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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 17 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel maggio del 2010 è stato definito da parte della cosiddetta Troika (Fondo monetario internazionale – FMI, Banca centrale europea – BCE e Commissione europea) un pacchetto di aiuti, il «piano di salvataggio», della Grecia da 110 miliardi di euro in 3 anni; tuttavia, all'interno del FMI oltre quaranta Paesi, tutti non europei e pari al 40 per cento del board, avevano apertamente espresso contrarietà a tale progetto;
    a seguito del primo «Memorandum» – ossia l'accordo con cui il governo greco si è piegato alle «rigorose condizionalità» – del precipitare della situazione economica e del rischio concreto di un contagio finanziario negli altri Paesi della periferia della zona euro, la Troika ha imposto l'introduzione nel paese di un secondo pacchetto di «salvataggio» da 130 miliardi di euro nel febbraio del 2012;
    le misure di austerità dettate dalla Troika hanno però prodotto esiti fallimentari, addirittura condannati anche dal Fondo monetario internazionale, nonché dai principali economisti a livello mondiale, Paul Krugman e Joseph Stiglitz su tutti;
    è ormai noto come i pacchetti di «aiuti» elargiti dalla Troika alla Grecia siano serviti quasi esclusivamente per far rientrare le banche tedesche, francesi, olandesi, principalmente, dei crediti in Grecia frutto di investimenti avventurosi e non certo per salvare il popolo greco;
    ciò è stato ben spiegato il 5 gennaio 2015 dall'economista greco Yannis Mouzakis con un articolo apparso sul portale MacroPolis: «circa la metà del finanziamento alla Grecia è finito a rimborsare i titoli in scadenza e a ripagare gli interessi sul debito, il 20 per cento è finito alle banche greche, mentre la restante parte dei fondi ha riguardato le attività di ristrutturazione e di riacquisto del debito»;
    in sostanza più dell'80 per cento degli «aiuti» della Troika sono andati a beneficio diretto o indiretto del settore finanziario (nazionale ed estero);
    dal 2009 al 2014, come riportato recentemente da Bloomberg, è variata l'esposizione delle banche sul debito greco: ad esempio, quella delle banche francesi è passata dai 55 miliardi del 2009 ai 2 del 2014, mentre per le banche tedesche si è passati da 30 miliardi a poco più di 10 del 2014;
    per contro, nello stesso periodo è aumentata a dismisura l'esposizione degli Stati europei (e quindi dei contribuenti) rispetto al debito greco: il risultato dei due salvataggi della Grecia è stato quello di mettere a carico dei contribuenti europei (quindi anche italiani) il risanamento delle banche francesi e tedesche principalmente;
    si consideri, infine, che in tutti i Paesi in cui è intervenuta la Troika per fornire «assistenza finanziaria», il debito pubblico è aumentato e non diminuito; i cittadini europei colpiti dall'austerità hanno pagato a caro prezzo i salvataggi degli interessi finanziari della zona euro: ad esempio il debito pubblico della Grecia è passato dal 130 per cento nel 2010, data d'inizio del primo Memorandum con la Troika, al 180 per cento attuale;
    lunedì 13 luglio il governo ellenico ha accettato durissime condizioni aprendo la via ad un terzo piano di «salvataggio» vincolato all'approvazione, da parte del Parlamento, di una serie di riforme entro il 22 luglio; il nuovo programma di tre anni, da 82-86 miliardi, sarà sbloccato solo previa approvazione delle «riforme» di cui sopra e a seguito della creazione di un fondo di garanzia da 52 miliardi (che monetizzerà i beni pubblici greci attraverso la loro privatizzazione);
    di questi fondi, 50 miliardi saranno stanziati dal Meccanismo europeo di stabilità;
    il Consiglio dei ministri Ue dell'economia (Ecofin), inoltre, sbloccherà 7 miliardi di euro di prestito ponte per ricapitalizzare le banche elleniche il 15 luglio attraverso l’European financial stabilisation mechanism (EFSM) – Meccanismo europeo di stabilità finanziaria il quale, insieme all’European financial stability facility (EFSF), rappresenta uno dei due strumenti transitori di stabilizzazione finanziaria dell'Unione europea che consistono in strumenti temporanei – con la partecipazione del Fondo monetario internazionale (FMI) – nati in seguito alla crisi finanziaria della Grecia, di Irlanda e Portogallo;
    con il Meccanismo europeo di stabilità – MES (ESM, European stability mechanism) si è introdotto uno strumento permanente di stabilizzazione finanziaria diretto, almeno formalmente, ad aiutare Stati in difficoltà finanziarie dell'area euro; il MES ha un capitale sottoscritto totale di 700 miliardi di euro, di cui 80 miliardi di capitale versato dagli Stati membri della zona euro e una combinazione di capitale richiamabile impegnato e di garanzie degli Stati membri della zona euro per un importo totale di 620 miliardi di euro;
    la ripartizione delle quote di ciascuno Stato membro al capitale sottoscritto totale del MES è basata sulla quota di partecipazione al capitale della BCE: l'Italia è il terzo Stato a contribuire al capitale del MES, dopo Germania e Francia, con circa 125 miliardi di euro, pari al 17,9 per cento; le decisioni del Consiglio dei governatori del MES, relative alla concessione di assistenza finanziaria sono adottate di comune accordo, con voto unanime dei partecipanti alla votazione, ovvero, in casi specificamente previsti, richiedono deliberazioni con la maggioranza dell'80 per cento o dell'85 per cento dei voti espressi, come previsto dall'articolo 4 del citato Trattato MES;
    come riportato da organi di informazione, oltre alla Grecia, la prosecuzione delle trattative è vincolata alla decisione di almeno altri sei parlamenti dell'Unione europea, quelli di Francia, Germania, Slovacchia, Finlandia, Estonia e Lettonia;
    altri quattro Stati potrebbero poi interpellare le rispettive assemblee parlamentari: da un lato Irlanda, e Austria e, dall'altro lato anche Malta e Slovenia (per i quali il passaggio in Parlamento sarebbe necessario solo nel caso in cui il nuovo programma di aiuti dovesse richiedere un aumento dei fondi messi a disposizione da ogni Stato membro);
    la Spagna, come si apprende dalla testata spagnola El Mundo, consulterà il Parlamento anche se non è un atto dovuto. La partecipazione al piano di salvataggio costringerebbe la Spagna a un ulteriore indebitamento per circa 10 miliardi di euro. Come ammesso dal premier Rajoy, si tratta di una «cifra importante» che si andrebbe a sommare ai 26 miliardi che la Spagna ha già elargito ad Atene negli ultimi anni e che, come gli altri creditori del Paese ellenico, rischia concretamente di non vedere più restituiti. Proprio in virtù della complessità della situazione e dell'onere che il piano di salvataggio costituirebbe per i cittadini spagnoli, il primo ministro spagnolo ha ritenuto «necessario che il nuovo piano di aiuti ottenga l'approvazione del Parlamento spagnolo»;
    la legge n. 234 del 2012 già prevede con l'articolo 5 (Consultazione delle Camere su accordi in materia finanziaria o monetaria) che, in tale materia, il Governo debba tenere conto degli atti di indirizzo delle Camere,

impegna il Governo:

   a sottoporre al preventivo vaglio delle Camere qualsiasi tipo di assistenza finanziaria da concedere ad altri Stati membri dell'Unione europea e dell'Eurogruppo in ordine alle decisioni da assumere in seno al Meccanismo europeo di stabilità o al Fondo europeo di stabilità finanziaria o comunque in qualsiasi altra sede, nel pieno rispetto dell'articolo 5 della legge n. 234 del 2012;
   ad esprimere la ferma contrarietà piani di assistenza finanziaria che prevedano pesanti e non più sostenibili misure di austerità che non potranno far altro che deprimere ulteriormente l'economia, accrescere il disagio sociale senza contribuire alla diminuzione del debito.
(1-00949) «Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Sorial, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    ciò che distingue il lavoratore frontaliero dal tradizionale lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. Mentre il secondo lascia il suo paese di origine, con o senza la sua famiglia, per abitare e lavorare in un paese diverso dal suo, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
    tuttavia risulta impossibile stabilire un concetto univoco che comprenda criteri obiettivi per la definizione del lavoro frontaliero. Tale concetto copre infatti realtà diverse, a seconda che si consideri l'accezione comunitaria – enunciata in particolare in materia di sicurezza sociale – o le numerose definizioni contenute nelle convenzioni bilaterali di doppia imposizione – valide per la determinazione del regime fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri;
    l'espressione «lavoratore frontaliero» designa qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale). Questa definizione, che, oltre agli elementi intrinseci dello spostamento dal domicilio al luogo di lavoro attraverso una frontiera, conserva la condizione temporanea del ritorno quotidiano o settimanale al domicilio, si applica tuttavia solamente alla protezione sociale dei lavoratori in questione all'interno dell'Unione europea;
    la situazione dei frontalieri abitanti nell'Unione europea che si spostano per lavorare nella Confederazione Elvetica presenta alcune notevoli peculiarità rispetto a quella dei frontalieri che lavorano e risiedono nell'Unione europea;
    mentre all'interno dell'Unione europea il loro statuto si fonda sulla libera circolazione, definita dal trattato di Roma, che si concretizza nell'affermazione del principio della non discriminazione tra i frontalieri e i residenti, la Svizzera ha un regime di soggiorno e di occupazione fondato sul permesso di lavoro;
    tale permesso è concesso, in generale, per un anno; vi è specificata la retribuzione, che deve rispettare il minimo salariale del cantone, definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore ha trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in ogni impresa;
    stando a quanto comunicato oggi dall'Ufficio federale di statistica (UST), anche nel 2014 è aumentato il numero dei frontalieri in Svizzera, saliti a 287.100 a livello nazionale, lo stesso trend si registra anche in Ticino, con un numero di lavoratori abitanti in Italia che si attesta a 61.593;
    secondo i dati, a livello elvetico la crescita è risultata inferiore a quella del 2013 e rappresenta anche il valore più basso degli ultimi cinque anni, ma sull'arco di un lustro l'incremento è del 29,6 per cento. In Ticino nello stesso periodo la percentuale è maggiore, pari a +34,8 per cento: nel 2009 i frontalieri erano infatti ancora solo 45.68;
    lo scorso febbraio il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il Protocollo che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni. Il Protocollo, che prevedendo lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo standard Ocse pone fine al segreto bancario, è stato firmato per l'Italia dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, e per la Svizzera dal capo del dipartimento federale delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf;
    unitamente al Protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui la tassazione dei lavoratori frontalieri. Il protocollo, che modifica la Convenzione del marzo 1976 e deve ora essere ratificato dai rispettivi Parlamenti, pone le basi per rafforzare la cooperazione tra i due Paesi e per contrastare il fenomeno dell'evasione e dell'infedeltà fiscale;
    la road map delinea il percorso per la revisione dell'accordo sui frontalieri. L'accordo oggi in vigore, firmato nel 1974, riguarda solo i frontalieri italiani e prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
    il nuovo accordo è impostato su basi assolutamente innovative. Viene innanzitutto prevista la reciprocità: anche i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia saranno compresi nell'accordo. I lavoratori frontalieri saranno assoggettati ad imposizione sia nello Stato in cui esercitano l'attività, sia nello Stato di residenza. La quota spettante allo Stato del luogo di lavoro ammonterà al massimo al 70 per cento del totale dell'imposta normalmente prelevabile alla fonte;
    il Paese di residenza dei lavoratori applicherà l'imposta sul reddito delle persone fisiche tenendo conto delle imposte già prelevate nell'altro Stato ed eliminando l'eventuale doppia imposizione. Il carico fiscale totale dei frontalieri italiani rimarrà inizialmente invariato e successivamente, con molta gradualità, sarà portato al livello di quello degli altri contribuenti. Non vi sarà più alcuna compensazione finanziaria tra i due Stati. Il ristorno ai comuni frontalieri italiani sarà a carico dello Stato, sulla base del principio di invarianza delle risorse;
    la lunghezza dei tempi per portare a compimento il percorso previsto nell'accordo dello scorso marzo ha già prodotto i primi effetti negativi: dal 7 luglio gli oltre 60 mila frontalieri italiani dovranno pagare per le cure mediche che erano praticamente gratuite, infatti una nuova tragica sorpresa è arrivata senza far rumore: datata 12 maggio, una circolare «di chiarimento», è stata indirizzata dal Ministero della salute italiano agli enti della fascia di confine;
    secondo le indicazioni di legge la spesa non è da poco: fino a 1.549 euro l'anno (il 7,5 per cento) per i redditi da zero a 20.658,2 euro — da chiarire la questione del cambio con il franco — fino a un massimo di 2.788 euro per chi guadagna dai 51.564,68 euro in su;
    in un momento storico dove l'economia ha difficoltà globalizzate, l'INPS deve ancora spiegazioni a tutti i frontalieri che si chiedono dove sia finito il tesoretto da 200 milioni che finanziava la legge n. 147 del 1997 (un fondo che, ricordiamo, venne formato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri in Svizzera e da questa ristornati all'Italia),

impegna il Governo:

   a perfezionare nel più breve tempo possibile la trattativa per concludere quanto previsto nella road map prevista nel protocollo sottoscritto a febbraio;
   a vigilare affinché i risultati degli ulteriori negoziati previsti dall'accordo non siano lesivi della dignità e degli interessi dei lavoratori, tutelando gli oltre 60.000 frontalieri e le loro famiglie;
   ad adottare iniziative affinché nel nuovo regime fiscale vengano puntualmente disciplinati i ristorni dei frontalieri verso i comuni di residenza, al fine di salvaguardare i comuni di frontiera;
   a prevedere lo sblocco da parte dell'INPS dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
   a prevedere che all'interno degli atti a chiusura del protocollo sia previsto il perfezionamento di accordi di interscambio scolastico e formativo per i giovani delle zone di confine;
   a intervenire assumendo iniziative per sospendere l'applicazione della norma sulle spese mediche, ricordando come oltre ad un ulteriore aggravio impositivo per i lavoratori, porterebbe ad una disparità di trattamento tra i frontalieri che già lavorano in Ticino visto che non hanno scelta, mentre per i nuovi frontalieri le casse malati svizzere saranno da oggi un'opzione più interessante.
(1-00950) «Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il contenimento del cambiamento climatico rappresenta una priorità tra le emergenze globali delle istituzioni nazionali e internazionali, viste le conseguenze geopolitiche a cui sta conducendo;
    il riscaldamento globale, senza interventi tempestivi e vincolanti, è destinato a superare di ben oltre due gradi i livelli dell'epoca preindustriale, con un impatto devastante sugli habitat – come le barriere coralline, da cui dipendono migliaia di organismi viventi che rischiano di scomparire –, sulla produzione agricola mondiale, sulla disponibilità di acqua potabile e sulla vivibilità delle aree costiere. Arrestare questo andamento ora non è solo una scelta responsabile ma anche quella più economica, dato che ogni ulteriore ritardo comporterebbe costi economici e ambientali crescenti, come evidenziato anche dallo studio «The Emissions Gap Report 2013» dell'Unep (United Nations Environment Programme);
    i Percorsi di concentrazione rappresentativi (RCP) del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC) descrivono quattro scenari di come il pianeta potrebbe cambiare in futuro. Essi sono: RCP8.5, RCP6, RCP4.5 e RCP2.6. I numeri si riferiscono a differenti valori di aumento del radiative forcing in W/m2 al 2100. I Percorsi di concentrazione rappresentativi sono associati a differenti possibili scenari di emissioni antropogeniche di gas serra e conseguenti innalzamenti della temperatura media terrestre. Lo scenario RCP4.5 prevede un innalzamento medio di 1.8 gradi (1.÷2.6), mentre lo scenario RCP8.5, il caso peggiore, prevede un innalzamento medio di 3.7 gradi (2.6÷4.8). Attualmente il trend di emissioni di gas serra sta seguendo e lievemente superando lo scenario RCP 8.5 (Peters et al., 2013).
    secondo lo scenario RCP 4.5 in Italia si potrebbe verificare un generale aumento della temperatura di circa 3 gradi su tutto il Paese per il 2071-2100, rispetto al periodo di riferimento 1971-2000, con picchi di 4 gradi in inverno nella pianura Padana e, in estate, su tutta l'area nord-occidentale. Lo scenario RCP8.5 prevede un riscaldamento maggiore, caratterizzato da un'elevata variazione stagionale, con un minimo di 4 gradi in autunno e un massimo di 7,5 gradi in estate. In tutte le zone, in generale, è stimato un aumento medio delle temperature, che per lo scenario RCP 4.5 è di circa 3.2 gradi per secolo, mentre per quello RCP8.5 intorno ai 6,3 gradi;
    una prima conferma alla maggiore vulnerabilità climatica della nostra nazione è stata certificata dal Consiglio nazionale delle ricerche nel rapporto del 2014. A fronte di un incremento di temperatura media terrestre pari a 0,57 gradi (fonte NOAA), per l'Italia l'incremento medio è stato di 1.5 gradi, quindi quasi tre volte l'aumento medio globale, con punte di +2.0 gradi al Nord e +1.3 gradi al Sud;
    relativamente al cambiamento delle precipitazioni in Italia, nel periodo 2071-2100 rispetto al 1971-2000, lo scenario RCP4.5 stima un moderato aumento in inverno, su tutta l'area alpina orientale, invece un calo significativo al Nord durante l'estate. Riduzioni significative sono prospettate anche in Centro e nel Sud. Secondo lo scenario RCP8.5, si prevede un significativo aumento delle precipitazioni in inverno sul Centro-Nord, più marcato in Liguria, mentre il centro e il nord Italia saranno interessati da una forte riduzione in estate, in particolare nell'area alpina. Tutta l'Italia avrà una significativa riduzione delle precipitazioni in primavera, specialmente nelle zone di alta montagna, mentre in autunno solo gli Appennini (Bucchignani, Montesarchio, Zollo, & Mercogliano, 2015);
    a livello globale, gli effetti del cambiamento climatico sono già evidenti nell'aumento della frequenza e dell'intensità di fenomeni estremi – come tifoni, alluvioni, tornado, ma anche siccità –, e nell'incremento della temperatura, con il conseguente rapido declino del ghiaccio artico, dei ghiacciai montani e delle calotte glaciali di Groenlandia e Antartide, nell'espansione delle zone subtropicali calde, nonché nella perdita di barriera corallina a causa dell'acidificazione dell'oceano;
    negli ultimi 19 anni nella sola zona sud dell'Alaska è stata certificata una perdita di massa ghiacciata pari a 75 miliardi di tonnellate (75 chilometri cubi). Se questo può apparire un dato riguardante una zona lontana, è molto più stringente l'assottigliamento o addirittura la scomparsa di ghiacciai alpini, con conseguente compromissione del rifornimento idrico per l'agricoltura nei mesi estivi;
    secondo i dati del Cred (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters), solo nel 2012 si sono registrate globalmente 310 calamità naturali con 9.330 decessi, 106 milioni di persone colpite e un danno economico stimato pari a 138 miliardi di dollari. E questo mentre è ormai condiviso, dall'opinione scientifica internazionale, lo stretto legame tra l'aumento dei rischi ambientali e il cambiamento climatico;
    il quinto rapporto del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC) sulla valutazione dei cambiamenti climatici individua, a livello europeo, la regione mediterranea/sud-europea come la più vulnerabile al rischio degli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Molteplici settori verranno interessati – quali turismo, agricoltura, attività forestali, infrastrutture, energia e salute della popolazione – a causa del forte impatto del cambiamento climatico (aumento di temperatura e riduzione di precipitazioni) sui servizi ecosistemici;
    l'agricoltura rappresenta il settore più vulnerabile al cambiamento climatico e il suo cedimento, secondo un modello matematico sviluppato dal Global Sustainability Institute dell'Anglia Ruskin University di Cambridge, potrebbe portare la nostra società a collassare entro il 2040. Il modello è stato creato seguendo lo scenario business-as-usual (per lo più equivalente allo scenario RCP8.5), i risultati, basati su «tendenze climatiche plausibili», sono più che allarmanti e mostrano che «il sistema di approvvigionamento alimentare globale» si troverebbe ad affrontare perdite catastrofiche e un'epidemia senza precedenti di conflitti per il cibo. In generale, questi fenomeni si diffonderanno maggiormente nei Paesi tropicali e più poveri, secondo Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), entro 35 anni, l'agricoltura subirà un calo di resa del 50 per cento, compromettendo la sopravvivenza umana. Nella coltivazione di riso, grano e mais, i rendimenti sono destinate a ridursi del 10 per cento per ogni grado di aumento sopra i 30 gradi;
    un punto estremamente importante e poco conosciuto è la penetrazione del cuneo salino causato dall'innalzamento del livello marino. Questo determinerebbe una desertificazione indotta a causa dell'aumento di salinità delle falde, cosa che comprometterebbe sia l'agricoltura che la stessa vegetazione spontanea in una larga fetta delle coste italiane, con particolare rilievo per la pianura padana orientale;
    il dramma dei rifugiati climatici è sempre più preoccupante, determinato dalla stretta relazione tra degrado ambientale, mutamenti climatici e contesto socio-economico. Per il Rapporto dell'Internal Displacement Monitoring Centre, pubblicato nel 2013, di oltre 32 milioni di persone costrette alla mobilità per effetto di disastri naturali, il 98 per cento sono profughi climatici provenienti da Paesi poveri. Nel 2060, il Programma delle Nazioni Unite sull'ambiente (Unep) prevede che solo in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici;
    l'obiettivo di 2 gradi di riscaldamento globale, concordato dall'ONU e dai governi mondiali, è già un limite rischioso e pericoloso che non eviterà le conseguenze disastrose del cambiamento climatico. L'incremento di 2 gradi rappresenta più appropriatamente la soglia tra cambiamento climatico «pericoloso» ed «estremamente pericoloso» (Anderson & Bows, 2011);
    un aumento di 2 gradi può indurre a reazioni chimiche nelle acque oceaniche portando alla mobilitazione del metano ora immobilizzato negli idrati, alla fusione delle calotte polari e artiche, al rilascio di metano e terrestre dalla fusione del permafrost dell'Artico. L'impatto potrebbe compromettere lo scioglimento dei ghiacci di larga parte della Groenlandia e dell'Antartico occidentale, l'estinzione dal 15 al 40 per cento delle specie vegetali e animali, siccità diffusa e desertificazione in Africa, Australia, Europa Mediterranea, e gli Stati Uniti occidentali. Hadley Centre britannico calcola che il riscaldamento di solo un ulteriore 1 grado eliminerebbe acqua potabile da un terzo della superficie terrestre entro il 2100;
    l'innalzamento delle temperature oceaniche comporta un cambiamento nella composizione chimica delle acque, con conseguente acidificazione, e contribuisce allo scioglimento del plancton calcareo (piccoli organismi alla base della catena alimentare marina) e dei gusci calcarei delle conchiglie dei molluschi come vongole, mitili, ostriche, capesante. Questo non è un problema solo di equilibrio ecosistemico, ma presenta anche pesanti ricadute economiche per la pesca e l'acquacoltura;
    nello scenario RCP8.5, l'innalzamento del livello del mare previsto entro fine secolo è in media di 0.63 m (0.45÷0.82). Tuttavia secondo recentissimi studi, i livelli di anidride carbonica atmosferica moderni sono oggi equivalenti a quelli di circa tre milioni di anni fa (Pliocene), quando la concentrazione di anidride carbonica era circa di 400 parti per milione, la temperatura media terrestre era di circa 1-2 gradi maggiore di quella attuale e il livello del mare era di almeno sei metri maggiore;
    l'Università di Potsdam ha calcolato in 4,6 metri l'innalzamento del livello medio del mare in seguito all'aumento di temperatura media terrestre di 2 gradi. Numerosissime città costiere italiane verranno parzialmente o totalmente sommerse;
    secondo il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), per rimanere sotto ai 2 gradi si ha a disposizione un budget di 1000 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dal 2011, mentre solo 400 miliardi di tonnellate di anidride carbonica per rimanere sotto 1,5 gradi. Dal 2011 ad oggi si sono consumati all'incirca altri 157 miliardi di tonnellate. Attualmente si stanno emettendo circa 40,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica consumando, secondo il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), il budget per rimanere sotto 1,5 gradi in 6 anni e in 21 per stare sotto i 2 gradi (con probabilità del 66 per cento);
    per il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), solo una diminuzione drastica delle emissioni di gas serra, stimata nella riduzione del 40-70 per cento entro il 2050 e in un azzeramento entro il 2100, potrebbe avere il 50 per cento di possibilità di stabilizzare l'aumento di temperatura media terrestre al di sotto dei 2 gradi;
    secondo illustri climatologi (Anderson, 2013), per avere una possibilità del 50 per cento di non superare i 2 gradi, è necessario proporre all'Unione europea una riduzione dell'80 per cento delle emissioni del settore energia entro il 2030, con la piena decarbonizzazione poco dopo;
    per le nazioni sviluppate (annex 1), i necessari livelli di mitigazione per avere il 50 per cento di probabilità di mantenersi sotto i 2 gradi, lasciando ai Paesi in via di sviluppo (non-annex 1) la possibilità di ritardare il picco delle proprie emissioni, potrebbero essere incompatibili con la crescita economica di breve-medio termine. I Paesi sviluppati dovrebbero decarbonizzare le proprie economie ad un ritmo del 8-10 per cento annuo, tuttavia riduzioni superiori al 3-4 per cento sono giudicate incompatibili con un'economia in crescita (Anderson & Bows, 2011). Al contrario, riduzioni annuali maggiori dell'1 per cento sono state associate solo a scenari di recessione economica o sconvolgimenti politici (Stern, 2006). Per ridurre del 8-10 per cento è certamente necessario intervenire sia sull'offerta (energie rinnovabili ed efficienza) che sulla domanda (diminuzione dei consumi);
    il prodotto interno lordo ha dimostrato la propria inadeguatezza come indicatore di un genuino progresso umano, poiché incapace di discriminare tra attività proficue e dannose e di prendere in considerazione molti costi ambientali e sociali. Occorre adottare al più presto indicatori macroeconomici come il genuine progress indicator (GPI) o il benessere equo e sostenibile (BES), capaci di misurare lo sviluppo economico integrando nella analisi fattori ambientali e sociali;
    il 2015 è stato dichiarato l'anno internazionale dei suoli, dell'elaborazione della Carta di Milano e degli Obiettivi di sviluppo del millennio, riaccendendo il dibattito sulle sfide legate al cibo, all'agricoltura, alle foreste e al paesaggio, con proposte di impegno al cambiamento di paradigma;
    come evidenziato dal rapporto Ispra 2015 sul consumo di suolo in Italia e ribadito da De Bernardinis nel suo intervento agli stati generali sul clima del 22 giugno 2015, il deterioramento del suolo ha ripercussioni dirette sulla qualità delle acque e dell'aria, sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici; sempre nel rapporto Ispra viene evidenziato come nelle aree urbane il clima diventa più caldo e secco a causa della minore traspirazione vegetale ed evaporazione e delle più ampie superfici con un alto coefficiente di rifrazione del calore e che, soprattutto in climi aridi come quello mediterraneo, la perdita di copertura vegetale e la diminuzione dell'evapotraspirazione, in sinergia con il calore prodotto dal condizionamento dell'aria e dal traffico e con l'assorbimento di energia solare da parte di superfici scure in asfalto o calcestruzzo, contribuiscono ai cambiamenti climatici locali, causando il cosiddetto effetto «isola di calore»;
    il cambiamento climatico ha già prodotto conseguenze sulla salute, sugli ecosistemi, sulle risorse idriche e sull'agricoltura, mettendo a rischio la sicurezza alimentare e la sostenibilità ambientale. Le sfide immediate, per invertire la rotta, devono concentrarsi sul cambiamento e sull'innovazione, incidendo fortemente sui sistemi di produzione e di consumo;
    l'agricoltura industriale incide sul cambiamento climatico, facendo uso di sistemi meccanizzati ad alta intensità energetica e a combustibili fossili e, a sua volta, ne è influenzata, visto che le monocolture geneticamente omogenee, su cui si basa, non sono resilienti. Diversamente i sistemi di gestione agroecologici – varietà di tecniche agricole, come agricoltura biologica, sostenibile o permacultura –, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull'efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresentano un modello alternativo sostenibile, socialmente equo, resiliente ai cambiamenti climatici e, dunque, in grado di sostenere la sfida del cambiamento climatico. Inoltre, l'agroecologia aumenta il sequestro di carbonio organico nei suoli, contribuendo a ridurre l'anidride carbonica in atmosfera. Secondo il report «Agro-ecology and the right to food» delle Nazioni Unite, infatti, «i progetti agroecologici mostrano una media di incremento nella produttività dei campi dell'80 per cento in 57 Paesi in via di sviluppo, con una percentuale che sale al 116 per cento nei progetti africani»;
    l'attuale sistema economico lineare, tipico dei Paesi più industrializzati, non è più sostenibile. Al contrario, l'attuale crisi ambientale impone un passaggio repentino verso il modello circolare, finalizzato al recupero e alla rigenerazione dei prodotti e dei materiali, mettendo in pratica i principi di «rifiuti zero, energie rinnovabili, utilizzatori e non consumatori, approccio sistemico»;
    il sistema alimentare contribuisce ai cambiamenti climatici e, allo stesso tempo, ne è anche influenzato, con conseguenze sulla disponibilità e sulla tutela delle risorse naturali, sulle modalità di produzione e consumo e sulla sicurezza alimentare;
    la crescita della popolazione, stimata dalla FAO a 9 miliardi entro il 2050, unita alla transizione verso modelli alimentari a più alto impatto ambientale tipici dei Paesi ricchi industriali, implica l'esigenza di quasi raddoppiare la produzione alimentare. L'allevamento contribuisce per il 14,5 per cento alle emissioni globali generate dalle attività umane, più dell'intero settore dei trasporti;
    secondo i dati FAO del 2012, entro il 2050 il consumo di carne e di latte e derivati dovrebbe crescere rispettivamente del 76 per cento e 65 per cento rispetto al periodo 2005-2007, contribuendo a impoverire il nostro pianeta di risorse critiche come acqua e suolo, causando deforestazione e perdita della biodiversità oltre che incrementando le emissioni climalteranti;
    il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici ha rilevato che il maggiore potenziale di riduzione delle emissioni risiede nella modulazione della domanda. Secondo il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici, anche solo diminuendo il consumo di cibo di origine animale a una media di 90 grammi al giorno, come raccomandato dalle linee guida mediche inglesi, si potrebbe raggiungere, dal 2030, una riduzione di 2,15 miliardi di tonnellate di anidride carbonica l'anno;
    la crescita dei consumi di alimenti di origine animale si traduce in una costante crescita delle emissioni del settore agricoltura. Mantenendo i trend attuali, entro il 2070 le emissioni di gas serra legate al settore non consentirebbero di permanere sotto ai 2 gradi (Hedenus, Wirsenius, & Johansson, 2014);
    ogni anno, la richiesta crescente di olio di palma, comporta l'emissione di enormi quantità di gas serra, a causa della degradazione e degli incendi delle foreste torbiere indonesiane. La deforestazione del sud-est asiatico, negli ultimi 30 anni, è stata pari alla superficie di Italia, Svizzera e Austria, convertendo depositi di carbonio organico in fonti di emissione climalteranti;
    il rapporto FAO 2013 Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources denuncia lo spreco di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo l'anno, con gravi ripercussioni sul clima, sulle risorse naturali, oltre che etiche. Ogni anno, il cibo che viene prodotto, ma non consumato, emette 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. In Europa lo spreco alimentare – in seguito alla produzione agricola – produce annualmente circa 500 miliardi tonnellate di anidride carbonica, mentre in Italia 31 miliardi tonnellate di anidride carbonica, a cui si aggiunge la percentuale di sostanza organica che finisce in discarica, emettendo soprattutto metano;
    il report speciale «Energy and Climate Change» del World Energy Outlook, pubblicato in occasione della Conferenza di Parigi sul clima dall'Agenzia internazionale dell'energia (IEA), riporta alcuni dati di sintesi sugli impatti ambientali del settore energetico. L'energia vale i due terzi di tutte le emissioni di gas serra di origine antropica e i combustibili fossili ne sono i principali responsabili, contando per il 90 per cento di tali emissioni. Le fossili continuano a soddisfare oltre l'80 per cento della domanda totale di energia e, nonostante una lieve inversione di tendenza registrata nell'ultimo anno, il volume totale delle emissioni globali di anidride carbonica del settore energetico, negli ultimi 27 anni, corrisponde al totale di tutti gli anni precedenti;
    interi settori dell'economia, ad oggi, non hanno minimamente intrapreso gli sforzi necessari a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni necessari per far fronte ai cambiamenti climatici;
    i trasporti e gli edifici, in particolare, registrano emissioni continuamente in crescita sia nei Paesi dell'Ocse che in quelli non appartenenti all'Ocse. Per il trasporto, la causa principale, è la crescita del numero di veicoli privati, cui si aggiunge, per quelli non appartenenti all'Ocse, una forte crescita del traffico merci spesso legata alla delocalizzazione delle produzioni industriali. Per gli edifici, il più alto livello di emissioni nei Paesi dell'Ocse è legato al riscaldamento degli ambienti, costruiti ancora senza i giusti accorgimenti di efficienza energetica;
    la geoingegneria si riferisce ad un'ampia serie di metodi e tecnologie che mirano ad alterare deliberatamente il sistema climatico allo scopo di alleviare gli impatti dei cambiamenti climatici. La maggior parte, ma non tutti i metodi, cercano o di ridurre la quantità di energia solare assorbita dal sistema climatico (solar radiation management – srm) o di incrementare l'eliminazione di anidride carbonica dall'atmosfera in quantità tale da alterare il clima (carbon dioxide removal – cdm). Due caratteristiche chiave dei metodi di geoingegneria di particolare rilievo consistono nel fatto che essi influiscono sul sistema climatico (per esempio atmosferico, terrestre o oceanico) a livello globale o regionale e potrebbero avere dei sostanziali effetti non voluti che attraversano i confini nazionali;
    la National Academy of Sciences (NAS) – associazione che è parte del sistema delle accademie statunitensi per fare consulenza su materie scientifiche e tecnologiche –, a febbraio 2015, dopo 18 mesi di lavoro condotto da 16 scienziati, ha pubblicato un rapporto in due volumi «Climate Intervention», finalizzato a valutare i potenziali impatti, i benefici e i costi delle tecniche di rimozione permanente di anidride carbonica e di aumento della riflettività della Terra (modifica dell'albedo) limitando l'assorbimento della luce. Nel rapporto si sostiene che la maggior parte delle strategie di rimozione dell'anidride carbonica sono limitate a livello tecnologico e, senza ulteriori innovazioni, la loro distribuzione su larga scala sarebbe più costosa della sostituzione dei combustibili fossili con le fonti rinnovabili;
    la modificazione dell'albedo – definita come «modificare la capacità di riflettere la radiazione solare attraverso anche iniezioni di particolato di solfati nella stratosfera, schiarimento delle nubi e altri metodi per aumentare la riflettività della superficie terrestre» – non richiederebbe maggiore innovazione tecnologica e i costi sono relativamente contenuti. Tuttavia, avrebbe l'effetto di mascherare temporaneamente gli effetti del riscaldamento a livello globale, ma con ampi cambiamenti climatici a scala regionale. Inoltre «impiegare tecniche di modificazione dell'albedo su grande scala porterebbe una serie di rischi ambientali, sociali, legali, economici ed etici. Questi includono la riduzione dell'ozono stratosferico e modifiche nel quantitativo e nelle modalità delle precipitazioni. Inoltre, la modificazione dell'albedo non contrasta gli impatti della elevata concentrazione di CO2 in atmosfera, come l'acidificazione degli oceani»;
    come sottolinea Pat Mooney, studioso conosciuto a livello internazionale, a proposito dei rischi imponderabili legati all'uso della geoingegneria, il clima terrestre è un sistema aperto, dunque non esistono confini politici o fisici e questo significa che esperimenti locali avrebbero ripercussioni, non desiderate, altrove;
    il Governo tedesco ha rifiutato l'opportunità di usare la geoingegneria come soluzione alternativa o integrativa per la difesa del clima, vista la mancanza di un'adeguata conoscenza delle possibili conseguenze e di una regolamentazione internazionale, rispondendo all'interrogazione – documento 17/9943 – posta nel 2012 dal partito socialdemocratico – SPD – con la richiesta di un dibattito pubblico per valutare possibilità, rischi e fattibilità delle tecniche di intervento sul clima;
    dal 30 novembre all'11 dicembre 2015, si terrà a Parigi la XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), durante la quale dovranno essere fissati gli impegni vincolanti in termini di riduzione delle emissioni e di politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, nonché dei sistemi di monitoraggio e valutazione delle emissioni e degli impegni finanziari per il mantenimento del riscaldamento globale entro i 2 gradi al di sopra della temperatura media pre-industriale;
    a fine 2014 è stato pubblicato il quinto rapporto IPCC di valutazione sui cambiamenti climatici, secondo cui i mutamenti del clima produrranno effetti gravi, estesi e irreversibili sulla popolazione e sugli ecosistemi del mondo intero. Per evitare che la temperatura media del pianeta aumenti di oltre 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, tutti i Paesi dovranno ridurre in maniera consistente e costante le emissioni di gas a effetto serra;
    la comunicazione della Commissione europea «Roadmap for moving to a competitive low-carbon economy in 2050» afferma che la transizione verso un modello di sviluppo a basse emissioni non solo può essere effettuata senza compromettere la crescita e l'occupazione, ma può decisamente offrire a tutti i Paesi, europei e del resto del mondo, l'opportunità di ridare slancio all'economia, generando un concomitante miglioramento del benessere pubblico;
    l'Unione europea si è impegnata a raggiungere nuovi e più ambiziosi obiettivi al 2020 («Pacchetto clima-energia: riduzione del 20 per cento delle emissioni nel 2020 rispetto al 1990»), al 2030 («2030 climate and energy goals for a competitive, secure and low-carbon EU economy»: riduzione del 40 per cento delle emissioni nel 2030 rispetto al 1990) e al 2050 («Roadmap for moving to a low-carbon economy in 2050»: riduzione del 80-95 per cento delle emissioni nel 2050 rispetto al 1990);
    il 25 febbraio 2015 la Commissione europea ha emanato la comunicazione «Pacchetto Unione dell'energia» nella quale si delinea la «Strategia quadro per un'Unione dell'energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici» [COM(2015) 80 final];
    il 25 febbraio 2015 la Commissione europea ha emanato la comunicazione «Il Protocollo di Parigi – Piano per la lotta ai cambiamenti climatici mondiali dopo il 2020» contenente le raccomandazioni strategiche da seguire durante i negoziati di Parigi [COM(2015) 81 final];
    l'Unione europea ha approvato e inviato il 6 marzo 2015 al segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici i suoi «contributi programmati e definiti a livello nazionale» (Indc) che prevedono un impegno a ridurre le emissioni europee nel 2030 di almeno il 40 per cento rispetto al 1990;
    il protocollo di Montreal è un trattato internazionale volto a ridurre la produzione e l'uso di quelle sostanze che minacciano lo strato di ozono, firmato il 16 settembre 1987, entrato in vigore il 1o gennaio 1989;
    i composti di fluoro oggetto del Protocollo di Montreal rappresentano l'equivalente del 18 per cento dell'effetto serra totale generato dell'anidride carbonica;
    in occasione del Climate Summit tenutosi il 23 settembre 2014 a New York, è stata firmata la «Dichiarazione di New York sulle Foreste», sottoscritta da 150 attori tra cui Governi, aziende, comunità indigene e ong, che prevede di ridurre il tasso di perdita delle foreste entro il 2020, portandolo a zero entro il 2030. La dichiarazione impegna inoltre a ripristinare 150 milioni di ettari di territori degradati e terreni boschivi entro il 2020, ai quali se ne aggiungeranno altri 200 entro il 2030;
    la Convenzione sulla diversità biologica (Cbd), firmata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992, persegue tre obiettivi principali: la conservazione della diversità biologica, l'uso sostenibile dei componenti della diversità biologica e la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse genetiche;
    la UNCCD (United Nations Convention to Combat Desertification) è entrata in vigore nel 1997. La Convenzione detta le linee guida per l'identificazione e la messa in opera di programmi d'azione nazionali, sub-regionali e regionali in materia di lotta alla desertificazione. L'Italia è tra i più importanti contributori;
    il Governo italiano ha promosso la definizione della Carta di Milano in occasione dell'EXPO2015: un documento partecipato e condiviso che richiama ogni cittadino, associazione, impresa o istituzione ad elaborare modelli economici e produttivi legati all'alimentazione che possano garantire uno sviluppo sostenibile in ambito economico e sociale;
    risulta evidente che il Sistema europeo di scambio di quote di emissione (EU ETS), ad oggi, abbia fallito nel ridurre le emissioni, lasciando eccessiva libertà, ad esempio nelle strategie alternative alla riduzione; nella prima fase, infatti, sono stati rilasciati troppi permessi, con un surplus di 267 milioni di tonnellate di anidride carbonica, coprendo solo il 4 per cento delle emissioni totali, con il risultato del collasso dei prezzi e della mancata riduzione delle emissioni; la seconda fase ha migliorato lievemente la situazione, presumibilmente per effetto della crisi economica, pur rimanendo largamente inefficace nel ridurre le emissioni;
    il Sistema europeo di scambio di quote di emissione, paradossalmente, ha finito per essere più uno schema incentivante per le industrie inquinanti, con un guadagno stimato da parte del settore energia di 19 miliardi di euro nella prima fase e di 71 miliardi nella seconda,

impegna il Governo:

   a promuovere accordi internazionali sul clima ambiziosi, vincolanti, duraturi ed equi, finalizzati:
    a) nel breve periodo a mantenere la variazione della temperatura media globale entro il limite di 1.5 gradi, con una rapida e costante riduzione delle emissioni climalteranti verso il raggiungimento di una totale decarbonizzazione;
    b) nel medio e lungo periodo: ad implementare strategie volte a riportare il livello di anidride carbonica atmosferico al livello preindustriale, al fine di azzerare ogni tipo di forzante antropica sul clima planetario;
   ad avviare e completare in pochi anni una completa transizione verso una completa decarbonizzazione dell'economia, integrando parametri legati al cambiamento climatico nei processi decisionali di carattere economico e strategico in tutti i livelli di governo e di impresa, attraverso cambiamenti sistematici delle politiche e degli strumenti di valutazione dei progetti, degli indicatori di performance, dei modelli di rischio e degli obblighi di segnalazione;
   a dare crescente supporto alla creazione di economie a bassa impronta di carbonio nei Paesi più poveri in modo da evitare che le loro economie leghino il proprio sviluppo alla dipendenza dalle fonti fossili;
   ad avviare appropriate e immediate iniziative di rimozione degli incentivi e dei sussidi diretti e indiretti all'uso di combustibili fossili, spostando gli investimenti sulla ricerca e sullo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, sul risparmio energetico nonché sull'efficiente produzione e uso dell'energia, rivedendo a tal fine la strategia energetica nazionale e definendo conseguentemente in vero piano nazionale energetico;
   a farsi promotore affinché l'Unione europea riveda al rialzo nei prossimi anni gli obiettivi del Libro verde sul quadro al 2030 per le politiche climatiche ed energetiche, prevedendo: una riduzione delle emissioni di gas serra dell'Unione europea pari ad almeno il 55 per cento rispetto al 1990, il raggiungimento di una quota di energie rinnovabili sul totale dei consumi energetici pari ad almeno il 45 per cento, nonché un aumento dell'efficienza energetica di almeno il 40 per cento;
   ad attivarsi, in ambito nazionale e in sede di Unione europea affinché si adottino opportune forme di fiscalità ambientale che rivedano le imposte sull'energia e sull'uso delle risorse ambientali nella direzione della sostenibilità, anche attraverso la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio (carbon tax), al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici verso modelli a emissioni basse o nulle;
   a spendere tutti i proventi derivanti dalla vendita all'asta dei permessi di emissioni al comparto industriale per politiche di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici;
   a promuovere una riforma sostanziale che porti alla cancellazione del sistema europeo di scambio dei titoli di emissione di gas serra (EU-ETS), concentrando gli impegni a livello nazionale ed internazionale per raggiungere il totale affrancamento dalle fonti fossili;
   a farsi promotore, tra i Paesi dell'Unione europea, del divieto di estrarre idrocarburi non convenzionali (quali tight gas, shale gas, tight oil, metano da carbone, idrati di metano) e di della predisposizione di un'adeguata tassazione sulle importazioni di idrocarburi, basata sugli impatti ambientali prodotti durante l'intero ciclo di vita;
   ad approvare entro settembre 2015 la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in collaborazione con la comunità scientifica nazionale, procedendo immediatamente con la definizione di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che ne recepisca le indicazioni definendone priorità, tempistiche e impegni di spesa;
   a sottoscrivere il documento denominato «Geneva Pledge», presentato durante i negoziati sulla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) tenutisi nel febbraio 2015 a Ginevra, favorendo in tal modo il riconoscimento della stretta interconnessione fra giustizia sociale e giustizia ambientale, tra la tutela dei diritti umani e il contrasto dei cambiamenti climatici;
   nel quadro degli impatti previsti, a sostenere, in ogni sede, il principio dell'acqua come bene comune e diritto umano, affinché si affermi nel diritto internazionale e nelle costituzioni dei singoli Stati;
   a prevedere politiche volte ad un radicale cambiamento nel modo in cui la risorsa acqua viene utilizzata, gestita e condivisa, che valorizzino il ruolo delle comunità locali nella governance della risorsa e affinché almeno il minimo vitale, di buona qualità, sia accessibile a tutti;
   considerato lo stretto legame tra risorse idriche, alimentazione ed energia, a promuovere politiche di gestione di ciascun settore congiuntamente con gli altri;
   a promuovere politiche di limitazione all'agricoltura intensiva che contribuisce ad aggravare l'inquinamento idrico da fonti puntuali e non puntuali, posto che sostenendo invece politiche volte alla corretta combinazione di incentivi all'agroecologia, norme di legge più severe su pesticidi e fitosanitari con relative misure sanzionatorie e sussidi adeguatamente mirati ai piccoli agricoltori locali, così che si potrà favorire la riduzione dell'inquinamento idrico prodotto dall'agricoltura intensiva;
   ad assumere iniziative per implementare politiche migratorie pianificate e bene gestite, migrazioni sostenibili sulla base della libertà di mobilità e di migrazione prevista dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e, quindi, per contrastare e prevenire ogni migrazione forzata, favorendo il riconoscimento dello status di «climate refugees»;
   a sostenere in tutte le sedi l'esistenza di una chiara correlazione tra cambiamenti climatici e diritti umani, includendo nel documento finale di Parigi, i diritti dei popoli indigeni, la loro conoscenza tradizionale, il diritto alla terra ed all'autodeterminazione, alla partecipazione diretta ed effettiva alle politiche climatiche e all'accesso diretto alle risorse finanziarie, assicurandone il rispetto e la promozione in ogni programma o progetto di mitigazione, adattamento, trasferimento di tecnologie, riduzione delle emissioni e capacity building;
   ad impegnarsi fattivamente per l'attuazione del «New York declaration on Forests», l'accordo siglato in occasione del vertice ONU «Climate summit 2014», con l'obbiettivo di fermare la deforestazione delle foreste naturali entro il 2030, rafforzando gli incentivi per l'investimento a lungo termine e la tutela forestale ed aumentando i finanziamenti internazionali, progressivamente legati ai risultati;
   a promuovere l'applicazione dei precedenti impegni assunti dalla comunità internazionale, sostenendo, in particolare: l'eliminazione dei composti di fluoro oggetto del Protocollo di Montreal; l'attuazione dell'accordo di Lima al fine di definire in tempi brevi, attraverso un percorso democratico e partecipativo, le modalità per l'attuazione in Italia dei contributi programmati e definiti a livello nazionale europei; l'adozione in tempi brevi di tutte le iniziative necessarie per la ratifica e l'implementazione degli impegni europei nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con particolare riguardo all'emendamento approvato a Doha nel 2012 per la ratifica degli impegni relativi al secondo periodo del protocollo di Kyoto, circa gli ulteriori impegni vincolanti in materia di riduzione di gas serra;
   a promuovere un nuovo modello di agricoltura, sia per la produzione alimentare, che per il ruolo fondamentale nella mitigazione dei cambiamenti climatici e dei danni naturali, promuovendo, a livello normativo e finanziario, lo sviluppo di politiche agricole più sostenibili e incoraggiando le comunità locali a gestire la produzione e il consumo delle proprie risorse nell'ottica degli obiettivi ambientali, e a promuovere la transizione verso l'agroecologia, pratiche sostenibili, resilienti e, allo stesso tempo, efficienti e socialmente eque, in grado di sostenere le sfide ambientali e alimentari future;
   a perseguire, in linea con la predisposizione del nuovo pacchetto europeo, un modello di economia circolare, da realizzare attraverso strumenti normativi, investimenti in innovazione e ricerca finalizzati al riuso e al riciclo, in modo da contribuire, tra l'altro, alla creazione di nuovi posti di lavoro;
   ad esprimersi chiaramente escludendo l'uso dell'ingegneria climatica – geoingegneria – come soluzione alternativa o integrativa rispetto agli impegni richiesti a livello internazionale per la mitigazione del cambiamento climatico, dal momento che le conseguenze sono ancora incerte e che la geoingegneria può provocare effetti preoccupanti e non gestibili; ad assumere iniziative per avviare, a tal fine, un dibattito a livello europeo ed internazionale, per prendere una posizione chiara che rifiuti l'uso della geoingegneria, promuovendo una moratoria internazionale;
   a promuovere l'adozione di politiche, piani e programmi sia a livello nazionale che a livello internazionale, anche nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, al fine di coinvolgere tutti i Paesi in una strategia globale che punti alla revisione del modello economico e produttivo ed alla progressiva eliminazione delle fonti fossili;
   ad assumere iniziative per escludere dal Patto di stabilità le spese dello Stato, delle regioni e degli enti locali, legate a politiche e misure di riduzione delle emissioni climalteranti, con particolare riguardo alle risorse finalizzate al risparmio energetico, efficienza energetica, energie rinnovabili, nonché a interventi volti all'adattamento ai cambiamenti climatici e in particolare alla messa in sicurezza del territorio e alla protezione civile;
   a sostenere le azioni delle regioni finalizzate ad aumentare la resilienza del territorio promuovendo le opportune sinergie tra mitigazione e adattamento, anche in collegamento con le iniziative in atto a livello europeo;
   a favorire, per quanto di competenza, lo sviluppo in modo coordinato di adeguati piani regionali e locali di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, privilegiando le misure ad alto grado di sostenibilità ambientale, evitando impatti negativi sull'ambiente e sugli ecosistemi delle misure stesse;
   ad incentivare e promuovere, in tutti i livelli di aggregazione territoriale, lo sviluppo di infrastrutture verdi in grado di sequestrare carbonio e compensare in parte le emissioni di gas serra, soprattutto in ambito urbano;
   a favorire l'adozione di misure per fermare il consumo di suolo attraverso piani di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e, ove possibile, di ripristino delle condizioni ecosistemiche naturali dei luoghi, con particolare riferimento ai versanti montuosi oggetto di dissesto idrogeologico;
   a rivedere completamente la politica dei trasporti delle persone e delle merci: aumentando sotto il profilo qualitativo e quantitativo l'offerta del trasporto pubblico, con particolare attenzione al potenziamento delle infrastrutture per la mobilità locale e regionale; introducendo misure disincentivanti del trasporto individuale con mezzi a motore; favorendo le forme di mobilità sostenibile, con particolare attenzione per la mobilità ciclistica, sia in ambito urbano sia in ambito turistico, anche attraverso la creazione di reti per la mobilità dolce; promuovendo sistemi di intermodalità, car sharing e car pooling; avviando interventi per il riequilibrio modale del trasporto merci dalla gomma al ferro, eliminando ogni forma di incentivazione per l'autotrasporto; rivedendo completamente il piano delle grandi opere pubbliche in modo da espungere le opere che privilegiano le modalità di trasporto più inquinanti;
   a guidare il processo di cambiamento del sistema produttivo, economico e dei consumi alimentari, adottando politiche di indirizzo volte a promuovere stili di vita e abitudini più sostenibili nei cittadini, in particolare attraverso la riduzione dei consumi dei prodotti alimentari ad elevato impatto, quali i prodotti animali e derivati e l'incentivazione dei prodotti a filiera corta; a portare avanti con determinazione, nel dibattito e negli accordi internazionali sulla mitigazione dei cambiamenti climatici, il tema dell'alimentazione e delle scelte alimentari, riconoscendo il forte impatto ambientale legato, soprattutto, alla produzione e consumo di cibi di origine animale e dell'olio di palma;
   ad attivare misure di contrasto allo spreco alimentare in ossequio agli obiettivi enunciati nella Carta di Milano, ovvero nella riduzione del 50 per cento dello spreco alimentare al 2020, definendo delle azioni precise e improrogabili, per agire a più livelli: dalla produzione agricola per evitare le eccedenze, al riutilizzo nella catena alimentare destinata al consumo umano, fino al riciclo e al recupero, senza ricorrere alle discariche, per evitare l'incremento delle emissioni di metano e gas serra;
   a riconoscere che la crisi ambientale non può essere affrontata se non abbandonando il paradigma della crescita economica infinita misurata attraverso la crescita del prodotto interno lordo e ad adottare indicatori di sostenibilità alternativi come il benessere equo e sostenibile (BES) o il genuine progress indicator (GPI), capaci di misurare lo sviluppo economico tenendo in considerazione gli aspetti ambientali e sociali;
   a prevedere l'introduzione di specifici cicli di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado per diffondere tra le giovani generazioni la conoscenza del fenomeno dei cambiamenti climatici, con particolare riferimento alle conseguenze socio-economiche e all'adozione di pratiche e stili di vita maggiormente compatibili con i mutamenti in atto;
   ad istituire un servizio meteorologico nazionale distribuito (Smnd) con il compito di monitorare il cambiamento in atto nei vari ambiti nazionali (atmosfera, mare, ecosistemi) a supporto delle azioni e delle politiche condotte e messe in atto dalle istituzioni nazionali, regionali e locali.
(1-00951) «Busto, De Rosa, Daga, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Vignaroli, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mantero, Marzana, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Villarosa».


   La Camera,
   premesso che:
    in questi mesi è in corso di definizione il negoziato tra il nostro Paese e la Confederazione elvetica, negoziato che disciplinerà, oltre ai rapporti fiscali tra i due Paesi, anche importanti competenze ad oggi soggette a precedenti accordi quali ad esempio quelle sul lavoro frontaliero;
    il quadro delle relazioni con la Confederazione elvetica va complicandosi a seguito delle prese di posizione dei massimi responsabili istituzionali del Canton Ticino, essendo infatti ormai quotidiane le dichiarazioni pubbliche tese a mettere in discussione sia i diritti dei numerosi cittadini italiani occupati regolarmente presso imprese e aziende ticinesi, sia lo stato delle relazioni Italia-Svizzera, concentrate oggi sui negoziati fiscali e sull'accordo per l'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri;
    ad oggi i lavoratori frontalieri in territorio elvetico provenienti dal Piemonte e dalla Lombardia risultano essere circa 60.000;
    si è assistito negli ultimi mesi, complice anche la campagna elettorale in territorio elvetico, ad un continuo ed ingiustificato attacco nei loro confronti di natura discriminatoria e xenofoba;
    in particolare, hanno destato scalpore, a questo riguardo, la decisione del Canton Ticino tesa ad obbligare ogni cittadino italiano in via di occupazione in Svizzera a presentare il certificato dei carichi pendenti in allegato alla richiesta di assunzione;
    nonché l'avvio dell'elaborazione da parte del Consiglio di Stato del Ticino di una clausola fortemente restrittiva sul reddito dei cittadini italiani occupati in Ticino mediante una maggiorazione del trattamento fiscale sulla base della nazionalità italiana dei lavoratori, circostanze ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese contrasto con l'accordo sulla libera circolazione delle persone sottoscritto tra Unione europea e Confederazione elvetica;
    è da sottolineare altresì la volontà di introdurre su base cantonale un limite restrittivo di quote dei frontalieri, smentendo in tal modo la competenza del Consiglio federale e ponendo di fatto un'azione di messa in mora dell'accordo sulla libera circolazione delle persone;
    le richiamate gravi prese di posizione nei confronti dei cittadini italiani lavoratori frontalieri in Svizzera sono diventate pressoché quotidiane, creando una forte tensione nei rapporti con la Confederazione elvetica, per evitare la quale si ritiene indispensabile che quest'ultima in maniera esplicita smentisca formalmente con propri atti alcune iniziative condotte dalle autorità cantonali ticinesi a scapito dei principi della libera circolazione delle persone,

impegna il Governo:

   a richiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alle decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto con gli accordi di libera circolazione delle persone;
   a sospendere il negoziato attualmente in corso tra Italia e Svizzera in materia fiscale fino alla formulazione, da parte delle competenti autorità federali svizzere, di specifiche assicurazioni formali tendenti ad escludere la validità e l'applicazione di qualsivoglia iniziativa discriminatoria e lesiva dell'accordo di libera circolazione delle persone intercorrente tra Unione europea e Confederazione elvetica nei confronti di cittadini italiani occupati o occupabili in Svizzera;
   ad avviare, in conformità a specifiche mozioni già adottate dal Parlamento italiano, il percorso finalizzato alla realizzazione dello «statuto del frontaliere» come parte integrante e sostanziale del futuro accordo tra Italia e Svizzera;
   ad adoperarsi per un costante coinvolgimento delle istituzioni locali interessate (regioni Piemonte e Lombardia, province di Sondrio e del Verbano Cusio Ossola, in considerazione anche delle loro nuove competenze in materia di cooperazione frontaliera a seguito della legge 56 del 2014, nonché province di Como, Lecco e Varese) e dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori frontalieri.
(1-00952) «Borghi, Braga, Marantelli, Tentori, Guerra, Fragomeli, Senaldi, Gadda, Baruffi, Realacci».

Risoluzione in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'aeroporto «Giuseppe Verdi» di Parma attraversa da tempo notevoli difficoltà di sviluppo, dovute principalmente alle scarse risorse finanziarie messe a disposizione dagli enti locali azionisti, registrando perdite croniche che oscillano tra i 3,5 e i 4 milioni di euro l'anno. La situazione di profonda crisi ha rappresentato, in particolare nell'ultimo anno, una costante minaccia per l'intero territorio della città emiliana, che rischia di perdere un'infrastruttura così importante e strategica;
    alle scarse risorse si aggiunge la forte disattenzione da parte delle istituzioni, in particolare della regione, che avrebbe dovuto provvedere, già da diverso tempo, allo sviluppo di un progetto coordinato tra le aerostazioni di Parma, Forlì e Rimini, al fine di consentire uno sviluppo tra gli stessi aeroporti che invece si sono trovati a dover affrontare autonomamente una ingente crisi economica e, soprattutto, di gestione delle stesse aerostazioni;
    per far fronte a tale situazione di crisi, il 4 febbraio 2015 ha avuto luogo un incontro, in municipio, tra la città di Parma ed una società cinese intenzionata ad acquistare l'aeroporto «Giuseppe Verdi». Con l'occasione i rappresentanti della società cinese avevano illustrato la volontà di costruire a Parma un centro espositivo commerciale, che avrebbe potuto rappresentare un importante punto di riferimento per il mercato europeo e nordafricano;
    dal febbraio 2015, non si è però avuta alcuna ulteriore notizia in merito all'investitore cinese interessato all'acquisto dell'aeroporto e, soprattutto, comune e regione non sono stati in grado di trovare una soluzione alla crisi dello scalo;
    in prossimità della definitiva crisi dell'aeroporto, dopo che il presidente ed il direttore generale della società Sogeap, che gestisce lo scalo parmense, hanno denunciato la definitiva impossibilità di proseguire l'attività per mancanza di fondi, gli industriali parmensi hanno generosamente provveduto ad offrire all'aeroporto una soluzione, anche se temporanea, in grado di bloccarne la chiusura;
    l'8 giugno 2015, alla vigilia dell'assemblea dei soci Sogeap dell'11 giugno, che avrebbe deciso sulla messa in liquidazione della società, si è tenuto infatti un consiglio direttivo straordinario dell'Unione Industriali di Parma, che si è impegnato a sottoscrivere un aumento di capitale di cinque milioni di euro, permettendo all'aeroporto «Giuseppe Verdi» di rimanere operativo per i prossimi due anni;
    l'impegno economico messo a disposizione dall'Unione parmense degli industriali deve essere funzionale ad un serio progetto di rilancio, capace di attirare nuovi investitori e rendere competitivo l'aeroporto, per evitare, in questo modo, la chiusura nei prossimi due anni;
    è necessario quindi monitorare la stesura di un corretto piano industriale che consenta all'aeroporto di Parma di superare definitivamente la crisi, aumentando il numero dei passeggeri che vi transitano (che oggi è pari a 200.000, ma che potrebbe arrivare almeno a 800.000), e implementandone l'uso per finalità commerciali legate all'import e all'export dei prodotti locali;
    tale ambizioso obiettivo richiede un'azione coordinata che deve essere garantita in primis dalle Istituzioni, in particolare attraverso l'interesse fattivo di regione e comune, che hanno tenuto fino ad ora un atteggiamento troppo incerto e mai decisivo sul destino dell'aeroporto, che oggi è salvo solo grazie al provvidenziale intervento degli industriali;
    l'aeroporto di Parma costituisce una importante risorsa per il collegamento di un territorio che ospita una sede universitaria di prestigio, con settori di ricerca nel campo medico e fisico, dotato di un'alta concentrazione di attività economiche, artigianali, industriali e del terziario. Inoltre, dal 2007 Parma è sede dell'autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), al cui insediamento è stata subordinata la presenza in città di un aeroporto internazionale;
    è importante sottolineare che, in futuro, una eventuale chiusura dell'aeroporto «Giuseppe Verdi» si prospetta assolutamente dannosa sia per il territorio che per gli scali aeroportuali vicini a quello di Parma al quale, molto spesso, è richiesto un supporto logistico in situazioni di maltempo. Inoltre, qualora l'aeroporto dovesse chiudere, la città di Parma si troverebbe ad essere collegata soltanto da treni regionali, non essendo nemmeno raggiungibile attraverso treni ad alta velocità,

impegna il Governo

ad intraprendere le opportune iniziative di competenza volte a sostenere ed agevolare la stesura di un corretto piano industriale che consenta all'aeroporto «Giuseppe Verdi» di Parma di superare definitivamente la crisi, nonché a monitorare gli sviluppi del progetto di rilancio, affinché questo sia in grado di rendere competitivo lo scalo, attraverso l'aumento del numero di passeggeri che oggi vi transitano, ed il potenziamento del proprio utilizzo in termini di attività legate al commercio dei prodotti locali.
(7-00741) «Bergamini, Nizzi, Squeri».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ARLOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   le persone con disabilità motorie che a causa di patologie gravemente invalidanti non possono contare, in particolare, sull'uso delle mani, sono impossibilitate nella vita quotidiana ad accedere autonomamente a pratiche pubblico-amministrative che necessitano della firma di proprio pugno, come le compravendite di immobili, i contratti d'affitto o di locazione, le scritture private;
   al momento le soluzioni alternative alla normale firma, come la firma digitale, non sono in grado di superare la barriera burocratica che rende i cittadini con tali disabilità motorie completamente dipendenti da terzi che possano esercitare il ruolo di tutore, come previsto in questi casi dalla legge;
   anche il Cnipa (Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione) ha riconosciuto pienamente questo problema burocratico e legislativo;
   la stessa risoluzione ONU sulla disabilità approvata da 187 Paesi su 187 il 31 dicembre del 2006, ha sancito l'handicap non più solo come condizione sanitaria, ma anche come fenomeno di esclusione sociale, indicando sistemi e metodiche per fronteggiarla;
   come è evidente tale handicap di tipo pubblico-amministrativo, pone di fatto le persone disabili in una condizione di esclusione sociale che va ad aumentare le situazioni di disagio psicologico che non di rado questi cittadini sono costretti a subire;
   il problema potrebbe essere invece superato agevolmente con il riconoscimento legale dell'impronta digitale quale firma che, non potendo essere falsificata, avrebbe la garanzia di assoluta sicurezza e autenticità –:
   quali iniziative intenda avviare il Governo, anche attraverso il dipartimento per le pari opportunità, per affrontare questa problematica e riconoscere legalmente l'impronta digitale quale firma.
(3-01626)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FAMIGLIETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   Il sole 24 Ore in un articolo pubblicato sull'edizione del giorno 15 luglio 2015 riporta la notizia della approvazione da parte della Commissione dell'Unione europea e della firma di cinque programmi operativi italiani per la spesa dei fondi europei per lo sviluppo regionale (Fesr) per un valore di 3 miliardi e mezzo di euro e della firma apposta dal Commissario dell'Unione europea, Corina Cretu, e da parte del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti;
   nell'articolo si riporta anche la condizione di criticità del Por Campania sul quale la commissaria Cretu è stata molto esplicita, in quanto è il programma che suscita le maggiori preoccupazioni da parte della Commissione;
   per precise responsabilità che ricadono in capo alla precedente amministrazione Caldoro, per i ritardi accumulati in quell'esercizio e per le osservazioni che non sono state recepite, di fatto non è ancora avviato il negoziato sostanziale tra regione e Commissione;
   sarebbe stata la stessa commissaria Cretu ad invocare un intervento di supporto da parte dell'autorità nazionale chiamando in causa un intervento della agenzia di coesione;
   il rischio concreto è che il via libera al Por possa arrivare non prima di novembre e questo sarebbe un fattore molto negativo per la Campania e per il Paese;
   ai sensi dell'articolo 10, lettera f), della legge n. 125 del 2013, la Presidenza del Consiglio: «cura l'istruttoria relativa all'esercizio dei poteri di cui all'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo n. 88 del 2011, al fine di assicurare l'efficace utilizzo delle risorse per la politica di coesione»;
   ai sensi dell'articolo 10, lettera f-ter), della legge n. 125 del 2013, la Presidenza del Consiglio «promuove il ricorso alle modalità di attuazione di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, e alle misure previste dagli articoli 9 e 9-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98»;
   ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 88 del 2011: il Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico al fine di garantire la tempestiva attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali di cui al comma 1 e l'integrale utilizzo delle relative risorse dell'Unione europea assegnate allo Stato membro, il Ministro delegato, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, adotta, ove necessario e nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea, le opportune misure di accelerazione degli interventi anche relativamente alle amministrazioni che risultano non in linea con la programmazione temporale degli interventi medesimi;
   ai sensi dell'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo n. 88 del 2011: L'attuazione degli interventi è coordinata e vigilata dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, di seguito denominato «Dipartimento», che controlla, monitora e valuta gli obiettivi raggiunti anche mediante forme di cooperazione con le amministrazioni statali, centrali e periferiche, regionali e locali e in raccordo con i Nuclei di valutazione delle amministrazioni statali e delle Regioni, assicurando, altresì, il necessario supporto tecnico e operativo senza nuovi o maggiori oneri nell'ambito delle competenze istituzionali. Le amministrazioni interessate effettuano i controlli necessari al fine di garantire la correttezza e la regolarità della spesa e partecipano al sistema di monitoraggio unitario di cui al Quadro Strategico Nazionale 2007/2013 previsto, a legislazione vigente, presso la Ragioneria Generale dello Stato secondo le procedure vigenti e, ove previsto, al sistema di monitoraggio del Dipartimento, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. I sistemi informativi garantiscono la tracciabilità dei flussi finanziari comunitari e nazionali fino alla realizzazione materiale dell'intervento anche ai sensi della legge n. 196 del 2009, assicurando, sulla base di apposite intese, l'accesso a tali informazioni da parte della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica e della Corte dei conti –:
   alla luce di quanto sopra, quali azioni il dipartimento dello sviluppo e della coesione abbia posto in essere al fine di assolvere alle funzioni di coordinamento e vigilanza nonché di promozione di utili forme di cooperazione con la regione Campania al fine del rispetto delle scadenze del crono-programma previsto dal regolamento comunitario per l'approvazione del programma regionale cofinanziato dal Fesr. (5-06083)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, il commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015 Giuseppe Sala, in un comunicato stampa del 9 luglio 2015 avrebbe fornito delle cifre non corrette circa l'affluenza del pubblico all'Expo, dichiarando che vi erano stati 2.700.000 di visitatori a maggio e addirittura 3.300.000 a giugno, per un totale di 6 milioni di visitatori;
   il Fatto Quotidiano avrebbe consultato i file con gli ingressi giorno per giorno sul sito dell'esposizione universale e conteggiato numeri differenti: 1.927.600 visitatori a maggio e 2.149.450 a giugno per un totale di circa 4 milioni e non 6, dunque meno della metà rispetto alle previsioni della vigilia (4,1 milioni per maggio e 4,7 per giugno);
   finora i numeri di Expo non erano stati comunicati e sembra che Sala avesse chiesto al sindaco di Milano Giuliano Pisapia di mantenere segreti anche i dati sui viaggiatori del metrò e sulla raccolta della spazzatura, per non dar modo di calcolare, nemmeno per induzione, i visitatori dell'Expo;
   Expo spa aveva stimato che nei primi due mesi sarebbe arrivato il 36 per cento dei visitatori totali: se il trend dovesse restare quello attuale e secondo questa stima, i visitatori dovrebbero essere, nei sei mesi dell'esposizione, 11 milioni, ovvero un numero ben al di sotto dei 24 milioni promessi;
   le stime sull'evento prevedono che gran parte dei costi di gestione debbano essere ripagati dai ricavi della vendita di biglietti e per ottenere il pareggio con le spese siano necessari, per l'appunto, 24 milioni di ingressi pagati;
   le cifre dell'affluenza sono molto importanti poiché servono a programmare i servizi pubblici in città: se Atm (metro) e Trenord (treni regionali) lavorano su dati falsati, i servizi potrebbero essere sovradimensionati rispetto alle vere esigenze, con relativo spreco di denaro pubblico: secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano del 16 luglio 2015 sarebbe «Grave soprattutto la situazione di Trenord, che ha ridotto i servizi ai pendolari per mandare a Expo treni che arrivano e ripartono sempre vuoti»;
   il costo dei biglietti sembra variare molto e grazie ad una politica di sconti sembra essersi anche abbassato molto: i biglietti giornalieri acquistati entro il 1o maggio 2015 costavano con tariffa intera 32 euro (data aperta) e 27 euro (data chiusa). Dopo l'inizio dell'evento i costi per un adulto che paga intero erano pari a 39 euro (data aperta) e 34 euro (data fissa); per quanto riguarda le promozioni, sono previste agevolazioni per le famiglie, i bambini, gli studenti (10 euro), gli anziani, le persone con disabilità; prezzi diversi durante i giorni feriali per evitare intasamento nei weekend, prezzi scontati per chi ha intenzione di tornare in più giorni e tariffe ridotte a 5 euro per chi è interessato alle visite serali, dopo le ore 19:00, (il 15 per cento del totale degli ingressi finora registrati, per ammissione dello stesso Commissario Sala); altri biglietti sono venduti in offerta da agenzie di viaggio, associazioni, aziende ed anche dalla sezione milanese del Partito Democratico; e, infine, ci sono anche i biglietti gratis per il mese di agosto per chi ha un imponibile inferiore ai 10 mila euro, con accredito attivo sul sito dell'Inps;
   i dati di affluenza ed incassi, dovrebbero essere a disposizione di Expo 2015 spa in tempo reale, grazie anche ad un sistema di tornelli informatizzato e tecnologicamente avanzato, che ne permette la fruizione, ma nonostante ciò nessuna informazione è stata fornita per quanto riguarda gli importi incassati e quali saranno le ricadute economiche dell'evento;
   per Expo, lo Stato italiano ha investito 1,3 miliardi di euro di fondi dei contribuenti, e una somma decisamente più rilevante per le opere connesse –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se non intenda chiarire per quale motivo il commissario Sala abbia dichiarato cifre «gonfiate» circa l'affluenza all'Expo;
   se il Governo non consideri urgente fare in modo che venga operata una rettifica ufficiale sul numero reale di biglietti incassati suddivisi per categoria, nonché sugli importi attuali e quelli previsti alla fine dell'evento, per rispondere al diritto dei cittadini ad essere informati correttamente e per evitare che vi siano sprechi di denaro pubblico causati da stime errate. (4-09876)


   D'INCÀ, PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 del decreto legislativo n. 32 del 1998 stabilisce che i contratti stipulati dalle aziende distributrici di GPL in serbatoi per uso civile, industriale o agricolo prevedano modalità alternative di offerta del serbatoio, consentendo l'opzione tra l'acquisto e la disponibilità dello stesso (locazione o comodato d'uso). In caso di locazione o comodato del serbatoio, i relativi contratti, di durata non superiore a due anni, devono predeterminare il prezzo ovvero i criteri per la quantificazione del prezzo nel caso di esercizio dell'opzione di acquisto del serbatoio, nonché le modalità di acquisto del GPL in regime di esclusiva;
   il regime di fornitura in esclusiva di GPL, previsto dalla citata norma, è, peraltro, rinforzato dalle disposizioni contenute nell'articolo 18 del decreto legislativo n. 128/2006 «Riordino della disciplina relativa all'installazione e all'esercizio degli impianti di riempimento, travaso e deposito di GPL, nonché all'esercizio dell'attività di distribuzione e vendita di GPL in recipienti, a norma dell'articolo 1, comma 52, della legge 23 agosto 2004, n. 239» secondo le quali, in caso di locazione o comodato del serbatoio, affinché il rifornimento del GPL sia effettuato da distributori terzi, vige l'obbligo dell'autorizzazione del proprietario del serbatoio;
   dall'analisi delle osservazioni formulate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato contenute in una segnalazione inviata il 23 maggio 2007 ai Presidenti delle Camere, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dello sviluppo economico, l'Autorità ha constatato che, nei fatti, attraverso rinnovi successivi dei contratti, la formula contrattuale del comodato d'uso conduce, nei mercati della distribuzione di GPL per uso domestico in piccoli serbatoi, a rapporti pluriennali di fornitura esclusiva di GPL;
   in tale contesto di mercato, il confronto concorrenziale tra le imprese distributrici risulta affievolito mentre viene rafforzato in maniera considerevole il potere contrattuale del fornitore «storico» di GPL;
   infatti, in assenza di comportamenti attivi dei consumatori volti a trovare condizioni di fornitura migliori e a cambiare i fornitori originari, la clientela del GPL in serbatoi è poco o affatto contendibile, con la conseguenza che le imprese fornitrici hanno scarsi o nulli incentivi a praticare prezzi convenienti;
   tali condizioni di mercato, rendono relativamente difficoltosa la sottrazione reciproca di clientela da parte degli operatori. La prassi di locazione o comodato dei piccoli serbatoi e fornitura in esclusiva del GPL, riduce la possibilità di contendere un cliente a un concorrente. Di conseguenza, l'impresa che detiene un cliente non ha forti incentivi a modificare le condizioni concordate al momento della stipula del contratto di fornitura. Una dimostrazione chiara della forte segmentazione dei mercati del GPL è fornita dall'esistenza di una notevole differenziazione dei prezzi effettivi anche all'interno del medesimo mercato locale;
   inoltre, le difficoltà rappresentate dalla installazione e dalla eventuale disinstallazione dei serbatoi, quasi tutti interrati, e i costi praticati dai gestori, in merito alla vendita e al noleggio, sono talmente alti da rendere non convenienti tali opzioni;
   le suddette condizioni di mercato, caratterizzate dalla scarsa «contendibilità», portano poi le aziende distributrici di GpL a non farsi concorrenza specialmente in alcune zone, infatti, a titolo di esempio, la stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel marzo 2010, ha deliberato che le società Butangas, Liquigas e Eni hanno posto in essere un'intesa restrittiva della concorrenza determinando congiuntamente, dal 1995 al 2005, le variazioni dei listini dei prezzi al pubblico del Gpl in bombole e in piccoli serbatoi su tutto il territorio nazionale, con effetti negativi sui consumatori finali, comminando multe per le società Butangas e Liquigas pari rispettivamente a 4.888.121 euro e 17.142.188 euro –:
   se, in generale e a tutela degli utenti, non intendano assumere un'iniziativa normativa che, modificando la disciplina sull'impiego dei serbatoi Gpl per uso civile, industriale e agricolo, possa creare le condizioni per un più vivace confronto concorrenziale tra le imprese distributrici e rendere «effettivamente contendibili» i clienti, anche mediante l'introduzione di norme che prevedano, alla scadenza del contratto, se richiesto dal cliente, l'obbligo per la ditta proprietaria di vendere il serbatoio concesso in comodato e favorire il passaggio a forme di disponibilità del serbatoio che non implichino la fornitura in esclusiva di Gpl. (4-09877)


   MARRONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legge n. 201 del 2011: «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, all'articolo 44-bis, individua i criteri di definizione di un'opera incompiuta (1. Ai sensi del presente articolo, per «opera pubblica incompiuta» si intende l'opera che non è stata completata: a) per mancanza di fondi; b) per cause tecniche; c) per sopravvenute nuove norme tecniche o disposizioni di legge; d) per il fallimento dell'impresa appaltatrice; e) per il mancato interesse al completamento da parte del gestore. 2. Si considera in ogni caso opera pubblica incompiuta un'opera non rispondente a tutti i requisiti previsti dal capitolato e dal relativo progetto esecutivo, e che non risulta fruibile dalla collettività)»;
   l'articolo 44-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, ha previsto altresì l'istituzione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dell'elenco-anagrafe nazionale delle opere pubbliche incompiute;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con decreto 13 marzo 2013 n. 42, definisce il «Regolamento recante le modalità di redazione dell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute»;
   nell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute compare la «Città dello sport» di Tor Vergata denominata anche «Vela di Calatrava»;
   la città dello sport viene pensata e messa in cantiere per i mondiali di nuoto 2009;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 dicembre 2005 n. 3489 inerente a «Disposizioni urgenti per lo svolgimento nel territorio della provincia di Roma dei Mondiali di nuoto» viene fissato il limite di 120 milioni di euro (60 milioni derivanti dallo Stato e 60 dal comune di Roma «fondo nazionale per Roma Capitale») per la realizzazione della città dello sport;
   l'impegno complessivo di spesa, come riportato dall'articolo del Corriere della Sera del 9 marzo 2015 dal titolo «Città dello Sport, ecco il documento che fece quadruplicare i costi» aumenta nel progetto preliminare, raggiungendo i 240 milioni, ma a seguito della necessità di adeguare l'impianto agli standard richiesti per la competizione olimpica nel 2007 vi è un ulteriore rincaro dei costi di realizzazione toccando quota 329 milioni di euro;
   il progetto definitivo autorizzato poi nel 2009 prevede l'importo definitivo, essendo state previste delle modifiche, di 607.983.772 euro;
   i mondiali di nuoto del 2009 si sono svolti senza la realizzazione della città dello Sport di Tor Vergata;
   ad oggi sono stati spesi circa 200 milioni di euro e ne servirebbero altri 400 milioni per completare la struttura che versa in condizioni di progressivo degrado –:
   quali siano state, e quali siano le criticità di tale opera nel suo lungo iter, nella progettazione, nell'affidamento dei lavori, nelle relative procedure e coperture finanziarie, nonché nella programmazione e continuazione dell'intervento in rapporto ai finanziamenti disponibili, considerato che tale opera è diventata un simbolo delle opere incompiute a Roma;
   cosa intenda fare il Governo, per quanto di competenza, per evitare che per tale opera vengano spesi ulteriori fondi statali senza una reale possibilità di completarla, anche con funzioni differenti, aggravando così il danno per la collettività.
(4-09885)


   NESCI e CARINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Manpower Solutions, la società del gruppo Manpower specializzata nell’outsourcing (fornitura a società terze) di personale, è l'azienda incaricata nella fornitura di personale per la manifestazione di Expo 2015 a Milano;
   la società, secondo quanto riportato da diversi organi di stampa, è già stata oggetto di pesanti critiche per via di contratti «indegni» (secondo la definizione data di diverse associazioni sindacali) che prevedono stipendi più bassi del 20-25 per cento rispetto a quello di solito vigenti nel terziario;
   secondo quanto si legge su «ilfattoquotidiano.it», infatti, «le sigle confederali chiamano “pirata” quei contratti del terziario firmati dal sindacato Confsal-Fismic e dall'associazione datoriale Cnai: tra paga base e altri istituti, il lavoratore si trova in tasca il 20-25 per cento in meno dello stipendio rispetto al contratto siglato Cgil, Cisl e Uil, spiegano i sindacati. “Per noi quel contratto è indegno e illegittimo – spiega Lareno – Eppure, sappiamo che Manpower Solutions lo ha applicato ai lavoratori dei padiglioni”»;
   da denunce arrivate agli interroganti la Manpower solutions ha indetto bandi relativi a stage, i cui requisiti, ad avviso degli interroganti, appaiono privi di una giustificata ratio ed evidentemente creano una discriminazione illogica tra i partecipanti;
   prima dell'inaugurazione di Expo 2015, la Manpower, appunto in qualità di official premiurn partner di Expo 2015 spa, ha indetto bandi per il reclutamento, la selezione, formazione e gestione delle risorse umane, per circa 850 persone;
   le selezioni si sono organizzate secondo due programmi diversi: Field Force Project e Youth Training Program;
   all'interno del secondo programma summenzionato, la società ha pubblicato un annuncio per il reclutamento di 15 posizioni da stagisti per «relazioni internazionali e protocollo»;
   nel suddetto annuncio, tra i requisiti, si legge che «il/la candidato/a, supporterà la Divisione Participants nelle relazioni con i Partecipanti e le personalità pubbliche nel rispetto del Protocollo applicabile e nella loro corretta esecuzione, individuando nelle diverse situazioni i corretti referenti, con l'obiettivo di facilitare la relazione dei Partecipanti con l'organizzatore e gestire il Protocollo durante le visite»;
   ciò che desta stupore, tuttavia, è che tra i requisiti per la partecipazione, oltre alle ovvie conoscenze della lingua inglese, del pacchetto «office» e al conseguimento della laurea in scienze politiche, materie umanistiche o relazioni internazionali, si legge che «costituisce titolo preferenziale aver conseguito titoli presso Ispi e Sioi»;
   a parere degli interroganti tale «titolo preferenziale» non trova legittima giustificazione, al di là della risaputa autorevolezza degli enti sopra menzionati, in quanto crea un discrimine evidente tra chi ha conseguito titoli presso Ispi e Sioi e chi, invece, per le ragioni più varie (economiche, geografiche e altro) non ha potuto, preferendo altri istituti, di uguale prestigio;
   preme ricordare in questa sede che Ispi e Sioi sono due enti cosiddetti «internazionalistici» che ricevono annualmente fondi pubblici dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione e nei cui direttivi siedono diversi politici, ex politici, imprenditori e banchieri di prim'ordine;
   secondo quanto si legge sul sito del quotidiano «La Notiziagiornale.it» in un articolo a firma Antonio Acerbis, quest'anno gli enti internazionalistici hanno ricevuto 1,4 milioni di euro, «a cominciare dalla Sioi (Società italiana per l'organizzazione internazionale) che riceverà 106 mila euro. Sarà un caso, ma presidente della Sioi è proprio l'ex Ministro Franco Frattini. Così come sarà un caso che vicepresidente è un altro ex Ministro come Giovanni Conso e che nel consiglio direttivo compaia anche l'ex segretario generale della Farnesina Giampiero Massolo (oggi a capo dei servizi segreti). All'Istituto per gli studi di politica internazionale andranno invece 117 mila euro. Sarebbe interessante conoscere l'importante apporto che danno alla causa personaggi come Emma Marcegaglia o come Marco Tronchetti Provera o, ancora, come Giuseppe Vita. Tutti insieme appassionatamente nel direttivo dell'Ispi, accanto anche al numero uno di Finmeccanica Giovanni De Gennaro che, per non farsi mancare nulla, siede anche nel direttivo dell'Iai (Istituto affari internazionali, 117 mila euro) con, tra gli altri, l'ex Ministro Fabrizio Saccomanni (anche lui nell'Ispi) e Nathalie Tocci, attuale consigliere del ministro Paolo Gentiloni (lo stesso che finanzia gli enti) e vicedirettore dell'Ispi»;
   a parere degli interroganti, va chiarito se c’è un «merito» maggiore nell'aver conseguito titoli all'Ispi e alla Sioi, specie vista la rassegna di personaggi, politici e imprenditori che siedono nei direttivi dei due enti ai quali sono peraltro attribuiti, fondi ministeriali –:
   se siano a conoscenza dei fatti suesposti;
   se non intendano chiarire con solerzia quali siano le ragioni per cui ci sia una preferenza nell'aver conseguito titoli all'Ispi e alla Sioi rispetto ad altri pur validi istituti. (4-09887)


   PREZIOSI, BERLINGHIERI, ZAMPA, PATRIARCA, NICOLETTI, PRINA, CARRESCIA, TARICCO, COVA, BURTONE, GAROFANI, RICHETTI, MONACO, BASSO, OLIVERIO, RUBINATO e GINATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che a fine anno termineranno le pubblicazioni, due riviste «Il Regno» e «Settimana»;
   ne hanno dato notizia il centro editoriale dehoniano (che edita le due testate) e la provincia italiana settentrionale dehoniani;
   si tratta di riviste storiche di grande tradizione, punto di riferimento culturale nel mondo cattolico e non solo;
   le ragioni che hanno indotto gli editori a fare questo annuncio risiedono in tanti fattori ed, in particolare, nel peso della crisi degli ultimi anni e nell'aumento dei costi legati tra l'altro alla distribuzione postale, elemento rilevante per questo tipo di pubblicazioni;
   ove fosse confermata la loro chiusura si tratterebbe di una perdita molto grave a discapito del pluralismo dell'informazione e di rappresentanza di idee e sensibilità per tutto il Paese;
   si tratta di una questione che riguarda anche altre pubblicazioni afferenti ad una editoria minore di qualità sulla quale è necessaria una riflessione da parte delle istituzioni competenti –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di convocare un tavolo di confronto con gli editori con l'obiettivo di scongiurare la chiusura dei due organi di informazione citati in premessa e consentire il prosieguo della loro attività a vantaggio del pluralismo e della valorizzazione di tutte le sensibilità culturali presenti in questo Paese. (4-09894)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   PLACIDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata 15 luglio 2015, sulla strada statale 598 (tratto Atena Lucana-Brienza, circa 2 chilometri dall'ingresso autostradale Sa-Rc di Atena Lucana, si è verificato un incidente che ha visto coinvolta un'autocisterna trasportatrice di acque reflue derivanti dalle estrazioni petrolifere;
   l'incidente ha provocato lo sversamento delle medesime acque reflue sul manto stradale e sul terreno circostante, con rischio di contaminazione delle acque dell'adiacente fiume Tanagro e/o del suo bacino;
   sono oramai decine e decine le autobotti trasportatrici acque reflue derivanti dalle estrazioni petrolifere che attraversano non solo le strade lucane ma quelle dell'intero territorio nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quale sia la composizione chimico-organica del materiale sversato a seguito dell'incidente;
   se sia nota quale sia l'entità reale dei danni prodotti da detti sversamenti e se vi siano rischi per l'ambiente e le popolazioni della zona interessata;
   se esista una mappatura nazionale circa la destinazione dei materiali reflui derivanti dalla lavorazione e dalla estrazione degli idrocarburi. (3-01624)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GASPARINI, BERNARDO, CASATI, LAFORGIA, LUPI, MALPEZZI, PALMIERI, QUARTAPELLE PROCOPIO, RAMPI e SQUERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'orchestra sinfonica Giuseppe Verdi di Milano è universalmente accreditata come una delle migliori orchestre d'Italia e la prima orchestra in Europa per produttività;
   la stessa orchestra Verdi da vent'anni svolge una intensa attività per la formazione musicale del pubblico, in particolare dei bambini e dei giovani;
   finalmente il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha riconosciuto l'orchestra Verdi, con il parere unanime della commissione consultiva per la musica, come una istituzione concertistica-orchestrale (ICO), a norma dell'articolo 28, comma 4, della legge 14 agosto 1967, n. 800;
   il suddetto provvedimento ministeriale è stato adottato nei tempi, suggeriti anche dagli uffici preposti, utili al fine di rientrare, a partire dal 2015, nella categoria del Fondo unico per lo spettacolo prevista per le ICO;
   fino alla fine di giugno 2015 gli uffici dello stesso Ministero hanno espletato tutte le pratiche per l'attuazione del suddetto decreto, in stretta comunicazione e collaborazione con l'orchestra Verdi;
   al momento della assegnazione delle sovvenzioni del Fondo unico dello spettacolo invece l'orchestra Verdi è risultata declassata in una categoria diversa da quella prevista da quello stesso decreto –:
   quali siano le motivazioni di tale scelta e se il Ministro ne sia a conoscenza;
   se intenda comunicare il contenuto del verbale della riunione della Commissione consultiva per la musica in cui sono stati ripartiti i fondi destinati alle ICO e le istanze presentate per il sovvenzionamento 2015 nel comparto delle ICO e dei complessi strumentali;
   quali urgenti iniziative o misure il Ministro interrogato intenda assumere per assicurare l'operatività del proprio decreto. (5-06081)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 117 della Costituzione, al comma 2, lettera s), dispone che lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, e conseguentemente esercita le relative funzioni amministrative, sulla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;
   ne consegue che è dovere dello Stato vigilare affinché i beni di interesse storico, culturale e paesaggistico vengano adeguatamente tutelati dalle istituzioni di ogni ordine e grado;
   ciò non starebbe avvenendo in Calabria, dove l'associazione Italia Nostra, che da anni si batte per la conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale nazionale ha reso noto attraverso un comunicato stampa apparso sul proprio sito che lo storico Ponte Sant'Eufemia d'Aspromonte, rarissimo esemplare di archeologia industriale degli anni ’20, simbolo di quello che resta della dismessa tratta Gioia Tauro-Sinopoli, sarà svenduto e demolito, per ricavarne «letteralmente quattro soldi»;
   il bando risulta pubblicato sul sito delle Ferrovie della Calabria il 30 giugno 2015 (http://www.ferroviedellacalabria.it/fdc/bandi/): in esso si rende noto che l'azienda di trasporto pubblico di proprietà della regione Calabria intende appaltare i lavori per la demolizione del ponte, indicandolo sul bando anonimamente come «sito alla progressiva chilometro 23+443 della linea Gioia Tauro-Sinopoli»;
   va ricordato che il viadotto in ferro, la cui importanza deriva sia da caratteristiche estetiche che tecniche, risale alla fine degli anni ’20 nel 1928 tra Palmi e Sinopoli venne aperta al servizio la tratta Gioia Tauro-Sinopoli, chiusa nel 1997 e oggi dismessa;
   collocato all'uscita di una galleria e perfettamente integrato con l'ambiente circostante, è famoso tra gli appassionati di ferrovie in tutta Italia e all'estero per le sue caratteristiche tecnico-costruttive, che fanno di questo ponte un esemplare unico per lunghezza e altezza nel panorama storico ferroviario Calabro-Lucano (la maggior parte dei ponti, soprattutto sulle linee delle ex Ferrovie Calabro-Lucane era infatti costruita ad arcate in muratura, soluzione che si rivelò poco adatta in questo caso proprio in seguito alla elevata altezza rispetto al livello del fondo valle);
   la tratta è stata sdemanializzata alla fine nel 2012, cessando di essere ufficialmente riconosciuta come ferrovia, per diventare una semplice entità patrimoniale di proprietà delle Ferrovie della Calabria;
   tale provvedimento sarebbe stato attuato dalla regione Calabria – precedente proprietario dell'infrastruttura – per una mera questione di bilancio, ovvero eliminare ogni onere a proprio carico per il mantenimento della linea: ciò avrebbe eliminato tutti i vincoli, in quanto non più proprietà demaniale, di tutela della linea ricadenti su Ferrovie della Calabria;
   sulla questione la sezione di Crotone di Italia Nostra e l'Associazione Ferrovie in Calabria con il Gruppo Ferrovie Storiche hanno provveduto a chiedere un intervento urgente dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, del Ministro dei beni e della attività culturali, Dario Franceschini, della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della provincia di Reggio Calabria e Vibo Valentia e del presidente della regione, Mario Oliverio per bloccare la svendita e la demolizione del ponte tutelato dal decreto-legge 42 del 2004, dato che i beni immobili pubblici di oltre 50 anni di età (in seguito innalzata a 70 anni dal decreto-legge 70 del 2011), prima di ogni intervento di modifica e/o demolizione e/o vendita, necessitano di una verifica obbligatoria di interesse culturale e storico da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a tale richiesta intende unirsi l'interrogante, in modo che sia riconsiderata l'opportunità di un simile intervento;
   una valutazione sarebbe peraltro opportuna anche per motivi strettamente economici: l'appalto per i lavori di demolizione, come indicato nel bando di gara, costerebbe infatti alle Ferrovie della Calabria una cifra di poco inferiore 145 mila euro, limite posto nel bando per l'offerta al ribasso, mentre la vendita del materiale ferroso di risulta porterebbe a ricavi assommabili a 148 mila euro;
   se ne deduce che, al termine dell'opera di demolizione, Ferrovie della Calabria guadagnerà poche migliaia di euro;
   altro motivo che dovrebbe, secondo l'Associazione Italia Nostra, portare all'abbandono dell'iniziativa deriva dal fatto che la demolizione di questo ponte comprometterà la fattibilità di un progetto annunciato dall'Associazione Ferrovie in Calabria solo poche settimane fa, ovvero la trasformazione del tratto di ferrovia tra Palmi e Sinopoli in pista ciclabile tramite il posizionamento di pannelli appositamente studiati per adattarsi al binario, con il doppio vantaggio di preservare il tracciato, immerso negli splendidi paesaggi ai piedi dell'Aspromonte, e di renderlo al contempo fruibile per il turismo ciclistico e naturalistico;
   questa sarebbe peraltro un'occasione per attrarre fondi europei, abbondanti quando si tratta di incentivare la mobilità alternativa, riportando così questa ferrovia sotto competenza demaniale, questa volta però sotto forma di pista ciclabile, alleggerendo di conseguenza da questo onere le casse delle Ferrovie della Calabria –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano porre in essere iniziative per quanto competenza, per impedire la demolizione dello storico Ponte Sant'Eufemia d'Aspromonte sulla dismessa tratta Gioia Tauro-Sinopoli (Reggio Calabria). (4-09886)


   NICCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'11 giugno 2011 col patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri della Pubblica amministrazione e l'innovazione, turismo, per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture e dei trasporti, per le pari opportunità, dello sviluppo economico, della Regione Toscana, della Provincia di Pisa e la Federazione italiana gioco calcio, a Sasso Pisano nel Comune di Castelnuovo di Val di Cecina – PI – è stato inaugurato il Museo delle arti e dei Mestieri della Toscana «Gualerci Nicola»;
   l'interessante idea di realizzare all'interno del sito medievale di Sasso Pisano, frazione medievale di Castelnuovo Val di Cecina, in provincia di Pisa, una struttura museale allo scopo di valorizzare l'artigianato e l'arte manifatturiera, eccellenze della regione Toscana in Italia e nel mondo, tanto decantata dall'amministrazione comunale non ha mai avuto la possibilità di innervarsi nonostante la grande rilevanza dell'iniziativa sotto il profilo culturale, artistico ed economico;
   dopo più di quattro anni tale struttura museale non è aperta al pubblico e quindi non solo non fruibile, ma le opere di grandissimo pregio artistico offerte da imprese d'eccellenza toscane come la Richard Ginori, la IVV, la Mital, la Ceramiche Bartoloni, la Coltellerie Berti, la Busatti, la Vetreria Mackingtosh, la AMA Artistici Marmi Apuani, la Grevi, la Ferro Battuto Biagiotti, solo per citarne alcune e da personalità illustri del mondo della cultura e dell'arte come ad esempio il tenore Andrea Bocelli, lo stilista Salvatore Ferragamo, la Scuola Normale superiore di Pisa, l'Accademia navale di Livorno, la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, l'università di Pisa, la Federazione italiana giuoco calcio ad oggi non si sa bene come e dove vengano custodite anche se pare siano depositate in pessime condizioni e senza alcuna garanzia di sicurezza, nella chiesa del paese di Sasso Pisano, aperta al culto. Alcune di tali opere sono addirittura poste all'aperto all'ingresso della chiesa;
   occorrerebbe verificare la congruità delle strutture e dei metodi e delle procedure di conservazione delle opere soprattutto in considerazione del valore culturale del progetto, a vocazione nazionale, e del pregio artistico delle opere donate –:
   se non ritenga opportuno acquisire elementi in merito al motivo della chiusura del Museo, anzi della mai avvenuta apertura dal giorno dell'inaugurazione a tutt'oggi. (4-09889)


   PARENTELA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Caminia di Stalettì (CZ), il comune ha avviato i lavori per realizzare un'area turistica attrezzata con rete fognaria, bagni pubblici, chiosco, area pic-nic e relativo parcheggio in assoluto dispregio delle norme del piano regolatore generale comunale, dei vincoli ambientali esistenti nonché degli studi e dei rilievi tecnico-scientifici ivi prodotti;
   il sito è stato segnalato alla Soprintendenza archeologica della Calabria dalla dottoressa Ghislaine Noyé, archeologa dell’Ecole Française de Rome, con una relazione tecnico-scientifica datata 6 luglio 1991, protocollo, parco archeologico di Scolacium – Roccelletta di Borgia n. 121;
   lo scavo a opera di archeologi francesi ha confermato l'esistenza di un'antichissima chiesa bizantina in quella località. «Prima dell'intervento — scrive la professoressa Noyé — era visibile la sommità di una volta a semicatino intonacata attribuibile ad una abside (orientata verso nord-est) quasi sepolta. L'agiotoponimo Panajia o Panaia (= panagia), molto frequente nella zona di Catanzaro, che designava pure una sorgente vicina, lasciava supporre l'esistenza di un luogo di culto bizantino dedicato alla Madonna. Il saggio (m. 2,80 x 2,20) ha messo in luce l'angolo nord-ovest e parte del muro laterale dell'edificio che prolunga l'abside. Tale muro, di notevole spessore (m. 1,55 circa), è costituito da blocchi di granito locale e tegole medievali cementati con malta solida; esso è stato parzialmente distrutto in antico e leggermente piegato dal crollo di un masso granitico e prosegue oltre la zona esplorata verso sud-ovest. Questa cortina pare anteriore alla parete, più sottile (cm 50 circa), nella quale si apre l'abside: sembra quindi possibile che una prima struttura, di funzione originaria da precisare, sia stata riutilizzata per la sistemazione di una chiesa medievale. Il sito doveva appartenere ai possedimenti della chiesa o monasterio di San Martino, i cui vestigi sono stati individuati e scavati sul promontorio di Copanello, a nord di Santa Maria del Mare» (Ghislaine Noyé, Scavi medievali in Calabria, A: Staletti, scavo di emergenza in località Panaja, Archeologia Medievale, 20, 1993, 499-501). Dopo l'effettuazione dei rilievi archeologici necessari per documentare l'esistenza della chiesa, il sito venne ricoperto;
   in data 12 settembre 1991, il comune di Stalettì con un telegramma indirizzato al Soprintendente archeologico della Calabria dell'epoca, la dottoressa Elena Lattanzi, aveva chiesto l'adozione urgente di adeguate misure di tutela per l'area in oggetto (protocollo comune di Stalettì, 12 settembre 1991, n. 4963);
   con delibera n. 20 del 4 aprile 1991, il comune di Stalettì aveva conferito alla, professoressa Emilia Zinzi l'incarico di consulenza in, materia di «indagine ed individuazione del costruito e delle aree di interesse storico-ambientale ed archeologico del territorio comunale». Lo studio richiesto era finalizzato alla redazione del Piano regolatore generale dello stesso territorio mentre una analoga indagine sui valori naturalistico-ambientali venne affidata al professor architetto Bernardo Rossi-Doria dell'università di Palermo. Il lavoro di entrambi, recepito ed approvato da consiglio comunale di Stalettì, nei termini fissati, confluiva nella redazione del PRG, realizzato dagli architetti Vanda Alcaro e Filippo Giacobbo della Coop. Tecnici Calabresi;
   nel piano regolatore generale l'area di Panaia è pertanto censita dalla professoressa Zinzi come area archeologica, e ciò farebbe scattare una forma di vincolo dell'area ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 1089;
   la professoressa Zinzi, inoltre, chiese per Panaia un provvedimento di vincolo del sito, con definizione della fascia di rispetto, e l'esplorazione estesa della zona a rischio circostante. Il suo lavoro venne pubblicato con un contributo della presidenza della giunta regionale della Calabria: un volume di circa 600 pagine con cofanetto comprendente anche gli elaborati cartografici e documentali prodotti nei lunghi mesi di studio e di ricognizioni sul territorio dal titolo «Analisi storico-territoriale e pianificazione — Un'esperienza metodologica nel Sud d'Italia»;
   l'area di Panaia, inoltre, è classificata nel PRG come «sottozona H3 — di connessione paesistica ambientale». Tale classificazione comporta il divieto assoluto di modificazione dei luoghi. L'area interessata dall'intervento edilizio è soggetta a: vincolo ambientale, vincolo archeologico, rischio frane instabilità; l'area di Caminia e la strada sovrastante all'area d'intervento sono minacciate rischio di tipo R4 definito dal piano regionale di assetto idrogeologico. La stessa area è circoscritta da due canaloni di scolo delle acque piovane, anch'esse attenzionate dalla regione Calabria «autorità di bacino»;
   sono stati sollevati dubbi circa i lavori realizzati dal comune di Stalettì, con una spesa di 25000 euro con riferimento all'applicazione delle corrette procedure disposte in materia di appalti e forniture dal TUEL-decreto legislativo n. 267 del 2000. Sull'area d'intervento PRG comunale non ammette alcuna trasformazione e modificazione dello stato dei luoghi, nel mentre sono stati rasi al suolo i circa 37 alberi di alto fusto, realizzate due piattaforme in calcestruzzo e una rete fognaria e idrica, atta a configurare una sorta di lottizzazione per scopi commerciali con modalità discutibili. Le sovrintendenze, interessate con note ed esposti, non hanno ad oggi, in presenza di vincoli ambientali/archeologici, idromorfologici così rilevanti, contrastato la prosecuzione dei lavori abusivi. Al momento risulterebbe una nota della soprintendenza archeologica della Calabria fuori contesto normativo –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere affinché l'intera area archeologica venga tutelata e valorizzata e, di certo, non trasformata in un'area turistica che ne comprometterebbe irreparabilmente il valore storico, architettonico e culturale. (4-09891)
* * *

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   RUOCCO, PESCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo il Report sulle performance dei governi pubblicato dall'Ocse, nel 2014 il rapporto debito lordo prodotto interno lordo dell'Italia è salito a quota 156 per cento, contro il 142,95 del 2013 e il 110,63 del 2007, risultando il terzo più elevato dell'area, dopo Giappone e Grecia;
   in termini pro-capite, l'Italia è al quarto posto tra i Paesi industrializzati con 49.798 dollari (dato 2013 comparabile), che sale a 55.538 dollari nel 2014;
   un punto percentuale di prodotto interno lordo vale grossomodo 16 miliardi di euro, pertanto 13 punti percentuali di prodotto interno lordo (156 per cento –143 per cento), valgono circa 210 miliardi di euro;
   il calcolo effettuato dall'Ocse sul debito pubblico fa riferimento ad una definizione diversa da quella valida ai fini del patto di stabilità europeo;
   un fattore che incide sulla valutazione dell'entità del debito, secondo il metodo di cui sopra, è dato dall'impostazione del metodo di calcolo a valori di mercato;
   risulta pertanto che hanno contribuito a tale aumento la valutazione a valori di mercato dello stock del debito, del carico dei derivati finanziari in essere e di accresciuti impegni previdenziali;
   secondo le valutazioni di un gruppo di economisti ed analisti finanziari che si raccoglie e scambia opinioni anche sul portale «scenari economici», riguardo ai dati recentemente presentati nel suddetto rapporto Ocse sul rapporto debito lordo/prodotto interno lordo dell'Italia, il Ministro dell'economia e delle finanze sarebbe tenuto a riferire e a dare spiegazioni esaustive e dettagliate;
   si ricorda che in passato il Ministro interrogato ha ricoperto il ruolo di vice segretario generale e capo economista dell'Ocse –:
   quali spiegazioni necessarie, urgenti e dettagliate il Ministro intenda fornire in merito all'aumento del debito di ben 210 miliardi di euro, calcolato in termini omogenei con metodo Ocse nel passaggio dal 2013 al 2014;
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare per rivedere la stima del debito pubblico alla luce dei parametri utilizzati dall'Ocse e quindi modificare urgentemente l'indirizzo di politica economica adottato riguardo alla gestione del debito pubblico;
   quali orientamenti intenda esprimere in merito ai valori di mercato dello stock del debito, del carico dei derivati finanziari in essere e degli accresciuti impegni previdenziali in relazione all'aumento della stima Ocse di ben 210 miliardi di euro, dando così conto del grave incremento del debito pubblico. (4-09896)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   GIUDITTA PINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione Aemilia coordinata dalla direzione distrettuale antimafia con l'Arma dei carabinieri ha portato alla scoperta di una cellula pienamente autonoma della ’ndrangheta operante nel territorio dell'Emilia Romagna specie occidentale;
   l'operazione ha prodotto «risultati storici, senza precedenti» come risulta dalle dichiarazioni del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, realizzando 160 arresti, oltre 220 indagati e il sequestro di beni per un valore di oltre 100 milioni di euro; facendo venire a galla un preoccupante fenomeno di connessione tra il tessuto locale e la criminalità organizzata;
   le cronache giornalistiche, anche attraverso dichiarazioni degli addetti ai lavori, ripetono con sempre maggiore frequenza che risulterebbe difficile o addirittura impossibile poter svolgere il processo connesso all'indagine all'interno del territorio regionale emiliano-romagnolo, a causa dell'assenza di locali adeguati a sostenere un processo di questa grandezza;
   sarebbe davvero importante riuscire a svolgere il procedimento nel territorio regionale al fine di tenere alta l'attenzione mediatica sul tema delle infiltrazioni nei tessuti sociali già provati dalla crisi economica e dai disastri ambientali di questi anni –:
   se il Ministro interrogato abbia già preso provvedimenti, attraverso la competente direzione generale del dicastero ed interloquendo con le autorità giudiziarie e amministrative emiliano-romagnole, per consentire la realizzazione del processo nel territorio regionale ed in particolare su quello della provincia di Modena;
   quale sia lo stato di avanzamento di questi provvedimenti e delle interlocuzioni al fine di raggiungere l'obiettivo indicato nelle premesse. (3-01628)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il concorso in magistratura è uno degli esami più difficili per i laureati in giurisprudenza, che richiede anni di preparazione e ciò è giustificato dalla importanza e della delicatezza del lavoro che i vincitori saranno chiamati a svolgere, nonché dalla relativa retribuzione;
   all'esito dell'ultimo 2015, tenutosi nelle giornate del 7, 8 e 10 luglio 2015, è emersa da fonti di stampa una gravissima denuncia, relativa alla seconda giornata in cui sono state svolte le prove, e segnatamente, alla assegnazione della traccia in materia di diritto civile. Parrebbe, infatti, che la formulazione della detta traccia sia stata pilotata al fine di favorire i partecipanti di uno dei costosi corsi privati di preparazione al concorso. Circostanza, questa, che pare confermata dal fatto che gli stessi organizzatori del corso in questione, poche ore dopo la lettura della traccia, esultavano: «Centrato l'argomento» e, in ottica pubblicitaria, segnalavano la forma «praticamente identica» rispetto ad una traccia affrontata dai docenti del loro corso di preparazione. Ad insospettire i partecipanti è stato soprattutto l'oggetto della prova: «Negoziazione degli strumenti finanziari, alea contrattuale e funzione speculativa. Profili di meritevolezza». Un argomento molto particolare, molto specifico, al confine con il diritto bancario e dei valori immobiliari, che però era stato trattato proprio in uno dei costosi corsi di preparazione all'esame;
   relativamente a questa vicenda il Codacons, dopo aver ricevuto decine di segnalazioni, ha deciso di raccogliere e spedire il materiale al Ministero della giustizia, al Consiglio Superiore della magistratura e alla procura di Roma. Tra le segnalazioni, se ne trovano di dettagliatissime: «Vi segnalo che due commissari, il professor Agostino Meale e il professor Fernando Greco, collaborano con due case editrici «collegate» a un noto corso di preparazione per il concorso in magistratura. Vi chiedo se queste nomine siano state opportune e se non vi siano motivi di astensione»;

   sempre da fonti di stampa, si desume che già in passato il concorso in magistratura ha subito forti critiche in relazione alla mancanza di trasparenza nei confronti dei partecipanti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e ritenga legittima la possibilità che nella commissione del concorso della magistratura 2015 vi siano soggetti che collaborano con case editrici «collegate» a uno dei costosi corsi privati per il concorso in magistratura;
   se il Ministro sia intenzionato ad intraprendere delle iniziative volte a verificare la fondatezza dei fatti denunciati, ad impedire il verificarsi di situazioni analoghe e se, nel frattempo, ritenga necessario annullare la seconda prova del concorso in questione. (5-06088)


   FAMIGLIETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il giorno 15 e il giorno 16 luglio 2015 intorno alle 3 del mattino, all'interno del carcere di Avellino si è registrata una violenta protesta da parte dei detenuti;
   suddetta protesta sarebbe scaturita dai disagi provocati dalla sospensione della erogazione idrica che in questi giorni ha interessato tutto il comprensorio irpino;
   nell'azione di protesta messa in atto dai detenuti, come riportano gli organi di stampa, sono state date alle fiamme delle lenzuola, diversi effetti personali e anche qualche bomboletta di gas;
   un sovrintendente della polizia penitenziaria ha dovuto ricorrere a cure ospedaliere per i fumi inalati;
   a lui e al personale della polizia penitenziaria in servizio ad Avellino si intende esprimere da parte dell'interrogante la piena solidarietà e l'apprezzamento per aver gestito con sapienza una situazione delicatissima che avrebbe potuto facilmente degenerare;
   oltre all'emergenza idrica contingente il carcere sconta problemi tecnici legati ad impianti idrici da ammodernare e sui quali occorrerebbe dare seguito ad una serie di impegni già assunti –:
   il Governo sia a conoscenza di quanto accaduto e quali iniziative intenda assumere per garantire la piena sicurezza all'interno dell'istituto penitenziario di Avellino, per migliorare le condizioni di lavoro del personale in servizio, rafforzandone gli organici, nonché per apportare le migliorie necessarie alla struttura.
(5-06091)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 5 novembre 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 91 del 21 novembre 2014 – 4a serie speciale – concorsi, è stato bandito il concorso a 340 posti di magistrato ordinario;
   le prove scritte si sono svolte alla Nuova Fiera di Roma nei giorni 7, 8 e 10 luglio 2015, come comunicato dal Ministero della giustizia con il decreto 27 marzo 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 27 marzo 2015;
   il Codacons ha ricevuto nelle ultime ore alcune segnalazioni da parte di candidati che hanno partecipato al predetto concorso, nelle quali si denunciano presunte gravi irregolarità;
   stando alle suddette segnalazioni due commissari del concorso risulterebbero collaboratori di due case editrici collegate a un noto corso di preparazione per il concorso in magistratura;
   sarebbe emerso che durante il corso di preparazione al concorso, una delle tracce assegnate risulterebbe «in forma praticamente identica a quella di civile estratta al concorso, che non è certo una traccia generica ma una traccia che presenta forti elementi di particolarità»;
   a quanto consta all'interrogante risulterebbe che alcuni candidati abbiano consegnato la traccia non svolta denunciando nei verbali di svolgimento delle prove gravi irregolarità;
   irregolarità risultano anche denunciate da alcuni portali quali ilcorsistaonline.blogspot.com, lavocedirobinhood.it, lastampa.it (con un articolo pubblicato in data 15 luglio del 2015), la pagina facebook sarannomagistrati.it-edizionisimone nella quale sono pubblicati anche i succitati link, oltre a commenti individuali dei singoli candidati al concorso –:
   quali iniziative intenda assumere affinché si faccia chiarezza sulla vicenda, e se si intenda sostituire i commissari qualora la loro posizione dovesse risultare in conflitto di interessi;
   quali siano le motivazioni che sarebbero state verbalizzate dai candidati che hanno consegnato la traccia non svolta;
   se il Ministero fosse a conoscenza di tali presunte irregolarità e se abbia ritenuto ciononostante di procedere ugualmente con il regolare svolgimento della prova concorsuale. (4-09890)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 4 maggio del 2015 le province sono state private del mandato della gestione dell'Albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto terzi;
   tale mandato è passato alle motorizzazioni civili, le quali, non avendo ricevuto a oggi le password di accesso, non possono effettuare alcuna operazione;
   tale decisione crea un grave disservizio, giacché costringe gli autotrasportatori iscritti all'albo a non poter effettuare alcuna operazione di iscrizione o variazione;
   le aziende denunciano il fatto che, a causa di questo passaggio e della conseguente non operatività delle motorizzazioni civili, sono stati persi molti contratti di lavoro in essere, con il conseguente rischio di non poter più far fronte alle spese di gestione, leasing sui mezzi e quant'altro si rende necessario per svolgere la normale attività di impresa;
   molti autotrasportatori denunciano il fatto di essere oramai prossimi alla chiusura delle proprie aziende e al licenziamento di molti dipendenti;
   particolarmente grave è la situazione della Sardegna;
   la decisione rischia di aggravare ulteriormente la situazione di un comparto colpito in questi anni, più di altri settori, dalla crisi economica e che ha visto una drastica riduzione del volume di affari;
   il comparto dell'autotrasporto, linfa del sistema economico del Paese, ha infatti risentito profondamente dell'andamento economico negativo, che ha comportato nei 5 anni di analisi (2008-2013) una perdita di quasi 9 punti di PIL –:
   se sia a conoscenza di questa situazione;
   quali misure intenda adottare per ripristinare il normale funzionamento dell'Albo autotrasportatori e per impedire il rischio chiusura di moltissime aziende che, a causa della non operatività delle motorizzazioni civili, non possono effettuare alcuna operazione;
   quali provvedimenti intenda assumere per rilanciare il comparto dell'autotrasporto in Italia che negli ultimi 5 anni ha risentito profondamente dell'andamento economico negativo, con una perdita di quasi 9 punti di PIL. (5-06082)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ai Ministri interrogati è nota la pluridecennale vicenda di Carlo Massone, autotrasportatore e titolare della ditta omonima di Castelletto d'Orbia in frazione Crebini (Alessandria), per le innumerevoli interrogazioni parlamentari che si sono succedute dal 1994 ad oggi, che lo hanno visto protagonista di una tenace lotta contro quello che egli stesso ha definito lo scandalo «collaudopoli» ossia l'esistenza di un sistema generalizzato di corruzione che coinvolge gli uffici territorialmente competenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, della motorizzazione e di altri enti, quali l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), abilitati al rilascio delle certificazioni attestanti i collaudi a norma di legge degli automezzi pesanti, sia usati che di nuova immatricolazione, e questo a detrimento della qualità degli automezzi venduti e della sicurezza della circolazione stradale;
   come sopradetto, la questione è approdata nella aule parlamentari in numerose occasioni, con interrogazioni presentate a partire dalla XII legislatura e fino a quella tuttora in corso, dove anche recentemente il Governo è intervenuto rispondendo, lo scorso 10 luglio 2014, all'interrogazione n. 5-02234 del deputato Emanuele Fiano, presentata il 26 febbraio 2014;
   l'ennesima non risposta del Governo e l'assenza di significative iniziative contro il sistema «collaudopoli» hanno spinto il signor Carlo Massone a presentare, presso la guardia di finanza compagnia di Nove Ligure, ben due denunce (verbale di ricezione del 21 maggio 2014 e del 23 luglio 2014) nei confronti di due dirigenti pubblici rei, a detta del signor Massone, di continuare a fornire notizie non corrispondenti al vero non consentendo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una corretta valutazione del suo caso, nello specifico con riferimento alla perizia terza ed imparziale, disposta dall'autorità giudiziaria relativamente alla sua complessa vicenda, redatta l'11 novembre 1992 dal dottor ingegner Carlo Pollarolo nominato CTU dal tribunale di Alessandria in data 28 novembre 1991;
   nel suo esposto il denunciante, dichiara che: «In virtù delle interrogazioni parlamentari richiamate desidero portare a conoscenza di chi è preposto a fare giustizia che le commissioni parlamentari che hanno attenzionato il mio caso, hanno valutato sulla base di una perizia di parte – PLURA SpA – e non su una perizia effettuata dal CTU dottor ingegner Carlo Pollaroro nominato dal Giudice del Tribunale di Alessandria»;
   le accuse mosse da Carlo Massone contro l'attuale direttore alla motorizzazione di Alessandria, e il direttore della direzione generale territoriale Nord Ovest del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, relativamente all'istruttoria relative alla suddetta documentazione, se confermate risulterebbero indubbiamente gravi e lesive dell'immagine delle istituzioni da essi rappresentate. Preme ricordare che, in merito, è stato aperto un procedimento penale contro ignoti, iscritto al n. 2014/4159 RE. GE. della procura della Repubblica di Alessandria, conclusosi con richiesta di archiviazione a detta di Carlo Massone senza che siano state esperite indagini appropriate;
   questa pluridecennale battaglia mediatica, giudiziaria e politica condotta dal signor Carlo Massone l'ha ormai ridotto sul lastrico al punto che da tempo minaccia il suicidio in quanto impossibilitato a condurre un'esistenza dignitosa –:
   se i Ministri interrogati vogliano accertarsi di quanto in premessa chiarendo se nelle precedenti risposte, date nelle sedi parlamentari, siano stati utilizzati tutti i pareri prodotti sulla complessa vicenda del signor Carlo Massone e, in particolare, se siano stati valutati con la dovuta attenzione quelli terzi ed imparziali disposti dall'autorità giudiziaria. (5-06086)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGANI, LATTUCA, BARUFFI, GIACOBBE, MAURI e MONTRONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ad inizio anno sono stati definite per 3 anni, con una dotazione di 250 milioni di euro, le agevolazioni per l'autotrasporto che prevedono le deduzioni forfettarie, rivestendo così una caratteristica di intervento strutturale;
   la riduzione dell'importo assegnato alle deduzioni forfettarie rispetto all'anno precedente, che sono 60 milioni di euro rispetto a 113 milioni, era stata accompagnata dall'assicurazione del Ministero che questi incentivi fiscali sarebbero comunque stati erogati con lo stesso importo dell'anno scorso;
   la ragioneria generale dello Stato ha comunicato che il quantitativo di risorse necessario per le deduzioni forfetarie ammonta a 180 milioni invece che i 60 milioni assegnati;
   le ragioni economiche che hanno portato alla definizione di questi incentivi non sono mutate perché l'allungamento dei tempi dei pagamenti dei servizi di autotrasporto, evidenziano la necessità di confermare gli importi delle agevolazioni fiscali destinati ad autotrasportatori artigiani;
   l'Agenzia delle entrate, con un comunicato ufficiale che si allega al punto 1), ha tagliato di 2/3 il valore dello sconto fiscale;
   nella nota del gabinetto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che si allega al punto 2), si assicura l'impegno «un equo contemperamento negli interessi della collettività e delle categorie coinvolte»;
   alla data odierna, giovedì 16 luglio, le aziende devono presentare la documentazione fiscale relativa all'anno 2014 –:
   in quali tempi e quali siano le azioni che il Ministro intenda adottare per garantire «la spendibilità delle risorse finanziarie destinate al settore e l'adozione delle misure necessarie in materia di controlli della regolarità delle imprese e di trasparenza del mercato, nonché possibili soluzioni per le ulteriori difficoltà segnalate». (4-09879)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi presso il comune di Eraclea (VE) si sono registrate situazione di forte tensione per la protesta inscenata dai migranti ospiti del residence «magnolie»;
   i migranti lamentavano situazioni di disagio in particolare per le condizioni di sovraffollamento;
   la situazione risulta essere complessa e di difficile gestione per gli enti locali e anche le stesse strutture sanitarie;
   essendo una località turistica vi è una forte preoccupazione anche tra gli operatori economici del settore per il crescere delle tensioni –:
   se il Ministro sia a conoscenza degli episodi riportati in premessa e quali iniziative intenda adottare con la massima urgenza per evitare che la situazione si aggravi ulteriormente. (5-06089)


   LODOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   alle ore 2,30 circa del 17 luglio 2015 è scoppiato, per ragioni ancora sconosciute, un incendio presso un deposito di bitumi della ditta Casali spa in via del consorzio, zona industriale, di Falconara Marittima (An);
   sono intervenuti sul posto i vigili del fuoco, provenienti da Ancona, Osimo, Senigallia e Jesi e anche dal presidio presso l'aeroporto (è stato comunque garantito il servizio aeroportuale). Sul posto sono intervenute anche le forze di polizia in particolare i carabinieri della tenenza di Falconara, la polizia municipale, il gruppo comunale di protezione civile. In loco anche i tecnici ARPAM e ASUR che iniziavano le attività di verifica e controllo sulle matrici ambientali;
   a seguito di tale incendio, si è sprigionata una vasta nube di colore nero che si è rapidamente estesa su tutto il territorio;
   il dipartimento provinciale ARPAM di Ancona, intervenuto sul posto, comunica che valuterà le eventuali ricadute ambientali derivanti dal rogo e ha già avviato campionamenti su terreni, acqua di falda e sulla qualità dell'aria per verificare l'impatto delle sostanze emesse dall'incendio. Da una prima analisi generale delle schede tecniche dei materiali coinvolti nell'incendio e in base alle prime informazioni ASUR, sembrerebbe che i prodotti bruciati non sprigionino sostanze tossiche;
   lo stabilimento è ubicato in un territorio che ricade all'interno dell'area ad elevato rischio di crisi ambientale (AERCA) –:
   se sia noto quale sia stata la reale composizione della nube sprigionatasi a seguito dell'incendio presso l'azienda Casali spa e la sua eventuale nocività per la salute delle popolazioni circostanti.
(5-06090)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la questione della sicurezza lungo le stazioni ferroviarie della Lombardia e di Milano in particolare è di forte attualità, anche alla luce degli ultimi eventi accorsi a personale ferroviario;
   in data 27 marzo 2013 il dipartimento della pubblica sicurezza avviava un confronto con le organizzazioni sindacali del personale della polizia di Stato avente per oggetto l'istituzione del posto di polizia ferroviaria di Milano Rogoredo, chiuso nell'anno 2004;
   la riapertura del citato ufficio veniva motivato come un progetto più ampio di rimodulazione degli uffici di polizia finalizzata a dare più efficacia ed efficienza alla luce delle mutate esigenze di sicurezza che imponeva un riposizionamento dei presidi di sicurezza sul territorio sulla base del traffico ferroviario e viaggiatori;
   alla data odierna non siamo a conoscenza del futuro di tale ufficio nonostante dalla predetta stazione transitano giornalmente circa mille convogli tra arrivi e partenze: Freccia Rossa-Italo, Intercity, passante ferroviario, treni regionali, nonché linea tre della metropolitana –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere, affinché si possa riaprire il citato ufficio di polizia in modo da poter aumentare la percezione di sicurezza dei viaggiatori e del personale ferroviario.
(4-09873)


   TIDEI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni addietro in Mazzano Romano, cittadina della provincia di Roma, il vicesindaco con la sua famiglia sono stati aggrediti mentre erano nella propria abitazione;
   da oltre un anno il vicesindaco riceve gravi e violenti atti di intimidazione, molestie ed insulti. Ciò lo ha indotto ad esporre una denuncia nei riguardi di un soggetto che si è reso responsabile di una serie di comportamenti irriguardosi e violenti nei confronti dell'amministratore locale e della sua famiglia. Come esposto nella suddetta denuncia, in data 29 giugno 2015 a seguito di un'aggressione subita da parte del medesimo individuo il vicesindaco e i suoi familiari hanno riportato gravi traumi refertati presso l'ospedale di Civita Castellana;
   nell'ultima aggressione, secondo quanto riportato da notizie diffuse a mezzo stampa, il vicesindaco sua moglie e la figlia sono stati medicati presso l'ospedale di Civita Castellana riportando diversi traumi contusivi ed escoriati con una prognosi di diversi giorni;
   il fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali è stato per troppo tempo sottovalutato. Pur distinguendo fra azioni intimidatorie e mondo della criminalità organizzata, il fenomeno degli atti intimidatori verso gli amministratori locali interessa soprattutto i comuni di piccole dimensioni, laddove l'azione intimidatoria risulta spesso configurarsi quale ritorsione nei confronti di decisioni assunte dall'amministratore locale e reputate ingiuste ingiustamente discrezionali, come anche in quelle aree dove i rapporti fra i diversi livelli istituzionali, anche delle forze dell'ordine, risultano più deboli, accentuandosi, proprio in quelle aree, la sovraesposizione degli amministratori locali;
   la dimensione del fenomeno è molto vasta e complessa, è necessario un intervento di ampio respiro in grado di arginare la deleteria azione intimidatoria nei riguardi degli amministratori locali che oltre a colpire nell'individualità i singoli, mina il sistema democratico, identità e dignità del pubblico ufficiale, che paga forse il prezzo maggiore della crisi economica e della scarsità di risorse finanziarie –:
   se il Ministro sia conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali provvedimenti di propria competenza intenda adottare al fine di garantire una maggiore e più ampia tutela degli amministratori locali;
   se intenda predisporre un'iniziativa normativa volta ad assicurare una adeguata tutela penale agli amministratori vittime di intimidazione. (4-09874)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI e CAON. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il fatto che il Veneto in questi ultimi anni di emergenza abbia fatto la sua parte per ospitare i profughi che sbarcano sulle coste italiane è sotto gli occhi di tutti. Ma la vicenda dei continui trasferimenti verso i comuni della regione comincia, a causa dell'incapacità dovuta ad un sovraffollamento delle strutture, a creare forti disagi anche e soprattutto tra la cittadinanza residente e tra gli imprenditori;
   alcune tra le località turistiche della regione, note per attrarre turisti da tutta la Penisola e dall'estero, si trovano a vivere in questo primo mese di attività turistica forti disagi a causa della pessima pubblicità dovuta alle notizie di cronaca che registrano storie di proteste e una gestione non appropriata dei richiedenti asilo;
   di fronte alla situazione, i primi cittadini del litorale hanno protestato. Il sindaco di Jesolo, ad esempio, che ha rimarcato lo stato di emergenza in cui si trova il territorio che non è più in grado di sopportare ulteriori trasferimenti e la necessità che gli organi competenti prendano provvedimenti immediati;
   l'appello del sindaco di Jesolo e degli altri sindaci del litorale è stato raccolto in una missiva iniviata al Presidente del Consiglio dei ministri, al prefetto di Venezia e al Governatore della regione Veneto dove si è chiesto di non inviare più profughi nelle località balneari: «Siamo in piena stagione turistica e questo fenomeno sta creando un danno d'immagine tremendo, gravissimo. Alcuni albergatori della costa hanno ricevuto già alcune disdette sulle prenotazioni. Non c’è alcun pregiudizio contro questi migranti, anzi, ma Jesolo e le località della costa non sono le città adatte per ospitarli, soprattutto in questo periodo estivo»;
   alcuni giorni fa invece il sovraffollamento, il poco cibo e la scarsa igiene sono state la causa, ad Eraclea, di una protesta dei profughi, che lunedì scorso, sono scesi in strada per manifestare il proprio dissenso contro le modalità di accoglienza al residence «Magnolie». I migranti, un centinaio circa, si sono seduti in mezzo alla strada bloccando il traffico;
   il problema deriva dal fatto che ad Eraclea sono ospitati più di 250 migranti, quando l'accordo Stato-regioni ne aveva previsti appena 13 per questo comune;
   la situazione di estrema difficoltà è raccolta ancora una volta nelle parole del Sindaco di Eraclea: «Sono allo stremo, qualcuno mi aiuti perché non so come venirne fuori... Se non pone la mano qualcuno sopra di me, non so come uscirne. Qualsiasi cosa faccia – osserva il sindaco – non va bene a nessuno. Qualcuno mi deve aiutare ribadisce – altrimenti non ne esco più da questa vicenda»;
   evidentemente però le parole del sindaco sono rimaste lettera morta perché qualche giorno dopo sono scoppiati una serie di tafferugli presso lo stesso residence dove una sassaiola e alcuni scontri tra diverse etnie hanno animato la giornata, tra lo stupore dei residenti e i turisti impauriti;
   chi abita nella zona descrive una situazione al limite per questi profughi. «Li abbiamo visto dormire su materassini», spiegano dei turisti, «perché non ci sono posti. Non hanno saponi, detergenti, dentifricio, lenzuola,»;
   a fare le spese di tutto ciò cittadini, imprese turistiche ed in generale tutta l'economia di una regione che comunque deve far fronte all'emergenza –:
   quali iniziative urgenti, per le parti di competenza, i Ministri interrogati hanno intenzione di assumere per ristabilire condizioni di convivenza civile tra i cittadini del Veneto ed i profughi che vi sono ospitati;
   quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di assumere per far fronte alla crisi che stanno vivendo le imprese turistiche venete che vedono diminuire, costantemente le prenotazioni con gravi ripercussioni sull'intera economia della regione. (4-09878)


   PAGANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sui treni e nelle stazioni vi è stata, in questi anni, una crescita dei fenomeni di criminalità come aggressioni, furti, rapine e atti vandalici gravi e negli ultimi tempi si sono susseguiti episodi in cui personale ferroviario ha subito atti di violenza mentre stava svolgendo le proprie mansioni;
   i tagli operati dallo Stato hanno avuto gravi ricadute, in termini di risorse e di strumentazione, che hanno portato ad una progressiva chiusura dei posti di polizia ferroviaria, tanto da generare l'impossibilità di richiedere interventi della PolFer su alcuni tragitti a causa della mancanza di presidi sulle tratte effettuate dai treni;
   vi è stata una riduzione eccessiva del personale che si trova, il più delle volte, da solo in situazione di emergenza in quanto l'equipaggio del treno è spesso composto da un unico macchinista alla guida del treno ed un unico capotreno sul resto del convoglio, condizione che non è sufficiente a garantire la sicurezza dei lavoratori stessi né quella degli utenti;
   tali condizioni hanno compromesso l'ordinario e sereno svolgimento delle attività del personale viaggiante e la percezione degli utenti circa la sicurezza dei convogli –:
   se siano in programma interventi volti all'individuazione delle situazioni di rischio per adottare misure idonee a ripristinare condizioni di sicurezza che garantiscano l'incolumità di agenti e viaggiatori. (4-09882)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sta avendo luogo un continuo taglio delle spese ai danni delle forze dell'ordine e di polizia, che causano non solo un disagio ai tutori della sicurezza e dell'ordine pubblico ma anche un clima di insicurezza nelle nostre comunità, afflitte da fenomeni di criminalità in costante aumento;
   il 14 luglio 2015 le sigle sindacali che rappresentano gli agenti di polizia hanno svolto una manifestazione di protesta davanti al Centro addestramento e istruzione professionale della Polizia di Stato di Abbasanta, in provincia di Oristano, che ospita il reparto prevenzione e crimine, i cui agenti, circa un'ottantina, sono impiegati in tutto il territorio isolano, anche per tutelare l'ordine pubblico in occasione di manifestazioni pubbliche;
   il decreto ministeriale 1o ottobre 2007 in merito al conferimento dell'autonomia funzionale ai reparti prevenzione crimine, proprio al fine di frane un reparto specialistico, all'articolo 1 prevede che tali reparti «svolgono in via prevalente programmate attività di controllo del territorio in occasione di rilevanti interventi di prevenzione e, in via eccezionale, attività di supporto in operazioni di polizia giudiziaria;
   stando a quanto denunciato dai sindacati, invece, gli agenti sarebbero utilizzati anche nel servizio di volanti senza essere dotati del richiesto equipaggiamento per la loro sicurezza, al fine di coprire le carenze d'organico –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di disporre una verifica in merito al rispetto delle norme di cui al citato decreto ministeriale nella sede sarda;
   quali iniziative intenda assumere al fine di salvaguardare la specialità e professionalità dei reparti prevenzione crimine. (4-09888)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 15 luglio 2015, la prefettura di Treviso ha disposto l'invio di 101 presunti profughi nel comune di Quinto di Treviso, allo scopo di smistarli in una trentina di appartamenti sfitti, situati in palazzine dove vivono anche famiglie trevigiane;
   all'arrivo dei migranti ha fatto seguito lo scoppio di proteste da parte della popolazione locale, che ha cercato di opporsi alla distribuzione dei presunti profughi nelle palazzine dove si è deciso di alloggiarli;
   la sistemazione per i presunti profughi a Quinto di Treviso deriva da una convenzione che sarebbe stata stipulata tra la società immobiliare proprietaria dei condomini interessati ed una cooperativa che si occupa della gestione dei migranti;
   è la prima volta che si verifica nel nostro Paese il ricorso ad appartamenti sfitti per collocarvi migranti che aspirano alla tutela internazionale;
   in seguito alle proteste dei cittadini di Quinto di Treviso, il prefetto Maria Augusta Marrosu ha reso nota l'intenzione di denunciare i residenti che abbiano provocato danni alle proprietà;
   anche alla luce di recenti gravi vicende che vedono coinvolto il sistema delle cooperative, e specificatamente di alcune operanti proprio nel settore della gestione di migranti, occorre la massima attenzione nell'esercizio dei controlli riguardanti tale settore –:
   se la cooperativa che gestisce i migranti inviati a Quinto di Treviso ed alloggiati in trenta appartamenti sfitti sia in regola con la normativa antimafia e se il Governo intenda generalizzare il ricorso agli immobili sfitti per ospitarvi i clandestini che chiedono protezione internazionale al nostro Paese. (4-09892)


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO e COLONNESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Il Ministero delle politiche sociali nel report di monitoraggio sui minori stranieri non accompagnati ha registrato un considerevole aumentato negli ultimi due anni dei minori non accompagnati presenti nel territorio italiano, infatti a fine 2012 i minori presenti erano 5.821, a dicembre 2014 i minori presenti hanno superato le 10.000 unità, registrando una crescita di oltre il 66 per cento rispetto al 2013;
   i Paesi di maggior provenienza dei minori non accompagnati sono Egitto, Albania, Gambia e Eritrea, le strutture di accoglienza distribuite sul territorio nazionale sono 914, di cui oltre la metà sono ubicate nelle regioni Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania;
   le procedure di accoglienza differiscono a seconda della situazione del minore nel momento in cui viene in contatto con i servizi sociali, a prescindere dalle condizioni in cui si trova il minore, l'espulsione è vietata salvo i casi in cui egli costituisca un pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (testo unico n. 286 del 1998, articolo 19), come pure ne è vietato il trattenimento presso i centri per gli immigrati adulti. L'accoglienza dei minori non accompagnati comprende due fasi: prima o pronta accoglienza e seconda accoglienza, nella quale un ruolo maggiore viene svolto dai servizi sociali;
   dei 10.536 i minori non accompagnati presenti nel nostro territorio nel 2014, circa il 35 per cento risulta irreperibile: 3070 è il numero di minori non accompagnati che sono stati segnalati alla direzione generale immigrazione e non più presenti nel luogo del loro iniziale collocamento. In assenza di informazioni relative a rintracci successivi, non si è in grado di conoscere se tali minori si trovino ancora sul territorio dello Stato italiano o siano migrati verso altri Paesi;
   circa un anno fa è stato avviato un nuovo Sistema informativo minori (SIM) con l'obiettivo di censire la presenza dei minori stranieri non accompagnati e consentirne il monitoraggio sin dal loro arrivo in Italia, tracciandone gli spostamenti sull'intero territorio nazionale, attualmente è ancora in fase sperimentale e funziona solo in alcuni luoghi di sbarco;
   per di più ad essere collegati ad esso — anche in questa fase sperimentale — sono solo le Prefetture e le questure del territorio, ma non le procure e i tribunali per i minorenni, proprio i soggetti che hanno il compito di tutelare i minori subito dopo lo sbarco;
   i minori sono la categorie maggiormente vulnerabili, esposte a rischi di sfruttamento o isolamento sociale, diventando spesso facili prede della criminalità;
   il 10 febbraio 2015 si è tenuta l'audizione del prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, presso la commissione straordinaria per i diritti umani del Senato della Repubblica, in cui ha affermato che la situazione relativa ai minori stranieri non accompagnati rimane gravissima, che nei primi cinque mesi del 2015 ne sono arrivati altri 1.800 e che la legge n. 238 del 2008 è stata fatta pensando a un contesto profondamente diverso da quello di oggi, ha sottolineato l'esigenza di interventi legislativi –:
   quali siano le misure adottate dal Ministro per garantire adeguate cure e protezione ai minori non accompagnati e favorirne l'ingresso nelle comunità e la possibilità di affidamento nelle famiglie;
   se il Ministero abbia valutato l'opportunità di implementare strumenti atti a prevenire i rischi di fuga dei minori non accompagnati dalle strutture d'accoglienza;
   quando il Sistema informativo minori uscirà dalla fase di sperimentazione e sarà collegato a tutte le prefetture d'Italia.
(4-09895)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il collegio dei docenti ed il Consiglio di istituto dell'istituto comprensivo Perugia 2, di cui fa parte la scuola media «Ugo Foscolo», hanno espresso la volontà di attivare il corso ad indirizzo musicale raccogliendo 50 adesioni per la prima classe su 150 domande totali;
   l'ufficio scolastico regionale ha sempre ostacolato l'attivazione dell'indirizzo musicale prima con la scusa della presenza nella città del conservatorio, poi celandosi dietro la dichiarazione di mancanza di organico;
   di fatto è vero che il calcolo dell'organico non permette l'attivazione delle scuole dato che è basato sul numero degli studenti e non può tenere conto di una eventuale attivazione dell'indirizzo musicale, ma deve essere l'ufficio scolastico regionale stesso a comunicare al Ministero l'esigenza di ampliare il numero dei docenti;
   oggi nella città di Perugia ci sono sia il conservatorio che il liceo musicale che stanno chiedendo a gran voce da anni l'attivazione delle scuole medie ad indirizzo musicale proprio per avere la garanzia di alunni futuri;
   il conservatorio infatti in quanto università non può fare più lezione a studenti che non sono in possesso della maturità, mentre il liceo musicale, che ha una sola sezione, si regge a malapena in quanto con poche iscrizioni, tali da non poter selezionare gli alunni meritevoli;
   nel disegno di legge sulla Buona scuola, approvato ormai definitivamente, si rafforza il concetto di autonomia delle istituzioni scolastiche nelle scelta dell'offerta formativa e soprattutto si potenzia lo studio dell'arte e della pratica musicale nelle scuole di ordine e grado –:
   se il Ministro sia a conoscenza del caso suesposto e quali iniziative intenda prendere al fine di poter finalmente consentire l'attivazione di quell'indirizzo musicale all'interno della città di Perugia molto importante nella crescita e nella formazione dei giovani. (3-01623)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZAMPA, GIACOBBE, GADDA, CARLO GALLI, MALPEZZI, GHIZZONI, AMATO, IORI, GIUSEPPE GUERINI, ALBINI, CAROCCI, ZAN, CARLONI, INCERTI, SCUVERA, NARDUOLO, ROBERTA AGOSTINI, D'INCECCO, PATRIZIA MAESTRI, COPPOLA, TINAGLI, GASPARINI, GRIBAUDO, RUBINATO, ROTTA, CIMBRO, CRIVELLARI, ASCANI e PREZIOSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la decisione del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, di ritirare dalle scuole dell'infanzia e dai nidi comunali 49 libri giudicati «inopportuni» per i loro contenuti, libri già approvati dalla giunta uscente e già inseriti tra il materiale didattico delle scuole dell'infanzia di Venezia, desta molti interrogativi di opportunità configurandosi come una scelta che corrisponde unicamente alla necessità di dar corso ad una promessa elettorale e dunque non idonea a rispondere a necessità didattico pedagogiche;
   la natura ideologica di questa scelta è fondata su un concetto ottocentesco e ormai superato secondo il quale i libri servano ad ammaestrare e indottrinare, mentre è oramai acquisito da tempo che solo i libri che danno spazio alla fantasia e alla immaginazione lasciano il segno e riescono a far immaginare mondi, possibilità e spazi nei quali i bambini possono esprimere una creatività di pensiero nuova;
   la scelta del sindaco disattende ogni finalità propria della lettura come strumento di crescita individuale e collettiva, per la sua portata anacronistica si colloca fuori dal tempo richiamando un clima di infausta memoria, soprattutto in un Paese come il nostro dove i dati sulla diffusione della lettura come consuetudine consolidata registrano un progressivo calo;
   la lista dei 49 titoli ritirati contiene libri che aiutano a far comprendere come la diversità religiosa, etnica, culturale, di provenienza e di colore non corrisponda ad una difficoltà ma ad un arricchimento e aiutano a costruire, tra i bambini, un clima di reciproca accoglienza che può contribuire alla realizzazione di una migliore scolarizzazione e inserimento di ciascuno nella società;
   tra i libri «messi all'indice» è presente anche un volume vincitore del premio Andersen nel 2013 che da trenta anni viene considerato il più prestigioso riconoscimento italiano attribuito ai libri per ragazzi, ai loro autori, illustratori ed editori e che seleziona opere dei grandi autori, ma anche voci nuove e i talenti emergenti con un'attenzione particolare alle produzioni più innovative e originali;
   le reazioni alla decisione del sindaco di Venezia da parte di docenti e genitori sono state immediate e molte sono le iniziative già in corso per contrastare una simile decisione così come importanti associazioni culturale e a sostegno della diffusione della lettura presso le più giovani generazioni hanno reagito, tra le quali Nati per Leggere –:
   se non si ritenga urgente intervenire per assicurare, per quanto di competenza, ai docenti la libertà di scelta del materiale didattico, nel rispetto del loro ruolo e delle loro competenze;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di ripristinare un clima di serena collaborazione tra famiglie, docenti e amministrazione. (5-06087)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI e CASELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'indomani dell'entrata in vigore delle diverse norme che hanno riformato il mondo del lavoro, decreto-legge 34 del 2014, legge 183 del 2014, decreto legislativo 23 del 2015, decreto legislativo 22 del 2015 conosciute come pacchetto Jobs Act e non ultima la legge di stabilità che permetterebbe alle aziende che attivano nuove assunzioni di beneficiare di un vantaggio di sgravi per 24 mila euro (ottomila euro l'anno nel triennio) per assunto;
   le organizzazioni sindacali regionali di Veneto ed Emilia Romagna hanno in più occasioni denunciato aziende di diversi settori manifatturiero, servizi e logistica di azioni finalizzate a dribblare il Jobs Act per avere importanti sgravi contributivi;
   simili azioni sono state denunciate dai sindacati anche in Polesine;
   gli imprenditori, di fatto, avrebbe imposto ai propri dipendenti le dimissioni, per poi procedere con delle riassunzioni che portano a degli incentivi statali legati ai nuovi contratti;
   le riassunzioni spesso passano o per contratti a tempo presso aziende operanti in collegamento con tra loro o per temporanei contratti di somministrazione lavoro, da stipulare con agenzie interinali;
   diventa necessario accertare le responsabilità ed i profili di irregolarità che potrebbero essersi verificatisi;
   una simile deriva dell'applicazione della riforma del lavoro produrrebbe effetti pesanti nelle relazioni tra lavoratori ed impresa ed un colpo pesante all'obiettivo posto appunto dal Jobs Act ovvero il rilancio delle assunzioni e l'abbattimento del costo del lavoro –:
   cosa sia stato accertato in tal senso dall'entrata in vigore del Jobs Act ad oggi, se sia stato verificato che tale fenomeno è circoscritto a pochi casi e non abbia una sua diffusione più estesa ed infine cosa intenda porre in essere o quali azioni abbia intrapreso per evitare il fenomeno sopracitato. (5-06085)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARUFFI, LENZI, FABBRI, INCERTI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 luglio 2015, a Bologna, si è svolta la presentazione del bilancio sociale 2014 dell'Inps dell'Emilia Romagna;
   in quella occasione i vertici dell'istituto regionale hanno rimarcato come i risultati di gestione realizzati nel corso del 2014 risultino i migliori nel panorama nazionale sia per efficienza che per efficacia;
   tali risultati rischiano però di subire un grave pregiudizio se gli organici dell'istituto regionale non saranno prontamente adeguati;
   in particolare, ha reso noto il direttore, se a fine 2014 il personale in forza alla regione risultava di 1.901 persone, 109 in meno dall'inizio dell'anno, all'inizio di marzo 2015 i dipendenti erano ancora scesi a 1.823: «un'emergenza di personale» è stata definita in quella sede, per cui «rischiamo tra alcuni anni di non poter garantire il nostro servizio pubblico»;
   il 54 per cento del personale attualmente impiegato nell'Istituto ha infine un'età superiore ai 50 anni, mentre la sfida telematica e le nuove prestazioni richieste all'ente imporrebbero un forte rinnovamento e ringiovanimento degli operatori impiegati –:
   se sia a conoscenza dei dati contenuti nel bilancio sociale 2014 dell'Inps dell'Emilia Romagna, sommariamente esposti in premessa e se corrisponda al vero che i risultati di gestione collochino la direzione territoriale dell'Emilia Romagna ai vertici nazionali per efficacia ed efficienza;
   quali riduzioni di organico abbiano subito le diverse direzioni territoriali anche in relazione a queste performance di gestione;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per assicurare un organico adeguato alle funzioni assegnate all'Istituto. (4-09880)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo sussidio di disoccupazione Inps, Naspi, entrato in vigore il primo maggio 2015, sostituisce le vecchie Aspi e mini Aspi. Esso viene calcolato in base ai contributi versati dal lavoratore negli ultimi 4 anni e la platea dei beneficiari è stata allargata anche ai lavoratori precari. Ne beneficiano i lavoratori che a partire da maggio di quest'anno hanno perso il lavoro e possiedono i requisiti;
   diversi cittadini hanno segnalato il fatto che dopo aver presentato la domanda per il sussidio di disoccupazione Inps, non hanno ricevuto alcuna notizia circa la liquidazione della Naspi. A pelare il mistero sul motivo del ritardo è stata la stessa Inps, che ha spiegato con la nota n. 4334 del 25 giugno 2015 che sebbene la procedura di domanda fosse già avviata, ancora non era pronta quella relativa al calcolo dell'importo e della durata;
   non è però dato sapere quanto i lavoratori dovranno attendere Secondo la nota, tutte le sedi riceveranno la procedura definitiva per il 15 luglio, per cui le liquidazioni si spera arriveranno dopo questa data;
   nella migliore delle ipotesi, chi ha presentato domanda tempestiva nei primi giorni di maggio riceverà il primo assegno Naspi con circa tre mesi di ritardo. Se poi si considera il periodo di ferie, quindi di sospensione del lavoro, i termini potrebbero essere più lunghi. Il problema riguarda tutti, anche i precari, aumentando i disagi che proprio per i più bisognosi, per i lavoratori e i disoccupati italiani non finiscono mai;
   per sensibilizzare l'amministrazione sul tema, alcune associazioni sindacali hanno organizzato un presidio davanti alla prefettura di Firenze lamentando a livello regionale quanto sopra segnalato a livello nazionale, con particolare riferimento al mancato sostegno al reddito non socialmente sostenibile in un'area di crisi come quella di Livorno;
   una sindacalista ha dichiarato che: «Dopo l'incontro con la direttrice dell'Inps che ci ha informati dei ritardi che subirà la liquidazione della nuova forma di disoccupazione abbiamo registrato grande preoccupazione tra i lavoratori interessati, circa mille censiti dal nostro patronato, ma il numero quasi raddoppia contando le richieste di Naspi inoltrate anche dagli altri patronati»;
   sempre la stessa sindacalista ha dichiarato che «Dopo l'annuncio dei sindacati confederali dei ritardi nell'erogazione della Naspi, sia le categorie che i servizi hanno iniziato a ricevere telefonate e la visita di molti lavoratori preoccupati. Inoltre moltissimi dibattiti in merito si sono aperti sui social network e la disperazione di coloro che non usufruiranno di alcun sostegno al reddito è palpabile». «Non possiamo ignorare la forte preoccupazione che serpeggia tra i lavoratori, per questo ci sembra necessario rimarcare la nostra attenzione riguardo al tema del sostegno al reddito, un problema complesso e dalle mille sfaccettature, oggi complicato ulteriormente dalla burocrazia che sta dietro all'attivazione pratica di una riforma che avrebbe dovuto essere rapida e indolore»;
   a Livorno sono oltre mille i lavoratori che hanno fatto domanda di Naspi, che vanno ad aggiungersi alle altre migliaia di lavoratori italiani che da qui a settembre, perderanno ogni forma di sostegno al reddito; un intervento urgente è reso impossibile a causa del ritardo annunciato, cosa che aggrava ulteriormente il disagio e l'insicurezza proprio delle persone più bisognose di aiuto e, soprattutto contrasta con il rispetto dello stato di diritto –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, nell'eventualità positiva, quali iniziative gravi e urgenti intenda assumere al fine di dare soluzione ai gravi problemi sopra descritti. (4-09881)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il patrimonio immobiliare di INPS rappresenta una risorsa di straordinaria importanza nel nostro sistema previdenziale ed esso necessita di essere preservato, gestito e curato al fine di garantire la ottimizzazione della propria redditività in quanto strumentale al sostegno dei redditi pensionistici dei cittadini italiani;
   alla luce di queste considerazioni l'interrogante si è personalmente recato a verificare lo stato dei luoghi e della relativa gestione di alcuni beni immobili oggetto di proprietà INPS;
   in particolare in data 16 luglio 2015, l'interrogante si è recato presso il capannone ad uso commerciale di proprietà INPS sito in via Lucio Fontana n. 8 in Roma, dove, all'ingresso di detto immobile appartenente al patrimonio pubblico, veniva accolto da guardie giurate private che formulavano il diniego all'accesso, adducendo di non essere in possesso della chiave di ingresso, e di non essere stati incaricati da INPS bensì da un non meglio identificabile soggetto privato di cui non veniva fatto il nome;
   sul posto giungevano una pattuglia dei carabinieri ed una volante della polizia, le quali avevano modo di accertare l'impossibilità dell'interrogante di accedere all'immobile visto il diniego o comunque la addotta impossibilità ad aprire, in quanto non in possesso delle chiavi di accesso, da parte delle guardie giurate che comunque presidiavano il capannone;
   risulta all'interrogante che con nota del 6 giugno 2013 INPS indirizzava ad una società denominata «commerciale tessile srl» una missiva con la quale intimava il pagamento di euro 400.000 circa dovuti per un riconoscimento di debito della medesima società e altresì sottolineava l'inesistenza di alcun contratto di locazione in essere tra INPS e la società stessa;
   alla luce di quanto esposto, la dedotta situazione pare meritevole di un celere approfondimento –:
   chi e a quale titolo detenga le chiavi dell'immobile di via Lucio Fontana n. 8 o se eventualmente sussista una custodia giudiziale;
   chi e sulla base di quale presupposto giuridico o normativo abbia eventualmente consegnato le chiavi all'attuale detentore delle medesime;
   quale sia l'istituto di vigilanza presente sul posto e da chi sia stato incaricato di presidiare la zona circostante l'immobile, di fatto impedendo la verifica del 16 luglio 2015 all'interno dei locali;
   se le autorità di pubblica sicurezza competenti per territorio fossero già in passato a conoscenza della descritta situazione o eventualmente notiziate di ipotesi di reato, della presenza di guardie armate a presidio del capannone, della eventuale presenza di merci appartenente a terzi, e/o se abbiano effettuato interventi in loco, e in caso affermativo, di quale natura;
   se all'interno dei locali, che non è stato possibile visionare sia presente merce e, in caso affermativo, a chi sia appartenente ed a che titolo sia stata ubicata all'interno dei detti locali.
(4-09897)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FAENZI e CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il batterio della cosiddetta Xylella fastidiosa è stato rilevato nella provincia di Lecce nell'ottobre del 2013 ed ha colpito gli ulivi del Salento costringendo le Istituzioni locali ed il Ministero competente ad intraprendere drastiche misure di contenimento della diffusione del batterio;
   nel mese di luglio del 2014 è stata pubblicata la decisione di esecuzione 2014/497/UE della Commissione, che ha disposto lo svolgimento di ispezioni per rilevare l'organismo nocivo ed ha stabilito una serie di disposizioni e misure per quanto riguarda le zone delimitate;
   a seguire della decisione dell'Unione europea, sono state emanate numerose disposizioni destinate a contrastare, più o meno efficacemente, il diffondersi del batterio nel Salento, nel territorio della regione Puglia ed in quello nazionale;
   da ultimo, è stata pubblicata la decisione di esecuzione 2015/789 della Commissione del 18 maggio 2015 relativa alle «Misure per impedire l'introduzione nell'Unione della Xylella fastidiosa» (Well et al.);
   all'articolo 9 di detta decisione, la cui rubrica recita testualmente «Spostamento delle piante specificate all'interno dell'Unione», il comma 1 stabilisce che «È vietato lo spostamento all'interno dell'Unione, all'interno o all'esterno delle zone delimitate, di piante specificate che sono state coltivate per almeno una parte del loro ciclo di vita in una zona delimitata stabilita ai sensi dell'articolo 4 (della stessa decisione)»;
   il comma successivo indica tutte le deroghe al primo comma dell'articolo 9 della decisione 789;
   quello che è accaduto nella realtà, invece, è che alcuni Paesi come la Francia hanno bloccato l'importazione di piante di ulivo salvo poi sbloccarla dopo aver ricevuto idonea documentazione da parte degli uffici regionali competenti circa la salubrità delle piante;
   accade che quasi tutti gli Stati del Nord Africa hanno imposto divieti di importazione per i vegetali sensibili al batterio della Xylella fastidiosa;
   questi divieti, al danno si è aggiunta la beffa, sono applicati a tutti gli operatori economici dell'intero territorio nazionale. I vivai siciliani, veneti, sardi o friulani non possono vendere le loro piante a causa di decisioni unilaterali da parte di Stati come la Francia, la Giordania, il Marocco, l'Algeria;
   nell'immediatezza dell'accaduto, il Ministero delle politiche agricole si è limitato a scrivere una nota a firma del capo dipartimento delle politiche europee ed internazionali e dello sviluppo rurale alle istituzioni europee;
   a causa di un fenomeno circoscritto alla sola provincia di Lecce, che riguarda una specifica serie di alberi e piante e che, ancora oggi, non ha uniformità di pareri scientifici da parte del mondo accademico e della ricerca universitaria, un intero settore economico nazionale (il florovivaismo) rischia di pagare conseguenze gravissime;
   una Nazione seria avrebbe reagito conseguentemente nei riguardi di Paesi di pari civiltà scientifica e istituzionale come la Francia e nei riguardi di Paesi vicini e con i quali si intrattengono buoni rapporti diplomatici ed economici come quelli del Mediterraneo;
   non si può consentire che i nostri operatori economici subiscano una tale ingiustizia a tutto beneficio di altre economie con minori controlli di natura fito-sanitaria;
   a giudizio dell'interrogante si sarebbe dovuto fare di più e meglio nei riguardi delle Istituzioni europee e della diplomazia degli altri Paesi extra-europei che una lettera di un capo dipartimento del Ministero delle politiche agricole –:
   a che punto sia l'attuazione delle misure richieste dall'Unione europea con la decisione 789/2015 per il contenimento e l'eradicamento di tutte le piante di ulivo infestate dal batterio della Xylella e quali iniziative abbia adottato il Ministro interrogato per sollecitare una maggiore efficacia nella lotta alla Xylella anche a livello territoriale;
   quali altre iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(5-06084)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI e CAON. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono passati vent'anni, ma la pretesa restituzione degli sgravi contributivi concessi alle cooperative di pesca veneziane e chioggiotte dal 1994 al 1997, continua a pesare, come una spada di Damocle, su queste imprese, alcune delle quali già scomparse, altre in difficoltà economiche, altre che andranno in sofferenza se non ci sarà una trovata una soluzione;
   a volere la restituzione di quei contributi è l'Unione europea, che li ha classificati come «aiuti di Stato» e ha innescato una vicenda giudiziaria che non si è ancora conclusa ma che ha già prodotto «frutti avvelenati» per il sistema economico veneziano. Su ricorso dell'Inps, infatti, a metà ottobre, il Consiglio di Stato ha ribaltato il pronunciamento del Tar del Veneto, decidendo che Equitalia dovrà recuperare, dalle imprese veneziane, gli sgravi a suo tempo concessi;
   ai sensi della legge italiana n. 36 del 31 maggio 1995, sono state concesse alle imprese operanti nel territorio insulare di Venezia e di Chioggia delle agevolazioni contributive sotto forma di sgravio per i periodi 1995-1996-1997. Nel 1999, mediante decisione n. 2000/394/CE, la Commissione europea ha dichiarato l'incompatibilità di tali agevolazioni con la normativa comunitaria, configurando gli sgravi contributivi come forme dirette di aiuti di Stato che alterano la libera concorrenza e gli scambi comunitari;
   in precedenza lo Stato italiano aveva adottato una legge speciale per Venezia e Chioggia, la legge del 16 aprile 1973, n. 171, il cui articolo 1 così recita: «La salvaguardia di Venezia e della sua laguna è dichiarata problema di preminente interesse nazionale. La Repubblica (...) ne assicura la vitalità socioeconomica nel quadro dello sviluppo generale e dell'assetto territoriale della Regione»; al fine di supportare il fragile territorio lagunare;
   sembrava allora che gli sgravi contributivi fossero coerenti con gli obiettivi della legge speciale per Venezia e Chioggia;
   tuttavia, con provvedimento emesso in data 25 novembre 1999, la Commissione europea ha ritenuto che le agevolazioni contributive riconosciute nei dallo Stato italiano dovessero essere ricomprese nei cosiddetti «aiuti di Stato», non consentiti, perché diretti a falsare la concorrenza e ad incidere negativamente sugli scambi comunitari;
   la vicenda è stata riassunta, di recente, in una interrogazione presentata al Parlamento europeo a seguito della quale cui Margrethe Vestager a nome della Commissione riferisce: «Con la decisione 2000/394/CE del 25 novembre 1999 sono stati approvati sgravi degli oneri sociali alle imprese di Venezia e Chioggia a condizione che esse avessero contribuito alla creazione di posti di lavoro. Tuttavia gli aiuti versati al solo scopo di mantenere i posti di lavoro esistenti sono stati considerati incompatibili con il mercato interno. Solo per questo aiuto, la Commissione ha dato ordine all'Italia di recuperare l'indebito vantaggio da tutti i beneficiari interessati, nonché da alcune piccole e medie imprese. A norma dell'articolo 14 del regolamento 659/1999 (regolamento di procedura relativo agli aiuti di Stato), le autorità italiane sono tenute ad adottare tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dai beneficiari secondo le procedure previste dalla legge nazionale. In tale contesto, le autorità dello Stato membro sono tenute a identificare i beneficiari e quantificare l'aiuto che deve essere restituito. Ciò comporta la corretta identificazione degli enti che hanno beneficiato del vantaggio e l'eventuale esclusione degli importi dell'aiuto coperti dal regolamento de minimis» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, abbiano intenzione di assumere al fine di intervenire, anche nelle sedi istituzionali europee, per individuare una soluzione che riconosca la fondatezza e correttezza del e misure adottate dallo Stato italiano negli anni 1994-1996 in favore dei pescatori di Chioggia e Venezia. (4-09883)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHI, BRAGA, MARANTELLI, TENTORI, GUERRA, FRAGOMELI, SENALDI e GADDA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con circolare DGPROGS//l.3.b/1 del Ministero della salute indirizzata all'attenzione degli assessorati regionali, si è voluto intervenire in merito al diritto di opzione per i lavoratori frontalieri;
   tale circolare, stante la non chiarezza di quanto indicato nel testo della circolare, sta destando numerosi problemi interpretativi;
   si considera sin d'ora che non si possa prevedere per i frontalieri italiani in territorio elvetico una previsione di costo per i servizi sanitari nazionali, in quanto ciò lederebbe il principio dell'universalità del servizio sanitario nazionale italiano;
   se è pur vero che è tramite l'Irpef che vengono trattenute imposte e quindi anche quanto corrispondono i cittadini italiani per la sanità, è innegabile che il diritto alla salute è un diritto di cittadinanza. Questo è il senso della legge n. 833 del 1978 in ossequio alla Costituzione. Il fatto che il reddito da lavoro svizzero non sia soggetto ad Irpef, non significa che i frontalieri non pagano imposte, le quali vengono riversate all'Italia sulla base e secondo le modalità previste e contenute nell'accordo Italia-Svizzera del 1974;
   la circolare citata sta ingenerando dubbi e confusioni, con interpretazioni, tese addirittura a introdurre un pagamento delle prestazioni sanitarie sulla base del reddito, circostanza esplicitamente vietata dal servizio sanitario nazionale e dalla sua concezione universalistica –:
   come intenda dare assicurazioni in merito ai dubbi sorti a seguito della richiamata circolare DGPROGS//1.3.b/1 al fine di garantire parità di trattamento ai cittadini italiani che prestano la loro attività lavorativa presso la Confederazione elvetica, escludendo ogni pagamento delle prestazioni sanitarie in Italia da parte dei cittadini italiani occupati in Svizzera.
(4-09893)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   BUSINAROLO, COZZOLINO, BENEDETTI, DA VILLA, NICOLA BIANCHI, TOFALO e SPESSOTTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alcune notizie di stampa hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica i risultati di quanto emerso dall'indagine avviata dalla Corte dei Conti per un presunto danno erariale di 861.709 euro avvenuto nel corso di una passata gestione dell'Ipab (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza) di Chioggia;
   nello specifico, all'epoca dei fatti, nel 2010, l'allora direttore dell'istituto per anziani di Chioggia, Piergiorgio Penzo, dopo aver notato alcune irregolarità all'interno dell'istituto, propose la «gestione delle risorse umane tramite agenzia interinale»;
   in seguito a tale denuncia lo stesso fu declassato al secondo posto nell'ambito della gerarchia interna e successivamente, in data 11 gennaio, ricevette una nota per cui i rapporti che le agenzie di collocamento private sarebbero dovuti rientrare nelle competenze esclusive della direzione del personale dell'Ipab;
   il caso in esame evidenzia la necessità di tutelare coloro che, come il direttore Penzo, decidono di denunciare irregolarità e comportamenti anomali nei luoghi di lavoro in cui operano, sia nel settore pubblico che in quello privato e che, invece, molto spesso diventano bersagli di minacce, vessazioni ed atteggiamenti persecutori da parte dei denunciati;
   il tema del «whistleblowing» (letteralmente «soffiare nel fischietto») è divenuto quanto mai attuale ma ancora poco diffuso nel nostro Paese: i «whistleblower», ovvero i lavoratori che nell'interesse pubblico segnalano eventuali atti di corruzione o irregolarità, devono essere infatti adeguatamente tutelati;
   il whistleblowing è uno strumento legale già collaudato da qualche anno, anche se con modalità differenti, in alcuni Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ma che in Italia ancora necessita di una maggiore diffusione nei vari settori lavorativi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano opportuno intervenire al fine di garantire un'adeguata tutela nei confronti dei lavoratori che si trasformano in oggetto di minacce e ritorsioni da parte dei soggetti denunciati a seguito di riscontri di possibili irregolarità o atti di corruzione nell'ambito lavorativo, sia pubblico che privato;
   se non ritengano altresì necessario assumere ogni iniziativa di competenza anche al fine di impedire che tali comportamenti irregolari (come, ad esempio, nei casi di assenteismo) arrechino ingenti danni alle casse dello Stato. (3-01627)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   BALDELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 13 luglio 2015 ha dato notizia di aver avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Eni, Acea Energia, Edison Energia, Enel Energia, Enel Servizio Elettrico;
   a fronte di numerosi reclami e segnalazioni ricevuti anche da parte diverse associazioni dei consumatori, l'indagine è volta ad accertare eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori: la fatturazione basata su consumi presunti, la mancata considerazione delle autoletture, la fatturazione a conguaglio di importi significativi, anche a seguito di conguagli pluriennali, la mancata registrazione dei pagamenti effettuati, con conseguente messa in mora dei clienti fino talvolta al distacco, nonché il mancato rimborso dei crediti maturati dai consumatori;
   nell'ambito di queste istruttorie, i funzionari dell'antitrust hanno svolto ispezioni nelle sedi delle società interessate dal procedimento a Roma, Milano e San Donato Milanese, con l'ausilio del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di finanza;
   di recente il sottoscritto interrogante ha discusso un'interrogazione in Assemblea ricevendo una risposta non esaustiva da parte del Governo su argomenti analoghi –:
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda intraprendere al più presto per tutelare i cittadini consumatori dalle condotte poste in essere di suddetti operatori, in attesa dell'esito delle attività istruttorie e delle ispezioni svolte dall'autorità Antitrust e dal Nucleo speciale antitrust della Guardia di finanza. (3-01625)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ, FICO, DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel disegno pluralistico della Costituzione italiana le minoranze linguistiche sono oggetto di specifica tutela (articolo 6);
   coerentemente con la propria missione e con il carattere democratico-pluralista dell'ordinamento, lo Repubblica valorizza e promuove la diversità culturale e linguistica del Paese;
   disposizioni in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche sono contenute nella legge n. 482 del 1999, il cui articolo 2 recita: «in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo»;
   l'articolo 30 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi – decreto legislativo n. 177 del 2005, come modificato dal decreto legislativo n. 44 del 2010 – consente, previa autorizzazione del Ministero, «l'esercizio di emittenti televisive analogiche i cui impianti sono destinati esclusivamente alla ricezione e alla trasmissione via etere simultanea e integrata di segnali televisivi di emittenti estere in favore delle minoranze linguistiche riconosciute»;
   lo stesso articolo precisa che l'autorizzazione ministeriale «è rilasciata ai comuni, alle comunità montane e ad altri enti locali o consorzi di enti locali e ha estensione limitata al territorio in cui risiedono le minoranze linguistiche riconosciute, nell'ambito di riserva di frequenze prevista dall'articolo 2, comma 6, lettera g), della legge n. 249 del 1997»;
   la comunità Sappadina è una minoranza linguistica germanofona, legalmente riconosciuta dallo Stato attraverso la citata legge n. 482 del 1999, e in quanto tale ha diritto ad essere tutelata anche mediante la visione di canali televisivi;
   con nota dell'11 dicembre del 2001, il «Dipartimento per le comunicazioni – Ispettorato Territoriale Veneto» autorizzava il comune di Sappada, ove è insediata la minoranza linguistica germanofona, all'installazione e all'esercizio di impianti ripetitori dei programmi delle due emittenti del servizio pubblico televisivo austriaco, ORF 1 e ORF 2, rispettivamente attraverso due impianti di diffusione dei segnali ubicati presso la località rifugio Siera – Sappada (BL);
   l'autorizzazione dell'ispettorato, concessa annualmente, avrebbe potuto essere revocata nei casi di situazioni interferenziali e di variazioni del canale/sito di trasmissione conseguenti all'attuazione del Piano di assegnazione delle frequenze televisive predisposto dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
   con il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale (cosiddetto switch-off), il comune di Sappada faceva istanza per la ripetizione dei programmi del servizio pubblico austriaco attraverso la migrazione alla tecnologia digitale dell'impianto ripetitore di Monte Siera;
   in risposta all'istanza, con nota del 15 novembre 2010, il «Dipartimento per le comunicazioni – Ispettorato Territoriale del Veneto» sottolineava che il decreto legislativo n. 44 del 2010, modificativo del citato testo unico, aveva mancato di aggiungere la parola «analogiche» al primo e al terzo periodo dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 177 del 2005, di conseguenza non era possibile autorizzare la ripetizione di emittenti televisive estere in tecnologia digitale, ma soltanto, eventualmente, quella dei programmi di Rai 3 Veneto;
   a fronte di una nuova istanza, l'ispettorato, con nota del 24 maggio 2012, confermava il proprio diniego in base al citato disposto normativo, facendo presente di aver richiesto un parere anche alla divisione III della D.G.S.C.E.R. del Ministero dello sviluppo economico circa la possibilità di autorizzare quanto richiesto dal, comune di Sappada, dopo aver già ottenuto un parere concorde da parte della Divisione V della medesima Direzione;
   un'ultima istanza di attivazione di nuovi ripetitori in tecnologia digitale per i programmi, delle emittenti ORF 1 e ORF 2 è stata inoltrata dal sindaco pro tempore di Sappada con lettera del 17 novembre 2014, nella quale viene rimarcato che tale autorizzazione è stata invero concessa alle province di Trento e Bolzano –:
   se non ritenga opportuno dare attuazione al principio costituzionale della tutela delle minoranze linguistiche nei territori ove queste sono insediate;
   quali urgenti iniziative intenda assumere, anche a legislazione vigente, al fine di consentire la ripetizione in tecnica digitale dei programmi del servizio pubblico televisivo austriaco nel territorio in cui è insediata la comunità Sappadina, minoranza linguistica germanofona legalmente riconosciuta dallo Stato ai sensi della legge n. 482 del 1999;
   se corrisponda al vero che la ripetizione in tecnica digitale dei programmi delle emittenti ORF 1 e ORF 2 sia stata concessa per i territori delle province di Trento e Bolzano. (4-09875)


   PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 3, la lettera e) della legge 3 febbraio 1989, n. 39, concernente la disciplina della professione di mediatore, così come modificato dall'articolo 18 della legge 5 marzo 2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati) definisce le condizioni per l'iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione;
   il citato articolo prevede, per l'accesso al ruolo, «l'aver conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo grado, avere frequentato un corso di formazione ed avere superato un esame diretto ad accertare l'attitudine e la capacità professionale dell'aspirante in relazione al ramo di mediazione prescelto»;
   si prevede altresì, in alternativa, «l'aver conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado ed avere effettuato un periodo di pratica di almeno dodici mesi continuativi con l'obbligo di frequenza di uno specifico corso di formazione professionale. Le modalità e le caratteristiche del titolo di formazione, dell'esame e quelle della tenuta del registro dei praticanti sono determinate con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato»;
   con decreto 21 febbraio 1990, n. 300 il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato ha emanato il regolamento sulla determinazione delle materie e delle modalità degli esami da superare per l'iscrizione a ruolo degli agenti d'affari in mediazione. Non risulta invece mai stato emanato il decreto sulle modalità e caratteristiche per lo svolgimento del praticantato;
   la mancata emanazione del decreto sta impedendo di fatto l'accesso ad un'attività di servizi tramite una modalità già prevista dalla legge e si pone palesemente in contrasto con i principi del decreto legislativo n. 59 del 2010, traducendosi in una sostanziale discriminazione di quanti intendessero utilizzare tale percorso. Il decreto legislativo sopracitato, infatti, attuativo della cosiddetta Direttiva Bolkenstein della UE, ha introdotto nel nostro ordinamento vari principi essenzialmente finalizzati ad eliminare le barriere e le discriminazioni nell'accesso alle attività di prestazione di servizi;
   l'emanazione del previsto decreto è tanto più necessaria quindi considerata la necessità di armonizzare la legislazione italiana a quella degli altri paesi europei nei quali il praticantato è previsto e disciplinato e nei quali l'accesso all'attività di mediazione appare essere ovunque meno restrittivo –:
   quali azioni e in che tempi il Ministro interrogato intenda dar seguito a quanto previsto l'articolo 2, comma 3, lettera e), della legge 3 febbraio 1989, n. 39 emanando il previsto decreto al fine di definire le modalità e le caratteristiche del titolo di formazione, dell'esame e quelle della tenuta del registro dei praticanti per l'iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione;
   se il Ministro interrogato non intenda aprire un tavolo di confronto con le associazioni degli agenti e dei mediatori d'affari al fine di valutare l'opportunità di addivenire ad un aggiornamento della legge 3 febbraio 1989, n. 39 al fine di aggiornarla alle mutate condizioni di esercizio della professione anche in relazione al quadro normativo comunitario.
(4-09884)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Stella Bianchi e altri n. 1-00941, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piso.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Businarolo e altri n. 5-03623 del 23 settembre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01627;
   interrogazione a risposta in Commissione Arlotti n. 5-04694 del 10 febbraio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01626;
   interrogazione a risposta scritta Paolo Nicolò Romano n. 4-08376 del 12 marzo 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06086.