Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 3 agosto 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    in data 8 luglio 2015 un evento atmosferico di drammatica entità ha colpito la Riviera del Brenta, in provincia di Venezia, provocando una vittima e circa 90 feriti;
    sulla zona si è abbattuto infatti nel tardo pomeriggio un violento tornado, classificato dall'ARPA Veneto come di livello F4, il più alto nella scala di rilevazione, con raffiche di vento intorno ai 300 km orari;
    il sistema di allerta meteo non paventava eventi di tale livello, segnalando invece esclusivamente grandine e precipitazioni abbondanti;
    non è la prima volta che il Veneto viene sconvolto da drammatici eventi atmosferici: si ricordano, in tal senso, la tromba d'aria del 6 giugno 2009 a Valle di Riese Pio X, l'alluvione dell'autunno 2010 e, più di recente, la bomba d'acqua che ha colpito il Comune di Refrontolo nella notte del 2 agosto 2014, causando la morte di quattro persone e numerosi feriti;
    oltre alle perdite in termini di vite umane, il tornado dell'8 luglio 2015 ha provocato ingenti danni ad abitazioni ed imprese nei comuni di Dolo, Pianiga e Mira: circa 500 abitazioni sono state danneggiate ed oltre 100 edifici necessitano di essere abbattuti a causa dei danni strutturali subiti; moltissimi sono, dunque, i cittadini che hanno perso la propria abitazione o la propria attività;
    il Presidente della regione Veneto Luca Zaia, in un documento inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha stimato in 100 milioni di euro le risorse necessarie all'uscita dall'emergenza e al ripristino della situazione ex-ante: una cifra molto elevata se si pensa a quanto sino ad ora trasferito alla regione, quantificabile in soli 2 milioni di euro, come riporta l'articolo del quotidiano Il Gazzettino del 19 luglio 2015 («Zaia: Renzi metta sul piatto tutti i 100 milioni di danni»);
    sono dunque molto più serie di quanto stimato dal Governo le conseguenze finanziarie sui bilanci di molti enti locali, che dovranno affrontare ingenti spese non programmate per garantire il ritorno alla normalità;
    moltissimi danni concernono, inoltre, ville di straordinario valore storico-achitettonico e bellezza, quasi unicamente di proprietà privata, con oneri di assicurazione, ripristino e manutenzioni a totale carico dei proprietari;
    in particolare, Villa Santorino-Toderini-Fini, a Dolo, è stata totalmente rasa al suolo; un capolavoro del Settecento, come sottolineato da Alberto Passi, Presidente dell'Associazione Ville Venete;
    in merito, Giuliana Fontanella, presidente dell'Istituto regionale Ville Venete, ha quantificato i danni in 3 milioni euro per la sola, succitata Villa Fini, alla quale si aggiungono Villa Ducale, Villa Caggiano, Villa Grimani Migliorini, Villa Tron Mioni;
    è evidente, dunque, come la gravità dei danni riportati sia altamente significativa, paragonabile a quella conseguente eventi sismici quali quelli che nel 2013 hanno colpito l'Emilia Romagna, la Lombardia e lo stesso Veneto;
    il Consiglio dei ministri, il 17 luglio 2015, ha deliberato lo stato di emergenza «per fare fronte ai danni causati dalla tromba d'aria»;
    come disposto dalla legge 24 febbraio 1992, n. 225, all'articolo 5, comma 5-ter, «In relazione ad una dichiarazione dello stato di emergenza, i soggetti interessati da eventi eccezionali e imprevedibili che subiscono danni riconducibili all'evento, compresi quelli relativi alle abitazioni e agli immobili sedi di attività produttive, possono fruire della sospensione o del differimento, per un periodo fino a sei mesi, dei termini per gli adempimenti e i versamenti dei tributi e dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali», procedure che però, ai sensi del medesimo comma, devono essere disposte con legge;
    in casi di particolare rilevanza (tra cui, si ricorda il caso in cui è stato emanato il decreto-legge n. 74 del 2014 cosiddetto «decreto Emilia», o il caso dell'alluvione in Sardegna del 2013 in cui è stato emanato il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 30 novembre 2013, o ancora gli eventi meteorologici in Veneto e Toscana dell'ottobre 2014, in occasione dei quali è stato emanato il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 20 ottobre 2014), tali disposizioni sono state prontamente attivate;
    dopo circa un mese dall'evento, moltissime imprese hanno ancora la propria attività ferma, e necessitano, dunque, di interventi immediati come agevolazioni, contributi, sgravi fiscali;
    si sottolinea, inoltre, come tali drammatici effetti prodotti da eventi naturali sono quasi sempre acuiti e drammaticamente amplificati da una gestione dissennata dei suoli, e dall'assenza di una rigorosa politica di pianificazione, manutenzione e prevenzione territoriale;
    con l'inserimento del comma 10-bis all'articolo 1 del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, in materia di enti territoriali, il cui disegno di legge di conversione è attualmente in discussione alla Camera, i comuni di Dolo, Pianiga e Mira, interessati dalla tromba d'aria, hanno visto ridurre l'obiettivo del patto di stabilità interno di un importo sino a, rispettivamente, 5.2, 1.1 e 1.2 milioni di euro; una previsione indubbiamente positiva ma che non può sostituire il necessario sostegno diretto da parte del Governo alle popolazioni in difficoltà;
    gli eventi climatici estremi sono divenuti, negli ultimi anni, ricorrenti in molti territori del nostro paese, richiedendo, dunque, stanziamenti ed erogazioni immediati delle risorse necessarie alla messa in sicurezza del territorio nazionale, con priorità per le regioni e le zone colpite,

impegna il Governo:

   a disporre in tempi rapidi, mediante le amministrazioni territoriali competenti e d'intesa con le associazioni imprenditoriali, la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo, in relazione al danno effettivamente subito, anche in misura sufficiente a coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili danneggiati, sia abitativi sia destinati ad uso agricolo e produttivo, nonché degli impianti, fino alla misura massima del 100 per cento del costo ammesso e riconosciuto, in particolare quando i danni subiti siano stati di entità tale da condizionare la piena e immediata ripresa dell'attività;
   a garantire le risorse aggiuntive necessarie per finanziare gli ammortizzatori sociali, con riguardo alle aziende e alle attività produttive interessate dall'evento in premessa;
   ad assumere le necessarie iniziative normative per escludere automaticamente dal patto di stabilità interno, le spese sostenute dai comuni a valere su risorse proprie o su donazioni di terzi, in relazione a eventi calamitosi in seguito ai quali è stato deliberato lo stato di emergenza;
   ad adottare iniziative normative che autorizzino, in deroga a quanto disposto dall'articolo 5, comma 5-ter, della legge n. 225 del 1992, il Ministero dell'economia e delle finanze a provvedere automaticamente, con proprio decreto, per disporre la sospensione dei termini per l'adempimento di tutti gli obblighi tributari e contributivi per i dodici mesi successivi al verificarsi dell'evento calamitoso;
   a promuovere la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da effettuare dopo la eventuale sospensione dei termini;
   a valutare la possibilità di negoziare con l'Unione europea la sospensione del patto di stabilità per le opere di ricostruzione ed un significativo allentamento per le opere di prevenzione;
   a prevedere le necessarie misure di snellimento delle procedure burocratiche per le opere di ricostruzione;
   a valutare l'opportunità di adottare un provvedimento ad hoc per istituire un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, per far fronte alle somme urgenze, con indennizzi immediati per i danni emergenti;
   a provvedere, attraverso specifiche misure, allo stanziamento delle risorse necessarie al recupero delle Ville di valore storico-architettonico danneggiate, anche attraverso piani di investimento che vedano il contributo delle istituzioni europee e internazionali;
   a rafforzare i meccanismi di allerta meteo, in modo da assicurare la necessaria prevenzione alle popolazioni colpite da estremi eventi meteorologici e calamitosi.
(1-00969) «Marcon, Pellegrino, Paglia, Zaratti, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Melilla, Nicchi, Pannarale, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Palazzotto, Zaccagnini».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il cambiamento climatico è un dato di fatto e comporta non solo l'aumento della temperatura atmosferica, ma anche di quella oceanica; l'innalzamento delle temperature oceaniche provoca un cambiamento nella composizione chimica delle acque, acidificandole; in particolare questo fenomeno contribuisce allo scioglimento del plancton calcareo (piccoli organismi alla base della catena alimentare marina) e dei gusci calcarei delle conchiglie dei molluschi come vongole, mitili, ostriche, capesante. Questo non è un problema solo di equilibrio ecosistemico, ma presenta anche pesanti ricadute economiche per la pesca e l'acquacoltura: ad esempio, uno studio americano promosso dalla National Science Foundation e pubblicato su Nature Climate Change illustra come l'acidificazione degli oceani sia già costata all'industria di ostriche del Pacific Northwest circa 110 milioni di dollari e abbia messo a rischio 3200 posti di lavoro;
    anche in Mediterraneo le temperature si stanno alzando mettendo a rischio perciò gli stock ittici delle acque italiane con le attività produttive ad essi connesse. In termini di pesca e acquacoltura la produzione interna italiana complessiva ammonta a 377 mila tonnellate, per un valore di circa 1,5 miliardi di euro. La situazione è preoccupante e va monitorata in quanto sono in pericolo ecosistemi e interi settori produttivi lungo tutta la penisola;
    in particolare le temperature arrivano fino a 35 gradi nelle acque sotto costa e soprattutto in quelle lagunari, dall'Emilia Romagna al Veneto e del Friuli Venezia Giulia fino alla Toscana, come avvenuto nei giorni scorsi nella laguna di Orbetello. All'alta temperatura consegue la fermentazione delle alghe e dei residui organici, con fenomeni anossici e possibile moria di vongole, cozze, orate, anguille, cefali;
    una moria di cozze è già in atto nella Sacca di Scardovari: una delle prime industrie del Polesine, la mitilicoltura, è attualmente in difficoltà. L'alta temperatura dell'acqua e la bassa ossigenazione hanno fortemente compromesso sia la produzione di quest'anno che buona parte della semina della pregiata cozza di Scardovari, unica in Italia ad aver ottenuto il riconoscimento DOP, dunque una eccellenza da non sottovalutare, che gli operatori avevano preparato per la produzione della prossima primavera; i danni perciò sono ancora difficili da definire in termini economici, ma il Consorzio cooperative pescatori del Polesine prevede siano ingenti;
    nella Sacca di Goro tre settimane di caldo torrido hanno provocato il fenomeno dell’«acqua bianca», cioè acqua priva di ossigeno che non consente la respirazione delle vongole, portandole alla morte. Con perdite fino al 40 per cento del prodotto è a rischio l'intero settore che a Goro conta 44 cooperative dedite all'allevamento della vongola verace, 2.700 ettari di estensione, 1.300 addetti, 20.000 tonnellate di prodotto commercializzato per un volume di affari tra i 50 e i 70 milioni di euro;
    quello delle anossie è un fenomeno ricorrente, e col riscaldamento globale, sempre più automatico. Lo stato di calamità non dovrebbe essere l'unica risposta, ma servono misure che siano a lungo termine e che garantiscano la sopravvivenza di centinaia di imprese con migliaia di addetti,

impegna il Governo:

   a predisporre urgentemente piani di delocalizzazione straordinaria e temporanea degli allevamenti al fine di consentire alle cooperative interessate di spostare il loro prodotto per un massimo di 60 giorni e limitare il più possibile la moria di molluschi;
   ad attivare tempestivamente per quanto di competenza un programma per un'opera di vivificazione delle lagune interessate dai fenomeni descritti in premessa;
   ad intraprendere ogni utile intervento atto a favorire la stabilità delle imprese del settore anche attraverso un piano d'investimenti da concordare con le cooperative, che metterebbero a disposizione una percentuale del valore commercializzato, e ad avviare miglioramenti produttivi mediante: strumenti di facilitazione per l'accesso al credito, consulenza finanziaria, progetti condivisi di commercializzazione e creazione di prodotti assicurativi a sostegno del reddito;
   ad assumere iniziative volte ad accelerare i tempi di emanazione del decreto per la dichiarazione dello stato di calamità o di avversità meteomarina e conseguentemente a prevedere stanziamenti economici, agevolazioni ed interventi contributivi e creditizi per le attività della filiera ittica, nonché ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti operanti nei territori interessati al fine di sostenere la continuità produttiva ed occupazionale, anche attraverso il rifinanziamento del Fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell'acquacoltura di cui al decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154.
(7-00757) «Benedetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge n. 56 del 2014 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» ha ridisegnato ruolo, confini e competenze dell'amministrazione locale, trasformando sostanzialmente le province e le città metropolitane in enti di secondo grado;
   complessivamente, ancor prima di giungere ad un riordino delle competenze, ed in attesa di una riforma organica in grado di garantire continuità dei servizi a cittadini ed imprese, salvaguardia delle professionalità impiegate negli enti, stabilità dei livelli occupazionali, tra il 2011 ed il 2014 i bilanci delle province sono stati decurtati con legge di oltre 3,7 miliardi di euro;
   la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) è poi intervenuta con un ulteriore riduzione «della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017»;
   sempre nella legge n. 190 del 2014, all'articolo 1, comma 421, è stato previsto per le province un taglio delle dotazioni organiche «in misura pari al 50 per cento del personale di ruolo al 9 aprile 2014 e del 30 per cento per le città metropolitane»;
   alla luce di tale previsione circa 20.000 unità di personale dovrebbero essere dichiarati «in soprannumero», e ricollocati in altri uffici pubblici di comuni e regioni entro due anni, in caso contrario dal 2017 saranno messi in mobilità;
   il procedimento volto a favorire la mobilità del personale eccedente verso regioni, comuni e altre pubbliche amministrazioni, a valere sulle facoltà assunzionali degli enti di destinazione è sancito dai commi dal 421 al 428 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014. Nello specifico:
    il comma 422 nell'ambito della riforma degli enti locali sancita dalla legge n. 56 del 2014 dispone che entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore (e quindi entro il 31 marzo 2015) venga individuato il personale che rimane assegnato agli enti e quello da destinare alle procedure di mobilità, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale previste dalla normativa vigente;
    il comma 423 stabilisce che entro il 1o marzo 2015 venga emanato un decreto ministeriale con le procedure di mobilità del personale interessato;
   il comma 424 disciplina il ricollocamento del personale in mobilità presso regioni ed enti locali. In particolare, la norma dispone che le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, debbano destinare le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti e delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità;
    il comma 425 disciplina il ricollocamento del personale in mobilità presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, le università e gli enti pubblici non economici (con esclusione del personale non amministrativo dei comparti sicurezza, difesa e corpo nazionale dei vigile del fuoco, del comparto scuola, dell'Afam e degli enti di ricerca), sulla base di una ricognizione dei posti disponibili da parte del Dipartimento della funzione pubblica;
   il 16 marzo 2015 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la circolare 29 gennaio 2015 n. 1 «Linee guida in materia di attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane. Articolo 1, commi da 418 a 430, della legge 23 dicembre 2014, n. 190», emanata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie;
   in base a tale circolare viene disposto che in sede di osservatori regionali, sulla base del riordino delle funzioni, gli enti debbano determinare i criteri di definizione dell'elenco del personale che rimane a carico della dotazione organica degli enti medesimi di ciascuna regione a statuto ordinario e quello da destinare, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale previste dalla normativa vigente, alle procedure di mobilità. Vengono esclusi da tali elenchi i dipendenti che svolgono compiti di polizia provinciale, impiegati presso i Centri per l'impiego e che saranno collocati a riposo entro il 31 dicembre 2016;
   la circolare presenta anche un «cronoprogramma» dettagliato di adempimento delle scadenze da rispettare;
   il cronoprogramma sopracitato presenta però gravi ritardi:
    non è stato ancora emanato il decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ed altri soggetti coinvolti (autonomie, osservatori, parti sociali) che fissa i criteri per le procedure di mobilità. Questo atto (previsto dell'articolo 1, comma 423, della legge n. 190 del 2014 entro il 1o marzo 2014) dovrà infatti fissare i criteri e le procedure di mobilità che si dovranno seguire con riferimento all'ambito territoriale, al domicilio e alle caratteristiche professionali e di anzianità anagrafica e contributiva, per favorire il più possibile la ricollocazione del personale interessato valorizzando la professionalità acquisita;
    alcune regioni non hanno ancora approvato le leggi regionali di riordino delle funzioni amministrative previste dalla legge n. 56 del 2014 conseguentemente i lavori degli osservatori regionali competenti stanno subendo forti rallentamenti;
   d'altro canto anche le procedure di ricollocamento delle citate categorie di lavoratori esclusi dalla circolare 29 gennaio 2015, n. 1, sono state suddivise in provvedimenti differenti, e sembrano quindi mancare di omogeneità e soprattutto di una coerenza temporale di esecuzione che apparirebbe indispensabile per una sua efficace e sinergica attuazione;
   il disegno di legge di conversione del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria attualmente in discussione al Senato della Repubblica prevede, all'articolo 21, l'ingresso nel ruolo dell'amministrazione giudiziaria di 2.000 unità di personale proveniente da province e aree metropolitane;
   il disegno di legge di conversione del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, attualmente in discussione alla Camera dei deputati all'articolo 5, comma 1, dispone il transito del personale appartenente al Corpo ed ai «servizi» di polizia provinciale, nei ruoli degli enti locali per funzioni di polizia municipale, mentre all'articolo 15 disciplina la riorganizzazione dei centri per l'impiego e conseguentemente una ridistribuzione dei livelli occupazionali presenti;
   il Governo si è espresso in questi mesi, in numerose occasioni, a sostegno della salvaguardia dei dipendenti delle amministrazioni provinciali. In particolare il 14 maggio scorso il Ministro della pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha dichiarato che «il processo di mobilità dei circa 20 mila dipendenti delle province previsto dalla legge di riordino delle amministrazioni locali, dovrà completarsi entro il 2016. Il blocco delle assunzioni, previsto dalla legge di stabilità per finanziare l'operazione di ricollocamento del personale, dura due anni, questo è l'orizzonte temporale che ci siamo dati in ultima istanza per completare il percorso». Lo stesso Ministro ha inoltre aggiunto: «stiamo dicendo alle Regioni di sbrigarsi a fare le leggi regionali, così da definire le funzioni e i dipendenti che vengono loro trasferiti. Tuttavia se ciò non dovesse accadere ci siamo tutelati, abbiamo le risorse e anche gli strumenti per garantire tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori delle province italiane, assicurando stipendio e lavoro»;
   rispetto ai contenuti del decreto ministeriale previsto dell'articolo 1, comma 423, della legge n. 190 del 2014, il Sottosegretario alla semplificazione e alla pubblica amministrazione Angelo Rughetti ha dichiarato il 14 luglio 2015, dopo un incontro tematico con le associazioni sindacali, che il Governo si pone «l'obiettivo di dare certezze ai lavoratori e continuità nei servizi. Il decreto è uno strumento per dare attuazione alla legge Delrio; un disegno ampio di ristrutturazione delle istituzioni territoriali che si inserisce nella più ampia riorganizzazione del sistema pubblico che il Governo sta portando avanti con determinazione»;
   il Parlamento ha discusso numerosi atti di indirizzo per la salvaguardia dei dipendenti delle amministrazioni provinciali. Il 22 dicembre 2014 il Governo ha accolto un ordine del giorno (numero 9/02679-bis-B/002) che impegna il Governo a «porre in essere ogni atto necessario per la tutela dei dipendenti attualmente in ruolo nelle province» ed «ad assicurare condizioni certe volte a garantire il totale assorbimento delle posizioni soprannumerarie»;
   i dipendenti in oggetto svolgono mansioni legate a servizi essenziali di grande delicatezza e ne assicurano la continuità –:
   se esista ad oggi una ricognizione puntuale sul numero certo dei dipendenti delle amministrazioni provinciali che verranno messi in mobilità ai sensi dell'articolo 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014, anche rispetto agli enti di destinazione;
   se il cronoprogramma previsto dalla circolare 29 gennaio 2015, n. 1, citata in premessa, verrà realisticamente rispettato dal momento che sussistono gravi ritardi che stanno interessando, ad esempio, sia l'emanazione del decreto ministeriale previsto dell'articolo 1, comma 423, della legge n. 190 del 2014, sia gli adempimenti delle regioni rispetto all'attuazione delle norme previste dalla  legge n. 56 del 2014;
   se conseguentemente verranno assicurati tutti i livelli occupazionali attuali appartenenti a tutte le categorie contrattuali;
   se il Governo non ritenga di rivedere i termini previsti per l'espletamento totale della mobilità.
(2-01054) «Cenni, Albini, Antezza, Arlotti, Bargero, Bruno Bossio, Capozzolo, Carocci, Carra, Carrescia, Casellato, Castricone, Censore, Cova, Crivellari, D'Ottavio, Fossati, Gandolfi, Gasparini, Ginato, Ginoble, Giulietti, Grassi, Iacono, La Marca, Lodolini, Patrizia Maestri, Manzi, Mariani, Mariano, Narduolo, Oliverio, Pes, Salvatore Piccolo, Ribaudo, Romanini, Rubinato, Giovanna Sanna, Simoni, Taricco, Tentori, Terrosi, Valeria Valente, Verini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARBANTI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) al comma 118 dell'articolo 1 dispone il diritto all'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali posti a carico dei datori di lavoro, con la esclusione dei soli contratti di apprendistato e di lavoro domestico;
   nel menzionato comma non vi è alcun riferimento a particolari condizioni per godere del diritto di esonero se non una: la sottoscrizione di contratti a tempo indeterminato poiché la finalità perseguita del legislatore è quella di promuovere, favorire, incentivare forme di occupazione stabile;
   ad oggi i datori di lavoro del settore editoriale sono ancora obbligati a versare i contributi previdenziali all'INPGI (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani) per tutti i lavoratori impiegati nel settore del giornalismo, vedendosi di fatto conculcare il diritto contenuto nella legge senza alcuna possibilità effettiva di avvalersi delle prescrizioni contenute all'articolo 1 comma 118 della legge citata, con notevole aggravio dei costi dell'impresa rispetto a quelle operanti in settori diversi;
   si ricorda che sono circa 21.000 le aziende operanti nel settore, aziende che garantiscono un posto di lavoro a 27.710 dipendenti a cui si aggiungono ulteriori 8.000 lavoratori assunti con contratti precari iscritti alla gestione separata. Esse dovrebbero poter godere del diritto all'esonero previsto nella legge soprattutto per quei lavoratori precari destinatari finali della norma voluta dal Governo con il comma 118;
   la disapplicazione della legge determina un'eclatante, inammissibile e ingiusta violazione del principio dello Stato di diritto, creando un'odiosa diseguaglianza tra i datori di lavoro, soprattutto perché l'impresa editoriale si pone come strumento di conoscenza per tutti i cittadini, quindi garantisce tramite la conoscenza diffusa l'uguaglianza tra essi per garantire loro una democrazia effettiva, piena e condivisa –:
   quali siano i provvedimenti adottati dal Ministero per rendere effettivi gli esoneri descritti in premessa e superare la violazione della legge a danno del settore giornalistico e dei datori di lavoro che in esso operano senza aver modo di poter godere del diritto all'esonero contributivo, ad iniziare da una ricognizione sulle cause che hanno consentito all'INPGI di non dare avvio alle procedure per riconoscere l'esonero ai datori di lavoro ancora obbligati dalla vecchia normativa superata da quella citata in premessa, al pagamento dei contributi all'Istituto previdenziale diverso dall'INPS. (5-06236)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella discarica di Cupinoro, sita in località Cupinoro, nel comune di Bracciano sono versati i rifiuti che provenivano da ventiquattro comuni (Anguillara, Bracciano, Campagnano, Canale Monterano, Cerveteri, Castelnuovo di Porto, Capena, Magliano, Fiano, Formello, Civitella S. Paolo, Ladispoli, Manziana, Mazzano, Nazzano, Morlupo, Ponzano Romano, Riano, Rignano, Sacrofano, Santa Marinella, Sant'Oreste, Torrita Tiberina, Trevignano, Filacciano) e quattro aziende private;
   in data 16 ottobre 2013, al n. di protocollo G00480, la regione Lazio ha espresso pronuncia di compatibilità ambientale, in relazione alla proposta di progetto per la realizzazione di un lotto funzionale di discarica denominato «Vaira 1» con capacità di 450.000 metricubi;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri con deliberazione dell'8 agosto 2014, recante «Richiesta, ai sensi dell'articolo 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni ha ritenuto di concedere il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale richiesto dalla società Bracciano Ambiente spa ente gestore della discarica;
   la deliberazione, in ogni modo, superava il parere negativo, al rilascio del rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale, espresso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dato che l'area oltre a ricadere nella proprietà dell'università agraria di Bracciano in cui è presente il vincolo degli usi civici è segnata dalla presenza di una serie vincoli paesaggistici individuati dal decreto legislativo n. 42 del 2004, articolo 142, comma 1, lettere h), lettera m) e lettera g), e dalla strada cosiddetta «Settevene Palo», ove è posta la discarica è individuata come «percorso panoramico» e la zona è individuata come «parchi archeologici e culturali»;
   l'area della discarica ricade anche in zona ZPS (zona di protezione speciale) identificate con il codice IT6030005 denominato «Comprensorio Tolfetano Cerite Manziate» facente parte della Rete Natura 2000 istituita dalla direttiva «Habitat» (ovvero la Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche – Gazzetta Ufficiale del 22 luglio 1992). La rete comprende anche zone create ai sensi della direttiva «Uccelli» e mira a fornire una valida protezione per le zone faunistiche più importanti dell'Europa; gli Stati membri ex articolo 3 della Direttiva n. 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici classificano in particolare come zone di protezione speciale (ZPS) i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di tali specie, tenuto conto delle necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la direttiva «Habitat»;
   da quanto appreso dalla stampa locale (Civonline.it del 4 aprile 2015) «Il pubblico ministero del tribunale di Civitavecchia, Lorenzo Del Giudice, ha chiesto il fallimento della società che gestisce il «post mortem» della discarica di Cupinoro. La situazione economica della Bracciano Ambiente sarebbe infatti ormai irrecuperabile. Secondo quanto appurato dalla Guardia di Finanza di Civita Castellana risulterebbero oltre 10 milioni di euro di debito verso l'erario ed una chiusura di bilancio 2014 con un passivo di oltre 2.400.000 euro che si vanno a sommare all'1,2 milioni del 2012»;
   ad oggi la Bracciano Ambiente è seguita da un commissario, nominato dal Tribunale di Civitavecchia che affiancherà i vertici decisionali della Bracciano Ambiente senza sollevarli dall'incarico ma, di fatto, sostituendoli per porre le basi per un recupero della situazione finanziaria della stessa;
   risulta, sempre, dalla cronaca di stampa locale (...) che nella programmazione «post mortem» della discarica in «fase di costruzione, dei muretti di contenimento, per la raccolta delle acque reflue, di scolo, la norma prevede la realizzazione del perimetro della Collina dei Rifiuti, entro i 200 metri. Aumentando i perimetri di Cupinoro, con questa distanza, corre il sospetto che, tali muretti di contenimento, ricadano precisamente, dentro la nuova Cava, bloccata con ricorso penale di circa 450.000 mc, obbligando così, il riempimento della cava, e annullandone la sua illegalità» e «permettono che tale muro di contenimento, sia composto da rifiuti trattati, misto terra, che nel progetto della BA, viene chiamato come RSU (ovvero rifiuti generici e non trattati). Ed ecco, che i sospetti di una Cupinoro 2, riemerge»;
   pertanto attraverso la realizzazione del Capping, previsto affinché sia avviato il termine di vita della discarica emerge il tentativo di riutilizzare la cava ivi presente, cosiddetta «Vaira 1» realizzata per essere usata come nuovo invaso per mezzo di un ipotetico riempimento volto a sostenere la copertura della discarica ma realizzato con rifiuti trattati e terra da riporto –:
   se il Presidente del Consiglio e i Ministri interrogati intendano assumere ogni iniziativa di competenza perché siano svolti accertamenti in merito alle criticità su esposte;
   se in particolare il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda assumere tutte le iniziative necessarie attraverso eventuali accertamenti tecnici effettuati sullo stato di conservazione e tutela degli ambienti naturali in relazione al rispetto dell'articolo 3 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 sul mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat delle specie migratorie, alla luce della realizzazione delle opere «post Mortem» della discarica di Cupinoro a Bracciano;
   se non sia opportuno assumere un'iniziativa, se del caso anche normativa, per far fronte alla problematica descritta in premessa. (5-06238)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo recenti dichiarazioni del presidente ucraino Poroshenko, rese in un'intervista alla tv 1+1 (ripresa dall'agenzia interfax), Kiev avrebbe firmato contratti finalizzati all'importazione di armi – anche letali – con undici paesi, i quali tuttavia non risultano essere menzionati nell'intervista, come del resto non è specificato quali, fra questi, abbiano sottoscritto accordi per l'eventuale invio delle armi in questione;
   lo stesso presidente, tra l'altro, non ha esitato ad annunciare la necessità di ricorrere a tali misure da parte di Kiev, soprattutto nell'eventualità di una nuova offensiva russa, ipotesi, questa, in cui l'Ucraina sarebbe appunto nella condizione di avvalersi immediatamente tanto delle armi letali quanto, di riflesso, di provocare una nuova, massiccia ondata di sanzioni dirette contro l'aggressore;
   altresì Poroshenko si è mostrato molto fiducioso riguardo la possibilità che Ue, Usa e altri Paesi sostengano ancora l'Ucraina nella sua battaglia finalizzata a difendere, almeno formalmente, la sovranità e l'integrità territoriale anche attraverso l'utilizzo di armi laddove necessario;
   volendo essere obiettivi, la possibilità che Kiev venga messa nelle condizioni di dotarsi di «armi letali» per combattere la ribellione nei territori dell'est Ucraina porterebbe inevitabilmente a registrare una netta impennata dei già ampi contrasti esistenti tra le potenze occidentali e la Russia;
   non è un caso, infatti, che proprio il presidente USA Barak Obama sia stato esortato a stanziare, dal prossimo anno e per i successivi tre, un miliardo di dollari destinati agli aiuti militari, ne che la stessa Washington, che pure garantisce il proprio appoggio, si sia dichiarata, almeno fino ad ora, contraria ad avallare le contromisure prospettate dal presidente ucraino;
   tuttavia l'amministrazione americana risulta divisa ed assai sotto pressione rispetto ad una questione tanto importante quanto delicata: proprio il nuovo segretario alla difesa, Ashton Carter, durante un'audizione al congresso ha affermato di essere «molto incline» ad appoggiare le scelte di Poroshenko;
   contrari, invece, sono gran parte dei governi europei, i quali giustamente temono che la crisi possa aggravarsi a tal punto da divenire fuori controllo e giungere, quindi, a conseguenze estreme facilmente prevedibili per chiunque;
   lo stesso Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, durante la XI Conferenza degli ambasciatori tenutasi alla Farnesina, è voluto intervenire mettendo in luce, nuovamente, quali fossero gli ideali su cui si fonda la nostra Repubblica: pace, umanità e crescita sociale, proseguendo sulla necessità di porre in essere le fondamenta per un nuovo ordine mondiale, caratterizzato e soprattutto fondato sui principi rispettosi della persona umana e delle comunità;
   è evidente, quanto l'Ucraina abbia bisogno di una soluzione negoziata del conflitto perché in ogni caso la necessità primaria è che le armi, da ambo le parti, si depongano, non che ne vengano acquisite di nuove –:
   se l'Italia sia fra gli undici Stati menzionati da Poroshenko per l'importazione di armi cosiddette letali e, nell'ipotesi in cui fosse fra questi, quali siano le quantità e la tipologia delle armi con cui il nostro paese si appresterebbe a contribuire;
   se le armi eventualmente messe a disposizione dell'Ucraina siano state cedute a titolo gratuito oppure vendute.
(5-06239)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, a Fisciano, la città che ospita l'Università di Salerno, in un'area di oltre mille metri quadri, sarebbero stati ritrovati pezzi di amianto, proveniente da carrozze ferroviarie, sotterrati e mai smaltiti;
   in particolare, la maxi inchiesta della procura di Nocera Inferiore sarebbe partita da un sequestro del gennaio 2014, a ridosso di un fondo di proprietà di un noto imprenditore, e tra i rifiuti smaltiti molti sono stati classificati pericolosi: si tratterebbe di manufatti in cemento, contenenti una matrice di amianto, tutti dispersi sul fondo;
   le indagini hanno evidenziato che tali materiali provengono da un'azienda di Avellino presso cui le fibre di amianto venivano isolate dalle carrozze ferroviarie per poi essere incapsulate in cubi di cemento e molti di questi blocchi sarebbero stati depositati anche su un terreno di Fisciano, appartenente a privati;
   nel 2006 la stessa azienda dichiarò il fallimento e, nell'ambito di una ricognizione per inquinamento ambientale sull'intera area, il tribunale conferì incarico a due noti professionisti per bonificare quel terreno;
   dalle relazioni peritali, emerse che quei cubi di cemento-amianto potevano restare li, ma con l'integrazione di una segnaletica di pericolo che ne indicasse la presenza, motivo per cui l'iter di bonifica venne interrotto;
   successivamente, però, una nuova consulenza della procura, con il supporto dell'Asl Sa2, avrebbe disegnato un quadro del tutto differente, decisamente più drammatico, posto che quei rifiuti erano un «grave ed imminente pericolo» e la stessa procedura indicata dai periti risultò «inadeguata»;
   l'indagine mira adesso a stabilire l'esistenza di un eventuale disastro ambientale, con diversi profili attenzionati: dai proprietari dell'area ai periti del tribunale, colpevoli di aver redatto una falsa perizia;
   di recente, a Mercato San Severino, un'ordinanza ha imposto il censimento dei materiali contenenti amianto, nella consapevolezza, che è indispensabile monitorare tutte le eventuali e possibili fonti di inquinamento, attraverso un'azione preventiva, per salvaguardare la salute pubblica;
   tale consapevolezza, invece, nonostante la situazione generale desti preoccupazione, non sembra essere maturata negli ambienti comunali di Fisciano;
   mentre la presenza di amianto sul nostro territorio è diffusa, poche sono le discariche attrezzate e, anche in questo caso, il nostro Paese sconta troppi anni di ritardo sulle misure di sicurezza –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in ordine ai fatti esposti in premessa con particolare riferimento alla vasta area contaminata da amianto sul territorio Fisicano e alle iniziative assunte o da assumere a tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente. (4-10103)


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 238 comma 2, del decreto legislativo 152 del 2006 stabilisce che la tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali;
   non risulta agli interroganti l'emanazione del regolamento di cui al comma 6 del predetto articolo;
   il decreto del Presidente della Repubblica 158 del 1999 ha dettato le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani. Esso rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali. La tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani e deve rispettare la formula di cui al punto 1 dell'allegato 1 al decreto, che – semplificando – prevede la copertura della somma dei costi di gestione del ciclo dei servizi attinenti i rifiuti solidi urbani dell'anno precedente e dei costi comuni imputabili alle attività relative ai rifiuti urbani dell'anno precedente (opportunamente corretta con un fattore che tiene conto dell'inflazione programmata per l'anno di riferimento e del recupero di produttività nel medesimo anno) nonché dei costi d'uso del capitale relativi all'anno di riferimento. L'articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica dispone che, sulla base della tariffa di riferimento, gli enti locali individuano il costo complessivo e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. Il decreto del Presidente della Repubblica 158 del 1999 non fissa, quindi, solo un metodo per la determinazione della qualità e quantità di rifiuti solidi urbani prodotti per categorie di utenza, ma persegue anche lo scopo di stabilire il metodo sulle base del quale gli enti locali devono calcolare la tariffa stessa per classi di utenza. Riprendendo le disposizioni del comma 4 dell'articolo 49 del decreto legislativo 22 del 1997 (ora abrogato), il decreto del Presidente della Repubblica ribadisce che la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti (parte fissa), e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione (parte variabile);
   il predetto decreto, nell'allegato I, istituisce il coefficiente di adattamento del nucleo familiare per superficie e numero di componenti del nucleo familiare (Ka), attraverso il quale viene presunta la quantità di rifiuti in relazione alla superficie dell'immobile e al numero di abitanti e il coefficiente proporzionale di produttività per le utenze domestiche e non domestiche (Kb), mediante il quale si calcolano le quantità di rifiuti teoricamente producibili da ogni utenza domestica e non domestica;
   i coefficienti Ka e Kb non tengono conto delle abitudini di consumo individuali, né della quantità di rifiuti effettivamente prodotta da ogni singola utenza, di conseguenza non è possibile utilizzarli per determinare una tariffa equa, ovvero commisurata alla quantità di rifiuti prodotti in base al principio «chi inquina, paga»;
   in alternativa ai criteri previsti dal metodo normalizzato, il comune, nel rispetto del principio «chi inquina paga», può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti. Tale disciplina conferma la facoltà già prevista dall'articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 102 del 2013 di commisurare le tariffe della Tares, alternativamente al metodo normalizzato di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999, alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie. In base a quest'ultima norma, quindi, viene confermati la modalità di commisurazione della TARI basata su un criterio medio-ordinario e non sull'effettiva quantità di rifiuti prodotti;
   nella delibera d'ambito dell'ATERSIR (Agenzia territoriale dell'Emilia Romagna per il servizio idrico e i rifiuti) n. 2013/31 del 26 novembre 2013 si afferma la necessità di inserire il criterio quantitativo per l'assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti prodotti dalle utenze non domestiche per le quali sono attivati servizi dedicati di igiene ambientale nel regolamento di gestione dei rifiuti urbani vigente e di competenza di ATERSIR al fine di evitare che tali utenze conferiscano rifiuti al pubblico servizio quantitativi di rifiuti eccedenti i coefficienti di produttività specifica in base ai quali sono calcolati i piani economico finanziari del servizio di gestione dei rifiuti urbani, e si promuovono campagne di monitoraggio sulla produzione effettiva dei rifiuti, con pesature a livello zonale e/o puntuali per tipologia di materiale, al fine di verificare se la reale produzione annua di rifiuti è correttamente stimata dai coefficienti di produzione potenziale definiti nel decreto del Presidente della Repubblica 158 del 1999 per le varie categorie di produttori non domestici;
   l'Italia è rimasto l'unico paese della Comunità Europea a calcolare la produzione di rifiuti in base ai metri quadri dell'abitazione –:
   a quale punto sia l’iter di approvazione del regolamento di cui al comma 6 dell'articolo 238 del decreto legislativo 152 del 2006;
   se non ritenga opportuno promuovere interventi normativi volti alla revisione del decreto del Presidente della Repubblica 158 del 1999 al fine di ricondurre la tariffazione dei rifiuti solidi urbani alla quantità effettivamente prodotta da ciascuna utenza, eliminando la necessità di coefficienti di conversione e calcoli presuntivi; (4-10104)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VILLAROSA e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 160, lettera b), della legge n. 147 del 2013, ha sostituito il comma 3 dell'articolo 106 del TUIR prevedendo che sia le svalutazioni che le perdite su crediti iscritte in bilancio da parte degli enti creditizi e finanziari sono deducibili a fini IRES nell'esercizio in cui sono imputate a bilancio e nei quattro successivi (complessivamente 5 anni); la medesima disposizione ha inoltre stabilito che le svalutazioni e le perdite dedotte in quote da un quinto l'una si devono assumere al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio (comma 160, lettera c));
   la disposizione, come precisato dalla relazione tecnica di accompagnamento, ha trovato applicazione anche ai fini IRAP, consentendo la deducibilità sia delle perdite su crediti da «cancellazione» sia delle svalutazioni, producendo maggiori valori deducibili ai fini IRAP come, conseguenza della deduzione delle rettifiche con un effetto positivo sul gettito stimato nel 20 per cento annuo;
   nel quantificare gli effetti di gettito, la relazione tecnica ha utilizzato i dati contenuti nel prospetto dei crediti di cui al quadro RS del modello di dichiarazione UNICO 2012 società di capitali ed enti commerciali, dai quali emergeva per le sole banche:
    1) un importo complessivo di svalutazioni crediti civilistiche per circa 13,7 miliardi di euro relativi a 664 soggetti;
    2) un importo complessivo di svalutazioni crediti fiscali deducibili nell'anno (nei limiti pertanto dello 0,3 per cento dei crediti) di circa 4,7 miliardi di euro;
    3) un'eccedenza fiscalmente deducibile nei 18 esercizi successivi, di circa 9,1 miliardi di euro;
   le perdite su crediti da elementi certi e precisi sono state stimate in misura pari a circa 3,7 miliardi di euro;
   così come si evince dalla relazione tecnica la simulazione è stata parametrata su diversi anni, ipotizzando costanti nel tempo i dati rilevati e stimando le deduzioni fiscali a legislazione vigente e le deduzioni a legislazione proposta per i diversi anni considerati; ai fini della stima si è tenuto conto altresì del fatto che in base a specifica elaborazione, circa il 35 per cento delle eccedenze fiscalmente riportabili nei 18 esercizi successivi risulta attribuibile a soggetti bancari in perdita fiscale; tale circostanza concorre a generare, sia a legislazione vigente che a legislazione proposta, crediti d'imposta per Deferred Tax Assest (stante il permanere dell'indeducibilità piena nell'esercizio determinata dal riporto ai 4 esercizi successivi); nella relazione tecnica si afferma pertanto di aver tenuto conto di una capienza nel reddito del 65 per cento in sede di determinazione del differenziale di deducibilità IRES relativo al passaggio dal riporto in 18 anni alla deducibilità in cinque esercizi;
   dalla relazione tecnica si evince che:
    1) per le banche era previsto un maggior gettito ai fini IRES e IRAP per 1.342 milioni di euro per l'anno 2013 e 465 milioni di euro per l'anno 2014;
    2) per le assicurazioni era previsto un minor gettito ai fini IRES e IRAP per 28 milioni di euro per l'anno 2013 e 53 milioni di euro per l'anno 2014;
    3) per gli intermediari finanziari era previsto un minor gettito a fini IRES e IRAP per 29 milioni di euro per l'anno 2013 e 240 milioni di euro per l'anno 2014 –:
   se a consuntivo le previsioni di maggior e minor gettito fiscale a carico delle banche, assicurazioni ed intermediari finanziari per gli anni 2013 e 2014 corrispondano ai valori indicati in premessa ed eventualmente, in caso negativo, quali siano i relativi valori e gli scostamenti. (5-06237)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le misure elaborate dall'EBA, ossia dall’European Banking Authority, circa il sostegno del sistema bancario alle imprese sembra, all'atto pratico, subire una gravissima eterogenesi dei fini, comportando quale importante risultato, quello di aggravare la già difficoltosa situazione patrimoniale delle imprese, sopratutto le piccole e medie;
   si tratta del credito tollerato, il cosiddetto «forborne», già applicato parzialmente nell'ambito dell’Asset Quality Review, in base al quale in caso di difficoltà finanziaria del cliente e di una richiesta di intervento come rinnovo del fido in scadenza, riduzione dei tassi, allungamento dei tempi, ossia di un intervento configurabile come «misura di tolleranza», la banca è tenuta a riconoscere il credito come «forborne»;
   sono quindi considerate «forborne» le esposizioni creditizie per le quali siano state concesse modifiche delle condizioni contrattuali o un rifinanziamento totale o parziale, a causa delle difficoltà finanziarie del debitore;
   le banche, in questo caso, sono obbligate a prestare particolare attenzione alle domande di rinnovo dei prestiti e alle richieste di rivisitazione delle condizioni di soggetti in difficoltà, ma questa misura definita «di vigilanza» crea delle ripercussioni negative sull'intero sistema imprenditoriale;
   non è necessario, infatti, che il debitore si sia rivelato effettivamente inadempiente, ma è sufficiente che abbia chiesto una delle misure di tolleranza nel periodo di «forborne» per essere segnalate alla centrale rischi e vedersi bloccate tutte le richieste di fido e/o prestiti;
   sicuramente le misure in materia di vigilanza prudenziale sono ben accolte, purché l'unico fine sia quello di evitarci crack finanziari e bancari che hanno causato le celeberrime disastrose conseguenze sull'economia reale;
   sembrerebbe infatti opportuno fare in modo che le suddette misure di rafforzamento del sistema bancario non abbiano delle ripercussioni negative sulla capacità delle banche di sostenere il sistema imprenditoriale e produttivo –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, presso le opportune sedi europee e nelle opportune sedi di concertazione con i rappresentanti degli enti bancari europei e nazionali, al fine di evitare che le cosiddette misure di «forborne» inficino l'affidabilità dei soggetti che ne usufruiscono ed impediscano l'accesso al credito di questi, in un periodo di crisi così gravoso per le imprese, così come specificato in premessa. (4-10097)


   PORTA, BASSO, BECATTINI, CAMPANA, CARRESCIA, CARROZZA, CIMBRO, COVA, GIANNI FARINA, FEDI, FRAGOMELI, GARAVINI, GIACOBBE, GRIBAUDO, LA MARCA, LODOLINI, PATRIZIA MAESTRI, MARANTELLI, MINNUCCI, MIOTTO, MONGIELLO, PATRIARCA, GIUDITTA PINI, RIBAUDO, ROMANINI, RUBINATO, SCUVERA, TARICCO, TERROSI, VALERIA VALENTE e VALIANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il microcredito negli ultimi decenni si è progressivamente affermato come un importante volano di promozione umana e di sviluppo sociale a partire dalle realtà alle prese con problemi di sviluppo ancora aperti, ma in modo crescente anche in aree più avanzate, soprattutto se interessate da processi di crisi di non breve durata e da fenomeni di immigrazione;
   le finalità principali delle attività di microcredito, com’è risaputo, sono l'inclusione sociale di soggetti in condizione di disagio e a rischio di marginalità e la promozione d'impresa e di «autolavoro» per coloro che nel contesto di vita stentano ad intercettare opportunità di iniziativa imprenditoriale e di occupazione;
   in Italia, nell'ultimo decennio, gli spazi di applicazione di tale forma di intervento si sono notevolmente ampliati a seguito dei processi di crisi che hanno determinato da un lato un'area di povertà assoluta calcolata dagli istituti statistici in 4 milioni di persone e di povertà relativa di 8 milioni di soggetti, dall'altro una disoccupazione giovanile che coinvolge direttamente circa la metà dei giovani in condizione di lavoro e un saldo negativo di 134.000 piccole imprese tra il 2006 e il 2013; ad essi, si aggiunge un consistente numero di persone, dotate di esperienze e competenze, che hanno perduto il lavoro in età avanzata e che incontrano particolari difficoltà di reinserimento;
   il nostro Paese, inoltre, è meta di costanti flussi di immigrazione che, nonostante la crisi, hanno portato la presenza degli stranieri nel territorio nazionale a circa 5 milioni di persone, per le quali si pongono evidenti esigenze di inclusione e di integrazione nel tessuto economico e sociale; esso, inoltre, ha un crescente interesse a rafforzare le politiche di promozione dello sviluppo e di cooperazione con i popoli che risiedono in aree di alto valore strategico, quali l'Africa, il Medio Oriente e l'America meridionale;
   in Italia, pur operando dal 2006 al 2010 un Comitato di coordinamento nazionale e dal 2010 l'Ente nazionale del microcredito, lo sviluppo delle attività in questo settore, anche se registra indici positivi, è ancora distante dalle notevoli potenzialità che per diversi soggetti e in diversi campi si manifestano nella triplice direzione del sostegno sociale, della promozione di piccole imprese e «autolavoro» e della cooperazione allo sviluppo;
   nel quadriennio 2011-2014 le domande di microcredito valutate sono state 77.500, di cui accolte 34.000 (43,9 per cento) per un ammontare di 360 milioni di euro; nel 2014 i microcrediti concessi ammontano a 11.500, di cui una metà per finalità sociali e una metà per finalità produttive, con la differenza che nel primo caso è stato soddisfatto oltre il 70 per cento delle domande, mentre nel secondo non si è arrivati ad un terzo, nonostante che quelli sociali siano stabili nel tempo e gli altri registrino una crescita del 75 per cento;
   quanto ai partner, gli istituti bancari hanno un ruolo rilevante, gli enti religiosi, il terzo settore e i privati intervengono per un terzo delle iniziative mentre le società pubbliche hanno uno spazio ancora limitato;
   ancora basso risulta il ricorso e l'utilizzazione degli strumenti micro finanziari messi a disposizione dalla Unione europea, che dovrebbero vedere una più estesa e incisiva propagazione e una più completa integrazione con gli strumenti operanti in ambito nazionale e regionale;
   alla luce di tale pur sommario quadro, sembra evidente l'esigenza di un ruolo più convinto e attivo della mano pubblica, in termini di informazione e promozione, di sostegno alla presentazione delle domande e dei progetti e di accompagnamento, tramite un'estesa ed efficiente rete di servizi bancari ed extrabancari, delle attività intraprese a seguito di concessione di microcrediti;
   la recente emanazione del regolamento di applicazione del decreto-legge n. 201/2011 che all'articolo 39, comma 7-bis dispone che una quota delle disponibilità finanziarie del Fondo centrale di garanzia a favore delle PMI sia riservata a interventi di garanzia per il microcredito, apre più i ampie prospettive e produce un cambio di passo delle metodologie di intervento, nonché a una più incisiva presenza dei soggetti che operano in questo campo;
   alla luce delle dinamiche in atto e delle prospettive indicate, sembra non differibile una approfondita verifica della effettiva rispondenza degli strumenti esistenti alle finalità prefissate, e una riconsiderazione generale circa l'adeguatezza dell'ente per il microcredito ai compiti istituzionali che lo statuto gli assegna –:
   quali iniziative intenda assumere per dare impulso a un settore di intervento di crescente peso in ordine alle diffuse necessità di inclusione sociale, di promozione di microimprese, soprattutto in questa fase di iniziale ripresa economica, e di presenza solidale in aree del mondo con significativi problemi di arretratezza e sottosviluppo;
   se non intenda verificare l'attendibilità delle ricorrenti segnalazioni di stampa in ordine allo squilibrio esistente nell'attività dell'Ente per il microcredito tra le spese di ordine amministrativo, di consulenza e di organizzazione di eventi e quelle di intervento diretto, fornendo agli interroganti, e comunque rendendo pubblici, i dati relativi alle risorse utilizzate dall'ente, con la specificazione del rapporto percentuale tra costi di gestione e spese totali attuali e futuri, tenendo conto di quanto accertato dalla Corte dei Conti, in sede di verifica e controllo, nello stesso tempo, si intenda favorire una gestione sempre più basata su presupposti di competenza e professionalità;
   se, in particolare, non ritenga di promuovere, anche alla luce degli esiti dell'incontro sul microcredito svoltosi presso la Camera dei deputati alla presenza della Presidente della Camera, un tavolo permanente di coordinamento e di concertazione dei diversi soggetti che agiscono in questo campo al fine di razionalizzarne l'intervento e di ottimizzarne i risultati, anche attraverso il rafforzamento di una rete di sostegno e servizi che possano concorrere a espandere e a stabilizzare le iniziative. (4-10098)


   RICCIATTI, FERRARA, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, KRONBICHLER, PELLEGRINO e SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 luglio 2015 la guardia di Finanza di Ancona, in collaborazione con i funzionari dell'Agenzia delle Dogane, ha effettuato il sequestro, presso il porto di Ancona, di 1.820 chilogrammi di tabacchi lavorati esteri di contrabbando, trasportati a bordo di un autocarro con targa bulgara sbarcato da una motonave proveniente dalla Grecia;
   secondo quanto riferiscono le fonti di stampa (Ansa e Il Corriere Adriatico, 29 luglio 2015) il carico, del valore commerciale di 391.000 euro, compresi i diritti doganali evasi per circa 347.000 euro, era destinato al mercato francese;
   nel corrente anno presso il porto di Ancona sono state complessivamente sequestrate circa 28 tonnellate di tabacchi lavorati esteri;
   pochi mesi fa vi è stato un analogo intervento della guardia di Finanza nel comune di Fano (PU), che ha portato al sequestro di un carico di 546 chilogrammi di sigarette di contrabbando recanti il marchio «Jim», venduto generalmente nei paesi anglosassoni, per un valore di oltre 320 mila euro (Il Resto del Carlino, 16 marzo 2015);
   si è trattato del sequestro di sigarette più significativo nella provincia di Pesaro Urbino negli ultimi 25 anni, che se da un lato testimonia la costante azione di controllo economico del territorio operata dal Corpo della guardia di Finanza, dall'altro segnala un preoccupante aumento del fenomeno;
   il contrabbando di tabacco, anche a causa della crisi, pare stia vivendo una ripresa «non episodica», su quelle che sono state per anni le rotte classiche del contrabbando con l'Adriatico, con un aumento del contrabbando di tabacchi di produzione italiana, come ha avuto modo di illustrare il procuratore capo di Lecce Cataldo Motta nella relazione DDA relativa al primo semestre 2014 –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di fornire una stima del fenomeno relativamente alla regione Marche;
   quali provvedimenti intendano adottare per contrastare in modo efficace il fenomeno del contrabbando di sigarette. (4-10102)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO, FRANCO BORDO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data mercoledì 29 luglio si è verificato l'incendio della pineta di Fiumicino e nella giornata di ieri persino il blackout elettrico, ma come emerge oggi dalla stampa nazionale e più volte denunciato anche con atti di sindacato ispettivo presentati dal Gruppo Parlamentare SEL, per costruire lo scalo di Fiumicino si scelsero i paludosi terreni della duchessa Torlonia nella bonifica di Porto. Si partì nel 1950, ma dopo otto anni e 24 miliardi di lire spesi, a Fiumicino non c'era nulla. In seguito, per asciugare l'acqua si presero tonnellate di terra scavate da una valle vicina: la futura discarica di Malagrotta. I primi aeroplani decollarono finalmente il 15 gennaio del 1961. Ma neanche tre mesi dopo l'inaugurazione il fondo della pista cominciò a sgretolarsi. Sul «Corriere» Indro Montanelli commentò così: «Il caso dell'aeroporto di Fiumicino è molto peggio di un furto, di una rapina a mano armata o di una incursione di briganti. Chissà quanti altri Fiumicini ci aspettano»;
   per molti anni sull'Aeroporto di Fiumicino non è stato investito a sufficienza da parte degli azionisti principali della società di gestione, ADR e Benetton, oggi presente attraverso la holding Atlantia;
   stando ai dati pubblicati dalla stampa nazionale, fino al 2012 nell'aeroporto di Fiumicino, proprietari hanno investito un terzo di quanto in media si investiva negli altri aeroporti europei o meglio il minimo per garantire la manutenzione ordinaria;
   per quanto risulta all'interrogante la famiglia Benetton avrebbe smesso di fare investimenti presso l'aeroporto di Fiumicino, mentre prosegue una vera e propria azione speculativa per costruire una nuova aerostazione sui terreni della Maccarese, di proprietà Benetton;
   si tratta in particolare del grande progetto presentato nel 2012 di «Fiumicino Nord»: una imponente espansione con nuove piste e una nuova aerostazione per poter arrivare a gestire 100 milioni di passeggeri l'anno. Terreni della «Maccarese» di proprietà Benetton, come si è detto, da espropriare a caro prezzo rispetto ai quali sono stati individuati molteplici profili di compatibilità ambientale;
   la zona interessata all'ipotesi del raddoppio dell'aeroporto è, infatti, di ben 1300 ettari di territorio tutti ricadenti all'interno della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano totalmente vincolati a zona 1 (totalmente inedificabile) e 2 (edificabile a fini agricoli);
   sui terreni dove è ipotizzato la realizzazione del secondo aeroporto, prima della bonifica idraulica sorgeva lo «stagno di Maccarese» per cui la Commissione parlamentare d'inchiesta istituita con legge n. 325 del 1961 dichiarava che i terreni non erano idonei per la realizzazione dell'aeroporto;
   sempre nei terreni interessati al raddoppio dell'aeroporto insistono molti siti archeologici fra cui il villaggio dell'età del rame denominato Fianello-Le Cerquete;
   per quanto risulta all'interrogante in questi giorni la compagnia aerea spagnola low cost Vueling, a seguito dei fatti occorsi presso l'aeroporto di Fiumicino, ha di fatto abbandonato per due giorni migliaia di persone;
   appare quanto mai urgente l'immediata apertura di un aeroporto di supporto di Fiumicino per i voli low cost, come avviene in tutta Europa che non risulti a ridosso dei centri abitati, in modo tale da evitare che Fiumicino, da hub intercontinentale quale dovrebbe essere, diventi il punto di riferimento di voli low cost;
   ad esempio, l'individuazione dell'Aeroporto di Latina Scalo, quale aeroporto di supporto dell'Aeroporto di Fiumicino per i voli low cost, potrebbe rappresentare la più logica e la più praticabile nel breve periodo, rappresentando un volano per lo sviluppo dell'economia pontina, permettendo di creare un reale network aeroportuale del Lazio;
   per quanto risulta all'interrogante il sindaco di Fiumicino ha lamentato l'assenza della caserma Vigili del Fuoco, attualmente chiusa per motivi di spending review –:
   quale siano gli intendimenti del Ministro interrogato in ordine ai fatti descritti in premessa e quali iniziative urgenti, anche valutando l'apertura di una vera e propria inchiesta ministeriale, intenda assumere per far luce sulle operazioni relative all'ampliamento del complesso aeroportuale di Fiumicino rispetto alle quali Benetton, attraverso la holding Atlantia, riveste un ruolo centrale;
   se non ritenga opportuno promuovere una consultazione permanente con i comuni interessati al fine di individuare al più presto un aeroporto di servizio a quello di Fiumicino dove dislocare i voli low cost, valutando con particolare attenzione l'ipotesi dell'Aeroporto di Latina Scalo;
   se e quali provvedimenti di competenza si intendano attivare nei confronti della compagnia aerea Vueling per i disagi e i disservizi cagionati nei confronti dei passeggeri;
   per quali ragioni un hub intercontinentale e un aeroporto di rilevanza strategica quale è appunto il «Leonardo da Vinci» di Fiumicino, come peraltro previsto dal Piano Nazionale degli aeroporti recentemente trasmesso alle Camere, risulti sprovvisto nel comune di riferimento di una caserma dei Vigili del Fuoco pienamente operativa. (4-10105)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la città di Savona ha vissuto nei giorni scorsi un episodio grave che richiama, più in generale, la necessità di una grande attenzione e di stretta collaborazione tra i diversi livelli istituzionali per fare sì che il livello di convivenza e di sicurezza soddisfacente che si registra in quella comunità non venga messo in discussione dalla possibile sottovalutazione di situazioni critiche;
   una rissa scoppiata presso un locale/bar-sala giochi ha provocato la morte violenta di una persona e il ferimento grave di un'altra, di fronte alle decine di persone e alle famiglie con bambini riunite in un altro locale nelle vicinanze: protagonisti tre uomini di origine nord africana;
   le modalità dell'accaduto hanno generato una forte apprensione nella comunità savonese; il coinvolgimento di persone straniere ha focalizzato su questo l'attenzione dei commentatori e dell'opinione pubblica;
   il locale in cui la rissa si è generata era stato oggetto di segnalazioni e denunce di residenti e operatori economici, che percepivano la pericolosità dell'ambiente che vi si era creato e una gestione assolutamente discutibile da parte dei titolari;
   il sindaco di Savona, nella riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, il 4 giugno 2015, aveva indicato alle amministrazioni centrali competenti la necessità di interventi che potessero costituire efficace prevenzione di ulteriori criticità. Il fatto che nel, locale si esercitassero anche attività di gioco d'azzardo getta ulteriori ombre su quella vicenda;
   la comunità savonese è caratterizzata da un buon livello di coesione sociale e di integrazione;
   la crisi economica, che pure ha segnato anche questa zona, è stata affrontata con grande attenzione da parte delle istituzioni locali, con azioni di sostegno alle persone, e con scelte che prefigurano un possibile nuovo cammino di crescita, ovviamente in presenza di adeguate politiche a livello nazionale e comunitario;
   la popolazione straniera sul totale si è attestata attorno al 10 per cento (circa 8,5 per cento la media provinciale), dopo una crescita progressiva e ordinata, di non più di un punto percentuale all'anno;
   la disponibilità delle comunità di immigrati a entrare positivamente in relazione con la comunità nel suo insieme e con le istituzioni locali è testimoniata, tra l'altro, dall'altissima risposta delle famiglie all'iniziativa dell'amministrazione comunale, che da oltre tre anni consegna ai bambini nati a Savona da genitori cittadini stranieri regolarmente soggiornanti e residenti, l'attestato di cittadinanza onoraria «Ius soli»;
   l'indice di invecchiamento della popolazione in Liguria e in provincia di Savona, molto alto rispetto alla media nazionale, fa sì che l'immigrazione sia una componente fondamentale del necessario riequilibrio tra le generazioni, a tutto vantaggio dei cittadini da sempre qui residenti;
   la mancata prevenzione di episodi gravi di violenza e di criminalità di vario grado rischia di dare fiato a indiscriminate campagne contro la presenza di persone immigrate. D'altra parte è assolutamente necessario che l'insieme della popolazione possa vivere in condizioni di sicurezza e percepire come sicura e vivibile la propria città;
   inoltre, la disponibilità dimostrata dalla città di Savona e da altri enti locali ad accogliere gruppi di profughi per fare fronte all'emergenza che si è determinata in tutto il Paese, fa i conti con una reale difficoltà a governare tale emergenza a livello regionale e nazionale, che richiederebbe una distribuzione equilibrata tra diversi territori e una piena solidarietà tra tutti i livelli istituzionali, nella ricerca delle soluzioni più idonee;
   in particolare, nel comune di Cairo Montenotte si sono manifestate serie criticità relative all'accoglienza dei profughi e l'amministrazione comunale mette in evidenza difficoltà di coordinamento da parte della locale prefettura;
   da oltre un mese il ruolo di prefetto di Savona risulta vacante per il trasferimento della ex titolare, dottoressa Basilicata, ad altro incarico –:
   quali iniziative intenda intraprendere per assicurarsi che venga garantita, anche in situazioni come quella descritta per la città di Savona e per le altre comunità della provincia, la necessaria fermezza e determinazione nella prevenzione e repressione di fenomeni di illegalità e di minaccia alla sicurezza e alla tranquilla convivenza della popolazione nativa e immigrata;
   nello specifico, se intenda verificare per quali ragioni la locale questura non abbia ritenuto di dare corso a verifiche su quanto segnalato assumendo le conseguenti iniziative di competenza;
   con quali tempi, che si richiede siano molto celeri, si intenda provvedere a rendere pienamente operativa e autorevole la funzione dell'ufficio decentrato del Governo in provincia di Savona.
(2-01053) «Giacobbe, Vazio, Basso, Carocci, Tullo, Gnecchi, Ginato, Gandolfi, Miccoli, Casellato, Carloni, Montroni, Mognato, Marcon, Pagani, Rocchi, Fiorio, Giuseppe Guerini, Roberta Agostini, Fabbri, Mariani, Patrizia Maestri, Bolognesi, Ghizzoni, Giovanna Sanna, Rostellato, Baruffi, Paris, Albanella, Gribaudo, Incerti».

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'11 maggio 1990, in occasione del deposito dello strumento di ratifica della Carta Europea dell'Autonomia Locale, il Governo italiano ha integrato il documento aggiungendo la seguente dichiarazione: «Con riferimento alle disposizioni dell'articolo 12, comma 2 della Carta europea dell'autonomia locale, la Repubblica italiana si considera vincolata dalla Carta nella sua integralità». La Carta Europea dell'Autonomia Locale è entrata in vigore per l'Italia il 1o settembre 1990;
   l'articolo 3 della citata Carta Europea dell'Autonomia Locale prevede che il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici possa essere esercitato anche con il ricorso ad assemblee di cittadini, referendum e ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge;
   l'articolo 118 della Costituzione prevede che Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà;
   l'articolo 8 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, prevede che i comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale. I rapporti di tali forme associative sono disciplinati dallo statuto. Specifica inoltre che nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo statuto, nell'osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. Infine, dispone che nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere, altresì, determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere, altresì, previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini;
   nel 2004, con 4 anni di ritardo, lo Statuto comunale di Sesto San Giovanni ha recepito le disposizioni del citato decreto legislativo, prevedendo, nelle norme transitorie e finali, che entro un anno venga adottato un regolamento relativo alla partecipazione popolare. Tuttavia, tale regolamento ad oggi non è ancora stato approvato;
   nel novembre 2011, è stata depositata una petizione popolare per la modifica allo Statuto comunale, alla quale non è seguito alcun provvedimento per colmare le inadempienze in ordine all'esecuzione dello Statuto;
   nel febbraio 2012, il Consiglio comunale ha esaminato una modifica dello Statuto al riguardo che non è stata portata a compimento per la fine della consiliatura;
   nel dicembre 2012, è stata presentata un'iniziativa popolare con l'intento di richiedere l'estensione dei diritti referendari. Ancorché tale proposta sia stata respinta, il Consiglio comunale, in data 8 luglio 2013, ha approvato all'unanimità un ordine del giorno relativo all'orientamento che lo Statuto del Comune debba essere compiutamente rivisitato, alla luce dei cambiamenti normativi intercorsi e della necessità di valorizzare compiutamente la partecipazione della cittadinanza, a partire da quanto elaborato nella precedente consiliatura. Il Consiglio comunale ha altresì ritenuto che, nel quadro della valorizzazione della partecipazione civica, dovesse essere ridotto il numero di firme necessario alla proposizione dei referendum e il quorum che ne rende valida la votazione, invitando il Presidente a convocare la competente commissione consiliare per avviare il percorso di revisione statutaria, da concludersi con celerità;
   nel maggio 2014 sono stati depositati due quesiti referendari. Nonostante le disposizioni dello Statuto prevedano che il comune abbia 60 giorni per valutarne l'ammissibilità, a tutt'oggi le richieste non hanno ancora ottenuto alcuna risposta;
   nel giugno 2014 il sindaco ha preso atto che lo statuto è inadeguato e che il comune non è in grado di valutare l'ammissibilità dei referendum, auspicando che l’iter di revisione si svolga con celerità;
   nel luglio 2014 i cittadini si sono rivolti al prefetto di Milano che ha sollecitato il sindaco;
   nell'ottobre 2014 i cittadini si sono rivolti al difensore civico regionale che ha sollecitato il sindaco, chiedendo le ragioni che hanno impedito in 5 anni di revisionare lo statuto e che di fatto hanno causato l'impossibilità di applicare l'articolo 8 del Testo unico degli enti locali, con particolare riferimento ai referendum;
   nel dicembre 2014 una nuova petizione è stata presentata al sindaco per sollecitare la revisione dello statuto;
   nel dicembre 2014 il prefetto di Milano si è rivolto nuovamente al sindaco, informandone contestualmente il Ministro dell'interno;
   nel gennaio 2015 è stato riavviato l’iter in commissione, i cui lavori sono stati sospesi nel mese di febbraio per avviare una campagna di «raccolta di idee» per le modifiche allo statuto, della durata di soli 15 giorni e scarsamente pubblicizzata;
   dopo 12 sedute la commissione competente ha redatto una proposta di modifica dello statuto che, ad oggi, non risulta ancora esaminata neanche per la metà degli articoli di cui si compone;
   lo statuto del comune di Sesto San Giovanni appare non ottemperare sul punto alle disposizioni in materia di partecipazione popolare previste dal predetto Testo unico sull'ordinamento degli enti locali, nonché dalla Carta europea per le autonomie locali. Tale situazione determina l'impossibilità di esercitare i diritti popolari riconosciuti dagli accordi internazionali ratificati dallo Stato italiano, dalla Costituzione e dal Testo unico degli enti locali;
   negli ultimi anni si è assistito a una progressiva e drammatica perdita di credibilità e di legittimità della democrazia rappresentativa anche a livello locale anche attraverso l'impedimento dell'esercizio degli strumenti di democrazia diretta e partecipata previsti dal diritto internazionale e dalla legge italiana. È pertanto evidente la necessità di porvi rimedio, a parere degli interroganti anche tramite l'intervento del Governo il quale può sostituirsi agli organi dei Comuni, nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria o quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o la tutela dei livelli essenziali dei diritti dei cittadini prescindendo dai confini territoriali dei governi locali –:
   quali iniziative per quanto di competenza, il Ministro interrogato, già informato dei fatti intenda adottare in considerazione delle norme internazionali e della legge italiana anche al fine di agevolare l'esercizio democratico dei diritti popolari nel comune di Sesto San Giovanni.
(4-10101)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il «Sandimmun» della Neoral, il cui principio attivo è la ciclosporina, è un farmaco anti-rigetto, immunosoppressore, che è il salvavita per tutti coloro che hanno subìto un trapianto d'organo in quanto è necessario a prevenire il rigetto dell'organo trapiantato;
   il predetto farmaco fino al 15 aprile 2015 era integralmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale essendo presente all'interno della lista di trasparenza redatta dall'Agenzia italiana del Farmaco (AIFA);
   l'interrogante ha però appreso che, in applicazione della determina AIFA portante n. 533/2015, il Sandimmun Neoral – che sino ad allora era stato considerato da tutti come il farmaco salvavita per eccellenza – viene consegnato in farmacia solo a fronte del pagamento di un ticket molto consistente;
   ciò sarebbe stato causato dall'inserimento nella lista di trasparenza delle specialità medicinali del farmaco Ciqorin come generico della ciclosporina;
   l'interrogante, a seguito di alcune segnalazioni ricevute, è venuto a conoscenza che al Sandimmun Neoral, a partire dal 16 aprile 2015, è stato applicato un ticket sanitario di un importo che varia tra i 31,00 e gli 84,50 euro (a seconda della diversa posologia, 100, 50, 25 mg);
   per la maggior parte dei pazienti in cura con la ciclosporina, che utilizzano il farmaco brand, si tratterebbe purtroppo di un passaggio al generico quasi obbligato, proprio a causa dell'alto costo del ticket che i trapiantati devono sopportare;
   tra l'altro l'AIFA, con una nota del 20 aprile 2015, ha affermato che «lo switch (passaggio ad altra formulazione farmaceutica ovvero capsule a rilascio immediato con formulazione di ciclosporina microemulsionata) senza adeguata supervisione medica può comportare un aumento della concentrazione massima ematica (Cmax) e un aumento dell'esposizione al principio attivo (AUC). Si raccomanda pertanto un attento monitoraggio da parte del personale medico responsabile per il paziente»;
   numerose sono state le denunce e le segnalazioni presentate al Ministro in indirizzo ed all'AIFA, come ad esempio dalle associazioni ANED, Associazione CardioTrapiantati Italiani, Associazione LiverPool, Associazione Italiana Trapiantati di Fegato;
   come da comunicato stampa n. 437 del 24 aprile 2015, l'AIFA, in riscontro alle istanze che le sono pervenute, ha deciso di mantenere tutti i medicinali a base di ciclosporina nella lista di trasparenza, ossia nell'elenco dei farmaci equivalenti con i relativi prezzi di riferimento rimborsati al cittadino dal Servizio Sanitario Nazionale;
   la predetta disposizione, stando sempre al comunicato di cui in precedenza, ha però efficacia per un periodo di sei mesi fino al 15 ottobre 2015, poiché, la Commissione tecnico scientifica (CTS) «ritiene che tutti i farmaci contenenti ciclosporina abbiano pari valore terapeutico ed ha l'obiettivo di evitare di far ricadere sui pazienti l'aggravio economico dovuto alla differenza di prezzo tra farmaco “branded” e il suo equivalente»;
   si evince inoltre come l'AIFA si sia impegnata a ricevere in audizione in seno alla CTS sia il Direttore del Centro Nazionale Trapianti sia eventuali Associazioni Scientifiche e di Pazienti, le ditte produttrici di ciclosporina nonché i rappresentanti della Conferenza Stato-regioni per chiarire le motivazioni della decisione e avanzare una raccomandazione a sostegno dell'utilizzo della ciclosporina equivalente nei pazienti non ancora in trattamento;
   pertanto sembra che l'utilizzo del farmaco generico potrebbe venire raccomandata dall'AIFA unicamente per i pazienti non ancora in trattamento;
   l'AIFA è stata istituita, con effetto dal 1o gennaio 2004, con il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 – rubricato «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici» convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326;
   l'AIFA, ai sensi dell'articolo 48, comma 2 del predetto decreto-legge, è «sottoposta alle funzioni di indirizzo del Ministero della salute e alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze» ed è «dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia organizzativa, patrimoniale, finanziaria e gestionale»;
   ai sensi del comma 3 dell'articolo 48 del decreto-legge 269 del 2003 all'AIFA spettano compiti e funzioni di alta consulenza tecnica al Governo ed alla Conferenza permanente per rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, in materia di politiche per il farmaco con riferimento alla ricerca, agli investimenti delle aziende in ricerca e sviluppo, alla produzione, alla distribuzione, alla informazione scientifica, alla regolazione della promozione, alla prescrizione, al monitoraggio del consumo, alla sorveglianza sugli effetti avversi, alla rimborsabilità e ai prezzi;
   ai sensi del successivo comma 5, all'Agenzia spetta inoltre il compito di «provvedere entro il 30 settembre di ogni anno, o semestralmente nel caso di sfondamenti del tetto di spesa di cui al comma 1, a redigere l'elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale, sulla base dei criteri di costo e di efficacia in modo da assicurare, su base annua, il rispetto dei livelli di spesa programmata nei vigenti documenti contabili di finanza pubblica, nonché, in particolare, il rispetto dei livelli di spesa definiti nell'Accordo tra Governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano in data 8 agosto 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001»;
   si ritiene che ai pazienti che hanno subito un trapianto debba essere garantito il diritto di continuare la stessa identica terapia anti-rigetto senza ulteriori costi ed oneri –:
   sulla base di quali studi medico-scientifici la Commissione tecnico scientifica è giunta ad affermare che tutti i farmaci contenenti ciclosporina abbiano pari valore terapeutico;
   quali atti di propria competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire che, anche successivamente al 15 ottobre 2015, tutti i medicinali a base, di ciclosporina siano inseriti nell'elenco dei farmaci rimborsati al cittadino dal Servizio sanitario nazionale;
   se saranno previste differenziazioni di trattamento tra pazienti che già sono in cura con il farmaco brand a base di ciclosporina e pazienti non ancora in trattamento. (4-10099)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Mondial Group Mondial Group Srl, leader nel settore del freddo commerciale, nasce nel 2006 dall'unione di Mondial Elite (apparecchi refrigerati per piccola ristorazione e per le industrie delle bevande) e Framec (vetrine verticali ed orizzontali per tutti i settori della distribuzione alimentare e industrie dei gelati e surgelati Il gruppo promuove anche Bacchus Genius, cantine climatizzate altamente tecnologiche per la conservazione e l'invecchiamento del vino;
   l'azienda, la cui sede centrale è a Mirabello Monferrato (AL), opera in Italia con due siti produttivi e, a livello globale, con partner in Francia, Romania, Turchia, Thailandia, Messico e rappresentanze in tutto il mondo;
   la Mondial Group di Montemiletto, in provincia di Avellino, ha avviato le procedure di mobilità per i 77 dipendenti dello stabilimento irpino, preludio al licenziamento in tronco degli operai;
   nel 2014 furono realizzati anche alcuni investimenti sulle linee di produzione dell'azienda, per tentare di recuperare la giusta competitività nel mercato;
   l'amministratore unico del gruppo, finora, non ha avanzato nessuna richiesta di ammortizzatori sociali per i dipendenti, e non ha richiesto nessun confronto con il Governo, il sindacato o gli amministratori;
   inoltre, il prossimo 14 agosto, terminerà ai lavoratori la cassa integrazione ordinaria, preceduta da quella straordinaria;
   l'atteggiamento espresso sullo stabilimento irpino preoccupa rispetto al futuro occupazionale dei circa 250 dipendenti dei siti piemontesi –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per dare soluzione alla crisi della società Mondial Group, se ci sia stato siano e si intenda aprire un tavolo nazionale di confronto con le parti interessate con lo scopo di avviare un dialogo finalizzato a tutelare la continuità occupazionale. (4-10100)

Apposizione di una firma
ad una mozione.

  La mozione Alli e altri n. 1-00956, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pagano.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Cariello e altri n. 4-10094, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Colonnese.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Busin 1-00957, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 467 del 23 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    l'8 luglio 2015, eccezionali fenomeni temporaleschi hanno colpito il territorio Veneto ed in particolare alcuni comuni delle province di Venezia, Padova, Vicenza e Belluno, provocando gravi danni alle infrastrutture, agli edifici pubblici e privati e ai beni mobili;
    l'intensità delle raffiche di vento e pioggia è stata devastante e ha messo in pericolo la vita delle persone, provocando anche la morte di un uomo e circa 100 feriti e creando l'interruzione dei collegamenti viari e la compromissione delle attività civili, commerciali e agricole;
    i fenomeni temporaleschi, che hanno fatto seguito ad un lungo periodo con temperature eccezionalmente elevate e caldo torrido, ben oltre la media stagionale estiva, hanno provocato la bora sul litorale adriatico ed un tornado che per i danni provocati è stato catalogato di intensità F4, in funzione della Scala Fuijta avanzata (enhanced fujita scale);
    a Valle del Boite, nell'alto bellunese, una frana in località Acquabona nel comune di Cortina d'Ampezzo ha provocato l'interruzione della viabilità sottostante sulla strada statale n. 51 «di Alemagna» che è stata a lungo bloccata in entrambe le direzioni da circa 2000 metri cubi di materiale sversato;
    nel veneziano, le violente piogge e grandine e una tromba d'aria di notevole intensità hanno provocato lo scoperchiamento di case e capannoni, il danneggiamento di circa 500 edifici, l'isolamento di intere aree, con l'interruzione della rete stradale e ferroviaria, black-out elettrici fino all'indomani, oltre a disservizi nella fornitura del gas e dell'acqua; in particolare, lungo la Riviera del Brenta, nel pomeriggio il violento tornado ha provocato ingenti danni nei comuni di Dolo, Pianiga e Mira;
    tra gli edifici di maggior rilievo colpiti si segnala la devastazione di numerosissime ville venete (almeno 20), quella della famosa Villa Fini, in comune di Dolo località Cesare Musatti, letteralmente rasa al suolo e i cui danni sono stati quantificati in euro 6.500.000, sui complessivi euro 9.850.000 riguardanti tutte le altre ville e dimore storiche venete;
    nel comune di Dolo, sono state danneggiare oltre 200 abitazioni, di cui 132 considerate inagibili (90 da abbattere parzialmente); gli sfollati sono stati circa 450; sono state coinvolte dall'evento 15 ville venete, oltre 20 attività produttive e commerciali e centinaia di vetture; è stato distrutto completamente l'arredo urbano di almeno 16 strade (patrimonio arboreo, segnaletica stradale, impianti di sollevamento fognature bianche, pubblica illuminazione e altro) e gli impianti sportivi comunali. Il comune ha sospeso il pagamento dei tributi locali e ha allestito presso il municipio uno sportello unico di emergenza;
    nel comune di Pianiga, si sono rilevati, ad oggi, danni al patrimonio privato e pubblico per un totale di circa 250 immobili e di centinaia di autovetture; è stato distrutto completamente l'arredo urbano di almeno 22 strade e sono state coinvolte oltre 30 attività produttive e commerciali e gli impianti sportivi comunali; il comune ha allestito due sportelli di emergenza;
    nel comune di Mira, sono stati rilevati danni su circa 75 fabbricati, dei quali 10 fabbricati risultano danneggiati irrimediabilmente; molti manufatti pertinenziali ad uso magazzino/garage risultano crollati e molte aree verdi sono state particolarmente colpite e sono necessari una serie di interventi urgenti di messa in sicurezza delle alberature e dei rami pericolanti, che hanno creato intralcio alla circolazione stradale; risulta urgente ripristinare la segnaletica stradale letteralmente sradicata e divelta; in molte zone industriali sono necessari interventi urgenti di bonifica e di smaltimento di materiali contenenti amianto; molti capannoni sono stati scoperchiati, e la quantificazione dei costi risulta estremamente difficile;
    solo nel comparto agricolo, il passaggio del tornado ha determinato la distruzione delle coltivazioni erbacee in atto e la compromissione di strutture produttive quali fabbricati, serre e impianti arborei, in particolare vigneti. Numerose sono le segnalazioni per interventi estesi di bonifica dai detriti di qualsiasi genere dispersi nei terreni coltivati, che rendono e renderanno difficile le lavorazioni e lo sfruttamento degli stessi. La stima sulla base dei dati forniti porta ad una quantificazione di danno per il comparto agricolo di circa 4 milioni di euro;
    particolarmente grave risulta la situazione nella provincia di Venezia;
    il presidente della regione Veneto ha adottato immediatamente il decreto n. 106 del 9 luglio 2015 con cui è stato dichiarato lo «stato di crisi» e ha inoltrato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al capo del dipartimento della protezione civile la richiesta di dichiarazione dello «stato di emergenza» a livello nazionale; la prima stima dei danni è stata quantificata in circa 91,5 milioni di euro, ma la quantificazione è destinata ad aumentare, una volta concluse le verifiche di stabilità degli edifici colpiti;
    le aziende colpite da pesanti danni sono impossibilitate a riprendere la propria attività, anche in considerazione della crisi economica in atto che rende la situazione ancora più complessa di quanto già non lo fosse prima del disastro, e ciò determina pesanti conseguenze all'economia locale e nel comparto occupazionale;
    nella relazione della stima dei danni, la regione Veneto chiede l'attivazione nell'immediato di alcuni provvedimenti urgenti necessari, già adottati in passato in situazioni simili di emergenza, ed in particolare: la possibilità di smaltire in forma semplificata i materiali che, per la loro natura, sono dichiarati pericolosi-tossicinocivi, come ad esempio i cumuli di materiale inerti contaminati dall'amianto che era presente nelle strutture in eternit dei capannoni adibiti ad uso industriale;
    lo stesso dicasi per le ingenti quantità di rifiuti domestici ed industriali di qualsiasi natura derivanti dagli sgomberi e dalle numerose demolizioni di fabbricati e manufatti e della relativa difficoltà di smaltimento da parte degli enti interessati;
    la previsione di poter ristorare le spese per i numerosissimi volontari intervenuti sui luoghi del disastro direttamente a carico dello stanziamento in disponibilità del commissario straordinario che sarà verosimilmente nominato, come anche la copertura delle spese di lavoro straordinario del personale degli enti locali intervenuto per tutta la durata della fase della prima emergenza;
    inoltre, l'esigenza di attivare procedure semplificate, anche in deroga al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e successive modificazioni e integrazioni e della normativa sulla S.C.I.A. di cui alla legge n. 122 del 2010, per quanto attiene alle manutenzioni straordinarie e ristrutturazioni edilizie, che regolarizzino a posteriori i principali interventi ormai già iniziati e/o portati a compimento;
    la situazione rientra nell'ambito previsionale di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni, determinando la necessità dell'adozione di provvedimenti eccezionali e della dichiarazione dello «stato di emergenza» a livello nazionale;
    il Consiglio dei Ministri, con delibera 17 luglio 2015 ha dichiarato lo stato di emergenza, «in conseguenza della tromba d'aria che il giorno 8 luglio 2015 ha colpito il territorio dei comuni di Dolo, Pianiga e Mira in provincia di Venezia e di Cortina d'Ampezzo in provincia di Belluno» (GU Serie Generale n. 174 del 29 luglio 2015); tuttavia, in tale delibera non sono ricompresi tutti i territori delle province di Venezia, Padova, Vicenza e Belluno che hanno subito danni;
    con un emendamento all'articolo 1 del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, è stato inserito il comma 10-bis, volto a stabilire sostanzialmente una riduzione degli obiettivi del patto di stabilità per gli anni 2015-2016 e 2017 in favore dei comuni di Dolo, Pianiga e Mira, colpiti dalla tromba d'aria dell'8 luglio 2015, per un importo massimo complessivo di 7,5 milioni di euro, ovvero per l'importo disponibile per l'attuazione della cosiddetta «premialità» derivante dalle sanzioni applicate ai comuni che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno. Si tratta di spazi non attualmente quantificati e che, qualora risultassero insufficienti, determinerebbero una riduzione proporzionale dei già esigui margini di spesa resi disponibili per i tre comuni; pertanto, tale disposizione non riguarda tutti i comuni colpiti dalle avversità atmosferiche e non esclude dal patto di stabilità tutte le spese destinate dalla regione e dagli enti locali al ripristino dei territori,

impegna il Governo:

   a dichiarare lo «stato di emergenza» a livello nazionale ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni, per tutti i territori delle province di Venezia, Padova, Vicenza e Belluno colpiti dalle avversità atmosferiche del giorno 8 luglio 2015, come richiamati nella richiesta di dichiarazione dello «stato di emergenza» inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Capo Dipartimento della Protezione Civile da parte della Regione Veneto;
    ad adottare immediatamente, con apposita ordinanza, i provvedimenti urgenti riportati in premessa per lo smaltimento dei rifiuti, il ristoro delle spese dei volontari e del lavoro straordinario e l'attivazione delle procedure semplificate per le manutenzioni straordinarie e le ristrutturazioni;
    a prevedere, nell'immediato, un adeguato sostegno finanziario per assicurare le necessarie operazioni di soccorso ai territori e alle popolazioni colpite, l'attuazione degli interventi indifferibili e urgenti necessari a garantire la pubblica incolumità e il ripristino dei danni subiti dal patrimonio pubblico e privato e per il ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione;
    ad assumere iniziative per prevedere che, per gli edifici dichiarati inagibili a causa degli eccezionali eventi meteorologici, a decorrere dal mese di luglio 2015 e fino all'attestazione di agibilità dei medesimi immobili, l'ammontare complessivo dell'imposta municipale propria sia interamente detraibile dall'imposta sui redditi delle persone fisiche e delle imprese;
    ad assumere iniziative per istituire, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e di concerto con le principali associazioni di categoria dell'area, oltre che con gli istituti di credito del territorio, un fondo per le imprese colpite dagli eventi citati in premessa finalizzato al sostentamento e al supporto di liquidità per le aziende colpite dalle avversità atmosferiche;
    ad assumere iniziative per sospendere l'invio delle cartelle esattoriali e gli oneri fiscali e contributivi, fino al ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione, e al contempo prevedere sgravi fiscali per le famiglie e le imprese delle aree colpite, sovvenzionando in questo modo la ricostruzione degli edifici e la ripresa di tutti i comparti economici;
    ad assumere iniziative per non considerare tra le spese finali di cui all'articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, rilevanti ai fini del patto di stabilità interno le somme destinate dalla regione e dagli enti locali al ripristino dei territori delle province di Venezia, Padova, Vicenza e Belluno, colpiti dalle avversità atmosferiche dell'8 luglio 2015;
    ad assumere iniziative per provvedere allo stanziamento immediato di 100 milioni di euro per la copertura delle spese della ricostruzione e per il risarcimento dei danni, come attualmente stimati, ferme restando le ulteriori necessità a seguito dalla quantificazione definitiva dei danni subiti dai privati e dalle imprese.
(1-00957)
«Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Cariello n. 4-10094, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 473 del 31 luglio 2015.

   CARIELLO, CASTELLI, CASO, BRUGNEROTTO, D'INCÀ, SORIAL e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da informazioni diffuse a mezzo stampa, specificatamente dal quotidiano Libero del 24 aprile 2015, con un articolo di Franco Bechis, si apprende la notizia di una «non virtuosa» gestione del personale dirigente di prima e seconda fascia, in espressa violazione della disciplina in materia, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri (da ora in poi PCM);
   la «non virtuosa gestione» del personale dirigente di prima e seconda fascia è desumibile dal fatto che pur constando la Presidenza del Consiglio dei ministri, di circa n. 230 dirigenti di ruolo ai sensi dell'articolo 19, commi 4, 5 e 5-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, gli incarichi di vertice amministrativo come capi dipartimento e capi uffici autonomi, sono da oltre 15 anni appannaggio di circa 10/15 dirigenti che oramai hanno costituito quella che agli interroganti appare una lobby fortissima immune ai vari cambiamenti di Governo avvenuti nel tempo, il cui agire appare rivolto all'autoconservazione del posto che sfugge secondo gli interroganti dalle logiche della meritocrazia, delle capacita professionali e gestionali (solo a titolo esemplificativo si richiama il recente caso «Incalza»);
   suddetta gestione, protrattasi per anni, ha generato un aumento considerevole del contenzioso tra il personale dipendente e la amministrazione pubblica governativa, arrivando ad un numero di 800 giudizi pendenti innanzi a tribunali ordinari e amministrativi, contro decreti del Presidente del Consiglio dei ministri illegittimi, per demansionamento e/o dequalificazione professionale molti dei quali vedono la Presidenza del Consiglio dei ministri soccombente per «danno erariale»;
   sempre dalla fonte giornalistica citata in premessa, si evince, a dimostrazione di quanto appena esposto, che l'aumento dello stanziamento del capitolo di spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri destinato alla copertura delle spese di lite, che la stessa amministrazione è chiamata a sostenere a seguito delle soccombenze in giudizio, da 15 milioni di euro previsto per l'anno 2014 ha raggiunto i 60 milioni di euro per l'anno 2015, che nella Nota Preliminare al bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'anno 2015 è collocato nel capitolo di spesa 173;
   negli ultimi due anni, infatti, numerosi sono i dirigenti di prima e seconda fascia di ruolo della Presidenza del Consiglio dei ministri, allo scadere del loro incarico triennale, che rimangono per mesi inutilizzati e quindi senza incarico generando un danno sotto molteplici profili: quello erariale, nel continuare a corrispondere agli stessi dirigenti seppur non destinatari di nuovo e diverso incarico e quindi non impiegati professionalmente retribuzione fissa, dando incarico contestualmente al dirigenti non dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, cosiddetti esterni, contravvenendo alle disposizioni in ambito di spending review diventate negli ultimi anni più stringenti (decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135);
   Arcangelo D'Ambrosio, segretario generale di DIRSTAT (Sindacato dei dirigenti della Pubblica Amministrazione) ha presentato esposto sulla irregolarità della Presidenza del Consiglio dei ministri nella gestione del personale. Esposto che ad oggi è ancora all'esame della procura regionale del Lazio della Corte dei conti, dell'ufficio di controllo sugli atti della Presidenza del Consiglio e della procura di Roma, senza aver ancora quindi concluso l'istruttoria, dove al suo interno si sollevano molteplici violazioni della legge di cui all'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella fattispecie concreta di conferimento di incarichi dirigenziali senza rispettare le procedure contrattuali, sebbene sia l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, sia i contratti collettivi di riferimento (articolo 5, commi 3, 4 e 6, del contratto collettivo nazionale integrativo relativo al personale dirigente dell'area VIII – Presidenza del Consiglio dei ministri, relativo al quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, sottoscritto il 27 marzo 2007), sia le specifiche direttive della Presidenza (articolo 2, comma 1, lettera a), articolo 3 ed articolo 5, comma 1, lettera a), della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri per la disciplina del conferimento, mutamento e revoca degli incarichi dirigenziali, in data 23 gennaio 2008), prevedano la pubblicità dei posti dirigenziali vacanti e delle procedure di copertura degli incarichi, per collocare presso la Presidenza del Consiglio i propri fedelissimi, vicinissimi al Presidente ASTRID, generando altresì demansionamento e quindi cambiamento illegittimo di mansioni. L'esposto in parola, rileva, infatti che «Nell'ultimo anno le suddette reiterate violazioni della citata normativa in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali hanno assunto una particolare gravità, derivante dal fatto, da un lato l'amministrazione ha conferito incarichi dirigenziale a personale cosiddetto esterno ai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, e dall'altro ha lasciato e sta lasciando, inspiegabilmente ed arbitrariamente numerosi dirigenti di prima fascia e qualche dirigente di seconda senza incarico dirigenziale e ciò pur in presenza di un gran numero di uffici dirigenziali vacanti»;
   gli atti di conferimento dei suddetti incarichi dirigenziali, nonostante la quantomeno dubbia legittimità risultano essere stati, peraltro, regolarmente registrati dalla sezione della Corte dei conti deputata al controllo della legittimità degli atti della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   la Corte dei conti, inoltre, in sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato nell'ordinanza congiunta del 4 dicembre 2014, nella delibera n. 23/2014/G a pagina n. 26 riporta che dalla Presidenza del Consiglio dei ministri «Non sono state riferite, infine, posizioni soprannumerarie, contenziosi in atto e nemmeno assunzioni dal 2011» seppur, di fatto, la Presidenza del Consiglio dei ministri sia sommersa da ricorsi, proposti innanzi ai tribunali civili e amministrativi dei propri dipendenti il cui esito vede spesso soccombente la Presidenza del Consiglio dei ministri e delle quali si trova ad esprimersi sulle ipotesi di «danno erariale» la stessa Corte dei conti e abbia, sempre la Presidenza del Consiglio dei ministri, preceduto dall'anno 2012 all'assunzione di circa 15 dirigenti e 26 funzionari;
   tuttavia, recente, è la sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 2015, depositata dal presidente Aldo Criscuolo in data 23 luglio 2015, che dichiarando «l'illegittimità costituzionale sopravvenuta, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nei termini indicati in motivazione, del regime di sospensione della contrattazione collettiva, risultante da: articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, come specificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111); articolo 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014) e articolo 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2015)» «salva» il Governo dal dovere di restituire ai dipendenti pubblici gli importi economici persi per effetto del prolungato blocco contrattuale (triennio 2010-2012 e triennio 2013-2015), ma obbliga lo stesso Governo ad aprire la trattativa contrattuale pubblica, con effetto economico a far data dalla sentenza stessa ovvero dal 23 luglio 2015, considerando il rinnovo del blocco per un altro triennio (2013-2015) e la norma che blocca l'erogazione della indennità di vacanza contrattuale fino al 2018 resa strutturale dalla legge n. 190 del 2014, legge di stabilità per l'anno 2015, incostituzionali –:
   se e quali iniziative, il Presidente del Consiglio dei ministri, in virtù di quanto enucleato in premessa, intenda adottare al fine di dare piena attuazione a quanto disposto al comma 3 dell'articolo 97 del testo Costituzionale nell'organizzazione della dotazione organica dei pubblici uffici afferenti alla Presidenza del Consiglio e alle strutture ministeriali, secondo le disposizioni di legge, in modo, come recita l'articolo de quo, che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, e quindi una classe dirigente capace professionalmente e adeguatamente impiegata e impegnata a perseguire e soddisfare l'interesse pubblico nel supportare i politici pro tempore;
   se intenda assumere iniziative per porre fine alla condotta sopra citata in modo da non generare un aumento delle voci di costo del bilancio dello Stato relative alle spese per liti e contenziosi, considerato che già i conti pubblici evidenziano una sostanziale necessità di applicare, nella gestione della finanza pubblica, il criterio dell'economicità e della revisione della spesa. (4-10094)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Villarosa n. 5-06068 del 15 luglio 2015.