Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 5 agosto 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    lo scorso 8 luglio una tromba d'aria, accompagnata da piogge di forte intensità e grandine, si è abbattuta sui comuni di Cazzago di Pianiga, Dolo e Mira, sulla Riviera del Brenta, causando anche un morto e decine di feriti;
    in occasione dell'ondata di maltempo danni si sono registrati nell'intera provincia di Venezia e Cortina d'Ampezzo in provincia di Belluno;
    l'ondata di maltempo ha determinato danni ad abitazioni ed aziende, parte delle quali sono interamente crollate, e sono stati divelti alcuni tralicci dell'alta tensione;
    una delle dimore storiche della Riviera, che ospita un patrimonio inestimabile di edifici, è stata quasi completamente distrutta, con un danno di oltre sei milioni di euro, e molte altre ville venete hanno subito ingenti danni, stimati in ulteriori tre milioni di euro;
    anche moltissime realtà imprenditoriali e strutture agricole sono state danneggiate, determinando in molti casi il blocco delle attività produttive;
    la regione Veneto ha dichiarato lo stato di calamità e, in prima istanza, ha quantificato i danni registrati sul territorio in cento milioni di euro;
    in data 17 luglio il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza per i territori colpiti dalla tromba d'aria e ha stanziato un importo di due milioni di euro per i primi interventi di messa in sicurezza e ricostruzione;
    il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, in materia di finanza degli enti territoriali, ha previsto una riduzione degli obiettivi del patto di stabilità per l'anno 2015 in favore dei comuni di Dolo, Pianiga e Mira, per un importo massimo complessivo di 7,5 milioni di euro, 5,2 dei quali da destinare agli interventi nel comune di Dolo, 1,1 milioni di euro per il comune di Pianiga e 1,2 milioni di euro per il comune di Mira,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, utile a sostenere la messa in sicurezza dei territori, la ricostruzione di tutti gli edifici e delle abitazioni danneggiati, nonché per il ripristino e il restauro delle dimore storiche, e la rapida ripresa delle attività produttive nei territori colpiti dalla calamità;
   a disporre tempestivamente lo stanziamento delle somme necessarie alla copertura dei danni subiti dai comuni interessati dall'ondata di maltempo, anche attraverso il ricorso a somme residue a valere sulla programmazione dei fondi europei;
   ad adottare le opportune iniziative normative per sospendere gli adempimenti fiscali, contributivi e assicurativi relativi a persone fisiche e giuridiche, nonché i mutui, per i contribuenti e le imprese dei comuni interessati dagli eventi calamitosi.
(1-00974) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ultimo rapporto Aci-Istat del novembre 2014 sugli incidenti stradali nel nostro Paese conferma il trend in calo con una diminuzione dei morti e dei feriti, ma i numeri restano ancora impressionanti, con enormi costi umani e sociali;
    nel 2013 hanno perso la vita 3.385 persone e oltre 100 mila sono rimaste invalide; ogni giorno in Italia perdono la vita in media 9 persone e 705 restano ferite;
    rispetto al 2012, il numero di incidenti è sceso del 3,7 per cento, quello dei feriti del 3,5 per cento mentre per il numero dei decessi la flessione è del 9,8 per cento. Come spinta ad un ulteriore miglioramento è importante ricordare che nel 2001 le vittime sulle strade italiane furono oltre settemila (7.096, gli incidenti più di 260 mila e i feriti oltre 370 mila) con una diminuzione che in 13 anni ha raggiunto il 52,3 per cento;
    gli incidenti più gravi avvengono sulle strade extraurbane (escluse le autostrade), dove si sono verificati 4,63 decessi ogni 100 incidenti. Le vittime sono state invece 1,04 ogni 100 incidenti sulle strade urbane e 3,46 sulle autostrade. Rispetto al 2012, l'indice di mortalità risulta in netta diminuzione sulle strade extraurbane (5,03 nel 2012) e in lieve calo su autostrade e strade urbane (rispettivamente 3,51 e 1,12 nel 2012);
    l'indice di mortalità raggiunge il valore massimo tra le 3 e le 6 del mattino, in media 5 decessi ogni 100 incidenti, la domenica è il giorno della settimana nel quale si registra il livello più elevato di mortalità;
    nel 67,9 per cento dei casi le vittime degli incidenti stradali sono conducenti di veicoli, nel 15,9 per cento passeggeri trasportati e nel 16,2 per cento pedoni; la categoria di veicolo più coinvolta in incidente stradale è quella delle autovetture (67,5 per cento); seguono i motocicli (12,8 per cento) gli autocarri (6,4 per cento), le biciclette (5,3 per cento) e i ciclomotori (4,5 per cento);
    i motocicli rappresentano la categoria di veicolo più a rischio: l'indice di mortalità è pari a 1,68 morti per 100 veicoli coinvolti, seguono biciclette (1,41) e ciclomotori (0,84);
    l'Italia, come l'Europa intera, è in linea con la tabella di marcia voluta dall'Unione europea che si è posta l'obiettivo di dimezzare il numero dei morti sulle strade nel decennio che va dal 2010 al 2020. Nel 2013 hanno perso la vita sulle strade del Continente 26.010 persone rispetto alle 28.298 del 2012 con un calo del 17,7 per cento rispetto al 2010 (la percentuale è la stessa nella Penisola);
    la media dell'Unione europea è di 51,4 persone decedute in incidente stradale ogni milione di abitanti, l'Italia con 56,2 si colloca al 14o posto dietro agli altri quattro grandi paesi che sono Regno Unito, Spagna, Germania e Francia. In valore assoluto occupiamo però sempre il primo posto (3.385 morti) seguiti da Polonia (3.357), Germania (3.354) e Francia (3.250);
    i giorni del fine settimana, tra venerdì e domenica, sono quelli in cui si verificano più incidenti, che coinvolgono in particolare i giovani tra i 18 e i 24 anni. La stanchezza dopo serate del week end, guida in stato di ebbrezza o sotto droghe, rimangono tra le principali cause di questi incidenti, anche se i controlli su uso di alcool e droghe si sono rivelati efficaci e sarebbe opportuno intensificarli soprattutto nei pressi di discoteche e locali notturni;
    in Europa il 38 per cento degli incidenti fatali si verifica nelle strade urbane ed interurbane. Il fenomeno preoccupante ne le aree urbane è legato al coinvolgimento di utenza vulnerabile, come pedoni, ciclisti e motociclisti, in particolare di bambini e anziani, e la preoccupazione aumenta in ragione del fatto che i miglioramenti ottenuti nell'arco dell'ultimo decennio sono stati meno significativi proprio nelle aree urbane e nel coinvolgimento dell'utenza vulnerabile. Evidentemente la maggiore protezione nei veicoli non si traduce in maggiore sicurezza per chi non è nel veicolo e che il controllo della velocità rafforzato dal tutor autostradale non è altrettanto assicurato fuori dalle autostrade. Infine va notato come il sistema dei controlli rimane inadeguato e che in città anche piccole distrazioni possono risultare fatali per l'utenza vulnerabile;
    il numero delle vittime tra i 15 e i 24 anni continua a diminuire, mentre cresce quello dei cittadini più anziani. Anche per i pedoni, i pericoli non sono pochi: il 22 per cento rimangono vittime specialmente in aree urbane, in particolare le donne e gli anziani risultano più a rischio di incidenti fatali nell'attraversamento della strada;
    i progressi registrati nel nuovo millennio sono dovuti ai più elevati livelli di sicurezza dei veicoli ma, soprattutto, all'introduzione di efficaci sistemi di «dissuasione», come la patente a punti e più sofisticati dispositivi di controllo della velocità, oltre alla importantissima «formazione» di chi guida;
    nel 2014, però, nei Paesi dell'Unione europea – secondo il rapporto sulla sicurezza stradale presentato dalla commissaria Ue per i trasporti Violeta Bulc nel marzo di quest'anno – si sono contati 25.700 morti e 200 mila feriti gravi, con un calo solo dell'1 per cento rispetto al 2013, un rallentamento preoccupante rispetto ai progressi degli ultimi anni;
    nel luglio 2010 la Commissione europea ha adottato il Programma 2011-2020 sulla sicurezza stradale, inteso a dimezzare le vittime di incidenti stradali in Europa entro il 2020. Il programma definisce una serie di iniziative, a livello europeo e a livello nazionale, allo scopo di migliorare la sicurezza del veicolo, la sicurezza dell'infrastruttura e il comportamento degli utenti della strada;
    il programma è stato adottato in base ad alcuni dati-chiave:
     la sicurezza stradale è un grosso problema sociale. Nel 2009 sono morte sulle strade dell'Unione europea più di 35.000 persone, cioè l'equivalente di una città di media grandezza. Secondo le stime, per ogni morto sulle strade d'Europa ci sono 4 invalidi permanenti, con danni al cervello o al midollo spinale, 10 feriti gravi e 40 feriti lievi;
     i costi economici per la società sono stimati a 130 miliardi di euro all'anno;
    nel programma sono indicati sette obiettivi strategici:
     1) miglioramento dell'educazione stradale e della preparazione degli utenti della strada;
     2) rafforzamento dell'applicazione della normativa stradale;
     3) miglioramento della sicurezza delle infrastrutture stradali;
     4) misure per migliorare la sicurezza dei veicoli;
     5) promozione dell'uso delle moderne tecnologie per migliorare la sicurezza stradale;
     6) miglioramento dei servizi di emergenza e assistenza post-incidente;
     7) fissare protezione degli utenti vulnerabili della strada;
    il Governo e il Parlamento hanno avviato l'approvazione del Piano nazionale della sicurezza stradale e di disegni di legge finalizzati al miglioramento della sicurezza stradale, tra cui la riforma del codice della strada, già approvato dalla Camera dei deputati e l'introduzione del reato di omicidio stradale, già approvato dal Senato della Repubblica;
    è sempre più attiva la presenza e l'impegno del mondo associazionistico legato alla sicurezza stradale, che vede coinvolte le associazioni delle vittime, le associazioni delle varie categorie di utenza della strada e la rete di associazioni e osservazioni territoriali, che conformano nel loro insieme un attivo movimento di cittadinanza a favore della sicurezza stradale;
    la terza domenica di novembre è stata riconosciuta come giornata mondiale delle vittime della strada da parte delle Nazioni Unite con Risoluzione 60/5, adottata dall'Assemblea Generale il 26 ottobre 2005, quale «giusto riconoscimento per le vittime della strada e per le loro famiglie». Gli Stati membri e la comunità internazionale sono invitati a riconoscere questo giorno;
    questa giornata è dedicata a ricordare i milioni di persone uccise o ferite sulle strade, le loro famiglie e le comunità, e al contempo a rendere omaggio ai componenti delle squadre di emergenza, agli operatori di polizia e ai sanitari che quotidianamente si occupano delle conseguenze traumatiche della morte e delle lesioni sulla strada;
    la morte e i ferimenti sulla strada sono eventi improvvisi, violenti, traumatici, il cui impatto è di lunga durata, spesso permanente. Questa particolare Giornata del Ricordo ha lo scopo di rispondere al grande bisogno delle vittime della strada che vi sia un riconoscimento pubblico della loro perdita e della sofferenza;
    con la risoluzione del Parlamento europeo del 27 settembre 2011 sulla sicurezza stradale in Europa 2011-2020, si esortano la Commissione europea e gli Stati membri a riconoscere ufficialmente la terza domenica di novembre come giornata mondiale delle vittime della strada, così come hanno già fatto le Nazioni unite e l'Organizzazione mondiale della sanità, al fine di sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica in merito a tale problematica (punto 12 della risoluzione),

impegna il Governo:

   a mettere in campo tutti gli strumenti e ad assumere tutte le iniziative necessarie allo scopo di migliorare la sicurezza degli utenti della strada, per proseguire l'impegno volto a raggiungere l'obiettivo indicato nel 2010 nel programma 2011-2020 sulla sicurezza stradale della Commissione europea, inteso a dimezzare le vittime di incidenti stradali in Europa entro il 2020;
   ad assumere iniziative per riconoscere ufficialmente la terza domenica di novembre come giornata mondiale in memoria delle vittime della strada, così come hanno già fatto le Nazioni unite e l'Organizzazione mondiale della sanità, al fine di sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica in merito a tale problematica, così come indicato dalla risoluzione del Parlamento europeo del 27 settembre 2011 sulla sicurezza stradale in Europa 2011-2020;
   ad indire gli Stati generali della sicurezza stradale, con l'obiettivo di confrontarsi con le istituzioni, le forze di polizia, le società e le associazioni che operano nel settore della manutenzione e della sicurezza stradale e la cittadinanza, sui dati relativi alla rete stradale italiana e sulle azioni e sulle politiche da mettere in campo per raggiungere gli obiettivi europei e migliorarne la sicurezza e l'affidabilità.
(1-00975) «Minnucci, Gandolfi, Antezza, Bargero, Becattini, Bergonzi, Berretta, Boccadutri, Boccuzzi, Bonomo, Braga, Capone, Carella, Carra, Carrescia, Casati, Chaouki, Coccia, Cova, Crivellari, Culotta, D'Arienzo, D'Ottavio, Ferro, Giuliani, Giulietti, Gribaudo, Lodolini, Manfredi, Manzi, Marantelli, Marchi, Marrocu, Marroni, Massa, Mattiello, Mazzoli, Melilli, Misiani, Moscatt, Mura, Narduolo, Piazzoni, Porta, Quartapelle Procopio, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Simoni, Taricco, Taranto, Tidei, Venittelli, Ventricelli, Zardini».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni X e XIII,
   premesso che:
    il Ministero della salute, con nota, protocollo 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003, che ai proponenti risulta ad oggi vigente, avente ad oggetto la «gestione dei resi dell'industria di panificazione», specifica che i prodotti di panificazione invenduti sono da considerare rifiuto ai sensi del decreto legislativo 22 del 1997, poi abrogato dal decreto legislativo n. 152 del 2006 oppure, sussistendone le garanzie igienico-sanitarie ed un atto scritto da parte del produttore, avviata all'alimentazione animale o utilizzati come materia prima per mangimi, ai sensi del decreto legislativo n. 360 del 1999;
    tale interpretazione produce l'effetto di considerare non più commercializzabili a fini dell'alimentazione umana migliaia di quintali di pane che, in realtà, hanno ancora tutti i crismi per essere consumati. Il pane, infatti, risulta tra i prodotti alimentari che maggiormente vengono sprecati in Italia. Secondo una recente inchiesta pubblicata dal quotidiano La Repubblica, sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttato ogni giorno, quasi il 25 per cento del pane prodotto destinato alla grande distribuzione. A livello del consumatore finale, i dati indicano che ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, di cui il 19 per cento è costituito dal pane;
    per ridurne lo spreco, il pane potrebbe essere donato alle popolazioni svantaggiate, ma questa distribuzione appare ostacolata dall'interpretazione della suddetta nota ministeriale (prot. 609/ SEGR/47 del 2 marzo 2003). A giudizio dei firmatari del presente atto, bisognerebbe rendere possibile che le reti di distribuzione e le reti italiane Caritas o laiche prelevino il pane dai distributori, prima che esso sia reso, evitando che le stesse siano costrette ad acquistare il pane per il proprio fabbisogno;
    il gruppo M5S in Commissione agricoltura ha richiesto all'avvocato Daniele Pisanello, esperto in legislazione alimentare, un parere giuridico circa l'interpretazione della nota del Ministero della salute, ed in generale sulla questione della commercializzazione/redistribuzione del pane invenduto dalle industrie di panificazione o dalle semplici attività commerciali, verso le associazioni caritatevoli attive sul territorio;
    il parere giuridico, acquisito in data 3 dicembre 2014, circa l'interpretazione del contenuto della nota prot. 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003 del Ministero della salute, chiarisce quali norme attualmente regolano la gestione dei resi dell'industria di panificazione, compresi gli ultimi aggiornamenti contenuti nella legge di stabilità 2014, ed infine affronta l'aspetto fiscale legato alle cessioni gratuite di beni effettuate dalle imprese, in alternativa alla distruzione o all'eliminazione dal mercato, nei confronti degli enti non profit ed in particolare delle ONLUS;
    nel parere si sottolinea che il pane, ove preconfezionato, non rientra nella categoria degli alimenti altamente deperibili, quindi è soggetto, ove offerto in vendita al consumatore finale sotto forma di preimballo, all'obbligo di indicazione del tempo minimo di conservazione (TMC), ben diverso dalla data di scadenza, obbligatoria invece per i prodotti altamente deperibili. La giurisprudenza italiana, in questo senso, ha avuto modo di precisare che nel caso di «prodotti con TMC scaduto, caratterizzato dalla dicitura «da consumarsi preferibilmente entro il ...», [...] secondo la quasi unanime dottrina e giurisprudenza, non configura alcun vizio di commestibilità o di commercialità, ma solo garantisce da parte del produttore la conservazione delle qualità nutrizionali dell'alimento, che potrebbe non solo essere consumato oltre tale data, ma non aver perduto alcuna sua qualità (cfr. Corte di cassazione, sez. III, 23 marzo 1998, n. 5372);
    anche il pane fresco rimasto invenduto nelle 24 ore successive alla fabbricazione, si legge nel parere legale, per le stesse ragioni addotte per il pane preconfezionato costituisce alimento ancora destinabile al consumo umano, tenendo in debito conto dei parametri di sicurezza scolpiti all'articolo 14 Reg. (CE) n. 178 del 2002;
    per quanto concerne la nota del Ministero della salute, il parere giuridico osserva che la stessa si riferisce espressamente al pane ed altri prodotti da forno che, per motivi commerciali, non sono più destinati alla commercializzazione come alimenti. Ma visto che il superamento del termine minimo di conservazione (TMC) per il pane preconfezionato, e delle 24 ore successive alla fabbricazione per il pane fresco invenduto, come innanzi anticipato, non concretizzano una situazione di non commerciabilità, evidentemente, la nota ministeriale si riferisce ai casi di prodotti della panetteria invenduti perché ad esempio invasi da parassiti, muffe, corpi estranei o oggetto di ritiro per motivi sanitari dal produttore;
    la tesi sostenuta dal parere giuridico è confermata dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014) comma 236, che recita: «Le organizzazioni riconosciute non lucrative di utilità sociale ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, che effettuano a fini di beneficenza distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, ceduti dagli operatori del settore alimentare, inclusi quelli della ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché i citati operatori del settore alimentare che cedono gratuitamente prodotti alimentari, devono garantire un corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti, ciascuno per la parte di competenza. Tale obiettivo è raggiunto anche mediante la predisposizione di specifici manuali nazionali di corretta prassi operativa in conformità alle garanzie speciali previste dall'articolo 8 del regolamento (CE) n. 852 del 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, e successive modificazioni, validati dal Ministero della salute. Ne consegue che i prodotti alimentari, compreso il pane, possono essere ceduti a fini di beneficenza, purché ogni soggetto rispetti il corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo, escludendo in maniera intrinseca che il pane possa essere considerato un rifiuto solo perché si siano superate le 24 ore dalla produzione per il pane fresco o il TMC per il pane preconfezionato;
    si sottolinea infine che il cosiddetto «decreto Bersani» (decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006), aveva previsto, in aggiunta alle definizioni dei vari prodotti della panetteria già presenti in norme precedenti, la denominazione di «pane fresco» riservandola «al pane prodotto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione o alla conservazione prolungata delle materie prime, dei prodotti intermedi della panificazione e degli impasti, fatto salvo l'impiego di tecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento del processo di lievitazione, da porre in vendita entro un termine che tenga conto delle tipologie panarie esistenti a livello territoriale» (articolo 4, comma 2-ter, (b), decreto Bersani). Tale decreto demandava le disposizioni attuative ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e con il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. A tutt'oggi tale decreto non risulta adottato, sebbene risulti essere stata predisposta una bozza,

impegnano il Governo:

   a rivedere la sua posizione in merito all'interpretazione della normativa relativa alla redistribuzione del pane fresco invenduto oltre le 24 ore dalla produzione e del pane preconfezionato con termine minimo di conservazione (TMC) scaduto, alla luce delle considerazioni espresse nel parere giuridico citato in premessa, valutando l'opportunità di interventi normativi correttivi;
    ad assumere iniziative per emanare, in tempi rapidi, i manuali nazionali di corretta prassi operativa ad oggi mancanti, in conformità alle garanzie speciali previste dall'articolo 8 del regolamento (CE) n. 852 del 2004 del 29 aprile 2004, nonché previsti dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014), comma 236, al fine di chiarire il quadro normativo attuale e ridurre i costi ed i rischi per gli operatori alimentari, legati al conferimento ed alla gestione dei prodotti da forno, favorendo pertanto le lodevoli iniziative caritatevoli;
   ad adottare, in tempi rapidi, il decreto ministeriale attuativo previsto ormai da anni dal decreto-legge 4 luglio 2006 n. 223 (cosiddetto decreto Bersani), che completi la disciplina e dia la giusta tutela alle imprese che esercitano l'attività di panificazione artigiana.
(7-00761) «Gagnarli, Da Villa, Gallinella, Lupo, Parentela, Massimiliano Bernini, Benedetti, L'Abbate».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    le pesche e le nettarine sono una delle produzioni centrali per l'ortofrutticola italiana e il sistema economico nazionale. Rappresentano più del 55 per cento della produzione lorda vendibile sulla frutticola estiva, con un indotto ben più importante delle grandi industrie del nostro Paese;
    l'Italia è il primo produttore d'Europa, l'Emilia-Romagna vanta una posizione dominante soprattutto per le nettarine. In base ai dati pubblicati dal Cso (Centro servizi ortofrutticoli), l'Italia esporta mediamente oltre 300mila tonnellate di pesche e nettarine e l'offerta 2015 di pesche da consumo fresco potrebbe superare di poco le 579.000 tonnellate (+4 per cento sul 2014);
    da diversi anni si registra una crisi delle pesche e delle nettarine che sta danneggiando profondamente il comparto ortofrutticolo italiano. Si tratta di una crisi strutturale, con radici molto complesse fra cui la mancanza di programmazione, caratterizzata da un eccesso di produzione a cui fa seguito l'abbassamento del prezzo – fattore che spesso come denunciano le organizzazioni sindacali rende il lavoro in agricoltura sempre più irregolare e malpagato. Le conseguenze sono che oggi all'agricoltore questo tipo di coltivazione risulta antieconomico con il rischio della sparizione di piantagioni di alberi di pesco e impoverimento del territorio;
    dopo la caduta del consumo del 2014, dovuta in particolare all'embargo russo e al clima non favorevole, nel 2015 la situazione di crisi che investe il prodotto perdura nonostante la qualità delle pesche e le condizioni meteorologiche siano ottime;
    sul fronte dell'embargo Russo, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha lavorato in Europa per un nuovo piano di aiuti attraverso un intervento di ritiro straordinario, a un prezzo minimo, che l'Unione europea dovrebbe autorizzare a breve. Per il nostro Paese è previsto un plafond di ritiri complessivo di circa 50 mila tonnellate di prodotto e nel piano entrano, su richiesta del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali anche le pesche e le nettarine, 9.200 tonnellate, che potranno essere ritirate dal mercato e destinate anche al sostegno agli indigenti;
    l'Ortofrutta Italia ha avviato la seconda campagna di promozione a favore del consumo stagionale di pesche e nettarine nazionali. Tale iniziativa, patrocinata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e svoltasi per la prima volta anche alla Camera dei deputati, viene realizzata nei propri punti vendita ed è tesa ad informare i consumatori e comunicare la qualità, la territorialità e la stagionalità del prodotto, con l'obiettivo invertirne la contrazione delle vendite, di incrementarne la commercializzazione e ottenere un risultato economico che consenta ai produttori di non abbandonare questo importantissimo comparto;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, l'Unioncamere e la Sogemi (Società per l'impianto e l'esercizio dei mercati annonari all'ingrosso) di Milano hanno di recente siglato un protocollo per lo sviluppo di un sistema di qualificazione dei mercati ortofrutticoli all'ingrosso nazionali, attraverso la creazione del marchio «Qualità e Sicurezza». L'intesa ha come obiettivo il miglioramento della qualità e della rintracciabilità dei prodotti ortofrutticoli commercializzati nei mercati all'ingrosso, insieme alla valorizzazione del ruolo dei mercati all'interno della filiera ortofrutticola,

impegna il Governo

a definire con la massima sollecitudine l'accordo europeo per il ritiro straordinario di pesche e nettarine conseguente al protrarsi dell'embargo e a promuovere tutte quelle iniziative rese possibili anche dal DI 51/2015 di recente convertito in legge, per rafforzare la filiera frutticola e la sua capacità di penetrazione del mercato attraverso strumenti e azioni di sostegno all'intero comparto, che in Italia vale 12 miliardi di euro, e in particolare quello delle pesche e nettarine con l'obiettivo di tutelare il reddito degli agricoltori coinvolti.
(7-00762) «Romanini, Zanin, Amato, Taricco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   un utilizzo razionale ed opportuno dell'informatica è imprescindibile per una pubblica amministrazione moderna e produttiva, e ciò è consapevolezza comune da parecchi decenni ormai nel nostro Paese, almeno a partire dagli anni ’80, quando il CNEL osservava che «l'informatica non è uno strumento aggiunto nella Pubblica Amministrazione, ma uno strumento di riforma»;
   con l'approvazione del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 – codice dell'amministrazione digitale, e successive modificazioni, vengono raccolte e inquadrate le disposizioni, in parte già esistenti, che regolano l'uso dell'informatica nella pubblica amministrazione, si stabiliscono i rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese, i diritti di questi ultimi, le responsabilità della struttura dirigenziale per l'attuazione dei principi in esso contenuti;
   la sezione II, Capo I del codice dell'amministrazione digitale definisce i diritti di cittadini ed imprese e, nello specifico, l'articolo 3 sancisce il «diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni», e l'articolo 5-bis, comma 1, stabilisce che lo scambio di informazioni e documenti tra imprese e pubbliche amministrazioni «avviene esclusivamente utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione»;
   l'articolo 12, comma 1-ter, del codice dell'amministrazione digitale, inoltre, stabilisce la responsabilità del dirigente nell'applicazione e attuazione delle disposizioni stabilite all'interno dello stesso, ai sensi e nei limiti degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
   si è venuti a conoscenza di una comunicazione ufficiale firmata dal direttore generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali, n. prot. 0006564-01/07/2015-USCITA, indirizzata alle società concessionarie, in cui si invita le stesse «ad astenersi dal trasmettere alla Scrivente Direzione corrispondenza via mail e via PEC priva di allegati» pena la mancata presa in considerazione delle comunicazioni medesime;
   una tale comunicazione è contraria ad ogni tipo di norma contenuta nella legislazione vigente e tende secondo gli interpellanti a minare la reputazione della pubblica amministrazione generale ed in particolare il Ministero in questione;
   la riforma della pubblica amministrazione, in termini di efficienza, innovazione e semplificazione è obiettivo primario di questo Governo e tale riforma passa essenzialmente attraverso un'applicazione corretta delle norme da parte di dirigenti e funzionari –:
   se il Governo sia a conoscenza di simili atteggiamenti e comportamenti della propria struttura amministrativa;
   se il caso in questione sia isolato o sintomo di una scarsa conoscenza della legislazione in materia di amministrazione digitale o, peggio ancora, di una sottovalutazione dell'importanza del digitale e una mancanza di volontà a innovare i procedimenti amministrativi;
   se la comunicazione di cui in premessa verrà rettificata e quali provvedimenti verranno presi ai sensi dell'articolo 12 del codice dell'amministrazione digitale.
(2-01062) «Coppola, Giuseppe Guerini, Senaldi, Benamati, Famiglietti, Ferrari, Manfredi, Zaccagnini, Melilla, Casati, Taricco, Prina, Carrescia, Capone, Arlotti, Borghi, Mariani, Di Salvo, Quintarelli, Murer, Carra, Zoggia, Garavini, Sereni, Albini, Marchi, Blazina, Richetti, Marzano, Boccadutri, Fragomeli, Fedi, Misiani, Piazzoni, Rostellato, Donati, Scuvera, Bombassei, Librandi, Catalano, Ascani, Pinna, Tentori, Moretto, Carrozza, Bonaccorsi, Bruno Bossio, Stumpo, Bonomo, Mucci».

Interrogazione a risposta orale:


   DALL'OSSO, TRIPIEDI, ALBERTI, COMINARDI, PESCO, CIPRINI, CHIMIENTI e LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi di livello mondiale ha avuto e continua ad avere, a dispetto di quanto affermato dal Governo, effetti disastrosi anche in Italia;
   dal 2008 ad oggi hanno chiuso per fallimento 82 mila imprese con la conseguente perdita di 1 milione di posti di lavoro, considerando che c'era qualcuno che prometteva 1 milione di posti di lavoro;
   numerose sono anche le aziende che hanno delocalizzato, pur non fallendo e mantenendo solamente una sede di facciata in Italia a causa sia della crisi sia del gravame fiscale che colpisce la piccola e media impresa per la quale il M5S non a caso ha creato un fondo di solidarietà;
   la soglia di rischio di povertà quantificata in 780 euro definita dall'OCSE sei decimi del reddito medio della popolazione è uno standard al di sotto del quale un individuo viene considerato povero e tale soglia assume valori radicalmente diversi a seconda del Paese preso in considerazione: Paesi sviluppati o Paesi in via di sviluppo;
   la stessa può essere definita in termini assoluti (su un paniere di consumo minimo – povertà assoluta) o relativi (percentuale del reddito medio – povertà relativa);
   le stime diffuse in un report dell'Istat provengono dall'Indagine sulle spese delle famiglie il che dimostra come nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) sia in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente) e dopo due anni di aumento, l'incidenza della povertà assoluta si mantiene sostanzialmente stabile;
   il reddito di base o reddito di cittadinanza o reddito di sussistenza o reddito minimo universale è una erogazione monetaria, a intervallo di tempo regolare, distribuita a tutti coloro che sono dotati di cittadinanza e di residenza; essa è in grado di consentire una vita minima dignitosa, è cumulabile con altri redditi (da lavoro, da impresa, da rendita), indipendentemente dall'attività lavorativa effettuata, dalla nazionalità, dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale ed è erogata durante tutta la vita del soggetto –:
   se il Governo sia a conoscenza di queste cifre;
   se e come il Governo intenda intervenire, al di degli slogan, in maniera fattiva per risolvere la problematica;
   se non sia il caso, per quanto di competenza, di accelerare le tempistiche relative all'introduzione del reddito di cittadinanza, presente oramai nell'Unione europea, fatto salvo chi per Italia, Grecia ed Ungheria. (3-01670)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, ALBERTI, CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, BUSTO e PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 luglio 2015, sul «Giornale di Merate», veniva pubblicata la notizia della raccolta firme organizzata dagli esponenti del Movimento 5 Stelle del Comune di Casatenovo (LC), per chiedere l'abbattimento e la bonifica dell'area dove sono tuttora presenti la ex fabbrica di salumi Vismara ed ex fabbrica chimica Vister, abbandonate e in stato di assoluto degrado. Il complesso dell'area in questione, posizionato in zona centrale del piccolo Comune lecchese, ricopre circa 100.000 metri quadrati ed è costituito da stabili ricoperti in gran parte di amianto non trattato. Gli organizzatori della petizione iniziata il 20 giugno, hanno precisato che è dal 21 dicembre 2007 che esiste un accordo di programma per la rilocalizzazione degli impianti produttivi della Vismara spa e un progetto di riqualificazione dell'area, ma di fatto è solo stata costruita una nuova fabbrica, ora di proprietà Ferrarini, mentre il resto dell'area è in stato di completo abbandono;
   in data 30 giugno 2015, dalla ASL di Lecco, è stata pubblicata una tabella di notifica dell'amianto presente in diverse zone sensibili della provincia stessa. I dati riguardanti l'area sopracitata rilevati il 12 giugno 2006, indicavano la presenza accertata di 900 chilogrammi di amianto friabile e di 260 metri quadrati di amianto non friabile;
   intorno a questa enorme area ad alta densità abitativa, vi sono un piccolo parco con panchine e giochi per bambini molto frequentati dai passanti, piccoli orti coltivati, marciapiedi e strade costeggiate da piccoli stabili dell'area sopracitata con diversi tetti in amianto completamente divelti e quindi liberi di disperdere nell'ambiente le particelle tossiche;
   in uno degli ingressi dell'area in questione, è affisso un cartello che indica in maggio 2009 l'inizio dei lavori di bonifica sui manufatti d'amianto per una durata prevista di 210 giorni consecutivi, per un importo complessivo di 320.000 euro. Nessuno di questi lavori previsti ha mai avuto inizio, anche se, in quanto non indicato nel rapporto Asl sopra menzionato, è deducibile che sull'area ex Vister sia stato svolto qualche intervento di fissaggio dell'amianto in modo da renderlo non pericoloso;
   in uno dei diversi progetti di riqualificazione dell'ex «Area Vismara» datato 2009 presentato dai proprietari Ferrarini, Devero e Immobiliare Casatenovo attenendosi alle indicazioni contenute nella bozza dell'accordo di programma predisposta dall'allora amministrazione comunale del comune lecchese, viene indicato che si vogliono collocare 176.400 metri cubi di stabili, dei quali 123.400 metri cubi circa a destinazione residenziale e 53.000 metri cubi circa a destinazione commerciale. Nel progetto è prevista, tra l'altro, la realizzazione di un albergo, nuovi uffici postali e, nel cuore della nuova piazza, la presenza di un edificio pubblico di circa 9.000 metri cubi destinato a biblioteca;
   a giudizio degli interroganti, in considerazione del fatto che, allo stato attuale, nella piccola cittadina di Casatenovo vi sono centinaia di appartamenti sfitti ed invenduti e nel progetto sono indicati servizi già esistenti ed altri completamente superflui per l'economia e la comunità casatese, tale progetto è da considerarsi a forte impatto ambientale. Risulterebbe invece essere molto più accettabile, sempre a giudizio degli interroganti, accelerare i tempi per bonificare l'area e successivamente puntare sulla sua parziale riqualificazione a zona verde, tenendo conto che, con l'eliminazione di quello che è a tutti gli effetti da considerarsi un autentico ecomostro, tale passaggio permetterebbe di migliorare in maniera radicale il paese, riportando al centro dello stesso le caratteristiche necessarie a rivalutarlo come la qualità della vita, la viabilità sostenibile, la qualità dell'aria e, non ultimo, la presenza di un polmone verde che stimoli e catalizzi le relazioni sociali tra le persone. Tutto questo in continuità con la vera ricchezza e patrimonio che caratterizzano il comune di Casatenovo, ossia l'alto contenuto ambientale e paesaggistico di cui dispone –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopracitati e non ritenga, per quanto nelle sue competenze, di poter promuovere accurate ispezioni coordinate dal comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, nella sopracitata area sita in Casatenovo, al fine di stabilire quali siano, ad oggi, i livelli di inquinamento e la pericolosità dell'area per la popolazione circostante e per quella che si avvicina con frequenza alla stessa e di adottare, nell'eventualità siano rilevati elevati livelli di inquinamento, le adeguate precauzioni al riguardo. (5-06264)


   ROBERTA AGOSTINI, GASPARINI, ALBINI, CENNI, MURER, FABBRI e POLLASTRINI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da giorni sono in corso manifestazioni e proteste contro le motivazioni dell'assoluzione in secondo grado di sei ragazzi accusati, nonché in primo grado condannati, di aver stuprato in modo particolarmente efferato una ragazza di Firenze nel 2008;
   si tratta del caso conosciuto come «stupro della Fortezza da Basso», con riferimento al luogo dove avvenne la violenza;
   la vicenda è accaduta il 26 luglio del 2008 in una macchina parcheggiata fuori dalla Fortezza da Basso, a Firenze dove erano in corso feste e eventi estivi e ha visto coinvolta una ragazza che all'epoca aveva 22 anni e sette ragazzi che avevano tra i 20 e i 25 anni;
   dopo la denuncia per stupro (presentata quattro giorni dopo i fatti), gli accertamenti medici e le indagini, gli imputati vennero arrestati: rimasero un mese in carcere e circa due mesi ai domiciliari;
   il processo, nel quale il comune di Firenze si era costituito parte civile, terminò nel gennaio del 2013 con la sentenza di condanna per sei dei sette accusati a 4 anni e 6 mesi di reclusione, che furono condannati per violenza sessuale di gruppo aggravata dal fatto che la vittima era ubriaca, cioè dal fatto che i violentatori avevano abusato delle sue «condizioni di inferiorità fisiche e psichiche» dovute all'abuso di alcol;
   la procura generale ha lasciato scadere i termini per l'eventuale ricorso in Cassazione, rendendo così definitiva la sentenza della corte di appello di Firenze nel 2015, che faceva seguito alla condanna in primo grado e che ha scagionato gli aggressori;
   qualche giorno fa sono state rese note le motivazioni di quella sentenza: si legge che la vicenda è «incresciosa» ma «penalmente non censurabile» poiché la ragazza, sempre secondo quanto scrivono i giudici, con la denuncia avrebbe inteso «rimuovere» un suo discutibile momento di debolezza e fragilità;
   secondo i giudici d'appello, invece, il comportamento della ragazza fa «supporre che, se anche non sobria» fosse comunque «presente a se stessa» e, riferendosi al rapporto sessuale imposto, la Corte parla di una «iniziativa di gruppo comunque non ostacolata» ritenendo, inoltre che i ragazzi possano aver «mal interpretato» la disponibilità della ragazza, ma che poi non vi sia stata «alcuna censura apprezzabile tra il precedente consenso e il presunto dissenso della ragazza, che era poi rimasta “in balia” del gruppo»;
   secondo i giudici d'appello, inoltre «molte sono le contraddizioni» nel suo racconto: la sua versione è ritenuta «vacillante» e smentita «clamorosamente» dai riscontri: non hanno creduto al racconto della giovane;
   la Corte d'appello ha accolto dunque in pieno la tesi delle difese: la ragazza, nota per le sue libertà sessuali, sarebbe stata consenziente durante i rapporti di gruppo e avrebbe fatto ritorno a casa in bicicletta; con il passare delle ore, però, si sarebbe resa conto di quello che era accaduto, per poi decidere di presentarsi in questura il 30 luglio dopo essere stata visitata al centro antiviolenza di Careggi;
   inoltre, per giustificare l'assoluzione piena degli imputati «perché il fatto non costituisce reato» i giudici si servono, a conclusione della lunga argomentazione in merito alla mancanza di credibilità della vittima, di considerazioni «sociologiche» volte a corroborare la scelta di proscioglimento: in particolare le abitudini sessuali della ragazza e le sue precedenti esperienze lavorative, del tutto estranee all'oggetto della valutazione, vengono passate in rassegna quali elementi di chiarificazione della personalità della giovane, che dunque aiutano a comprendere come in realtà non vi fosse stato alcunché di violento o contrario alla libera determinazione di ciascuno dei partecipanti;
   i giudici traggono dalle informazioni che hanno a disposizione (condizioni familiari ed economiche, partecipazione a un film «splatter», sue precedenti esperienze sentimentali eterosessuali e omosessuali) conclusioni relative al suo carattere sicuro e disinibito: secondo i giudici, se la ragazza aveva potuto «reggere» senza problemi scene di sesso e violenza all'interno di un film, non risultava poi del tutto assurdo che si fosse volontariamente posta nella situazione in cui si trovò la notte fra il 26 e il 27 giugno 2008, salvo pentirsene subito dopo;
   tale tipo di motivazioni, pur nel rispetto e nella fiducia nell'azione autonoma della magistratura, non possono che lasciare esterrefatti poiché riportano il dibattito culturale, al quale ha risposto un'importante evoluzione normativa nel nostro Paese (il 1o agosto 2014 è entrata in vigore la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica», meglio nota come Convenzione di Istanbul, indietro nel tempo e nell'evoluzione culturale: i delitti di cui stiamo trattando hanno sulle donne un impatto sproporzionata, si tratta di una violazione dei diritti fondamentali e il cui impatto non tocca soltanto le vittime, ma riguarda anche le famiglie, gli amici e la società intera e che richiedono una visione critica e attenta alle risposte che dallo Stato possono arrivare e di come esse possano riflettersi sulla società;
   la Convenzione, adottata a Istanbul nel 2011, costituisce il primo strumento internazionale vincolante sul piano giuridico per prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica e si fonda su tre pilastri: prevenzione, protezione e punizione, ponendo particolare enfasi sui primi due, gli unici in grado di sradicare una violazione dei diritti umani ormai sistemica in Europa e particolarmente grave si esprime con chiarezza sulla necessità di evitare in ogni modo la cosiddetta «vittimizzazione secondaria»: e cioè la colpevolizzazione della vittima, che consiste nel ritenere la vittima di un crimine o di altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto e spesso nell'indurre la vittima stessa ad auto colpevolizzarsi: un atteggiamento di «colpevolizzazione» è anche connesso con l'ipotesi che si deve conoscere e accettare una supposta «natura intrinseca»;
   nella sentenza viene ricostruita in modo piuttosto insistente la storia della vita sessuale passata della ragazza con la descrizione di fatti ben precedenti al fatto: «dopo un rapporto omosessuale durato un paio d'anni»; «aveva collaborato ad un film del tipo splatter in cui recitava la parte di una prostituta, con scene di sevizie, violenze e perversione»; «aveva un rapporto sessuale estemporaneo all'aperto, in una viuzza vicino piazza S. Croce, sebbene egli fosse legato da tempo ad una ragazza da lei conosciuta» «aveva un rapporto sessuale occasionale in casa di lui» (un secondo rapporto occasionale) e si cita anche il fatto che la ragazza, giorni dopo quella sera, avesse partecipato ad un «workshop» estivo chiamato «Sex in Transition»;
   la somma di tutti questi elementi, nelle motivazioni della sentenza, comporrebbe il profilo psicologico della presunta vittima («un soggetto femminile fragile, ma al tempo stesso creativo, disinibito, in grado di gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici occasionali, di cui nel contempo non era convinta»);
   tutto ciò appare agli interroganti seriamente in contrasto con le previsioni della Convenzione di Istanbul, che si riferisce espressamente alla necessità di «non fornire mai un contesto che fornisca a sua volta una giustificazione alla presunta violenza o che ne vizi il giudizio» anche per non cadere, in contrasto anche con le previsioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2012/29/UE recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, la quale sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, dando attuazione ad uno dei principali punti del Programma di Stoccolma;
   tra le principali preoccupazioni del legislatore europeo vi è infatti quella di diminuire il rischio di vittimizzazione secondaria, che risulta particolarmente grave soprattutto in relazione a particolari categorie di vittime per cui sono dettate apposite disposizioni. La direttiva non fornisce una definizione del fenomeno, ma chiede che lo si possa prevenire, anche provvedendo alla formazione degli operatori suscettibili di entrare in contatto con le vittime, come i funzionari di polizia ed il personale giudiziario, i giudici, gli avvocati e coloro che forniscono servizi di assistenza, sostegno o di giustizia riparativa, affinché siano sensibilizzati alle loro esigenze e posti in condizione di trattarle in modo appropriato,
   non è, ovviante, in alcun modo nelle intenzioni degli interroganti l'idea di mettere in discussione la sentenza, frutto dell'operato autonomo della magistratura, le preoccupazioni espresse riguardano piuttosto l'impatto che le motivazioni di tale sentenza, una volta rese pubbliche, hanno generato nell'opinione pubblica, in un periodo di particolare emergenza relativa alla violenza sulle donne: l'affermazione dei diritti delle donne, come non è un dato acquisito, basta ricordare la pagina negativa sui diritti sessuali e riproduttivi nel testo uscito dalla Conferenza di «Rio+ 20» nel 2012 che ha riportato in ambito ONU le tensioni conservatrici di molti Paesi, in cui il riconoscimento dei «diritti universali» si scontra con interpretazioni restrittive degli stereotipi di genere fino alla violazione dei diritti fondamentali delle donne (Rapporto sull'attuazione della Piattaforma d'Azione di Pechino Rilevazione quinquennale: 2009-2014) –:
   se il Governo non ritenga, anche alla luce dell'evoluzione positiva del quadro normativo internazionale e nazionale, di dover mettere in campo tutti gli strumenti a sua disposizione e che rientrino nelle proprie competenza al fine di dare impulso e piena attuazione alla convenzione di Istanbul soprattutto nelle parti che riguardano la prevenzione e la tutela e la prevenzione della vittima, prevenzione e tutela che passano anche per una ferrea attenzione da porre con riferimento all'educazione, alla diffusione di modelli culturali e alla formazione di tutti gli operatori coinvolti;
   se il Ministro interrogato non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze di assumere iniziative di carattere ispettivo ai fini dell'eventuale esercizio degli ulteriori poteri di competenza. (5-06276)


   IACONO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia i poveri sono sempre di più. L'ISTAT contava due milioni e mezzo di persone in condizioni di povertà assoluta nel 2009, ora ci sono sei milioni di persone povere. La crisi ha colpito duro;
   le prime vittime della crisi sono i minori ed i bambini in Italia e in Europa;
   secondo un recente studio di Save the Children, i bambini che in Europa vivono in condizioni di esclusione sociale ed a rischio povertà sono 27, più di 1 minore su 4 (28 per cento) nei 28 Paesi dell'Unione europea;
   in Italia sono ben 3 milioni e mezzo, a cui si aggiungono 1 milione di bambini e adolescenti che vivono in condizioni di povertà assoluta;
   il rapporto annuale 2014 dell'Istat parla di «carattere strutturale del disagio economico del nostro Paese» con un rischio di povertà che nel 2012 è stato tra i più alti in Europa. Una situazione che va a colpire, anche e soprattutto, le condizioni di vita di famiglie e bambini. «Continua a essere grave la condizione di chi vive in famiglie numerose (18,4 per cento se i componenti sono 5 o più), in famiglie con minori (13,6 per cento), soprattutto se i minori sono due o più (14,4 per cento) o con un solo genitore (17,6 per cento), famiglie con a capo una persona avente al massimo la licenza di scuola media (17,1 per cento) o in cerca di occupazione (39 per cento)». Anche il livello di istruzione delle famiglie, dunque, influisce sulle condizioni del minore;
   nonostante l'Italia sia tra i 15 Paesi europei più ricchi, il 15,9 per cento dei bambini e degli adolescenti tra 0 e 17 anni vive in una condizione di povertà relativa;
   in questa classifica, l'Italia è agli ultimi posti: 29o su 35;
   la povertà minorile non è inevitabile ma sensibile alle politiche;
   in alcuni Paesi le politiche volte alla protezione delle fasce anagrafiche in difficoltà e quindi maggiormente vulnerabili sono in aumento;
   i dati dell'Italia non registrano miglioramenti nella riduzione dei tassi di povertà minorile anche a seguito di alcuni interventi di carattere pubblico, alla luce di questi dati quindi occorre dunque intervenire monitorando l'efficacia degli interventi;
   la povertà assoluta tra i minori è infatti aumentata del 37 per cento in soli due anni e riguarda oggi 1 milione 400 mila bambini. A causa della povertà sempre più minori vivono in uno stato di deprivazione: più di 65 mila nuclei familiari sono sotto sfratto e 1 minore su 4 vive in appartamenti inadeguati. Inoltre, a causa della crisi oltre il 68 per cento delle famiglie taglia le spese alimentari. Preoccupa anche il fenomeno della povertà educativa: i bambini leggono sempre meno e tra i più poveri si hanno poche opportunità educative;
   basti pensare che 3 milioni e 200 mila bambini e ragazzi tra 6 e 17 anni (il 47,9 per cento del gruppo di età) non hanno letto un libro nel 2013 e circa 4 milioni (il 60,8 per cento) non hanno visitato una mostra o un museo;
   gli ultimi dati rilasciati dall'Istat non lasciano dubbi: dal 2007 al 2014 i minori in povertà assoluta sono più che raddoppiati, passando da meno di 500 mila a più di un milione. L'incremento più significativo si è avuto nell'ultimo anno: solo nel 2012 il loro numero è cresciuto del 30 per cento rispetto all'anno precedente, con un vero e proprio boom al Nord (+ 166 mila minori, per un incremento del 43 per cento rispetto al 2011) e al Centro (+41 per cento). Il Sud già fortemente impoverito ha conosciuto un aumento relativamente più «contenuto» (+20 per cento) e raggiunto la quota stratosferica di mezzo milione di minori nella trappola della povertà;
   la relazione del garante sull'infanzia conferma il fallimento delle politiche minorili a partire dai dati Istat, già noti, sulla povertà relativa;
   l'allarme è dato soprattutto dal dato relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni, che è pari al 70 per cento al Sud a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale;
   70 su 100 minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno rischiano di essere poveri;
   l'Unicef, attraverso il report card, descrive la situazione della povertà infantile e adolescenziale come una vera e proprio «emergenza infanzia» – lo stesso documento sul benessere dell'infanzia elaborato dall'Unicef ha valutato di recente le condizioni di vita dei bambini nelle economie avanzate del mondo;
   diversi gli indicatori: dalla salute alla sicurezza, dall'istruzione ai contesti abitativi e ambientali;
   i dati che riguardano l'Italia sono drammatici, nello specifico, il nostro Paese è al 23o posto nell'area relativa al benessere materiale dei bambini, al 17o in quella salute e sicurezza, al 25o nell'istruzione ed al 21o per le condizioni abitative ed ambientali –:
   se il Governo, così come indicato da una mozione (n. 1-00671) parlamentare presentata, il 19 novembre alla Camera abbia assunto o sia intenzionato ad assumere iniziative atte ad incentivare il raggiungimento degli obiettivi previsti da Europa 2020 in tema di povertà infantile e di esclusione sociale in Europa, anche attraverso l'utilizzo di indicatori innovativi in grado di misurare il reale discostamento dai parametri prefissati nel medio periodo e capaci di valutare la percezione dell'infanzia rispetto al tema della povertà e dell'esclusione;
   se il Governo abbia predisposto un'iniziativa di coinvolgimento del Garante nazionale per l'infanzia e dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza finalizzata all'attuazione di un coordinamento di tutte le politiche per l'infanzia, anche al fine di evitare una frammentazione delle responsabilità e data la molteplicità di aspetti che il mondo dell'infanzia comporta;
   se e con quali strumenti il Governo intenda predisporre iniziative volte a colmare le differenze tra Nord e Sud d'Italia nella copertura dei servizi di assistenza omogenea rispetto alle regioni del Centro-Nord, superando le sperequazioni ed assicurando in tal modo un sistema educativo ed un welfare adeguato, moderno ed inclusivo. (5-06278)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   recentemente l'azienda italiana Hacking Team, è stata colpita da un clamoroso attacco informatico che ha comportato la violazione dei suoi sistemi;
   in una intervista Giuliano Tavaroli, che ha diretto la sicurezza di Telecom-Pirelli, a Il Fatto Quotidiano il 13 luglio 2015 ha così sostenuto: «Abbiamo bisogno di modelli di sicurezza nuovi. Pensi soltanto alla protezione dei nostri dati sanitari... Cosa pensa dei 400 gigabyte rubati alla HT ? Un disastro di dimensioni mondiali. Nessuno sa quali informazioni abbia questo hacker e cosa ne stia facendo. Può aver scaricato lista dei clienti e dei loro bersagli. Potrebbe avere le password per amministrare le piattaforme con cui la nostra polizia giudiziaria gestisce le persone sotto indagine. Mafiosi, narcotrafficanti, teoricamente potrebbe avvertirli.... la nostra politica non ha mai investito nella cyber security. Pensi a tutti i nostri dati, alle banche dati sanitarie, per esempio, o alle informazioni finanziarie che diffondiamo in rete: è necessaria la protezione adeguata. In Gran Bretagna, il solo centro di spionaggio e anti spionaggio digitale, dispone di un budget da 1,5 miliardi di sterline: il triplo di quanto spendiamo per tutti i nostri servizi d'intelligence. E poi, perché le nostre istituzioni devono acquistare la tecnologia dai privati: non sarebbe più sicuro crearla in proprio ? Invece la polizia giudiziaria e i servizi devono acquistare da privati che, a loro volta, in alcuni casi acquistano tecnologie da altri privati — cioè hacker — contattati sulla rete. Una filiera paradossale»;
   ad oggi non è ancora noto l'elenco del portafoglio clienti italiani di HT –:
   se il clamoroso attacco informatico a Hacking team, che ha comportato la violazione di suoi sistemi, abbia implicato eventualmente dati sanitari riservati e delicati concernenti le condizioni di salute di persone fisiche detenute da strutture sanitarie sia pubbliche che private, «clienti» di Hacking Team;
   quali siano in ogni caso le garanzie della tutela rigorosa dei dati sanitari individuali, nella prospettiva di eventuali necessari nuovi modelli di sicurezza, preferibilmente garantiti da strutture e società pubbliche, vista la gravissima défaillance accaduta nel privato con Hacking Team. (4-10132)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Italia l'inattività fisica si traduce in costi economici annuali di oltre 12,1 miliardi di euro, equivalenti all'8,9 per cento della spesa sanitaria italiana, per un impatto complessivo sull'economia che comprende costi sanitari diretti annuali pari a 1,6 miliardi di euro e costi indiretti pari a 7,8 miliardi di euro, come evidenzia lo studio «L'impatto economico dell'inattività fisica in Europa», realizzato dal Centre for Economics and Business Research (Cebr) e commissionato da ISCA (International Sport and Culture Association);
   in Europa l'inattività fisica costerebbe oltre ottanta miliardi di euro e circa mezzo milione di morti evitabili all'anno, e il nostro Paese presenta una delle situazioni peggiori in merito a questo problema;
   secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo, un adulto su tre non è sufficientemente attivo, e questo comporta che l'inattività fisica sia ormai il quarto più importante fattore di rischio di mortalità, causando circa 3,2 milioni di decessi ogni anno, causa il 6 per cento di tutti i decessi, superato soltanto dall'ipertensione sanguigna (13 per cento) e dal consumo di tabacco (9 per cento) e attestandosi allo stesso livello di rischio dell'iperglicemia (6 per cento);
   l'analisi del Cebr costituisce un'ulteriore conferma del fatto che l'inattività sia uno dei principali fattori di rischio di un consistente numero di malattie: è la causa principale di circa il 21-25 per cento dei tumori della mammella e del colon, il 27 per cento dei casi di diabete, il 30 per cento delle malattie cardiache ischemiche, inoltre favorisce lo sviluppo di disturbi dell'umore, l'aumento dello stress e dell'ansia; nel complesso l'inattività sarebbe responsabile del 14,6 per cento dei decessi in Italia;
   il 33 per cento degli adulti nel nostro Paese non raggiunge i livelli di attività fisica quotidiana raccomandati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e la ricaduta sul Servizio sanitario nazionale è stato stimato nello studio del Cebr facendo riferimento al valore economico relativo a malattie e mortalità prematura collegati alla inattività fisica, cui si aggiungono altri costi legati ai disturbi mentali come depressione e ansia;
   per quanto riguarda gli adolescenti, i dati sarebbero ancora più preoccupanti in quanto il 92 per cento dei tredicenni non raggiungerebbe i livelli di attività fisica consigliati dall'organizzazione mondiale della sanità, contro una media europea dell'83 per cento; si rileva anche una differenza relativa al genere: ben il 38 per cento delle donne contro il 28 per cento degli uomini non è sufficientemente attivo;
   secondo la definizione dell'organizzazione mondiale della sanità, per attività fisica si intende ogni movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici che comporti un dispendio energetico – incluse le attività effettuate lavorando, giocando, dedicandosi alle faccende domestiche, viaggiando e impegnandosi in attività ricreative; il termine «attività fisica» non andrebbe confuso con il termine «esercizio», che è una sottocategoria dell'attività fisica caratterizzata dal fatto di essere pianificata, strutturata, ripetitiva e volta a migliorare o a mantenere uno o più aspetti della forma fisica; i livelli di attività fisica consigliati dall'organizzazione mondiale della sanità sono di appena 150 minuti a settimana, una ventina al giorno, di maggior movimento, che può voler dire usare le scale anziché l'ascensore, uscire per una passeggiata, camminare a passo veloce o scendere dall'autobus una fermata prima della propria;
   secondo lo studio, ridurre di un quinto il livello di sedentarietà permetterebbe di risparmiare 2,4 miliardi di euro all'anno;
   sebbene l'inattività sia spesso connessa a sovrappeso e obesità, le performance negative a livello di salute non sono legatene necessariamente al peso, ma sono di sicuro collegate alla sedentarietà, visto che anche i normopeso inattivi hanno un rischio maggiore di sviluppare malattie croniche non trasmissibili, come diabete, tumori e coronaropatie;
   secondo Michelangelo Giampietro, specialista in medicina dello sport e scienza dell'alimentazione, «Il movimento fisico previene le malattie cardiovascolari tutte, l'osteoporosi e ha benefici anche nella prevenzione di molte patologie neoplastiche. Per non parlare di uno dei maggiori fattori di rischio degli anziani, la perdita di massa muscolare, la sarcopenia, che insieme all'osteoporosi può provocare cadute e fratture. Inoltre molti studi dimostrano che l'attività fisica ha un impatto positivo sulle malattie reumatiche per l'azione antinfiammatoria che l'esercizio fisico produce, variando la produzione di molte citochine, facendo aumentare quelle antinfiammatorie e riducendo invece quelle pro infiammatorie»;
   le persone insufficientemente attive presentano un rischio di mortalità dal 20 per cento al 30 per cento più elevato rispetto a persone impegnate in almeno mezz'ora di attività fisica di intensità moderata nella maggior parte dei giorni della settimana;
   concorrono alla scarsa attività fisica anche diversi fattori legati a diverse tipologie di lavoro soprattutto d'ufficio, e ambientali collegati all'urbanizzazione come l'assenza di parchi, marciapiedi e impianti sportivi e ricreativi;
   nel 2013, gli Stati membri dell'organizzazione mondiale della sanità hanno concordato «Piano d'azione mondiale per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili 2013-2020» –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente delle gravi conseguenze della inattività fisica, di cui in premessa, e quali iniziative ritengano opportuno adottare per contrastare questo fenomeno purtroppo in continua crescita, anche rispetto alle fasce più giovani della popolazione;
   se i Ministri interrogati non considerino urgente attivarsi, per quanto di competenza, affinché le forme di trasporto attivo siano accessibili e sicure per tutti, e non ritengano altresì necessario promuovere un'adeguata politica di sensibilizzazione a favore della mobilità in bicicletta e, nel contempo, implementare tutti i presupposti indispensabili per favorirne l'uso come la rete di piste ciclabili esistente, percorsi davvero protetti, segnaletica ad hoc, ciclo-parcheggi;
   se i Ministri interrogati non intendano promuovere politiche relative al lavoro e al posto di lavoro mirate ad incoraggiare una maggiore attività fisica;
   se e in che modo i Ministri interrogati abbiano intenzione di intervenire sui fattori ambientali collegati all'urbanizzazione che concorrono alla mancanza di attività fisica, come la scarsa presenza di parchi, marciapiedi e impianti sportivi e ricreativi pubblici che potrebbero fornire a tutti l'opportunità di praticare sport. (4-10140)


   PESCO e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il sito de «Linkiesta» pubblicava il 26 gennaio 2013 articolo intitolato «Bankitalia, ecco il verbale dell'ispezione 2010 su Mps – All'interno il verbale dell'ispezione che la Banca d'Italia svolse a Siena dall'11 maggio al 6 agosto 2010 – «L'accertamento, mirato a valutare i rischi finanziari e di liquidità, ha fatto emergere risultanze parzialmente sfavorevoli». Comincia così il verbale dell'ispezione che la Banca d'Italia condusse su Banca Monte dei Paschi di Siena dall'11 maggio al 6 agosto 2010. Oltre a svariati rilievi sulla gestione e l'organizzazione, gli ispettori evidenziarono «profili di rischio non adeguatamente controllati» con riferimento alle operazioni in pronti contro termine e swap su Btp, per complessivi 5 miliardi di euro, stipulate con la Nomura e Deutsche Bank (pagina 5). Il verbale, datato 29 ottobre 2010, è firmato dal capo ispettore Vincenzo Cantarella ed è stato notificato all'allora presidente di Mps Giuseppe Mussari. La banca fu invitata a rispondere entro trenta giorni, con lettera a firma dei componenti degli organi aziendali (cda e sindaci). All'epoca dei fatti, Mario Draghi era governatore della Banca d'Italia. Anna Maria Tarantola, attuale presidente della Rai, è stata funzionario generale dell'Area Vigilanza bancaria dal febbraio 2007 al 20 gennaio 2009. In tale data viene nominata vicedirettore generale ed entra quindi a fare parte del direttorio dell'istituto, pur restando il punto di riferimento massimo della Vigilanza. Stefano Mieli è stato responsabile dell'area dal 28 febbraio 2009 fino al pensionamento. Dal 1o marzo 2012 il funzionario capo della Vigilanza è Luigi Federico Signorini. «L'Autorità di Vigilanza – si legge a pagina 6 del verbale – si riserva (...) di promuovere eventuali provvedimenti ai sensi della vigente legislazione bancaria e finanziaria». Ad oggi non è noto quali provvedimenti sanzionatori siano stati decisi da Banca d'Italia in relazione all'ispezione 2010. Ieri, in un'intervista al Sole 24 Ore, il governatore Ignazio Visco ha detto che «negli ultimi due o tre anni c’è stata molta attenzione sullo stato della liquidità della Banca Mps». Fino a questa mattina, sul Bollettino di Vigilanza della Banca d'Italia, aggiornato con dilazioni anche superiori a 24 mesi, non vi era traccia di sanzioni a Mps successive all'ispezione. Intanto, in serata il direttorio ha dato parere positivo sull'emissione dei Monti bond per 3,9 miliardi di euro in sostegno di Banca Mps;
   il sito de «La Repubblica» pubblicava il 3 aprile 2015 il seguente articolo «Mps: chiusa inchiesta Milano, occultate perdite 300 milioni – Nel mirino dei magistrati il bilancio 2009 approvato nel 2010: gli ex vertici dell'istituto senese sono accusati di falso in bilancio e manipolazione del mercato» – La procura di Milano ha chiuso le indagini nei riguardi degli ex dirigenti della Banca Monte dei Paschi di Siena, accusati di falso in bilancio e manipolazione del mercato in relazione al bilancio 2009 dell'istituto, approvato nel 2010. Secondo l'accusa, sarebbero state occultate perdite per oltre 300 milioni di euro. L'avviso di chiusura delle indagini è stato notificato a Giuseppe Mussari, ex presidente di Banca Monte dei Paschi, Antonio Vigni, ex direttore generale, Gianluca Baldassarri, ex responsabile dell'area finanza, Sadeq Sayeed, ex ceo della banca d'affari Nomura International, con sede a Londra, Raffaele Ricci, responsabile delle vendite per l'Europa e il Medio Oriente di Nomura, e, inoltre, alla stessa Banca Monte dei Paschi e a Nomura. L'inchiesta – diretta dal procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco e dai pm Baggio, Civardi e Clerici, e svolta dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza – ha riguardato l'operazione – di finanza strutturata finalizzata a ristrutturare il derivato Alexandria, posseduto da Banca Monte dei Paschi, attraverso un contratto stipulato tra Mps e Nomura. Le indagini hanno permesso di evidenziare una ipotesi di accusa relativa all'occultamento di perdite per oltre 300 milioni di euro non evidenziate nel conto economico del bilancio di Mps chiuso al 31 dicembre 2009;
   il sito de «Il Fatto Quotidiano» pubblicava sempre il 3 aprile 2015 l'articolo intitolato «Banca Mps, chiusa inchiesta su falso in bilancio: «Occultato buco di 300 milioni» – L'avviso è stato notificato all'ex presidente Giuseppe Mussari, all'ex direttore generale Antonio Vigni, all'ex responsabile dell'area Finanza Gianluca Baldassarri e a due manager della banca d'affari Nomura. Secondo l'accusa, la ristrutturazione del debito effettuata dall'istituto attraverso il derivato Alexandria ha permesso di abbellire i conti. La Procura di Milano ha chiuso le indagini nei riguardi degli ex dirigenti della Banca Monte dei Paschi di Siena, accusati di falso in bilancio e manipolazione del mercato in relazione al bilancio 2009 dell'istituto, approvato nel 2010. Secondo l'accusa, sono state occultate perdite per oltre 300 milioni di euro non evidenziate nel conto economico del bilancio di Mps chiuso al 31 dicembre 2009. L'avviso è stato notificato all'ex presidente Giuseppe Mussari, all'ex direttore generale Antonio Vigni e all'ex responsabile dell'area Finanza Gianluca Baldassarri, oltre che a Sadeer Sayeed, ex amministratore delegata della banca d'affari Nomura International, Raffaele Ricci, responsabile delle vendite per l'Europa e il Medio Oriente di Nomura, alla stessa Banca Monte dei Paschi e a Nomura. L'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco e dai pm Giordano Baggio, Mauro Clerici e Stefano Civardi, è quella sull'operazione di finanza strutturata realizzata per ridefinire i termini del derivato Alexandria attraverso un contratto stipulato tra Mps e Nomura. Secondo gli inquirenti Mussari, Vigni, Baldassarri, Sayeed e Ricci «agendo in concorso quanto meno tra di loro, con l'intenzione di ingannare i soci e il pubblico ed al fine di conseguire per sé e per gli altri un ingiusto profitto», omettevano o falsificavano le informazioni contabili della banca creando a Mps «un danno patrimoniale di rilevante entità». Lo scorso ottobre Mussari, Vigni e Baldassarri erano stati condannati dal tribunale di Siena a tre anni e sei mesi, con cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, per ostacolo in concorso all'esercizio delle funzioni delle autorità di vigilanza proprio in relazione al contratto stipulato con la banca giapponese e, in particolare, al suo occultamento;
   il 3 aprile 2015 i Pubblici Ministeri di Milano, Giordano Baggio, Stefano Civardi e Muro Clerici, ai sensi dell'articolo 415 bis del codice di procedura penale, comunicavano l'avviso di conclusione delle indagini nei confronti di Mussari Giuseppe, Vigni Antonio, Baldassarri Gian Luca, Sayeed Sadeq, Ricci Raffaele, Banca Monte dei Paschi Siena e Nomura International Plc, per i delitti, reati, illeciti amministrativi commessi in data 27 aprile 2010, contestualmente all'approvazione del bilancio di Banca Monte dei Paschi di Siena al 31 dicembre 2009. Oggetto dell'indagine è la ristrutturazione dell'operazione di acquisto di «notes Alexandria» (obbligazioni collegate al rischio di un'altra obbligazione emessa da un «veicolo caymanese» e rientrante nella categoria dei prodotti di credito strutturato – CDO): obbligazioni acquistate nel 2005 e con scade a il 31 dicembre 2012, che nel 2009 avrebbero dovuto essere oggetto di svalutazione in fase di redazione dei bilancio annuale. Tale ristrutturazione, inizialmente seguita da JP Morgan, che redasse la prima bozza contrattuale, inquadrando l'operazione come un contratto derivato sintetico che non avrebbe consentito l'occultamento della svalutazione delle «notes Alexandria», fu poi conclusa con modifiche ad hoc da Nomura. La ristrutturazione cominciò con la sottoscrizione il 29 luglio 2009 di un documento contrattuale, denominato «mandate agreement», e si concluse il 28 settembre 2009. L'operazione era, a detta dei pubblici ministeri, «un'operazione di finanza strutturata finalizzata a ristrutturare le notes Alexandria possedute da Banca Monte dei Paschi Siena mediante il rilievo occulto della perdita realizzata sulle predette notes, e il contestuale ribaltamento della medesima perdita maggiorata delle commissioni dovute da BMPS a Nomura attraverso sostanzialmente un derivato creditizio del tipo CDS (Credit Default Swap) su rischio Italia, ottenuto tramite la disaggregazione in separate componenti contrattuali» al fine di permetterne una dissimulazione nel bilancio di Banca Monte dei Paschi Siena. Detto «mandate agreement», infatti ricollegava esplicitamente il rilievo della perdita sulle notes Alexandria ai flussi finanziari che sarebbero scaturiti dai contratti poi effettivamente stipulati in data 28 settembre 2009:
    1) di Asset Swap dove Banca Monte dei Paschi Siena comprava 3,05 miliardi nominali di Btp 2034 da Nomura;
    2) di Term Repurchase Transaction (Repo) con il quale Banca Monte dei Paschi Siena vendeva a pronti a Nomura Btp 2034 (e contestuale apertura da parte di BMPS di una linea di credito definita Repo Facility di 3,05 miliardi di euro a favore di Nomura);
   il sito «Reuters Italia» (it.reuters.com) pubblicava il 16 aprile 2015 articolo intitolato «Mps, Bce chiede chiusura Alexandria, banca paventa perdita da 1 miliardo» nel quale si legge «Una chiusura anticipata entro luglio del contratto derivato Alexandria fatto con Nomura, chiesta da Bce alla banca Mps a meno di impedimenti legali, causerebbe una perdita lorda di 1 miliardo e indebolirebbe «irrimediabilmente» le azioni legali in essere. Lo si legge nella lettera inviata il 18 febbraio dalla banca alla procura di Milano in cui si dà notizia della richiesta di Francoforte di chiudere questo oneroso contratto entro il 26 luglio, «a meno che non intervenga un provato impedimento legale nel futuro in conseguenza del provvedimento civile o dell'inchiesta penale in corso». Nel corso dell'assemblea per l'approvazione del bilancio e l'aumento di capitale da 3 miliardi, il presidente di Mps, Alessandro Profumo, confermando il contenuto della lettera, ha detto che, a giudizio della banca, «un'azione penale nei confronti della controparte è un impedimento piuttosto rilevante perché questo è un evidente motivo di richiesta danni da parte nostra». Mps ritiene di essere stata danneggiata per la ristrutturazione di Alexandria, servita per occultare perdite dei passati bilanci e che ha comportato una riscrittura del bilancio 2012. La richiesta di risarcimento dei danni avanzata da Mps al Tribunale di Firenze è pari ad almeno 750 milioni di euro. Secondo Profumo, «una chiusura incauta potrebbe essere non corretta. Dopodiché laddove la Banca centrale europea nonostante queste problematiche dica chiudete, noi chiuderemo l'operazione, riservandoci poi tutte le nostre tutele». «Noi ci consideriamo i danneggiati a fronte di transazioni tra persone di Nomura e persone che non sono più da noi», ha detto Profumo, riferendosi a pagamenti (che risultano dagli atti depositati a Milano) effettuati da un dirigente di Nomura e destinati a uno di Mps, entrambi indagati nel procedimento. «Noi stiamo ricalcolando il danno che come Mps abbiamo avuto da questa transazione», ha aggiunto. Nomura oggi non ha fatto commenti. In precedenza la banca giapponese aveva negato ogni condotta scorretta e aveva dichiarato di aver sempre agito correttamente. Nessun commento dalla Bce. .... Venerdì scorso su sollecitazione della Consob, Mps ha detto che in seguito all'esercizio Bce è emerso che l'esposizione verso Nomura per questo prodotto ristrutturato eccede il limite prudenziale del 25 per cento, pesando per circa 3,4 miliardi (34 per cento circa) sui quasi 10 miliardi di patrimonio totale di vigilanza. Questa esposizione, ha spiegato Viola, è iscritta a bilancio tra le grandi esposizioni, senza l'indicazione esplicita del collegamento con l'operazione fatta con Nomura. L'aumento di capitale da 3 miliardi permetterà di far scendere il peso dell'esposizione. La Bce ha anche chiesto a Mps di considerare nel CET (Common Equity tier) 1 del 1o gennaio 2014, determinato secondo le regole di Basilea 3, l'intero importo della riserva negativa connessa ai titoli di Stato oggetto dell'operazione pari a 411 milioni di euro, determinando un impatto addizionale di 164 milioni di euro per il trattamento fully phased-in dei BTP sottostanti Alexandria. La lettera alla procura spiega che questo tipo di trattamento ad hoc espone il capitale core della banca alle oscillazioni dello spread di credito del Bpt 2034 legato ad Alexandria.Un aumento dello spread di 60 punti base ridurre di 300 milioni di euro il CET1. La Banca ha ricevuto dalla Bce un target di capitale pari al 10,2 per cento e sta preparando l'aumento di capitale per restituire poco più di un miliardo di aiuto pubblico e mantenere il capitale core sopra la soglia fissata dal regolatore;
   il sito de «il Corriere della Sera» pubblicava il 12 maggio 2015 articolo intitolato «Mps, esposizione verso Nomura in crescita 693 milioni in tre mesi – Gli strascichi sul bilancio del Monte delle controverse emissioni del 2008 – L'esposizione verso Nomura da parte di Mps cresce a fine marzo di 693 milioni rispetto a dicembre e si attesta a poco meno di 4,7 miliardi pari al 48,8 per cento dei fondi propri. La Bce ha chiesto alla banca di rientrare entro il limite regolamentare del 25 per cento entro il 26 luglio 2015. L'esposizione riguarda lo strutturato Alexandria al centro di una richiesta di risarcimento dei danni di Mps a Nomura pari a 1 miliardo di euro. La banca nella trimestrale indica che è aumentato il rischio controparte sul long term repo (575 milioni) e che «alla luce delle indagini in corso ad opera della procura di Milano, la Consob sta approfondendo le modalità di contabilizzazione delle operazioni di long term structured repo»;
   rileva, ad avviso degli interroganti quanto asserito dai pubblici ministeri in merito alla contabilizzazione delle due transazioni riguardanti i BTP 2034, che hanno visto movimentare lo stato patrimoniale, nell'attivo, alla voce «attività disponibili per la vendita» e nel passivo, alla voce «debiti verso banche»: fatti materiali non corrispondenti al vero «in quanto lo scambio con Nomura dei BTP2034 avveniva solo figurativamente». In pratica, nei depositi titoli di Banca Monte dei Paschi Siena, non sono mai entrati e usciti i Btp 2034 oggetto dei due contratti sottoscritti il 28 settembre 2009. Ai sensi del comma 2, articolo 155 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 («Il revisore legale o la società di revisione legale informano senza indugio la Consob e l'organo di controllo dei fatti ritenuti censurabili rilevati nello svolgimento dell'attività di revisione legale sul bilancio d'esercizio e consolidato»), risulta impensabile agli interpellanti che la società incaricata della revisione legale non si sia accorta di una anomalia così evidente, mancando le contabili di movimentazione titoli su una operazione di così elevato ammontare, verificabili anche on-line sulle piattaforme di regolamento. Restando da comprendere se la movimentazione sia stata fittizia anche a livello dei flussi di cassa, il revisore legale o la società di revisione dovrebbe avere informato la Consob della palese anomalia (non riscontrabile a nostro dire solo se con dolo o incompetenza, conoscendo le prassi di revisione contabile), ma fu la sola Banca d'Italia, esattamente due settimane dopo l'approvazione del bilancio 2009, a effettuare un'ispezione a Banca Monte dei Paschi di Siena, durata fino all'8 agosto 2010. Ispezione che aveva evidenziato anomalie proprio sull'operazione Alexandria, e che, riguardando una manomissione delle partite evidenziate a bilancio di una società quotata in borsa, a rigor di logica avrebbe dovuto essere trasmessa immediatamente alla Consob (che avrebbe comunque già dovuto esserne informata dal revisore, o società di revisione, legale della Banca Monte dei Paschi Siena), la quale riceve invece copia dell'ispezione soltanto nel giugno 2012. Tuttociò nonostante, Consob comunicò ai mercati parte delle anomalie solo a gennaio 2013, omettendo, ad avviso degli interroganti, di informare il pubblico del fatto che così come contabilizzata l'operazione si gonfiava il patrimonio di vigilanza, facendo apparire la banca più solida di quanto non fosse, infliggendo a ignari risparmiatori e azionisti, attratti dall'operazione di aumento di capitale, perdite considerevoli, fino al 50 per cento. Ancora oggi, come evidenziato dall'articolo del Corriere del 12 maggio 2015, la ristrutturazione del contratto derivato Alexandria pesa come un macigno nei bilanci di Banca Monte dei Paschi: 4,7 miliardi di euro, il 48,8 per cento dei fondi propri, quando il limite regolamentare è del 25 per cento. Limite indicato nella nuova disciplina prudenziale (Basilea 3) redatta dal Comitato di Basilea (i cui componenti sono espressione delle singole Banche Centrali nazionali, e dei suoi azionisti, in gran parte privati) che la Banca Centrale Europea, a guida Mario Draghi, ora vuole venga rispettato entro luglio: continui aumenti di capitale e intimazione alla chiusura del «derivato Alexandria». È curioso come Mario Draghi, che dal 1991 al 2001 fu direttore generale del Tesoro (sotto la cui guida l'Italia riempì il portafoglio di contratti derivati, a parere degli interroganti tanto segreti quanto dubbi e richiesti dagli stessi interroganti a più riprese), e che dopo 3 anni in Goldman Sachs (famosa per i derivati che consentirono alla Grecia, oggi sul lastrico, l'ingresso in Europa), nel dicembre 2005, divenne il nono Governatore della Banca d'Italia, fino al 2011, quando divenne Presidente della Banca Centrale Europea e l'originaria scadenza del «notes Alexandria», oggetto della ristrutturazione del 2009, aveva come scadenza finale il 31 dicembre 2012;
   confermate o meno le accuse dei pubblici ministeri, il contratto di ristrutturazione Alexandria sottoscritto da Mps con Nomura rientrerebbe comunque nell'ambito dell'articolo 1418 del Codice Civile (della nullità del contratto);
   lo Stato Italiano, in virtù degli avvenimenti descritti, è divenuto coobbligato e creditore di Banca Monte dei Paschi di Siena –:
   se in Ministro dell'economia e delle finanze disponga di elementi informativi in relazione ai fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative, alla luce di quanto descritto in premessa intenda assumere il Governo al fine di far sì che i crediti vantati dallo Stato nei confronti di Mps possano essere recuperati. (4-10147)


   NESCI, D'UVA e TRIPIEDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come riferito sul sito «Giornalistitalia.it», in meno di un anno il quotidiano «La Provincia di Cosenza» ha avuto quattro i direttori che si sono alternati alla guida del giornale, con due società editrici che l'hanno portato in edicola e due stabilimenti tipografici che l'hanno stampato da novembre ad oggi;
   lo scorso 1o agosto a quattro redattori, per come riportato da «Giornalistitalia.it», è stato impedito di mettere piede nella nuova redazione di Corso Mazzini n. 92, già sede del giornale al suo debutto in edicola;
   ciò, evidenzia il sito «Giornalistitalia.it», senza che fosse stato comunicato ai giornalisti il cambio della stessa redazione, che fino alla sera del 31 luglio coincideva con i locali della concessionaria di pubblicità Pubbliora sas con sede in via Martiri di Melissa n. 5 a Castrolibero (Cosenza);
   i suddetti giornalisti hanno chiesto l'intervento della Polizia di Stato, stando al racconto di «Giornalistitalia.it», presentando regolare denuncia;
   protagonisti della vicenda sono stati Francesco Viola (redattore dal 10 gennaio fino al 3 aprile scorso, quando ha preso la direzione del giornale fino al 24 luglio per poi tornare a fare il redattore dal 25 luglio), Ilaria Nocito (redattore dal 16 febbraio), Enrico Miceli (redattore dal 3 aprile) e Bruno Greco (redattore dal novembre 2014 e che svolgeva anche mansioni di grafico di redazione);
   dall'inizio di agosto il giornale è uscito con una denominazione differente, passando da «La Provincia di Cosenza» a «La nuova Provincia di Cosenza»;
   ciononostante, la gerenza è rimasta uguale, nel senso che la società editrice è la iG Editori srl, con sede legale a Cariati in via Magenta n. 34, appartenente alla famiglia Greco, nota per i suoi prodotti vinicoli e oleari e per l'impero sanitario che sta mettendo in piedi sul territorio cosentino rilevando, in pochissimo tempo, cliniche private alle quali sta dando nuova vita;
   immutata è la concessionaria di pubblicità, Pubbliora, riconducibile a Ivan Greco (non legato da parentela al gruppo Greco), che insieme alla moglie Simona Gallo ha editato il giornale, con la società Essegi editoriale srl, finché non è subentrato il gruppo dei Greco di Cariati;
   «Giornalistitalia.it» informa che ad accompagnare nella sede ordinaria del giornale i quattro giornalisti c'era Francesco Cangemi del Dipartimento Sindacale del Sindacato Giornalisti della Calabria, che, assieme al segretario regionale Carlo Parisi, componente della Giunta Esecutiva Fnsi, ed alla componente della Giunta Esecutiva Sgc, Raffaella Salamina, aveva già incontrato Viola, Nocito, Miceli e Greco, esasperati da settimane di trattative in attesa di ottenere un regolare contratto giornalistico Fieg-Fnsi;
   al Sindacato dei giornalisti i quattro avevano spiegato le loro condizioni di lavoro e il vero e proprio «balletto» intorno alla loro regolarizzazione contrattuale che, ad oggi, li ha portati a non avere alcun tipo di contratto, pur svolgendo attività di redazione e, nel caso di Viola, anche di direzione;
   il segretario del Sindacato dei giornalisti si era impegnato ad avanzare formale richiesta d'incontro all'editore per trovare una soluzione contrattualmente dignitosa per i giornalisti e vantaggiosa per l'azienda che, regolarizzando le posizioni, avrebbe soltanto da guadagnare in termini di affiatamento e produttività della redazione e di rispetto delle leggi sul lavoro;
   giunti, sabato mattina, nella sede di Castrolibero, Viola, Nocito, Miceli e Greco hanno, però, trovato la redazione completamente smantellata;
   Simona Gallo, moglie di Ivan Greco (assente all'incontro), li ha informati che la redazione era stata trasferita al numero 92 di Corso Mazzini, a Cosenza;
   nello stesso pomeriggio, verso le 16,30, per come riferito da «Giornalistitalia.it», accompagnati da Francesco Cangemi i giornalisti si sono recati nella nuova sede del giornale per riprendere regolarmente servizio, ma sono stati respinti;
   gli stessi giornalisti hanno dunque chiesto l'intervento delle forze dell'ordine;
   dieci minuti dopo gli agenti di una volante della Polizia di Stato hanno raccolto prima le testimonianze dei giornalisti e del rappresentante sindacale e poi, entrati in redazione, quelle dei presenti;
   nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-09826 del 15 luglio 2015, la prima firmataria del presente atto ha già rappresentato elementi di forte preoccupazione in ordine all'editoria nella città di Cosenza, evidenziando possibili gravi condizionamenti della libertà di stampa, costituzionalmente garantita –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se non ritengano di voler acquisire ulteriori elementi in ordine alla situazione descritta in premessa, in relazione all'effettiva gestione del quotidiano «La Provincia di Cosenza»;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro del lavoro e delle politiche sociali a tutela dei diritti dei giornalisti interessati. (4-10164)


   ZAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano La Stampa ha pubblicato in data 4 agosto 2015 un articolo dal titolo: «Brutto gay, non guardare il mio ragazzo». Poi con cinque amici lo riduce in fin di vita, laddove racconta di una brutale aggressione a sfondo omofobo su un autobus (il numero 1) subita da due ragazzi a Genova intorno alle 4 del mattino del 14 luglio 2015;
   uno dei due ragazzi, quarantenne, sarebbe stato ridotto in fin di vita; dalla ricostruzione fatta dalla fidanzata di questo, tuttora ricoverato in gravi condizioni (non parlerebbe e sarebbe alimentato a fatica), i due erano saliti alle 3,49 sull'autobus 1 da piazza Caricamento per rientrare a casa dopo una serata in compagnia; una volta a bordo, un gruppo di giovani, formato anche da due donne, avrebbe iniziato a inveire contro i due, eterosessuali, perché creduti gay, e successivamente a pestarli infierendo sul volto, sulle gambe, sulla schiena e usando pure delle catene;
   la vittima ferita più gravemente è riuscita ad allontanarsi, a tornare a casa e a raccontare tutto alla fidanzata, spiegando che li avevano massacrati soltanto perché li credevano omosessuali. Non sapeva di avere un ematoma cerebrale, che dopo una settimana, tra il 21 e il 22 luglio, lo ha mandato in coma, ridotto in fin di vita e un intervento di neurochirurgia lo ha salvato in extremis; dall'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena sarebbe infatti stato trasferito al Galliera per essere operato d'urgenza, e poi entrare in coma farmacologico. Solo il 23 luglio i carabinieri sono informati per la prima volta di quel ragazzo in condizioni gravissime (la prognosi è ancora riservata), che ormai non può raccontare nulla;
   sempre secondo il quotidiano di Torino, gli inquirenti, nel corso dell'inchiesta per tentato omicidio coordinata dal sostituto procuratore di Genova Vittorio Ranieri Minati, hanno messo nel mirino un gruppo di giovani che vivono in un quartiere popolare di Genova, ma nessuno di loro è stato al momento identificato con certezza;
   sarebbe scattata altresì una denuncia per favoreggiamento nei confronti dell'autista dell'autobus, che ha visto tutto ma non ha chiamato né i soccorsi né la polizia;
   quanto accaduto sembra senza ombra di dubbio ricondurre a un'aggressione di stampo omofobo, che si aggiunge ai numerosi gravi episodi verificatisi in Italia negli ultimi mesi e riportati dagli organi d'informazione;
   si tratta di una vera e propria escalation di violenza che non accenna a placarsi, ma contro la quale è assolutamente necessaria una stretta per impedire che il fenomeno divenga totalmente fuori controllo –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro dell'interno intenda attuare, di concerto anche con il dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, per scongiurare il verificarsi di episodi similari e tutelare pienamente le persone omosessuali e transgender da discriminazioni e violenze, garantendo loro il pieno rispetto dei propri diritti personalissimi;
   alla luce di quanto esposto in premessa, se e quali iniziative la Presidenza del Consiglio dei ministri intenda attuare per informare e sensibilizzare la popolazione al fine di contrastare le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere. (4-10169)


   PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 il comune di Lucca, amministrato da un governo locale di centro destra con il sindaco Favilla Mauro, partecipa ad un bando europeo, tramite la regione Toscana (soggetto che aveva stipulato con l'Unione europea il macro progetto sulle riqualificazioni e rigenerazioni urbane, riguardante 11 città: Firenze, Pisa, Lucca, Viareggio, Arezzo, Prato, Piombino, Livorno, Pistoia, Massa Carrara, Follonica), ottenendo il massimo del finanziamento disponibile: è il progetto complesso Piuss, piano integrato urbano di sviluppo sostenibile. Il Piuss ha avuto un importante percorso di concertazione con il territorio ed i suoi stakeholder, enti territoriali sia pubblici che privati, associazioni, sindacati: tutte le parti sociali hanno firmato l'adesione al progetto dopo svariati incontri e conferenze, con la sola esclusione della Soprintendenza e di Italia Nostra. Nel documento «Progetto di recupero urbano» originario del comune di Lucca dell'ottobre 2011 si legge: «Seguendo gli indirizzi programmatori regionali il comune di Lucca, ha predisposto la proposta di PIUSS «Lucca Dentro», per la presentazione nel marzo 2009 alla regione Toscana che, con decreto dirigenziale n. 5026 del 13 ottobre 2009 ha approvato la graduatoria dei PIUSS ammessi a finanziamento e le operazioni finanziate. Le operazioni del PIUSS «Lucca Dentro» valutate come portanti e finanziate con tale decreto sono 11, per un importo complessivo di spesa di euro 38.682.815,00, un contributo concesso di euro 21.847.481,00 ed un cofinanziamento a carico dell'ente di euro 16.785.334,00;
   il progetto Piuss prevedeva 11 progetti singoli, tutti individuati all'interno del centro storico per il recupero principale della EX Manifattura Tabacchi (immobile di proprietà del comune) e una serie di recuperi collaterali alla stessa: immobile del San Romano, Caserma Lorenzini, Piazzale Verdi, Teatro del Giglio, e altri. Dopo l'insediamento della nuova giunta di sinistra guidata dal sindaco Tambellini, vi è stato un periodo di circa due anni di grandi incertezze sul progetto PIUSS, che hanno comportato enormi difficoltà al rispetto delle tempistiche e degli adempimenti previsti dal bando e la perdita così di una gran parte del cofinanziamento che sarebbe dovuto provenire dall'Unione europea. Sembrerebbe all'interrogante, sulla base della documentazione raccolta e qui di seguito esposta, che l'amministrazione abbia mancato nei termini delle scadenze temporali e negli adempimenti progettuali che la Unione europea richiedeva: gare, appalti, rendicontazioni varie. Nel 2016 si sarebbero dovute esibire le rendicontazioni dei progetti attuati, mentre nel 2014 non avevano ancora affidato le gare di appalto: quindi era praticamente impossibile chiudere con i tempi richiesti dal bando. Lo si apprende dalla stampa: in un articolo del 4 agosto 2014 di Luccaindiretta.it, che cita le parole del sindaco Tambellini, «Il sindaco nel suo intervento ha fatto la cronistoria di tutti i progetti, affermando subito in apertura che «non tutti i progetti sono stati contrattualizzati». «Come sapete – dice il sindaco – il Piuss risale come impostazione generale al 26 maggio del 2008, giorno in cui la regione Toscana pubblicava l'avviso per la manifestazione di interesse al cofinanziamento al 60 per cento delle opere di riqualificazione urbana. Si trattava di utilizzare fondi europei Por Creo Fers 2007-2014, che come tali devono essere rendicontati entro il 30 novembre del 2015 e occorre che tutto sia a posto entro il dicembre del 2015. La non conclusione della procedura comporterebbe la perdita dei finanziamenti». Nel comunicato stampa n. 769 del 30 luglio 2014 della regione Toscana si legge: «Il Comune rinuncia al finanziamento POR – prosegue Simoncini – poiché gli interventi non saranno realizzati, né per il teatro del Giglio, né per il nuovo anfiteatro nel piazzale Verdi». «Per i progetti ancora validi, come il quarto lotto della ex Manifattura Tabacchi e la caserma Lorenzini – aggiunge l'assessore – la Regione interverrà con la sostituzione di fondi POR con risorse regionali poiché il cronoprogramma attuativo non è compatibile con la tempistica POR che prevede la conclusione degli interventi entro dicembre 2014». La regione Toscana a guida Enrico Rossi decide il prosieguo di alcune componenti del progetto: decisione politica, sostenuta dal PD lucchese, che trasforma di fatto il finanziamento europeo in un finanziamento diretto della regione Toscana;
   nello stesso comunicato si apprende che «Simoncini ha ricordato che le problematiche attuative del Piuss di Lucca sono state costantemente monitorate dagli uffici regionali. Già nel corso del 2013 la Giunta ha operato la sostituzione del finanziamento POR di operazioni con risorse afferenti al Prse 2012-15 ed esattamente 2 milioni 738 mila euro per il centro di competenza per lo sviluppo e l'insediamento di impresa ad alta formazione e innovazione tecnologica; un milione 392 mila euro per strutture per l'alta formazione connesse al trasferimento tecnologico e 4 milioni 848 mila per il centro di competenza e tecnologie per arti e spettacolo». A fine 2014 la giunta comunale approva i progetti definitivi per la Ex-Manifattura e la caserma Lorenzini, per totali euro 27.965.607: 11.186.242,8 a carico del comune (40 per cento) 16.779.364,2 a carico della regione Toscana, a cui si aggiungono altri fondi riferiti ad altri progetti;
   la regione interviene quindi con circa 18 milioni complessivi di euro, garantendo i finanziamenti persi e in contemporanea si fa garante con l'Unione europea per il proseguimento del progetto a livello regionale, pena lo storno e la restituzione dei 6 milioni già impegnati nei pochi progetti del Piuss di Lucca messi in opera (Cavallerizza, Teatro del Giglio, Piazzale Verdi);
   da questa operazione di salvataggio sorge un problema: il patto di stabilità. La regione andando in soccorso del comune di Lucca, elargendo circa 18 milioni di euro, ha salvato il progetto Piuss, ma, a giudizio dell'interrogante ha creato criticità nei conteggi relativi al patto di stabilità. I fondi europei per progetti come il Piuss sono esclusi dallo stesso, mentre i fondi regionali vi rientrano, cosa che rischia di, compromettere la stabilità finanziaria del comune;
   con la «legge Cottarelli» arriva la «via di fuga»: essa invita le amministrazioni a razionalizzare ed eventualmente dismettere quote di società che non siano strettamente necessarie per il conseguimento delle proprie finalità istituzionali, e il comune di Lucca, a guida Tambellini, approva la dismissione delle quote in suo possesso (le 3.690.000 azioni detenute da Lucca Holding), relative alla partecipazione azionaria di Palazzo Orsetti in Società Autostrada Liguria Toscana (SALT) SpA;
   è difficile sostenere, secondo l'interrogante, la «non importanza istituzionale della Salt», che era ed è la maggior arteria di collegamento tra la città di Lucca e la Versilia e diventa, il collegamento naturale con il territorio extra provinciale, cioè con le principali città di Pisa, Livorno, Massa Carrara;
   tale alienazione, viene però motivata dal sindaco «con l'esigenza di fare manutenzioni» («la vendita del pacchetto azionario Salt in bilancio nella Lucca Holding, per l'importo di 16.678.800 euro, adducendo motivi che con il ricavato può essere dato il via ad interventi di ordinaria manutenzione del territorio, fermi ad oggi per mancanza di fondi nel relativo capitolo di spesa» (http://www.luccaindiretta.it) e comporterà la perdita di un patrimonio molto redditizio, che, ogni anno, distribuisce dividendi importanti. Nel 2014 l'utile per azione (pagina 226 - nota 37 - utile per azione SALT) è stato di euro 0,279. La Lucca Holding detiene n. 3.690.000 azioni ordinarie della SALT (http://www.lagazzettadilucca.it) ovvero il 2,31 per cento (http://www.luccaholdingspa.it). La partecipazione detenuta da Lucca Holding ha generato un ricavo di circa un milione e ventinovemila euro nel 2014 (con dividendo incassato da Lucca Holding per quasi 900.000 euro - pagina 71 bilancio Salt 2014), l'anno precedente per un milione e duecentosessantunomila euro. La decisione di dismissione della partecipazione detenuta in SALT, assunta con la delibera n. 60/2015 dal comune di Lucca, parrebbe in contrasto con la precedente decisione (delibera n. 40/2008) con la quale il consiglio comunale aveva autorizzato il mantenimento della partecipazione detenuta dal comune di Lucca in Lucca Holding, e di tutte le partecipazioni detenute dalla Lucca Holding «in quanto in possesso dei presupposti per il loro legittimo mantenimento previsti dalla normativa», oltre che giustificata dalla evidente rendita collegata. Dato il riferimento al comma 27, dell'articolo 3, della legge n. 224 del 2007, risulta evidente che, nel 2008, il consiglio comunale avesse deciso che tutte le partecipazioni detenute dalla Lucca Holding (ivi compresa quella nella SALT) fossero quindi «strettamente necessarie al perseguimento dei propri fini istituzionali»;
   l'asta del 26 giugno 2015 è andata deserta, e dall'articolo on-line de «Il Tirreno» pubblicato in data 28 giugno 2015, dal titolo «Sarà il gruppo Gavio ad acquistare le quote della Salt – C’è un accordo fra Lucca Holding e la famiglia piemontese – Il prezzo un centesimo in meno della base d'asta, no di M5S» si legge e apprende che: «Sarà il gruppo Gavio ad acquistare le azioni della Salt in mano al Comune. L'asta di venerdì è andata deserta, ma esiste un accordo fra la Lucca Holding (che detiene le azioni) e la società della famiglia piemontese che già ha la grande maggioranza di Salt e di altre autostrade del nord-ovest. Il prezzo della cessione a trattativa privata dovrebbe essere di 4,51 euro, cioè un centesimo in meno della base d'asta e in linea con la cifra ottenuta, l'anno scorso, dalla Provincia. L'esperimento d'asta andato deserto è stato un modo per Lucca Holding per verificare se ci fossero altri compratori interessati alle azioni a un prezzo superiore rispetto a quello pattuito con Salt, che porterà nelle casse comunali poco più di sedici milioni e mezzo di euro»;
   la determinazione del prezzo posto a base d'asta per la cessione della partecipazione (fissato in euro 4,52 per azione), anche se in linea con il valore della proposta d'acquisto avanzata dalla stessa SALT, non risultava essere supportato da nessuna analisi, documento o perizia, e, conseguentemente, poteva non essere idoneo a garantire, al meglio, il perseguimento delle finalità di «buon andamento dell'azione amministrativa» previste dal comma 611, dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014. A riconferma, nell'accordo citato per l'acquisto della SALT da parte del gruppo Gavio, le azioni sarebbero valutate euro 4,51 l'una. Se dal totale dell'Attivo dello stato patrimoniale di SALT (pari a 1.423.284.592, pagina 67 del bilancio 2014) si sottrae il valore dell'indebitamento netto (pari a 237.960.000, pagina 26 del Bilancio 2014), dividendolo per il numero di azioni che costituiscono il capitale sociale (160.000.000), il valore per azione che se ne ricava è di circa 7,40 euro;
   il comune di Lucca con la delibera 40 del 3 giugno 2015 approva il bilancio 2014 con un avanzo di 7.369.713,95 euro: non sembra quindi presentare alcun dissesto finanziario nonostante il contesto nazionale e europeo di crisi (dove la liquidità è trattenuta dagli speculatori in attesa di fare ottimi affari ma comunque sembra esser pronto a chiudere la vendita della partecipazione SALT detenuta da Lucca Holding a favore del gruppo Gavio a un prezzo ben al di sotto del valore di bilancio. Il controvalore di 16.641.900 euro (euro 4,51 per 3.690.000 azioni) contro i 27.306.000 euro (euro 7,40 per 3.690.000 azioni) determinati dal bilancio depositato dalla SALT, e contestualmente rinunciando a milionari flussi in entrata per i dividendi degli anni a venire;
   in un articolo di Lucca in Diretta del 3 luglio 2015 si apprende infatti che le azioni Salt sono state acquistate da Lucca Holding Spa per il prezzo di 12.156.813 euro e che dall'esercizio 2003 all'esercizio 2014 hanno fruttato dividendi per 20.331.900 euro. Praticamente i dividendi percepiti hanno coperto tutto l'investimento iniziale. Il rendimento medio della partecipazione azionaria è stato di 1.694.325 euro all'anno nei dodici anni di vita di Lucca Holding, pari al 13,93 per cento dell'investimento;
   la delibera n. 60/2015 del comune di Lucca, sprovvista di analisi documentate e di indicazioni relative all'impiego dei fondi che Lucca Holding incasserà con dismissione della partecipazione di Salt può determinare, ad avviso dell'interrogante, un danno economico alle casse del comune di Lucca; appare quindi necessario dare un chiaro segnale politico volto alla tutela del patrimonio strategico pubblico, costruito in decenni di duro lavoro e sacrifici economici, patrimonio della collettività –:
   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza di quanto premesso e del quadro drammatico complessivo delle dismissioni da parte degli enti locali di gran parte degli asset strategici per il servizio pubblico, come strade, aeroporti, autostrade e trasporti, a prezzi spesso inferiori ai valori determinabili dai bilanci contabili in quanto, per via della crisi di liquidità ed economica create dai settori finanziario e bancario, mancano investitori e risparmiatori, cosa da cui origina che, a fronte di un miglioramento momentaneo delle situazioni di cassa, gli enti restano privi di flussi di cassa futuri attivi, dovendo già affrontare il pareggio di bilancio e la legge di stabilità con il rischio di nuove svendite e nuovi debiti, e cosa intenda fare per impedire che ciò accada;
   di quali elementi disponga il Governo circa gli adempimenti verso l'Unione europea e l'interruzione del flusso di fondi connessi al progetto Piuss anche in relazione alla esigenza di informare almeno quegli stessi cittadini che contribuirono al progetto e che ora si vedono obbligati a disinvestire importantissime e strategiche partecipazioni per colpa di incapacità politico-amministrative;
   se, viste le differenze e gli effetti contabili di bilancio tra i fondi europei e quelli della subentrante regione Toscana, non sia opportuno assumere iniziative, anche per il tramite dei servizi ispettivi di finanza pubblica, per verificare la situazione finanziaria del comune di Lucca, in particolare alla luce degli obblighi concernenti il rispetto del patto di stabilità e all'operazione di sostanziale svendita della partecipazione;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa il Governo non ritenga di assumere iniziative normative volte a modificare la disciplina in tema di discussione delle partecipazioni da parte degli enti locali. (4-10178)


   NUTI, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 15 novembre del 2012 è stato pubblicato il bando di gara per la progettazione esecutiva e la realizzazione degli «Interventi di adeguamento e ampliamento dell'esistente impianto di depurazione di Lampedusa, connesso sistema di collettamento, sollevamento finale e condotta sottomarina», con scadenza 27 dicembre 2012 per la ricezione delle domande di partecipazione, per un importo d'asta al ribasso di 6.496.931,75 euro, IVA esclusa;
   tale bando è stato aggiudicato alla società Mondello spa di Gela per un valore di 5.419.492,94 euro, IVA esclusa;
   la durata dell'appalto era stata fissata in 45 giorni per la progettazione esecutiva e 720 giorni per l'esecuzione dei lavori, per un complessivo ammontare di 765 giorni;
   oggi, osservando che il termine dei lavori di cui sopra è stato ampiamente superato, si può constatare che il depuratore oggetto dell'appalto risulta completamente non funzionante e, così come dimostrato da una recente ispezione di alcuni deputati del Movimento 5 Stelle eletti all'Assemblea regionale siciliana, giace in uno stato di totale abbandono;
   a causa del non funzionamento dell'impianto, i liquami delle strutture dell'isola, siano esse abitazioni private, strutture alberghiere o il centro di accoglienza migranti, finiscono direttamente in mare attraverso una condotta sottomarina fatiscente e lunga un solo chilometro;
   inoltre, la società che aveva vinto la gara d'appalto non è nuova alle cronache giudiziarie: la Mondello spa, infatti, risulta essere strettamente legata a Emanuele Mondello, il quale, già indagato nel 2009 per subappalti relativi alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto in Abruzzo, risulta essere tutt'oggi legato ad alcune cosche mafiose, precisamente gli Emanuello e i Rinzivillo;
   in un dossier denominato «#sbloccafuturo» relativo alle 101 opere incompiute, prodotto da Legambiente nel giugno 2014, vi era, tra l'altro, anche il depuratore di Lampedusa e veniva denunciato che i lavori di ammodernamento della struttura erano bloccati da un contenzioso che opponeva il comune alla vecchia azienda titolare del lavoro di manutenzione la quale pare abbia ancora tra le proprie disponibilità alcuni impianti del vecchio depuratore; tutto ciò nonostante i finanziamenti siano disponibili, l'opera abbia tutti i visti e le autorizzazioni e a dicembre 2013 sia stato formalizzato il contratto con l'impresa vincitrice;
   il 1o luglio 2015, tramite ordinanza sindacale numero 10, il comune di Lampedusa e Linosa ha consegnato le aree per i lavori al depuratore alla ditta Nurovi srl, appartenente secondo fonte CERVED al Gruppo Cocchiara: tra le premesse dell'ordinanza si può leggere che la ditta Mondello spa, inizialmente vincitrice dell'appalto, ha prima proceduto alla stipula di un contratto di affitto di azienda in favore della ditta Nurovi srl in data 4 luglio 2014, la quale successivamente è subentrata alla stessa Mondello spa nel contratto di appalto;
   tuttavia, da fonte CERVED, emerge che le due società sarebbero state in passato strettamente legate in quanto Rocco Mondello, consigliere all'interno del consiglio di amministrazione della Mondello spa, è stato dal settembre del 2008 fino al febbraio 2014 (quindi ben oltre l'aggiudicazione dell'appalto da parte della Mondello spa) anche Amministratore Unico della ditta Nurovi srl;
   nella medesima ordinanza sindacale si legge che la società S.A.I.C. srl di Agrigento ha tutt'oggi in essere un contenzioso giudiziario, che hanno finora impedito l'inizio dell'appalto, in quanto vanta un appalto in essere per conto del comune di Lampedusa di lavori sulla prima linea del depuratore comunale;
   a causa di una mancata risoluzione del contenzioso giudiziario e della conseguente mancata completa disponibilità delle aree su cui dovranno realizzarsi i lavori, la ditta Nurovi srl ha firmato il verbale di consegna dei lavori del 23 giugno 2015 con riserva;
   questa situazione, che ormai si trascina senza soluzione da svariati mesi, sta procurando ingenti disagi alla popolazione dell'isola, oltre a non quantificabili danni all'economia stessa dell'isola, fondata in gran parte sullo sfruttamento del turismo, a cui si aggiunge un sottostimato rischio sanitario e ambientale;
   così come denunciato dal collettivo Askavusa sul proprio sito web, nel corso di questi anni i cittadini di Lampedusa, al pari di numerosi altri concittadini nel resto del Paese, hanno dovuto pagare una tariffa di depurazione nonostante il servizio non sia mai stato garantito, per «una media di 40 euro all'anno a famiglia, conteggiati all'interno della bolletta dell'acqua»: tuttavia «la Corte Costituzionale con sentenza n. 335 del 10 ottobre 2008 ha dichiarato che la tariffa del servizio idrico integrato, compresa la depurazione, ha natura di corrispettivo di prestazioni contrattuali e non di tributo», per cui ne deriva che «se non c’è prestazione del servizio, il gestore non può farlo pagare» e «La Legge n. 13 del 2009 e un Decreto del Ministero dell'Ambiente, sempre nel 2009, stabiliscono inoltre le modalità di restituzione»;
   il collettivo Askavusa ha inoltre denunciato che, all'interno della bolletta dell'acqua, «da quest'anno la voce che di solito era descritta come ‘consumo applicato’ viene definita ‘consumo concordato’. Ricordiamo che l'acqua erogata a Lampedusa non è potabile e che la maggior parte delle case non ha allacciato un contatore in entrata per misurare il consumo effettivo dell'acqua e che a nostra conoscenza nessuno ha concordato con il comune il prezzo da pagare per l'acqua erogata. Di tutto questo sono stati informati nel corso del tempo i sindaci, la Guardia di finanza, i prefetti, i presidenti di regione e i ministri;
   infine, si riporta che il nostro Paese, a causa della situazione sopra descritta in relazione al depuratore di Lampedusa e di altre inadempienze relative a numerosi depuratori sparsi nel territorio siciliano e nazionale, è al centro di una procedura di infrazione europea, la PR 2014-2059, dopo aver già subito in merito due condanne da parte della Corte di giustizia europea, la C565-10 (Procedura 2004-2034) e la C85-13 (Procedura 2009-2034) –:
   se la società Nurovi srl abbia presentato regolarmente la documentazione antimafia prevista a norma di legge e, se in tale sede, siano stati approfonditi i legami tra la società Mondello spa, che risulterebbe legata alla criminalità organizzata di tipo mafioso, e la società Nurovi attuale appaltatrice di lavori afferenti al depuratore di Lampedusa. (4-10182)


   FRANCO BORDO, RICCIATTI e FERRARA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a Bergamo ha sede Italcementi Group, azienda italiana fondata nel 1864 leader della produzione di cemento e derivati e quinto produttore a livello mondiale con una capacità produttiva annua pari a 61 milioni di tonnellate di cemento attraverso 46 cementerie. A fianco dell'attività di produzione di cemento, completano il dispositivo industriale del Gruppo 12 centri di macinazione, 6 terminali di trading e 417 centrali di calcestruzzo in 22 paesi in 4 continenti del mondo. Nel 2014 il Gruppo ha registrato un fatturato consolidato di oltre 4,1 miliardi di euro. Italcementi, fra le prime dieci società industriali italiane, è quotata alla Borsa Italiana dal 1925;
   le produzioni di questo gruppo industriale sono strategiche per il nostro Paese ed in modo particolare per le attività di migliaia di imprese nazionali impegnate nel settore dell'edilizia e delle costruzioni;
   Italcementi Group è controllata dalla holding di partecipazioni Italmobiliare;
   Italmobiliare e il gruppo industriale tedesco HeidelbergCement hanno raggiunto un accordo che prevede l'acquisto della partecipazione detenuta da Italmobiliare nel capitale azionario di Italcementi per un valore complessivo di 1 miliardo e 666 milioni di euro. Fa inoltre parte dell'accordo l'assegnazione ad Italmobiliare, come parte del corrispettivo di acquisto, di una quota del capitale di HeidelbergCement, a scelta di Italmobiliare, compresa fra il ca. 4,0 per cento il 5,3 per cento – tramite aumento di capitale riservato – che corrisponde a un controvalore di 560 e 760 milioni di euro. Il completamento definitivo dell'operazione è subordinato alle approvazioni da parte delle competenti Autorità antitrust (previsto entro il 2016);
   Italcementi Group è una delle aziende italiane che più hanno investito negli anni nel settore ricerca e sviluppo, realizzando numerose gamme di prodotti innovativi e unici nel panorama mondiale dei materiali da costruzione, creando un proprio centro di ricerca all'avanguardia «ILAB» nel parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso di Bergamo;
   le organizzazioni sindacali hanno manifestato disappunto per la modalità pressoché segreta con la quale è stata condotta l'operazione e soprattutto evidenziano preoccupazione, dato che l'accordo raggiunto tra Italmobiliare e HeidelbergCement non consegna alcuna garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali attuali, pari a circa 3000 posti di lavoro sul territorio nazionale, sia negli stabilimenti decentrati che nella sede direzionale del gruppo a Bergamo, dove lavorano oltre 600 persone;
   è lecito domandarsi se il Governo fosse a conoscenza o meno della trattativa di vendita per capire come si concretizzano le strategie politiche del Governo in questo delicato settore –:
   se il Governo fosse a conoscenza di questa importante cessione ad un gruppo estero di uno dei soggetti strategici della industria nazionale;
   se il Governo non ritenga di intervenire per avere rassicurazioni in merito al mantenimento dei livelli occupazionali nel nostro Paese da parte della nuova proprietà;
   se non si ritenga di convocare l'azienda ad un tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico per chiedere i dettagli relativi alla governance del gruppo ed in merito al piano industriale, per capire quali impatti avrà su un pezzo fondamentale del sistema industriale italiano;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda mettere in atto per assicurare il mantenimento delle capacità di ricerca e sviluppo e della direzione di Italcementi nel nostro Paese. (4-10188)


   PILI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (in Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 212 del 12 settembre 2014), come convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 dispone:

  «Misure di agevolazioni per gli investimenti privati nelle strutture ospedaliere.

  1. Al fine di favorire la partecipazione di investimenti stranieri per la realizzazione di strutture sanitarie, per la regione Sardegna, con riferimento al carattere sperimentale dell'investimento straniero da realizzarsi nell'ospedale di Olbia, ai fini del rispetto dei parametri del numero di posti letto per mille abitanti, previsti dall'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per il periodo 2015-2017 non si tiene conto dei posti letto accreditati in tale struttura. La regione Sardegna, in ogni caso, assicura, mediante la trasmissione della necessaria documentazione al competente Ministero della salute, l'approvazione di un programma di riorganizzazione della rete ospedaliera che garantisca che, a decorrere dal 1o gennaio 2018, i predetti parametri siano rispettati includendo nel computo dei posti letto anche quelli accreditati nella citata struttura.
  2. Sempre in relazione al carattere sperimentale dell'investimento nell'ospedale di Olbia e nelle more dell'adozione del provvedimento di riorganizzazione della rete ospedaliera di cui al comma 1, la regione Sardegna nel periodo 2015-2017 è autorizzata ad incrementare fino al 6 per cento il tetto di incidenza della spesa per l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati di cui all'articolo 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. La copertura di tali maggiori oneri avviene annualmente all'interno del bilancio regionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 836, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
  2-bis. Nel periodo 2015-2017, la regione Sardegna e il Ministero della salute sono tenuti a monitorare l'effettiva rispondenza della qualità delle prestazioni sanitarie e la loro piena integrazione con la restante offerta sanitaria pubblica in Sardegna nonché la mobilità sanitaria verso altre regioni»;
   con un comunicato ufficiale di Palazzo Chigi è stato annunciato che il 21 maggio 2014 alle ore 18.15 a Palazzo Chigi, alla presenza del presidente Matteo Renzi, è stato siglato il protocollo tra Presidenza del Consiglio, Regione Autonoma della Sardegna e Qatar Foundation Endowment per il completamento e la trasformazione dell'Ospedale San Raffaele Bambin Gesù di Olbia in Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico con valenza regionale, nazionale e internazionale;
   nel comunicato ufficiale di palazzo Chigi si fa espresso riferimento allo sviluppo economico del territorio, sia per la fase di cantiere che gestionale: «Protocollo d'intesa tra Presidenza del Consiglio, Regione Sardegna e Qatar Foundation per il rilancio dell'ospedale Bambin Gesù di Olbia». Un investimento di oltre un miliardo in dieci anni, con un intervento immediato per l'acquisto e la trasformazione della struttura ospedaliera in polo di eccellenza con significativi risvolti occupazionali, a regime di circa mille unità tra assunzioni dirette e posti di lavoro indiretti, in grado di favorire lo sviluppo del territorio, aprendo la strada ad altri investimenti nel campo dell'economia della conoscenza, nei campi dell'Icmt, ambiente, energia e healthcare;
   sull'ex San Raffaele di Olbia si potrebbe registrare l'intervento di imprese da sempre considerate vicine alla cosiddetta «cricca di Roma»;
   per i primi lavori sarebbero in procinto di assumere importanti commesse, secondo quanto consta all'interrogante senza nessuna trasparenza degli affidamenti, imprese considerate legate al «giro» di Balducci e G8;
   il tutto starebbe avvenendo sotto la regia politica nazionale;
   un mese fa, l'interrogante denunciò la possibilità che certa politica volesse mettere le mani sugli appalti del Mater Olbia e indicare le imprese per eseguire i lavori nell'ospedale di Olbia;
   nessun progetto è stato ancora presentato ma nella capitale della Gallura sono già «sbarcati» i massimi esponenti di una delle grandi imprese della «cricca» di Balducci e compagni;
   nei giorni scorsi, secondo le comunicazioni rese durante il consiglio comunale di Olbia sarebbe avvenuto un incontro tra l'amministrazione e i vertici di una delle principali imprese coinvolte nell'affare G8 e non solo;
   non esiste per il momento nessuna formalizzazione dell'avvio del cantiere e del conseguente incarico;
   secondo quanto sarebbe stato annunciato in una riunione nel municipio di Olbia l'impresa incaricata sarebbe coinvolta in tutte le maxi inchieste degli appalti sospetti, dal G8 ai lavori nei tunnel dell'Umberto I;
   quello che sta avvenendo ad Olbia ha dell'incredibile;
   con una spudoratezza che richiama la mala gestione del G8 di La Maddalena e dei 150 anni dell'Unità d'Italia si stanno mettendo in un angolo le imprese sarde per far posto a quelle romane sospinte da certa politica;
   le rassicurazioni a parole sul coinvolgimento degli operatori economici sardi si sono sciolte come neve al sole a partire dal primo appalto, il preludio al resto;
   in molti stanno dimenticando che, con il convenzionamento per legge dello Stato della struttura, si sta parlando di una marea di fondi pubblici, e che invece le operazioni a quanto risulta all'interrogante si stanno svolgendo «sottobanco» se è vero come è vero che la prima impresa romana è già entrata in municipio sotto il patrocinio di molti sostenitori dell'apparato politico nazionale;
   un mese fa l'interrogante aveva auspicato che la politica stesse fuori, che fossero resi noti i progetti e l'affidamento avvenisse in modo chiaro e trasparente;
   in quell'occasione l'interrogante ribadì l'esigenza che si promuovesse con il Governo e la regione un'azione informativa e di trasparenza tesa a coinvolgere nell'intervento un consorzio di imprese locali strutturato per tali lavori;
   ora si scopre che il ruolo delle imprese locali se ci sarà, riguarderà briciole e subappalti;
   l'ammontare della convenzione pubblica definita con legge dello Stato rende anomala la natura privatistica dell'intervento;
   un dato è certo: le imprese coinvolte nell'affare G8 e collegati non possono e non devono operare in quel cantiere, sarebbe un atto grave e inaccettabile;
   i tentativi di aggirare l’«ostacolo» della trasparenza con ausilio di fondazioni od altro è privo di credibilità se fosse confermato il coinvolgimento di un'impresa con legami diretti con i registi dell'operazione G8 e non solo;
   appare assodato che il possibile affidamento di incarichi a imprese già coinvolte in affari poco chiari sarebbe davvero un atto grave considerati i vari verbali d'inchiesta dai quali risulta evidente una vera e propria rete affaristica come scrive a chiare lettere il Gip Rosario Lupo: «Balducci e De Santis hanno individuato una ristretta cerchia di imprenditori – Anemone, De Vito, Piscicelli, Cerasi Claudio e Cerasi Emiliano, Valerio Carducci, Ciotola ed altri – ai quali hanno assegnato, ora all'uno ora all'altro, l'appalto per la realizzazione di opere pubbliche importantissime, ricevendone in cambio autovetture, telefoni cellulari, lavori di ristrutturazione su immobili di proprietà, mobili per arredamento, soggiorni vacanza, piaceri vari per amici, viaggi, lavoratori dipendenti a disposizione, posti di lavoro per parenti e amici, prestazioni professionali varie – anche sessuali. Quello che emerge è un sistema di corruttela consolidato e collaudato, esteso ed efficiente, che coinvolge alcune decine di persone, annidato al vertice dell'organizzazione statale, all'interno della struttura amministrativa della Presidenza del Consiglio e, per ciò stesso, altamente pericoloso».
   le «chiacchiere» di Renzi non solo sono rimaste lettera morta ma gli impegni di coinvolgere le imprese locali si sono rivelati una «bufala» totale;
   questi intrecci romani tra imprese e politica devono saltare senza se e senza ma, per lasciar spazio a trasparenza e onestà in una partita che ha già abbondantemente patito il malaffare e l'opacità del sistema gestionale di questa struttura;
   le imprese locali devono essere tutelate e la lunga mano della «cricca» deve essere contrastata;
   è assolutamente necessario che l'autorità nazionale anticorruzione vigili su tali affidamenti considerato l'ammontare rilevante del convenzionamento pubblico preventivo di oltre 60 milioni di euro all'anno che di fatto costituisce un finanziamento dell'opera stessa –:
   se non si ritenga di dover promuovere un confronto con la regione Sardegna perché vengano definiti protocolli tali da chiarire la ricaduta sul territorio regionale, così come richiamato nel protocollo siglato a Palazzo Chigi, al fine di promuovere il coinvolgimento trasparente degli operatori locali e in particolar modo che venga evitato il coinvolgimento di imprese già oggetto di inchieste legate ad appalti pubblici come il G8 e altri;
   se non si ritenga di dover intervenire per sollecitare la presentazione dei progetti per l'attivazione dei lavori, così come previsto nel protocollo d'intesa siglato a palazzo Chigi e richiamato in premessa, attraverso una «cabina di regia» del protocollo stesso, considerato che a tutt'oggi non risulta presentato nessun atto al comune di Olbia. (4-10197)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI BATTISTA, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, DEL GROSSO, GRANDE e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica Bolivariana del Venezuela nel corso degli ultimi diciassette anni ha intrapreso una rivoluzione pacifica e democratica, provocando profondi cambiamenti sociali, economici e politici e favorendo notevoli progressi nelle relazioni estere con gli altri Paesi della regione latinoamericana e del mondo;
   in questo lasso di tempo il Paese è riuscito non solo a raggiungere conquiste politiche e sociali basate sulla partecipazione attiva del popolo nelle decisioni di governo, ma soprattutto a proporre un modello alternativo di relazioni regionali e internazionali, basato su principi consacrati dalla Carta delle Nazioni Unite come il rispetto della sovranità nazionale, la risoluzione pacifica dei conflitti e la non ingerenza negli affari interni di uno Stato, proponendo, di fatto, un mondo più equo e multipolare;
   la Repubblica Bolivariana del Venezuela è uno dei principali artefici del sistema di cooperazione multilaterale e sub-regionale politica, sociale ed economica tra i Paesi dell'America latina e del Caribe, attraverso l'ALBA, la CELAC, l'UNASUR, il MERCOSUR, PETROCARIBE, che oggi rappresenta un modello collaudato d'integrazione tra i popoli della regione e opera per la promozione di una produzione sostenibile in America latina e nel Caribe;
   la Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela del 1811 consacra una Repubblica libera e indipendente che, attraverso la successiva Costituzione del 1821 relativa alla composizione della Gran Colombia, delimita il suo territorio come quello che corrispondeva al Capitanato Generale, definito successivamente nella Costituzione del 1830 come il territorio del Capitanato Generale del Venezuela prima della trasformazione politica del 1810;
   il Venezuela possiede titoli storici e legali che definirono, sin dalla sua origine repubblicana, il suo territorio, in conformità al principio di uti possidetis juris, quindi la titolarità dei suoi diritti sovrani originari;
   dalla metà del XIX secolo la Gran Bretagna ha ampliato la sua estensione territoriale nella Guyana Esequiba da 4920 chilometri quadrati nel 1835, a 141.930 chilometri quadrati nel 1840 e, successivamente, da 167.830 chilometri quadrati nel 1887 fino ad arrivare a 20.3310 chilometri quadrati nel 1899, attraverso una commissione arbitrale denominata Lodo Arbitrale del 1899;
   da allora il Venezuela iniziò a protestare e nella metà del XX secolo ricorse alla mediazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, dando luogo alla sottoscrizione dell'accordo di Ginevra del 1966 firmato da Venezuela, Gran Bretagna e Guyana Britannica (oggi Guyana);
   col suddetto accordo, attualmente in vigore, viene formalmente riconosciuta una disputa territoriale sulla Guyana Esequiba;
   secondo tale Accordo: «Nessun atto o attività realizzati durante la vigenza del presente accordo costituirà fondamento per far valere, sostenere o negare un reclamo sulla sovranità territoriale nei territori del Venezuela o della Guyana Britannica, né per costituire un diritto di sovranità su tali territori, a meno che tali atti o attività siano il risultato di un accordo raggiunto dalla commissione mista, accettato per iscritto dal Governo del Venezuela e dal Governo della Guyana». (Articolo V, comma 2);
   nonostante le proteste del Venezuela per la violazione della legalità e dei suoi diritti sovrani, la Guyana, in modo unilaterale e a giudizio degli interroganti sconsiderato, ha autorizzato l'ingresso di un'impresa multinazionale, la Exxon Mobil, in alcune aree d territorio oggetto di disputa;
   insiste ancora una disputa territoriale non risolta, il territorio non può essere definito e fino a quando esisterà tale controversia nessuna delle parti potrà concedere permessi per operare sul territorio e nello spazio marittimo non delimitato;
   il Venezuela e la Guyana devono evitare che attori esterni alla disputa possano frapporsi tra i due Paesi e influenzarne le buone relazioni bilaterali e devono, altresì, evitare che qualsiasi attività o insediamento sul territorio conteso generi diritti sul medesimo;
   la Repubblica Bolivariana del Venezuela esercita una diplomazia di pace e, in tale ottica, la Guyana è un Paese amico, motivo per cui i due Paesi devono raggiungere un accordo pacifico, giusto e soddisfacente per entrambi –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in ordine a quanto esposto in premessa;
   se e come intenda sostenere iniziative diplomatiche, in occasione di consessi internazionali o incontri bilaterali, affinché entrambi i Paesi possano risolvere pacificamente la controversia nel rispetto della sovranità del territorio conteso così come stabilito dall'accordo di Ginevra. (5-06266)


   DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, GRANDE, SPADONI, DEL GROSSO e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha ricevuto alcune segnalazioni da parte del signor S.L., cittadino italiano che ha contratto matrimonio in Italia con la signora G.L.L., di nazionalità rumena;
   dalla loro relazione è nato A.L., che oggi ha nove anni;
   la signora G., pochi mesi dopo la nascita del piccolo A., ha fatto ritorno in Romania con il bambino, che però, da quel momento, non è più rientrato in Italia;
   a ciò si aggiunga che la signora G. sembra abbia ostacolato e stia ostacolando il rapporto tra il signor L. con suo figlio, che, da molti anni ormai, non riesce più neppure a vedere;
   il signor L. ha adito l'Autorità giudiziaria italiana ottenendo, in primo grado, un provvedimento (sentenza del 28.06.2013), emesso dal tribunale di Teramo, con il quale è stato disposto l'affidamento del minore in via esclusiva al padre, con obbligo di immediato rientro in Italia del piccolo A.;
   la Corte d'appello di L'Aquila, a seguito del gravame proposto dalla signora G., è però giunta a ribaltare completamente l'esito del giudizio di prime cure pervenendo, per contro, al riconoscimento della sentenza n. 7660/2010, emessa dal tribunale di primo grado del settore 3 di Bucarest, nel frattempo emessa dalle autorità giudiziarie rumene e passata in giudicato;
   a prescindere dagli aspetti giuridici della vicenda – e, più precisamente, processuali, relativi a questioni di litispendenza internazionale che, per quanto risulta all'interrogante, saranno oggetto di un giudizio innanzi alla Corte di cassazione – si evidenzia come sia in ogni caso necessario garantire i diritti del padre di vedere suo figlio;
   da un lato, il signor L. ha diritto di trascorrere del tempo con il figlio, di contribuire al suo mantenimento ed alla sua educazione, di sapere come sta e dove si trovi;
   ciò in applicazione dei molteplici trattati ed accordi internazionali in materia, posti a tutela del fanciullo, con i quali si garantisce il diritto dei minori ad intrattenere rapporti personali con entrambi i genitori;
   si tratta della convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (ratificata dall'Italia con legge n. 64 del 1994), del regolamento (CE) n. 2201 del Consiglio dell'Unione europea del 27 novembre 2003 (cosiddetto regolamento di Bruxelles II bis) nonché della convenzione ONU di New York del 20 novembre 1989 sui diritti dell'infanzia (ratificata dall'Italia con legge n. 176 del 1991);
   il diritto di vedere il piccolo A., dall'altro lato, discende direttamente dalla stessa sentenza rumena di cui in precedenza, riconosciuta dalla corte d'appello italiana, nella quale si garantisce il diritto del signor S.L. «di avere relazioni personali con il minorenne ossia potrà visitarlo all'alloggio dell'attrice due volte al mese, nel primo e nel terzo week-end, il sabato e la domenica, potrà trascorrere un mese, ossia il mese di agosto di ogni anno, al suo alloggio in Italia»;
   per quanto risulta all'interrogante, il signor L. si è rivolto all'ambasciata d'Italia a Bucarest al fine di comprendere dove si trovasse il piccolo A. ed al fine di ricevere la massima assistenza possibile;
   in effetti, dopo molti anni e nonostante innumerevoli contatti con l'ufficio diplomatico a Bucarest, il signor L. non è riuscito a rivedere suo figlio, né è stato per lui possibile capire dove abitasse e come fosse il suo stato di salute;
   l'interrogante si è allora deciso di scrivere una comunicazione all'ambasciata d'Italia a Bucarest, al fine di ricevere le informazioni circa l'attività svolta dall'ambasciata in merito alla vicenda de qua, ed anche per avere le rassicurazioni necessarie in ordine al fatto che verranno poste in essere tutte le azioni nonostante tutte le attività riportate nella risposta dell'ambasciata, e nella consapevolezza delle sempre minori risorse a disposizione, alcun risultato concreto è stato ottenuto;
   l'interrogante ritiene, difatti, che gli uffici diplomatici, in casi come questo, debbano attivarsi, nei confronti di tutte le autorità preposte, al fine di tutelare i diritti dei cittadini italiani S.L. ed A.L. anche ai sensi degli articoli 37 e 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, i quali stabiliscono che tra le funzioni delle missioni diplomatiche e degli uffici consolari è prevista quella di proteggere gli interessi nazionali e tutelare i cittadini e i loro interessi;
   in particolare si ritiene che sarebbe stato indispensabile richiedere ed ottenere, dalle autorità rumene competenti, notizie certe sul luogo di residenza del piccolo A. nonché sul suo stato di salute, informazioni che, per quanto, ci risulta, l'ambasciata d'Italia a Bucarest non è stata in grado di reperire in alcun modo;
   risulta agli interroganti inoltre che il signor S.L. abbia anche attivato la procedura di cui all'Autorità centrale presso il Ministero della giustizia, di cui agli articoli 3 e ss. della citata legge 15 gennaio 1994, n. 64, volta a garantire quantomeno il diritto di visita del minore, ma – a prescindere da tale procedura ed in attesa di verificarne gli esiti – l'interrogante ritiene che, in ogni caso, sia dovuta la massima attenzione, da parte del Ministero e degli uffici diplomatici, alla vicenda oggetto di interrogazione, in relazione alla quale, l'interrogante intende comprendere se siano stata percorse tutte le strade possibili e quali ulteriori attività potranno essere poste in essere –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se intenda verificare e chiarire se gli uffici diplomatici italiani in Romania abbiano prestato la miglior assistenza possibile al cittadino italiano S.L.;
   quali atti di propria competenza intenda adottare al fine di dare riscontro alle esigenze di tutela del diritto del signor L. di avere notizie e di vedere il proprio figlio A., nonché del diritto del minore ad intrattenere rapporti personali con entrambi i genitori come espressamente sancito e riconosciuto da più fonti di diritto internazionale;
   se intenda, eventualmente, chiedere informazioni e chiarimenti sulla vicenda de qua direttamente al Governo rumeno ed al Ministro degli affari esteri della Romania. (5-06279)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione delle associazioni degli esuli istriani fiumani e dalmati, a quanto consta all'interrogante, ha depositato presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in forma ufficiale il progetto di statuto di una costituenda Fondazione che dovrebbe utilizzare i fondi che le Repubbliche di Croazia e di Slovenia si sono impegnate a versare con l'accordo di Osimo, oltre agli interessi maturati in questo lungo lasso di tempo –:
   se non intenda rendere pubblico il testo integrale del citato progetto di Fondazione al fine di consentire alle forze politiche una corretta valutazione delle proposte della FederEsuli ed agli esuli giuliano-dalmati, che ancora attendono di vedere corrisposto l'indennizzo dei beni espropriati da Tito, di conoscere quanto proposto a loro nome senza che ne siano stati minimamente informati. (4-10135)


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 novembre 1996 è stato stipulato a Zagabria l'accordo italo-croato per la tutela della cultura e delle popolazioni italiane già residenti nei territori d'Istria, Fiume e Dalmazia ed è stata richiesta al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano ed al Ministero degli esteri croato l'applicazione del detto accordo in Dalmazia da parte delle comunità italiane ivi esistenti per il tramite del Centro ricerche culturali Dalmate — Spalato –:
   se non intenda assumere iniziative per accelerare l'applicazione dell'accordo «Dini-Granic» in tutta la Dalmazia, tenuto conto che finora è stato applicato solo e parzialmente in Istria ed a Fiume. (4-10136)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   DAGA, ZOLEZZI, VALLASCAS, MASSIMILIANO BERNINI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 marzo 2015, nella seduta n. 392, è stata depositata interrogazione a risposta scritta n. 4/08345 indirizzata Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la quale il Ministero non ha ancora provveduto a dare risposta, inerente l'impianto pilota di Castel Giorgio-TR e i permessi concessi per l'avvio del progetto pilota;
   nel 2010 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 22 del 2010 e successive modificazioni ed integrazioni il quale si pone come obiettivo la liberalizzazione del mercato dello sfruttamento geotermico;
   in data 3,marzo 2011, il decreto legislativo n. 28 stabilisce: «... Al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, sono altresì di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza, e comunque con emissioni nulle, con potenza nominale installata non superiore a 5 MW per ciascuna centrale, per un impegno complessivo autorizzabile non superiore ai 50 MW ...», il che dà il via a 10 progetti pilota da 5 MW che, oltre ad avere iter autorizzativo esclusivamente dipendente dal parere della Commissione CIRM del Ministero dello sviluppo economico, oltre alla valutazione d'impatto ambientale regionale, beneficiavano di incentivi molto elevati;
   il primo progetto riguardante due impianti, uno a Torre Alfina nel Lazio ed il secondo a Castel Giorgio-Orvieto in Umbria, presentato in data 19 luglio 2011, presentato a nome della ITW&LKW geotermia Italia (capitale 200 mila euro, unico azionista, la ITW&LKW Beteilingungs Gmbh, Austria) società costruita ad hoc nel maggio dalla ITW società di costruzioni e dalla LKW una società elettrica del Liechtenstein. Supervisore del progetto e consulente della ITW&LKW è il professor Franco Barberi, all'epoca anche membro della Commissione CIRM del Ministero dello sviluppo economico che autorizzava tali progetti;
   ai sensi dello stesso decreto legislativo n. 22 del 2010 le autorità competenti per le funzioni amministrative, inclusa la valutazione di impatto ambientale, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, comprese le funzioni di vigilanza sull'applicazione delle norme di polizia mineraria, riguardanti le risorse geotermiche d'interesse nazionale e locale, sono le regioni o enti da esse delegati, ma con il decreto-legge n. 68 del 2013 cosiddetto «Decreto del fare» vengono inserite norme che sottraggono la VIA alla competenza della regione Umbria ed escludono gli impianti pilota geotermici dalla direttiva Seveso sulla prevenzione di incidenti rilevanti, facendo sì che tali impianti dovranno essere valutati dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui è Presidente Guido Monteforte Specchi, consulente della ITW&LKW in occasione della procedura di valutazione di impatto ambientale regionale, interrotta dalla succitata legge, cosa che ha provocato una segnalazione al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare dallo stesso assessore all'ambiente dell'Umbria Silvano Rometti;
   la provincia di Viterbo e le associazioni ambientaliste del territorio umbro-laziale chiedono una nuova verifica dell'impatto ambientale in quanto il parere emesso in data 31 ottobre 2014 – positivo, con prescrizioni – dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato predisposto da un gruppo istruttore ritenuto inadeguato costituito da un astrofisico, un avvocato ed un geologo dei ghiacciai con alcuna esperienza nel settore geotermico;
   detto impianto è ubicato proprio sopra il bacino idrogeologico del SIC-ZPS lago di Bolsena e, secondo il parere di professori universitari e noti geologi professionisti, inquinerebbe di arsenico il lago e la falda superficiale da cui viene estratta acqua per la rete potabile;
   in data 16 marzo 2015, è stata depositata una interrogazione a risposta orale n. 3-01379 inerente la composizione dei membri della Commissione VIA nazionale che, come riportato da articoli di giornale e come riportato in un esposto depositato dagli interroganti presso le procure competenti e all'ANAC, risulta composta anche da soggetti facenti parte in qualità di soci o consulenti delle società che hanno richiesto parere alla Commissione VIA nazionale;
   in data 8 aprile 2015 gli interroganti provvedevano a depositare dettagliato esposto illustrando situazioni in cui appaiono rilevarsi profili incompatibilità per molti dei componenti la Commissione VIA nazionale compreso il caso del Presidente della Commissione V.I.A. nazionale, l'Ing. Guido Monteforte Specchi, il quale risulta essere stato consulente per la società ITW & LKW Geotermia Italia S.p.A per un progetto presentato a V.I.A. regionale in Umbria; nell'ambito di tale procedimento la regione richiedeva una valutazione al Ministero in merito ad un parere pro-veritate redatto per l'azienda dallo stesso Guido Monteforte Specchi in qualità di consulente; la stessa società ITW & LKW Geotermia Italia S.p.A risulta aver presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio un ulteriore progetto con procedura di V.I.A. nazionale, il progetto «Impianto geotermico pilota Castel Giorgio-TR», il quale secondo quanto riporta il sito del Ministero avrebbe ottenuto parere positivo con prescrizioni dalla Commissione VIA nazionale n. 1641 del 31 ottobre 2014 (copia del suddetto parere non è ancora pubblicato sul sito del Ministero);
   in data 24 aprile 2015 si è svolta la discussione dell'interpellanza urgente n. 2/00942 depositata in data 21 aprile 2015, inerente la composizione dei membri della Commissione VIA nazionale e richiesta di rinnovo degli stessi, non essendo stato assunto alcun intervento, alla data dell'interpellanza, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con riferimento al rinnovo dei membri della citata Commissione VIA scaduti sin dal luglio del 2014 ed operanti in regime di prorogatio, con illustrazione di alcuni casi di cui all'esposto in premessa;
   il 3 aprile 2015 è stato emanato, quando era in discussione una risoluzione in Commissione ambiente e attività produttive alla Camera, il decreto ministeriale n. 59 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativamente al progetto per la realizzazione dell'impianto pilota geotermico denominato «CASTEL GIORGIO», nella configurazione che prevede l'immissione di 5 MW e nel sistema elettrico;
   in data 15 aprile 2015 è stata approvata la risoluzione in Commissioni riunite ambiente e attività produttive n. 8/00103 che riporta ai punti da 1 a 4 quanto segue:

«...impegnano il Governo:
   ad avviare le procedure di «zonazione» del territorio italiano, per le varie tipologie di impianti geotermici, identificando le aree potenzialmente sfruttabili in coerenza anche con le previsioni degli orientamenti europei relativamente all'utilizzo della risorsa geotermica, e in linea con la strategia energetica nazionale;
   ad emanare, entro sei mesi, «linee guida» a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino nell'ambito delle aree idonee di cui al punto precedente anche i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di micro sismicità;
   a rilasciare, a seguito dell'emanazione delle linee guida, tutte le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici, comprese quelle relative ai procedimenti in corso, nel rispetto delle prescrizioni ivi previste;
   a far sì che, nella valutazione di impatto ambientale (Via), si tenga conto in particolare delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria,. all'induzione di micro sismicità;
   nonostante gli impegni derivanti dalla risoluzione n. 8/00103, come sopra riportato, appare anomala agli interroganti la notevole attività di presentazione presso la Commissione VIA nazionale di numerosi impianti pilota, con scadenza della presentazione di osservazioni a breve, come si può evincere dall'elenco consultabile all'indirizzo internet www.va.minambiente.it, in totale assenza della «zonazione», delle «nuove regole» e dei nuovi contenuti che devono informare la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) di cui alla Risoluzione dilata;
   nonostante gli stessi impegni, come sopra riportato, appare anomala agli interroganti la indizione della conferenza dei servizi per l'impianto pilota di Castel Giorgio per la data dell'8 settembre, propedeutica al conferimento della autorizzazione, presentata i giorni scorsi ai comuni ed alla regione Umbria, oltre che altri enti, in totale assenza della «zonazione», delle «nuove regole» e dei nuovi contenuti che devono informare la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) di cui alla risoluzione citata –:
   se, alla luce dei fatti suesposti, non ritenga necessario, a tutela dell'incolumità delle persone e della sicurezza ambientale predisporre una nuova valutazione ambientale per l'impianto pilota di Castel Giorgio, utilizzando opportune professionalità specializzate nelle materie di cui trattasi, a fronte del conflitto ravvisato dagli interroganti tra società richiedente e membri Commissione VIA (stessa persona per controllato e controllore, e solo a valle della e degli impegni assunti dal Governo con la citata risoluzione parlamentare relativi alla definizione della «zonizzazione», di «nuove regole» e, dei nuovi contenuti che devono informare la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA);
   se non sia conseguentemente il caso di annullare il decreto ministeriale 59 del 3 aprile 2015 di compatibilità ambientale per il progetto pilota di Castel Giorgio;
   se non sia il caso di sospendere – per gli stessi motivi – le procedure relative alla valutazione di impatto ambientale di tutti gli impianti pilota geotermici attualmente in fase di valutazione presso la Commissione valutazione impatto ambientale – VIA e VAS;
   se, alla luce dei fatti suesposti, non ritenga necessario, a tutela dell'incolumità delle persone e della sicurezza ambientale ritirare detta convocazione della conferenza dei servizi e predisporla, se del caso, solo a valle della attuazione degli impegni assunti dal Governo rispetto la citata risoluzione parlamentare relativi alla definizione della «zonizzazione», di «nuove regole» e dei nuovi contenuti che devono informare la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA). (3-01671)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21 della legge n. 157 del 1992 così come modificato dal decreto-legge n. 91 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, vieta – ottemperando ad una normativa europea – di vendere, detenere per vendere, trasportare per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, anche se importati dall'estero, appartenenti a tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell'Unione, ad eccezione di germano reale, pernice rossa, pernice di Sardegna, starna, fagiano, colombaccio;
   diverse sono state le polemiche che hanno fatto seguito a tali modifiche, specie da parte di ristoratori e cittadini del bresciano che hanno sottolineato le possibili conseguenze negative sia a livello economico che occupazionale per l'impossibilità di vendere nei ristoranti uno dei piatti tipici della zona: la cosiddetta «polenta osei»;
   da alcune fonti stampa si apprende che nei giorni scorsi si è riunito un primo tavolo tecnico presso la sede della provincia di Brescia finalizzato ad ottenere una deroga che permetta di riaprire la stagione, a settembre, con il piatto tipico sulle tavole dei ristoranti del posto;
   all'incontro ha preso parte – a fianco delle associazioni di ristoratori e commercianti, dei rappresentati dei comuni più interessati e di diversi parlamentari — il Ministro Galletti che, sempre secondo quanto riportato dalla stampa, ha invitato le associazioni e i ristoratori a fornire un contributo tecnico, raccogliendo quanti più dati e informazioni possibili a difesa del piatto tipico;
   l'unica strada, secondo i partecipanti all'incontro, potrebbe portare a trattare con l'Unione europea una deroga per i territori che hanno definito un disciplinare di utilizzo del piatto tipico, finalizzati a rimarcare una presenza non solo produttiva ma anche di tradizione e territorialità –:
   se le informazioni riportate corrispondano al vero e se sia nelle intenzioni del Ministro intervenire in Europa al fine di consentire una deroga alla disciplina introdotta dal decreto-legge n. 91 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014. (5-06270)


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MICILLO, MANNINO, TERZONI, CANCELLERI, VALLASCAS, FANTINATI, CRIPPA, DA VILLA e DELLA VALLE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, in attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, impone la contabilizzazione del calore consumato dai singoli appartamenti;
   l'obbligo vige dal 2014, con sanzioni dal 1o gennaio 2017;
   a livello nazionale, l'obbligo d'installazione dei dispositivi per la termoregolazione e la contabilizzazione del calore è stato introdotto con l'articolo 9, comma 5, lettera b) del decreto legislativo n. 102 del 2014, prevedendo come termine ultimo il 31 dicembre 2016, fatti salvi i casi in cui la misurazione del calore non sia tecnicamente possibile o efficiente in termini di costi e proporzionata rispetto ai risparmi energetici potenziali;
   il progetto di legge 249 «Legge di semplificazione 2015 – Ambiti istituzionale ed economico» prevede di estendere l'obbligo di installare, entro il 31 dicembre 2016, sistemi per la termoregolazione degli ambienti e la contabilizzazione autonoma del calore a tutti gli impianti di riscaldamento al servizio di più unità immobiliari, anche se già esistenti, applicando quanto previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102 (Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE);
   il riferimento alla norma nazionale all'interno della legge regionale n. 24 del 2006 implica che «L'efficienza in termini di costi può essere valutata con riferimento alla metodologia indicata nella norma UNI EN 15459. Eventuali casi d'impossibilità tecnica all'installazione dei suddetti sistemi di contabilizzazione devono essere riportati in apposita relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato»;
   per evitare le sanzioni i condomìni ricorrono al sistema di contabilizzazione indiretta, che prevede l'utilizzo delle valvole termostatiche, abbinate ai cosiddetti ripartitori di calore, su ogni radiatore;
   mentre, con la contabilizzazione diretta, il calore ceduto è calcolato sulla portata di acqua calda e sulla sua differenza di temperatura con quella indiretta, il ripartitore di calore stima il calore ceduto all'ambiente, in base alle caratteristiche del radiatore, alla sua temperatura e a quella dell'ambiente;
   i contabilizzatori diretti sono strumenti omologati, mentre i ripartitori indiretti non lo sono;
   infatti la Direttiva 2004/22/CE del 31 marzo 2004 sugli strumenti di misura – nota come Direttiva MID – recepita con il decreto legislativo n. 22 del 22 febbraio 2007, GU n. 64 del 17 marzo 2007 – Suppl. Ordinario n. 73 – regola la messa in commercio dei soli contabilizzatori diretti, trattati nell'allegato MI-004 della medesima direttiva;
   va così richiamato il Testo Unico delle leggi metriche, il quale stabilisce che, se una transazione economica è basata sulla misurazione di una grandezza, tale misurazione deve essere effettuata con strumenti di misura legali e la stessa grandezza deve essere espressa in unità di misura legale;
   la richiesta di un corrispettivo economico, da parte di un'amministrazione condominiale, a fronte della quantità di calore erogata alla singola unità abitativa, rientra in questa casistica;
   ma i ripartitori di calore, che vengono attualmente installati, misurano unità di misura aleatorie e non unità di misura legali. Ne consegue che i ripartitori non sono strumenti legali e quindi una qualsiasi pretesa economica, basata sulla loro rilevazione, e a prescindere dalle decisioni prese dalle assemblee condominiali, è da considerarsi nulla;
   ne consegue anche che, se i ripartitori sono illegali, non possono essere previste sanzioni per chi non li installa né, tantomeno, benefici fiscali –:
   se e quali iniziative intenda porre in atto il Governo al fine di rendere regolari e legali i sistemi di contabilizzazione indiretta quali i ripartitori di calore;
   se il Governo non intenda mettere in atto le opportune azioni correttive per incentivare l'utilizzo di soli sistemi certi di contabilizzazione diretta, dove tecnicamente possibile ed economicamente giustificato;
   se il Governo non intenda, in via transitoria, mettere in atto iniziative utili a regolamentare l'utilizzo di sistemi di ripartizione di calore con contabilizzazione indiretta certa ed omologata, al fine di disporre un riequilibrio dei costi sostenuti in funzione delle caratteristiche delle singole unità abitative. (5-06271)


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MICILLO, MANNINO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato recentemente numerosi decreti favorevoli di compatibilità ambientale per progetti di prospezione e ricerca di idrocarburi nel Mare Adriatico e nel Canale di Sicilia con la tecnica dell'airgun;
   il decreto ministeriale n. 103 del 3 giugno 2015 è relativo a due istanze di prospezione presentate dalla Spectrum Geo Ltd denominate «d 1 B.P.-.SP» e «d 1 F.P.-.SP» che riguardano vaste aree dell'Adriatico da Rimini al Salento per un totale di circa 3 milioni di ettari;
   dopo pochi giorni il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato un secondo decreto (il decreto ministeriale n. 120 del 2015 del 12 giugno 2015) per il progetto presentato dalla società Petroleum Geo-Services Asia Pacific Pte.Ltd. (permesso «d 2 F.P-.PG») che riguarda nuovamente aree del mare davanti alle coste pugliesi per circa 1,4 milioni di ettari;
   queste aree sono contigue con le porzioni di mare Adriatico di pertinenza della Croazia (in base all'Accordo ratificato con decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1969 n. 830 e con legge 14 maggio 1977 n. 73) e all'Albania (in base all'accordo ratificato con legge del 12 aprile 1995 n. 147);
   nelle stesse settimane sono stati emanati altri decreti per la prospezione e ricerca di idrocarburi con la stessa tecnica dell'airgun per aree comunque significative (migliaia o decine di migliaia di ettari) in Adriatico, di fronte alle coste pugliesi, marchigiane e siciliane:
    permesso di ricerca idrocarburi d61 FR.-NP — Northern Petroleum – decreto ministeriale n. 106 dell'8 giugno 2015;
    permesso di ricerca idrocarburi d66 F.R.-NP — Northern Petroleum – decreto ministeriale n. 105 dell'8 giugno 2015;
    permessi di ricerca FR 39 NP e FR 40 NP — Northern Petroleum — decreto ministeriale n. 104 dell'8 giugno 2015;
    permesso di ricerca d65 FR.-NP — Northern Petroleum — decreto ministeriale n. 107 del 10 giugno 2015;
    permesso di ricerca di idrocarburi d60 FR.-NP — Northern Petroleum decreto ministeriale n. 109 dell'11 giugno 2015;
    permesso di ricerca idrocarburi d 149 DR-NP — Northern Petroleum decreto ministeriale n. 121 del 12 giugno 2015;
    permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato d 503 BR-CS — Appennine Energy decreto ministeriale n. 111 dell'11 giugno 2015;
    permesso di ricerca di idrocarburi «d 359 C.R.-.TU» – Transunion Petroleum Italia S.R.L. – decreto ministeriale n. 123 del 12 giugno 2015;
   il 16 aprile 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato il decreto n. 68 per il rilascio del parere favorevole di compatibilità ambientale per il progetto «Sviluppo Campo Vega B – Concessione di Coltivazione C. C6.EO – Canale di Sicilia» della Edison s.p.a.. Tale progetto prevede, tra l'altro, la realizzazione di rilievi con la tecnica dell'airgun;
   la convenzione di Espoo del 25 febbraio 1991 sulla valutazione di impatto ambientale in un contesto transfrontaliero prevede una serie di obblighi per lo Stato a cui spetta la valutazione di un progetto che può potenzialmente avere un impatto sui paesi limitrofi;
   sia la Croazia (il 10 settembre 1996) che l'Albania (il 4 ottobre 1991) hanno ratificato la convenzione. La ratifica dell'Italia risale al 19 gennaio 1995, mentre il Montenegro lo ha fatto più recentemente (9 luglio 2009). Anche l'Unione europea ha ratificato la convenzione;
   l'articolo 7 della direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati prevede gli obblighi in ambito comunitario per lo svolgimento della procedura di V.I.A. transfrontaliera. La nuova direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati ha lasciato sostanzialmente inalterati tali obblighi;
   l'articolo 32 del decreto legislativo n. 152 del 2006 è dedicato integralmente alla questione della valutazione di impatto transfrontaliero. In sintesi, lo Stato che deve valutare un progetto che può avere impatti transfrontalieri ha l'obbligo di notificare agli altri stati coinvolti il deposito del progetto allegando tutti gli elaborati. Devono essere notificati i progetti anche se l'impatto è ritenuto solo potenziale. Gli altri Stati a quel punto hanno 60 giorni per esprimere o meno l'interesse a partecipare alla procedura. Qualora sia espresso l'interesse, lo Stato che vuole partecipare ha ulteriori 90 giorni per presentare osservazioni, inviando anche quelle di associazioni e cittadini del loro Paese;
   la linea di delimitazione delle acque tra Malta e Italia è, secondo le indicazioni dell'UNMIG, quella derivante dal modus vivendi instaurato dal 29 aprile 1970;
   nei citati decreti di compatibilità ambientale rilasciati ad aprile e giugno 2015 non emerge alcun riferimento all'attivazione delle procedure previste dalla convenzione di Espoo, dalle direttive comunitarie in materia di valutazione di impatto ambientale e dallo stesso decreto legislativo n. 152 del 2006;
   come è noto l'airgun produce emissioni sonore che possono viaggiare per lunghe distanze dal punto di emissione, creando un inquinamento acustico che può avere effetto sulle biocenosi, come riconosciuto dallo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nei decreti. Le caratteristiche fisiche dei progetti sono tali da determinare, quindi, l'interessamento di porzioni di mare degli altri Stati;
   tra le specie più vulnerabili, come riconosce lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nei decreti di compatibilità, si trovano i cetacei. Sono specie altamente vagili, con gli stessi individui che si muovono su distanze di decine se non centinaia di chilometri. In tal senso sarebbe molto difficile sostenere che per queste specie l'Adriatico e il Canale di Sicilia non costituiscono unità gestionali omogenee che comprendono porzioni di mare dei diversi stati (basti pensare a specie come il Capodoglio);
   l'Adriatico, a scala comunitaria, viene trattato, da un punto di vista biologico, come un'unità di gestione. Basta consultare il recente report 02 2015 dell'Agenzia europea dell'ambiente «Lo Stato dei mari europei» (http://www.eea.europa.eu/publications/state-of-europes-seas/at_download/file) per chiarire il tipo di approccio che deve essere usato nel trattare progetti che possono incidere sul patrimonio marino comune;
   nei decreti di compatibilità ambientale lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ammette qual è la distanza entro la quale potrebbero esservi effetti. Infatti, nella prescrizione A1 del decreto relativo ai permessi di prospezione della Spectrum Geo – prescrizione rinvenibile anche negli altri decreti tranne quello relativo al progetto Vega B – il Ministero impone il divieto di condurre contemporaneamente prospezioni sismiche ad una distanza minore di 55 miglia nautiche, corrispondenti a circa 100 chilometri;
   tale precauzione, per avere senso da un punto di vista biologico, deve essere applicata in ogni direzione. Inoltre, senza un coordinamento tra Stati, potrebbero certamente verificarsi casi in cui tale prescrizione, nei fatti, non venga rispettata visto che un altro Stato potrebbe condurre o autorizzare attività che possono causare un effetto cumulo tra progetti;
   se si prende in considerazione questa distanza (anche, eventualmente, la metà di essa), da una prima analisi appare che tutti i progetti di prospezione/ricerca sopra richiamati hanno un potenziale impatto su porzioni di mare di competenza di altri Paesi, (almeno Croazia, Albania e Malta) con misure che come minimo devono essere coordinate tra stati. Tra l'altro, potrebbe esservi potenziale incidenza anche su siti proposti per la Rete Natura2000 in quegli Stati, per cui anche la valutazione di incidenza dovrebbe prendere in considerazione questo fatto;
   le popolazioni di cetacei sono, secondo il citato report dell'EEA, in uno stato non soddisfacente nei mari europei e, quindi, dovrebbero essere oggetto di particolari precauzioni –:
   se il deposito dei progetti sia stato notificato secondo le previsioni delle direttive comunitarie e della convenzione di Espoo agli altri Stati, come Malta, Croazia, Albania e Montenegro;
   in caso positivo, se i Paesi coinvolti abbiano espresso nei termini l'intenzione o meno di partecipare al procedimento e se sia stata svolta, quindi, una valutazione di impatto ambientale transfrontaliera;
   in caso negativo, se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia intenzione di revocare i decreti sopra richiamati, anche al fine di evitare potenziali conflitti con la Commissione europea e altri soggetti istituzionali di altri Paesi;
   in caso negativo, se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia intenzione di riesaminare i procedimenti nel quadro di quanto previsto dalla convenzione di Espoo, assicurando la partecipazione non solo delle autorità statali degli altri Paesi ma anche del pubblico qualora i Paesi esprimano interesse alla partecipazione. (5-06275)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA e ZARATTI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella sua lunga e non sempre facile storia, il Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise ha rappresentato per lungo tempo essenziale baluardo e riferimento per la conservazione della natura in Italia, tracciando con chiarezza la strada da seguire per conciliare gli imperativi della conservazione con gli obiettivi nazionali e le esigenze delle comunità locali;
   grazie alla collaborazione progressivamente instaurata tra istituzioni, organizzazioni e popolazioni locali, il Parco aveva promosso la progressiva rinascita del territorio fondata sull'ecoturismo anche a livello internazionale, respingendo gli abusi, la speculazione edilizia, il malaffare politico, la devastazione forestale, il bracconaggio;
   questa strategia si era affermata come valido modello di assetto territoriale, con un piano fondato su intese con i comuni d'Abruzzo, attuando per la prima volta quella zonizzazione, che avrebbe poi ispirato la nuova legge quadro sulle aree protette;
   alle soglie del terzo millennio, questo parco storico creato nel lontano 1922, che aveva ampiamente dimostrato i benefici concreti derivanti dalla oculata conservazione dell'ambiente, del paesaggio e della natura, salvando le foreste più importanti dell'Appennino e la preziosa fauna in pericolo, riportando il Camoscio d'Abruzzo alla Maiella e al Gran Sasso, era unanimemente considerato il più famoso, innovativo e apprezzato parco d'Italia;
   tuttavia, negli anni successivi, mutata la situazione politica, questo percorso positivo si era interrotto e purtroppo la situazione appare ormai completamente ribaltata: si sono disgregati l'assetto, il piano e la zonazione del parco, sono in aumento gli abusi e gli atti di efferato bracconaggio, è in crisi l'organizzazione e in declino il prestigio, anche per il ripetuto avvelenamento dell'animale-simbolo, l'orso marsicano –:
   se il Parco d'Abruzzo, Lazio e Molise disponga di un «Piano per il Parco» completo e valido, in grado di disciplinare l'assetto territoriale e l'attività edilizia in un comprensorio tanto importante, delicato e normativamente tutelato, e nel caso quali ne siano le ragioni, del «Regolamento del Parco» è del «piano pluriennale economico e sociale» (P.P.E.S.);
   se sia vero che l'Ente aveva adottato e approvato all'unanimità nell'anno 2000 un «Piano» che recepiva in modo corretto ed equilibrato gli imperativi della conservazione, le più avanzate impostazioni internazionali e le istanze locali (la zonazione del parco era stata infatti riconosciuta nell'anno 2004 come «modello virtuoso a livello internazionale» dalla stessa IUCN-Unione mondiale della natura), anche attraverso le intese sottoscritte democraticamente dai comuni d'Abruzzo con centri abitati ricadenti nel parco;
   per quali ragioni e con quali provvedimenti detto piano sia stato abbandonato;
   se l'ente parco, avendo ricevuto, allo scopo di abbattere le non poche opere abusive, ben chiare disposizioni e adeguati finanziamenti da parte del Ministero, abbia provveduto durante l'ultimo decennio;
   se sia vero, così come risulta all'interrogante, che l'Ente Parco abbia smantellato il servizio urbanistico che avrebbe potuto contrastare efficacemente la cementificazione nel territorio;
   se trovino fondamento le notizie circa l'esistenza di un ingente contenzioso in essere, proveniente in gran parte da gestioni pregresse. (4-10137)


   CATALANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso il comune di Busto Arsizio è attivo, da circa quarant'anni, l'inceneritore ACCAM, oggetto durante l'anno passato di studi, da parte di un tavolo tecnico, in attinenza alle strategie individuate dal piano regionale;
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Sblocca Italia), convertito con modificazioni dalla legge n. 164 del 2014, prevede all'articolo 35, comma 1, che «il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale»;
   in riferimento a tale articolo e in relazione alla vicenda ACCAM, il Governo ha accolto, dopo riformulazione, l'ordine del giorno 9/02629-AR/006, con il quale si è impegnato a «valutare l'opportunità di tenere conto dell'esito della valutazione tra gli attori istituzionali regionali e locali circa il futuro dell'impianto, al fine dell'applicazione della norma»;
   il nuovo consiglio d'amministrazione di ACCAM, insediatosi a seguito dell'assemblea dei soci tenuta il 29 giugno 2015, ha delineata un piano d'azione per il futuro dell'impianto, coerente rispetto con l'atto di indirizzo dell'assemblea, mirante a un parziale decommissioning, e quindi a una graduale e progressiva riduzione delle quantità di rifiuti termo valorizzati, al successivo smantellamento dell'impianto a caldo, bonifica del sito, realizzazione di un impianto a freddo (fabbrica dei materiali) e trattativa per l'impianto Forsu di Amga, in fase di progettazione;
   in data 27 luglio 2015, è stata pubblicata, su Varese News e altri giornali, la notizia che dal 16 luglio, l'impianto, a conclusione di un iter partito lo scorso 22 ottobre, ha cambiato categoria, passando dalla categoria D10 (smaltimento per incenerimento) a quella R1 (impianto recupero energetico) e, secondo le notizie di stampa, questa trasformazione aprirebbe, almeno in prospettiva, le porte all'arrivo di maggiori quantità di rifiuti, anche extraregionali, nell'impianto;
   con nota del 29 luglio 2015, Accam ha comunicato che il «procedimento per il conseguimento della qualifica R1 è un procedimento delle competenti autorità regionali in attuazione del comma 5 dell'articolo 35 del decreto legislativo 164 del 2014, di cui la dirigenza di ACCAM e i dipendenti tutti non hanno segretato mai e poi mai alcunché in quanto gli organi preposti erano e sono al corrente dello svolgimento di tutto l’iter procedimentale, come dimostrato dagli scambi di corrispondenza dove, gli organi individuati dal responsabile del procedimento, sono in indirizzo»;
   sempre ACCAM, dopo aver individuato gli ampi margini di incertezza che caratterizzano i termini della dismissione, il processo di aggregazione tra le società della raccolta, le aree di realizzazione dei nuovi impianti, i relativi studi di fattibilità, i futuri bacini di utenza e il rinnovo dei contratti di servizio, ha osservato che «appare evidente quindi lo stato di frustrazione in cui ci troviamo, non comprendendo in che modo si intenda tutelare lo stato occupazionale in una simile situazione di incertezza che speravamo si risolvesse con la nomina di nuovi vertici a cui i Soci avrebbero chiarito posizioni e obiettivi; prendiamo comunque favorevolmente atto dell'impegno assunto dal nuovo C.d.A. di indicarci a breve gli obiettivi per il prossimo futuro»;
   in pari data, l'assessore regionale all'ambiente, energia e sviluppo sostenibile Claudia Maria Terzi, allo scopo di tranquillizzare i timori dei comitati civici, ha comunicato che «il riconoscimento della qualifica R1 (impianto recupero energetico) è un dato meramente tecnico ad oggi privo di risvolti autorizzativi immediati: l'impianto risulta ancora, in forza dell'Autorizzazione integrata ambientale (AIA) vigente, autorizzato solo all'operazione D10, ossia smaltimento per incenerimento. Di esso si terrà invece conto in sede di procedimento di riesame, già avviato a febbraio di quest'anno, e in applicazione dell'ormai famoso articolo 35 del cosiddetto “Sblocca Italia” che obbliga anche la Lombardia a utilizzare i propri impianti al massimo delle capacità»;
   i comuni di Canegrate, Castano Primo, Magnago, Rescaldina, San Vittore Olona, San Giorgio su Legnano hanno congiuntamente dichiarato, come pubblicato su LegnanoNews il 2 agosto 2015, che «apprendere dalla stampa che i vertici di una società hanno, con le loro decisioni tecniche, assecondato una procedura di classificazione senza minimamente informare i soci di ciò che stavano attuando, è assolutamente inaccettabile» –:
   di quali notizie disponga il Governo in merito a quanto indicato in premessa e come il Governo, pur a seguito della classificazione come R1 dell'impianto in premessa, intenda tenere conto dell'impegno di cui all'ordine del giorno 9/02629-AR/006 che all'interrogante non appare compatibile con la scelta degli enti locali nel senso dello smantellamento dell'impianto a caldo. (4-10151)


   VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Friuli Venezia Giulia, la società TERNA Rete Elettrica Nazionale spa, sta realizzando un elettrodotto a 380 Kw, in doppia terna, tra la stazione elettrica di Udine ovest e la stazione elettrica di Redipuglia (Gorizia). L'elettrodo ha una lunghezza di circa 39 chilometri, con sostegni dell'altezza di 61 metri. Tale opera è stata progettata da Terna spa in qualità di gestore RTN ed inclusa nel piano di sviluppo della RTN;
   con sentenza n. 3652 del 23 luglio 2015, la VI sezione del Consiglio di Stato, ha provveduto all'annullamento del provvedimento valutazione d'impatto ambientale favorevole, emesso il 21 luglio del 2011, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, nonché all'annullamento del provvedimento di autorizzazione alla costruzione dell'opera, rilasciato alla Terna spa con decreto interministeriale del Ministro dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente n. 239/EL-146/181/2013 del 12 marzo 2013. Oltre ciò i giudici di palazzo Spada hanno considerato viziato da eccesso di potere e difetto di motivazione, il provvedimento con cui il Ministero per i beni e le attività culturali (nota prot. 6440 del 24 febbraio 2011), mutando il precedente parere contrario della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia (in nota prot. 10889 del 24 novembre 2010), diede parere favorevole circa il progetto, ponendo come unica condizione quella di spostare il tratto di elettrodotto previsto nell'area golenale del fiume Torre;
   inizialmente, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia aveva difatti espresso parere contrario all'intervento nelle aree oggetto di tutela ai sensi degli articoli 136 e 142, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, rilevandone l'impatto negativo sul paesaggio circostante. Infatti, la costruzione dell'elettrodotto avrebbe prodotto un grave deturpamento di tratti dei corridoi fluviali del torrente Comor, del fiume Torre, del fiume Isonzo nonché della Roggia di Udine e delle Roggia Mille acque, giacché l'installazione di sostegni e cavi, dall'altezza superiore ai 61 metri avrebbe costituito un danno alla matrice agricola e naturalistica del paesaggio. Sulla base di tali rilievi, la Soprintendenza aveva quindi, proposto l'interramento dell'elettrodotto nelle fasce sottoposte a tutela paesaggistica;
   successivamente, il Ministero dei beni e le attività culturali del turismo, vista l'impossibilità di realizzare l'elettrodotto in cavo sotterraneo nelle zone sottoposte a tutela paesaggistica, cambiando avviso si esprimeva favorevolmente, ponendo come unica condizione che il tratto di elettrodotto del fiume Torre venisse spostato all'esterno della fascia di elevato valore paesaggistico;
   dalla lettura della sentenza si evince che il Mibac anziché occuparsi della cura dell'interesse paesaggistico abbia illegittimamente compiuto una non consentita attività di comparazione e di bilanciamento di quest'ultimo con interessi pubblici di altra natura e spettanza, essenzialmente quelli sottesi alla realizzazione dell'elettrodotto e, dunque, al trasporto dell'energia elettrica. Non ad esso, ma ad altre amministrazioni competeva esprimere, nel confronto dialettico proprio della conferenza di servizi, quelle valutazioni, indicandone le rispettive ragioni. Inoltre, il Mibac, avrebbe illegittimamente subordinato il perseguimento dell'interesse pubblico primario affidato alla sua cura alla realizzabilità comunque dell'opera, quasi che l'an del progetto non potesse essere nemmeno posto in discussione;
   in data 24 luglio 2015, ovvero all'indomani del deposito della sentenza del Consiglio di Stato, la società Terna emetteva un comunicato stampa in cui veniva banalizzato quanto deciso dai giudici, annunciando che in esito al provvedimento sarebbe derivato un possibile blackout nonché un aggravio delle bollette a carico dei cittadini. Tali notizie venivano immediatamente diffuse dalle testate giornalistiche locali e dal notiziario regionale di Rai 3, generando nella popolazione un diffuso allarmismo. Peraltro, l'elettrodotto oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato è ancora in fase di realizzazione e pertanto non risulta possibile che lo stesso incida sulla RTN in esercizio. Inoltre, dal Report Energia pubblicato dal servizio programmazione,

pianificazione strategica, controllo di gestione e statistica della regione Friuli Venezia Giulia nel dicembre 2014, si evince che in totale, i consumi regionali ed in generale anche quelli nazionali, sono calati in due anni del 4,3 per cento (da 10.030,4 GWh a 9.603,1 GWh) e pertanto quanto comunicato a mezzo stampa dal gestore RTN è da ritenersi assolutamente infondato;
   dal quotidiano online il Messaggero Veneto del 2 agosto 2015, si apprende che anche dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato il provvedimento di autorizzazione alla costruzione dell'opera, operai sono stati visti al lavoro sui tralicci, peraltro senza indossare i caschi di protezione, tanto da ingenerare l'idea comune che Terna continui nella prosecuzione dell'opera in spregio di quanto deciso dai giudici. A seguito di queste segnalazioni partite dalla cittadinanza e dai sindaci della zona interessata dall'opera, Terna ha precisato che si è adoperata per la messa in sicurezza dei cantieri, ma ad oggi quale sia la realtà non è dato sapere –:
   quali iniziative di competenza i ministri interrogati, intendano attivare o attiveranno affinché l'intervento progettato dalla Terna sia attuato nel rispetto della sentenza del Consiglio di Stato di cui in premessa;
   su quali dati si basano le affermazioni di Terna diffuse a mezzo stampa e relative al possibile rischio di blackout nella regione Friuli Venezia Giulia;
   quali iniziative siano state intraprese per impedire che Terna addebiti all'utenza, anche in via indiretta, i costi delle opere che ha inteso realizzare;
   se i lavori attualmente in corso all'elettrodotto siano relativi alla prosecuzione dell'opera ovvero se si tratti esclusivamente di opere necessarie alla messa in sicurezza, così come dichiarato da Terna. (4-10167)


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Pegognaga, in provincia di Mantova, i cittadini lamentano da alcuni anni molestie olfattive ascrivibili in particolare alle lavorazioni di bitume presso lo stabilimento Copernit spa, che produce guaine bituminose;
   nonostante il tentativo di risoluzione della problematica mediante filtro a carboni attivi applicato solo a settembre 2014 sulle prime due linee produttive, le emissioni moleste sono continuate in modo pressoché persistente sino a febbraio 2015, con reiterate proteste e segnalazioni dei cittadini che hanno infine portato a un'ordinanza del sindaco di interruzione dell'attività; ordinanza poi sospesa anche sulla base della disponibilità della ditta ad installare ulteriori filtri sulla terza linea produttiva, esistente da anni, e di cui non risulta nota la specifica autorizzazione. Le emissioni odorigene, pur se ridotte dal marzo del corrente anno, in coincidenza dell'installazione di rilevatori temporanei («Radielli»), vengono ancora percepite e sono tutt'ora causa di irritazione alle prime vie respiratorie;
   ciò premesso nella conferenza di servizi provinciale del 17 giugno 2015 (atto n. PD/1439), la provincia di Mantova ha autorizzato la quarta linea di produzione di guaine bituminose, con nuove sostanze in ingresso, nuove lavorazioni ascrivibili tra le attività insalubri di prima classe (vietate nell'area comunale dal piano di governo del territorio) e nuove emissioni di sostanze irritanti a bassa soglia olfattiva quali il naftalene e di sostanze sospette cancerogene quali il butadiene;
   nella relazione ARPA sopra-esposta (febbraio 2015), l'Ente indicava l'opportunità del rispetto del limite di 20 mg/Nm3 di COT previsto dalla normativa regionale in presenza di situazioni territoriali critiche quali «la prossimità dell'insediamento produttivo a zone residenziali». Diversamente da quanto previsto nel citato documento, la nuova autorizzazione provinciale indica come limite per i COT il valore di 50 mg/Nm3 per un impianto posto sopravento rispetto all'abitato. L'autorizzazione provinciale inoltre riporta i limiti emissivi prescritti dalla normativa che per gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) non devono superare il valore di 0,01 mg/Nm3;
   mentre nell'allegato tecnico accluso all'atto provinciale e predisposto dalla ditta a marzo 2015, vengono viceversa indicati in alcuni punti emissivi valori degli IPA dieci volte superiori (0,1 mg/Nm3). L'autorizzazione non prevede da subito l'installazione di filtri a carboni attivi (subordinandoli a eventuali esuberi emissivi) e non prescrive l'adozione delle migliori tecniche disponibili tra cui specifici filtri atti a ridurre le emissioni nocive e non solo a neutralizzare gli odori;
   nel comune di Pegognaga, è altresì presente un impianto di combustione di grasso animale (UNITEA srl) che riceve materiale proveniente dalla provincia di Mantova e da quella di Reggio Emilia, tale impianto di trattamento di sottoprodotti di origine animale (SOA) non è stato sottoposto a valutazione di impatto ambientale né a studio di impatto sanitario, nonostante la già precaria situazione ambientale dell'area di Pegognaga, con le cui emissioni di polveri sottili risultino ben oltre i limiti prescritti dall'Unione europea, che rischiano di far partire una procedura d'infrazione per l'Italia stante che la direttiva 2008/50 è esecutiva dal 1o gennaio 2015; la matrice utilizzata dall'impianto potrebbe essere oltretutto ricca di diossine e altri interferenti endocrini a causa, della biomagnificazione (campioni medi di dosaggio di diossine nel grasso animale) e della combustione di tale grasso che potrebbe portare in atmosfera abbondanti quantità di queste sostanze cancerogene;
   l'impianto in questione ha limiti emissivi relativi agli impianti considerati scarsamente inquinanti regolati dal decreto legislativo 152 del 2006, allegato I, parte III, punto 1.3, e non e dotato di filtri per micropolveri, tutto a norma di legge, per cui il vuoto normativo esistente rischia di danneggiare la salute e l'ambiente di Pegognaga;
   sempre all'interno del macello Unipeg di Pegognaga è in corso il progetto di sperimentazione Gedis, in collaborazione con regione Lombardia, che prevede l'incenerimento del digestato del presente impianto biogas, con l'obiettivo di ridurre la pressione ambientale da spandimento nitrati sui campi, visto che lo studio di Ispra ISONITRATE sulle falde acquifere in pianura padana ha segnalato una situazione allarmante; ma nello stesso tempo l'incenerimento del digestato potrebbe incrementare le emissioni di diossine e altre sostanze cancerogene e tossiche in atmosfera; da non sottovalutare che anche questi impianti del sito Unipeg producono emissioni odorigene ricorrenti sia di materiali putrefatti sia di sostanze combuste;
   le situazioni sopradescritte sono state oggetto di istanze alla ASL da parte di cinque medici di famiglia operanti a Pegognaga e di numerose lettere pubblicate sulla stampa locale da parte del comitato «L'aria di Pegognaga» –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative volte a riformare la normativa concernente le molestie olfattive, anche in base ai dati emersi riferiti allo stabilimento Copernit spa di Pegognaga;
   se il Ministro interrogato, per quanto di propria competenza, intenda assumere iniziative normative affinché venga eseguito il dosaggio delle diossine nelle matrici in ingresso degli impianti di digestione anaerobica che trattino sottoprodotti, di origine animale e nelle emissioni dai camini degli stessi impianti, analoghi all'impianto UNITEA;
   se il Ministro possa fornire dati in merito all'andamento della sperimentazione Gedis, ai dati ambientali e alle emissioni prodotte e se nell'ambito di tale sperimentazione sia previsto il dosaggio emissivo delle diossine; 
   se il Ministro intenda assumere iniziative normative eccezionali e urgenti di tutela ambientale della Pianura Padana dove l'ecosistema (aria, suolo, acqua) è sempre più a rischio di collasso. (4-10179)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2014, la procura della Repubblica di Tempio Pausania ha seguito un sequestro preventivo, per presunto reato di maltrattamento di animali a carico del circo denominato «circo Martin» che si esibiva in uno spettacolo nel 2014;
   un provvedimento esemplare poiché si tratta del primo sequestro di tutti gli animali di un circo le cui condizioni di detenzione hanno evidenziato forti criticità per il rispetto dell'etologia degli esemplari coinvolti;
   sin dal 2008 i volontari della LAV hanno raccolto numerose testimonianze foto e videografiche sugli animali nello zoo del circo, noto soprattutto per il numero del carretto con un orso, trainato da un cavallo con in groppa una tigre; le immagini mostravano gabbie minuscole e prive di qualsiasi arricchimento ambientale. Preoccupante, per la sicurezza pubblica, anche l'assenza di protezioni idonee ad impedire il contatto tra i visitatori e alcuni degli animali;
   lo stesso circo era stato certificato appena un anno e mezzo da un medico veterinario dell'università di Sassari, in regola addirittura rispetto al benessere degli animali, e nessuna asl ha mai rilevato nessun problema agli animali, nei controlli effettuati in occasione del rilascio dei permessi per l'attendamento –:
   se il circo in questione abbia beneficiato delle risorse del fondo unico per lo spettacolo destinate ai circhi e agli spettacoli viaggianti e se non ritenga di valutare l'opportunità di assumere iniziative per subordinare l'eventuale erogazione di fondi pubblici alla verifica del rispetto delle norme in materia di tutela degli animali. (4-10143)


   ARLOTTI e BENAMATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, meglio noto come «Destinazione Italia», ha autorizzato lo stanziamento di 500 milioni di euro per la valorizzazione del patrimonio turistico e culturale del nostro Paese in concomitanza con Expo 2015;
   in particolare, l'articolo 13 prevede al comma 24 che per promuovere il coordinamento dell'accoglienza turistica valorizzando aree territoriali di tutto il territorio nazionale sono finanziati progetti che individuino uno o più interventi di valorizzazione e di accoglienza tra loro coordinati: tali progetti possono essere presentati da comuni, da più comuni in collaborazione tra loro o da unioni di comuni con popolazione tra 5.000 e 150.000 abitanti, con una richiesta di finanziamento non inferiore a 1 milione di euro e superiore a 5 milioni di euro e purché in ordine agli interventi previsti, sia assumibile l'impegno finanziario entro il 30 settembre 2015 e ne sia possibile la conclusione entro venti mesi da quest'ultima data;
   il comma successivo prevede che «entro il 31 dicembre 2014, con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sono disciplinati i criteri per l'utilizzo delle risorse per gli interventi di cui al comma 24 e sono previste le modalità di attuazione dei relativi interventi anche attraverso apposita convenzione con l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI)»;
   sono state già poste in essere due proroghe, la prima già scaduta il 31 marzo e la seconda in scadenza il prossimo 30 settembre;
   sono state quindi create, in linea con le finalità della norma, aspettative positive nei comuni e nelle unioni di comuni che stanno lavorando attivamente nella predisposizione dei progetti;
   l'ormai avviata EXPO 2015, e il prossimo Giubileo straordinario che inizierà l'8 dicembre e che durerà un anno, rappresentano un'occasione imperdibile per la promozione di borghi, città, comuni medi e piccoli che potranno così concorrere a valorizzare permanentemente il prezioso patrimonio storico-culturale del nostro Paese;
   ad oggi non risulta essere nota l'entità delle risorse a disposizione che consenta di procedere alla pubblicazione del bando per il finanziamento dei progetti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per consentire la pubblicazione del bando per l'attuazione degli interventi previsti dai comuni singoli o associati. (4-10181)


   PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Promuovi Italia Spa, società controllata al 100 per cento da Enit – Agenzia nazionale del turismo e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, attiva nell'assistenza tecnica alla pubblica amministrazione, è stata costituita nel 2005 per supportare l'occupazione e lo sviluppo dell'industria turistica. Il progetto «Lavoro e Sviluppo» dedicato alla formazione, finanziato con commesse e profitti che ha impiegato circa 300 lavoratori. Il bilancio, fino al 2013, è stato in attivo con una disponibilità pari 9 milioni di euro e un portafoglio commesse pari a 25 milioni;
   irregolarità nella gestione della società hanno però fatto chiudere il bilancio 2013 con un passivo pari a 17 milioni di euro;
   in seguito a tali irregolarità si sono verificati diversi scontri all'interno del consiglio di amministrazione che hanno portato allo svolgimento di alcune indagini, a partire dal novembre 2013;
   preso atto della situazione, è stata disposta la liquidazione della società Promuovi Italia Spa ex articolo 16 del decreto-legge del 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106;
   in data 10 ottobre 2014, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha emanato un decreto concernente l'istituzione di una Commissione di indagine amministrativa al fine di revisionare tutti gli atti e i provvedimenti adottati durante la gestione del dottor Rocca e consentire al meglio una organica ricostruzione degli atti amministrativi emanati e gli effetti giuridici derivanti, per tutelare l'amministrazione, con specifico riferimento alle, attività svolte dalla direzione generale per le politiche del turismo con gli enti direttamente o indirettamente vigilati tra cui Promuovi Italia Spa;
   il compito della Commissione, come specificato, all'articolo 1 del decreto ministeriale 10 ottobre 2014, è quello di ricostruire i passaggi amministrativi e verificare la regolarità dell'azione dell'amministrazione – direzione generale delle politiche del turismo – nei settori di pertinenza e proporre ad essa eventuali azioni di autotutela;
   durante l'audizione del 7 aprile 2015, presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati, il Ministro Dario Franceschini, in merito ai lavori della Commissione, ha affermato che essa avrebbe dovuto fornire una relazione interna entro il 30 aprile 2015, ma ad oggi i contenuti della relazione non sono ancora stati resi noti;
   in un articolo del giornalista Di Corinto dell'8 giugno 2015, pubblicato dalla rivista Wired.it, viene riportata la notizia di nuove evoluzioni interne della società Promuovi Italia Spa secondo cui la Società avrebbe ricevuto l'atto giudiziario di sfratto dalla sede dove opera dovendo altresì risarcire centinaia di migliaia di euro agli ex dipendenti;
   la società Promuovi Italia Spa avrebbe poi presentato domanda di concordato preventivo che, se ammesso dal tribunale, comporterebbe come conseguenza un pregiudizio per i creditori, tra i quali i dipendenti della società stessa, con rischio per il soddisfacimento integrale dei propri diritti di credito;
   il dottor Roberto Rocca, in merito alle vicende descritte, ha trasmesso il 22 giugno scorso una lettera alle Commissioni attività produttive di Camera e Senato nella quale afferma, tra le altre cose, di aver operato anche merito alle vicende di Promuovi Italia Spa sempre in piena condivisione con il Segretario generale, il Capo di gabinetto e il Sottosegretario delegato per il turismo e di aver presentato altre 4 querele-denunce ampiamente documentate avverso la campagna diffamatoria a mezzo stampa nei suoi confronti;
   da un articolo pubblicato il 3 luglio scorso sul Il Sole 24 Ore si apprende che il tribunale di Roma, ha dichiarato il fallimento della società Promuovi Italia Spa e che la Commissione ad hoc istituita il 10 ottobre 2015 ha concluso gli accertamenti interni, il cui esito è stato confermato dai giudici;
   il 15 luglio la Commissione attività produttive ha dato al Governo parere favorevole sulla nomina di Evelina Christillin alla Presidenza dell'Enit, professionista già Presidente della fondazione Museo Egizio e del Teatro Stabile di Torino –:
   se i fatti di cui in premessa trovino riscontro e, nell'eventualità positiva, in quali tempi intenda fornire informazioni, a partire dalle risultanze emerse dell'indagine amministrativa promossa con il decreto ministeriale 10 ottobre 2014, sullo stato dell'arte delle procedure di messa in liquidazione di Promuovi Italia Spa anche per garantire la migliore tutela ai creditori e soprattutto ai lavoratori coinvolti ed in attesa di risarcimento a seguito della dichiarazione di fallimento della società da parte del tribunale di Roma. (4-10184)


   ALLASIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'ENIT, l'Agenzia nazionale del turismo, si occupa di promuovere l'offerta turistica del nostro Paese nel mondo;
   la missione dell'ENIT ha un costo quantificabile intorno ai 23,5 milioni di euro; soldi che sembra vengano spesi più per garantire all'Ente una prospera esistenza che per favorire il rilancio dell'offerta turistica italiana nel mondo, tanto che gli stessi dipendenti, in una lettera recentemente inviata al Presidente del Consiglio dei ministri, sostengono che l'Agenzia «sta compromettendo l'immagine turistica del Paese nei confronti della stampa estera e degli operatori internazionali»;
   nel bilancio di previsione del 2015 si evince che le spese sostenute dall'Agenzia superano addirittura le cospicue entrate; alla voce «previsioni di spesa» è infatti annotato che quasi 19 milioni sono «spese di gestione» e 5 milioni sono «spese per prestazioni istituzionali», di cui 3 milioni sono indirizzati all'organizzazione e partecipazione a fiere, mostre, esposizioni, convegni e congressi, per un costo totale di 24 milioni e 300 mila euro; oltre 115 mila euro vengo spesi per l'acquisto e l'abbonamento a giornali, riviste e servizi stampa, 400 mila euro per accelerare il rilascio dei visti in mercati emergenti, mentre 13 milioni di euro sono spesi per pagare i 180 dipendenti;
   l'ENIT ha 23 sedi sparse in Europa, Asia, Nord America, Oceania e Sud America, con a capo dirigenti che sono pagati oltre 20 mila euro al mese; prima di dimettersi il direttore generale Andrea Babbi, è entrato nel registro degli indagati della procura di Roma, insieme ad altre 17 persone, per via di consulenze poco chiare e dubbi sulla legittimità della sua stessa nomina;
   la stessa Evelina Christillin, nominata a svolgere l'incarico di Presidente dell'Ente, ha ammesso di non avere in tasca la ricetta per far ripartire un «cadavere vivente»;
   il processo di riforma dell'ENIT è stato più volte bloccato per contrastanti vedute all'interno dell'attuale maggioranza di Governo proprio sul ruolo che lo stesso Ente avrebbe potuto svolgere per essere effettivamente in grado di promuovere l'offerta turistica nazionale;
   l'ENIT è entrata nel mirino della Procura per aver sperperato i soldi senza contribuire in modo determinante al rilancio del turismo italiano nel mondo; il fallimento della missione per cui l'Ente è stato istituito richiederebbe quindi una valutazione più approfondita in merito all'utilità di continuare a mantenerne l'esistenza –:
   quali iniziative intenda adottare per rilanciare in modo efficace l'immagine turistica dell'Italia nel mondo, valutando al contempo se possano esserci gli estremi per procedere alla soppressione o ad un eventuale accorpamento con altri enti di settore, dell'Agenzia nazionale del turismo, vista la mancanza di risultati rilevanti nella sua azione promozionale in questi anni. (4-10187)


   RICCIATTI, PAGLIA, FERRARA e ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il turismo rappresenta per l'Italia una risorsa economica fondamentale, capace di contribuire nel 2103 per il 10,3 per cento al prodotto interno lordo nazionale e per lo 11,6 per cento all'occupazione;
   esiste ormai un consenso diffuso sull'importanza decisiva del fattore ambientale nel determinare la capacità attrattiva di un Paese;
   l'Italia avrebbe, quindi, un forte interesse nel tutelare il proprio territorio, investendo nel riequilibrio di aree compromesse da decenni di sfruttamento e incuria e soprattutto evitando di gravarlo di nuovi carichi inquinanti;
   la strategia energetica nazionale e il decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» sembrano purtroppo andare in direzione opposta, puntando sulla moltiplicazione della capacità estrattiva nazionale di petrolio e gas in terra e in mare, con tutto ciò che questo comporta in termini di impatto ambientale negativo;
   al 31 dicembre 2013, risultano vigenti sul territorio italiano 115 permessi di ricerca (di cui 94 in terraferma, e 21 in mare) e 200 concessioni di coltivazione (di cui 134 in terraferma e 66 in mare). Le regioni con il maggior numero di titoli minerari in terraferma, per la maggior parte inattivi e in attesa di autorizzazioni, sarebbero l'Emilia Romagna (72), la Lombardia (31) e Basilicata (31);
   informazioni più aggiornate sono pubblicate sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico, direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, dove si trovano l'elenco delle concessioni di coltivazioni vigenti, la carta dei titoli minerari, la carta degli impianti con relativa selezione in base alla regione, le istanze per il conferimento di concessioni di coltivazione e l'elenco delle società titolari di concessioni di coltivazione;
   ciononostante, non si conosce ad oggi l'attuale mappa delle concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, in essere e in richiesta, con particolare riferimento alle società richiedenti o concessionarie, mentre si susseguono in particolare allarmi sulla stampa relativi a nuove concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, anche in aree particolarmente sviluppate sul piano turistico –:
   quale sia la posizione del Ministro interrogato in ordine ai fatti descritti in premessa e quali elementi di dettaglio intenda fornire, per quanto di competenza, sulla attuale mappatura delle concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, in essere e in richiesta, con particolare riferimento alle società richiedenti o concessionarie, considerate le ricadute negative che ne potrebbero derivare sotto il profilo del rilancio del turismo e se non intenda dare contezza sul sito internet del proprio dicastero delle aree del Paese a vocazione turistica dove sono presenti istanze per il conferimento di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi. (4-10193)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PIRAS, DURANTI, COSTANTINO, NICCHI e RICCIATTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sul social media conosciuto come «Facebook» è presente una pagina pubblica denominata «Esercito Italiano — Comunità», che annovera quasi 300 mila «followers» e che fra le informazioni pubbliche si definisce come «Pagina creata per far conoscere a tutti il lavoro che svolgono gli appartenenti dell'Esercito Italiano, per condividere la passione per questo lavoro, per dare informazioni a coloro che, un giorno ne vorrebbero far parte. Per quel che possiamo, diamo consigli sui vari concorsi, per le varie fasi di selezione e tutto ciò che per voi è l'inizio, l'inizio di entrare in una Grande famiglia, quella dell'Esercito Italiano (...)»;
   su tale pagina, in data 3 agosto 2015, è apparsa una fotografia che ritrae un gommone in mare con una decina di militari con le armi spianate, con la scritta «Questi sono i gommoni che vorrei vedere nel mediterraneo», ed accompagnata da un post recitante: «Voi cosa ne, pensate ? Fatecelo sapere con un mi piace o un commento»;
   tale post presenta oltre 8000 «like» e quasi 5000 visualizzazioni;
   suddetta pagina, pur non essendo ufficiale, utilizza fotografie e simboli dell'Esercito Italiano, generando quindi la facile illusione di rappresentare il Corpo armato in oggetto, articolazione diretta dello Stato italiano;
   sul social media «Facebook» pagine assimilabili a questa sono numerosissime, e resta ferma la libertà di espressione per tutte le comunità, comprese quelle degli appartenenti alle Forze armate, che intendano avvalersi dei nuovi media per rappresentarsi;
   in seguito ai numerosi flussi migratori che interessano il territorio italiano, si è osservato il montare di un crescente clima di paura e razzismo, fomentato oltremodo da alcune forza politiche che arrivano ad auspicare interventi militari diretti all'attacco dei barconi su cui viaggiano i migranti;
   ad avviso degli interroganti, inoltre, il post in questione è allusivo della tragedia dei migranti che si consuma quotidianamente nel Mediterraneo (come denunciato anche, in data 4 agosto 2015, dalla Organizzazione internazionale per le migrazioni, OIM, che parla di oltre 2000 morti solo per il 2015) e lesivo della memoria delle centinaia di vittime in fuga dalla disperazione, data l'idea che si rilancia di uno sbarco militare che irrimediabilmente rinvia ad una immagine di guerra, connotandola positivamente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non intenda attivarsi immediatamente affinché la pagina, lesiva della onorabilità delle Forze armate tutte, sia rimossa;
   se non intenda avviare una indagine ministeriale volta ad appurare i responsabili del post citato in premessa e se non intenda procedere nei loro confronti, qualora appartenenti alle Forze armate, con iniziative disciplinari data la natura violenta del contenuto;
   se non intenda appurare se fra le persone che hanno condiviso e/o rilanciato tale post, vi siano militari di ogni forza e grado;
   se non intenda, ferma restando la libertà di espressione e di aggregazione, monitorare, per quanto di competenza, con puntualità anche i nuovi media, al fine di evitare il ripetersi di tali, gravissimi, episodi. (5-06280)


   PAOLO BERNINI. —Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è stata inoltrata il giorno 11 maggio 2015 una richiesta di intervento presso la direzione marittima del Lazio, relativamente a segnalazioni ricevute dall'interrogante, in merito all'unità iscritta in «uso in conto proprio» (utilizzata come mezzo da lavoro) targata 2GA1072 denominata «Thor» e con licenza concessa dall'ufficio circondariale marittimo di Ponza;
   tale imbarcazione che opera a Ponza – un gommone Brunswick di 8 metri di lunghezza – (di proprietà della ditta Sub Service di De Maio Danilo) che come si evince dalla licenza pervenuta», contestualmente alle segnalazioni, è dotata di motori della potenza complessiva di 294 KW il che, a parere dell'interrogante e rispetto alla normativa vigente, è decisamente superiore a quanto consentito. Infatti, secondo l'articolo 81, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 435 del 1991 e secondo la circolare serie generale n. 50 «Sicurezza della navigazione» del comando generale delle capitanerie di porto, tale imbarcazione non potrebbe essere dotata di motori che superino la potenza massima di 205 CV;
   l'imbarcazione, inoltre, è stata attenzionata anche per una serie di comportamenti non corretti e, tra i tanti, la velocità eccessiva tenuta in prossimità di imbarcazioni da diporto e all'interno del porto stesso anche in presenza dei mezzi della capitaneria di porto dell'ufficio circondariale marittimo di Ponza. Tutte le segnalazioni sono state corredate da immagini che mostrano chiaramente i comportamenti discutibili e che meritano attenzione e, tra i tanti, quello tenuto in occasione della festività locale di San Silverio del giugno scorso, in cui l'unità in questione ha imbarcato a bordo ben 29 persone. L'immagine di tale circostanza che evidenzia un numero così elevato di persone, in difformità da quanto consentito dalla licenza (che consente un massimo di cinque persone), a fianco della locale imbarcazione della capitaneria di porto, suscita un notevole sconcerto;
   l'interrogante segnala inoltre, di aver verificato ictu oculi che i motori attualmente montati sull'imbarcazione non hanno alcuna indicazione, per altro obbligatoria, degli adesivi atti ad indicare la loro potenza in CV. E gli adesivi laterali dei motori – come è possibile verificare da immagini pubblicate sulla pagina facebook del proprietario del mezzo – erano grigi e relativi ai motori Mercury Verado 200, mentre quelli con l'adesivo laterale rosso, quali quelli attualmente in uso, sono di 250 CV di potenza, com’è facile verificare sul sito Mercury di riferimento;
   all'interrogante appare inoltre anche alquanto insolito che, a fronte di quella che appare una così evidente illegittimità e successivamente alla ricezione della puntuale nota inviata il 20 maggio 2015 dalla direzione marittima del Lazio anche presso l'ufficio circondariale marittimo di Ponza, lo stesso abbia coinvolto il mezzo in questione per alcune attività professionali che, comunque, la ditta D.M.B Sub Service continua a prestare attualmente;
   è inoltre doveroso rammentare che la ditta non è l'unica a poter operare in caso di emergenze in mare e che quindi non sussistevano i presupposti del coinvolgimento della stessa in ragione di possibili alternative;
   a seguito della segnalazione dell'interrogante presso la direzione marittima del Lazio dell'11 maggio 2015 la stessa ha inoltrato il 20 maggio 2015 una nota al comando generale con richiesta di condivisione delle valutazioni relative alla difformità della licenza rilasciata dall'ufficio circondariale marittimo di Ponza e dal Rina;
   la replica dell'ufficio sesto del comando generale delle capitanerie di porto è avvenuta solo il 23 luglio 2015 e solo a seguito di numerose e reiterate sollecitazioni anche in ragione del fatto che il giorno successivo l'interrogante si sarebbe recato con la Commissione difesa della Camera di cui è segretario, in visita ispettiva presso il comando generale stesso;
   a tutt'oggi, a quanto consta all'interrogante, non sono stati conclusi gli interventi definitivi atti a ripristinare la legalità e l'imbarcazione continua ad operare;
   non si è evidentemente ritenuto di procedere in alcun modo – o non ne è stato messo a conoscenza l'interrogante – nei confronti dell'ufficio circondariale marittimo di Ponza che non è stato in grado di evidenziare le illegittimità, rilasciando comunque la licenza e consentendo di operare in tale regime l'imbarcazione, né tampoco sono stati emessi provvedimenti nei confronti del Rina – Ente tecnico di classifica –:
   se non si ritenga che il tempo necessario per la soluzione del problema evidenziato sia eccessivo e lasci spazio quindi a letture del caso che possano interpretare queste lungaggini come dei veri e propri favoritismi;
   se non si ritenga opportuno richiedere chiarimenti all'ufficio circondariale marittimo di Ponza in merito al rilascio della licenza e ai comportamenti che, in sua presenza, sono stati consentiti al mezzo di cui sopra e di cui sono raccolte molte testimonianze;
   se non si ritenga che sia necessario che siano effettuati regolari controlli da parte di personale esterno sulle attività delle locali stazioni marittime e capitanerie di porto al fine di garantire che non vi sia la possibilità che si presentino nuovamente casi di questo tipo e che lasciano presupporre che non vi sia personale sufficientemente adeguato, soprattutto in luoghi turistici e affollati e nei quali è opportuno collocare personale dalla comprovata esperienza, anche a garanzia della sicurezza dei bagnanti e dei diportisti;
   se non si ritenga opportuno che siano richieste le dovute spiegazioni all'Ente tecnico di classifica Rina che ha rilasciato, evidentemente, una documentazione che appare all'interrogante illegittima, non garantendo nei confronti dello Stato un efficace e sicuro controllo e non svolgendo il ruolo affidatogli;
   se non si ritenga di dover effettuare una serie di controlli sull'ente certificatore Rina al fine di verificare che non vi siano ulteriori situazioni illegittime e condizioni che non rispondono alla normativa vigente e al ruolo e ai compiti cui l'Ente stesso è preposto. (5-06283)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, contenente «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 e successive modificazioni, all'articolo 1, comma 18, stabilisce che: «Ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative, ad uso pesca, acquacoltura ed attività produttive ad essa connesse, e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto (...) il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino al 31 dicembre 2020 ...»;
   il decreto-legge n. 78 del 19 giugno 2015, recante «disposizioni urgenti in materia di Enti territoriali», approvato in questi giorni dal Parlamento, all'articolo 7, comma 9-duodevicies, stabilisce che: «Le utilizzazioni delle aree di demanio marittimo per finalità diverse da quelle turistico-ricreative, di cantieristica navale, pesca e acquacoltura, in essere al 31 dicembre 2013, sono prorogate fino alla definizione del procedimento di cui al comma 9-septiesdecies e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016»;
   la dicitura «le utilizzazioni delle aree di demanio marittimo per finalità diverse» potrebbe, a parere dell'interrogante, far sorgere dubbi interpretativi circa l'esatta applicazione delle proroghe previste dalla normativa vigente in materia –:
   se non ritengano utile assumere iniziative per fornire una chiara interpretazione della dicitura «finalità diverse» di cui al summenzionato decreto-legge n. 78 del 2015 e chiarire in maniera inequivocabile che le concessioni dei beni demaniali marittimi fluviali e lacuali con le finalità di cui al comma 18 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 194 del 2009 siano prorogate al 2020. (5-06272)


   VIGNALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie appena riprese dalle agenzie, un rapporto di Confartigianato mette in evidenza lo stato critico delle imprese italiane in relazione alla concessione del credito dagli istituti bancari;
   secondo la rilevazione, negli ultimi 4 anni, più precisamente nel periodo da/giugno 2011 a marzo 2015, i finanziamenti erogati dalle banche agli imprenditori sono diminuiti del 10,6 per cento, per un calo complessivo stimato intorno ai 106 miliardi di euro; nello stesso periodo, il rapporto evidenzia come gli investimenti fissi lordi delle imprese mostrano un calo di 51,6 miliardi di euro, pari al –15,9 per cento;
   secondo i dati dell'ufficio studi di Confartigianato, a soffrire maggiormente il razionamento del credito sono le imprese di piccole dimensioni, tanto che a maggio 2015 le aziende fino a 20 dipendenti hanno registrato una diminuzione dei prestiti del 2,3 per cento, rispetto al calo dell'1,6 per cento evidenziato dal totale delle imprese italiane nel corso dell'ultimo anno;
   nello specifico, il settore dell'artigianato è particolarmente colpito dal razionamento del credito, se si nota che a marzo 2015 lo stock di finanziamenti è diminuito del 5 per cento, pari a 2,4 miliardi in meno nell'ultimo anno;
   il calo dei prestiti all'artigianato, secondo quanto riferito, prosegue in realtà da 2 anni, e a marzo 2015 si osserva un'accelerazione del fenomeno rispetto al –3,8 per cento del dicembre 2014 e al –3,5 per cento di un anno prima;
   secondo i dati emersi, il denaro a disposizione delle imprese italiane è più scarso e più costoso: a marzo 2015 un'impresa italiana paga mediamente un tasso d'interesse effettivo pari al 5,53 per cento sui finanziamenti per cassa riferiti ad operazioni in essere e a rischi autoliquidanti e a revoca;
   in tale contesto è da sottolineare poi come i tassi di interesse applicati alle piccole imprese siano superiori di 272 punti base rispetto a quelli applicati alle aziende medio-grandi –:
   se sia a conoscenza dei dati esposti in premessa e se corrispondano a quelli in possesso del Ministero;
   quali urgenti iniziative intenda adottare per contrastare la riduzione del credito alle imprese e per sostenere e rilanciare soprattutto le attività delle aziende di piccole dimensioni che, più delle altre, soffrono il perdurare di questo fenomeno.
(5-06277)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, all'articolo 1, comma 18, stabilisce che: «Ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative (...) nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto (...) il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino al 31 dicembre 2020»;
   il Decreto legge n. 78 del 19 giugno 2015, recentemente convertito in legge recante «disposizioni urgenti in materia di Enti territoriali», all'articolo 7 comma 9-duodevicies stabilisce che: «Le utilizzazioni delle aree di demanio marittimo per finalità diverse da quelle turistico-ricreative, di cantieristica navale, pesca e acquacoltura, in essere al 31 dicembre 2013, sono prorogate fino alla definizione del procedimento di cui al comma 9-septiesdecies e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016»;
   la dicitura «utilizzazioni delle aree di demanio marittimo per finalità diverse» potrebbe, a parere dell'interrogante, far sorgere dubbi interpretativi circa l'esatta applicazione delle proroghe previste dalla nuova normativa introdotta in materia –:
   se non ritenga utile assumere iniziative per fornire una chiara interpretazione della dicitura «finalità diverse» di cui al summenzionato Decreto legge n. 78 del 2015 e chiarire in maniera inequivocabile che le concessioni dei beni demaniali marittimi, fluviali e lacuali con le finalità di cui al comma 18 dell'articolo 1 del Decreto legge 194 del 2009 sono prorogate al 2020. (4-10138)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il signor Gregorio Aversa, capogruppo dei consiglieri di minoranza del comune di Stalettì (Catanzaro) con lettera raccomandata del 4 giugno 2015 indirizzata al prefetto di Catanzaro e per conoscenza al revisore ufficiale dei conti del comune di Stalettì ha chiesto che venga annullata la seduta e la convocazione del consiglio comunale per gravi e reiterate violazioni di legge che possono sintetizzarsi nella mancata approvazione del bilancio consuntivo per l'anno 2014 nei termini di cui all'articolo 141 del n. 267 del 2000 e il mancato deposito degli atti di cui all'articolo 227 del n. 267 del 2000;
   il decreto del 16 marzo 2015 indica tassativamente il termine del 31 maggio 2015 per l'approvazione del bilancio consuntivo;
   l'articolo 227 del n. 267 del 2000 prevede che la documentazione deve essere depositata almeno 20 giorni prima della sessione di discussione del bilancio e messa a disposizione presso la segreteria comunale, nei tempi e nei modi previsti così da consentire ai consiglieri un'approfondita disamina del conto e di apportare osservazioni di merito anche con emendamenti da inserire nell'ordine del giorno della seduta di consiglio comunale;
   il signor Aversa, dopo aver richiesto di visionare la succitata documentazione è stato, in prima istanza, invitato a soprassedere con la promessa di vedersi recapitare quanto chiesto via mail – promessa disattesa – per poi ricevere, in data 1o giugno 2015, la convocazione del consiglio comunale con l'ordine del giorno «approvazione conto consuntivo 2014, per il giorno 8 giugno 2015 in prima seduta, e 9 giugno 2015 in seconda adunanza»;
   il signor Aversa in data 3 giugno 2015 si è recato nuovamente presso la segreteria comunale per prendere visione della documentazione depositata ottenendo questa volta il sospirato fascicolo al cui interno, tuttavia, non erano presenti la relazione /parere del revisore e la notifica prefettizia con la quale si autorizzava lo slittamento dei termini per l'approvazione del conto in seduta consigliare. Dopo aver richiesto i documenti mancanti la funzionaria rispondeva di non essere in grado di fornire quanto richiesto e che sarebbero stati disponibili ventiquattro ore prima della discussione del bilancio. In quella sede il signor Aversa redigeva opportuno verbale di constatazione ed in data 1o giugno 2015 tornava a chiedere con un'altra nota la documentazione completa del conto consuntivo, ancora una volta senza successo;
   l'interrogante ha appreso, altresì, con delibera della giunta comunale n. 39 del 2015 che l'amministrazione comunale procedeva al riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi secondo il decreto-legge n. 118 del 2012 – la stessa delibera che deve essere adottata nella giornata dell'approvazione del consuntivo – ma al momento dell'adozione non era supportata da parere del revisore contabile così come previsto dalla normativa, parere che poi giungerà in data 15 giugno 2015 positivo con riserva. Il revisore nel parere al conto 2014 esprime specifiche riserve e annota irregolarità in materia di debiti fuori bilancio non riportati ed esprime, altresì, riserve e perplessità sul modo di operare della giunta e dei suoi uffici comunali;
   nell'ambito del conto consuntivo esercizio 2014 approvato in data 8 giugno 2015, nel parere/relazione del revisore dei conti, si evidenzia la costante prassi di operare (su alcuni atti specifici, delibera della giunta comunale e delibera del consiglio comunale) senza che gli stessi fossero supportati da pareri tecnici e finanziari. Un chiaro esempio è rappresentato dalla delibera della giunta comunale n. 31 del 2015 con la quale si impiegano 34.000 euro per attivare due cantieri nella frazione di Copanello, 26.000 euro per i lavori di rifacimento di piazza Susanna e 25.000 euro per Caminia/Panajia, senza che vi sia stato il parere di regolarità finanziaria e tecnica. Per quest'ultimo cantiere, in particolare, è stata attuata una procedura illegittima, in quanto, sono stati svolti i lavori senza determinazione d'impegno e senza parere di copertura finanziaria attivando un cottimo fiduciario con una sola ditta e senza che l'atto abbia data certa. Detta procedura è adottata per fare lavori senza progetti/perizie approvate dagli organi competenti ed in assenza di piano previsionale 2015 nonché in assenza di previsione nel piano delle opere pubbliche e del piano pluriennale di bilancio. L'atto di determinazione d'impegno di spesa dei lavori di Caminia/panajia non trova parere favorevole del responsabile finanziario, quindi non gode di copertura finanziaria, avendo adottato atti nulli e illegittimi. Nello stesso cantiere sono stati tagliati circa 37 alberi d'alto fusto senza parere compiuto del servizio forestale e dell'autorità di bacino regionale;
   nel conto consuntivo esercizio 2014 non sono riportati debiti fuori bilancio per 67.000 euro circa contratti nell'ambito di una gestione consortile di un depuratore tra i comuni di Montauro, Stalettì, Gasperina, Soverato e Montepaone. Per gli anni 2013 e 2014 il comune di Montauro, in quanto creditore, ha regolarmente chiesto il pagamento delle somme. Dopo la diffida legale del 17 giugno 2015 svolta dal comune di Montauro la giunta comunale con delibera della giunta comunale n. 46 del 2015 ha autorizzato la transazione per la prima tranche, senza che tale debito passasse per la procedura di riconoscimento in consiglio comunale e senza che il consuntivo 2014 annotasse alcuna passività –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti e quali risposte abbia fornito o intenda fornire il prefetto in relazione alla segnalazione inoltrata dal capogruppo dei consiglieri di minoranza del comune di Stalettì;
   se, alla luce di quanto esposto, non si ritenga che sussistano i presupposti per promuovere una verifica amministrativa-contabile da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica. (4-10145)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dei fatti accaduti presso il tribunale di Milano, ove sono state uccise tre persone, sono stati adottati diversi provvedimenti finalizzati a garantire maggiori livelli di tutela e sicurezza presso i tribunali Italiani;
   tali provvedimenti, seppur in astratto idonei, a Napoli si sono rivelati del tutto improvvisati e inefficaci per carenza di organizzazione e di idonei mezzi strumentali tanto che si sono verificati forti momenti di tensione provocati dalle nuove disposizioni che hanno rallentato e rallentano tutt'oggi l'accesso al tribunale da parte degli operatori di giustizia;
   episodi, questi, che la stampa nazionale e locale e testate radiotelevisive hanno riferito a giudizio dell'interrogante in modo non aderente al reale svolgersi degli accadimenti raccontati, dipingendo in maniera vergognosa il comportamento degli avvocati partenopei i quali hanno subito passivamente un provvedimento che li ha costretti a numerose e snervanti code prima di poter esercitare la loro funzione di difesa costituzionalmente garantita;
   a fronte di questa situazione gli unici dati oggettivi che vanno rilevati e sottolineati sono la carenza di strumentazione (metal detector) nonché l'insufficienza numerica dei varchi di ingresso al palazzo di giustizia di Napoli, principali cause del crearsi di code, i cui tempi di attesa si aggirano intorno alle tre ore ciò inevitabilmente compromette il regolare svolgimento delle udienze, con conseguente danno irreparabile per i cittadini i quali già sono ampiamente vessati a causa dei tempi e dei costi della giustizia –:
   se il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, urgenti e appropriate iniziative, anche di carattere normativo, al fine di:
    a) garantire i più elevati livelli di sicurezza a cittadini e operatori nei luoghi ove si amministra la giustizia;
    b) rimuovere le disfunzioni di carattere organizzativo, causa in più parti del paese di gravissime situazioni, come quella manifestatasi presso il Tribunale di Napoli, scongiurandone in futuro ogni loro possibile riproposizione. (3-01672)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SGAMBATO, CARLONI, MANFREDI e ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Decreto-Legge del 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla Legge 21 febbraio 2014 n. 10, novellando l'articolo 275 bis c.p.p., ha stabilito che il giudice, nel disporre la misura degli arresti domiciliari, debba prescrivere procedure di controllo a distanza mediante mezzi elettronici «salvo che le ritenga non necessarie»;
   nello spirito della riforma, la misura in questione dovrebbe costituire non l'eccezione ma la regola in quanto il giudice, nel disporre gli arresti domiciliari, qualora ritenga di non disporre la citata procedura di controllo in oggetto, dovrà congruamente motivare sul punto;
   i braccialetti elettronici messi a disposizione dalla Telecom, dopo la sottoscrizione della convenzione con il Ministero della giustizia, sono duemila in tutta Italia e, a quanto sembra, il rinnovo di tale convenzione non sarebbe, allo stato, possibile a causa della mancanza della necessaria copertura finanziaria;
   malgrado gli elevatissimi costi della citata convenzione, a causa dell'insufficienza dei dispositivi elettronici disponibili, si registra la concreta disapplicazione della misura in quanto, in numerosissimi casi, le misure disposte dal giudice e non ancora messe in esecuzione, potranno essere applicate in concreto solo dopo il recupero, per fine misura, di un dispositivo già in uso, e sempre che ciò si verifichi;
   tale anomala situazione genera liste d'attesa non previste né regolamentate dalla legge, con conseguenti ed inevitabili disparità di trattamento;
   l'avvocatura sammaritana riscontra che la richiesta di braccialetti elettronici per i detenuti agli arresti domiciliari ha ormai ampiamente superato la utilizzabilità dei dispositivi elettronici concretamente disponibili (2000) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non ritenga utile intervenire al fine di garantire, per i detenuti che hanno ottenuto gli arresti domiciliari, la possibilità di dare esecuzione alla misura prevista, evitando, anche, la violazione del diritto alla libertà costituzionalmente garantito (articolo 13 Cost.) (5-06263)


   FABBRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   L'articolo 44 del decreto-legge 90/2104 prevede l'obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali. In particolare, l'articolo dispone che l'obbligo del deposito telematico — oggi previsto a decorrere dal 30 giugno 2014 — interessa esclusivamente i procedimenti iniziati davanti al tribunale ordinario dal 30 giugno 2014; per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014, l'obbligo del deposito telematico decorre dal 31 dicembre 2014; fino a tale data, gli atti processuali e i documenti possono comunque – anche se non devono – essere depositati con modalità telematiche e in tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità. Il Ministro della giustizia può individuare i tribunali nei quali viene anticipato, nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2014, il termine fissato dalla legge per l'obbligatorietà del deposito telematico. In fine è introdotta, a decorrere dal 30 giugno 2015, una disciplina – analoga a quella del procedimento civile davanti al tribunale – sull'obbligo del deposito degli atti processuali in forma telematica nei procedimenti civili davanti alla corte d'appello;
   l'intervento normativo succitato fa seguito a una lunga serie di modifiche legislative dirette a favorire la digitalizzazione del processo, iniziata con il decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti), in attuazione di una disposizione della c.d. Legge Bassanini volta a riconoscere in via generale valore legale agli atti e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici (articolo 15, comma 2 della legge 59/97).
   da allora numerosi interventi legislativi hanno cercato di estendere sempre più l'area e l'effettiva applicazione del processo telematico che dovrebbe consentire di svolgere in via telematica una serie di attività tipicamente processuali finora realizzate in forma cartacea;
   nonostante l'emanazione delle disposizioni indicate, l'esperienza concreta dimostra che il processo di informatizzazione della giustizia, anche se oltre un decennio è trascorso dalla prima legge in materia, non trova piena ed efficace attuazione con relativo dispendio e spreco di risorse pubbliche sempre più limitate;
   il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, ha dichiarato a mezzo stampa che la procura di Bologna ha finito i fondi da destinare alle auto che ogni giorno vengono usate per spostare magistrati e fascicoli su e giù per il territorio dell'Emilia-Romagna –:
   quale sia lo stato dell'arte nei tribunali italiani da un punto di vista delle dotazioni e strumentazioni informatiche e tecnologiche, quali le risorse investite per consentire il passaggio dal cartaceo alla digitalizzazione dei documenti e come intenda intervenire, per piano di competenza, per smaltire l'arretrato documentale, così come denunciato dal procuratore di Bologna. (5-06273)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GREGORI e FASSINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 luglio 2015, Paola, bracciante quarantanovenne di San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto, è deceduta mentre lavorava in un campo d'uva;
   le circostanze del decesso e delle ore successive, presentano una serie di elementi poco chiari sui quali è doveroso fare luce;
   come denunciato dalla Cgil, la morte è avvenuta il 13 luglio 2015, ma se n’è avuto notizia solo in questi giorni. Inoltre, fatto ben più grave, le autorità giudiziarie hanno autorizzato la sepoltura della salma, senza prima aver disposto l'autopsia;
   come previsto dal codice di procedura penale, in caso di decesso l'intervento della procura è finalizzato a verificare che la morte non sia la conseguenza di comportamenti (attivi od omissivi) con rilevanza penale. La procura interviene autorizzando l'autopsia anche in caso di morte in circostanze da accertare (tutti i casi in cui sussistano dubbi circa la causa naturale del decesso, comprese le morti improvvise di minore, nonché i casi di presunta omissione e/o negligenza medica) o comunque in caso di rinvenimento di cadavere in luogo pubblico anche se la causa di morte è naturale;
   la mancata autopsia della bracciante pugliese, dunque, rappresenta secondo gli interroganti una grave negligenza;
   in circostanze analoghe, il 20 luglio 2015, nelle campagne salentine tra Nardò e Avetrana, in località Pittuini, mentre era intento al lavoro nei campi, un bracciante agricolo immigrato di nazionalità sudanese, Abdullah Mohammed, 47 anni, giunto in Salento solo da pochi giorni, si è accasciato al suolo ed è successivamente deceduto, stroncato da un malore, mentre era intento al lavoro nei campi di pomodoro;
   come già emerso negli anni scorsi, grazie al lavoro degli inquirenti, alle denunce sindacali e a numerose inchieste giornalistiche, le campagne pugliesi sono state identificate, in non poche occasioni, come un luogo di lavoro durissimo, sottopagato, privo delle più elementari norme di sicurezza e di tutela del lavoro;
   nonostante l'introduzione nel codice penale, con il decreto-legge del 13 agosto 2011, n. 138, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (articolo 603-bis), la situazione presenta ancora gravi illeciti e violazioni dei diritti della persona e del lavoro, come denunciano i sindacati e le organizzazioni non governative come Emergency che operano nella zona –:
   se il Ministro interrogato non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di cui in premessa ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-10146)


   NESCI, DIENI, SARTI, AGOSTINELLI, PARENTELA, COLLETTI e FERRARESI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la prima firmataria ha presentato, il 12 settembre 2014, l'interrogazione a risposta scritta n. 4-06017, a proposito della lentezza di processi riguardanti reati contro la pubblica amministrazione presso il tribunale di Catanzaro, anche sulla scorta delle dichiarazioni del sostituto procuratore Gerardo Dominijanni, secondo il quale «è vero che c’è una mancanza di magistrati e c’è un carico di lavoro che non permette di condurre i processi in maniera celere, ma è anche vero che questi procedimenti dovrebbero avere una corsia preferenziale [...] I calabresi hanno il sacrosanto diritto di sapere se chi gestisce la cosa pubblica è colpevole o innocente rispetto alle gravi accuse che gli vengono mosse. Ritengo che le direttive del Tribunale vadano in senso contrario, non è possibile fare un'udienza al mese per solo due ore. Significa frammentare la prova in maniera eccessiva. Ripeto, è proprio la legge che assegna a questi processi una loro specifica peculiarità»;
   dal 16 settembre 2014 la prima firmataria ha presentato numerosi esposti alla procura della Repubblica di Catanzaro;
   il primo degli esposti, presentato il 16 settembre 2014, riguardava la nomina di direttori generali di aziende ospedaliere da parte della giunta regionale della Calabria, presieduta allora dal presidente facente funzioni Antonella Stasi;
   il 22 settembre 2014 è stato presentato un esposto su nomine dirigenziali e su compensi che sarebbero stati corrisposti illegittimamente, secondo una relazione – di sintesi della Ragioneria Generale dello Stato, risalente al febbraio 2014;
   il 23 settembre è stato depositato un nuovo esposto alla Procura di Catanzaro, questa volta sulla fondazione Terina, sui 41 lavoratori che da mesi non ricevevano lo stipendio e su nomine dei vertici della fondazione stessa, da parte della giunta regionale, in regime di prorogatio;
   il primo ottobre 2014, ancora, è stato presentato un esposto in merito al cambio dell'Autorità di gestione del programma operativo Fesr 2007-2013;
   il 19 novembre 2014 il deputato M5s Paolo Parentela ha presentato un esposto alla Procura di Catanzaro (reiterato il primo dicembre) affinché fossero verificate le assenze presso il dipartimento regionale per la Salute imputate dalla stampa al subcommissario Andra Urbani, il quale per il suo incarico riceve 8 mila euro al mese;

il 2 febbraio 2015 la prima firmataria ha depositato insieme al senatore del Movimento cinque stelle Nicola Morra un esposto alla procura di Catanzaro in merito all'autorizzazione e all'accreditamento della struttura sanitaria nel complesso monastico medievale dell'abbazia florense di San Giovanni in Fiore (Cosenza);
   il 17 febbraio 2015, insieme a tutti i parlamentari M5s calabresi (Nicola Morra, Paolo Parentela, Federica Dieni), prima firmataria del presente atto ha presentato un nuovo esposto sulla cardiochirurgia pubblica a Reggio Calabria e sull'organizzazione della specialità sul territorio regionale;
   il 20 febbraio 2015, ancora insieme a Nicola Morra, Paolo Parentela e Federica Dieni, è stato depositato un esposto ancora alla Procura di Catanzaro in merito alla mancata riattivazione dell'Ospedale di Praia a Mare (Cosenza), nonostante sentenza dispositiva del Consiglio di Stato;
   il 21 maggio 2015 sono stati presentati due nuovi esposti dalla sottoscritta e dal deputato M5s Paolo Parentela protocollati direttamente presso la procura di Catanzaro, contestualmente a un incontro col procuratore capo, dottor Antonio Vincenzo Lombardo;
   i summenzionati esposti riguardavano: i finanziamenti corrisposti annualmente dalla regione Calabria all'azienda universitario-ospedaliera «Mater Domini» e la convenzione dell'ospedale di Catanzaro «Pugliese-Ciaccio» con l'ospedale «Bambino Gesù» di Roma;
   in questa sede preme ricordare, ancora, l'esposto presentato 1'8 aprile 2015, sempre alla procura di Catanzaro, in merito alle nomine dirigenziali alle aziende ospedaliere e sanitaria di Reggio Calabria. In quella circostanza la prima firmataria ha chiesto alla magistratura di accertare eventuali reati per il conferimento, da parte del commissario aziendale Frank Benedetto, dell'incarico di direttore amministrativo dell'Azienda ospedaliera reggina al dirigente regionale in pensione Giulio Carpentieri;
   nel medesimo esposto si chiedeva lo stesso accertamento anche per la nomina, deliberata dalla giunta regionale, a commissario dell'Asp reggina di Santo Gioffrè, già assessore della Provincia di Reggio Calabria e poi candidato sindaco a Seminara, nel 2013;
   il mese dopo (28 maggio) è stato depositato ancora un esposto alla procura di Catanzaro in merito a cinque decreti del commissario ad acta per l'attuazione del debito sanitario della Regione Calabria, Massimo Scura, a parere degli interroganti illegittimi: il numero 18, 25, 28, 40 e 41, relativi a revoche d'incarichi nell'amministrazione regionale, all'istituzione di uno staff del commissario alla sanità calabrese, alla sottrazione di competenze a un dirigente del dipartimento per la salute, alla nomina di un contabile a 600 euro al giorno per il buco all'Asp di Reggio Calabria e all'autorizzazione, data alla stessa azienda, per assumere in proposito due consulenti esterni in violazione del blocco del turn over;
   il 3 giugno la prima firmataria del presente atto ha informato nuovamente la procura di Catanzaro in relazione ai conti di cui sopra dell'Asp di Reggio Calabria e all'approvazione di due recenti decreti del commissario alla sanità regionale, Massimo Scura;
   a riguardo preme ricordare che la sottoscritta, per i rilievi di illegittimità presentati anche nell'esposto summenzionato del 28 maggio, aveva diffidato il commissario Santo Gioffrè dal deliberare sulla scorta di tali decreti;
   il 18 giugno è stato presentato dalla prima firmataria del presente atto un esposto anche sulla «illecita interferenza dei commissari Scura ed Urbani» in merito all'attivazione della cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera «Bianchi-Melacrino-Morelli» di Reggio Calabria;
   a questa lunga serie di esposti, il dottor Lombardo, nonostante le rassicurazioni fornite alla prima firmataria del presente atto e al deputato Paolo Parentela nel corso dell'incontro summenzionato del 21 maggio, non ha ancora dato risposta né risulta agli interroganti che indagini siano state avviate, pur trattandosi di attività investigativa non complessa in quanto espletabile su atti e documenti già esistenti;
   dinnanzi a ciò, come riportato anche da «Il Corriere della Calabria» del 17 luglio 2015, la prima firmataria, insieme al collega Parentela, ha scritto una lettera aperta al dottor Lombardo;
   nella missiva si sottolinea che «non avendo avuto riscontro in ordine all'inizio dell'attività di indagine, le abbiamo chiesto un apposito incontro in cui, come ricorderà, lei ci ha garantito l'operatività della procura. Pertanto, con la presente, nel sollecitarle quel riscontro che si era impegnato a fornire, le comunichiamo che in mancanza chiederemo agli organismi competenti di conoscere i motivi di un atteggiamento della procura che sarebbe incomprensibile, in ordine agli esposti presentati»;
   il primo luglio 2015, il summenzionato commissario straordinario dell'Asp di Reggio Calabria, Santo Gioffrè, con delibera n. 459, affidava due incarichi di consulenza per una durata di tre mesi rinnovabili per ulteriori tre mesi, uno dei quali all'avvocato Giuseppe Lombardo, figlio del procuratore della Repubblica di Catanzaro;
   la delibera di cui sopra è stata approvata dal commissario Gioffrè pochi giorni dopo gli esposti presentati alla procura di Catanzaro riguardanti, tra le altre cose, la nomina dello stesso Gioffrè a commissario dell'Asp di Reggio Calabria (di cui peraltro la prima firmataria si è già occupata con l'interrogazione a risposta in commissione 5-05371 presentata giovedì 16 aprile 2015);
   in questa circostanza preme, ancora, sottolineare che Giuseppe Lombardo è stato assessore esterno con deleghe al contenzioso e al personale presso il comune di Bagnara Calabra in Reggio Calabria dal 2009, nominato dal sindaco Santi Zappalà, ex consigliere regionale del centrodestra, condannato in appello per corruzione elettorale aggravata per aver comprato un pacchetto di voti dalla cosca Pelle di San Luca alle elezioni regionali del 2010 –:
   se siano a conoscenza dei fatti suesposti;
   se non ritenga opportuno inviare con urgenza ispettori ministeriali alla Procura di Catanzaro per verificare l'andamento delle indagini sui presunti reati contro la pubblica amministrazione evidenziati nei ricordati esposti. (4-10161)


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane gli organi di stampa hanno riferito i particolari di un'inchiesta che ha portato all'arresto di quattordici persone in relazione al furto di 15 milioni di euro, avvenuto tre anni fa, ai danni di una filiale del Banco di Napoli di Foggia;
   da un articolo de la Repubblica.it dell'11 marzo 2015, ripreso poi da altri quotidiani, è stata diffusa la notizia di un presunto «interessamento» del deputato Lello Di Gioia, presidente della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, ai fini del recupero di una parte della refurtiva sottratta dalle cassette di sicurezza dell'istituto di credito;
   nello specifico, gli organi di stampa fanno riferimento a un rapporto della squadra mobile secondo il quale il deputato – che comunque non è indagato essendo del tutto estraneo ai fatti criminosi – avrebbe avuto contatti con alcuni indagati esercitando «un ruolo di intermediazione per far recuperare una parte della refurtiva in possesso della banda»;
   l'interessato ha recisamente smentito ogni coinvolgimento nella vicenda;
   tenuto conto che al parlamentare non viene mosso alcun addebito da parte degli inquirenti e che oltretutto l'informativa di polizia non risulterebbe neppure dall'ordinanza con la quale è stato disposto l'arresto degli indagati, ci si chiede in primo luogo in base a quali presupposti il predetto rapporto sia stato redatto ed in secondo luogo come mai il citato rapporto, suscettibile di arrecare un evidente danno di immagine a una personalità che ricopre importanti incarichi politici e istituzionali, sia stato reso noto e diffuso alla stampa –:
   di quali elementi – da acquisire anche, per quanto riguarda il Ministro dell'interno, attraverso una indagine amministrativa – dispongano i Ministri interrogati al riguardo e quali iniziative di competenza intenda adottare. (4-10168)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI, RIZZO, FRUSONE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina del parcheggio all'interno dei centri abitati è materia di competenza dei comuni, che possono regolamentarla al fine di rispondere alle specifiche esigenze di fruibilità e utilizzazione degli spazi da parte dei cittadini;
   nell'ambito di tale regolamentazione, al comune è consentito prevedere il pagamento di una tariffa per il parcheggio, al fine ad esempio di favorire il ricambio più o meno frequente dei veicoli in determinate zone;
   l'articolo 157, comma 8, del codice della strada prevede, in caso di mancato pagamento di detta tariffa, una sanzione amministrativa dell'importo minimo di 41 euro, mentre, nel caso in cui un soggetto provveda al regolare pagamento del titolo di sosta, ma non rispetti i limiti temporali previsti, la legge non è altrettanto chiara nell'individuare la sanzione applicabile;
   secondo un'interpretazione, avallata tra l'altro dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), il trattamento sanzionatorio applicabile sarebbe quello previsto dall'articolo 7, comma 15, del codice della strada, che prevede una sanzione amministrativa dell'importo minimo di euro 25;
   secondo altra ricostruzione, a cui ha aderito anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il mancato pagamento per la parte di tempo non coperta darebbe luogo ad un mero illecito civile, obbligando il trasgressore ad integrare il ticket fino a copertura totale del periodo di sosta effettuato;
   il contrasto in merito al corretto trattamento sanzionatorio ha ingenerato nel corso del tempo un florido contenzioso giudiziario, a cui il legislatore non ha ancora provveduto a porre termine disciplinando in modo più chiaro la fattispecie, appena descritta;
   si segnala a tal proposito che il primo firmatario del presente atto ha presentato in data 31 marzo 2014 la risoluzione n. 8-00047, approvata dalla Commissione trasporti in data 1o aprile 2014, chiedendo che il Governo assumesse iniziative per rivedere l'attuale normativa relativa alla sosta tariffata al fine di risolvere i profili di contraddittorietà di cui in parola;
   a distanza di più di un anno tali profili di contraddittorietà non hanno trovato soluzione; al contrario si sono acuiti dal momento che, con nota del 12 maggio 2015, il Ministero ha fornito un'ulteriore interpretazione della normativa vigente, precisando che assume rilievo decisivo, ai fini del corretto trattamento sanzionatorio della fattispecie sopra descritta, la circostanza che la violazione sia avvenuta nell'ambito di una sosta regolamentata, cioè quella oggetto di specifica disciplina adottata per corrispondere alle esigenze di regolamentazione della circolazione, oppure nel contesto di una sosta non regolamentata, consentita a tempo indeterminato e subordinata al solo pagamento di una somma;
   nel primo caso, troverebbe applicazione la sanzione prevista dal comma 15 dell'articolo 7 del codice della strada, mentre in caso contrario la violazione configurerebbe un mero illecito civile, obbligando il trasgressore solo all'integrazione del ticket;
   appare ovvio che tale sottilissima distinzione, già peraltro contestata da numerosi comuni italiani, sarà foriera in futuro di ulteriori filoni interpretativi, destinati a ingolfare le già oberate cancellerie degli uffici giudiziari –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare al fine di porre fine all'incertezza normativa descritta in premessa e se, in tale ottica, non reputi opportuno introdurre un sistema sanzionatorio graduale che tenga conto dei tempi di permanenza illegittimi e stabilisca una soglia di tolleranza non soggetta a sanzione. (4-10133)


   SORIAL. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti di stampa, alcune centinaia di imprenditori agricoli del bresciano, a cui sono stati espropriati i terreni per la costruzione della cosiddetta «Corda molle», il raccordo tra le autostrade A4 e A21 da Castenedolo ad Azzano Mella, non avrebbero ancora ricevuto i 50 milioni di euro di indennizzo a loro dovuti, promessi a più riprese da otto anni e mai arrivati a destinazione, e sembra che, nel frattempo, siano costretti a pagare ancora l'imu su questi terreni;
   gli imprenditori in questione, nei cui terreni da sette anni sono aperti i cantieri, si dicono pronti ad indire una protesta con i trattori che vada avanti, ad oltranza, anche perché sono stati di fatto abbandonati a se stessi, non avendo nemmeno più una realtà con cui interloquire e trovare un accordo, nonostante sembrava fosse stata raggiunta precedentemente un'intesa con il Ministero, Anas e società autostradale Centro Padane che a gennaio 2015 avevano promesso una soluzione a breve;
   relativamente alla infrastruttura «Corda molle» sembrerebbe sussistere anche un problema legato alle opere accessorie che dovrebbero ancora essere completate, strade e canali in carico alla società Gavio, vincitrice della concessione per l'A21;
   gli agricoltori lamentano il fatto che molti, espropriati dei loro terreni, abbiano dovuto spostare la propria attività e adesso si trovino in difficoltà per debiti contratti e finanziamenti che faticano a pagare;
   il raccordo autostradale Corda Molle, è un'infrastruttura autostradale tristemente nota anche sotto l'aspetto della sicurezza viabilistica in considerazione della sua pericolosità, che avrebbe causato in questi anni molti incidenti anche mortali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del problema su citato e in che modo intendano attivarsi, per quanto di competenza, per risolvere le diverse criticità scaturite da questa infrastruttura, a partire da un immediato doveroso indennizzo agli imprenditori agricoli coinvolti e da una celere messa in sicurezza della strada in questione. (4-10141)


   ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella strada Traversante Pedrignano che costeggia la linea dell'alta velocità della Ferrovia mancano le barriere antirumore;
   essendo il tratto interessato abitato ciò determina un notevole disagio per i residenti;
   la strada è inoltre, nonostante il divieto, continuamente percorsa da mezzi pesanti. Ciò crea un ulteriore in chi vi abita, creando una situazione di inquinamento acustico che rende la quotidianità molto difficile;
   già da tempo, rispetto a tale problema, è stata fatta richiesta di installazione di un dissuasore di velocità, ma l'amministrazione comunale non ha provveduto;
   gli interroganti, unitamente al collega senatore Giorgio Pagliari hanno sollecitato, con nota inviata il 5 agosto, all'amministratore delegato di Trenitalia la posa delle barriere nel tratto indicato –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative affinché Ferrovie dello Stato italiane provveda alla posa delle barriere antirumore lungo il tratto indicato.
(4-10149)


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i vulcani di fango sono manifestazioni pseudo vulcaniche, consistenti in sorgenti di acqua, generalmente fredda, più o meno fangosa e molto spesso salata, originata dall'esistenza del sottosuolo di gas naturali sotto pressione, i quali tendono a risalire verso la superficie attraverso discontinuità litologiche e/o strutturali, trascinando nel loro movimento acqua, fango e gas;
   l'accumulo dei depositi limosi porta alla formazione di morfologie di dimensioni generalmente metriche, rappresentate principalmente da edifici a tronco di cono;
   in Sicilia manifestazioni del genere sono presenti a Paternò e Belpasso (Catania), a Maccalube di Terra Pelata (Caltanissetta), ad Aragona, Cattolica Eraclea e Bivona (Agrigento);
   il materiale espulso dalle suddette formazioni consiste in acqua, gas e fango. In particolare i gas emessi indicano un'alta percentuale di metano (CH4) con concentrazioni che arrivano fino al 27 per cento di volume e il fango consta di materiale argilloso che non ha avuto il tempo di consolidarsi;
   sono in atto i lavori per il raddoppio della strada statale 640, con congiungimento fino allo svincolo autostradale della A19 e i lavori interessano anche la galleria che passa sotto il capoluogo nisseno per circa 4 chilometri. La talpa, ovvero il funzionale macchinario che sta scavando la doppia canna sta provocando, come era naturale, delle vibrazioni nella zona di via Pietro Leone, con danni alle abitazioni e rumori avvertiti dai residenti;
   da uno studio presentato a Caltanissetta il 23 aprile 2014 dal professor Vincenzo Liguori, docente universitario di Geologia applicata presso la facoltà di ingegneria dell'ateneo palermitano, emerge che:
    la galleria Caltanissetta a doppia canna è tra vie principali opere d'arte dell'itinerario Agrigento – Caltanissetta – A19 e presenta sezione circolare avente diametro di scavo pari circa 13,40 metri. Le due canne hanno interasse compreso tra circa 35 e 80 metri e si sviluppano per una lunghezza di circa 4 chilometri, per buona parte dei quali al di sotto della città di Caltanissetta. L'altezza di copertura per la quasi totalità del tracciato sarà compresa tra circa 80 e 110 metri, tranne che nelle zone di imbocco dove sarà limitata ad alcune decine di metri. Le gallerie verranno realizzate a piena sezione mediante scavo meccanizzato con fresa;
    la litologia fa emergere che il terreno di scavo viene condizionato, tramite linee poste sulla testa, da una miscela composta da acqua, schiuma ed additivo in percentuali diverse a seconda delle caratteristiche geotecniche e geologiche dei terreni attraversati. Nel caso della galleria Caltanissetta i terreni attraversati sono essenzialmente di tre tipi diversi, di cui due sono composti da trubi e argille brecciate (con comportamento e parametri geotecnici ascrivibili alla famiglia delle argille) e le altre da brecce calcaree che invece sono ammassi rocciosi calcarei. Il condizionamento del terreno è fondamentale al fine di garantire al «fronte» la capacità di applicare la pressione (EPBM) in modo omogeneo e regolare, nonché riempire, adeguatamente la coclea in particolare per gli scavi sotto falda;
    nel caso specifico, data l'elevata collosità delle argille studiate, si è verificata costantemente la possibilità di estrarre correttamente il materiale mediante coclea, minimizzando il rischio di intasamento;
    in particolare il profilo geologico nel quale si innesta la galleria Caltanissetta prevede l'attraversamento delle formazioni dei terreni sopra elencate nella successione di seguito descritta: dall'imbocco per circa 40 metri sono presenti sabbie con spessori di circa 10-15 metri (Sabbie di Lannari), ricoprenti un substrato argillo marnoso dalle argille marnose di Geracello (GER);
    di seguito si ha una successione di trubi (per circa 150 metri) e argille marnose (per circa 300 metri) che evidenziano una serie di fasce tettonizzate per circa il 60 per cento della distanza;
    seguono (per circa 2200 metri) una successione di trubi e brecce argillose con presenza di fasce tettonizzate, sino al riscontro di una zona caratterizzata da calcare di base, fratturato, saturo. La parte terminale dello scavo incontra brecce argillose;
    dal chilometro 13,590 sino al chilometro 13,865, una discontinuità tettonica a bassa inclinazione (circa 30 gradi) associata ad un sovrascorrimento, porta le argille tortoniane ad appoggiarsi sulla serie pliocenica dei trubi;
    la fascia tettonizzata rientra in quella definita nel precedente punto;
    dal chilometro 13,865 al chilometro 15,120 il tracciato della galleria attraversa le argille brecciate plioceniche (TRBA);
    al chilometro 13,940, in particolare, è probabile l'intersezione con una fascia tettonizzata larga 30 metri indotta da discontinuità con carattere distensivo a bassa dislocazione;
    al chilometro 14,100 le indagini svolte (sismica a riflessione – SSR4) hanno evidenziato un'altra fascia tettonizzata, ampia 30 – 40 metri, associata ad altre strutture distensive a bassa dislocazione;
    al chilometro 14,260 il tracciato della galleria sfiora una probabile sacca di calcari evaporatici, immediatamente sottostante alle argille brecciate plioceniche, entro cui avverrà lo scavo;
    al chilometro 14,490 le indagini svolte (sismica a riflessione – SSR3) hanno evidenziato un'ulteriore fascia tettonizzata, ampia 40-50 metri, associata ad altre strutture distensive;
    nella zona particolarmente interessata dal tracciato della galleria si individuano strutture tettoniche riconducibili a due fasi sovrapposte: una fase tettonica infrapliocenica che ha interessato i trubi, le argille brecciate IV ed i termini più antichi, fino ai gessi, al calcare di base ed alle argille tortoniane;
    una fase di età suprapliocenica o post pliocenica che ha interessato anche i termini regressivi sabbiosocalcarenitici ed i terreni a letto fino ai termini argillosi tortoniani.
    tale tettonica è stata considerata quiescente: tuttavia da quanto osservato recentemente nella zona di Caltanissetta-Villagio Santa Barbara,dove lungo i piani di alcune faglie principali si verificano repentini movimenti, non si esclude una ripresa dinamica delle superfici di discontinuità secondo due ipotesi o modalità: la prima consiste in una ripresa secondaria di superfici di maggiore debolezza, la seconda in fenomeni neotettonici;
    l'acquifero è rappresentato dai livelli più limosi e permeabili contenuti nelle formazioni argillose, caratterizzando falde in pressione che potrebbero essere idraulicamente collegate tra loro. I livelli acquiferi sono riscontrabili proprio in corrispondenza della galleria. Nel caso del piezometro S27 il livello è certamente non in concordanza con quello del piezometro S10 posto in vicinanza, sebbene le misure siano state fatte a distanza di anni. Collegando i livelli delle misure effettuate nel 2010 e nel 2011 si riscontra e si delinea una falda con andamento pressappoco assimilato alla morfologia del rilievo entro cui insisterà la galleria. Stante il fatto che le falde riscontrate siano in pressione, è presumibile l'esistenza di zone di alimentazione poste a quote riferibili con i livelli piezometrici, che potrebbero essere collegate o a livelli più permeabili posti anche ad una certa distanza o a fasce di materiale alquanto tettonizzato che facilita l'infiltrazione nel sottosuolo.
    nella zona di interesse possono essere distinti degli acquiferi superficiali e degli acquiferi profondi in pressione come quello rappresentato dai calcari di base, le cui zone di alimentazione potrebbero essere individuabili negli affioramenti superficiali;
    il tetto della galleria, in quella zona, risulta essere posto a circa 90 metri di profondità, ed è possibile affermare che su tale settore insiste una falda in pressione con spessore potenziale di 60-70 metri. Per tale motivo, durante la fase di scavo della galleria, si prevede in corrispondenza di tale formazione geologica, la realizzazione di pozzi di emungimento al fine di abbattere il carico idraulico sulla testa della fresa, considerando un funzionamento simultaneo di più pozzi;
    inoltre si segnala che in fase di esecuzione del sondaggio S127, ubicato in asse alla GN Caltanissetta e profondo 150 metri da p.c., le carote prelevate alla profondità superiore ai 90 metri da p.c., in corrispondenza della sequenza argillosa tortoniana, emanavano un forte odore di idrocarburi. Ne è conseguita la necessità di effettuare un prelievo di campioni di matrice del terreno per le determinazioni del caso, oltre ad effettuare il prelievo della matrice gassosa presente nel foro di sondaggio, tramite fiala a carboni attivi contenuta in apposito campionatore posto in testa alla colonna di perforazione. Per tale motivo, per precauzione, si è modificata la coclea;
    il lavoro della coclea si conclude al di sopra di un nastro trasportatore che convoglia il materiale frantumato prima attraverso l'intero corpo della TBM e successivamente verso l'uscita della galleria. La sicurezza è l'elemento principale di tutta la macchina;
    per evitare qualsiasi tipo di rischio derivante da possibili sacche di grisù che si potrebbero incontrare durante le operazioni di scavo, oltre alla sigillatura del fronte di scavo, è stato previsto che il nastro trasportatore sia confinato all'interno di un condotto realizzato con un'intercapedine pressurizzata a 40 mbar con sensori CH4 aventi funzione di monitoraggio costante per l'eventuale presenza di gas metano. All'interno dell'ambiente confinato del nastro, vi e un sistema di «lavaggio dell'aria» che continua a mantenere le condizioni ottimali per evitare qualsiasi tipo di rischio. In oltre sono presenti altri sensori di rilevazione dei vuoti che potrebbero far presagire la presenza di grisù (ANAS);
    analizzando il primo tratto di galleria, partendo dall'imbocco lato Agrigento, il tracciato della galleria ricade all'interno della formazione dei trubi, attraversando una serie di fasce tettonizzate evidenziate dalla indagini svolte (sismica a riflessione);
    nella tratta centrale della galleria vengono attraversate brecce argillose a struttura caotica all'interno della formazione dei trubi. All'interno di questa tratta sono presenti anche zone cataclastiche con faglie individuate;
    andando avanti, verso l'imbocco lato A19, si attraversa la formazione dei trubi. Nel tratto conclusivo della galleria Caltanissetta il tracciato è interessato dalle brecce argillose plioceniche;
    nel settore settentrionale esiste una falda acquifera confinata, ben ricaricata ed in pressione e ciò, associato all'eventuale saturazione dei litotipi interessati, può causare sovra-pressione idraulica significativa al fronte di scavo;
    sono presenti acque aggressive per i calcestruzzi e sacche di idrocarburi e di anidride carbonica;
    ci sono segni premonitori di maccalube: rappresentati dalle presenze di CH4 (modifica coclea) in acque in pressione argille «gommose»;
    c’è una tettonica attiva:sono infatti presenti fasce tettonizzate;
    c’è una falda idrica in pressione;
    non è stata fatta una ricerca finalizzata e correlata ai fenomeni noti a Terra pelata (Villaggio di S.Barbara, che si trova al chilometro 1 di distanza);
    come evidenziato dall'autore dello studio sopracitato, le canne della galleria, presenteranno delle notevoli difficoltà nello scavo: difficoltà già note sia in fase di progetto definitivo che di progetto esecutivo;
    esiste inoltre la possibilità che sia riscontrata la presenza di vulcanismo sedimentario, e, come dicono alcuni geologi, di una neotettonica attiva, in tal caso si sarebbe dovuto optare per scavare preliminarmente un cunicolo esplorativo, scavato fra le due canne delle gallerie, con il vantaggio di avere subito: drenaggio delle acque, fuoriuscita del gas, conoscenza perfetta e puntuale della litologia, fasce tettonizzate, faglie e via dicendo;
    tale scelta progettuale del cunicolo esplorativo viene suffragata dalla presenza di argille brecciate sature e da falde idriche in pressione che creerebbero grossi problemi allo scudo della fresa e alla coclea: si impasterebbe infatti il tutto senza venir fuori alcun materiale;
    solo dopo aver realizzato il cunicolo esplorativo e conosciute tutte le difficoltà puntualmente, si opererebbe in sicurezza con l'attuale fresa. Inoltre il cunicolo esplorativo servirebbe per le infrastrutture di servizio: cavi luce, telefono, via di fuga e via dicendo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato dal professor Liguori e quali iniziative di controllo abbia intrapreso o intenda intraprendere per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori e soprattutto dei cittadini ivi residenti.
(4-10174)


   MARTELLA, BINI e FREGOLENT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto riportato dai media locali con ampia eco anche su quelli nazionali nella giornata di sabato 16 maggio 2015 a seguito della segnalazione della Onlus Aipd Marca Trevigiana si sarebbe verificato, presso la biglietteria di Conegliano (TV), un grave episodio discriminatorio ai danni di un gruppo di ragazzi affetti da sindrome di Down in età compresa tra i 24 e i 31 anni;
   il gruppo di sette ragazzi, secondo la ricostruzione dei responsabili della Onlus, sarebbe stato costretto a lasciare il posto ad altri clienti di Trenitalia mentre si trovavano in fila alla biglietteria di Conegliano per acquistare dei biglietti per Venezia;
   la Onlus che li segue, li stava assistendo in un percorso di autonomia che aveva come obiettivo quello di organizzare per proprio conto un viaggio di due giorni a Venezia, compreso l'acquisto dei biglietti del treno;
   i ragazzi erano in possesso della «carta blu», che non consente l'acquisto on-line dei ticket, né quello cumulativo;
   dopo aver perso il primo treno, il gruppo è giunto alla stazione di Mestre ed è sceso per depositare i bagagli in albergo, prima di ripartire in treno per Venezia;
   anche presso la stazione di Mestre le cose non sono andate bene in quanto i ragazzi che, come da progetto, stavano cercando di acquistare da soli i biglietti con la «carta blu», hanno avuto qualche difficoltà tanto da aver portato un addetto di Trenitalia a consegnare ad uno degli accompagnatori un pacchetto di biglietti da distribuire ai ragazzi di fatto vanificando l'esperimento di autonomia;
   Trenitalia a seguito della diffusione della notizia sui social e sui principali siti di informazione ha diffuso una nota assicurando che «Se gli approfondimenti confermeranno tali atteggiamenti Trenitalia non mancherà di sanzionarli, come previsto dalle proprie norme interne»;
   l'episodio dimostra ancora quanto lavoro vi sia da fare per una migliore organizzazione dei servizi in grado di assicurare parità di trattamento anche ai viaggiatori disabili all'interno delle nostre stazioni –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare per acquisire elementi per quanto di sua competenza, su quanto accaduto in merito all'episodio riportato in premessa, e se non intenda, altresì, attivarsi, in relazione al contratto di servizio siglato con Rfi e Trenitalia, attivando una apposito tavolo di confronto coinvolgendo anche le associazioni che si occupando di tali problematiche, al fine di migliorare il servizio per i passeggeri con disabilità per una loro maggiore integrazione e autonomia anche in considerazione dei grandi eventi che vedono il nostro Paese protagonista con Expo e il prossimo Giubileo, eventi di grande richiamo. (4-10177)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BRUNETTA, SISTO, GARNERO SANTANCHÈ e PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 luglio 2015, intorno alle 04:00 del mattino, un sedicenne di Città di Castello (Pg) ha accusato un grave malore all'interno del locale Cocoricò di Riccione (Rimini) e, trasportato successivamente all'ospedale Ceccarini, è deceduto;
   il giorno successivo, il magistrato di turno ha disposto l'autopsia sul corpo della vittima, dalla quale è emerso che il ragazzo aveva assunto un particolare tipo di droga, l'Mdma, che ne ha causato l'arresto cardiaco e la conseguente morte;
   in data 2 agosto 2015, il questore di Rimini, dottor Maurizio Improta, ha disposto la chiusura del locale per 120 giorni, sulla base dell'articolo 100 del testo unico di pubblica sicurezza (regio decreto 18 giugno 1931, n. 773), a decorrere da lunedì 3 agosto successivo;
   da notizie in possesso degli interroganti, la decisione del questore, che sarebbe stata avallata anche dal Ministro interrogato, non risolverà il problema essendosi, la platea dei frequentatori, spostata su altri locali della riviera, ma costerà una perdita di utili per la società di circa 1,5-2 milioni di euro nonché la sottrazione del posto di lavoro per più di duecento persone;
   a giudizio degli interroganti, la chiusura a stretto giro del succitato locale non rappresenta la soluzione al problema dello spaccio di stupefacenti, poiché se non verranno adottate misure radicali per sconfiggere la circolazione e cessione delle droghe nei luoghi di ritrovo e la così detta «cultura dello sballo», fatti luttuosi come quelli suindicati, purtroppo, continueranno ad accadere, anche al di fuori delle discoteche e dei locali notturni;
   nell'epoca attuale, caratterizzata da contesti sociali ed economici difficili, è rilevante il settore terziario e dei servizi, con il suo forte impatto sulla società e l'attività delle imprese;
   la grave e perdurante crisi economico-finanziaria che permane ormai da diversi anni, ha coinvolto vari settori produttivi e commerciali del nostro Paese, determinando un crescente e preoccupante aumento della disoccupazione, in particolare quella giovanile;
   a giudizio degli interroganti, quindi, immaginare di combattere le droghe attraverso roboanti titoli di giornale ed azioni eclatanti ed inutili volte a stornare l'attenzione dal vero problema che affligge il nostro Paese – ovvero l'incapacità di questo Governo di garantire la sicurezza individuale e l'ordine pubblico collettivo – è un'inutile operazione di «distrazione di massa». Operazione che si fonda su quelle che agli interroganti appaiono scelte politiche autocratiche ed antiliberali che disincentivano lo spirito d'impresa proprio in un momento in cui andrebbe fortemente supportato. È invece indispensabile, alla reale e definitiva soluzione del problema, individuare gli strumenti idonei, da mettere in campo in via strutturale, per contrastare lo spaccio ed il consumo di sostanze stupefacenti da patte dei minori;
   al fine di garantire ai giovani un divertimento sano, lontano da sostanze stupefacenti o psicotrope, e quindi evitare tutte le conseguenze che l'assumi e di tali sostanze comporta, sia sul piano fisico che comportamentale, e prevenire tragici casi come quello accaduto al Cocoricò, i proprietari e i gestori di discoteche e di locali da ballo dovrebbero instaurare una collaborazione sinergica con l'autorità di pubblica sicurezza finalizzata a incrementare i controlli all'interno dei locali stessi. A tal proposito, il 29 settembre 2014, gli interroganti hanno depositato una proposta di legge (A.C. 2650) che mira a disciplinare il divieto di accesso alle discoteche e ai locali da ballo in generale, dei soggetti riconosciuti responsabili dei reati di consumo o di cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope all'interno dei locali stessi e delle loro pertinenze;
   la suddetta proposta di legge prevede che ai consumatori, ai detentori e agli spacciatori di sostanze stupefacenti o psicotrope, il questore, previo accertamento delle condotte illegittime, possa comminare il divieto di accesso alle discoteche e ai locali da ballo, nonché nelle zone specificamente indicate di sosta, transito o trasporto. Il divieto può essere, altresì, comminato ai soggetti che risultano denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso degli ultimi cinque anni, per un reato o un illecito amministrativo specificamente indicato;
   la proposta prevede altresì la nomina, da parte dei proprietari di discoteche e locali da ballo, di un responsabile della sicurezza, chiamato a svolgere una specifica attività di prevenzione, osservazione e controllo del fenomeno dello spaccio e del consumo di sostanze di stupefacenti o psicotrope e di altri comportamenti illeciti all'interno del locale, collaborando con le forze di polizia. Il divieto di accesso potrà infatti essere disposto dal questore, anche su segnalazione del responsabile della sicurezza del locale, previo accertamento da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, nei confronti di chi è colto all'interno del locale nell'atto di commettere un reato o un illecito amministrativo specificamente individuato –:
   se fosse a conoscenza della decisione adottata dal questore di Rimini, il dottor Maurizio Improta, ai sensi dell'articolo 100 del Testo unico di pubblica sicurezza (regio decreto 18 giugno 1931, n. 773) e in caso affermativo per quali ragioni l'abbia avallata;
   quali orientamenti intenda esprimere in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per porre rimedio alla chiusura forzata imposta al locale succitato e, comunque, per evitare iniziative che possano indebolire la doverosa azione di contrasto e prevenzione per il consumo e lo spaccio di tali sostanze;
   se non ritenga di individuare strumenti maggiormente idonei, alternativi alla chiusura forzata di un'attività imprenditoriale che offre lavoro a oltre duecento persone, e di portare avanti ogni azione utile per individuare forme di contrasto per debellare il crescente fenomeno del consumo di droghe, in particolare da parte dei minori;
   quali  iniziative normative urgenti intenda adottare per tutelare gli oltre duecento lavoratori della discoteca Cocoricò Riccione (Rimini);
   se non intenda assumere con urgenza iniziative per adottare misure analoghe a quelle previste dalla proposta di legge citata in premessa, per prevenire tragici episodi, e lanciare un chiaro messaggio di «tolleranza zero» contro chi contamina il sano divertimento con consumo e spaccio di sostanze stupefacenti. (3-01673)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FONTANELLI e GELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 giugno 2015 è entrato in vigore il decreto-legge n. 78 del 2015, Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 19 giugno 2015, n. 140, S.O.) che prevede il transito del personale appartenente ai Corpi ed ai servizi di polizia provinciale di cui all'articolo 12 della legge 7 marzo 1986, n. 65, nei ruoli degli enti locali per lo svolgimento delle funzioni di polizia municipale con le modalità che saranno stabilite con decreto ministeriale;
   il comma 3 del predetto articolo 5 dispone: «Fino al completo assorbimento del personale di cui al presente articolo, è fatto divieto agli enti locali, a pena di nullità delle relative assunzioni, di reclutare personale con qualsivoglia tipologia contrattuale per lo svolgimento di funzioni di polizia locale»;
   presso il comune di Pisa era in corso di definizione, la procedura di assunzione del dirigente della direzione sicurezza urbana – polizia municipale, previa selezione pubblica indetta con determinazione DN-21 n. 161/2015 e successive modificazioni;
   le operazioni di selezione, già chiuse come da propria precedente decisione n. 60/2015 e determinazione dirigenziale DD-12 n. 687/2015 avevano portato alla individuazione del vincitore;
   con proprio precedente atto n. 62 del 18 giugno 2015 si attribuiva al vincitore della selezione l'incarico a tempo determinato ex articolo 110, comma 1, decreto legislativo n. 267 del 2000, di dirigente della direzione «sicurezza urbana – polizia municipale», con decorrenza 1o luglio 2015 e sino alla scadenza del mandato amministrativo in corso, ai fini dell'assunzione in servizio;
   l'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2015 ha prodotto sulla città di Pisa i seguenti effetti: a) la sospensione della nomina del nuovo comandante della polizia municipale di Pisa, già individuato con atto del sindaco n. 62 del 18 giugno 2015; b) il blocco dell'assunzione di 5 agenti di polizia municipali «stagionali» (incarichi a tempo determinato) per il periodo estivo, attinti dalle apposite graduatorie pre-esistenti;
   nei mesi scorsi è pervenuta al prefetto di Pisa e al questore di Pisa una nota ministeriale volta a ridurre l'entità complessiva della corresponsione dell'indennità di ordine pubblico sul territorio pisano;
   tale indennità era ed è utilizzata anche per gli agenti di Polizia Municipale per i servizi di ordine pubblico disposti dal questore;
   la carenza di personale e mezzi della locale questura comporta spesso l'impossibilità di disporre della 2a volante sul servizio notturno, impedendo quindi un'efficace controllo ed intervento sul territorio, dalla città al suo litorale;
   malgrado gli impegni assunti dal Governo nel «Patto per Pisa sicura» nella distribuzioni recenti delle nuove assunzione di personale della polizia di Stato la città e la provincia di Pisa sono state ignorate, non essendo stata disposta alcuna nuova assegnazione di personale;
   la città di Pisa è stata esclusa dal novero delle città in cui sono state costituite le unità operative antiterrorismo, malgrado la presenza di caratteristiche oggettive quali: uno scalo aereo internazionale, una stazione ferroviaria tra le più importanti della tratta tirrenica, tre atenei universitari (università di Pisa, Scuola Superiore Sant'Anna, Scuola Normale) di fama internazionale, un monumento come la Torre Pendente ritenuto da tempo obiettivo sensibile, una base USA;
   negli ultimi anni il comune di Pisa ha registrato fenomeni che dimostrano squilibri insostenibili da fronteggiare come l'insorgenza di gravi problemi riguardo all'abusivismo e a legami di queste pratiche con altri giri malavitosi e il persistente e grave squilibrio sofferto dal comune stesso – evidente nella comparazione provinciale, regionale e nazionale – per l'insediamento in campi abusivi di cittadini di etnia ROM;
   in seguito all'avvenuta approvazione del decreto-legge n. 78 del 2015 il comune di Pisa ha sospeso la procedura di assunzione a tempo determinato del dirigente individuato alla guida della direzione sicurezza urbana – polizia municipale –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per fronteggiare l'emergenza sicurezza in atto nella città di Pisa e se intenda incrementare il personale impiegabile in servizi operativi presso la questura di Pisa;
   quali iniziative di competenza, se del caso anche attraverso apposito atto interpretativo, il Governo intenda assumere per chiarire che in casi come quello del comune di Pisa, per le ragioni esposte in premessa, non è preclusa la possibilità di reclutare, con contratto meramente temporaneo, un dirigente della direzione sicurezza urbana – polizia municipale al fine di soddisfare un fabbisogno in tema di vigilanza urbana, di governo del traffico, di controllo e sicurezza del territorio.
(5-06268)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINNUCCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 19 febbraio 2015, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, regioni e province autonome, è stato presentato il cosiddetto piano nazionale degli aeroporti (PNA), identificato quale presupposto fondamentale per l'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica, recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale, approvato nella stessa sede;
   secondo il predetto piano, la Macroregione del Centro sarà fornita dagli aeroporti di Fiumicino (di rilevanza strategica), Ciampino, Perugia e Pescara (City Airport) di importanza nazionale;
   di conseguenza, il Lazio sarà servito dagli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, il primo dei quali andrebbe a coprire una domanda che, nella Macroregione del Nord ovest, è servita da ben 7 aeroporti;
   nello stesso tempo, è stato riscontrato un oggettivo aumento dei passeggeri di voli low cost che, nel 2014, hanno raggiunto i 14,5 milioni di unità, ossia un volume di traffico più che sufficiente a giustificare l'istituzione di un ulteriore aeroporto ad hoc, così come già sottolineato e suggerito nell'intesa programmatica del 31 gennaio 2008 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Lazio;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 dicembre 2012, che ha approvato l'atto unico della convenzione-contratto di programma ENAC-AdR, veniva previsto l'ampliamento dell'aeroporto di Fiumicino per una superficie di 1300 ettari, nonché la costruzione, riorganizzazione e ristrutturazione, nell'attuale sedime, delle infrastrutture;
   tale ampliamento si basava su stime ENAC, secondo le quali il sistema aeroportuale laziale dovrebbe arrivare, nel 2030, a soddisfare una domanda massima di passeggeri/anno (P/A) pari a 93 milioni e una minima di 79 milioni;
   stime che sono state nella realtà disattese da un effettivo andamento del traffico annuale ben inferiore alle stesse per una percentuale oscillante tra il 22 per cento e il 25 per cento;
   ciò nonostante, l'attuale piano nazionale degli aeroporti continua a prevedere il raddoppio dell'aeroporto di Fiumicino, malgrado lo stesso arriverà ad una capacità di oltre 70 milioni p/a solo con le attuali opere di ammodernamento in corso di realizzazione;
   peraltro, la previsione del raddoppio comporterebbe la distruzione di 1300 ettari di territorio, interamente compreso nella riserva naturale statale del litorale romano, l'esproprio di numerose abitazioni civili e di piccole e medie aziende agricole, nonché di 900 ettari dell'Azienda Maccarese s.p.a.;
   tali territori, risultano inoltre essere vincolati a zona 1 (totalmente inedificabili) e zona 2 (edificabili solo a fini agricoli), e si tratta di terreni analoghi a quelli che la Commissione parlamentare di inchiesta, istituita con legge n. 325 del 1961, aveva già dichiarato non idonei;
   si fa riferimento, infatti, ai terreni dell'antico stagno di Maccarese, prosciugato con le opere di bonifica dello scorso secolo. Tra i predetti terreni, infine, sono presenti anche molti siti archeologici, tra cui il villaggio dell'età del Rame denominato Fianello – Le Cerquete;
   contemporaneamente alla descritta situazione di Fiumicino, vi è anche la necessità di regolamentare il ridimensionamento (portandoli ad un massimo di 60 voli giornalieri) dei voli low cost effettuati sull'aeroporto di Ciampino, al fine di alleggerire la pressione dell'inquinamento acustico e atmosferico;
   appare evidente la necessità di trovare una valida soluzione che possa far fronte alle problematiche relative al raddoppio dell'aeroporto di Fiumicino, sebbene appaia ancora più urgente, ad oggi, intervenire immediatamente sulle vicende che hanno reso tristemente famoso l'aeroporto laziale negli ultimi mesi;
   gli incendi dello 7 maggio e 29 luglio 2015, sui quali la procura di Civitavecchia ha avviato un'inchiesta, e il blackout che il 30 luglio 2015 ha immobilizzato l'intero aeroporto per 20 minuti, hanno posto in evidenza la necessità di attuare urgenti interventi di ristrutturazione e ammodernamento della struttura aeroportuale esistente, volti a scongiurare eventuali futuri disservizi e a mettere in sicurezza l'aeroporto da eventuali future azioni dolose –:
   se il Governo, alla luce di quanto descritto in premessa, sia a conoscenza delle problematiche relative al piano nazionale aeroporti, con specifico riferimento alla Macroregione del Centro, e quali siano le iniziative che eventualmente intende prendere in merito;
   se il Governo, alla luce delle vicende che hanno coinvolto lo scalo di Fiumicino negli ultimi mesi, intenda assumere urgenti iniziative al fine di procedere ad una rapida ristrutturazione dell'aeroporto esistente per garantire i servizi da esso prestati e per garantirne la sicurezza;
   se il Governo, non ritenga opportuno promuovere una consultazione permanente con gli enti territoriali interessati, al fine di individuare al più presto un aeroporto dove dislocare i voli low cost, nonché destinare almeno parte dei 325 milioni di euro, a suo tempo previsti per un terzo scalo laziale, all'adeguamento dell'aeroporto di supporto eventualmente individuato. (4-10134)


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 86 del 16 luglio 2015 della giunta comunale di Adrano in provincia di Catania, avente ad oggetto denominazione di vie in contrada Roccazzello, si è deciso di intitolare una strada ad Agatino Chiavaro, podestà di Adernó (precedente denominazione di Adrano) dal 1923 al 1927, con la seguente motivazione che: «riuscì a promuovere nella cittadina un grande progresso sociale ed economico. Tra gli interventi di grande rilievo la realizzazione della Villa Comunale, Giardino della Vittoria»;
   in realtà il Chiavaro lungi dall'essersi distinto in positivo, fu un fedele interprete del regime fascista, capeggiando la squadra d'azione «La Disperata», squadra che, solo per fare un esempio, diresse nel 1922, armi alla mano, un'azione contro il sindaco Don Vincenzo Bascetta, occupando il Municipio (in seguito liberato per ordine di Benito Mussolini);
   il 1o gennaio 1928 il Chiavaro fu arrestato per concussione, peculato, minacce ed abuso di autorità;
   dagli atti di causa emerge il profilo di un uomo prepotente, violento, che aveva instaurato una vera e propria dominazione sulla città;
   la Corte d'appello di Messina, con sentenza del 30 luglio 1932 lo dichiarava colpevole dei reati di appropriazione indebita continuata e di falso per soppressione di scritture private;
   con determinazione del 4 giugno 1940, il medesimo podestà di Adrano, Pietro Polizzi, deliberò di promuovere giudizio civile contro gli eredi per il recupero delle somme sottratte al comune dal Chiavaro (il quale morì in un incidente stradale nel 1938) –:
   se il Ministro acquisire elementi in relazione all'istruttoria condotta per intitolare ad Agatino Chiavaro, una via nel Comune di Adrano;
   se non intenda assumere iniziative normative per introdurre un esplicito divieto di autorizzare la denominazione di vie o piazze ad esponenti politici fascisti o legati alla storia del regime fascista.
(4-10150)


   COLONNESE, BRESCIA e PETRAROLI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2015, 18 degli almeno 120 migranti ospitati presso la struttura di accoglienza «Villa Angela» sita in Via Zabatta, comune di Terzigno, in provincia di Napoli, sono stati allontanati dalla struttura con un provvedimento prefettizio motivato sulla base di presunti comportamenti violenti tenuti da alcuni ospiti che, nella data del 19 luglio 2015, avrebbero assunto «atteggiamenti minacciosi e violenti» e procurato «lesioni a due operatori»;
   la struttura di accoglienza «Villa Angela» risulterebbe vincitrice di gara d'appalto ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 163 del 2006, e dovrebbe essere dunque firmataria, tra gli altri, dell'allegato A al bando di gara «capitolato d'oneri»;
   in particolare, proprio questi 18 migranti, avevano partecipato a manifestazioni ed assemblee per denunciare le cattive condizioni della struttura e il pessimo trattamento di accoglienza: sovraffollamento degli alloggi (si parla di 24 persone in una stanza di non consone dimensioni), gravi condizioni igienico-sanitarie ed interventi sanitari effettuati da personale non abilitato (si parla addirittura del cuoco della struttura);
   non è chiaro se i presunti atteggiamenti violenti che poi hanno portato al provvedimento di allontanamento siano stati una reazione, che se verificata chiaramente resta condannabile nelle modalità, alle condizioni di vita all'interno del centro, o se la stessa espulsione non sia stata la sola soluzione individuata in risposta alle suddette proteste;
   i 18 migranti espulsi dalla struttura, al momento privi di accoglienza, sono giuridicamente richiedenti asilo, l'assenza di un domicilio renderebbe complessa la notifica dei provvedimenti da parte della Questura competente in merito al procedimento di domanda di protezione internazionale, pertanto si rischia di rendere disagevole, se non ostacolare del tutto, l'effettivo esercizio di diritto –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se e quali interventi intenda attuare, per quanto di competenza, per verificare quanto accaduto;
   se e quali strategie intenda attuare per prevenire altri episodi di tensione e conflitto sociale che come questo, e altri recenti casi avvenuti a Casale San Nicola (periferia di Roma) e Treviso, stanno interessando tutto il territorio nazionale, denotando delle evidenti criticità di tutto il sistema di accoglienza «emergenziale», che non sta rispondendo in maniera efficace ed efficiente ad un fenomeno sì complesso, ma dove spesso vengono ignorate le indicazioni di buone prassi per la sua gestione;
   se e quali interventi intenda attuare per far fronte alle esigenze di chi, a vario titolo, dovesse trovarsi o venire a trovarsi fuori dal sistema di accoglienza e, riversandosi sul territorio, possa essere a forte rischio di marginalità e/o essere al centro di forti tensioni sociali. (4-10154)


   LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la giunta regionale della Liguria si è dichiarata favorevole alla realizzazione, sul proprio territorio e ai sensi delle vigenti normative, di un centro di identificazione ed espulsione, al fine di poter affrontare più adeguatamente l'emergenza migranti;
   la Liguria si caratterizza per lo più come una regione di transito per migranti, presenta una popolazione carceraria che per il 54 per cento è composta da soggetti provenienti da Paesi extracomunitari e, stando ai dati contenuti nelle relazioni presentate all'apertura dell'anno giudiziario, sta registrando una inquietante escalation di reati correlati ad immigrati;
   nel caso dei centri di identificazione ed espulsione si tratta di strutture previste dal decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», presenti in diversi Paesi membri dell'Unione europea;
   siffatti centri risultano particolarmente utili al fine di distinguere in tempi rapidi i richiedenti asilo dai clandestini, e consentono significativi risparmi per il pubblico erario dal momento che, attraverso una più efficiente distribuzione di simili strutture sul territorio permette sia di risparmiare le spesse derivanti dal trasferimento di migranti da una regione all'altra, sia di evitare di distrarre il personale di pubblica sicurezza incaricato di tale trasferimento dai propri compiti istituzionali sul territorio;
   inoltre, la creazione di un centro di identificazione sul territorio ligure eviterebbe fenomeni di bivacco e vagabondaggio nel medesimo territorio, tutelando la sicurezza dei cittadini –:
   quali iniziative intenda assumere per avviare con urgenza l’iter necessario alla realizzazione di un centro di identificazione ed espulsione in Liguria, al fine di fronteggiare in maniera più adeguata l'emergenza migranti. (4-10158)


   IACONO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il patrimonio minerario appartiene, in Italia, cosi come disposto dall'articolo 825 del codice civile cosiddetto patrimonio indisponibile dello stato;
   diversi giacimenti minerari, soprattutto siciliani, sono stati ceduti dalle società private, concessionarie degli stessi , a società pubbliche che ne hanno successivamente disposto la chiusura;
   come testimoniano diverse inchieste giudiziarie e diversi articoli giornalistici, pubblicati soprattutto negli ultimi anni, in Sicilia e soprattutto nelle province di Enna, Caltanissetta ed Agrigento si è diffusa la pratica da parte delle organizzazioni criminali della Sicilia di utilizzare il patrimonio minerario/Italiano, presente in quella parte dell'Isola, ai fini dello smaltimento illegale di rifiuti tossici e dannosi per la salute dei cittadini;
   spesso si tratta di materiale radioattivo, il cui smaltimento illegale determina un'attività lucrativa nelle casse delle organizzazioni criminali;
   tale fenomeno determina non solo un'attività di lucro sugli effettivi costi di smaltimento di particolari tipologie di rifiuti, ma ha anche una drammatica ricaduta sulla salute dei siciliani con la naturale conseguenza di una gravissima contaminazione dei terreni e delle acque;
   le rilevazioni condotte dall'ARPA nelle province interessate ovvero Enna, Caltanissetta e Agrigento hanno messo in luce ed evidenziato la presenza di un tasso di radioattività superiore alla norma;
   tale dato è particolarmente allarmante se si considera che riguarda territori della Sicilia che hanno conosciuto negli ultimi anni il processo di deindustrializzazione e le proprie economie dominati si fondano sull'agricoltura;
   lo smaltimento di rifiuti tossici e nucleari in Sicilia sembra precedere di un certo numero di anni quello campano, così come testimoniato da alcuni collaboratori di giustizia di camorra, che inducono ad ipotizzare che la camorra abbia preso ad esempio proprio la pratica condotta in Sicilia;
   appare, preoccupante oltre che drammaticamente fondato su dati assolutamente scientifici che negli ultimi le organizzazioni criminali siciliane abbiano aumentato i propri introiti fondando le proprie illegali economie non più su droga ed estorsioni, ma sullo smaltimento illegale dei rifiuti;
   a tali dati, già di per sé allarmanti, si accompagna un aumento dei tassi di mortalità tumorale ed a causa di malattia degenerative come testimoniato e messo in evidenza e sicuramente strano per una zona poco industrializzata come la Sicilia centrale. L'indice rivelatore è costituito dall'alta mortalità degli abitanti a causa di gravi malattie degenerative.
   nel nisseno negli ultimi anni si è registrato un forte aumento dei casi di sclerosi multipla, leucemia e altre patologie tumorali con una differenza di circa il 20 per cento rispetto alla media nazionale;
   in provincia di Agrigento, un tempo nota per la presenza di un notevole numero di siti minerari come ad esempio La "Ciavolotta" a pochissimi chilometri da Favara rimasta attiva fino ai primi Anni 70, l'associazione Legambiente, a seguito delle numerose denunce nel corso degli anni, ha voluto effettuare un sopralluogo per verificare lo stato delle cose;
   le ricerche hanno portato alla luce diverse discariche di amianto, sfabbricidi, materie plastiche e altri rifiuti non identificabili perché incendiati;
   in alcuni punti del parco minerario non cresce più un filo d'erba;
   nel cuore della Sicilia, le miniere un tempo ricche di zolfo sono rimaste per un trentennio a custodire nello stomaco rifiuti di ogni specie;
   sempre in Provincia di Agrigento e nel caso specifico a Licata la miniera Passarello, dismessa da molti anni, è al centro di una indagine della procura che sta cercando di fare luce sulla possibilità che la miniera nel proprio sotto suolo contenga rifiuti radioattivi;
   già negli scorsi anni il corpo dei vigili del fuoco ha condotto delle prime indagini e secondo quanto trapela da notizie di stampa gli organi della magistratura hanno ritenuto di appronfondire le indagini circa il pericolo per la salute per l'ambiente circostante derivato dalle sostanze depositate nella stessa miniera;
   in Sicilia le ex cave: diventate centri di smaltimento di rifiuti tossici sarebbero almeno quattro: l'ex miniera Ciavalotta a pochi metri dalla valle dei Templi di Agrigento, la cava di Mussomeli e quella di Bosco Palo, vicino San Cataldo (Caltanissetta);
   la procura di Caltanissetta ha aperto nel 2012 un'indagine per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale circa le miniere presenti nel territorio della provincia stessa –:
   se il Governo abbia intenzione di procedere per quanto di competenza, di concerto con la regione siciliana, all'avvio di un piano di monitoraggio sulla natura e sul grado di contaminazione delle aree in argomento e alla definizione del grado di rischio sanitaro ed ambientale conseguente;
   se e quali iniziative di competenza il Governo stia adottando per disporre le adeguate politiche di tutela della salute per le popolazioni limitrofe e per la rimozione dei fattori di rischio. (4-10159)


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il prefetto di Roma, con proprio atto (prot. 9808 2015/URPG del 14 gennaio 2015), ha disposto il commissariamento, ai sensi dell'articolo 25 del codice civile, della Fondazione accademia nazionale di danza (FAND), istituto privato fondato da Eugenia Borissenko (in arte, Jia Ruskaja) ed eretto ad ente morale con il 14 gennaio 1963 n. 925, nominando al tempo stesso commissario straordinario la dottoressa Giovanna Cassese, la quale è già commissario straordinario dell'Accademia nazionale di danza (AND);
   in due atti di sindacato ispettivo rivolti al Ministro dell'interno e al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (interrogazione a risposta orale 3-01236 e interpellanza 2-00840, cui integralmente ci si richiama) sono state segnalate le innumerevoli anomalie della procedura di commissariamento e la totale mancanza dei requisiti in base ai quali il prefetto può procedere al commissariamento di una fondazione privata;
   negli stessi giorni in cui è stato disposto il commissariamento, la Fondazione accademia nazionale di danza, grazie alla sua meritoria attività in campo nazionale ed internazionale svolta nell'ambito del premio «Jia Ruskaja», non soltanto ha ricevuto un elogio del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo con l'augurio di proseguire nella sua attività, ma anche è stata insignita dal Presidente della Repubblica della medaglia al valore per i rapporti con la società civile; ne consegue che è stato commissariato un ente di diritto privato la cui attività è riconosciuta come fonte di lustro del nostro Paese;
   l'atto di commissariamento a firma dell'ex prefetto Giuseppe Pecoraro è stato impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;
   il commissario della FAND, dottoressa Giovanna Cassese, peraltro oberata dal compito di riordinare la complessa situazione amministrativa, economia e didattica dell'Accademia nazionale di danza, ad avviso dell'interrogante non ha adottato, durante il suo mandato, alcun atto significativo, inclusi quelli indicati nel decreto di commissariamento;
   il 31 luglio 2015 il commissariamento della FAND è scaduto –:
   se, in applicazione del vigente statuto della FAND, non si ritenga opportuno consentire al gruppo dirigente uscente della Fondazione, destinatario del commissariamento benché dimessosi anteriormente alla sua adozione, di riprendere l'ordinaria gestione ed amministrazione, al fine di dare corso al rinnovo del consiglio di amministrazione, i cui componenti sono nominati dall'Accademia nazionale di danza, dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dalla regione Lazio, dalla provincia e dal comune di Roma. (4-10170)


   DEL GROSSO e VACCA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da diversi giornali e in particolare dall'agenzia di stampa Adnkronos la seguente notizia che vede coinvolto l'ingegner Marco Di Giacomo: «Un fuggitivo mai stato in fuga. Può essere riassunta così la strana storia di Marco Di Giacomo, ingegnere 40enne di Pescara. Sulla sua testa pende un mandato di cattura internazionale per evasione fiscale aggravata. Emesso dall'Azerbaijan, il provvedimento fa sì che l'ingegnere pescarese figuri tra i ricercati sul sito dell'Interpol. Con un errore di battitura – Di Giocomo al posto di Di Giacomo – che finora probabilmente ha fatto sì che non scattassero le manette ai suoi polsi;
   Di Giacomo si dichiara un innocente in trappola, ma mai in fuga. Per questo, da due anni ormai, scrive regolarmente ai ministeri degli Interni e degli Esteri affinché si occupino della sua vicenda. Decine e decine di mail visionate dall'Adnkronos, in cui Di Giacomo chiede incontri e soluzioni. In Azerbaijan l'ingegnere pescarese lavorava come project manager. «Un semplice dipendente – spiega – per questo con la vicenda dell'evasione fiscale io non c'entro nulla, anche se son finito sul patibolo»;
   a causa del mandato che pende sulla sua testa, Di Giacomo non lavora più «e a questa situazione, al terrore di essere catturato mentre passeggio in strada – dice – preferisco essere arrestato subito. La mia immagine è ormai totalmente distrutta dal mandato di cattura internazionale, senza contare i danni che mi hanno procurato il lassismo del ministero degli Interni e degli Esteri», accusa;
   in realtà, alla Farnesina si tenta una transazione per risolvere la vicenda che vede l'azienda per la quale Di Giacomo lavorava morosa per un milione e 700 mila euro. «Ma sono anni che io vivo questo inferno – denuncia l'ingegnere abruzzese – e non voglio passare per delinquente, bruciarmi la carriera per un reato che non ho commesso. Per questo voglio che la mia vicenda venga alla luce, anche se rischio l'arresto»;
   «Sono anni che scrivo ogni settimana ai ministeri competenti, eppure mi hanno sempre snobbato – prosegue – lasciando a piede libero un ricercato internazionale trattandolo, di fatto, come un ricercato di serie B. Sono stato preso in giro dalle istituzioni che dovevano tutelarmi vivendo una situazione a dir poco drammatica, che mi ha logorato a livello psicologico»;
   e a chi gli domanda se non tema che ora scattino le manette, «ai carabinieri che verranno a prendermi – dice – risponderò: «perché non mi avete arrestato finora?» –:
   quali iniziative siano state intraprese ad oggi e quali siano, per quanto di competenza, le intenzioni dei Ministri interrogati per chiarire e risolvere definitivamente la vicenda che vede coinvolto l'ingegner Marco Di Giacomo. (4-10171)


   DURANTI, SANNICANDRO, PANNARALE, FERRARA, FRATOIANNI, COSTANTINO, QUARANTA, RICCIATTI e PALAZZOTTO. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni la città di Taranto ha dovuto gestire l'accoglienza di decine di migliaia di profughi;
   la stragrande maggioranza di loro, dopo un breve periodo di permanenza nella città, sono stati trasferiti verso altre località italiane, mentre poche centinaia di persone, tutte richiedenti protezione internazionale, sono ospitate nelle strutture di accoglienza di Taranto e provincia;
   in data 15 maggio 2015, a seguito delle indagini della direzione distrettuale antimafia di Lecce venivano sequestrati beni e denaro riconducibili al clan mafioso D'Oronzo-De Vitis, che nell'ottobre dell'anno precedente era stato falcidiato da una raffica di arresti nell'ambito dell'operazione «Alias». Tra i beni oggetto del decreto di sequestro compariva la cooperativa «Falanto Servizi»;
   come si legge in un articolo apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 28 maggio 2015 a firma Francesco Casula, il clan aveva interessi nell'assistenza dei migranti attraverso la cooperativa «Falanto Servizi», la quale aveva ricevuto in affidamento il servizio di distribuzione pasti in un centro nel quale vengono ospitati i richiedenti protezione internazionale una volta giunti nel porto di Taranto;
   con un contratto firmato nello scorso marzo con l'associazione «Salam», oltre al servizio pasti, venivano affidati alla cooperativa il servizio di pulizia, dei cosiddetti «effetti lettericci» (servizi legati alla fornitura di lenzuola, cuscini e altro) e la guardiana, sia diurna che notturna, di una struttura situata a pochi passi dal quartiere Paolo VI di Taranto;
   secondo quanto riportato nell'articolo citato a confermare gli affari della «Falanto Servizi» sarebbe Salvatore Micelli, già consulente della cooperativa e oggi curatore della stessa, che interpellato dal quotidiano, precisava che si tratta «di un contratto per fornitura di servizi. Non è un contratto di appalto direttamente con la prefettura ma di un subappalto dell'associazione Salam» che, a sua volta, ha vinto una gara bandita proprio dalla Prefettura;
   in un primo momento, quanto dichiarato da Salvatore Micelli veniva categoricamente smentito da Simona Fernandez, responsabile dell'associazione Salam, che affermava invece, sempre al giornale, che l'associazione si affida per la distribuzione pasti direttamente a una grossa azienda del territorio;
   circa un mese dopo, esattamente il 28 giugno, la presidente dell'associazione Salam, Simona Fernandez, dopo la pubblicazione dell'inchiesta della Gazzetta sul business degli immigrati a Taranto ha chiesto di replicare e spiegare una serie di punti sulla vicenda con una intervista effettuata dallo stesso giornalista Casula di cui si riporta integralmente di seguito il testo:
    Fernandez, procediamo con ordine. Partiamo magari dall'assegnazione dell'immobile di via Anfiteatro senza bando di gara? «Guardi sul Centro Nelson Mandela deve sapere una cosa: viene inaugurato il 3 novembre dello scorso anno, ma l'assegnazione ufficialmente è datata marzo 2015 e sa perché? Perché in realtà noi paghiamo l'affitto da ottobre 2014, ma il Comune aveva sbagliato il primo contratto per l'immobile di via Anfiteatro e ha dovuto rifarne un altro. L'associazione Salam ha fatto solo una richiesta al Comune: sono loro che devono sapere che quell'immobile deve essere assegnato con un bando pubblico. E poi, mi creda, anche i beni confiscati alla mafia a Taranto sono stati assegnati senza bando pubblico: vada a controllare».
    A proposito di mafia, ma l'accordo con la Falanto servizi? «Prima di firmare la convenzione con Falanto Servizi, io avevo chiesto agli organi competenti se questa società era in regola e mi è stato risposto che era tutto ok».
    E chi sono questi organi competenti? «La prefettura, ma non solo. Io ho comunicato che per controversie nate con i gestori di una struttura, stavamo trasferendo i migranti in un'altra struttura gestita dalla Falanto Servizi».
    E la prefettura non le ha fatto presente che quella cooperativa era al centro di una grossa indagine dell'antimafia? «Certo che no altrimenti avrei bloccato tutto».
    Ammetterà quindi che un rapporto con la Falanto lei l'ha avuto? Nelle altre interviste lo aveva negato. «Sì, perché in realtà la convenzione con la Falanto Servizi faceva parte di una proposta per il bando di gara che non è ancora stato aggiudicato definitivamente e quindi per me è ancora coperto dal segreto. Avevamo anticipato il rapporto solo per una questione di emergenza e ovviamente dopo aver informato la prefettura. E poi non volevo in alcun modo che i dipendenti dell'associazione Salam fossero turbati da questa vicenda».
    E poi com’è andata a finire? «Malissimo. Il 30 aprile, giorno del trasferimento, il referente della Falanto, Salvatore Micelli, venne a dirci che la struttura non era più disponibile perché qualche giorno prima stata venduta: praticamente eravamo per strada e fortunatamente siamo riusciti a trovare una soluzione in brevissimo tempo. Poi è uscito il vostro articolo e io ho inviato una mail alla prefettura facendo presente che quella parte del progetto che avevamo presentato era da considerare non più valido. In sostanza come Salam rinunciavamo all'assegnazione di 100 migranti che erano quelli che avremmo dovuto sistemare nelle strutture della Falanto».
    E con i precedenti albergatori convenzionati perché avete risolto i contratti? «Perché la prefettura non ci pagava dicendo che non riceveva i fondi dal ministero e quindi noi non potevamo onorare gli impegni coi fornitori: i debiti si sono accumulati e loro hanno agito per vie legali. Il rapporto si era logorato e non potevamo andare avanti».
    Ma tutto questo la prefettura lo sapeva? «Certo che lo sapeva, abbiamo comunicato ogni cosa. Ma credete davvero che per la Salam sia un business? In occasione degli sbarchi la nostra associazione mette a disposizione gratuitamente alla prefettura mediatori culturali e traduttori. Siamo soggetti a ogni tipo di controllo. Le dirò di più: a causa dei ritardi nei pagamenti avevo deciso di chiudere il servizio, sa cosa mi hanno detto?».
    Che rischiava una penale. «Esatto, ma non solo. Sulla base di una legge del 1923 è stato imposto il cosiddetto “quinto d'obbligo”: hanno obbligato la Salam ad accogliere un numero maggiore di migranti rispetto al numero stabilito con la gara che avevamo vinto. Solo alla Salam. Perché agli altri no? Io oggi potrei chiedere il pagamento della mora alla prefettura, ma non lo faccio».
    Perché? «Perché, le ripeto, la Salam non vuole farne un business sulle vite dei migranti né sullo Stato che li accoglie».
    Ma lo Stato si sta servendo di voi per fare un business? «Questo non posso escluderlo, ma non tocca a me scoprirlo»;
   dall'articolo e dall'intervista riportata emergono diverse questioni che andrebbero chiarite e soprattutto affiorano opacità che sarebbe bene diradare;
   in aggiunta a quanto riportato, emergono altre dubbie vicende che sono state oggetto di interesse da parte della stampa locale e che sono a conoscenza dell'interrogante su cui sarebbe bene fornire spiegazioni, anche in virtù del necessario e irrinunciabile esercizio di controllo democratico in una questione, quella dell'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, che in più di un caso ha destato preoccupazione e scandalo nell'opinione pubblica del nostro Paese;
   esigono quindi un approfondimento le vicende dell'affidamento della scuola Lisippo al quartiere Tamburi, dove la Caritas gestisce un centro di accoglienza per minori non accompagnati e dove risulta che, per quanto di conoscenza dell'interrogante, a fronte di un pagamento di 45 euro a persona, non vengono corrisposti i compensi per canone di affitto della struttura e pagamento delle utenze;
   così come esige un chiarimento il motivo per cui l'Hotel Bel Sit con una licenza per circa 70 persone ne ospiti il doppio;
   dubbia risulta poi agli interroganti la comprensione di come sia potuto accadere che un capannone industriale nel quartiere Paolo VI, che ospita più di 25 persone e quindi eccedente la normativa sulle strutture ricettive, sia stato autorizzato come centro di accoglienza;
   analoga domanda si può porre per l'adiacente salone della parrocchia del Corpus Domini di Paolo VI che ospita oltre 80 minori non accompagnati –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Ministro sia a conoscenza di inadempienze o altri fatti di mala gestione dell'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale dell'area di Taranto;
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro per porre fine a queste vicende e se non intenda disporre una inchiesta interna su quanto accaduto per verificare eventuali responsabilità.
(4-10180)


   ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'acquisto da parte del Campidoglio dei terreni su cui far sorgere il campo rom di Castel Romano è un'operazione durata due anni e mezzo, da quando il comune guidato da Walter Veltroni si fece concedere in uso gratuito (il 12 settembre 2005) i suoli fino alla data in cui il Campidoglio, amministrato dal prefetto Mario Morcone, in qualità di commissario straordinario, decise di comprarli (il 10 marzo 2008);
   la procedura d'acquisto fu molto farraginosa a causa della dura opposizione del capogruppo di Rifondazione Comunista in Campidoglio, Adriana Spera, con l'appoggio del WWF e dell'esito di un'inchiesta, resa pubblica dalla trasmissione televisiva Report e dal giornale Il Manifesto, in cui si evidenziò che i romani avevano sostenuto una spesa pari a un milione cinquecentomila euro per dei terreni valutati circa seicentocinquantamila euro;
   il 12 settembre 2005 il comune di Roma venne gratuitamente immesso nel possesso dell'area dove avrebbe fatto sorgere il campo nomadi di Castel Romano e dopo tre giorni, il 15 settembre del 2005, iniziò lo sgombero del campo nomadi di Vicolo Savini trasferendo i suoi abitanti nella nuova area di Castel Romano;
   nel novembre del 2006, dopo circa un anno, il comune di Roma diede vita ad un accordo con Gianfranco Bartoli, Vincenzo Grossi, Sergio Galletti e la Ediltrigoria, proprietari dei terreni, che gli erano stati concessi in uso per costruire il campo nomadi di Castel Romano e per acquistare i suddetti 23 ettari di terreno al prezzo di 1,515 milioni di euro;
   nel febbraio del 2007 il direttore del dipartimento del patrimonio del Campidoglio diede parere favorevole all'acquisto dei terreni e a marzo dello stesso anno arrivò il nulla osta del ragioniere del comune;
   tuttavia, mentre il via libera all'acquisto dei terreni da parte delle commissioni capitoline VI e VII, fu emanato nel giugno del 2007, le dimissioni del sindaco Walter Veltroni del 13 febbraio 2008 e la conseguente decadenza del consiglio Capitolino, di cui Adriana Spera faceva parte, diedero nuovo slancio all'operazione;
   il Ministro dell'Interno in carica in quel periodo, il 26 febbraio 2008 nominò commissario straordinario del comune di Roma, il prefetto Mario Morcone, al quale spettava il compito di guidare la città fino alle successive elezioni;
   in meno di due settimane dal suo insediamento, il 10 marzo 2008, il prefetto Morcone, che attualmente ricopre il ruolo di capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, firmò la deliberazione che autorizzava il comune all'acquisto dei terreni che gli erano stati dati in uso gratuito per sistemare i rom;
   il prezzo era stato concordato nel 2006 e le commissioni capitoline competenti avevano approvato l'operazione portando il commissario a firmare la delibera per l'acquisto, anche se la cifra pattuita con i proprietari era onerosa. Infatti in quel periodo l'Agenzia del territorio stabiliva valori decisamente più bassi per terreni simili nella stessa zona;
   il prezzo concordato dal comune di Roma con i venditori era di 5 euro al metro quadrato per il bosco (per una superficie complessiva di circa 11 ettari) e di 8 euro per il prato (con una superficie di altri 11 ettari), a fronte di valori agricoli medi riportati nelle tabelle dell'Agenzia del territorio compresi tra gli 1,9 e i 2,2 euro per il bosco e di 3,4 euro al metro per il prato, pagando quindi una cifra pari a 1,5 milioni di euro per dei terreni che, secondo l'Agenzia del Territorio, ne valevano circa 645 mila;
   la decisione di acquistare un terreno boscoso, che sorge in una Riserva Naturale, per costruire un campo nomadi avrebbe comportato l'abbattimento degli alberi a fronte di una decisione dell'Ente Regionale Roma Natura, che vigilava sulla Riserva, che prevedeva che per realizzare il campo rom non si poteva recare danno alla flora esistente né doveva essere modificato in modo permanente l'assetto del territorio –:
   se risultino agli atti le ragioni della condotta del commissario prefettizio Morcone e se il Ministro interrogato intenda tener conto di tale vicenda in relazione all'attuale incarico conferito al prefetto Morcone. (4-10191)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la prefettura di Cremona ha disposto l'invio di 43 migranti irregolari a Chieve, comune di 2.200 abitanti che ne ospitava già diversi;
   i sedicenti profughi – approdati in Italia l'11 luglio 2015 e provenienti da Bangladesh, Eritrea, Ghana e Nigeria – sono stati destinati ad alcuni appartamenti rimasti invenduti in un condominio privato situato a via San Rocco in Chieve, a fianco di altri invece regolarmente abitati;
   gli appartamenti invenduti appartengono alla «Garbata Accoglienza», una srl registrata l'8 luglio 2015, con 10 mila euro di capitale;
   l'invio dei sedicenti profughi è avvenuto sulla base di una convenzione tra la sopracitata «Garbata Accoglienza» e la prefettura di Cremona datata 20 luglio 2015, esattamente lo stesso giorno in cui la suddetta società risulta essersi iscritta nei registri della camera di commercio;
   a soli dodici giorni dalla sua costituzione formale, la «Garbata Accoglienza» si è quindi aggiudicata un appalto della prefettura, che le varrà 231 mila euro in cinque mesi, al termine di una «procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando», circostanza a giudizio dell'interrogante, quanto meno sospetta, che lascia intravedere la possibilità di un accordo preesistente alla gara tra la legale rappresentante della srl, Giannina Puddu, ed i vertici della prefettura di Cremona;
   l'arrivo a Chieve dei nuovi aspiranti profughi ha suscitato manifestazioni e proteste, tanto da parte della locale cittadinanza, scesa in piazza, quanto degli altri migranti irregolari già ospitati, che hanno invitato gli extracomunitari appena giunti a non prendere possesso dei locali loro destinati, lamentando la scadente qualità degli immobili e la scarsità del cibo loro offerto, preparato apparentemente dalla stessa legale rappresentante della «Garbata Accoglienza» proprietaria degli appartamenti, Giannina Puddu;
   la predetta Giannina Puddu ha spiegato le lamentele dei migranti irregolari ospitati negli immobili di proprietà della sua società facendo riferimento ad errori iniziali nella distribuzione delle razioni monodose di cibo, ma avrebbe ammesso, a quanto conta all'interrogante, che le docce nella struttura non funzionavano;
   persistendo tuttavia irregolarità nella somministrazione delle vivande, alcuni tra i sedicenti profughi hanno chiesto cibo alla parrocchia del Paese;
   successivamente è stato lamentato anche il mancato sgombero dei rifiuti dalla palazzina in cui sono ospitati;
   i titolari di esercizi commerciali nella zona hanno riscontrato un'immediata riduzione del volume dei loro fatturati;
   le disponibilità residue nell'immobile, una ventina di appartamenti sfitti in grado di accogliere secondo alcuni anche cento persone, fa temere ulteriori arrivi a Chieve;
   il carattere unilaterale dell'assegnazione dei sedicenti profughi ai comuni da parte della prefettura di Cremona ha destato allarme anche nelle municipalità contigue a quella di Chieve –:
   se il Governo sia o meno a conoscenza delle ragioni che hanno indotto la prefettura di Cremona ad optare per l'offerta fatta, da una sua società a responsabilità limitata nata appena dodici giorni prima dell'assegnazione dell'appalto;
   se la gestione dell'accoglienza dei sedicenti profughi da parte della «Garbata Accoglienza» che si è aggiudicata la gara sia stata e sia conforme alle leggi ed alle aspettative del Governo, anche alla luce delle manifestazioni e proteste di vario genere verificatesi a Chieve;
   come il Governo intenda assumere iniziative in risposta alle rimostranze e proteste della cittadinanza di Chieve, che chiede il trasferimento dei migranti appena trasferiti sul suo territorio ad altra località. (4-10195)


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il prefetto di Catania, con decreto del 19 settembre 2014, prot. n. 42093, ai sensi dell'articolo 32, comma 10, del decreto-legge n. 90 del 2014 ha disposto la straordinaria e temporanea gestione della società Oikos S.P.A., limitatamente alla esecuzione del contratto di igiene ambientale del territorio del comune di Catania, provvedendo alla nomina degli amministratori, ed in particolare nominando i signori Carlo Gualdi, Maurizio Cassarino e Riccardo Tenti;
   nel suddetto decreto così testualmente si legge: «...rinviando ad un successivo provvedimento la fissazione del compenso professionale per la attività oggetto del presente atto...»;
   analogo provvedimento è stato adottato con riferimento alla società Ipi S.P.A., associata nella gestione del medesimo appalto;
   il prefetto di Catania, con decreto del 19 dicembre 2014, prot. n. 61502, ha disposto la straordinaria e temporanea gestione della menzionata Oikos S.P.A., con riferimento alla discarica Valanghe D'Inverno sita nel comune di Motta S. Anastasia, provvedendo alla nomina degli amministratori, ed in particolare nominando i signori Stefano Scammacca, Maurizio Cassarino e Riccardo Tenti;
   nel suddetto decreto così testualmente si legge: «...rinviando ad un successivo provvedimento la fissazione del compenso professionale per la attività oggetto del presente atto...»;
   oggi non risulta noto il compenso che gli amministratori percepiscono ogni mese, atteso che l'atto di cui si parla non è accessibile tramite il sito della prefettura di Catania;
   in data 1o giugno 2015 il sindaco di Misterbianco onorevole Di Guardo ha esposto alla stampa perplessità in merito alla gestione commissariale della società Oikos, tanto per la gestione della raccolta dei rifiuti quanto per la gestione della discarica collegata alla società, «Valanghe di Inverno», che insiste anche sul territorio misterbianchese, come risulta ad esempio sul portale telematico di informazione Sudpress;
   sulla scorta delle informazioni riportate dagli organi di stampa il compenso mensile di ciascun commissario, ammonterebbe a 90.000 euro;
   è stata presentata dall'interrogante richiesta di chiarimenti alla prefettura sugli emolumenti ai commissari sia attraverso gli organi di stampa, sia attraverso formale richiesta di accesso agli atti alla prefettura in data 10 luglio 2015;
   sul Corriere della Sera Sette del 24 luglio 2015, con un articolo dal titolo «Quando puzzano sia le discariche sia i soldi», Gian Antonio Stella ha ripercorso l'intera vicenda;
   ad oggi non è stata fornita alcuna risposta da parte della prefettura etnea riguardo ai compensi degli amministratori –:
   se non ritenga di dovere sollecitare la prefettura di Catania a ottemperare all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, che prevede l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di pubblicare le informazioni in questione;
   se non ritenga utile la determinazione di parametri ai quali i prefetti debbano uniformarsi nella determinazione dei compensi degli amministratori, sulla scorta di quanto stabilito con apposita circolare dall'Anac;
   se non ritenga utile richiedere al prefetto di Catania chiarimenti in ordine alle modalità di scelta dei suddetti amministratori, e alle ragioni per le quali due di essi sono stati nominati in tutte le amministrazioni, cumulando per tale ragione cospicui compensi professionali;
   quali iniziative ritenga di dovere intraprendere per verificare che le procedure messe in atto rispettino i princìpi di trasparenza, efficacia ed economicità dell'operato della pubblica amministrazione.
(4-10196)


   DI BATTISTA, BRESCIA, COLONNESE, MANLIO DI STEFANO, LOREFICE, BARONI, LOMBARDI, PETRAROLI e SIBILIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con circolari dell'8 agosto 2014 e del 19 marzo 2014, il Ministero dell'interno ha chiesto alle Prefetture di individuare – sui territori di competenza ed in stretto accordo con gli enti locali – strutture per l'accoglienza degli stranieri, «preferibilmente non alberghiere, messe a disposizione da enti pubblici o selezionate tramite indagine di mercato del privato-sociale, dando preferenza ai soggetti con comprovata esperienza in ambito SPRAR o in progetti di accoglienza similari», da distribuirsi secondo un piano predisposto dal Ministero stesso;
   l'esigenza di reperire tali nuove strutture, a giudizio della Ministero, è da rinvenirsi nell'eccezionalità degli arrivi e nell'avvenuta saturazione delle strutture sia governative che della rete SPRAR;
   il successivo 9 aprile 2014 il Ministero ha adottato un'altra circolare con la quale si è proceduto ad un'ulteriore estensione del "piano straordinario" di accoglienza in carico alle Prefetture (pari a 3720 persone da distribuirsi in 74 capoluoghi);
   come riportato dall'ASGI (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione), «l'utilizzo di un nuovo piano straordinario per l'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in arrivo sulle coste italiane ha destato preoccupazione tra gli enti di tutela»;
   in particolare si è evidenziato come tale piano straordinario di accoglienza sia «conseguenza diretta della mancata riforma di norme confuse e non coordinate tra loro e della conseguente pluriennale mancanza di un piano nazionale di accoglienza dei richiedenti asilo e di integrazione sociale dei titolari di protezione» ;
   si tratta, pertanto, di strutture che nascono al di fuori della rete SPRAR e della, comunque lacunosa, normativa, disciplinante i CARA;
   come riportato dai dati statistici del Ministero dell'Interno, a febbraio 2015 il numero totale delle persone accolte nei c.d. CAS era pari a 37028;
   successivamente, con la circolare del 19 settembre 2014, portante n. 11225, il Ministero dell'interno ha nuovamente ampliato, di oltre 18000 posti, i centri di accoglienza straordinaria, mentre, la recente circolare n. 14906 del 17 dicembre 2014 si è occupata di dettare istruzioni: sulla gestione dei centri di accoglienza; sulla necessità di sondare le disponibilità degli enti locali ad assicurare i servizi secondo il modello SPRAR e, in via subordinata, di avviare procedure di gara per l'affidamento dei servizi ai privati; sulla durata delle convenzioni fissata al 31 dicembre 2015;
   tra i centri di accoglienza «straordinari», in carico alle Prefetture, vi è anche quello, di prossima apertura, sito in Roma, nel comprensorio Casale San Nicola;
   difatti, con avviso pubblico del 20 febbraio 2015, la Prefettura, Ufficio Territoriale del Governo di Roma, ha aperto una procedura volta alla conclusione di un accordo quadro per assicurare i servizi di accoglienza ai cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale e la gestione dei servizi connessi;
   la gara, suddivisa in 7 lotti per un totale di euro 27.311.375 oltre IVA, è stata vinta, limitatamente al lotto 4 da 2.075.150,00 euro (CIG 614214740C), dalla Cooperativa Isola Verde;
   ai sensi del predetto avviso pubblico, l'ente gestore deve garantire l'assistenza ai migranti avvalendosi di strutture con le caratteristiche che seguono: munite di destinazione urbanistica compatibile con il servizio oggetto di gara; che rispettino la normativa vigente in materia residenziale, sanitaria, di sicurezza antincendio ed antiinfortunistica; situate in località ben collegate da trasporto pubblico e privato;
   sempre ai sensi dell'avviso di gara, la prefettura di Roma si è riservata «di verificare l'idoneità dei locali in cui saranno svolti i servizi oggetto del presente avviso e di non procedere all'aggiudicazione ai sensi delle disposizioni dell'articolo 81, comma 3 del decreto legislativo 163 del 2006. Tale idoneità deve essere intesa in senso generale e riguarda tutti gli aspetti tecnici, amministrativi, logistici e ambientali» ;
   la verifica di idoneità, poi, si chiarisce nel bando, «è di esclusiva competenza e ad insindacabile giudizio della Prefettura di Roma»;
   l'interrogante è venuto a sapere, per averlo appreso da alcune segnalazioni ricevute, che la struttura indicata dalla società aggiudicatrice dell'appalto, lotto 4, potrebbe risultare inidonea all'accoglienza dei migranti;
   i locali individuati dall'ente gestore, siti all'interno del Comprensorio Casale di San Nicola, Municipio di Roma XIV, fanno parte di un edificio a lungo tempo adibito a istituto scolastico, il Socrate;
   la struttura di accoglienza verrebbe collocata in un contesto territoriale e sociale assolutamente incompatibile con una reale accoglienza ed integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati e, per tale ragione ha incontrato la ferma opposizione di cittadini, comitati e associazioni operanti nel quartiere;
   innanzitutto i 100 migranti verrebbero ad integrarsi in un comprensorio, di ridotte dimensioni, abitato da circa 250 famiglie;
   il quartiere, inoltre, è caratterizzato da gravi carenze di infrastrutture e di servizi:
    le strade del comprensorio (sia quella principale che quelle limitrofe) sono prive di illuminazione e di marciapiedi per il transito di pedoni nonché prive degli scarichi per le acque meteoriche;
    non esiste, all'interno del comprensorio ed anche nelle vicinanze, alcun sistema di trasporto pubblico;
    i più vicini esercizi commerciali (negozi, bar, farmacie, alimentari) si trovano addirittura a 4-5 Km di distanza;
   a ciò si aggiunga che i richiedenti protezione internazionale verrebbero ospitati all'interno di un edificio, sito in Via Casale di San Nicola n. 150, in origine utilizzato come casale agricolo e per diversi anni, come detto, adibito a scuola per bambini (la "Socrate");
   i residenti si sono accorti dell'imminente apertura della struttura soltanto chiedendo informazioni ad alcuni operai che stavano provvedendo ad effettuare lavori di adeguamento e ristrutturazione del predetto edificio;
   come riportato da alcuni esposti presentati dal comitato cittadino casale di San Nicola tali lavori, sono iniziati nel più totale anonimato, senza che fosse esposto alcun cartello sulla tipologia dei lavori e sulla ditta esecutrice, nonché in assenza dei dispositivi di sicurezza per i lavoratori (guanti, casco, calzature di sicurezza);
   in una relazione tecnica, presentata il 19 maggio 2015 al Municipio XIV di Roma, vengono anche evidenziate tutte una serie di problematiche burocratiche-amministrative dello stabile di Via Casale San Nicola 150;
   nella relazione tecnica si riportano, ad esempio, alcune note sulla destinazione d'uso dell'edificio che, essendo stato adibito a scuola, necessiterebbe «di passaggi di trasformazione amministrativa, impiantistica e strutturale che non sembrano essere stati affrontati in modo corretto»;
   vengono altresì evidenziate incongruenze relativamente all'impianto di smaltimento liquami (che, nella scuola «Socrate» era dimensionato per soli 25 utenti, a fronte delle circa 100 persone che dovrebbe ospitare la struttura di accoglienza), nonché in relazione alla necessità che venga realizzato un idoneo impianto di prevenzione incendi (anche alla luce del fatto che il tetto dell'immobile è in legno);
   altre irregolarità, menzionate sempre nella relazione, riguarderebbe la possibile mancanza di pratiche amministrative in merito alla denuncia per l'esecuzione dei lavori;
   tali irregolarità di tipo amministrativo sembrano essere state confermate dalla Presidente della Commissione garanzia e trasparenza di Roma Capitale, Lavinia Mennuni, la quale, come riportato da organi di informazione, avrebbe dichiarato che potrebbero esserci alcune mancanze nell'ambito delle necessarie autorizzazioni amministrative relative casale prescelto, e che gli Uffici Tecnici del Municipio avrebbero segnalato come sembrerebbero non esserci una serie di permessi relativi all'impianto fognario e a quello antincendio e sarebbe altresì mancante una autorizzazione della Sovraintendenza;
   senza contare che l'immobile de quo è stato raggiunto da un sequestro effettuato dalla polizia municipale di Roma Capitale, dovuto, come riportato da organi di, stampa, al fatto che la Soprintendenza avrebbe sollevato un problema di vincolo paesaggistico;
   l'immobile è stato poi dissequestrato in data 6 luglio 2015;
   alla luce di quanto appena esposto sono molti gli aspetti che fanno dubitare sulla effettiva idoneità della struttura ad una reale e proficua integrazione dei rifugiati, soprattutto in considerazione di quanto specificano nel bando (ai sensi del quale, come si è visto, la verifica di idoneità deve riguardare tutti gli aspetti tecnici, amministrativi; logistici e ambientali);
   nonostante le problematiche evidenziate il Prefetto di Roma ha però dichiarato la struttura idonea;
   altro aspetto da sottolineare è l'assoluta mancanza di coinvolgimento dei residenti nella scelta del centro di accoglienza;
   nel caso di specie, la cittadinanza interessata dall'attivazione del centro di accoglienza, è stata completamente tenuta all'oscuro dell'apertura e dell'ubicazione della struttura, come denunciato dai comitati e dalle associazioni locali;
   per quanto è dato sapere la Prefettura non ha mai interpellato e/o coinvolto gli abitanti del quartiere, che si sono visti aprire il centro di accoglienza da un giorno all'altro, senza passare per un opportuno tentativo di mediazione con la cittadinanza che, probabilmente, avrebbe evitato la situazione di tensione dei giorni scorsi;
   gli abitanti del comprensorio, difatti, nonostante tutte le difficoltà e le problematiche evidenziate, hanno comunque manifestato una loro disponibilità ad accogliere i richiedenti asilo, purché si tenga conto di poche, e non così irragionevoli condizioni, come la necessità che l'apertura del centro di accoglienza sia limitata ad un ristretto lasso di tempo e che, presso la struttura, trovino ingresso famiglie e comunque, in egual misura, migranti di genere sia maschile che femminile;
   fermo restando che l'utilizzo di procedure emergenziali non potrà mai portare ad una reale integrazione dei migranti, l'interrogante, ritiene opportuno, anche e soprattutto ai fini di una maggiore integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, che ogni procedura volta ad affidare la gestione di strutture di accoglienza di migranti, preveda una necessaria fase almeno di informazione della cittadinanza, se non di vera e propria consultazione –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quali, iniziative di atti di competenza intenda adottare al fine di dettare una disciplina uniforme in materia di immigrazione volta a superare l'adozione di piani straordinari;
   se intenda chiarire come verrà gestita l'emergenza immigrazione successivamente alla scadenza dell'accordo quadro tra prefettura di Roma e i diversi soggetti economici per il periodo 1o maggio 2015-31 dicembre 2015, specificando se verranno aperte nuove procedure di gara volte alla conclusione di accordi quadro o se interverranno proroghe dell'attuale bando;
   per quali ragioni il Ministero abbia deciso di adottare un nuovo circuito straordinario di accoglienza a carico delle prefetture e perché non si è proceduto ad un immediato ampliamento della rete SPRAR;
   se intenda chiarire, in ogni caso, in relazione al circuito SPRAR per il triennio 2017-2019, il numero dei posti per l'accoglienza, nonché l'importo e provenienza dei fondi erogati;
   se, in relazione al bando della prefettura di Roma del 20 febbraio 2015, il Ministero abbia proceduto a verificare se le onlus, le associazioni e le cooperative vincitrici siano o meno direttamente o indirettamente coinvolte nelle indagini di «Mafia Capitale» se intenda riferire gli esiti" di tali verifiche;
   se, con riguardo alle verifiche di idoneità della struttura oggetto di sindacato ispettivo, la prefettura di Roma si sia avvalsa di tecnici e quali siano, eventualmente, le risultanze dei sopralluoghi effettuati;
   se corrisponda al vero la circostanza che alcun tentativo di mediazione con i residenti del comprensorio Casale San Nicola sia stato effettuato e se non intenda procedere nell'immediato ad ascoltare le ragioni degli abitanti del quartiere;
   se non intenda introdurre, in relazione ad ogni procedura volta ad affidare la gestione di strutture di accoglienza di migranti, l'obbligo, in capo alla stazione appaltante, di procedere ad una fase almeno di informazione della cittadinanza ed, eventualmente, di realizzare un vero e proprio processo partecipativo dei cittadini interessati dall'apertura di nuovi centri. (4-10198)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   «Sport di classe» rappresentava un nuovo progetto a seguito di quello sperimentale di alfabetizzazione motoria effettuato in alcune scuole nell'anno scolastico 2013 prevedendo un nuovo modello operativo che consentiva la partecipazione di tutte le scuole primarie d'Italia che desideravano aderire all'iniziativa;
   il progetto «Sport di classe» è il progetto nato dall'impegno congiunto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR), del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e della Presidenza del Consiglio dei ministri, per promuovere l'educazione fisica fin dalla scuola primaria e favorire i processi educativi e formativi delle giovani generazioni;
   il progetto «Sport di classe» nato nel dicembre 2014 aveva specifiche finalità e articolati modelli d'intervento tra cui: coinvolgere tutte le scuole primarie d'Italia, garantire 2 ore settimanali di educazione fisica e coprire l'intero anno scolastico –:
   se sia a conoscenza di quante siano le classi coinvolte nel progetto «Sport di classe» per l'anno scolastico 2014/2015;
   quante siano le figure professionali coinvolte nel progetto anche in affrancamento in qualità di tutor all'insegnante generalista;
   se gli insegnanti coinvolti nel progetto dell'anno scolastico passato siano stati compensati del lavoro svolto;
   come intenda procedere con il progetto «Sport di classe» in considerazione della legge n. 107 del 2015 ove si prevede che per l'insegnamento della lingua inglese, della musica e dell'educazione motoria nella scuola primaria sono utilizzati, nell'ambito delle risorse di organico disponibile, docenti abilitati all'insegnamento per la scuola primaria in possesso di competenze certificate, nonché docenti abilitati all'insegnamento anche per altri gradi d'istruzione in qualità di specialisti, ai quali è assicurata una specifica formazione nell'ambito del piano nazionale di cui al comma 124 dell'articolo 1 della legge citata. (5-06260)


   LUIGI GALLO, LUIGI DI MAIO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.— Per sapere – premesso che:
   il conservatorio di musica San Pietro a Majella, tra i più antichi d'Europa e nato nel 1808 come Real collegio di musica, può vantare una storia prestigiosissima e allievi illustri, tra cui: Francesco Cilea, Vincenzo Bellini, Ruggero Leoncavallo, Salvatore Accardo, Riccardo Muti, Roberto De Simone, Renato Carosone ed Enzo Avitabile; come allievo e maestro: Giuseppe Martucci; tra i direttori di maggior rilievo, si menzionano: Giovanni Paisiello, Saverio Mercadante, Gaetano Donizetti, Francesco Cilea e Roberto De Simone;
   a causa di numerose vicissitudini, che di seguito si tenteranno di riassumere, appare lampante, tuttavia, che la realtà attuale del prestigioso istituto musicale sia afflitta da gravi problemi di natura didattica, logistica e amministrativo-contabile;
   nel luglio 2012, a seguito delle denunce del presidente del conservatorio avvocato Pasquale Del Vecchio, il Ministero disponeva un'ispezione che, rilevate le difficoltà ambientali e le gravi irregolarità amministrativo contabili, portava, in data 21 dicembre 2012, alla nomina, da parte dell'allora Ministro Francesco Profumo, del dottor Achille Mottola a commissario facente funzioni di presidente del consiglio di amministrazione, come quest'ultimo dichiarato pubblicamente in una nota del 20 settembre 2014 apparsa sul quotidiano La Repubblica – Napoli il 21 settembre 2014;
   a determinare l'ispezione fu una situazione ambientale interna tesa che aveva portato alle dimissioni, nel maggio 2011, del direttore maestro Patrizio Marrone, oggetto di forti critiche da parte del maestro Elsa Evangelista, all'epoca sindacalista UNAMS;
   alle elezioni seguenti a tali episodi veniva eletta proprio il maestro Elsa Evangelista, in deroga alla normativa vigente, decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, che sancisce l'ineleggibilità di coloro i quali hanno ricoperto ruoli sindacali nei due anni precedenti alle elezioni stesse;
   a pochi mesi dall'insediamento del maestro Evangelista, avvenuta a novembre del 2011, anche il presidente dell'istituto, avvocato Pasquale Del Vecchio, rassegnava le proprie dimissioni;
   come si evince da fonte giornalistica (corrieredelmezzogiorno.it, 22 maggio 2012), lo stesso Del Vecchio, nell'illustrare la situazione del conservatorio San Pietro a Majella ai vertici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, definiva «ingovernabile» lo stesso istituto, sollecitando un'ispezione, come sopra rammentato;
   dello stesso tenore erano le dichiarazioni dell'allora direttore generale dell'AFAM, Giorgio Bruno Civello, il quale, come si desume dalla stessa fonte giornalistica di cui sopra, garantiva l'intervento del Ministero, e, in riferimento alla situazione del conservatorio, parlava di un'intollerabile «paralisi», di una «bolgia assurda», arrivando ad ipotizzare la sostituzione dell’«intera gestione amministrativa»;
   stando alle informazioni rese note dalla stampa, i problemi del conservatorio San Pietro a Majella sarebbero, attualmente, ancora gravi: il giorno 26 marzo 2014, il quotidiano La Repubblica titola quanto segue: «Sessanta allievi e alcuni docenti inviano una denuncia al Ministro. Strumenti vecchi, corsi inadeguati: al Conservatorio il Jazz è in crisi»;
   in tale lettera-denuncia indirizzata al Ministero competente da docenti ed allievi, sono elencate diverse anomalie del presente stato del conservatorio, quali: inagibilità dei locali (per i circa 100 allievi di jazz, il conservatorio ha destinato loro solo 30 metri quadri in due ambienti ricavati dall'ex abitazione del custode, con stanze fatiscenti e carenti sotto il profilo dell'acustica, ma anche dell'igiene ordinaria; con spazi inagibili); inadeguatezza degli strumenti musicali, rovinati al punto da costringere alunni e docenti a dover sopperire di tasca propria alle mancanze del conservatorio in termini di manutenzione e riparazione;
   altrettanto gravi parrebbero anche i problemi di natura didattica: costanti ritardi nell'attuazione dei corsi, docenti contrattualizzati ad anno accademico e per un numero di ore nettamente inferiore rispetto a quanto dovrebbe essere garantito, procapite ad allievo, dall'offerta didattica e dal Ministero;
   una denuncia, secondo la quale le situazioni descritte comporterebbero un inevitabile «abbassamento della qualità della didattica e una probabile compromissione della validità del titolo accademico», rimasta inascoltata, sia da parte dei dirigenti responsabili del conservatorio napoletano, sia dal Ministero competente, visto che, nel settembre 2014, repubblica.it (15 settembre 2014), ansa.it (17 settembre 2014), campaniasuweb (19 settembre 2014) ed altre fonti stampa testimoniano la persistenza degli stessi problemi di natura didattica e logistica;
   stando anche alle dichiarazioni rese note dal commissario in carica dottor Achille Mottola, il cui mandato è terminato il 3 dicembre 2014, il quadro è quello di un conservatorio falcidiato da negligenze e forti responsabilità dei dirigenti didattici ed amministrativi tuttora in carica; come desumibile dalla succitata nota dello stesso dottor Mottola pubblicata dal quotidiano La Repubblica, il commissario, in riferimento alla direttrice didattica, parla di «ben precise strategie di affossamento di un vero rilancio dell'istituto», e dichiara inoltre: «al momento del mio insediamento (28 dicembre 2012) la situazione amministrativo-contabile rasentava il default. Gli organi che all'epoca dei fatti ricoprivano responsabilità didattiche o amministrative non avevano esitato ad ordinare spese senza copertura finanziaria e ad assumere debiti fuori bilancio (ad esempio 150.000 euro per compensi a docenti oltre le disponibilità di bilancio; 5000 euro circa per un rinfresco...); «il Conservatorio era attraversato da conflitti interpersonali molto forti e da un continuo rimpallo di responsabilità che tendeva a nascondere la inescusabile negligenza di chi al tempo ricopriva ruoli di responsabilità»; «le risorse finanziarie per il ripristino delle aule jazz e per la manutenzione degli strumenti musicali potrebbero essere facilmente reperite, se solo si deliberasse una programmazione delle attività didattiche sulla base delle risorse umane disponibili e non si prevedessero compensi per ore aggiuntive di docenza e per contratti con esterni che gravano in modo intollerabile sul bilancio e sottraggono risorse finanziare per gli interventi necessari e urgenti»;
   inoltre, come si apprende dal quotidiano Mattino del 17 gennaio 2015, che titola: «Bufera in Conservatorio, 5 prof si dimettono», cinque componenti del consiglio accademico hanno rassegnato le proprie dimissioni in data 16 gennaio 2015, lanciando gravi accuse al direttore didattico Elsa Evangelista; i dimissionari, nel suddetto articolo, dichiarano che la Direttrice «sta svilendo gli apparati democratici di gestione dell'Istituto, arrecando un danno di portata incalcolabile per quello che sarà il futuro degli studi musicali nella città di Napoli»;
   dallo stesso articolo si evince, a detta degli ex componenti del consiglio accademico, che l'Evangelista si prodigherebbe ad organizzare «eventi di facciata», senza preoccuparsi della didattica: le iniziative adottate dalla stessa, scavalcando il consiglio accademico ed il commissario ministeriale, starebbero determinando «flussi di spesa incontrollati» con conseguente rischio default per l'istituzione musicale; i docenti dimissionari sostengono inoltre di aver segnalato più volte al Ministero competente dette anomalie senza ottenere alcun tipo di riscontro;
   il quotidiano La Repubblica del 18 gennaio 2015 titola «Scontro al Conservatorio, si muove anche la Procura» e, oltre a riportare la notizia delle dimissioni dei membri del consiglio accademico, riferisce che gli stessi, negli scorsi mesi, avrebbero presentato esposti in procura «per verifiche su alcuni aspetti di gestione del San Pietro a Majella»; nello stesso articolo si riferisce che sarebbe stato aperto un fascicolo all'attenzione del pubblico ministero Ida Frongillo del pool coordinato dal procuratore aggiunto Alfonso D'Avino;
   tornando agli avvenimenti, ad oggi presunti, iniziati dal 2012, in base alla documentazione in possesso dell'interrogante, il 28 giugno 2012, il consiglio accademico del conservatorio di Napoli, presieduto da Elsa Evangelista, approvava una delibera che prevedeva il congelamento di svariate cattedre malgrado questa procedura, che vari tribunali hanno giudicato illegittima comportasse l'indisponibilità delle stesse ai fini del trasferimento; nella stessa delibera veniva approvata la conversione della cattedra in organico della disciplina teoria e solfeggio, in luogo della cattedra di organizzazione, diritto e legislazione dello spettacolo musicale;
   nell'approvazione di questa conversione, il consiglio accademico ha prodotto a giudizio degli interroganti un danno, dato che la cattedra di, teoria e solfeggio prevedeva 324 ore di lezione, mentre la cattedra di organizzazione, diritto e legislazione dello spettacolo musicale prevede soltanto 30 ore di lezione all'anno a carattere collettivo, prevedendo dunque una retribuzione che appare impropria con oneri a carico dello Stato;
   il Ministero, con nota protocollo 7359 del 6 settembre 2014, a firma del direttore generale dell'AFAM, Giorgio Bruno Civello, aveva espresso parere negativo su tale conversione, ritenendo inopportuno l'utilizzo di un posto in organico per una disciplina curriculare prevista dagli ordinamenti didattici per un impegno orario annuale che non supera le trenta ore, con aggravio di spesa nel bilancio dello Stato;
   il Ministero, dopo aver espresso parere negativo riguardo alla suddetta conversione, non avrebbe però, de facto, impedito tale conversione: il direttore didattico, infatti, non avrebbe ottemperato alle indicazioni ministeriali, evitando di dare, così, la priorità a discipline di maggiore interesse musicale e istituendo cattedre non rispondenti alle reali esigenze degli allievi;
   la suddetta delibera relativa ai congelamenti delle cattedre avrebbe prodotto altri effetti negativi sul conservatorio napoletano, dato che, a causa di tale congelamento, lo stesso istituto ha subìto ricorsi da parte degli aventi diritto al trasferimento, tant’è che un docente avente diritto al trasferimento per la cattedra di violino vinceva il ricorso con condanna del conservatorio al pagamento delle spese di giudizio e diritto al trasferimento;
   il Consiglio Accademico, e per esso il direttore didattico, attraverso una nuova delibera, nell'anno 2014, aveva convertito la cattedra in organico di 324 ore viola complementare in una cattedra di musica d'insieme per la didattica, che, secondo i regolamenti didattici approvati dal Ministero, prevede soltanto 60 ore di insegnamento; anche in tale circostanza, nonostante la chiara contrarietà manifestata dal capo dipartimento del Ministero competente (nelle note protocollo n. 5619/5 e 6636/8 del settembre 2014), dottor Marco Mancini, avverso alla suddetta delibera del consiglio accademico, degli organi competenti e i dirigenti responsabili dell'istituto avrebbero deciso comunque di perseverare nella scelta operata;
   ictu oculi, una condotta che porta ad istituire cattedre senza una reale esigenza produce ad avviso degli interroganti non solo un danno, ma anche un abbassamento della qualità dell'offerta formativa, visto che gli allievi del settore disciplinare di musica jazz, pur essendo in numero decisamente maggiore rispetto agli allievi delle cattedre di nuova attivazione, non vedono garantite tutte le ore di lezione previste dal proprio piano di studi;
   sono giunte all'interrogante, inoltre, le lettere di denuncia del docente Carlo Mormile e indirizzate ai vertici del conservatorio stesso e del Ministero, circa lo stato, definito «vessatorio», in cui verserebbero lo stesso e gli allievi dell'insegnamento direzione di coro cui, inter alia, non è garantito, dal 2012, lo «strumento» essenziale per la formazione professionale e l'espletamento delle loro attività didattiche, ossia il coro stesso;
   si fa strada, dall'analisi dei molti documenti finora citati, l'idea per cui i conflitti sindacali ed interpersonali, parafrasando quanto dichiarato e sopra riportato dal commissario dottor Achille Mottola, sarebbero alla base di talune di queste anomalie, visto che, ad esempio, il docente titolare della disciplina direzione di coro è un esponente di un sindacato in contrasto con quello della direttrice-didattica, Maestro Elsa Evangelista, esponente dell'UNAMS;
   continuando nell'elenco delle contraddizioni ed esempi di amministrazione «poco trasparente e democratica» del conservatorio, il sito ufficiale dello stesso (sanpietroamajella.it), inoltre, nella sezione Trasparenza ed accessibilità, non assicura all'utente i principi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni previsti dal decreto legislativo n. 33 del 14 marzo 2013, dato che, digitando su quasi tutte le sezioni specifiche, sulle stesse compare frequentemente il seguente avviso: «Il contenuto di questa sezione sarà visibile quanto prima»;
   inoltre, all'insediamento del commissario, in data 28 dicembre 2012, vi erano numerosi debiti fuori bilancio per spese non sempre rispondenti ad effettive esigenze istituzionali; esempio eclatante sarebbe la spesa, di 5.000 euro circa, motivata da un rinfresco, nell'anno 2011;
   la direttrice didattica infine avrebbe emesso, nell'ultimo triennio numerosi provvedimenti disciplinari nei confronti di personale docente ed amministrativo, dichiarati illegittimi dall'autorità giudiziaria, con condanna del Conservatorio al risarcimento delle spese di giudizio, come dimostrato, ad esempio, dalla sentenza 19322/13, emessa dal giudice del lavoro del tribunale di Napoli, che dichiara illegittima la sanzione disciplinare irrogata al ricorrente (il docente Patrizio Marrone) dal direttore con provvedimento del 9 luglio 2012 n. protocollo 4859, e dalla sentenza 16488/13, emessa dal tribunale di Napoli in funzione di giudice del lavoro, che annulla il provvedimento disciplinare inflitto al ricorrente (il dipendente amministrativo Clotilde Punzo) dal direttore con decreto 3474 del 10 maggio 2012 –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso, per quanto di competenza, avviare una verifica amministrativa interna al fine di accertare la fondatezza dei fatti di cui l'interrogante è venuto a conoscenza espressi in premessa, e, qualora gli stessi risultassero rispondenti alla realtà, se non reputi di attivarsi al fine di ristabilire una situazione di regolarità amministrativa e didattica nel più antico conservatorio d'Europa, al fine così di garantire agli allievi una completa offerta formativa in tutte le discipline adeguata alle ingenti risorse investite da questi ultimi e dallo Stato. (5-06281)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è operativo in Sardegna dal 2013, a conclusione di dieci anni di lavori, il Sardinia Radio Telescope (SRT);
   il progetto è nato dalla proficua collaborazione, con l'Istituto nazionale di astrofisica (INAF) e grazie agli investimenti effettuati dalla regione Sardegna, che hanno determinato la nascita di un vero e proprio comparto regionale dell'astrofisica e delle connesse tecnologie;
   il presidente della regione autonoma sarda ha segnalato al Ministro che la regione ha investito negli anni ingenti risorse nell'astrofisica e nelle connesse tecnologie;
   in particolare, la regione autonoma della Sardegna, ha investito circa 5,5 milioni di euro per la realizzazione delle opere edilizie necessarie alla creazione del SRT;
   sono state avviate una serie di azioni e investimenti coordinati nel settore dell'astrofisica quali:
    inserimento di SRT e della sede cittadina dell'Osservatorio Astronomico nella rete regionale di supercalcolo CyberSAR;
    finanziamento di circa una dozzina di percorsi di alta formazione in astrofisica e tecnologie relative nell'ambito del Programma «Master & Back»;
    finanziamento per circa 1,5 milioni di euro per un progetto di sviluppo delle apparecchiature accessorie di SRT;
    finanziamento di svariati progetti di ricerca e di sviluppo tecnologico a valere sulla legge n. 7 del 2007 per un totale di circa un milione di euro;
    finanziamento, con risorse POR FESR 2007-2013, di vari progetti cluster sia di tipo «top down» sia «bottom up», per un totale di 730 mila euro, oggi in fase di conclusione per la disseminazione alle imprese ed organizzazioni regionali e non;
    finanziamento, a valere sul POR Sardegna ed erogato a favore del comune di Selargius (circa 10 milioni di euro), per la realizzazione della nuova sede cittadina dell'Osservatorio dotata di ampi spazi per attività di didattica, formazione e divulgazione, e per attività di ricerca e sviluppo, nei pressi della cittadella universitaria;
    finanziamento su base negoziale di un progetto per lo sviluppo delle microonde nell'ambito del protocollo di intesa con la regione Lombardia, per un importo di 3 milioni di euro, che ha visto l'allestimento di laboratori avanzati di sviluppo nella nuova sede dell'Osservatorio astronomico;
    stipula di un accordo con l'Istituto nazionale di astrofisica, con il quale la regione per il triennio 2014-2016 concorre con un budget di 500 mila euro per anno allo «Sviluppo scientifico, il trasferimento tecnologico, la formazione e divulgazione in astrofisica e tecnologie relative»;
    fondazione del distretto aero spaziale della Sardegna (DASS), di cui SRT rappresenta una delle eccellenze messe in campo;
   la proficua collaborazione tra la regione Sardegna e l'INAF si è improvvisamente interrotta a seguito della seduta del consiglio di amministrazione dell'INAF del 18-19 febbraio 2015 che avviò le procedure finalizzate alla costituzione dell'Osservatorio di radio astronomia (ORA), basato sull'accorpamento dell'Istituto di radioastronomia di Bologna e dell'Osservatorio astronomico di Cagliari;
   successivamente, il 25-26 marzo 2015, il consiglio di amministrazione di INAF ha ribadito e formalizzato la decisione di accorpare i due osservatori procedendo con atti conseguenti secondo il percorso preordinato;
   questa decisione, nei fatti, ufficializza l'accorpamento delle due strutture e trasforma in maniera surrettizia il centro d'eccellenza della regione Sardegna in un semplice «avamposto osservativo» sottoposto a linee guida e a logiche determinate a Roma e a Bologna;
   l'Istituto nazionale di astrofisica ha proceduto con decreto del 28 luglio alla nomina del direttore ad interim dell'Osservatorio di radioastronomia –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, possa indicare i motivi che hanno portato ad una decisione unilaterale su una materia che coinvolge in pieno gli interessi della regione Sardegna pregiudicando, oltretutto, gli investimenti pregressi; quali iniziative intenda intraprendere per superare la problematica evidenziata, attraverso lo studio di soluzioni alternative in grado di contemperare le esigenze di coordinamento degli osservatori INAF con gli interessi strategici della regione Sardegna, garantendo la necessaria autonomia territoriale dell'Osservatorio di Cagliari e collocando in Sardegna la sede del coordinamento tra le strutture, vista la rilevanza di quello operante nel territorio sardo; quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per valorizzare le strutture d'eccellenza, i risultati che l'osservatorio di Cagliari è stato in grado di collezionare negli ultimi anni e gli investimenti messi in campo dalla regione. (4-10144)


   FORMISANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 13 luglio 2015, n. 107 «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti» all'articolo 1, commi 1 e dal 121 al 130, stabilisce la piena attuazione all'autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, anche in relazione alla dotazione finanziaria, l'istituzione della Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado;
   la stessa legge rende obbligatoria, nell'ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo e l'istituzione di un Comitato per la valutazione dei docenti stessi;
   l'approvazione della suddetta legge ha impegnato il Governo più del previsto e ad oggi non risultano ancora emessi i decreti attuativi in merito al comma 124 inerente alla formazione in servizio dei docenti in ruolo;
   a parere dell'interrogante, tali decreti attuativi andrebbero rivolti anche al personale docente che segue o svolge iniziative personalizzate di formazione e ricerca, con tematiche previste dall'istituzione e in coerenza con quelle definite istituzionalmente nel piano triennale dell'offerta formativa, la cui relativa certificazione, formalizzata dall'istituzione, avverrà attraverso la consegna di documenti o materiali o pubblicazioni attestanti anche tutta quell'attività di ricerca-studio universitario, accademico e seminariale, documentata e volta ad arricchire l'offerta di formazione in servizio e aggiornamento, la quale non contempli nuovi o maggiori oneri a carico delle istituzioni e della finanza pubblica, come indicato nel comma 185 dell'articolo 1 della citata legge;
   se il Ministro, visto l'imminente avvio delle attività scolastiche, non ritenga opportuno accelerare un'eventuale iniziativa integrativa ai primi decreti attuativi, volta a semplificare e specificare quanto sopra esposto, in modo tale che i docenti in ruolo non debbano perdersi in situazioni ambigue ma possano concentrare la loro professionalità nella missione educativa che si sono prefissi. (4-10157)


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 22 ottobre 2014 si sono svolte le elezioni per la nomina del direttore dell'Accademia per il triennio 2014-2017 nelle quali è risultato eletto il commissario straordinario pro tempore Maestro Bruno Carioti;
   il 28 novembre 2014 il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione III, con ordinanza n. 13309 ha sospeso, in via cautelare la nomina a direttore dell'accademia, dovendo valutare se la partecipazione del maestro Bruno Carioti alla procedura selettiva da Direttore, fosse contraria alle norme (articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 1236 del 1948, articolo 1 e numero 51 dell'allegato 1 della legge n. 179 del 2009, nonché articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003) e al principio di autonomia dell'Accademia di danza e dell'alta istituzione coreutica;
   il suddetto procedimento è giunto sino al Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza della VI sezione N. 05459/2015 REG.RIC del 31 luglio 2015, ha accolto la validità delle obiezioni sollevate, disponendo la sospensione della procedura di nomina del Maestro Bruno Carioti, sino al pronunciamento di merito, fissato al 21 gennaio 2016;
   con decreto prot. N.10171 pos. 2/33, del 29 dicembre 2014 del dipartimento della formazione superiore e la ricerca, la professoressa Giovanna Cassese è stata nominata commissario straordinario dell'Accademia nazionale di danza; il commissariamento è scaduto il 31 luglio 2015;
   allo stato attuale, l'Accademia è priva di qualunque organo che abbia la responsabilità per rappresentare formalmente e giuridicamente l'istituzione, con gravi ripercussioni sul regolare funzionamento della stessa –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per il ripristino della funzionalità dell'Accademia nazionale di danza. (4-10166)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta orale:


   DE MITA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 310, lettera c), della legge n. 190 del 2014, ha previsto una serie di modifiche alla legge n. 152 del 2001 «Nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale», incidenti in maniera significativa sull'attività dei patronati, attraverso la nuova formulazione dell'articolo 10 della legge n. 152 del 2001 «Attività diverse», con cui si è rimessa al Governo la definizione degli «schemi di convenzione» e l'individuazione di «criteri generali» per l'esercizio di nuove attività da approvarsi con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – sentiti gli enti di patronato e i Ministeri competenti per materia – da emanare entro il 30 giugno 2015;
   l'articolo 1, comma 310, lettera d), della legge 190/2014, ha modificato la lettera a) dell'articolo 14 della legge n. 152 del 2001, rubricato «Adempimenti degli istituti di patronato e di assistenza sociale». Pertanto, la nuova formulazione della norma prevede che: «Gli istituti di patronato e di assistenza sociale: a) tengono regolare registrazione di tutti i proventi e di tutte le spese, corredata dalla documentazione contabile attraverso l'adozione di uno schema di bilancio analitico di competenza definito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, redatto secondo le disposizioni del codice civile, comprendente anche le attività svolte all'estero (...)»;
   la predetta norma, per come modificata, stabilisce esplicitamente che anche le attività svolte all'estero debbano essere ricomprese nel medesimo bilancio, da redigersi sulla scorta di uno schema di bilancio individuato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   la definizione e l'adozione di schemi obbligatori per ciascun documento contabile, redatto sulla scorta delle norme civilistiche, è indispensabile al fine di:
    a) garantire la trasparenza nella gestione delle risorse messe a disposizione degli Istituti di Patronato;
    b) permettere il confronto dei risultati di un anno con quello precedente e comparare l'utilizzo delle risorse tra i diversi enti;
   per rendere raggiungibili tali obiettivi, risulta necessario fornire, per ciascuno schema di bilancio, un dettaglio delle operazioni («piano dei conti») che possono essere contabilizzate, corredato dalle indicazioni per la strutturazione del sistema contabile e dalle istruzioni per la corretta alimentazione dei conti e delle voci del bilancio di esercizio;
   per permettere la verifica delle operazioni contabilizzate, è necessario, inoltre, definire il modello di «nota integrativa» in modo che contenga tutte le tabelle di dettaglio delle voci dello «stato patrimoniale» e del «conto economico» del bilancio;
   i patronati operano all'estero con associazioni di diritto locale e, conseguentemente, sono tenuti a redigere bilanci secondo la normativa e le disposizioni del Paese in cui agiscono;
   tale peculiarità rende necessario prevedere la rielaborazione di detti bilanci, con importi in euro, secondo uno specifico schema semplificato di riclassificazione;
   in assenza, di definizione da parte del Ministero dello schema previsto dalla nuova formulazione dell'articolo 14 della legge n. 152 del 2001, la stessa risulta di fatto inapplicabile;
   risulta che ogni patronato, in assenza di esplicita indicazione, si sia legittimamente dotato di sistemi di registrazione e spese diverse, prevalentemente redatti secondo il principio di «cassa»;
   i patronati devono essere messi in condizione di adeguarsi allo schema di bilancio che verrà emanato e di poter tempestivamente aggiornare il proprio modello organizzativo in funzione delle nuove regole;
   è opportuno, per il funzionamento dell'attività dei patronati, che il predetto schema di bilancio analitico per competenza, redatto secondo le regole del codice civile, venga definito nel più breve tempo possibile e, comunque, in anticipo rispetto all'inizio dell'anno 2016;
   ad oggi alcuna indicazione è pervenuta ai patronati, in ordine ai tempi di definizione di detto schema;
   va preso atto della intervenuta scadenza del termine del 30 giugno 2015 –:
   in quali tempi il Ministro intenda adottare i decreti di cui all'articolo 1, comma 310, lettera c), della legge n. 190 del 2014, al fine di dare effettiva attuazione all'articolo 10 della legge n. 152 del 2001, nella nuova formulazione;
   in quali tempi il Ministro intenda adottare lo schema di bilancio analitico di competenza di cui al modificato articolo 14, lettera a), della legge n. 152 del 2001 e se intenda prevedere per il documento contabile, non solo un «piano dei conti» corredato dalle indicazioni per la strutturazione del sistema contabile e dalle istruzioni per la corretta alimentazione dei conti e delle voci del bilancio di esercizio, ma anche uno schema specifico per: stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa, relazione sulla gestione, rendiconto finanziario;
   se ritenga opportuno che la «nota integrativa» preveda la redazione del «conto economico delle attività diverse», riportante i ricavi e i costi attinenti le attività di cui all'articolo 10 legge n. 152 del 2001, per i quali andranno previsti specifici codici contabili;
   se ritenga necessario avere garanzia della correttezza della redazione dei bilanci esteri, anche ricorrendo alla certificazione di un revisore esterno abilitato;
   se e quali indicazioni ritenga necessario fornire per la riclassificazione dei bilanci delle strutture estere, con particolare riferimento alla problematiche in ordine all'applicazione dei tassi di cambio, sia per il «conto economico» che per lo «stato patrimoniale»;
   se non ritenga opportuno, al fine di garantire un effettivo controllo da parte del Ministero sul rispetto dei princìpi contabili, assumere iniziative per sottoporre la certificazione dei bilanci di ogni patronato ad una società di revisione esterna, individuata direttamente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il cui costo potrebbe venire messo a carico dei singoli patronati. (3-01668)


   DE MITA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dai dati di bilancio dello Stato – al cap. 4331, tab. 4, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – gli stanziamenti relativi al finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale, definitivi ed assestati, dell'anno 2014, sono pari ad euro 457.955.015,00;
   a quanto consta agli interroganti con nota del 16 marzo 2015, la direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato agli istituti di patronato una «presunta» consistenza del fondo pari ad euro 390.000.000,00, invitando i destinatari della nota ad utilizzare tale importo al fine di predisporre il rendiconto relativo all'esercizio 2014;
   è evidente la sensibile discordanza tra la somma indicata nel bilancio statale e quella assunta nella nota del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali –:
   quale sia l'importo degli stanziamenti relativi all'anno 2014 da erogare agli istituti di patronato e di assistenza sociale;
   se si intenda valutare l'adozione di una comunicazione ufficiale da inoltrare agli istituti interessati, con cui si indichino le somme ad essi spettanti per l'anno 2014, così come ascritte in tabella 4, al cap. 4331, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, circostanza che darebbe certezza agli istituti medesimi nel redigere il relativo documento contabile. (3-01669)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dei licenziamenti disposti dall'IVP Centralpol/Sevitalia, il 1o ottobre 2014, nei confronti di tredici guardie giurate, contestualmente, alla perdita dell'appalto SNAM ITALGAS acquisito dall'ATI SECURITY SERVICE & ARGO, nuova società assegnataria che non ha assorbito alcun lavoratore;
   sui licenziamenti in questione si è pronunciato il tribunale di Roma che, con sentenza del 15 febbraio 2015, ha ordinato la reintegra dei lavoratori in questione, provvedimento che non è mai stato ottemperato;
   la vertenza di lavoro è ora passata dinanzi al giudice di secondo grado, e, in tale sede, è stata proposta ai lavoratori licenziati una conciliazione che prevede, in luogo della reintegra del posto di lavoro, riconosciuta di diritto, una nuova assunzione sottoposta alle disposizioni del «Jobs Act», affinché l'IVP Centralpol/Sevitalia possa godere degli sgravi fiscali previsti; in alternativa, è stata proposta l'assunzione presso l'Ivp Argo per due lavoratori, alle medesime condizioni peggiorative, posto che questi lavoratori, illegittimamente licenziati, nel caso di una corretta applicazione delle procedure contrattuali e normative sui cambi appalto, sarebbero dovuti transitare alle dipendenze degli Ivp Security Service ed Argo e sottoposti alle precedenti condizioni contrattuali. Con la nuova assunzione i lavoratori perderanno i mesi precedenti di contribuzione, le differenze retributive che avrebbero dovuto ricevere con la reintegra del posto di lavoro, nonché il risarcimento per i danni ricevuti;
   ebbene, alcuni dei lavoratori in questione hanno aderito alla proposta di conciliazione accettando la riassunzione in luogo della reintegra o la nuova assunzione da parte della IVP Argo. Sul punto, non appare legittimo all'interrogante procedere a nuove assunzioni in luogo di reintegre del posto di lavoro riconosciute di diritto, con il fine di accedere agli incentivi previsti per le nuove assunzioni. Al riguardo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali deve adottare i dovuti provvedimenti di controllo, affinché non vi sia un abuso da parte dei datori di lavoro rispetto alla possibilità di ottenere la decontribuzione con nuove assunzioni;
   è chiaro che in vicende del genere il lavoratore, quale parte debole del rapporto, può pervenire ad accordi non congrui per lo stato di necessità di dovere riprendere il lavoro –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intenda intraprendere riguardo ai fatti esposti in premessa, anche convocando un tavolo istituzionale con l'IVP Centralpol/Sevitalia;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere affinché sia escluso che l'accesso agli sgravi fiscali previsti con le nuove assunzioni avvenga con modalità in contrasto con la legge, non procedendo ad esempio, come nel caso di specie, ad una reintegra sul luogo di lavoro o in alternativa ad un assorbimento diretto da parte della società assegnataria in caso di cambio di appalto. (5-06258)


   GNECCHI, MICCOLI, PATRIZIA MAESTRI, INCERTI, GIACOBBE e BARUFFI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come è noto fra gli anni 2008 e 2011 a causa della crisi sono stati firmati molti accordi finalizzati alla gestione delle eccedenze occupazionali con utilizzo di ammortizzatori sociali, sia in sede governativa (si portano a esempio gli accordi Alitalia e Ex Agile) che non governativa;
   in sede di sottoscrizione dei suddetti accordi, molti lavoratori anziani, consapevoli di poter raggiungere comunque l'accesso alla pensione di anzianità attraverso la ex quota 96 o con i 40 anni di contribuzione, donne vicine ai 60 anni e quindi alla pensione di vecchiaia, hanno accettato di essere inseriti in mobilità, salvaguardando il posto di lavoro dei più giovani, pur essendo consapevoli che avrebbero raggiunto i vecchi requisiti ben oltre il termine della mobilità;
   appare oggi ovvio che quella scelta di entrare in mobilità, compiuta a suo tempo da questi lavoratori per favorire i loro colleghi più giovani, si è dimostrata a seguito della «manovra Fornero» sulle pensioni (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 («manovra salva Italia»), assolutamente inopportuna e ha condannato questi soggetti, che matureranno i requisiti anche dopo tre anni la fine della mobilità, ad essere esclusi da qualsiasi salvaguardia di accesso alla pensione con i vecchi requisiti;
   a seguito dell'approvazione del decreto di cui sopra, sono pervenute a getto continuo segnalazioni di accordi individuali o collettivi, sottoscritti in sede governativa o in sede territoriale, perfezionati in data anche di molto antecedente al 31 dicembre 2011, che presentavano condizioni particolari e che la «manovra salva Italia» del dicembre 2011, non ha assolutamente considerato, lasciando i lavoratori anziani espulsi dal mercato del lavoro, senza alcuna forma di reddito e senza la possibilità di accedere alla pensione;
   si ritiene quindi doveroso e necessario individuare questa platea di soggetti che attendono di capire quale potrà essere il loro destino, considerando che già con i provvedimenti in vigore sono ammessi alla salvaguardia i lavoratori che maturano i previgenti requisiti entro un anno dalla fine della mobilità;
   per quanto riguarda gli accordi di esodo è stato risposto che le aziende non sono tenute a comunicarli né all'Inps, né al ministero; la mobilità tuttavia è erogata dall'Inps, quindi sono dati che necessariamente sono presenti nella banca dati dell'Inps –:
   quanti siano i lavoratori suddivisi per sesso inseriti in mobilità a seguito di accordi stipulati in sede governativa o non governativa entro il 31 dicembre 2011 e che matureranno i previgenti requisiti pensionistici rispettivamente: entro due anni dalla fine della mobilità; entro tre anni dalla fine della mobilità. (5-06265)


   SANGA, CARNEVALI, MISIANI, CINZIA MARIA FONTANA e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Italcementi è strutturato, fra l'altro, con:
    Italcementi s.p.a., che occupa circa 3.000 lavoratori in Italia, di cui 600 a Bergamo;
    CTG s.p.a. — Centro Tecnico di Gruppo, con sede solo a Bergamo (ricerca, sviluppo e progettazione), che occupa circa 240 lavoratori di cui 70 presso il «kilometro rosso»;
    Calcestruzzi s.p.a., che occupa circa 500 lavoratori in tutta Italia di cui 50 a Bergamo;
    Italgen (settore energia) con centrali a Vaprio d'Adda, Villa di Serio, Olmo al Brembo e val di Scalve, che occupa circa 80 lavoratori;
   in Italia sono presenti cinque centri di macinazione, diciannove depositi, trentasei cave, un terminal aeroportuale, centodieci impianti di calcestruzzo e 10 cementerie, due delle quali si trovano in Lombardia: Calusco d'Adda (BG), con 154 lavoratori, e Rezzato (BS), con 120 lavoratori;
   l'impianto di Rezzato è stato oggetto di un revamping (rinnovamento) con un investimento di 200 milioni di euro, e pertanto risulta oggi più efficiente rispetto a quello Calusco d'Adda; condizione questa che crea i presupposti per una preoccupazione circa una possibile ristrutturazione a livello produttivo ed occupazione dell'impianto di Calusco d'Adda;
   è attualmente in corso il quarto anno di cassa straordinaria per complessità processi produttivi che scadrà il 31 gennaio 2016. Era in previsione una ulteriore richiesta di un altro anno;
   la famiglia Pesenti ha concluso un accordo con HeidelbergCement finalizzato alla cessione del 45 per cento di Italcementi s.p.a., attualmente detenuto da Italmobiliare; in una seconda fase Heidelberg effettuerà un'offerta pubblica di acquisto sul restante capitale sociale di Italcementi;
   questo accordo porterà alla costituzione del primo gruppo a livello mondiale negli aggregati, del secondo gruppo nel cemento e del terzo gruppo nel calcestruzzo;
   nella comunità bergamasca sono state espresse preoccupazioni per il quadro che si sta delineando;
   i sindacati di categoria (Fillea-CGIL, Filca-CISL e Feneal-UIL) esprimono forti preoccupazioni sul futuro della società e sul destino dei quasi 3.000 dipendenti, con particolare riguardo al mantenimento dei livelli occupazionali di cui al piano di ristrutturazione che si concluderà nel gennaio 2017;
   nel corso dell'incontro svoltosi martedì 4 agosto 2015 in Federmaco a Roma l'azienda Italcementi si è fatta portavoce della volontà di Heidelberg di risparmiare 100 milioni di euro nel corso del 2016 –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per garantire la tenuta occupazionale;
   se risulti che gli investimenti per circa 25 milioni di euro, già programmati da Italcementi per i siti italiani e a garanzia del piano di ristrutturazione in essere, saranno confermati;
   se intenda attivare da subito un tavolo di confronto permanente al fine di approfondire i contenuti del piano industriale della suddetta operazione, a garanzia della effettiva integrazione dei due gruppi societari;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda mettere in campo per vigilare affinché la fusione avviata non si riveli essere soltanto una mera operazione finanziaria;
   se risulti dove e come Heidelberg intenda recuperare 100 milioni di euro nel 2016. (5-06267)


   CIPRINI, GALLINELLA, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 aprile 2015 l'associazione indipendente Openpolis, attiva nella elaborazione di open data, ha pubblicato un dossier denominato «Piove sempre sul bagnato. Il lavoro durante la crisi in Italia e in Europa», sulla portata dei cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro durante gli ultimi sette anni di crisi economica;
   l'approfondimento è una analisi comparata tra gli Stati membri della Unione europea che ha come focus disoccupazione, la sicurezza sul lavoro, l'occupazione giovanile e delle donne;
   il documento parte da una analisi dei principali indicatori macroeconomici, dai quali emergono importanti differenze tra i vari Paesi europei aderenti all'Unione in merito agli effetti della crisi ed i cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro;
   dallo studio si apprende come in Europa la percentuale dei disoccupati sia aumentata del 3 per cento negli ultimi sette anni (dal 7,2 per cento del 2007, al 10,2 per cento del 2014), con l'eccezione di tre Stati europei — Polonia, Malta e Germania — dove il trend è stato opposto, con una diminuzione dei disoccupati;
   tuttavia l'analisi dei principali indicatori macro-economici evidenzia come i cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro durante la crisi non siano stati uguali per tutti. Ad esempio, in un contesto europeo di peggioramento la Svezia ha mantenuto valori occupazionali quasi invariati confermandosi al primo posto in Europa. Oppure, se in media la disoccupazione in Europa è aumentata del 41,67 per cento, in Germania è invece diminuita del 41,18 per cento;
   il nostro Paese è uno di quelli che ha maggiormente risentito degli effetti della crisi. Infatti dal 2007 al 2014 l'Italia ha visto raddoppiare la disoccupazione, è diventato il primo Stato UE per percentuale di giovani che non lavorano e non studiano (22,2 per cento), uomo/donna è aumentato del 43 per cento e dopo una progressiva riduzione nell'ultimo anno le morti bianche sono tornate ad aumentare;
   come rileva il dossier: «dopo una lunga crisi che ancora non sembra finire, i giovani continuano ad essere la categoria più colpita. A livello europeo la disoccupazione giovanile è aumentata del 50 per cento, con il dato che era del 15,6 per cento nel 2007, arrivato nel 2013 al 23,5 per cento. Proprio nel 2013, 2 paesi avevano oltre la metà dei giovani fra i 15 e 24 in cerca di occupazione che non avevano un lavoro, in ordine la Grecia (58 per cento) e la Spagna (55 per cento). L'Italia non se la passa certamente bene, con un aumento del 96 per cento della disoccupazione giovanile, passando dal 20,4 del 2007 al 40 per cento del 2013. Con il dato in aumento in quasi tutti gli Stati Membri, Malta e Germania segnano una contrazione dei giovani disoccupati, rispettivamente del 3,7 per cento e del 34.45 per cento. A livello locale aumento costante in tutte e 20 le regioni, con il picco minimo in Sicilia (+50 per cento) e quello massimo nelle Marche (+300 per cento). Ma oltre a quelli in cerca di lavoro, un'altra categoria di giovani è finita per diventare protagonista di questa fase storica: i Neet. Stiamo parlando di quei ragazzi fra i 15 ed i 24 anni che né cercano lavoro né sono inseriti nel sistema scolastico. Con la crisi, l'Italia è diventato il paese con la percentuale più alta di Neet, ben il 22,2 per cento. Nessun paese in Europa fa peggio di noi, con una media per gli altri Stati Membri ferma al 13 per cento. Le regioni italiane sono tutte tranne una, il Trentino Alto-Adige, sopra la media europea, con la Sicilia che ha il 33 per cento dei giovani fra i 15 ed i 24 anni fuori sia dal mercato del lavoro che dai circuiti scolastici. Il maggior peggioramento è stato registrato nelle regioni del centro e del nord, come ad esempio l'Abruzzo (+144,44 per cento), l'Emilia-Romagna (+125 per cento) e l'Umbria (+111 per cento)»;
   di particolare effetto il dato che riguarda anche l'Umbria regione – insieme alla Marche-caratterizzata in passato da un solido tessuto manifatturiero;
   dunque il dossier di Openpolis consegna all'Italia il triste primato del Paese europeo con il più alto numero di giovani tra i 15 e 24 anni che non lavorano e non studiano (cosiddetti NEET, Not engaged in Education, Employment or Training), passando dal 16,2 per cento del 2007 al 22,2 per cento del 2013, la maggior parte dei quali situati nel Sud Italia tra Sicilia, Calabria e Campania;
   in data 30 aprile 2015 l'Istat ha reso noti i dati sulla occupazione relativi al mese di marzo 2015, dove si evince un nuovo incremento del dato generale della disoccupazione (al 13 per cento) mentre quello relativo ai giovani si attesterebbe al 43,1 per cento. Rispetto a marzo 2014, l'occupazione è in calo dello 0,3 per cento; anche il programma europeo denominato Garanzia Giovani, rivolto proprio alla categoria dei giovani NEET, in Italia sta trovando una applicazione caratterizzata da documentati disservizi ed inefficienze;
   proprio per tali ragioni è nato il progetto dell'istituzione di una Garanzia per i Giovani fondato sulla raccomandazione del Consiglio del 22 aprile 2013 (2013/C 120/01): «Il termine «garanzia per i giovani» si riferisce a una situazione nella quale, entro un periodo di quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale, i giovani ricevono un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio. Un'offerta di proseguimento degli studi potrebbe anche comprendere programmi di formazione di qualità sfocianti in una qualifica professionale riconosciuta.»: lo strumento contribuirà a raggiungere tre degli obiettivi della strategia Europa 2020, vale a dire il 75 per cento delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni abbia un lavoro, che gli abbandoni scolastici siano inferiori al 10 per cento e che almeno 20 milioni di persone siano sottratte alla povertà e all'esclusione sociale;
   tuttavia il progetto europeo sposato dall'Italia e denominato Garanzia Giovani, destinato ai Neet (not in education, employment, or training) di età compresa tra i 15 e i 29 anni, ad un anno dalla sua partenza, oltre ad avere deluso le aspettative dei numerosi giovani iscritti al programma, sta facendo attendere il pagamento dei tirocini per quei pochi fortunati a cui questi sono stati proposti;
   con un tasso di disoccupazione che è tornato a crescere, facendo registrare a febbraio ben un 42,6 per cento, Garanzia Giovani è riuscito ad offrire solo 69.811 proposte di stage, o contratti di lavoro, che non superano mai la durata di 6 mesi, agli oltre 500 mila giovani iscritti. Molti dei ragazzi registrati sul portale non hanno nemmeno sostenuto il primo colloquio orientativo, mentre i più fortunati sono stati chiamati ben oltre i 4 mesi dall'uscita dal sistema di istruzione formale o dall'inizio della disoccupazione, come richiesto dalla raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013;
   anche la regione Umbria, con l'avviso pubblico tirocini Garanzia Giovani, approvato con D.D. n. 8222 del 20 ottobre 2014, ha dettato le disposizioni per la costituzione di una specifica categoria del catalogo unico regionale dell'offerta formativa, rivolta ai tirocini extracurriculari finanziati con risorse pubbliche, che ospita i tirocini finanziati ai sensi del Piano esecutivo regionale «Garanzia Giovani»:
   nel dettaglio, la regione Umbria dispone di quasi 22,8 milioni di euro, nell'ambito del Piano di attuazione italiano della Garanzia per i Giovani;
   la maggior parte dei fondi (8,5 milioni), così si legge nella pagina web del Programma, sono destinati alla formazione, al fine di allineare i profili degli under 30 con le figure richieste dalle aziende del territorio; mentre 3,7 milioni sono destinati ai bonus occupazionali per le imprese che assumono giovani. Il resto delle risorse, come ha enunciato la regione, sono riservati all'accoglienza, accompagnamento al lavoro, tirocini, servizio civile, sostegno all'autoimpiego e mobilità professionale;
   come denunciato anche dal Fattoquotidiano.it del 15 giugno 2015 (con un articolo a firma di Giorgio Velardi «Garanzia Giovani flop: tirocinanti e stagisti senza stipendio da mesi: delusi, scoraggiati, arrabbiati. Per molti ragazzi l'adesione al piano europeo di contrasto alla disoccupazione si sta trasformando in una vera odissea. Fra ritardi e inadempienze. Ecco alcune storie esemplari raccontate a il fattoquotidiano.it. Mentre nel Lazio la Cisl lancia l'allarme: «La Regione non paga e in tanti abbandonano»), accade che molti giovani iscritti ad esempio al portale umbro, hanno presentato innumerevoli candidature senza aver avuto nessun riscontro e, in alcune occasioni, hanno ricevuto semplicemente un messaggio con il quale si comunicava al candidato che il suo profilo non era in linea con la ricerca. Ma c’è di più. Il catalogo pubblico dei tirocini non è altro che una vetrina senza reali e seri progetti formativi. Non a caso diverse schede riassuntive delle proposte di tirocinio presentano form (a titolo di esempio si citano «descrizione del tirocinio» – «attività del tirocinante» «modalità di svolgimento» — «obiettivi del tirocinio») carenti delle informazioni necessarie per il candidato di scegliere consapevolmente la proposta più confacente ai propri studi, attitudini, inclinazioni e desideri personali. Si registrano, persino, casi in cui il soggetto promotore ha inserito, nei predetti campi descrittivi, termini puramente di fantasia, come il tirocinio offerto da un ente di Acquasparta (Perugia), nella cui scheda si leggono termini come «rtrgd», «waerf», «arfg» e così via. In altre parole, la qualità delle offerte caricate nel portale è qualitativamente dubbia, oltre a non essere stata adeguatamente vagliata;
   dunque se è pur vero che si assiste al crescere delle domande di partecipazione al programma (il numero degli utenti complessivamente registrati presso i punti di accesso della Garanzia Giovani ha raggiunto le 688.925 unità) e in Umbria – secondo gli ultimi dati disponibili – sarebbero 13.935, è altrettanto vero che forte è la frustrazione da parte dei partecipanti rispetto alle aspettative e agli obiettivi dichiarati e il gap tra la realtà e le finalità dichiarate;
   emblematiche le esperienze e le storie comuni a tanti giovani e riportate dal Fattoquotidiano.it del 15 giugno scorso: «Barbara G. sta svolgendo il proprio tirocinio in un supermercato di Narcao, un paesino di circa tremila abitanti in provincia di Carbonia-Iglesias (Sardegna). Racconta di aver iniziato la propria esperienza, inserita nell'ambito della Garanzia Giovani, a marzo. Sono passati quattro mesi e la Regione, tramite l'Inps, avrebbe già dovuto versarle i soldi che le spettano. Ma ad oggi, dice, «non mi hanno ancora pagata». Il motivo ? «Ad aprile ho ricevuto una telefonata, mi hanno spiegato che c'era un errore nella documentazione che avevo consegnato: possibile che se ne siano accorti dopo un mese ?», domanda. Ma non è tutto. «A fine maggio — aggiunge — non avendo ancora visto un centesimo, sono andata a chiedere informazioni all'Inps, dove mi è stato detto che dovevo rivolgermi alla Regione. La quale, a sua volta, ha risposto dicendomi che i soldi li aveva già mandati all'Inps e che loro, quindi, non c'entravano nulla. Insomma: una vera e propria presa in giro». È questo lo stato d'animo della maggior parte dei ragazzi che hanno aderito al piano europeo di lotta alla disoccupazione giovanile partito il 1o maggio 2014, ma che in Italia, nonostante gli 1,5 miliardi di euro stanziati da Bruxelles, si sta dimostrando un autentico fallimento. Più dei numeri, non certo incoraggianti — secondo l'ultimo report del Ministero del lavoro guidato da Giuliano Poletti gli iscritti sono 617 mila ma solo 107.859, il 17,48 per cento, hanno ricevuto un'offerta –, lo testimoniano le storie di giovani delusi e arrabbiati raccolte da ilfattoquotidiano.it. Tutto fuorché «bamboccioni» che si ritrovano, loro malgrado, senza un euro in tasca. Quella di Barbara, infatti, non è una testimonianza isolata. Anzi. Senza garanzia. Come lei, in tutta Italia, ce ne sono a decine. Tanti si sfogano nei forum e sui social network. Su Facebook, ad esempio, sono nati numerosi gruppi nei quali i ragazzi si ritrovano per raccontare le loro storie. Quasi a farsi coraggio a vicenda. Fra questi c’è anche Maria K., per la quale la Garanzia Giovani si sta rivelando un vero e proprio disastro. La sua odissea è iniziata ad aprile 2014 ma «solo a marzo di quest'anno ho ottenuto il primo colloquio – spiega –. Ho cominciato il 16 aprile in un'azienda di Pescara che si occupa di gestioni amministrative, firmando un contratto che prevede un'indennità di 600 euro al mese. Ad oggi, comunque, dei soldi neppure l'ombra. Navigando in rete ho scoperto di essere in buona compagnia perché in tanti sono arrivati già al quinto mese di tirocinio senza essere mai stati retribuiti». Al punto che «io e molti altri stiamo consigliando ai ragazzi ancora in attesa di una chiamata o di un colloquio di lasciar perdere. Personalmente – racconta la giovane – mi ritrovo in una situazione molto pesante: abito in affitto, il tirocinio non lo svolgo nella città in cui vivo e quindi, oltre alle spese domestiche, ogni giorno ho anche quelle di sostentamento da mettere in conto. In questo mese e mezzo ho anticipato tutte le spese con i miei risparmi: a breve, molto probabilmente, dovrò rinunciare perché non ho più un centesimo da spendere», conclude. Tempo perso. Valeria S., invece, ha 29 anni, vive a Perugia e ha una laurea in Economia. «Da dieci anni, per tre-quattro volte la settimana, faccio la pizzaiola senza contratto: i soldi che guadagno mi permettono di pagare l'affitto e le rate della mia sudatissima auto», racconta. Anche per lei lo Youth Guarantee avrebbe potuto rappresentare un punto di svolta. Ma così non è stato. «A fine gennaio, dopo due colloqui al centro per l'impiego della mia città, la sottoscrizione del patto di servizio e la candidatura a qualche tirocinio, ho trovato un'azienda che si occupa di commercio all'ingrosso di imballaggi flessibili e che mi ha selezionata per svolgere attività di segreteria. Dalla comunicazione del buon esito del colloquio all'inizio effettivo del tirocinio è trascorso più di un mese, durante il quale ho prestato spontaneamente servizio». Un gesto generoso: «Mi era stato detto che l'attivazione avrebbe richiesto un paio di settimane – dice la ragazza – così ho pensato di approfittarne per imparare qualcosa e mettermi in buona luce». Peccato che le settimane siano raddoppiate e che «solo il 9 marzo il tirocinio è partito ufficialmente. Ad oggi non sono stata ancora pagata. Cinquecento euro non sono una cifra astronomica, ma sarebbero sufficienti ad affrontare le spese vive quali carburante e pasti fuori casa, che riesco a sostenere solo perché concluse le mie otto ore di lavoro giornaliere salgo in macchina, guido per trenta chilometri e raggiungo il locale in cui presto servizio per altre sei ore, che mi vengono retribuite con i voucher. Poi torno a casa sfinita». Ecco perché, arrivata a questo punto, Valeria ha deciso di interrompere il suo percorso con la Garanzia Giovani. E oggi attacca: «Per molte aziende i tirocini finanziati dagli enti pubblici rappresentano l'occasione per assicurarsi manodopera gratis. Questa non è che l'ennesima dimostrazione»;
   a rendere ancora più grave la situazione è infatti il mancato pagamento dell'indennità da riconoscere ai tirocinanti, i quali da mesi risultano essere in attesa dei compensi sull'intero territorio nazionale. Le indennità, oltre a non arrivare, sono state ridotte, innescando il consueto scarico di responsabilità tra Ministero, regioni e Inps;
   numerosi sono i giovani che per mesi sono «rimbalzati» da un Ente ad un altro (soggetto promotore; provincia; regione; INPS) senza riuscire a comprendere né le cause né le responsabilità dei ritardi e seppur recentemente, l'indennità mensile che deve percepire uno stagista, come accade ad esempio in Umbria, è salita da 400 a 500 euro lordi per 40 ore di lavoro settimanale, tuttavia, anche lo stesso calcolo delle trattenute fiscali ancora non è chiaro e su che basi viene fatto;
   così strutturata la garanzia Giovani non appare rispondente a quanto previsto nella raccomandazione del Consiglio del 22 aprile 2013 (2013/C 120/01): «Il termine “garanzia per i giovani” si riferisce a una situazione nella quale, entro un periodo di quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale, i giovani ricevono un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio. Un'offerta di proseguimento degli studi potrebbe anche comprendere programmi di formazione di qualità sfocianti in una qualifica professionale riconosciuta»;
   a subire le conseguenze dei malfunzionamenti e dei ritardi sono i giovani Neet che, allo stato attuale, risulta stiano lavorando o abbiano lavorato gratis –:
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda attuare o abbia attuato per favorire lo sblocco ovvero eliminare il ritardo dei pagamenti di cui in premessa a favore dei partecipanti al progetto Garanzia Giovani anche prevedendone l'anticipazione nei casi di ritardo della regione;
   quali misure o azioni intenda intraprendere il Ministro interrogato per attivare e/o favorire inserimenti mirati e personalizzati che tengano conto della congruità tra offerta del percorso formativo e gli aspetti biografici e curricolari del giovane;
   in quali termini si intenda procedere o si sia proceduto al monitoraggio delle offerte formative e di lavoro pubblicate sul portale e sui cataloghi, in modo da rendere l'offerta più congrua ai curricula degli iscritti e in linea con il programma della raccomandazione europea e quale siano stati i risultati di tale monitoraggio;
   quali misure correttive intenda adottare o abbia adottato il Governo per ovviare alle criticità segnalate in premessa anche prevedendo l'innalzamento dell'importo delle indennità dovute, favorendo la fattibilità dei percorsi di tirocini e di formazione attraverso il rafforzamento di forme di reddito indirette come i servizi alla mobilità, la sanità, buoni-pasto nonché limiti all'inserimento di altri tirocinanti per l'impresa che non proceda all'assunzione di una percentuale di tirocinanti entro l'anno solare dalla fine del tirocinio e infine limiti al numero di tirocinanti per lo stesso ufficio dell'azienda al fine di correggere l'uso improprio o distorto degli strumenti previsti da Garanzia giovani;
   quali iniziative il Governo abbia adottato o intenda adottare per individuare strumenti per accelerare il corretto processo di attuazione della misura secondo quanto previsto nella raccomandazione europea in materia;
   quali iniziative intenda adottare per contrastare l'uso improprio dello strumento Garanzia Giovani. (5-06274)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, CHIMIENTI, CIPRINI, COMINARDI, DALL'OSSO, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LOMBARDI, LUPO, PARENTELA e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 21 maggio 2015 n. 65, recante disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR, destina alla cassa integrazione in deroga ulteriori 5 milioni di euro che si aggiungono ai 30 milioni già stanziati e ai 10 derivanti da altri residui;
   gli ammortizzatori sociali in deroga stanziati per il settore della pesca sono pari a 35 milioni di euro;
   questa deroga segna un passo in avanti in favore dei dipendenti degli armatori coinvolti nel processo di fermo biologico del 2014 per la pesca produttiva in relazione al fermo biologico per il settore ittico;
   nonostante il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti abbia firmato l'atteso decreto per lo sblocco dei pagamenti della cassa integrazione in deroga per il settore della pesca per l'anno 2014, le risorse destinate ai lavoratori in fermo biologico del 2014 e quelle alla cassa integrazione in deroga del 2015 ancora non vengono erogate a causa dei tempi lenti della burocrazia;
   l'erogazione di tali fondi da parte dell'INPS diventa vitale per i lavoratori del settore obbligati al rispetto del fermo biologico che non hanno ancora percepito gli arretrati e con la prospettiva di restare, nel periodo di inattività, senza alcun reddito –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative tempestive intendano attuare per accelerare le pratiche per la liquidazione immediata della cassa integrazione guadagni ai pescatori interessati. (4-10148)


   MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, BENEDETTI, LUPO, GALLINELLA, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa si apprende che nella mattina del 13 luglio 2015 una donna è morta sotto un tendone per l'acinellatura dell'uva, nelle campagne di Andria, in contrada Zagaria in Puglia. Lo denuncia la Flai Cgil Puglia, in particolare il segretario regionale Giuseppe Deleonardis;
   la donna si chiamava Paola, e da quanto si ricava dalla nota stampa era una bracciante 49enne di San Giorgio Jonico, nel tarantino;
   secondo la CGIL la donna sarebbe stata sepolta il giorno dopo, ma senza autopsia e con il nulla osta del magistrato di turno. Il pm – sostiene Deleonardis – non si è recato sul posto perché, riferisce la polizia di Andria, il parere del medico legale è che si sia trattato di una morte naturale, forse un malore per il caldo eccessivo. Sembra che in ospedale non sia mai arrivata. Il carro funebre l'ha portata direttamente dal campo di lavoro alla cella frigorifera del cimitero di Andria, dove il marito e i figli l'hanno trovata;
   una morte che quindi precede quella di Mohamed, il sudanese morto il 20 luglio nelle distese di pomodori di Nardò;
   sempre dalla nota CGIL Paola lavorava sotto i tendoni per diradare gli acini fare più belli i grappoli di uva da tavola, scartando i chicchi piccoli che impediscono agli altri di crescere. Un lavoro duro a cui non corrisponde una paga adeguata, visto che l'acinellatura è tra i lavori pagati meno in agricoltura: 27-30 euro a giornata, nonostante i contratti provinciali stabiliscano un salario di 52 euro. Un'attività che riguarda oltre 40 mila donne italiane vittime del caporalato pugliese, spesso camuffato da agenzie di viaggi o da lavoro interinale. Donne trasportate con gli autobus su e giù per tutta la regione, dalla provincia di Taranto alle campagne del nord della Puglia;
   al momento non sono state aperte indagini sulla vicenda, il fascicolo, trasmesso in procura, sarebbe stato archiviato;
   è opinione degli interroganti che i fatti sovraesposti rientrino nel novero dei casi di sfruttamento e di mancata applicazione delle più comuni misure in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro in ambito agricolo, ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 e successive modificazioni (testo unico, sulla salute e sicurezza sul lavoro);
   ai sensi del testo unico, sulla salute e sicurezza sul lavoro, Capo III – gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro sezione I – misure di tutela e obblighi – articolo 15 – Misure generali di tutela –, tra le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro si prevede: a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza; b) la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro; c) l'eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico; d) il rispetto dei principi ergonomici nell'organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo, e altro;
   all'articolo 17 – obblighi del datore di lavoro non delegabili – il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività: a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28; b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, ai fini di garantire la salute, la sicurezza e l'igiene dei lavori durante le attività, di cui è diretto responsabile in sede penale;
   secondo l'articolo 28 del testo unico la valutazione di tutti i rischi aziendali al fine della loro eliminazione alla fonte, deve essere redatta in un apposito documento periodicamente aggiornato, a disposizione degli organi di vigilanza (ASL);
   sempre in base al suddetto articolo, il datore di lavoro deve provvedere alla sistemazione dei luoghi di lavoro che deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (N), quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e quelli derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall'articolo 89, comma 1, lettera a), del decreto, interessati da attività di scavo;
   la valutazione dei rischi deve adeguarsi al progresso della tecnica ed oggi è possibile valutare gli stress termici a cui sono soggetti i lavoratori attraverso vari modelli, tra questi il PHS MODEL (Predicted Heat Strain index) facilmente applicabili e che forniscono un «allert» qualora le condizioni di lavoro divengano proibitive, e altre indicazioni, quali il numero e la lunghezza delle pause ed il quantitativo di acqua da somministrare ai dipendenti per la reidratazione, aspetti che il datore di lavoro è obbligato a rispettare;
   il settore primario è caratterizzato perlopiù da lavori usuranti e pericolosi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, e i controlli da parte degli organi di vigilanza risultano essere assolutamente inadeguati;
   il settore primario italiano è molto sensibile ai fenomeni di «lavoro nero» e sfruttamento anche minorile, nonché alle infiltrazioni della criminalità organizzata;
   il caporalato è stato inserito tra i reati perseguibili penalmente nel 2011, essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte «giocato» tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato;
   l'articolo 14 del testo unico – Disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – prevede, al fine di far cessare il pericolo per la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori di cui all'articolo 92, comma 1, lettera e), che gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni quando riscontrano l'impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto dei Ministero del lavoro e delle politiche sociali, adottato sentito il Ministero dell'interno e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non si ritenga opportuno, per quanto di competenza, verificare le reale sequenza dei fatti, anche al fine di dare dignità alla vita della donna deceduta;
   quali iniziative il Governo stia adottando per fronteggiare il fenomeno dilagante dello sfruttamento di alcune categorie di lavoratori e del caporalato nel settore primario, considerando soprattutto che la più diffusa forma di caporalato è proprio quella che riguarda la manodopera agricola, prevedendo controlli incrociati tra produzione dell'azienda agricola, reale fabbisogno della manodopera e contributi versati;
   per quali ragioni non risulti ancora pienamente applicato l'articolo 14 del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che prevede la sospensione delle attività a rischio;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intendano assumere al fine di evitare il ripetersi di eventi così tragici nel mondo agricolo, con particolare riguardo al potenziamento degli organi di vigilanza, degli ispettorati del lavoro, in modo da rendere capillari i controlli presso le realtà imprenditoriali del mondo agricolo;
   se non si ritenga opportuno assumere urgenti iniziative, anche di carattere normativo, al fine di garantire la tutela della salute sui luoghi di lavoro con particolare riguardo alla fattispecie di cui in premessa assicurando la puntuale applicazione dei modelli di stress termico già previsti dalla normativa vigente. (4-10172)


   CHAOUKI, MASSA, CAPONE, MICCOLI e LACQUANITI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da varie fonti giornalistiche della morte di Mohammed Abdullah un uomo di 47 anni, originario del Sudan, stroncato da un malore, mentre era al lavoro nelle campagne di Nardò, in provincia di Lecce. Da quanto si evince da un articolo uscito su Il Manifesto del 22 luglio, Mohammed «non aveva un contratto, ma era in possesso della carta di soggiorno in quanto richiedente asilo» e, come si legge nell'articolo: «lavorava per 3,50 euro a cassone. (...) Ciascun cassone pesa 3 quintali, e più ne riempi, più vieni pagato. La giornata di lavoro inizia alle 5 del mattino e finisce tra le 17 e le 18: si passano 12 ore sotto il sole, a faticare come bestie»;
   il bracciante agricolo sudanese sarebbe morto lunedì 20 luglio 2015, mentre era impegnato nella raccolta dei pomodori in un campo tra Nardò e Avetrana, colto da infarto mentre lavorava sotto il sole, ad una temperatura di circa 40 gradi;
   il settore primario, soprattutto nelle regioni del Sud Italia, è spesso caratterizzato da lavori usuranti e pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori; la piaga del caporalato e le difficilissime condizioni in cui sono costretti a lavorare i braccianti, nelle campagne del Salento, così come nell'Agro pontino, è cosa nota all'opinione pubblica e alle istituzioni;
   una situazione di sfruttamento intrecciata con il malaffare, dove datori di lavoro, colpevoli di alimentare il mercato del lavoro a basso costo, antepongono i propri interessi economici a scapito dei diritti dei lavoratori stessi che, sottopagati, sono costretti a vivere in condizioni inumane;
   da quanto l'interrogante ha potuto accertare attraverso una visita nei campi-tendopoli di Nardò, svoltasi il 31 luglio, durante la quale ha incontrato i braccianti ospitati dal campo-tendopoli adibito all'uopo, si tratta per lo più di giovani uomini, con regolare permesso di soggiorno in Italia, che si spostano in Puglia per la stagione della raccolta delle angurie o dei pomodori; lavoratori stagionali dunque, ma con regolare permesso di soggiorno nella maggior parte dei casi;
   dato il perdurare della situazione di illegalità e considerati gli incidenti che si susseguono, i controlli da parte degli organi di vigilanza risulterebbero essere insufficienti e per lo più inadeguati –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione di grave illegalità nella quale versa il mercato del lavoro nella zona del Salento, ed in particolare nelle campagne di Nardò e dintorni;
   se non ritengano doveroso predisporre le verifiche necessarie per evitare altre situazioni di sfruttamento lavorativo e impiego di manodopera stagionale a basso costo, nonché quali iniziative urgenti intendano mettere in atto, per quanto di competenza, per individuare e punire con fermezza coloro che fruttano i braccianti agricoli stagionali costringendoli ad un surplus di ore di lavoro e ad una paga inferiore alle retribuzioni minime contrattuali. (4-10186)


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il dipendente Salvatore Ferla è addetto alla sicurezza della società aeroportuale Sea di Milano azienda misto pubblico-privata, che come soci ha il comune di Milano al 55 per cento il fondo F2i al 44 per cento ed è cofondatore del sindacato di base Adl Varese;
   nel marzo del 2015 è stato licenziato per giusta causa dall'azienda che ha contestato al dipendente di aver «arrecato disturbo all'attività di Serist e dei suoi dipendenti (...) offendendo gravemente la loro dignità in via del tutto gratuita e senza aver ricevuto alcuna provocazione», cosa che ha fatto venir meno con Sea «il vincolo fiduciario posto a base del rapporto di lavoro»;
   il licenziamento è stato oggetto anche di una precedente interrogazione parlamentare n. 4-08939;
   il dipendente ha impugnato il licenziamento davanti al tribunale di Milano, sezione lavoro (proc. n. 6150/2015 R.G.) il quale, con ordinanza del 13 luglio 2015, ha annullato il licenziamento e ha riconosciuto al lavoratore il diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro oltre al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento (9 marzo 2015) sino a quello dell'effettiva reintegrazione, nonché il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale;
   il dipendente Ferla, in seguito al provvedimento di reintegra da parte del Giudice, sin da subito si è dichiarato disponibile a riprendere la propria attività lavorativa in Sea;
   eppure, del tutto inopinatamente, l'azienda Sea, per il tramite del direttore risorse umane e organizzazione Massimiliano Crespi, ha comunicato, al dipendente che «abbiamo provveduto alla ricostituzione del suo rapporto di lavoro sia sotto l'aspetto retributivo sia sotto l'aspetto contributivo. Le somme arretrate le saranno corrisposte nel mese di agosto, le competente spettanti il 27 di ogni mese» e che «stante la pendenza del giudizio di opposizione alla suddetta ordinanza, lei è posto momentaneamente in aspettativa, con normale decorrenza della retribuzione, fino all'esito del giudizio»;
   il Ferla, riservandosi ulteriori azioni legali e il risarcimento dei danni, ha contestato la decisione dell'azienda poiché la eventuale pendenza del giudizio di opposizione non autorizza l'azienda a collocare in maniera unilaterale il dipendente in aspettativa ed in sostanza viola l'ordine del giudice che ha disposto la reintegra;
   effettivamente la decisione assunta dalla azienda potrebbe esporla al rischio di ulteriori azioni legali con conseguenti costi per l'azienda;
   il dipendente ha già annunciato tramite il proprio legale l'avvio di nuove iniziative legali poiché detto provvedimento rappresenterebbe – a suo dire – anche «l'ennesimo tentativo da parte della Vs azienda di ostacolare l'attività sindacale svolta dal medesimo, stante l'intervenuta scadenza delle RSU e la probabile indizione, a breve, di nuove elezioni» e dunque per colpire un appartenente ad una organizzazione di lavoratori da tempo impegnato nell'attività sindacale.
   ADL Varese – di cui Ferla Salvatore è cofondatore – è infatti una organizzazione sindacale attiva negli aeroporti di Malpensa e Linate che nel recente passato ha «denunciato» – tra l'altro – le criticità in ambito aeroportuale in merito alla sicurezza sul lavoro, gli alti stipendi dei dirigenti e manager della SEA e presunte condotte antisindacali della SEA in occasione degli scioperi dell'estate 2014 che hanno dato luogo anche a due interrogazioni parlamentari (n. 4-05669 e n. 4-04573).
   ad oggi il lavoratore, nonostante l'ordinanza del tribunale di Milano che ha condannato la Sea a reintegrare il dipendente illegittimamente licenziato, a quanto consta all'interrogante, non è stato reintegrato, e, soprattutto, non vede alcuna volontà di riassunzione nel rispetto di quanto disposto dal Tribunale di Milano;
   quali iniziative per quanto di competenza, intenda assumere il Ministro allo scopo di favorire un dialogo e una corretta gestione delle relazioni sindacali tra i lavoratori, l'organizzazione ADL Varese e la direzione della SEA spa di Milano Linate Malpensa in relazione a quanto esposto in precedenza anche al fine di sensibilizzare la direzione della Sea di Milano verso un ripensamento del provvedimento adottato in danno del lavoratore e che favorisca il rispetto delle leggi vigenti e i diritti dei dipendenti anche in conformità all'ordinanza resa dal tribunale di Milano che si è espressa in favore del reintegro del lavoratore;
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda adottare il Governo per rendere effettivo il diritto dei dipendenti ad essere reintegrati in caso di inottemperanza dell'azienda. (4-10190)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la superficie di territorio italiano coltivata a frutto è passata da 426 mila ettari a 286 mila. L'Italia detiene il primato europeo nella produzione di frutta; la speculazione sui prezzi e un commercio poco pulito di frutta, rischiano di fare perdere questo primato;
   il rapporto Coldiretti sui dati Ismea dedicato alla frutta italiana e reso noto all'Expo di Milano dove è in corso la Festa della frutta e verdura ha denunciato l'eccessivo costo della frutta per i consumatori; secondo tale rapporto si arriva a pagare un chilo di frutta anche il 500 per cento, in più rispetto al costo di produzione, cioè dell'importo riconosciuto al produttore; per le pesche gli agricoltori ricevono 0,30 euro al chilo e arrivano a costare al consumatore 1,80 euro; per le susine il farmer italiano si vede corrispondere 0,40 euro, mentre il consumatore le paga 1,40 euro al chilo. L'uva dagli 80 centesimi di euro iniziali, arriva sulle tavole degli italiani a 2,50 euro al chilo;
   è in atto una vera speculazione che sottopaga la frutta al di sotto dei costi di produzione agli agricoltori e non permette a molti cittadini di garantirsi il consumo di un prodotto indispensabile per la salute in questa stagione;
   il frutteto italiano si è ridotto di un terzo, il 33 per cento, in 15 anni, con la scomparsa di 140 mila ettari di piante di mele, pere, pesche, arance, albicocche e altri frutti;
   il taglio maggiore lo stanno subendo i limoni con una riduzione del 50 per cento, seguono le pere con il 41 per cento e le pesche con il 39 per cento. Anche le piante di arancio si riducono del 31 per cento mentre i meli hanno subito un taglio del 27 per cento;
   questo disboscamento delle campagne italiane, oltre a fare male all'ambiente italiano, sta producendo una forte importazione di frutta dall'estero che ovviamente ha maggiori costi. L'Italia è arrivata a importare il 37 per cento della frutta che consuma;
   nel comparto agricolo lavorano oltre 345.883 unità dedicate direttamente alla produzione, coltivazione e raccolta. A questi numeri si aggiungono 28.621 persone che lavorano nell'industria della trasformazione;
   in più, ogni estate, tempo dove si concentra il grosso della raccolta di frutta italiana, circa 200 mila giovani trovano una opportunità di lavoro a tempo determinato –:
   se il Ministro interrogato intenda promuovere iniziative volte ad accorciare la filiera distributiva della frutta riducendo gli attuali quattro-cinque passaggi dal produttore al consumatore, abbattendo così i costi e riducendo le escursioni termiche cui la frutta è sottoposta durante il trasporto, ed eliminando così i passaggi nelle celle frigo e ottenendo un frutto raccolto nel tempo naturale di maturazione e non settimane prima;
   se il Ministro intenda avviare una verifica dei prezzi della frutta garantendo così a molti cittadini il consumo di un prodotto indispensabile per la salute.
(4-10156)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo stato delle risorse ittiche dei mari, e in particolare dei piccoli pelagi, è fortemente critico, come evidenziato da numerosi rapporti tecnici prodotti dal Consiglio generale della pesca in Mediterraneo della FAO (CGPM/FAO) e dal Comitato tecnico scientifico ed economico per la pesca (STCEF) della Commissione europea, che ha suggerito l'adozione di misure per l'immediata riduzione dello sforzo di pesca;
   le zone maggiormente colpite da questo grave fenomeno sono l'Adriatico del Nord e il canale di Sicilia, in cui, secondo quanto dichiara lo stesso commissario europeo per l'ambiente, gli affari marittimi e la pesca, il 93 per cento degli stock ittici mostrano una situazione disastrosa in quanto non sono pescati in modo sostenibile;
   il principale metodo di cattura utilizzato per la pesca dei piccoli pelagi (acciughe e sardine), cosiddetto «volante a coppia», consiste nell'uso di una rete sospesa a mezz'acqua trainata contemporaneamente da due imbarcazioni. Negli ultimi anni questo sistema di pesca sta soppiantando il più tradizionale sistema della «lampara», in cui una forte luce concentra i banchi di pesce azzurro che sono catturati da una rete a circuizione o «ciangilo»;
   il sistema di pesca cosiddetto «volante a coppia» rappresenta un metodo non sostenibile poiché «massivo», in quanto esso consente la cattura di varie tonnellate di pesce in una sola calata;
   tale sistema di cattura è consentito grazie alla concessione da parte del Ministero di «licenze speciali» che dovrebbero essere temporanee e finalizzate ad attività di «pesca sperimentale», ovvero con precisi scopi di monitoraggio e di raccolta di dati sotto stretta osservazione scientifica;
   queste «licenze speciali» vengono invece rinnovate da quasi 20 anni divenendo di fatto «regolari» e non risultano riscontri della loro funzione sperimentale;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con decreto ministeriale 23 luglio 2015 rinnova fino al 15 novembre 2015 le «licenze speciali» di pesca per le cosiddette «volanti a coppia», incrementandole ulteriormente con 18 nuove imbarcazioni in Adriatico –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti;
   se non ritenga opportuno, visto il continuo ricorso allo strumento delle «licenze speciali», rendere noti sia i risultati prodotti e i dati raccolti dalla sperimentazione delle «volanti a coppia» sia le motivazioni alla base del rilascio di nuove licenze in Adriatico, e quali e quante altre licenze speciali/sperimentali siano ad oggi state concesse dal Ministero. (4-10160)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, PIRAS, MELILLA, DURANTI, PELLEGRINO, ZARATTI, SANNICANDRO, QUARANTA, KRONBICHLER e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 91 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014 ha modificato l'articolo 2, comma 2, della legge n. 157 del 1992 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), inserendo le nutrie nell'elenco degli animali (tra cui talpe, ratti, topi propriamente detti, arvicole) esclusi dall'ambito di applicabilità di detta legge;
   a seguito di tale modifica è stata emanata la circolare interministeriale del Ministero della salute e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 31 ottobre 2014 (Prot. DG DISR n. 21814 del 31 ottobre 2014, prot. DGSAF n. 22732 del 31 ottobre 2014) nella quale si affermano alcune indicazioni per i comuni – che ereditano la competenza da regioni e province, per effetto della modifica della legge n. 157 del 1992 – nell'intraprendere azioni di contenimento delle nutrie, tra le quali: «consentire nella gestione delle problematiche relative al sovrappopolamento delle nutrie, l'utilizzo di tutti gli strumenti sinora impiegati per le specie nocive (non solo per il contenimento, ma anche per l'eliminazione totale di questi animali analogamente a quanto si fa nelle derattizzazioni)» e la «non applicabilità della legge 20 luglio 2004, n. 189, in forza del fatto che il richiamato decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014 ha escluso le nutrie dal novero della fauna selvatica e quindi dalle specie oggetto di tutela, disciplinata invece dalla legge n. 157 del 1992»;
   nella circolare citata viene indicata anche l’«opportunità di piani di controllo, anche in forma consortile di Comuni, che richiamino le norme tecniche predisposte dall'ISPRA, ivi comprese le tecniche di cattura (trappolaggio, eccetera), tecniche di abbattimento e smaltimento delle carcasse nel rispetto della normativa vigente, eventualmente individuando sistemi alternativi alla distruzione»; tale formulazione, insieme alla ritenuta «non applicabilità della legge 20 luglio 2004, n. 189», induce a ritenere che la scelta sui metodi di contenimento delle nutrie sia discrezionale;
   l'esclusione delle nutrie dal novero della fauna selvatica, e quindi dalle specie oggetto di tutela, ha prodotto, invero, un effetto giuridico paradossale, poiché non ricadendo più nell'ambito di applicabilità della lex specialis quale è la legge n. 157 del 1992 citata, sono pienamente assoggettate all'ambito di operatività della legge n. 189 del 2004 (che, diversamente da quanto lascia intendere la circolare suddetta, si applica a tutti gli animali, nessuno escluso) a senso di quanto disposto dall'articolo 3 comma 1, che si riporta integralmente: «Dopo l'articolo 19-bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale sono inseriti i seguenti: Art. 19-ter (Leggi speciali in materia di animali). Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente»;
   tale interpretazione trova conferma anche nelle recente decisione del Consiglio di Stato (si veda ordinanza 29 aprile 2015 su ricorso N.R.G. 2453/2015), ove i giudici amministrativi hanno osservato come «... il nuovo quadro normativo (introdotto dalla legge n. 116 del 2014, n.d.r.) non interferisca sulla necessaria applicazione della normativa speciale di cui alla legge 189/2004 sul divieto di maltrattamento di animali»;
   per effetto di tale modifica, pertanto, l'uccisione volontaria e non necessitata anche di un solo esemplare di nutria o il suo maltrattamento potrebbe integrare gli estremi dei delitti previsti e puniti dagli articoli 544-bis e ter del codice penale, differentemente da quanto lascia intendere la circolare interministeriale citata;
   sulla base di tale circolare, e della convinzione da essa indotta sulla legittimità dello sterminio della nutria dal territorio in assenza di un concreto e comprovato pericolo di danno, e quindi in assenza di necessità, molti comuni hanno varato piani di eradicazione o contenimento della nutria autorizzandone l'abbattimento, anche da parte di privati, con ogni mezzo (in alcuni casi anche con esche avvelenate, e quindi con mezzi non selettivi, armi da lancio o da taglio) ed in assenza di qualsiasi valutazione sulla loro «necessità», elemento scriminante relativamente alla fattispecie di reato di cui agli articoli 544 bis e ter codice penale;
   per quanto concerne il concetto di «necessità», quale elemento scriminante dei reati ex articoli 544-bis e ter codice penale, la Corte di cassazione ha stabilito che «in tema di delitti contro il sentimento degli animali, nella nozione di “necessità” che esclude la configurabilità dei delitti di uccisione (articolo 544-bis codice penale) e maltrattamento di animali (articolo 544-ter codice penale) vi rientra lo stato di necessità previsto dall'articolo 54 codice penale, nonché ogni altra situazione che induca all'uccisione o al maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile» (Cass. 195/2006) ovvero «ogni altra situazione che induce alla uccisione o al danneggiamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o un danno giuridicamente apprezzabile» (Cass. 1996/1998);
   in conformità al dettato normativo e all'orientamento giurisprudenziale citati, la cattura e l'abbattimento delle nutrie potrà, pertanto, ritenersi lecito solo se ne sia comprovata la necessità nel caso concreto, secondo l'accezione chiarita dalla Suprema Corte, e la non evitabilità;
   non è infrequente nelle cronache dell'ultimo anno, in diverse parti d'Italia dove la presenza delle nutrie è significativa, imbattersi in episodi di abbattimento indiscriminato del roditore anche da parte di privati, a riprova della diffusa convinzione che ciò sia legittimo da parte di chiunque, in qualunque tempo e con ogni mezzo;
   sui metodi di contenimento delle nutrie è intervenuto anche il Governo, impugnando una norma approvata dal Consiglio regionale della Lombardia e muovendo rilievi di legittimità costituzionale riguardo anche le metodologie di eradicazione, sia pur nella prospettiva di garantire una selettività tale da «escludere con certezza l'abbattimento o la cattura anche di specie di fauna selvatica tutelate». Nel caso di specie, le metodologie contestate prevedevano l'uso di armi comuni da sparo, da lancio individuali, la gassificazione controllata e l'utilizzo di trappole (AGI, 3 febbraio 2015) –:
   se, alla luce dei rilievi normativi e degli orientamenti giurisprudenziali illustrati in premessa, la circolare interministeriale del 31 ottobre 2014 non possa ingenerare il dubbio che i metodi di contenimento delle nutrie siano discrezionali e non debbano tenere conto dei limiti imposti dalla legge penale;
   se non ritengano opportuno, al fine di evitare la perpetrazione di reati, assumere iniziative chiarificatrici volte ad affermare il presupposto della «necessità» e del «pericolo imminente» quale criterio necessario per poter procedere all'abbattimento delle nutrie. (4-10183)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE, DI VITA e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della Costituzione prevede che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale»;
   l'articolo 32 della Costituzione cita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»;
   il decreto ministeriale 70/02.04.2015, regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, individua l'articolazione della rete ospedaliera prevedendo reti, per patologia adottando il modello hub&Spoke. In particolare riguardo la disciplina di radioterapia oncologica il regolamento individua un bacino di riferimento compreso fra un minimo 600.000 persone ed un massimo 1.200.000 che tenga in considerazione anche criteri quali i volumi di attività, gli esiti nonché la percorrenza ai fini di garantire un corretto servizio per i pazienti;
   le regioni sono tenute entro 90 giorni dalla pubblicazione del decreto ministeriale alla presentazione di un provvedimento generale di programmazione a garanzia del progressivo adeguamento del servizio sanitario regionale agli standard previsti;
   il 23 giugno 2015, con la circolare numero 2520/c, il sub commissario alla sanità della regione Campania Mario Morlacco comunicava a tutti i direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere campane che i tetti di spesa per il 2015 destinati alla branca di patologia specialistica sarebbero restati invariati rispetto a quelli fissati nel 2014, in ossequio ai princìpi di contenimento della spesa dettati dalla spending review;
   nella suddetta circolare si sottolineava che la branca di patologia specialistica comprendeva anche le due macroaree della dialisi e della radioterapia «salvo possibili aggiustamenti in funzione di specifiche esigenze»;
   lo stesso sub commissario Morlacco evidenziava una «preoccupante tendenza all'incremento della produzione, in particolare per la branca di patologia clinica», e di conseguenza invitava le aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche ad «attivare immediatamente ogni utile iniziativa per implementare al massimo l'attività delle proprie strutture di specialistica ambulatoriale e, soprattutto, di dialisi e radioterapia»;
   entro 15 giorni dalla suddetta circolare, i direttori e i commissari straordinari di tutte le aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie e dell'IRCCS Pascale avrebbero dovuto fornire al sub commissario Morlacco «una dettagliata relazione sulle iniziative assunte per incrementare adeguatamente le prestazioni di specialistica ambulatoriale e, segnatamente, di dialisi e radioterapia» per poi instaurare «rapporti di reciproca collaborazione tra strutture pubbliche e private per evitare difficoltà nell'assicurazione dell'assistenza»;
   l'obiettivo del sub commissario è «un ulteriore maggiore impegno delle strutture pubbliche anche per la Radioterapia»;
   finora in Campania le prestazioni specialistiche di dialisi e radioterapia sono garantite per lo più da centri privati accreditati, infatti dei 22 presidi erogatori presenti se ne contano 12 privati (8 polispecialistici e 4 case di cura) e 10 pubblici;
   le province di Avellino e Benevento sono completamente sprovviste di tali presidi specialistici e a fronte di 39 strutture previste per la Campania ne sono state attivate solo le 22 di cui sopra;
   il 16 luglio 2015, il giornale on line Quotidianosanità.it lanciava l'allarme sul paventato blocco dell'erogazioni della radioterapia. All'Asl Napoli Nord, i fondi per le prestazioni sono terminati il 16 giugno scorso, mentre a settembre toccherà all'Asl Salerno e all'Asl Na1 Centro, per arrivare poi ad ottobre con lo stop di Caserta. Solo l'Asl Na3 Sud potrà resistere fino al prossimo dicembre;
   a leggere le dichiarazioni del presidente dell'Aspat Campania, Pier Paolo Polizzi, rilasciate al Quotidianosanità.it, all'Asl Na2 un solo centro avrebbe speso, fino al mese di maggio 2015, 7 milioni di euro –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'allarme lanciato dall'Aspat;
   quali controlli di competenza siano stati attivati riguardo alla definizione della rete oncologica presente e futura all'interno del servizio sanitario regionale nonché all'aderenza agli standard previsti in merito alle prestazioni di dialisi e radioterapia;
   quali controlli per quanto di competenza, siano stati attivati per accertare l'adeguamento delle strutture pubbliche all'implementazione dei propri centri ambulatoriali per garantire l'erogazione delle prestazioni di dialisi e radioterapia così come chiesto dal sub commissario alla sanità in Campania Mario Morlacco;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per garantire una efficace ed efficiente rete pubblica del servizio sopra descritto scongiurando il blocco delle prestazioni delle branche di patologia clinica in Campania. (5-06261)


   SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE, DI VITA e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Salerno esistono due centri di procreazione medicalmente assistita, uno di III livello presso l'ospedale «San Luca» di Vallo della Lucania e l'altro di I livello presso l'azienda ospedaliera universitaria di Salerno «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona»;
   entrambi i centri di procreazione medicalmente assistita sono pubblici, il primo ricade nella giurisdizione dell'asl di Salerno, mentre il secondo è un'azienda autonoma a sé;
   il centro dell'ospedale di Vallo della Lucania eroga tutte le prestazioni di procreazione medicalmente assistita richieste, mentre quello dell'azienda ospedaliera di Salerno è in fase di potenziamento;
   l'8 luglio 2015 la direzione generale dell'asl di Salerno ha pubblicato un avviso pubblico rubricato «Avviso pubblico per manifestazione di interesse per l'affidamento di prestazioni di consulenza specialistica in convenzione per l'implementazione delle prestazioni di III livello di procreazione medicalmente assistita per l'azienda sanitaria locale di Salerno»;
   dall'avviso pubblico emerge che il 16 giugno 2015, con atto n.6759/DG l'asl Salerno ha costituito un gruppo di lavoro per l'implementazione di un progetto operativo per un Centro di procreazione medico assistita di III livello;
   l'obiettivo della manifestazione d'interesse, come si legge nell'avviso pubblico, è di implementare il know how tecnico e organizzativo del servizio assistenziale;
   nello stesso avviso viene sottolineata anche l'impossibilità di reclutare sul mercato e inserire nell'organico i medici specialisti, ginecologi e biologi, in forza al servizio pubblico «atteso — si legge nel bando — che vige ancora in Campania il blocco del turnover»;
   perciò l'asl Salerno ritiene che l'unico modo per implementare il servizio di assistenza è di stipulare convenzioni con strutture private specializzate –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, per il potenziamento del servizio pubblico di procreazione medicalmente assistita già esistente senza ricorrere alle convenzioni con strutture private;
   se il ricorso alle convenzioni private sia compatibile con i tetti di spesa imposti dalla spending review alla regione Campania. (5-06262)


   D'INCECCO, GRASSI, SANGA, MARANTELLI, ANTEZZA, VERINI, CARELLA, MONGIELLO, TINO IANNUZZI, CARLONI, CIMBRO, DELL'ARINGA, OLIVERIO, ALBANELLA, TARICCO, CAPONE, NARDUOLO, FUSILLI, DONATI, VENITTELLI e ZARDINI. —Al Ministro della salute.— Per sapere – premesso che:
   le allergie sono un problema di grande rilievo sanitario e sociale ed in continua crescita soprattutto nelle fasce più giovani di età. Attualmente, si stima che almeno un terzo della popolazione mondiale e quindi italiana sia affetta da una qualche forma di allergia, con uno spettro di manifestazioni cliniche assai variabili, che coinvolgono l'apparato respiratorio e visivo, l'apparato gastrointestinale, la cute;
   soltanto nel nostro Paese circa 15 milioni di persone soffrono di malattie allergiche; parliamo di patologie che possono avere manifestazioni assai diverse, che vanno da congiuntivite, rinite, asma, dermatite, eczema, sino allo shock anafilattico da puntura di imenotteri, con conseguenze talvolta fatali;
   in particolare, si stima soffrano di rinite allergica, la più rilevante in termini epidemiologici e di incidenza, circa il 20 per cento della popolazione generale. Le allergie respiratorie, in particolare quelle da pollini, sono cresciute al ritmo del 5 per cento nell'ultimo quinquennio;
   la moderna immunoterapia specifica con allergeni (AIT) rappresenta un trattamento immunologico curativo e preventivo dell'evoluzione della patologia, in grado di modificare la risposta dell'organismo verso l'allergene in causa. L'AIT, alla differenza dei farmaci sintomatici, ha lo scopo di cambiare la storia naturale della malattia, evitando che un soggetto allergico peggiori nel tempo la sintomatologia – ad esempio evitando che diventi asmatico – ed impedendo la cronicizzazione della malattia;
   l'immunoterapia con allergeni (AIT) rientra a pieno diritto nel contesto delle misure di prevenzione del carico della malattia («burden of disease»). Infatti, l'AIT è stata riconosciuta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come «l'unica terapia in grado di modificare favorevolmente il naturale decorso della malattia allergica»;
   numerosi studi nazionali ed internazionali dimostrano chiaramente il beneficio economico dell'AIT per l'evitata cronicizzazione e, quindi, in termini di riduzione del consumo di farmaci del numero di visite mediche e di giornate di ospedalizzazione, al quale andrebbe aggiunto il risparmio dei costi indiretti (compromissione della produttività scolastica e lavorativa, inabilità temporanea o permanente al lavoro, e via discorrendo). Solo a titolo esemplificativo, una recente analisi ha dimostrato che i costi di ospedalizzazione raddoppiano nei pazienti che non hanno completato il trattamento con AIT rispetto a quelli che lo hanno completato (116 euro vs. 56 euro per paziente/anno);
   gli ultimissimi dati (2015), persino sottostimati, con riferimento specifico all'Italia, evidenziano che i costi diretti sul SSN e i costi indiretti che impattano sulla società e legati alla gestione delle malattie allergiche respiratorie in Italia gravano sul sistema Paese per circa 7 miliardi di euro;
   dalla Direttiva 89/342/CEE, che ha definito per la prima volta l'allergene, e recepita dal nostro Paese con il decreto legislativo n. 178 del 1991, la normativa sugli allergeni ha subito un'evoluzione, tra cui l'emanazione di un decreto ministeriale del 13 dicembre 1991 che ha introdotto una norma transitoria, permettendo il mantenimento in commercio dei medicinali immunologici già immessi nel mercato antecedentemente al 1o ottobre 1991, a seguito della presentazione, da parte delle aziende produttrici, di una domanda di autorizzazione entro l'aprile del 1992;
   l'iter autorizzativo, non concluso, di tali domande è stato avviato solamente a febbraio del 2009 dall'Agenzia Italiana del farmaco (AIFA) e ad oggi si è creata una situazione per la quale esistono sul mercato, ed a disposizione di un numero sempre più numeroso di pazienti, allergeni soggetti a regimi autorizzativi differenti, generando, peraltro, uno stato di disuguaglianza nell'accesso alle cure da una regione all'altra;
   alcuni possiedono una regolare autorizzazione all'immissione in commercio di farmaci (AIC) con procedura nazionale secondo il decreto legislativo n. 219 del 2006 ed altri sono privi di AIC, pur avendo ottemperato alla richiesta autorizzativa entro il 30 aprile del 1992, di fatto aderendo ancora alla norma transitoria del decreto ministeriale 13 dicembre 1991: essi costituiscono la maggior parte dei prodotti attualmente in commercio;
   le direttive europee non sono state quindi recepite in passato in Italia in maniera puntuale. Questo ha portato all'attuazione di normative locali che penalizzano, ancora oggi, non solo i pazienti allergici ma anche gli attori industriali che commercializzano allergeni, rispetto a quanto avviene in Paesi come Francia e Germania;
   non sarà infatti possibile un pieno sviluppo del settore, come ci si aspetterebbe per patologie molto diffuse e croniche come le allergie, finché l'AIT non avrà una specifica regolamentazione;
   in Italia un aggiornamento della normativa, maggiormente in linea con direttive e regolamenti europei, permetterebbe inoltre una corretta ed efficace comunicazione ai soggetti allergici anche attraverso materiali d'informazione ed educazione autorizzati, come il semplice RCP (Riassunto delle Caratteristiche di Prodotto), come avviene per tutti i medicinali –:
   quale sia attualmente la posizione del Ministro in merito alla possibilità di emanare un necessario decreto di aggiornamento che modifichi e attualizzi il decreto ministeriale del 13 dicembre 1991, con l'obiettivo di ottenere l'AIC con procedura nazionale per gli allergeni principali (e di conseguenza rientrare, come previsto dal decreto legislativo 219 del 2006, nelle ottemperanze regolatorie per rete nazionale di farmaco vigilanza, informazione medico scientifica e attività promozionali – convegni e congressi), a tutela del settore ma soprattutto dei pazienti, garantendo loro una uguale possibilità di accesso ad una corretta terapia immunologica. (5-06282)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, NICCHI, FRATOIANNI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, SANNICANDRO e QUARANTA. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 2 agosto 2015 la testata il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo, a firma del giornalista Antonello Caporale, intitolato «D'Annunzio, gli hacker e i veleni di Falconara», parte di un reportage, che attraversa diverse regioni e città d'Italia, per raccontare il territorio, il suo stato di salute e la sua tutela;
   nell'articolo citato si fa riferimento, tra le altre cose, ai problemi legati alla salute e alla qualità dell'aria di Falconara Marittima (An), sede della raffineria Api, già segnalati dall'interrogante con un precedente atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-01132, pubblicato il 5 novembre 2014, seduta n. 325), al quale ci si richiama;
   in particolare l'articolo riporta la storia di una cittadina residente nella città di Falconara, Alessia Sangiorgi, alla quale, nonostante la giovane età (quarant'anni) ed uno stile di vita «salutista», è stato diagnosticato un linfoma di Hodgkins;
   casi come quello riportato dall'articolo sono all'ordine del giorno nell'area limitrofa all'impianto di raffineria di Falconara Marittima, impianto che a causa delle sue emissioni nocive ha sempre destato preoccupazione per la salute della popolazione residente;
   in risposta al citato atto di sindacato ispettivo (risposta immediata in Assemblea n. 3-01132), a firma dell'interrogante, il Ministro della salute Beatrice Lorenzin aveva riconosciuto che a Falconara Marittima «sono presenti eccessi in particolare per il tumore del polmone e cerebrali e sarebbe opportuno sviluppare un sistema di sorveglianza epidemiologica mirato». Inoltre, «l'eccesso di mortalità per malformazioni congenite andrebbe approfondito tramite indagini», assicurando che avrebbe acquisito l'indagine epidemiologica svolta dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano nell'area di Falconara Marittima –:
   se il Ministro della salute sia in grado di fornire aggiornamenti sulle attività intraprese dal Ministero a seguito dell'interrogazione risposta immediata in Assemblea n. 3-01132) e degli impegni assunti in data 5 novembre 2014 alla Camera dei deputati;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare i Ministri interrogati al fine di salvaguardare la salute dei cittadini residenti nelle aree limitrofe agli impianti della raffineria Api di Falconara Marittima. (4-10142)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le più moderne attività radiologiche integrano le acquisizioni della diagnostica per immagini con le opportunità di azione diretta delle procedure interventistiche, che coniugano le abilità professionali delle risorse umane con i più innovativi supporti offerti dalla tecnologia avanzata;
   le attività di radiologia interventistica consentono spesso di integrare e completare l'offerta di altre specialità mediche e chirurgiche, fornendo nuove opzioni che consentono approcci terapeutici semplificati, riducendo i tempi e i costi delle degenze, con conseguenti vantaggi per il paziente e per la complessiva sostenibilità del sistema;
   l'angiografia interventistica rappresenta oggi un settore di importanza primaria in numerosi campi di applicazione, quali: il trattamento di malattie aterosclerotiche (con posizionamento di stent vascolari, angioplastica, e altro), di patologie aneurismatiche (riduzione delle dilatazioni vascolari grazie a confezionamento di protesi), la chemioembolizzazione di epatocarcinomi, lo studio e il trattamento di patologie degli accessi emodialitici delle malattie delle arterie renali, l'embolizzazione di sanguinamenti e di fibromi uterini, by-pass vascolari, la sclerotizzazione di varicocele, la fibrinolisi locoregionale, l'esecuzione di shunt porto-sistemici (TIPSS) e così via;
   tali patologie rientrano nei livelli essenziali di assistenza (LEA), la cui salvaguardia è, sull'intero territorio nazionale, ai sensi della vigente normativa, di competenza statale.
   le fonti normative in materia dei LEA sono:
    il decreto legislativo n. 502 del 1992, aggiornato dal decreto legislativo n. 229 del 1999;
    la legge n. 405 del 2001;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 che fa riferimento agli allegati del decreto ministeriale 26 luglio 1996 e al decreto ministeriale n. 332 del 1999;
    il decreto ministeriale 12 dicembre 2001 «Sistema di garanzie per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria»;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 aprile 2002;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 novembre 2003;
    l'articolo 54 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003);
    il comma 169 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005);
    l'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 che prevede l'istituzione, presso il Ministero della salute, del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, cui è affidato il compito di verificare la loro erogazione in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse, nonché la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio sanitario nazionale;
    il decreto ministeriale 21 novembre 2005 che istituisce il Comitato permanente di verifica dei LEA;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 marzo 2007 che modifica alcuni parti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2007, con particolare riferimento alla non autosufficienza;
   sono frequenti i casi in cui, per cause diverse, nelle strutture della rete ospedaliera nazionale i servizi radiologici diagnostici e terapeutici non riescono a dare, in tempi congrui, risposte appropriate e di qualità alle esigenze di salute dei cittadini;
   in tale senso, sembrerebbe emblematico il caso del polo sanitario della Sardegna meridionale, ove – per garantire il rispetto dei LEA e l'appropriatezza dell'offerta sanitaria, nel dicembre 2011 – si è deciso di attribuire una forte vocazione interventistica all'UOC di radiologia dell'Ospedale SS. Trinità della ASL 8 di Cagliari, proprio con l'obiettivo di dare una copertura di qualità alla specifica domanda sanitaria;
   conseguentemente, la stessa ASL 8 di Cagliari ha esperito una gara d'appalto per l'acquisto di un angiografo digitale che si è conclusa nel febbraio 2014, propedeutica all'apertura della prima sala ibrida operativa in Sardegna;
   l'aggiudicazione della fornitura dell'angiografo digitale alla ditta Siemens, per la somma complessiva di 951.500 euro + IVA, impegnava la stessa Siemens a garantire i dispositivi accessori e i servizi connessi, ma non le opere murarie e di adattamento logistico, la cui realizzazione veniva rinviata a successivi atti;
   in tale senso, il contratto di fornitura stipulata tra ASL 8 e Siemens prevedeva la consegna dell'angiografo digitale da parte della Siemens entro e non oltre i 45 giorni dalla data di consegna dei locali al fornitore che, peraltro, si impegnava a predisporre il progetto esecutivo dei lavori indispensabili entro venti giorni dalla firma del contratto stesso;
   in tale circostanza, la ASL si impegnava inoltre a concludere i lavori strutturali necessari per l'installazione dell'angiografo, entro sei mesi dall'approvazione del progetto esecutivo;
   ai fini del pieno rispetto della tempistica prevista, in data 27 agosto 2014, la direzione tecnica della ASL ha provveduto a liberare i locali destinati ad accogliere il nuovo angiografo, rendendoli disponibili per i lavori di ristrutturazione. A seguito di tale attività, l'apparecchio TC, precedentemente operativo negli stessi locali, è stato necessariamente trasferito in altre sale, purtroppo rivelatesi inadeguate per un corretto utilizzo clinico al rispetto dei vigenti obblighi di legge, mancando una sala di preparazione/assistenza del paziente che avrebbe dovuto essere realizzata nel computo degli stessi lavori globali di ristrutturazione;
   a causa di questa mancanza, la TC del SS. Trinità ha cessato la propria operatività, mentre l'intero suo carico diagnostico viene attualmente espletato dall'apparecchio TC ubicato presso il Pronto Soccorso (PS) dello stesso nosocomio, che non è certo adeguato né tecnicamente, né logisticamente a far fronte a tali, anomali carichi di prestazioni;
   tale situazione provoca di fatto un mancato rispetto dei LEA per i cittadini residenti nel bacino sanitario della ASL 8 di Cagliari in quanto, più in particolare, genera gravi disagi per i pazienti che provengono dal PS, ma anche per tutti i ricoverati del Presidio che, realizzato con padiglioni autonomi, costringe all'utilizzo delle autoambulanze per tutti i trasporti interni. In tale contesto di enorme disagio complessivo, sarebbe stato naturale ipotizzare una forte accelerazione dei lavori di realizzazione delle attese strutture logistiche, destinate ad ospitare il nuovo agiografo;
   sembrerebbe, a quanto consta all'interrogante, invece che soltanto in data 10 novembre 2014, la ASL 8 di Cagliari abbia provveduto ad affidare alla RTI Tepor spa/Siemens spa vari interventi di ristrutturazione ed adeguamento del P.O. SS. Trinità, tra i quali sarebbero stati ricompresi anche quelli indispensabili alla allocazione del nuovo angiografo digitale;
   il contratto sottoscritto in data 10 novembre 2014 dava atto che il complesso degli interventi previsti dal capitolato avrebbe richiesto una copertura economica di euro 8.418.869, a fronte di una somma disponibile di soli 4.518.869 euro, per cui si rendeva necessario il reperimento di ulteriori 3.900.000 euro, da destinare agli interventi del padiglione dei servizi di Cardiologia e UTIC;
   a tutt'oggi, i lavori relativi alla ristrutturazione dei locali destinati all'angiografo digitale appaiono inspiegabilmente bloccati, nonostante perduri da un anno il grave disservizio correlato al fermo macchina della TC, mentre non esiste ancora una data certa per la definitiva disponibilità della nuova sala ibrida, con la piena operatività del nuovo angiografo digitale;
   appare alto il rischio che l'azienda Siemens vincitrice dell'appalto per la fornitura dell'angiografo, nella abnorme dilatazione dei tempi di consegna della apparecchiatura, possa aprire in contenzioso legale volto al risarcimento dei danni subiti per il ritardo nella fornitura –:
   di quali elementi disponga in relazione alla situazione esposta in premessa e quali iniziative di competenza — e ferme restando le attribuzioni esclusive della regione autonoma della Sardegna in materia sanitaria esercitate tramite le Asl — intenda assumere, al fine di scongiurare una inaccettabile compressione dei livelli essenziali di assistenza per i cittadini residenti nel bacino sanitario della ASL 8 di Cagliari, posto che la sospensione della ordinaria attività TC e l'inoperatività del servizio di radiologia interventistica della nuova sala ibrida presso il presidio ospedaliero SS. Trinità di Cagliari, appaiono foriere di gravi problematiche. (4-10152)


   MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta ancora presente nel prontuario farmaceutico un farmaco denominato Arava, utilizzato per la cura dell'artrite reumatoide e psoriasica, si rappresenta la necessità di acquisire informazioni in ordine alla pericolosità di detto farmaco, anche a seguito di un decesso avvenuto dopo la somministrazione per alcuni mesi su una diciottenne deceduta per necrosi al fegato;
   peraltro, a seguito di sentenza del tribunale di Venezia, è stato riconosciuto un indennizzo di 500.000 euro alla famiglia della paziente deceduta;
   l'avvocato che ha difeso la famiglia ha rappresentato una situazione che merita un chiarimento sotto diversi profili:
    sarebbe stata chiesta al Ministero della salute copia della segnalazione che la Asl di Dolo (Venezia) aveva inviato sull'evento avverso, senza ottenere risposta, mentre analoga richiesta su eventi avversi su Arava, inoltrata alla FDA avrebbe ottenuto risposta in 48 ore;
    dalle informazioni assunte presso la FDA, a quanto consta all'interrogante, sarebbe risultato che erano numerose le segnalazioni per eventi avversi in particolare per gravi danni epatici, ma nonostante anche in Italia sulla rivista «dialoghi sui farmaci» siano apparsi articoli con analoghe informazioni, non risulta siano state assunte le opportune iniziative per informare i pazienti sui rischi connessi alla assunzione di Arava;
    negli USA sarebbero stati censiti 22 decessi e 130 casi di epatossicità prima del ritiro del farmaco, ma anche l'EMEA aveva in quel periodo avuto 296 casi di reazioni avverse nei pazienti trattati con «leflunomide» (ARAVA), dei quali 129 considerati casi seri e 9 decessi, mentre in Italia non sarebbe stata assunta alcuna iniziativa per rafforzare il «consenso informato» –:
   quante siano le segnalazioni per reazioni avverse sul farmaco Arava, pervenute dal 2011 in poi;
   se sia stata valutata l'opportunità di ritirare il farmaco Arava, come avvenuto negli USA, e quali siano gli orientamenti sul mancato ritiro del farmaco nonostante sia contraddistinto da elevato tasso di pericolosità;
   se trovi conferma che le informazioni su eventi avversi segnalati dalle aziende sanitarie non siamo accessibili dai pazienti o dagli aventi diritto;
   se siano state attivate le opportune iniziative per informare i pazienti sui rischi che l'assunzione del farmaco comporta. (4-10153)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le professioni sanitarie nell'ordinamento italiano sono tutte quelle professioni in cui gli operatori lavorano in ambito sanitario, svolgendo attività di prevenzione, diagnosi, assistenza, cura e riabilitazione;
   per l'abilitazione all'esercizio di tali professioni bisogna conseguire una laurea, a volte magistrale, sostenere l'esame di stato ed iscriversi ai collegi professionali di riferimento. Le professioni sanitarie sono poste sotto la sorveglianza del Ministero della salute;
   secondo una sentenza della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, la n. 300 del 2010, la disciplina e l'individuazione della figure professionali con i relativi profili e titoli abilitanti spetta allo Stato per il carattere necessariamente unitario, mentre è riservata alle regioni – ex articolo 117 della Costituzione – la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale;
   attualmente, come lamentato dagli stessi laureati in professioni sanitarie, non esiste a livello nazionale una norma che disciplini l'accesso ai tirocini post laurea, ma ogni regione con propri regolamenti detta delle direttive in materia. Tuttavia, l'accesso ai tirocini viene di fatto regolato in maniera autonoma dalle aziende sanitarie;
   la Federazione nazionale collegi professionali tecnici di radiologia medica in una nota, inviata al Ministero della salute, ha segnalato, ai fini della valutazione dell'offerta formativa per il 2014/2015, l'esistenza di una forte divergenza tra l'offerta formativa e la reale esigenza del mondo del lavoro; pertanto numerosi tecnici, una volta finita l'università, non trovano una reale collocazione nel mondo lavorativo;
   inoltre, non essendoci una normativa in merito ai tirocini post laurea, non tutti i professionisti del settore riescono esercitare la propria professione, anche gratuitamente e a proprie spese, presso le strutture sanitarie, in attesa di concorsi pubblici e/o contratti di lavoro definitivi;
   quanto segnalato per la sola professione sanitaria dei tecnici radiologi si potrebbe riferire, per analogia, anche alle altre le professioni sanitarie –:
   se non ritenga che esista una forte divergenza tra l'offerta formativa delle professioni sanitarie e le reali esigenze di inserimento nel mondo del lavoro delle professioni;
   come intenda intervenire per dare la possibilità a coloro che abbiano concluso il percorso formativo di svolgere la professione sanitaria scelta;
   quali iniziative intenda adottare per disciplinare i tirocini post laurea degli operatori delle professioni sanitarie e permettere loro il reale inserimento nella realtà lavorativa in attesa di un inquadramento definitivo. (4-10155)


   DADONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione Cuneo del quotidiano La Stampa pubblicato lo scorso 31 luglio si segnala l'introvabilità di circa cento medicinali nelle farmacie della città. Il caso non isolato è conosciuto alle cronache locali e nazionali come il fenomeno del cosiddetto mercato parallelo dei farmaci. Si tratta di un fenomeno che il sistema salute italiano subisce a danno dei cittadini con evidenti disagi e comprovate mancanze nella tutela e nel rispetto del diritto alla salute sancito dalla Carta Costituzionale nel ben noto articolo 32; casi analoghi a quello citato di Cuneo sono stati registrati in Puglia, Campania e Lazio, in Abruzzo, Emilia Romagna e Liguria e sono sistematicamente segnalati da associazioni come Cittadinanzattiva, Codacons, Altroconsumo o il già citato Movimento dei Consumatori;
   il fenomeno, di per sé legale, consiste nell'esportazione all'estero di farmaci che qui in Italia hanno un prezzo calmierato, mentre in altri Paesi europei sono venduti a prezzi maggiori permettendo in tal modo un netto profitto nell'esportazione. La distrazione di prodotti dal mercato interno nazionale verso quello estero conduce però a registrare, soprattutto in certi periodi dell'anno, l'impossibilità di trovare presso le farmacie i medicinali di cui si ha bisogno;
   questi disagi, e le problematiche rilevate in particolar modo per (indisponibilità dei farmaci cosiddetti salvavita (antitumorali, per il trattamento del morbo di Parkinson, per l'ipertensione, antiepilettici, anticoagulanti, e altro), hanno condotto le associazioni di consumatori nonché le associazioni rappresentative dell'industria e della distribuzione farmaceutica a denunciare il fenomeno il fenomeno dell'esportazione farmaceutica. Per citare alcuni esempi nel luglio 2013 Federfarma Lazio si rivolse alla procura della Repubblica di Roma, mentre il Movimento dei Consumatori diffidò Farmindustria. A loro volta gli industriali del farmaco rivolgono le accuse verso i distributori e questi ultimi criticano gli pseudo distributori: piccole realtà commerciali farmaceutiche che si improvvisano, sfruttando le pieghe normative, esportatori di medicinali. Secondo la stessa Adf, Associazione distributori farmaceutici, il numero di medicinali a rischio di indisponibilità a causa dell'appetibilità sul mercato estero ammonterebbe a trecento;
   sollecitato, il Ministero della salute, nei primi mesi del 2014 rispondendo ad un question time comunicò l'imminente entrata in vigore di un provvedimento riguardante anche il mercato parallelo (decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 17). Con il decreto legislativo di modifica e integrazione del decreto legislativo 219 del 2006 si affida alle regioni la verifica dell'ottemperanza dei distributori all'obbligo di servizio pubblico. Lo stesso Ministero ha richiamato il citato decreto legislativo nell'emanare la circolare 18 giugno 2014, segnalando agli operatori della filiera del farmaco (produttori, distributori e farmacie), a NAS e ad AIFA la necessità di applicare adeguatamente le disposizioni a contrasto del fenomeno dell'indisponibilità di farmaci. In tal senso l'Aifa, sulla scorta delle segnalazioni, può stilare la lista di farmaci a rischio irreperibilità. Ciò nonostante, a distanza di oltre un anno dall'entrata in vigore della normativa e nonostante le segnalazioni sistematiche e continue che giungono dal territorio nazionale il fenomeno persiste e peggiora, come dimostrano i dati della spesa farmaceutica;
   risulta all'interrogante che diverse regioni hanno adottato leggi specifiche al fine di controllare e contrastare il fenomeno della indisponibilità dei farmaci, impegnando le aziende sanitarie locali e gli organi omologhi a monitorare e verificare le attività dei distributori –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle condizioni critiche in cui versano sempre più numerosi cittadini bisognosi di medicinali salvavita, oltre che generici;
   se e quali iniziative intenda intraprendere al fine di ridurre il fenomeno della indisponibilità dei farmaci nel circuito nazionale;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per regolarizzare più adeguatamente la filiera del farmaco, prevedendo in tal senso un monitoraggio strutturale e sistematico del fenomeno assumendo altresì i dati e le informazioni provenienti dalle attività ispettive che le regioni stanno svolgendo sui distributori e più in generale sui titolari di autorizzazione all'immissione in commercio. (4-10163)


   GALLINELLA, CIPRINI e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 30 maggio 2014 n. 81, si è dato il via ad un nuovo tassello della riforma dell'assistenza psichiatrica in Italia, iniziata con la legge 180 del 1978 (legge Basaglia), che prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e la contestuale attivazione delle REMS (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza);
   le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sono strutture ricettive a carattere sanitario che dovranno però rispondere anche a criteri di custodia, poiché accoglieranno i pazienti con disturbo psichico, autori di reato, ritenuti non dimissibili dagli ospedali psichiatrici giudiziari;
   la necessità di cambiare la gestione dell'assistenza sanitaria in Italia è derivata dalle carenze dimostrate dagli ospedali psichiatrici giudiziari nel corso degli anni, carenze che sono state messe in luce dal lavoro svolto dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, ma che non possono certo essere attribuite ad una mancanza di professionalità, quanto piuttosto ad una gestione dall'alto errata e alla mancanza delle necessarie risorse economiche destinate a questi Ospedali dalle regioni;
   gli ospedali psichiatrici giudiziari ancora attivi oggi in Italia sono 6 e detengono circa 700 pazienti, a fronte di una loro completa dismissione la criticità per le nuove residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sarà la gestione da parte del personale medico e infermieristico dei pazienti oggi detenuti negli, ospedali psichiatrici giudiziari che necessitano comunque di misure cautelari;
   la nuova norma sancisce, infatti, che tutti i diritti della persona internata nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza siano disciplinati dalla normativa penitenziaria, ma la custodia passa dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla Sanità (dipartimento salute mentale), ponendo una serie criticità sulla garanzia di sicurezza sia dei pazienti che del personale che lavora nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza;
   rispetto alla questione sicurezza è, infatti, sancito che "[...] i servizi di sicurezza e vigilanza perimetrale sono attivati sulla base di specifici Accordi con le Prefetture, anche sulla scorta delle informazioni contenute nel fascicolo dell'internato"; ne consegue che internamente alle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) le misure di sicurezza sono totalmente a carico del personale sanitario, ma è importante ricordare che il personale sanitario ha un dovere di cura e non un obbligo di custodia nei confronti dei pazienti;
   molti medici e infermieri, ancor prima del 1o aprile 2015, giorno ufficiale della dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari, hanno manifestato le proprie perplessità di fronte a quella che sembra un'organizzazione troppo lasciata al caso e che non garantisce né la continuità di cura e recupero per i pazienti recuperabili, né la sicurezza del personale sanitario, in quanto alcuni pazienti detenuti possono essere pericolosi, sono spesso farmacoresistenti e tendenti a comportamenti non sempre facili da gestire da parte del personale sanitario, che non è certo demandato per professione a svolgere una vera e propria attività di custodia;
   la mescolanza tra competenze sanitarie e quelle di ambito giudiziario, tra cura e custodia, in un contesto nuovo come quello dalle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, può rischiare di alterare l'identità professionale dell'infermiere e del medico psichiatra, che stanno facendo fatica ad accettare queste nuovi compiti previsti dalla legge, tra l'altro senza un'adeguata chiarezza su tutti i protocolli da seguire;
   inoltre anche le stesse regioni hanno in questi mesi dato segnali di un adeguamento difficile alla nuova disciplina normativa e molti ospedali psichiatrici giudiziari sono ancora aperti anche per incertezza su dove e come trasferire i pazienti: –:
   se in base a quanto esposto in premessa, alle difficoltà riscontrate e manifestate da molti medici psichiatri e personale infermieristico, nonché dalle situazioni delle diverse regioni italiane che stanno faticosamente adeguandosi alla nuova riforma, non intenda assumere iniziative per chiarire in maniera più stringente le modalità di trasferimento dei pazienti ancora detenuti nelle ospedali psichiatrici giudiziari che si ritengono non dimissibili;
   se non intenda assumere iniziative per esplicitare meglio il ruolo di «custodia» che medici e infermieri dovranno esercitare nelle REMS, evitando di compromettere la professionalità del personale medico e infermieristico ma allo stesso tempo garantendo ai pazienti le cure migliori, nonché la sicurezza tout court delle nuove strutture. (4-10165)


   PAOLO BERNINI, ALBERTI, COMINARDI, SIBILIA, SPESSOTTO, BENEDETTI, LIUZZI, BASILIO, TOFALO, BRESCIA, SILVIA GIORDANO, BARONI, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, VILLAROSA, TRIPIEDI, DELLA VALLE, PAOLO NICOLÒ ROMANO, FERRARESI, COLONNESE, CORDA e RIZZO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 29 giugno 2015 durante le prove del Palio di Siena, Palio della Madonna di Provenzano, la cavalla Periclea è stata vittima di una tragica e fatale corsa nella quale molti cavalli si sono scontrati con esisti terribili. A seguito dell'accaduto, l'animale è stato condotto presso la clinica veterinaria il Ceppo e sottoposta ad eutanasia;
   il Palio di Siena conta oltre 50 cavalli uccisi dal 1970 per soddisfare una tradizione popolare;
   secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa, questi citati qui di seguito sono alcuni dei tragici episodi che hanno portato al tragico decesso i cavalli di cui è responsabile il Palio di Siena:
    prima di Periclea, l'ultimo infortunio mortale era stato quello di Messi, un baio di 6 anni, deceduto il primo luglio 2011 dopo un incidente durante la quarta prova della corsa. Messi era stato assegnato alla Chiocciola che chiaramente non corse la carriera del giorno successivo. Al Palio del 2 luglio 2010 si era infortunato Giove Deus, un barbero di 8 anni, che era uscito dal tufo, dove aveva corso per l'Onda, sanguinando sopra la corona di uno zoccolo. Un incidente che non sembrava particolarmente grave, ma il 29 luglio Giove Deus venne abbattuto alla clinica del Ceppo per le complicazioni sopraggiunte;
    mentre nel Palio del 16 agosto 2004 sul tufo di piazza del Campo morì Amoroso, un baio di 8 anni che correva per il Bruco. Per l'animale fu fatale l'impatto con il bandierino: morì praticamente sul colpo. Un anno prima erano morti Alghero e Big Big, che correvano rispettivamente per le contrade dell'Onda e dell'Aquila. Nel 2000 era toccato a Braccio di Ferro, che aveva corso il Palio della Madonna di Provenzano per l'Oca e, infortunatosi durante la carriera, venne abbattuto una ventina di giorni dopo per il sopraggiungere di complicazioni. Prima dell'inizio del nuovo millennio molti ricordano il Palio del 16 agosto 1998. Lobis Andrea, detto Penna Bianca, il cavallo della contrada dell'Onda venne abbattuto subito dopo la carriera e, due giorni dopo, morì Tuareg, un sauro di 6 anni che aveva corso per il Bruco e che era stato sottoposto ad un lungo intervento chirurgico nella clinica veterinaria per una frattura all'arto anteriore destro;
   la commissione veterinaria del Palio ha il compito di verificare che ogni aspetto previsto dalla normativa vigente sia rispettato in ogni minimo dettaglio;
   la normativa vigente fornisce elementi specifici e disciplina i Palli; l'ordinanza 7 agosto 2014 che proroga e modifica l'ordinanza 4 settembre 2013, recante «Proroga e modifica dell'ordinanza 21 luglio 2011, recante “Ordinanza contingibile ed urgente che sostituisce l'ordinanza ministeriale 21 luglio 2009, concernente la disciplina di manifestazioni popolari pubbliche o private nelle quali vengono impiegati equidi, al di fuori degli impianti e dei percorsi ufficialmente autorizzati”» (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 208 dell'8 settembre 2014) prevede in particolare che: «1. Le manifestazioni pubbliche o aperte al pubblico, incluse le prove, nelle quali vengono utilizzati equidi, ad eccezione di mostre sfilate e cortei, devono garantire i requisiti di sicurezza e salute per i fantini e per gli equidi, in conformità alla presente ordinanza e all'allegato A che ne costituisce parte integrante»;
   l'ordinanza sopracitata introduce misure per la prevenzione e dà specifiche indicazioni sul doping, su come devono essere costruiti i percorsi, i fondi e predisposte le paratie;
   il provvedimento vieta inoltre la partecipazione alle manifestazioni dei fantini e dei cavalieri che abbiano riportato condanne per maltrattamento o uccisione di animali, scommesse clandestine, spettacoli o manifestazioni vietati, competizioni non autorizzate e, infine, prevede controlli antidoping;
   agli interroganti appare preoccupante e di dubbia legittimità la partecipazione al Palio di Siena del fantino Jonathan Bartoletti (detto Scompiglio) che ha corso per la contrada della Pantera e che, a seguito della morte di un cavallo al Palio di Asti nel settembre 2013, è stato squalificato per dieci anni per aver tenuto un «comportamento gravemente imprudente, pericoloso ed inadeguato» in quanto «fiancava e frustava violentemente il cavallo pur essendo il canapo ancora tirato», come hanno scritto nel provvedimento di sospensione il capitano e il magistrato del Palio piemontese. Giova rammentare che per questo episodio il fantino Bartoletti è imputato in un processo per maltrattamento e uccisione e che la sua città, Asti, ha stigmatizzato il trattamento a cui ha sottoposto il cavallo poi deceduto –:
   se, in considerazione dei dati e delle circostanze non si ritenga che, qualora le prescrizioni, gli obblighi e i precetti attualmente vigenti risultino correttamente applicati, sia necessario assumere iniziative volte a garantire maggiormente l'incolumità dei cavalli. (4-10173)


   CINZIA MARIA FONTANA, LENZI e FRANCO BORDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera di Crema (CR) sta richiamando in questi giorni circa 3400 cittadini che dal 7 febbraio 2013 al 14 febbraio 2014, si sono sottoposti al test per misurare la concentrazione di paratormone (che regola i livelli di calcio) nel sangue (PTH), al fine di far ripetere il test ai soggetti coinvolti e rendere minimi i disagi per l'utenza;
   i kit utilizzati per il dosaggio del — sono prodotti dalla multinazionale Abbott Laboratories e forniti all'azienda ospedaliera di Crema dall'azienda Fora spa di Parma;
   la causa del richiamo è da ricercare nella possibilità di una sovrastima nei risultati del test PTH. Dalla nota emessa dalla ditta Abbott in data 12 febbraio 2014 — pubblicata sul sito del Ministero della salute — si viene a conoscenza che «in uno studio portato a termine nel gennaio 2014, utilizzando i lotti di reagenti e di calibratori attuali, i risultati dei pazienti hanno presentato una deriva media compresa tra circa il 13 per cento ed il 45 per cento se confrontati ai risultati di uno studio portato a termine nell'agosto del 2012. Tale deriva è stata rilevata in tutto il range analitico del dosaggio». Si rileva pertanto che «tutti i reagenti, calibratori e controlli attualmente disponibili sono affetti da tale problematica»;
   desta sconcerto e profonda preoccupazione il fatto che sia trascorso un intero anno prima che la ditta produttrice si sia accorta di questa vicenda, che rischia oltretutto di coinvolgere tutti i laboratori italiani e stranieri che hanno utilizzato il kit nel periodo sopra indicato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto avvenuto presso l'azienda ospedaliera di Crema e quali misure intenda adottare o abbia già adottato, non solo in relazione al caso specifico ma su tutto il territorio nazionale, per verificare l'impatto legato ai problemi — sia di sicurezza sanitaria che di danno economico — dovuti all'utilizzo del kit in questione per il dosaggio del paratormone.
(4-10175)


   LENZI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera di Crema (CR) è stata la prima a richiamare in questi giorni i cittadini, circa 3.400, che dal 7 febbraio 2013 al 14 febbraio 2014, si sono sottoposti al test per misurare la concentrazione di paratormone (che regola i livelli di calcio) nel sangue (PTH) al fine di far ripetere gratuitamente il test ai soggetti coinvolti e rendere minimi i disagi per l'utenza;
   in Lombardia, ad oggi, sono diciotto i laboratori che hanno acquistato i test sbagliati, in sette diverse province: Milano, Monza, Cremona, Pavia, Sondrio, Como, Brescia. Nella sola Milano il laboratorio del San Raffaele, il geriatrico Redaelli, il Fatebenefratelli, la casa di cura Igea; Laboratorio Lodi;
   il richiamo si è reso necessario in quanto gli esiti del test PTH effettuati negli ultimi 12 mesi risultano sovrastimati in una percentuale variabile fino al 45 per cento;
   la prima comunicazione dell'anomalia è giunta dal general contract, la Fora di Parma, che fornisce il kit per il test stesso, kit che non è prodotto dalla Fora, ma da una multinazionale, la Abbot, al laboratorio d'analisi dell'azienda ospedaliera di Crema e protocollata il 26 febbraio 2014;
   dalla nota inviata dalla ditta Abbott in data 12 febbraio 2014 si viene a conoscenza che «in uno studio portato a termine nel gennaio 2014, utilizzando i lotti di reagenti e di calibratori attuali, i risultati dei pazienti hanno presentato una deriva media compresa tra circa il 13 per cento ed il 45 per cento se confrontati ai risultati di uno studio portato a termine nell'agosto del 2012. Tale deriva è stata rilevata in tutto il range analitico del dosaggio». Si rileva pertanto che «tutti i reagenti, calibratori e controlli attualmente disponibili sono affetti da tale problematica»;
   come affermato dal direttore generale dell'azienda ospedaliera di Crema, Luigi Ablondi, la causa del richiamo, è da ricercare nella possibilità di una sovrastima fino al 40 per cento nei risultati del test;
   desta sconcerto e profonda preoccupazione il fatto che sia trascorso un intero anno prima che la ditta produttrice si sia accorta di questa vicenda, che rischia oltretutto di coinvolgere tutti i laboratori italiani e stranieri che hanno utilizzato il kit nel periodo sopra indicato –:
   quali siano le informazioni in possesso del Ministro, in particolare quante siano le aziende sanitarie ed i cittadini coinvolti nell'intera vicenda, nonché, nell'ambito delle proprie competenze, quali misure intenda adottare o abbia già adottato non solo in relazione al caso specifico della Lombardia ma su tutto il territorio nazionale per verificare l'impatto legato ai problemi, sia di sicurezza sanitaria che di danno economico, dovuti all'utilizzo del kit in questione per il dosaggio del paratormone. (4-10176)


   FORMISANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 giugno 2015 il consiglio comunale di Niscemi (CL) ha deliberato un documento/denuncia, in merito alla «problematica sanitaria locale»;
   nel testo, l'organo comunale si rammarica delle mancate risposte fornite dagli enti competenti in merito ad altra precedente ed analoga richiesta avanzata in data 12 gennaio 2015, già discussa in pubblica assemblea, in data 17 aprile 2015;
   nei testi summenzionati, in particolare, il comune di Niscemi, lamenta:
    la violazione dell'articolo 32 della Carta costituzionale, concernente la tutela della salute, quale diritto fondamentale dell'individuo ed interesse della collettività;
    la mancata applicazione della circolare dell'assessorato regionale alla sanità n. 01150/09 del 15 giugno 2009, recante «Indirizzi e criteri per il riordino, la rifunzionalizzazione e la riconversione della rete ospedaliera e territoriale regionale. Procedure e modalità di controllo gestionale»;
    tale circolare, invero, ha sancito per la provincia di Caltanissetta, una rimodulazione e una nuova programmazione sanitaria, che pur partendo dai dati epidemiologici, ha ripresentato la differenza tra la popolazione della zona Nord e quella della zona Sud. La nuova rimodulazione non ha tenuto, però, conto delle indicazioni contenute nel paragrafo n. 2 della Circolare Assessoriale n. 5700, in cui si fa riferimento «ai problemi di salute prioritari della popolazione siciliana come sintetizzati nel documento elaborato dall'Osservatorio Epidemiologico Regionale». Il nuovo piano aziendale avrebbe, dunque, necessariamente dovuto tener conto dei dati epidemiologici del D.O.E del gennaio 2013, sui dati di mortalità anni 2003-2009 e di morbosità anni 2006-2011, che hanno indicato per i tre comuni di Gela – Niscemi – Butera, ricadenti nell'area ad alto rischio ambientale, un eccessivo tasso di mortalità per le diverse forme neoplastiche riscontrate;
    la mancata applicazione delle indicazioni previste dalla legge regionale 14 Aprile 2009 n. 5, recante disposizioni in materia di «Norme per il riordino del Servizio Sanitario Regionale», con particolare riguardo, alle indicazioni formulate dall'articolo 6, concernenti la finalizzazione delle risorse finanziarie, e dei criteri di perequazione finalizzati ad assicurare l'erogazione uniforme, efficace, appropriata ed omogenea dei livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio;
    la mancata applicazione dei piani aziendali degli ultimi dieci anni, con riguardo alla distribuzione dei posti letto, dei servizi e degli incarichi dirigenziali e del potenziamento del comparto sanitario;
    i ritardi notevoli per la ristrutturazione e la messa in sicurezza di una parte strutturale dell'ospedale di Niscemi, i quali non hanno consentito, totalmente, la programmazione politica del governo regionale per come prevista dal D.A Sanità n. 001372 del 25 maggio 2010;

   la delibera regionale n. 1229 del 14 maggio 2010, con la quale è stata posta in attuazione la programmazione dei servizi nell'ambito delle strutture ospedaliere, non ha trovato il contributo della conferenza dei sindaci, in seno alla quale la rappresentanza dell'amministrazione comunale di Niscemi ha sottolineato che la piattaforma e la quantità numerica del personale fosse insufficiente alle esigenze del territorio e alla omogeneità delle prestazioni;
   il comune di Niscemi, che vanta una popolazione di 28.000 abitanti circa, è stato, all'evidenza, penalizzato dalle precedenti programmazioni sanitarie regionali in termini di servizi sanitari e personale ospedaliero;
   invero, si ricorda che, mentre il comprensorio sud conta nei quattro presidi ben 700 ore di visite specialistiche, la città di Niscemi ne registra solamente 48, trovandosi in condizioni di carenza di attrezzature e di personale infermieristico;
   la medicina territoriale potrebbe essere potenziata con il sistema di informatizzazione, per garantire una maggiore efficienza ed efficacia della propria attività in un contesto di cittadinanza europea;
   inoltre tale paese è ubicato in una difficile situazione orografica, atteso che è posto in collina ed evidenzia problematiche di viabilità extraterritoriale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti su esposti e se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di giungere ad una serena soluzione che consenta di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza. (4-10185)


   PAGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   entro il 2015 la normativa vigente prevede la chiusura dei centri nascita che non presentano i necessari parametri di sicurezza: tra questi vi è il centro di ostetricia dell'ospedale di Mussomeli, appartenente alla ASP2 di Caltanissetta, che pur avendo oltre 250 nascite annue non raggiunge il minimo previsto dalla legge;
   l'ospedale di Mussomeli è situato al centro di una zona montana disagiata da un punto di vista orografico, in questo momento con molte strade franate e, quindi, non percorribili;
   intorno a Mussomeli gravitano ben 14 comuni di cui 8 in provincia di Caltanissetta e 6 in provincia di Agrigento e Palermo;
   l'ASP2 di Caltanissetta in cui insiste l'ospedale di Mussomeli ha chiesto alla regione siciliana una deroga alla chiusura del centro nascita di Mussomeli, che però è stata negata;
   si chiedeva una deroga al 31 dicembre 2016, anche per consentire i miglioramenti necessari alla rete stradale per ulteriori lavori di manutenzione straordinaria della autostrada A19 Palermo-Catania, della strada statale 121 Agrigento-Palermo e della strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta, tutte nei pressi di Mussomeli –:
   se, alla luce di quanto espresso in premessa e delle difficoltà logistiche e di collegamento viario che caratterizzano la zona, non si ritengano sussistenti le condizioni per promuovere iniziative volte a derogare alla chiusura del punto nascita di Mussomeli, se non altro fino al 31 dicembre 2016, allo scopo di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza. (4-10189)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERROSI, BRAGA, MAZZOLI e BONACCORSI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 luglio 2015 con protocollo n. 0017973 il Ministero dello sviluppo economico ha inviato a diversi destinatari la comunicazione con oggetto: «Istanza di permesso di ricerca di risorse geotermiche finalizzata alla sperimentazione di impianti pilota denominata “Castelgiorgio – Torre Alfina” – soc. ITW LKW Geotermia Italia S.p.A. Impianto “Castelgiorgio” (Comune di Castelgiorgio, prov. Terni). Estensione della convocazione Conferenza dei Servizi (Legge n. 241 del 1990)»;
   con tale comunicazione i comuni di Castelgiorgio (Terni), Castelviscardo (Terni), Orvieto (Terni), Acquapendente (Viterbo), la regione Umbria (direzione ambiente e direzione regionale risorsa Umbria), il Ministero della difesa (comando militare esercito Umbria, comando regione militare Centro, reparto genio dell'Aeronautica militare, comando 1a regione aerea, comando scuole dell'Aeronautica militare 3a regione aerea), la regione Lazio (direzione regionale per lo sviluppo economico e le attività produttive, direzione regionale infrastrutture, ambiente e politiche abitative), la Società ITW LKW Geotermia Italia Spa, vengono convocati per il giorno 8 settembre 2015 alle ore 11,00 presso la sede del Ministero dello sviluppo economico;
   la società ITW-LKW Geotermia Italia nel 2011 presentò al Ministero dello sviluppo economico un progetto pilota per l'indagine sulla risorsa geologica nell'Altopiano dell'Alfina e nel 2012 la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie del Ministero espresse parere favorevole. Tale progetto riguardava la costruzione di due centrali della potenza di 5 megawatt l'una, ricadenti rispettivamente nel comune di Acquapendente (Viterbo) e nel comune di Castelgiorgio (Terni). Tale progetto prevedeva l'utilizzo di 3 pozzi già presenti nel territorio, utilizzati precedentemente dall'ENEL residuo di attività precedentemente svolte da quest'ultima;
   successivamente il progetto originario, sottoposto alla valutazione di impatti ambientale regionale, venne ritirato e vennero presentati due progetti distinti. Su uno solo, quello situato nel comune di Castelgiorgio (Terni), venne richiesta valutazione di impatto ambientale ministeriale;
   tutti i comuni situati sull'altopiano dell'Alfina (Castelgiorgio, Castelviscardo, Orvieto, Allerona e Acquapendente) e quelli che insistono sul bacino idrografico del lago di Bolsena (Montefiascone, Bolsena, San Lorenzo Nuovo) insieme alla provincia di Viterbo, si sono espressi in maniera negativa nei confronti del progetto presentato dalla società ITW-LKW Geotermia Italia spa, confermando e motivando tale contrarietà nelle osservazioni inviate ai Ministeri competenti;
   la società ITW&LKW Geotermia Italia spa inizierebbe con la costruzione della sola centrale nel comune di Castelgiorgio (Terni) ma anziché tre pozzi in totale, come era previsto nel progetto complessivo iniziale, ne aprirebbe nove solo per quella porzione, impossibilitata tra l'altro a sfruttare i pozzi già esistenti dell'ENEL che reputati pericolosi, nel frattempo sono stati sigillati. Il secondo progetto previsto per la piana dell'Alfina, comune di Acquapendente (Viterbo), è attualmente al vaglio della commissione CIRM per la relativa autorizzazione;
   come noto, taluni studi scientifici mettono in risalto la possibile pericolosità che l'attività geotermica a media ed alta entalpia possa rappresentare per la falda acquifera dell'altopiano dell'Alfina e per il lago di Bolsena; essa inoltre potrebbe generare attività sismica in un'area già caratterizzata da elevato rischio sismico e che già in passato è stata teatro di alcuni forti terremoti che hanno causato danni a persone e cose;
   l'altopiano dell'Alfina ed il sottostante lago di Bolsena (Viterbo) costituiscono importanti riserve d'acqua potabile per Umbria e Lazio. L'installazione di impianti geotermici a media ed alta entalpia può compromettere la qualità dell'acqua conseguentemente alle fratture che potrebbero essere indotte nel terreno;
   a seguito delle suddette preoccupazioni e considerate tuttavia l'importanza e la rilevanza strategica della geotermia, in data 15 aprile 2015 è stata approvata alla unanimità dalle Commissioni VIII ambiente e X attività produttive una risoluzione (n. 8-00103) che impegna il Governo alla realizzazione di dodici azioni;
   in particolare, il secondo punto del dispositivo impegna il Governo «ad emanare, entro sei mesi, linee guida a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino nell'ambito delle aree idonee di cui al punto precedente anche i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di sismicità». Il termine per la presentazione delle citate linee guida scade il 15 ottobre 2015;
   il terzo punto impegna il Governo «a rilasciare, a seguito dell'emanazione delle linee guida, tutte le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici, comprese quelle relative ai procedimenti in corso, nel rispetto delle prescrizioni ivi previste» –:
   se il Governo sia a conoscenza del fatto che, nonostante gli impegni assunti e richiamati in premessa, in data 14 luglio la direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche abbia proceduto a dichiarare la compatibilità del progetto denominato «Castelgiorgio» con il quadro di potenza autorizzabile e disponibile in base alla normativa vigente e abbia convocato per l'8 settembre 2015 una riunione, ad estensione della convocazione della conferenza di servizi, di fatto procedendo nell'iter istruttorio/amministrativo del progetto proposto dalla società ITW LKW Geotermia Italia spa e quindi ignorando quando previsto al terzo punto del dispositivo del testo della risoluzione n. 8-00103, ciò anche alla luce del fatto che la data prevista per la già citata conferenza di servizi cade ad appena un mese dalla scadenza del termine previsto per la emanazione delle linee guida, di cui al secondo punto del dispositivo della suddetta risoluzione. (5-06259)


   MALISANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   già in data il 20 marzo 2015, la sottoscritta ha presentato un'interrogazione sul piano di riorganizzazione previsto da Poste italiane – che doveva diventare effettivo dal 13 aprile 2015 e che prevedeva in Friuli Venezia Giulia la chiusura di 19 uffici, di cui 13 nella provincia di Udine – chiedendo di intervenire per evitare queste scelte che avrebbero provocato un disservizio dannoso soprattutto per i residenti anziani, ma anche per le famiglie e le imprese;
   il 18 novembre 2014 la regione Friuli Venezia Giulia e Poste italiane si erano impegnate in un protocollo di intesa a rafforzare il ruolo delle sedi periferiche;
   il 26 giugno 2015, è stata data risposta da parte del Sottosegretario Antonello Giacomelli, che ha riferito che Poste Italiane ha assicurato che tutti gli interventi inseriti nel piano saranno attuati dopo aver completato il dialogo avviato con le istituzioni locali;
   notizie di questi giorni, confermate da alcuni sindaci della provincia di Udine interessati dal piano (Campeglio di Faedis, Carpacco di Dignano, Ciconicco, Cisterna di Coseano, Goricizza e Pozzo (Codroipo), Ipplis, Lavariano, Ospedaletto di Gemona, Percoto, Perteole, Rodeano Basso, Terzo di Tolmezzo e Torreano di Martignacco) sull'avvio da parte di Poste italiane del piano di razionalizzazione, riferiscono che esso starebbe procedendo senza il necessario e assicurato confronto con i comuni, e con l'annunciata chiusura di alcuni uffici a partire dai primi giorni di settembre –:
   se non ritenga necessario incontrare al più presto la direzione nazionale delle Poste in modo da verificare se il piano venga realizzato rispettando, da una parte, l'impegno al confronto con le istituzioni locali, e all'altra, l'esigenza che esso tenga conto delle specificità dei territori al fine di evitare danni alla qualità della vita dei cittadini. (5-06269)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Comer Industries, azienda che opera nel settore delle componenti meccaniche per macchine agricole, ha ufficializzato, nel corso di un recente incontro con le organizzazioni sindacali, presso la sede di Confindustria, il trasferimento dei dipendenti, circa 75, dall'impianto di Moglia (Mn) allo stabilimento di Reggiolo (Re);
   dopo il sisma del 2012, la Comer è l'ultima fabbrica rimasta in attività presso Moglia e il suo trasferimento determinerà conseguenze negative anche per un indotto qualificato che in questi anni si era sviluppato intorno alla suddetta fabbrica;
   tale decisione, inoltre, rischia di avere ripercussioni anche per quanto concerne il futuro stabilimento di Pegognaga, che attualmente occupa 92 addetti, e per il quale non vi è cenno all'interno del nuovo piano di investimenti, pari a 10 milioni di euro, annunciato dalla società;
   le organizzazioni sindacali ed in particolare la Fiom Cgil hanno lanciato un allarme alle istituzioni locali affinché si chieda all'azienda chiarezza sul futuro dell'impianto di Pegognaga i cui dipendenti difficilmente potrebbero essere, eventualmente, riassorbiti presso la sede di Reggiolo, avanzando, nel contempo, la proposta che i dipendenti di Moglia possano, comunque, essere collocati presso lo stabilimento di Pegognaga nella produzione di giunti cardanici;
   il territorio mantovano non può permettersi di perdere impianti e maestranze con tutto ciò che ne consegue in termini di produttività, occupazione, reddito ed indotto –:
   se il Ministro non intenda, in apposita sede istituzionale, appurare la volontà aziendale della Comer Industries e verificare la possibilità che sia rivista la decisione del trasferimento dei dipendenti di Moglia salvaguardando il futuro produttivo ed occupazionale dell'impianto di Pegognaga. (4-10139)


   CARRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la SDA Express Courier, è l'azienda del Gruppo Poste Italiane che si occupa della gestione logistica, distributiva, l’e-commerce e della vendita a distanza;
   la SDA ha un fatturato di circa 500 milioni/anno, circa 4.000 fra dipendenti e collaboratori ed è radicata sul territorio nazionale con una rete di 85 tra filiali e agenzie dotata di circa 4.500 mezzi;
   diverse agenzie versano in difficoltà per le condizioni contrattuali che nel tempo SDA ha chiesto e che sono inidonee a generare ricavi adeguati alla copertura effettiva dei costi e costituiscono causa determinante degli squilibri, dapprima economici ed infine finanziari;
   da ultimo si è verificata, nelle Marche, la crisi della Transmarche s.r.l., società che in oltre trenta anni di rapporti contrattuali con SDA si è trovata con margini di negoziazione sempre più ridotti, senza alternative di mercato, date dalla rigidità della filiera dell'autotrasporto e dalla posizione dominante di mercato della SDA medesima;
   la Transmarche è stata costretta a depositare la domanda di concordato in bianco con evidenti gravi ripercussioni sulla propria forza lavoro composta da 35 unità e su tutta la filiera ad essa connessa;
   a fronte di costi fissi ingenti e sempre crescenti, Transmarche s.r.l. e tutte le altre società che operano come agenzie della SDA non hanno avuto, non hanno e non avranno mai forza contrattuale per rifiutare quanto richiesto finendo per lavorare in termini di prezzi fuori mercato e sempre decrescenti;
   queste diffuse difficoltà rischiano di comportare, anche in altre regioni, situazioni finanziarie sempre più pesanti che rendono e renderanno sempre più necessario il ricorso al credito bancario con i conseguenti ed ingenti costi di oneri finanziari –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di queste situazioni e se e quali iniziative intenda intraprendere il Governo, anche quale azionista di Poste Italiane, a tutela dei livelli occupazionali, sia in relazione al citato caso della Transmarche sia per evitare il ripetersi di analoghe situazioni in altre regioni. (4-10162)


   SEGONI, BARBANTI, RIZZETTO, PRODANI, TURCO, TERROSI, DAGA, PELLEGRINO, MUCCI, ARTINI, BALDASSARRE, VALLASCAS, BECHIS e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con istanza presentata in data 19 luglio 2011 la società ITW-LKW Geotermia Italia spa ha chiesto il rilascio del permesso di ricerca risorse geotermiche finalizzato alla sperimentazione di impianti pilota denominata «Castel Giorgio — Torre Alfina» ricadente nelle province di Terni e Viterbo;
   detta società in data 8 gennaio 2014 ha presentato istanza, per il solo impianto pilota «Castel Giorgio» (ubicato interamente nel comune di Castel Giorno in provincia di Terni), di variazione del programma dei lavori finalizzata all'aumento di potenza da 3,2 MWe a 5 MWe da immettere nel sistema elettrico;
   in data 19 marzo 2014 la CIRM (Commissione idrocarburi e risorse minerarie) ha espresso parere favorevole e in data 3 aprile 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è pronunciate positivamente, con prescrizioni, riguardo la compatibilità ambientale (DM. 3 aprile 2015 n. 59);
   in data 14 luglio 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto ad aggiornare la graduatoria di ammissibilità delle istanze di permesso di ricerca per risorse geotermiche finalizzato alla sperimentazione di impianti pilota ed il Progetto Castel Giorgio da 5 MWe è risultato compatibile;
   l’iter è ulteriormente avanzato con la convocazione, per il giorno 8 settembre 2015, della conferenza di servizi;
   alla Camera dei deputati, presso le Commissioni riunite VIII e X, nel novembre 2014 è iniziata la discussione di una serie di risoluzioni inerenti la geotermia in generale ed alcuni impianti (tra cui Castel Giorgio) in particolare. Dopo una lunga serie di audizioni che hanno illustrato anche gli ultimi progressi tecnologici e scientifici nel settore della geotermia e nella conoscenza dell'interazione tra gli impianti ed il contesto geologico su cui insistono, tale discussione si è conclusa in data 15 aprile 2015 con l'approvazione di una risoluzione unitaria (8-00103, Braga ed altri), approvata all'unanimità dalle Commissioni con parere positivo del Governo (rappresentato dalla sottosegretario Vicari);
   tale risoluzione impegna il Governo, tra le altre cose, a:
    «ad avviare le procedure di “zonazione” del territorio italiano, per le varie tipologie di impianti geotermici, identificando le aree potenzialmente sfruttabili in coerenza anche con le previsioni degli orientamenti europei relativamente all'utilizzo della risorsa geotermica, e in linea con la strategia energetica nazionale;
    ad emanare, entro sei mesi, “linee guida” a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino nell'ambito delle aree idonee di cui al punto precedente anche i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di micro sismicità;
    a rilasciare, a seguito dell'emanazione delle linee guida, tutte le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici, comprese quelle relative ai procedimenti in corso, nel rispetto delle prescrizioni ivi previste;
    a far sì che, nella valutazione di impatto ambientale (VIA), si tenga conto in particolare delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di micro sismicità»;
   in risposta all'interrogazione Segoni ed altri n. 5-05662, il Governo dichiara che le nuove linee guida verranno regolarmente emanate entro il termine del 15 ottobre 2015 definito nella risoluzione: «... in particolare, per quanto attiene alla individuazione di “linee guida” che definiscano i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di micro sismicità, tali incontri informali si sono alla fine concretizzati nell'incontro ufficiale tenutosi lo scorso 18 maggio tra i rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente. In occasione di tale incontro — il primo, peraltro, finalizzato alla elaborazione delle “linee guida” — è stato definito un ben preciso programma di lavoro, stabilendo, in particolare, i criteri generali con cui si procederà alla predisposizione del documento, al fine di definire su tutto il territorio nazionale aree idonee per lo sviluppo delle risorse geotermiche, individuando tra i criteri prioritari, lo sfruttamento in sicurezza della risorsa. In relazione al cronoprogramma che il “tavolo” si è dato, allo stato non si ritiene di poter dubitare in alcun modo circa il rispetto dei tempi convenuti nella risoluzione richiamata dagli onorevoli interroganti»;
   nei comuni interessati da istanze di esplorazione o sfruttamento di risorse geotermiche è molto frequente riscontrare la contrarietà di amministratori locali e cittadini (talvolta organizzati in comitati), preoccupati per le conseguenze sanitarie e ambientali che potrebbero essere causate da impianti geotermici dotati di tecnologie vetuste o da installazioni finalizzate più alla massimizzazione del profitto che alla tutela ambientale e sanitaria;
   le redigende «linee guida» unite alla definizione della «zonizzazione» e dei nuovi contenuti che devono informare la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) potrebbero essere utili ad allineare la normativa agli ultimi progressi tecnico-scientifici, e questo darebbe ai territori maggiori garanzie in merito alla loro salvaguardia –:
   se non ritengano opportuno sospendere l’iter procedurale per le concessioni geotermiche, ed in particolare per l'impianto «Castel Giorgio», per le poche settimane rimanenti fino al 15 ottobre, in modo da permettere l'emanazione delle linee guida in un contesto scevro da ogni condizionamento esterno e subordinare all'emanazione delle «linee guida» qualsiasi altro iter amministrativo (ivi comprese le procedure di valutazione di impatto ambientale), nel rispetto dello spirito della risoluzione n. 8-00103 richiamata in premessa. (4-10192)


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2011 è stata installata una stazione radio base di telefonia cellulare presso l'immobile sito in Roma, in via Francesco Gentile n. 135, a seguito di una domanda di autorizzazione presentata dalla società Ericsson Telecomunicazioni Spa al dipartimento programmazione e attuazione urbanistica del comune di Roma, per conto del gestore telefonico Wind Telecomunicazioni spa;
   la stazione radio base è stata installata ad una distanza minima dalle abitazioni civili (meno di venti metri) e da un plesso scolastico che ospita più di mille bambini di età compresa tra i tre e i tredici anni (meno di cinquanta metri), in contrasto con il Protocollo d'intesa firmato nel 2004 tra il comune di Roma e i principali Gestori di telefonia mobile, in cui si fissa una distanza minima di 100 metri per le installazioni vicine ai cosiddetti «siti sensibili»;
   i residenti, preoccupati per i rischi alla salute, hanno proposto ricorso giurisdizionale contro l'autorizzazione formatasi per silenzio assenso, nonché nei confronti di ogni provvedimento con cui il comune di Roma ha ritenuto regolare l'autorizzazione dell'installazione;
   il 27 gennaio 2014, con la sentenza n. 1021, il TAR del Lazio, ha accolto il predetto ricorso, disponendo l'annullamento del provvedimento di autorizzazione rilasciato per silenzio assenso dal comune di Roma in favore dalla Ericsson Telecomunicazioni spa e della Wind Telecomunicazioni spa, per l'installazione della stazione radio base di via Francesco Gentile n. 135;
   successivamente, Wind Telecomunicazioni Spa ed Ericsson Telecomunicazioni Spa hanno proposto appello al Consiglio di Stato avverso il predetto provvedimento giurisdizionale di annullamento dell'autorizzazione;
   il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 306 del 23 gennaio 2015, ha respinto l'appello presentato dai gestori di telefonia nei confronti della richiamata pronuncia del TAR del Lazio, confermando la decisione di annullare il provvedimento autorizzatorio ed ogni altro atto con il quale sia stata consentita l'installazione della stazione radio base in via Francesco Gentile n. 135;
   l'annullamento del titolo da parte del giudice amministrativo implica il dovere di rimuovere immediatamente la stazione radio base, dal momento che l'assenza di un valido ed efficace provvedimento autorizzatorio rende la sua installazione illegittima ed abusiva;
   essendo decorso un considerevole lasso temporale dalla data di emanazione delle citate pronunce del giudice amministrativo e risultando la stazione radio base ancora posizionata presso il condominio di via Francesco Gentile n. 135, all'inizio del mese di giugno 2015, i residenti hanno notificato a tutti i soggetti istituzionali coinvolti — compresa, per conoscenza, la Procura della Repubblica — un atto di diffida a rimuovere l'antenna, dando finalmente esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato;
   pochi giorni dopo la notifica dell'atto di diffida, i residenti ricevono, a loro volta, la notifica di una richiesta di revocazione della sentenza del Consiglio di Stato da parte di Wind Telecomunicazioni Spa. L'udienza era fissata per il 30 luglio 2015;
   il comune di Roma si è formalmente costituito in giudizio, nonostante l'Assemblea di Roma Capitale abbia approvato, il 14 maggio 2015, la delibera concernente il regolamento per la localizzazione, l'installazione e la modifica degli impianti di telefonia a – Roma, in cui si vieta di installare antenne, parabole ripetitori sui tetti ed anche nel raggio di 100 metri dei cosiddetti «siti sensibili» (ospedali, case di cura e di riposo, asili nido e scuole, oratori, orfanotrofi, parchi gioco e su edifici abusivi), come nel caso di via Francesco Gentile;
   il codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, all'articolo relativo ai procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici prevede che l'installazione delle stesse sia «autorizzata dagli Enti locali, previo accertamento, da parte dell'Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione»;
   i cittadini residenti nella zona si trovano a dover sopportare un ulteriore, grave, peso economico e psicologico, sentendosi altresì lasciati soli dall'amministrazione locale –:
   alla luce della vicenda descritta in premessa se non ritengano di promuovere una revisione della normativa relativa all'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici, anche con riferimento ai criteri da utilizzare nei procedimenti autorizzatori da parte degli enti locali, tutelando in via prioritaria la salute dei cittadini evitando che possano ripetersi casi come quello di cui in premessa.
(4-10194)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Fanucci e altri n. 1-00934, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ginato.

  La mozione Busin e altri n. 1-00957, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Prataviera, Caon, Matteo Bragantini.

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Benedetti e altri n. 7-00754, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Massimiliano Bernini, Gallinella, L'Abbate, Parentela.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Fassina e altri n. 4-10074, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gregori.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Catanoso n. 5-06218, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Oliverio.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Fauttilli n. 3-01658, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 agosto 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fitzgerald Nissoli.

  L'interrogazione a risposta scritta Costantino e Duranti n. 4-10122, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 agosto 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Scotto, Ricciatti, Paglia, Melilla, Ferrara, Franco Bordo, Kronbichler, Zaccagnini, Palazzotto, Placido, Pannarale.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Cozzolino n. 1-00962, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 471 del 29 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    nella giornata dell'8 luglio 2015, un tornado estremamente violento si è abbattuto sulla riviera del Brenta, di livello EF4 della scala Enhanced Fujita. Le sue caratteristiche, con raffiche di vento fino a 350 chilometri orari, hanno eguagliato quelle del tifone Katrina, considerato per potenza il sesto uragano atlantico mai registrato, che nel 2005 devastò la città statunitense di New Orleans;
    il tornado ha colpito duramente i centri abitati sui quali si è abbattuto, devastando gravemente i comuni di Dolo, Pianiga e Mira nella provincia di Venezia. I danni prodotti sono stati ingentissimi: in termini di vite umane con una vittima e 87 feriti; in termini economici con 500 abitazioni danneggiate e 100 edifici da abbattere perché pericolanti e non recuperabili. L'ammontare stimato dei costi è di circa 100 milioni di euro, come dichiarato dal presidente della regione Veneto Luca Zaia nel consiglio regionale del 13 luglio 2015. Anche il patrimonio storico-architettonico della riviera del Brenta ha subito ingentissimi danni, che hanno colpito soprattutto le ville venete: emblematico il caso di Villa Santorini-Toderini-Fini a Dolo, del 1665, completamente rasa al suolo dal tornado;
    nella zona colpita dalla calamità naturale si registrano circa 200 persone sfollate, inoltre molte attività economiche saranno costrette a sospendere la propria attività per un periodo medio-lungo, con un grave danno per il sistema economico dell'intera provincia di Venezia;
    i danni materiali prodotti, per caratteristiche e per conseguenze sociali ed economiche, sono molto simili a quelli di un terremoto, come, ad esempio, il sisma che nel 2012 devastò alcune province delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto;
    le istituzioni locali, ad iniziare, dai sindaci dei comuni colpiti dal disastro, hanno chiesto pubblicamente di ottenere aiuti dal Governo, quali ad esempio deroghe al Patto di stabilità, al fine di poter avviare quanto prima e con successo i lavori di ricostruzione;
    purtroppo, non è la prima volta che zone del territorio italiano vengono colpite e devastate da violenti fenomeni atmosferici che provocano vittime e danni alle infrastrutture. Nei casi più gravi la dichiarazione dello stato di emergenza è stata accompagnata dal varo di provvedimenti speciali volti a sospendere pro tempore gli adempimenti tributari per le persone fisiche e giuridiche residenti nelle zone colpite dagli eventi meteorologici eccezionali. Si tratta di condizioni di estrema gravità che purtroppo ricorrono anche nel caso oggetto della presente mozione,

impegna il Governo:

   ad adottare, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile a sostegno dei comuni della riviera del Brenta colpiti dal tornado dell'8 luglio 2015, anche attraverso interventi normativi ad hoc, come già fatto in precedenza con il cosiddetto «decreto Emilia» (decreto-legge 12 maggio 2014, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 2014, n. 93), con particolare riferimento a misure che dispongano la sospensione dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari, che determinino criteri generali idonei ad assicurare, a fini di equità, la parità di trattamento dei soggetti danneggiati, che prevedano la sospensione dei mutui sugli edifici distrutti o inagibili, oltre all'aumento della ripartizione degli stanziamenti nazionali destinati al fondo per la ricostruzione e la previsione di procedure semplificate per la presentazione delle domande di rimborso;
   ad assumere iniziative per prevedere, con l'urgenza richiesta dal caso e di concerto con le amministrazioni locali e le associazioni imprenditoriali, lo stanziamento di fondi aggiuntivi, da disporsi a titolo di contributo per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili ad uso abitativo e produttivo danneggiati dal tornado, in relazione al danno effettivamente subito e in misura sufficiente a coprire integralmente le spese necessarie per la loro ricostruzione, con particolare riferimento al caso in cui i danni riportati siano di entità tale da condizionare la piena ripresa dell'attività produttiva;
   ad assumere iniziative per estendere, agli anni 2016 e 2017, la riduzione dell'obiettivo del Patto di stabilità interno dei comuni di Dolo, Pianiga e Mira, già disposto per l'anno 2015, al fine di permettere ai sopradetti comuni interessati di completare i progetti, stanziare i fondi e completare le opere di ricostruzione;
   a garantire lo stanziamento, in tempi rapidi, di risorse aggiuntive necessarie per finanziare gli ammortizzatori sociali, a favore di aziende e attività produttive interessate dall'evento di cui in premessa;
   a convertire la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, redatta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in un piano di azioni concrete, con un cronoprogramma e finanziamenti ad hoc, prevedendo lo stanziamento dei primi fondi già a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità;
   ad assumere iniziative per provvedere allo stanziamento di risorse aggiuntive specifiche per il recupero del patrimonio architettonico delle ville venete danneggiate, sia pubbliche che private, per l'importantissima valenza storica e artistica, riconosciuta a livello mondiale, della riviera del Brenta, anche attraverso la richiesta di un finanziamento ad hoc alla Banca europea per gli investimenti, finalizzato alla realizzazione di un piano per il recupero, la conservazione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale danneggiato dagli eventi richiamati in premessa, tenuto conto che Villa Foscari a Mira, di Andrea Palladio, è nell'elenco dei siti riconosciuti dall'Unesco come patrimonio dell'umanità;
   a valutare, alla luce dello stato di necessità e urgenza di cui in premessa, l'opportunità di individuare risorse aggiuntive a valere sui fondi europei residui e relativi alla dotazione finanziaria 2007-2013, o sui fondi europei del nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, anche attraverso un'opportuna riprogrammazione e rimodulazione dei fondi strutturali e di investimento, in favore delle imprese danneggiate dalle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi sul territorio regionale veneto della riviera del Brenta, in conformità alle condizioni previste dalla normativa comunitaria relativamente all'utilizzo dei fondi europei.
(1-00962)
(Nuova formulazione) «Cozzolino, Da Villa, D'Incà, Spessotto, Benedetti, Brugnerotto, Businarolo, Fantinati, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Crippa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Uva, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Martella n. 1-00970, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 475 del 4 agosto 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    il Veneto ancora una volta, l'8 luglio 2015, è stato duramente colpito da un eccezionale evento meteorologico;
    il violento tornado, catalogato di intensità F4, ha investito in particolare la provincia di Venezia, lungo la riviera del Brenta provocando ingenti danni nei comuni di Dolo, Pianiga e Mira;
    contestualmente una cella temporalesca di significativa rilevanza e violenza ha gravemente interessato anche i comuni dell'alto bellunese, Cortina d'Ampezzo in particolare;
    la portata distruttiva dell'evento atmosferico si è manifestata con ingentissimi danni alle infrastrutture, ai patrimonio pubblico nonché a quello privato;
    il tornado ha fatto crollare e scoperchiato case, raso al suolo strutture di grande valore storico e culturale, come Villa Santorini-Toderini-Fini, danneggiato numerose altre ville venete nonché il patrimonio di molte attività economiche industriali ed anche agricole, distruggendo capannoni e mezzi, abbattendo alberi e piantagioni;
    il bilancio di questa calamità atmosferica ha fatto, purtroppo, registrare anche un morto, circa 200 persone ferite ed oltre quattrocento di sfollati;
    nei comuni di questo comprensorio si sono verificati prolungati black-out elettrici, disservizi nella fornitura del gas, dell'acqua, delle linee telefoniche, fisse e mobili, il blocco della circolazione ferroviaria e numerosi sono stati gli incidenti stradali sulla viabilità urbana e autostradale;
    da subito si è attivato il sistema regionale di protezione civile, con il lavoro dei vigili del fuoco, delle forze dell'ordine, dei volontari e di tantissimi cittadini a cui va rivolto un grandissimo ringraziamento, che hanno consentito di affrontare questa eccezionale emergenza;
    le forze dell'ordine, in collaborazione con le polizie municipali, continuano a svolgere in questi territorio servizi «anti sciacallaggio»;
    i sindaci e le istituzioni locali sono stati tra i protagonisti assoluti di questa straordinaria azione di aiuto e solidarietà;
    la regione Veneto ha prontamente dichiarato lo «stato di crisi» con una prima stima di danni quantificata in 91.454.059,55 euro;
    il Governo centrale ha immediatamente approvato la dichiarazione di «stato di emergenza» come primo e importante passo per dare concreta risposta nei confronti dei comuni di Dolo, Pianiga e Mira in provincia di Venezia e di Cortina D'Ampezzo, in quella di Belluno, stanziando per l'attuazione dei primi interventi 2.000.000,00 di euro;
    il Senato della Repubblica ha altresì approvato, nella seduta del 28 luglio 2015, su proposta del Governo, un emendamento al decreto-legge n. 78, in materia di enti locali, finalizzato a consentire ai comuni della riviera del Brenta un allentamento del patto di stabilità 2015 per un importo complessivo di 7,5 milioni di euro, percorso che si è concluso con l'approvazione definitiva da parte della Camera dei deputati;
    con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, acquisita l'intesa con la regione Veneto per la nomina del commissario, sono stati adottati i primi atti per gli interventi, i contributi e la ricognizione dei fabbisogni per il patrimonio pubblico e privato, nonché per le attività economiche e produttive e la sospensione dei mutui per i proprietari di edifici distrutti o inagibili;
    numerosissime sono state le azioni concrete di solidarietà che si avute nei giorni successivi all'evento calamitoso, attraverso raccolte di fondi promosse da diverse istituzioni locali, associazioni sociali, economiche, culturali e singoli cittadini;
    è necessario proseguire sulla strada di questa proficua collaborazione istituzionale e che la regione Veneto valuti l'opportunità di utilizzo del residuo del patto di stabilità verticale;
    in riferimento a quanto esposto in premessa bisogna far presente che il territorio del Veneto ed in particolare la provincia di Belluno, nell'ambito dei comprensori dei comuni di Auronzo di Cadore, San Vito di Cadore, Borca di Cadore e Vodo di Cadore, sono stati nuovamente colpiti, nel corso della sera del 4 agosto 2015, da una devastante «bomba d'acqua» che ha determinato ingentissimi danni alle infrastrutture, al patrimonio pubblico nonché a quello privato, e che al momento fa registrare purtroppo anche tre vittime,

impegna il Governo:

   ad utilizzare parte del residuo rimasto del Fondo per le emergenze nazionali del 2015 ed eventualmente prevedere anche impegni del Fondo per il 2016 a favore dei beni pubblici e privati, di quelli delle attività economiche e produttive danneggiati o distrutti;
   a verificare d'intesa con i sindaci dei comuni interessati forme particolari di sospensione e/o esenzione dei tributi;
   ad assumere iniziative per prevedere, anche per il 2016, l'allentamento del Patto di stabilità per i comuni di Dolo, Mira e Pianiga nella legge di stabilità 2016;
   ad estendere immediatamente la dichiarazione dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei ministri del 17 luglio 2015 anche ai comuni di Auronzo di Cadore, San Vito di Cadore, Borca di Cadore e Vodo di Cadore colpiti da una bomba d'acqua nel corso della notte tra il 4 e il 5 agosto 2015 in attesa di una più approfondita quantificazione dei danni;
   a valutare l'opportunità di allentare il Patto di stabilità anche per i comuni della provincia di Venezia e del Veneto che hanno dichiarato la loro disponibilità a impegnare risorse economiche a favore della ricostruzione, anche in riferimento agli spazi del Patto di stabilità del 2014 e dei comuni veneti non ancora utilizzati;
   ad adottare provvedimenti che consentano, con modalità già attuate in favore delle popolazioni dell'Emilia Romagna, colpite prima dal terremoto e dai successivi eventi alluvionali del 2014, il sostegno dei beni privati nonché delle attività economiche e produttive;
   a considerare l'adozione di provvedimenti volti a stabilire criteri di automaticità nella distribuzione delle risorse da destinare ai comuni in caso degli ormai sempre più frequenti eventi calamitosi, al fine di accelerare i tempi per le ricostruzioni stabilendo così un rapporto efficace di semplificazione burocratica tra amministrazioni;
   ad assumere celeri iniziative specifiche per il recupero del patrimonio architettonico e culturale costituito dalle ville venete, sia attraverso risorse economiche sia semplificando le procedure burocratiche;
   a rafforzare le misure «anti sciacallaggio», prevedendo anche l'impiego di unità dell'Esercito;
   a promuovere e sostenere, anche in occasione della prossima Conferenza di Parigi delle nazioni che hanno aderito alla convenzione sul clima, tutte quelle azioni volte a ridurre l'emissione di gas serra che aumentano la temperatura media globale e producono cambiamenti climatici all'origine di eventi meteorologici estremi.
(1-00970) (Nuova formulazione) «Martella, Mognato, Moretto, Murer, Zoggia, Camani, Casellato, Crimì, Crivellari, Dal Moro, D'Arienzo, De Menech, Ginato, Miotto, Naccarato, Narduolo, Pastorelli, Rostellato, Rotta, Rubinato, Sbrollini, Zan, Zardini».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Segoni n. 1-00972, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 475 del 4 agosto 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    a distanza di qualche anno dalla «Grande alluvione» e a neanche un mese dall'ultima, il Veneto non è pronto all'eventualità di altre inondazioni e mancano diverse opere dal momento che mancano i fondi;
    secondo l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure, su Genova sono caduti in 28 ore oltre 230 millimetri di pioggia, mentre sul Veneto, tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2010, l'Arpav misurò il «diffuso superamento dei 300 millimetri con punte massime locali anche superiori ai 500»; nella giornata dell'8 luglio 2015, un tornado estremamente violento si è abbattuto sulla riviera del Brenta, di livello EF4 della scala Enhanced Fujita;
    il tornado ha colpito duramente i centri abitati sui quali si è abbattuto distruggendo i comuni di Dolo, Pianiga e Mira nella provincia di Venezia, provocando danni ingenti sia in termini di vittime che in termini economici con 500 abitazioni danneggiate e 100 edifici da abbattere perché pericolanti e non recuperabili;
    i danni materiali prodotti, per caratteristiche e per conseguenze sociali ed economiche, sono molto simili a quelle di un terremoto, come, ad esempio, il sisma che nel 2012 devastò alcune province delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto;
    il massimo esperto del settore, il professor Luigi D'Alpaos, reputa necessario disporre di almeno 10 milioni di metri cubi di invaso e non dei 3-3,5 milioni e mezzo di euro preventivati che purtroppo necessitano di più tempo: resti romani permettendo, il bacino di laminazione di Caldogno potrà essere rimesso in sesto nel 2016, e per lo meno nel 2017 quello di viale Diaz a Vicenza;
    nel centro del capoluogo berico sono stati rinforzati gli argini del Bacchiglione, ma i quartieri periferici sono a rischio di allagamento e il bacino per alleggerire l'alveo del Retrone sulla roggia Dioma, fra Vicenza e Monteviale, non ha un euro di finanziamento, per non parlare del bacino del Trissino per il quale è in corso un'inchiesta della magistratura per concussione e turbativa d'asta;
    nel padovano si punta a completare l'idrovia, che riprenderebbe le acque convogliate nel Brenta dopo essere state prese attraverso il San Gregorio e il Piovego, e le porterebbe verso la laguna di Venezia, alleggerendo la valle del Brenta e mettendo in sicurezza la zona industriale di Padova;
    gli ambientalisti hanno fatto presente che molte di queste opere si tradurrebbero in un'ulteriore devastazione di un territorio già eroso da decenni di cementificazione e dalla scarsa conoscenza delle leggi idrauliche (anche in agricoltura), considerando anche che i proprietari dei terreni agricoli che lottano per ottenere un equo prezzo di compravendita anziché indennizzi;
    nessuno, però, dubita della necessità di creare sfoghi in un Veneto saturo di aree urbanizzate anche se un recente studio inglese, venuto alla luce dopo le terrificanti esondazioni avvenute nel Regno Unito, ha dimostrato come la soluzione ideale sarebbe quella di rimboschire: nel suolo sotto agli alberi l'acqua penetra in profondità a una velocità 67 volte maggiore rispetto a quella nel suolo sotto l'erba e defluisce lungo i canali creati dalle radici degli alberi; in questo caso il terreno si comporta da spugna, da serbatoio che assorbe l'acqua per poi rilasciarla lentamente. Un fiume può trasportare solo una minima parte dell'acqua che cade nel suo bacino: il grosso deve finire nelle piane alluvionali ed essere assorbito dal suolo. Costruendo invece argini più alti, riducendo la lunghezza dei fiumi attraverso l'eliminazione delle anse e rimuovendo gli alberi morti e ogni altro ostacolo, gli ingegneri involontariamente aumentano la velocità di deflusso, cosicché l'acqua si riversa nei fiumi e nelle città molto più in fretta;
    la regione ha investito 150 milioni di euro per le opere a progetto, e ne dovranno arrivare altri 200 milioni di euro per i bacini rimanenti, ma per l'intera manutenzione dei fiumi e il bacino scolante su Venezia servono in tutto 1 miliardo e 700 milioni;
    il decreto-legge sugli enti territoriali prevede agevolazioni tributarie temporanee previste per la zona franca dei territori dell'Emilia Romagna colpiti dal sisma consistenti nella parziale esenzione dalle imposte sui redditi e dall'Irap, alle condizioni di legge, nonché dall'esenzione degli immobili produttivi dalle imposte municipali. Si prevede inoltre la proroga al 31 dicembre 2016 del termine di scadenza dello stato di emergenza fissato dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 74 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 2014, n. 93, conseguente agli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012 verificatisi nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, e sono disposte misure per la città di Venezia attraverso una modifica all'articolo 4, primo comma, della legge 29 novembre 1984, n. 798, che integra la composizione del comitato, a cui è demandato, ai sensi del terzo comma della medesima disposizione oggetto della novella, l'indirizzo, il coordinamento ed il controllo per l'attuazione degli interventi per la salvaguardia di Venezia;
    per quanto riguarda i territori devastati dall'alluvione in Veneto, non sono state ad oggi disposte misure realmente soddisfacenti e la comunità scientifica italiana ed internazionale ha da tempo messo in stretta correlazione i cambiamenti climatici ad un aumento della frequenza ed intensità di eventi estremi di origine meteorologica o idrologica: ciò viene chiaramente stigmatizzato anche nella Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    è fondamentale anche un accenno all'alluvione verificatasi a Firenze sabato 1o agosto 2015: i firmatari del presente atto di indirizzo si chiedono se il comune sapeva che, nel tardo pomeriggio del 1o agosto, si sarebbe scatenato l'inferno nella zona di Firenze sud (Gignoro, Rovezzano, zona dell'Anconella, Girone) e che l'Italia dei treni si sarebbe spezzata in due per il guasto alla linea elettrica capace di bloccare gli Eurostar. La valutazione dei danni a ventiquattro ore dal nubifragio è stata sconfortante visti i collegamenti da ripristinare e le case da risistemare, e ci si rende conto per l'ennesima volta della fragilità di Firenze nel periodo dei cambiamenti climatici,

impegna il Governo

   ad adottare, anche attraverso ulteriori interventi normativi e opportuni stanziamenti, ogni iniziativa utile a sostegno dei comuni della riviera del Brenta colpiti dal tornado dell'8 luglio 2015, per rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita, della funzionalità dei servizi essenziali, per la riduzione del rischio residuo, per la ricostruzione e per il risarcimento dei danni, stabilendo delle misure che garantiscano parità di trattamento per tutti i comuni facenti parte delle zone colpite da fenomeni naturali che hanno provocato ingenti danni ambientali;
   ad assumere in particolare efficaci iniziative affinché:
    a) le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per il ripristino dai danni subiti non siano conteggiate ai fini del patto di stabilità interno;
    b) vengano sospesi l'invio delle cartelle esattoriali e gli oneri fiscali e contributivi, fino al ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione, predisponendo un piano di rateizzazione per il rientro della propria posizione debitoria nei confronti del fisco;
    c) siano previsti sgravi fiscali per la ricostruzione ed il restauro degli edifici colpiti e dei beni artistico-architettonici;
    d) per gli edifici dichiarati inagibili, per tutto il periodo di inagibilità, sia sospeso il pagamento dei mutui, dei finanziamenti e dei tributi locali, utilizzando a compensazione verso i creditori un fondo di solidarietà appositamente istituito anche con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti;
   a procedere con urgenza alla definizione di criteri oggettivi che, in caso di future calamità naturali sul territorio italiano, garantiscano ai territori colpiti parità di trattamento in proporzione all'entità dei danni subiti;
   a convertire la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, redatta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in un piano vero e proprio, anche con il supporto dell'unità di missione «Italia sicura», individuando una scala di priorità tra gli interventi ivi contenuti, un cronoprogramma di attuazione ed un piano di finanziamenti certi, prevedendo lo stanziamento dei primi fondi già a partire dalla prossima legge di stabilità.
(1-00972)
«Segoni, Turco, Prodani, Rizzetto, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Benedetti n. 7-00754, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 473 del 31 luglio 2015.

   Le Commissioni VIII e XIII,
   premesso che:
    la laguna di Levante di Orbetello in questi giorni è colpita da una grave crisi anossica che ha provocato la moria di tonnellate di pescato. Il 18 luglio già la regione Toscana stava presidiando l'andamento della situazione critica della laguna, dove il caldo aveva determinato un innalzamento delle temperature delle acque e il conseguente rischio di mancanza di ossigeno. La temperatura dell'acqua è arrivata a sfiorare i 32 gradi centigradi con forte stress per la fauna marina;
    per far fronte al problema si sarebbe attivato il Comitato scientifico per monitorare la situazione, mentre il comune di Orbetello avrebbe attivato le pompe che immettono in laguna acqua dal mare ed avrebbe inserito venti ossigenatori per scongiurare conseguenze alla fauna ittica e alle attività turistico/produttive ad essa collegate. Sempre in data 18 luglio il sindaco di Orbetello, Monica Paffetti, ha rassicurato la popolazione con le seguenti parole: «l'amministrazione, insieme al comitato scientifico, sta mettendo in atto ogni mezzo per limitare il danno»;
    il 20 luglio i parametri di ossigeno della laguna sono stati dichiarati in miglioramento, senza nuove morie di orate (pesci sensibili agli sbalzi termici), tuttavia la crisi ancora non poteva considerarsi risolta. Sempre il sindaco di Orbetello dichiarava: «Il pesce, che si concentra nella zona di Ansedonia, è ben ossigenato e non presenta segni di cedimenti di salute»;
    il 22 luglio è stato aperto il canale di Fibbia al flusso delle acque lagunari in uscita; la scelta di questo canale era l'unico modo di evitare una moria di 300 tonnellate di pesci accalcati sotto Ansedonia ed evitava che le carcasse e i prodotti di decomposizione dei pesci morti in prossimità della diga lato Levante, portate in quelle aree dal vento di maestrale, uscissero in mare defluendo dalla Feniglia lato laguna verso la foce di Ansedonia;
   nonostante queste misure parziali, comunque tardive, nella notte tra il 24 e il 25 luglio si è verificato un fenomeno anossico che ha determinato una moria di pesci per 40 tonnellate, fino ad arrivare, negli ultimi tre giorni, alla raccolta di oltre 200 tonnellate di pesce morto;
    le prime segnalazioni del biologo Mauro Lenzi, membro del Comitato tecnico scientifico previsto dall'accordo di programma per il monitoraggio della laguna, sono datate 10 marzo, quando lo stesso aveva evidenziato l'innalzamento termico delle acque lagunari e altri problemi legati al carico organico delle masse vegetali, alla riduzione dell'ossigeno disciolto nella notte. Il comitato scientifico aveva dunque chiesto una manutenzione della laguna che consentisse di essere pronti ad affrontare l'estate;
    quando in estate aumentano le temperature vengono attivate, a cura dell'ente gestore, le idrovore per ossigenare le acque della laguna a beneficio della fauna ittica. La situazione della laguna di Ponente, sulla quale sono stati effettuati anche negli anni scorsi i maggiori interventi per il problema delle alghe, gode al momento di un buono stato di salute: il problema è concentrato esclusivamente a Levante. Sinora tramite il piano di gestione triennale della laguna, che ha consentito di lavorare incessantemente nel bacino di Ponente, in cui giacevano 44.000 tonnellate di alghe concentrate in 400 ettari, si è riusciti a ridurre il carico organico dei sedimenti dal 20 al 7 per cento. Questo ha consentito di scongiurare gli eventuali rischi di anossia dovuti alle alte temperature,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a riconoscere urgentemente adeguati indennizzi alle aziende danneggiate dai fenomeni descritti in premessa, anche attraverso agevolazioni fiscali, ed ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti coinvolti;
   ad assumere iniziative per promuovere, in accordo con la regione Toscana, un adeguamento dei recapiti fognari agli impianti di itticoltura;
   ad assumere iniziative con riferimento allo specchio di Levante, per l'immediata attivazione del nuovo programma istituzionale di intervento;
   a favorire e sostenere la riattivazione del laboratorio di ecologia lagunare di Orbetello al fine di consentire il monitoraggio permanente degli impianti presenti nella laguna e la migliore gestione di questo peculiare ambiente marino;
   ad assumere ogni opportuna iniziativa di competenza per sostenere la filiera ittica e il settore dell'acquacoltura colpiti dagli eventi di cui in premessa;
   ad assumere iniziative per estendere fino al 31 luglio 2015 il periodo ammissibile agli interventi compensativi rifinanziati dal comma 3-bis dell'articolo 5 del decreto legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, al fine di consentire l'immediata ripresa economica e produttiva delle imprese danneggiate dagli eventi descritti in premessa;
   a verificare la possibilità di consentire alle imprese danneggiate di accedere alle garanzie sussidiarie da parte di ISMEA al fine di agevolarne l'accesso al credito necessario alla ricostituzione delle strutture e del potenziale produttivo;
   ad attivare urgentemente gli interventi finalizzati all'aumento del potenziale dei siti di acquacoltura di cui all'articolo 51 del regolamento (UE) N. 508/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativo al fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e in particolare, il miglioramento e lo sviluppo delle strutture di sostegno e delle infrastrutture necessarie per accrescere il potenziale dei siti e ridurre l'impatto ambientale negativo dell'acquacoltura, compresi gli investimenti destinati ad azioni di ricomposizione fondiaria, fornitura di energia e gestione delle acque;
   al fine di scongiurare l'apertura di una procedura di infrazione, ad intervenire con urgenza per risolvere le incompatibilità degli impianti di itticoltura della laguna di Orbetello con quanto disposto dalla normativa unionale ed in particolare: dalla direttiva 2000/60/CE in materia di governo delle acque, dalla direttiva 97/11/CE in materia di valutazione di impatto ambientale; dalla direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche, dalla direttiva 79/409/CEE relativa alla conservazione degli uccelli selvatici, dalla direttiva 2006/11/CE in materia di protezione dell'inquinamento dell'ambiente idrico della Comunità europea e dalla direttiva 2008/56/CE recante norme istitutive di un quadro d'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino.
(7-00754)
«Benedetti, Busto, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Cimbro n. 5-05982, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 455 del 06 luglio 2015.

   CIMBRO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto tecnico «Maggiolini» di Parabiago (Milano), da ormai quattro anni, è divenuto teatro di incresciosi, e francamente sconcertanti, episodi. Il professor Alfonso Cocciolo, collaboratore vicario, con la copertura della dirigente scolastica, Daniela Lazzati, si sarebbe reso da tempo responsabile di una serie di gravissimi atti ai danni del personale docente e ATA della scuola: la lista è lunga, e andrebbe dall'insulto alla minaccia; dall'umiliazione, all'abuso; dall'aggressione verbale, fino a quella fisica;
   riguardo queste ultime, in particolare, il professor Lucio Boncompagni, a seguito di una violenza subita lo scorso settembre in coda a un collegio docenti (la diagnosi ricevuta all'ospedale cittadino parla di «trauma facciale da aggressione»), ha querelato il signor Cocciolo alla stazione dei carabinieri di Parabiago;
   su tutto ciò l'11 aprile 2015 è stato presentato un esposto al direttore generale dell'ufficio scolastico lombardo, Delia Campanelli, nel quale sono elencati e descritti nel dettaglio i casi sopra accennati; sette i firmatari, tra professori e appartenenti all'ATA. Da allora i denuncianti sarebbero stati a turno sottoposti a controlli ritorsivi, sfociati spesso in azioni disciplinari a scopo intimidatorio: in particolare il professor Boncompagni è stato sanzionato con tre giorni di sospensione; il professor Solidoro con la censura. Entrambi sono firmatari dell'esposto;
   il clima e gli eventi menzionati hanno portato molti membri del personale scolastico oltre che vari studenti a chiedere il trasferimento in altri istituti;
   a tutto questo si aggiunge un quadro di scarsa trasparenza e confusione documentale sulle risorse del FIS, destinate ai compensi del personale della scuola: la dirigente scolastica non è solita infatti portare alla contrattazione le economie del Fondo di istituto; analoga sorte tocca ai finanziamenti previsti dalla legge 440; da chiarire risultano altresì alcune modalità nel conferimento delle supplenze; ciò su tre casi in particolare, per i quali i denuncianti hanno richiesto l'intervento delle autorità regionali. Lo stesso signor Cocciolo, poi, collaboratore della dirigente scolastica, è stato nominato responsabile dell'ufficio tecnico, nonostante lo stesso risulti titolare non perdente posto sulla A016, con esonero totale dall'insegnamento per gli aa. ss. 13/14 e 14/15. Da ultimo, risulterebbero recentemente installati nella scuola strumenti di controllo a distanza (telecamere) in spregio del divieto di cui all'articolo 4 dello statuto dei lavoratori, legge n. 300 del 1970 e senza alcun coinvolgimento delle rappresentanze sindacali –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro riguardo al caso esposto. (5-05982)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Duranti n. 4-10071, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 472 del 30 luglio 2015.

   DURANTI, FRATOIANNI, PIRAS, RICCIATTI, SANNICANDRO, DANIELE FARINA, QUARANTA, COSTANTINO e PANNARALE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da notizie stampa, in data 27 luglio 2015, presso lo stabilimento balneare «La Cambusa» di «Torre Chianca», sita a pochi chilometri da Lecce (LE), un ragazzo diciassettenne originario della Nuova Guinea è stato vittima di un furto e, successivamente, di pesanti violenze fisiche che hanno rischiato di provocarne la morte del soggetto;
   le condotte sono state operate da due giovani del luogo, che avrebbero prima sottratto della merce al minorenne e, in seguito alle richieste di restituzione, avrebbero iniziato a malmenarlo violentemente, arrivando sino al punto di tenergli la testa in immersione in acqua per diversi secondi, col rischio di annegarlo;
   i due uomini, Federico Ferri e Mirko Castelluzzo, arrestati per tentato omicidio in seguito alle loro azioni, erano già noti alle forze dell'ordine, in quanto ritenuti vicini alla criminalità organizzata del capoluogo salentino; inoltre, uno dei due che, in particolare, ha avviato il pestaggio in spiaggia del ragazzo, era soggetto ad obbligo di dimora;
   durante l'aggressione nessuno dei bagnanti presenti sulla spiaggia è intervenuto per interrompere il pestaggio e, anzi, all'intervento dei poliziotti nel corso della violenza, molti di loro hanno anche agevolato la fuga dei due aggressori, manifestando apertamente insulti a sfondo razziale;
   quando il diciassettenne è riuscito ad uscire dall'acqua dolorante per i numerosi colpi presi alla testa, al collo, agli zigomi ed alle parti intime, è stato accompagnato in ospedale dove è stato sottoposto alle cure del caso e dimesso con una prognosi di dieci giorni. Successivamente è stato riaccompagnato a casa, dove vive con i propri familiari, tutti lavoratori e con regolare permesso di soggiorno;
   le indagini dei poliziotti hanno anche consentito di identificare e denunciare per offese a sfondo razziale altre tre persone, di cui una anche denunciata per furto, che durante le concitate fasi di intervento delle forze dell'ordine hanno inveito contro il ragazzo, rubandogli cinque paia di occhiali oltre a 40 euro;
   nella notte successiva all'aggressione è stato esploso un ordigno nei pressi del sopra citato stabilimento balneare, e gli inquirenti non escludono che il fatto sia collegato con il pestaggio del minorenne:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa i fatti riferiti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per promuovere campagne di comunicazione finalizzate a evitare inaccettabili comportamenti di violenza e discriminazione a sfondo razziale, come accaduto nel caso di cui in premessa;
   se, per quanto di competenza, non intenda avviare una verifica interna volta ad appurare se vi siano stati da parte delle forze dell'ordine dei mancati controlli che abbiano consentito al soggetto sottoposto ad obbligo di dimora di rendersi protagonista dei fatti di cui in premessa;
   se e di quali elementi disponga in relazione all'identificazione da parte delle forze dell'ordine di bagnanti che, oltre a rendersi responsabili di insulti a sfondo razziale, avrebbero impedito agli agenti di polizia di cogliere in flagranza di reato i due soggetti coinvolti. (4-10071)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Costantino n. 4-10122, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 475 del 4 agosto 2015.

   COSTANTINO, DURANTI, SCOTTO, RICCIATTI, PAGLIA, MELILLA, FERRARA, FRANCO BORDO, KRONBICHLER, ZACCAGNINI, PALAZZOTTO, PLACIDO e PANNARALE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il caporalato pugliese sfrutta ogni anno circa 40 mila donne braccianti che vengono dislocate e trasportate in tutta la regione Puglia verso i campi, per lavorare giorno e notte in qualsiasi condizione climatica per la raccolta di frutta e olive;
   si tratta di un lavoro molto pesante che non viene compensato con retribuzioni adeguate e garanzie sulla salute e sui diritti sindacali;
   la raccolta dell'uva, in particolare, come ci spiega nel suo articolo di Repubblica Antonello Cassano, pubblicato il 3 agosto 2015, è un lavoro sfiancante: «le donne diradano gli acini per fare più belli i grappoli di uva da tavola, scartando i chicchi piccoli che impediscono agli altri di crescere. Un lavoro duro a cui non corrisponde una paga adeguata, visto che l'acinellatura è tra i lavori pagati meno in agricoltura: 27-30 euro a giornata, nonostante i contratti provinciali stabiliscano un salario di 52 euro»;
   sempre nell'articolo sopra citato, la CGIL denuncia la morte di una bracciante, Paola, quarantanovenne di San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto. La morte è avvenuta il 13 luglio 2015 ad Andria, per un malore, senza che siano stati disposti accertamenti sul suo corpo;
   Paola lavorava sui campi da 15 anni, con turni massacranti dall'alba al tramonto, affrontando un viaggio di 5 ore tra l'andata e il ritorno;
   Giuseppe Deleonardis, segretario pugliese della FLAI CGIL denuncia inoltre le numerose incongruenze rispetto al nulla osta da dato dal pubblico Ministero: «L'hanno sepolta senza autopsia e con il nulla osta del magistrato di turno. Il pm – sostiene Deleonardis – non si è recato sul posto perché, riferisce la polizia di Andria, il parere del medico legale è che si sia trattato di una morte naturale, forse un malore per il caldo eccessivo. Una morte che precede quella di Mohamed, ma intorno a questa storia non ci sono fiaccolate, proteste o cortei»;
   appena una settimana prima era infatti morto un migrante, anch'egli bracciante agricolo in Puglia, Mohamed, quarantasettenne sudanese ucciso da un malore a causa del caldo torrido nei campi di pomodori a Nardò;
   le compagne di lavoro affermano che Paola lamentava di stare male da giorni;
   il fascicolo della morte della bracciante è stato archiviato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano avviare per potenziare i controlli nel comparto agricolo per impedire lo sfruttamento e garantire dignitose condizioni lavorative. (4-10122)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Antimo Cesaro n. 3-01443 del 15 aprile 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Arlotti n. 5-06200 del 29 luglio 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Ricciatti n. 5-06201 del 29 luglio 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Prodani n. 5-06202 del 29 luglio 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Allasia n. 5-06242 del 4 agosto 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Cinzia Maria Fontana e altri n. 5-02373 del 14 marzo 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10175;
   interrogazione a risposta in Commissione Lenzi e Cinzia Maria Fontana n. 5-02396 del 19 marzo 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10176;
   interrogazione a risposta scritta Di Lello n. 4-08831 del 17 aprile 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01672;
   interrogazione a risposta orale Martella e altri n. 3-01503 del 19 maggio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10177.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Paolo Bernini n. 4-09386 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 437 dell'8 giugno 2015.
  Alla pagina 25784, alla riga trentunesima deve leggersi: «mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. – Per sapere» e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ARLOTTI e PETITTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 27 novembre al 2 dicembre 2010 nella regione Emilia-Romagna è stato realizzato il passaggio della trasmissione dei canali televisivi dal segnale analogico a quello digitale terrestre. Per sostenere questo complicato passaggio lo Stato ha investito oltre 220 milioni di euro a cui si aggiungono risorse destinate dalle singole regioni. A tutt'oggi continuano ad essere numerose e diffuse le proteste di tanti cittadini che lamentano disservizi e una cattiva ricezione dei segnali televisivi, segnalando al numero verde messo a disposizione del Ministero dello sviluppo economico la difficile ricezione del segnale anche da zone in cui il passaggio al digitale è avvenuto da anni. In particolare, tuttora si segnalano in provincia di Rimini disfunzioni di diversa natura, spesso legate a specifiche condizioni meteorologiche. In alcune zone del territorio ulteriori segnali arrivano e interferiscono anche da altre regioni, come nel caso delle interferenze provocate dal ripetitore di Udine in Friuli Venezia Giulia, mentre recentemente sono stati segnalati un problema di abbassamento di potenza del ripetitore localizzato a San Marino e problemi al ripetitore di Monte Nerone;
   come conseguenza, si verificano la mancata ricezione di alcune emittenti e la perdita di segnale. Questo comporta la scomparsa periodica della ricezione dei canali televisivi RAI, che saltano temporaneamente e in alcuni casi definitivamente, accompagnati dalla scritta no signal e dalla richiesta di ripetere la sintonizzazione;
   questa situazione determina un grave disagio per i cittadini che non possono usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo, restando comunque tenuti a pagare il canone RAI, ed in particolare per la popolazione anziana che fa dell'uso della televisione anche per motivi di svago ed evasione. Queste disfunzioni non aiutano certamente nella diffusione omogenea della nuova tecnologia, la quale ha tra i suoi obiettivi l'abbattimento del cosiddetto «divario digitale», e le istituzioni locali (provincia di Rimini e regione Emilia-Romagna) hanno già più volte segnalato il problema. Ulteriori disagi si temono da giugno, quando su alcune frequenze del digitale cominceranno a passare anche i segnali dei telefoni cellulari –:
   se sia a conoscenza della situazione che si è determinata in provincia di Rimini e quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere al fine di assicurare il più rapido ripristino delle opportune condizioni qualitative del segnale televisivo in tecnica digitale su tutto il territorio, affinché il servizio pubblico venga garantito;
   se sia prevista la conclusione del passaggio alla nuova tecnologia sul territorio nazionale, una ricognizione sui vari territori regionali;
   di quali elementi disponga in merito ad eventuali pronunce dell'autorità competente sulle anomalie indicate e all'indicazione di interventi riparatori a tutela degli utenti. (4-00443)

  Risposta. — Le lamentate difficoltà di ricezione si riferiscono a pregresse situazioni interferenziali sul canale 24 UHF tra impianti di diffusione del Friuli Venezia Giulia e dell'Emilia Romana. Tali interferenze si sono rese maggiormente evidenti nel periodo estivo, a causa di particolari condizioni di propagazione elettromagnetica.
  Già dal 4 luglio del 2013, è stato possibile ovviare all'inconveniente attraverso l'abbassamento della potenza di trasmissione e la modifica dei sistemi radianti posti sull'impianto trasmittente di Udine, con sensibile attenuazione dell'incidenza sull'area riminese interessata.
  A seguito delle modifiche impiantistiche citate e delle verifiche strumentali di ricevibilità sul territorio, i tecnici Rai Way hanno anche prestato assistenza tecnica ad alcuni utenti che continuavano a segnalare la cattiva ricezione dei segnali Rai. Tutti gli interventi hanno, comunque, evidenziato che la causa del «disservizio» lamentato risiedeva nell'utilizzo di un cattivo impianto di ricezione (ad esempio errato puntamento delle antenne, distribuzione dei segnali nell'abitazione fatta con cavi ormai obsoleti).
  Attualmente la problematica evidenziata risulta essere superata. Da controlli effettuati sia dal competente Ispettorato Emilia Romagna del Ministero dello sviluppo economico che dagli stessi tecnici Rai Way risulta che la ricezione delle trasmissioni del servizio pubblico radiotelevisivo nell'area di Rimini zona è buona.
  Infine, la Rai ha precisato che, al fine di rendere la ricezione dei MUX Rai ottimale, è necessario che la popolazione residente nella zona della costa riminese orienti correttamente le proprie antenne verso le sorgenti costituite dagli impianti di Morciano di Romagna (San Marino), Riccione e Bertinoro.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio Terra d'accoglienza, attualmente presieduto dal sindaco di Mineo, è l'ente che soprintende alla gestione del Cara di Mineo, il centro di accoglienza più grande d'Europa;
   la gara di appalto da 97 milioni di euro per i servizi al Cara di Mineo vede arrivare, nel luglio 2014, una sola offerta «valida» con un ribasso di appena l'uno per cento;
   ad aggiudicarsi la gara è stato pertanto il Consorzio Casa della solidarietà dietro il quale vi sono gli stessi soggetti che hanno gestito i servizi al Cara di Mineo nell'ultimo triennio a partire dal 2011;
   tra i tre componenti facenti parte la commissione aggiudicatrice dell'appalto compare Luca Odevaine arrestato con l'accusa di corruzione aggravata nell'ambito dell'inchiesta «Mafia Capitale»;
   Luca Odevaine è stato, fino a ieri, consulente e dipendente del Consorzio gestore del centro di accoglienza dei richiedenti asilo a Mineo in qualità di esperto del settore nominato dall'allora presidente della provincia di Catania ed attuale sottosegretario alle politiche agricole alimentari e forestali, Giuseppe Castiglione, riferimento politico in Sicilia dello stesso Ministro interrogato e confermato dal sindaco di Mineo;
   da notizie di stampa sembrerebbe, inoltre, che a Vizzini (Catania) lo stesso Consorzio Terra d'accoglienza abbia l'intenzione di utilizzare il dismesso deposito dell'Aeronautica militare, attualmente non bonificato, come futuro centro SPRAR od addirittura, sempre da fonti giornalistiche, come un nuovo CARA, che dovrebbe compensare quello di Mineo;
   la paventata realizzazione del centro di cui sopra avrebbe conferma dalla costituzione, nei giorni scorsi, di un coordinamento dei consiglieri comunali del Calatino sulle politiche d'accoglienza, con lo scopo di monitorare le modalità di accoglienza dei migranti, richiedenti asilo e minori e di tutto ciò che riguarda il CARA di Mineo e i centri SPRAR sparsi ormai per tutto il territorio del Calatino –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per far luce sulle modalità di gestione del Cara di Mineo visto il coinvolgimento di Luca Odevaine nell'inchiesta che ha portato alla luce un intreccio di interessi tra mafie, politica e affari;
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di pone in essere al fine di verificare la regolarità delle modalità di assegnazione della gara per i servizi al Cara di Mineo;
   se risulti corrispondente al vero la notizia della realizzazione di un nuovo Cara a Vizzini presso la non bonificata area militare citata. (4-07194)

  Risposta. — Con la interrogazione in esame, l'interrogante chiede chiarimenti in merito sia alla gestione del CARA di Mineo sia alla notizia relativa alla realizzazione di un nuovo centro di accoglienza per richiedenti asilo a Vizzini presso il dismesso deposito dell'aeronautica militare.
  Quanto al centro di Mineo, si ritiene necessario precisare preliminarmente che la questione concernente questo specifico centro riguarda solo indirettamente il Ministero dell'interno.
  La vicenda, infatti, nasce nel 2011, allorquando fu dichiarato lo stato di emergenza migratoria, e, in questa prima fase, il soggetto attuatore per la gestione del CARA venne individuato nel presidente della provincia di Catania.
  Solo dopo la chiusura dell'emergenza del Nord-Africa, la prefettura di Catania fu autorizzata, sulla base di un'ordinanza di protezione civile del 28 dicembre 2012, a stipulare una convenzione con un consorzio dei comuni del Calatino per garantire la continuità dell'accoglienza.
  Dunque, è stato lo stesso consorzio, in qualità di stazione appaltante, a svolgere la gara per la individuazione del soggetto gestore. È evidente che il Ministero dell'interno né durante l'emergenza migratoria né successivamente, ha mai avuto un ruolo nella gestione degli appalti relativi alla struttura in questione.
  Inoltre, l'articolo 5 della convenzione sottoscritta tra il prefetto di Catania e il consorzio esclude qualunque responsabilità della prefettura catanese anche nei confronti di terzi.
  Sulla questione, vi è stato, nello scorso mese di febbraio, l'intervento dell'autorità nazionale anticorruzione che, con riguardo alle procedure concorsuali gestite dal consorzio catanese, ha rilevato profili di illegittimità e chiesto chiarimenti al consorzio stesso.
  Il 27 maggio 2015, il presidente Cantone ha informato il Ministero dell'interno della risposta fornita dal consorzio e, il successivo 19 giugno, ha formulato al prefetto di Catania la proposta di adottare la misura della straordinaria e momentanea gestione prevista dall'articolo 32, comma 1, lettera
b), del decreto-legge n. 90 del 2014, nei confronti del consorzio di cooperative sociali «Casa della solidarietà» e dell'impresa La Cascina Global Service s.r.l.
  Il 23 giugno, il prefetto di Catania ha decretato tale misura, con contestuale sospensione dell'esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari delle predette imprese, limitatamente all'appalto relativo all'affidamento dei servizi e delle forniture per la «gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo (C.A.R.A.) sito nel comune di Mineo». Contestualmente ha nominato amministratore la dottoressa Maria Nicotra, avvocato dello Stato in quiescenza, fino alla completa esecuzione del contratto di appalto in argomento.
  Si informa, infine, che l'assemblea del consorzio calatino, lo scorso 9 giugno, ha deliberato lo scioglimento dell'ente. Dal 1o gennaio 2016 esso cesserà di esistere e quindi anche di occuparsi della gestione del CARA.
  La decisione, adottata all'unanimità, è stata trasmessa ai comuni consorziati per la prosecuzione dell’
iter dissolutorio. Ne seguirà, quindi, una fase nuova che sarà in ogni caso segnata dall'attività della gestione commissariale.
  Per quanto concerne, invece, la posizione di Luca Odevaine, risulta che egli abbia svolto funzioni di consulenza del presidente del consorzio calatino, prima di essere individuato come responsabile dell'ufficio dello stesso ente preposto alla progettazione e rendicontazione degli interventi finanziati con fondi comunitari, in base a un contratto di collaborazione temporanea. Tuttavia, il consorzio ha provveduto a interrompere il rapporto contrattuale con il signor Odevaine in seguito al suo arresto.
  Per quanto riguarda, infine, il deposito dell'Aeronautica militare di Vizzini, si precisa che tale struttura era utilizzata come polveriera e deposito munizioni fino al settembre 2013. Al momento vi prestano servizio solo alcuni militari impiegati nell'attività di vigilanza alla struttura.
  Il sito ad oggi risulta ancora interdetto al pubblico in quanto zona militare.
  Si precisa che da notizie acquisite dalla prefettura di Catania non risulta che il consorzio calatino intenda attivare le procedure per il cambio di destinazione d'uso, trasformando così il deposito in un centro SPRAR o in un CARA.
  Con decreto del direttore centrale del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del 9 marzo 2015 è stato approvato il progetto
HOPE redatto dal predetto consorzio che prevede, tramite l'accesso al Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell'asilo, l'utilizzo dell'ex deposito sopra citato come centro di formazione per i dipendenti dei comuni del consorzio, per insegnanti delle scuole pubbliche, disoccupati e immigrati con permesso di soggiorno.
  L'ammissione al finanziamento del progetto in questione è connessa a specifiche modalità, tra le quali una serie di obblighi di comunicazione periodica da parte del soggetto beneficiario attuatore alla prefettura di Catania, cui è affidata l'attività di sorveglianza sull'attuazione del progetto stesso ed il monitoraggio continuo sullo stato di avanzamento delle fasi progettuali.
  Ciò riferito in ordine agli specifici quesiti contenuti nell'interrogazione, si rappresenta, su un piano più generale, che è interesse precipuo del Ministero dell'interno che un settore fondamentale della sua attività, quale è l'accoglienza dei migranti, rimanga immune dalla corruzione e venga gestito sempre nel pieno rispetto della legalità.
  Di tale ferma determinazione, del resto, è testimonianza il nuovo regolamento che disciplina la gestione dei CARA, adottato a gennaio di quest'anno, in cui si ribadisce che la scelta del soggetto gestore, da parte delle prefetture, deve avvenire secondo i principi che presiedono le procedure di affidamento previste dal codice dei contratti pubblici.
  Il Ministero dell'interno continuerà a vigilare con la più rigorosa attenzione, nella consapevolezza che anche le più piccole irregolarità che dovessero emergere verranno colpite.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   ATTAGUILE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   un imprenditore edile italiano, Roberto Berardi, originario di Latina, 49enne, accusato di truffa ed appropriazione indebita, è stato condannato ad una pena di due anni e quattro mesi, da scontare nelle carceri della Guinea Equatoriale;
   la difesa del Berardi, costruttore con all'attivo la realizzazione di importanti infrastrutture in Africa, sostiene che la condanna è maturata nel contesto della risposta politico-giudiziaria ad uno scandalo finanziario che aveva coinvolto il figlio del Presidente della Guinea Equatoriale, partner d'affari del nostro sfortunato connazionale;
   il regime e le condizioni della detenzione in Guinea Equatoriale non sono assolutamente paragonabili a quelle applicate nel nostro Paese, circostanza che sta nuocendo gravemente alla salute del Berardi, dimagrito di circa 30 chilogrammi, affetto ormai da numerose patologie, ristretto in una cella di due metri per tre e spesso oggetto di umiliazioni pesanti ad opera dei suoi carcerieri, che lo avrebbero frustato innumerevoli volte;
   del caso si è interessato anche l'ex Vicepresidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, al quale il Presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo aveva assicurato nel marzo dello scorso anno tempi brevi per la liberazione;
   nel 2014, risultava in effetti già avviata, con buone prospettive di una conclusione in tempi brevi, una trattativa tra il Governo italiano e quello della Guinea Equatoriale, anche se i legali del Berardi non risultavano averne avuta notizia dalle autorità del nostro Paese;
   la liberazione del Berardi, ciò malgrado, è stata annunciata soltanto per il 19 maggio 2015, data che oltretutto è stata presto sostituita con una più lontana nel tempo, il prossimo 7 luglio;
   penderebbe per la liberazione del Berardi una richiesta risarcitoria di 1,5 milioni di dollari da parte del socio di Berardi, figlio del dittatore Obiang e che proprio la corresponsione di questa cifra sarebbe il problema –:
   che iniziative abbia messo in campo il Governo italiano per ottenere la liberazione di Roberto Berardi;
   se risponda al vero il fatto che la richiesta di una somma di 1,5 milioni di dollari sia l'ostacolo che allo stato si frappone alla concessione della libertà a Roberto Berardi;
   di quali informazioni il Governo disponga a proposito della volontà della Guinea Equatoriale di rilasciare effettivamente il Berardi. (4-09371)

  Risposta. — La vicenda del signor Roberto Berardi continua ad essere seguita con estrema attenzione dalla Farnesina. Numerose sono state le iniziative poste in essere a tutela dei diritti del nostro connazionale.
  L'azione di sensibilizzazione condotta nei confronti delle autorità equato-guineane è portata avanti con forza, tanto in ambito bilaterale quanto in ambito europeo, affinché siano assicurate al connazionale le migliori condizioni detentive possibili e con l'obiettivo di una positiva soluzione della vicenda che lo riguarda.
  Di recente, sul piano bilaterale, il caso è stato nuovamente portato all'attenzione del Ministero degli affari esteri di Malabo per ribadire le preoccupazioni italiane circa la situazione detentiva di Berardi e sollecitarne al tempo stesso la liberazione. Il nostro ambasciatore a Yaoundé – che tramite il corrispondente consolare italiano in Guinea Equatoriale, Massimo Spano, segue anche l'attività di assistenza consolare a favore del connazionale – ha inoltre sensibilizzato i principali esponenti della comunità internazionale in quel Paese e in particolare le ambasciate di Stati Uniti, Francia e Spagna. Sul piano europeo, la vicenda è stata nuovamente oggetto di contatti fra la nostra rappresentanza permanente presso l'Unione europea ed il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE), che ha parimenti sollevato il caso nel corso della propria attività di interlocuzione con la Guinea Equatoriale.
  Si ricorda che il signor Berardi è stato condannato a scontare due anni e 4 mesi di reclusione e all'obbligo di restituzione della somma di 1,5 milioni di euro. Il 19 maggio 2015 l'autorità giudiziaria locale ha reso noto che Berardi potrà essere liberato il 7 luglio 2015, non ritenendo di poter contare il periodo di carcerazione preventiva scontato dallo stesso nel 2013.
  La Farnesina, anche per il tramite dell'ambasciata a Yaoundé e il corrispondente consolare a Bata, continuerà a porre in essere ogni iniziativa utile ed opportuna, nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali, a tutela del signor Berardi.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   CATANOSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come ogni anno, il 21/22 giugno nella città di Yulin in Cina, 5 milioni e mezzo di abitanti, si celebra una celebre e macabra festa a base di carne di cane;
   secondo una parte minoritaria della cultura asiatica, mangiare carne di cane nel giorno del solstizio d'estate, porterebbe fortuna e salute;
   questo festival sta scatenando diverse reazioni sui social network e petizioni on line che chiedono lo stop immediato della mattanza che uccide circa 10 mila cani ogni anno, secondo le stime delle associazioni animaliste;
   in Cina il commercio della carne di cane è ancora legale ma secondo determinati canoni tra cui l'indicazione della provenienza da un allevamento certificato;
   l'anno scorso, l'agenzia di stampa statale Xinhua ha parlato di un evento «popolare locale, senza l'approvazione ufficiale»;
   come si può leggere in un articolo del quotidiano on line Giornalettismo, a causa dell'illegalità dell'evento, la macellazione dei poveri animali avviene in modo del tutto illegale. «Ora dobbiamo farlo come se fossimo dei ladri», ha raccontato il proprietario di un ristorante locale, secondo quanto riporta l’Associated Press. Le associazioni animaliste parlano di animali catturati con reti, drogati, avvelenati e poi rinchiusi in gabbie minuscole fino a che non vengono uccisi o venduti per la loro carne;
   inoltre, a causa della macellazione clandestina di animali randagi catturati con i più disparati metodi, financo i più inutilmente crudeli, la città di Yulin è una delle metropoli cinesi con la più alta concentrazione di «rabbia» tra i propri abitanti. Forse, a giudizio dell'odierno interrogante, la vendetta postuma di questi poveri esseri costretti a morire tra i più atroci tormenti;
   in uno Stato civile e degno di definirsi tale nel consesso delle altre Nazioni, un simile evento dovrebbe essere intollerabile ed abolito e combattuto con ogni mezzo lecito;
   secondo quanto sostiene Mary Peng della Clinica veterinaria internazionale di Pechino, «mangiare carne di cane è un'abitudine alimentare che si riscontra in alcune parti della Cina e in altri Paesi asiatici come il Vietnam e la Corea ma il progresso sociale farà in modo che scompaia, perché mangiare cani non si addice a una civiltà moderna»;
   questa abitudine alimentare, infatti, è già stata proibita a Taiwan, nelle Filippine, a Singapore e a Hong Kong, ma non basta e gli animali non possono certamente aspettare che cambino le abitudini alimentari di milioni di cinesi o «estremo-orientali»;
   a giudizio dell'interrogante, il Ministro interrogato ed il nostro Governo dovrebbero farsi carico di assumere le dovute e necessarie iniziative a tutti i livelli diplomatici possibili e praticabili affinché il Governo cinese adotti quei provvedimenti idonei ad interrompere questo incivile festival –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per affrontare le problematiche esposte in premessa. (4-09557)

  Risposta. — La festa del solstizio di estate nella città di Yulin (provincia autonoma del Guangxi Zhuang) è un evento popolare appartenente alla tradizione locale, durante il quale la sua popolazione è dedita al consumo di carne di cane. La Repubblica popolare cinese non vieta il consumo di carne di cane. Tuttavia, come per tutte le altre carni, questo è rimesso all'osservanza di norme igienico-sanitarie e di tracciabilità. Ciò nondimeno, il consumo di carne di cane appartiene alla cultura ed alle abitudini alimentari di minoranze della popolazione cinese, stanziate generalmente in contesti rurali delle aree del sud e del nord-est (non trattandosi, pertanto, di una prassi ampiamente diffusa in Cina).
  Vivi sentimenti di riprovazione, comparsi su molteplici fonti informative cinesi, sono stati mossi da ampia parte dell'opinione pubblica per il festival di Yulin. Le stesse autorità della città, come apparso sulla stampa locale e come riportato dall'interrogante, hanno preso le distanze dalla manifestazione sottolineando come la stessa sia stata «un evento popolare locale, senza approvazione ufficiale».
  Un'ulteriore riprova di quanto il consumo di carne di cane risulti largamente minoritario, può essere rinvenuta nelle analoghe proteste apparse nell'ottobre 2011 su diversi
social media avverso il festival di Jinhua (provincia dello Zhejiang), che portarono le locali autorità alla cancellazione di quella manifestazione.
  La delegazione dell'Unione europea a Pechino, così come i nostri principali
partner europei e gli Stati Uniti, non hanno fino ad oggi intrapreso iniziative diplomatiche bilaterali aventi a riferimento il festival di Yulin. Tuttavia, in precedenti occasioni, l'Italia, convinta della maggiore efficacia delle azioni promosse dall'insieme degli Stati membri dell'Unione europea, ha sostenuto – e continuerà a sostenere in futuro – l'azione della delegazione dell'Unione europea in Cina, volta a sollevare con le controparti cinesi la più generale questione relativa al trattamento degli animali, incoraggiando il miglioramento della normativa cinese vigente in materia, in chiave maggiormente garantista della vita e della salute animale.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   CECCONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si è proceduto alla razionalizzazione degli spazi finalizzata, alla contrazione delle spese di locazione passiva. In quest'ottica, il distaccamento della polizia stradale di Fano è stato trasferito ed accorpato alla sede del commissariato di polizia di Fano in data 11 novembre 2011. La suddetta operazione non ha comportato oneri per lo Stato che, al contrario, ha goduto di un risparmio di spesa pari a 35.119 euro annui, corrispondenti ai canoni locativi dei locali privati precedentemente utilizzati. Nonostante ciò, recentemente è stato prospettato un ulteriore accorpamento della polizia stradale di Fano alla sottosezione autostradale di Fano;
   tale accorpamento non porterebbe alcun vantaggio economico in capo allo Stato pur comportando un notevole detrimento per la tutela della sicurezza territoriale;
   Fano è, infatti, la terza città in ordine di popolazione delle Marche, conta circa 60.000 abitanti ed è uno snodo nevralgico fondamentale per 3 regioni;
   allo stato attuale il solo distaccamento di Fano garantisce circa 50 pattuglie di vigilanza stradale al mese, sulla rete viaria provinciale, urbana e sulla strada di grande comunicazione Fano – Grosseto;
   qualora si realizzasse il prospettato accorpamento e la polizia stradale si trovasse costretta all'utilizzo delle vetture a disposizione della sottosezione autostradale, urge evidenziare come le stesse siano nella disponibilità della Società autostrade per mezzo di contratto di leasing e che quindi esse siano utilizzabili, come disposto dalla convenzione stipulata fra Ministero e società Autostrade/Aiscat, in via esclusiva sulle tratte autostradali;
   ciò escluderebbe dalla vigilanza della polizia stradale tutta la rete viaria sopra descritta, con notevole detrimento della sicurezza stradale della cittadinanza;
   la casermetta che ospita la sottosezione polizia autostradale di Fano è, inoltre, di proprietà della Società Autostrade per l'Italia e si trova lontano dal centro abitato ed in una zona non servita dai mezzi pubblici, perciò di difficile raggiungimento da parte dell'utenza;
   la suddetta struttura è stata dichiarata sede disagiata e, in conseguenza di ciò, al personale in servizio è stata garantita la fruizione dei pasti presso una struttura privata convenzionata;
   sulla questione si è espresso anche il prefetto di Pesaro e Urbino, a seguito di incontro con il questore, evidenziando, con nota inviata direttamente al Ministero dell'interno, come il preannunciato accorpamento non sia foriero di garantire un ulteriore risparmio alle finanze pubbliche, ma ponga, bensì, notevoli problematiche circa la questione della fruizione dei pasti, stimabili in circa 90.000 euro annui;
   se non sia il caso di riconsiderare l'accorpamento della polizia stradale di Fano alla sottosezione autostradale di Fano, in quanto a giudizio dell'interrogante privo di utilità pratica e potenzialmente foriero di disservizi alla cittadinanza e di un aumento di spesa immotivato. (4-07304)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa all'ipotesi di accorpamento del distaccamento di polizia stradale di Fano con la sottosezione autostradale dello stesso comune, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio nazionale, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'Arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come appare sul sito della Camera di commercio ItalAfrica htpp://www.italafricacentrale.com «l'ingegnere Cestari rappresenta in via esclusiva il Burundi, Paese dalle grandi potenzialità ed alla ricerca di stabili dinamiche di cooperazione per lo sviluppo, in tutte le fasi organizzative e propedeutiche alla presenza del Burundi all'interno dell'importante manifestazione» Expo 2015;
   sarebbe, però, corretto dire che l'ingegner Alfredo Cestari «rappresentava» in via esclusiva il Burundi quale commissario generale per Expo 2015, posto che a soli 30 giorni dall'inizio della manifestazione veniva raggiunto da un grave e immotivato provvedimento di revoca dell'incarico;
   in particolare, l'ingegner Cestari, presidente della camera di commercio italo-estera, già nel febbraio 2008 riceveva dall'allora sindaco di Milano, Letizia Moratti, l'importante incarico di promuovere la candidatura di Milano nei Paesi di competenza di ItalAfrica centrale;
   il delicato lavoro di promozione svolto dall'ingegner Cestari, che lo portava a visitare ben sette Stati africani in pochissimi giorni, contribuiva a determinare l'aggiudicazione dell'esposizione universale all'Italia sulla Turchia, come deciso dal Bureau des Expositions a Parigi lo scorso 31 marzo 2008;
   nonostante la costante e documentata attività svolta a favore del nostro Paese e dei congolesi in Italia, nonostante fosse stata trasmessa una nota verbale favorevole da parte dell'Ambasciata del Congo a Roma, nonostante non avesse riportato nessuna condanna penale in Italia o all'estero, già nei mesi successivi la votazione a Parigi, però, veniva comunicato il mancato rinnovo della nomina dell'ingegner Cestari a console onorario della Repubblica Democratica del Congo e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale negava l’exequatur senza dare alcuna motivazione;
   lo scorso ottobre 2013 il Governo della Repubblica del Burundi lo nominava commissario generale del Paese per l'Expo 2015 al fine di consentire una proficua e strutturata partecipazione del Burundi all'evento e rafforzarne l'immagine nei confronti degli interlocutori internazionali;
   nonostante il BIE (Bureau international des expositions) non avesse eccepito nulla alla nomina, il general manager divisione partecipanti di Expo 2015, Stefano Gatti, avrebbe manifestato di non gradire tale nomina;
   né in Burundi né in Ruanda esiste una rappresentanza diplomatica italiana e, pertanto, la camera di commercio ItalAfrica Centrale rappresenta, per quegli Stati, l'unico punto di riferimento per gli imprenditori italiani e africani che intendano investire in progetti di cooperazione economica;
   molti altri Governi dell'Africa sub-sahariana avevano già affidato all'ingegner Cestari degli incarichi per l'ideazione, la realizzazione e la messa in opera di attività propedeutiche alla partecipazione del Paese all'EXPO e per il coordinamento delle azioni e delle delegazioni durante i mesi di esposizione e numerosi altri Paesi, come Liberia, Kenya, Costa d'Avorio e Somalia avevano richiesto la sua assistenza;
   la camera di commercio ItalAfrica Centrale ha svolto, altresì, in maniera autonoma e gratuita, attività volte a promuovere l'Expo di Milano con le delegazioni diplomatiche e con le aziende italiane ed africane, organizzati dal 2008 al 2015;
   tali attività sono state svolte nell'interesse delle imprese italiane, delle istituzioni pubbliche e dei Governi d'Africa affinché l'Expo di Milano potesse rappresentare per essi e per i Paesi un'occasione di sviluppo economico bilaterale;
   per l'accoglienza delle delegazioni africane e la buona riuscita dei tavoli tematici, ItalAfrica Centrale, in questi mesi, come si può ben immaginare, ha sostenuto un cospicuo investimento per la formazione di oltre 60 professionisti e l'attività di promozione e sensibilizzazione svolta in questi anni consentirà la partecipazione di almeno 500.000 operatori specializzati sia italiani che africani;
   nonostante ciò, a soli 30 giorni di distanza dall'apertura dell'Expo, in data 31 marzo 2015 il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale burundese ha comunicato al proprio ambasciatore in Italia la sostituzione del commissario con il suo vice;
   tale decisione è maturata in accoglimento di una precisa richiesta del Ministero degli affari esteri italiano, così come emerge dalla comunicazione dell'omologo Ministero del Burundi dello scorso 31 marzo;
   la revoca della nomina di commissario generale ha determinato la perdita immediata di almeno 60 posti di lavoro diretti e quella preventivata di circa 100 ulteriori durante i sei mesi di Expo;
   per il lavoro svolto dal 2008 a favore del coinvolgimento dell'Africa in Expo, molti Paesi hanno affidato alla camera di commercio ItalAfrica Centrale l'organizzazione e lo sviluppo delle proprie attività ed è ragionevole presumere che, in assenza dell'impegno di ItalAfrica, non potrà essere garantita la necessaria presenza strutturata nei padiglioni;
   Burundi, Madagascar e RD Congo, solo per citarne alcuni, sono Paesi che, venendo a mancare il sostegno ed il lavoro preparatorio di ItalAfrica, non potranno garantire una importante ed adeguata partecipazione all'esposizione universale;
   alla base di tale inaspettata richiesta di sostituzione non sembrerebbero sussistere motivazioni formalmente e sostanzialmente valide e nemmeno nei regolamenti Bureau international des expositions non ci sarebbe legittimazione alcuna –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano le motivazioni alla base di quella che all'interrogante appare un'anomala e irrituale azione di «pressione» del Ministero degli affari esteri italiano che ha portato alla revoca dell'ingegner Alfredo Cestari a commissario generale a pochi giorni dall'inizio dell'Expo 2015, con prevedibili gravi ricadute economiche e di immagine, anche a danno dell'Italia. (4-09032)

  Risposta. — Nel novembre del 2013 il governo del Burundi ha comunicato la nomina a commissario generale di sezione dell'ingegner Cestari, presidente della camera di commercio ItalAfrica centrale.
  Un mese prima l'ingegner Cestari, già console onorario della Repubblica Democratica del Congo, aveva sottoscritto una procura del commissario generale del Governo di Kinshasa che lo delegava a rappresentare quel Paese in tutte le fasi della programmazione, della definizione dei contenuti e della partecipazione all'esposizione universale di Milano, ivi compresa la riscossione di qualsiasi tipo di contributo e finanziamento che la società Expo 2015 avrebbe erogato per la partecipazione del Paese.
  Secondo quanto segnalato dalla società Expo 2015, l'ingegner Cestari risultava l'unico commissario generale per l'esposizione universale di Milano di cittadinanza italiana nominato da un partecipante straniero (in proposito, l'agenzia delle entrate ha espresso alla società Expo riserve e perplessità sul fatto di poter estendere a un cittadino italiano privilegi ed esenzioni previste dalla normativa italiana per i commissari generali di Expo). Inoltre, la società segnala che i rapporti di conflittualità col dottor Cestari vanno ricondotti non solo agli aspetti connessi all'organizzazione della partecipazione del Burundi ad Expo, ma anche al suo tentativo di accreditarsi come interlocutore della società organizzatrice per la partecipazione di diversi altri Paesi africani; tale interlocuzione è stata respinta dalla società, alla luce del fatto che quei Paesi avevano regolarmente nominato i propri commissari generali, che sono gli unici interlocutori previsti dal «Bureau International des Exposition».
  I Paesi in questione, hanno successivamente ed autonomamente proceduto a rescindere i contratti di collaborazione che avevano a suo tempo sottoscritto col dottor Cestari.
  In questo quadro, lo scorso marzo l'ambasciata del Burundi a Roma ha comunicato al commissario unico Sala, informandone anche questo Ministero, la revoca dell'incarico all'ingegner Cestari. Quest'ultimo, a seguito di tale decisione, ha avanzato richiesta alle autorità burundesi di un rimborso spese e risarcimento danni.
  Per quanto riguarda il mancato rinnovo della nomina dell'ingegner Cestari a console onorario della Repubblica Democratica del Congo, si fa presente che nel 2008, rinnovati i controlli previsti dalla normativa e non sussistendo più i requisiti, il cerimoniale diplomatico ha comunicato all'ambasciata della Repubblica Democratica del Congo di non poter concedere il rinnovo dell’
exequatur a favore del signor Cestari, dichiarando pertanto cessate le funzioni dell'ex console onorario.
  Si ricorda infine che, ai sensi della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963, lo Stato che rifiuta di rilasciare un
exequatur «non è tenuto a comunicare allo Stato di invio i motivi di tale rifiuto».
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una società Beni culturali spa, a capitale quasi totalmente privato, la riforma annunciata dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e portata avanti dal Ministero dell'economia e delle finanze. Un maxibando di gara del valore di mezzo miliardo di euro per appaltare ai privati i «servizi di gestione integrata e valorizzazione dei luoghi di cultura». È la prima volta in assoluto che si fa ricorso a una procedura di questo tipo. Il bando, a quanto si apprende, verrà materialmente lanciato a ottobre 2014 dalla Consip, la società del Ministero dell'economia e delle finanze che si occupa di approvvigionamento di beni e servizi;
   pare trattasi di appaltare a privati una miriade di servizi, tra i quali manutenzione e pulizia di immobili, musei e siti vari, gestione di bar, caffetterie, bookshop, audioguide e altro. Il massiccio ricorso ai privati è un esito scontato se solo si considerano i tagli subiti dal budget del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dal 2001 al 2013: anni in cui gli stanziamenti sono passati da 2,7 a 1,5 miliardi, cifra ancor più risibile se paragonata all'intero bilancio dello Stato –:
   quali siano gli indirizzi e gli intendimenti politici di prospettiva che costituiscono la premessa di questo maxi-appalto in corso di predisposizione da parte della Consip. (4-05644)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali siano gli indirizzi e gli intendimenti politici di prospettiva che costituiscono la premessa dell'emanazione da parte della Consip – la società del Ministero dell'economia e delle finanze che si occupa di approvvigionamento di beni e servizi – di un bando di gara del valore di mezzo miliardo di euro per appaltare ai privati i servizi di gestione integrata e valorizzazione dei luoghi della cultura.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  La riforma del sistema museale italiano, in parte realizzata con l'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2015, n. 171 concernente la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali mira a valorizzare, non soltanto i grandi musei, che avranno autonomia amministrativa e contabile, ma tutti i luoghi della cultura statale. Tale percorso di valorizzazione si basa anche su una maggiore efficienza e offerta di servizi aggiuntivi, da tempo quasi tutti in regime di proroga. Al fine è stata avviata la collaborazione tra il Ministero e la CONSIP che mira, da una parte, a consentire allo Stato e ai privati di investire sui servizi museali, potenziandoli e migliorandone la qualità, garantendo al contempo che la progettazione culturale resti in mano pubblica; dall'altra, ad assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi aggiuntivi offerti negli istituti e luoghi della cultura pubblici. L'avvio del progetto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – CONSIP, inoltre, porrà fine al periodo delle proroghe nell'affidamento dei servizi aggiuntivi e consentirà al Ministero di avvalersi delle migliori risorse pubbliche e private per promuovere la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale del paese.
  L'accordo prevede tre gruppi di gare:
   1. Gare macro regionali sui servizi gestionali – così detto
Facility management.
  La prima gara rende disponibili al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e facoltativamente agli enti locali, i servizi gestionali necessari all'efficace ed efficiente funzionamento degli istituti e dei luoghi della cultura pubblici: «servizi operativi» (manutenzione edile e impiantistica, pulizia guardaroba, facchinaggio) e «servizi di governo» (sistema informativo, call center, anagrafica tecnica).
   2. Gara nazionale per il servizio di biglietteria.
  La seconda gara punta all'acquisizione, a livello nazionale, di un servizio
online di biglietteria, prenotazione e prevendita, usato da tutti i siti Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e facoltativamente dagli enti locali, i cui dati confluiranno verso un sistema ICT specifico per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e si integreranno con i servizi di biglietteria dei diversi istituti e luoghi della cultura pubblici.
   3. Gara per i servizi culturali in concessione.
  La terza gara è volta all'acquisizione dei servizi finalizzati allo sviluppo di specifici «progetti culturali» per la migliore fruizione dei siti, sia per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sia per gli enti locali: a titolo di esempio, servizi di accoglienza, visite guidate, didattica, eventi e anche biglietteria.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   DI LELLO e VALERIA VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia, organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, hanno il compito di garantire la tutela di un vasto territorio, che comprende oltre cento comuni;
   questo territorio rappresenta, per quanto concerne il mondo antico, uno tra i più ricchi di insediamenti umani, città, monumenti ed antichità di rilevante valore storico-archeologico. Nell'ambito di esso varie culture e popolazioni convissero e si succedettero nel tempo, dalla preistoria all'epoca classica greco-romana, dalla tarda antichità all'età medioevale;
   le attività istituzionali delle Soprintendenze sono condotte attraverso un capillare sistema di uffici periferici distribuiti sul territorio, che controllano aree, parchi e singoli monumenti archeologici, collegati con antiquaria e musei territoriali, alcuni di antica istituzione, altri più recentemente aperti al pubblico o in corso di allestimento;
   in base ai tagli operati nel 2012-2013, ogni Ministero era tenuto a dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni di pianta organica. Il Mibact adempie, con un decreto del 18 novembre 2014 a tale obbligo, in linea con le misure già adottate con il decreto-legge n. 83 del 2014, convertito dalla legge n. 106 del 2014;
   la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) che trae origine, come è noto, dalle politiche di spending review attuate da ultimo con il decreto-legge n. 66 del 2014, convertito dalla legge n. 89 del 2014, prevede la soppressione della succitata Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e la creazione di un'unica Soprintendenza regionale con sede a Salerno a partire dal prossimo 10 gennaio 2015;
   una decisione questa che cancella di fatto un'istituzione, la Soprintendenza archeologica napoletana, che ha ben duecento anni di vita e che è stata sempre il punto di riferimento di studiosi e scienziati provenienti da tutto il mondo;
   la riforma in oggetto non tocca solo le Soprintendenze; nello specifico, per quanto riguarda la Campania, anche gli Archivi di Stato di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno dovrebbero sparire. Resterebbe solo quello di Napoli. Così come resterebbero il polo museale con sede a Napoli, il museo di Capodimonte e la Reggia di Caserta, oltre alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III;
   come spesso accade ultimamente in nome della spending review la riforma viene contestata anche dagli stessi lavoratori che, riuniti in assemblea, hanno stilato un documento in cui sottolineano non solo i danni che il provvedimento porterà all'archeologia campana ma anche i disagi «nell'espletamento degli atti di competenza e difficoltà nella tutela del territorio, nel quale – sottolineano – sono presenti eccellenze quali il centro antico di Napoli, i Campi Flegrei e l'area Nolana» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di rivedere i criteri che ridefiniscono il funzionamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con particolare riferimento alla Soprintendenza archeologica di Napoli che nei suoi duecento anni di attività ha creato una fitta rete di rapporti interistituzionali con comuni, province, università e facoltà di architettura, che saranno a giudizio dell'interrogante negativamente condizionati da questo accorpamento. (4-07264)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante, in relazione ai processi di riorganizzazione in atto nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che, secondo l'interrogante, prevederebbero la soppressione della «Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei» e degli archivi di Stato di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno mentre «resterebbero il polo museale con sede a Napoli, il museo di Capodimonte e la Reggia di Caserta, oltre alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III», chiede quali iniziative si intenda porre in essere al fine di «rivedere i criteri che ridefiniscono il funzionamento del Ministero» con particolare riferimento alla Soprintendenza sopra indicata.
  Come è noto all'interrogante, anche questa Amministrazione ha dovuto dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni alle piante organiche imposte dalle politiche di revisione della spesa pubblica (
spending review), contenute in numerosi provvedimenti normativi finalizzati, tra l'altro, al contenimento e alla riduzione dei costi delle pubbliche amministrazioni.
  Questo Ministero vi ha provveduto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della
perfomance, a norma dell'articolo 16, comma 4 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89», cui è seguito, successivamente, il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, contenente «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo».
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera
a) che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale e le relative dotazioni organiche, in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 cento di quelle esistenti.
  Nel complesso, la riorganizzazione ha imposto il taglio di 37 dirigenti (6 di prima fascia e 31 di seconda fascia).
  Nonostante che l'indicazione normativa mirasse soprattutto alla riduzione della spesa, l'Amministrazione ne ha colto l'occasione per ridisegnare la propria organizzazione in modo fortemente innovativo, in linea con le misure già adottate con il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, contenente «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 (cosiddetto decreto ArtBonus).
  L'adeguamento ai numeri della
spending review è divenuto, così, l'opportunità per intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che, per lungo tempo, hanno segnato l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia. Si tratta di disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate molte volte e da più parti: l'assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo; l'eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia; il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni; la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limita grandemente le potenzialità; la scarsa attenzione del Ministero verso il contemporaneo e verso la promozione della creatività; il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione.
  Allo scopo di risolvere il vero e proprio «ingorgo» burocratico venutosi a creare negli anni a causa della moltiplicazione delle linee di comando e dei frequenti conflitti tra direzioni regionali e soprintendenze, l'amministrazione periferica è stata ripensata, mantenendo, secondo quanto previsto dalla ipotesi di riforma dell'amministrazione centrale, il livello regionale quale ambito ottimale di riferimento.
  Sono state perciò adottate le seguenti misure: le direzioni regionali sono state trasformate in segretariati regionali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con il compito di coordinare tutti gli uffici periferici del Ministero operanti in ciascuna regione, riconoscendo il ruolo amministrativo di tali uffici, tutti dirigenziali di II fascia, senza però sovrapporsi alle competenze tecnico-scientifiche delle soprintendenze; la linea di comando tra amministrazione centrale e soprintendenze è stata ridefinita e semplificata: le soprintendenze archeologiche sono ora articolazioni periferiche della relativa direzione centrale; quelle miste, belle arti e paesaggio, lo sono della relativa direzione. Nel rispetto della distribuzione territoriale, vengono quindi accorpate le soprintendenze per i beni storico-artistici con quelle per i beni architettonici, come già avveniva in diversi casi e come già era e rimarrà al centro, con una sola direzione generale; l'amministrazione dei beni archivistici è stata razionalizzata e sono state meglio definite e arricchite le funzioni della direzione generale archivi, nonché quelle delle soprintendenze archivistiche e degli archivi di Stato; l'amministrazione delle biblioteche è stata razionalizzata, da un lato, mantenendo l'autonomia scientifica degli istituti indipendentemente dalla loro natura dirigenziale, ferma restando la vigilanza della direzione generale biblioteche e istituti culturali; la collegialità delle decisioni sul territorio è rafforzata nel comitato di coordinamento regionale, presieduto dal segretario regionale e composto dai soprintendenti, che diviene il luogo in cui sono assunte le decisioni un tempo adottate dalla direzione regionale, come la dichiarazione e la verifica di interesse culturale.
  Un punto dolente dell'amministrazione dei beni culturali in Italia è sempre stata la sottovalutazione dei musei: privi di effettiva autonomia, erano tutti, salvo casi sporadici e non legati a un disegno unitario, articolazioni delle soprintendenze e dunque privi di qualifica dirigenziale. La riforma ha inteso mutare radicalmente questo aspetto, assicurando al contempo il mantenimento del legame dei musei con il territorio e con le soprintendenze e fatte salve le prioritarie esigenze di tutela e dell'unitarietà del patrimonio culturale della Nazione. I musei archeologici e le aree archeologiche, ad esempio, fatta eccezione delle due soprintendenze speciali per Roma e per Pompei, sono divenuti articolazioni dei poli museali regionali, ma dipendono funzionalmente anche dalla direzione generale archeologia, che definisce le modalità di collaborazione con le soprintendenze archeologia anche ai fini delle attività di ricovero, deposito, catalogazione e restauro dei reperti.
  Pertanto, sono state previste le seguenti misure: è stata istituita una nuova direzione generale musei, cui sono stati affidati, tra gli altri, i compiti di attuare politiche e strategie di fruizione a livello nazionale, di favorire la costituzione di poli museali anche con regioni ed enti locali, di svolgere i compiti di valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura; è stata conferita a due soprintendenze speciali e a diciotto musei la qualifica di ufficio dirigenziale, riconoscendo così il massimo status amministrativo ai musei di rilevante interesse nazionale; sono stati creati i poli museali regionali, articolazioni periferiche della direzione generale musei, incaricati di promuovere gli accordi di valorizzazione previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio e di favorire la creazione di un sistema museale tra musei statali e non statali, sia pubblici, sia privati; tutti i musei sono dotati di autonomia tecnico-scientifica e di un proprio statuto, in linea con i più elevati standard internazionali; le due soprintendenze speciali e i diciotto musei dirigenziali di rilevanza nazionale hanno anche autonomia contabile.
  Con specifico riferimento alla regione Campania, in applicazione dei criteri sopra illustrati, i provvedimenti di riorganizzazione hanno previsto due istituti dirigenziali di livello generale: il museo di Capodimonte e la Reggia di Caserta nonché i seguenti Istituti di livello dirigenziale non generale: soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia (dal primo gennaio 2016, di livello dirigenziale generale); soprintendenza archeologia della Campania, con sede a Salerno; soprintendenza belle arti e paesaggio per il comune e la provincia di Napoli, con sede a Napoli; soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento, con sede a Caserta; soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Salerno e Avellino, con sede a Salerno; museo archeologico nazionale di Napoli; parco archeologico di Paestum; polo museale regionale della Campania, con sede a Napoli; sovrintendenza archivistica della Calabria e della Campania, con sede a Napoli; archivio di Stato di Napoli.
  La riunione delle soprintendenze archeologiche (avvenuta anche per altre regioni) in un solo istituto di livello dirigenziale non generale non fa venire meno l'attività di tutela né comporta soluzioni di continuità con il passato anche perché il nuovo Istituto potrà continuare ad avvalersi dell'esistente «capillare sistema di uffici periferici» che lo stesso interrogante ha richiamato.
  Per quanto concerne, infine, gli archivi di Stato, la riorganizzazione non ha toccato la rete territoriale esistente per cui gli archivi di Stato di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno non stati soppressi, hanno mantenuto autonomia tecnico-scientifica e gestionale e seguitano a svolgere le funzioni di tutela e valorizzazione dei beni archivistici in loro consegna, assicurandone la pubblica fruizione, nonché le funzioni di tutela degli archivi correnti e di deposito dello Stato.
  Il fatto che ad essi non sia preposto un dirigente di livello non generale non incide sull'organizzazione del lavoro e sui compiti istituzionali degli stessi e non comporterà, in alcun modo, un mutamento nell'attività di tutela e pubblica fruizione della documentazione statale, nell'attività tecnico-scientifica di studio, descrizione e divulgazione in materia di archivi.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel gennaio del 1981, durante i lavori di scavo per l'installazione di prefabbricati destinati ai terremotati di Pratola Serra, in provincia di Avellino, nell'area collinare Pioppi-Saudelle, furono riportate alla luce le strutture murarie di un imponente edificio di culto identificato successivamente con una grande basilica risalente all'epoca longobarda (V-VII secolo d.C.);
   nell'area della basilica longobarda fu individuata, inoltre, una vastissima necropoli romano-germanica, con più di 123 tombe impreziosite da sontuosi corredi funerari fra cui armi, gioielli, monili, croci d'oro e d'argento che venivano poste sugli abiti di personaggi illustri della società longobarda: aristocratici, abati e vescovi;
   in una di queste tombe fu ritrovata anche una rarissima moneta dell'imperatore bizantino Eraclio (VII secolo d.C.);
   le successive e più estese indagini archeologiche consentirono di recuperare, insieme alla grande basilica longobarda e alla necropoli, le strutture ben conservate di una prestigiosa villa residenziale romana con annesso edificio termale, risalente al II-III secolo d.C.;
   su un pendio della collina Pioppi, invece, fu rintracciato un villaggio preistorico risalente all'età del bronzo antico e alla facies di Palma Campania (4.000 anni fa) con una serie di capanne di forma ellittico-rettangolare, dotate di focolari e dispense in cui era disposto il vasellame tra cui tazze, teglie, brocche, scodelle, olle in ceramica d'impasto con decorazioni graffite;
   l'eccezionalità delle scoperte archeologiche, che avevano destato un interesse scientifico e culturale a livello europeo e mondiale, suggerirono alla soprintendenza per i beni archeologici delle province di Avellino, Salerno, Caserta e Benevento di progettare un parco archeologico, attrezzato come un vero e proprio museo all'aperto nel quale, peraltro, sarebbe stata compresa anche l'area del monumento megalitico denominato «Casa dell'Orco», ubicato in località San Michele;
   il parco archeologico di Pratola, quindi, oltre ad assolvere alla primaria funzione di tutela integrata dei siti archeologici, si proponeva come elemento di riqualificazione e valorizzazione di alcune zone periferiche della cittadina e nel contempo quale polo culturale di aggregazione e attrazione turistica con significative ricadute occupazionali per un territorio economicamente depresso;
   esauriti i cospicui finanziamenti per la ricerca archeologica, però, la soprintendenza per i beni archeologici delle province di Avellino, Salerno, Caserta e Benevento rinunciò anche al progetto del parco: con le procedure incomplete di esproprio dei lotti gli scavi furono in parte coperti, le migliaia di preziosi reperti rinvenuti furono impacchettati e chiusi nei depositi, mentre le poche strutture lasciate a vista furono abbandonate senza misure di sicurezza, prive di coperture di protezione, esposte alle intemperie e all'erosione degli agenti atmosferici, senza segnaletica, senza una regolamentazione degli usi del suolo consentiti o vietati, senza un piano dell'accessibilità (pedonale e veicolare);
   oggi, purtroppo, tutta l'area archeologica di Pratola Serra (Avellino) versa in condizioni di degrado e incuria, soffocata da sterpaglie, erbacce e rifiuti, senza un programma di manutenzione e restauro, in quello che all'interrogante appare l'assoluto disinteresse delle istituzioni preposte alla tutela nonostante, in anni recenti, sono state rinvenute sul lato ovest del sito archeologico di via San Giovanni di Pratola altre importanti strutture monumentali tardo-antiche e medievali;
   tutto il sito archeologico della collina Pioppi-Saudelle è privo, insomma, di un piano di tutela e valorizzazione ed è esposto continuamente a spoliazioni e vandalismi;
   addirittura – a quanto consta all'interrogante – una parte dell'area archeologica prospettante sul piazzale dell'area mercato, a dispetto dei vincoli paesaggistici e d'interesse archeologico, è stata in tempi recenti addirittura recintata e asfaltata senza il preventivo nulla osta di competenza –:
   se non ritenga indispensabile chiarire i motivi che hanno prodotto un tale degrado, intervenendo con opportune iniziative al fine di accertare eventuali responsabilità e inadempienze degli uffici della soprintendenza per i beni archeologici delle province di Avellino, Salerno, Caserta e Benevento;
   se siano state effettuate ispezioni recenti all'area archeologica, verificati gli eventuali abusi perpetrati, presentata denuncia alle autorità competenti, richiesto il ripristino dello stato dei luoghi e accertato che gli interventi effettuati non abbiano prodotto danni alle strutture antiche conservate in superficie e nel sottosuolo;
   se intenda adottare provvedimenti urgenti per la conservazione e la valorizzazione del sito archeologico di Pratola Serra (Avellino);
   se non ritenga opportuno prevedere nuovi e più coerenti vincoli archeologici sull'area in questione insieme a prescrizioni più efficaci e incisive anche ai fini di un piano paesaggistico complessivo della collina;
   se intenda farsi promotore di un tavolo di concertazione con le istituzioni locali e regionali, preposte alla tutela e alla valorizzazione dei beni archeologici, mettendo a sistema le rispettive competenze e riavviando le procedure per la costituzione del parco storico-archeologico-paesaggistico di Pratola Serra (Avellino). (4-02238)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede quali siano i motivi che hanno generato il degrado in cui versa il sito archeologico di Pratola Serra in provincia di Avellino; se il Governo intenda adottare provvedimenti urgenti per la conservazione e valorizzazione del sito, prevedendo anche più coerenti vincoli archeologici sull'area in questione e se, infine, sia intenzione dell'Amministrazione farsi promotrice di un tavolo di concertazione con le istituzioni locali per la costituzione del parco storico-archeologico-paesaggistico di Pratola Serra.
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  Il sito archeologico, in località Pioppi di Pratola Serra, a mezza costa lungo la riva destra del fiume Sabato, riveste importanza notevole, in quanto interessato da una serie di evidenze, come segnalato dallo stesso interrogante.
  Sulla sommità della collina è stato, infatti, individuato un insediamento preistorico dell'età del Bronzo, con tracce di strutture abitative (capanne). Al periodo romano imperiale sono da riferire strutture murarie pertinenti ad una villa rustica, individuata da una serie di saggi che ne dimostrano la notevole estensione che, per mancanza di adeguati finanziamenti, non è stata mai messa in luce. I limitati settori esplorati sono stati nuovamente interrati, ivi compreso l'importante edificio di epoca altomedievale a pianta basilicale, con annessa necropoli, indagato nelle campagne di scavo nell'anno 1981 e ricordato anch'esso nell'interrogazione cui si risponde.
  Il progetto di un parco archeologico in località Pioppi, in un contesto di particolare valenza paesaggistica, comporterebbe una serie di interventi, consistenti innanzitutto in uno scavo esaustivo, con tecnica stratigrafica, da condursi in estensione sulla collina, fino alla completa esplorazione di tutte le emergenze già individuate. Alla fase di indagini dovrebbero fare seguito quelle di restauro e di adeguamento delle evidenze messe in luce, nell'ambito di uno specifico progetto che preveda, altresì, la copertura delle strutture antiche, i percorsi di visita, l'illuminazione, oltre che un punto di accoglienza. Tali operazioni, imprescindibili per una adeguata fruizione pubblica del sito archeologico, comportano un impegno economico che consideri anche l'esproprio dei terreni, ancora di proprietà privata.
  La soprintendenza archeologica della Campania ha, nel corso di vari incontri con i funzionari dell'Amministrazione comunale, assicurato il proprio impegno a collaborare al fine di pervenire alla realizzazione del suddetto progetto.
  Per quanto riguarda la tutela dell'area, la medesima soprintendenza, con decreto ministeriale del 12 ottobre 1981, ha provveduto a sottoporre a vincolo archeologico l'intera zona e, fino a qualche anno fa, a controllare lo stato dei luoghi con ronde ispettive da parte del personale di vigilanza. I recenti tagli di fondi pubblici rendono attualmente impossibile il controllo del sito, continuamente minacciato dai movimenti di terra dovuti alla coltivazione, e a nulla sono valse al riguardo le disposizioni di sospensione dei lavori da parte della Soprintendenza comunicate a mezzo del locale comando carabinieri ma non supportate da un parallelo controllo degli organi locali, nel comune interesse di salvaguardare l'importante contesto archeologico.
  Si comunica, infine, che la soprintendenza, a seguito di sopralluogo effettuato dal funzionario incaricato, ha inoltrato, in data 2 dicembre 2014, formale denuncia al procuratore della Repubblica di Avellino essendo stata rilevata una situazione di abusivismo relativo a interventi di aratura, recinzione e asfaltatura realizzati ad opera del proprietario dell'appezzamento nel quale ricadono le evidenze archeologiche sopra indicate, in difformità delle disposizioni della soprintendenza.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   PETRAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il castello di Belforte è un monumento che sorge nell'omonimo rione di Varese, su una collinetta che domina l'area sovrastante l'omonimo quartiere. Un tempo di proprietà dei Biumi, il castello fu probabilmente eretto tra il quattrocento e il cinquecento, a quell'epoca è riconducibile la porzione di casa-torre, e quella contrapposta, che conserva il portale originale con stemma dei Biumi (secolo XVI);
   il prospetto di un corpo architettonico innestato tra i due nuclei, appartiene, invece, al pieno Seicento e attesta i modi nobili dell'architettura milanese di matrice ricchiniana, costituendo uno dei più evidenti esempi di edilizia civile varesina. Nel seicento infatti, modificate e in parte, venute meno le funzioni difensive, il castello fu trasformato in residenza. La struttura ha avuto un ruolo importante anche nel Risorgimento italiano;
   il complesso monumentale richiede un soprassalto di volontà con opere di mantenimento urgente, anche se contenute, per la sua sopravvivenza, in attesa di un destino di ragionevole e di un significativo reimpiego pubblico;
   il castello si presta a una sua utilizzabilità come futura sede dell'archivio di Stato o museo. Ora inutilizzata e in stato di grave incuria, con numerosi crolli verificatisi negli ultimi venti anni, e comunque continua a rappresentare uno dei monumenti più interessanti per la storia della città di Varese –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire, per quanto di sua competenza, affinché si proceda quanto prima al recupero e alla valorizzazione del castello di Belforte, in stato d'incuria e di abbandono. (4-08771)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante, premesso che il castello di Belforte, posto nell'omonimo rione di Varese, riveste un notevole interesse storico-artistico e rappresenta una delle strutture maggiormente rappresentative del Risorgimento italiano, e che, nonostante l'attuale stato di incuria e abbandono potrebbe divenire sede dell'Archivio di Stato o museo, chiede di sapere se il Ministero non ritenga doveroso intervenire per un recupero e una valorizzazione del castello in modo da poterlo riutilizzare per un significativo impiego pubblico.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  L'immobile denominato «Castello di Belforte» si origina da un complesso fortificato sorto nel XII secolo su un piccolo rilievo a controllo del fiume Olona e della strada verso Como e i passi alpini: si trova su alcuni documenti imperiali del 1164 la dizione «in castro Belforth» ad indicare il luogo e là il castello Bel Forte.
  Il castello venne espugnato dai Comaschi probabilmente dopo il 1285. Persa la necessità difensiva, la rocca-castello venne successivamente trasformata in complesso agricolo: fu quindi proprietà del marchese Galeazzo Clivio che nel 1445 la lasciò all'ospedale di Milano.
  Successivamente, nella metà del ’600, i marchesi Biumi trasformarono la costruzione in residenza con la realizzazione di un portico su colonne binate e un ordine di finestre sovrastate da timpani triangolari e curvi alternati; l'ambizioso progetto originario, senza eguali per imponenza e caratteristiche (era previsto un cortile chiuso su quattro lati) non fu mai ultimato.
  Nei secoli seguenti il complesso fu utilizzato ai fini agricoli ma da cinquanta anni risulta in abbandono e degrado; nel 1969 furono interessate da crolli e demolite ampie parti del complesso, coinvolgendo anche la parte seicentesca e pregevolissimi solai cassettonati.
  Nel 2005 la Soprintendenza dei beni architettonici autorizzò alcuni lavori di messa in sicurezza, con ricostruzione della copertura e dei solai intermedi, purtroppo non estesi all'intero complesso: nel 2008, infatti, a causa di alcuni crolli si rendeva necessario continuare le opere di impermeabilizzazione e consolidamento.
  Il vincolo sul complesso venne apposto dapprima il 27 aprile 1969 per la parte denominata «Belforte vecchio» e successivamente il 21 agosto 1970 per tutto il «complesso Belforte già Biumi».
  Alla data attuale il bene è in parte proprietà del Comune ed in parte di privati che mostrano difficoltà nella conservazione dell'immobile.
  Nel complesso si notano muraglie quattrocentesche e cinquecentesche con stemmi dei Biumi. Non sono state mai compiute indagini o campagne archeologiche organizzate ma vi è la segnalazione di un rinvenimento archeologico casuale costituito da un vaso fittile frammentato, con decorazione rossa a stralucido, riconducibile alla fase recente della prima età del ferro.
  Il degrado del bene e la frammentazione della proprietà rendono difficoltoso il suo recupero: sono state ipotizzate diverse destinazioni d'uso per le necessità di quartiere quali biblioteca, museo, sede di associazioni, centro diurno per anziani, piazza per giardino all'aperto e giardino attrezzato, quindi, più recentemente, parco archeologico.
  Per quanto riguarda la eventuale destinazione del castello a sede di archivio, occorre specificare che gli edifici destinati a sede di archivi devono corrispondere non solo ai requisiti generali in materia di sicurezza del lavoro e prevenzione degli incendi, fissati dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e dal decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n. 151; essi devono per di più corrispondere agli standard costruttivi, tecnici e di sicurezza stabiliti dal regio decreto 7 novembre 1942, n. 1564 – che recepisce direttive suggerite dal Cnr – e dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1995, n. 418.
  Alla luce di quanto sopra rappresentato, si evidenzia come l'uso di un complesso monumentale non costituisca, quindi, una soluzione fattibile
tout court, specie in una fase di tagli consistenti alle spese, caratterizzati dalla progressiva diminuzione, negli anni, dei finanziamenti disponibili per investimenti, che rendono impossibile finanziare interventi onerosi di adeguamento strutturale, funzionale e impiantistico, quali quelli indispensabili per la destinazione ad archivio.
  Basti pensare che la Direzione generale archivi di questo Ministero ha potuto disporre complessivamente, nell'anno 2014 di circa 3,5 milioni di euro, pari a poco più del 12 per cento di quanto assegnato dieci anni fa.
  Ad ogni modo si assicura che il Ministero, che ha sempre espletato le sue funzioni di tutela e vigilanza sugli immobili citati, collaborerà attivamente con la proprietà e le amministrazioni locali alla valorizzazione del bene, secondo i progetti che saranno proposti.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.