fondo da un'altezza di quattro metri;
    il caso più emblematico e che ha suscitato maggiore clamore è quello del viadotto Scorciavacche sulla statale Palermo-Agrigento, inaugurato alla vigilia del Natale scorso e crollato dopo appena una settimana. Una vicenda che scatenò la reazione del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e sul quale è in corso un'inchiesta della procura. A febbraio del 2015 un altro cedimento del manto stradale a poca distanza dal viadotto;
    tale situazione infrastrutturale sta causando gravi disagi, problemi logistici e di viabilità, ma anche economici a tutta la Sicilia, nonché numerosi casi di carenza nell'assistenza sanitaria e ospedalieria;
    il Movimento 5 Stelle trova inammissibile l'indiscriminata chiusura di alcuni importanti punti nascita – la cui importanza logistica potrebbe esser stata sottovalutata da Governo regione siciliana – che si sta perpetrando in Sicilia, poiché il diritto alla salute e la salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza vanno ben oltre la semplice logica del risparmio e dei numeri;
    considerate le condizioni in cui versano le strade sulle quali dovrebbero correre le autoambulanze che trasportano le partorienti negli ospedali più vicini e i lunghi tempi di percorrenza delle stesse, la regione e, ancor prima, il Governo dovrebbero invece concordemente puntare anzitutto a riqualificare la rete infrastrutturale, stradale e ferroviaria, per poi dispone fondi per acquistare le attrezzature medico-ospedaliere necessarie a garantire a madri e neonati tutte le cure e l'assistenza migliori di cui necessitano;
    molti dei punti nascita sopraelencati, siano essi già chiusi o ancora in proroga, rappresentano invece un importante riferimento per molte comunità di aree geografiche che comprendono diversi comuni,

impegna il Governo:

   a mettere in atto congiuntamente con la regione siciliana, una nuova azione di monitoraggio e verifica della rete dei punti nascita per assicurare che l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza sia effettivamente conforme a quanto previsto dall'articolo 32 della Costituzione, affinché venga adeguatamente considerata la specifica posizione dei comuni siciliani soggetti a particolari disagi nel settore sia dei trasporti sia dell'assistenza sanitaria, delineando un modello specifico di assistenza alle nascite;
   a intraprendere ogni opportuna iniziativa di competenza al fine di evitare la chiusura dei punti nascita dei comuni in cui persiste oggi un'evidente situazione di emarginazione infrastrutturale, assicurando comunque che gli stessi restino nel frattempo dotati di tutte le attrezzature e le dotazioni capaci di fornire un tempestivo intervento nei casi di emergenza;
   a porre in essere ogni attività ritenuta opportuna volta a garantire un maggiore e diretto coinvolgimento delle amministrazioni comunali dei comuni interessati nonché di eventuali comitati di cittadini, professionisti, pazienti e altri, in particolare affinché gli stessi, allorché posti nella condizione di poter ricevere più rapidamente informazioni circa i provvedimenti che li riguardano, possano esporre le proprie istanze alla regione e/o al Ministero con maggior prontezza ed efficacia;
   a concordare con la regione siciliana, eventuali iniziative per derogare alla norma che impone il limite di 500 parti l'anno al fine di assicurare la continuità dei punti nascita siciliani nei casi in cui esiste un evidente problema di sicurezza delle strade da utilizzare per trasferire le puerpere da un presidio all'altro per consentire loro di partorire, con particolare riguardo alle isole minori, alle località disagiate o comunque emarginate territorialmente, anche per l'emergenza stradale, in relazione alle quali a più riprese sono state manifestate dalle rappresentanze delle comunità locali le peculiari esigenze sanitarie vitali delle popolazioni ivi residenti che, per le immutabili condizioni orografiche ad alta difficoltà di accesso, necessitano della presenza di punti nascita, evitando così di creare disservizi alla popolazione e garantendo anche in questa parte del territorio l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute così come previsto dall'articolo 32 della Costituzione;
   ad assumere iniziative volte a concedere ulteriori proroghe temporali, sul termine di dismissione degli stessi, a causa degli oggettivi – allo stato attuale – insuperabili disagi di viabilità che rendono difficili i collegamenti con il territorio e che potrebbero comportare inadeguatezza dell'assistenza sanitaria.
(7-00775) «Di Vita, Lorefice, Villarosa, Cancelleri, Nuti, Rizzo, Di Benedetto, Mannino, Baroni, Grillo, Mantero, Silvia Giordano».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il Corpo forestale dello Stato (Cfs) è una forza di polizia ad ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, nella prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale e agroalimentare;
    il decreto legislativo n. 201 del 2015, e successive modificazioni ed integrazioni, interviene in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo e non dirigente del Corpo forestale dello Stato;
    in data 23 novembre 2011 è stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, il concorso pubblico per la nomina di 400 allievi vice ispettori del Corpo forestale dello Stato;
    tale concorso, aperto sia ai dipendenti interni del Corpo forestale sia ai cittadini con determinati requisiti finalizzato alla nomina di 400 allievi vice ispettori, prevedeva per i vincitori l'ammissione alla frequentazione di un corso di formazione e specializzazione tecnico – professionale della durata di 15 mesi;
    risulta quindi che sono ad oggi ancora impegnati nel corso di formazione sopracitato (denominato «Fiume Brembo») anche 160 unità di allievi già assunti ed inseriti nel Corpo forestale dello Stato da almeno 10 anni;
    il Corpo forestale dello Stato è attualmente impegnato, oltre che nelle quotidiane mansioni di controllo, prevenzione e repressione, anche in due emergenze nazionali che presentano numerose criticità, tra cui:
     a) «terra dei fuochi»: l'ampia porzione della Campania caratterizzata dallo smaltimento abusivo di rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali e rifiuti tossici, dove sono stati individuati circa 90 comuni i cui territori devono essere analizzati, presidiati, controllati e bonificati;
     b) «Xylella fastidiosa»: il fitopatogeno che ha colpito migliaia di piante, tra cui gli ulivi, in oltre 140 territori comunali nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto causando perdite gravissime per l'economia e l'occupazione locale. Si tratta di zone che necessitano di un continuo monitoraggio e di interventi specializzati per contenere l'epidemia;
    da quanto esposto emerge quindi la necessità di un rafforzamento, in particolar modo sui territori sopra indicati, del presidio delle forze di polizia competenti e quindi degli agenti specializzati del Corpo forestale dello Stato;
    una soluzione, che non comporterebbe ulteriori oneri per la finanza pubblica, sarebbe rappresentata dall'utilizzo immediato sui territori interessati dalla emergenza «terra dei fuochi» e «Xylella fastidiosa» dei 160 allievi impegnati nel corso di formazione sopracitato «Fiume Brembo» già assunti nel Corpo forestale;
    tale soluzione, chiamata a rispondere con efficacia e rapidità a gravi criticità territoriali, è comunque giustificata da una serie di motivazioni oggettive:
     a) il citato concorso pubblico del 23 novembre 2011, aperto ai non appartenenti al Corpo forestale dello Stato con una quota riservata a chi è già in servizio nell'amministrazione non prevede (in maniera palesemente iniqua) una differenziazione nell’iter formativo, della durata di quindici mesi, tra nuovi assunti nel Corpo forestale e personale già nei ruoli del Corpo, che ha già frequentato all'atto di primo accesso in amministrazione un corso di formazione e che negli anni ha svolto attività operativa nel Corpo e in alcuni casi ha anche rivestito posizioni di comando. Tali allievi interni del corso hanno ad oggi già svolto un iter formativo di dieci mesi, ampiamente sufficiente per una loro immediata assegnazione alla sede di servizio e conseguente distacco temporaneo proprio per fronteggiare le emergenze;
     b) il concorso interno del Corpo forestale dello Stato (previsto anch'esso dal decreto legislativo n. 201 del 1995) prevede una procedura riservata al solo personale interno che deve svolgere un corso di formazione di sei mesi. Emerge in modo palese la profonda ed inspiegabile differenza esistente nella formazione di personale, comunque interno, nelle due diverse procedure, e la concreta possibilità di sanare questa sperequazione creando un vantaggio per lo Stato che avrebbe immediatamente a disposizione 160 donne e uomini da impiegare sul territorio;
     c) l'utilizzo del personale interno del corso «Fiume Brembo» permetterebbe, infatti, di dare risposte immediate alla popolazione interessata dalle emergenze «terra dei fuochi» e «Xylella fastidiosa» senza costi aggiuntivi per la collettività: il personale percepisce l'intero stipendio pur non essendo impiegabile in servizi operativi d'istituto, e le strutture che lo ospitano sono già finanziate con fondi stanziati e appalti attivi fino a febbraio 2016 (data prevista per la fine del corso di formazione);
     d) con una rapida assegnazione a sede di servizio e successivo distacco temporaneo nelle sede in cui si sta attualmente svolgendo l’iter formativo, si avrebbero immediatamente a disposizione 160 unità che, già adeguatamente formate e con esperienza ultra decennale, potrebbero essere impiegate, oltre che nelle due emergenze precedentemente esposte, anche in servizi di vigilanza e controllo negli altri eventi di interesse nazionale (Expo e Giubileo) e in relazione al crescente allarme terrorismo,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative urgenti, per le finalità citate in premessa, per rendere immediatamente attivi sul territorio gli agenti del Corpo forestale dello Stato che stanno frequentando il corso «Fiume Brembo», al fine di una loro pronta operatività sui territori caratterizzati da situazioni di grave e perdurante criticità ed in primo luogo nei comuni interessati dalla emergenze «terra dei fuochi» e «Xylella fastidiosa»;
   ad assumere iniziative finalizzate a rivedere, al fine di contenere la spesa pubblica e promuovere la razionalizzazione ed efficacia del percorso formativo previsto per il personale non direttivo e non dirigente appartenente ai ruoli del Corpo forestale dello Stato, il decreto legislativo n. 201 del 1995 precisando che:
    a) la nomina alla qualifica iniziale del ruolo degli ispettori si consegue nel limite del cinquanta per cento dei posti disponibili mediante concorso pubblico per esami seguito da un corso di formazione e specializzazione di dodici mesi, anziché quindici, salvo per il personale già appartenente ai ruoli del Corpo forestale dello Stato, che frequenta un corso di istruzione e specializzazione della durata di sei mesi con le stesse modalità previste dall'articolo 17 del citato decreto;
    b) i vincitori di concorso di cui sopra sono nominati allievi vice ispettori con esclusione del personale già appartenente ai ruoli del Corpo forestale dello Stato, che conserva la qualifica rivestita.
(7-00777) «Sani, Manfredi, Oliverio, Capozzolo, Romanini, Capone, Leva, Verini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   DALL'OSSO e DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'anno 2015 oltre ad essere quello dedicato all'Expo, sarà quello in cui l'Italia sarà nuovamente protagonista con l'inizio del Giubileo, il 30esimo di Santa Romana Chiesa;
   il Giubileo è l'occasione per i cristiani, grazie alla Perdonanza istituita da Papa Celestino V che il 29 settembre 1294 con la Bolla del perdono stabilì che recandosi nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio nella città dell'Aquila, tra il 28 ed il 29 agosto, veniva concessa l'indulgenza plenaria a tutti i confessati e pentiti;
   poi con Celestino e Bonifacio VIII, si istituì il primo Giubileo con la Bolla Antiquorum habet fida relatio emanata il 22 febbraio 1300 (che all'epoca era computato ancora 1299 e a circa un mese dal capodanno secondo l'uso ab incarnatione, che cadeva il 25 marzo), ispirandosi a un'antica tradizione ebraica di cui non esisteva traccia in quella cristiana se non nella leggenda dell'Indulgenza dei Cent'anni. Con questa bolla si concedeva l'indulgenza plenaria a tutti coloro che avessero fatto visita trenta volte, se erano romani, e quindici se erano stranieri, alle Basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura, per tutta la durata dell'anno 1300; questo Anno Santo si sarebbe dovuto ripetere in futuro ogni cento anni;
   anche il sommo poeta Dante Alighieri riferisce nella Divina Commedia che l'afflusso di pellegrini a Roma fu tale che divenne necessario regolamentare il senso di marcia dei pedoni sul ponte di fronte a Castel Sant'Angelo:
   «come i Roman per l'essercito molto,/l'anno del giubileo, su per lo ponte/hanno a passar la gente modo colto,/che da l'un lato tutti hanno la fronte/verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,/da l'altra sponda vanno verso il monte.» (Inferno XVIII, 28-33);
   si sta assistendo in queste settimane all'apertura di cantieri nel centro storico di Roma per lavori di abbellimento, ristrutturazione e necessità svolti dal comune di Roma in vista del Giubileo 2015 e che dovranno essere ultimati entro e non oltre la data dell'8 dicembre 2015 fatto salvo per uno snodo ferroviario;
   da tempo si era a conoscenza della calendarizzazione dell'evento da parte dello Stato della Città del Vaticano e l'afflusso straordinario di turisti per il quale si devono instaurare misure diverse dalla quotidianeità, come visto, era in essere già ai tempi di Dante Alighieri –:
   perché il Governo abbia sbloccato i fondi per il Giubileo in maniera così tardiva;
   se il Governo, al di là della figura del prefetto Gabrielli, abbia vigilato sull'affidamento degli appalti;
   se un affidamento così tardivo abbia rispettato il principio del «buon padre di famiglia» ovvero del risparmio o, vista la tempistica, i costi siano stati rincarati;
   se sia intenzione del Governo, al termine dei lavori per il Giubileo, assumere iniziative affinché siano pubblicati on line tutti i costi sostenuti con i fondi pubblici, i nomi delle ditte appaltate e le diverse offerte ricevute per le gare d'appalto, fatto salvo per gli affidamenti diretti ovvero lavori ed opere sino a 30.000 euro.
(3-01703)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FERRARESI, DELL'ORCO e PAOLO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 5 settembre 2015 un'ulteriore evento calamitoso ha colpito i territori già interessati dal terremoto del 2012, in particolare del modenese e del ferrarese;
   una violenta grandinata, accompagnata da forti raffiche di vento, ha distrutto le produzioni agricole ancora in campo: in particolare, la produzione di pere, mele, uva e le colture estensive quali il granoturco e la soia;
   nel modenese, sotto l'avversità atmosferica sono finiti i comuni di Concordia, San Possidonio, Mirandola, Finale Emilia, San Felice, Camposanto, Novi e Sorbara di Bomporto, alcuni dei quali, oltre il terremoto, avevano già subito anche l'alluvione del gennaio 2014: i comuni di Finale Emilia, Bomporto, Camposanto, San Felice;
   sono territori in ginocchio, imprese e cittadini stanno usando tutti i loro risparmi e le loro risorse; le hanno già usate, per far fronte a continue emergenze naturali;
   gli indennizzi previsti dalle leggi promosse dal Governo, in particolare quelli per i danni da terremoto, tardano ad arrivare; la burocrazia messa in piedi dal commissario, presidente della regione, non favorisce l'erogazione delle risorse nei tempi e nei modi che richiederebbe l'urgenza;
   in Emilia Romagna si coltiva il 65 per cento delle pere italiane; in particolare, le aree riconosciute dall'indicazione geografica protetta sono proprio e principalmente le province di Modena e Ferrara; la pera di varietà Abate è considerata la regina delle pere, ed è proprio questa varietà, che garantisce il reddito degli agricoltori, che è andata distrutta;
   il lambrusco di Sorbara di Bomporto è uno dei vini dell'eccellenza nazionale, ed è un vino DOC; molte imprese che lo producono non faranno il raccolto delle uve;
   le associazioni di rappresentanza del mondo agricolo stanno chiedendo a gran voce lo stato di calamità naturale;
   civili abitazioni ed edifici produttivi hanno subito ancora una volta danni: infiltrazione di acqua, tetti scoperchiati, antenne, tapparelle, grondaie da buttare, pali della luce e segnaletica divelti, automobili con la carrozzeria da rifare, sono le prime evidenze –:
   quali concrete iniziative di competenza intenda assumere il Governo al fine di sostenere la popolazione colpita dall'evento, considerando l'eccezionalità delle avversità atmosferiche verificatesi su un territorio già duramente colpito nel recente passato. (5-06410)


   TRIPIEDI, DE ROSA, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Adare Pharmaceuticals S.r.l., azienda che opera nel campo dello sviluppo, della produzione e del confezionamento di farmaci conto terzi, ha una presenza a livello globale con siti di ricerca e sviluppò produzione e operazioni commerciali, negli Stati Uniti, in Canada, in Francia e in Italia nei siti di Pessano con Bornago (MI) e San Giuliano Milanese (MI). L'azienda in passato è anche stata quotata in borsa nel listino tecnologico del Nasdaq e ha sempre chiuso i bilanci in positivo, compresi quelli degli ultimi anni;
   in data 7 settembre 2015, la dirigenza di Adare Pharmaceuticals, tramite lettera inviata ad Assolombarda Milano e alle rappresentanze sindacali unitarie dei siti interessati, ha attivato la procedura di riduzione del personale, indicando in 44 gli esuberi (42 nel sito di Pessano con Bornago e 2 in quello di San Giuliano Milanese) sui 267 lavoratori distribuiti nelle due aziende italiane;
   il settore aziendale interessato dalla mobilità annunciata, è soprattutto quello riguardante la ricerca e lo sviluppo, i cui lavoratori rappresentano un'eccellenza costituita da personale altamente qualificato composto da professionisti, laureati, chimici farmaceutici, biologi, esperti del settore che nel corso degli anni è stato ed è in grado di sviluppare progetti a livello europeo ed internazionale, il più conosciuto la Pancreatina, farmaco di punta dell'azienda. Sono specializzati in farmaci pediatrici, sono autori di diverse pubblicazioni e brevetti, hanno ottenuto ambiti riconoscimenti tra cui la possibilità di produrre medicinali negli Stati Uniti e di portare avanti studi clinici. A loro si affidano quotidianamente multinazionali europee e mondiali, oltre che la stessa Adare per lo sviluppo dei suoi prodotti. L'azienda ha motivato la chiusura del settore indicato, senza possibilità di spostamento di personale dello stesso in altri settori o sedi, in funzione di una «riorganizzazione aziendale che prevede la soppressione di strutture e il ridimensionamento di funzioni, attività ed uffici,» che vedrà il settore ricerca presente unicamente nella sede di Vandalia, negli Stati Uniti;
   come indicato specificatamente nella lettera, la dirigenza ritiene che «non vi siano misure diverse dalla collocazione in mobilità dei lavoratori in esubero e che gli strumenti di sostegno all'occupazione, quali cassa integrazione ordinaria o straordinaria o il contratto di solidarietà, non sono idonei a risolvere il problema aziendale, poiché strumenti diretti a gestire esuberi contingenti o comunque eccedenze riassorbibili medio tempore, mentre nel caso di Adare Pharmaceuticals S.r.l., l'esubero del personale è strutturale e non riassorbibile.»;
   tutti i 44 lavoratori interessati dal procedimento di mobilità, sono persone di età compresa tra i 40 e i 55 anni e quindi, nell'eventualità fossero licenziati, con oggettive difficoltà di ricollocazione nel mondo del lavoro;
   a giudizio degli interroganti, l'atteggiamento dell'azienda in questione stride con i continui messaggi dell'attuale Governo che annuncia di voler mantenere le eccellenze e i settori di ricerca e sviluppo in Italia, quando, almeno per i lavoratori sopra indicati che rappresentano tali settori, è previsto l'esatto contrario –:
   se il Governo non intenda istituire un tavolo nazionale di confronto con la società Adare Pharmaceuticals S.r.l. e le rappresentanze sindacali, al fine di poter evitare il licenziamento ed assicurare la piena occupazione dei 44 dipendenti dell'azienda, interessati dal procedimento di mobilità. (5-06416)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARTELLA, MOGNATO, ZOGGIA, MURER, MORETTO, SBROLLINI, PRATAVIERA, CASELLATO, CRIMÌ, NACCARATO, RUBINATO, DE MENECH, MIOTTO e PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del pomeriggio del giorno 8 luglio 2015 a partire dalle ore 17 ampi comprensori del Veneto, in prossimità della Riviera del Brenta, in particolare per quanto concerne i territori di Pianiga, Dolo e Mira sono stati interessati da una tromba d'aria di inaudita violenza:
   le immagini amatoriali e quelle diffuse dai vari telegiornali hanno riportato la devastazione che ha flagellato il Veneto;
   case e capannoni gravemente danneggiati, alberi sradicati, automobili ribaltate, un vero e proprio inferno;
   oltre ai danni materiali si è registrata anche una vittima, una persona anziana alla guida della sua autovettura è morta sul colpo per via del vento che ha ribaltato il mezzo su cui viaggiava;
   ci sono anche 72 feriti alcuni dei quali gravi, delle persone ancora disperse ed un centinaio di sfollati;
   l'eccezionalità del fenomeno atmosferico con i conseguenti danni arrecati al territorio veneto necessitano di una adeguata attenzione da parte del Governo centrale;
   le istituzioni locali, insieme alla protezione civile e ai volontari, hanno subito avviato le operazioni di soccorso e iniziato la conta dei danni che appaiono davvero ingenti sia per quanto concerne il patrimonio privato sia per quanto concerne infrastrutture, immobili pubblici e comparto agricolo –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima urgenza per l'eventuale dichiarazione dello stato di emergenza e, dopo gli adempimenti da parte della regione, per il riconoscimento dello stato di calamità anche stanziando risorse finanziarie a sostegno dei territori interessati dall'evento calamitoso.
(4-10389)


   DI VITA, VILLAROSA, RUOCCO, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, GRILLO e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti hanno recentemente appreso da fonti di stampa online specializzate nel settore sociosanitario le seguenti notizie:
    10 settembre 2015
    Non paga le tasse, Equitalia pignora la pensione della figlia disabile. Accade a Bergamo a una donna di 57 anni: non va bene il bar che gestisce dal 2008 e negli ultimi tre anni accumula un debito di 78 mila euro. «Pagavo le cambiali ma non le tasse, ho sbagliato. Ma non può pagare mia figlia: le hanno scippato tre mensilità, perché il conto è cointestato. Ma ora l'Inps verserà l'importo alla posta: quei soldi sono di Roberta» (www.redattoresociale.it);
    11 settembre 2015
    Pensione d'invalidità pignorata, Equitalia: «Troveremo insieme la soluzione migliore»
    La società di riscossione tributi replica alla denuncia della signora Fornoni. «Non potevamo in alcun modo sapere che avesse una figlia disabile, né che la sua pensione fosse versata su conto cointestato. Le consentiremo di saldare il debito senza toccare i soldi della figlia» (www.redattoresociale.it);
   il conto corrente cointestato non può essere pignorato per intero, ma nei limiti del 50 per cento;
   inoltre, nel caso di conto cointestato, Equitalia non può attivarsi con la procedura «speciale» che le consente di bloccare il 100 per cento del conto senza passare dal tribunale e, quindi, senza l'udienza di assegnazione delle somme. Infatti, il conto bancario o postale cointestato rientra tra i cosiddetti «beni comuni indivisi» la cui espropriazione può avvenire solo davanti a un giudice il quale è tenuto a controllare la regolarità delle operazioni di divisione;
   la diversità di disciplina si giustifica per il fatto che, se Equitalia procedesse secondo la normale riscossione esattoriale, finirebbe per pignorare l'intero conto, il cui 50 per cento, però, appartiene a un soggetto diverso, che non è debitore;
   al contrario, Equitalia deve provvedere secondo le norme del codice di procedura civile valide per tutti i pignoramenti presso terzi: ossia con citazione a un'udienza davanti al tribunale. La banca, prima dell'udienza, invierà una lettera al creditore in cui gli indicherà le somme presenti in conto;
   a questo punto solo dopo la divisione del bene comune, ossia il conto corrente, il giudice potrà autorizzare l'assegnazione del 50 per cento del conto (o della somma pignorata);
   la Corte di cassazione, inoltre, ha avuto più volte modo di chiarire che nel conto corrente bancario cointestato a più persone, le parti di ciascuno dei debitori e creditori solidali si presumono uguali – cioè al 50 per cento se non risulta diversamente;
   la Corte Costituzionale è intervenuta con due sentenze, n. 468/2002 e n. 506/2002, le quali hanno esteso le possibilità di pignoramento delle prestazioni pensionistiche INPS;
   la sentenza n. 468/2002 precisa che riguardo ai crediti tributari, così come per i crediti alimentari, non sussiste ragione alcuna perché i titolari di pensioni INPS godano di un trattamento di favore «rispetto ai dipendenti dalle pubbliche amministrazioni» in materia di pignorabilità o sequestrabilità delle pensioni, assegni o altre indennità corrisposti dall'INPS;
   conseguentemente deve dichiararsi l'incostituzionalità dell'articolo 128 del regio decreto legge 4 ottobre 1935, n. 1827, nella parte in cui esclude la pignorabilità di pensioni, indennità ed assegni per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni;
   la pignorabilità, precisa la sentenza, è consentita fino alla concorrenza di un quinto, valutato al netto di ritenute, per tributi a carico del pensionato dovuti allo Stato, alle province e ai comuni;
   la sentenza 506/2002, pur riconoscendo un margine d'impignorabilità generale, non quantifica concretamente il medesimo, riconoscendo tale potere unicamente in capo al legislatore;
   afferma, infatti, a riguardo: «Non rientra nel potere di questa Corte, ma in quello discrezionale del legislatore, individuare in concreto l'ammontare della (parte di) pensione idoneo ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, come tale legittimamente assoggettabile al regime di assoluta impignorabilità»;
   l'articolo 38 della Costituzione, sancisce che al cittadino deve essere garantita la disponibilità di mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita;
   infatti, sulla base delle scienze matematiche, risulta quanto mai iniquo prevedere una così esigua soglia a copertura del diritto sancito dall'articolo 38 Cost. Il pignoramento del quinto del residuo rispetto alla differenza tra pensione percepita e trattamento minimo (quest'ultimo è stato quantificato, per l'anno 2006, nella somma di euro 427,58), risulta palesemente penalizzante per i debitori dai redditi più esigui/mentre una decurtazione secondo tale criterio appare assai meno gravosa per coloro che dispongono di altre capacità di reddito;
   tuttavia, la Corte Costituzionale non ha escluso che si considerino casi in cui, in concreto, il trattamento economico debba essere ritenuto impignorabile e su questo punto, la Corte cita, a titolo di esempio, le pensioni di modesto importo, come quelle percepite per causa d'invalidità;
   ne consegue che, forse, sarebbe opportuno ampliare i parametri di cui il legislatore dovrebbe tenere conto, volgendo lo sguardo ad elementi di rilievo come il reddito complessivo del nucleo familiare del debitore ed i redditi di diversa natura percepiti dai relativi componenti;
   è fondamentale, pertanto, che si definisca chiaramente un reddito minimo necessario a garantire la disponibilità dei mezzi necessari alle esigenze di vita del debitore, prevedendo, come hanno osservato la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione, posizioni soggettive in cui debba ritenersi il reddito integralmente impignorabile;
   il 1o gennaio 2015 sono diventate operative le norme relative al nuovo modello Isee «indicatore della situazione economica equivalente», lo strumento che «fotografa» la situazione economico/patrimoniale dei soggetti che intendono fruire di prestazioni sociali agevolate;
   l'Isee è calcolato in riferimento al nucleo familiare del soggetto, tenendo conto dei redditi e del patrimonio dei singoli componenti nonché – in detrazione – delle spese (assegni familiari, spese per disabili, canoni di affitto, spese per assistenza ai disabili, debito residuo dei mutui, e altro). Vi sono poi delle detrazioni forfettarie (franchigie) relative alla presenza nel nucleo di soggetti disabili, figli a carico, immobile di proprietà utilizzato per l'abitazione principale, e altro. Dal valore relativo all'intero nucleo familiare si arriva poi al valore attribuito al singolo componente, utilizzando dei coefficienti predefiniti e crescenti al crescere del numero di componenti il nucleo familiare (si veda più avanti, il passaggio sul calcolo);
   il calcolo dell'Isee avviene sulla base delle informazioni raccolte con la DSU – dichiarazione sostitutiva unica – e delle altre informazioni disponibili negli archivi dell'INPS e dell'Agenzia delle entrate acquisite dal sistema informativo dell'Isee gestito dalla stessa INPS;
   a normativa vigente, dunque, attraverso la consultazione degli archivi dell'INPS e dell'Agenzia delle entrate, quantomeno già dal gennaio 2015, dovrebbe risultare a regime la possibilità d'incrocio automatico dei dati patrimoniali, e non, dei cittadini;
   alla luce di ciò, l'interrogante non comprende su che basi Equitalia affermi di non avere avuto modo di conoscere la natura del credito presente nel citato conto corrente cointestato ovvero di verificare che sullo stesso venisse regolarmente versato anche l'importo della pensione d'invalidità della figlia della signora Fornoni e, pertanto, le ragioni per cui, al contrario, Equitalia abbia potuto riscuotere direttamente e in via anticipata tre mensilità di detta pensione depositate sul conto, senza il vaglio di un'udienza preliminare;
   sebbene Equitalia abbia sin da subito riconosciuto pubblicamente di aver commesso un errore nel caso di specie, preme sottolineare il fatto assai preoccupante che la società sia venuta a conoscenza del grave disservizio recato solo a seguito della pubblica denuncia da parte della signora Fornoni;
   se si considera poi la decisione del Governo di considerare nell'impianto del nuovo Isee quali fonti di reddito le provvidenze assistenziali garantite dallo Stato ai cosiddetti «più deboli» — norma per cui il TAR del Lazio il giorno 11 febbraio 2015 ha accolto, pur parzialmente, tre ricorsi presentati (TAR Lazio, Sezione I, n. 2454/2015, 2458/2015 e 2459/2015) e contro cui lo Stato ha deciso tuttavia di impugnare ricorrendo al Consiglio di Stato —, che secondo molti rischia di produrre effetti distorsivi a carico dei cittadini più esposti, non rappresentando di certo un buon viatico per le future ipotetiche azioni di contrasto alla povertà, a maggior ragione errori come quello compiuto da Equitalia non possono ritenersi ammissibili, poiché costituiscono una vera e propria offesa alla dignità umana, contribuendo a minare ancor di più e ingiustificatamente la già precaria serenità di quei nuclei familiari tanto svantaggiati economicamente, come quello della signora Fornoni, in cui è presente una persona con disabilità –:
   se siano a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   quali iniziative di rispettiva competenza, anche di carattere normativo, ritengano di dover intraprendere per pone fine alla pratica a giudizio degli interroganti scorretta operata da Equitalia e descritta in premessa;
   quali iniziative intendano eventualmente intraprendere affinché alla signora Fornoni e, soprattutto, alla figlia disabile di costei, venga riconosciuto un equo indennizzo per il disservizio e le complicazioni causati dall'operato di Equitalia.
(4-10398)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TENTORI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i lavori di captazione delle acque, la loro canalizzazione in condotte forzate, la costruzione delle mini e micro centrali idroelettriche — di potenza inferiore ad 1 megawatt — insistono in gran parte su territori alpini di grande naturalità e di fragilità idrogeologica;
   la potenza complessiva generata dagli impianti mini e micro idroelettrici attualmente in essere incide in percentuale inferiore al 2 per cento della produzione energetica nazionale, nonostante questi rappresentino la grande maggioranza degli impianti esistenti, non producendo quindi vantaggi significativi dal punto di vista energetico;
   in particolare, sui territori dei comuni alpini si evidenzia un consistente numero di centrali idroelettriche di piccole dimensioni, in via di costruzione o richieste, la cui completa realizzazione potrebbe comportare come conseguenza che decine di chilometri di torrenti si troverebbero praticamente in secca con l'acqua che scorrerà all'interno di una tubazione, provocando alterazioni importanti nella vita del corso d'acqua e del suo bacino nei vari aspetti ambientali, naturalistici, idrogeologici, antropici e faunistici, paesaggistici, climatici, produttivi legati all'attività agro-silvopastorale e turistica;
   il previsto rilascio del solo «deflusso minimo vitale» (l'acqua residua lasciata all'interno dell'asta del torrente) ad oggi quantificato in 50 litri secondo non sembra sufficiente per i torrenti montani a risolvere il rapporto tra derivazioni idroelettriche e salvaguardia del paesaggio;
   torrenti privati del flusso naturale dell'acqua, nel tempo, possono incorrere in un'anomala sedimentazione di detriti, arbusti e melma all'interno dell'asta del torrente che vanno a creare situazioni di estremo pericolo nel caso di piene ed inoltre senza una corretta politica di regolamentazione delle portate d'acqua alcuni tratti dei fiumi potrebbero essere interessati da impatti sulle specie dell'ittiofauna, con il deterioramento degli habitat e la perdita di specie di fauna e flora tipiche degli ambienti ripariali;
   il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 ha recepito la direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque — DQA) che stabilisce che ogni corpo idrico superficiale debba conseguire l'obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di «buono» entro il 22 dicembre 2015 e che debba essere mantenuto, dove già esistente, lo stato «elevato» attraverso una classificazione basata soprattutto sulle componenti ecosistemiche degli ambienti acquatici e privilegiando gli elementi biologici;
   la direttiva persegue altresì gli obiettivi di prevenire il deterioramento qualitativo e quantitativo, migliorare lo stato delle acque e assicurare un utilizzo sostenibile, basato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili, stabilendo che i singoli Stati membri affrontino la tutela delle acque a livello di «bacino idrografico» e l'unità territoriale di riferimento per la gestione del bacino sia individuata nel «distretto idrografico», area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere;
   in ciascun distretto idrografico gli Stati membri devono adoperarsi affinché vengano effettuati un'analisi delle caratteristiche del distretto, un esame dell'impatto provocato dalle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sotterranee e un'analisi economica dell'utilizzo idrico;
   i programmi di misure sono indicati nei piani di gestione che gli Stati membri devono predispone per ogni singolo bacino idrografico e che rappresenta pertanto lo strumento di programmazione/attuazione per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla direttiva;
   la Commissione europea ha avviato una procedura di accertamento (EU Pilot 6011/14/ENVD, ancora in corso, a seguito di diverse denunce per l'eccessivo sfruttamento nei bacini dei fiumi Tagliamento, Oglio e Piave, anche a carico delle aree tutelate SIC (siti di interesse comunitario);
   oltre a questo nel gennaio 2015 la Commissione ha avviato un'altra procedura al fine di accertare che tutte le regioni italiane adottino e attuino piani di gestione dei bacini idrografici conformi alla direttiva 2000/60/CE;
   non tutti i territori sono dotati di un piano di bilancio idrico provinciale che possa dare indicazioni e mandato ai competenti soggetti circa lo studio e l'adozione di schemi rigorosi che disciplinino in modo unitario i criteri di istruzione delle pratiche, la verifica, i controlli, e tutti gli ulteriori aspetti sotto il profilo ambientale sul rilascio delle autorizzazioni per captazioni idriche ai fini di derivazioni idroelettriche, per consentire un equilibrio condiviso tra la necessità di utilizzo della risorsa idrica per produrre energia e la salvaguardia del territorio;
   a parere degli interroganti gli incentivi statali, se non assegnati secondo criteri di priorità adeguati, potrebbero generare convenienza economica esclusivamente per i soggetti privati che realizzano tali impianti che, data la produzione di energia estremamente modesta, sarebbero altrimenti poco sostenibili sia dal punto di vista tecnico che economico, generando invece per le comunità locali danni ambientali e depauperamento del paesaggio, in particolare una volta che tali impianti saranno dismessi, conclusa la produzione redditizia –:
   se non ritenga opportuno, alla luce della direttiva comunitaria sopra citata e in vista dell'imminente emanazione del nuovo decreto ministeriale per il rinnovo degli incentivi in materia di energie rinnovabili, condurre un'analisi in merito all'attuale utilità ed efficacia degli incentivi previsti per la costruzione e la gestione di micro e mini-impianti di produzione idroelettrica, valutandone i criteri di assegnazione, anche dando priorità a quegli impianti che sono stati approvati in presenza di piano di bilancio idrico e alla costruzione e alla gestione di mini e micro-centrali idroelettriche realizzate nell'ambito delle reti acquedottistiche, usando pertanto acque già canalizzate e/o intubate. (5-06408)

Interrogazione a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 1o agosto 2015; nel quadro del piano di espansione e rafforzamento delle proprie autostrade del mare in Adriatico, il gruppo armatoriale napoletano Grimaldi ha esteso il collegamento Marittimo tra i porti di Venezia e Ravenna per Patrasso anche al porto di Bari;
   dedicato al solo trasporto di merci rotabili (automobili, van, camion, semirimorchi, e altro), il nuovo collegamento lungo la dorsale adriatica Venezia – Ravenna – Bari – Patrasso è stato reso possibile grazie all'impiego delle due moderne navi Eurocargo Trieste ed Eurocargo Patrasso, ciascuna con una capacità di carico di circa 220 trailer e 130 automobili, aventi frequenza trisettimanale sia dall'Italia che dalla penisola ellenica;
   la mattina del 1o agosto 2015, intorno alle ore 6,30 – 6,45, come testimoniato da fotografie e registrazioni video, nell'avvicinarsi lentamente alle dighe della bocca di Porto di Malamocco per entrare in Laguna, la nave Eurocargo Trieste della Grimaldi Lines lasciava dietro di sé una scia di fumi nerastri, che, secondo le numerose testimonianze raccolte, uscivano in maniera abnorme dal fumaiolo della suddetta nave;
   alcuni cittadini, estremamente preoccupati per i fumi, hanno telefonato alla Capitaneria di Porto di Venezia per segnalare l'inquinamento atmosferico in corso, ricevendo conferma dalla stessa capitaneria di altre telefonate che segnalavano il fatto;
   dopo aver percorso il Canale dei petroli per attraccare al Terminal di Fusina, intorno alle ore 16 la nave Eurocargo Trieste ha acceso i motori per prepararsi alla partenza e da diverse parti dei bordi lagunari (Lido, Venezia, Marghera) è stata nuovamente avvistata una grande nuvola di fumo nerastro sopra il suddetto terminal;
   dalle 16,23 alle ore 17,44 la nave Eurocargo Trieste della Grimaldi Lines è partita quindi dal terminal di Fusina, ha percorso il canale dei Petroli, la bocca di porto di Malamocco ed è uscita in mare continuando a diffondere in atmosfera una quantità enorme di fumi nerastri e lasciando dietro di sé una scia persistente che si è estesa per molti chilometri. Come evidenziato nelle testimonianze raccolte, tracce della scia di fumo sono rimaste in aria per molto tempo, anche dopo il passaggio della nave, stentando a dissolversi;
   secondo quanto ammesso dalla società del Gruppo Grimaldi, sembrerebbe che la nuvola nera lasciata dalla nave Eurocargo Trieste fosse stata causata da un problema tecnico alle turbine e agli iniettori che lasciano entrare il carburante nel motore;
   tale grave episodio di inquinamento ambientale è stato oggetto di una segnalazione da parte dell'Associazione Ambiente Venezia alle istituzioni competenti in materia, tra cui i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti e della salute, oltre che alla procura della Repubblica di Venezia –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa, se il Ministro interrogato possa riferire ulteriori informazioni in relazione alle cause che hanno provocato tale fenomeno di inquinamento atmosferico verificatosi nella laguna di Venezia e se siano stati predisposti, da parte degli enti e organismi competenti, successivi interventi finalizzati al controllo e alla tutela dell'ambiente, e alla difesa della salute dei lavoratori e cittadini;
   se il Ministro possa altresì riferire sulla natura e sulle concentrazioni delle sostanze inquinati presenti nei fumi emessi dalla nave Eurocargo Trieste, e sugli eventuali danni nelle aree di ricaduta dei suddetti fumi;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda intraprendere nei confronti dei responsabili del fenomeno inquinante e quali iniziative verranno adottate al fine di prevenire e reprimere fenomeni similari che potrebbero verificarsi nuovamente in futuro.
(4-10399)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO, MANNINO, DI BENEDETTO, CANCELLERI, MARZANA, LOREFICE, GRILLO, DI VITA, VILLAROSA, D'UVA, LUPO, NUTI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Scala dei Turchi è una parete rocciosa che si erge a picco sul mare lungo la costa di Realmonte (AG) ed è diventata nel tempo un'attrazione turistica;
   il 26 di agosto del 2015, il sito internet d'informazione www.livesicilia.it, ha ripreso la notizia del posizionamento di cartelli con la scritta «proprietà privata» presso l'area del luogo turistico in provincia di Agrigento;
   si apprende, sempre da fonti giornalistiche, che da un controllo sulle mappe catastali della zona, effettuato dai tecnici del comune di Realmonte, in cui insiste il prezioso sito naturalistico, si sarebbe accertato che la zona risulterebbe essere realmente proprietà privata;
   nonostante quanto dichiarato dai familiari del proprietario ai giornali circa i buoni propositi di lasciare il sito turistico nelle disponibilità della collettività, successivamente al posizionamento dei cartelli già indicati, i dirigenti del comune di Realmonte firmavano e pubblicavano, il 31 agosto 2015, un'ordinanza con la quale si intimava la rimozione degli stessi «essendovi fondati motivi di incertezza sulla titolarità del diritto di proprietà» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
   quali iniziative intenda portare avanti, alla luce della candidatura del sito a patrimonio mondiale dell'umanità, per tutelare un'area di incredibile bellezza naturalistica e permettere la massima fruibilità nel rispetto dei luoghi e a vantaggio dei siciliani. (4-10403)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, FRUSONE, RIZZO, CORDA, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   alcuni quotidiani, in particolare Il Fatto Quotidiano e Il Corriere della Sera, riportano la notizia di una prossima acquisizione di un velivolo Airbus 330 a lungo raggio destinato al trasporto del Presidente del Consiglio dei ministri e alte cariche dello Stato;
   tale velivolo verrebbe affidato in gestione al 31o Stormo dell'Aeronautica militare al quale sono affidate le missioni di trasporto di Stato e che già dispone di 12 aeromobili destinati all'uso da parte dei vertici dello Stato;
   secondo queste fonti di stampa il costo del velivolo in questione, capace di trasportare nella configurazione di linea 300 passeggeri, sarebbe di circa 170 milioni di euro in caso di acquisto o circa un milione di euro al mese in caso di leasing;
   i quotidiani spiegano l'acquisizione del velivolo con la presunta necessità di raggiungere eventuali destinazioni lontane senza scalo;
   a questo proposito il generale Leonardo Tricarico, già capo di stato maggiore dell'Aeronautica nonché consigliere militare del Presidente del Consiglio, scrivendo il 15 settembre sul sito formiche.net, osserva come il 31o Stormo disponga già oggi di Airbus 319CJ che hanno un'autonomia di circa 8.500 chilometri e dunque, a giudizio degli interroganti, saranno pochissime le occasioni in cui potrà essere usato questo nuovo aereo;
   lo stesso Tricarico osserva come l'Aeronautica militare dovrà sostenere considerevoli costi per il mantenimento in efficienza del velivolo stesso e per garantire il numero minimo di ore di volo dei piloti a prescindere dall'effettivo utilizzo istituzionale dello stesso –:
   se trovi conferma che si intende acquisire un velivolo da trasporto passeggeri a lungo raggio per l'uso da parte del Presidente del Consiglio e di alte cariche dello Stato;
   a quanto ammonti il costo di tale acquisizione e se sia stata fatta una stima di quante volte il velivolo potrà essere utilizzato verso destinazioni oggi non raggiungibili senza scalo dai velivoli in dotazione al 31o Stormo dell'Aeronautica.
(5-06417)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le valutazioni estremamente negative, evidenziate dalla Confindustria Sicilia e pubblicate nel corso di un'intervista dal quotidiano. «Il Giornale di Sicilia» il 15 settembre 2015, sulla situazione economica e produttiva in cui si trova il sistema delle imprese isolane, confermano a giudizio dell'interrogante, la scarsa attenzione rivolta dal Governo Renzi alle regioni del Mezzogiorno ed in particolare nei riguardi della Sicilia; le misure adottate, a partire dall'insediamento dell'Esecutivo medesimo, si sono rivelate decisamente insufficienti;
   l'esponente della confederazione delle imprese siciliane ha infatti rilevato che dal punto di vista territoriale, le province più colpite dalla crisi appaiono quelle di Agrigento, Trapani, Caltanissetta, Enna e Catania, che dal 2007, hanno registrato flessioni nel numero di imprese attive comprese fra il 16 e il 9 per cento a differenza di quelle di Ragusa, Siracusa e, in misura minore, Palermo e Messina, che risultano essere più stabili;
   il vice presidente di Confindustria Sicilia ha inoltre indicato i dati elaborati dalla Fondazione Res nel report del mese di luglio 2015, che registrano in alcune aree della regione, a partire dal 2007, una flessione del numero di imprese attive pari al 16 per cento, i cui indicatori numerici dimostrano come le aree industriali rappresentino lo specchio dell'economia reale siciliana, che sicuramente versa in condizioni estremamente complesse;
   il quadro generale evidenziato dal medesimo rappresentante di Confindustria Sicilia configura nel complesso uno scenario variopinto, in cui a fronte di una serie di debolezze dell'economia siciliana, caratterizzato dalla crisi del settore immobiliare, delle opere pubbliche e della produzione in senso generale, si contrappongono tuttavia indicatori numerici positivi, connessi al comparto turistico, dell'agroindustria, all'informazione e alla comunicazione tecnologica, al settore medicale e alla meccanica di precisione;
   le imprese siciliane che hanno saputo innovarsi e investire in nuovi mercati, resistendo alla crisi economica che persiste da oltre sette anni sul Paese, evidenzia inoltre la Confindustria siciliana, hanno rappresentato un punto di forza dell'economia isolana in questi anni, aggiungendo fra l'altro, che, per tornare a dare linfa al mercato italiano e soprattutto del Mezzogiorno, occorrerà investire sulla manifattura che, in Sicilia, rappresenta il settore che ha sofferto di più la recessione economica (dal 2008 ad oggi infatti il manifatturiero siciliano ha perso il 26 per cento contro un meno 2 per cento del settore pubblico);
   l'esigenza di restituire maggiore fiducia agli imprenditori siciliani, secondo quanto emerge dall'articolo pubblicato dal quotidiano «Il Giornale di Sicilia», affinché possa riprendere una fase duratura di investimenti e di rilancio economico nell'isola, attraverso regole certe, iter burocratici più snelli e informatizzazione dei processi, rappresenta in definitiva una delle priorità maggiormente richieste da parte del sistema delle imprese siciliane, per tornare a competere sul mercato;
   le suesposte articolate valutazioni, a parere dell'interrogante evidenziano nel complesso l'urgenza e la necessità d'introdurre misure ad hoc, da parte dei Ministri interrogati, in favore del rilancio dell'economia siciliana, che secondo quanto evidenziato dal recente rapporto Svimez, si trova agli ultimi posti su scala nazionale negli indici di povertà assoluta e di arretratezza economica;
   i rilievi del vice presidente di Confindustria Sicilia, per consentire un rilancio dell'economia isolana, investendo in generale sul manifatturiero, unico settore capace di produrre valore aggiunto e lasciare ricchezza sul territorio, in termini di occupazione, know how e fiscalità, oltre che una migliore dotazione infrastrutturale materiale e immateriale (che permetta alle imprese di competere alla pari con il resto del mondo), a giudizio dell'interrogante indicano degli interventi condivisibili ed indispensabili, al fine di interrompere un processo di desertificazione industriale e umana, nella regione Sicilia, che persiste da troppi anni –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione della situazione di estrema gravità socioeconomica e produttiva in cui si trova la regione Sicilia, come peraltro confermato dalla Confederazione generale dell'industria italiana, non ritengano urgente ed opportuno, nell'ambito delle rispettive competenze, assumere iniziative finalizzate alla ripresa economica e produttiva dell'isola, sia attraverso interventi agevolativi fiscali, che infrastrutturali;
   quali iniziative normative il Governo intenda assumere in favore del Mezzogiorno ed in particolare della regione Sicilia, anche nell'ambito dell'imminente predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2016, che com’è noto rappresenta un provvedimento cardine, in quanto costituisce la manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento e lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici definiti con la decisione di finanza pubblica. (4-10390)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ente zona industriale di Trieste (EZIT), ente pubblico non economico, dotato di piena capacità di diritto pubblico e privato, promuove lo sviluppo delle attività industriali, economiche e di servizi nell'ambito dell'agglomerato industriale di interesse regionale, è disciplinato dalla legge regionale del Friuli Venezia Giulia n. 25 dd. 1o ottobre 2002;
   da un articolo apparso sul Il Piccolo del 27 agosto 2015,  si apprende che l'ente, entro la fine del prossimo novembre, debba fare fronte ad una corposa cartella esattoriale dell'importo di 9 milioni e 200 mila euro derivante da diversi procedimenti fiscali partiti dalla seconda metà degli anni settanta, quando l'allora ufficio distrettuale delle imposte dirette, oggi Agenzia delle entrate, avrebbe contestato all'EZIT il mancato pagamento delle tasse sulle plusvalenze derivanti dalla vendita di terreni e fabbricati;
   l'EZIT si sarebbe difesa sostenendo il motivo stesso della sua nascita, che ne fanno un unicum a livello nazionale: l'ente infatti, creato con l'ordine n. 66 del 1953 emanato dal Governo militare alleato, fu equiparato ad un organo statale ed esentato dal versamento di qualsiasi imposta (articolo 23 dello stesso Ordine). Scopo dell'ente era di infrastrutturare e cedere a prezzi calmierati i terreni industriali durante il difficile periodo del secondo dopoguerra del territorio triestino: a tale scopo ricevette le aree dal Governo militare alleato stesso e le sistemò negli anni a seguire utilizzando contributi pubblici. L'obiezione dei vertici Ezit nel corso degli anni verteva, tra l'altro, sull'impossibilità di stimare il valore iniziale di questi beni e conseguentemente la plusvalenza ottenuta dalla loro vendita;
   l'Agenzia delle entrate avrebbe iscritto a ruolo le imposte accertate per gli anni 1981, 1982, 1999, 2000, 2001, 2002 che, comprensive di sanzioni ed interessi, ammontano ad un importo di 9 milioni e 200 mila euro;
   l'articolo citato riporta come la pratica sia stata esaminata, in diverse occasioni, dalla Commissione tributaria regionale con esiti altalenanti e valutata anche dalla Cassazione che, a sua volta, ha inviato il dossier nuovamente alla Commissione regionale per un esame nel merito, precisando come l'articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 601 del 1973 avrebbe abrogato ogni agevolazione precedente;
   la decisione assunta dalla Commissione tributaria provinciale di Trieste che, a differenza di quanto solitamente avvenuto in passato, in gennaio 2015 non ha concesso la consueta sospensiva alla pluridecennale pratica, ha portato la regione Friuli Venezia Giulia a respingere il bilancio preventivo 2015 dell'ente, costringendo così l'EZIT a ricalibrarlo inserendo l'iscrizione di circa un milione «pro-quota» riferito proprio al contenzioso;
   sempre nel medesimo articolo è riportato che il Presidente dell'Ezit Zuban ha sottolineato come la cartella in questione, senza la sospensiva, diventa titolo esecutivo con il rischio che l'importo possa raddoppiare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di permettere all'EZIT di far fronte alle spese derivanti da un procedimento che si trascina da decenni, proprio in virtù della particolarità dell'ente stesso e dello scopo per cui fu istituito dal Governo militare alleato e successivamente «integrato» nel sistema istituzionale italiano con il provvedimento del commissario governativo Palamara;
   se non ritenga di fornire chiarimenti circa la corretta interpretazione della normativa per risolvere l'intera questione relativa ai contenziosi tributari tra istituzioni pubbliche (EZIT e Agenzia delle entrate), evitando altri procedimenti giudiziari ed inutili sprechi di tempo e denaro pubblico. (4-10396)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURER, MOGNATO, ZOGGIA, MARTELLA e MORETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del periodo estivo nella casa circondariale di santa Maria Maggiore a Venezia sono accaduti diversi episodi che hanno pregiudicato l'incolumità di alcuni detenuti e di alcuni agenti di polizia penitenziaria;
   conflittualità e tensione perdurano da molto tempo: solo nel 2014 si sono verificati due tentati suicidi e 19 casi di autolesionismo, il 2015 è iniziato con il suicidio di un ragazzo di 19 anni, numerosi sono i casi di autolesionismo e gli scontri tra detenuti e tra questi e polizia penitenziaria. A luglio 2015 un detenuto ha staccato con un morso la falange di un agente, e solo pochi giorni fa è stata posta in essere dai detenuti una protesta anche dando fuoco alle lenzuola;
   l'istituto di santa Maria Maggiore versa ancora in una situazione di oggettivo e grave sovraffollamento, avendo una popolazione carceraria di 262 detenuti a fronte di una capienza teorica di 180 unità;
   al sovraffollamento dell'istituto corrisponde un cronico sottodimensionamento del personale di polizia carceraria, che conta 100 agenti a fronte di un contingente teorico di 180;
   la città di Venezia ha sviluppato nel tempo una rete solidale che, attraverso l'intervento diretto dell'amministrazione comunale e quello delle realtà associative e cooperative, ha teso a costruire dall'interno politiche di umanizzazione della pena, ai fini di quel recupero sociale e culturale fissato nel principio costituzionale del valore riabilitativo della pena;
   tale rete si sostanzia in attività culturali, di orientamento e inserimento al lavoro, di sostegno psicologico al detenuto, attività alle quali devono essere garantiti accesso, continuità e collaborazione;
   alcuni deputati del Partito Democratico hanno svolto, nell'ambito delle prerogative loro assegnate, una visita alla casa circondariale di santa Maria Maggiore all'inizio del mese di agosto 2015, per verificare le concrete condizioni dell'istituto –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione in cui versa oggi la casa circondariale di santa Maria Maggiore a Venezia e come intenda verificare la gravità delle condizioni di vita all'interno dell'istituto (per detenuti e agenti), e quali siano di conseguenza le azioni correttive che intenda intraprendere. (5-06411)

Interrogazione a risposta scritta:


   LA RUSSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da rilevazioni recentemente effettuate si evidenzia come la situazione delle carceri in Liguria sia in controtendenza rispetto all'andamento nazionale, caratterizzandosi per una aumentata presenza di detenuti che in un anno sono passati da 1367 a 1451, rispetto ad una capienza di 1166 posti;
   in particolare, il carcere genovese di Marassi continua ad essere costantemente in sovraffollamento con 709 detenuti, ancora in aumento rispetto ai 663 del 2014, dei quali oltre quattrocento sono stranieri, collocandosi al terzo posto tra le realtà più critiche d'Italia dopo il carcere napoletano di Poggioreale e quello di Bologna;
   l'istituto di La Spezia è quello che ospita la maggior presenza straniera, che è pari al 64 per cento, a fronte di una popolazione straniera complessivamente ospitata nelle carceri liguri di 801 unità rispetto alle 737 del 2014, pari ad oltre il 55 per cento dell'intera popolazione detenuta;
   a fronte del documentato incremento del numero delle persone detenute si continua a registrare una consistente e preoccupante carenza di organico della polizia penitenziaria che è pari a 232 unità;
   nonostante la Liguria registri una carenza di organico della polizia penitenziaria del 29 per cento, che è una delle più elevate d'Italia, significative quote di agenti vengono temporaneamente assegnate in altre regioni, solo il carcere di Marassi ha ceduto pro tempore ben 75 poliziotti;
   soltanto nei primi sette mesi del 2015 si sono già verificati circa 700 eventi critici, con un significativo aumento rispetto al 2014, anno in cui se ne erano contati 745 in tutto;
   tra gli eventi critici che ricorrono con maggiore frequenza vi sono casi di aggressività, casi di autolesionismo e tentati suicidi, e gravissimo è anche il problema dei detenuti con problemi psichici, che sono incompatibili con la detenzione e mettono sistematicamente a rischio sia l'incolumità propria che quella del personale di custodia;
   nonostante gli encomiabili sforzi del personale, alcune strutture troppo piccole e vetuste come quella di Savona stentano a reggere alle nuove e severe esigenze e sarebbe auspicabile procedere alla costruzione di un nuovo istituto penitenziario che potrebbe accogliere anche i detenuti in sovrannumero delle altre carceri liguri;
   in questo senso si sarebbero già resi disponibili ad ospitare la nuova struttura un paio di comuni –:
   quali iniziative intenda assumere per fare fronte alla grave carenza di organico degli agenti di polizia penitenziaria nelle strutture detentive liguri;
   quali siano le motivazioni addotte dal Dipartimento competente per giustificare l'assegnazione temporanea di personalligure ad altre regioni a fronte degli organici notoriamente sottodimensionati;
   se non si reputi opportuno limitare la presenza di detenuti con evidenti problemi psichiatrici, anche provvedendo con urgenza alla realizzazione anche in Liguria di Residenze per l'esecuzione di misure di sicurezza (REMS) indispensabili e legittimate ad ospitare detenuti con problemi psichiatrici;
   cosa osti alla indispensabile realizzazione di un nuovo carcere in sostituzione di quello vetusto ed ormai insufficiente ad assolvere ai delicati compiti di istituto quale quello di Savona. (4-10392)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema viario della Basilicata presenta molte carenze sul piano infrastrutturale, della sicurezza e della manutenzione, specie per quanto riguarda i principali assi viari che collegano i principali punti di interesse della regione;
   la delibera 3 agosto 2011, n. 62 (Gazzetta Ufficiale n. 304 del 2011) prevedeva l'individuazione ed assegnazione di risorse ad interventi di rilievo nazionale ed interregionale e di rilevanza strategica regionale per l'attuazione del piano nazionale per il Sud;
   per la Basilicata, secondo la citata delibera, venivano assegnate risorse ad infrastrutture di rilevanza strategica interregionale regionale per 16 interventi infrastrutturali stradali e, ferroviari per un costo complessivo di milioni di euro 1.561,6, di cui finanziamenti già disponibili per euro 202,7, milioni di euro 418,6 assegnati ed un ulteriore fabbisogno di milioni di euro 950,3;
   nell'aprile 2014, fu sottoscritto l'Accordo di programma quadro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, la regione Basilicata e l'Anas, riguardante i lavori di adeguamento e messa in sicurezza, di completamento di opere già avviate e di realizzazione di nuove infrastrutture stradali sul territorio lucano, per un investimento complessivo di circa 400 milioni di euro;
   gli interventi previsti dall'accordo riguardavano in particolare: il completamento di un primo stralcio funzionale della statale 655 Bradanica tra i chilometri 76 e 82, nel comune di Spinazzola, ai confini tra Puglia e Basilicata; i lavori di messa in sicurezza su alcuni tratti saltuari, tra i chilometri 0 e 48 del nuovo itinerario della statale 658 «Potenza-Melfi»; il completamento della bretella di collegamento tra la statale 585 «Fondo Valle del Noce» e l'abitato di Lauria in provincia di Potenza; i lavori sulla strada statale 95 «Tito-Brienza» per la costruzione dello svincolo per l'abitato di Tito in località Nuvolese e per l'adeguamento dello svincolo per Satriano, nonché per la nuova «Variante di Brienza»; la progettazione preliminare e definitiva dei nuovi itinerari «Matera-Ferrandina-Pisticci» e «Gioia del Colle-Matera», sul corridoio «Murgia-Pollino». Nell'accordo di programma quadro rientrano anche interventi come la messa in sicurezza della strada statale 18 «Tirrena Inferiore», nel comune di Maratea; i lavori del 1o, 2o e 3o lotto della statale «Strada Fondo Valle Sauro-Corleto Perticara – strada provinciale Camastra»; l'adeguamento strutturale e la messa in sicurezza dell'itinerario basentano (compreso il Raccordo autostradale Sicignano-Potenza) e infine il 1o e il 3o stralcio del tratto di collegamento tra le statali basentana e sinnica (Pisticci-Tursi). La copertura finanziaria dell'accordo è assicurata principalmente dai fondi di coesione e sviluppo 2007-2013, pari a oltre 194 milioni di euro e dai fondi previsti della legge 488 del 1999, pari a 181 milioni di euro;
   nella corsa della visita del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti a Matera nel giugno 2015 sono state presentate le priorità sulle infrastrutture lucane, per un importo complessivo di circa un miliardo e 300 milioni di euro, di cui 950 milioni per le strade, 325 per la rete ferroviaria e 8,5 per l'aeroporto. Il Ministro si era inoltre assunto l'impegno di considerare alcune opere strategiche per lo sviluppo, con la predisposizione di piani credibili con cronoprogrammi precisi;
   in particolare per la città di Matera, Capitale della Cultura 2019, andrebbero potenziate le infrastrutture della viabilità extraurbana ed urbana, procedendo in particolare alla realizzazione del raddoppio della Matera-Ferrandina (ex SS7); e della la Matera-Gioia del Colle, che permetterebbe il collegamento con l'autostrada A14;
   l'esecuzione della linea ferroviaria ad alta velocità Taranto – Potenza – Salerno e la velocizzazione del collegamento ferroviario Matera-Bari;
   ad agosto 2015 in un'intervista al quotidiano «La Repubblica», il Ministro Delrio ha annunciato il piano per rilanciare il Meridione ed ha sostenuto che in 20 mesi verranno sbloccate opere per un punto di PIL, per un costo di almeno 15-16 miliardi in tutta Italia e per il Sud verranno rafforzati i collegamenti tra porti, strade e ferrovie –:
   se il Ministro possa fornire informazioni in merito alla programmazione già finanziata e non attuata e se siano in particolare effettivamente previsti investimenti per il potenziamento e lo sviluppo della rete viaria lucana. (3-01704)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'interporto A. Vespucci, nel comune di Collesalvetti, costituisce una importante interconnessione di potenzialità ed opportunità in località Guasticce, i cui trecento ettari rappresentano l'ideale retroterra portuale di Livorno e, con l'ampliamento della cinta doganale, l'interporto finisce per costituire un ulteriore incentivo all'attività di logistica dell'area vasta costiera;
   l'interporto, invero, a norma dell'articolo 1 della legge 4 agosto 1990, n. 240, costituisce «un complesso organico di strutture e servizi integrati e finalizzati allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, comunque comprendente uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi e in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione». Si tratta pertanto della prescrizione statale di una funzione primaria di logistica assegnata agli interporti;
   l'interporto Vespucci, nello specifico, è stato realizzato con l'apporto di finanziamenti pubblici statali, concessi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per oltre 26 milioni di euro per la realizzazione della viabilità interna, oltre che di altre opere di urbanizzazione primaria, di impianti nelle aree destinate all'attività di logistica e di opere di sistemazione a verde;
   si sono aggiunti finanziamenti comunitari aventi come obiettivo specifico la realizzazione e l'incremento del trasporto delle merci e il potenziamento delle infrastrutture per i sistemi produttivi. In particolare si era posta la coerenza con gli orientamenti e le indicazioni imposte dagli strumenti della programmazione territoriale e settoriale sia di livello nazionale che regionale. Per cui era prevista la realizzazione di interventi riguardanti magazzini, piazzali, viabilità interna, strutture logistiche e di servizio per il trasporto merci;
   a base dell'avvio dell'impresa si pone altresì l'accordo di programma del 2007 sottoscritto tra la regione Toscana e gli altri enti interessati e competenti che disponeva, tra l'altro, iniziative coordinate per la predisposizione di progetti, tra cui, l'avvio operativo della «piattaforma logistica costiera», mediante l'elaborazione del progetto relativo ad una società di capitali che assumesse il ruolo di promotore dello sviluppo e di soggetto gestore della piattaforma logistica costiera, così vincolando gli aderenti alle disposizioni ivi prescritte;
   emerge pertanto una netta vocazione all'attività di logistica dell'interporto che lo ha da sempre caratterizzato. In particolare, il piano strutturale del 2005 all'articolo 12 delle norme tecniche di attuazione UTOC N. 4 Scolmatore vietava espressamente «funzioni di natura artigianale-industriale»;
   analogamente anche il regolamento urbanistico del 2009 non menzionava tali attività fra quelle del comparto produttivo logistico dell'interporto, ammettendo attività di produzione, trasformazione e fabbricazione nelle zone industriali adiacenti all'interporto stesso;
   nel 2012, tuttavia, è stata approvata una variante al piano strutturale a mente dalla quale, all'interno dei compatti e delle aree con esclusiva o prevalente funzione logistica, è ammessa l'introduzione di funzioni produttive di tipo artigianale-industriale con incidenza non superiore al 40 per cento delle loro superfici totali. Restano escluse le attività di smaltimento, termovalorizzazione e comunque tutte le operazioni di smaltimento di rifiuti. Alcune attività di recupero rifiuti sono tuttavia ammesse sempre che non si tratti di rifiuti pericolosi per la salute dell'uomo e non implichino procedimenti o metodi suscettibili di recare pregiudizio all'ambiente;
   anche il regolamento urbanistico si è adeguato a tali prescrizioni con le modifiche approntate nel 2013, ma il limite delle attività incluse viene ribassato al 25 per cento;
   il descritto ampliamento delle funzioni ammesse nell'ambito dell'interporto ricadenti nell'area dell'attività manifatturiera e commerciale, tuttavia, non rientra nel novero delle attività previste per l'interporto a mente della normativa del 1990 in principio richiamata, ponendosi secondo l'interrogante in contraddizione con le finalità logistiche e retroportuali dell'area;
   ad oggi questo ampliamento delle funzioni dell'interporto trova conferma dal momento che il consiglio comunale di Collesalvetti, nella deliberazione n. 20 del 4 aprile 2014, avente ad oggetto la variante urbanistica di ripianificazione di cui ai commi 4, 5 e 6 dell'articolo 55 della LR 1 del 2005 non prende in considerazione alcuno stralcio delle attività aggiuntive alla logistica;
   taluni atti e pareri, nel frattempo succedutisi, tuttavia sollecitavano un ripensamento rispetto alle decisioni assunte con la variante del 2012. La regione nel 2012, in sede di controdeduzioni per l'approvazione della variante, e successivamente nel 2013, aveva rilevato la necessità di effettuare specifici approfondimenti anche valutando gli effetti territoriali, ambientali e paesaggistici nell'ambito territoriale interessato, rilevando altresì che le nuove funzioni di attività di recupero e riciclaggio non risultano richiamate tra le nuove funzioni menzionate nel protocollo d'intesa del 2013 concluso fra regione Toscana, la provincia di Livorno, il comune di Collesalvetti e l'interporto A. Vespucci;
   l'area territoriale generalmente interessata si colloca nel sito di interesse nazionale (S.I.N) di Livorno per cui emerge una particolare sensibilità ambientale rispetto alla quale deve imporsi una peculiare attività di prevenzione nell'ambito della tutela della salute, come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, delle risorse naturali e del paesaggio –:
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali siano i suoi orientamenti, per quanto di competenza, circa l'ampliamento delle funzioni svolte dall'interporto rispetto alla prioritaria funzione logistica prescritta dalla normativa nazionale in materia;
   come il Governo valuti, per quanto di competenza, gli effetti territoriali, ambientali e paesaggistici conseguenti all'ampliamento delle funzioni dell'interporto alle attività manifatturiera e commerciale e, se del caso, ritenga di porre in essere specifiche verifiche al riguardo;
   se il Governo ritenga che detto ampliamento delle funzioni svolte dall'interporto possa indurre il rischio dell'avvio di una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea nel caso in cui sia valutato in contrasto con le finalità per le quali sono stati concessi i finanziamenti connessi alla programmazione comunitaria dei fondi strutturali. (5-06414)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto di compatibilità ambientale n. 701 del Ministero dell'ambiente, rilasciato in data 17 novembre 2003, si rilasciava la valutazione di impatto ambientale favorevole con prescrizioni al progetto «S.S. 96 Barese – Lavori di ammodernamento con adeguamento alla sezione III delle Norme CNR 80 del tronco fine variante Torino – Modugno compreso la variante di Palo del Colle dal km 105+705 al km 114+750»; 
   il progetto deriva dalla necessità di realizzare una variante all'attuale itinerario della statale, così da evitare ogni contatto con il centro urbano di Palo del Colle. Infatti attualmente la strada statale 96 attraversa su viadotti e rilevati tale centro urbano, creando disagi a causa degli attraversamenti e/o immissioni di viabilità minore. La variante, inoltre, prevede una piattaforma stradale a carreggiate separate e l'adeguamento alla sezione III CNR onde garantire un incremento del livello di servizio e della sicurezza di marcia. Il tratto in questione completa quanto già realizzato ed in corso di realizzazione per strada statale 96 e la realizzazione dell'intervento comporterà quindi il duplice beneficio di decongestionare il traffico veicolare che attraversa l'abitato di Palo del Colle ed incrementare la sicurezza stradale separando le corsie di marcia, oltre ad una razionalizzazione della rete viaria anche urbana che sarà sgravata dalla presenza della strada statale in attraversamento, in quanto il progetto definitivo prevede, a fine lavori, la demolizione dei rilevati e viadotti attuali, come richiesto in conferenza di servizi;
   l'area è soggetta alla dichiarazione di interesse pubblico di cui all'articolo 134 del decreto legislativo n. 42 del 2004, decreto del 1o agosto 1985, denominato «Dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio delle Lame ad ovest e a sudest di Bari», in quanto «il territorio delle lame ad ovest e a sudest di Bari, ricadente nei comuni di Bari, Modugno, Bitonto, Palo del Colle, Bitetto, Binetto, Triggiano, Noicattaro, Rutigliano, Mola di Bari (provincia di Bari) riveste notevole interesse perché è caratterizzato dalla presenza di gravine e lame che, con diverse dimensioni, partono dalle ultime propaggini collinari delle murge per arrivare al mare. Fortemente caratterizzate sotto il profilo geomorfologico, esse rivestono particolare interesse sotto il profilo paesistico e naturalistico per la presenza anche dell’habitat naturale e dell'ecosistema ancora sufficientemente integri. Inoltre spesso conservano i resti di antichi insediamenti umani, ricavati in grotte scavate dall'uomo lungo i lati delle gravine, o sorti nelle vicinanze per la presenza di brevi corsi fluviali, di cui in genere oggi restano limitate ma significative tracce;
   dalla delibera di giunta della regione Puglia del 27 giugno 2014, n. 1349 «parere paesaggistico e attestazione di compatibilità paesaggistica e autorizzazione paesaggistica», riguardante l'opera in oggetto si rilascia il parere favorevole dell'ente ma si evince anche che l'intervento proposto ricade in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni) e per quanto riguarda gli interventi ricadenti nel territorio del comune di Palo del Colle (BA), l'intervento di realizzazione del viadotto Lame Stette e di adeguamento stradale a monte e a valle dello stesso, essi ricadono in ATE di tipo A e B, mentre il resto dell'intervento ricade in ATE di tipo E. Per quanto concerne il sistema geologico, geomorfologico e idrogeologico l'intervento di realizzazione del Viadotto Lame Stette interessa l'area annessa di una componente geomorfologica denominata «corsi d'acqua» e precisamente, del corso d'acqua Lamasinata. Inoltre l'intervento intercetta l'area di pertinenza e l'area annessa di n. 2 componenti denominate «versanti e crinali» e, precisamente, di n. 2 ripe fluviali. Inoltre, l'intervento di realizzazione della «viabilità compensativa» intercetta il vincolo architettonico «Madonna di Iuso»;
   l'intervento di allargamento stradale e di realizzazione della viabilità di servizio, al confine sud del territorio comunale, interessa un corso d'acqua pubblico, e precisamente la Lama Lamasinata;
   il nuovo tracciato stradale, a sudest dell'abitato, intercetta in due tratti il reticolo idrografico di connessione della rete ecologica regionale (Lamasinata). L'intervento di realizzazione del viadotto Lame Stette intercetta altresì la Lama Lamasinata;
   l'intervento di realizzazione del viadotto Lame Stette e di adeguamento stradale a monte e a valle dello stesso intercetta un'area di notevole interesse pubblico (articolo 136 del decreto legislativo 42 del 2004), e precisamente l'area tutelata con decreto del 1o agosto 1985 denominato «Dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio delle Lame ad ovest e a sudest di Bari»;
   l'intervento di adeguamento stradale e realizzazione dello svincolo con la strada provinciale 44 (svincolo 2) intercetta una strada a valenza paesaggistica ed inoltre alcuni adeguamenti della viabilità urbana interessano testimonianze della stratificazione insediativa, e precisamente la Chiesa Madonna di fuso e la Chiesa Madonna delle Grazie;
   l'area interessata dalla realizzazione dello svincolo strada provinciale 44 interessa un'area a macchia ed inoltre l'area interessata dalla realizzazione dello svincolo strada provinciale 44 (svincolo 2) interessa l'area di rispetto del bosco ovvero della macchia;
   con nota prot. n. CBA0000967P del 11 ottobre 2013 l'ANAS spa ha presentato la documentazione per la verifica di ottemperanza alle prescrizioni del decreto di compatibilità ambientale n. 701 del 17 novembre 2003 e per mezzo del progetto esecutivo dell'opera;
   l'opera è stata finanziata dal programma operativo nazionale (PON) delle reti mobilità 2007-2013 e in particolare per un importo di 102 milioni di euro i lavori di ammodernamento del tronco fine variante di Toritto-Modugno compresa la variante di Palo del Colle;
   in data 24 febbraio 2012 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – V Serie Speciale – n. 23 e rettificato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – V Serie Speciale – n. 39 del 2 aprile 2012 il bando di gara «Progetto dei lavori per l'ammodernamento, con l'adeguamento alle sez. III CNR, del tratto fine variante Toritto-Modugno, compresa la Variante di Palo del Colle». In data 14 settembre 2012 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale 5a Serie Speciale – Contratti Pubblici n. 107, l'avviso relativo agli appalti aggiudicati del suddetto progetto con importo complessivo offerto di euro 69.419.039,80 comprensivo di euro 4.225.522,16 per oneri relativi alla sicurezza non soggetti a ribasso e di euro 588.960,00 per spese di progettazione esecutiva, assoggettate a ribasso. L'appalto è stato vinto dalla A.T.I. CCC Società Cooperativa – ALEANDRI spa;
   in data 5 marzo 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 5a Serie Speciale – contratti pubblici n. 26, il bando di gara avente ad oggetto «Lavori per l'ammodernamento, con adeguamento alla sez. III C.N.R. 80, del tratto fine variante Toritto – Modugno, compresa la variante di Palo del Colle – Prestazione, in regime di accordo quadro, di servizi relativi all'esecuzione di prove, esali ed analisi in situ e di laboratorio sui materiali da impiegare nell'esecuzione dei lavori» e in data 8 settembre 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – contratti Pubblici n. 102, l'avviso relativo agli appalti aggiudicati del suddetto bado di gara, dal valore di euro 72.317,25 comprensivo di euro 6.015,00 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso – ribasso offerto – 64,46 per cento sull'importo complessivo a base d'asta al netto degli oneri di sicurezza. L'appalto è stato vinto dalla R.T.I. TECNO-LAB S.r.l. (Capogruppo-mandatario) – LABORGEO S.r.l;
   in data 2 luglio 2014 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti rispondeva ad una interrogazione a risposta immediata affermando che in merito all'opera in oggetto: «gli importanti ritardi attuativi registratisi e denunziati ovviamente dall'interrogante nella realizzazione dei suddetti interventi hanno condotto a ritenere che l'ultimazione dell'opera non fosse possibile nei tempi previsti dalla normativa comunitaria» ed inoltre che «sulla base anche delle informazioni assunte presso il dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, che, in conseguenza delle decisioni assunte, il ritardo di attuazione non comporterà in questo momento alcuna perdita dei fondi comunitari»;
   da fonti stampa si apprende che l'azienda aggiudicatrice dell'appalto voglia utilizzare esplosivo. In tale contesto, il sindaco del comune di Palo del Colle con nota del 26 maggio 2015 avente oggetto: «Riscontro alle missive ANAS spa prot. 11638 del 15 aprile 2015 consorzio cooperative Costruzioni prot. GRAV275 del 22 aprile 2015» comunicava quanto segue:
    «il sottoscritto in data 7 luglio 2014 riceveva una richiesta di nulla osta all'utilizzo di materiale esplosivo da parte dell'A.T.I. CCC Società Cooperativa Aleandri spa per la realizzazione della S.S. 96;
    il sottoscritto autorità di P.S., contattava telefonicamente gli uffici del richiedente al fine di ricevere informazioni di dettaglio non riportate nella richiesta senza ricevere riscontro;
    il sottoscritto in data 19 settembre 2014 dichiarava di non autorizzare l'uso di materiale esplosivo;
    in data 15 aprile 2015 la Società Anas spa inviava una nota al sottoscritto precisando che l'autorità locale di pubblica sicurezza, ai sensi dell'articolo 104 del regolamento, è preposta all'eventuale emissione del certificato e che non è previsto il rilascio di autorizzazione a carico dell'Autorità di Pubblica Sicurezza;
    in data 22 aprile 2015 la «società Cooperativa Costruzioni» reiterava la richiesta di emissione del certificato ai sensi dell'articolo 104 regolamento;
    si tratta dell'utilizzo a 50.000 chilogrammi di esplosivo, di 40.000 metri lineari di miccia detonante e di 5.000 detonatori, con un impatto rilevante sul territorio;
    è doveroso valutare l'impatto dell'utilizzo di materiale esplosivo sulla popolazione;
    in quanto rappresentante della società civile il sottoscritto ha reso partecipi i consiglieri comunali nella seduta di consiglio comunale del 12 maggio 2015 ricevendo un forte dissenso all'utilizzo di materiale esplosivo dalle forze politiche consiliari espressione della popolazione palese; 
    dal sondaggio effettuato dalla testata giornalistica «palolive.it» è risultato che l'88,15 per cento della popolazione è contraria all'utilizzo di mine e solo l'11,85 per cento risulta favorevole;
    alcuni manufatti in cemento armato prefabbricato della zona industriale del paese sono ubicati a meno di 100 metri dalla zona interessata dall'esplosione;
    gli eventuali danni al sottosuolo e alla fauna selvatica conseguenti alla esplosione non sono al momento valutabili;
    i lavori stanno regolarmente procedendo con l'ausilio di macchine escavatrici, non sussistono delle motivazioni ostative alla regolare prosecuzione dei lavori che obbligherebbero l'utilizzo di materiale esplosivo quale unica soluzione a completamento delle opere»;
   per i motivi sopra elencati, il sindaco di Palo del Colle ha espresso parere negativo per quanto di competenza dell'autorità di pubblica sicurezza all'utilizzo di materiale esplosivo;
   nella relazione del comune di Palo del Colle Prot. n. 14360 del 27 agosto 2015 si evince che dagli atti progettuali ed autorizzativi in possesso del comune di Palo del Colle per l'opera in oggetto ed inoltre a qualsiasi conferenza di servizi in cui è stato invitato il comune di Palo del Colle, non si è mai sancita né dichiarata la necessità di utilizzare esplosivi;
   a detta dell'interrogante non si comprende la necessità di utilizzare esplosivo in un'area in cui vi sono numerose peculiarità territoriali da preservare, in quanto l'area ha ricevuto l'attestazione di «Dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio delle Lame ad ovest e a sud-est di Bari» e contestualmente sono presente a poca distanza anche insediamenti industriali. Inoltre, sembrerebbe che l'utilizzo dell'esplosivo non sia stato considerato in ambito di procedura di valutazione d'impatto ambientale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative intendano promuovere, per quanto di competenza, al fine di garantire che la costruzione cieli dell'opera in questione avvenga con procedure che non rechino, anche teoricamente, danno all'area citata;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa chiarire se l'utilizzo di esplosivi per la costruzione dell'opera sia stato valutato in ambito di procedura di valutazione di impatto ambientale e, qualora non sia stato valutato, come intenda il Ministero valutare l'impatto degli esplosivi nell'area;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti possa chiarire se vi sono rischi di perdere i finanziamenti per la costruzione dell'opera e in quali termini e tempi;
   se ci sia la copertura economica di tutte le opere da realizzare e, in particolare, per la demolizione, a fine lavori, dei rilevati e viadotti attuali, come richiesto in conferenza di servizi. (5-06419)

Interrogazione a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa riportano dell'allerta meteo a cui è seguita una violenta alluvione che ha messo in ginocchio diversi comuni della provincia di Piacenza nelle zone della Valnure e Valtrebbia e di un'accesa polemica relativa alla gestione della diga del Brugneto, sul versante ligure della Valtrebbia, di competenza del comune di Genova, che sarebbe stata aperta nella notte dopo le grandi piogge senza preavviso;
   inoltre, nei giorni scorsi è stata diramata un'allerta meteo che ha interessato la Liguria e buona parte Romagna, ove vere e proprie «bombe d'acqua» hanno investito le zone citate, producendo una tale quantità di millimetri di pioggia da determinare esondazioni ed allagamenti;
   da quanto si apprende dalle prime frammentarie notizie, da tempo il territorio piacentino necessitava di un flusso d'acqua maggiore, data la siccità e la calura estive, visto che gli agricoltori lamentavano mancanza di risorse idriche per irrigare i campi, ma nessuno avrebbe accolto le istanze dei cittadini. Invece la diga del Brugneto, che pare fosse arrivata al limite a causa delle piogge, sarebbe stata aperta, a sorpresa, inondando e causando un morto, due persone disperse e una lunga conta dei danni alle cose delle popolazioni a valle della diga stessa (Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2015);
   sempre dall'articolo de Il Fatto Quotidiano si apprende che: «I danni che si sono registrati a partire dalle prime ore di lunedì 14 settembre, sono i più gravi della recente storia piacentina. Valtrebbia e Valnure in ginocchio, con frazioni isolate, ponti crollati, paesi invasi da acqua e fango, auto portate vie dalla furia dei fiumi, case crollate, altre allagate, negozi chiusi e strade bloccate anche in pianura e nella città capoluogo»;
   inoltre, lo stesso quotidiano riporta che: «[...] in Prefettura a Piacenza i sindaci riuniti stanno cercando di far ripartire i loro Comuni, feriti dall'esondazione dei fiumi. Per una prima emergenza, ha annunciato l'assessore regionale all'ambiente e protezione civile Paola Gazzolo, saranno stanziati 2 milioni di euro ed è stato chiesto lo stato di calamità: “È un evento eccezionale, con 330 millimetri di acqua caduti in quattro ore. Ai sindaci abbiamo detto di attivare tutte le procedure d'urgenza per il ritorno alla normalità. Come Regione, invece, siamo pronti a stanziare 2 milioni di euro”»;
   a parere degli interroganti, pur prendendo tutto per buono, anche perché questo tempo verrà dedicato alla macchina dei soccorsi, su sarebbe opportuno riflettere sulle cause del dissesto idrogeologico del territorio in questione, invece di armarsi di calcolatrice ed alla fine della «fiera» fare la conta dei danni;
   dopo anni e diverse legislature, si assiste sempre ai soliti proclami, a impegni a prendersi cura del territorio con una buona dose di politiche di prevenzione e interventi normativi atti a regolare lo scempio perpetrato con una cementificazione massiva del territorio a discapito del paesaggio quale bene meritevole di tutela; non ci si può arrendere alla mala gestio che ha interessato l'amministrazione della «cosa pubblica» degli ultimi decenni;
   al contrario l'interrogante continuerà ad essere il tramite della cittadinanza per un accorato appello a quanti avevano l'obbligo di curarsi del territorio, a tutti coloro che avrebbero dovuto vigilare sulle opere pubbliche, quali le dighe, e nel rispetto delle regole che ne garantiscono il buon funzionamento e la sicurezza, al fine di evitare casi analoghi a quello accaduto, qualora sia accertato il nesso causale tra l'evento ed il danno cagionato dall'apertura della diga del Brugneto alle popolazioni investite dall'ondata di acqua, fango e detriti che ne è conseguita –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per sanare i vuoti normativi, evitando che eventi di tale gravità possano verificarsi in seguito;
   se abbia già provveduto, per quanto di competenza, ad istituire una commissione ministeriale avente il compito di accertare le responsabilità dovute all'apertura della diga del Brugneto e, in tal caso, quali iniziative, anche di natura disciplinare, si intendano intraprendere nei confronti degli eventuali responsabili.
(4-10400)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia secondo la quale una bambina di 10 anni di Bologna e due tredicenni di Lucca e Reggio Emilia hanno riportato seri danni permanenti alla vista, dopo aver rivolto verso i loro occhi il raggio laser a luce verde dei puntatori, facilmente acquistabili per strada o nelle bancarelle e alle fiere: a renderlo noto è stato il primario del reparto di oftalmologia dell'ospedale Sant'Orsola di Bologna, professor Antonio Ciardella;
   lo stesso primario dell'ospedale bolognese ha spiegato che il ragazzino di tredici anni ha perso nove diottrie ad un occhio, il suo coetaneo di Reggio Emilia tre, mentre la bambina di dieci anni di Lucca ha perso un grado ad entrambi gli occhi: i danni riportati potranno essere trattati, ma non si potrà pervenire ad un miglioramento del quadro clinico finora emerso (nel caso del bambino di Lucca, sono state riscontrate anche delle cicatrici all'interno delle quali si sono formati dei vasi con relative emorragie);
   il puntatore, sempre secondo la ricostruzione del primario Ciardella, ha provocato l'ustione dei foto-ricettori della retina, provocando danni fototossici permanenti alla macula dell'occhio;
   dalle deposizioni dei genitori e dei nonni dei bambini (rimasti gravemente feriti dall'uso improprio del puntatore laser, raccolte dal procuratore aggiunto Valter Giovannini, titolare dell'inchiesta e coordinatore dei fascicoli aperti dalla procura di Bologna) è emerso che i puntatori sono stati acquistati da venditori ambulanti, probabilmente di origine pakistana, bengalese o cinese, nelle città di Bologna, Rimini e Firenze;
   i puntatori laser a luce verde, erroneamente considerati come oggetti giocattolo dalla maggior parte dell'opinione pubblica, sono in realtà degli strumenti di lavoro la cui vendita, quindi, dovrebbe sottostare a rigide regolamentazioni che ne limitino la diffusione e che, soprattutto, tutelino i bambini da un uso improprio la cui pericolosità è ormai stata accertata;
   in un recente passato, la procura di Pordenone ha agito contro dodici venditori di questi strumenti di lavoro mascherati da giocattoli, con sanzioni molto pesanti e procedimenti penali;
   ciò che però serve con la massima urgenza, è un intervento sull'intero territorio nazionale delle forze dell'ordine che impedisca la vendita presso ambulanti e bancarelle delle fiere di questi strumenti altamente pericolosi per la salute –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sulla vicenda e quali iniziative intendano porre in essere affinché la vendita libera ed incontrastata di questi puntatori laser a luce verde sia sottoposta ad una rigida regolamentazione che, innanzitutto, ne specifichi la tipologia (strumenti di lavoro anziché giocattoli) e ne disponga la commercializzazione secondo quanto già previsto per qualsiasi strumento di lavoro in grado di procurare seri danni alla salute, come quelli riportati dai tre bambini di cui in premessa;
   se non sia possibile coordinare un intervento su scala nazionale delle forze dell'ordine che impedisca la vendita di questi strumenti di lavoro presso gli ambulanti o all'interno di fiere e mercati rionali;
   se non sia possibile attivare una campagna di informazione, diretta soprattutto ai minori, che sottolinei la pericolosità di questi puntatori e che ne scoraggi l'acquisto e l'utilizzo improprio. (3-01705)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, BARONI e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i percorsi formativi finalizzati al conseguimento del titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità sono istituiti ai sensi dell'articolo 13 del decreto ministeriale n. 249 del 2010;
   la nota del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 13390 dell'11 dicembre 2013 chiarisce quali sono i requisiti e le abilitazioni valide per l'accesso al corso di specializzazione di sostegno, tra le quali TEA, PAS, laurea in scienze della formazione primaria, diploma magistrale;
   per l'anno scolastico 2015/2016 gli alunni con disabilità, come reso noto dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono oltre le 216.000 unità e si stima che ogni anno ci saranno 5.000 nuovi studenti disabili;
   la legge n. 107 del 2015, la cosiddetta «Buona Scuola», fa dell'integrazione scolastica degli alunni con disabilità il proprio punto di forza, ribadendo a più riprese che: «la scuola italiana deve essere una comunità accogliente nella quale tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita»;
   come rilevano le segnalazioni degli uffici scolastici regionali, ad ogni nuovo anno scolastico mancano docenti specializzati sul sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado e, secondo le stime del sindacato CGIL, per l'anno scolastico appena iniziato mancano 30.000 dei suddetti insegnanti;
   in particolare, come riportato in un articolo apparso il 15 settembre 2015 sul Corriere della Sera e intitolato «Scuola, i sindacati: Mancano 30 mila insegnanti di sostegno», in Lombardia mancano 1.818 professori di sostegno, in Liguria ne mancano 350, in Piemonte 142;
   nel suddetto articolo viene specificato che, a causa della mancanza dei docenti di sostegno, in alcune scuole del territorio italiano i bambini con disabilità sono stati lasciati soli nelle aule o sono stati costretti a terminare con ampio anticipo l'orario delle lezioni;
   le associazioni per i diritti delle persone disabili «Ledha» e «Federazione italiana per il superamento dell’handicap», tramite i loro portavoce Giovanni Merlo e Salvatore Nocera, hanno denunciato in un articolo apparso sul Fatto Quotidiano del 16 settembre 2015 che i docenti a supporto dei ragazzi diversamente abili che arriveranno a coprire le suddette mancanze, non sempre sono motivati a fare i docenti di sostegno, oltre a non essere adeguatamente preparati;
   oltre alla Costituzione italiana e alla legge n. 67 del 2000 che vieta ogni forma di discriminazione basata sulla disabilità, anche la convenzione dell'ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la legge 3 marzo 2009, numero 18, garantisce la tutela dei diritti all'istruzione e alla corretta formazione degli alunni disabili;
   la mancanza dei docenti specializzati nel sostegno o il cambio dell'insegnante durante l'anno scolastico a causa dei passaggi di ruolo non garantiscono la continuità didattica necessaria alla formazione degli studenti diversamente abili –:
   se il Ministro interrogato intenda intraprendere urgenti iniziative atte a risolvere il problema della mancanza dei docenti di sostegno specializzati di cui in premessa, al fine di garantire la qualità e la continuità didattica ed evitare che gli studenti diversamente abili vadano incontro, a discriminazioni. (5-06412)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a settembre 2015 è iniziato il nuovo anno scolastico 2015-2016, il primo di applicazione della nuova legge 13 luglio 2015, n. 107, la tanto decantata riforma del Governo Renzi, la cosiddetta «Buona scuola»;
   purtroppo, come accade puntualmente ogni anno, fin dal primo giorno di scuola si presenta il problema della mancata assegnazione degli insegnanti di sostegno agli alunni disabili, nelle scuole di ogni ordine e grado, con evidenti e gravi ricadute sugli studenti e sulle loro famiglie che si vedono costretti a non poter mandare a scuola i propri figli stante la mancanza dell'insegnante;
   il piano straordinario di assunzioni ha immesso in ruolo 14 mila insegnanti di sostegno, ma il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ammette che non sono sufficienti a coprire tutti i posti vacanti, soprattutto al Nord. Esiste una discrepanza fra gli insegnanti che sono necessari nelle scuole e quelli che sono effettivamente assegnati. Gli alunni che necessitano del docente a supporto sono passati, quest'anno, da 180 mila a 240 mila;
   la riforma della «Buona Scuola» non ha sanato la persistente mancanza di insegnanti di sostegno nelle scuole italiane perché a fronte dei 120 mila docenti necessari a mantenere il rapporto di un docente ogni due alunni «certificati», continua a rimanere inalterato il numero a circa 90 mila insegnanti stabilizzati, restando fermi ad un organico dell'80 per cento rispetto alle effettive necessità. A fronte di 40 mila posti liberi, quelli effettivamente coperti da assunzioni in questo anno scolastico saranno circa 10 mila, con 30 mila posti destinati ancora ai precari;
   soltanto in Lombardia il nuovo anno scolastico è iniziato con circa 4.000 insegnanti di sostegno in meno rispetto a quelli necessari;
   in particolare, a Brescia e provincia a fronte dei 200 mila studenti ritornati in classe, nonostante i nuovi insegnanti in ruolo, comunque in numero insufficiente per il fabbisogno bresciano, mancherebbero ancora all'appello 219 docenti di ruolo e 408 insegnanti di sostegno;
   questa carenza costringerà i dirigenti scolastici a ricorrere ancora una volta alle supplenze e molti studenti saranno costretti a cambiare il proprio insegnante di sostegno con inevitabili disagi e, soprattutto, a discapito della continuità didattica –:
   se intenda onorare gli impegni presi nei mesi scorsi in occasione dell'approvazione della legge sulla «Buona Scuola», provvedendo con la massima urgenza al completamento dell'immissione in organico dei docenti mancanti nella provincia di Brescia, come in tutto il Paese;
   se non intenda adottare le iniziative opportune per garantire la continuità didattica e il sostegno necessario agli alunni e studenti disabili. (5-06413)


   MANZI, CARRESCIA, LODOLINI e MORANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a fine agosto 2015, nel bacino galleggiante del porto di Livorno, è avvenuto un grave incidente che ha coinvolto la nave oceanografica Urania, in concessione al gruppo navale Azimut Benetti ed utilizzata dal Consiglio nazionale delle ricerche per operazioni di ricerca;
   nell'incidente, avvenuto a seguito di un improvviso sbandamento della nave, è morto un elettricista, membro dell'equipaggio ed altri marittimi sono rimasti feriti, investiti da fusti, barili ed altro materiale di bordo che si è rovesciato;
   le operazioni di soccorso e messa in sicurezza dell'area si sono rivelate particolarmente complesse per il pericolo di ulteriori spostamenti del carico e della nave, nonché per il rischio di affondamento della stessa;
   per chiarire la dinamica dell'incidente ed individuarne le responsabilità è stata inoltre aperta un'inchiesta per omicidio colposo, dato che la nave oceanografica si trovava nel bacino del porto di Livorno, dopo l'ultimazione dei lavori di ristrutturazione, al fine di ampliarne lo spazio e migliorare le operazioni di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche;
   oltre alle purtroppo già tragiche conseguenze arrecate dall'incidente, l'affondamento della nave Urania, rischia di produrre ulteriori danni per il ruolo strategico svolto dalla stessa nel campo della ricerca italiana;
   la nave, costruita all'inizio degli anni novanta, con una lunghezza superiore ai 60 metri e un'autonomia operativa di 45 giorni, è dotata di laboratori per analisi geologiche, chimiche e radiologiche e di un'avanzata strumentazione scientifica per la raccolta di dati di navigazione e geofisici sino alle massime profondità marine, che le hanno permesso di raggiungere nel tempo un successo scientifico paragonabile a quello dei mezzi navali dei principali centri di ricerca europei;
   sono oltre 300 le campagne oceanografiche che sono state condotte dalla nave Urania, ammiraglia della flotta del Consiglio nazionale delle ricerche nei mari italiani e mediterranei e di queste, ben 25 nel solo 2011, con 327 giorni-nave e il coinvolgimento di 277 ricercatori, afferenti al Cnr e ad altre istituzioni di ricerca italiane o estere;
   i risultati scientifici ottenuti grazie all'utilizzo della nave Urania sono testimoniati dal consistente numero di pubblicazioni, progetti e collaborazioni nazionali e internazionali sviluppati, come: il progetto del VII Programma quadro Eurofleets e SeaDataNet-II, per realizzare un'infrastruttura europea integrata di accesso ai dati marini; il progetto Magic finanziato dal Dipartimento della protezione civile ed il programma europeo E-Surfmar che ha visto l'installazione a bordo dell'Urania della stazione meteorologica Batos –:
   in che modo e con quali tempi il Governo intenda muoversi per quanto di competenza e, d'intesa con il Consiglio nazionale delle ricerche, per rimediare ai danni prodottisi a seguito del grave incidente, che ha coinvolto la nave oceanografica Urania e cosa intenda fare in futuro per permettere ai ricercatori dell'ente di fornire un importante contributo al rilancio della politica marittima di tutta l'Unione europea, dato che una qualificata rete di sinergie scientifiche e l'ausilio di una strumentazione così tecnologicamente avanzata hanno permesso all'Italia di raggiungere una posizione leader a livello europeo nel campo della ricerca marina. (5-06415)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DALLAI, DI SALVO, MORANI, MORETTO, NARDI, FANUCCI, VAZIO, GHIZZONI, MARCO DI MAIO, GADDA, FREGOLENT e COPPOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Cesd Srl è un'azienda, attiva dal 1995 ad oggi, nei corsi di formazione e di insegnamento rivolti sia a soggetti che hanno come finalità, il recupero degli anni scolastici «persi» (grandi scuole), sia a studenti universitari che necessitano di aiuto per la preparazione degli esami (Cepu – Centro europeo preparazione universitaria);
   il gruppo presenta circa 120 sedi dislocate in tutta Italia e si avvale di circa tremila docenti denominati «tutor»;
   tali «tutor» sono stati, nella maggior parte, assunti nel corso degli anni con contratti di collaborazione atipici (co.pro., partite iva, lavoratori in somministrazione) nonostante si siano istaurati rapporti di lavoro spesso decennali;
   secondo quanto è emerso da organi di informazione nel mese di giugno 2015 il gruppo Cesd avrebbe chiesto tribunale di Milano il «concordato preventivo». La società verserebbe infatti da anni in una grave crisi finanziaria aggravata anche da contenziosi aperti con Inps ed Inal;
   tale crisi ha portato l'azienda a chiudere progressivamente le sedi presenti sul territorio nazionale ed a licenziare i dipendenti nel corso del 2015;
   sempre da quanto è emerso da fonti stampa i tutor con contratti di collaborazione non potrebbero accedere alle indennità di disoccupazione, in quanto l'azienda non avrebbe versato regolarmente i contributi previdenziali trattenuti al dipendente;
   con il Jobs Act è stata infatti istituita, anche per i collaboratori coordinati e continuativi ed a progetto, una indennità di disoccupazione denominata «Dis-Coll»; tale indennità spetta a chi ha perso il lavoro tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2015 ed è iscritto alla sola gestione separata dell'Inps senza essere né pensionato né in possesso di partita iva. Per ottenere questa indennità i collaboratori devono avere versato almeno 3 mesi di contributi a partire dal primo gennaio 2014, di cui una mensilità deve essere nel 2015 –:
   se quanto esposto in premessa relativamente al mancato pagamento, da parte del gruppo Cesd srl, dei contributi previdenziali trattenuti ai collaboratori con contratti atipici ed alla richiesta dell'azienda del «concordato preventivo», trovi conferma;
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda conseguentemente assumere affinché, anche nell'ambito della procedura di «concordato preventivo», il gruppo Cesd srl regolarizzi i contributi non versati per i propri dipendenti;
   se non ritenga indifferibile assumere iniziative per definire ulteriori norme di tutela per i lavoratori atipici affinché la «Dis-Coll» possa essere riconosciuta anche qualora sussistano delle irregolarità dei versamenti da parte dell'azienda al fine di non penalizzare ulteriormente tale categoria di dipendenti. (5-06418)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BLAZINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ISEE, indicatore della situazione economica equivalente, consente alle famiglie italiane che ne fanno richiesta di accedere, a condizioni agevolate, alle prestazioni sociali o ai servizi di pubblica utilità, attraverso diverse riduzioni fiscali e agevolazioni, tra le quali si ricordano quelle sulle tasse universitarie e le borse di studio;
   al fine di rendere più corretta la misurazione della condizione economica delle famiglie, e quindi migliorare l'equità nell'accesso alle prestazioni, tale indicatore è stato recentemente riformato, con una nuova disciplina valida dal 1o gennaio 2015 e introdotta dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, in attuazione dell'articolo 5, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   nella compilazione della DSU, dichiarazione sostitutiva unica, è previsto che i possessori di libretti di risparmio debbano indicare, per l'anno di riferimento, l'importo del saldo al 31 dicembre e il valore della giacenza media;
   le cooperative operaie di Trieste sono recentemente fallite, comportando nel 2014 il congelamento dei libretti di tutti i risparmiatori che avevano scelto questa forma di piccolo investimento;
   la fase di rimborso di questi titoli è stata avviata nel corso del 2015, ma non si concluderà fino al 2016: con una prima tranche è stato restituito il 30 per cento del valore nominale di ogni libretto di risparmio e successivamente un ulteriore 20 per cento;
   da notizie di stampa si evince che con una terza rata, che verrà accreditata entro la fine dell'anno in corso, l'ammontare della restituzione sarà dei due terzi del valore nominale; la quarta ed ultima rata, da previsioni, farà si che il rimborso ricevuto dai risparmiatori sarà garantito soltanto fino a circa l'81 per cento del valore nominale di ogni libretto;
   molti di questi risparmiatori, pur rivolgendosi ai CAAF per espletare le pratiche necessarie alla compilazione dell'ISEE, stanno riscontrando numerose difficoltà nell'individuazione certa degli importi da indicare nella dichiarazione sostitutiva unica affinché la situazione patrimoniale che emerge dall'indicatore sia veritiera;
   in particolare, il valore nominale di questi libretti di risparmio risulta, a partire dal 2014, nettamente superiore al valore reale dell'investimento: tale disparità, qualora non emerga chiaramente nella dichiarazione sostituiva unica, potrebbe pregiudicare la possibilità per il cittadino di ottenere alcune agevolazioni, anche in materia di diritto allo studio;
   al dubbio interpretativo sugli importi da indicare per i libretti di risparmio relativi al 2014 si aggiunge, a partire dalle dichiarazioni che saranno riferite all'anno in corso, anche quello che riguarda le modalità per dichiarare i parziali rimborsi ricevuti;
   anche attraverso l'aiuto dei comitati a tutela dei risparmiatori, la richiesta di un chiarimento della normativa vigente sulla compilazione dell'ISEE è già stata avanzata dai cittadini alle istituzioni locali, prive però di competenza specifica sulla materia –:
   se il Governo sia a conoscenza della particolare situazione nella quale versano i risparmiatori in possesso del libretto di risparmio delle ex cooperative operaie di Trieste e quali iniziative si intendano assumere per garantire loro adeguati livelli di tutela;
   se si ritenga opportuno intervenire al fine di fornire ai cittadini coinvolti dei chiarimenti circa le richiamate modalità di compilazione dell'ISEE relativo al 2014, anno in cui i risparmiatori non potevano disporre delle somme iscritte nel libretto, e degli anni successivi, durante i quali sono stati accreditati in diverse tranche i rimborsi parziali, anche valutando l'adozione di una circolare interpretativa che chiarisca casi analoghi. (4-10393)


   CECCONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 9 settembre 2015, l'assessore ai servizi sociali di Fano, Marina Bargnesi, rendeva noto a mezzo stampa di aver provveduto al licenziamento della dirigente Sonia Battistini, dal suo ruolo di coordinatrice dell'ambito territoriale sociale 6 della regione Marche;
   la Battistini coordinava da sette anni l'ATS che fa capo al comune capofila di Fano e gestisce i servizi sociali per altri 11 comuni limitrofi;
   a inizio dell'anno 2015 aveva inizio un iter tale per cui la procura apriva un'indagine a carico della Battistini in relazione alle modalità di assegnazione degli incarichi alle cooperative sociali;
   contestualmente, i consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle depositavano un'interrogazione presso il consiglio comunale allo scopo di chiedere chiarimenti sulle modalità di gestione dell'ambito territoriale sociale;
   in particolare, come si legge nel verbale n. 31 del collegio dei revisori dei conti del comune di Fano, del 6 agosto 2015, il servizio controllo regolarità amministrativa e contabile (SCRAC) ha evidenziato una serie di criticità molto gravi, tali da impedire che si dia corso alle richieste di pagamento da parte delle cooperative sociali che hanno svolto i servizi negli anni 2013 e 2014;
   in conseguenza di ciò, l'ufficio ragioneria ha bloccato compensi per 500.000 euro alle cooperative, mentre la regione ha bloccato in via precauzionale altri 620.000 euro, per un ritardo nella consegna dei documenti quali, ad esempio, il piano attuativo annuale da parte dell'ambito 6;
   allo stato attuale il coordinamento dell'ATS 6 risulta vacante e l'amministrazione comunale di Fano, comune capofila della convenzione intercomunale, fa sapere che il ruolo verrà ricoperto da vincitore di regolare concorso che verrà bandito entro un paio di mesi;
   contestualmente, i pagamenti alle cooperative sociali che hanno svolto regolare servizio nei territori dell'ambito 6 risultano bloccati, con grave danno per i lavoratori delle stesse, che rischiano di non percepire compenso per il lavoro regolarmente svolto –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda intraprendere per tutelare i lavoratori delle cooperative sociali coinvolte nella vicenda. (4-10395)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, NICCHI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del 40esimo anno di vigore della legge n. 405 del 1975, che ha istituito i consultori familiari, la testata L'Espresso, nella sua edizione telematica, ha pubblicato una inchiesta sullo stato dei consultori in Italia (16 settembre 2015);
   secondo i redattori, a partire dal 2004, è possibile riscontrare per queste strutture un sensibile deficit di servizio pubblico, colmato in parte da organizzazioni di orientamento cattolico, che tuttavia, avendo un orientamento non «neutro» rispetto ad alcune attività dei consultori, come l'interruzione di gravidanza, condizionano spesso in modo invadente la libertà di scelta delle utenti;
   uno dei problemi maggiormente riscontrati, in merito alla diffusa presenza di centri di orientamento religioso, è l'alta presenza di obiettori di coscienza (mediamente, in Italia, un ginecologo consultoriale su 4, con concentrazioni significative in alcune realtà), che comporta una conseguente difficoltà per le donne intenzionate ad interrompere la propria gravidanza;
   l'articolo riporta il caso «eclatante» delle Marche, dove a seguito dei colloqui per l'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) «viene rilasciato un solo certificato per ogni 12,3 donne che lo hanno chiesto»;
   le difficoltà ad accedere all'interruzione volontaria di gravidanza nelle Marche, anche a causa della presenza dei gruppi «pro-vita» all'interno di consultori pubblici, era già stata segnalata dall'interrogante in un precedente atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta scritta n. 4-02709 presentato dalla prima firmataria del presente atto il 27 novembre 2013, seduta n. 126), con il quale si chiedeva al Ministro interrogato se non ritenesse opportuno chiarire «i limiti della presenza e delle prerogative di enti o associazioni presenti presso i consultori o dei quali i consultori si avvalgono, in modo che la loro attività sia compatibile con le finalità previste dalla legge n.194 del 1978»;
   l'articolo di stampa citato sottolinea come in molti casi il consultorio pubblico sia diventato una sorta di front-office per dirottare le donne intenzionate ad interrompere la gravidanza verso i Centri per la vita (Cav), con lo scopo di convincerle a proseguire la stessa, anche mediante profferta di sostegni economici e altre forme di assistenza (secondo i dati del Movimento per la vita le donne inviate dai consultori ai Cav ammonterebbero al 7 per cento del totale);
   i Cav sono strutture-private che beneficiano tuttavia, per il 68 per cento delle entrate, di contributi pubblici, principalmente (58 per cento) da parte di comuni, province, asl;
   l'inchiesta segnala, inoltre, la tendenza di diversi consultori a dirottare verso strutture ospedaliere casi di «utenza difficile» (di loro pertinenza), comportando in questo modo uno snaturamento della loro funzione ed un conseguente aggravio per le strutture ospedaliere che devono farvi fronte –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati dall'inchiesta citata e se essi trovino conferma;
   ferma restando la competenza attuale sull'organizzazione e sulla gestione dei consultori da parte delle regioni, quali iniziative di competenza anche normative intenda adottare per rendere effettivo il diritto delle donne ad accedere all'interruzione volontaria di gravidanza in modo libero e presso strutture laiche ed efficienti. (5-06409)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIULIANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 settembre 2015 presso la sede ASL RME di Piazza S. Zaccaria Papa di Roma è avvenuto un grave episodio ai danni di una donna all'8o mese di gravidanza alla quale è stato vietata la cosiddetta «corsia preferenziale» per effettuare alcune analisi specifiche di routine;
   nello specifico, il divieto sembra essere stato sancito da un'ordinanza della direttrice del distretto 14 Asl RME, dottoressa Maria Rosaria Romagnuolo, che vieta alle donne in gravidanza (eccetto quelle a rischio) il diritto di precedenza in caso di fila;
   nonostante la gestante si sia scrupolosamente adeguata al divieto ed alle disposizioni del personale infermieristico attendendo il proprio turno per più di un'ora in una saletta angusta, affollata e senza aria condizionata, alla fine le è stato impedito di fare i prelievi richiesti, comunicandole che era troppo tardi per effettuare il tipo di analisi di cui aveva bisogno;
   la donna, all'ottavo mese di gravidanza, si è quindi recata presso gli uffici del direttore per chiedere spiegazioni circa l'accaduto, ma oltre ad esserle negata la possibilità di visionare il contenuto della suddetta ordinanza – non affissa nei locali dell'ambulatorio – è stata invitata in malo modo a ripresentarsi nei giorni seguenti;
   il distretto sanitario dovrebbe esercitare la funzione di tutela della salute dei propri assistiti che si esprime attraverso: il ruolo di garante dell'accesso ottimale alle prestazioni, l'appropriatezza delle risposte ai bisogni espressi dai cittadini e la qualità dei servizi e dell'unitarietà dei percorsi assistenziali. Rappresenta, inoltre, il luogo in cui le sinergie a livello di rilevazione dei bisogni, programmazione, erogazione e valutazione dei servizi trovano il loro ambiente di azione, così da fornire una risposta completa ai bisogni di assistenza territoriale;
   attualmente seppur non esista una normativa specifica che preveda la «corsia preferenziale» per le donne incinte, si registrano con sempre maggior frequenza diverse iniziative locali volte a tutelare la salute delle donne in gravidanza, evitando lunghe attese che potrebbero affaticare o compromettere la salute della mamma e del bambino;
   la gravidanza, infatti, impone dal punto di vista medico e sanitario alcune restrizioni oggettive dovute allo stato fisiologico della donna e specifiche precauzioni – tra le quali quella di evitare ambienti affollati ed insalubri – sono raccomandabili;
   stupisce e preoccupa quindi l'iniziativa presa dalla direttrice di una azienda sanitaria locale e la relativa diffusione di una circolare ad hoc che esplicita il divieto per le donne in gravidanza di evitare la coda –:
   se il Ministro interrogato, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, sia a conoscenza dei fatti riportati e quali siano, per quanto di competenza, i suoi orientamenti in merito;
   se reputi utile assumere iniziative per la definizione, in collaborazione con le regioni, di specifiche linee guida riguardanti la tutela delle donne incinte, per evitare il ripetersi di casi analoghi.
(4-10401)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 187 del 13 agosto 2015 veniva pubblicata la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   in particolare, l'articolo 8, comma 1, lettera a), del testo prevede, tra le altre cose, l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia;
   in data 4 settembre 2015 il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno con nota n. 555/RS//01/7I/7770 convocava le organizzazioni sindacali della polizia di Stato per «avvio del confronto sui decreti attuativi di cui all'articolo 8 della legge 7 Agosto 2015, n. 124»;
   la materia si presenta di estrema complessità tecnica anche in termini di eventuali ricadute di carattere operativo, di status giuridico-professionale e previdenziale su operatori di una forza di polizia qual è il Corpo forestale dello Stato –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano doveroso, o comunque opportuno, in considerazione della convocazione delle organizzazioni sindacali della polizia di Stato per il settore di interesse, di incontrare le organizzazioni sindacali di categoria per esporre le linee che il Governo intenderà seguire nella stesura degli eventuali decreti attuativi;
   se non ritengano utile istituire un tavolo di lavoro tra i tecnici del dipartimento della funzione pubblica, l'amministrazione interessata e i rappresentanti dei lavoratori del Corpo forestale dello Stato. (4-10391)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARTINI, BALDASSARRE e SEGONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Pirelli è presente a Figline Valdarno dagli anni ’60 e produce cordicelle metalliche per pneumatici, con quasi 400 lavoratori;
   il 13 febbraio 2014 regione Toscana e provincia di Firenze hanno sottoscritto a Roma, presso il Ministero dello sviluppo economico, l'accordo con le organizzazioni sindacali per l'ex stabilimento Pirelli di Figline Valdarno che è stato successivamente acquisito dalla multinazionale belga Bekaert;
   «L'accordo sottoscritto garantisce ai circa 400 lavoratori la permanenza dello stabilimento a Figline e di tutte le attività produttive (manifattura dello “steel cord” e ricerca e sviluppo) fino al 31 dicembre 2017, con il mantenimento dei volumi produttivi dell'ultimo biennio» è quanto sottolineato in una nota della regione;
   l'accordo è stato approvato dai lavoratori e a dicembre 2014 la divisione Steel Cord, la Business Unit Steelcord è passata ufficialmente a Bekaert: «È avvenuto il passaggio ufficiale da Pirelli a Bekaert — ha commentato la sindaca di Figline e Incisa Valdarno, Giulia Mugnai —. È un giorno importante, in cui i sentimenti e i ricordi affiorano e si mischiano: la preoccupazione di un anno fa, i presidi davanti allo stabilimento, la malinconia di una storia lunga che si è legata a doppio filo con quella del nostro territorio. Ma oggi mi piace soprattutto pensare che quella storia non finisce, perché i 400 lavoratori sono già pronti per scriverne un nuovo capitolo. A noi istituzioni — Comune, Città metropolitana e Regione — spetta invece il compito di creare le condizioni affinché quello stabilimento diventi un polo della ricerca e dell'innovazione collegato alla Firenze industriale»;
   l'accordo siglato fornisce garanzie occupazionali e produttive per lo stabilimento di Figline solo fino al 2017 e alla luce di questa scadenza è opportuno monitorare l'attuazione del programma di investimenti e creare le condizioni per la salvaguardia di questa fondamentale realtà produttiva che è presente in Valdarno da 55 anni;
   il 10 settembre 2015 si è svolto un incontro nella sede fiorentina di Confindustria tra proprietà e sindacati. La proprietà avrebbe individuato una nuova missione industriale per lo stabilimento di Figline, che diventerà il centro di ricerca e sviluppo europeo per l'intero gruppo. Al contempo però gli accordi sottoscritti al Ministero prevedono un efficientamento dell'esercizio, con un 15 per cento di esuberi della forza lavoro. L'accordo sottoscritto al Ministero dello sviluppo economico prevede infatti che la nuova proprietà possa avviare una procedura di licenziamento, in accordo con le rappresentanze sindacali unitarie, per un limite massimo del 15 per cento della forza lavoro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se possa illustrare il piano industriale presentato da Bekaert per lo stabilimento di Figline e lo stato di attuazione dell'accordo sottoscritto a febbraio 2014, specificando se siano stati al momento garantiti gli investimenti concordati con la nuova proprietà;
   se reputi opportuno la convocazione di un tavolo di confronto ministeriale per valutare lo stato di attuazione dell'accordo;
   quali iniziative abbia intrapreso ed intenda intraprendere – di concerto con le istituzioni locali – per garantire i livelli occupazionali e produttivi dello stabilimento di Figline Valdarno dopo il 2017. (4-10388)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa locale e nazionale che Poste Spa ha deciso unilateralmente di chiudere su tutto il territorio nazionale circa 455 uffici postali e di razionalizzare, anche rimodulando gli orari di apertura e l'organizzazione di altri 609 uffici;
   per il Friuli Venezia Giulia si era prospettata, in un primo momento, la chiusura di 19 uffici postali e la riduzione oraria di altri 9 ma, a seguito delle rimostranze delle organizzazioni sindacali, tra cui il Sindacato dei pensionati, di ANCI (Associazione dei comuni italiani), di UNCEM (Unione delle comunità montane) e della regione Friuli Venezia Giulia, Poste Spa aveva sospeso, il 18 marzo 2015 il piano di riorganizzazione;
   l'articolo del quotidiano on line Messaggeroveneto.it del 6 agosto 2015 comunica che è stata annunciata da Poste Spa la chiusura di 16 uffici postali in Friuli Venezia Giulia, a partire dal 7 settembre, contravvenendo agli impegni assunti il 25 maggio 2015, durante un incontro tra ANCI, UNCEM, la regione Friuli Venezia Giulia e i rappresentanti di Poste Spa, di sospendere le chiusure e di attuare un nuovo piano di razionalizzazione dopo aver sentito la regione;
   inoltre, l'articolo di stampa precisa che il presidente regionale dell'ANCI, Mario Pezzetta, ha rivolto l'invito ai comuni interessati dalle chiusure a considerare la possibilità di presentare un ricorso al TAR sulla scorta di quel che fece il comune di Buja (Udine) nel 2012, che ha visto soccombere Poste Spa;
   il comune di Buja aveva presentato un ricorso al TAR del Friuli Venezia Giulia per l'annullamento dei provvedimenti con cui Poste Spa aveva disposto la chiusura, dal 23 gennaio 2012, degli uffici postali di Urbignacco e Madonna di Buja;
   il TAR, con sentenza n. 332 del 15 luglio 2015, ha accolto il ricorso del comune condannando Poste Spa al pagamento delle spese legali e a dare esecuzione alla sentenza;
   dall'articolo de Il Piccolo del 30 agosto 2015 si legge che il sindaco di Dolegna (Gorizia), comune ove l'ufficio postale subirà una riduzione di orario a partire dal 14 settembre, ha espresso il proprio disaccordo, temendo che la riduzione di orario sia la premessa alla chiusura del servizio;
   nell'articolo de Il Piccolo del 31 agosto 2015 viene riportata la notizia che il comune di San Dorligo della Valle – Dolina (Trieste), a seguito della notizia della chiusura dell'ufficio postale di Sant'Antonio in Bosco, prevista per il 7 settembre, ha presentato una «Istanza di autotutela» con cui, oltre a chiedere la revoca della decisione, sottolineando inoltre che essa costituisca un «rilevantissimo pregiudizio per l'intera comunità locale»-:
   se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa e quali altri elementi abbia in suo possesso;
   quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di scongiurare la chiusura degli uffici postali, che rappresentano un servizio essenziale soprattutto per gli anziani e la popolazione che vive in territori montani con particolari problemi di viabilità legati alla morfologia del territorio e agli eventi climatici;
   se non ritenga utile attivarsi per creare un tavolo di lavoro tra Poste Spa e regioni italiane per mettere a punto un piano di razionalizzazione che tenga presente le reali esigenze dei cittadini che usufruiscono del servizio di Poste Spa e scongiurare l'avvio di nuovi contenziosi. (4-10394)


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 28 della legge 11 agosto 2014, n. 114 recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa nonché ai sensi dell'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche sono state previste una serie di misure volte a riformare il sistema delle camere di commercio;
   nello specifico, l'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, attraverso una delega conferita al Governo, prevede una riforma dell'organizzazione, delle funzioni, e del finanziamento delle camere di commercio. Nello specifico è stabilita una ridefinizione delle circoscrizioni territoriali con una riduzione del numero delle attuali camere di commercio da 105 a non più di 60 mediante un accorpamento di due o più delle stesse. L'articolo 10 precisa, altresì, che la singola camera non dovrà subire alcun tipo di accorpamento qualora registri una soglia dimensionale minima di 75.000 imprese;
   alla luce della normativa sopra esposta, la camera di commercio di Chieti ha intrapreso volontariamente un procedimento di accorpamento con la camera di commercio di Pescara, considerato che la camera di commercio di Chieti registra attualmente 53.544 imprese e, dunque, ha l'obbligo di procedere all'accorpamento con un'altra camera di commercio;
   il procedimento di accorpamento in questione si è aperto con la delibera della giunta della camera di commercio di Chieti nr. 127 del 4 novembre 2014;
   il 14 luglio 2015 alcuni consiglieri della camera di commercio di Chieti hanno richiesto alla Corte dei Conti della regione Abruzzo di prendere visione di alcuni documenti contabili della camera di commercio di Pescara;
   il 22 luglio l'istanza rigettata, in quanto la Corte ha stabilito che l'accesso della documentazione in questione «non è ricompresa nella sfera di applicazione della legge n. 241 del 1990» rimandando la competenza alla sua sede appropriata da rinvenirsi nel Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento della ragioneria dello Stato — IFG — servizio ispettivo di finanza pubblica — Settore II;
   il 29 luglio 2015 dieci consiglieri della camera di commercio di Chieti hanno inviato al Ministero dello sviluppo economico una richiesta di sospensione in autotutela del procedimento di fusione, «avendo appreso nei giorni scorsi alcuni elementi che potrebbero inficiare le decisioni prese dagli organi della camera di commercio I.A.A di Chieti in ordine al procedimento in atto di accorpamento in atto con la camera di commercio I.A.A. di Pescara» fino a quando non vi sarà chiarezza e trasparenza a seguito dell'esame dei bilanci delle due camere di commercio;
   in data 10 agosto 2015, la giunta della camera di commercio di Chieti ha affidato l'incarico di verificare i bilanci della camera di commercio di Pescara e delle sue partecipate al segretario generale di Chieti, il quale, pur manifestando perplessità per le difficoltà di effettuare un'analisi completa basandola solo su dati pubblici e limitate informazioni e documenti, ha adempiuto al compito, rimettendo una relazione da cui si evincono una serie di aspetti e criticità che andrebbero certamente approfonditi prima di procedere alla fusione –:
   di quali elementi disponga il Governo circa i fatti sopra esposti, se trovino conferma le criticità evidenziate dalla relazione del segretario generale della camera di commercio di Chieti sulla situazione economica e finanziaria della camera di commercio di Pescara, e quali iniziative si intendano assumere in relazione alla richiesta inviata al Ministro dello sviluppo economico dai consiglieri di cui in premessa. (4-10397)


   SCAGLIUSI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Kipoint s.p.a nasce nel 2002 ed è, ancora oggi, la rete di negozi in franchising di SDA gruppo Poste italiane che opera come centro servizi per spedizioni nazionali e internazionali, servizi di imballaggio, servizi di fotocopisteria ed invio fax, stampa digitale, mailing e direct mailing e come rivenditore a catalogo di prodotti di cancelleria e cartoleria;
   tra il 2005 e il 2010 oltre 100 franchisee hanno chiuso il proprio punto vendita Kipoint dal momento che le previsioni, indicate dai proponenti il franchising, di fatturato annuo realizzabile «a regime» di 200.000 euro, sono risultate a dir poco azzardate, inattendibili e infondate;
   con provvedimento assunto nell'adunanza del 30 marzo 2010, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito anche solo l'Autorità o l'AGCM) ha ritenuto sussistere una fattispecie di pubblicità ingannevole, ai sensi degli articoli 1 e 3 del decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, in relazione al materiale pubblicitario diffuso dalla società Posteshop s.p.a. al fine di promuovere la rete in franchising Kipoint, ne ha vietato l'ulteriore diffusione ed ha irrogato alla società la sanzione pecuniaria di euro 100.000,00;
   la Posteshop s.p.a. ha impugnato il provvedimento contestando la riconducibilità della fattispecie stessa nel perimetro applicativo del decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, nonché la lesione dell'interesse costituzionalmente tutelato alla libertà di iniziativa economica privata, la violazione dei precetti costituzionali di imparzialità e buona amministrazione, per essere mancato un adeguato procedimento istruttorio finalizzato a dimostrare l'erroneità della condotta della società nei confronti degli affiliati, l'inidoneità di interviste rese a giornali specializzati ad assurgere a pubblicità ed a fondare un giudizio di responsabilità della società, l'erronea valutazione dei fatti da parte dell'Autorità, che avrebbe estrapolato alcune frasi, che, avulse dal contesto, avrebbero condotto a valutazioni incongrue e dimentiche del fatto che gli affiliati sono imprenditori e quindi soggetti consapevoli ed informati;
   con l'impugnata sentenza n. 36113 del 2010 il tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha respinto il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure;
   con ordinanza 21 dicembre 2012, n. 6636, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia dell'Unione europea la seguente questione pregiudiziale: «se la direttiva 2006/114/CE debba interpretarsi, quanto alla tutela dei professionisti, riferita alla pubblicità che sia al contempo ingannevole ed illegittimamente comparativa ovvero a due distinti illeciti, anche autonomamente rilevanti, costituiti, rispettivamente, dalla pubblicità ingannevole e dalla pubblicità illegittimamente comparativa». La Corte di giustizia, sezione VIII, con sentenza 13 marzo 2014, C-52/13, ha risposto a detta questione interpretativa dichiarando: «La direttiva 2006/114/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, deve essere interpretata nel senso che, per quanto riguarda la tutela dei professionisti, essa si riferisce alla pubblicità ingannevole e alla pubblicità illegittimamente comparativa come a due infrazioni autonome e che, al fine di vietare e sanzionare una pubblicità ingannevole, non è necessario che quest'ultima costituisca al contempo una pubblicità illegittimamente comparativa»;
   in data 28 gennaio 2014, l'interrogante presentava una interrogazione a risposta scritta (n. 4-03306), poi trasformata in interrogazione a risposta in Commissione (n. 5-02112), con la quale chiedeva al Ministro dello sviluppo economico, tra le altre cose, «se non ritenga urgente valutare l'assunzione di iniziative per l'erogazione in tempi rapidissimi di un indennizzo sufficiente a consentire ai franchisee danneggiati di ottemperare agli impegni economici intrapresi, evitando soluzioni limite, quali la vendita della prima casa». In data 15 ottobre 2014, in occasione dello svolgimento dell'interrogazione in Commissione, il Viceministro De Vincenti, designato a rispondere, non forniva elementi in relazione al quesito di cui sopra;
   il 4 settembre 2015 il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato da Posteshop in merito alla decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), che ha ritenuto sussistere una fattispecie di pubblicità ingannevole in relazione al materiale pubblicitario diffuso dalla società Posteshop s.p.a. al fine di promuovere la rete in franchising Kipoint, ne ha vietato l'ulteriore diffusione ed ha irrogato alla società la sanzione pecuniaria di euro 100.000,00;
   ad oggi, è ancora disponibile il form di adesione a Kipoint sul sito istituzionale www.kipoint.it nonostante la sentenza di cui sopra vieti l'ulteriore diffusione di materiale pubblicitario finalizzato alla promozione della rete in franchising –:
   se non si ritenga urgente valutare l'assunzione di iniziative per l'erogazione in tempi rapidissimi di un indennizzo sufficiente a consentire ai franchisee danneggiati di ottemperare agli impegni economici intrapresi, evitando soluzioni limite, quali la vendita della prima casa;
   per quale motivo la Posteshop s.p.a. prosegua nella sua attività di promozione della rete in franchising Kipoint e quali iniziative di competenza si intendano assumere in difesa di cittadini potenzialmente interessati all'adesione. (4-10402)

Apposizione di una firma
ad una mozione.

  La mozione Preziosi e altri n. 1-00857, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Apposizione di una firma
ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Arlotti e altri n. 7-00773, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cova.

Apposizione di una firma
ad una interpellanza.

  L'interpellanza Causin n. 2-01072, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rubinato.

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Battaglia n. 5-04675, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benamati.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Iacono n. 5-06326, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Realacci, Gianni Farina, Blazina, Amato, Cimbro, Malisani, Patrizia Maestri, Miccoli, La Marca, Terrosi, Lattuca, Famiglietti, Cenni, Mariani, Manfredi, Grassi, Tino Iannuzzi, Albini, Cani, Zan, Parrini, Albanella, Amoddio, Marzano, Salvatore Piccolo, Manzi, Garavini, Marco Di Maio, Paola Boldrini, Tacconi, Rostellato, Chaouki, Carra, Capone, Giuseppe Guerini, Campana, Quartapelle Procopio, Magorno, Laforgia, Patriarca, Ragosta, Bossa, Piazzoni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cenni e altri n. 5-06376, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Censore.

  L'interrogazione a risposta scritta Giulietti e altri n. 4-10364, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Patrizia Maestri, Romanini.

Pubblicazione
di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Di Benedetto n. 5-06381, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 482 del 15 settembre 2015.

   DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere –, premesso che:
   già in una recente interrogazione (n. 5-03877), avente ad oggetto il crollo di una scuola palermitana, il Sottosegretario Barracciu rispondeva che l'edilizia scolastica era al centro del programma di Governo, elencando gli innumerevoli stanziamenti messi in campo;
   il Sottosegretario non riferiva, però, dei ritardi che caratterizzavano l'erogazione degli stessi stanziamenti;
   in particolare, si fa riferimento ai 905 milioni di euro del cosiddetto piano BEI (Banca europea per gli investimenti) a favore dell'edilizia scolastica, disciplinati dall'articolo 10 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito dalla legge 8 novembre 2013, n. 128;
   quest'ultima rimandava a numerosi decreti la fissazione delle modalità di attuazione. Il primo di essi è stato il decreto interministeriale 23 gennaio 2015, che doveva essere emanato nel mese di febbraio 2014, ovvero decorsi tre mesi dall'entrata in vigore della legge su citata;
   un altro decreto interministeriale, invece, quello più importante per la stipula dei mutui in discorso, pur già sottoscritto dai tre Ministri competenti (Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), è attualmente fermo in attesa della registrazione da parte della Corte dei conti. Anche in questo caso il ritardo è considerevole, poiché la data prevista era il 31 maggio 2015;
   tali circostanze comportano un necessario differimento del termine del 31 ottobre 2015, imposto ai comuni per poter usufruire della somma messa a disposizione dai mutui BEI. Le amministrazioni locali, infatti, pur avendo già predisposto la documentazione necessaria, non possono procedere all'attivazione delle procedure di gara fin quando il decreto attuativo non sarà emanato;
   ciò è confermato dall'Autorità nazionale anticorruzione che rileva che, ai fini dell'indizione delle gare d'appalto da parte degli enti locali, sia necessario e sufficiente attendere l'adozione del decreto interministeriale che autorizza le regioni alla stipula dei mutui;
   inoltre, analoghi ritardi hanno interessato l'erogazione dell'otto per mille per l'edilizia scolastica. Anche in questo caso, infatti, i comuni, pur avendo predisposto la documentazione richiesta, sono stati costretti ad operare i primi interventi di ristrutturazione, messa in sicurezza, miglioramento, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico, con proprie risorse, e attualmente, sono, in attesa della firma dei decreti di ripartizione dei contributi, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   a decorrere dal 27 maggio 2014, è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la «Struttura di missione per il coordinamento e impulso nell'attuazione di interventi di riqualificazione di edilizia scolastica», con compiti di impulso e coordinamento delle strutture competenti dei Ministeri, individuazione delle problematiche connesse alla mancata attuazione degli interventi finanziati e formulazione delle proposte di soluzione, individuazione e ricognizione delle fonti di finanziamento e degli interventi finanziati in materia di edilizia scolastica e monitoraggio dello stato di attuazione di questi ultimi;
   un'efficiente azione amministrativa non può essere caratterizzata da ritardi sistematici e dal mancato rispetto dei termini di legge per l'emanazione dei decreti attuativi. Tali inefficienze si ripercuotono dalle amministrazioni centrali a quelle locali, già vessate –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
   quali attività saranno intraprese dalla struttura di missione per l'edilizia scolastica per superare i sistematici ritardi di attuazione degli interventi finanziati.
(5-06381)

   Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Giulietti n. 4-10364, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 483 del 16 settembre 2015.

   GIULIETTI, EPIFANI, SERENI, ASCANI, VERINI, PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   fino al 31 agosto 2016 è vigente l'accordo stipulato nell'agosto 2014 in sede di Confindustria tra la Nestlé e la rappresentanza sindacale unitaria sul contratto di solidarietà. È importante ricordare che si è giunti a quell'accordo dopo che Nestlé aveva dichiarato la presenza di 210 esuberi in fabbrica, dati da un calo dei volumi produttivi, e che per la prima volta da quando la Perugina è a San Sisto la produzione quest'anno scenderà al di sotto delle 25.000 tonnellate;
   Perugina, con i suoi oltre cento anni di storia, è una fabbrica che ha avuto sempre un periodo dell'anno caratterizzato da una flessione dei volumi produttivi di circa tre mesi e pertanto gestibile con accordi tra le parti (ad esempio, la pianificazione delle ferie). Oggi invece il periodo di cosiddetta curva bassa produttiva è di oltre cinque mesi;
   è fondamentale mettere in campo una nuova e determinata strategia che consenta in primis di rafforzare i prodotti, in modo particolare il Bacio che è il prodotto principale e che permette di entrare nei mercati esteri, essendo un traino anche per altri prodotti a marchio Perugina. Ma occorre anche portare a San Sisto (Perugia) nuove produzioni e sviluppare una nuova strategia aziendale nei settori biscotti e caramelle;
   nello stabilimento di San Sisto (Perugia) i lavoratori a tempo indeterminato hanno visto una forte riduzione del salario, ed i lavoratori stagionali (circa 250) hanno davanti un futuro molto nebuloso, considerando che ad oggi nello stabilimento sono rientrati solo 25 stagionali dal 1o settembre;
   analoga situazione di indeterminatezza si riscontrerebbe anche nello stabilimento di Parma specializzato nella produzione di gelati. Comparto che, come noto, risente di una significativa stagionalità;
   è fondamentale capire quali siano le intenzioni della multinazionale Nestlé su Perugia, Parma e sugli altri stabilimenti del settore in Italia, a fronte di scelte aziendali poco comprensibili e di un calo di produzione evidente nella gran parte degli stabilimenti italiani che occupano complessivamente oltre 3000 persone;
   è necessario sapere se la Nestlé ritiene ancora l'Italia un Paese in cui produrre o solo dove commercializzare i propri prodotti –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative al fine di conoscere le scelte aziendali che riguardano gli stabilimenti italiani di Nestlé al fine di sapere se l'Italia resta un Paese strategico per la stessa Nestlé;
   se intenda attivarsi perché dette scelte aziendali (a partire dallo stabilimento di San Sisto, Perugia e Parma) siano indirizzate a tutela della qualità delle produzioni, dando prospettive di crescita e garantendo i lavoratori, anche a fronte di dati sui volumi della produzione tutt'altro che incoraggianti. (4-10364)

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Pagano n. 2-01069 del 9 settembre 2015.

Trasformazione di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Martella e altri n. 3-01609 del 9 luglio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10389.