Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 4 agosto 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il Veneto ancora una volta, l'8 luglio 2015, è stato duramente colpito da un eccezionale evento meteorologico;
    il violento tornado, catalogato di intensità F4, ha investito in particolare la provincia di Venezia, lungo la riviera del Brenta, provocando ingenti danni nei comuni di Dolo, Pianiga e Mira;
    contestualmente una cella temporalesca di significativa rilevanza e violenza ha gravemente interessato anche i comuni dell'alto bellunese, Cortina d'Ampezzo in particolare;
    la portata distruttiva dell'evento atmosferico si è manifestata con ingentissimi danni alle infrastrutture, al patrimonio pubblico nonché a quello privato;
    il tornado ha fatto crollare e scoperchiato case, raso al suolo strutture di grande valore storico e culturale, come Villa Santorino-Toderini-Fini, danneggiato numerose altre ville venete nonché il patrimonio di molte attività economiche industriali ed anche agricole, distruggendo capannoni e mezzi, abbattendo alberi e piantagioni;
    il bilancio di questa calamità atmosferica ha fatto, purtroppo, registrare anche un morto, circa 200 persone ferite ed oltre quattrocento di sfollati;
    nei comuni di questo comprensorio si sono verificati prolungati black-out elettrici, disservizi nella fornitura del gas, dell'acqua, delle linee telefoniche, fisse e mobili, il blocco della circolazione ferroviaria e numerosi sono stati gli incidenti stradali sulla viabilità urbana e autostradale;
    da subito si è attivato il sistema regionale di protezione civile, con il lavoro dei vigili del fuoco, delle forze dell'ordine, dei volontari e di tantissimi cittadini a cui va rivolto un grandissimo ringraziamento, che hanno consentito di affrontare questa eccezionale emergenza;
    le forze dell'ordine, in collaborazione con le polizie municipali, continuano a svolgere in questi territorio servizi «anti sciacallaggio»;
    i sindaci e le istituzioni locali sono stati tra i protagonisti assoluti di questa straordinaria azione di aiuto e solidarietà;
    la regione Veneto ha prontamente dichiarato lo «stato di crisi» con una prima stima di danni quantificata in 91.454.059,55 euro;
    il Governo centrale ha immediatamente approvato la dichiarazione di «stato di emergenza» come primo e importante passo per dare concreta risposta nei confronti dei comuni di Dolo, Pianiga e Mira in provincia di Venezia e di Cortina D'Ampezzo, in quella di Belluno, stanziando per l'attuazione dei primi interventi 2.000.000,00 di euro;
    il Senato della Repubblica ha altresì approvato, nella seduta del 28 luglio 2015, su proposta del Governo, un emendamento al decreto-legge n. 78, in materia di enti locali, finalizzato a consentire ai comuni della riviera del Brenta un allentamento del patto di stabilità 2015 per un importo complessivo di 7,5 milioni di euro, percorso che si è concluso con l'approvazione definitiva da parte della Camera dei deputati: è in corso di pubblicazione l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, acquisita l'intesa con la regione Veneto per la nomina del commissario, i primi atti per gli interventi, i contributi e la ricognizione dei fabbisogni per il patrimonio pubblico e privato, nonché per le attività economiche e produttive e la sospensione dei mutui per i proprietari di edifici distrutti o inagibili;
    numerosissime sono state le azioni concrete di solidarietà che si avute nei giorni successivi all'evento calamitoso, attraverso raccolte di fondi promosse da diverse istituzioni locali, associazioni sociali, economiche, culturali e singoli cittadini;
    è necessario proseguire sulla strada di questa proficua collaborazione istituzionale e che la regione Veneto valuti l'opportunità di utilizzo del residuo del patto di stabilità verticale,

impegna il Governo:

   ad utilizzare parte del residuo rimasto del Fondo per le emergenze nazionali del 2015 ed eventualmente prevedere anche impegni del Fondo per il 2016 a favore dei beni pubblici e privati, di quelli delle attività economiche e produttive danneggiati o distrutti;
   a verificare d'intesa con i sindaci dei comuni interessati forme particolari di sospensione e/o esenzione dei tributi;
   ad assumere iniziative per prevedere, anche per il 2016, l'allentamento del Patto di stabilità per i comuni di Dolo, Mira e Pianiga nella legge di stabilità 2016;
   a valutare l'opportunità di allentare il Patto di stabilità anche per i comuni della provincia di Venezia e del Veneto che hanno dichiarato la loro disponibilità a impegnare risorse economiche a favore della ricostruzione, anche in riferimento agli spazi del Patto di stabilità del 2014 e dei comuni veneti non ancora utilizzati;
   ad adottare provvedimenti che consentano, con modalità già attuate in favore delle popolazioni dell'Emilia Romagna, colpite prima dal terremoto e dai successivi eventi alluvionali del 2014, il sostegno dei beni privati nonché delle attività economiche e produttive;
   a considerare l'adozione di provvedimenti volti a stabilire criteri di automaticità nella distribuzione delle risorse da destinare ai comuni in caso degli ormai sempre più frequenti eventi calamitosi, al fine di accelerare i tempi per le ricostruzioni stabilendo così un rapporto efficace di semplificazione burocratica tra amministrazioni;
   ad assumere celeri iniziative specifiche per il recupero del patrimonio architettonico e culturale costituito dalle ville venete, sia attraverso risorse economiche sia semplificando le procedure burocratiche;
   a rafforzare le misure «anti sciacallaggio», prevedendo anche l'impiego di unità dell'Esercito;
   a promuovere e sostenere, anche in occasione della prossima Conferenza di Parigi delle nazioni che hanno aderito alla convenzione sul clima, tutte quelle azioni volte a ridurre l'emissione di gas serra che aumentano la temperatura media globale e producono cambiamenti climatici all'origine di eventi meteorologici estremi.
(1-00970) «Martella, Mognato, Moretto, Murer, Zoggia, Camani, Casellato, Crimì, Crivellari, Dal Moro, D'Arienzo, De Menech, Ginato, Miotto, Naccarato, Narduolo, Pastorelli, Rostellato, Rotta, Rubinato, Sbrollini, Zan, Zardini».


   La Camera
   premesso che:
    mercoledì 8 luglio 2015 una violentissima tromba d'aria si è abbattuta, verso le 17,30, su Dolo, Pianiga e Mira, in provincia di Venezia e su Cortina d'Ampezzo in provincia di Belluno, causando una vittima, 72 feriti ed ingenti danni alle abitazioni ed alle aziende del territorio. La tromba d'aria di elevata intensità, accompagnata da violente precipitazioni piovose e grandinate, ha provocato lo scoperchiamento di tetti di numerosi edifici, divelto piloni della luce e tralicci dell'alta tensione, causando ingenti danni alle abitazioni private e pubbliche, alla rete dei servizi essenziali, al patrimonio artistico e culturale, alle infrastrutture viarie ed alle attività agricole e produttive;
    l'evento calamitoso ha inoltre provocato l'abbattimento di alberi, danni ai beni mobili e la dispersione di ingenti quantitativi di detriti di varia natura, causando forti disagi alla popolazione interessata;
    la perturbazione ha interessato altresì buona parte del territorio regionale e nel pomeriggio dell'8 luglio 2015 ha proseguito con temporali di forte intensità in alcuni territori comunali delle province di Verona, Vicenza, dell'alta padovana, del bellunese e, soprattutto, del veneziano con violente e pericolose grandinate. Inoltre, una cella temporalesca particolarmente intensa ha interessato la valle del Boite nell'alto bellunese innescando una vasta calata detritica in località Acquabona, frazione di Cortina d'Ampezzo, sulla strada statale n. 51 di «Alemagna» che è rimasta a lungo bloccata in entrambe le direzioni;
    le ville colpite sono 20, tutte nel comune di Dolo. Tra queste Villa Santorini-Toderini-Fini che è andata praticamente distrutta, Villa Bembo, Villa Gasparini, Villa Migliorini, Villa Badoere Fattoretto, Villa Titi e Villa Velluti;
    a Cazzago ci sono almeno 225 edifici da sistemare, 132 a Dolo, 75 a Mira;
    nella relazione tecnica disposta dalla regione Veneto si è rilevato che il tornado dell'8 luglio 2015 è da considerarsi come uno dei più intensi mai verificatosi nel territorio regionale;
    anche le attività agricole hanno registrato gravi conseguenze. I dati confermano che nel solo territorio veneziano i danni alle coltivazioni, alle attività ed alle loro strutture superano i 4 milioni di euro. Il comparto avrà sicuramente bisogno di interventi al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la redditività delle imprese agricole colpite dalle avversità atmosferiche perché possano riprendere la loro attività produttiva;
    la prima stima dei danni e degli interventi da effettuare per le opere di ricostruzione ammonta a quasi 100 milioni di euro;
    è opportuno, pertanto, dare attuazione ad interventi urgenti e necessari al fine di ripristinare i danni subiti dal patrimonio pubblico e privato e per il ritorno alle normali condizioni di vita delle popolazioni;
    è necessario, altresì, un allentamento del Patto di stabilità interno per aiutare i comuni a gestire l'emergenza, assicurando la sospensione degli adempimenti fiscali a carico di famiglie ed imprese coinvolte,

impegna il Governo:

   a dichiarare lo «stato di emergenza» a livello nazionale ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e successive modificazioni;
   ad assumere iniziative dirette per attivare il ripristino dei danni subiti dal patrimonio pubblico e privato;
   a valutare la possibilità di stanziare adeguati fondi in favore delle imprese danneggiate dall'evento calamitoso che ha colpito in modo così grave la regione Veneto;
   ad intraprendere iniziative dirette a sospendere l'invio delle cartelle esattoriali e gli oneri fiscali e contributivi ai soggetti interessati;
   ad assumere iniziative dirette ad allentare il vincolo del Patto di stabilità interno per i comuni coinvolti nell'alluvione dell'8 luglio 2015.
(1-00971) «Causin, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    a distanza di qualche anno dalla «Grande alluvione» e a neanche un mese dall'ultima, il Veneto non è pronto all'eventualità di altre inondazioni e mancano diverse opere dal momento che mancano i fondi;
    secondo l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure, su Genova sono caduti in 28 ore oltre 230 millimetri di pioggia, mentre sul Veneto, tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2010, l'Arpav misurò il «diffuso superamento dei 300 millimetri con punte massime locali anche superiori ai 500»; nella giornata dell'8 luglio 2015, un tornado estremamente violento si è abbattuto sulla riviera del Brenta, di livello EF4 della scala Enhanced Fujita;
    il tornado ha colpito duramente i centri abitati sui quali si è abbattuto distruggendo i comuni di Dolo, Pianiga e Mira nella provincia di Venezia, provocando danni ingenti sia in termini di vittime che in termini economici con 500 abitazioni danneggiate e 100 edifici da abbattere perché pericolanti e non recuperabili;
    i danni materiali prodotti, per caratteristiche e per conseguenze sociali ed economiche, sono molto simili a quelle di un terremoto, come, ad esempio, il sisma che nel 2012 devastò alcune province delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto;
    il massimo esperto del settore, il professor Luigi D'Alpaos, reputa necessario disporre di almeno 10 milioni di metri cubi di invaso e non dei 3-3,5 milioni e mezzo di euro preventivati che purtroppo necessitano di più tempo: resti romani permettendo, il bacino di laminazione di Caldogno potrà essere rimesso in sesto nel 2016, e per lo meno nel 2017 quello di viale Diaz a Vicenza;
    nel centro del capoluogo berico sono stati rinforzati gli argini del Bacchiglione, ma i quartieri periferici sono a rischio di allagamento e il bacino per alleggerire l'alveo del Retrone sulla roggia Dioma, fra Vicenza e Monteviale, non ha un euro di finanziamento, per non parlare del bacino del Trissino per il quale è in corso un'inchiesta della magistratura per concussione e turbativa d'asta;
    nel padovano la prima necessità è, o meglio dovrebbe essere, completare l'idrovia, che riprenderebbe le acque convogliate nel Brenta dopo essere state prese attraverso il San Gregorio e il Piovego, e le porterebbe verso la laguna di Venezia, alleggerendo la valle del Brenta e mettendo in sicurezza la zona industriale di Padova;
    gli ambientalisti hanno fatto presente che molte di queste opere si tradurrebbero in un'ulteriore devastazione di un territorio già eroso da decenni di cementificazione e dalla scarsa conoscenza delle leggi idrauliche (anche in agricoltura), considerando anche che i proprietari dei terreni agricoli che lottano per ottenere un equo prezzo di compravendita anziché indennizzi;
    nessuno, però, dubita della necessità di creare sfoghi in un Veneto saturo di aree urbanizzate anche se un recente studio inglese, venuto alla luce dopo le terrificanti esondazioni avvenute nel Regno Unito, ha dimostrato come la soluzione ideale sarebbe quella di rimboschire: nel suolo sotto agli alberi l'acqua penetra in profondità a una velocità 67 volte maggiore rispetto a quella nel suolo sotto l'erba e defluisce lungo i canali creati dalle radici degli alberi; in questo caso il terreno si comporta da spugna, da serbatoio che assorbe l'acqua per poi rilasciarla lentamente. Un fiume può trasportare solo una minima parte dell'acqua che cade nel suo bacino: il grosso deve finire nelle piane alluvionali ed essere assorbito dal suolo. Costruendo invece argini più alti, riducendo la lunghezza dei fiumi attraverso l'eliminazione delle anse e rimuovendo gli alberi morti e ogni altro ostacolo, gli ingegneri involontariamente aumentano la velocità di deflusso, cosicché l'acqua si riversa nei fiumi e nelle città molto più in fretta;
    la regione ha investito 150 milioni di euro per le opere a progetto, e ne dovranno arrivare altri 200 milioni di euro per i bacini rimanenti, ma per l'intera manutenzione dei fiumi e il bacino scolante su Venezia servono in tutto 1 miliardo e 700 milioni;
    il decreto-legge sugli enti territoriali prevede agevolazioni tributarie temporanee previste per la zona franca dei territori dell'Emilia Romagna colpiti dal sisma consistenti nella parziale esenzione dalle imposte sui redditi e dall'Irap, alle condizioni di legge, nonché dall'esenzione degli immobili produttivi dalle imposte municipali. Si prevede inoltre la proroga al 31 dicembre 2016 del termine di scadenza dello stato di emergenza fissato dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 74 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 2014, n. 93, conseguente agli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012 verificatisi nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, e sono disposte misure per la città di Venezia attraverso una modifica all'articolo 4, primo comma, della legge 29 novembre 1984, n. 798, che integra la composizione del comitato, a cui è demandato, ai sensi del terzo comma della medesima disposizione oggetto della novella, l'indirizzo, il coordinamento ed il controllo per l'attuazione degli interventi per la salvaguardia di Venezia;
    per quanto riguarda i territori devastati dall'alluvione in Veneto, non sono state ad oggi disposte misure realmente soddisfacenti e la comunità scientifica italiana ed internazionale ha da tempo messo in stretta correlazione i cambiamenti climatici ad un aumento della frequenza ed intensità di eventi estremi di origine meteorologica o idrologica: ciò viene chiaramente stigmatizzato anche nella Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    è fondamentale anche un accenno all'alluvione verificatasi a Firenze sabato 1o agosto 2015: i firmatari del presente atto di indirizzo si chiedono se il comune sapeva che, nel tardo pomeriggio del 1o agosto, si sarebbe scatenato l'inferno nella zona di Firenze sud (Gignoro, Rovezzano, zona dell'Anconella, Girone) e che l'Italia dei treni si sarebbe spezzata in due per il guasto alla linea elettrica capace di bloccare gli Eurostar. La valutazione dei danni a ventiquattro ore dal nubifragio è stata sconfortante visti i collegamenti da ripristinare e le case da risistemare, e ci si rende conto per l'ennesima volta della fragilità di Firenze nel periodo dei cambiamenti climatici,

impegna il Governo:

   ad adottare, anche attraverso ulteriori interventi normativi e opportuni stanziamenti, ogni iniziativa utile a sostegno dei comuni della riviera del Brenta colpiti dal tornado dell'8 luglio 2015, per rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita, della funzionalità dei servizi essenziali, per la riduzione del rischio residuo, per la ricostruzione e per il risarcimento dei danni, stabilendo delle misure che garantiscano parità di trattamento per tutti i comuni facenti parte delle zone colpite da fenomeni naturali che hanno provocato ingenti danni ambientali;
   ad assumere in particolare efficaci iniziative affinché:
    a) le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per il ripristino dai danni subiti non siano conteggiate ai fini del patto di stabilità interno;
    b) vengano sospesi l'invio delle cartelle esattoriali e gli oneri fiscali e contributivi, fino al ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione, predisponendo un piano di rateizzazione per il rientro della propria posizione debitoria nei confronti del fisco;
    c) siano previsti sgravi fiscali per la ricostruzione ed il restauro degli edifici colpiti e dei beni artistico-architettonici;
    d) per gli edifici dichiarati inagibili, per tutto il periodo di inagibilità, sia sospeso il pagamento dei mutui, dei finanziamenti e dei tributi locali, utilizzando a compensazione verso i creditori un fondo di solidarietà appositamente istituito anche con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti;
   a procedere con urgenza alla definizione di criteri oggettivi che, in caso di future calamità naturali sul territorio italiano, garantiscano ai territori colpiti parità di trattamento in proporzione all'entità dei danni subiti;
   a convertire la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, redatta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in un piano vero e proprio, anche con il supporto dell'unità di missione «Italia sicura», individuando una scala di priorità tra gli interventi ivi contenuti, un cronoprogramma di attuazione ed un piano di finanziamenti certi, prevedendo lo stanziamento dei primi fondi già a partire dalla prossima legge di stabilità.
(1-00972) «Segoni, Turco, Prodani, Rizzetto, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci».


   La Camera,
   premesso che:
    nel pomeriggio di mercoledì 8 luglio 2015, il Veneto è stato colpito da forti fenomeni temporaleschi che hanno provocato molteplici danni in diverse zone della regione;
    l'epicentro della calamità si è manifestato nei comuni di Dolo, Cazzago, Pianiga e Mira in provincia di Venezia, dove si è abbattuta una tromba d'aria che ha divelto tetti di abitazioni e fabbriche, sradicato alberi e sollevato autovetture con persone a bordo, provocando la morte di una persona e centinaia di feriti; molte autovetture sono finite all'interno dei canali e talune dimore storiche hanno subito ingenti danni;
    la tromba d'aria ha infatti devastato anche alcune fra le più delle ville storiche del Veneto: Villa Santoridi-Toderini-Fini, a Dolo, capolavoro del Settecento, è l'emblema del disastro: pochi minuti hanno letteralmente cancellato quattro secoli di storia, abbattuti dalla violenza del vento e dagli alberi che, sradicati dalle raffiche di vento, le sono crollati addosso. I danni sono ingenti e, in alcuni casi, irrecuperabili, sia ai complessi monumentali, sia ai parchi e alla loro vegetazione storica;
    il tragico bilancio reca la devastazione di molte realtà imprenditoriali ed artigiane, con effetti pesantissimi in termini di danni materiali ed economici che, in alcuni casi, hanno portato al blocco dell'attività produttiva. A ciò si sommano danni «collaterali», che stanno creando situazioni di vera emergenza verso le famiglie e le persone colpite dall'evento;
    le sole aziende agricole dei comuni di Dolo, Mira e Pianiga, contano danni per 2,5 milioni di euro: il calcolo riguarda in particolare le strutture agricole (serre, capannoni, rimesse) e la bonifica dei suoli dai detriti (che si preannuncia molto costosa). Sono invece escluse dal conto le colture e le abitazioni private degli agricoltori;
    la regione Veneto ha immediatamente dichiarato lo stato di crisi, valutando nel complesso danni per circa 100 milioni di euro; il Governo ha invece approvato la dichiarazione dello stato di emergenza, stanziando per i primi interventi 2 milioni di euro;
    il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2015, all'articolo 1, comma 10-bis, ha già stabilito una riduzione degli obiettivi del Patto di stabilità per l'anno 2015 in favore dei comuni di Dolo, Pianiga e Mira. In particolare, la norma dispone una riduzione dell'obiettivo del patto per un importo massimo complessivo di 7,5 milioni di euro, da ripartirsi tra ciascuno dei predetti comuni nei seguenti importi massimi: 5,2 milioni di euro per il comune di Dolo; 1,1 milioni di euro per il comune di Pianiga; 1,2 milioni di euro per il comune di Mira;
    il sopraddetto intervento non è comunque sufficiente: sono necessarie disposizioni più incisive volte innanzitutto a sospendere i termini per l'adempimento degli obblighi tributari a favore di cittadini ed imprese colpiti e fortemente danneggiati dagli eventi atmosferici;
    purtroppo, anche recentemente, diverse zone del territorio italiano sono state colpite e devastate da simili, violenti fenomeni atmosferici; in molti casi, il Governo, assieme alla dichiarazione dello stato di emergenza, ha disposto provvedimenti speciali volti a tutelare i residenti nelle zone colpite;
    in particolare, la regione Veneto da troppo tempo si trova isolata ad affrontare situazioni di tale portata. È pertanto opportuno un intervento normativo volto a stabilire criteri di automaticità nella distribuzione delle risorse da destinare ai comuni in caso di eventi calamitosi,

impegna il Governo:

   ad intraprendere, anche sentita la regione Veneto, ogni iniziativa utile a sostegno dei comuni della riviera del Brenta colpiti dalla tromba d'aria dell'8 luglio 2015, e, in particolare:
    a) ad assumere iniziative per disporre, per un adeguato periodo di tempo, la sospensione dei termini dei versamenti, degli adempimenti tributari, inclusi quelli derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, nei confronti delle persone fisiche nonché dei soggetti che svolgono attività d'impresa artigianale e commerciale, che hanno subito danni alle abitazioni private, agli studi professionali e alle strutture aziendali;
    b) a promuovere ogni iniziativa di sostegno dei beni privati, nonché delle attività economiche, anche alla luce di quanto già disposto in precedenza per altri territori colpiti da calamità naturali;
    c) ad attivarsi al fine di escludere dal computo del Patto di stabilità interno per i comuni della provincia di Venezia e del Veneto gli interventi urgenti e necessari alla ricostruzione;
    d) ad utilizzare le risorse del residuo rimasto del Fondo per le emergenze nazionali del 2015 ed eventualmente prevedere anche impegni del Fondo per il 2016 a favore dei beni pubblici e privati, e delle attività economiche danneggiate, per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo;
    e) ad assumere specifiche iniziative volte al recupero del patrimonio architettonico e culturale gravemente danneggiato dagli eventi atmosferici, attraverso lo stanziamento di risorse e semplificando le procedure burocratiche;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative volte ad un intervento organico di misure in grado di accelerare i tempi per le ricostruzioni, semplificare le procedure burocratiche e stabilire criteri di automaticità nella distribuzione delle risorse da destinare ai comuni in caso di eventi calamitosi.
(1-00973) «Brunetta, Alberto Giorgetti, Milanato, Longo, Palese, Occhiuto».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 8 primo comma della legge n. 212 del 2000, denominata «Statuto dei diritti del contribuente», prevede che «l'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione»;
    il contribuente può avvalersi dell'istituto della compensazione tributaria in due fondamentali modalità: per via «verticale», che consente di recuperare crediti sorti in periodi precedenti con debiti della stessa imposta e per via «orizzontale» utilizzando un credito relativo ad un determinato tributo per pagarne uno diverso;
    l'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997 elenca i debiti e crediti che possono essere compensati in modo orizzontale. Tra questi i principali sono: imposte sui redditi, relative addizionali e ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto; imposta sul valore aggiunto; imposte sostitutive delle imposte sui redditi; contributi previdenziali e assistenziali; diritto camerale e tassa di concessione governativa;
    la compensazione verticale – ossia tra crediti e debiti relativi allo stesso tributo – è di agevole esecuzione per il contribuente e non è soggetta a particolari limiti o procedure. Essa può essere effettuata in due modi alternativi: tramite il modello F24, esponendo distintamente le somme a credito maturate nei periodi trascorsi da quelle a debito in modo da azzerare il versamento ovvero ridurlo oppure, come accade più frequentemente, in sede di dichiarazione, decurtando dall'imposta a debito del periodo i crediti maturati nei periodi precedenti;
    a differenza della modalità verticale quella orizzontale – che consente la compensazione tra tributi di diversa natura – presenta maggiori limiti normativi e molte più complessità per il contribuente che intende avvalersene. In particolare negli ultimi anni si sono succedute una serie di disposizioni restrittive dell'istituto in parola ispirate dalla necessità di arginare fenomeni abusivi ed errori di computo che possano cagionare danni erariali ma che, al contempo, hanno imposto ai contribuenti – ivi compresi quelli di dimensioni molto ridotte – una significativa complicazione degli adempimenti amministrativi e l'obbligo di affidarsi ai servizi professionali di terzi per certificare i propri crediti tributari nell'ipotesi in cui le somme compensate superino determinati importi;
    in particolare, per i crediti IVA le compensazioni orizzontali sono «libere» solo per importi annuali complessivi inferiori a 5.000 euro e possono essere effettuate, tramite il modello F24, dal primo giorno del periodo d'imposta successivo a quello in cui il credito è maturato. Per importi compresi tra 5.000 e 15.000 euro, invece, la compensazione potrà essere effettuata solo dopo la presentazione della dichiarazione Iva e, più precisamente, dal giorno 16 del mese successivo a quello in cui la dichiarazione è stata inviata. A tal fine i pagamenti dovranno essere disposti esclusivamente tramite il software messo a disposizione dall'Agenzia delle entrate (Fisconline o Entratel), per cui è inibita la possibilità di utilizzare i sistemi di home banking degli istituti di credito e delle Poste Italiane (provvedimento dell'Agenzia delle entrate 185430/2009). Per i crediti IVA di ammontare superiore a 15.000 euro, infine, la compensazione potrà essere effettuata solo alla ulteriore condizione che la dichiarazione IVA sia provvista di visto di conformità apposto, da soggetti abilitati, iscritti in un apposito registro tenuto dall'Agenzia delle entrate (dottori commercialisti ed esperti contabili, i consulenti del lavoro, i soggetti di cui all'articolo 3, comma 3, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 22 luglio 1998);
    per le altre imposte vige, invece, la disposizione di cui al comma 574 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (Legge di Stabilità 2014) la quale prevede che, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, i contribuenti che utilizzano in compensazione i crediti relativi alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, alle ritenute alla fonte, alle imposte sostitutive delle imposte sul reddito e all'imposta regionale sulle attività produttive, per importi superiori a 15.000 euro annui, hanno l'obbligo di richiedere l'apposizione del visto di conformità, relativamente alle singole dichiarazioni dalle quali emerge il credito. In alternativa al suddetto visto è ammesso che i soggetti che esercitano il controllo contabile possono sottoscrivere la dichiarazione fiscale per attestare l'esecuzione dei controlli richiesti dalla normativa;
    come evidenziato con la circolare Agenzia delle entrate n. 28 del 25 settembre 2014, i soggetti legittimati al rilascio del visto sono i responsabili dell'assistenza fiscale dei Caf-imprese e dei Caf-dipendenti, gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e in quelli dei consulenti del lavoro, gli iscritti al 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi. In alternativa al visto di conformità, le società tenute al controllo contabile (articolo 2409-bis del codice civile) possono utilizzare in compensazione i crediti afferenti alle imposte dirette superiori a 15 mila euro, se la dichiarazione è sottoscritta dallo stesso organo che si occupa del controllo contabile (collegio sindacale o revisore legale). In questo caso, infatti, si ritiene parimenti eseguita l'attività di controllo prevista ai fini del rilascio del visto di conformità. Il professionista che rilascia il visto deve essere provvisto di una idonea polizza assicurativa, con un massimale non inferiore a 1.032.913,80 euro, per garantire ai propri clienti il risarcimento dei danni eventualmente provocati dall'attività prestata;
    le verifiche che i professionisti incaricati devono svolgere ai fini del rilascio del visto comprendono – per i contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili – la regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie, il controllo dei versamenti tramite modello F24 e delle compensazioni effettuate e la corrispondenza tra i dati esposti nella dichiarazione e quelli contabilizzati. Anche per i contribuenti che non svolgono abitualmente attività professionali, artistiche o di impresa sono previsti – a carico del professionista incaricato – riscontri tra i dati esposti nelle dichiarazioni con le risultanze della documentazione (oneri deducibili e detraibili, detrazioni crediti d'imposta, scomputo delle ritenute d'acconto, versamenti) allo scopo di evitare errori o discordanze;
    ulteriori limiti al diritto di compensazione orizzontale sono stati introdotti, a decorrere dal 1o gennaio 2011, con l'articolo 31 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 il quale stabilisce il divieto di compensare i crediti relativi alle imposte erariali in presenza di importi iscritti a ruolo, né pagati né rateizzati, superiori a 1.500 euro e fino a concorrenza dei medesimi. In caso di inosservanza del suindicato divieto si applica la sanzione del 50 per cento dell'importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessorie per i quali è scaduto il termine di pagamento fino a concorrenza dell'ammontare indebitamente compensato;
    con l'articolo 1, comma 629, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), è stato introdotto, nel decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, il nuovo articolo 17-ter relativo al meccanismo dello split payment, il quale prevede che, con decorrenza dal 1o gennaio 2015, le pubbliche amministrazioni, in relazione agli acquisiti di beni e servizi effettuati nel territorio dello Stato, devono pagare ai fornitori solo il corrispettivo, versando invece direttamente all'Erario l'IVA a regolarmente addebitata in fattura;
    tale meccanismo – noto anche come «scissione dei pagamenti» – persegue finalità di contrasto all'evasione e alle frodi IVA. Tuttavia esso costituisce una singolare eccezione al principio – statuito sia dall'ordinamento nazionale che da quello comunitario – della neutralità dell'imposta sul valore aggiunto che prevede, in via generale, il diritto del contribuente ad effettuare la detrazione dell'IVA assolta sugli acquisti da quella dovuta sulle proprie cessioni di beni e prestazioni di servizi;
    lo split payment introduce elementi di criticità nel suindicato meccanismo di detrazione dell'IVA pagata sugli acquisti da quella dovuta sulle vendite, in quanto quest'ultima viene per l'appunto sistematicamente «scissa» dai pagamenti effettuati dalle pubbliche amministrazioni debitrici e versata direttamente all'amministrazione finanziaria. Ne consegue un generale indebolimento del meccanismo di compensazione verticale periodica del tributo, tanto più imponente e distorsivo quanto maggiori e più frequenti sono le operazioni attive che l'impresa effettua a beneficio del settore pubblico rispetto a quelle svolte nei confronti degli altri soggetti. Sino all'ipotesi di un'impresa che è sistematicamente a credito nei confronti dell'Erario qualora svolga prevalentemente attività di fornitura di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni;
    le associazioni di categoria rappresentative dei comparti produttivi maggiormente interessati dalla misura dello split payment hanno evidenziato come essa comporti un duplice ordine di difficoltà per le imprese: una riduzione dei flussi di cassa attivi che deve essere colmato rifornendosi presso il settore creditizio con conseguente aumento degli oneri per interessi passivi nell'attesa di beneficiare del rimborso del credito IVA o della sua compensazione con altri tributi e un aumento dei costi amministrativi necessari per la certificazione del credito stesso, in ragione della necessaria apposizione del visto di conformità qualora esso superi l'ammontare di 15.000 euro. Operazione, quest'ultima, che può ripetersi anche più volte nell'anno qualora l'impresa abbia i requisiti per richiedere i rimborsi trimestrali IVA oppure intenda effettuarne con analoga periodicità la compensazione, senza attendere i termini più lunghi della dichiarazione IVA annuale;
    l'esigenza di contrastare i fenomeni di abuso e di frode fiscale in materia di compensazioni debba necessariamente essere contemperata con il pieno ed effettivo riconoscimento del diritto del contribuente ad estinguere i debiti tributari tramite tale modalità, rendendone più rapida la fruizione e riducendone i costi e le complessità soprattutto con riferimento ai contribuenti di dimensioni minori per i quali la necessità di ricorrere a servizi professionali esterni per ottenere il visto di conformità – anche per crediti tributari di importo modesto – costituisce un ostacolo e un disincentivo alla fruizione del diritto alla compensazione;
    la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha più volte ribadito (si vedano la sentenza del 25 ottobre 2011, causa C-78/00; la sentenza del 10 luglio 2008, causa C-25/07 e la sentenza 28 luglio 2011, causa C-274/10) che viola la VI direttiva Cee una norma di uno Stato membro che non permetta all'impresa un'immediata fruizione, anche tramite compensazione, del totale del suo credito IVA, stabilendo al riguardo un massimale,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate:
   ad innalzare l'ammontare complessivo annuale entro il quale il credito IVA può essere liberamente compensato con altre imposte senza necessità di particolari adempimenti dall'attuale soglia di 15.000 euro alla soglia di 30.000 euro;
   ad innalzare l'ammontare complessivo annuale entro il quale i crediti derivanti da altre imposte possono essere liberamente utilizzati in compensazione senza necessità di particolari adempimenti dall'attuale soglia di 15.000 euro alla soglia di 30.000 euro;
   ad innalzare il limite di cui all'articolo 31 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 il quale stabilisce il divieto di compensare i crediti relativi alle imposte erariali in presenza di importi iscritti a ruolo, né pagati né rateizzati, a 3000 euro;
   ad introdurre – soprattutto a beneficio delle imprese di dimensioni minori e di quelle maggiormente incise dal meccanismo dello split payment – modalità alternative all'apposizione del visto di conformità per certificare i crediti IVA da usare in compensazione, anche quale incentivo all'adozione del sistema di fatturazione elettronica e alla trasmissione telematica delle fatture e dei corrispettivi, in un'ottica di collaborazione tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, di semplificazione degli adempimenti e di riduzione dei relativi costi.
(7-00759) «Ruocco».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 gennaio 2015 ha disposto il trasferimento di funzioni in materia di tenuta degli albi provinciali degli autotrasportatori dalle province agli uffici periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in attuazione dell'articolo 1, comma 94, della legge n. 147 del 2012 (legge di stabilità 2014);
    secondo l'articolo 1 di tale decreto, infatti, «sono attribuite agli uffici periferici della Motorizzazione civile, nell'ambito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, le funzioni già trasferite alle amministrazioni provinciali ai sensi dell'articolo 105, comma 3, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in materia di tenuta degli Albi provinciali, quali articolazioni dell'Albo nazionale degli autotrasportatori, ivi compresa la verifica della sussistenza dei requisiti per l'esercizio della professione di autotrasportatore relativi all'onorabilità, alla capacità professionale, alla capacità finanziaria e allo stabilimento, come definiti dal Regolamento CE 1071/2009»;
    il passaggio di competenze dalle province alla motorizzazione civile, divenuto operativo in data 4 maggio 2015, si sta rivelando molto complesso per una serie di problematiche che hanno investito gli uffici territoriali, a cominciare dal mancato trasferimento, in molti casi, degli strumenti tecnici di base necessari per l'esecuzione del lavoro, quali ad esempio le password di accesso al sistema telematico dell'Albo nazionale autotrasportatori di cose per conto di terzi;
    gli uffici della motorizzazione civile, in base all'articolo 2 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, hanno, tra gli altri, i compiti di ricevere e istruire le domande delle imprese per l'iscrizione nell'Albo e di decidere sul loro accoglimento;
    in particolar modo negli uffici territoriali della Sardegna tali operazioni si stanno rivelando impossibili e ciò sta comportando notevoli disagi agli imprenditori del settore che, non potendo perfezionare l'iscrizione nell'Albo o non potendo effettuare modifiche della propria posizione, sono a oggi nella condizione di dover rimandare l'inizio delle attività nei casi di nuove imprese o di rischiare la perdita di contratti in essere nei casi di variazione con gravi conseguenze per la stabilità economica delle società;
    ulteriori criticità si stanno manifestando in relazione allo svolgimento delle operazioni di revisione dei veicoli per le quali i proprietari dei mezzi sono costretti a tempi di attesa lunghissimi, che arrivano fino a un anno in Sardegna, anche a causa del sottodimensionamento degli organici degli uffici territoriali,

impegna il Governo

ad adottare urgentemente iniziative volte alla soluzione in tempi rapidi delle problematiche esposte in premessa, affinché gli imprenditori del settore dell'autotrasporto possano procedere senza ulteriori attese all'iscrizione nell'albo degli autotrasportatori o alla variazione della propria posizione, possano sottoporre con tempistiche adeguate il proprio veicolo alla revisione prevista dalla normativa vigente e non siano pertanto ostacolati nello svolgimento del proprio lavoro.
(7-00760) «Nicola Bianchi, Petraroli».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    al fine di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione dei prezzi, il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, coordinato con legge di conversione 2 luglio 2015, n. 91, consente l'istituzione di commissioni uniche nazionali (CUN) per le filiere maggiormente rappresentative del sistema agricolo-alimentare italiano;
    la determinazione da parte delle CUN di quotazioni di prezzo che gli operatori commerciali possono adottare come riferimento nei contratti di compravendita e di cessione stipulati, ai sensi delle norme comunitarie e nazionali vigenti, segna un decisivo cambio di passo nelle relazioni contrattuali che si svolgono all'interno delle filiere agricole, anche in linea con quanto disposto dal Regolamento (Unione europea) n. 1308 del 2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli;
    è noto infatti che, attualmente, i prezzi, rilevati dalle borse merci, dalle sale di contrattazione e dalle commissioni prezzi provinciali, evidenziano criticità non marginali:
     non sempre rispecchiano quotazioni di riferimento univoche, trasparenti e rappresentative;
     sono spesso espressione di mercati locali e troppo spesso influenzati da dinamiche oligopolistiche territoriali o di prodotti, risultando spesso il risultato di meccanismi di cartello con gravi restrizioni alla libera concorrenza;
     per il loro anacronismo non sono un prodotto utile agli operatori attuali che operano su un mercato sempre più nazionale e internazionale;
     rilevano il prezzo a posteriori e non sono pertanto il frutto di una reale contrattazione interprofessionale;
    il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, coordinato con legge di conversione 2 luglio 2015, n. 91, assegna ad un decreto del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali l'adozione di disposizioni di dettaglio concernenti l'istituzione e le sedi delle CUN e dispone che, in caso di istituzione di una CUN le borse merci ed eventuali commissioni prezzi e sale contrattazioni, istituite presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sospendano l'autonoma rilevazione per le categorie merceologiche per cui sono operative le CUN;
    al fine di assicurare il corretto funzionamento delle CUN è indispensabile che nella predisposizione della normativa di dettaglio, siano rispettati i princìpi di neutralità, di trasparenza e di oggettiva rappresentanza professionale e territoriale,

impegna il Governo:

   nell'adozione del decreto ministeriale di cui al punto 1, articolo 6-bis del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, coordinato con legge di conversione 2 luglio 2015, n. 91:
    ad assicurare il rispetto del principio di neutralità, attraverso una regolamentazione che limiti i possibili conflitti di interessi e che ostacoli intese restrittive alla libera concorrenza;
    ad assicurare il rispetto del principio di trasparenza, tramite la predisposizione di un regolamento generale di funzionamento delle CUN, l'accesso regolamentato ai verbali delle riunioni delle CUN, la pubblicazione dei listini agevolandone l'accessibilità nei modi più funzionali possibili;
    ad agevolare il lavoro dei componenti delle CUN con la messa a disposizione, da parte di tutti i detentori pubblici (ministeri, enti economici e non, centri di ricerca...), dei dati e delle informazioni di mercato il più possibile completi;
    ad agevolare la partecipazione dei componenti designati alle riunioni delle CUN in tutte le possibili soluzioni e modalità, atteso che la norma prevede la non corresponsione di alcuna forma di emolumento, né per le attività né per i costi di trasferimento degli stessi;
    ad assicurare l'oggettiva rappresentanza professionale e territoriale secondo criteri di rappresentatività del mercato (numero soci iscritti, quantità di prodotto, tipologia di operatore, eccetera) e specifiche procedure di nomina e di rinnovo.
(7-00758) «L'Abbate, Gallinella, Gagnarli, Lupo, Parentela, Massimiliano Bernini, Benedetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la perdurante situazione di grave di crisi economica e sociale del Mezzogiorno e lo stato di attuazione del programma di utilizzo dei fondi europei ad esso destinati, non possono non suscitare profonda preoccupazione e sollecitare una significativa inversione di tendenza nell'azione dello Stato;
   il Presidente del Consiglio sin dal suo insediamento ha ripetutamente dichiarato che fa parte degli indirizzi prioritari del Governo accrescere rapidamente la capacità di spesa dei fondi europei del vecchio ciclo (2007-13) e del nuovo (2014-20) e nello stesso tempo migliorare la qualità della spesa;
   secondo gli ultimi dati forniti dal DPS (dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica) al 30 maggio 2015, ovvero a sette mesi dalla scadenza fissata dalla Unione europea per la certificazione della spesa del ciclo dei fondi europei 2007-13, risultano ancora non spesi 12,3 miliardi, pari al 26,4 per cento della dotazione complessiva, di cui circa 10 miliardi nelle regioni del Mezzogiorno;
   nel precedente Governo, il Ministro per la coesione territoriale aveva avviato una serie di iniziative di riprogrammazione per accelerare la spesa e concentrarla su alcuni obiettivi anticiclici e tali iniziative di riprogrammazione riguardavano anche il Fondo sviluppo e coesione e il Piano di azione coesione;
   altre ipotesi di riprogrammazione a livello centrale, con il coordinamento del Ministro e la concertazione con le regioni, erano state annunciate in relazione all'andamento della spesa dei programmi operativi regionali e nazionali (gestiti da vari ministeri);
   nel gennaio 2014 si è ufficialmente avviato il nuovo ciclo dei fondi strutturali europei 2014-20 e che le risorse europee a disposizione del nostro Paese ammontano a 41,5 miliardi, ai quali vanno aggiunti il cofinanziamento nazionale e il Fondo sviluppo e coesione un valore complessivo che supera i 100 miliardi;
   non risulta che a più di un anno e sei mesi dall'avvio del nuovo ciclo si sia iniziato a utilizzare tali risorse, pur in presenza di una situazione di grave crisi economica e sociale del Mezzogiorno;
   i POR e i PON sono stati approvati dalla Commissione europea solo negli ultimi mesi e alcuni restano ancora da approvare e non risulta che siano state intraprese iniziative per integrare più efficacemente detti programmi operativi nazionali e regionali in sede di formulazione, in modo da contrastare la dispersione delle risorse e favorire la loro concentrazione su pochi obiettivi di rilievo strategico, così come formulati nelle premesse dell'Accordo di partenariato presentato alla Unione europea e così come auspicato dai precedenti ministri dei Governi Monti e Letta;
   non risulta inoltre che siano in corso iniziative specifiche adeguate per accelerare l'utilizzo delle risorse;
   il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), istituito con il decreto legislativo n. 88 del 2011, comprende le risorse nazionali destinate al riequilibrio territoriale e che tale decreto prevede che nella legge di stabilità, che precede il nuovo ciclo dei fondi europei, venga fissato l'ammontare complessivo (per la durata del ciclo dei fondi europei) delle risorse nazionali da utilizzare per obiettivi di coesione territoriale attraverso il FSC (articolo 5). Con la legge di stabilità approvata nel 2013 la dotazione del FSC è stata determinata in 54 miliardi per il settennio 2014-20. La percentuale riservata alle regioni meridionali è stata fissata all'80 per cento. Tuttavia, a quasi due anni dalla determinazione di tale stanziamento, non risulta che sia stato avviato il processo di programmazione strategica del Fondo, per il quale è prevista una destinazione prevalente a grandi reti infrastrutturali, materiali e immateriali (articolo 4 comma 3); programmazione strategica da realizzarsi in stretta connessione con quella dei fondi europei (articolo 4 comma 2);
   l'Agenzia per la coesione territoriale, istituita dall'articolo 10 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 costituisce un'importante innovazione al fine di promuovere un più efficace coordinamento nazionale nella programmazione dell'uso dei fondi europei e per la integrazione di tali risorse con quelle del FSC, prima ricordato. Inoltre, ad essa sono attribuiti compiti di accompagnamento e di supporto delle autorità di gestione dei programmi operativi regionali e nazionali, anche ai fini dell'accelerazione degli interventi e se necessario di riprogrammazione; in casi di particolare gravità, la Agenzia può inoltre assumere poteri sostitutivi. La legge istitutiva prevedeva che lo statuto dell'Agenzia venisse adottato entro il 1o marzo 2014 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Lo statuto è stato in realtà adottato il 9 agosto 2014. Il direttore è stato scelto nel luglio del 2014 e si è insediato nel dicembre 2014. Tuttavia, l'Agenzia non risulta a tutt'oggi pienamente operativa per la mancanza di regolamenti relativi all'organizzazione e alla contabilità. Di fatto, l'Agenzia non ha quindi potuto finora svolgere efficacemente i ruoli per cui era stata con urgenza istituita, con nocumento sia della necessaria azione di riprogrammazione dei fondi 2007-13 – con i relativi i rischi di perdita consistente di tali risorse prima ricordati – che del necessario contributo di coordinamento dei fondi del nuovo ciclo e della loro programmazione integrata con il Fondo per lo sviluppo e la coesione;
   la scelta di ridurre il cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento ai programmi operativi di alcune regioni meno sviluppate dovrebbe alimentare una programmazione «parallela», sull'esempio del PAC. Tuttavia, in mancanza di una programmazione certa degli interventi finanziati con queste risorse «liberate», rischia di tradursi in un'ulteriore riduzione dell'impegno finanziario dello Stato per le politiche di sviluppo e di coesione nel Mezzogiorno;
   avendo il Presidente del Consiglio rinunciato alla presenza nel suo Governo di un Ministro delegato per la coesione territoriale, le relative deleghe sono state affidate al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio. Tuttavia, in seguito alla nomina di quest'ultimo a Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il 2 aprile 2015, le deleghe non sono state più riattribuite, in un momento peraltro cruciale per la conclusione del vecchio ciclo dei fondi e l'avvio del nuovo –:
   se l'azione del Governo non sia stata obiettivamente contrastante con gli indirizzi programmatici – ripetutamente espressi dallo stesso Presidente del Consiglio – volti a accelerare il più possibile la spesa dei fondi, migliorandone al contempo la qualità, e quindi l'impatto positivo sulla grave situazione economica e sociale del Mezzogiorno, sulla quale concordano i principali istituti di ricerca;
   se non ritengano pertanto necessario rivedere la scelta di non avvalersi di un Ministro per la coesione territoriale pienamente impegnato nel compito di coordinare più efficacemente l'impiego delle risorse europee e nazionali, rafforzando il suo ruolo con la possibilità di usufruire della piena operatività dell'Agenzia per la coesione territoriale ed, eventualmente, con l'introduzione di modifiche nei meccanismi istituzionali di governo delle politiche di coesione che rendano possibile un miglior coordinamento e una più efficace strategia nazionale;
   se non ritengano altresì necessaria una maggiore attenzione complessiva al problema dello sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno – attualmente, a parere degli interpellanti, marginale nell'azione del Governo – inteso come componente centrale e ineludibile della strategia per la ripresa complessiva del Paese e, a tal fine, quali iniziative intendano intraprendere in questa direzione.
(2-01056) «Speranza, Cuperlo, Albini, Amato, Amoddio, Argentin, Beni, Borghi, Bossa, Bruno Bossio, Capodicasa, Carra, Carrozza, Casellato, Cenni, Cimbro, D'Attorre, Epifani, Gianni Farina, Folino, Fontanelli, Fossati, Carlo Galli, Giorgis, Gnecchi, Iacono, La Marca, Laforgia, Lattuca, Leva, Patrizia Maestri, Marzano, Miotto, Mognato, Murer, Giorgio Piccolo, Pollastrini, Preziosi, Rigoni, Roberta Agostini, Giovanna Sanna, Stumpo, Terrosi, Ventricelli, Zappulla, Zoggia, Fabbri, Malisani».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   «Finmeccanica» è il primo gruppo industriale italiano nel settore dell'alta tecnologia ed opera in settori legati alla difesa (elettronica, elicotteristica, aeronautica, aerospazio e politiche spaziali), ai trasporti ed all'energia, ed il suo maggiore azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze;
   «Finmeccanica» conta sedi sparse in tutto il mondo e circa 70.000 dipendenti ed è uno dei principali gruppi industriali italiani sotto controllo statale, e di conseguenza, le decisioni assunte dal suo gruppo dirigente relativamente alle politiche industriali attuate da «Finmeccanica» sono derivazioni di scelte politiche in senso stretto;
   l'azienda «SELEX ES», facente parte del gruppo «Finmeccanica», opera in Italia sia nel settore civile che in quello militare, ed occupa oltre 12.500 persone su tutto il territorio nazionale, di cui oltre il 70 per cento con qualifiche tecniche;
   la sede della «SELEX ES» di Taranto (TA), sita in Viale del Lavoro, conta ad oggi oltre 170 dipendenti, composti da personale altamente qualificato in ambito ingegneristico che opera nei settori dell'aerospazio e della difesa, di concerto con la Marina militare, l'Aeronautica e l'Esercito, e di applicazioni civili in svariati settori strategici nazionali;
   nello specifico l'attività del sito «SELEX ES» della provincia jonica (che nel corso del tempo ha acquisito le società «Datamat» prima «Space Software Italia» poi) è da sempre punto di riferimento per la Marina militare, con collaborazioni importanti sia nell'ambito di progetti logistici, sia in ambito di comando e di controllo sulle unità navali a terra;
   ad oggi, per quanto a conoscenza degli interpellanti, risulta essere prevista una riduzione dell'impegno industriale di «Finmeccanica» sul territorio Tarantino, dato che, nonostante l'acquisizione del cosiddetto contratto di «Legge Navale» (o «Programma Navale»), si mette a serio rischio la funzionalità e la continuità delle attività del capoluogo jonico dislocando totalmente le nuove commesse su altre realtà italiane, come si evince anche dalla conferenza sulla legge navale tenutasi a Porto Lotti (SP) il 17 luglio 2015, alla presenza, fra gli altri, del Capo di Stato Maggiore della Marina militare, ammiraglio De Giorgi, dell'amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti;
   il rischio dello smembramento, o della messa in liquidazione, di una realtà altamente tecnologica come la «SELEX ES» rischia di pregiudicare definitivamente la situazione sociale ed occupazione della provincia jonica –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
   quali iniziative urgenti intenda assumere per scongiurare il rischio di una riduzione dell'impegno finanziario ed industriale del gruppo Finmeccanica nei confronti della SELEX ES di Taranto, date le immaginabili conseguenze drammatiche sotto il profilo occupazionale e della desertificazione industriale di un territorio già duramente colpito dalla crisi economica.
(2-01057) «Duranti, Ferrara, Ricciatti, Pannarale, Piras, Sannicandro».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il violento nubifragio che ha colpito la città di Firenze, il 1o agosto 2015 causando numerosi allagamenti, danneggiamenti ad edifici pubblici e privati, alle reti idriche e di illuminazione, nonché alle infrastrutture viarie e alle attività produttive, evidenzia nuovamente l'esigenza di incrementare le risorse da destinare alle politiche di prevenzione e di messa in sicurezza dei territori, per fronteggiare la frequenza molto ravvicinata di fenomeni atmosferici di particolare intensità, legati ai cambiamenti climatici che avvengono a livello globale;
   la tromba d'aria, che ha interessato un'area di circa un chilometro di diametro nella zona sud-est di Firenze, ha devastato interi quartieri abitati, determinando forti disagi alla popolazione interessata e gravissimi danni a condomini, parchi, giardini, scuole, impianti sportivi e alberature dei viali, con pesanti ripercussioni sulle attività commerciali cittadine, alcune delle quali impossibilitate a riprendere le normali condizioni di lavoro ed altre con ingenti danni alle strutture e alla merce;
   il violento temporale, che ha registrato una precipitazione d'acqua di 50 millimetri in circa un'ora e mezza, con picchi d'intensità di 22 millimetri in 15 minuti, ha richiesto centinaia di interventi d'emergenza da parte dei vigili del fuoco e della protezione civile in risposta a richieste di soccorso a cui in taluni casi non è ancora stato;
   in considerazione dei livelli di criticità e degli esiti dei sopralluoghi effettuati dai servizi di soccorso, risulta urgente e necessario, ad avviso degli interroganti, porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario finalizzate al superamento della grave situazione determinatasi a seguito degli eventi meteorologici in rassegna –:
   quali iniziative urgenti, il Governo intenda intraprendere, al fine di fronteggiare le criticità derivanti dal nubifragio che ha colpito la città di Firenze, nella giornata dal 1o agosto 2015;
   se, in considerazione della situazione emergenziale determinatasi a seguito dell'evento meteorologico esposto in premessa – che per intensità ed estensione non è contrastabile con mezzi e poteri ordinari – il Governo non ritenga opportuno deliberare lo stato di emergenza ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, commi 1 e 1-bis della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e successive modificazioni.
(2-01061) «Parisi, Faenzi».

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, SCAGLIUSI, SPADONI, GRANDE e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con ricorso (numero di registro generale 14701/2014) presentato al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione Terza-ter) e notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministero dell'economia e delle finanze il 13 novembre 2014 e depositato il successivo 26 novembre, l'Associazione «Casa de Italia inc.», il Comitè ad hoc per la non chiusura dell'Ambasciata d'Italia in Santo Domingo, nonché i signori ingegner Renzo Seravalle e il ragionier Angelo Carmelo Vito, impugnavano il decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 2014, pubblicato il 13 settembre 2014, con il quale veniva disposta la soppressione dell'Ambasciata d'Italia in Santo Domingo (Repubblica Dominicana);
    il decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 2014 è stato emesso in attuazione dell'impegno a proseguire nell'azione di riorganizzazione degli uffici della rete diplomatico-consolare all'estero, impegno derivante dal decreto-legge 95/2012 convertito con legge 135/2012;
   l'Ambasciata d'Italia in Santo Domingo (Repubblica Dominicana) si colloca al 20o posto tra le 116 Ambasciate Italiane nel mondo per numero di iscritti ed è la più grande tra tutte le Ambasciate presenti in America Centrale e nei Caraibi. A Santo Domingo risultano risiedere 9.000 italiani iscritti all'Aire e 20.000 sono presenti stabilmente anche se non iscritti nei registri ufficiali, mentre la presenza di turisti italiani si aggira intorno alle 100.000 unità all'anno, per circa un milione di giornate di presenza sull'isola;
   il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione Terza-ter), riunitosi in camera di consiglio il 25 giugno 2015, ha accolto il ricorso annullando, per l'effetto, il provvedimento impugnato –:
   se e quali iniziative intenda porre in essere per ripristinare l'ambasciata d'Italia in Santo Domingo, soprattutto a seguito dell'intervenuta sentenza del Tar del Lazio. (4-10121)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   FAUTTILLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   per effetto dell'inesatta applicazione della «direttiva rifiuti» in Campania, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha comminato una multa forfettaria di 20 milioni di euro, più una penalità di 120 mila euro per ciascun giorno di ritardo;
   si tratta di inadempienze del nostro Governo che risalgono al 2006 rispetto alle quali è difficile immaginare una soluzione a breve con conseguente susseguirsi delle multe su base giornaliera;
   l'Italia non avrebbe predisposto, come doveva, una rete adeguata d'impianti, come del resto già confermato da una sentenza del 2010 della Corte di giustizia dell'Unione europea cui, pertanto, fa riferimento l'ultima decisione, senza contare che i 20 milioni di euro avrebbero dovuto essere molti di più se si fosse applicato un calcolo molto fiscale sulla base dei 120 mila euro giornalieri;
   secondo i calcoli degli esperti della Commissione europea ci vorranno circa 15 anni per smaltire tutte le cosiddette «ecoballe» stoccate e non smaltite adeguatamente;
   nel mese di gennaio 2015 è stata introdotta una norma in base alla quale «le sanzioni che riguardano le regioni saranno pagate dalle regioni stesse»;
   nel caso in specie sarebbe la regione Campania a dover pagare il conto;
   in una dichiarazione di qualche tempo fa, il Ministro interrogato affermava che «andremo in Europa con la forza delle cose fatte per chiudere i conti con la vecchia e pericolosa gestione. La sentenza della Corte di Giustizia europea che obbliga l'Italia a pagare una pesante multa per la gestione delle discariche sanziona una situazione che risale a sette anni fa. In questo tempo l'Italia si è sostanzialmente messa in regola» e che «siamo passati da 4866 discariche abusive contestate a 218 nell'aprile 2013. Una cifra che a oggi si è ulteriormente ridotta a 45 discariche. Con la legge di stabilità 2014 sono stati stanziati 60 milioni di euro per un programma straordinario che consentirà di bonificare 30 delle 45 discariche rimaste, anche attraverso gli accordi di programma sottoscritti in questi giorni con le regioni Abruzzo, Veneto, Puglia e Sicilia. Le restanti 15 discariche abusive saranno bonificate con un ulteriore impegno di 60 milioni di euro» –:
   a che punto sia la bonifica delle discariche ancora rimaste e a quanto ammonti fino ad oggi il totale delle multe pagate per inosservanza della citata «direttiva rifiuti». (3-01658)


   PRINA, SENALDI, MALPEZZI, BERLINGHIERI, DONATI, GALPERTI, COVA, PAOLO ROSSI, ROMANINI, QUARTAPELLE PROCOPIO, GASPARINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   già nell'estate 2012 l'ecosistema fluviale del fiume Ticino ha rischiato di essere fortemente compromesso da una siccità causata dalla scarsità di piogge dei mesi precedenti. Le criticità rientrarono grazie alla proficua collaborazione tra il Parco Lombardo della Valle del Ticino e il Consorzio del Ticino (l'ente che gestisce il deflusso dell'acqua nel Lago Maggiore); quest'ultimo, infatti, grazie ad un accumulo preventivo d'acqua garantito dal fatto che era stato assunto come livello di riferimento 1,50 metri sullo zero idrometrico a Sesto Calende, liberò nel fiume la quantità d'acqua in eccesso che era conservata nel Lago Maggiore, permettendo al Ticino di sopperire al grave momento, contribuendo, inoltre, ad apportare benefici al fiume Po in cui confluisce il fiume Ticino e garantendo anche la quantità d'acqua necessaria all'attività agricola e alla produzione energetica. Anche le istituzioni preposte hanno segnalato negli ultimi giorni lo «stato comatoso» del fiume Po; infatti, questo sta vivendo una fase di siccità preoccupante per l'agricoltura e per gli operatori turistici costretti a tenere le imbarcazioni attraccate;
   con lettera datata 7 marzo 2014, il direttore dell'ufficio federale dell'ambiente Ufam della Confederazione svizzera ha chiesto chiarimenti al direttore generale per lo sviluppo sostenibile, il clima e l'energia del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in merito alle anomalie riscontrare sulla regolazione del Lago Maggiore e di adoperarsi affinché le istituzioni preposte rispettassero il disciplinare di regolazione (disciplinare in vigore ma risalente al gennaio 1940). Si tratta di una sollecitudine nata dal timore della Confederazione Svizzera di possibili inondazioni derivanti dai forti cumuli sia di neve che di acqua nei bacini di monte nella regione subalpina;
   tale lettera ha creato i presupposti della decisione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, con una nota inviata nel giugno 2014, invitava il Consorzio del Ticino ad adoperare la regolazione dei livelli del lago secondo quanto stabilito dalla vigente regolamentazione, mantenendo la regolazione estiva entro il limite +1,0 metro rispetto allo zero idrometrico di Sesto Calende;
   con nota congiunta, inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i presidenti del Parco Lombardo della Valle del Ticino e del Parco Ticino Piemonte e Lago Maggiore hanno esposto la contrarietà degli enti ad interrompere il programma di sperimentazione del deflusso minimo vitale (dmv) del fiume Ticino/gestione dei livelli del Lago Maggiore. Questi hanno fatto notare come la sperimentazione, avviata cinque anni prima, ha permesso di garantire la quantità d'acqua necessaria agli agricoltori e alle industrie sempre nel rispetto dell'ambiente fluviale. Dalla relazione tecnica del Parco Lombardo della Valle del Ticino in merito al sopracitato programma di sperimentazione, si evince come al 31 maggio 2014 la situazione di accumulo nevoso e dei bacini di monte fosse molto inferiore rispetto agli anni 2012 e 2013, periodo in cui la sperimentazione a quota +1,50 metri era in piena applicazione; ciò non comportò alcun problema idrico né a valle né a monte. La relazione, inoltre, fa osservare come il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia dato seguito ad una richiesta della Confederazione Svizzera senza acquisire alcuna informazione dai soggetti territoriali interessati, considerando che le modalità di regolazione dei flussi del lago siano di competenza solo italiana, con il solo obbligo di comunicazione agli svizzeri;
   il Parco del Ticino nella relazione presentata alla conferenza di servizi del 29 aprile 2015 evidenziava come per l'anno 2015 fosse reale il pericolo della siccità estiva in quanto i grafici di afflusso idrico erano simili a quelli dei precedenti anni che poi si erano dimostrati particolarmente critici (2003, 2006 e 2012) e che nonostante ciò non si è ritenuto necessario riportare il livello a 1,50 metri sullo zero idrometrico di Sesto Calende in modo di avere più risorsa idrica a disposizione;
   con deliberazione n. 1 del 12 maggio 2015 l'Autorità di bacino del fiume Po, in risposta alle istanze del Consorzio Ticino che chiedeva di portare la quota di regolazione estiva del Lago Maggiore a +1,50 metri sullo zero idrometrico di Sesto Calende, ha approvato l'avvio della sperimentazione della regolazione estiva dei livelli del Lago Maggiore imponendo però la quota di livello massimo a +1,25 metri e modalità di svaso preventivo più rigide rispetto a quelle vigenti fino a quel momento. Questa decisione ha portato il Parco Lombardo della Valle del Ticino ad inviare, il 14 luglio 2015, una diffida all'Autorità di bacino del fiume Po, sollecitando l'incremento del livello massimo di regolazione del Lago Maggiore nel periodo estivo a +1,50 metri sullo zero idrometrico di Sesto Calende;
   fino al 31 ottobre 2015, a Milano, si terrà Expo 2015; all'interno dell'Esposizione universale sono presenti laghetti, canali e impianti che vengono alimentati con acqua del fiume Ticino portata attraverso il canale Villoresi; ciò comporta necessariamente un conseguente aumento del fabbisogno di afflusso d'acqua –:
   se sia intenzione del Ministro interrogato attivarsi presso gli enti preposti, per garantire al fiume Ticino il flusso d'acqua necessario, sostenendo la sperimentazione del deflusso minimo vitale (dmv) del fiume Ticino/gestione dei livelli del lago Maggiore che eleva da +1,00 a +1,50 metri anche per gli anni a venire la regolazione estiva del Lago Maggiore e chiarire la posizione della Confederazione Svizzera su tale questione.
(3-01659)


   TAGLIALATELA e RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il commissario di Governo, incaricato ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19 febbraio 2010, n. 3849, del completamento delle opere di bonifica dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati e di tutela delle acque superficiali della regione Campania, in esito a tale attività doveva trasferire alle amministrazioni ed enti ordinariamente competenti la documentazione e le residue risorse finanziarie e di personale;
   con propria ordinanza del 30 gennaio 2010, n. 017, il commissario ha disposto il trasferimento al comune di Napoli delle opere, interventi e procedimenti concernenti le attività di bonifica nel sito di interesse nazionale di «Napoli Orientale» e di «Bagnoli-Coroglio», subordinando l'operatività del medesimo trasferimento al nulla osta da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, già richiesto con precedente nota;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato il proprio assenso alla conclusione della procedura di subentro con nota del 7 ottobre 2011;
   al fine di rendere pienamente operativo il subentro del comune di Napoli, con ordinanza 11 novembre 2011, n. 070, il commissario di Governo ha disposto il materiale trasferimento al comune di Napoli delle attività di bonifica nei citati siti di interesse nazionale, unitamente al trasferimento delle relative risorse finanziarie;
   in forza di tale provvedimento sono, quindi, state trasferite al comune di Napoli risorse pari a 48,8 milioni di euro destinati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in favore della bonifica nei siti di «Napoli Orientale» e di «Bagnoli-Coroglio», la quasi totalità dei quali destinati specificamente al completamento degli interventi per Bagnoli –:
   se e in che modo questi fondi siano stati utilizzati e, laddove questo non fosse ancora accaduto, quali urgenti iniziative si intendano assumere per il loro immediato impiego nell'azione di bonifica del sito di Bagnoli. (3-01660)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TERZONI, CECCONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 17 luglio 2015 attorno all'1.30, è scoppiato un incendio che ha coinvolto la fabbrica di bitumi Casali di via del Consorzio, a Falconara, in via del Consorzio, nella frazione di Castelferretti, in provincia di Ancona. L'incendio ha interessato l'area per molte ore e la densa nube nera che si è sprigionata ha stazionato sopra l'abitato di Falconara fino a fine giornata. I cittadini hanno lamentato grossi ritardi e mancanze nel sistema di allertamento con il mancato passaggio delle auto della protezione civile, che solo all'alba sarebbero passate per avvisare di chiudere le finestre, in genere lasciate aperte in questi giorni di gran caldo. Questo è solo l'ennesimo episodio che coinvolge l'area del comune di Falconara che è caratterizzata:
    a) dal sito inquinato di Interesse Nazionale (SIN) determinato in massima parte dalla raffineria API e dalla ex Montedison;
    b) dalla attività di n. 2 industrie classificate insalubri di prima categoria;
    c) dall'essere inserita in Zona A del territorio regionale (classificazione del Piano di Risanamento e Mantenimento della Qualità dell'Aria Ambiente) nella quale il livello di PM10 e del biossidi di azoto comporta il rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme;
    d) dall'essere stata classificata Area ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale (AERCA Ancona, Falconara e Bassa Valle dell'Esino) – e soggetta a Piano di Risanamento fino a marzo 2015 – a causa delle problematiche ambientali esistenti e riconducibili, per Falconara Marittima, alle seguenti caratteristiche:
     presenza di tutte le principali modalità di trasporto e delle infrastrutture correlate;
     presenza di attività economiche e produttive di rilevanza nazionale a rischio di incidente rilevante ai sensi del decreto legislativo n. 334 del 1999 (raffineria API – centrale termoelettrica da 250 MWe);
     consistente traffico ferroviario e di mezzi pesanti gommati per il trasporto di merci pericolose, in particolare di prodotti petroliferi;
    e) le indagini epidemiologiche effettuate dall'Istituto Superiore di Sanità (Studio SENTIERI), dall'Istituto Nazionale Tumori di Milano e dall'ARPA Marche - Servizio Epidemiologia, hanno accertato nell'ordine: eccessi che riguardano i tumori al polmone ed eccesso di mortalità per malformazioni congenite (SENTIERI); nel periodo 1994-2003 in un raggio di 4 chilometri attorno alla raffineria API è esistito un problema d'esposizione associato ad eccesso di rischio di morte per leucemia e linfoma non Hodgkin [indagine pubblicata anche sulle riviste Environmental (2015) 140:641-648 e Cancer Causes and Control (2014) 25:1635-1644)].
    f) nel periodo 1996-2009 sono stati registrati eccessi di ricoveri ospedalieri per tumore maligno della pleura e leucemie ed incremento dei linfomi non Hodgkin;
   a fronte di queste indicazioni si registra invece:
    le tre centraline di rilevamento di tipo industriale collocate per registrare le emissioni provenienti dalla raffineria API a seconda della tipologia dei venti e/o delle brezze, raramente raggiungono la percentuale minima di funzionamento richiesta dalla normativa, come constatato dalla stessa Società petrolifera;
    non esiste una centralina di rilevamento nel quartiere Castelferretti che controlli le emissioni della industria insalubre di prima categoria che elimina e/o recupera i rifiuti speciali pericolosi (autorizzata nel 2010) e – come si legge nell'Autorizzazione Integrata Ambientale caratterizzata da possibili emissioni anche di Benzo-a-pirene (classificato dalla IARC cancerogeno di categoria 1 per l'uomo) oltre che da Ammoniaca, IPA, SOV, Fenoli e Cianuri;
    le ultime speciazioni delle PM10 sul territorio di Falconara Marittima per individuarvi quali e quanti metalli pesanti (per esempio: Nichel, Vanadio, Piombo, Cromo e Cadmio) sono presenti, risalgono a marzo e giugno 2000 come si evince dalla risposta alla richiesta di accesso agli atti protocollo del comune di Falconara Marittima n. 1689 del 26 marzo 2015;
   risulta che le conclusioni dell'Indagine Epidemiologica dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano sia rimasta nel cassetto della Regione Marche per 3 anni. Nella seduta n. 325 della Camera dei Deputati del 5 novembre 2014 il Ministro della Salute informò – a seguito di specifica interrogazione n. 3-01132 a risposta immediata – che «l'Indagine epidemiologica svolta dall'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano sul sito di Falconara Marittima non risulta essere stata inviata, né al Ministero, né all'Istituto Superiore di Sanità e non si è pertanto a conoscenza delle conclusioni emerse dall'indagine stessa», confermando che la Regione Marche fino a quella data non aveva mai trasmesso le risultanze dell'indagine epidemiologica al Ministero della Salute né all'ISS –:
   se e quali informazioni intenda acquisire, per quanto di competenza, inclusi gli esiti dell'attività svolta sui campioni delle matrici ambientali dall'ARPAM e dall'ASUR per chiarire quanto accaduto sull'ambiente e sulla salute dei cittadini;
   se il Ministro dell'ambiente non ritenga necessario intervenire con urgenza anche mediante l'ausilio del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per determinare le reali condizioni delle matrici ambientali dell'area compresa nel territorio del comune di Falconara Marittima;
   se il Ministro della salute sia in grado di riferire novità riguardo all'eventuale trasmissione da parte della Regione Marche dei risultati dell'indagine epidemiologica condotta dall'Istituto nazionale tumori di Milano come riportato in premessa e, se del caso ciò non fosse ancora avvenuto, quali provvedimenti intenda mettere in atto per ottenere tali risultati;
   se non ritenga necessario assumere iniziative, anche a livello normativo, al fine di limitare gli effetti dannosi derivanti da incidenti rilevanti prodotti da stabilimenti industriali potenzialmente idonei a produrre forti impatti sull'ambiente e sulla salute dei cittadini, seppur non ricadenti nella disciplina connessa agli incidenti rilevanti, affinché il prefetto competente, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, adotti in ogni caso un piano di emergenza minimo, anche sulla scorta delle informazioni fornite dal gestore, per fornire tempestivamente alla popolazione informazioni specifiche relative all'incidente e al comportamento da adottare.
(4-10118)


   VILLAROSA, D'UVA, DAGA, TERZONI e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da anni Legambiente conduce la campagna «Goletta Verde» dedicata al monitoraggio ed all'informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane, analizzando quasi 7 mila e 500 chilometri di costa;
   l'Unione europea ha già aperto, nel 2014, una prima procedura di infrazione nei confronti dell'Italia (procedura n. 2014/2059 del 31 marzo 2014) all'inizio della stagione balneare per il mancato rispetto della direttiva comunitaria sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271 CE);
   con gli ultimi rilevamenti, consultabili sul sito di Legambiente/goletta verde, sono stati 25 i punti di prelievo siciliani, di questi solo 8 campionamenti risultano «entro i limiti». In particolare nella provincia di Messina su 4 punti di prelievo, tutti sulla costa tirrenica, solo uno risulta «fortemente inquinato» quello di Barcellona Pozzo di Gotto, località Cantone, punto di prelievo «Foce Torrente Termini o Patrì»;
   il giudizio che Legambiente usa viene dato in base ai risultati ottenuti dalle analisi microbiologiche (sono presi come riferimento i valori limite per la balneazione indicati dal decreto del Ministero della salute del 30 marzo 2010, nell'Allegato A). Un mare «fortemente inquinato» come quello di Barcellona presenterebbe Enterococchi › 4000 UFC/100 ml e/o Escherichia Coli › 1000 UFC/100 ml;
   con decreto del 3 marzo 2015 dell'assessorato della salute della regione Sicilia vengono interdetti alla balneazione i tratti di mare da «Villa Crisafulli a foce torrente Termini» e da «Foce Torrente Termini a 100 metri ovest Lido contrada Marchesana» per un totale di circa 2750 metri di costa interdetta, nonostante la presenza di un depuratore proprio in quel tratto;
   dalle cronache giudiziarie degli ultimi anni si potrebbe ipotizzare che il particolare dato rilevato da Goletta Verde sulla zona Barcellona Pozzo di Gotto/Terme Vigliatore potrebbe derivare da forme di inquinamento puntiforme e specifiche, relative a possibili scarichi illegali diretti, cioè con sbocco diretto a mare o indiretti, cioè con sbocco nei vari torrenti (Longano, Idria, Mela, Patrì, e altro) che poi vanno a confluire tutto in mare;
   nel 2010, in un articolo della Gazzetta del Sud, si legge: «La Procura di Barcellona avrebbe già individuato la probabile causa dell'inquinamento ambientale provocato da scarichi agrumari illegali finiti in mare e che hanno mandato in tilt il sistema di depurazione dei liquami fognari dell'intero comune di Barcellona. Si tratta di scarti agrumari fuoriusciti dal pozzetto troppo pieno del depuratore comunale e riversati come un fiume in piena sull'arenile e nelle acque marine del litorale di Barcellona, tanto da provocare un autentico disastro ambientale che ha allarmato i residenti della zona. Gli accertamenti investigativi compiuti dalla polizia municipale di Palazzo Longano, al comando del colonnello Rosario Maimone, si sono concentrati su una industria agrumaria che lo scorso anno era stata posta sotto sequestro per analoghe vicende, tanto che il magistrato inquirente già domenica sera aveva ordinato una ispezione urgente agli impianti industriali situati in contrada Centineo. L'unica certezza al momento è quella dello sversamento nella condotta fognaria di un quantitativo notevole di sostanze organiche acide, scarti di lavorazione industriale nocivi per l'ambiente marino che hanno mandato in tilt la condotta fognaria principale. Le sostanze illegali immesse in quantitativo spropositato hanno intasato le condutture principali di adduzione al depuratore causando la fuoriuscita dei liquami. La battigia e lo specchio di mare tra Cantoni e Spinesante, in corrispondenza di via Eolie dove è ubicato il pozzetto di troppo pieno, sono state trasformate in cloache maleodoranti che ancora fino a ieri hanno infestato con i miasmi l'aria della zona. Miasmi percepibili anche dall'autostrada»;
   durante l'operazione «Last Orange» veniva contestato agli indagati, fra i vari capi d'imputazione, l'illecito smaltimento di ingenti quantitativi di rifiuti liquidi derivanti dalla trasformazione degli agrumi nel depuratore comunale di Barcellona Pozzo di Gotto attraverso una condotta interrata realizzata ad hoc. Tali smaltimenti hanno peraltro provocato causa ripetuti malfunzionamenti del depuratore comunale con grave danno a tutti processi depurativi e di conseguenza con lo scarico in mare di reflui non depurati –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali azioni il Ministro interrogato abbia intrapreso o intendano intraprendere per capire se ci siano, quali siano e da chi siano provocati i possibili danni ambientali, causati da inquinamento, al fine di garantire sicurezza per le acque e scongiurare qualsiasi rischio per la salute dei bagnanti;
   quali improcrastinabili e tempestive iniziative intenda assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di monitorare il livello di inquinamento di tutte le acque costiere della regione Sicilia;
   se il Ministro interrogato non intenda, nell'ambito delle proprie competenze in ordine alle attività di monitoraggio dello stato dell'ambiente marino, promuovere delle ispezioni del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di verificare i livelli di inquinamento marini e torrentizi;
   in caso di esito confermativo, quali misure intenda adottare, nell'ambito delle proprie funzioni, per intervenire sugli allarmanti livelli di inquinamento segnalati. (4-10127)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha appreso da notizie a mezzo stampa che la camorra avrebbe interrato rifiuti tossici quali scorie radioattive a Lattarico (CS) con l'aiuto di un imprenditore cosentino;
   a rendere noto quanto sopra esposto è un pentito, il 28enne Mattia Pulicanò. Nell'articolo apparso su «Il Quotidiano della Calabria» del 3 agosto 2015 si legge: «I rifiuti tossici, secondo il collaboratore di giustizia già spacciatore per conto del clan Lanzino, sarebbero sepolti a Lattarico, più precisamente nella frazione denominata Regina. A portarceli, 15 o 20 anni fa, sarebbe stato l'ormai arcinoto Cipriano Chianese, avvocato napoletano di 62 anni ritenuto organico al clan dei Casalesi. Gli inquirenti campani lo considerano come l'inventore delle «ecomafie» nonché protagonista della «Terra dei fuochi» e, proprio per vicende analoghe, l'uomo – che vanta anche trascorsi in politica – è tuttora sotto processo nella città partenopea. I rifiuti di Lattarico, Chianese li avrebbe seppelliti con la complicità di un imprenditore cosentino «intimo» di Pulicanò. Proprio lui, nel 2012, avrebbe riferito al futuro pentito i contorni di quell'operazione di smaltimento illecito. «Interrare quei rifiuti – spiegava l'ex pusher ai magistrati a giugno del 2014 – rappresentava una contropartita agli appalti che Chianese gli aveva fatto prendere nel corso degli anni». Non a caso, le più recenti inchieste giudiziarie dipingono il legale come uomo dalle ottime entrature nel mondo politico e imprenditoriale. E in virtù di queste amicizie, sarebbe riuscito a far ottenere all'imprenditore cosentino rilevanti commesse pubbliche nel Nord Italia. In cambio, però, l'imprenditore «doveva mettere a disposizione la sua azienda per occultare rifiuti tossici». Pulicanò sostiene di ignorare la tipologia di rifiuti in questione, ma da suo ormai ex amico avrebbe appreso che, in passato, lui «ci aveva fatto soldi a palate, poiché il settore è molto redditizio». In quel 2012, i due uomini avrebbero discusso dell'argomento perché l'imprenditore aveva intenzione di ripetere il giochetto. «Ero appena uscito dal carcere – rammenta il pentito – e lui mi ha proposto il trattamento, da parte della mia cosca, di rifiuti tossici provenienti dal Nord Italia. A riguardo, mi precisava di aver già assunto contatti con un veneto che trattava le spedizioni per conto di un gruppo di Modena che spediva rifiuti tossici in Africa. L'oggetto dell'affare era quello di far arrivare rifiuti nella zona di Lattarico dove dovevano essere interrati». Secondo il pentito, il progetto era quello di costruire innocui capannoni agricoli e impianti fotovoltaici sui terreni prescelti, al fine di «non dare nell'occhio», dissimulando così la presenza dei veleni radioattivi. In altri casi, invece, quelle scorie erano state oculate «nelle colate di cemento». Quell'affare non andò poi in porto perché il sedicente gruppo modenese, in quel caso, non aveva in animo di trasferire rifiuti tossici, bensì «semplici» ingombranti. «Scocche di autovetture, pneumatici, batterie auto e altro. Uno stock di 20-25 container al mese difficilmente occultabili a differenza di scarti industriali, fanghi e scorie radioattive, ovviamente più remunerativi e semplici da gestire». Il cosentino collegato a Chianese, comunque, cercava l'appoggio della cosca per due buone ragioni: «Gli serviva un finanziamento e la forza lavoro in quanto, trattandosi di attività illecita, non si fidava a utilizzare i propri dipendenti». In tutto ciò, lo stesso Pulicanò sostiene di aver sollevato obiezioni e perplessità, in virtù dei rischi per la salute che un'operazione del genere comportava. Fu allora che, «esternando tranquillità», il suo interlocutore gli avrebbe detto di averlo già fatto un ventennio prima. «In effetti ho verificato che, nella zona in questione, si sono registrati, negli anni, diversi casi di tumore»;
   l'interrogante, in data 5 febbraio 2015, ha depositato atto di sindacato ispettivo n. 4-07737, ad oggi senza risposta, chiedendo che fossero pubblicati quanto prima i risultati del monitoraggio dell'elicottero con un'apparecchiatura appesa a cavi d'acciaio che ha sorvolato i cieli di Calabria al fine di individuare aree inquinate per conto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'Arpacal –:
   di quali elementi informativi disponga il Governo con riferimento alla richiamata vicenda e se non ritenga doveroso che venga fatta chiarezza per quanto di competenza, sulla presenza di scorie radioattive interrate nella città di Lattarico;
   se non ritenga opportuno che vengano svolte delle verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di tutelare il diritto alla salute dei cittadini delle aree coinvolte;
   se non ritenga opportuno pubblicare quanto prima i risultati del monitoraggio descritto nelle premesse così da favorire la successiva bonifica dei siti inquinati;
   se, vista l'alta incidenza di tumori in alcune zone della Calabria, non ritenga urgente assumere iniziative per promuovere l'istituzione del registro tumori e del registro epidemiologico. (4-10130)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


   DI LELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha pubblicato nel corso del 2007 dieci bandi, mettendo a concorso 920 posti totali per differenti profili di funzionario (ex qualifica funzionale C1, oggi III area prima fascia);
   questi concorsi erano rivolti a riqualificare esclusivamente il personale interno. Fra questi, quello bandito con decreto del 24 luglio 2007 e pubblicato con la circolare n. 183 del 2007, avente ad oggetto «Passaggi tra le aree ex articolo 15 CCNL 1998/2001 – Bando Informatico». Con decreto direttoriale firmato in data 20 dicembre 2012 dal direttore generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sono state approvate le graduatorie regionali di merito e la nomina dei candidati risultati vincitori;
   delle 920 unità previste, ad oggi, ne sono state assunte solo 460 creando, in tal modo, una notevole disparità di trattamento fra vincitori assunti subito e quelli fino ancora in attesa;
   la materia è stata oggetto di un ordine del giorno, n. 9/2426-A/13, accolto dal Governo, in sede di conversione del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83. Con riferimento al presente atto parlamentare ed in esecuzione dello stesso, il 24 ottobre 2014 il direttore generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con nota protocollo n. 38124 si rivolgeva al gabinetto del Ministro interrogato con una proposta normativa per l'assunzione del predetto personale in deroga all'articolo 24 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e successive modificazioni;
   nella relazione illustrativa, lo stesso, direttore generale osserva che: «L'articolo 24 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ha introdotto nuove regole in materia di progressioni di carriera, prevedendo che le amministrazioni pubbliche, a decorrere dal 1o gennaio 2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al cinquanta per cento a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni»;
   al momento dell'entrata in vigore della citata disposizione era in corso il procedimento selettivo in oggetto. Il direttore generale continua sottolineando che: «Nel 2012, il Ministero per i beni e le attività culturali, pur in presenza di una specifica autorizzazione ad assumere, prevista da una normativa speciale, ha potuto attingere, ai fini della copertura dei posti vacanti in organico, solo alle graduatorie dei concorsi esterni in corso di validità. Non è stato possibile, invece, assumere gli idonei presenti nelle graduatorie delle procedure selettive interne, in quanto la disposizione di cui all'articolo 24 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e successive modificazioni non consente la possibilità di ricorrere allo scorrimento di graduatorie relative ad idonei delle progressioni verticali, già a decorrere dal 1o gennaio 2010»;
   per esigenze specifiche delle amministrazioni il Governo si è, anche di recente, adoperato per attivare le necessarie procedure per lo scorrimento di graduatorie interne. Così, con la legge 23 dicembre 2014, n. 190, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», all'articolo 1, comma 269, ha previsto che: «L'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in via straordinaria, per l'anno 2015, ai fini della copertura dei posti vacanti, è autorizzata allo scorrimento delle graduatorie relative alle procedure concorsuali interne già bandite alla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei limiti assunzionali previsti dalla normativa vigente» –:
   quali iniziative urgenti, anche di natura normativa, il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di prevedere lo scorrimento delle graduatorie dei vincitori dei concorsi interni, citati in premessa, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dando così attuazione alle disposizioni inerenti alla mobilità del personale della pubblica amministrazione secondo i principi di efficienza, razionalità ed economicità della pubblica amministrazione. (3-01661)


   PIZZOLANTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il settore dei beni culturali rappresenta un indiscusso volano dell'economia nazionale, sia in termini di attrazione turistica che in termini di vera e propria «industria» della valorizzazione economica del territorio;
   una componente non secondaria del processo di creazione di valore è certamente rappresentato dagli interventi di ripristino, restauro e recupero dei beni di interesse storico, artistico e culturale che sono nella disponibilità di soggetti privati e che costituiscono parte integrante di quel paesaggio urbano la cui integrità ed armonia sostanzia l'offerta territoriale;
   lo Stato, considerando la composizione dell'offerta e intendendo ancor più promuovere gli investimenti per la tutela e la conservazione dei beni culturali diffusi ha previsto, con gli articoli 31, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, la possibilità di concedere contributi in conto capitale e conto interessi per le spese sostenute da proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni culturali per la realizzazione degli interventi conservativi autorizzati;
   a far data dalla promulgazione del sopracitato decreto, sono state iscritte al conto competenza del relativi capitoli di bilancio le somme ritenute necessarie al pagamento dei contributi per le spese concernenti gli interventi ammessi a finanziamento, previa istruttoria delle competenti soprintendenze e direzioni regionali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   l'articolo 1, comma 26-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, e successivamente nuovamente modificato dall'articolo 1, comma 77, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, prevede che: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al pagamento dei contributi già concessi alla medesima data e non ancora erogati ai beneficiari, è sospesa la concessione dei contributi di cui agli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni»;
   pertanto, a partire dal 15 agosto 2012, non è più possibile rilasciare le «dichiarazioni di ammissibilità» ai contributi di cui ai citati articoli 35 e 37, da parte degli uffici competenti, neanche in relazione ad istanze pervenute al protocollo dei suddetti uffici in data antecedente al 15 agosto 2012;
   l'effetto di tale disposizione, però, ha comportato un duplice effetto:
    a) da un lato, si è potuto constatare come la somma degli accantonamenti di bilancio non fosse sufficiente a coprire i costi già accertati e autorizzati;
    b) dall'altro, si è determinato, a distanza di pochi anni dalla promulgazione del provvedimento, un blocco nella progettazione e nella predisposizione di nuovi ed importanti opere di restauro e ripristino funzionale, promosse da una pluralità di soggetti, ivi compresi gli enti ecclesiastici;
   da informazioni che gli interroganti ritengono attendibili (ottenute presso le direzioni regionali dei beni culturali e paesaggistici, ora segretariati regionali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), si può indicare in una cifra che si aggira sui 150 milioni di euro l'ammontare dei contributi da erogare a favore dei proprietari, possessori o detentori di beni culturali;
   alla suddetta somma andranno – tuttavia – aggiunti gli importi relativi ad interventi collaudati dopo il 2012, tenuto conto anche del fatto che le dichiarazioni di ammissibilità a contributo sono state rilasciate dagli uffici competenti fino al 14 agosto 2013;
   pertanto il debito complessivo dell'amministrazione è certamente di gran lunga superiore rispetto alla somma precedentemente riportata, anche se ad oggi non quantificabile con esattezza;
   risulta agli interroganti che le misure appositamente destinate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sono state costantemente ridotte a decorrere dal 2008, passando da 23.663.485,00 euro a 15.047.923,00, euro per poi crescere nel 2014 a 17.830.222,00 euro e precipitare, per il 2015, ad appena 130.000 euro (centotrentamila); tutto ciò a fronte di un arretrato di impegni che dovrebbe ammontare, per effetto di quanto in precedenza argomentato, a circa 200 milioni di euro;
   allo stesso modo, per quanto riguarda i contributi in conto interessi di cui all'articolo 37 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni, le somme stanziate sul relativo capitolo di bilancio (n. 4650) risultano comunque insufficienti e incapienti rispetto al cospicuo volume di istanze dichiarate ammissibili ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successivamente ammesse a finanziamento;
   dal momento che non è più possibile accogliere nuove richieste di contributo (a far data dal 15 agosto 2012), come detto sopra (in virtù della legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 77), le scarse somme disponibili sarebbero quindi destinate al soddisfacimento di tutte le pratiche di contributo in itinere, in rapporto alle quali i soggetti privati hanno già sostenuto i relativi costi ed oneri finanziari o comunque assunto impegni verso i terzi fornitori;
   in tale contesto una vasta platea di investitori privati che, avendo maturato il diritto ai contributi in conto capitale e conto interessi (non già in fase di predisposizione del progetto, ma solo all'esito del completamento dei lavori e del conseguente collaudo effettuato dai competenti uffici delle soprintendenze già da molti anni) si trovano oggi a dover affrontare in molti casi una grave situazione debitoria nei confronti di fornitori e terzi esecutori, e ad interrompere progetti di valorizzazione economica a forte ricaduta occupazionale;
   risulta indubbiamente necessario modificare i contenuti del Programma operativo nazionale «Cultura e Sviluppo», 2014-2020, la cui gestione è interamente affidata al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per introdurre, quantomeno nelle regioni in ritardo di sviluppo, una misura che operi in analogia a quelle definite negli articoli 35 e 37 del decreto legislativo n. 42 del 2004, promuovendo, per la materia, un efficace coordinamento con le amministrazioni regionali titolari di programmi cofinanziati dai fondi strutturali e comprensive di interventi per la tutela dei beni culturali e ambientali;
   altrettanto necessario appare predisporre un quadro definitivo degli impegni finanziari derivanti dalle dichiarazioni di ammissibilità al contributo per tutte le istanze perfezionate, ai sensi della citata normativa, alla data del 15 agosto 2012;
   la base programmatica dell'attuale Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si fonda sulla valorizzazione virtuosa e «valorosa» della combinazione tra pubblico e privato;
   sulla base di tale considerazione è auspicabile l'incremento dei relativi capitoli di bilancio, contribuendo al superamento di una situazione di impasse e moltiplicando l'impatto della spesa pubblica produttiva, tanto più indispensabile in quanto collegata ad un ciclo economico virtuoso, perché legato alla rifunzionalizzazione e alla fruibilità di beni culturali di pregio;
   nel frattempo, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha predisposto il Programma operativo nazionale «Cultura e Sviluppo» per il periodo 2014-2020, che applica l'Accordo di partenariato stipulato tra Italia e Commissione Europea concernente l'impiego dei fondi strutturali per la promozione della crescita nelle aree in ritardo di sviluppo;
   nello schema di programma non sembra peraltro sia stata prevista una misura volta al finanziamento di operazioni di sostegno agli investimenti di soggetti privati proprietari, detentori o possessori di beni culturali, pur ammessa dalla vigente normativa comunitaria in materia di agevolazioni;
   quali iniziative intenda intraprendere per potenziare la dotazione dei capitoli di bilancio a copertura degli interventi (già) previsti ai sensi degli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ed incrementare il capitolo 7434 PG2 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (per lo meno riportandolo a quanto previsto nel 2014), contemporaneamente proponendo l'abrogazione dell'articolo l'articolo 1, comma 26-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, per l'accelerazione delle procedure di materiale erogazione delle somme spettanti ai soggetti ammessi ai benefici contributivi sopraddetti, prevenendo possibili azioni in danno dell'amministrazione, che risulterebbero particolarmente onerose per il bilancio dello Stato. (3-01662)


   ALLASIA, SIMONETTI, FEDRIGA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SALTAMARTINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
    il 15 ottobre 2013 l'amministrazione comunale di Torino ha decretato la chiusura del complesso delle gallerie del museo civico intitolato a Pietro Micca;
   la scelta di disporre la chiusura delle gallerie sembrerebbe dipenda dalle infiltrazioni di acqua che negli anni le avrebbero rese pericolanti;
   secondo quanto si apprende dalla stampa in realtà sembrerebbe che tale scelta sia riconducibile al danneggiamento di importanti reperti verificatosi durante l'apertura del cantiere per la realizzazione del parcheggio di corso Galileo Ferraris, dove sembrerebbe siano stati abbattuti importanti resti della Cittadella sotterranea;
   nel 2008 la soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio del Piemonte evidenziava che i lavori connessi alla realizzazione del parcheggio interrato avrebbero comportato la perdita di strutture residue della Cittadella, corrispondenti alle cortine murarie della «Mezzaluna degli invalidi»;
   la stessa sosteneva che la perdita di importanti testimonianze dell'identità storica torinese avrebbe avuto un impatto emotivo molto forte sulla cittadinanza;
   il comune di Torino sembra sia intenzionato a voler procedere nella realizzazione del parcheggio nell'area archeologica dedicata a Pietro Micca, senza prendere in considerazione le proposte della cittadinanza per la conservazione dei reperti all'interno di un parco archeologico appositamente costruito. I lavori attualmente sono fermi, facendo presupporre che ci possano essere gli estremi per la valutazione di una diversa progettazione a tutela delle parti riemerse;
   durante gli scavi, iniziati nel novembre 2014, sono emersi resti delle fortificazioni esterne alla Cittadella, in particolare la muratura di contenimento del «Rivellino degli invalidi» ed una galleria di contromina del sistema difensivo della Cittadella;
   alla data dell'11 giugno 2015 risultavano ancora presenti resti di murature di contenimento del «Rivellino degli invalidi», dell'imbocco di una galleria e di un pozzo di aerazione della galleria stessa;
   il polo museale della città di Torino è un'attrattiva turistica riconosciuta in tutto il mondo; è necessario pertanto che siano adottate immediate iniziative di tutela e conservazione dei reperti storici rinvenuti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali immediate iniziative di competenza intenda adottare per fare in modo che i cittadini possano fruire del patrimonio di gallerie e di murature del passato che sono la testimonianza nel mondo dell'identità storica della città di Torino. (3-01663)

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   ALLASIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'ENIT, l'Agenzia nazionale del turismo, si occupa di promuovere l'offerta turistica del nostro Paese nel mondo;
   la missione dell'ENIT ha un costo quantificabile intorno ai 23,5 milioni di euro; soldi che sembra vengano spesi più per garantire all'Ente una prospera esistenza che per favorire il rilancio dell'offerta turistica italiana nel mondo, tanto che gli stessi dipendenti, in una lettera recentemente inviata al Presidente del Consiglio dei ministri, sostengono che l'Agenzia «sta compromettendo l'immagine turistica del Paese nei confronti della stampa estera e degli operatori internazionali»;
   nel bilancio di previsione del 2015 si evince che le spese sostenute dall'Agenzia superano addirittura le cospicue entrate; alla voce «previsioni di spesa» è infatti annotato che quasi 19 milioni sono «spese di gestione» e 5 milioni sono «spese per prestazioni istituzionali», di cui 3 milioni sono indirizzati all'organizzazione e partecipazione a fiere, mostre, esposizioni, convegni e congressi, per un costo totale di 24 milioni e 300 mila euro; oltre 115 mila euro vengo spesi per l'acquisto e l'abbonamento a giornali, riviste e servizi stampa, 400 mila euro per accelerare il rilascio dei visti in mercati emergenti, mentre 13 milioni di euro sono spesi per pagare i 180 dipendenti;
   l'ENIT ha 23 sedi sparse in Europa, Asia, Nord America, Oceania e Sud America, con a capo dirigenti che sono pagati oltre 20 mila euro al mese; prima di dimettersi il direttore generale Andrea Babbi, è entrato nel registro degli indagati della procura di Roma, insieme ad altre 17 persone, per via di consulenze poco chiare e dubbi sulla legittimità della sua stessa nomina;
   la stessa Evelina Christillin, nominata a svolgere l'incarico di Presidente dell'Ente, ha ammesso di non avere in tasca la ricetta per far ripartire un «cadavere vivente»;
   il processo di riforma dell'ENIT è stato più volte bloccato per contrastanti vedute all'interno dell'attuale maggioranza di Governo proprio sul ruolo che lo stesso Ente avrebbe potuto svolgere per essere effettivamente in grado di promuovere l'offerta turistica nazionale;
   l'ENIT è entrata nel mirino della Procura per aver sperperato i soldi senza contribuire in modo determinante al rilancio del turismo italiano nel mondo; il fallimento della missione per cui l'Ente è stato istituito richiederebbe quindi una valutazione più approfondita in merito all'utilità di continuare a mantenerne l'esistenza –:
   quali iniziative intenda adottare per rilanciare in modo efficace l'immagine turistica dell'Italia nel mondo, valutando al contempo se possano esserci gli estremi per procedere alla soppressione o ad un eventuale accorpamento con altri enti di settore, dell'Agenzia nazionale del turismo, vista la mancanza di risultati rilevanti nella sua azione promozionale in questi anni. (5-06242)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTI e ALTIERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'andamento del settore turistico italiano è del tutto insoddisfacente rispetto al suo potenziale e manifesta ricorrenti criticità ed emergenze – come quelle di queste ultime settimane – che il Governo deve fronteggiare con strumenti spesso inadeguati;
   in tale contesto, i risultati e la qualità del lavoro dell'amministrazione pubblica sono conseguenti alle risorse messe in campo, anche in termini di capitale umano e professionale;
   negli ultimi mesi, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha vissuto alcune vicende certamente non esaltanti, che hanno dimostrato i forti limiti all'azione amministrativa intrapresa nel settore ed i problemi esistenti nelle proprie strutture ministeriali;
   a carico dell'ex direttore generale dell'ENIT (ente vigilato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), che risulta dimessosi a fine giugno, sarebbero state avviate apposite procedure ministeriali per il recupero di somme illegittimamente riconosciutegli, oltre ad essere stata richiesta al Commissario straordinario dell'ente – con nota 0002732 datata 12 giugno 2015 a firma dei direttori generali al bilancio ed al turismo dello stesso Ministero – «l'immediata rimozione del dottor Andrea Babbi dall'incarico di direttore generale»;
   anche il dirigente generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Roberto Rocca, risulterebbe gravato da accertamenti a suo carico, derivanti da talune illegittimità nell'esercizio delle funzioni ministeriali in materia di turismo, nonché nelle procedure relative al contratto di lavoro dell'ex direttore generale dell'ENIT, in merito al quale sarebbero in corso indagini;
   da ultimo, l'ex direttore generale della società pubblica Promuovitalia (controllata da ENIT e vigilata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), signor Francesco Montera, risulta essere stato licenziato in tronco a causa di gravi abusi, emersi nell'andamento gestionale, e tale provvedimento è stato confermato ben due volte in sede di giudice del lavoro, che ha rigettato i ricorsi sinora presentati dal dipendente;
   tutte le vicende sopra indicate hanno avuto una vasta eco sul web, anche alla luce dei rapporti di consuetudine tra i diversi soggetti coinvolti nelle vicende sopra indicate –:
   se il Ministero possa confermare le notizie riportate in merito ai fatti e circostanze sopra indicati, con riferimento ai signori Babbi, Rocca e Montera;
   se gli stessi siano attualmente gravati da procedure (di carattere amministrativo, disciplinare e altro), in particolare – ma non solo – per il recupero di somme ovvero per il ristoro di danni subiti dall'amministrazione pubblica, dall'ENIT e dalla società controllata Promuovitalia;
   come mai i controlli ministeriali siano intervenuti con grave ritardo, rispetto ai fatti verificatisi ed alle informative ricevute, e se ai vertici burocratici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ed ai funzionari competenti siano state sinora contestate eventuali omissioni;
   quali siano gli esiti a cui è giunta la Commissione d'indagine amministrativa, nominata anche in riferimento alle circostanze sopra citate, e come mai il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo abbia sinora ritenuto di non rendere pubblica la relazione finale, a differenza di analoghi precedenti;
   se il Ministero, ovvero gli organismi intermedi responsabili dei fondi comunitari assegnati al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e/o i soggetti assegnatari di attività e commesse riguardanti interventi di competenza ministeriale, abbiano mai affidato incarichi a professionisti interessati alle vicende riguardanti ENIT e Promuovitalia;
   se il direttore generale del turismo abbia mai fornito informazioni alla stampa in merito alle vicende di cui sopra, atteso che i dati sinora pubblicati si sarebbero dimostrati largamente inattendibili. (5-06252)

Interrogazione a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'andamento del settore turistico italiano è del tutto insoddisfacente rispetto al suo potenziale e manifesta ricorrenti criticità ed emergenze, che il Governo purtroppo spesso fronteggia con strumenti inadeguati;
   in tale contesto, i risultati e la qualità del lavoro dell'amministrazione pubblica sono conseguenti alle risorse messe in campo, anche in termini di capitale umano e professionale;
   negli ultimi mesi, il Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo ha vissuto alcune vicende certamente non esaltanti, che hanno dimostrato forti limiti all'azione amministrativa intrapresa nel settore ed i problemi esistenti nelle proprie strutture ministeriali;
   a carico dell'ex direttore generale dell'ENIT (ente vigilato dal Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo), che risulta dimessosi a fine giugno, sarebbero state avviate apposite procedure ministeriali per il recupero di somme illegittimamente riconosciutegli, oltre ad essere stata richiesta al Commissario straordinario dell'ente – con nota 0002732 datata 12/6/2015 a firma dei Direttori generali al Bilancio ed al Turismo dello stesso Ministero, «l'immediata rimozione del dottor Andrea Babbi dall'incarico di Direttore generale»;
   anche il dirigente generale del Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo Roberto Rocca risulterebbe gravato da accertamenti a suo carico, dei i vanti da talune illegittimità nell'esercizio delle funzioni ministeriali in materia di turismo, nonché dalla non corretta sottoscrizione del contratto di lavoro dell'ex direttore generale dell'ENIT, in merito al quale sarebbero in corso indagini della magistratura penale e contabile;
   da ultimo, l'ex direttore generale della società pubblica Promuovitalia (controllata da ENIT e vigilata dal MIBACT), signor Francesco Montera, risulta essere stato licenziato in tronco a causa di gravi abusi, emersi nell'andamento gestionale, e tale provvedimento è stato confermato ben due volte in sede di Giudice del Lavoro, che ha rigettato i ricorsi sinora presentati dal dipendente;
   tutte le vicende sopra indicate hanno avuto una vasta eco sulla stampa, tale che l'opinione pubblica sia stata indotta ad assumere posizioni «colpevoliste» o invece «giustificazioniste» rispetto a fatti e circostanze non sempre completi e correttamente riportati dai giornali e sul web;
   in tale quadro, sembrerebbero sussistere rapporti di consuetudine tra i diversi soggetti coinvolti nelle vicende sopra indicate, nonché interessi economici e professionali che motiverebbero l'insistenza con la quale vengono seguiti e riportati i fatti e le notizie riguardanti il Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo, l'ENIT e Promuovitalia –:
   se i fatti di cui in premessa con riferimento ai signori Babbi, Rocca e Montera corrispondano al vero;
   se gli stessi siano attualmente sottoposti a procedure di carattere amministrativo e/o disciplinare, nonché per il recupero di somme ovvero per il ristoro di danni subiti dall'Amministrazione pubblica, dall'ENIT e dalla società controllata Promuovitalia;
   come mai i controlli ministeriali rispetto ai fatti verificatisi ed alle informative ricevute siano intervenuti con grave ritardo, e se ai vertici burocratici del Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo ed ai funzionari competenti siano state sinora contestate eventuali omissioni nelle loro attività di vigilanza;
   quali siano gli esiti a cui è giunta la Commissione d'indagine amministrativa, nominata anche in riferimento alle circostanze sopra citate, e come mai il Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo abbia sinora ritenuto di non rendere pubblica la relazione finale, a differenza di analoghi precedenti;
   se il Ministero, ovvero gli organismi intermedi responsabili dei fondi comunitari assegnati al Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo e/o i soggetti assegnatari di attività e commesse riguardanti interventi di competenza ministeriale (per esempio il progetto «Signa Maris»), nonché altri soggetti interessati a detti interventi, in quanto operanti in subappalto o aventi rapporti con il Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo o con gli assegnatari, anche attraverso terzi, abbiano mai affidato – incarichi professionali a giornalisti attualmente coinvolti nelle vicende riguardanti ENIT e Promuovitalia. (4-10125)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, SEGONI, TURCO, BECHIS, PRODANI, ARTINI e MUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015, che ha dichiarato illegittimi centinaia di dirigenti nominati senza concorso presso l'Agenzia delle entrate, a quanto è dato sapere, questi stessi funzionari continuano ad esercitare le medesime funzioni da dirigenti attraverso la delega di firma;
   addirittura, si prospetta la possibilità di riconoscere una remunerazione aggiuntiva a fronte delle deleghe di firma ai funzionari dell'Agenzia, fino all'assunzione dei vincitori del concorso ad hoc che sarà bandito per reclutare i nuovi dirigenti;
   a parere dell'interrogante, si sta violando la sentenza della Consulta, riconoscendo a tali funzionari di continuare a svolgere le funzioni da dirigente, a maggior ragione si considera ancora più grave riconoscere agli stessi una remunerazione aggiuntiva, in virtù della delega di firma in questione;
   la sentenza della Corte costituzionale ha stabilito che l'assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo all'istituto della reggenza, regolato dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica dell'8 maggio 1987, n. 266; pertanto, la reggenza, che va conferita previa indizione delle procedure concorsuali, deve essere affidata all'ex nona qualifica funzionale, vale a dire ai funzionari di ex carriera direttiva che sono stati fatti confluire improvvisamente nella terza area; al riguardo, l'Agenzia, oltre al ruolo, è in possesso dei curricula di tutti i funzionari della terza area per poter procedere all'individuazione del personale destinatario della reggenza che, si ribadisce, appartiene all'ex nona qualifica funzionale –:
   se e quali iniziative intenda adottare affinché l'assegnazione delle funzioni dirigenziali, nelle more dell'espletamento delle procedure concorsuali, avvenga, come ha stabilito la Corte costituzionale, ricorrendo all'istituto della reggenza regolato dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266. (5-06243)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto il 15 maggio 2015 il Ministero dell'economia e delle finanze ha approvato la revisione congiunturale speciale degli studi di settore per il periodo d'imposta 2014 relativi alle attività economiche nel settore delle manifatture, dei servizi, delle attività professionali e del commercio, al fine di tener conto degli effetti della crisi economica e dei mercati;
   i ricavi e i compensi, risultanti dall'applicazione degli studi di settore in vigore per il periodo di imposta 2014, sono determinati sulla base della nota tecnica e metodologica di cui all’«Allegato 1» al decreto ministeriale del 15 maggio 2015;
   nella nota tecnica e metodologica si legge che «sono state apportate opportune modifiche all'analisi di normalità economica e sono stati introdotti specifici correttivi, da applicare ai risultati derivanti dall'applicazione degli studi di settore, che tengono conto di alcune grandezze e variabili economiche e delle relative relazioni, modificate a seguito della crisi economica verificatasi nel corso del 2014»;
   dall'analisi dell'efficienza produttiva nella nota tecnica e metodologica si riscontra che «per l'anno 2014 le attività economiche soggette agli studi di settore sono state caratterizzate da una riduzione dell'efficienza produttiva, rispetto al triennio precedente, a seguito della riduzione dei ricavi/compensi e del minor grado di utilizzo dei fattori produttivi impiegati (il lavoro e il capitale), collegati alla situazione di crisi economica»;
   ai risultati derivanti dall'applicazione degli studi di settore sono applicati correttivi congiunturali di settore, correttivi congiunturali territoriali e correttivi congiunturali individuali per i soggetti che presentano, nel periodo di imposta 2014, ricavi/compensi ai fini della congruità inferiori al ricavo/compenso puntuale di riferimento derivante dall'applicazione dell'analisi di congruità e di normalità economica;
   nonostante la persistente situazione di crisi economica evidenziata anche nella nota tecnica e metodologica numerosi professionisti del settore fiscale hanno evidenziato una fortissima riduzione dei correttivi congiunturali di settore applicati per il 2014, che risultano molto minori rispetto a quelli applicati nel 2013 e determinano per molte categorie, a fronte degli stessi ricavi/compensi, il passaggio da una situazione di congruità ad una di non congruità, con il conseguente accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate;
   uno dei casi segnalati dai professionisti di settore è ad esempio quello di un agente di commercio del comparto dell'edilizia il quale, a parità di percentuale provvigionale applicata per contratto, è passato dal 2013 al 2014 da una situazione di congruità ad una di non congruità con un maggior ricavo richiesto di oltre 16.000 euro (a fronte di un ricavo/compenso puntuale di 75.864 nel 2013 gli sono stati applicati correttivi totali per 38.687, mentre nel 2014 a fronte di un ricavo/compenso di 71.036 gli sono stati applicati correttivi totali per soli 4.104). La stessa situazione è stata segnalata anche per un'attività di commercio al dettaglio di abbigliamento alla quale, a fronte di un ricavo/compenso puntuale di 1.268.098 nel 2013 sono stati applicati correttivi totali per 68.224, mentre nel 2014 a fronte di un ricavo/compenso di 1.188.198 sono stati applicati correttivi totali per soli 9.150;
   tale metodologia di applicazione dei correttivi per il 2014 risulta pertanto non coerente se confrontata con quella del 2013 e sta comportando numerosi casi di accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate su attività già gravemente provate dalla crisi come quelle dei comparti dell'edilizia, del commercio e della manifattura, che si troveranno, nonostante il quasi identico volume di ricavi, a dover sopperire a tale presunta situazione di non congruità –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto, il Governo non ritenga opportuno intervenire e rivedere il meccanismo di applicazione dei correttivi congiunturali di settore, territoriali e individuali per il 2014 e i conseguenti relativi accertamenti e quali iniziative intenda intraprendere per evitare che l'applicazione di tali correttivi così come modificati non pregiudichi l'andamento di tante attività economiche già fortemente segnate dalla grave e persistente congiuntura economica ancora in corso. (5-06244)


   CAUSI e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 53, comma 1, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, al fine di favorire il compiuto, ordinato ed efficace riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, ha ridefinito, inderogabilmente al 31 dicembre 2013 i termini di cui all'articolo 7, comma 2, lettera gg-ter), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, per la cessazione, da parte delle società del gruppo Equitalia delle attività di riscossione per conto dei comuni e delle società partecipate dai medesimi;
   conseguentemente ai comuni è stata data la possibilità di effettuare la riscossione coattiva delle proprie entrate, anche tributarie, avvalendosi di società private;
   applicando la disposizione di cui sopra, moltissimi comuni, di cui oltre 400 situati in Lombardia, hanno affidato la gestione degli incassi ad AIPA SpA, una società specializzata nei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali, seconda solo ad Equitalia per raccolta e capillarità;
   nel marzo del 2014, con l'accusa di aver sottratto 7 milioni di euro dalle casse di enti locali, è stato arrestato Daniele Santucci, l'ex-presidente della società;
   a circa un anno dal termine dell'indagine penale, da fonti di stampa si apprende che la Guardia di Finanza di Lecco avrebbe eseguito alcuni sequestri conservativi dei conti correnti e delle proprietà riconducibili alla società di riscossione tributaria Aipa S.p.a;
   dagli approfondimenti dell'indagine emergerebbe che, ai circa 800 comuni che hanno affidato la gestione degli incassi ad AIPA S.p.a. — di cui oltre 400 in Lombardia — sarebbe giunta solo parte di quanto in loro nome riscosso a titolo di imposte comunali; la magistratura contabile ha emesso sequestri a garanzia del danno erariale;
   la magistratura contabile starebbe vagliando anche la posizione di alcuni amministratori locali, di alcuni dipendenti e degli organi di controllo dell'Aipa SpA –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per garantire ai comuni, coinvolti dalla vicenda Aipa SpA, la piena operatività della riscossione ed escludere eventuali penalizzazioni, anche ai fini del rispetto del patto di stabilità, nel caso in cui l'ammanco delle entrate comporti squilibri significativi nell'assetto del bilancio; nonché per garantire che i contribuenti dei comuni coinvolti non siano tenuti a versare nuovamente le imposte che non sono state riscosse.
(5-06245)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con le due sentenze dell'8 luglio scorso (n. 14225 e n. 14226) la Corte di cassazione ha accolto il ricorso con cui il comune di Livorno aveva chiesto il pagamento dell'Ici (anni 2004-2009) a due scuole religiose di Livorno, condannandole in questo modo a pagare al comune gli arretrati dell'Ici per un totale di 422 mila euro;
   la Corte di Cassazione ha considerato infatti legittima la richiesta dell'amministrazione comunale livornese che nel 2010 spedì gli avvisi di accertamento per omessa dichiarazione e omesso pagamento dell'Ici per gli anni dal 2004 al 2009, ritenendo che la scuola svolgesse un'attività di carattere commerciale in ragione della retta pagata dai frequentanti;
   il comune di Livorno ha inoltre dichiarato che la sentenza avrà i suoi effetti non soltanto per gli importi dovuti per il 2010 e il 2011, ma anche sull'Imu del 2012;
   un simile precedente andrebbe quindi a colpire un intero comparto che svolge un'attività pubblica fondamentale sostituendosi ad un vuoto statale altrimenti incolmabile;
   lo stesso Sottosegretario all'istruzione, Gabriele Toccafondi, ha dichiarato che «Se le scuole paritarie devono pagare l'Imu molte aumenteranno le rette o chiuderanno. Lo Stato, di conseguenza, dovrà trovare nuove risorse per costruire nuove scuole e gestirle e la parità scolastica non solo sarà minima nel nostro Paese, ma proprio scomparirà». «L'Imu le scuole pubbliche statali non la pagano» – ha continuato il Sottosegretario – «ed è giusto che lo stesso valga anche per le scuole pubbliche non statali. Tutte e due fanno un servizio di pubblica utilità. Le paritarie chiedono una retta per coprire i costi dei contratti degli insegnanti e per le utenze»;
   infatti molte di queste scuole sembrano avere già i bilanci in rosso e buona parte, se dovessero sostenere anche la spesa del pagamento dell'Imu, rischieranno il fallimento, mentre, attualmente, nonostante l'importante funzione pubblica svolta, non pesano quasi nulla sul bilancio statale;
   in tutta Europa, le scuole paritarie sono sostenute sotto il profilo legislativo, economico e fiscale, al contrario, in Italia, non soltanto questi istituti non sono affatto supportati, ma vengono spesso osteggiati non tenendo in debito conto il vuoto che si potrebbe creare dalla loro scomparsa –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di esentare con certezza le scuole paritarie al pagamento dell'Imu per evitare la scomparsa di un numero consistente di istituti che adempiono ad un servizio pubblico e la cui chiusura potrebbe pregiudicare gravemente, non solo la libertà di scelta, ma il diritto stesso all'istruzione sancito dalla Costituzione. (5-06246)


   PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato sul quotidiano Italia Oggi del 13 giugno 2015, dal titolo «Entrate ed ex Territorio sugli stipendi pari non sono», a firma Franco Adriano, si legge testualmente: «Nel cuore dell'amministrazione pubblica, a parità di contratto e di posizione, ci sono dei dipendenti statali che incassano migliaia di euro di differenza ed alcuni sono a priori esclusi da nuovi incarichi. Ciò è dovuto al fatto che i contratti integrativi dell'Agenzia delle Entrate e del Territorio, sottoscritti rispettivamente nel 2006 e nel 2007, pur essendo sostanzialmente sovrapponibili, hanno avuto differenti applicazioni, in particolare per quanto riguarda gli articoli 17 e 18 che in entrambi i contratti disciplinano l'attribuzione e la retribuzione delle indennità degli incarichi organizzativi e professionali. Questione di tempi di applicazione. Infatti, mentre l'Agenzia delle Entrate ha tempestivamente dato seguito a quanto stabilito, l'Agenzia del Territorio non è stata altrettanto sollecita. Finché, nel 2011, è intervenuto il provvedimento di fusione tra le due agenzie, da parte del governo di emergenza guidato da Mario Monti, che ha rimesso tutto in discussione. E la conseguenza è stata che pur lavorando gomito a gomito i dipendenti delle ex Entrate percepiscono da anni (almeno dal 2009) la retribuzione legata agli incarichi organizzativi e (sempre nella stessa area intermedia) la figura di responsabile di unità operative collegate ad “elevate competenze tecnico specialistiche” oppure ancora incarichi specialistici presso le direzioni provinciali o regionali. Per quanto riguarda invece l'Agenzia delle Entrate venivano a essere remunerati gli incarichi di “capo team” degli uffici locali o dei centri di assistenza multicanale; il coordinatore di attività di intelligence; il coordinatore front office (responsabile di sala); il coordinatore dell'unità di direzione; il capo reparto negli uffici centrali e regionali e, infine, gli esperti in attività che richiedono specializzazione professionale particolarmente qualificata. Una retribuzione annuale extra, rigorosamente collegata alla finzione ricoperta, che va da un minimo di 2500 euro ad un massimo di 8-9 mila euro. Per la parte superiore a 2500 euro la copertura della retribuzione di questa quota stipendiale doveva essere coperta con oneri direttamente a carico dell'Agenzia di riferimento: fattispecie che non vale per tutti i dipendenti dell'Agenzia delle Entrate e del Territorio ma soltanto per quelli che già prima della fusione lavoravano all'agenzia delle Entrate. Questa vicenda che origina dalla determinazione del Governo Monti di fondere le due agenzie al fine di razionalizzare e determinare risparmi, riporta alla luce i problemi che sorsero al momento della decisione. In particolare l'ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco fu particolarmente critico e in una serie di interviste evidenziò che “Il catasto non ha niente a che fare con le Entrate” ma che piuttosto le Entrate avevano bisogno “di accertatori di alto livello svincolandoli dalla figura di dirigenti”. Sulla vicenda si fondarono anche le principali sigle sindacali. La Dirstat, per esempio, paventò il rischio che l'attività di estimo sugli immobili non restasse autonoma e svincolata da qualsiasi logica fiscale. Il fatto, poi, che per la mancata applicazione del contratto integrativo gli ingegneri e i circa 9 mila dipendenti dell'ex agenzia del Territorio sono sempre stati posti agli ordini degli esperti fiscali delle Entrate (e mai viceversa) non ha certo aiutato a creare un buon clima al di là dell'aspetto economico che in futuro potrà pesare sulle casse pubbliche»;
   in un altro articolo dal titolo «Dogane-monopoli quante criticità» del 29 giugno 2015, pubblicato sul Quotidiano del Sud, ripreso anche da «L'inchiesta», sia apprende che analoga situazione si sarebbe verificata tra il personale dell'Agenzia delle dogane e quello dell'ex Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, a seguito della fusione disposta con decreto ministeriale 6 novembre 2012: «In tale ambito il primo punto di rottura è il malcontento che serpeggia nel personale ex Monopoli di Stato il cui trattamento economico è inferiore rispetto a quello goduto dal Personale delle Dogane. Si profila quindi il sorgere di un contenzioso dall'esito scontato che costerebbe alle casse erariali molto più di quanto si è pensato si poter risparmiare (stima prevista 10 milioni di euro all'anno). A tanto si aggiungono pesanti criticità gestionali: al momento le aree Dogane e Monopoli restano separate (come è per Entrate e Territorio) in attesa di una riorganizzazione complessiva, e quindi non solo è inesistente il risparmio di spesa, ma vi è addirittura un aumento di costi. ... La decisione di accorpare i Monopoli di Stato alle Dogane è stata una idea balzana anche perché non si è tenuto conto che l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato adotta sistemi contabili privatistici, mentre le Dogane operano nell'ambito delle norme di Contabilità Pubblica, gli uni e l'altra tecnicamente tra di loro incompatibili. Appaiono quindi inefficaci i provvedimenti tampone fin qui adottati, anzi si appalesano vulnerabili, e quindi pericolosi ai fini dell'accertamento e della riscossione delle entrate, oltre che forieri di dannoso dispendio di risorse umane, strumentali e finanziarie da impiegare per la riorganizzazione sul piano logistico informatico e funzionale che appare complicato in relazione al diverso funzionamento della struttura incorporante rispetto alla incorporata. Si pensi al contenzioso con le imprese fornitrici di beni e servizi, ben noto essendo il lungo e tortuoso iter per il recupero dei crediti vantati nei confronti della P.A.»;
   in pratica, le fonti di stampa segnalate denunciano diversità di trattamento nell'affidamento degli incarichi nonché disparità retributive, a parità di funzioni, tra dipendenti dell'Agenzia delle Entrate e dell'Agenzia del Territorio nonché tra Agenzia delle Dogane ed ex Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (oggi accorpate) –:
   se confermi i fatti descritti in premessa e, in caso affermativo, quali misure intenda intraprendere per porvi rimedio. (5-06247)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 85 del 2010, ha delineato un articolato processo di individuazione e successivo trasferimento dei beni del demanio e del patrimonio immobiliare dello Stato agli altri livelli di governo (enti territoriali e locali), la cui attuazione è stata affidata a specifici decreti del Presidente del Consiglio dei ministri;
   lo stesso decreto ha previsto diverse modalità di attribuzione dei beni demaniali, in relazione alle diverse tipologie di immobili e di amministrazioni che ne assicurano la gestione e la tutela, tra cui il trasferimento a richiesta dei beni del patrimonio disponibile dello Stato e dei beni già in uso e non più necessari alle finalità del Ministero della difesa;
   sono stati previsti, in particolare: 1) il trasferimento ope legis dei beni appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze alle regioni, che ne curano la gestione, con esclusione dei porti nazionali e internazionali e delle aree di interesse statale; 2) l'attribuzione ope legis dei beni appartenenti al demanio idrico e relative pertinenze e delle miniere ubicate su terraferma in favore di livelli territoriali di governo (regioni e province) già espressamente individuati dalla legge e che ne curano già la gestione; 3) il trasferimento a richiesta alle regioni degli aeroporti di interesse regionale e locale appartenenti al demanio aeronautico civile, diversi da quelli di interesse nazionale, da individuarsi con apposito decreto del Presidente della Repubblica;
   quanto poi al demanio storico-artistico, è invece operativa una procedura speciale prevista dall'articolo 5, comma 5, del suddetto decreto legislativo n. 85 del 2010, inizialmente transitoria e limitata a un anno dall'entrata in vigore del citato decreto legislativo, ma poi diventata stabile a seguito delle modifiche apportate dall'articolo 27 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011 (cosiddetto decreto Salva Italia);
   in considerazione della complessità delle procedure attuative e della molteplicità dei soggetti coinvolti, i suddetti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che erano previsti inizialmente non sono stati emanati e, di fatto, fino a metà del 2013, a parte quelli relativi al cosiddetto federalismo culturale;
   solo dopo l'introduzione dell'articolo 56-bis del decreto-legge n. 69 del 2013, per il patrimonio disponibile ed i beni già in uso e non più necessari alle finalità del Ministero della difesa è stata avviata una nuova e semplificata procedura per il loro trasferimento in proprietà a titolo non oneroso a comuni, province, città metropolitane e regioni, escludendo i beni destinati ad usi istituzionali e statali oppure alla valorizzazione e alle dismissioni. Lo stesso articolo ha inoltre indicato l'arco temporale, dal primo settembre al 30 novembre 2013, termine perentorio entro il quale gli enti locali avrebbero potuto presentare le richieste di attribuzione, nonché un ulteriore termine ordinatorio di 60 giorni decorrenti dalla ricezione della richiesta di attribuzione, entro il quale l'Agenzia del demanio comunica all'ente interessato l'esito delle verifiche condotte circa la sussistenza o meno dei presupposti per l'accoglimento della richiesta di trasferimento;
   la normativa prevede poi un eventuale riesame del provvedimento di diniego e, laddove le richieste abbiano a oggetto immobili assegnati alle amministrazioni dello Stato, la verifica dell'effettiva sussistenza dell'esigenza istituzionale all'utilizzo dell'immobile. In caso di parere favorevole, svolte le necessarie attività tecnico-amministrative e acquisita la delibera con la quale l'ente conferma la volontà di entrare in possesso del bene, il procedimento si conclude con l'emissione da parte dell'Agenzia del demanio del provvedimento di trasferimento della proprietà dell'immobile a titolo non oneroso;
   le disposizioni prevedono altresì che il trasferimento debba avvenire a invarianza dei costi per lo Stato; ciò comporta, in caso di trasferimento di immobili locati per i quali lo Stato percepisce un'entrata, una riduzione delle risorse annualmente trasferite all'ente locale di importo pari al canone di locazione;
   con riferimento al «federalismo demaniale» al 20 ottobre 2014 lo stato di attuazione della procedura era la seguente: beni richiesti dagli enti nel periodo che va da settembre 2013 a novembre 2013 sono stati 9.367; di questi, è stato dato parere positivo per 5.520 beni (il 59 per cento); pertanto, alla stessa data i beni effettivamente trasferiti erano 864, mentre i beni non trasferibili, cioè che hanno avuto parere negativo, sono 3.561; a tali dati occorre aggiungere 286 pareri in via di definizione per pratiche particolarmente complesse, con una percentuale pari al 38 per cento di pareri negativi, che sono stati tutti motivati;
   riguardo ai 3.561 beni non trasferiti, 407 sono ancora in uso governativo, cioè sono utilizzati dallo Stato per servizio pubblico; 802 sono del demanio idrico, e pertanto non era previsto il relativo trasferimento; 357 sono del demanio marittimo, anch'esso non previsto; 285 del demanio storico-artistico, di cui all'articolo 45, comma 5, non previsto dal decreto-legge n. 69; 620 sono del demanio pubblico; 590 sono stati richiesti, ma non sono di proprietà statale; altri 500 riguardano regioni a statuto speciale, contenziosi in essere o inserimenti in programmi di dismissione e valorizzazione che devono essere completati;
   con riferimento, invece, al «federalismo culturale» la procedura prevede l'attribuzione dei beni inseriti in accordi di valorizzazione che sono stipulati dalle direzioni regionali del Ministero per i beni e le attività culturali, presso cui sono costituiti appositi tavoli tecnico-operativi ai quali partecipa anche l'Agenzia del demanio. Il percorso di attribuzione, individuato dalle linee-guida tecnico-procedurali emanate dal Ministero per i beni e le attività culturali nel maggio 2011, prevede la presentazione da parte dell'ente territoriale richiedente di un programma di valorizzazione volto al recupero, alla conservazione e alla fruizione pubblica degli immobili richiesti, con l'indicazione della sostenibilità economico-finanziaria dell'operazione e del piano di gestione dei beni. La procedura poi prosegue con la stipula dell'accordo di valorizzazione, ai sensi dell'articolo 112 del Testo unico dei beni culturali, con cui vengono definiti gli impegni degli enti territoriali all'attuazione del programma e si conclude con la stipula da parte dell'Agenzia del demanio e dell'ente territoriale dell'atto di trasferimento gratuito dei beni al 20 ottobre 2014 del federalismo demaniale;
   alla stessa data, cioè al 20 ottobre 2014, lo stato di attuazione della procedura relativa al «federalismo culturale» era la seguente: sono pervenute istanze per 622 immobili, per 211 di questi, l'istanza è stata risultata non accoglibile ovvero è cessato l'interesse da parte degli enti territoriali. Sono stati approvati i programmi di valorizzazione per 70 immobili, e sottoscritti accordi di valorizzazione per 42 immobili e atti di trasferimento per 28 immobili;
   qualora oggi tali dati fossero confermati, con particolare riferimento al «federalismo demaniale», la percentuale dei beni trasferiti risulterebbe, a fronte di oltre 5.500 richieste, ancora molto bassa, aggirandosi intorno al 16 per cento a dimostrazione che le amministrazioni interessate sono ancora incerte e poco stimolate ad affrontare il percorso di acquisizione dei beni demaniali –:
   quale risulti a tutt'oggi lo stato di attuazione del suddetto processo di trasferimento dei beni demaniali agli enti territoriali e locali, con particolare riferimento al numero di richieste pervenute ed al numero di richieste soddisfatte, dettagliate regione per regione. (5-06248)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASSO, CAROCCI e TULLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la pertinenza demaniale marittima, denominata ex albergo «Marinella», sita in Genova è un pezzo di storia della città di Genova e del turismo italiano; disegnata dall'architetto milanese Giacomo Carlo Nicoli con la forma di una nave incagliata sulla scogliera, le finestre a nastro per seguire la linea delle curvature di «poppa» e «prua» e ovunque aperture a oblò di stampo prettamente nautico; è stata immortalata anche da Dacia Maraini: «Era un locale dove si ballava, notturno, bello, con tutte le conchiglie, le reti appese, le luci verdoline, sembrava di stare in fondo al mare (Dacia Maraini, Memorie di una ladra, Bompiani, 1972);
   dal Natale del 2012, quando l'ultimo gestore ha dovuto lasciare, la «ex-Marinella» rappresenta una ferita per la città, risultando abbandonata alla ruggine e al salino che stanno letteralmente erodendo gli esterni della struttura;
   per l'assentimento della concessione demaniale, il comune di Genova ha invitato a presentare una prima offerta entro il 6 giugno 2014, nell'ambito di una procedura ristretta a coloro che avevano manifestato interesse in seguito alla pubblicazione di avviso su un quotidiano a diffusione nazionale, oltre che sul sito istituzionale del comune di Genova e sul sito di regione Liguria, Liguria Appalti. Non essendo pervenute offerte entro tale termine perentorio, la procedura si è conclusa senza alcun concorrente aggiudicatario;
   con nota del 11 luglio 2014 il comune di Genova ha significato a regione Liguria e Agenzia del demanio sede di Genova che l'entità sia del canone concessorio sia degli interventi di risanamento conservativo e strutturale, necessari per rendere l'immobile in grado di garantire l'utilizzo suo proprio, posti a carico del futuro concessionario avevano con ogni probabilità determinato la diseconomicità della concessione medesima e scoraggiato la partecipazione alla procedura di gara;
   in considerazione di ciò, con la medesima nota, si invitava Agenzia del demanio e regione Liguria, ognuno per la propria competenza, ad esprimersi riguardo alla possibilità di mettere a base di gara un canone concessorio calcolato non sui valori immobiliari (OMI) ma bensì in base alle tariffe ministeriali applicate alle opere di difficile rimozione;
   in data 31 ottobre 2014, la direzione centrale di Agenzia del demanio, interpellata dalla sede di Genova, ha ritenuto di non avallare tale ipotesi, suggerendo altresì di esperire una procedura di gara maggiormente pubblicizzata, al fine di ampliare la ricerca di mercato;
   il comune di Genova ha quindi ritenuto di pubblicare l'estratto di avviso di gara su due dei maggiori quotidiani italiani anziché uno e con un termine di pubblicazione più lungo, oltre al bando di gara sul proprio sito istituzionale e su quello di regione Liguria per 60 giorni consecutivi;
   con nota a firma dell'assessore regionale all'urbanistica e al demanio, Cascino, e dell'assessore comunale all'ambiente, Garotta, viene comunicato al direttore dell'Agenzia del demanio, Reggi, l'esito negativo della seconda gara e viene esortato a rivedere la posizione dell'Agenzia in merito al canone concessorio;
   la risposta del direttore Reggi viene accompagnata da una nota tecnica del direttore Maranca che propone di calmierare il canone a fronte degli interventi di ristrutturazione richiesti;
   il Comune risponde con nota proponendo un abbattimento del 50 per cento per metà del periodo di concessione –:
   se non ritengano i Ministri interrogati, per porre fine al degrado di un così rilevante bene tutelato e di proprietà dello Stato italiano, di attivarsi affinché sia abbattuto il canone demaniale non solo del 50 per cento ma proporzionalmente agli investimenti effettuati dall'aggiudicatario compensando in toto – per gli anni necessari – la spesa delle migliorie a vantaggio di un bene che è e rimarrà di proprietà pubblica. (5-06255)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, (decreto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, riguardante tra l'altro semplificazioni in materia edilizia, ha introdotto una disciplina che presenta rilevanti criticità sotto il profilo catastale connessi alla sua attuazione, come più volte segnalato dall'Agenzia delle entrate nel corso dell’iter di approvazione della norma;
   in particolare, per come formulata, la disposizione comporta, in sintesi:
    a) impossibilità di aggiornare gli atti del catasto (le comunicazioni di inizio e fine lavori non contengono i dati e le informazioni essenziali a tale fine), con conseguente difformità tra lo stato di fatto e le risultanze catastali;
    b) assenza di planimetria catastale aggiornata, la cui presentazione è prevista dalla normativa tuttora vigente, che rileva sia all'attualità, a fini accertativi, sia in prospettiva, nell'ottica della revisione del sistema estimativo del catasto dei fabbricati di cui all'articolo 2 della legge 11 marzo 2014, n. 23;
    c) conseguenti e inevitabili difformità tra lo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, rilevanti ai fini civilistici (articolo 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, che prevede, a pena di nullità degli atti di trasferimento di diritti reali su immobili, la dichiarazione di conformità catastale);
    d) rilevanti impatti sul gettito, connessi alla mancata riscossione dei tributi speciali catastali dovuti per la presentazione in catasto degli atti di aggiornamento, quantificata, da una prima stima, in almeno cento milioni di euro annui;
    la previsione recata dalla norma, secondo la quale i comuni devono trasmettere all'Agenzia la comunicazione di «fine lavori», non consente di superare le criticità sopra evidenziate, in quanto detta comunicazione non contiene i dati necessari all'aggiornamento del catasto. Inoltre, la disposizione attualmente non prevede il pagamento dei tributi;
   pertanto, l'unico effetto di tale comunicazione potrebbe essere quello di registrare negli atti del catasto la mera presentazione di una «dichiarazione» di intervenute modifiche oggettive, peraltro inidonea a consentire l'aggiornamento per quanto concerne i dati di classamento ed eventualmente la planimetria;
   tale situazione, aggravata dalle incertezze applicative registratesi da parte degli Enti locali, rischia, a breve, di compromettere in modo difficilmente recuperabile la qualità e la completezza della banca dati catastale, con serie ricadute sotto il profilo inventariale, civilistico ed erariale;
   le criticità sopra evidenziate sono state già da tempo rappresentate dall'Agenzia delle entrate che ha anche formulato alcune ipotesi emendative all'attuale comma 5 dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ovvero all'integrazione della relativa formulazione;
   la necessità di un tempestivo intervento è resa ancor più urgente dalla diffusione della recente campagna di comunicazione governativa «Rimetti la casa al centro del tuo mondo», attraverso uno specifico sito internet, dedicato all'illustrazione delle semplificazioni procedurali sulla casa introdotte dal decreto «Sblocca Italia», nonché attraverso uno spot televisivo e radiofonico, disponibile anche in rete, che, nell'illustrare le semplificazioni introdotte relativamente alle ristrutturazioni, frazionamenti o fusioni di unità immobiliari, conclude con l'affermazione che «all'accatastamento ci pensa il Comune»;
   tale campagna informativa finisce per amplificare le criticità e i complessi problemi attuativi presentati dalla normativa in oggetto;
   anche varie categorie professionali, quali Consiglio nazionale dei geometri e geometri laureati (note indirizzate agli organi di Governo e all'Agenzia, prot. 13322 del 5 dicembre 2014 e prot. 924 del 28 gennaio 2015, quest'ultima inviata con specifico riferimento all'amplificazione data dalla trasmissione dello spot radiotelevisivo sopra citato alle criticità già segnalate), Consiglio nazionale del notariato (Nota prot. U-SPG-201-3475 dell'11 dicembre 2014, indirizzata all'Ufficio legislativo-finanze e all'Agenzia, con specifico riferimento all'ambiguità del messaggio veicolato dallo spot televisivo), Consiglio nazionale dei periti industriali e dei periti industriali laureati (Nota indirizzata agli organi di governo e all'Agenzia, prot. 553/GE/df del 30 gennaio 2015, inviata in seguito alla trasmissione dello spot televisivo) hanno formalmente rappresentato notevoli perplessità circa l'attuabilità e la coerenza delle disposizioni in oggetto –:
   alla luce di quanto sopra esposto, quali iniziative, di carattere normativo, intenda adottare per modificare ed integrare la vigente disciplina in oggetto, al fine di scongiurare possibili e significative ricadute negative anche in termini di gettito fiscale, erariale e locale, conseguenti all'attuale formulazione della normativa. (4-10113)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il carcere minorile Beccaria volge in una drammatica situazione, come riportato da notizie stampa, nonché da visite nell'istituto di pena;
   da ultimo, in tale struttura – che ospita una cinquantina di detenuti, molti dei quali con problemi psichici – una settimana fa, si è verificato il tentato suicidio di un diciassettenne con problemi di tossicodipendenza;
   il tragico evento è stato sventato per l'intervento degli agenti della polizia penitenziaria e in una situazione nella quale al turno notturno sono solo tre gli agenti a disposizione per tutti i piani dell'edificio; sezioni che si raggiungono esclusivamente con le scale, visto che non ci sono ascensori interni;
   qualche giorno fa, inoltre, un altro detenuto ha dato fuoco alla sua cella;
   nel tempo, nella struttura, hanno avuto luogo tentativi di suicidio, aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria e tra detenuti, nonché rivolte;
   quella del carcere minorile Beccaria di via Calchi Taeggi è un'agonia, lenta e inesorabile, fatta di carenze di personale, lavori di ristrutturazione non ancora completati e la presenza sempre più alta tra i giovani reclusi – di ragazzi con problemi psichici; malattie non così gravi da rendere incompatibile, la detenzione, ma di fronte alle quali la struttura non è sufficientemente organizzata;
   tra i problemi, vi è la carenza cronica di personale e la deficitaria organizzazione del lavoro; peraltro, attualmente il Beccaria è in ristrutturazione e la compressione degli spazi sta rendendo la situazione ancora più difficile;
   quanto al personale di sorveglianza, grande parte – in ogni caso insufficiente – è impiegato in compiti diversi dalla vigilanza, magari negli uffici amministrativi, oppure è distaccato in altre zone d'Italia;
   va sottolineato, non in ultimo, che circa un anno fa il Ministero della giustizia dispose che al Beccaria dovessero essere ospitati ragazzi anche fino ai 25 anni, se i reati fossero stati compiuti nell'età minorile;
   trattasi di carcerazione di giovani, molti dei quali condannati 5 o 8 anni prima, e spesso per la commissione di un unico reato;
   detta carcerazione non può che distruggere equilibri inequivocabilmente raggiunti con molta fatica nel lavoro, nella coppia, e in altro;
   riguardo tali casi, gli operatori dovrebbero predisporre progetti per il reinserimento (nei confronti di soggetti, appunto, spesso già reinseriti), ovvero le esigue energie educative e sociali dovrebbero cimentarsi per cambiare ciò che la vita concreta del giovane-adulto aveva già provveduto a costruire;
   ciò avrebbe senso se tali ragazzi fossero reduci da reati recenti; ma se è da anni che hanno cambiato vita, spezzarne l'equilibrio trovato a fatica, non può che apparire un controsenso;
   quanto sarebbe auspicabile è la modifica della normativa che prevede sempre la carcerazione per i reati ostativi; per i minori, tale obbligo preventivo dovrebbe essere rimosso, o almeno attribuito alla scelta del giudice di sorveglianza, con ciò spezzando l'automatismo che impone la detenzione prima di poter considerare una pena alternativa;
   è evidente infatti che al tempo nel quale il giudice ha emesso la sentenza e ha dovuto notificare la pena, i minori hanno magari cambiato domicilio, o non ne avevano uno regolare; ma quando un ragazzo di 20 o 25 anni, identificato per caso, viene prelevato dal lavoro per entrare in carcere, raramente lo troverà quando uscirà –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere al fine di alleviare la situazione di invivibilità che caratterizza il carcere minorile Beccaria;
   se non ritenga di assumere al più presto iniziative a livello normativo, per modificare la disciplina concernente la modalità di esecuzione della pena per i reati ostativi.
(2-01055) «Daniele Farina, Franco Bordo, Sannicandro, Scotto».

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da giorni sono in corso manifestazioni e proteste (anche sui social network) contro le motivazioni dell'assoluzione in secondo grado di sei ragazzi (tra i 20 e 25 anni) accusati di aver stuprato il 26 luglio del 2008 una ragazza di Firenze: si tratta del caso che viene citato dai giornali come «stupro della Fortezza da Basso», con riferimento al luogo dove avvenne la presunta violenza;
   dopo la denuncia per stupro (presentata quattro giorni dopo i fatti), gli accertamenti medici e le indagini, gli imputati vennero arrestati, rimanendo un mese in carcere e circa due mesi ai domiciliari; il processo (nel quale il comune di Firenze si era costituito parte civile) terminò nel gennaio del 2013 con una sentenza di condanna a 4 anni e 6 mesi di reclusione;
   secondo il pubblico ministero, benché non l'avessero fatta bere per abusare di lei, quando però si erano accorti che la ragazza non era più in sé a causa dell'abbondante quantità di alcol assunto, ne avevano approfittato per fare sesso a turno in un'auto: un comportamento che, anche senza costrizione o minaccia fisica, configurava lo stesso per il codice penale il reato di violenza sessuale di gruppo;
   i sei furono condannati per violenza sessuale di gruppo aggravata dal fatto che la vittima era ubriaca, cioè dal fatto che i violentatori avevano approfittato delle sue «condizioni di inferiorità fisiche e psichiche» a causa dell'alcol;
   la pronuncia della Corte di appello è arrivata nel marzo 2015 e ha completamente rovesciato la condanna in primo grado: i sei imputati sono stati tutti assolti con formula piena perché «il fatto non sussiste»;
   la procura generale di Firenze non ha presentato ricorso in Cassazione e i termini sono scaduti il 18 luglio 2015 la sentenza è diventata quindi definitiva;
   le proteste si devono al fatto che il giudizio sulla vita privata e sessuale della ragazza sembrerebbero le motivazioni principali che hanno indotto i giudici a mettere in dubbio la sua versione e la condanna di primo grado;
   i giudici di appello hanno infatti dubitato della credibilità della giovane donna (e dato credito alla versione dei sei ragazzi), basandosi su diverse contraddizioni che ci sarebbero state nella testimonianza di lei e sulla ricostruzione della sua vita privata e delle sue abitudini sessuali, sia in generale, sia con riferimento a quella sera stessa: la ragazza «maggiorenne e acculturata» non sarebbe stata in uno stato di inferiorità psichica, essendo «un soggetto femminile fragile, ma al tempo stesso disinibito, creativo, in grado gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici occasionali, di cui nel contempo non era convinta»;
   la Corte di appello, nelle quattro pagine della sentenza, ha rilevato che il caso in questione deve essere scremato «innanzitutto dal deviante contorno inquinato dall'impatto emozionale e mediatico che evidentemente ha connotato i fatti nella immediatezza, perché nel caso che qui occupa, al di là di giudizi moralistici o pregiudizi etici, l'unica attenzione da porre, seguendo il rigore della impugnata sentenza, è quella al reato contestato ed alla sussistenza dei suoi connotati essenziali, soggettivi ed oggettivi», aggiungendo poi che la vicenda è stata «incresciosa», «non encomiabile per nessuno», ma «penalmente non censurabile»;
   in sostanza, secondo i giudici, la ragazza voleva con la sua denuncia «rimuovere» quello che considerava un suo «discutibile momento di debolezza e fragilità», ma «l'iniziativa di gruppo» non venne da lei «ostacolata»;
   dopo le motivazioni della sentenza, la ragazza (che a sette anni di distanza è ancora vittima di una forte depressione) ha scritto una lettera in cui sostiene di essere stata messa lei stessa sotto processo per le sue scelte di libertà;
   sentenze come questa, che a parere dell'interrogante presenta profili di abnormità, riportano il nostro Paese culturalmente indietro di decenni: non si comprende perché la magistratura dell'accusa, dopo la condanna di primo grado, non abbia ritenuto che ci fossero i presupposti per il ricorso alla Cassazione avverso l'assoluzione in appello –:
   se non ritenga doveroso per quanto di competenza fare chiarezza sull'accaduto, valutando anche l'opportunità di una ispezione al riguardo. (3-01667)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da un'indagine svolta dal Fatto Quotidiano è emerso che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, abbia incassato da più di un anno un tfr di 48.000 euro grazie ai soldi versati dalla provincia e dal comune (cioè dai contribuenti) di Firenze negli anni 2004-2014. Tale ammontare è stato liquidato dalla società della famiglia Renzi – Eventi 6 Srl – al suo ex dirigente in aspettativa e sono sul conto corrente del Presidente del Consiglio. Il dato è contenuto nel bilancio della società (controllata dalle sorelle Matilde con il 56 per cento e Benedetta con il 36 per cento e dalla mamma Laura con l'8 per cento) recentemente depositato. Dal bilancio 2014 della Eventi 6 Srl, risulta che l'azienda ha pagato nel 2014 tfr per 60.787 euro ai dipendenti (Renzi e un'altra collega) che hanno lasciato la società;
   tuttavia, l'assunzione a tempo indeterminato nell'azienda di famiglia ben 12 anni fa, avvenne qualche giorno prima della candidatura alla provincia (mentre le due sorelle restavano invece con un contratto precario, co.co.co.), poi la cessione del ramo d'azienda da parte del padre alla mamma nel 2010, con il salvataggio del tfr di Matteo in un'altra società di famiglia, mentre il resto dell'impresa è poi fallita nel 2013 a Genova;
   grazie all'uso furbo dell'articolo 31 dello Statuto dei lavoratori, Renzi ha beneficiato dei contributi figurativi e il presidente della provincia eletto nel giugno del 2004 (e poi divenuto sindaco di Firenze) ha così maturato diritto al versamento dei contributi da parte dell'ente locale ai fini della pensione e del tfr. Solo per otto mesi, da ottobre 2003 a giugno 2004, i contributi per Matteo sono stati pagati dalla sua famiglia, poi, per 10 anni, solo dai contribuenti fiorentini;
   in questo modo la famiglia Renzi ha fatto pagare alla collettività il tfr che ora il Premier ha ritirato: circa 48 mila euro lordi;
   vi sono forti similitudini con il caso di Josefa Idem; l'ex Ministro fu assunta nel 2006 dall'associazione sportiva del marito, pochi giorni prima di essere nominata assessore a Ravenna. Per otto mesi aveva ottenuto i contributi figurativi dal comune come Renzi (che invece ne ha beneficiato per 10 anni);
   per quest'ultima vicenda il pubblico ministero di Ravenna, Angela Scorza, ha chiesto il rinvio a giudizio per truffa aggravata: a ottobre ci sarà l'udienza preliminare. Renzi invece non risulta essere mai stato indagato in quanto secondo il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, non vi sono i presupposti di reato;
   appare all'interrogante del tutto abnorme che situazioni sostanzialmente identiche diano luogo a valutazioni totalmente differenti –:
   se il Ministro della Giustizia ritenga vi siano i presupposti per procedere ad una ispezione ministeriale presso la procura di Firenze, ai fini dell'eventuale esercizio dell'azione disciplinare per tutti i profili esposti in premessa. (5-06241)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, ha introdotto la possibilità per i giovani laureati in giurisprudenza di accedere ad un periodo di formazione teorico-pratica presso gli uffici giudiziari;
   tali tirocini hanno una durata di diciotto mesi e sostituiscono il primo anno di pratica per l'ammissione all'esame da avvocato o da notaio, nonché sostituiscono il primo anno di scuola di specializzazione, seppur il tirocinante sia comunque tenuto a sostenere le verifiche intermedie e finali (quindi deve essere iscritto alla scuola e pagare le relative tasse);
   l'esito positivo di questo tirocinio costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi pubblici e nella nomina a giudice onorario;
   in sede di prima applicazione della norma non erano previste borse di studio per gli interessati, ma nella Gazzetta Ufficiale del 21 luglio 2015 è stato, invece, pubblicato un decreto interministeriale Giustizia-Economia del 10 luglio 2015, registrato dalla Corte dei conti il 17 luglio 2015, concernente l'attribuzione di borse di studio per tirocini formativi presso gli uffici giudiziari;
   con questo decreto il Ministro della giustizia ha istituito un fondo di otto milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo unico per la giustizia per l'erogazione di borse di studio del valore non inferiore a 350 euro e non superiore a 400 euro mensili;
   data l'esiguità delle risorse a disposizione, il decreto prevede altresì che l'erogazione dei contributi possa essere richiesta solo dai soggetti che hanno un indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), calcolato per le prestazioni erogate agli studenti nell'ambito del diritto allo studio universitario, pari od inferiore a 20.956,46 euro;
   appare evidente che tale scelta, seppur rispondente a requisiti di giustizia sociale che favoriscono le fasce meno agiate della popolazione, non tiene assolutamente conto del merito e determina l'impossibilità di ricevere un rimborso ad una larga fetta di popolazione studentesca;
   sarebbe, invece, più opportuno che il contributo fosse esteso a tutti i tirocinanti ammessi a sostenere il tirocinio, poiché il lavoro va retribuito e questi laureati entrano a pieno titolo nella pianta organica della sezione in cui prestano servizio;
   in tal senso il Ministero della giustizia, dopo aver stimato il fabbisogno delle sezioni territoriali disponibili ad ospitare i tirocinanti e dopo aver determinato il numero di posti messi a concorso, dovrebbe stilare una graduatoria nazionale che tenga in considerazione sia il merito, con il voto di laurea e con punteggi extra per la brevità degli studi, sia la giustizia sociale, attribuendo alle diverse fasce ISEE rimborsi differenziati –:
   se non ritenga di rivedere i criteri per l'accesso alle borse di studio nel senso di cui in premessa, o comunque secondo modalità che valorizzino il merito.
(4-10109)


   LOMBARDI, BONAFEDE, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, COLLETTI, FERRARESI e SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 63 decreto legislativo n. 165 del 2001 nel disciplinare il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, non regolamenta specificamente le controversie aventi ad oggetto i procedimenti e i provvedimenti di nomina dei dirigenti pubblici;
   detta lacuna normativa ha dato origine ad una giurisprudenza controversa e contrastante, volta talora ad affermare la competenza del giudice ordinario, talora quella del giudice amministrativo, e talora addirittura una poco funzionale spartizione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, a seconda che l'impugnativa si riferisca alla fase procedimentale, riguardante gli avvisi pubblici, o invece al provvedimento di conferimento degli incarichi e quindi ai successivi contratti di lavoro;
   nonostante la Corte di cassazione sia intervenuta con la pronuncia a sezioni unite, sentenza 9 febbraio 2009, n. 3052, al fine di porre chiarezza e dirimere la questione, statuendo che i provvedimenti di nomina dei dirigenti pubblici siano attratti alla competenza del giudice amministrativo qualora i vizi rilevati siano afferenti alla fase procedimentale, la giurisprudenza amministrativa, ed in particolar modo quella del TAR del Lazio, continua ad affermare la competenza del giudice ordinario per quanto attiene ai provvedimenti di nomina dei dirigenti e managers pubblici;
   la problematica è emersa con particolare rilevanza in due recenti pronunce del TAR del Lazio e del Consiglio di Stato;
   il TAR Lazio, con sentenza n. 03132/2015, estensore dottoressa Rita Tricarico, si è pronunciato su di un ricorso presentato dai consiglieri del MoVimento 5 Stelle del Lazio, che lamentavano la violazione delle loro prerogative statutarie e consigliari in relazione alla nomina di un dirigente di una società regionale effettuata dal presidente della regione invece che dal Consiglio regionale, rilevando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed affermando la competenza del giudice ordinario;
   il Consiglio di Stato, con ordinanza del 28 aprile 2015 (n. 2410/2015 estensore Consigliere Vito Poli), chiamato a pronunciarsi su una istanza cautelare presentata dalla regione Lazio per la sospensione degli effetti delle sentenze TAR Lazio n. 3658 e 3670, con le quali il Tribunale aveva annullato i procedimenti di nomina di circa 45 regionali dirigenti esterni per gravi irregolarità, dichiarando però il difetto di giurisdizione per quanto atteneva ai provvedimenti di nomina degli stessi, accoglieva le dette istanze cautelari, argomentando «nel bilanciamento dei contrapposti interessi, appare prevalente quello pubblico volto a consentire la continuità dell'azione amministrativa svolta dalle articolazioni dirigenziali coinvolte dagli effetti della sentenza di annullamento oggetto del presente gravame»;
   inoltre i giudici di Palazzo Spada sospendevano d'ufficio, e senza esserne richiesti dalle parti, il giudizio d'appello, argomentando:
    «in applicazione dei principi divisati dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Ad. plen. n. 28 del 2014 e Sez. V, n. 806 del 2015, cui si rinvia a mente dell'articolo 88, comma 2, lettera d), c.p.a.), è opportuno sospendere il presente giudizio in attesa che le Sezioni unite della Corte di Cassazione si pronuncino sul regolamento di giurisdizione proposto dalla Regione Lazio in cause (specificamente indicate dalla medesima Regione nella produzione documentale depositata in data 24 aprile 2015, non specificamente contestata dalle controparti), aventi un oggetto sostanzialmente identico a quello della odierna controversia»;
   detta pronuncia, che si colloca a pieno titolo nel novero delle controverse decisioni sul tema in questione, costituisce un precedente pericoloso, capace di avere gravi ripercussioni sul sistema di amministrazione pubblica, in virtù dei principi di diritto che vi si affermano:
    a) in primo luogo si afferma che in ragione della necessità di garantire la continuità amministrativa, si possono sospendere gli effetti di una sentenza che aveva accertato la illegittimità di atti e condotte di pubblici amministratori, annullando così di fatto la sanzione inflitta con la pronuncia di primo grado a quegli atti e condotte ritenuti illegittimi, e ciò proprio in virtù della gravità degli effetti che quelle condotte hanno causato, tali da pregiudicare la continuità amministrativa. In sintesi si afferma che più è grave il danno causato dalla condotta illegittima, minori sono le conseguenze;
    b) in secondo luogo, si applica in modo estensivo (per la prima volta nel panorama giuridico italiano) l'istituto della «sospensione impropria» del giudizio, rendendolo applicabile non solo ai giudizi pendenti presso la Corte Costituzionale (unico caso in cui si riteneva applicabile) ma anche a quelli pendenti presso la Corte di Cassazione;
   la gravità delle conseguenze di tale pronuncia non sfuggono laddove si rifletta che sulla scorta di detto arresto del Consiglio di Stato, qualsiasi magistrato che non voglia pronunciarsi su un giudizio, potrà sospenderlo in attesa del pronunciamento della Corte di Cassazione su di un caso che lo stesso magistrato ritenga simile, creandosi con ciò il serio e fondato rischio del dilatarsi ulteriore dei già biblici tempi della giustizia italiana;
   nel caso di specie, infatti, che ha come protagonista una regione a guida PD, la dilatazione dei tempi del giudizio conseguente a detta pronuncia del Consiglio di Stato, avrà l'effetto concreto di far terminare i contratti dirigenziali contestati prima che si arrivi ad una pronuncia di merito, sterilizzando quindi l'azione giudiziaria intentata anche dai consiglieri del Movimento Cinque Stelle Lazio e volta ad arginare l'irregolare ricorso a dirigenti esterni, con aggravio per le finanze pubbliche;
   in base a quanto esposto risultano evidenti la criticità dell'attuale impianto normativo ai fini della regolamentazione di un settore di cruciale importanza per la pubblica amministrazione, quale la giurisdizione in materia di dirigenza pubblica;
   sarebbe del tutto auspicabile, ai fini di garantire la effettività, la economicità e la efficienza della funzione giurisdizionale e delle tutele dalla stessa apprestate, una riforma legislativa che attribuisca con chiarezza alla competenza esclusiva del Giudice amministrativo le controversie inerenti alla dirigenza pubblica, sia per quanto riguarda la fase procedimentale che per quanto riguarda i provvedimenti di nomina e i successivi contratti di lavoro –:
   quali iniziative normative intenda adottare il Governo per far fronte alle problematiche descritte riguardanti il riparto di giurisdizione e aventi ad oggetto le controversie inerenti le procedure di nomina dei dirigenti pubblici. (4-10111)


   MARTELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi un detenuto di nazionalità italiana presso la Casa Circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia, ha aggredito un agente di Polizia penitenziaria e con un morso gli ha staccato la falange del dito di una mano;
   l'aggressione è avvenuta mentre l'agente di Polizia penitenziaria stava accompagnando il detenuto all'Ufficio matricola del carcere per l'espletamento di alcune formalità;
   il detenuto risulta non nuovo nel compiere episodi di violenza ai danni di agenti di polizia penitenziaria;
   le organizzazioni sindacali di categoria a seguito di questo nuovo episodio di violenza hanno espresso la richiesta di una maggiore attenzione alla sicurezza del Corpo nello svolgimento del proprio lavoro;
   è stata posta nuovamente la questione del sovraffollamento della struttura penitenziaria veneziana, in quanto alla data del 30 giugno 2015 erano detenute a nella Casa Circondariale Santa Maria Maggiore 257 persone rispetto ai 160 posti regolamentari –:
   in considerazione della gravità dell'episodio riportato in premessa, quali iniziative il Ministro intenda adottare per affrontare il problema del sovraffollamento della Casa circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia) nonché per consentire agli agenti di Polizia penitenziaria di svolgere in sicurezza il proprio lavoro. (4-10116)


   FORMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 giugno 2015 il capo di gabinetto del Ministero della giustizia, con una nota indirizzata al sindaco della città di Lamezia Terme, rendeva noto che «è in programma il trasferimento della sede del Provveditorato penitenziario regionale della Calabria» e che i tempi di tale trasferimento «sono connessi ai lavori per il necessario adeguamento dell'edificio»;
   tale volontà governativa, se formalmente trasfusa in un provvedimento ufficiale, violerebbe secondo l'interrogante il disposto della legge n. 395 del 1990, «Ordinamento del Corpo di Polizia Penitenziaria», Allegato 5, Tabella «E», che prevede espressamente che il provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Calabria sia ubicato nella città di Catanzaro;
   l'operazione programmata non pare giustificata da ragioni di tipo economico, poiché già in via ufficiale la città di Catanzaro ha indicato immobili di prestigio ed in ottime condizioni manutentive, da poter destinare all'Amministrazione Penitenziaria;
   di contro, la struttura di Lamezia Terme ipotizzata, un ex convento risalente al 1400, peraltro di pregio storico, abbisognerebbe di una importante e costosa ristrutturazione;
   il trasferimento, inoltre, determinerebbe certamente un ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale, per violazione di legge, con inevitabili aggravi di spese e perdite di tempo, il tutto in danno della operatività del comparto interessato –:
   se corrisponda al vero che è in programma, e con quali tempi, un trasferimento della sede del provveditorato penitenziario regionale della Calabria, da Catanzaro a Lamezia Terme;
   ovvero se tale possibilità, a seguito di una diversa valutazione delle alternative percorribili, frutto del dialogo con le forze politiche locali, sia stata scartata in favore del mantenimento di tale sede nel capoluogo regionale, ed in quale altra struttura idonea. (4-10120)


   QUARANTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tra gli interventi posti in essere sulla giustizia dal Governo, tralasciando i provvedimenti in tema di diritto civile e penale, sostanziale e processuale, si possono indicare: l'attuazione del processo civile telematico; l'ufficio per il processo; la riforma del fine pena; la riforma organizzativa del ministero; l'accentramento presso il ministero della competenza in materia di mantenimento degli uffici giudiziari che, per tale motivo, viene sottratta ai comuni;
   questo insieme di interventi non è stato accompagnato da una politica sugli organici, infatti l'organico dell'amministrazione di giustizia ha una scopertura di più di 9000 unità, un 20 per cento; su base nazionale che raggiunge picchi del 30 per cento nel nord Italia;
   il 24 luglio 2015 e stata approvata alla Camera una norma sui passaggi dalle aree dei cancellieri e degli ufficiali giudiziari, notizia accolta con favore dai sindacati che però hanno rimarcato la necessità di fare di più;
   dal 2001/2002 non sono più stati banditi concorsi e non sono più state effettuate assunzioni, inoltre non si sono compiuti percorsi di riqualificazione;
   nel caso dell'ufficio del processo, ad esempio, invece di valorizzare il personale interno si prevede di ricorrere a figure precarie, come gli stagisti, pagati con un semplice rimborso spese; a fronte dei cambiamenti normativi e procedurali non si è provveduto a riqualificare il personale oppure a ricorrere a nuove assunzioni qualificate;
   negli ultimi anni sono stati presentati svariati ricorsi sulle procedure di riqualificazione interna che prevedevano una eccessiva rilevanza dell'anzianità di servizio rispetto a qualifiche e titoli di studio, sull'argomento si è espressa più volte anche la Corte costituzionale –:
   quali iniziative intenda assumere l'interrogato per risolvere il problema delle carenze di organico nel personale degli uffici giudiziari e quali iniziative per sanare la situazione delle riqualificazioni e delle progressioni di carriera vista la situazione attuale. (4-10129)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come denunciato dalle associazioni dei consumatori e dimostrato dalle innumerevoli testimonianze degli utenti, da settimane i disagi e i disservizi sui treni sono ormai all'ordine del giorno, resi ancora più gravi dalle altissime temperature che si sono registrate ultimamente;
   quotidianamente arrivano notizie sulle proteste da parte di pendolari e turisti per viaggi in treno che diventano vere e proprie odissee, soprattutto perché in questi giorni molte carrozze infuocate a causa delle temperature estive da record sono prive di aria condizionata e, per di più, con i finestrini bloccati;
   nelle ultime settimane da Nord a Sud sono innumerevoli le segnalazioni sui pesanti ritardi dei treni, sull'allungamento dei tempi di percorrenza, sulle carrozze obsolete e sporche, sui guasti ai convogli, sul malfunzionamento dei sistemi elettrici e di climatizzazione, sul sovraffollamento di passeggeri costretti a viaggiare in piedi per tutto il tragitto, sulle pessime condizioni di viaggio, sui controllori fantasma, sulla carente informazione ai viaggiatori;
   questi disagi e disservizi, oltre a creare un danno enorme per l'immagine dell'Italia, non rappresentano la strategia ideale per incoraggiare i cittadini a lasciare l'auto a casa, in un Paese in cui si vuol favorire l'utilizzo dei mezzi pubblici;
   anche sulla «linea direttissima» Roma-Firenze si sono registrati nell'intero mese di luglio 2015 pesanti e continui disservizi: numerosi ritardi e aumenti dei tempi di percorrenza, convogli surriscaldati a causa delle alte temperature, costanti guasti ai condizionatori, pessime condizioni di viaggio a bordo di tutti i treni della linea, bagni guasti e maleodoranti, viaggiatori pigiati, carente e tardiva comunicazione ai passeggeri;
   i comitati Assoutenti e i comitati dei pendolari della linea in alcune note indirizzate a Trenitalia, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e agli assessori regionali, hanno segnalato i pesanti disservizi di cui sono oggetto nelle ultime settimane i collegamenti regionali, interregionali e gli intercity sulla tratta Roma-Firenze;
   in particolare, i comitati lamentano il fatto che numerosi treni regionali e intercity hanno condizionatori vetusti e malfunzionanti che arrecano gravi disagi a migliaia di pendolari e turisti che ogni giorno utilizzano treni con temperature in carrozza anche superiore ai 45 gradi;
   per questi motivi hanno inviato a Trenitalia e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alcune proposte e richieste di intervento per fronteggiare lo stato di emergenza e rendere il viaggio più umano e confortevole;
   nel dettaglio, le misure messe in campo dai comitati negli ultimi giorni concernono una raccolta di firme per chiedere innanzitutto il rimborso del biglietto a tutti i viaggiatori di carrozze non condizionate su treni intercity o regionali o interregionali;
   inoltre, i comitati chiedono a Trenitalia l'attivazione di presidi di manutenzione dei sistemi di climatizzazione e di pronto intervento nelle stazioni, con tecnici abilitati a riparazioni veloci di impianti di condizionamento fuori uso o pronta sostituzione delle carrozze senza aria condizionata, l'attivazione di presidi sanitari nelle grandi stazioni per fronteggiare l'emergenza sanitaria dei viaggiatori che accusano malori in treno. Al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti i comitati chiedono invece tempi certi per il contratto di servizio universale e al più presto il ritiro di carrozze e locomotori guasti e vetusti e la loro sostituzione, attraverso l'acquisto di elettrotreni;
   l'ufficio stampa di Trenitalia ha spiegato che sta affrontando l'emergenza in tutta Italia mediante un potenziamento ed un rafforzamento dei presidi di personale all'interno delle carrozze ed è in contatto con le ditte esterne che si occupano di manutenzione dei condizionatori affinché, nel caso di guasti o malfunzionamento degli impianti, intervengano tempestivamente per risolvere il problema;
   in una nota Rete Ferroviaria Italiana e Trenitalia riconoscono le difficoltà delle ultime settimane dovute all'eccezionale e prolungata ondata di caldo torrido che si sta ripercuotendo anche sulla qualità del viaggio in treno e si impegnano con tutto il loro personale tecnico e dirigenziale a garantire la massima sicurezza della circolazione ferroviaria e, durante il viaggio, i migliori standard di comfort possibili,
   Trenitalia, dopo le sollecitazioni degli utenti e delle associazione dei consumatori, apre agli indennizzi ai viaggiatori per i disagi arrecati: «Se gli standard di comfort risultano in alcuni circostanze insufficienti non è, in nessun caso, per negligenza o scarso impegno. Pronto, in tale eventualità, l'intervento del personale di assistenza di Trenitalia, volto a mitigare, per quanto possibile, i disagi. Ai clienti coinvolti vanno comunque le doverose e sincere scuse dell'azienda e, laddove sussistano le condizioni, gli indennizzi previsti.» Insomma, chi si è trovano in condizione di reale disagio potrà chiedere i danni;
   Trenitalia spiega che, nelle ore più calde degli ultimi giorni, in alcune zone la temperatura sui binari ha raggiunto i 60 gradi centigradi e, in ogni caso, i protocolli adottati da Rete Ferroviaria Italiana stanno consentendo di garantire sempre la sicurezza del servizio ferroviario, anche in queste condizioni estreme;
   sempre secondo quanto riferito dall'ufficio stampa di Trenitalia, da luglio sono state distribuite oltre trentamila bottiglie d'acqua e 11.300 kit per colazione, pranzo e cena, nonché sono stati garantiti, ai viaggiatori che non hanno potuto ultimare il viaggio in treno, 260 pernottamenti in hotel e 145 trasferimenti in taxi. Nelle ultime settimane sul fronte «emergenza caldo» sono stati impegnati migliaia di ferrovieri, 300 tecnici soltanto per la manutenzione dei climatizzatori dei treni regionali e oltre 700 impegnati full time per assistere ed informare i clienti di Frecce, intercity e treni regionali;
   tuttavia, queste misure che Trenitalia avrebbe messo in atto negli ultimi giorni sono ancora inefficaci e insufficienti;
   a testimoniare il malcontento dei viaggiatori è arrivato il rapporto annuale dell'Autorità di regolazione dei trasporti sulla qualità del trasporto locale e delle ferrovie, presentato al Parlamento il 15 luglio 2015 dal presidente Andrea Camanzi;
   oltre alle percentuali che mettono in evidenza il grado di soddisfazione dei passeggeri italiani (il 32 per cento si dichiara abbastanza o decisamente insoddisfatto, il 44 per cento boccia totalmente il servizio, mentre il 38 per cento reputa il servizio soddisfacente), ad emergere è il numero di reclami ricevuti dall'Autorità di regolazione dei trasporti, che da qualche mese si occupa anche dei diritti degli utenti;
   tra le oltre 300 lamentele, le più frequenti fanno riferimento «a soppressione dei servizi, carenze delle informazioni cause di mancate coincidenze, inadeguatezza di stazioni e convogli alle esigenze di persone con disabilità, difficoltà ad ottenere rimborsi» –:
   se, al fine di evitare che il viaggio in treno si trasformi per molti pendolari e turisti in un vero calvario, non ritenga urgente intervenire presso Trenitalia perché adotti al più presto efficaci interventi per ovviare all’«emergenza caldo» ed ai continui disservizi, per offrire condizioni di viaggio più confortevoli e dignitose e un servizio più puntuale di informazione e assistenza ai passeggeri, nonché se non ritenga opportuno che si lavori su investimenti di medio e lungo periodo per migliorare la qualità e l'efficienza dei servizi del trasporto ferroviario. (3-01666)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE e VICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la rampa di accesso al ponte «Bailey» sulla ex strada statale 176 Craco-Pisticci Pozzitello era stata chiusa a causa di una voragine causata da un cedimento del terreno e che solo per un caso e per la prontezza di reazione di un viaggiatore ha evitato conseguenze ben più gravi agli automobilisti in percorrenza;
   il ponte in questione, era stato realizzato e aperto nel febbraio del 2014, risolvendo così un problema verificatosi nel 2013;
   secondo i tecnici si è trattato di un cedimento dovuto ad un'infiltrazione derivante da acqua di una cunetta adiacente alla strada che non dovrebbe presentare ulteriori problemi tant’è che riempita la voragine ripristinata la percorribilità è stata riaperta al traffico;
   suddetta arteria riveste una rilevanza strategica nel sistema infrastrutturale della Basilicata in quanto collega la Val d'Agri alla Val Basento congiungendo un fondovalle la strada statale 658 alla strada statale 407 Basentana;
   una strada che serve comunità rurali, realtà economiche e trafficata anche da un gran numero di turisti attirati dalla bellezza di Craco Vecchia;
   nel 2013 quando il vecchio ponte cedette si attivarono prima dell'apposizione della struttura Bailey, dei percorsi alternativi con non pochi problemi di sicurezza e purtroppo nell'agosto del 2013 nel corso di un violento nubifragio perse la vita anche una donna;
   la presenza di un cedimento ha suscitato notevoli preoccupazioni nelle comunità interessate temendo il ripetersi di situazioni di estremo disagio nei collegamenti;
   cittadini ed istituzioni locali hanno chiesto certezze circa la sicurezza della strada –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda attivarsi con rapidità per verificare le condizioni della infrastruttura e porre in essere tutte le iniziative possibili per interventi di ulteriore consolidamento e messa in sicurezza considerata la strategicità e l'importanza della suddetta arteria. (5-06249)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Sardegna da settimane, con particolare riferimento a luglio e agosto, si registra una reiterata interruzione di un pubblico servizio essenziale e di primaria importanza quale il collegamento aereo da e per la Sardegna con grave violazione del diritto fondamentale alla mobilità delle persone e di pari trattamento tra cittadini italiani ed europei;
   la regione Sardegna, a seguito della sua condizione insulare, rientra tra quelle aree comunitarie dove il trasporto aereo è garantito dall'imposizione dell'onere del servizio pubblico e come tale risulta regolato da apposite disposizioni di legge e contrattuali;
   a partire dal 1o agosto 2015 sino alla fine del mese in corso, i collegamenti da e per la Sardegna, con particolare riferimento a quelli tra Milano-Cagliari risultano interdetti a residenti e non residenti per la totale indisponibilità su qualsiasi fascia oraria di posti sulle rotte di linea;
   tale impossibilità è verificabile con opportune verifiche nei call center delle varie compagnie che nei sistemi di prenotazione on line;
   tale interruzione di pubblico servizio è disciplinata dall'articolo 340 del codice penale che dispone: «Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge [330, 331, 431, 432, 433] cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno. I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.»;
   la condotta interruttiva si sostanzia in una mancata prestazione o cessazione totale dell'erogazione del servizio per un periodo di tempo apprezzabile, mentre il turbamento si riferisce ad un'alterazione del funzionamento dell'ufficio o servizio pubblico nel suo complesso. In ogni caso è irrilevante la durata della condotta criminosa e l'entità della stessa, purché non siano di minima o di scarsa importanza, di conseguenza il reato è configurabile anche quando i fatti di interruzione o di turbativa incidono in qualsiasi misura sui mezzi che sono apprestati per il funzionamento del servizio, non occorrendo che essi concernano l'intero sistema organizzativo dell'attività;
   risulterà evidente da più approfondite verifiche che questa situazione era palesemente prevedibile e riscontrabile anche attraverso verifiche oggettive;
   la mancanza, prevedibile e riscontrabile con congruo anticipo, di posti nelle rotte di collegamento dalla Sardegna da e per gli aeroporti di Milano impedisce a qualsiasi cittadino-utente di poter lasciare l'isola precludendo il diritto alla mobilità riconosciuto come tale non solo nel diritto costituzionale ma anche nelle normative comunitarie;
   lo svolgimento del servizio pubblico di collegamento aereo non solo è disciplinato da norme di carattere generale ma per quanto riguarda la Sardegna rientra nella fattispecie dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico di emanazione comunitaria;
   il Regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008 reca infatti norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità ed in particolare l'articolo 16;
   l'articolo 36 della legge 17 maggio 1999, n. 144, assegna al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la competenza di disporre con proprio decreto, in conformità alle disposizioni del Regolamento CEE n. 2408/92, ora abrogato e sostituito dal Regolamento (CE) n. 1008/2008 e alle conclusioni della Conferenza di servizi prevista dal comma 2 dello stesso articolo, l'imposizione di oneri di servizio pubblico sui servizi aerei di linea effettuati tra gli scali aeroportuali della Sardegna ed i principali aeroporti nazionali;
   i decreti ministeriali relativi alla continuità territoriale pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana avente per oggetto «Imposizione di oneri di servizio pubblico» impongono disposizioni sullo svolgimento del servizio e prevedono l'adeguamento anticipato del numero dei voli e dei posti, se ce ne fosse ulteriore bisogno, al fine di salvaguardare e tutelare la funzione di servizio pubblico per quanto riguarda i collegamenti aerei richiamati;
   va considerato che i decreti reiterati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ribadiscono «la necessità di continuare a garantire la continuità territoriale tra la regione Sardegna e gli scali di Roma Fiumicino e Milano Linate attraverso la sola imposizione di oneri di servizio pubblico, senza procedere alla concessione del servizio aereo di linea in esclusiva e senza compensazione finanziaria»;
   nonostante i decreti e le stesse convenzioni prevedano «lo svolgimento di un servizio pubblico essenziale» e l'estensione e l'incremento del servizio di continuità territoriale aerea nei periodi dell'anno in cui si fosse reso necessario per una domanda superiore rispetto a quella precedentemente pianificata risulta all'interrogante che niente è stato fatto al fine di garantire una congrua estensione dei servizi stessi di continuità territoriale, provocando una grave e reiterata violazione del diritto al servizio pubblico di continuità aerea;
   il servizio pubblico di continuità territoriale aerea è stato di fatto, e viene ancora tuttora, interrotto reiteratamente e in modo preordinato, considerato che da tempo si conosceva il cosiddetto «over booking» sulle rotte tra la Sardegna e il resto del Paese al fine di incrementare in modo esponenziale il costo del biglietto sino alla cifra di 440 euro per sola andata tra Milano e Cagliari;
   le compagnie aeree sulle rotte da e per la Sardegna stanno proponendo tariffe di solo andata superiori di quasi otto volte la tariffa residenti prestabilita con un evidente e palese effetto speculativo sulla Sardegna –:
   se tale situazione non sia in contrasto con i decreti adottati dal Ministro e dai contratti sottoscritti attraverso il controllo di Enac;
   se non si ritenga necessario adottare ogni iniziativa di competenza perché siano individuati i responsabili del grave pregiudizio recato agli utenti-viaggiatori, che a parere dell'interrogante, comporta l'interruzione del servizio pubblico;
   se non ritenga di dover segnalare alle autorità competenti, perché lo valutino nel merito, l'eventuale abuso di posizione dominante, violazione delle regole di trasparenza e concorrenza, con evidenti azioni speculative come descritto in premessa.
(5-06253)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel progetto in fase di definizione da parte di Trenitalia nessun treno veloce regionale fermerà nelle stazioni ferroviarie di Campofranco, Acquaviva-Casteltermini, Cammarata – San Giovanni Gemini;
   le difficoltà che il popolo siciliano, soprattutto quello dell'entroterra, sta vivendo a causa del cedimento del pilone autostradale della A19 a seguito della frana avvenuta il 10 aprile 2015 sono enormi;
   il sistema delle strade provinciali è parte rilevante del trasporto in Sicilia e spesso è l'unico sistema di collegamento tra comuni della stessa provincia e tra province diverse svolgendo un ruolo decisivo di interconnessione soprattutto nell'entroterra;
   la zona del Vallone e in particolare Mussomeli ha sempre avuto una precaria viabilità soprattutto provinciale. Vero è che l'orografia del territorio e la natura dei terreni non aiuta, ma proprio perché così particolarmente vulnerabile, gli interventi manutentivi dovrebbero essere svolti costantemente e la realizzazione di nuove opere dovrebbe tenere conto della natura argillosa dei terreni predisponendo opere d'arte di contenimento e salvaguardia;
   il rischio di rimanere isolati è veramente elevato, non solo sulla viabilità da e per Caltanissetta ma anche per quella da e verso Palermo e da e verso Agrigento; inoltre, tali paesaggi sono già stati più volte teatro di numerosi incidenti, anche mortali;
   il trasporto ferroviario sarebbe una soluzione parziale per far sì che il l'intero vallone non rimanga isolato; e che diventi un volano per lo sviluppo dell'entroterra siciliano;
   il treno si conferma il mezzo di trasporto più ecologico, si legge infatti sul sito di Trenitalia «Considerata l'unità di misura passeggero/chilometro adottata trasversalmente per quantificare i bilanci ambientali dei vari mezzi di trasporto, il treno produce solo 44 grammi di CO2 contro i 118 dell'auto, i 140 dell'aereo e i 158 del camion. E anche dal punto di vista del risparmio energetico, per passeggero, chilometro, il trasporto su rotaia consuma il 68 per cento in meno rispetto all'auto, il 77 per cento in meno del camion e il 91 per cento in, meno del volo» –:
   se il Governo intenda porre rimedio all'ulteriore discriminazione a danno della viabilità dell'entroterra e del Vallone in particolare, promuovendo, presso Trenitalia spa, in quanto azionista, l'istituzione di una fermata nelle zone citate in premessa essendo il suddetto progetto ancora in fase di definizione. (4-10117)


   MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   quotidianamente i soggetti portatori di handicap devono combattere con una serie infinita di difficoltà che impedisce loro di potere serenamente affrontare la quotidianità;
   tra le difficoltà vi è sicuramente quella legata ai parcheggi, sia per la difficoltà di trovarli liberi, non occupati da incivili, sia nella loro esiguità;
   a Como è presente la Casa Circondariale, aperta nel 1983, che si compone di due strutture detentive separate, una maschile e una femminile. In particolare sono presenti sei sezioni maschili, una sezione protetti, una sezione infermeria e osservazione, una di semiliberi e di cui all'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, ospita circa 370 detenuti, che ovviamente sono soggetti a visite da parte dei parenti;
   da associazioni a tutela dei disabili è stato fatto notare come all'esterno non siano presenti parcheggi dedicati ai disabili;
   se il Ministro essendo a conoscenza della situazione non intenda intervenire ponendo rimedio oltre che ad un problema di civiltà ad una palese violazione di legge, infatti il decreto ministeriale – Ministero dei Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236, prevede al punto 8.2.3 che, nelle aree di parcheggio, devono comunque essere previsti, nella misura minima di 1 ogni 50, o frazione di 50, posti auto di larghezza non inferiore a metri 3,20, e riservati gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili. (4-10123)


   L'ABBATE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si richiamano le interrogazioni a risposta in commissione 5/01687 e 5/03176 e le relative risposte;
   si richiamano altresì le nuove disposizioni previste dall'articolo 72 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nonché il decreto 22 gennaio 2008, n. 37, e le disposizioni in materia di «dichiarazione di conformità degli impianti» e «certificato di agibilità»;
   la CCIAA di Foggia, con note prot. n. 008147 del 28 aprile 2014, n. 10611 del 6 giugno 2014 e n. 0015611 del 23 settembre 2014, ha richiesto il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici riguardo ad un quesito relativo al rilascio della dichiarazione di conformità degli impianti;
   la prima sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici («Adunanza del 29.01.2015 — N. del protocollo 32/2014 con Oggetto: DM n. 37/2008 — Dichiarazione di conformità degli impianti. Richiesta parere») ha rilevato «innanzi tutto che il quesito posto dalla CCIAA di Foggia [...] in sintesi riguarda la possibilità che un'impresa installatrice completi un impianto già iniziato ed eseguito per una elevata percentuale da un'altra impresa installatrice “che per un motivo qualunque non sia in grado di completarlo”, e possa poi legittimamente rilasciare la dichiarazione di conformità dell'impianto stesso. In merito si osserva che nel quesito posto dalla CCIAA di Foggia non sono state descritte le specifiche circostanze che hanno comportato la necessità del completamento dei lavori impiantistici da parte di un'altra impresa installatrice, né è stato precisato se si tratti di lavori di realizzazione di una nuova costruzione oppure di ristrutturazione di un immobile con impianti preesistenti, né se il quesito riguarda un unico impianto oppure più impianti funzionalmente autonomi e distinti per tipo ed eventualmente per ubicazione; se, in quest'ultima ipotesi, alcuni di tali impianti siano stati completati dalla prima impresa installatrice o se invece, come sembra desumersi, tutti gli impianti siano stati eseguiti da tale impresa per una elevata percentuale, ma nessuno di essi sia stato completato. Tali aspetti assumono senza dubbio rilievo al fine di valutare le circostanze concrete alle quali il quesito posto fa riferimento e di conseguenza, al fine di dirimere la relativa problematica. Pertanto, in assenza di tali precisazioni, nulla può essere specificamente dedotto e osservato al riguardo ed il presente parere prescinde da qualsiasi circostanza concreta relativa a tali aspetti, rivestendo carattere del tutto generale»;
   in data 23 febbraio 2015, con deliberazione del Consiglio n. 1 avente per oggetto «Cittadella dell'Economia di Capitanata. Nuova sede dell'Ente. Stato di realizzazione», la CCIAA di Foggia, «in vista del trasferimento della sede di via Dante Alighieri sono in corso gli ultimi adempimenti per la piena funzionalità dell'immobile. In particolare: [...] È giunto intanto il parere richiesto alla I Sezione del Consiglio Superiore dei LL.PP. in ordine alla possibilità che ditta subentrante nell'installazione di impianti possa legittimamente certificare la conformità di legge. Il parere conferma l'idoneità della ditta che completa i lavori di poterne attestare la funzionalità e quindi la conformità alle disposizioni di legge» [...], a voti unanimi dei presenti espressi per alzata di mano decreta «di prendere atto dello stato di realizzazione della nuova sede dell'Ente e del prossimo trasferimento degli uffici da via Dante Alighieri»;
   prende così il via, in data 15 giugno 2015, il percorso dell'ente camerale dalla storica sede di via Dante Alighieri in Foggia alla nuova sede in zona Fiera nel capoluogo della Capitanata. In data 3 luglio 2015 chiude definitivamente la storica sede che ospita la «casa delle imprese» dal 1962 –:
   se i ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e degli ultimi sviluppi della Cittadella dell'economia di Foggia;
   come possa esser stato valutato positivamente nel singolo caso della nuova sede della CCIAA di Foggia un parere rilasciato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici di tutt'altra levatura ed inerente questioni prettamente generali;
   se non intendano, alla luce di quanto esposto in premessa e tenendo conto dei finanziamenti pubblici dedicati a tale opera, avviare un'attenta verifica sulla correttezza dell’iter procedurale, valutando l'ipotesi di una nuova richiesta di parere al Consiglio superiore dei lavori pubblici.
(4-10131)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nell'ultimo anno il Governo ha dovuto affrontare il fenomeno dei flussi migratori, sia con riferimento ai profughi in fuga dalle guerre e dalle persecuzioni politiche, razziali e religiose, sia in relazione a quanti fuggono dalla miseria e dalla fame, con una strategia precisa, concordata e condivisa a livello europeo, e a livello nazionale, in particolare con le Regioni e l'Associazione dei Comuni;
   tra gli obiettivi di questa complessa strategia vi è sicuramente quello di assicurare il diritto d'asilo e l'accoglienza sanciti dalla Costituzione e dai trattati internazionali; di favorire con mezzi diplomatici la stabilità politica nei paesi africani e mediorientali; di contrastare il traffico di vite umane; di prevenire, attraverso l'intervento nel mare Mediterraneo, i naufragi e gli affondamenti dei natanti con la morte di migliaia di profughi; di assicurare condizioni umanitarie di accoglienza ai migranti sbarcati; di esaminare in tempi rapidi e certi le domande d'asilo; a distribuire i richiedenti asilo in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale;
   siamo riusciti come Paese a porre, in sede comunitaria, la necessità di una maggiore solidarietà europea nei confronti dei paesi che per ragioni geografiche si trovano a dover fronteggiare tali flussi;
   secondo i dati forniti dal ministero degli interni a metà luglio, i migranti sbarcati sarebbero stati 82.932, a fronte dei 76.634 dello scorso anno, e i richiedenti asilo attualmente presenti nelle strutture d'accoglienza sarebbero 84.558; i dati indicherebbero pertanto che siamo in presenza di un modesto aumento di profughi e che l'organizzazione e la gestione del sistema di accoglienza sta rispondendo, nella maggioranza dei casi, in modo efficace al fenomeno migratorio;
   tuttavia, i recenti episodi di cronaca riportati dai principali mezzi d'informazione hanno messo in luce come alcune forze politiche e alcuni sindaci abbiano fin qui cercato di contrastare, talvolta boicottare, gli interventi e le decisioni assunte dal Governo per affrontare la situazione, anche alimentando un pericolosissimo clima di odio e ostilità verso i profughi stessi;
   la scarsa collaborazione istituzionale sta tra l'altro producendo come grave conseguenza quella che alcune regioni hanno finito per ospitare un numero di profughi assai più elevato di quanto era stato previsto dalla Conferenza Stato-regioni, mentre altre regioni, come Lombardia e Veneto, hanno finito per accoglierne un numero largamente inferiore;
   di fronte all'assenza di collaborazione e all'ostilità di alcuni sindaci, i prefetti del Veneto hanno spesso dovuto cercare soluzioni emergenziali, superando la mancanza di programmazione, i contrasti e le opposizioni della Regione e di certi comuni, mentre in altri casi, come nella ex caserma Prandina di Padova, hanno dovuto realizzare strutture d'accoglienza provvisorie in aree demaniali per assicurare in modo opportuno, sicuro e dignitoso l'ospitalità dei profughi;
   si sono poi verificati casi, come a Eraclea, località turistica in provincia di Venezia, e a Quinto di Treviso, dove i prefetti hanno concentrato un significativo numero di profughi in strutture private, suscitando così la preoccupazione di cittadini e vacanzieri, così come si stanno verificando criticità in altri comuni come a Portogruaro;
   come ampiamente riportato dagli organi di informazione nei giorni scorsi si sono verificati due gravi episodi di intolleranza contro i migranti: il primo a Casale San Nicola, a Roma, dove un gruppo di militanti della formazione di estrema destra, Casa Pound, ha aggredito le forze dell'ordine nel tentativo di impedire l'arrivo di 19 profughi in una struttura d'accoglienza, con 14 agenti di polizia feriti;
   il secondo episodio è accaduto a Quinto di Treviso dove si sono verificate forti proteste contro la collocazione di 101 richiedenti asilo negli appartamenti vuoti di un residence nel quale abitano alcune famiglie. In questo caso la situazione si è risolta con l'immediata decisione del Governo, in accordo con gli amministratori locali, di trasferire in profughi nella caserma «Serena» situata tra i comuni di Casier e Treviso;
   in seguito alla gestione della situazione di Quinto di Treviso il Governo ha annunciato la decisione di sostituire il prefetto;
   i due episodi hanno messo in evidenza quanto delicata e sensibile sia la situazione in atto, e quanto reale il rischio che essa possa degenerare, con il ripetersi episodi di intolleranza e di violenza;
   alla luce delle esperienze maturate, la scelta di aree demaniali per realizzare strutture d'accoglienza sembra essere risultata quella più idonea e preferibile, anche per il minor impatto sulla popolazione e sulle attività economiche, nonché per la capacità di garantire condizioni di maggior sicurezza e controllo –:
   come il Governo intenda intervenire per prevenire e contrastare il ripetersi di simili episodi violenti e quali interventi concreti intenda porre in essere per assicurare una gestione equilibrata ed efficace dell'accoglienza dei richiedenti asilo.
(2-01058) «Naccarato, Martella, Fiano, Campana, Camani, Casellato, Crimì, Crivellari, Dal Moro, D'Arienzo, De Menech, Ginato, Miotto, Mognato, Moretto, Murer, Narduolo, Rostellato, Rotta, Rubinato, Sbrollini, Zan, Zardini, Zoggia, Cinzia Maria Fontana».

Interrogazioni a risposta orale:


   BURTONE e ALBANELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni la città di Catania è stata colpita da una serie di gravi incendi che hanno provocato non pochi problemi alla comunità e purtroppo anche un decesso;
   si tratta dell'incendio di Villa Bellini nel quale ha perso la vita un senza tetto, successivamente un altro incendio ha interessato il campo rom nel quartiere Zia Lisa e ancora un altro successivo che ha investito la baraccopoli di viale Africa;
   si tratta di aree particolarmente difficili dal punto di vista sociale e questi incendi hanno ulteriormente aggravato la situazione;
   le fiamme si sono sviluppate con rapidità a causa della presenza di rifiuti e hanno prodotto colonne di fumo ben visibili in tutta l'area metropolitana;
   i vigili del fuoco sono stati impegnati diverso tempo per domare gli incendi;
   mentre sono in corso gli accertamenti circa le origini degli incendi c’è preoccupazione tra gli abitanti circa la qualità dell'aria dopo i suddetti episodi anche perché non si conoscono con esattezza i materiali bruciati;
   una delle aree interessate dalle fiamme è quella che avrebbe dovuto ospitare il Museo dell'arte –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei suddetti episodi e quali misure intenda adottare per accertare le condizioni di salubrità dell'aria a seguito dei suddetti incendi nonché per potenziare i presidi dei vigili del fuoco per un migliore e più efficace controllo dell'area metropolitana e attivare d'intesa con il comune un piano urgente di riqualificazione dei citati quartieri interessati. (3-01654)


   BURTONE e VICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella zona nord della Basilicata, quella più prossima al confine con la Puglia, da tempo è oggetto di incursioni da parte di malviventi che puntano bancomat e postamat per rapine;
   prima a Palazzo San Gervasio, poi Irsina il 12 luglio 2015, episodio sul quale l'interrogante ha depositato un altro atto di sindacato ispettivo;
   nella notte tra venerdì e sabato 31 luglio-1o agosto 2015 a Grottole intorno alle 3 di mattina si è verificato un tentativo di rapina presso l'ufficio postale;
   i carabinieri notano un'auto di grossa cilindrata di colore scuro, presumibilmente la ormai famosa Audi A6 correre via gran velocità nei pressi dell'ufficio postale;
   purtroppo l'auto è riuscita a fuggire e al ritorno gli uomini dell'arma hanno notato un ordigno rudimentale pronto ad esplodere;
   la carica era di potenza non irrilevante e poiché l'ufficio postale si trova nei pressi di abitazioni l'eventuale esplosione per rapina avrebbe potuto determinare conseguenze anche per i residenti;
   il ripetersi di questi episodi deve far innalzare il livello di guardia –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per rafforzare del territorio e contrastare il ripetersi di questi episodi che stanno ingenerando preoccupazione nella comunità locale. (3-01655)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, ZOLEZZI, TERZONI, MICILLO, MANNINO, CANCELLERI, CRIPPA, DA VILLA, DELLA VALLE, FANTINATI e VALLASCAS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Strategia energetica nazionale prevede che l'Italia assuma il ruolo di «hub del gas» per l'Europa, diventando di fatto la piattaforma logistica dell'area mediterranea per i Paesi del Nord Europa;
   il Piano per gli investitori di SNAM prevede entro il 2018 una crescita delle esportazioni di gas dai 24 miliardi di Smc di metano del 2014 a 46 miliardi;
   negli ultimi anni lo stesso Ministero per lo sviluppo economico certifica una drastica diminuzione dei consumi di metano nel mercato italiano (nella relazione annuale, presentata il 24 giugno 2015, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico indica che «nel 2014 il consumo interno lordo di gas è diminuito di altri 8 miliardi di metri cubi, scendendo a 61,9 miliardi dai 70,1 del 2013 (-11,6 per cento). Con quest'ultima riduzione, la quarta consecutiva, i livelli di consumo lordo sono tornati indietro ai valori rilevati tra il 1997 e il 1998») e la stessa SNAM nel Piano per gli Investitori evidenzia la stasi nei consumi di gas a livello comunitario;
   i nuovi grandi gasdotti della Rete nazionale, in larga parte, non servono, pertanto, a garantire il servizio ai cittadini italiani e ad assicurare un approvvigionamento per il mercato interno ma devono garantire la capacità di SNAM di esportare all'estero, aumentando la quota di gas per la quale l'Italia fungerebbe esclusivamente da luogo di transito;
   tale indirizzo contenuto nella SEN, mai sottoposto a valutazione ambientale strategica, necessita di una serie di nuove infrastrutture tra cui gasdotti, centrali di compressione e stoccaggi sotterranei di gas;
   la B.E.I. risulta aver finanziato alcuni di questi impianti per centinaia di milioni di euro (a mero titolo di esempio, il progetto di stoccaggio «Bordolano» è stato finanziato, nell'estate 2013, per 283,00 milioni di euro);
   in quest'ottica sono stati autorizzati negli anni scorsi, anche prima del varo della Strategia energetica nazionale e sono ora in via di realizzazione, numerosi stoccaggi sotterranei di gas concentrati in Basilicata, lungo la dorsale adriatica della penisola e in pianura padana in vecchi giacimenti abbandonati: Sinarca stoccaggio in Molise; Grottole/Ferrandina in Basilicata; S. Martino sulla Marrucina in Abruzzo; S. Benedetto del Tronto e Palazzo Moroni nelle Marche; Alfonsine, S. Potito e Cotignola in Emilia Romagna; Cornegliano Laudense, Bordolano, Bagnolo Mella e Romanengo in Lombardia;
   molte di queste aree presentano rilevanti problematiche di rischio sismico; a mero titolo di esempio, lo stoccaggio gas di S. Martino sulla Marrucina in provincia di Chieti ricade in un'area a massimo rischio sismico (classe 1); tre dei quattro nuovi stoccaggi in Lombardia – Bordolano, Bagnolo Mella e Romanengo (ITIS104-INGV sisma 1802) – sono sulla sorgente sismogenica composita ITCS002-INGV (M6.1); a S. Benedetto del Tronto lo stoccaggio è in un'area in cui la microzonazione sismica del comune ha accertato la tendenza dei suoli alla liquefazione; Ferrandina in Basilicata è in zona sismica 2;
   sono altresì in corso richieste per aumentare la pressione di esercizio in alcuni campi tra cui Fiume Treste in Abruzzo fino al 110 per cento della pressione originaria, Sergnano (CR), Ripalta Cremasca (CR) e Settala (MI);
   gran parte di questi territori presenta alte densità di popolazione e addirittura, in diversi casi, gli stoccaggi sono direttamente al di sotto di grandi centri abitati (S. Benedetto del Tronto; Cornegliano Laudense; Quinzano d'Oglio, Verolanuova, Borgo San Giacomo, Casalbuttano, Pontevico, Robecco d'Oglio, Soresina) o nelle immediate vicinanze (Lodi; Crema; Brescia, Monza, Sesto San Giovanni, Milano, Chieti);
   gli stoccaggi gas sono classificati, dall'ottobre 2009, quali impianti a rischio di incidente rilevante sulla base del decreto legislativo n. 334 del 1999 e ss.mm.ii. (ora decreto legislativo n. 105 del 2015) «Seveso»;
   per gli stoccaggi gas già operativi si dovevano da tempo predisporre i Piani di Emergenza Esterni di cui all'articolo 20 del decreto legislativo citato ma, per molti di essi, tale obbligo non sembra essere stato rispettato;
   il tema del rischio della sismicità indotta/innescata dall'iniezione di fluidi in pressione (tema posto in evidenza dalla comunità locale, che ha sconsigliato l'attivazione dell'impianto di Rivara in Emilia) è trattato da decenni da parte della comunità scientifica a livello internazionale mentre nel nostro Paese per anni tale questione è stata di fatto pericolosamente trascurata e, fino al 2013, non è stato oggetto di valutazione in tutti i procedimenti di autorizzazione di questi impianti;
   solo recentemente, la Commissione ICHESE, istituita per le pressioni dei comitati cittadini, a seguito dei luttuosi eventi sismici del 2012 in Emilia Romagna, ha preso in considerazione possibili connessioni tra attività di iniezione/estrazione di fluidi e sismicità innescata;
   i risultati di questa Commissione e i successivi approfondimenti hanno portato da un lato all'inclusione di prescrizioni specifiche, di dubbio valore scientifico, nell'ambito dei più recenti provvedimenti di compatibilità ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dall'altro al varo di «Linee guida per i monitoraggi» dei parametri geofisici connessi alla possibile sismicità nella gestione degli impianti da parte del Ministero dello sviluppo economico;
   la prescrizione che viene inserita nei decreti ministeriali di compatibilità ambientale rivela le enormi criticità connesse alla conduzione degli stoccaggi di gas in quanto paventando l'innesco/induzione di sismicità che può raggiungere il grado di 3.0 della scala Richter come elemento di allarme, è in aperta contraddizione addirittura con le stesse Linee Guida del MISE che raccomandano come situazioni di allarme eventi di energia enormemente minori. Prescrizione, che senza precisare la magnitudo massima, ingiunge di osservare procedure di semplice diminuzione della pressione assolutamente intempestivi a livelli di sismicità M3.0, nella irrealizzabile quanto curiosa ipotesi che un sisma in corso possa essere gestito come evento di pseudo proporzionalità tra pressione e sismicità;
   l'articolo 28 comma 1-bis del decreto legislativo citato prevede la possibilità di riesaminare i provvedimenti rilasciati qualora emergano novità rilevanti;
   nel frattempo in altri Paesi europei e negli Stati Uniti il tema della sismicità indotta/innescata dalle attività antropiche connesse all'estrazione, gestione dei pozzi e stoccaggio di idrocarburi è divenuto sempre più oggetto di attenzione da parte della comunità scientifica e dei Governi;
   in particolare il caso di Groningen in Olanda (zona completamente asismica, contrariamente per esempio alla Pianura Padana) sta assumendo rilevanza internazionale in quanto coinvolge il più grande giacimento di gas in Europa e il decimo al mondo;
   l'incremento del numero e dell'intensità dei terremoti nel 2012 e 2013 ha indotto il Governo olandese ad ammettere la gravità della situazione in una prima lettera del Ministro dell'economia Kamp al Parlamento;
   con una seconda lettera al Parlamento il Ministro Kamp annuncia di tagliare una prima volta la produzione per cercare di mitigare i rischi mettendo un tetto di 39,4 miliardi di mc per il 2015 (il 27 per cento in meno rispetto al 2013), con un mancato incasso di royalty per il bilancio olandese pari a 700 milioni di euro. Nella lettera si legge: «Nonostante le prescritte restrizioni relative alla produzione, l'estrazione di gas dal giacimento di Groningen determinerà terremoti nei prossimi anni»;
   un ulteriore caso estremamente preoccupante è quello relativo proprio ad uno stoccaggio gas, il progetto Castor, del costo di circa 1,4 miliardi di euro, autorizzato nel 2008 dal Governo spagnolo di fronte la costa di Valencia e finanziato con i project bond della Commissione europea e della B.E.I.;
   all'avvio delle operazioni di iniezione di gas nel settembre 2013 si sono registrati numerosi sismi, tanto da provocare proteste nella popolazione e, infine, l'ordine di blocco delle attività da parte del Governo. Tale decisione precauzionale, però, non è stata sufficiente per scongiurare le tre scosse più forti, oltre la magnitudo 4 della scala Richter, avvenute alcuni giorni dopo la fine dell'iniezione, il tutto a poche decine di chilometri da una centrale nucleare;
   il Ministero dello sviluppo economico, lo scorso 12 giugno 2015, ha ospitato un convegno proprio sulla sismicità indotta/innescata in cui ha preso parola un rappresentante del CNR spagnolo che ha descritto nei minimi dettagli quanto accaduto –:
   quali stabilimenti di stoccaggio non abbiano ancora adempiuto a tutti gli obblighi previsti dalle direttive comunitarie in materia di prevenzione del rischio di incidente rilevante e, qualora emergano responsabilità ed inadempienze da parte dei propri funzionari, quali provvedimenti intenda intraprendere il Governo nei loro confronti;
   se, nei vari documenti attinenti la sicurezza degli impianti, sia stata tenuta in debita considerazione, e con quali misure da parte dei gestori degli impianti, il rischio di innesco/induzione di terremoti;
   come intenda, il Governo, rendere operativa le raccomandazioni contenute nelle linee guida per la gestione dei vari livelli di crisi dell'impianto e per la nomina di un funzionario cui venga attribuito il compito di ordinare, se il caso, l'arresto dell'impianto in caso di crisi;
   se il Governo non ritenga opportuno rivedere, anche in auto-tutela, alla luce delle evidenze sopra descritte, i provvedimenti di compatibilità ambientale rilasciati per i nuovi impianti che non sono ancora operativi, sulla base del principio di prevenzione di cui all'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   se il Governo non ritenga opportuno, anche in auto-tutela, riesaminare, alla luce delle esperienze sopra descritte, i provvedimenti di compatibilità ambientale rilasciati per gli impianti attualmente già funzionanti, sulla base del principio di prevenzione di cui all'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di valutare attentamente ed escludere ogni rischio sismico;
   se il Governo non ritenga di dover riesaminare le autorizzazioni già concesse per gli stoccaggi, al fine di approfondire tutti i rischi connessi alla gestione degli stessi ed eliminarli;
   se il Governo non ritenga di dover rivedere la Strategia energetica nazionale alla luce dei dati sulla diminuzione del consumo di gas anche al fine di indirizzarla al miglioramento del servizio per i cittadini italiani senza aggravare di ulteriori rischi il territorio nazionale;
   in quale modo il Governo intenda garantire i risarcimenti per eventuali danni a cose e/o persone per sismi riconosciuti derivanti dal funzionamento degli stoccaggi, soprattutto per quanto riguarda le garanzie finanziarie da parte dei privati proprietari e/o gestori degli impianti;
   quali iniziative normative intenda assumere e a quali fondi intenda attingere per rendere operative le raccomandazioni contenute nelle Linee Guida, sul protocollo di pubblicizzazione dei dati fisici di controllo e della loro interpretazione e sulla nomina ed operatività di enti terzi indipendenti che elaborino ed interpretino criticamente in tempo reale, per conto del Ministero dello sviluppo economico i parametri fisici raccolti dalle strumentazioni di monitoraggio raccomandate. (5-06257)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane vi è stata, a Napoli, una recrudescenza della violenza di stampo camorristico;
   nella notte tra il 27 e il 28 luglio 2015 ordigni rudimentali erano esplosi danneggiando tre diversi negozi nel territorio della municipalità 5 Arenella-Vomero;
   un piccolo ordigno rudimentale era stato fatto esplodere davanti ad un laboratorio artigianale di oro ed argento sito in via Vincenzo d'Annibale, danneggiando la saracinesca del locale;
   quasi contemporaneamente in piazza Enrico De Leva erano stati presi di mira un girarrosto (distrutto dall'incendio scaturito dalla piccola esplosione) ed una macelleria (che ha riportato danni superficiali, come l'annerimento della saracinesca);
   i tre attentati questione avevano, con ogni probabilità, matrice estorsiva, e sono stati commessi pochi giorni dopo l'arresto del boss Luigi Cimmino, attivo proprio in quell'area ed accusato di racket;
   il 30 luglio 2015, due giorni dopo tali eventi, in un agguato di camorra ha perso la vita Salvatore D'Alpino, già noto alle forze dell'ordine per questioni di ricettazione e contraffazione e già ferito in un precedente agguato;
   D'Alpino è stato ucciso a colpi di pistola mentre si trovava seduto all'esterno di una pizzeria a piazza Mancini, a pochi metri dalla stazione centrale di Napoli e dal frequentatissimo mercatino della Duchesca;
   nel corso dell'agguato è stato ferito anche l'uomo che era in compagnia di Salvatore D'Alpino, operato d'urgenza e salvato dai medici;
   il tutto è avvenuto in un orario di punta ed in un'area particolarmente frequentata, e dunque il rischio che nell'agguato potessero ritrovarsi coinvolte anche altre persone del tutto estranee alla vicenda è stato altissimo;
   il giorno dopo a meno di un chilometro di distanza vi è stato un altro omicidio; vittima ne è stata un giovanissimo meccanico di 21 anni, Luigi Galletta;
   il giovane è stato ucciso perché si era rifiutato di aiutare alcuni camorristi mettendo a disposizione la sua professionalità per truccare dei motorini;
   la punizione per il suo rifiuto erano stati inizialmente tre colpi alla testa con il calcio di una pistola, ma poche ore dopo affiliati alla camorra sono tornati all'officina e lo hanno ucciso con tre colpi di pistola;
   Luigi Galletta è l'ennesima vittima innocente della camorra in una città che ha già pagato un prezzo troppo alto;
   il rischio è che non si sia ancora giunti all'apice di questo inasprimento di atti intimidatori e di vendetta, e che nelle prossime settimane possano esserci altri casi del genere –:
   se non ritenga doveroso ed urgente mettere in campo ogni iniziativa utile ad evitare che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi Napoli resti oggetto di continua violenza da parte della criminalità organizzata;
   se non ritenga opportuno, nel frattempo, aumentare e rendere più efficaci i controlli già in atto sul territorio;
   se non ritenga indispensabile rafforzare ed accelerare tutto ciò che riguarda il progetto Unesco di recupero e riqualificazione del centro storico di Napoli.
(4-10110)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, SIBILIA, MANTERO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto previsto dall'articolo 8 della legge 13 luglio 2015, n. 107, cosiddetta «La buona scuola», il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è autorizzato ad attuare, per l'anno scolastico 2015/2016, un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per tutte le scuole statali: tali assunzioni dovranno avvenire esclusivamente per la copertura di posti vacanti e disponibili all'interno del nuovo organico dell'autonomia;
   in data 17 luglio 2015, il direttore generale per il personale scolastico, con proprio decreto prot. n. 0000767, ha indetto le procedure di assunzione del personale docente per l'anno scolastico 2015/2016;
   nello specifico, con il decreto ministeriale del 7 luglio 2015, n. 470, è stato assegnato un contingente in nomine di ruolo pari a 36.627 unità di personale docente, di cui 21.880 posti comuni per cessazioni dal servizio e 14.747 posti di sostegno;
   le graduatorie valide per le assunzioni a tempo indeterminato sono quelle concernenti il concorso per titoli ed esami indetto con decreto del direttore generale del 24 settembre 2012, n. 82, e quelle relative alle graduatorie dei concorsi precedenti, nonché quelle relative alle graduatorie ad esaurimento di cui all'articolo 1, comma 605, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006;
   i posti disponibili sono assegnati in numero uguale alle due diverse graduatorie, senza possibilità di recupero dei posti eventualmente assegnati alle graduatorie ad esaurimento negli anni precedenti;
   in tale fase iniziale, la scelta della sede provvisoria è assegnata prioritariamente al personale che si trova nelle condizioni previste dagli articoli 21 e 33 della legge 18 febbraio 1992, n. 104;
   la fase successiva (Fase A), prima fase relativa al piano straordinario di assunzioni di cui sopra, prevede la copertura di ulteriori posti comuni e di sostegno vacanti con destinazione nella stessa provincia di iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento;
   tuttavia, nelle successive Fasi B e C, in deroga all'articolo 399 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, i soggetti che non risultano destinatari della proposta di assunzione nella fasi precedenti sono assunti per copertura dei posti di organico di diritto rimasti vacanti e disponibili dopo la Fase A e dei posti per il potenziamento dell'offerta formativa come previsto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107;
   le proposte di nomina sono effettuate esclusivamente tramite sistema informativo e l'aspirante docente è nominato nella prima provincia ove vi sia possibilità di impiego per l'insegnamento per cui concorre, estendendo tale possibilità a tutto il territorio nazionale;
   in ciascuna delle fasi sopra descritte, la rinuncia alla nomina corrisponde ad un'automatica cancellazione da tutte le graduatorie in cui è iscritto e gli aspiranti docenti che appartengono a entrambe le categorie sopra citate sono tenuti a scegliere per quale categoria essere trattati, escludendo quindi la possibilità di concorrere per entrambe le graduatorie, anche se rientrati a pieno titolo in entrambe;
   oltre ciò, non risultano chiare le modalità in cui si procederà nell'assegnazione dei posti riservati alle cosiddette categorie protette dopo la designazione della sede provvisoria nelle fasi iniziali e, soprattutto, nelle fasi successive in cui, in base a quanto previsto dall'articolo 8 comma 4 dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, «saranno assunti i vincitori, nonché gli iscritti nelle graduatorie a esaurimento nel limite dei posti rimasti eventualmente vacanti e disponibili nell'organico dell'autonomia nazionale, individuati a livello di albo territoriale»;
   a garanzia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone diversamente abili, la legge 5 febbraio 1992, n. 104, prevede la realizzazione dell'integrazione e dell'inserimento sociale della persona diversamente abile, inter alia, mediante «misure atte a favorire la piena integrazione nel mondo del lavoro, in forma individuale o associata, e la tutela del posto di lavoro anche attraverso incentivi diversificati»;
   in attuazione di tale misura, l'articolo 21 della stessa legge prevede che la persona diversamente abile «con un grado di invalidità superiore ai due terzi o con minorazioni iscritte alle categorie prima, seconda e terza della tabella A congiunta alla legge n. 648 del 10 agosto 1950, assunta presso gli enti pubblici come vincitrice di concorso o ad altro titolo, ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili»;
   ciò nonostante, la legge 13 luglio 2015, n.107, nelle disposizioni relative alle fasi del piano straordinario di assunzioni, non fa riferimento alcuno alle succitate garanzie che si rendono oltremodo necessarie nel caso in cui l'aspirante docente diversamente abile sia assunto nell'organico dell'autonomia nazionale, rischiando quindi di dover lavorare a centinaia di chilometri dal proprio luogo di residenza –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in merito alle questioni tracciate in premessa;
   se non ritenga opportuno un intervento normativo volto ad escludere l'automatica applicazione della procedura nazionale ai lavoratori appartenenti alle categorie protette nonché a chiarire le modalità attraverso cui saranno salvaguardati i diritti degli stessi. (5-06251)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   500 posti nella scuola sarda saranno potenzialmente occupati da insegnanti provenienti dalla Sicilia e Campania;
   nel contempo 4.000 insegnanti sardi senza futuro resteranno precari;
   saranno costretti ad emigrare anche 100 docenti (ingegneri e non solo) sardi che subiscono la riduzione dell'orario di tecnologia;
   oltre 4.000 insegnanti precari sardi resteranno senza futuro in graduatorie che non si esauriscono mai considerato che le promesse roboanti sono rimasti lettere morta;
   la farsa della riforma della scuola sta gettando il mondo della scuola nel buio più totale, con veri e propri drammi non solo nella gestione della vita professionale ma anche familiare;
   centinaia di genitori/docenti in questi giorni sono chiamati a scegliere tra la famiglia e il lavoro, rinunciare alla graduatoria che li potrebbe spedire come dei pacchi postali in tutte le regioni italiane, oppure fare le valigie e trasferirsi chissà dove;
   tra qualche giorno si completeranno le prime due fasi, cosiddette 0+A, che individuano i docenti che avranno il ruolo su cattedra in territorio regionale, e poi la «roulette russa» delle fasi B e C che si svolgeranno su base nazionale;
   gli effetti sono drammatici in Sardegna, più che in qualsiasi altra parte d'Italia, considerata la condizione insulare;
   4.000 docenti precari resteranno tali per due ordini di motivi: nel contesto nazionale ci sono docenti stranamente con punteggi elevatissimi di altre regioni italiane, vedi tra tutte Sicilia e Campania e poi perché la Sardegna, unica regione, non ha chiesto nemmeno un posto aggiuntivo;
   si tratta di un vero e proprio scandalo che sta mettendo in ginocchio la scuola sarda;
   occorre che il Governo e la regione (a parere dell'interrogante sempre silente e complice di questa situazione) si facciano carico di questo vero e proprio tracollo della scuola sarda;
   imperativo assoluto in questa fase è la formulazione di una richiesta immediata di tutti i posti aggiuntivi necessari senza perdere altro tempo;
   ci si trova dinanzi ad una situazione gravissima che avrà come effetto immediato che una ventina di docenti di scuola primaria ma, soprattutto, un centinaio di docenti della CdC A033 (tecnologia alle scuole medie) costretti ad emigrare;
   mentre per il resto d'Italia spostarsi può non essere un problema gigantesco, lo è per un sardo, almeno così pensa anche l'Unione europea, che annovera la Sardegna tra i territori colpiti dalla invalidante condizione di insularità, e perciò destinatari di deroghe e privilegi a ristoro;
   il dirigente scolastico responsabile dell'ufficio regionale della Sardegna si è dimostrato incapace di affrontare queste situazioni considerato che è stato l'unico in Italia a chiedere zero posti aggiuntivi rispetto all'organico di diritto;
   basterebbe, per esempio, ripristinare le ore di educazione tecnica da due a tre ore, come del resto ha disposto il Tar Lazio, e aumenterebbero di colpo le cattedre in Sardegna da 212 a 318 consentendo a tutti, iscritti alle graduatorie 2012 e ai pochissimi delle graduatorie ad esaurimento, di svolgere il proprio lavoro in Sardegna;
   si tratta di insegnamenti vitali come l'innovazione tecnologica, aumentata vertiginosamente e l'approccio alla tecnologia;
   materie decisive per il futuro che anziché essere implementate vengono drasticamente ridotte;
   si tratta di infondere ai futuri cittadini le competenze per sviluppare tecnologia ed in tal modo innovare;
   su un monte di 30 ore settimanali l'asse tecnologico-scientifico ha a disposizione la risibile quantità di 8 ore, 6 di scienze e 2 di tecnologia, con uno squilibrio ingiustificato e di fatto «masochistico»;
   la Sardegna con le competenze di circa cento docenti di A033, di estrazione ingegneristica e tecnico-scientifica, per introdurre al linguaggio della programmazione i giovani almeno all'uscita dalla scuola primaria si vede costretta a rinunciare a tutto questo per l'incapacità e irresponsabilità della regione e del Governo;
   tale privazione rasenta l'illegittimità, per manifesta illogicità ed incongruità come ha detto lo stesso Tar Lazio;
   il Comitato per la difesa della scuola sarda ha già annunciato azioni utili e improrogabili per costringere il Governo e la regione ad adottare iniziative concrete per scongiurare questa ennesima emigrazione intellettuale –:
   se non ritenga di attivarsi per concordare con la regione Sardegna un contingente importante di insegnanti aggiuntivi, stimati dai sindacati in 500 unità, per sopperire alle gravissime difficoltà della scuola sarda, sia per l'ampliamento dell'offerta formativa che per programmi tesi alla riduzione della gravissima dispersione scolastica che vede l'isola come prima regione scolastica;
   se non ritenga di dover attivare le procedure per eliminare le fasi nazionali e consentire agli insegnanti sardi di poter operare nell'ambito scolastico regionale e provinciale considerate le gravissime condizioni insulari e le impossibili condizioni di mobilità;
   se non ritenga di dover ripristinare le tre ore settimanali di educazione tecnica al fine di garantire agli studenti una più esaustiva formazione su materie fondamentali nell'era della tecnologia. (5-06254)


   ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 luglio 201,5 la Direzione Generale per il personale scolastico emanava il DDG Prot. n. 680, attuativo del decreto ministeriale 3 giugno 2015, n. 326 contenente le disposizioni inerenti le graduatorie di istituto e l'attribuzione di incarichi di supplenza al personale docente, ad integrazione del precedente decreto ministeriale 4 maggio 2015, n. 248 emanato in materia. Come noto, tale provvedimento consente: a) l'inserimento in II fascia delle graduatorie di istituto, con cadenza semestrale (1 febbraio 2015 e 1 agosto 2015), dei docenti che conseguono il titolo di abilitazione oltre il previsto termine di aggiornamento triennale delle graduatorie, collocandosi in un elenco aggiuntivo relativo alla rispettiva finestra di inserimento, b) l'inserimento, con cadenza semestrale (1o febbraio 2015 e 1o agosto, 2015), in elenchi di sostegno in coda alla fascia di appartenenza, per i docenti che conseguono il titolo di specializzazione per il sostegno agli alunni con disabilità, c) il riconoscimento della precedenza nell'attribuzione delle supplenze in III fascia di istituto, per i docenti che vi siano inseriti e che conseguono il titolo di abilitazione nelle more dell'apertura delle finestre semestrali. In particolare, il DDG in commento consente ai soggetti già collocati nelle graduatorie di I, Il e III fascia delle Graduatorie di Istituto, ed aventi titolo all'iscrizione nell'elenco aggiuntivo delle graduatorie di II fascia di istituto ai sensi del decreto ministeriale 3 giugno 2015, n. 326, per insegnamenti appartenenti ad ordini di istruzione diversi da quelli per i quali sono collocati in graduatoria, di sostituire, nella stessa provincia di iscrizione, una o più istituzioni scolastiche già espresse all'atto della domanda di inserimento di inizio triennio ed ai soli fini dell'iscrizione negli elenchi aggiuntivi di cui al presente decreto per i nuovi inserimenti;
   il comma 3 dell'articolo 2 – Inserimento in II fascia aggiuntiva, del citato DDG del 6 luglio 2015 prevede che «I docenti di strumento musicale sono graduati secondo – i punteggi previsti nell'Allegato 3 al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 235/2014», e al comma 5 dispone che: «Le domande di iscrizione sono presentate utilizzando il modello A3 entro il termine del 3 agosto 201, ad una Istituzione Scolastica della provincia prescelta, secondo le modalità descritte all'articolo 7 comma I lettera A) del decreto ministeriale 353/2014»;
   l'Allegato 3 al decreto ministeriale 1o aprile 2014, n. 235, richiamato dalla disposizione sopra citata, e contenente la Tabella di valutazione dei titoli per i docenti di strumento musicale nella Scuola Media (annessa al DM 22 maggio 2014, n. 353 riguardante le graduatorie d'istituto), attribuisce il punteggio di 6 punti ai possessori di titolo abilitante, frequentanti il Biennio di secondo livello per la formazione dei docenti di strumento musicale di cui al decreto ministeriale 8 settembre 2007, n. 137. Viceversa, il medesimo Allegato 3 non contiene alcun riferimento al punteggio attribuibile a seguito del conseguimento del Tirocinio Formativo Attivo da potersi svolgere nell'anno successivo allo stesso Biennio di secondo livello (ex articolo 3, comma 3, decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249);
   a sua volta, il Modello A3, allegato al DDG in commento, preclude ai soli docenti di strumento musicale (classe di concorso A077) la compilazione della Sezione C relativa alla Dichiarazione del Titolo di Accesso, dove, invece, è prevista per tutti gli altri docenti di altre classi di concorso l'attribuzione del punteggio di 66 punti per il conseguimento del Tirocinio Formativo Attivo (ai quali, peraltro, cumulare fino a 12 punti in relazione al voto di abilitazione conseguito). Analogamente, la Sezione E del Modello A3, riservata ai docenti di strumento musicale, non contempla l'inserimento del titolo ottenuto a conclusione del TFA, facendo riferimento al generale titolo di abilitazione in strumento musicale;
   pertanto, sia il richiamo operato dal DDG 6 luglio 2015, n. 680 all'Allegato 3 al decreto ministeriale 1o aprile 2014, n. 235, volto a graduare i docenti di strumento musicale per l'inserimento in II fascia aggiuntiva, sia le disposizioni contenute nel Modello A3 allegato al medesimo DDG, sembrerebbero introdurre una sperequazione, tra i docenti della classe di concorso A077 e gli altri docenti, non supportata dalla legislazione vigente in materia che, viceversa, non introduce distinzioni nell'attribuzione di punteggi ai docenti di strumenti musicali rispetto ad altri docenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e come intenda intervenire per porvi rimedio. (5-06256)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   da una lettera pubblicata su «La Stampa» cronaca di Cuneo e provincia giovedì 9 luglio 2015, sono drammaticamente emerse le difficoltà che un disabile ha incontrato, entrando per una visita all'Inps di Cuneo, a causa delle barriere architettoniche che ne hanno reso difficile l'accesso;
   l'avvocato in questione e autore della lettera, sulla sedia a rotelle, ha rilevato ostacoli e difficoltà per poter arrivare alla sala delle visite dell'Inps di Cuneo. Più in particolare, all'ingresso dove vengono convocate le persone per le verifiche, un cartello indica che per poter accedere agli sportelli i disabili in carrozzina devono entrare da un ingresso attiguo, dove l'auto di chi accompagna il disabile può entrare per scaricare l'accompagnato, per poi uscire ed andare a posteggiare sul piazzale o negli spazi blu a pagamento;
   il citofono è ad altezza di persone in piedi e si entra solo dopo aver superato uno scalino di qualche centimetro, attraverso una porta a vetri, superata la quale il disabile deve salire altri scalini per poi essere caricato su un montascale che non riesce a fare salire le carrozzelle elettriche;
   l'ufficio a cui il disabile accede è un ufficio deputato alla verifica di pensionati e di portatori di handicap, per questi motivi ci si aspetterebbe, a parere degli interpellanti, quanto meno che parcheggi e accessi fossero facilitati: non è così;
   in risposta, il direttore della sede provinciale dell'Inps ha elencato i dati in base ai quali è riscontrabile che fino a tre anni fa, lo stato delle barriere architettoniche era peggiore di quello attuale, evidenziando come l'edificio sia stato costruito alla fine degli anni sessanta ed attualmente non più di proprietà dell'Istituto e che pur avendo adottato accorgimenti utili a facilitare l'accesso ai portatori di handicap, è evidente che gli standard dell'epoca in materia di barriere architettoniche erano molto diversi dagli attuali;
   la struttura necessita di urgenti ulteriori interventi, per rendere possibile l'accesso ai portatori di handicap, pur nella consapevolezza delle inevitabili problematiche sia dal punto di vista edilizio che finanziario –:
   se sia a conoscenza delle difficoltà di accesso per i disabili alla sede INPS di Cuneo, e se non ritenga urgente, al fine di agevolarne l'accesso, utilizzare ogni misura necessaria al fine di abbattere le barriere architettoniche che rappresentano, ancora oggi e nonostante le migliorie condotte, un grave ostacolo per i portatori di handicap;
   se e in che modo l'Inps abbia affrontato il problema delle barriere architettoniche in tutte le sue sedi e quale sia la situazione attuale di superamento delle stesse.
(2-01059) «Monchiero, Mazziotti Di Celso».

Interrogazione a risposta orale:


   FAUTTILLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ben 6500 medici competenti sarebbero stati cancellati lo scorso aprile dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per non aver soddisfatto il fabbisogno formativo previsto dal Testo unico per la sicurezza sul lavoro decreto-legge n. 81 del 2008 (crediti Ecm adeguati, pari a 105 in medicina del lavoro) entro il 2013, nonostante la confederazione dei medici della dipendenza avesse chiesto al Ministero di posticipare tale decisione a gennaio 2016;
   il giudizio del medico competente è un documento che ha valore legale ed è utilizzato in contenziosi. La validità dei giudizi emessi dai colleghi cancellati potrebbe essere inficiata con aggravamento del contenzioso su malattie occupazionali, infortuni lavorativi ed altro;
   risulterebbe che in alcuni casi i provider non abbiano fatto a tempo a trasmettere i crediti regolarmente conseguiti, o non fossero accreditati a livello nazionale, o l'autocertificazione del medico non fosse pervenuta per un cattivo funzionamento del sistema di posta elettronica. Infine c’è chi non sarebbe arrivato per un soffio in un contesto in cui non ovunque l'offerta formativa è sufficiente;
   molti medici competenti sono anche dipendenti Asl e l'ospedale è il luogo deputato a una pronta diagnostica e terapia nelle procedure dei medici competenti;
   se 6500 medici non ottengono i crediti, vuol dire che le aziende non hanno fatto la loro formazione mentre sarebbe opportuno più tempo sia per i medici da formare, sia per le aziende. Si tratta di professionisti specializzati, di competenze che non possono essere cancellate per il mancato rispetto di una percentuale;
   l'obbligo di totalizzare il 70 per cento dei crediti in medicina del lavoro andava soddisfatto da fine 2013 ma era stato concesso un anno di proroga, mentre ad aprile 2015, è intervenuto il depennamento, e la revoca dell'incarico ai medici da parte di molti datori di lavoro;
   la Fnomceo ha messo in campo due corsi per aiutare un rapido recupero crediti e ha mediato con il Ministero della salute che sarebbe propenso a regolarizzare entro l'anno chi rientra in linea con i crediti, in pratica senza «sospenderlo» per il periodo in cui è stato depennato –:
   se non ritengano opportuno, al fine di non disperdere un patrimonio di professionalità riconosciute in nome di un fabbisogno di crediti solo sfiorato o di un sistema informatico da aggiornare, di adottare in tempi brevi iniziative volte a consentire per chi fa sorveglianza sanitaria di mettersi in linea con i crediti del triennio 2011-2013 aggiungendoli progressivamente a quelli del 2014-2016 in corso. (3-01656)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'ARIENZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 ottobre 2014 presso il tribunale ordinario di Roma è stato archiviato il procedimento penale avviato nei confronti di un giornalista per un articolo pubblicato il 22 febbraio 2013;
   dal decreto di archiviazione si leggono diversi rilievi a carico dell'Ente nazionale sordi, ente a finalità pubbliche finanziato dallo Stato, così come constatato anche dalla sezione controllo della Corte dei conti;
   la Corte dei conti ha presentato ai Presidenti di Camera e Senato relazione su come siano stati spesi i contributi pubblici dell'ENS (provenienti dallo Stato in aggiunta ai contributi dei comuni, delle province e delle regioni elargiti a vario titolo);
   la stessa Corte dei conti ha dichiarato che dal 2006 al 2010 non sono stati presentati bilanci da parte dell'Ente nazionale sordi e che quelli precedenti non erano congrui e non seguivano le regole richieste dalla legge;
   nel delicato comparto sociale sono state costituite numerose associazioni di sostegno che, allo stato, essendosi staccate dall'ENS non percepiscono contributi;
   sarebbe opportuno un nuovo intervento della Corte dei conti per il periodo dal 2010 ad oggi –:
   se non ritenga utile assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a fare chiarezza sulla gestione dell'ENS (patrimonio attuale, mobiliare e immobiliare, alienazioni e acquisizioni, contributi ricevuti a vario titolo);
   se intenda o meno assumere iniziative per rivalutare, attesa la pluralità di soggetti che rappresentano gli interessi dei sordi italiani, il riconoscimento concesso all'ENS in base alla legge 21 agosto 1950, n. 698 seguita dal decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo 1979.
(5-06240)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la questione della rimozione, dello smaltimento dell'amianto e delle gravi patologie ad esso correlate è un tema di grande attualità nel Paese;
   dal secondo dopoguerra fino al 1992, quando è stato vietata per legge ogni attività di estrazione, di commercio, di importazione, di esportazione e di produzione di amianto, sono state prodotte nel nostro Paese 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo. Il periodo tra il 1976 e il 1980 è stato quello di maggiore picco nei livelli di produzione, con più di 160.000 tonnellate annue prodotte;
   fino al 1987 la produzione non è mai scesa sotto le 100.000 tonnellate annue, per poi decrescere rapidamente fino al divieto dell'uso. Anche le importazioni italiane di amianto grezzo sono state molto consistenti, mantenendosi superiori alle 50.000 tonnellate annue fino al 1991: complessivamente, dal dopoguerra al 1992, l'Italia ha importato 1.900.885 tonnellate;
   per il costo contenuto e l'ampia disponibilità, l'utilizzo dell'amianto è avvenuto in numerosissime applicazioni industriali, sfruttando le proprietà di resistenza al fuoco, di isolamento e di insonorizzazione;
   i primi studi sugli effetti nocivi sulla salute dell'amianto sono stati pubblicati nella metà degli anni Trenta del Novecento, le acquisizioni scientifiche intorno alla sua cancerogenicità si sono poi progressivamente sviluppate nel corso degli anni Sessanta e Settanta;
   la legge 27 marzo 1992, n. 257 «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto» ha previsto essenzialmente: il divieto di estrazione, di lavorazione e di commercializzazione dell'amianto; la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio; misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori in precedenza esposti all'amianto; misure per il risarcimento degli stessi e per il riconoscimento della qualifica di malattia professionale e del danno biologico. E su questi temi c’è ancora molto da fare;
   dal 1992 ad oggi, la predetta legge è stata soltanto parzialmente attuata, in particolare per ciò che concerne la mappatura della presenza di amianto e la relativa bonifica, per quanto concerne l'individuazione dei siti di discarica o le modalità di trattamento del materiale rimosso, nonché per quanto concerne la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori in precedenza esposti all'amianto e le misure per il loro risarcimento;
   l'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 stabilisce infatti che per i lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto (assicurazione gestita dall'Inail) sia moltiplicato, ai fini pensionistici, per il coefficiente di 1,5. Coefficiente poi ridotto a decorrere dallo 1° ottobre 2003 ad 1,25 (non idoneo per andare in pensione) per effetto dell'articolo 47, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 26, convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326. L'INPS con propria circolare del 15 aprile 2005 n. 58 ha incluso tra i destinatari della disciplina di cui alla legge n. 25 del 1992 tutti i lavoratori che abbiano svolto attività lavorativa in presenza di amianto con esposizione ultra decennale prima del 1° ottobre 2003, alla sola condizione che abbiano provveduto a presentare domanda di certificazione all'INAIL entro il 15 giugno 2005. In data 22 gennaio 2015 l'Inps ha pubblicato una lettera nelle sue online News in cui faceva riferimento all'articolo 1, comma 115 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (Legge di Stabilità 2015) inducendo a pensare che chi aveva avuto un riconoscimento anche giudiziale al coefficiente 1,25 sarebbe stato elevato a 1,50 (coefficiente utile per la pensione). Si è poi appreso dell'erronea interpretazione fornita dalla nota dell'Inps e che la Legge di Stabilità alza il coefficiente a 1,50 solo a chi è stato licenziato per chiusura della azienda di appartenenza, introducendo di fatto una discriminazione con i lavoratori esposti all'amianto che ancora oggi hanno un posto di lavoro. Come se l'amianto manipolato e respirato dai secondi sia più meno dannoso di quello respirato dai primi;
   il decreto-legge 65 del 2015, approvato con legge 109 del 17 luglio 2015, prevede quanto segue: «Interpretazione autentica dell'articolo 1, comma 112, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, in materia di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto). – 1. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 1, comma 112, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, per “lavoratori attualmente in servizio” si intendono i lavoratori che, alla data di entrata in vigore della medesima legge, non erano beneficiari di trattamenti pensionistici» –:
   se intendano valutare l'opportunità di incrementare le risorse assegnate al fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria per il 2008, rivedendo l'attuale normativa pensionistica, per garantire benefici, oltre che ai lavoratori colpiti da patologie asbesto-correlate, anche a coloro che per motivi di servizio sono esposti direttamente all'agente patogeno; se intendano altresì superare la discriminazione contenuta nella Legge di Stabilità 2015 ed elevare il coefficiente a 1,50 anche per i lavoratori esposti all'amianto a cui è già riconosciuto il moltiplicatore di 1,25, che ancora hanno un posto di lavoro e le cui aziende non hanno cessato attività. (4-10115)


   PES. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 22, recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183» ha introdotto a decorrere dal 1o maggio 2015 una indennità mensile di disoccupazione, denominata nuova prestazione di Assicurazione sociale per l'impiego (NASpI), avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito dei lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione;
   la NASpI sostituisce, dunque, le indennità di disoccupazione ASpI e mini ASpI introdotte dall'articolo 2 della legge n. 92 del 2012, con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1o maggio 2015;
   il «Jobs Act» ha introdotto significative misure anche per gli insegnanti precari che hanno diritto all'indennità di disoccupazione per le giornate dei mesi di luglio e agosto non lavorate e prive di retribuzione, a partire dal 1o maggio 2015;
   da notizie apprese da alcuni organi di stampa, però, si apprende che alla data odierna, anche in Sardegna, circa 2500 precari, non hanno ancora percepito il sussidio di disoccupazione;
   il Presidente dell'INPS Tito Boeri il 14 luglio 2015, invece, durante un'audizione al Senato sul «Jobs Act», invece, aveva annunciato l'avvio della procedura di liquidazione degli assegni della Naspi dal giorno successivo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione insostenibile in cui versano i precari e quali iniziative urgenti intenda adottare;
   se il Ministro possa indicare delle date certe per la riscossione dell'indennità di disoccupazione a quanti versano in situazioni di grave sofferenza economica. (4-10119)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE e VICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è stata presentata la pubblicazione «La Lucanica di Picerno» a cura del professor Ettore Bove dell'università di Basilicata per il riconoscimento del marchio Igp per i salumi di Picerno;
   tre aziende locali impegnate nella trasformazione del maiale si sono costituite in consorzio per l'ottenimento di tale riconoscimento di qualità;
   a Picerno si produce circa il 60 per cento dei salumi lucani che vengono commercializzati in Italia e nel mondo con un mercato in espansione;
   la lucanica di Picerno è un prodotto di tradizione millenaria e con il disciplinare di produzione già sviluppato ci sono tutti i presupposti perché l'Igp possa essere riconosciuta;
   quello della suinicoltura per Picerno è un segmento dell'economia molto importante che genera occupazione diretta e di indotto;
   l'ottenimento dell'Igp, faciliterebbe l'accesso anche a sistemi di distribuzione più competitivi e qualificati sia sul mercato interno che su quello esterno, sensibili a produzioni tipiche garantite –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di velocizzare l’iter di riconoscimento Igp per la lucanica di Picerno al fine di rafforzare questo segmento di qualità della economia locale con significative potenzialità di sviluppo.
(5-06250)

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, GALLINELLA, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 2012, n. 135 ha stabilito la soppressione immediata dell'ASSI (subentrata all'UNIRE con legge 15 luglio 2011, n. 111 ma mai dotata di statuto) con il passaggio al Ministero competente, tra l'altro, di tutti i rapporti passivi ed attivi;
   a quasi tre anni dalla soppressione dell'ASSI, decretata con effetto immediato (alla data del 14 agosto 2012), nulla ex novo si è registrato di concreto salvo la sospensione e, quindi, il ritardo dei pagamenti dovuti alla filiera ippica;
   il decreto legislativo 449 del 1999 richiedeva la valutazione degli ippodromi;
   uno specifico elaborato risulta depositato presso il Ministero in indirizzo, a seguito del lavoro svolto con la «socializzazione dei parametri» da un'apposita commissione composta in modo paritetico dai tecnici indicati dalle Associazioni degli ippodromi e da quelli dell'ASSI. La valutazione prospettica si avvale del sistema matematico AHP –:
   quali valutazioni e cosa si intenda fare per varare e garantire un sistema di valutazione che costituisca una delle basi per la pianificazione dell'ippica italiana. (4-10106)


   L'ABBATE, BENEDETTI, GAGNARLI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 2012, n. 135, ha stabilito la soppressione immediata dell'ASSI (subentrata all'UNIRE con legge 15 luglio 2011, n. 111, ma mai dotata di statuto) con il passaggio al Ministero competente, tra l'altro, di tutti i rapporti passivi ed attivi;
   a quasi tre anni dalla soppressione dell'ASSI, decretata con effetto immediato (alla data del 14 agosto 2012), nulla ex novo si è registrato di concreto salvo la sospensione e, quindi, il ritardo dei pagamenti dovuti alla filiera ippica;
   risulta validato dall'AAMS, nell'agosto 2012, ed in precedenza dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, l'ipotesi di nuovo regolamento delle scommesse formulato da una commissione AAMS/ASSI, con la partecipazione di SOGEI (che prevedeva, tra l'altro, la riunificazione dei due totalizzatori, il restyling della scommessa, l'armonizzazione del regolamento a quelli degli altri Stati europei per meglio consentire l'accettazione delle scommesse a massa comune, etc.) –:
   cosa si intenda fare per ridare interesse commerciale e modernità alla scommessa ippica penalizzata da una stasi epocale. (4-10107)


   MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere:
   se sia disponibile un quadro con le esatte statistiche del bestiame bovino semibrado abusivamente pascolante nel Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, le patologie riscontrate, i proprietari individuati e gli eventuali provvedimenti adottati al riguardo nell'ultimo decennio;
   se sia possibile conoscere, attraverso una, accurata indagine finalizzata da condurre attraverso il Corpo forestale dello Stato e il coordinamento territoriale per l'ambiente (CTA) il numero esatto degli individui di orso bruno marsicano di cui siano stati accertati il decesso, le cause effettive o ipotizzate, gli eventuali responsabili, e i provvedimenti conseguenti tempestivamente adottati nel corso dell'ultimo decennio. (4-10108)


   NICCHI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il disastro naturale che sta avvenendo nella laguna di Orbetello (Grosseto), ed in particolare nel bacino di levante, dove, a causa dell'alta temperatura raggiunta dalle acque (fino a 32-34 gradi) e nonostante i tentativi continui di pompare acqua, come deciso nei tempi e nei modi dal comitato scientifico della laguna, a più bassa temperatura dal mare, una grande quantità di vari tipi di pesce (orate, mazzoni, spigole, cefali, anguille) sta morendo per anossia;
   secondo quanto affermato nei comunicati ufficiali nei giorni scorsi sono state recuperate alcune centinaia di tonnellate di pesce morto, ed è complicato prevedere un dato definitivo della moria in atto, senza contare le conseguenze, in quanto di difficile determinazione, della morte degli avannotti, cioè dei piccoli pesci usciti dallo stato larvale;
   un disastro così rilevante si può tradurre ad oggi, dal punto di vista economico, in una perdita di decine di milioni di euro, riservando una stima più completa nell'arco dei prossimi anni;
   oltre al patrimonio ambientale rappresentato dalla laguna di Orbetello, la pesca lagunare rappresenta una risorsa economica e occupazionale fondamentale per il territorio, con la cooperativa dei pescatori che, oltre a costituire un'attrattiva turistica per la zona, vede impiegati al suo interno circa cento addetti;
   considerato che:
    negli ultimi 20 anni la questione del risanamento ambientale della laguna di Orbetello, area appartenente al demanio statale, era stata affidata alla responsabilità di un apposito commissario delegato, nominato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che agiva secondo le indicazioni del dipartimento della protezione civile, il quale aveva il principale obiettivo del risanamento della laguna, soprattutto attraverso la riduzione della proliferazione delle masse algali;
    negli anni del commissariamento, nonostante le ingenti risorse economiche e di personale impiegate, al di là di interventi di facciata, non è stato affatto risolto il problema dell'eutrofizzazione delle acque, essendo mancati interventi strutturali importanti, come ad esempio la realizzazione di canali interni per consentire un ricambio naturale delle acque, ed essendo invece stata portata avanti l'idea inutile, dannosa e costosa di un apposito impianto di smaltimento delle masse algali a Patanella, che comprendeva anche lo smaltimento di tipologie di prodotti totalmente esogeni alla laguna; così come praticamente nulla è stato fatto in merito alla bonifica dell'area pubblica di fronte alla Sitoco (sito d'interesse nazionale);
   dal 1o gennaio 2015 il comune di Orbetello, come soggetto attuatore dell'accordo di programma stipulato con la Regione Toscana e la provincia di Grosseto, ha iniziato l'applicazione del metodo sperimentale di ossigenazione tramite sollevamento dei sedimenti dal fondo della laguna di ponente, che parrebbe dare positivi risultati sia dal punto di vista della riduzione del banco di alghe principale da 44.000 a 19.000 tonnellate sia in termini economici, anche se purtroppo tale metodo non è stato ancora applicato fino ad oggi al bacino di levante, dove sta avvenendo il disastro;
   l'attuale sindaco di Orbetello, Monica Paffetti, ha annunciato di avere diffidato il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia del demanio ad intervenire con urgenza, attraverso la convocazione di un tavolo di confronto per valutare le possibili soluzioni immediate –:
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali non ritenga necessario proporre con urgenza al Consiglio dei ministri la dichiarazione dello stato di calamità nell'area della laguna di Orbetello;
   se il Ministro dell'ambiente non ritenga di intervenire urgentemente per la bonifica delle aree pubbliche di fronte alla ex Sitoco e all'area di Patanella, dove sarebbero ammassate tonnellate di masse algali;
   se il Governo non ritenga di dover predisporre per il futuro una precisa strategia di tutela di un'area di così grande pregio ambientale e valore economico per la comunità locale e per l'intera regione, in particolare attraverso la costituzione di un soggetto in grado di coinvolgere in maniera continuativa, in regime ordinario, ma con risorse certe e sufficienti nella risoluzione delle problematiche il livello statale, regionale e degli stessi enti locali;
   quale sia il dettaglio dei risultati e dei costi effettivi degli anni durante i quali l'area era stata affidata alla responsabilità del commissario delegato;
   in cosa siano consistite le attività del Centro di ricerche di ecologia, acquacultura e pesca ECOLAB di Orbetello, durante la sua esistenza e se queste siano state svolte con continuità, con quali risorse e quale sia il motivo della sua chiusura;
   se risulti se l'impianto di depurazione di località Terra Rossa sia in condizioni di recepire lo smaltimento delle acque dell'attività site nella laguna ad oggi non collegate al depuratore. (4-10114)


   COSTANTINO e DURANTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il caporalato pugliese sfrutta ogni anno circa 40 mila donne braccianti che vengono dislocate e trasportate in tutta la regione Puglia verso i campi, per lavorare giorno e notte in qualsiasi condizione climatica per la raccolta di frutta e olive;
   si tratta di un lavoro molto pesante che non viene compensato con retribuzioni adeguate e garanzie sulla salute e sui diritti sindacali;
   la raccolta dell'uva, in particolare, come ci spiega nel suo articolo di Repubblica Antonello Cassano, pubblicato il 3 agosto 2015, è un lavoro sfiancante: «le donne diradano gli acini per fare più belli i grappoli di uva da tavola, scartando i chicchi piccoli che impediscono agli altri di crescere. Un lavoro duro a cui non corrisponde una paga adeguata, visto che l'acinellatura è tra i lavori pagati meno in agricoltura: 27-30 euro a giornata, nonostante i contratti provinciali stabiliscano un salario di 52 euro»;
   sempre nell'articolo sopra citato, la CGIL denuncia la morte di una bracciante, Paola, quarantanovenne di San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto. La morte è avvenuta il 13 luglio 2015 ad Andria, per un malore, senza che siano stati disposti accertamenti sul suo corpo;
   Paola lavorava sui campi da 15 anni, con turni massacranti dall'alba al tramonto, affrontando un viaggio di 5 ore tra l'andata e il ritorno;
   Giuseppe Deleonardis, segretario pugliese della CGIL denuncia inoltre le numerose incongruenze rispetto al nulla osta da dato dal pubblico Ministero: «L'hanno sepolta senza autopsia e con il nulla osta del magistrato di turno. Il pm – sostiene Deleonardis – non si è recato sul posto perché, riferisce la polizia di Andria, il parere del medico legale è che si sia trattato di una morte naturale, forse un malore per il caldo eccessivo. Una morte che precede quella di Mohamed, ma intorno a questa storia non ci sono fiaccolate, proteste o cortei»;
   appena una settimana prima era infatti morto un migrante, anch'egli bracciante agricolo in Puglia, Mohamed, quarantasettenne sudanese ucciso da un malore a causa del caldo torrido nei campi di pomodori a Nardò;
   le compagne di lavoro affermano che Paola lamentava di stare male da giorni;
   il fascicolo della morte della bracciante è stato archiviato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano avviare per potenziare i controlli nel comparto agricolo per impedire lo sfruttamento e garantire dignitose condizioni lavorative. (4-10122)


   PARENTELA e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le api italiane sono minacciate da virus, parassiti e predatori, molti dei quali importati come la vespa velutina e il coleottero sudafricano Aethina tumida Murray, localizzato per ora in Calabria e in Sicilia, le cui larve si nutrono di miele di cui ne alterano irreversibilmente le caratteristiche organolettiche;
   non appena avuto conferma della presenza di Aethina tumida nella provincia di Reggio Calabria, anche alla luce degli ingenti danni da essa causati all'apicoltura negli Stati Uniti, Australia e Africa sub-sahariana, il Ministero della salute ha attivato le procedure necessarie a fronteggiare l'emergenza, disponendo, come prevede la normativa europea, l'eradicazione degli apiari per evitare che i fenomeni diventino endemici;
   gran parte delle associazioni apistiche e degli apicoltori evidenziano tuttavia come l'eradicazione degli apiari tramite abbruciatura non abbia sortito i risultati sperati, ma che anzi abbia favorito lo sfarfallamento nell'ambiente del coleottero allargando l'area dell’«infezione» oltre che scoraggiato gli apicoltori a denunciare la presenza del parassita per il timore di dover distruggere le arnie;
   ad oggi risultano distrutte, in ottemperanza dell'ordinanza regionale, oltre 3.000 famiglie di api, con ingenti danni per gli apicoltori che, secondo quanto affermato dal Governo, dovrebbero ricevere un indennizzo attraverso il Fondo di Solidarietà Nazionale;
   nell'intervento del Governo in merito all'odg 9/00348-A/1 presentato dal collega Massimiliano Bernini in data 18 dicembre 2014, di cui l'interrogante è cofirmatario, il Viceministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha affermato: «Io credo che noi su questo tema dobbiamo intervenire, certamente stiamo intervenendo. Proprio in questi giorni si sono susseguite due riunioni di tutto il settore presso il Ministero della salute. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha convocato un tavolo per l'inizio di gennaio sulla stessa materia, anche per venire incontro a questa questione, ma riteniamo che sia necessario affrontarla in maniera più organica»;
   allo stato attuale, gli apicoltori non hanno ancora ricevuto il giusto indennizzo promesso dal Governo nonostante l'interrogante si sia fatto, per giunta, più volte portavoce delle istanze dei richiedenti con diversi atti di sindacato ispettivo, il primo del settembre 2014 –:
   se non ritenga opportuno attivare urgentemente le procedure necessarie ad indennizzare gli apicoltori che hanno subito l'abbruciamento coatto delle arnie perdendo una fonte di sostentamento per sé e per le proprie famiglie;
   quali siano i progressi nell'ambito della lotta al coleottero sudafricano Aethina tumida e se non ritenga doveroso informare gli apicoltori che finora sono stati abbandonati a se stessi dalle istituzioni. (4-10128)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazioni a risposta immediata:


   PLACIDO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 luglio 2015 venivano rese anticipazioni circa il rapporto che la Svimez pubblica annualmente nel mese di ottobre;
   dalle medesime anticipazioni emergono dati che erano già ampiamente noti e che confermano quanto l'Italia abbia problemi di crescita strutturali molto forti rispetto al resto dell'Europa;
   secondo alcuni economisti meridionalisti le analisi sul Mezzogiorno, ad opera della Svimez, non evidenziano in maniera corretta la complessità delle problematiche che il sud del Paese ha, ossia il gap infrastrutturale e i tassi di povertà che aumentano in maniera esponenziale sono diversi sia sul piano economico che su quello sociale all'interno delle stesse regioni meridionali. È riduttivo affermare che il sud d'Italia sia uguale all'interno delle singole regioni che lo compongono: la Calabria rappresenta una realtà socioeconomica fortemente compromessa sia dal punto di vista della programmazione del territorio e sia per quanto riguarda le politiche da porre in essere al fine di sfruttare al meglio le risorse economiche dei fondi strutturali europei. La Campania presenta differenti criticità che potrebbero essere invertite in positivo se accompagnate da una capacità di programmazione e di spesa dei fondi comunitari; diversamente altre regioni come la Puglia rappresentano livelli di certificazione della spesa comunitaria decisamente superiori alla media meridionale che, negli ultimi anni, hanno garantito un miglioramento dell'utilizzo dei fondi strutturali all'interno di politiche di coesione e sviluppo ed hanno consentito la realizzazione di infrastrutture strategiche per il bacino del Mediterraneo;
   i dati della Svimez indicano che la ricchezza pro capite del Trentino, regione più ricca, è di 37.665 euro, mentre in Calabria, regione più povera, soltanto di 15.807 euro;
   il Mezzogiorno registra un forte calo dei consumi interni (dall'inizio della crisi il 13,2 per cento in meno) e degli investimenti (-4 per cento nel solo 2014), oltre al calo, ulteriore, degli occupati che nel 2014 sono stati 5,8 milioni: questo stato delle cose riporta indietro di 21 anni;
   secondo la Svimez, il Sud sarà interessato nei prossimi anni da una crisi demografica che porterà al calo delle nascite di oltre 4 milioni di persone: una vera e propria «desertificazione demografica» che renderà le regioni del Sud, in particolar modo la Calabria, territorio di anziani e pensionati;
   destano preoccupazione i dati sull'occupazione delle giovani donne under 34: a fronte di una media italiana del 34 per cento (in cui il Centro-Nord arriva al 42,3 per cento) e di una media europea (a 28 Stati) del 51 per cento, il Sud si ferma al 20,8 per cento. Tra i 15 e i 34 anni sono quindi occupate al Sud solo una donna su 5;
   l'Italia è un Paese sempre più diviso e diseguale, con un Sud che ha pagato nel corso degli anni della crisi il prezzo più alto delle politiche adottate dei tagli lineari della spesa pubblica. Gli ingenti tagli – sanità, scuola e su tutti l'università – hanno lacerato la trama sociale ed economica del Meridione d'Italia a vantaggio di altre macro aree del Paese che da tempo beneficiano di investimenti infrastrutturali di ben altra portata. Il Sud vede aumentare la pressione fiscale al livello locale grazie al meccanismo perverso dei tagli lineari;
   al 31 maggio del 2015 l'Italia ha speso il 73,6 per cento dei fondi strutturali della programmazione 2007-2013, ossia 3 punti in meno rispetto all'obbiettivo che il Governo Renzi si era dato, anche se grazie ad un allentamento delle regole europee le spese potranno essere certificate entro la primavera del 2017;
   i due precedenti governi, Monti e Letta, avevano strutturato la squadra di Governo affidando a due Ministri, Fabrizio Barca prima e Carlo Trigilia poi, la programmazione e la gestione dei fondi comunitari con la creazione di cabine di regia che hanno consentito di migliorare le performance e la certificazione di spesa dei fondi comunitari;
   dal mese di aprile 2015 il nostro Paese è privo di un Ministro o Sottosegretario di Stato che abbia le piene deleghe delle politiche di coesione territoriale con cui, al di là di quello che appare agli interroganti uno schema «parolaio» della politica del fare dell'attuale Esecutivo, avviare all'interno degli organismi competenti un lavoro di razionalizzazione della capacità di spesa certificata dei fondi strutturali. È evidente che la tanto declamata cabina di «regia politica» sui fondi comunitari del Governo Renzi si è ridotta ad un mero esercizio lessicale e potrebbe essere anche peggio nel caso in cui vi fosse l'intenzione di disimpegnare la quota di cofinanziamento nazionale dei fondi comunitari, al fine di finanziare la riduzione delle tasse utilizzando le risorse non impegnate. Si verrebbe così a creare una paradossale inversione di senso nell'utilizzo di fondi europei in funzione pro ciclica invece che anticiclica: è interessante osservare come la Polonia abbia certificato il 97,5 per cento della spesa comunitaria creando 300 mila posti di lavoro e 1661 chilometri di ferrovia –:
   per quali ragioni il Governo non abbia, a tutt'oggi, assegnato le deleghe per le politiche di coesione al nuovo Sottosegretario di Stato, Claudio De Vincenti, con cui avviare la tanto annunciata «regia politica» sui fondi comunitari, i quali, se ben programmati e conseguentemente certificati per spesa, potrebbero ridurre in maniera importante il gap socioeconomico e infrastrutturale esistente all'interno del «sistema Paese». (3-01664)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, MANNINO, TERZONI, VIGNAROLI, BATTELLI, SIMONE VALENTE e MANTERO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la Tirreno Power è uno dei principali produttori di energia elettrica in Italia; è presente con 20 centrali di cui 3 termoelettriche (tra le quali Vado Ligure) e 17 centrali elettriche;
   tra il 2000 e il 2007, secondo la procura della Repubblica di Savona, circa quattrocento persone residenti nell’«area di ricaduta» della centrale elettrica Tirreno Power di Vado Ligure e Quiliano sarebbero decedute per gli effetti delle emissioni in atmosfera dei gruppi a carbone che alimentano la centrale stessa;
   secondo il procuratore ci sarebbero stati anche «tra i 1.700 e i 2.000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini sarebbero ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d'asma tra il 2005 e il 2012»;
   sull'attività di Tirreno Power sono aperti da tempo due filoni d'inchiesta da parte della procura, uno per disastro ambientale e l'altro per omicidio colposo. Per il primo filone sono arrivate anche le dimissioni dell'ex direttore generale della centrale di Vado Ligure, chiamato a rispondere sulle emissioni degli impianti e indagato per disastro ambientale;
   l'11 marzo 2014 il giudice per le indagini preliminari di Savona ha disposto il sequestro di due gruppi a carbone della centrale di Vado Ligure, per il superamento alcuni limiti di emissioni imposti dall'autorizzazione integrata ambientale;
   da quanto riportato su un articolo di Ferruccio Sansa del il Fatto Quotidiano, del 15 luglio 2015, le registrazioni degli investigatori «dimostrano come la pubblica amministrazione con particolare riferimento all'allora Viceministro dello Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, si adoperi per suggerire la strada a Tirreno Power per aggirare la prescrizione che impone la copertura del carbone. De Vincenti secondo gli investigatori avrebbe ipotizzato di chiedere al Csm un'azione disciplinare contro il pm Francantonio Granero.». Inoltre, «le frasi dei dirigenti dei ministeri sono rivelatrici: Se si volesse fare una cosa pulita, questa pulita non potrà mai essere meno sporca (...)» e ancora: «Abbiamo una porcata da fare in trenta minuti, scritta da loro, dallo sviluppo economico (...). Mi sputerei in faccia da solo». Fino ad un riferimento forse all'Ilva: «stiamo scrivendo un'altra norma porcata (...) c'ho un conato»;
   sul quotidiano La Stampa, del 15 luglio 2015, a firma di Marco Grasso e Marco Menduni, così viene riportata la vicenda: «La macchinazione per costruire una norma ad hoc che contenga un'interpretazione di più favorevole a Tirreno Power, coinvolge i più alti livelli e nell'inchiesta dei carabinieri del Nucleo Operativo ecologico di Genova si citano spesso (anche se non appaiono mai direttamente) due membri del governo. Il primo è Claudio De Vincenti (PD), ex viceministro dello sviluppo economico, oggi sottosegretario alla presidenza del consiglio, che secondo i militari si adopera per suggerire la strada a Tirreno Power per aggirare le prescrizioni ambientali, e vorrebbe un'ispezione del Csm per bloccare il titolare delle indagini, il procuratore di Savona Francantonio Granero. Il secondo è il suo ex superiore, Federica Guidi, nel cui ufficio riceverebbe l'ex Guardasigilli Paola Severino, avvocato difensore della Tirreno Power». Tema del summit, per gli inquirenti, sarebbe proprio il piccolo «Porcellum»;
   dalle intercettazioni ambientali di due alti funzionari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Giuseppe Lo Presti, dipendente della divisione per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale e Antonio Milillo emerge il dissenso e il disgusto per la predisposizione di una norma volta a «stressare il sistema»;
   continuando, dall'intercettazione risulta che «l'avvocato Paola Severino abbia a questo proposito un incontro con il Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi»;
   da quanto appreso dal quotidiano la Repubblica, del 15 luglio 2015, si evince che l'ex presidente della regione Liguria, Claudio Burlando, abbia operato per «delegittimare la consulenza tecnica epidemiologica ambientale». Precisamente «il 18 giugno del 2014 Minervini», allora assessore all'ambiente regionale nella giunta Burlando, «chiama Franco Merlo, biologo dell'istituto nazionali tumori di Genova. Merlo: ... Ti manderemo qualcosa ..., ma poi insomma ti organizzi ... la metti insieme in un documento unico o ciascuno? Minervini: Si e la firmo io in un verbale ... che noi abbiamo fatto una cosa che era ... diciamo così, che seguiva gli schemi scientifici» –:
   se il Governo, in virtù di quanto esposto in premessa, specie in relazione agli ultimi gravi avvenimenti che hanno interessato le figure del Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, e del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, considerato che le intercettazioni confermano secondo gli interroganti il tentativo di «aggirare le prescrizioni ambientali» a vantaggio della Tirreno Power, non ritenga opportuno avviare una valutazione in merito all'effettive responsabilità dei membri del Governo coinvolti nelle vicende riportate a mezzo stampa. (3-01665)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Angelo è un bambino autistico che nella sua vita è incappato più volte in una serie di gravi inconvenienti, spesso legati alla somministrazione di farmaci come il risperidone, a cui è stato sottoposto in modo inappropriato, e che hanno avuto su di lui un effetto paradosso; si tratta per altro di un farmaco che non rientra nel trattamento di elezione dell'autismo;
   in una precedente interrogazione avevo già presentato il caso di Angelo, sottolineando come l'allontanamento dalla famiglia deciso dai servizi sociali non sembrava rappresentare la migliore soluzione possibile per il bambino sradicato dal suo contesto;
   Angelo è un bambino allontanato dalla sua famiglia e messo in una «casa famiglia» perché, tra le varie ragioni, i vicini protestavano per la sua condotta eccessivamente vivace e i servizi sociali erano intervenuti dopo una crisi del bambino, seguita a somministrazione di risperidone;
   in quella occasione i servizi sociali avevano ritenuto che la madre non fosse in grado di farsi carico del figlio e di controllarne le reazioni, per cui ne avevano predisposto l'allontanamento, senza precisarne la durata né le possibilità del reintegro a casa sua;
   il bambino autistico, come era prevedibile, continua a presentare crisi che lo rendono scarsamente gestibile anche in casa famiglia, per cui la sua odissea continua e domenica scorsa ha avuto una crisi più forte delle altre, probabilmente anche per l'assenza degli educatori professionali;
   i responsabili della struttura si sono spaventati, hanno chiamato una ambulanza e lo hanno fatto condurre al Burlo Garofalo, dove ha trovato lo stesso medico di guardia che gli aveva prescritto il risperidone l'anno scorso;
   il medico gli ha somministrato un trattamento ad alte dosi: superiori al valore massimo prescrivibile e l'ha rimandato subito alla casa famiglia;
   la prassi clinica consiglia che dopo una dose iniziale, l'aggiustamento della posologia venga effettuato con cautela sulla base delle caratteristiche individuali del paziente, per potersi limitare a somministrare la dose minima efficace, riducendo gli effetti collaterali del farmaco; in genere si inizia con 10-15 gocce (20-30 mg), in una singola somministrazione serale;
   sul caso di Angelo si possono fare alcune considerazioni anche alla luce dell'esperienza precedentemente vissuta dal bambino: appare come una grave imprudenza non aver trattenuto il bambino in ospedale dopo la somministrazione del farmaco anche alla luce di quanto accaduto la volta scorsa;
   analogamente appare imprudente aver prescritto al bambino fin dal primo momento la massima dose prevista, tenendo conto che sotto i 12 anni oltre tutto si può parlare solo di somministrazione off label;
   ma un altro punto da segnalare è che a coloro che si prendono cura del bambino in casa famiglia non è stata data alcuna indicazione su eventuali medici di riferimento in ospedale o sul territorio, qualora il bambino avesse presentato un comportamento che sollevava dubbi e perplessità; ma soprattutto non è stata affatto coinvolta la mamma del bambino né è stato chiesto il permesso di chi esercita la potestà genitoriale;
   occorrerebbe salvaguardare e favorire con ogni strumento possibile la relazione madre-figlio specie in casi di tal genere, in cui appare oltremodo evidente come il bambino abbia bisogno di figure forti di riferimento, stabili e competenti –:
   quando saranno adottate le nuove linee guida sull'autismo, come prevede la legge recentemente approvata dal Parlamento, con concreti riferimenti anche ai possibili trattamenti farmacologici dei soggetti. (4-10126)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   RUSSO, PALESE e OCCHIUTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   comuni, province e città metropolitane sono oggi impegnati nella complessa attuazione della riforma degli enti locali varata con legge n. 56 del 2014 (cosiddetta riforma Delrio), che ha trasformato le province in enti di secondo grado, attribuendo loro funzioni fondamentali ben determinate ed imponendo l'avvio di un imponente processo di riordino da parte dello Stato e delle regioni delle restanti funzioni;
   tale processo di riordino è sostanzialmente fermo e richiederà tempi diversi da quelli immaginati dal Governo, mentre la legge di stabilità 2015 ha già imposto a province e città metropolitane un prelievo di un miliardo di euro per il 2015, 2 miliardi di euro per il 2016 e 3 miliardi di euro per il 2017, mettendo a serio rischio il mantenimento dell'erogazione dei servizi essenziali ai cittadini e la stessa tenuta sociale dei territori;
   sono quindi messi a rischio servizi per i cittadini come la manutenzione degli oltre 100 mila chilometri di strade di competenza provinciale ovvero la manutenzione e la gestione di migliaia di plessi scolastici;
   la stessa legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha imposto alle città metropolitane una riduzione della spesa per il personale del 30 per cento e alle province addirittura del 50 per cento, con evidente grave preoccupazione per la sorte di circa 20.000 dipendenti pubblici vincitori di concorso, per i quali, a causa dei ritardi dell'emanazione dei provvedimenti attuativi da parte dello stesso Governo, il processo di mobilità ancora, di fatto, non è nemmeno iniziato;
   le proposte avanzate dal Governo per la mobilità del personale provinciale in sovrannumero non hanno in alcun modo dato l'impressione di risolvere il caos determinato dalla cosiddetta riforma Delrio e dalla legge n. 190 del 2014 e, anzi, lo hanno accentuato ulteriormente. La sensazione è quella di un sistema di ricollocazione per molti versi lasciato al caso e alla buona volontà degli enti che intendano davvero darvi corso;
   il problema principale, che rimane irrisolto, è l'assenza dell'elemento fondamentale della riforma: il riordino delle funzioni. Sono pochissime le regioni che hanno legiferato per riordinare le funzioni provinciali non fondamentali, stabilendo quali prendere direttamente per sé e quali assegnare ai comuni;
   in assenza del riordino, la ricollocazione dei dipendenti provinciali in sovrannumero non può che essere legata al caso: i dipendenti provinciali invece di essere ricollocati in relazione ad un coerente sistema di ridistribuzione delle funzioni, andranno in mobilità nel primo ente che si mostrerà disponibile ad accoglierli. Con il rischio che, nelle regioni prive di leggi sul riordino, le funzioni provinciali non fondamentali, a partire da turismo, formazione, servizi sociali, restino non presidiate;
   oltre agli evidenti disservizi nell'immediato, la sostanziale conferma del taglio alle province contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2015 porterà un numero significativo di enti verso il default già nel 2015, e la totalità di essi tra il 2016 e il 2017, con il conseguente rischio di mancato pagamento degli stipendi dei dipendenti e delle imprese fornitrici di beni e servizi;
   la realistica possibilità di default delle province, in concomitanza con il blocco del processo di mobilità del personale, al di là di ogni rassicurazione, mette seriamente a rischio i livelli salariali e professionali dei lavoratori;
   inoltre, le proposte del Governo avanzate sino ad ora postulano la perdita secca di voci rilevanti del salario accessorio dei dipendenti delle province in sovrannumero –:
   quali siano le iniziative volte a tutelare i diritti dei dipendenti delle province coinvolti nel forzoso processo di mobilità, che dovranno essere adeguatamente ricollocati nella pubblica amministrazione senza mettere a rischio i livelli salariali e professionali, e come intenda intervenire per garantire il pagamento degli stipendi dei dipendenti e delle imprese fornitrici di beni e servizi, gravemente compromesso dalla realistica possibilità di default degli enti martoriati dai tagli. (3-01657)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   nella Thales di Chieti Scalo, che è uno dei cinque stabilimenti italiani della multinazionale francese, si effettuano lavorazioni di alta tecnologia nel campo della difesa, sicurezza e protezione civile;
   in particolare si progettano, realizzano e manutengono, con l'utilizzo di personale altamente specializzato, apparati e sistemi, in dotazione alle forze armate, alle forze dell'ordine ed alla protezione civile/vigili del fuoco, per la protezione contro atti terroristici, minacce nucleari, biologiche e chimiche e sistemi di comunicazione e controllo (alcuni dei quali sono attualmente utilizzati nelle missioni internazionali in cui sono impegnate anche le forze armate italiane);
   un centinaio di lavoratori dell'azienda con sede a Chieti Scalo, ha manifestato tutta la propria preoccupazione per i paventati licenziamenti annunciati;
   secondo i sindacati la situazione è molto complessa: l'azienda ha minacciato 32 licenziamenti ed ha avviato, in maniera unilaterale, le procedure di cassa integrazione ordinaria per 66 dipendenti del sito di Chieti dove lavorano 107 dipendenti, tutti con un profilo professionale altamente qualificato;
   dal 1° luglio è scattata la riorganizzazione del sito di Chieti Scalo con la suddivisione in tre aree di lavoro. Un settore si occupa del business legato al progetto della «Radio del soldato» che ha beneficiato di milioni di euro di fondi pubblici e che adesso potrebbe essere ceduto ad una multinazionale malese con tutti i risvolti negativi del caso. Un altro comparto aziendale deve essere ancora identificato ma al suo interno, dove lavorano più persone, sono stati anticipati i 32 esuberi di personale;
   nel terzo e ultimo settore della Thales spa, costituito da poche unità, si lavora alle reti numeriche interforze. Attività che, però, vengono svolte per lo più nella sede di Sesto Fiorentino;
   per questo il timore è che ci sia un trasferimento di questi lavoratori e il rischio concreto che lo stabilimento dello Scalo venga smantellato –:
   se non intenda intervenire con urgenza per scongiurare che un'importante struttura industriale e di ricerca possa essere chiusa, tutelando i dipendenti e il futuro industriale dell'intera area teatina.
(2-01060) «Melilla».

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano economico: Il Sole 24 ore domenica 2 agosto 2015, tra i provvedimenti introdotti in favore delle imprese, il decreto attuativo che prevede incentivi per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese attraverso un voucher di 10 mila euro e detrazioni al 65 per cento, stabilito dal decreto legge n. 145 del 2013, cosiddetto «destinazione – Italia», non è stato ancora emanato;
   il suesposto quotidiano evidenzia, che a seguito del primo decreto del Ministero dello sviluppo economico, le aziende sono tuttora in attesa del provvedimento attuativo del Ministero dell'economia e delle finanze, che dovrebbe sbloccare le risorse a copertura degli incentivi previsti, fino a 100 milioni di euro;
   al riguardo, secondo quanto riporta un altro articolo del medesimo quotidiano in data 21 luglio 2015, le risorse finanziarie necessarie per l'emanazione del suddetto decreto attuativo, non sono mai state reperite e, a tal fine, la legge di stabilità del prossimo ottobre potrebbe essere l'ultima occasione per reperire coperture alternative;
   a giudizio dell'interrogante quanto suesposto, conferma ancora una volta, come risultino vane e prive di efficienza le norme troppo spesso introdotte nei decreti legge in materia di sviluppo e di crescita delle imprese, se come anche in questa occasione, esse rimangono inattuabili, in quanto mancanti delle necessarie norme di copertura finanziaria;
   a tal fine l'interrogante, rileva come nonostante ci siano state delle accelerazioni in termini di emanazione dei decreti attuativi, dei precedenti Governi Monti e Letta, permangono ancora evidenti segnali di lentezza nella pubblicazione di tali interventi finali, indispensabili per rendere effettive le misure approvate –:
   quali orientamenti i Ministri in indirizzo intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento ai ritardi nell'emanazione dei decreti attuativi e se intendano altresì confermare quanto pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 ore, secondo cui nella prossima legge di stabilità per il 2016, saranno previsti gli interventi di carattere finanziario e fiscale in favore delle piccole e medie imprese, esposti in premessa.
(4-10112)


   SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di riorganizzazione nazionale di Poste Italiane presentato lo scorso mese di febbraio prevedeva la chiusura di più di 500 uffici postali sul territorio nazionale, ritenendoli «improduttivi» o «diseconomici» senza considerare l'importanza che queste filiali rivestono per il territorio, rappresentando dei veri e propri presidi;
   in seguito alle numerose proteste e grazie anche alla mozione presentata dal Gruppo della Lega Nord che ha impegnato il Governo a favorire una concertazione fra la società e le amministrazioni locali coinvolte per valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata ed individuare soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, la società Poste Italiane ha sospeso momentaneamente l'attuazione del piano di razionalizzazione fino a qualche giorno fa, quando molti amministratori comunali sono stati informati che a partire dal 7 settembre gli uffici postali dei loro comuni verranno chiusi;
   la mozione approvata dalle aule parlamentari chiedeva di effettuare una puntuale verifica di ogni singola misura di razionalizzazione della rete di uffici postali (chiusura o rimodulazione oraria) da parte di Poste italiane, al fine di valutare di volta in volta, in relazione al caso concreto, la portata dei disagi eventualmente arrecati all'utenza, anche in relazione all'età anagrafica della popolazione servita e alle condizioni del trasporto pubblico che collega gli uffici postali, nonché i corrispondenti benefici in termini di miglioramento dell'efficienza complessiva della rete e di riduzione dei costi del servizio universale ricadenti sulla collettività;
   sembra alquanto opinabile che sia stata effettuata questa «puntuale verifica» anche sulla filiale di Carciano, frazione del comune di Stresa, provincia di Verbania e che siano stati giudicati esigui i disagi per l'utenza visto che la frazione conta 1.181 abitanti e nel periodo che va da marzo ad ottobre la popolazione residente subisce un deciso incremento per la presenza di numerose strutture alberghiere e di molte case per villeggiatura;
   la chiusura di un ufficio postale nel comune di Stresa, che già in passato era stato interessato da altri piani di razionalizzazione da parte di Poste italiane, si traduce nella privazione per il territorio comunale di una funzione importante e qualificante, senza considerare che l'ufficio svolge un'attività rilevante anche dal punto di vista del rendimento economico;
   questa operazione di razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nelle filiali aperte o affrontare frequenti e difficili spostamenti, resi ancor più disagevoli dai problemi di traffico e parcheggio. Gli utenti della fascia più debole, quelli di età avanzata, ai quali è già stata negata la possibilità da febbraio 2012 di riscuotere la pensione in contanti e si sono quindi visti costretti a lasciare i propri risparmi sui libretti postali, ora si vedono nuovamente danneggiati, non potendo usufruire dei servizi resi dagli uffici periferici, nonostante il regime di servizio universale debba essere finalizzato alla promozione di inclusione sociale di categorie deboli di consumatori;
   il servizio che Poste Italiane sta offrendo ai nostri cittadini è completamente insufficiente e sembra evidente che l'interesse economico da parte della società prevalga sulla garanzia dell'omogeneità e della continuità del servizio stesso;
   in merito all'interesse economico della società Poste Italiane, con sentenza n.1262 dell'11 marzo il Consiglio di Stato in relazione al progetto di razionalizzazione attivato da Poste Italiane ha ribadito che «Poste non può fare spending review sulle spalle dei piccoli centri, determinando disservizi e disagi soprattutto alla popolazione anziana e a quella priva di strumenti tecnologici». Per questo motivo, concludono i giudici amministrativi, «le chiusure devono tenere conto della dislocazione degli uffici, con particolare riguardo alle aree rurali e montane, e anche delle conseguenze che la presenza ha sull'utilità sociale» –:
   se non ritenga urgente farsi promotore di una sospensione del provvedimento di chiusura dell'ufficio postale di Carciano, prevista dal processo riorganizzativo di Poste italiane affinché possano essere valutate soluzioni alternative, come l'apertura di un paio di giorni la settimana;
   quali azioni intenda mettere in atto affinché i territori, specie quelli periferici, non subiscano tagli nell'erogazione di servizi pubblici essenziali e gli abitanti del comune di Carciano non vengano privati di un presidio tanto importante per la comunità, come quello dell'ufficio postale. (4-10124)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Cozzolino e altri n. 1-00962, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Crippa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Uva, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi.

  La mozione Fanucci e altri n. 1-00934, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Romanini.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Di Lello n. 4-07946 dell'11 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Prina n. 4-09929 del 23 luglio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Allasia n. 4-10079 del 31 luglio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Daniele Farina n. 4-10086 del 31 luglio 2015;

Trasformazione di un documento di sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta D'Arienzo n. 4-06781 del 6 novembre 2014 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-06240.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 3 agosto 2015, n. 474, alla pagina 27871, seconda colonna, dopo la trentaseiesima riga, devono intendersi pubblicate le seguenti righe:
   nel maggio 2014 sono stati depositati due quesiti referendari. Nonostante le disposizioni dello Statuto prevedano che il comune abbia 60 giorni per valutarne l'ammissibilità, a tutt'oggi le richieste non hanno ancora ottenuto alcuna risposta;
   nel giugno 2014 il sindaco ha preso atto che lo statuto è inadeguato e che il comune non è in grado di valutare l'ammissibilità dei referendum, auspicando che l’iter di revisione si svolga con celerità;
   nel luglio 2014 i cittadini si sono rivolti al prefetto di Milano che ha sollecitato il sindaco;
   nell'ottobre 2014 i cittadini si sono rivolti al difensore civico regionale che ha sollecitato il sindaco, chiedendo le ragioni che hanno impedito in 5 anni di revisionare lo statuto e che di fatto hanno causato l'impossibilità di applicare l'articolo 8 del Testo unico degli enti locali, con particolare riferimento ai referendum;
   nel dicembre 2014 una nuova petizione è stata presentata al sindaco per sollecitare la revisione dello statuto;
   nel dicembre 2014 il prefetto di Milano si è rivolto nuovamente al sindaco, informandone contestualmente il Ministro dell'interno;
   nel gennaio 2015 è stato riavviato l’iter in commissione, i cui lavori sono stati sospesi nel mese di febbraio per avviare una campagna di «raccolta di idee» per le modifiche allo statuto, della durata di soli 15 giorni e scarsamente pubblicizzata;
   dopo 12 sedute la commissione competente ha redatto una proposta di modifica dello statuto che, ad oggi, non risulta ancora esaminata neanche per la metà degli articoli di cui si compone;
   lo statuto del comune di Sesto San Giovanni appare non ottemperare sul punto alle disposizioni in materia di partecipazione popolare previste dal predetto Testo unico sull'ordinamento degli enti locali, nonché dalla Carta europea per le autonomie locali. Tale situazione determina l'impossibilità di esercitare i diritti popolari riconosciuti dagli accordi internazionali ratificati dallo Stato italiano, dalla Costituzione e dal Testo unico degli enti locali;
   negli ultimi anni si è assistito a una progressiva e drammatica perdita di credibilità e di legittimità della democrazia rappresentativa anche a livello locale anche attraverso l'impedimento dell'esercizio degli strumenti di democrazia diretta e partecipata previsti dal diritto internazionale e dalla legge italiana. È pertanto evidente la necessità di porvi rimedio, a parere degli interroganti anche tramite l'intervento del Governo il quale può sostituirsi agli organi dei Comuni, nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria o quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o la tutela dei livelli essenziali dei diritti dei cittadini prescindendo dai confini territoriali dei governi locali –:
   quali iniziative per quanto di competenza, il Ministro interrogato, già informato dei fatti intenda adottare in considerazione delle norme internazionali e della legge italiana anche al fine di agevolare l'esercizio democratico dei diritti popolari nel comune di Sesto San Giovanni.