Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 14 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    secondo gli ultimi dati forniti dalle associazioni dei consumatori quasi un reclamo su due (il 46 per cento delle segnalazioni raccolte nell'intero settore energetico) è causato da «problemi con le fatturazioni»: bollette «sballate», fatture recapitate in ritardo e conguagli esorbitanti. Quest'ultimo aspetto, nel settore del gas, sarebbe causato dalla mancata o inesatta verifica dei misuratori da parte delle aziende di fornitura. Da un'indagine condotta dalla Federconsumatori sui reclami raccolti nel 2011 emerge che oltre il 10 per cento dei disservizi denunciati provengono da utenti che non sono in grado di ricostruire i propri consumi del gas perché il fornitore non effettua la periodica lettura del contatore;
    la mancata verifica a domicilio spesso poi ostacola il passaggio verso un altro operatore e innesca altre forme di contenzioso: oltre il 30 per cento delle lamentele raccolte infatti riguarda contestazioni sulla lettura del misuratore fornita dall'azienda;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Acea Energia, Edison Energia, Enel Energia, Enel Servizio Elettrico ed Eni. Sotto la lente le modalità di fatturazione e i mancati rimborsi;
    si fa presente che da settembre 2015 i consumatori elettrici riceveranno una nuova tipologia di bolletta elettrica, in grado di assicurare una maggiore trasparenza e trasferire informazioni utili ai consumatori ma, allo stesso tempo, ancora non è stata fatta chiarezza sull'omologazione dei contatori elettrici installati nelle case degli italiani;
    la nuova bolletta sintetica indicherà il costo unitario del chilowattora riportando anche «la spesa per gli oneri di sistema», una voce che oggi viene pagata all'interno dei servizi di rete ma non ancora evidenziata nelle bollette. Nel settore elettrico sono, ad esempio, le voci relative agli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate e alle imprese manifatturiere energivore, i fondi necessari alla messa in sicurezza delle centrali nucleari o per la ricerca, valori che incidono per oltre il 22 per cento sulla spesa finale del cliente tipo servito in regime di maggior tutela;
    gli apparecchi di misurazione dei consumi installati nelle abitazioni, al contrario, non risulterebbero essere adeguati al compito di assicurare la necessaria trasparenza, certezza e imparzialità nel calcolo dei consumi, con il rischio che eventuali dati errati possano far pagare ai consumatori una bolletta più «salata» del previsto;
    nessuno degli enti preposti ha mai verificato la conformità normativa dei contatori elettrici che misurano il consumo di energia e l'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico, fino ad oggi, si è concentrata esclusivamente sul modo di gestire il dato di consumo e di riportarlo in bolletta, tralasciando però la verifica della generazione di quel dato con il misuratore. Sembrerebbe proprio una delle più grandi falle nel sistema elettrico italiano, quasi 40 milioni di misuratori che non sono mai stati certificati da un ente terzo indipendente;
    si ricorda che nel 2004 è entrata in vigore la direttiva europea su «gli usi finali di energia, l'efficienza e i servizi energetici» (Mid – measurement instruments directive) che impone l'omologazione e la certificazione. Nel 2007 la direttiva viene recepita in Italia: ogni strumento che eroga elettricità ai consumatori deve avere una marcatura che ne attesti non tanto il corretto funzionamento, quanto che quel contatore sia identico al modello depositato presso l'ente notificatore europeo prescelto. Nel caso dell'Enel, ma solo dal 2007, per i contatori elettrici sono due, l'olandese Nmi e l'italiana Iqf, entrambi iscritti al Nando, la Gazzetta Ufficiale degli enti notificatori;
    il gruppo Movimento Cinque Stelle ha più volte sottoposto, attraverso atti di sindacato ispettivo, al Ministro dello sviluppo economico la problematica dei controlli metrologici dei contatori elettrici;
    inoltre si rileva che nell'ambito delle procedure d'infrazione avviate nel mese di febbraio 2015 la Commissione europea ha rilevato che «non è stato recepito l'obbligo secondo cui i contatori installati conformemente alle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE consentono informazioni sulla fatturazione precise e basate sul consumo effettivo»,

impegna il Governo:

   ad adottare immediate iniziative per adempiere agli obblighi prescritti dall'Unione europea sulla conformità normativa dei contatori elettrici come descritto in premessa evitando ulteriori aggravi sulle bollette degli utenti;
   ad attuare immediatamente i commi 6-ter e 6-quater dell'articolo 1 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, che prevedono rispettivamente:
    a) di rendere più facilmente confrontabili le offerte contrattuali rivolte ai clienti finali per l'acquisto di gas o energia elettrica, identificare le componenti di base di costo da esplicitare obbligatoriamente nelle stesse offerte e determinare le sanzioni a carico dei soggetti venditori in caso di inottemperanza;
    b) che i dati di lettura dei contatori stessi siano resi disponibili ai clienti in forma aggregata e puntuale, secondo modalità tali da consentire la facile lettura da parte del cliente dei propri dati di consumo, garantendo nel massimo grado e tempestivamente la corrispondenza tra i consumi fatturati e quelli effettivi con lettura effettiva dei valori di consumo ogni volta che siano installati sistemi di telelettura e determinando un intervallo di tempo massimo per il conguaglio nei casi di lettura stimata;
   ad assumere iniziative per sospendere ogni attività esecutiva di pretesa di pagamento di bolletta elettrica e gas esosa nei confronti degli utenti fino a quando le autorità competenti non abbiano completato le verifiche per accertare che la condotta degli operatori non abbia violato le norme del codice del consumo e non sia illegittima.
(1-00985) «Ruocco, Crippa, Da Villa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    sono sempre più numerosi i casi di inefficienze denunciati dai consumatori relativi all'offerta di energia elettrica e del gas;
    addebiti eccessivi, doppia fatturazione, cambio non richiesto del fornitore, sovraccosti legati al cambio del contatore, sono soltanto alcuni dei problemi che quotidianamente affliggono i consumatori, costringendoli a svolgere lunghi adempimenti burocratici per dimostrare l'erroneità dei dati e a sostenere costi aggiuntivi e imprevisti;
    i consumatori, che non possiedono le informazioni necessarie per far valere i propri diritti, preferiscono, in molti casi, pagare le bollette energetiche, anche se con costi spropositati e non rispondenti ai consumi reali di energia, piuttosto che rimanere vittime del complesso sistema di accertamento amministrativo e/o giudiziario. Oltretutto il mancato pagamento delle bollette contestate determina in ogni caso il distacco dell'energia elettrica;
    sono poi frequenti i casi in cui vengono recapitate bollette energetiche di importi esorbitanti per conguagli risalenti ad anni passati. Molto spesso, il conguaglio eccessivo è dovuto a inadempimenti del fornitore o del distributore che, ad esempio, omette di effettuare le letture periodiche del contatore oppure non emette le bollette periodiche;
    una bolletta con costi smisurati, in questo momento di difficile congiura economica, può far saltare il bilancio di una piccola azienda, così come un conguaglio esorbitante può mettere seriamente in difficoltà la maggioranza dei cittadini e delle famiglie italiane;
    per gran parte dei consumatori le bollette energetiche appaiono documenti di non facile lettura e di difficile interpretazione, soprattutto per quanto concerne le voci di costo relative ai consumi e ai conguagli;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha recentemente avviato diversi procedimenti istruttori nei confronti dei principali fornitori di energia al fine di accertare, a fronte di numerosi reclami e segnalazioni, eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori, dalla fatturazione basata su consumi presunti alla fatturazione a conguaglio di importi significativi, passando per la mancata considerazione delle autoletture,

impegna il Governo:

   ad adottare specifiche iniziative per la sospensione dei pagamenti delle bollette energetiche con importi spropositati e non rispondenti ai consumi reali di energia elettrica e del gas, fino al completamento delle verifiche avviate dalle autorità competenti sulle condotte adottate dalle società fornitrici in merito alle violazioni del codice del consumo;
   ad assicurare, attraverso idonee iniziative normative, le modalità di rimborso agli utenti degli importi già versati, qualora le fatturazioni, a seguito di accertamenti, risultassero illegittime e non rispondenti ai consumi reali di energia elettrica e del gas;
   ad adottare le iniziative di competenza al fine di un'efficace semplificazione della lettura delle bollette energetiche permettendo ai cittadini di individuare in modo chiaro e trasparente i dettagli dei costi che vengono loro addebitati.
(1-00986) «Allasia, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione ENZO B Impresa Sociale Onlus lavora a livello nazionale ed internazionale su aree tematiche quali la prevenzione dell'abbandono dei minori, l'assistenza per il superamento delle condizioni di disagio di minori e adolescenti, l'adozione internazionale e la protezione dei bambini più vulnerabili, come si legge sul sito istituzionale www.enzob.it;
   la suddetta associazione, è stata inserita nell'albo degli enti autorizzati ai sensi dell'articolo 39, comma 1, lettera c) della legge 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476;
   secondo quanto indicato dalla Commissione adozioni internazionali (CAI) gli enti autorizzati sono quegli enti che «informano, formano, affiancano i futuri genitori adottivi nel percorso dell'adozione internazionale e curano lo svolgimento all'estero delle procedure necessarie per realizzare l'adozione; assistendoli davanti all'Autorità Straniera e sostenendoli nel percorso post-adozione»;
   il 3 giugno 2014 in una nota della direzione generale della cooperazione allo sviluppo (DGCS) apparsa sul sito istituzionale della cooperazione allo sviluppo, si comunicava che la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo ha disposto la decadenza della idoneità nei confronti, tra gli altri, di ENZO B;
   ad oggi, sul sito istituzionale della Commissione adozioni internazionali (CAI), l'associazione ENZO B è ancora annoverata, al numero 18, nell'albo dei 62 enti autorizzati all'adozione –:
   quali siano i motivi della revoca del riconoscimento di idoneità nei confronti della menzionata ENZO B, comunicata dalla direzione generale della cooperazione allo sviluppo;
   se e quali ripercussioni possano determinarsi sulle attività svolte da tale associazione, con particolare riferimento alle adozioni internazionali;
   per quale ragione, stante tale revoca, l'Associazione ENZA B risulti ancora presente nell'albo degli enti autorizzati dalla Commissione adozioni internazionali, per svolgere le attività di informazione, formazione ed affiancamento dei futuri genitori adottivi nel percorso dell'adozione internazionale. (4-10341)


   SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la stampa ha nelle scorse ore annunciato l'apertura di un procedimento disciplinare da parte di Palazzo Chigi nei confronti di Marco De Giorgi, direttore dell'Unar, ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali;
   il procedimento sarebbe stato avviato per sanzionare la lettera che il direttore Unar, nell'esercizio delle proprie funzioni, ha inviato il 30 luglio 2015 all'onorevole Giorgia Meloni, nota esponente politico di estrema destra, per invitarla ad evitare toni e messaggi apertamente discriminatori nelle sue esternazioni pubbliche;
   in particolare, il messaggio che aveva motivato l'intervento dell'Unar era stato pubblicato sulla bacheca Facebook della parlamentare ed esortava a fermare il flusso migratorio dei popoli musulmani, in quanto portatori di cellule terroriste;
   tali affermazioni sono state poi riportate, con maggiore eco pubblica, nell'articolo dal titolo «Basta immigrazione dai paesi musulmani. Giorgia Meloni alle crociate» pubblicato in data 29 giugno 2015 sul quotidiano on line Stranieriinitalia.it;
   la lettera inviata dall'Unar non faceva altro che invitare, in modo pacato, la parlamentare in questione a «volere considerare per il futuro, l'opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore»;
   la deputata Meloni evocando lo spettro di una supposta censura di regime nei suoi confronti ha sostanzialmente chiesto di assumere provvedimenti nei confronti dell'Unar;
   spropositato ed eccessivo sembrerebbe l'intervento del Presidente del Consiglio, laddove l'apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del direttore di Unar (che secondo alcune indiscrezioni giornalistiche potrebbe addirittura portare alla rimozione del funzionario pubblico dal suo incarico);
   nel caso in cui quanto riportato in questi giorni dai media fosse confermato si troverebbe di fronte ad una situazione sconcertante, per ragioni sia di metodo che di merito, considerata la pericolosità, da più parti segnalata, dal cosiddetto hate speech e dell'incitamento all'odio razziale e religioso, ancor più evidente se presente nel linguaggio politico, capace di generare ulteriore violenza e discriminazione nel nostro Paese;
   l'UNAR è stato istituito nel 2003 con una direttiva europea che ha imposto a tutti gli Stati membri di dotarsi di un'autorità centrale che in piena autonomia dovesse svolgere attività di rimozione e prevenzione verso ogni forma di razzismo e discriminazione;
   in Italia, a differenza che in altri Paesi dove organismi analoghi sono stati costituiti come autorità indipendenti, l'Unar è incardinato nella Presidenza del Consiglio dei ministri, con il compito di lavorare a garanzia della pari dignità sociale di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, secondo parametri e prassi derivanti da standard internazionali ed europei, oltre che, soprattutto, dall'articolo 3 della Costituzione;
   il direttore dell'UNAR ha svolto evidentemente e regolarmente il mandato dell'ufficio che consiste proprio nel vigilare e intervenire nel caso ravvisi l'esistenza di fenomeni o comportamenti discriminatori;
   la lettera inviata all'onorevole Meloni è dunque un atto del tutto legittimo e dovuto; questa vicenda dimostra una volta di più quanto sia importante garantire che l'Unar sia effettivamente un organismo indipendente, così come prevede la direttiva europea che lo istituisce e rispetto alla quale l'Italia è sostanzialmente inadempiente –:
   se quanto riportato dai giornali in merito all'apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del dottor De Giorgi corrisponda a verità;
   se non ritenga che la nota inviata dal direttore dell'UNAR sia stata del tutto coerente ed adeguata rispetto alle funzioni assegnate dalla legge all'ufficio nel 2003 con la garanzia dell'autonomia;
   se non ritenga che quanto accaduto non possa in alcun modo giustificare la rimozione del direttore dal suo incarico o un eventuale mancato rinnovo della carica che sarebbe letto solo in chiave punitiva dalla opinione pubblica;
   se non ritenga indispensabile e doveroso agire immediatamente al fine di rendere l'Unar indipendente dal Governo, come la direttiva europea istitutiva di tale organismo richiederebbe, con un diverso assetto organizzativo e funzionale o diverse modalità come dichiarato dal Ministro Boschi nel question time alla Camera dei deputati del 9 settembre 2015;
   quali iniziative intenda mettere in atto per arginare il pericoloso fenomeno, dilagante soprattutto sul web, del cosiddetto hate speech o discorso dell'odio che, in un momento delicato come quello attuale di insicurezza e precarietà, rischia di alimentare ulteriori spirali di violenza e discriminazione nel Paese. (4-10345)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'8 agosto 2015 il Ministro interrogato ha risposto all'interrogazione a risposta scritta n. 4-08875 depositata dall'interrogante il 22 aprile 2015;
   in tale atto, vengono forniti dei dati che appaiono all'interrogante eccessivamente ottimistici e, nonostante ciò, un fatto risulta evidente: dal 1996 ad oggi sono morti 211 militari italiani per esposizione da amianto; ne sono morti meno in tutti gli scenari di guerra che l'Italia combattuto. In questo Paese, in altre parole, muoiono più soldati per essere stati esposti all'amianto sugli elicotteri, sui carri armati, sulle navi, nei sommergibili e sugli aerei, che combattendo guerre. Basti, infatti pensare che i militari morti in guerra dal 1996 ad oggi sono circa 113, a fronte dei 211 morti inalando amianto nei mezzi militari italiani: tra i servitori dello Stato ci sono più soldati uccisi dalla patria che servendo, la patria e tutto questo senza considerare i 194 casi di malattie diagnosticate, la cui prognosi, tragicamente, è infausta, perché l'amianto non perdona;
   venendo al merito della risposta, i dati concernenti i casi di malattie asbesto-correlate conosciute dall'Osservatorio epidemiologico della difesa, sono evidentemente sottostimati, anche per implicita dichiarazione del Ministro, laddove nella risposta dichiara che «la lunga latenza (dai 25 ai 45 anni) tra l'esposizione all'asbesto e la diagnosi della malattia, specie nei casi di mesotelioma, comporta che l'evidenza clinica della patologia si manifesti in una fascia d'età in cui il soggetto, avendo cessato il servizio attivo, è definitivamente assistito dal Servizio Sanitario Nazionale e, pertanto, eventuali patologie non vengono notificate alla sanità militare». Di fronte ad una latenza media che corrisponde più o meno all'anzianità necessaria per il collocamento a risposo risulta di tutta evidenza, per non dire certo, che i numeri forniti dal Ministro sono ben lontani dal ritrarre la realtà e rischiano di rappresentare la solita «punta dell'iceberg»;
   inoltre:
    a) non è dato sapere se il dato fornito considera la popolazione maschile italiana che ha espletato agli obblighi del servizio di leva;
    b) gli insiemi e i sottoinsiemi sopra riportati non specificano i casi di mesotelioma maligno;
    c) appare sconcertante il numero eccezionalmente alto dei casi di malattie asbesto correlate insorte nei militari dell'Arma dei carabinieri: 115 totali, di quali 50 deceduti: non si comprende la ragione di un così elevato numero di casi nell'Arma dei carabinieri, essendo la stessa normalmente e teoricamente quella meno esposta a condizioni ambientali e professionali con presenza di amianto o di materiali contenenti amianto;
   per quanto riguarda la questione concernente i riconoscimenti di causa di servizio e il numero dei trattamenti previdenziali riconosciuti, stupisce quella che l'interrogante ritiene la «non risposta» del Ministro: è semplicemente grottesco dire che il Ministero non dispone di elementi cognitivi in merito. È del tutto improprio, inoltre, il riferimento ai dati sensibili, dal momento che si richiedevano dati statistici del tutto anonimi;
   peraltro, il Ministero è sicuramente a conoscenza di tali dati, avendo una sua specifica e competente «direzione generale», «PREVIMIL», per ciò espressamente costituita, che riceve, gestisce e istruisce tutte le necessarie azioni amministrative volte a riconoscere o meno le cause di servizio, i trattamenti previdenziali di vario tipo riconosciuti e anche le «equiparazioni alle vittime del dovere»;
   con riferimento al numero di domande prodotte dal personale dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica (o dai loro superstiti, in caso di decesso), i quali, ammalatisi, per patologie asbesto correlate, hanno presentato domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di riconducibilità alle particolari condizioni ambientali od operative di missione, ai fini dell'attribuzione dei benefici connessi allo status di «equiparato» alle vittime del dovere (secondo quanto disposto dal comma 564 dell'articolo 1 della legge n. 266 del 2005 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006), il Ministro ha dichiarato che al 30 aprile 2015 risulta la presentazione di n. 602 istanze, suddividendo i dati solo con riferimento all'esito, ma non per forza armata, laddove questo dato sarebbe stato molto rilevante;
   inoltre, nella risposta del Ministro si può leggere che «la Marina Militare, già attivatasi quando, nel 1986, l'allora Ministero della sanità emanò la prima circolare che ne vietava l'utilizzo nelle scuole e negli ospedali, non ha più impiegato materiali contenenti amianto e, dal 1992, tutte le unità navali sono state costruite e messe in servizio con la certificazione «amianto free» da parte del cantiere costruttore»; in realtà, secondo quanto risulta all'interrogante, quanto asserito dal Ministro non collima con quanto provato dalla esaustiva documentazione e dalle testimonianze provenienti dagli atti processuali dei procedimenti penali cosiddetti «Marina 1» e «Marina 2» svoltisi o in fase di svolgimento (per il «Marina 2») in primo grado presso il tribunale di Padova e in secondo grado (per il «Marina 1») presso la corte d'appello di Venezia e dove l'Avvocatura dello Stato difende tutti gli alti vertici militari chiamati a giudizio;
   peraltro, sempre secondo quanto risulta all'interrogante, negli anni immediatamente successivi al 1986 continuarono ad essere impiegati materiali di magazzino contenenti amianto fino ad esaurimento e la certificazione «amianto free» è stata fornita dal cantiere costruttore solo per le unità navali realizzate negli ultimi 10 anni (ossia i sommergibili Todaro e Scirè, per le navi classe orizzonte Caio Duilio e Andrea Doria, per la nave aeromobili Cavour);
   al contrario, secondo quanto segnalato all'interrogante, un censimento/monitoraggio commissionato tra il 2007 e il 2008 proprio dalla Marina Militare al RINA (Registro italiano navale) ha determinato ogni presenza di amianto o materiale contenente amianto su ogni unità navale di superficie e subacquea. Il predetto censimento/monitoraggio è a disposizione negli atti del procedimento «Marina 2» a dibattimento presso il tribunale di Padova;
   grosse perplessità desta anche l'affermazione del Ministro secondo cui «l'Aeronautica militare italiana ha dettato le norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto e, a seguito delle informazioni pervenute dalle ditte costruttrici, ha potuto consolidare il quadro relativo alla possibile ubicazione dell'amianto negli aeromobili che, in estrema sintesi, si può ricondurre ad alcuni dei componenti od assiemi»; in effetti, è di pubblico dominio, nonché ampiamente riportato dagli organi di stampa, che sono stati aperti procedimenti penali perlomeno presso le procure della Repubblica di Torino e Padova. Essi scaturiscono dalla presenza di amianto e materiali contenenti amianto in attrezzature, sistemi d'arma, equipaggiamenti, veicoli, mezzi e velivoli in forza nell'Aeronautica militare; inoltre, proprio per ciò che concerne i velivoli, di tutti i tipi, è notizia di questi giorni che il procuratore della Repubblica di Torino, il dottor Raffaele Guariniello ha iscritto nel registro degli indagati i vertici che tra gli anni ’90 e il 2014 hanno lavorato in Agusta-Westland;
   peraltro, secondo la letteratura scientifica, occorrere aggiungersi tra le possibili «fonti di contaminazione» per i militari e per i dipendenti civili del Ministero della difesa e loro prossimi congiunti: abbigliamento e dispositivi personali di protezione «antincendio», impianti e tecnologie comunque asservite alla produzione generazione/conduzione/trasporto di calore, costruzioni edilizie, tecnologie impiantistiche (come nel caso, ad esempio, dei radar), sistemi d'arma di vario tipo con motori endotermici (ad esempio missili o razzi);
   con riferimento all'affermazione secondo cui «l'Arma dei Carabinieri, premesso che la fonte di contaminazione è limitata ad una motovedetta dimessa nel 2007, ha avviato un “programma di prevenzione per pregresse presunte esposizioni ad amianto”, in linea con i comuni orientamenti delle Forze di Polizia, anche in presenza di esposizioni a fibre di amianto inferiori ai limiti previsti per la popolazione generale» appare molto sorprendente che il Ministro abbia individuato un'unica fonte di contaminazione, «limitata ad una motovedetta», tralasciando tutto il parco mezzi istituzionale proprio dell'Arma dei carabinieri costituito certamente da una pluralità di veicoli, ai quali debbono sicuramente aggiungersi i veicoli blindati su ruote per ordine pubblico e sicurezza (ad esempio le autoblindo Fiat 6616, le autoblindo Dardo, le autoblindo Puma, i veicoli protetti meglio conosciuti come «scarrafoni» e altro) ampiamente e quotidianamente utilizzati sul territorio nazionale e in tutte le missioni internazionali in cui sono impegnati nostri militari –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare affinché l'Osservatorio epidemiologico della difesa censisca anche i militari in quiescenza affinché il dato sia effettivo e non puramente teorico e del tutto parziale;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover maggiormente specificare i dati sulle diagnosi specificando i casi di mesotelioma maligno;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover fornire i dati relativi ai riconoscimenti di causa di servizio e i relativi trattamenti previdenziali riconosciuti e se, nel caso in cui non sia in alcun modo possibile dedurlo, non ritenga di dover disporre che le banche dati siano ricostruite con questa specificazione;
   se sia possibile conoscere il numero di domande di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per patologie asbesto correlate prodotte dal personale dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica (o dai loro superstiti, in caso di decesso) suddiviso per singola forza armata;
   se il Ministro sia a conoscenza degli esiti del censimento/monitoraggio commissionato tra il 2007 e il 2008 dalla Marina Militare al Rina e quale sia il suo orientamento in merito;
   se il Ministro non ritenga doveroso, nell'ambito dell'esercizio del suo potere di indirizzo politico, imprimere una tanto inedita quanto doverosa svolta nelle operazioni di bonifica e nella protezione del personale militare italiano. (4-10343)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 agosto 2015, la giunta comunale del comune di Borgia (CZ) con atto n. 126 ha approvato lo schema del bilancio di previsione 2015, del bilancio pluriennale 2015-2017 e della relazione previsionale e programmatica;
   il consigliere di opposizione Giovanni Maiulo, avendo ricevuto comunicazione della messa in disponibilità della documentazione relativa all'approvazione del bilancio previsionale 2015, ha chiesto di prenderne visione e ha constatato la presenza del solo bilancio previsionale 2015, mentre non sembra esservi traccia del bilancio pluriennale e di quello armonizzato;
   l'articolo 227 del decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede che la documentazione deve essere depositata almeno 20 giorni prima della sessione di discussione del bilancio e messa a disposizione presso la segreteria comunale, nei tempi e nei modi previsti così da consentire ai consiglieri un'approfondita disamina del conto e di apportare osservazioni di merito anche con emendamenti da inserire nell'ordine del giorno della seduta di consiglio comunale;
   in mancanza dei soprarichiamati documenti non si intende avviata la procedura prevista dall'articolo 174 del testo unico degli enti locali –:
   se, alla luce di quanto esposto, non si ritenga che sussistano i presupposti per promuovere una verifica amministrativo-contabile da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica. (4-10344)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 settembre 2015, così come riportato da più organi di stampa, si è tenuta a Foggia una manifestazione di protesta dei braccianti agricoli, i quali hanno denunciato le condizioni di sfruttamento sia a sfondo lavorativo che razzista cui i lavoratori sono sottoposti;
   la rete che si è mobilitata ha dichiarato che: «... i responsabili di questa situazione sono i commercianti all'ingrosso e al dettaglio e le industrie agroalimentari favorite dalle istituzioni. È da loro che pretendiamo risposte. Per questo oggi siamo scesi in piazza, uniti senza distinzione di nazionalità, per dire no allo sfruttamento in agricoltura. Non è possibile che un lavoratore debba guadagnare appena 3 euro a cassone (300 kg) di pomodori, e per raggiungere un salario dignitoso ne deve riempire almeno 25. L'indice di sfruttamento è altissimo. Ecco perché noi chiediamo alle istituzioni di far rispettare il contratto collettivo nazionale, introducendo il pagamento a ore e non a cottimo. Diciamo no al caporalato e chiediamo il rilascio dei permessi di soggiorno...»;
   «... un chilo di pomodori raccolto in Puglia viene pagato meno di 8 centesimi al chilo. Non coprono i costi di produzione e di raccolta, ma alimentano una catena dello sfruttamento che occorre spezzare...». È la denuncia del presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, che indica le priorità da seguire nella lotta allo sfruttamento del lavoro agricolo: «... condanna assoluta del caporalato e confronto serio su costi di produzione e prezzi (...) benvenute tutte le norme per sconfiggere il caporalato – aggiunge il presidente della Coldiretti – ma il ragionamento dei prezzi, costi di produzione e ciò che si deve riconoscere ai produttori, è parallelo per sconfiggere il caporalato»;
   in tema di sfruttamento dei braccianti agricoli vi è da portare all'attenzione dei Ministri interrogati un fatto particolare: la questura di Foggia da più di un anno richiede proprio la residenza per poter rinnovare il permesso di soggiorno, nonostante non sia un requisito previsto dalla normativa (articolo 7 commi 7 e 8 TUI, decreto legislativo n. 286 del 1998). Di conseguenza, accade che diverse centinaia di persone che si trovano nella provincia foggiana hanno perso e stanno perdendo un valido titolo di soggiorno e vengono così costrette alla marginalizzazione e all'illegalità. La rete di autorganizzazione dei braccianti afferma che: «... la legge italiana prevede in questo caso l'iscrizione anagrafica come senza fissa dimora. Per questo chiediamo che tutti i comuni della provincia di Foggia istituiscano un indirizzo fittizio e applichino la normativa...»;
   sarebbe quantomai necessario verificare nelle filiere di prodotto agroalimentare la presenza di «cartelli» finalizzati a fissare un bassissimo prezzo all'origine –:
   se i Ministri interrogati non reputino opportuno assumere iniziative affinché la questura di Foggia faccia rispettare il testo unico sull'immigrazione, (articolo 7, commi 7 e 8, TUI, decreto legislativo n. 286 del 1998), che non obbliga alla fissa dimora ai fini dell'ottenimento del permesso di soggiorno e, altresì, se i Ministri interrogati nell'agire della questura di Foggia non intravedano il rischio di incrementare il mercato dello sfruttamento della manodopera straniera, in quanto sprovvista di permesso di soggiorno, quindi maggiormente soggetta a fenomeni di marginalizzazione e caporalato;
   se i Ministri interrogati non reputino di fare proprie le rivendicazioni di associazioni, braccianti agricoli e sindacati circa l'applicazione del contratto collettivo nazionale così come descritto in premessa, e se non ritengano necessario un intervento pubblico per un riequilibrio del prezzo del prodotto all'origine in favore dei produttori;
   se non reputino di dover effettuare i dovuti controlli fiscali presso le grandi imprese della produzione e della distribuzione di prodotti agricoli, al fine di procedere su più fronti d'azione per destrutturare una delle componenti che favorisce il fenomeno del caporalato nella sua complessità;
   se non ritengano necessario attivare forme di intermediazione legale attraverso la «Rete del lavoro agricolo di qualità», implementandolo con il collocamento pubblico e il trasporto pubblico dei braccianti, in modo da sostituire il servizio di reperimento di manodopera a basso costo che il caporalato svolge in determinati territori e stagioni. (3-01692)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 1° luglio 2015 il comune di Schio, in accordo con la prefettura di Vicenza, deve garantire accoglienza a decine di richiedenti asilo di diversa nazionalità, che adesso risultano essere una cinquantina;
   in questo contesto, il comune ha stabilito di ospitare i profughi in una colonia alpina in località Pian delle Fugazze, isolata e collocata ad oltre 1000 metri di altitudine, già utilizzata come centro di recupero per tossicodipendenti e abbandonata da anni;
   la gestione dell'accoglienza e dell'ospitalità è stata «dapprima affidata alla cooperativa «Con te», che verificate le condizioni a cui si sarebbe dovuto garantire il servizio, dopo pochi forni si è dimessa, lasciando spazio alla padovana CSFO, ovvero ad un Centro studi formazione orientamento accreditato presso la regione Veneto, che appare senza alcuna esperienza nel settore;
   allo stesso CSFO vengono corrisposte le cifre stabilite per l'accoglienza dei richiedenti asilo e a questo fine destinate;
   in data 9 settembre 2015, a quanto consta all'interrogante, alcuni consiglieri comunali di Schio hanno avuto la possibilità di fare visita ai profughi, senza che il CSFO abbia ritenuto doveroso accompagnarli;
   ciò che hanno potuto riscontrare di persona e verificare nel racconto degli ospiti, è una situazione di degrado inaccettabile;
   il riscaldamento non esisterebbe nonostante la notte si scenda sotto i 5 gradi, i letti sarebbero in numero insufficiente e privi di coperte, la cucina sarebbe rappresentata da un unico fuoco collegato ad una bombola, i bagni sarebbero intasati e porterebbero a frequenti allagamenti dei corridoi, il vitto sarebbe rappresentato esclusivamente da oltre 30 giorni da pasta, riso e sugo;
   i richiedenti asilo non sarebbero stati provvisti di vestiario adeguato, né tantomeno di cambi, ed avrebbero a disposizione un solo piatto in plastica usa e getta, che sarebbero chiaramente costretti a riutilizzare, senza un bicchiere per bere;
   questo si unisce ad un'ovvia condizione di isolamento, vista la lontananza fra la struttura e il più vicino centro abitato e l'assenza di mezzi di trasporto –:
   se il Ministro fosse a conoscenza di questa situazione o di altre analoghe e se ritenga che queste condizioni siano conformi ai principi di una corretta accoglienza di uomini in fuga da guerra, violenza e povertà, oltre che in linea con un uso efficiente delle risorse investite nell'accoglienza;
   come intenda agire, anche tramite la prefettura, per garantire il ripristino accoglienza adeguate al rispetto di un essere umano. (4-10336)


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo schema di decreto del Presidente della Repubblica inviato il 10 settembre dal Ministero dell'interno alle organizzazioni sindacali in merito alla nuova rivisitazione sull'intero territorio nazionale delle prefetture, che prevede la chiusura di 23 sedi, tra le quali quelle di Verbano-Cusio-Ossola, Biella e Asti, rappresenta a giudizio dell'interrogante, una decisione improvvida e sbagliata, in considerazione della massima emergenza in materia di gestione dell'immigrazione e della sicurezza;
   la suddetta disposizione, che addirittura anticipa i decreti delegati della cosiddetta «riforma Madia», ridimensionando il numero dei presidi di legalità e sicurezza sul territorio ed in particolare su quello piemontese, oltre a non considerare le prospettive di ricollocazione dei lavoratori delle stesse prefetture, rischia a parere dell'interrogante, di accrescere i livelli di insicurezza e di criminalità dilagante nelle città ed in particolare nel Nord Italia, che appaiono in costante aumento;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia altresì, come l'azione politica e legislativa del Governo Renzi, finalizzata ad una logica di riduzione della spesa pubblica, non può confliggere con l'esigenza di sicurezza e legalità espressa dal territorio come ad esempio, quello piemontese, penalizzato dalle decisioni di chiusura addirittura di tre sedi prefettizie;
   l'accorpamento delle prefetture di Verbano-Cusio-Ossola, Biella e Asti, a parere dell'interrogante, determinerà una serie di effetti indubbiamente negativi con disagi notevoli per i cittadini, come peraltro già accaduto per la chiusura dei tribunali, indebolendo ulteriormente la presenza dello Stato nei riguardi di una regione così economicamente importante quale il Piemonte –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se non intenda rivedere la decisione di sopprimere le tre sedi prefettizie piemontesi in precedenza richiamate, al fine di evitare inevitabili complicazioni in ordine alla sicurezza e alla legalità nei confronti dell'intera regione. (4-10337)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la relazione annuale per il 2014 e le relazioni per i primi mesi del 2015 della direzione centrale servizi antidroga (DCSA), le inchieste dell'autorità giudiziaria e le continue operazioni delle forze dell'ordine indicano che in Veneto, e in particolare nella provincia di Padova, sono in aumento il consumo e lo spaccio di sostanze stupefacenti;
   nel 2014 in provincia di Padova sono stati sequestrati 63,8 chilogrammi di eroina contro i 28,5 del 2012, 115,7 di hashish contro i 107,3 del 2012, 112,6 di marijuana contro i 41,9 del 2012; sono in aumento anche i sequestri di piante di cannabis e di droghe sintetiche;
   nelle altre province del Veneto si registrano tendenze identiche: Venezia detiene il primato dei sequestri di cocaina (29,9 chilogrammi), Padova quello relativo all'eroina (63,8 chilogrammi) e alle droghe sintetiche, Verona quello relativo all’hashish (198,1 chilogrammi), Treviso quello relativo alla marijuana (500,8 chilogrammi) e alle piante di cannabis (254 piante);
   anche nei primi mesi del 2015 i sequestri stanno evidenziando una crescita del consumo e del traffico di sostanze stupefacenti;
   nei primi giorni di settembre a Padova si sono verificati diversi episodi che indicano un peggioramento grave della situazione;
   nella notte tra il 4 e il 5 settembre 2015 nel pieno centro della città di Padova, in piazza delle Erbe, si sono scontrati con particolare violenza gruppi di spacciatori nordafricani per il controllo del territorio;
   gli scontri hanno suscitato profonda preoccupazione, paura e insicurezza nella cittadinanza;
   l'11 settembre la Guardia di finanza ha sequestrato presso il casello di Padova ovest un tir con 470 chilogrammi di hashish e ha arrestato tre cittadini spagnoli coinvolti nel trasporto;
   il 12 settembre la polizia di Stato ha sequestrato a Campodarsego, in provincia di Padova, 11 chilogrammi di eroina e 62 di marijuana, individuando un laboratorio per il confezionamento e la preparazione di sostanze stupefacenti, e ha arrestato un cittadino albanese;
   gli ingenti quantitativi di droga sequestrati confermano la tendenza all'aumento dello spaccio per l'anno in corso;
   dalle relazioni della direzione centrale servizi antidroga e da numerose indagini delle forze dell'ordine emerge con chiarezza che il mercato delle droghe è controllato dalle mafie (soprattutto ‘ndrangheta per la cocaina, la marijuana e le sintetiche, e cosa nostra per l'eroina e l’hashish) che organizzano l'ingresso delle sostanze in Europa e in Italia e gestiscono lo spaccio direttamente o attraverso accordi con altri gruppi criminali;
   in Veneto e in provincia di Padova il traffico e lo spaccio sono gestiti dalle mafie in collaborazione con associazioni criminali straniere (soprattutto albanesi, nordafricane e nigeriane) e con gruppi criminali italiani composti da persone con precedenti penali commessi in associazione con la mafia del Brenta tra gli anni ’80 e oggi;
   purtroppo, l'attenzione e i risultati positivi raggiunti sul terreno del contrasto e della repressione, grazie soprattutto all'attività della magistratura e delle forze dell'ordine, non sono accompagnati da un impegno adeguato della regione Veneto, di molte istituzioni locali e delle strutture socio sanitarie che hanno la competenza per la prevenzione e per l'educazione alla salute;
   inoltre, la prevenzione è indebolita e limitata dalla tendenza culturale diffusa nell'opinione pubblica e in numerosi mezzi di informazione ad abbassare la soglia di pericolosità dell’hashish, della marijuana e dei derivati della cannabis –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative il Ministro dell'interno intenda adottare per potenziare strumenti e risorse per il contrasto del traffico e dello spaccio di sostanze stupefacenti in Veneto;
   quali azioni concrete, nell'ambito delle sue competenze il Ministro della salute intenda assumere per potenziare l'attività di prevenzione del consumo di stupefacenti;
   in che modo, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, il Ministro dell'interno intenda promuovere campagne di educazione e di sensibilizzazione per combattere l'uso delle droghe. (4-10338)


   RICCIATTI, COSTANTINO, QUARANTA, GIANCARLO GIORDANO, SCOTTO, FRATOIANNI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, PIRAS, MELILLA, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 settembre 2015 l'agenzia di stampa Ansa e la testata Cronache Maceratesi.it riportano la notizia del recapito, presso gli uffici comunali di San Severino e Caldarola (Macerata), di due buste contenenti «polvere sospetta», insieme ad un biglietto recante la scritta «Materiale cancerogeno, amianto, bonificare l'ambiente»;
   la prima, giunta attorno alle 11,45 presso il Comune di San Severino, ha fatto scattare l'allarme tra i dipendenti comunali, che hanno prontamente allertato i carabinieri e i vigili del fuoco di Tolentino, giunti poco dopo sul posto insieme al personale del 118;
   i vigili del fuoco hanno avviato le previste procedure del protocollo «Nbcr», facendo evacuare gli uffici e sigillando la busta;
   a distanza di poche ore, una busta di analogo contenuto è stata rinvenuta nell'ufficio protocollo del comune di Caldarola (Macerata);
   a quanto si apprende, la busta era stata spedita da Firenze, ed il mittente (probabilmente fittizio) indicato sulla busta risultava essere tale Giuseppe Alfieri di Ancona, residente in via Magenta, come nel caso della busta recapitata a San Severino;
   le buste sono state affidate successivamente all'Arpam, al fine di accertare la qualità della sostanza rinvenuta al loro interno –:
   se il Ministro interrogato compatibilmente con le esigenze di riservatezza delle indagini, sia in grado di fornire ulteriori informazioni sull'accaduto in possesso delle forze dell'ordine e dei vigili del fuoco. (4-10340)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 luglio 2015 la direzione generale per il personale scolastico emana il DDG Prot. n. 680, attuativo del decreto ministeriale 3 giugno 2015, n. 326, contenente le disposizioni inerenti alle graduatorie di istituto e l'attribuzione di incarichi di supplenza al personale docente, ad integrazione del precedente decreto ministeriale 4 maggio 2015, n. 248 emanato in materia;
   tra le numerose disposizioni, il citato provvedimento individua il 3 agosto 2015 quale termine perentorio per l'invio del modello A3 necessario a completare l'inserimento dei neoabilitati TFA nell'elenco aggiuntivo alla II fascia delle graduatorie di istituto. Analogamente, secondo le modalità descritte dall'articolo 7, comma 1, lettera b) del decreto ministeriale 22 maggio 2014, n. 353, veniva prescritta la scelta delle istituzioni scolastiche da effettuarsi nel periodo compreso tra il 4 e il 19 agosto 2015, mediante consegna del modello B. Tuttavia, con la nota ministeriale del 27 agosto 2015, n. 2945, veniva comunicata una proroga nell'elaborazione del modello B e della sua conseguente presentazione, da effettuarsi nell'arco temporale dal 25 settembre al 14 ottobre. Nelle more, i soggetti inseriti nelle graduatorie della III fascia, e che hanno acquisito il titolo di abilitazione in periodi in cui non è stato possibile iscriversi nell'elenco aggiuntivo alla II fascia, possono presentare domanda di precedenza assoluta, nell'attribuzione delle supplenze da III fascia per le corrispettive classi di concorso, compilando su istanze on-line il modello (permanente) A4;
   la conseguenza che si produce è che i docenti con abilitazione conseguita dopo il 31 luglio 2014 ed entro il 1o agosto 2015, pur avendo presentato regolarmente, entro il 3 agosto 2015, il modello A3 per l'inserimento nell'elenco aggiuntivo alla II fascia per l'a.s. 2015/16, non sono stati inseriti in graduatoria, in quanto si sono trovati nell'impossibilità di comunicare l'istituzione scolastica prescelta a causa della proroga dei termini di inoltro del modello B. Viceversa, potrebbero essere loro preferiti i soggetti inseriti nelle graduatorie della III fascia che, pur non abilitatisi per tempo, cioè successivamente al 1o agosto 2015, hanno presentato il modello A4 per la precedenza assoluta nelle attribuzioni delle supplenze;
   in definitiva, mentre le segreterie scolastiche sono in grado di visualizzare la priorità nella III fascia delle graduatorie d'Istituto richiesta da coloro che hanno acquisito l'abilitazione non tempestivamente (dopo il 1o agosto 2015), solamente la scuola capofila (quella alla quale è stato consegnato il modello A3) è in grado di visualizzare la priorità nella III fascia delle graduatorie d'Istituto richiesta da coloro i quali hanno acquisito l'abilitazione nei termini previsti (entro il 1o agosto 2015) –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza di quanto esposto in premessa e come intenda intervenire per porvi rimedio. (5-06377)


   GHIZZONI, CRIMÌ, COSCIA, ASCANI, MALPEZZI, RAMPI, MANZI, NARDUOLO, BOSSA, PES, ROCCHI, CAROCCI, VENTRICELLI, BLAZINA, ROSSI, SGAMBATO e COCCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, ha rivisto la normativa di principio in materia di diritto allo studio universitario e, in particolare, all'articolo 8, comma 3, ha sostanzialmente confermato la previgente normativa contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 172 del 26 luglio 2001, stabilendo che le condizioni economiche dello studente sono valutate su tutto il territorio nazionale tramite l'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109;
   l'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, siano rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'ISEE;
   l'articolo 23, comma 12-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dispone l'abrogazione del citato decreto legislativo n. 109 del 1998 far data dai 30 giorni dall'entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione dell'ISEE;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, sono state riviste le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'ISEE;
   con decreto interministeriale 7 novembre 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 17 novembre 2014, sono state emanate le disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica per la determinazione dell'ISEE e quindi, a decorrere dal 1o gennaio 2015, sono entrate in vigore le norme del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 per il calcolo dell'ISEE;
   l'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 stabilisce che l'ISEE si calcoli in base a due componenti, una reddituale e una patrimoniale, relative al nucleo familiare dell'interessato, definite rispettivamente dagli articoli 4 e 5 dello stesso decreto, come del resto era già previsto dall'articolo 2 del previgente decreto legislativo n. 109 del 1998;
   l'articolo 8 del medesimo decreto stabilisce poi le specifiche modalità per il calcolo dell'ISEE relativamente alle prestazioni per il diritto allo studio universitario, in particolare per quanto riguarda la determinazione della composizione del nucleo familiare dello studente, sostanzialmente confermando quanto già previsto dall'articolo 5 del previgente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001, salvo la differenza sostanziale concernente il conteggio dei redditi e del patrimonio dei fratelli e delle sorelle dello studente;
   l'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 68 del 2012 stabilisce che le università graduano la contribuzione dovuta dagli studenti iscritti sulla base della loro condizione economica, utilizzando lo stesso strumento dell'ISEE del nucleo familiare previsto per le prestazioni di diritto allo studio;
   considerato altresì che:
    in queste settimane gli studenti si immatricolano o si iscrivono alle università per l'anno accademico 2015/16 e devono quindi presentare – ai fini sia della determinazione dei contributi da versare, sia dell'accesso a prestazioni di diritto allo studio universitario – l'ISEE relativo al proprio nucleo familiare, utilizzando per la prima volta le nuove norme e modalità di calcolo illustrate in premessa;
    sono giunte dalla stampa e dalle organizzazioni studentesche notizie riguardanti l'aumento improvviso rispetto all'anno scorso dei valori del nuovo ISEE, anche per famiglie che non hanno avuto significative variazioni dei loro redditi e patrimoni;
    un recente studio dell'Istituto Regionale programmazione regionale della toscana (IRPET) (http://www.irpet.it/storage/pubblicazioneallegato/565–Nota–DSU–280415-1.pdf) ha effettivamente evidenziato, a parità dei dati familiari reddituali e patrimoniali, un aumento dei valori del nuovo ISEE rispetto al precedente che porterebbe, se confermato, ad una netta riduzione degli studenti che avranno accesso alle prestazioni di diritto allo studio universitario;
   l'aumento dei valori dell'ISEE farà sì che anche la contribuzione dovuta dagli studenti agli atenei aumenterà decisamente, anche a parità di condizioni economiche, allontanando ancora più i giovani, appartenenti alle classi meno abbienti e anche alla classe media impoverita dagli studi universitari e quindi aggravando il divario di formazione superiore dei cittadini di cui l'Italia già soffre in tutti i confronti internazionali;
   particolarmente preoccupante è la situazione degli studenti attualmente borsisti: lo studio dell'IRPET sopra citato mostra che circa il 9 per cento di loro perderebbe improvvisamente la borsa di studio nonostante che abbiano rispettato le condizioni di merito e non si siano modificate le loro condizioni di reddito; e che questo accada a metà del percorso di studi è particolarmente pregiudizievole anche perché questi studenti si troverebbero non solo a perdere il sostegno economico pubblico ma diventerebbero anche soggetti ai contributi da pagare all'ateneo di appartenenza, col rischio concreto che essi siano costretti ad interrompere gli studi universitari –:
   se le analisi degli istituti specializzati e le anticipazioni della stampa siano o meno confermate dai primi dati in possesso del Ministero;
   se, in caso affermativo, non ritenga di dover intervenire a tutela del diritto allo studio universitario garantito dalla Costituzione, proponendo di modificare urgentemente, in modo opportuno, la normativa per il calcolo dell'ISEE, qualora risultasse effettivamente penalizzante per le famiglie degli studenti universitari, o le soglie statali per l'accesso alle prestazioni di diritto allo studio, alzandole in modo da poter controbilanciare l'aumento dell'ISEE a parità di condizioni economiche del nucleo familiare;
   se non ritenga comunque di dover rassicurare su questo tema le famiglie degli studenti universitari già iscritti o di quelli che si stanno immatricolando in questi giorni in modo che non si verifichi un'ulteriore diminuzione degli iscritti all'università e, a medio termine, dei laureati, tra coloro che provengono dai ceti meno abbienti. (5-06379)


   D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 2 agosto 1999, n. 264, sono state introdotte nell'ordinamento alcune limitazioni al sistema di accesso per i corsi di laurea di cui agli articoli 1 e 2, anche attraverso la programmazione ministeriale del numero di posti disponibili;
   in particolare, l'articolo 3 della legge 2 agosto 1999, n. 264, regola i criteri che devono essere utilizzati per determinare annualmente il numero dei posti a livello nazionale da assegnare ai singoli atenei per i corsi di cui all'articolo 1, quali medicina e chirurgia, odontoiatria e medicina veterinaria;
   secondo quanto disposto dallo stesso articolo, tale determinazione deve essere necessariamente disposta, con proprio decreto, dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, «sulla base della valutazione dell'offerta potenziale del sistema universitario, tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo»;
   l'articolo 1 del decreto ministeriale 3 luglio 2015, n. 463, dispone che «per l'anno accademico 2015/2016, l'ammissione dei candidati ai corsi di laurea di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1999, n. 264, avviene a seguito di superamento di apposita prova sulla base delle disposizioni di cui al presente decreto»;
   l'articolo 2 dello stesso decreto prevede che la prova di ammissione ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria, alla quale partecipano i candidati comunitari, i candidati non comunitari di cui all'articolo 26 della legge n. 189 del 2002 citata in premessa e i candidati non comunitari residenti all'estero, «è unica per entrambi i corsi ed è di contenuto identico sul territorio nazionale», evidenziandone l'uniformità organizzativa e normativa;
   l'articolo 3, infine, stabilisce che le modalità, i contenuti della prova di accesso e, soprattutto, i posti disponibili per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia in lingua inglese sono definiti con specifico decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, non lasciando dubbi in merito a possibili assegnazioni non disposte attraverso provvedimenti ministeriali;
   con il decreto interministeriale 29 luglio 2015, n. 517, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha disposto, all'articolo 1, che «per l'anno accademico 2015-2016, i posti per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, destinati agli studenti comunitari e non comunitari residenti in Italia, di cui all'articolo 26 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sono determinati a livello nazionale in n. 9530 e sono ripartiti fra le università secondo la tabella allegata, che costituisce parte integrante del presente decreto»;
   nonostante le previsioni normative sanciscano, in maniera non equivocabile, che le azioni in materia di accesso ai corsi di medicina e chirurgia in tutto il territorio italiano siano regolate dalla disciplina «ad hoc», in data 26 agosto il quotidiano consultabile online «Il Giornale di Sicilia», riportando la possibile apertura presso la città di Enna di una nuova facoltà di medicina, in stretta collaborazione con l'università «Dunarea de Jos» di Galati, Romania, evidenziava una preoccupante — violazione di tali precetti;
   così come riportato dal quotidiano, sarebbero due i corsi di laurea da attivare, realizzati dalla fondazione «Proserpina», ed inaugurati alla presenza dell'ex senatore, oggi amministratore delegato della stessa, Mirello Crisafulli, nonché del neo assessore regionale alla sanità, Baldo Gucciardi, e del rettore dell'università «Dunarea de Jos», Iulian Gabriel Birsan;
   «tale apertura», conclude l'articolo, rappresenterebbe «una possibilità ai tanti aspiranti medici che si sono bloccati ai test di ammissione», dal momento che come riportato da analogo articolo, pubblicato in data 28 agosto 2015, dalla rivista online «Rainews», »per accedere ai due i corsi di laurea, «medicina e farmacia» e «professioni infermieristiche» bisognerà frequentare 10 settimane di corso di lingua, e poi superare i test d'ammissione, essenziale sapere il rumeno», senza alcun test di ingresso e «con una retta annuale pari a circa 9 mila euro»;
   benché non si riscontri alcun atto ministeriale che autorizzi l'apertura ovvero l'attivazione dei corsi, ad avviso dell'interrogante in totale conflitto con tutte le disposizione normative citate in premessa sul tema dei corsi universitari di medicina e chirurgia, dagli stessi quotidiani si apprende come l'ex senatore Mirello Crisafulli abbia già assicurato «La laurea che noi rilasceremo sarà immediatamente valida in tutta Europa, Italia compresa» –:
   se il Governo sia mai stato a conoscenza della volontà di attivazione di nuovi corsi universitari in medicina e chirurgia presso la città di Enna, attraverso la collaborazione della fondazione «Proserpina» e della «Dunarea de Jos» di Galati, Romania;
   se, in assenza di preventive informazioni, si intenda urgentemente verificare la conformità alla normativa italiana in materia di accesso ai corsi universitari a numero programmato, dei corsi promossi dalle organizzazioni citate in premessa;
   qualora venissero verificate eventuali profili di non conformità alla normativa vigente, quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere. (5-06380)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALPERTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra l'Università degli studi di Brescia e gli Istituti ospedalieri bresciani spa sarebbe stato predisposto un accordo quadro per lo svolgimento di attività assistenziali, formative e di ricerca della durata di sei anni;
   tale accordo prevede oneri finanziari non meglio specificati, utilizzo comune di strutture, dotazione di pianta organica, nonché comune attività di ricerca scientifica;
   al contrario, la convenzione tra l'Università di Brescia e l'Ospedale civile risulta scaduta da quattro anni, ovvero dal 2011, senza che si provveda al suo rinnovo;
   si assiste così a un'incredibile situazione caratterizzata da una convenzione in essere con una società privata e un accordo scaduto e non rinnovato con l'ospedale pubblico;
   tale caso è emblematico di un sistema che finisce, di fatto, per agevolare la sanità privata a discapito di quella pubblica, spesso anche con una maggiorazione di spesa per i bilanci –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga di assumere iniziative, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, al fine di promuovere e rafforzare le forme di collaborazione tra le strutture universitarie e le aziende ospedaliere pubbliche, creando, ove ne sussistano i presupposti, delle «corsie preferenziali» rispetto a eventuali accordi o convenzioni con analoghe aziende a carattere privato, soluzione che, ad avviso dell'interrogante, potrebbe meglio garantire il contenimento della spesa pubblica;
   se, alla luce delle evidenti criticità dell'attuale assetto della sanità in Italia, il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative finalizzate a rivedere complessivamente l'organizzazione e il funzionamento del servizio sanitario nazionale, eventualmente valutando di ripristinare in capo ai sindaci poteri di controllo e di verifica rispetto alle politiche sanitarie. (4-10342)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, PLACIDO, AIRAUDO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, COSTANTINO, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la testata La Provincia di Fermo.com dell'11 settembre 2015 riporta alcuni dati del Dipartimento sicurezza sul lavoro di Cgil, Cisl, Uil del 2014 – gli ultimi rilevati – sullo stato della sicurezza e della regolarità dei dipendenti sui luoghi di lavoro;
   dai dati richiamati emerge come nei primi 9 mesi del 2014, nelle province di Ascoli Piceno e di Fermo, sono risultate essere irregolari 68 aziende su 83 ispezionate. In particolare sotto il profilo della regolarità dei lavoratori, 47 sono risultati irregolari e «in nero», mentre 102 regolarizzati;
   al termine dei controlli, sono stati recuperati premi per 553 mila euro;
   il lavoro nero o irregolare è una delle storiche piaghe che affligge il nostro sistema produttivo, in grado di colpire ad un tempo i lavoratori, che vedono fortemente menomati i loro diritti sul piano economico, contributivo e di sicurezza sul lavoro, nonché le aziende che operano sul mercato rispettando le leggi e che subiscono la concorrenza sleale delle aziende irregolari, che abbattono i costi del lavoro eludendo le norme –:
   quali misure intenda intraprendere il Ministro interrogato sul fronte del contrasto al «lavoro nero» ed irregolare, sia sul piano della rilevazione/repressione, che su quello della prevenzione del fenomeno;
   se siano previste misure particolari per aree come quelle indicate in premessa, caratterizzate da un consistente numero di piccole e medie imprese. (4-10339)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la mobilitazione degli agricoltori piemontesi avvenuta l'8 settembre 2015, alla frontiera del Brennero, tra l'Italia e l'Austria, finalizzata a sollecitare il Governo e le istituzioni preposte, ad interrompere il flusso di prodotti agricoli che ogni giorno attraversano le frontiere e che vengono successivamente venduti come made in Italy, conferma ancora una volta, a giudizio dell'interrogante, la scarsa incisività, anche e soprattutto in ambito comunitario, dell'azione svolta dal Ministro interrogato al fine dell'introduzione di adeguate misure volte all'etichettatura di provenienza;
   al riguardo, la Coldiretti Piemonte, con gli allevatori provenienti dalle varie province della regione, da Torino a Cuneo, da Alessandria ad Asti, da Novara – Verbano Cusio Ossola, a Vercelli – Biella, nel corso della manifestazione di protesta, ha evidenziato nuovamente le gravi conseguenze derivanti dagli effetti economici e d'immagine per il Paese, nonché dai rischi sulla sicurezza alimentare che gravano sui consumatori italiani;
   la suindicata organizzazione agricola piemontese, a tal proposito, ha riscontrato come all'interno di un camion frigo sono stati trovati 10 mila chilogrammi di burro non italiano, destinato ad aziende piemontesi, il cui rinvenimento mortifica oggettivamente le produzioni degli allevatori locali che non riescono a recuperare dagli attuali prezzi di mercato i costi del loro lavoro;
   l'interrogante evidenzia, altresì, come lo stesso Ministro interrogato in tema di etichettatura di origine, avesse recentemente manifestato l'esigenza di introdurre nuovi strumenti di tutela del vero made in Italy agroalimentare, aggiungendo, inoltre, l'indifferenza della Commissione europea in tema di sistema delle etichettature e di tracciabilità;
   le suesposte dichiarazioni, a parere dell'interrogante, rappresentano oggettivamente un segnale di evidente debolezza da parte del Governo italiano e del Ministro interrogato in particolare, nel sostenere in ambito comunitario, l'avvio di un percorso legislativo europeo in grado di migliorare il sistema di regole attraverso l'etichettatura dei prodotti agroalimentari e favorire, anche dal punto di vista etico, i consumatori i quali devono essere messi nelle condizioni necessarie di sapere la provenienza quando acquistano gli alimenti –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda avviare, anche e soprattutto in ambito europeo, al fine di velocizzare l'introduzione di regole volte ad introdurre l'etichettatura e la tracciabilità dei prodotti agroalimentari, rafforzando al contempo le tutele e la salvaguardia del made in Italy, a livello internazionale, evidentemente penalizzato dalla mancanza di un quadro normativo certo ed efficiente;

   quali iniziative di competenza intenda introdurre al fine di tutelare le imprese agricole italiane e gli allevatori piemontesi e nazionali, dai fenomeni della contraffazione alimentare e dal cosiddetto italian sounding, considerati i livelli di diffusione così invadenti ed estesi per dimensione sul territorio nazionale, i cui effetti anche a causa del lassismo dell'Unione europea in materia, continuano a produrre gravi danni all'economia agricola ed italiana in senso generale. (4-10335)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, D'UVA, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa di fine agosto 2015 si apprende che la Fondazione Proserpina di Enna, di cui è presidente Mirello Crisafulli (ex senatore del PD siciliano), attiverà dei corsi universitari di medicina e delle professioni sanitarie, in collaborazione con l'università Dunărea de Jos – Galaţe della Romania;
   a supportare l'istituzione dei corsi universitari rumeni vi è la stipula di una convenzione tra l'università rumena di Galaţie, Dunărea de Jos - Galaţie, la regione siciliana e l'Università Korè (università privata paritaria con sede a Enna), finalizzata all'attivazione, a partire dal corrente anno accademico, di un corso di laurea in medicina e delle professioni sanitarie;
   l'iscrizione ai corsi universitari costerebbero tra i 9 mila e 10 mila euro per la facoltà di medicina e tra i 4 mila e 5 mila euro per le professioni sanitarie;
   il decreto interministeriale (tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero della salute) del 29 luglio 2015, n. 517, «Programmazione dei posti per l'accesso al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia a.a. 2015/2016», di cui l'articolo 1, stabilisce per l'anno accademico 2015-2016, i posti per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia per studenti comunitari e non residenti in Italia, sono determinati a livello nazionale in n. 9530 e ripartiti fra le varie università del territorio nazionale; l'articolo 2, del citato decreto, prevede che ciascuna università del territorio nazionale dispone l'ammissione degli studenti in base alla graduatoria di merito unica nazionale, nei limiti dei corrispondenti posti assegnati ad ogni università –:
   se la convenzione descritta in premessa e i relativi corsi di medicina e professioni sanitarie siano conformi alle norme vigenti in tema di procedura per la selezione ai corsi di laurea in medicine e delle professioni sanitarie;
   se il Ministro sia a conoscenza di convenzioni analoghe a quella citata nell'interrogazione, sul resto del territorio nazionale;
   se non ritenga di assumere iniziative, anche normative, per evitare questo tipo di convenzioni che, di fatto, danneggiano gli aspiranti medici ed infermieri italiani partecipanti alle selezioni organizzate alle università già presenti sul territorio nazionale, che si attengono alle regole stabilite a livello ministeriale;
   come si concilino i corsi di medicina, menzionati in premessa, con quanto previsto dalle politiche di programmazione del fabbisogno nazionale di medici, definito dalle leggi vigenti. (5-06378)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI, TULLO, BORGHI, LAVAGNO, MALISANI, VERINI, VENITTELLI, GRASSI, GADDA, MARCHI, PATRIZIA MAESTRI, MARIANI, BERGONZI, TERROSI, AMATO, TARICCO, FRAGOMELI, D'OTTAVIO, CARRA, ALBINI, FERRARI, RIGONI, LAFORGIA, DALLAI, MONGIELLO, IACONO, SGAMBATO, FONTANELLI, BRUNO BOSSIO, CASTRICONE, LODOLINI, BRAGA, CIMBRO, FIORIO e CANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane è una società per azioni il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze;
   Poste Italiane gestisce i servizi in una condizione di monopolio e che garantisce l'espletamento del «servizio universale» sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato; in base a tale accordo, la società riceve significativi contributi impegnandosi conseguentemente a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   il servizio postale è spesso insostituibile nello svolgimento di moltissime attività quotidiane di famiglie ed imprese, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   il servizio postale assume, soprattutto nei piccoli comuni e nelle aree marginali e rurali, una fondamentale funzione che non si limita all'offerta dei molteplici servizi tradizionali, ma si estende sempre più a servizi bancari: conti correnti, libretti di risparmio, carte di credito, carte prepagate, investimenti obbligazionari, oltre ai pagamenti delle pensioni;
   il servizio postale rappresenta, soprattutto per la popolazione anziana, l'unico presidio in termini di servizio finanziario accessibile localmente;
   le aree interessate dalle chiusure sono già state oggetto di razionalizzazione di altri servizi, compresi quelli di trasporto fondamentali per raggiungere altri presidi;
   negli ultimi anni Poste Italiane ha intrapreso un processo di razionalizzazione degli uffici postali, procedendo sia alla chiusura degli stessi, sia alla riduzione degli orari di apertura degli sportelli in numerose aree del territorio nazionale;
   il nuovo piano industriale della società prevede infatti la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione del servizio a giorni alterni per altri 608 strutture. Il piano industriale non prevede inoltre nuove aperture di sportelli bancomat «bancoposta», una soluzione che potrebbe limitare i disagi causati alla popolazione residente;
   tali tagli, peraltro non concordati con gli enti locali interessati e già oggetto di critiche da parte di Anci, creeranno inevitabilmente profondi disagi soprattutto alle fasce deboli della popolazione (cittadini anziani e meno abbienti) che avranno maggiori difficoltà a raggiungere gli uffici postali vicini ed alle comunità che abitano in zone montane o marginali;
   in data 16 aprile 2015 il sottosegretario di Stato allo sviluppo e economico, intervenendo alla Camera dei deputati, in risposta alla interrogazione n. 5-04731, ha garantito che «Poste Italiane avrebbe coinvolto fin da subito regioni e comuni (attraverso le rispettive associazioni) nella fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali. In particolare l'azienda si è impegnata a spiegare come i servizi innovativi assicureranno la tutela del servizio universale per i cittadini»;
   va inoltre aggiunto, in questo contesto:
    che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha obbligato Poste Italiane ad avviare con le istituzioni locali, rispetto alle misure di razionalizzazione del servizio, un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    che il Consiglio di Stato, con la sentenza 1262/2015, ha ritenuto fondato il ricorso del comune Torre Orsaia contro Poste italiane stabilendo che l'azienda deve garantire un adeguato numero di punti di accesso al servizio su tutto il territorio nazionale comprese le zone montane e rurali;
   nella sola regione Toscana gli uffici postali, oggetto delle chiusura prevista dal piano industriale a partire dal 7 settembre 2015, sono 63, mentre verranno ridotti drasticamente gli orari in altri 37 sportelli;
   il 3 settembre il Tar della Toscana ha accolto la sospensiva presentata da 27 comuni e gli uffici postali interessati resteranno aperti fino alla discussione nel merito;
   il presidente del Tar della Toscana, inoltre, raccogliendo l'istanza di misura cautelare provvisoria monocratica presentata da altri 5 comuni interessati, ha sospeso la chiusura dei rispettivi uffici postali, in attesa della discussione collegiale del ricorso sulla sospensiva fissata per il 23 settembre prossimo;
   anche il Tar del Lazio e il Tar del Friuli, sempre in conseguenza di ricorsi dei comuni interessati, hanno assunto decisioni simili valutando che «pur ritenendo legittima la decisione di Poste si rileva la prevalenza dell'interesse pubblico allo svolgimento del servizio pubblico»;
   anche a seguito di tale sospensione, ed in virtù anche di importanti interventi diretti a mantenere presidi di servizio locale effettuati dalla regione stessa, il presidente della regione Toscana Enrico Rossi ha chiesto a Governo e Poste un tavolo di confronto per trovare una soluzione definitiva, «che tenga conto delle esigenze di razionalizzazione degli uffici, ma nello stesso tempo venga incontro anche alle esigenze dei cittadini» –:
   quali siano gli orientamenti del Governo alla luce degli indirizzi, già espressi ed in fase di pronunciamento, dei Tar sopra richiamati;
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere i Ministri interrogati, anche aggiornando i contenuti del contratto di servizio che intercorre tra Stato e Poste Italiane, per promuovere una efficace e rapida soluzione concordata tra Poste Italiane, regioni ed enti locali coinvolti, che preveda una razionalizzazione del servizio postale compatibile con la salvaguardia del «servizio universale», delle necessità della popolazione, delle attività delle imprese, dei territori marginali e delle indicazioni delle autorità nazionali competenti (Agcom e Consiglio di Stato). (5-06376)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Casellato n. 5-05659 del 20 maggio 2015.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ABRIGNANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in tema di etichettatura ed imballaggio di liquidi da inalazione senza combustione di cui all'articolo 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 504 del 1995 come modificato dal decreto legislativo n. 188 del 2014, valgono le norme stabilite dal Regolamento 1272/2008 (cosiddetto Regolamento CLP);
   in particolare, l'articolo 61, comma 4, capoverso 2, del citato regolamento recita che «in deroga al secondo comma dell'articolo 62 del presente regolamento, per le miscele classificate, etichettate e imballate in conformità della direttiva 1999/45/CEE (cosiddetta DPD) e già immesse sul mercato prima del 1° giugno 2015 non vale l'obbligo di essere rietichettate e reimballate in conformità del presente regolamento fino al 1° giugno 2017». L'articolo 2, comma 1, n. 18 del Regolamento definisce per immissione sul mercato «l'offerta o la messa a disposizione di terzi, a titolo oneroso o gratuito. L'importazione è considerata un'immissione sul mercato»;
   sulla scorta di tali previsioni si ritiene quindi che i liquidi già etichettati e imballati ai sensi della direttiva 1999/45/CEE e caricati in un deposito autorizzato ai sensi del decreto ministeriale 29 dicembre 2014 sino al 1° giugno 2015, possano essere venduti e commercializzati senza obbligo di rietichettatura e reimballaggio in conformità al CLP, fruendo della deroga di cui all'articolo 61, comma 4, capoverso 2 del menzionato regolamento, facendo fede pertanto la data di fabbricazione e inserimento dei prodotti nel deposito autorizzato quale momento di «immissione sul mercato» dei prodotti stessi;
   tale interpretazione è confermata dalla «Guida all'etichettatura e all'imballaggio a norma del regolamento (CE) n. 1272/2008» pubblicata sul sito dell'Unione europea, nella quale si afferma che «qualora una miscela sia già stata classificata, etichettata e imballata ai sensi della DPD e immessa sul mercato prima del 1° giugno 2015, ovvero a tale data risulta essere già presente all'interno della catena di approvvigionamento, il fabbricante, importatore, utilizzatore a valle o distributore ha facoltà di posticiparne la rietichettatura e il reimballaggio in conformità delle norme stabilite dal CLP fino al 1° giugno 2017. Ciò significa che la miscela può continuare a essere venduta nella catena di approvvigionamento con l'etichetta a norma DPD fino al 1° giugno 2017»;
   sembrerebbe che, in occasione di alcuni recenti controlli dei Nuclei antisofisticazioni e sanità dell'arma (NAS), si sia lasciato sottintendere che la deroga di cui all'articolo 61, comma 4, capoverso 2, del menzionato regolamento, non sarà rispettata. Tale operazione porrebbe le aziende del settore di fronte a seri problemi organizzativi, logistici ed economici, viste le oggettive difficoltà nel ritiro dei prodotti al fine di adeguarli alle nuove regole, già caricati nei rispettivi depositi –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, vista la particolare delicatezza dell'argomento trattato e soprattutto a tutela delle aziende del settore, ritenga doveroso offrire i necessari chiarimenti sull'applicazione dell'articolo 61, comma 4, capoverso 2 del regolamento 1272/2008 e reputi necessario favorire il coinvolgimento delle autorità competenti. (4-09316)

  Risposta. — Dal 1o giugno 2015, tutte le miscele devono essere etichettate secondo le prescrizioni del regolamento (CE) n. 1272/2008.
  È tuttavia possibile derogare a tale obbligo ai sensi dell'articolo 61, paragrafo 4, secondo capoverso del citato regolamento.
  Per quanto concerne l'applicazione di tale deroga di due anni, occorre evidenziare che l'immissione sul mercato di una miscela avviene all'atto dell'offerta, o messa a disposizione, tra due diverse entità legali, a titolo oneroso o gratuito.
  La miscela deve essere etichettata e approvata per la vendita e, quindi, messa a disposizione di terzi.
  L'immissione sul mercato avviene all'atto dell'offerta, o messa a disposizione, a titolo oneroso o gratuito, anche tra:
   società che fanno parte dello stesso gruppo industriale, ma aventi differenti entità legali;
   il fabbricante conto terzi e il proprio cliente.

  L'immissione sul mercato può avvenire anche senza il trasferimento fisico della miscela, purché si attesti l'avvenuta offerta.
  Il solo trasferimento fisico della miscela tra due magazzini della medesima società, non è inteso come immissione sul mercato, a meno che essa non sia già stata immessa sul mercato.
  Si comprova l'avvenuta offerta della miscela e, quindi, la possibilità di usufruire della deroga di due anni, esibendo almeno uno dei seguenti documenti, recanti:
   l'ordine di acquisto;
   il contratto di fornitura/acquisto;
   la fattura di vendita della miscela.

  In linea di principio deve essere sempre esibita la documentazione che attesti l'avvenuta offerta per ottenere la deroga.
  A tal riguardo, questo Ministero ha inviato agli assessorati alla sanità delle regioni e delle province autonome ed alle associazioni di categoria, la circolare n. 18439 del 29 maggio 2015, recante l'applicazione della deroga di due anni per l'adozione della etichetta clp
(classification, labelling and packaging) per le miscele fabbricate e immesse sul mercato prima del 1o giugno 2015, ai sensi dell'articolo 61, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 1272/2008.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   BARBANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i dati e le analisi contenute nel rapporto annuale sull'economia calabrese redatto dalla sezione regionale della Banca d'Italia testimoniano – ancora una volta e se mai ce ne fosse stato bisogno – come la situazione economica e sociale – visto soprattutto il dato occupazionale – della Calabria abbia oramai raggiunto livelli di assoluta emergenza;
   accanto alla diminuzione del prodotto interno lordo (che nel 2013 ha registrato in negativo il 2,8 per cento), in Calabria esistono irrisolte problematiche di carattere socio-economico per la cui inversione di tendenza sarebbe necessario operare scelte politiche e di governo chiare al fine di determinare e agevolare processi di sviluppo, anche e soprattutto attraverso una pianificazione di medio e lungo periodo che individui il turismo e il suo indotto tra i principali canali da utilizzare per risollevare le sorti di un'economia locale disastrata;
   tale vocazione della regione troverebbe l’humus necessario in un territorio posto al centro del Mediterraneo, bagnato dalle acque del mar Ionio e del mar Tirreno e solcato da rilievi montuosi, nel quale è possibile godere di panorami unici; un territorio culla della Magna Grecia e di storici insediamenti che hanno lasciato un'eredità culturale concreta di chiese e monasteri, castelli e palazzi, borghi e luoghi dove usi e tradizioni secolari – e persino millenarie – resistono ad una malintesa modernità;
   i Bronzi di Riace (scoperti il 16 agosto 1972 nel tratto di mar Jonio antistante il comune reggino di Riace) rappresentano il simbolo – oltre il fiore all'occhiello – della regione nonché, sul piano artistico e culturale, i valori di un territorio ricco di storia e tradizione, essendo conseguentemente esposti presso il Museo Nazionale archeologico di Reggio Calabria e custoditi in una sala dotata di un sistema di controllo del clima (mantenuto sui 20° d'inverno, 25-27° d'estate, con un tasso di umidità all'incirca del 35-40 per cento, tale da evitare così l'innescarsi di ulteriori fenomeni di corrosione): situazione che a parere della Soprintendente ai beni archeologici calabresi, Simonetta Bonomi, e del professor Schepis, sconsiglia decisamente il loro spostamento;
   in questo quadro, nel contesto socio- economico di una regione alla ricerca di punti di partenza per la propria rinascita, si inserisce l'iniziativa ad avviso dell'interrogante sconsiderata del signor Vittorio Sgarbi, ambasciatore Expo 2015 per le Belle Arti (nominato dal presidente della regione Lombardia Roberto detto «Bobo» Maroni), che ha richiesto il trasbordo dei delicati reperti da Reggio Calabria a Milano, proprio in occasione dell'EXPO 2015;
   a tal proposito, non sfugge certamente all'interrogante il valore assoluto delle opere in questione né tantomeno come l'arte non abbia paese alcuno e sia viceversa un dono che – in tal caso – la Storia ha voluto tramandare all'umanità;
   e pur tuttavia, come diceva Platone, «L'arte è espressione della bellezza, e la bellezza è lo splendore della verità» e la verità è che una regione come la Calabria ha disperatamente bisogno di occasioni di sviluppo laddove pare del tutto fuori contesto ogni attuale iniziativa volta a sottrarle risorse e attrattive quali quelle custodite al Museo nazionale archeologico di Reggio Calabria;
   a parere dell'interrogante, l'EXPO 2015 avrebbe avuto un senso solo se associato a vere occasioni di sviluppo per quelle porzioni di territorio nazionale ricche di potenzialità ma penalizzate da carenze infrastrutturali di ogni genere (autostrade, ferrovie e aeroporti) per le quali trovare nuove e sensate giustificazioni;
   se l'ambasciatore delle belle arti di Expo 2015 reputa che i Bronzi di Riace rappresentino anche cotanto orgoglio nazionale e visto il fiume di denaro già speso per EXPO 2015 – la cui gestione dei relativi fondi è peraltro oggetto di attenzione da parte delle autorità giudiziarie competenti – sarebbe stato utile – a titolo esemplificativo ma non esaustivo – accelerare il completamento sino al maggio 2015 dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, nell'ambito di un reale progetto di crescita per quelle aree, creando l'occasione tramite la quale migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo rendessero visita alla terra dei Bronzi di Riace, percorrendo strade degne di un paese civile;
   viceversa, l'interrogante ritiene che lo sradicamento dei Bronzi di Riace darebbe il segnale che la Calabria sia, anche per questo Governo, un corpo in coma irreversibile da cui poter espiantare i suoi organi più nobili –:
   se, per quanto di competenza, il Governo ritenga di assumere ogni iniziativa utile ad evitare qualsiasi tipo di trasbordo dei Bronzi di Riace dal Museo di Reggio Calabria a qualsiasi altro tipo di sede museale e/o espositiva diversa da quella attuale;
   se sia altresì intenzione del Governo adottare ogni iniziativa utile a sostenere, favorire e rilanciare la fruibilità del patrimonio artistico custodito all'interno del Museo Archeologico di Reggio Calabria, individuandolo come presupposto per azioni finalizzate allo sviluppo turistico dell'intera area. (4-05897)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, l'interrogante, con riferimento alla richiesta, secondo lo stesso interrogante: «sconsiderata», di esporre all'Expo 2015 i bronzi di Riace, conservati, in una sala con particolari condizioni microclimatiche, nel Museo nazionale archeologico di Reggio Calabria, chiede di conoscere quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare «qualsiasi tipo di trasbordo dei bronzi di Riace dal museo di Reggio Calabria a qualsiasi altro tipo di sede museale e/o espositiva diversa da quella attuale» e se sia «altresì intenzione del Governo adottare ogni iniziativa utile a sostenere, favorire e rilanciare la fruibilità del patrimonio artistico custodito all'interno del Museo archeologico di Reggio Calabria».
  Con riguardo alla prima questione, si informa che, immediatamente dopo aver ricevuto la formale richiesta di prestito, da parte del presidente della regione Lombardia, relativa alla possibilità di esporre i Bronzi di Riace, in occasione dell'expo 2015 di Milano, è stata istituita, con decreto ministeriale dell'8 settembre 2014, una commissione scientifica per verificare la trasportabilità delle due sculture in bronzo del V secolo a.C., conservate presso il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. Alla commissione, investita di competenza esclusivamente scientifica, è stato assegnato il compito di stabilire se, ed eventualmente a quali condizioni, le statue fossero trasportabili senza pregiudizio alcuno per la loro integrità e conservazione.
  La commissione è stata composta da: professor Giuliano Volpe, ordinario di archeologia all'università di Foggia, presidente; dottoressa Simonetta Bonomi, soprintendente per i beni archeologici della Calabria; architetto Gisella Capponi, direttrice dell'istituto superiore per la conservazione e il restauro; ingegner Gerardo De Canio, responsabile del laboratorio dell'unità tecnica «Tecnologia dei materiali» dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea); dottor Stefano De Caro, direttore dell’
International centre for the study of the preservation and restoration of cultural property (Iccrom); dottor Daniele Malfitana, direttore dell'Istituto per i beni archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr); professor Bruno Zanardi, associato di teoria e tecnica del restauro all'università di Urbino.
  Durante i suoi lavori, la commissione ha esaminato tutta la documentazione disponibile sui restauri effettuati nel corso degli anni e tutte le indagini scientifiche, da quelle relative agli esiti di invasivi micro-carotaggi, alle gammagrafie, alle radiografie. Ne è emersa l'esistenza di vari problemi conservativi nelle sculture; la presenza di numerose e diffuse micro-fessure; problemi di tenuta delle saldature antiche che hanno causato un indebolimento della tenuta strutturale del «sistema statua».
  Pertanto, la commissione scientifica ha espresso, unanimemente, parere negativo alla trasportabilità dei Bronzi di Riace e ha sconsigliato di sottoporre le due sculture greche ad un nuovo spostamento, non potendo escludere «un pregiudizio alcuno per la loro integrità e conservazione».
  Di conseguenza, non è stata accolta la richiesta della regione Lombardia di concedere in prestito temporaneo i bronzi di Riace per esibirli all'Expo 2015.
  In relazione al secondo quesito sollevato dall'interrogante, si assicura che il Ministero ha in corso di attuazione importanti interventi, sicuramente utili a sostenere, favorire e rilanciare la fruibilità del patrimonio artistico custodito all'interno del Museo archeologico di Reggio Calabria, nonché lo sviluppo turistico dell'intera area.
  Nel Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, di cui è attualmente visitabile solo il pianoterra con la sala dei bronzi, sono in avanzato corso di esecuzione i lavori di allestimento museografico e museologico e di completamento degli impianti tecnologici, diretti a garantire la completa riapertura e fruizione del museo. Gli interventi sono stati affidati con un appalto di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori, previsto tra gli interventi
ex articolo 48 della legge regionale n. 47 del 2011 e gravante sul Por Calabria, Fesr 2007-2013 per euro 5.000.000,00.
  Inoltre, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, di riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria è stato distaccato dalla soprintendenza archeologia della Calabria, dotato di autonomia speciale, quale museo di rilevante interesse nazionale (articolo 30 del decreto citato), ed elevato al rango di ufficio dirigenziale non generale.
  In forza della riconosciuta autonomia, il Museo sarà dotato di autonomia tecnico-scientifica ed avrà un proprio statuto, un proprio bilancio, un direttore, un consiglio di amministrazione, un comitato scientifico e un collegio di revisori dei conti.
  Il Museo svolgerà funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte in consegna, assicurandone e promuovendone la pubblica fruizione.
  Per la scelta del direttore del Museo di Reggio Calabria, come dei direttori degli altri musei dotati di autonomia speciale, è stata bandita una selezione internazionale, aperta a candidature sia italiane che estere.
  Una commissione, composta da esperti di chiara fama nel settore del patrimonio culturale, sta esaminando le domande pervenute e terminerà i propri lavori entro il 14 agosto 2015, indicando i nominativi cui affidare la direzione delle più importanti istituzioni museali statali italiane, tra cui quella di Reggio Calabria.
  È da ritenersi che le iniziative messe in capo siano in grado di consentire il rilancio del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, contribuendo, anche, come auspicato dall'onorevole interrogante, allo sviluppo culturale e turistico dell'intera area e della regione Calabria.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   BARBANTI, RIZZETTO, ROSTELLATO e BALDASSARRE. ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO, BECHIS e MUCCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 29 gennaio 2015, la procura ha chiesto il fallimento della fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella», nell'ambito dell'inchiesta che vede indagate 10 persone per false comunicazioni sociali. Nella richiesta della procura si ipotizza che, dal 2008 al 2011, sarebbe stata alterata la situazione economica e finanziaria della fondazione, provocando così un dissesto economico;
   successivamente, 23 febbraio 2015, con il decreto n. 17254, la prefettura di Catanzaro ha notificato, al presidente del tribunale, al presidente della fondazione, al presidente della regione Calabria e al Rettore della Magna Graecia l'atto: «con il quale questa Prefettura ha accertato l'impossibilità, per la Fondazione, di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito». Causa questa – si legge ancora – «di estinzione della personalità giuridica disciplinata dal codice civile all'articolo 27»;
   il 12 marzo 2015, il presidente della fondazione Campanella, ha notificato ai 245 dipendenti un provvedimento di licenziamento determinato – a detta di quest'ultimo – dall'inadempimento degli obblighi, da parte della regione Calabria e dalle conseguenze derivanti dal decreto prefettizio di estinzione della fondazione;
   il 20 marzo 2015, il provvedimento di licenziamento è stato impugnato dal legale dei 245 dipendenti, il quale con gli atti già notificati ed altri notificandi, ha dedotto che gli argomenti sostenuti nell'impugnato atto di licenziamento sono manifestamente infondati e irrilevanti e non possono assurgere né a giusta causa né a giustificato motivo. «Se, infatti, la regione Calabria non ha adempiuto i propri obblighi – si fa notare – la Fondazione avrebbe dovuto attivare i necessari meccanismi, anche giudiziari, al fine di ottenere l'adempimento degli impegni da parte della regione stessa»;
   stesso discorso, sostengono i legali, per l'estinzione della fondazione, dichiarata dal prefetto (atto immediatamente ricollegabile all'inadempimento della regione), dichiarazione che la fondazione avrebbe dovuto impugnare dinanzi all'autorità giudiziaria. A tutto ciò è stato aggiunto, nell'atto di impugnazione, «che il licenziamento si pone in violazione dell'accordo sindacale del 5 febbraio 2015, con cui era stato assunto l'impegno a mantenere in piedi la Fondazione, nonché dell'accordo del 1 ottobre 2013 intervenuto dinanzi al prefetto di Catanzaro.». Infine si sottolinea che, i lavoratori, essendo la fondazione un ente pubblico, non avrebbe potuto licenziarli ma avrebbe dovuto attivare i meccanismi relativi all'esubero del personale pubblico con assorbimento da parte delle pubbliche amministrazioni;
   il Ministero della salute ha più volte ribadito che la rete oncologica nazionale è una priorità da incentivare con forza. In Calabria la situazione sanitaria regionale è per certi aspetti deficitaria ma, nell'ambito di un sistema di per sé compromesso, la fondazione Campanella ha certamente rappresentato il fiore all'occhiello della sanità calabrese, contribuendo alla cura e alla ricerca oncologica anche a livello nazionale e soprattutto impedendo ai cittadini calabresi di spostarsi in altre regioni per ricevere le opportune cure. Tale sistema ora però rischia di essere definitivamente compromesso;
   questa situazione potrebbe determinare un aumento notevole dell'emigrazione sanitaria oncologica sia per quanto riguarda i ricoveri sia per ciò che concerne il regime ambulatoriale, aumentando vertiginosamente i costi del servizio sanitario che la regione si dovrebbe assumere per rimborsare le altre regioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti menzionati in premessa;
   quali iniziative il Ministro della salute, per la parte di competenza, abbia intenzione di porre in essere al fine di garantire a tutti i cittadini residenti sul territorio nazionale un'adeguata tutela della salute così come previsto dall'articolo 32 della Costituzione;
   quali iniziative, per le parti di competenza, i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere per salvaguardare l'eccellenza in campo oncologico che la fondazione Campanella rappresenta per la Calabria e tutto il territorio nazionale sia dal punto di vista sanitario sia in materia di tutela di professionalità e posti di lavoro garantendo in tal modo la presenza, nel Sud del Paese, di un presidio sanitario all'avanguardia cui possono rivolgersi tanti cittadini con gravi problemi di salute. (4-08555)

  Risposta. — La fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella» di Catanzaro, è un ente di diritto privato, che trae le sue origini da un protocollo di intesa tra il Ministero della salute, la regione Calabria, il comune e la provincia di Catanzaro e l'università «Magna Grecia» di Catanzaro, nel quale era prevista l'istituzione di un centro di eccellenza a vocazione oncologica, da trasformarsi in Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), con i fondi di cui all'articolo 20, della legge n. 67 del 1988.
  Nel dicembre del 2009, la regione Calabria ha adottato il piano di riqualificazione del servizio sanitario regionale che prevedeva «l'individuazione di un percorso che conduca alla ridefinizione a regime dell'assetto giuridico della fondazione T. Campanella».
  La Corte Costituzionale si è espressa negativamente sulle leggi regionali n. 35 del 2011 e n. 50 del 2011, che prevedevano un percorso di trasformazione della fondazione Campanella, ente di diritto privato, in Irccs di diritto pubblico, oltre alle modalità per la stabilizzazione del personale assunto dalla fondazione stessa con procedure privatistiche.
  Successivamente, con decreto del commissario
ad acta n. 136/2011, la struttura commissariale ha assegnato 250 posti letto all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini», comprensivi «delle unità operative a direzione universitaria a suo tempo attribuite alla gestione della fondazione Campanella».
  Inoltre, con il decreto n. 106 del 2012 recante la riorganizzazione della rete privata, la stessa struttura commissariale ha assegnato 35 posti letto di oncologia alla fondazione Campanella.
  In un secondo momento, è intervenuta la legge regionale n. 63 del 2012, recante «Ridefinizione assetto giuridico della Fondazione Campanella», che ha confermato la natura privata della fondazione, non impugnata innanzi la Corte Costituzionale, ma osservata dai ministeri affiancanti con il parere reso il 14 marzo 2013, nel quale è stata chiesta la modifica delle norme in contrasto con il piano di rientro e con la normativa vigente, anche in relazione al personale in esubero e al finanziamento della fondazione.
  La struttura commissariale ha trasmesso il decreto n. 22 del 19 febbraio 2015, con il quale il presidente ed il direttore generale della fondazione «Tommaso Campanella» deliberano la sospensione di tutte le attività assistenziali a decorrere dal 2 marzo 2015, evitando comunque qualsiasi rischio per i pazienti, ed il decreto del 23 febbraio 2015, con il quale il prefetto di Catanzaro ha dichiarato estinta la personalità giuridica della «fondazione Campanella», per l'impossibilità di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito.
  La prefettura-ufficio territoriale del Governo di Catanzaro ha precisato, in dettaglio, che lo statuto della fondazione «Tommaso Campanella», iscritta il 20 aprile 2006 nel registro delle persone giuridiche tenuto presso la stessa prefettura, prevedeva, oltre che un fondo patrimoniale di euro 20.000, anche un fondo di dotazione così composto:
   il diritto di uso di parte dell'edificio della facoltà di medicina e chirurgia sito in località Germaneto, concesso dall'università fino allo scioglimento della fondazione;
   risorse, pari ad euro 25.822.845, da parte della regione, destinate all'accordo di programma stralcio, per l'acquisizione delle attrezzature e delle tecnologie necessarie per il centro oncologico di eccellenza.

  Era inoltre previsto che, entro il termine essenziale di tre anni dalla data di stipula dell'atto costitutivo, la fondazione avrebbe dovuto richiedere il riconoscimento del centro oncologico di Germaneto quale istituto di ricovero e cura a carattere scientifico e che, nelle more, la regione assicurasse le risorse finanziarie necessarie al funzionamento dell'attività della Fondazione, nella misura di euro 50.000.000 per gli anni 2005, 2006 e 2007, e con una quota proporzionale al periodo di attivazione per il 2004.
    Tale termine, tuttavia, non è mai stato fatto valere dai soci ed anzi, le leggi regionali n. 11 del 2009, n. 48 del 2009 e n. 8 del 2011 lo hanno di volta in volta prorogato.
  Successivamente, con la legge regionale n. 35 del 28 novembre 2011, la fondazione veniva riconosciuta quale «ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile», e veniva inserita nel sistema sanitario regionale ed accreditata provvisoriamente.
  In tale legge era, altresì, previsto che la regione avrebbe dovuto, entro quattro anni dall'istituzione come ente di diritto pubblico, e dunque dalla cancellazione dal registro delle persone giuridiche private (come specificato dalla successiva legge regionale n. 50 del 2011), promuoverne il riconoscimento di carattere scientifico.
  Qualora entro detto termine non si fosse addivenuti al riconoscimento di Irccs, la fondazione sarebbe stata soppressa con deliberazione della Giunta regionale.
  La legge regionale n. 35 del 2011 è stata, tuttavia, oggetto di impugnazione da parte del Consiglio dei ministri, e dichiarata incostituzionale con sentenza n. 214/2012, per violazione dell'articolo 81, comma 4, della Costituzione.
  A seguito della citata pronuncia, la regione Calabria è di nuovo intervenuta, con la legge regionale n. 63 del 13 dicembre 2012, per ridefinire l'assetto giuridico della fondazione.
  Tale legge, sostanzialmente, ha confermato la natura privata dell'ente, ha stabilito i criteri per la remunerazione delle prestazioni, ha disposto l'accreditamento definitivo delle unità oncologiche ed il trasferimento di quelle non oncologiche all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, previa intesa con i soci fondatori.
  Il 9 maggio 2013, la fondazione «Tommaso Campanella» ha apportato alcune significative modificazioni allo statuto, rimuovendo il riferimento alla necessità di trasformarsi in Irccs ed eliminando il consiglio di amministrazione quale organo dell'ente.
  Problema rilevante per l'attuazione della legge regionale n. 63 del 2012 era quello legato al passaggio del personale dipendente della fondazione, non afferente alle unità oncologiche, all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini».
  Le difficoltà scaturivano dal fatto che tutto il personale della Fondazione era stato assunto senza concorso, e ciò ne determinava l'impossibilità di essere assorbito da un soggetto pubblico.
  A tal proposito, nel corso di una riunione tenutasi nella prefettura di Catanzaro il 1o ottobre 2013, era stato sottoscritto un accordo tra l'azienda ospedaliera «Mater Domini», l'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, la regione Calabria e l'università «Magna Grecia», in base al quale i citati enti convenivano di costituire una società a capitale interamente pubblico, retta secondo l'istituto dell’
in house providing e apprestata per fornire servizi di natura strumentale agli enti soci.
  Il protocollo, tuttavia, non ha mai avuto attuazione, poiché l'ipotesi prospettata di creare una società
in house, sebbene inizialmente condivisa anche dal «tavolo Massicci», è definitivamente tramontata, a causa delle determinazioni assunte a livello nazionale, tese ad eliminare tali enti e per la necessità di trovare soluzioni tecniche alternative.
  Tale aspetto, unitamente al mancato adempimento, da parte della regione Calabria, dell'obbligo, assunto nello statuto, di versare circa 26 milioni di euro quale fondo di dotazione dell'ente, ha comportato un aumento dell'esposizione debitoria della fondazione nei confronti dei fornitori e dei dipendenti.
  La situazione è stata attentamente seguita dalla prefettura che, nel corso di numerose riunioni, ha sempre cercato di operare una mediazione per trovare una soluzione volta a scongiurare la cancellazione dell'ente dal registro delle persone giuridiche, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe determinato in termini di impatto occupazionale sul territorio, di assistenza medica, di formazione universitaria.
  In particolare, nel corso dell'incontro tenutosi in prefettura il 17 giugno 2014, il presidente facente funzioni della regione Calabria, confermando la volontà di mantenere in vita la fondazione, aveva assunto l'impegno di costituire un apposito tavolo con l'avvocatura regionale e l'università, assistita dall'avvocatura dello Stato, per esaminare la vicenda legata al fondo di dotazione che la regione avrebbe dovuto conferire in qualità di socio fondatore, non pacificamente riconosciuto, nonché ai rimanenti crediti vantati dall'ente nei confronti della regione.
  Il medesimo intendimento era stato espresso anche quando i soci fondatori erano stati convocati dal presidente della fondazione, affinché adottassero i provvedimenti di loro competenza per la liquidazione dell'ente: anche in detta occasione, infatti, la regione aveva espresso volontà negativa rispetto alla messa in liquidazione della fondazione, assumendo l'impegno a sottoscrivere una transazione del giudizio pendente innanzi al tribunale di Catanzaro, con la quale, a fronte della rinuncia al giudizio, si impegnava a corrispondere, in tre anni, la complessiva somma di 29 milioni di euro.
  L'impegno assunto dal socio regione Calabria è sfociato nel riconoscimento dell'esistenza di un debito nei confronti della fondazione, ammontante ad euro 29.000.000, ma nessun atto concreto è stato conseguentemente assunto.
  Nel frattempo, la procura della Repubblica di Catanzaro ha avviato un procedimento penale, ipotizzando nei confronti degli amministratori della fondazione il reato di false comunicazioni sociali, per aver alterato in modo sensibile la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'ente.
  La consulenza tecnico-contabile, depositata nell'ambito del citato procedimento penale, ha fatto emergere una gravissima situazione di dissesto/insolvenza dell'ente, tale da aver indotto la stessa procura della Repubblica a presentare istanza di fallimento innanzi al tribunale di Catanzaro.
  Sulla scorta di tale documento, trasmesso dalla procura della Repubblica alla prefettura in data 3 febbraio 2015, e valutata la persistente inerzia dei soci della fondazione, anche a seguito della ennesima convocazione innanzi al notaio da parte del presidente della fondazione, affinché venissero assunte le iniziative più idonee a scongiurare il fallimento dell'ente, in data 5 febbraio 2015, è stato avviato il procedimento finalizzato ad appurare l'esistenza di una causa di estinzione, ovvero la permanenza, in capo alla fondazione, dei requisisti richiesti dalla normativa vigente ai fini dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
  La fondazione «Tommaso Campanella» ha confermato lo stato di crisi economico-finanziaria in cui versa l'ente, rappresentando che «la mancata erogazione del fondo di dotazione e il mancato adempimento degli obblighi sopra indicati sono idonei a determinare (...) l'impossibilità di prevedere una prosecuzione dell'attività», tant’è che con decreto del presidente e del direttore generale della fondazione è stata disposta la sospensione di tutte le attività assistenziali delle unità operative attualmente gestite dalla fondazione a far data dal 2 marzo 2015.
  Pertanto, il 23 febbraio 2015 la prefettura di Catanzaro ha adottato il decreto con il quale ha accertato la mancanza di un patrimonio adeguato e, dunque, l'impossibilità, per la fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella», di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito, causa di estinzione della personalità giuridica espressamente disciplinata dal codice civile all'articolo 27.
  Tale atto è stato comunicato al presidente del tribunale, per consentirgli di porre in essere gli adempimenti di cui all'articolo 11 delle disposizioni di attuazione del codice civile, nonché al presidente della fondazione e ai soci fondatori.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il  15 ottobre 2014 la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise ha pubblicato un bando con scadenza 5 novembre 2014 rivolto a istituzioni, fondazioni e associazioni per l'affidamento, a canone agevolato, di spazi entro siti, istituti e luoghi della cultura di proprietà del demanio dello Stato, ramo storico-artistico, affidati in gestione al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, esistenti nel territorio della regione Molise, per finalità di interesse pubblico consistenti nello svolgimento di servizi diversi destinati alla promozione della conoscenza del patrimonio culturale presente nella regione e al miglioramento delle condizioni della sua fruizione da parte della collettività, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e del turismo;
   il bando riguarda 26 siti di rilevante interesse culturale (6 musei, 16 siti archeologici e 4 castelli) per i quali si propone: l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni di beni o di oggetti ispirati ai temi delle raccolte ospitate negli istituti e luoghi della cultura; il servizio editoriale e di vendita riguardante cataloghi e sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, nonché ogni altro materiale informativo; i servizi di studio e di ricerca, anche per fini di tutela; i servizi di accoglienza, assistenza ed intrattenimento per l'infanzia; i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica; l'organizzazione di mostre, manifestazioni culturali ed iniziative promozionali;
   i requisiti richiesti erano, a giudizio dell'interrogante, estremamente restrittivi (risalta un'esperienza almeno triennale nello svolgimento di attività aventi ad oggetto la promozione della cultura materiale del territorio ovvero una collaborazione, di fatto, già in essere con le soprintendenze regionali);
   la durata del bando è stata di sole tre settimane non supportata da alcuna forma di pubblicità;
   è pervenuta una sola istanza presentata dall'associazione Me.Mo. Cantieri Culturali, costituitasi pochi mesi prima della pubblicazione del bando e che già operava in collaborazione con la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise tanto da avere la sede operativa, prima dell'affissione pubblica del bando, al medesimo indirizzo della direzione stessa. Tale associazione culturale ha pertanto vinto il bando di gara come preannunciato dai consiglieri regionali del gruppo del MoVimento 5 Stelle Molise, in un'apposita raccomandata spedita prima della proclamazione del vincitore;
   il bando richiedeva al vincitore un canone annuo di appena euro 3400,00 pari al 20 per cento (in fase di contrattazione aumentato del 6 per cento sul totale dei visitatori) degli introiti riscossi in media in un anno dal Ministero per l'opera di valorizzazione che tale direzione è riuscita a dare in quasi un decennio ai 26 siti in oggetto, tra i quali spiccano insediamenti di interesse e di importanza mondiale;
   da lungo tempo il Movimento 5 Stelle del Molise denuncia una gestione particolaristica dei beni culturali in questo territorio e che da lungo tempo la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise non ha manifestato alcun segnale di apertura e disponibilità collaborativa verso tutti gli operatori sociali ed economici che operano in regione;
   il bando di gara favorisce, ad avviso degli interroganti, di fatto, la gestione monopolistica di quasi tutto il patrimonio artistico e culturale del Molise senza aprire ad ulteriori collaborazioni con i liberi professionisti del settore, con il mondo dell'associazionismo né a quello accademico –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se non ritenga opportuno, in nome di una maggiore trasparenza che, sia il progetto aggiudicatario che gli strumenti di valutazione della direzione, vengano pubblicati nella sezione trasparenza nell'apposito sito affinché gli esponenti del settore e i cittadini tutti possano conoscere le modalità di gestione e valorizzazione dei beni comuni;
   quali strumenti il Ministero propone di adottare per tutelare tutti gli altri attori economici e culturali che operano in Molise (guide turistiche, archeologi, associazioni culturali, e altro) e che operano da anni negli stessi luoghi ora gestiti dall'associazione Me.Mo. Cantieri Culturali;
   se, alla luce di quanto sopra esposto, tale modello di gestione non favorisca di fatto una gestione monopolistica di quasi tutto il patrimonio artistico e culturale del Molise. (4-07373)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante chiede precisazioni in ordine a un bando di gara, con scadenza 5 novembre 2014, per l'affidamento, a canone agevolato, di spazi entro siti, istituti e luoghi della cultura di proprietà del demanio dello Stato, ramo storico artistico, affidati in gestione al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, esistenti nel territorio della regione Molise, lamentando in particolare una asserita scarsa pubblicità del bando e paventando una gestione monopolistica del patrimonio culturale del Molise.
  Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
  La competente direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise, con bando pubblicato il 15 ottobre 2014, ha attivato una procedura ad evidenza pubblica, mediante pubblico incanto, per l'affidamento, a canone agevolato, di spazi entro siti, istituti e luoghi della cultura di proprietà del demanio dello Stato, ramo storico-artistico, affidati in gestione al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, esistenti nel territorio della regione Molise, per finalità di interesse pubblico consistenti nello svolgimento di servizi per il pubblico, ossia di funzioni ed attività destinate alla promozione della conoscenza del patrimonio culturale nazionale presente nella regione ed al miglioramento delle condizioni per la sua fruizione da parte della collettività, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e del turismo; nel bando sono stati indicati i requisiti il cui possesso costituiva
condicio sine qua non per la partecipazione alla gara da parte dei soggetti interessati alla procedura ad evidenza pubblica.
  I requisiti richiesti, per le istituzioni, fondazioni e associazioni, costituite senza scopo di lucro ed interessate a partecipare al bando, erano i seguenti:
   essere costituite, per almeno il 60 per cento, da associati partecipanti dotati di titolo di formazione post-universitaria (dottorato di ricerca, diploma di specializzazione e titoli equipollenti);
   essere costituite da associati o partecipanti che avessero già maturato esperienza, per almeno un triennio, nello svolgimento di attività di valorizzatone e di educazione al patrimonio culturale, presso strutture periferiche del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo o di enti pubblici territoriali competenti ad assicurare la pubblica fruizione e la valorizzazione del loro patrimonio culturale;
   essere costituite da associati o partecipanti che avessero maturato esperienza, per almeno un triennio, nello svolgimento di attività intese a promuovere la cultura materiale dei territori in cui avessero lavorato;
   avere associati o partecipanti, in misura pari ad almeno il 30 per cento, che avessero maturato esperienza, per almeno un triennio, nello svolgimento di attività di sorveglianza su cantieri archeologici, anche nella conduzione di indagini di archeologia preventiva;
   avere associati o partecipanti, in misura pari ad almeno il 30 per cento, che avessero maturato esperienza, per almeno un triennio, in progetti di studio del territorio;
   avere associati o partecipanti, in misura pari ad almeno il 30 per cento, che avessero maturato esperienza, per almeno un triennio, nello svolgimento di attività di catalogazione e digitalizzazione di schede relative a materiale archeologico, storico-artistico, architettonico ed etnoantropologico, secondo le direttive dell'Istituto culturale per il catalogo e la documentazione.

  L'interrogante ritiene «i requisiti richiesti... estremamente restrittivi (risalta un'esperienza almeno triennale nello svolgimento di attività aventi ad oggetto la promozione della cultura materiale del territorio ovvero una collaborazione, di fatto, già in essere con le soprintendenze regionali)». Al riguardo, la citata direzione regionale ha precisato che «era intenzionata ad affidare le attività educative, di accoglienza del pubblico e di intrattenimento dello stesso negli istituti e luoghi della cultura esistenti nel territorio regionale molisano a giovani professionisti, esperti e motivati, in grado di gestire i siti loro dati in consegna e di attirare pubblico con una serie di offerte non limitate alla sola illustrazione delle opere d'arte contenute nei siti stessi, ma capaci di collegare i siti al territorio, considerato in tutti i suoi aspetti, ivi compresi quelli costituiti da espressioni della vita quotidiana e materiale. Per un tale, invero ambizioso, progetto di educazione al patrimonio, che l'Amministrazione intendeva realizzare in Molise, per riscattare tale realtà territoriale, ricca di potenzialità, dal ruolo di ’sito minore’ o, peggio, ’periferico’, i livelli di specializzazione richiesti agli associati o partecipanti alle istituzioni, fondazioni o associazioni interessate a partecipare alla procedura di evidenza pubblica così indetta, costituivano, ad avviso dell'Amministrazione procedente, la soglia minima di esperienza necessaria a condurre con successo l'impresa consistente nel far conoscere il patrimonio archeologico, storico-artistico, paesaggistico, ma anche le esperienze e le tradizioni del Molise ad un pubblico il più vasto possibile».
  L'interrogante rileva criticamente, poi, che siano state date solo tre settimane di tempo alle istituzioni, fondazioni ed associazioni interessate a partecipare alla procedura di evidenza pubblica per formulare la propria offerta. Al riguardo, va rilevato che la direzione regionale ha riferito che «il bando di gara è stato predisposto nel rispetto delle disposizioni normative regolanti l'affidamento di servizi e la concessione in uso di spazi entro immobili di proprietà dello Stato: infatti nessun ricorso è stato presentato avverso il bando o i conseguenti esiti della procedura selettiva così espletata». La stessa direzione regionale, nel confermare che al bando ha risposto una sola associazione, ha anche rimarcato che «l'Amministrazione, comunque, dopo l'apertura della busta contenente l'offerta, ha anche invitato l'associazione offerente ad un dialogo inteso a migliorare le condizioni dell'offerta stessa, prima di procedere all'aggiudicazione della gara».
  Si fa poi presente che l'affermazione in base alla quale l'associazione che si è aggiudicata la gara aveva la propria sede «al medesimo indirizzo della direzione stessa», non risponde al vero. Infatti, mentre la sede della direzione regionale beni culturali e paesaggistici è in Campobasso, alla salita S. Bartolomeo, n. 10, la sede dell'associazione in questione è in Campobasso, alla via Tiberio, n. 72.
  Quanto alla lamentata scarsa pubblicità conferita al bando di gara, la competente direzione regionale ha affermato che «esso ha ricevuto la pubblicità prevista dalle vigenti disposizioni di legge». Infatti, ai sensi e per gli effetti della legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 32, comma 2, esso è stato pubblicato sul sito informatico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise, e degli uffici territoriali da essa dipendenti, oltre che all'albo dei medesimi uffici. Di esso, inoltre, è stata data informazione, per estratto, su due quotidiani a diffusione regionale (
Primo piano Molise e Quotidiano del Molise) e su un quotidiano a diffusione nazionale (Il Mattino). Circa il fatto che alla gara abbia partecipato una sola associazione, ciò che rileva è che, comunque, l'associazione partecipante aveva tutti requisiti previsti dal bando per poter partecipare. E vale la pena di sottolineare che fra i componenti dell'associazione che si è aggiudicata il servizio di assistenza culturale e di intrattenimento del pubblico negli istituti e luoghi della cultura molisani non vi sono né parenti né sodali dell'allora direttore regionale o dei soprintendenti con i quali essi devono direttamente coordinarsi nello svolgimento delle loro attività.
  Con riguardo al canone fissato per la concessione di spazi all'interno degli istituti e luoghi della cultura del Molise, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise ha evidenziato che «esso è pari al 20 per cento di quanto detti istituti e luoghi incassano in un anno, ma occorre anche aggiungere che molti di detti luoghi hanno un biglietto di ingresso ad un prezzo molto basso e molti altri sono aperti gratuitamente. Peraltro, scopo dell'amministrazione dei beni e delle attività culturali e del turismo, in realtà ’periferiche’, come quelle molisane, non è quello di incrementare gli introiti, perché certo le strutture espositive esistenti in Molise non potrebbero mai raggiungere i livelli di presenze di altre realtà espositive, a favore delle quali gioca la tradizione, la dislocazione territoriale, la notorietà internazionale, ma piuttosto quello di consentire il formarsi di un ’indotto’, che abbia come volano il patrimonio culturale, e che permetta a giovani, con alto livello di formazione, di vivere facendo impresa culturale, dando così un senso ed uno scopo alla propria formazione universitaria e post-universitaria. E offrire questa possibilità ai giovani è per uno Stato che, secondo Costituzione, è ancora uno Stato sociale di diritto, un obbligo morale prima ancora che giuridico, specie in un momento in cui lo Stato, per mancanza di risorse economiche, non riesce più ad approntare e a portare avanti un piano organico di rinnovo del personale nella pubblica amministrazione».
  Quanto, poi, alla critica sui risultati della gestione da parte degli organi periferici di questo Ministero del patrimonio culturale molisano, si può rammentare che negli ultimi cinque anni:
   è stato riaperto al pubblico, dopo lavori di restauro e di adattamento a sede espositiva, il Castello Pandone, in Venafro, allestito come Pinacoteca nazionale con le opere del territorio provenienti da chiese dirute o non più agibili, poste a confronto con opere di maestri maggiori, provenienti, in prestito, dai depositi di realtà museali quali il Museo nazionale di Capodimonte o la Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini (consentendo in tal modo ai visitatori di poter conoscere opere di grandi maestri della pittura anche in realtà periferiche);
   è stata completata, sempre a Venafro, l'acquisizione alla mano pubblica ed è stato parzialmente aperto alla fruizione l'anfiteatro romano, detto il Verlascio;
   è stata completata, ad Isernia, la realizzazione del Museo del Paleolitico (i cui lavori erano stati iniziati nel lontano 1986 e la cui mancata realizzazione era diventata un caso nazionale), con conseguente apertura al pubblico della struttura, che ha registrato numeri davvero lusinghieri di visitatori (mediamente dal 2013, anno dell'apertura, 10.000 all'anno), per una regione piccola come il Molise;
   è in corso di riallestimento, sempre ad Isernia, il Museo di S. Maria delle Monache, che sarà il museo della civiltà del Sannio Pentro;
   è stato riallestito, a Campobasso, il Museo sannitico, con un lusinghiero riscontro di presenze (circa 5.000 visitatori nell'ultimo anno);
   è stato aperto al pubblico, sempre a Campobasso, il Museo di Palazzo Pistilli, destinato ad accogliere i dipinti della Collezione Praitano, oggetto di una donazione allo Stato, frutto di un positivo rapporto dell'Amministrazione con il territorio.

  Quanto alla ritenuta «gestione particolaristica», ferma restando ogni libertà di critica, si può solo osservare che la gestione delle strutture territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo risulta condotta nel pieno rispetto delle funzioni istituzionali assegnate dalla Costituzione e dalle leggi di settore all'Amministrazione dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Circa la vicenda oggetto della presente interrogazione, la citata direzione regionale ha riferito che «sulla gestione dei siti è stata presentata in consiglio regionale del Molise una apposita interrogazione in data 29 gennaio 2014, alla quale la direzione regionale del Molise ha risposto con la nota n. 484 del 4 febbraio 2014, della quale il presidente della Giunta regionale, su espressa richiesta della medesima direzione, ha dato lettura in assemblea regionale».
  Con riguardo al suggerimento, formulato dall'interrogante, di pubblicare «sia il progetto aggiudicatario che gli strumenti di valutazione della direzione», si precisa che, secondo quanto confermato dalla stessa direzione regionale, l'atto di aggiudicazione è stato a suo tempo pubblicato on line sul sito della direzione regionale, unitamente ad altri atti concernenti il procedimento. Si può aggiungere che, a garanzia della qualità della prestazione offerta, nell'atto di aggiudicazione sono stati stabiliti termini e modalità del monitoraggio delle attività affidate in appalto di servizi con
report bimestrali da parte dell'affidatario verso i vari responsabili unici dei procedimenti – ovvero i dirigenti di settore – e report semestrali da parte di questi ultimi alla struttura regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Quanto agli «altri attori economici e culturali che operano in Molise (guide turistiche, archeologi, associazioni culturali e altro)» ed alla tutela che ad essi dovrebbe essere assicurata da questo Ministero, va ribadito che la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise ha affidato i servizi di accoglienza del pubblico negli istituti e luoghi della cultura statali nel rispetto delle prescrizioni di cui all'articolo 117, comma 2, lettera
e), del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché delle indicazioni interpretative fornite, al riguardo, dai competenti uffici centrali del Ministero. Essa, al riguardo, ha riferito che «le guide turistiche locali non sono mai state ostacolate nello svolgimento della loro attività professionale, all'interno delle strutture museali statali, ogni qual volta esse si siano presentate con gruppi per effettuare visite nei monumenti di pertinenza dello Stato. Ma il diritto delle guide turistiche a condurre propri gruppi di visitatori entro le strutture espositive dello Stato, che certamente non può essere messo in discussione, non può essere considerato preclusivo di diverse e ulteriori forme di fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale».
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   BRUNETTA, BERGAMINI, BIANCONI, FAENZI e PARISI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in appena due mesi si sono registrati in Toscana, in particolare nella zona dell'Empolese Valdelsa, tre decessi di persone colpite da meningite da meningococco di tipo C (il tredicenne Giovanni Locci, di Cerreto Guidi, il 7 febbraio, Mattia Brendaglia, 17 anni, di Montelupo Fiorentino, il 20 marzo e Marta Corti, 34 anni di Vitolini di Vinci, il 29 marzo). Un'altra ragazza, una studentessa empolese è invece guarita dopo alcuni giorni di ricovero;
   un nuovo caso di meningite meningococco si è registrato solo pochi giorni fa a Empoli, colpendo una donna di 57 anni del comune di Cerreto Guidi (Firenze) che è stata ricoverata, fortunatamente in via di miglioramento, nel reparto malattie infettive dell'ospedale fiorentino Ponte a Niccheri;
   le asl competenti hanno attivato le procedure di profilassi previste per i casi di questo tipo per le persone entrate in contatto con le vittime o con i ricoverati;
   la regione Toscana ha avviato uno studio epidemiologico in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, ma si rischia però di dover attendere mesi prima di poter avere un risultato che consenta di comprendere fino in fondo se i casi verificatisi in un arco temporale e spaziale così ristretto siano frutto di casualità o se all'origine ci siano altre ragioni;
   dall'inizio del 2015 si sono complessivamente verificati in Toscana sedici casi di malattia meningococcica dovuta al meningococco di tipo C, sia in forma di meningite che nella più grave forma di sepsi (setticemia); oltre ai cinque casi di cui tre decessi nel territorio dell'Asi 11 di Empoli, si sono verificati altri undici casi nelle province di Firenze, Pistoia, Lucca, Pisa, Prato;
   la regione Toscana ha previsto, per l'area empolese, alcune misure come la vaccinazione o il richiamo per i minorenni e la vaccinazione volontaria per le persone tra i 19 e i 45 anni, «che sono entrati in contatto e hanno frequentato gli stessi ambienti di vita delle persone che si sono ammalate di meningite da meningococco C». Tale definizione risulta piuttosto vaga, nel senso che potrebbe riferirsi ad un numero di pazienti di poco superiore a quelli di una profilassi antibiotica, con alcune centinaia di persone coinvolte, oppure, al contrario, potrebbe interessare molti più cittadini;
   l'interrogante ha raccolto le forti preoccupazioni della popolazione interessata che segue con grande apprensione le notizie di queste settimane –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali interventi urgenti di propria competenza intenda porre in essere al fine di ampliare le misure di prevenzione riducendo in tal modo il rischio di infezioni da meningite di tipo C;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per dare concreto supporto all'azione della regione Toscana al fine di ridurre il rischio di meningite da meningococco di tipo C, attraverso adeguata e capillare azione di profilassi. (4-08905)

  Risposta. — In merito alla problematica segnalata nell'interrogazione parlamentare in esame, l'istituto superiore di sanità ha inteso precisare quanto segue.
  Presso l'istituto superiore di sanità dal 1994 è attivo un sistema di sorveglianza sulle meningiti batteriche, successivamente esteso a tutte le malattie batteriche invasive.
  Il sistema di sorveglianza, che attualmente gode di una convenzione con il Ministero della salute, raccoglie via
web le segnalazioni provenienti dalle regioni.
  Ai laboratori regionali che effettuano le ricerche microbiologiche viene richiesto di inviare campioni biologici e ceppi batterici al laboratorio di riferimento dell'istituto superiore di sanità, per la conferma e l'ulteriore caratterizzazione degli agenti etiologici isolati.
  I dati epidemiologici e quelli microbiologici sono integrati in un unico sistema via
web.
  L'Italia ha una bassa incidenza di malattia invasiva da meningococco: nell'anno 2014 sono stati segnalati 153 casi di malattia invasiva da meningococco.
  Non è stata ottenuta la tipizzazione per il 30 per cento dei pazienti, mentre per i pazienti con agenti tipizzati, 48 risultano appartenenti al sierogruppo B e 37 di sierogruppo C, 14 al siero gruppo Y, 7 al siero gruppo W e 1 di sierogruppo A.
  In Toscana, nel 2014, sono stati segnalati 16 casi di malattia batterica invasiva di cui 4 casi da meningococco C.
  Dopo l'introduzione estesa della vaccinazione nella prima infanzia contro il meningococco C in quasi tutte le regioni, la maggior parte dei casi è dovuta a meningococco B.
  In condizioni normali nella popolazione generale circolano diversi tipi di meningococchi, che possono colonizzare il nasofaringe del 5-10 per cento delle persone e non generare alcuna malattia.
  Solo una piccola proporzione di persone che vengono in contatto con questo batterio progredisce verso le forme invasive di malattia, quale sepsi e/o meningite.
  Alla data del 30 aprile 2015, il sistema di sorveglianza dell'Istituto superiore di sanità ha ricevuto 56 segnalazioni di malattie invasive da meningococco.
  Di queste, 22 provengono dalla Toscana e 17 sono state attribuite a meningococco C.
  Cinque di questi pazienti sono deceduti: l'età media dei casi è di 26 anni.
  I casi segnalati di sierogruppo C si sono verificati dall'inizio dell'anno a cadenza quasi settimanale, per lo più nell'area tra Firenze e Pisa (in particolare nell'area di Empoli), senza che siano state identificate modalità di trasmissione diretta.
  Nessun caso è stato classificato come secondario ad un altro, in seguito alle inchieste epidemiologiche effettuate dagli operatori locali.
  Attualmente, nei confronti dei contatti stretti dei casi viene effettuata una profilassi antibiotica mirata, per ridurre i rischi tra chi potrebbe essere stato contagiato.
  I ceppi di meningococco isolati dai pazienti in Toscana sono risultati riconducibili ad uno stesso clone ST11, associato alla malattia invasiva, per cui viene definito come ipervirulento, ed è di difficile riscontro nei portatori asintomatici, nelle fasce di età normalmente oggetto di indagine per lo studio dei portatori, ovvero gli adolescenti.
  Questo clone è stato già identificato e caratterizzato in diversi Paesi europei ed anche in Italia, ad esempio, nel focolaio epidemico del 2007 in Veneto, o in quello relativo ad una nave da crociera nel 2012.
  La malattia invasiva da meningococco è più frequente nei bambini (motivo per cui è stata introdotta la vaccinazione di routine) ed il rischio di contrarre la malattia potrebbe essere più elevato in presenza di pregresse infezioni respiratorie virali, come l'influenza.
  Per far fronte all'emergenza, la regione Toscana ha richiesto la collaborazione dell'Istituto superiore di sanità (Dipartimento di malattie infettive, parassitarie e immunomediate e Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute) e ha messo in atto una serie di misure di sanità pubblica, consistenti nell'identificazione precoce dei casi (inclusa la diagnosi rapida h. 24 con metodi molecolari), l'antibiotico-profilassi dei contatti dei casi, e l'offerta vaccinale ad adolescenti e persone adulte (i bambini sono già vaccinati nell'offerta di routine) residenti nelle aree a maggior rischio.
  In particolare, dopo aver esteso l'offerta gratuita del vaccino tetravalente coniugato (contenente anche il sierogruppo capsulare C) fino al 20o anno di età, è stato deciso di offrire l'opportunità della vaccinazione gratuita sino ai 45 anni di età, in base alla delibera della regione Toscana n. 571 del 27 aprile 2015, per il numero relativamente elevato di casi diagnosticati in persone adulte, al fine di offrire sia protezione diretta alla fascia di popolazione più colpita sia in modo indiretto alla popolazione generale, per la diminuzione della circolazione del batterio anche negli eventuali portatori.
  Inoltre, il dipartimento di malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità riceve campioni clinici e ceppi di meningococco per la valutazione della sensibilità agli antibiotici e per studi di caratterizzazione genetica, attraverso l'analisi approfondita del genoma batterico.
  Queste indagini sono finalizzate all'identificazione dei cloni circolanti e per individuare eventuali mutazioni caratterizzanti i ceppi.
  L'Istituto superiore di sanità ritiene che le strategie messe in atto, nell'ambito della collaborazione inter-istituzionale, sembrano essere del tutto adeguate.
  Inoltre, la risposta immunitaria è per lo più indirizzata verso il polisaccaride capsulare, che rappresenta il componente vaccinale del vaccino antimeningococco C.
  Questa evidenza scientifica supporta la validità della campagna di vaccinazione proposta e messa in atto dalla regione Toscana.
  La regione Toscana ha sottolineato che la vaccinazione con vaccino antimeningococcico tetravalente viene offerta gratuitamente presso i servizi vaccinali pubblici territoriali, i medici di medicina generale ed i pediatri di famiglia, secondo le modalità organizzative in atto nelle singole aziende sanitarie locali:
   a tutti i ragazzi di età compresa tra 11 e 20 anni (dagli 11 anni compiuti al compimento dei 20 anni di età) anche se mai vaccinati o già vaccinati nell'infanzia; ogni azienda unità sanitaria locale sta predisponendo le modalità per offrire attivamente la vaccinazione (chiamata diretta, tramite scuola/altro);
   alle persone, individuate dai servizi di igiene pubblica delle aziende sanitarie locali alle quali viene fatta la profilassi in quanto contatti di un caso di meningococco C;
   alle persone nella fascia di età 21-45 anni (dai 20 anni compiuti ai 45 anni):
    che hanno frequentato la stessa comunità nei 10 giorni precedenti l'inizio dei sintomi con contatto stretto o regolare (per comunità si intende l'insieme degli individui che hanno frequentato gli stessi ambienti del caso);
    per tutto l'anno 2015 e su richiesta, nelle aziende unità sanitarie locali nel cui territorio si è verificato un caso di meningite da meningococco C.

  Quale struttura di riferimento per la tipizzazione dei ceppi di meningococco, è stato individuato il laboratorio di immunologia dell'azienda ospedaliera universitaria Meyer di Firenze.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CATANOSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come riporta il settimanale Panorama in un articolo di Stefano Zecchi, il curatore della prossima Biennale veneziana si sarebbe dedicato a far svolgere una manifestazione dedicata alla difesa dell'arte dalla grande finanza internazionale;
   innanzitutto, lascia perplessi la decisione di allestire, sempre al fine della difesa dell'arte dalla grande finanza internazionale, un'Arena nel padiglione centrale dei Giardini, dove leggere durante tutta la durata dell'esposizione, per sette mesi, ad ogni ora, «Il Capitale» di Marx e testi di Lenin, Stalin, Trotskij ed altri;
   alla lettura di questi «epigoni» della cultura e della filosofia, si accompagneranno musiche, recital e film di altri appassionati intellettuali, sempre comunisti;
   sempre nell'ottica della difesa dell'arte dalla grande finanza internazionale, il curatore della prossima Biennale di Venezia, Okwui Enwezor, ha presentato artisti proveniente da ogni parte del mondo con l'intento di cancellare le periferie della cultura attraverso una concezione mondiale sta, senza confini, dell'arte, per sottrarla al capitalismo finanziario internazionale;
   tra gli artisti presenti nella «cittadella» a difesa della virtù anti-capitalistica si trova Oscar Murillo, artista assurto agli onori delle cronache di settore perché ha visto le proprie opere passare da valori «risibili» di poche migliaia di euro a quotazioni di centinaia di migliaia di euro in pochi anni;
   Oscar Murillo è rappresentato alla Biennale dal gallerista David Zwirner accusato da molti di aver creato un supermercato di lusso dell'arte;
   alla prossima Biennale altri tre artisti anti-capitalisti saranno rappresentati da David Zwirner: Adel Abdessemed, Chris Ofili e Isa Genzken;
   a giudizio dell'interrogante, ferma restando la libertà di espressione di ogni artista, v’è stata nella gestione della prossima Biennale di Venezia molta leggerezza e molta partigianeria;
   a giudizio di Stefano Zecchi e dell'interrogante, questi ricchi artisti anti-capitalisti e inneggianti al comunismo, a spese del contribuente però, non si capisce come abbiano potuto inserirsi nel parterre della Biennale –:
   quali iniziative ha intenzione di intraprendere il Ministro interrogato in merito alle vicende esposte in premessa.
(4-08885)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, con riferimento alla 56a Esposizione internazionale di arte, organizzata dalla Biennale di Venezia, dal 9 maggio al 22 novembre 2015, e in particolare al programma dell'esposizione curato da Okwui Enwezor, manifesta perplessità sulla «decisione di allestire, sempre al fine della difesa dell'arte dalla grande finanza internazionale, un'Arena nel padiglione centrale dei Giardini, dove leggere durante tutta la durata dell'esposizione, per sette mesi, ad ogni ora, “Il Capitale” di Marx e testi di Lenin, Stalin, Trotskij ed altri»; pertanto, ritenendo che «ferma restando la libertà d'espressione di ogni artista, v’è stata nella gestione della prossima Biennale di Venezia molta leggerezza e molta partigianeria», chiede quali iniziative si intendano intraprendere in ordine alla vicenda.
  La «fondazione La Biennale di Venezia», di seguito denominata «Fondazione», ha personalità giuridica di diritto privato ed è disciplinata dal decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19, concernente «Trasformazione dell'ente pubblico “La Biennale di Venezia” in persona giuridica privata denominata “Fondazione La Biennale di Venezia”, a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera
b), della legge 15 marzo 1997, n. 59» e, per quanto non espressamente previsto dal decreto legislativo, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del codice medesimo.
  La fondazione non persegue fini di lucro ed ha lo scopo, assicurando piena libertà di idee e di forme espressive, di promuovere a livello nazionale ed internazionale lo studio, la ricerca e la documentazione nel campo delle arti contemporanee mediante attività stabili di ricerca, nonché manifestazioni, sperimentazioni e progetti.
  La fondazione è dotata di uno statuto che ne specifica i compiti e la struttura operativa interna e che disciplina le modalità di organizzazione delle mostre o manifestazioni, delle attività di studio, di ricerca e sperimentazione, valorizzando la interdisciplinarietà tra le arti oggetto dei propri settori culturali, nel rispetto dei fini di cui sopra.
  La fondazione ha un settore permanente di ricerca e produzione culturale, rappresentato dall'archivio storico delle arti contemporanee (Asac), e dei settori finalizzati allo sviluppo dell'attività permanente di ricerca nel campo dell'architettura, delle arti visive, del cinema, della musica, della danza e del teatro, in coordinamento con l'Asac, nonché alla definizione ed organizzazione, con cadenza almeno biennale, delle manifestazioni di rilievo internazionale nel settore artistico di propria competenza.
  I direttori dei settori di attività culturali sono scelti dal consiglio d'amministrazione, tra personalità, anche straniere, particolarmente esperte nelle discipline relative alla progettazione e realizzazione dei programmi di attività dei settori di rispettiva competenza. Restano in carica per un periodo massimo di quattro anni e comunque per un periodo non superiore alla durata in carica del consiglio di amministrazione che li ha nominati. I direttori dei settori di attività culturali ricevono, per il rapporto di lavoro con la fondazione, un compenso stabilito dal consiglio di amministrazione con deliberazione soggetta ad approvazione da parte di questo Ministero.
  Okwui Enwezor è stato nominato direttore artistico del settore Arti visive della Biennale con delibera del consiglio d'amministrazione del 3 dicembre 2013 col compito di curare la preparazione e lo svolgimento delle attività del settore di propria competenza nell'ambito dei programmi approvati dal consiglio di amministrazione e delle risorse attribuite dal consiglio medesimo.
  Al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo spettano poteri di vigilanza sulla gestione della Fondazione e, in particolare, l'approvazione degli atti previsti dal decreto legislativo sopra richiamato, di natura prettamente gestionale, con esclusione delle scelte e degli indirizzi riguardanti l'organizzazione delle mostre o delle manifestazioni, nonché le attività stabili di studio, ricerca e sperimentazione, competenza esclusiva del consiglio di amministrazione.
  D'altra parte, l'interrogante non potrà non convenire che ogni interferenza – anche indiretta – del Ministero in ambiti che attengono prettamente alla produzione artistica potrebbe essere tacciata di lesione di un principio di libertà che poggia su un espresso fondamento costituzionale.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   CENSORE, D'ATTORRE, BRUNO BOSSIO, STUMPO, OLIVERIO, MAGORNO e COVELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione per la ricerca e la cura dei Tumori «Tommaso Campanella» è un istituto scientifico, istituita ai sensi dell'articolo 21 della legge regionale 7 agosto 2002, n. 29, quale fondazione di diritto privato, che rappresenta un centro di eccellenza e un punto di riferimento per tutta la regione Calabria;
   con delibera n. 356 del 28 luglio 2011, poi divenuta legge regionale, la giunta della regione Calabria ha tentato di trasformare la fondazione Tommaso Campanella da ente di diritto privato in pubblico;
   puntualmente, con ricorso notificato il 25 novembre 2011 e depositato il successivo 29 novembre (reg. ric. n. 165 del 2011) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1 – commi 1, 2, 3 e 5 – dell'articolo 4 – comma 3 – dell'articolo 5 e 9 – comma 1 – della legge della regione Calabria 28 settembre 2011, n. 35 (Riconoscimento ex articolo 54, comma 3, della legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25, della «Fondazione per la Ricerca e la Cura dei Tumori ”Tommaso Campanella” Centro Oncologico d'Eccellenza» come ente di diritto pubblico);
   successivamente, con la legge 28 dicembre 2011, n. 50 (Norme di integrazione alla legge regionale 28 settembre 2011, n. 35), la regione Calabria ha modificato varie disposizioni della legge regionale n. 35 del 2011, ma con successivo ricorso notificato il 28 febbraio 2012 e depositato il 5 marzo (reg. ric. n. 52 del 2012), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge regionale n. 50 del 2011, in riferimento agli articoli 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione;
   con sentenza n. 214 del 18 luglio 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'intero testo delle leggi della regione Calabria n. 35 del 2011 e n. 50 del 2011;
   in seguito, con la legge regionale 13 dicembre 2012, n. 63, «Ridefinizione assetto giuridico della Fondazione Campanella», la Fondazione per la ricerca e la cura dei Tumori «Tommaso Campanella» è stata confermata, senza soluzione di continuità, ente di diritto privato, finalizzato a garantire l'assistenza oncologica di alta specialità, ambulatoriale ed ospedaliera, di prevenzione primaria e secondaria, di riabilitazione e di ricerca;
   a giugno 2013, nella sede del comune di Catanzaro prima dell'inizio dei lavori del consiglio comunale in programma sui temi della sanità nel capoluogo della regione Calabria, il presidente Giuseppe Scopelliti ed il rettore dell'università Magna Grecia Aldo Quattone hanno sottoscritto un protocollo d'intesa che ha ridefinito i rapporti tra Fondazione Campanella e azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini»;
   i punti principali del suddetto accordo erano la salvaguardia della Fondazione Campanella, l'attuazione della legge regionale n. 63 e il mantenimento dei posti di lavoro dei dipendenti della Fondazione Campanella;
   nonostante l'approvazione della legge regionale n. 63 del 2012 e la firma del protocollo di intesa tra Scopelliti e il rettore Quattrone che avrebbero dovuto definitivamente risolvere il problema, ad oggi non c’è’ alcuna certezza su ciò che doveva essere un grande polo oncologico di riferimento per tutta la regione;
   la legge regionale n. 63 del 2012 prevede che la Fondazione Campanella, «già provvisoriamente accreditata», debba concludere il contratto con l'ASP di Catanzaro per l'acquisto delle prestazioni oncologiche. È altresì previsto che le UU.OO, non aventi mission oncologiche, previa intesa università «Magna Graecia» – regione Calabria, dovessero transitare all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» (come tra l'altro previsto del DPGR n. 136 del 2011 che prevede il passaggio dal primo gennaio 2012). Ad oggi, però, le UU.OO. di cui sopra continuano a gravare sulla Fondazione che ne deve sopportare i costi per il loro funzionamento senza avere alcuna remunerazione per le prestazioni erogate da quest'ultime;
   tale situazione ha chiaramente creato un notevolissimo deficit finanziario che è a conoscenza di tutti. Peraltro, nel corso dell'anno 2013, la Fondazione a fronte di una assegnazione provvisoria pari ad euro 10.000.000,00 (comunque insufficienti) per le sole prestazioni oncologiche, non ha ricevuto alcuna erogazione per l'impossibilità di sottoscrivere il contratto con l'ASP dovuto al ritardo della Commissione Accreditamento di Crotone ad esprimere il parere di competenza;
   questa situazione di stallo ha portato alla mancanza assoluta di liquidità, ha causato il blocco da parte dei fornitori di farmaci antiblastici che per l'ingente credito vantato e il mancato pagamento di tre mensilità ai dipendenti, che hanno inscenato una dura protesta sul tetto del policlinico di Germaneto per rivendicare il loro sacrosanto diritto alla retribuzione;
   per salvaguardare un imprescindibile punto di riferimento per tutti i cittadini calabresi per quel che concerne la ricerca e la cura oncologica e per tutelare l'occupazione e le professionalità occorre, oltre al versamento del fondo di dotazione iniziale pari ad euro 25.000.000,00 o parte di esso, mai versato dalla regione Calabria (nonostante statutariamente obbligata) che potrebbe rappresentare una soluzione in questa fase emergenziale, un immediato accreditamento della fondazione «Tommaso Campanella» o un decreto di accreditamento provvisorio nelle more della conclusione dei lavori da parte della commissione accreditamento di Crotone, l'applicazione immediata della legge n. 63 del 2012 e del protocollo d'intesa università-regione Calabria per il trasferimento delle UU.OO. non aventi mission oncologica dalla fondazione «Tommaso Campanella» all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini», il riconoscimento e l'erogazione delle somme relative alla gestione della UU.OO. che sarebbero dovute transitare all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» e che hanno continuato a gravare sul bilancio della fondazione «Tommaso Campanella» il cui costo per il loro funzionamento è già stato determinato da una commissione paritetica università-regione Calabria che è pari ad euro 26.000.000,00 l'anno –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti della struttura commissariale per tutelare un punto di riferimento regionale per la cura delle patologie oncologiche e un inestimabile patrimonio di conoscenze scientifiche e professionali, e salvaguardare i livelli essenziali di assistenza. (4-01661)

  Risposta. — La fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella» di Catanzaro, è un ente di diritto privato, che trae le sue origini da un protocollo di intesa tra il Ministero della salute, la regione Calabria, il comune e la provincia di Catanzaro e l'università «Magna Grecia» di Catanzaro, nel quale era prevista l'istituzione di un centro di eccellenza a vocazione oncologica, da trasformarsi in Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), con i fondi di cui all'articolo 20, della legge n. 67 del 1988.
  Nel dicembre del 2009, la regione Calabria ha adottato il piano di riqualificazione del servizio sanitario regionale che prevedeva «l'individuazione di un percorso che conduca alla ridefinizione a regime dell'assetto giuridico della fondazione T. Campanella».
  La Corte Costituzionale si è espressa negativamente sulle leggi regionali n. 35 del 2011 e n. 50 del 2011, che prevedevano un percorso di trasformazione della fondazione Campanella, ente di diritto privato, in Irccs di diritto pubblico, oltre alle modalità per la stabilizzazione del personale assunto dalla fondazione stessa con procedure privatistiche.
  Successivamente, con decreto del commissario ad acta n. 136 del 2011, la struttura commissariale ha assegnato 250 posti letto all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini», comprensivi «delle unità operative a direzione universitaria a suo tempo attribuite alla gestione della fondazione Campanella».
  Inoltre, con il decreto n. 106 del 2012 recante la riorganizzazione della rete privata, la stessa struttura commissariale ha assegnato 35 posti letto di oncologia alla fondazione Campanella.
  In un secondo momento, è intervenuta la legge regionale n. 63 del 2012, recante «Ridefinizione assetto giuridico della fondazione Campanella», che ha confermato la natura privata della fondazione, non impugnata innanzi la Corte Costituzionale, ma osservata dai ministeri affiancanti con il parere reso il 14 marzo 2013, nel quale è stata chiesta la modifica delle norme in contrasto con il piano di rientro e con la normativa vigente, anche in relazione al personale in esubero e al finanziamento della fondazione.
  La struttura commissariale ha trasmesso il decreto n. 22 del 19 febbraio 2015, con il quale il presidente ed il direttore generale della fondazione «Tommaso Campanella» deliberano la sospensione di tutte le attività assistenziali a decorrere dal 2 marzo 2015, evitando comunque qualsiasi rischio per i pazienti, ed il decreto del 23 febbraio 2015, con il quale il prefetto di Catanzaro ha dichiarato estinta la personalità giuridica della «fondazione Campanella», per l'impossibilità di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito.
  La prefettura-ufficio territoriale del Governo di Catanzaro ha precisato, in dettaglio, che lo statuto della fondazione «Tommaso Campanella», iscritta il 20 aprile 2006 nel registro delle persone giuridiche tenuto presso la stessa prefettura, prevedeva, oltre che un fondo patrimoniale di euro 20.000, anche un fondo di dotazione così composto:
   il diritto di uso di parte dell'edificio della facoltà di medicina e chirurgia sito in località Germaneto, concesso dall'università fino allo scioglimento della fondazione;
   risorse, pari ad euro 25.822.845, da parte della regione, destinate all'accordo di programma stralcio, per l'acquisizione delle attrezzature e delle tecnologie necessarie per il centro oncologico di eccellenza.

  Era inoltre previsto che, entro il termine essenziale di tre anni dalla data di stipula dell'atto costitutivo, la fondazione avrebbe dovuto richiedere il riconoscimento del centro oncologico di Germaneto quale istituto di ricovero e cura a carattere scientifico e che, nelle more, la regione assicurasse le risorse finanziarie necessarie al funzionamento dell'attività della fondazione, nella misura di euro 50.000.000 per gli anni 2005, 2006 e 2007, e con una quota proporzionale al periodo di attivazione per il 2004.
  Tale termine, tuttavia, non è mai stato fatto valere dai soci ed anzi, le leggi regionali n. 11 del 2009, n. 48 del 2009 e n. 8 del 2011 lo hanno di volta in volta prorogato.
  Successivamente, con la legge regionale n. 35 del 28 novembre 2011, la fondazione veniva riconosciuta quale «ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile», e veniva inserita nel sistema sanitario regionale ed accreditata provvisoriamente.
  In tale legge era, altresì, previsto che la regione avrebbe dovuto, entro quattro anni dall'istituzione come ente di diritto pubblico, e dunque dalla cancellazione dal registro delle persone giuridiche private (come specificato dalla successiva legge regionale n. 50 del 2011), promuoverne il riconoscimento di carattere scientifico.
  Qualora entro detto termine non si fosse addivenuti al riconoscimento di Irccs, la fondazione sarebbe stata soppressa con deliberazione della giunta regionale.
  La legge regionale n. 35 del 2011 è stata, tuttavia, oggetto di impugnazione da parte del Consiglio dei ministri, e dichiarata incostituzionale con sentenza n. 214 del 2012, per violazione dell'articolo 81, comma 4, della Costituzione.
  A seguito della citata pronuncia, la regione Calabria è di nuovo intervenuta, con la legge regionale n. 63 del 13 dicembre 2012, per ridefinire l'assetto giuridico della fondazione.
  Tale legge, sostanzialmente, ha confermato la natura privata dell'ente, ha stabilito i criteri per la remunerazione delle prestazioni, ha disposto l'accreditamento definitivo delle unità oncologiche ed il trasferimento di quelle non oncologiche all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, previa intesa con i soci fondatori.
  Il 9 maggio 2013, la fondazione «Tommaso Campanella» ha apportato alcune significative modificazioni allo statuto, rimuovendo il riferimento alla necessità di trasformarsi in Irccs ed eliminando il consiglio di amministrazione quale organo dell'ente.
  Problema rilevante per l'attuazione della legge regionale n. 63 del 2012 era quello legato al passaggio del personale dipendente della fondazione, non afferente alle unità oncologiche, all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini».
  Le difficoltà scaturivano dal fatto che tutto il personale della Fondazione era stato assunto senza concorso, e ciò ne determinava l'impossibilità di essere assorbito da un soggetto pubblico.
  A tal proposito, nel corso di una riunione tenutasi nella prefettura di Catanzaro il 1o ottobre 2013, era stato sottoscritto un accordo tra l'azienda ospedaliera «Mater Domini», l'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, la regione Calabria e l'università «Magna Grecia», in base al quale i citati enti convenivano di costituire una società a capitale interamente pubblico, retta secondo l'istituto dell’in house providing e apprestata per fornire servizi di natura strumentale agli enti soci.
  Il protocollo, tuttavia, non ha mai avuto attuazione, poiché l'ipotesi prospettata di creare una società in house, sebbene inizialmente condivisa anche dal «tavolo Massicci», è definitivamente tramontata, a causa delle determinazioni assunte a livello nazionale, tese ad eliminare tali enti e per la necessità di trovare soluzioni tecniche alternative.
  Tale aspetto, unitamente al mancato adempimento, da parte della regione Calabria, dell'obbligo, assunto nello statuto, di versare circa 26 milioni di euro quale fondo di dotazione dell'ente, ha comportato un aumento dell'esposizione debitoria della fondazione nei confronti dei fornitori e dei dipendenti.
  La situazione è stata attentamente seguita dalla prefettura che, nel corso di numerose riunioni, ha sempre cercato di operare una mediazione per trovare una soluzione volta a scongiurare la cancellazione dell'ente dal registro delle persone giuridiche, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe determinato in termini di impatto occupazionale sul territorio, di assistenza medica, di formazione universitaria.
  In particolare, nel corso dell'incontro tenutosi in prefettura il 17 giugno 2014, il presidente facente funzioni della regione Calabria, confermando la volontà di mantenere in vita la fondazione, aveva assunto l'impegno di costituire un apposito tavolo con l'avvocatura regionale e l'università, assistita dall'avvocatura dello Stato, per esaminare la vicenda legata al fondo di dotazione che la regione avrebbe dovuto conferire in qualità di socio fondatore, non pacificamente riconosciuto, nonché ai rimanenti crediti vantati dall'ente nei confronti della regione.
  Il medesimo intendimento era stato espresso anche quando i soci fondatori erano stati convocati dal presidente della fondazione, affinché adottassero i provvedimenti di loro competenza per la liquidazione dell'ente: anche in detta occasione, infatti, la regione aveva espresso volontà negativa rispetto alla messa in liquidazione della fondazione, assumendo l'impegno a sottoscrivere una transazione del giudizio pendente innanzi al tribunale di Catanzaro, con la quale, a fronte della rinuncia al giudizio, si impegnava a corrispondere, in tre anni, la complessiva somma di 29 milioni di euro.
  L'impegno assunto dal socio regione Calabria è sfociato nel riconoscimento dell'esistenza di un debito nei confronti della fondazione, ammontante ad euro 29.000.000, ma nessun atto concreto è stato conseguentemente assunto.
  Nel frattempo, la procura della Repubblica di Catanzaro ha avviato un procedimento penale, ipotizzando nei confronti degli amministratori della fondazione il reato di false comunicazioni sociali, per aver alterato in modo sensibile la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'ente.
  La consulenza tecnico-contabile, depositata nell'ambito del citato procedimento penale, ha fatto emergere una gravissima situazione di dissesto/insolvenza dell'ente, tale da aver indotto la stessa procura della Repubblica a presentare istanza di fallimento innanzi al tribunale di Catanzaro.
  Sulla scorta di tale documento, trasmesso dalla procura della Repubblica alla prefettura in data 3 febbraio 2015, e valutata la persistente inerzia dei soci della fondazione, anche a seguito della ennesima convocazione innanzi al notaio da parte del presidente della fondazione, affinché venissero assunte le iniziative più idonee a scongiurare il fallimento dell'ente, in data 5 febbraio 2015, è stato avviato il procedimento finalizzato ad appurare l'esistenza di una causa di estinzione, ovvero la permanenza, in capo alla fondazione, dei requisisti richiesti dalla normativa vigente ai fini dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
  La fondazione «Tommaso Campanella» ha confermato lo stato di crisi economico-finanziaria in cui versa l'ente, rappresentando che «la mancata erogazione del fondo di dotazione e il mancato adempimento degli obblighi sopra indicati sono idonei a determinare (...) l'impossibilità di prevedere una prosecuzione dell'attività», tant’è che con decreto del presidente e del direttore generale della fondazione è stata disposta la sospensione di tutte le attività assistenziali delle unità operative attualmente gestite dalla fondazione a far data dal 2 marzo 2015.
  Pertanto, il 23 febbraio 2015 la prefettura di Catanzaro ha adottato il decreto con il quale ha accertato la mancanza di un patrimonio adeguato e, dunque, l'impossibilità, per la fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella», di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito, causa di estinzione della personalità giuridica espressamente disciplinata dal codice civile all'articolo 27.
  Tale atto è stato comunicato al presidente del tribunale, per consentirgli di porre in essere gli adempimenti di cui all'articolo 11 delle disposizioni di attuazione del codice civile, nonché al presidente della fondazione e ai soci fondatori.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CIRACÌ, LAFFRANCO, MARTI, LATRONICO, PELLEGRINO, D'OTTAVIO, ALTIERI, FUCCI e DISTASO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione, ai sensi dell'articolo 9, dispone che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico e la Nazione» e in ottemperanza all'articolo 117 s) Cost. lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»;
   la legge 29 marzo 2001, n. 135 in materia di Riforma della legislazione nazionale del turismo, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 92 del 20 aprile 2001 dispone all'articolo 2 a) che la Repubblica «riconosce il ruolo strategico del turismo per lo sviluppo economico e occupazionale del Paese nel contesto internazionale e dell'Unione europea, per la crescita culturale e sociale della persona e della collettività e per favorire le relazioni tra popoli diversi»;
   il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 legge 6 luglio 2002, n. 1372. dispone che «la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura» e che «i privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantirne la conservazione»;
   uno dei simboli più importanti dell'arte italiana e della storia pugliese, nonché attrazione turistica di notevole spessore, è la trecentesca Chiesa della Madonna della Grotta, che insiste nel territorio della città di Ceglie Messapica (Br), costruita nel XIV secolo, su una cripta basiliana dell'VIII secolo dall'architetto Domenico de Juliano, in principio di proprietà del Capitolo della Collegiata cegliese, poi venduta dal demanio a privati nel 1871 a tutt'oggi difficilmente identificabili, che attualmente versa in uno stato di pietoso abbandono per l'incuria e il disinteresse degli organi preposti alla sua tutela, rischiando pertanto di essere cancellata dal panorama storico e artistico della nazione;
   da anni il grido di allarme lanciato da studiosi italiani e stranieri, da studenti che intendono svolgere tesi di laurea e da semplici cittadini che, a più riprese, hanno raccolto migliaia di firme, per salvare almeno quello che resta di questa splendida chiese del Trecento pugliese, non è stato ascoltato;
   il decreto ministeriale 3 novembre 1993 del Ministero dei beni culturali ha sottoposto la Chiesa a tutela «stante il rilevante interesse storico e culturale nonché l'abbandono in cui versa»; ma nessun atto concreto e consequenziale è stato posto in essere per salvare questo monumento e gli antichi affreschi ornamentali, ormai irrimediabilmente perduti;
   il Codice dei beni Culturale e del Paesaggio prevede pene severe e poteri sostitutivi contro chi, come in questo caso, sistematicamente distrugge un patrimonio che appartiene alla cultura nazionale (proprietà che vieta anche alle autorità l'ingresso al monumento);
   risulta necessario e urgente che gli organi competenti attivino tutte le procedure previste dalla legge poiché ogni ulteriore silenzio o mancanza di adeguati interventi di tutela porteranno alla sicura distruzione di questa splendida chiesa e questa perdita sarà addebitata all'incuria e alla responsabilità di coloro che sono preposti alla sua tutela e conservazione –:
   se sia a conoscenza dei fatti e se ritenga che possano sussistere i presupposti per l'esproprio del bene al fine di garantire il restauro e la conservazione dell'intero corpo di fabbrica per salvaguardare uno dei simboli religiosi e artistici più significativi del Sud Italia, in nome di un esclusivo interesse per la cultura e per il rilancio turistico della zona. (4-08126)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante, premesso che la chiesa della Madonna della Grotta di Ceglie Messapica, che costituisce uno dei simboli più importanti della storia e dell'arte pugliese, versa in uno stato di completo abbandono e incuria, chiede di sapere se esistano i presupposti per l'esproprio del bene al fine di eventuale restauro e conservazione dello stesso.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  La chiesa trecentesca, affidata dapprima al demanio dello Stato, fu successivamente venduta ai privati, e nel corso degli anni ha cambiato diverse proprietà.
  Con decreto ministeriale 3 novembre 1993 il Ministero ha sottoposto il bene alle disposizioni di vincolo monumentale.
  La chiesa è collocata al di sopra di una struttura ipogea di proprietà ecclesiastica, con confini peraltro non del tutto definiti, anch'essa in stato di abbandono.
  Già con una nota del marzo 1994, l'allora soprintendenza belle arti della Puglia, in ragione delle condizioni di degrado della chiesa della Madonna delle Grotte, ordinava ai privati proprietari del bene l'esecuzione di opere di presidio e consolidamento per scongiurarne la perdita anche parziale, interessando a riguardo anche la procura della Repubblica di Bari.
  Da quella data non si evincono, dagli atti della soprintendenza belle arti e paesaggio delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, sviluppi sulla questione, che attiene alla conservazione di un immobile di proprietà privata.
  La soprintendenza competente ha provveduto nei mesi scorsi a reiterare ai proprietari l'obbligo di eseguire i lavori necessari alla conservazione del bene al fine di scongiurare perdite anche parziali dell'immobile, aventi porzioni murarie in fase di collasso.
  A tal fine, si è anche espressa la disponibilità della soprintendenza ad affiancare un tecnico di fiducia incaricato dalla proprietà dell'immobile al fine di individuare le modalità di tali eventuali interventi.
  Tuttavia, stante l'inerzia fino ad oggi manifestata dalla proprietà dell'immobile, appare sussistere una indisponibilità anche economica dei privati ad affrontare l'oneroso e impegnativo intervento.
  La soprintendenza competente ha provveduto inoltre a inviare una nota alla Curia vescovile di Oria, proprietaria dell'ipogeo sul quale sorge la chiesa, con la quale, tenendo conto del fatto che Chiesa e ipogeo costituiscono un unicum architettonico, si invita a «valutare l'opportunità di ristabilire l'unità del bene, anche sotto il profilo della proprietà, auspicabile per il doveroso e ormai non più procrastinabile intervento di restauro e valorizzazione del complesso monumentale», esaminando dunque la possibilità di acquisire l'immobile. La segnalazione è stata indirizzata anche al sindaco.
  La soprintendenza inoltre ha segnalato che, stante quanto esposto, non sembrano esservi le condizioni per intervenire in via diretta e successivamente rivalersi sui proprietari inadempienti, come teoricamente previsto dalla normativa vigente.
  Stante il riconosciuto valore storico della Chiesa della Madonna delle Grotte si assicura che il Ministero, espletando le sue funzioni di tutela e vigilanza, collaborerà attivamente con la proprietà al fine di addivenire ad una soluzione che garantisca la valorizzazione dell'immobile, per la cui acquisizione allo Stato occorrerebbero peraltro risorse straordinarie, al momento non disponibili.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   CULOTTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il piano sanitario della regione siciliana 2011-2013, in linea con gli orientamenti programmatici nazionali e internazionali, ha inteso rimodulare la rete materno-infantile per garantire adeguati standard di qualità relativamente all'organizzazione ed alle funzioni collegate all'assistenza, con la finalità di attuare progressivamente le previsioni di cui alle «Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» di cui all'accordo della Conferenza unificata Stato – regioni, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2011;
   la Sicilia nel marzo 2015 aveva chiesto al Ministero della salute di valutare la deroga per 9 punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti l'anno: Mussomeli, Bronte, Nicosia, Mistretta, Corleone, Lipari, Petralia Sottana, Pantelleria più casa di cura S. Stefano di Quisquina. Successivamente, la regione chiede la deroga anche per i punti nascita di Cefalù e Licata, a causa degli oggettivi insuperabili disagi di viabilità che rendono difficili i collegamenti con il territorio;
   valutato il quadro complessivo, la direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute ha emesso il proprio parere;
   la deroga è ritenuta non accoglibile per motivazioni legate alla necessità di «assicurare la presenza degli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza di cui all'accordo Stato – Regioni nella logica del rispetto dei principi di appropriatezza organizzativa, efficienza, economicità ed efficacia»;
   è quindi è prevista la chiusura entro il 31 dicembre 2015 dei punti nascita di Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, S. Stefano di Quisquina e Licata ed entro il 30 settembre 2015 del punto nascita di Petralia Sottana;
   per quanto riguarda il punto nascita dell'ospedale Madonna dell'Alto di Petralia Sottana, ad oggi sono tutte valide le ragioni per le quali il comprensorio si era mobilitato per la deroga:
    a) distanza dagli altri presidi ospedalieri;
    b) viabilità precaria ora estremamente aggravata dal crollo dell'autostrada A19 che ha determinato l'isolamento di quell'area;
    c) altitudine dei centri abitati, 1000 metri, con frequenti innevamenti e relativi rischi per la circolazione e, quindi, per la vita dei pazienti;
   l'ospedale di Petralia ha da sempre rappresentato un punto strategico per tutto il comprensorio e oggi lo diventa maggiormente date le condizioni di isolamento e di estrema difficoltà per le Madonie e per tutte le attività del territorio. La strada statale 643, Polizzi-Scillato, sulla quale è dirottato l'80 per cento del traffico della Palermo-Catania, dopo il crollo del viadotto sulla A19, è già una trappola oggi e lo sarà ancora di più nel prossimo inverno per l'assoluta imprevedibilità dei tempi di percorrenza, in primo luogo per i mezzi di soccorso;
   nell'ultimo quinquennio (2010 – 2014) nell'ospedale in questione sono stati effettuati 620 parti con la media di 120 parti/annui; le interruzioni volontarie di gravidanza sono state 1293, con una media annua di 258,6, mentre gli interventi di ginecologia ammontano a 249, 49,8 annui;
   l'assemblea dei sindaci, degli amministratori, dei rappresentanti delle associazioni di categoria e delle forze politiche e sociali, svoltasi a Petralia Sottana l'11 luglio 2015, ha deciso di avviare subito la mobilitazione del comprensorio madonita, con un calendario di iniziative di lotta contro la chiusura del punto nascita e per il rilancio dell'ospedale;
   appena due settimane fa le Madonie sono state scelte dalla giunta regionale, rispetto ad altre aree della regione siciliana, come territorio in cui sperimentare un nuovo modello di sviluppo economico attraverso la strategia nazionale delle aree interne (S.N.A.I.), basato sulla sanità e la scuola, sulla mobilità e sulle risorse del territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti rappresentati e quali siano, per quanto di competenza, i suoi orientamenti in merito;
   se non ritenga opportuno intervenire, nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, concedendo una deroga all'ospedale di Petralia Sottana e quindi a tutto il territorio madonita, già abbondantemente dilaniato dai problemi di mobilità garantendo in tal modo parità di accesso al diritto alla salute. (4-09963)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata nell'interrogazione in esame, si forniscono le informazioni trasmesse dalla regione siciliana, che ha comunicato quanto segue.
  In data 13 marzo 2015, l'assessorato per la salute ha rappresentato al Ministero della salute, in riscontro alla nota dello stesso ministero del 2 marzo 2015, ed in particolare al punto 2.b, che indica: «Laddove si intendano mantenere in funzione, a causa di particolari condizioni orografiche, punti nascita con numero di parti inferiore a 500 per anno, deve essere formulata una proposta da sottoporre alla verifica e al preventivo parere del Ministero della salute da attuarsi entro il 30 aprile 2015», che:
   con provvedimento n. 46 del 14 gennaio 2015, recante «Riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera territoriale della regione Siciliana», si è proceduto – tra l'altro – alla riorganizzazione di tutti i punti nascita della Sicilia, secondo le direttive impartite dal Ministero della salute, con particolare riferimento alla qualificazione degli stessi sulla base dei requisiti minimi e del necessario contenimento della spesa;
   con l'adozione del piano di ottimizzazione dell'assistenza sanitaria nelle piccole isole ed in località disagiate, sono state rappresentate le peculiari esigenze sanitarie vitali delle popolazioni ivi residenti che, per le immutabili condizioni orografiche ad alta difficoltà di accesso, necessitano della presenza – in deroga – di punti nascita.

  In ragione di quanto sopra, è stata chiesta la deroga alla chiusura dei punti nascita di seguito riportati, la cui assistenza sanitaria viene allo stato attuale garantita dalle rispettive strutture sanitarie sia di parte pubblica che privata accreditata:
   presidi ospedalieri di Mussomeli (CL), Bronte (CT), Nicosia (EN), Lipari e Mistretta (ME), Corleone e Petralia (PA) e Pantelleria (TP);
   casa di cura di Santo Stefano di Quisquina (AG).

  In data 23 aprile 2015, lo stesso assessorato ha comunicato a questo Ministero quanto rappresentato, rispettivamente, dal comitato dei sindaci del comprensorio di Cefalù (Cefalù, Pollina, Castelbuono, Isnello, Collesano, San Mauro Castelverde, Campofelice di Roccella, Lascari e Gratteri) e dal direttore generale dell'Asp di Agrigento, relativamente alle problematiche connesse alla disattivazione dei punti nascita dei presidi ospedalieri di Cefalù e Licata, così come prevista dalla relativa rete regionale.
  Al riguardo, l'assessorato ha segnalato che stava concedendo una proroga temporale, sul termine di dismissione degli stessi, a causa degli oggettivi – allo stato attuale – insuperabili disagi di viabilità che rendono difficili i collegamenti con il territorio e che potrebbero comportare inadeguatezza dell'assistenza sanitaria.
  Il Ministero della salute, in data 21 maggio 2015, ha segnalato alla regione siciliana che erano state impartite prescrizioni, alla luce dell'ispezione seguita al decesso di una neonata verificatosi nella provincia di Catania il 12 febbraio 2015 e di altri eventi avversi che hanno riguardato il percorso materno infantile e che hanno rivelato diverse criticità più volte evidenziate, tra l'altro, nel contesto delle verifiche del comitato lea.
  Tali prescrizioni hanno riguardato la riorganizzazione dei punti nascita, con particolare riferimento a quelli con volumi di attività inferiori a 500 parti/anno, per i quali la Regione Siciliana ha presentato, entro i tempi previsti (30 aprile 2015), richiesta di deroga, da sottoporre al vaglio preventivo del Ministero della salute.
  Tuttavia, le interlocuzioni avvenute tra Ministero e assessorato hanno, comunque, portato alla definizione ed alla condivisione della chiusura dei punti nascita di Mussomeli (CL), Bronte (CT), Lipari (ME), Mistretta (ME), peraltro già chiuso, Petralia Sottana (PA), S. Stefano di Quisquina (AG), Licata (AG).
  Per tali punti nascita, la regione ha dichiarato che sono state attivate, dal 30 giugno 2015, le procedure finalizzate alla loro chiusura e che le stesse si concluderanno entro il 31 dicembre 2015.
  Sulla base delle indicazioni fornite, allo stato dei fatti, non si ravvisa la necessità di modifiche su quanto concordato congiuntamente tra il Ministero della salute e l'assessorato per la salute della regione Sicilia.
  Sarà comunque cura del Ministero mettere in atto ogni azione di monitoraggio e verifica di quanto indicato, per assicurare che l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza sia conforme a quanto previsto dall'articolo 32 della Costituzione.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sempre maggiore interesse sta suscitando nella comunità scientifica, con particolare riferimento al settore della medicina legale, il rischio della patologia da amianto nella popolazione militare italiana dall'approvazione della legge 27 marzo 1992, n. 257 ad oggi;
   a parere del deputato interrogante si tratta di una tematica su cui è doveroso fare luce non tanto per i risvolti scientifici della vicenda, quanto per accertare se alcuni servitori dello Stato siano stati esposti ad un'agente così gravemente contaminante come l'amianto nonostante che fosse chiaro sia da un punto di vista medico che legale la sua grave pericolosità;
   a parere del deputato interrogante la problematica delle patologie asbesto correlate non può saltare agli onori delle cronache solo in occasione dei pur meritori ed importantissimi maxi processi sul caso «Eternit» che ha colpito la zona di Casal Monferrato, perché ciò significa relegare nel silenzio tutti gli ulteriori casi che hanno colpito, tra gli altri, fedeli servitori dello Stato come i militari;
   tuttavia, i ricercatori del settore segnalano ai deputati interroganti una pesantissima difficoltà nel reperire dati numerici anche solo parziali, indispensabili per l'indagine epidemiologica e la proiezione statistica del rischio;
   si riscontra, infatti, nell'ambito della previdenza e della medicina militare la tendenza ingiustificabile — a non diffondere alcun dato, e, anche in presenza di una notizia di malattia, ad opporsi a legittime richieste di riconoscimento di causa di servizio adducendo criteri di esclusione secondo gli interroganti del tutto privi di fondamento che sono tra l'altro legalmente (più sentenze della Corte costituzionale si sono pronunciate in merito) e scientificamente facilmente oppugnabili;
   spesso, vengono rigettate le richieste che pervengono agli uffici previdenziali competenti;
   tali istanze vengono rigettate sulla base di un criterio temporale fissato dalla previdenza militare in 5 anni dal congedo, limite temporale tuttavia già riconosciuto inapplicabile per queste patologie a lunga latenza dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 323 del 2008 ed altre;
   anche cattedratici che da anni studiano la materia, nonché i legali di autorevoli associazioni che lottano per il riconoscimento delle patologie asbesto correlate non sono in possesso di dati e notizie certe;
   a tal fine non giova nemmeno consultare il cosiddetto «registro mesoteliomi», importantissima fonte di dati che però fornisce un quadro solo parziale della problematica (il quarto rapporto fa riferimento ai casi fino al 2008, mentre il picco di incidenza della malattia è atteso soltanto ancora nei prossimi anni) e non può rispondere alle istanze di urgenza sociale e sanitaria che le dimensioni del problema stanno generando negli ultimissimi mesi;
   nel valutare i dati, infatti, occorre considerare soprattutto il carattere di lunga latenza della malattia;
   le ricerche e i quesiti presenti in questo atto di sindacato ispettivo sono da intendersi riferiti agli appartenenti in servizio o in quiescenza ai corpi militari del comparto difesa –:
   quale sia il numero dei casi di malattia asbesto correlata ad oggi accertati tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero dei decessi direttamente ed indirettamente correlabili alla malattia da amianto tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero delle richieste di riconoscimento di causa di servizio pervenute agli organi previdenziali competenti tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero dei trattamenti previdenziali effettivamente già riconosciuti agli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quali siano le fonti di contaminazione da amianto ad impatto maggiore e quale sia la loro ubicazione in mezzi, strumenti, equipaggiamento e caserme;
   quale sia la stima della popolazione esposta ai contaminanti in oggetto prima dell'approvazione della legge n. 257 del 1992 tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quanti siano gli appartenenti ai corpi sopra enunciati ad oggi ancora presumibilmente esposti al rischio di amianto.
(4-08875)

  Risposta. — In piena e scrupolosa ottemperanza delle previsioni normative vigenti, l'amministrazione ha sviluppato un complesso di attività volte all'individuazione dei materiali e della componentistica contenenti tracce di amianto e alla loro rimozione, all'adozione di tutte le più efficaci misure di prevenzione per il personale eventualmente esposto e al sostegno e all'attribuzione dei benefici previdenziali e assistenziali previsti a favore del personale e dei rispettivi familiari.
  Ciò premesso, in merito ai casi di «malattia asbesto correlata ad oggi accertati», sulla base delle risultanze acquisite dall'osservatorio epidemiologico della Difesa (alle dipendenze dell'ispettorato generale della sanità militare), dal 1o gennaio 1996 al 1o quadrimestre 2015 risultano 405 casi, di cui 76 riguardano il personale dell'Aeronautica militare, 115 dell'Arma dei Carabinieri, 112 dell'Esercito italiano e 102 della Marina militare.
  Relativamente al numero dei «decessi», nello stesso arco temporale risultano 211 decessi, di cui 45 casi in Aeronautica militare, 50 nell'Arma dei Carabinieri, 39 nell'Esercito italiano e 77 nella Marina militare.
  Va precisato, a tal proposito, che la lunga latenza (dai 25 ai 45 anni) tra l'esposizione all'asbesto e la diagnosi di malattia, specie nei casi di mesotelioma, comporta che l'evidenza clinica della patologia si manifesti in una fascia di età in cui il soggetto, avendo cessato il servizio attivo, è definitivamente assistito dal Servizio Sanitario Nazionale e, pertanto, eventuali patologie non vengono notificate alla sanità militare.
  Per quanto concerne la richiesta di dati relativi alle istanze di «riconoscimento di causa di servizio» e al «numero dei trattamenti previdenziali... riconosciuti», non si dispone di tali elementi cognitivi, poiché le singole posizioni pensionistiche vengono inserite nella banca dati senza specificare l'infermità – peraltro, dato sensibile – di cui è affetto il militare.
  È possibile, invece, fornire il numero delle domande prodotte dal personale dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica (o dai loro superstiti, in caso di decesso) i quali, ammalatisi per le patologie asbesto correlate, hanno presentato domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e di riconducibilità alle particolari condizioni ambientali od operative di missione, ai fini dell'attribuzione dei benefici connessi allo status di «equiparato» alle vittime del dovere (ex articolo 1, comma 564, della legge n. 266 del 2005 e decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006), mentre, per il personale dell'Arma dei Carabinieri, la competenza è del Ministero dell'interno.
  Nello specifico, al 30 aprile 2015 sono state presentate 602 istanze, di cui 243 definite con provvedimento positivo, 103 con esito negativo e 256 sono attualmente in istruttoria.
  Relativamente alle «fonti di contaminazione da amianto», si segnala che:
   l'Esercito italiano ha intrapreso un'attività per accertare la presenza di amianto all'interno dei veicoli in dotazione, con particolare riferimento a quelli introdotti in servizio prima del 1992, da cui è emerso che solo in alcuni mezzi erano presenti particolari rivestiti con fibre di tale minerale e ha avviato un'azione globale per procedere alla bonifica di quei veicoli;
   la Marina militare italiana (già attivatasi quando, nel 1986, l'allora Ministero della sanità emanò la prima circolare che ne vietava l'utilizzo nelle scuole e negli ospedali), non ha più impiegato materiali contenenti amianto e, dal 1992, tutte le Unità Navali sono state costruite e messe in servizio con la certificazione «amianto free» da parte del cantiere costruttore;
   l'Aeronautica Militare Italiana ha dettato le norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto e, a seguito delle informazioni pervenute dalle ditte costruttrici, ha potuto consolidare il quadro relativo alla possibile ubicazione dell'amianto negli aeromobili che, in estrema sintesi, si può ricondurre ad alcuni dei componenti o assiemi;
   l'Arma dei Carabinieri, premesso che la fonte di contaminazione è limitata a una motovedetta dismessa nel 2007, ha avviato un «programma di prevenzione per pregresse presunte esposizioni ad amianto», in linea con i comuni orientamenti delle Forze di polizia, anche in presenza di esposizioni a fibre di amianto inferiori ai limiti previsti per la popolazione generale.

  Nell'ambito della più generale e complessa attività di monitoraggio/bonifica, nel 2012 è stata anche espletata, da parte degli organi esecutivi del genio di singola Forza armata, l'attività di mappatura dei propri immobili per individuare quelli contenenti amianto, redigendo gli elenchi degli interventi tecnici necessari.
  Per tali esigenze è stata elaborata una programmazione triennale scorrevole per il triennio 2013-2015 e per il successivo 2015-2017, attestata sul pertinente capitolo di spesa appositamente previsto per avviare tutte le attività inerenti alla bonifica ambientale nel senso più lato del termine.
  Si aggiunge, ancora, che il 2 febbraio 2015 è stato sottoscritto dalla Difesa e dall'istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) un accordo per individuare e pianificare adeguati e incisivi interventi operativi nella specifica materia.
  Con riferimento alla «popolazione esposta ai contaminanti» prima dell'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, alla data del 30 aprile 2015 sono state presentate dal personale militare, in servizio e in quiescenza, 14.157 domande, volte alla concessione dei benefìci pensionistici da parte degli enti previdenziali che erogano le prestazioni e dell'Inail (istituto competente al rilascio della certificazione attestante l'esposizione all'amianto), di cui 307 riguardano personale dell'Esercito, 11.593 della Marina, 2.063 dell'Aeronautica e 194 dell'Arma dei Carabinieri.
  In merito, poi, ai militari «ad oggi ancora presumibilmente esposti», l'attenzione che l'amministrazione pone, da sempre, alla tutela del personale che sia venuto a contatto con sostanze come l'amianto, si è concretizzata, già da tempo, in disposizioni emanate dagli Stati maggiori di Forza armata agli organi tecnici competenti per verificare l'esistenza di situazioni di potenziale rischio in ambito Difesa.
  In particolare, per quanto concerne la Marina militare non esistono fonti di contaminazione da amianto sulle unità navali costruite dopo il 1992 e, qualora ancora presenti in quelle costruite prima di quella data, tali fonti sono state confinate, messe in sicurezza e sottoposte, da parte di personale qualificato, a verifiche e controlli periodici in attesa della loro rimozione.
  In ambito Esercito italiano, con riferimento ai veicoli/sistemi missilistici, non sussistono parti contenenti amianto che possano ritenersi a impatto maggiore.
  Per quanto concerne l'Arma dei Carabinieri, tutta la componentistica ipoteticamente pericolosa giacente in magazzino è stata eliminata da tempo; allo stato, a seguito di una specifica prescrizione tecnica per l'aggiornamento della lista dei componenti contenenti materiale potenzialmente pericoloso, emanata dalla «Direzione degli armamenti aeronautici e dell'aeronavigabilità» – che, si precisa, è responsabile della normativa di aeronavigabilità degli aeromobili della Difesa – è in corso la sostituzione di circa 100 guarnizioni interne utilizzate a bordo degli aeromobili.
  In Aeronautica militare, fin dal 1991, è stata avviata la sostituzione delle parti contaminanti e per alcune linee di aeromobili è tuttora in corso, sulla base delle indicazioni tecniche recentemente fornite dalle ditte progettatrici/costruttrici.
  Si reputa opportuno, infine, chiarire due aspetti evidenziati dall'interrogante in premessa all'atto.
  Riguardo alla «difficoltà nel reperire dati numerici», si fa presente che la diffusione dei dati statistici relativi alla morbosità e alla mortalità del personale, tra i quali rientrano quelli sulle neoplasie maligne, avviene, a cura dell'osservatorio epidemiologico della Difesa, con diverse modalità, attraverso articoli e bollettini pubblicati sul «giornale di medicina militare» (www.difesa.it/GiornaleMedicina/Osservatorio_epidemiologico/pagine/default/aspx) o su altre riviste scientifiche, attraverso studi e interscambi con altri enti istituzionali sanitari (Istituto superiore di sanità, Ministero della salute, Agenzia italiana del farmaco).
  Quanto alla questione del termine per la presentazione delle istanze di accertamento della dipendenza da causa di servizio delle infermità o delle lesioni contratte ai fini di pensione privilegiata, la Direzione generale della previdenza militare e della leva, già dal 2008, ha impartito disposizioni alle proprie articolazioni affinché il termine quinquennale di decadenza per l'inoltro delle domande decorra dalla data di manifestazione della malattia e non da quella di cessazione dal servizio.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.