Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 7 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il 19 giugno 2015 il tribunale di Firenze ha inflitto pesanti pene a carico dei vertici, ispiratori e fondatori de «il Forteto», cooperativa agricola all'interno della quale – e alla quale – sono stati affidati, nel corso degli ultimi trenta anni, numerosi minorenni in difficoltà;
    sito in località Mugello, «il Forteto» è sempre stato considerato da Legacoop, dalle istituzioni e dalla sinistra toscana una best practice dal punto di vista non solo produttivo ma anche educativo, al punto da essere associato alla scuola di Don Milani. Si è invece scoperto essere un luogo non di accoglienza ma di sevizie e violenze, fisiche e psicologiche. Una vera e propria setta, articolata formalmente in un'associazione, una fondazione e, appunto, una cooperativa agricola;
    in particolare, il tribunale ha comminato al fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, che si faceva chiamare «il profeta», una pena di 17 anni e mezzo per violenza sessuale e maltrattamenti ai danni di numerosi ragazzi affidati alla comunità, molti dei quali hanno rivissuto i drammi subiti testimoniando davanti alla corte le sevizie. Il suo braccio destro, l’«ideologo» del gruppo, Luigi Goffredi, dovrà scontare 8 anni. Con loro sono state condannate altre 14 persone, con pene che variano da 1 a 8 anni, sulle 23 che erano state mandate a processo. Appare dunque chiaro come sia l'intero «sistema Forteto» ad essere stato sanzionato dai giudici;
    Rodolfo Fiesoli, per il quale il pubblico ministero Ornella Galeotti aveva chiesto una condanna a 21 anni, rimane a piede libero. Il tribunale ha inoltre stabilito provvisionali per 1.260.000 euro immediatamente esecutive a favore delle vittime. In alcuni risarcimenti è obbligata in solido anche la cooperativa agricola;
    la comunità de «il Forteto» si costituisce negli anni Settanta e quasi subito decide di «ritornare alla terra», costituendo una cooperativa agricola all'interno della quale vivere e lavorare. All'interno della comunità la vita è organizzata secondo alcune teorie «parapsicologiche», tra cui quella della «famiglia funzionale» che doveva sostituire la famiglia naturale. Inoltre, uomini e donne – anche se ufficialmente sposati – dovevano vivere separatamente, vi erano momenti serali di «confronto» in cui spesso le persone venivano spinte a «confessare» in pubblico i propri eventuali desideri sessuali e le «provocazioni» messe in atto di conseguenza. Testimoni hanno raccontato di come bambini che sono andati in braccio ad adulti siano stati accusati di essere provocatori. «In quella comunità – ha detto il pubblico ministero Galeotti nella requisitoria – si verificò per anni una sospensione delle leggi dello Stato, attraverso un programma criminale in cui il Fiesoli “rapinava il sesso” ai ragazzini, con la complicità degli altri imputati»;
    Rodolfo Fiesoli detto il «profeta», insieme al cofondatore Luigi Goffredi, si avvalevano di falsi titoli di studio come quello in psicologia, nel 1985 furono processati e condannati ad una pena di reclusione per maltrattamenti aggravati ed atti di libidine nei confronti degli ospiti della comunità;
    nonostante questi gravissimi capi di imputazione nel 1997 Fiesoli risultava ancora a capo della comunità e, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo fatto ancora più grave, il tribunale avrebbe continuato ad affidare minori alla struttura, di cui se ne contano almeno 60 fino al 2009;
    nel 1975 inizia l'esperienza della «Comune del Forteto», progetto basato su una proposta di comunità agricola produttiva caratterizzata da una totale promiscuità sessuale fra i suoi partecipanti. A rivestire il ruolo di leader è Rodolfo Fiesoli, coadiuvato da Luigi Goffredi, entrambi coinvolti, sin dalla fine degli anni Settanta, in un'inchiesta penale per supposti atti di zoofilia e pedofilia commessi all'interno della cooperativa;
    il 30 novembre 1978 Rodolfo Fiesoli viene arrestato su richiesta del giudice Carlo Casini che aveva aperto un procedimento per abusi sessuali ne «il Forteto»;
    il 1o giugno 1979 Fiesoli lascia il carcere per tornare alla comune «il Forteto» dove, lo stesso giorno, affidato dal tribunale dei minori, giunge il primo bambino down e il presidente del tribunale, Giampaolo Meucci, grande amico di don Milani, afferma di non credere nell'indagine del giudice Casini e di ritenere «il Forteto» una comunità accogliente e idonea;
    nel 1982 la cooperativa acquista una proprietà di circa cinquecento ettari nel comune di Dicomano (Firenze) e vi si trasferisce. L'azienda continuerà a prosperare per diventare oggi un'azienda con un fatturato da 18-20 milioni di euro all'anno, con circa 130 occupati;
    nel 1985 viene emessa la sentenza di condanna per Luigi Goffredi e Rodolfo Fiesoli. Fiesoli viene condannato a due anni di reclusione per maltrattamenti nei confronti di una ragazza a lui affidata, atti di libidine violenta e corruzione di minorenne;
    dalla sentenza emerge «istigazione da parte dei responsabili del Forteto alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano loro affidati e i genitori biologici»;
    nel 1998 la Corte europea dei diritti dell'uomo riceve la richiesta di ricorso contro l'Italia e, in particolare, contro l'operato del tribunale dei minori di Firenze, da parte di due madri con doppia cittadinanza, italiana e belga, cui il tribunale per i minorenni di Firenze aveva imposto di interrompere ogni relazione con i rispettivi figli, collocati presso la comunità «il Forteto». Le donne, inoltre, denunciarono trattamenti violenti e inumani nei confronti dei minori, con una scolarizzazione pressoché inesistente;
    il 13 luglio 2000 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia, per l'affidamento alla comunità dei due bambini, a pagare una multa di 200 milioni di lire come risarcimento dei danni morali;
    nonostante i precedenti giudiziari e la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo, la regione Toscana, così come numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti a «il Forteto», elogiandone, tra l'altro, i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
    nel mese di aprile 2013, su richiesta del consiglio regionale toscano, il Ministero dello sviluppo economico ha inviato suoi ispettori a «il Forteto». Nella loro relazione, in cui si chiedeva il commissariamento della cooperativa, si rilevava la «tendenza a confondere le regole ed i principi della “comunità” con il rapporto lavorativo e societario», il che pare avere «condotto gli stessi soci a ritenere “normali” atteggiamenti particolarmente “interferenti” dell'organo amministrativo», tra questi il fatto che molti dei soci avessero inconsapevolmente sottoscritto strumenti finanziari;
    nel mese di dicembre 2013 il Ministero dello sviluppo economico sospendeva la procedura di commissariamento chiedendo un supplemento di indagini che, comunque, portava gli ispettori a concludere che «la situazione non appare al momento sostanzialmente mutata». Ciononostante, a luglio 2014, il Governo decideva di non procedere con il commissariamento. Oggi, all'indomani della sentenza di condanna di Fiesoli ed altri, non solo il centrodestra toscano continua a invocare il commissariamento ma anche il sindaco di Firenze, Dario Nardella, si è espresso nello stesso senso, innovando la posizione del Partito Democratico toscano sulla vicenda;
    se la vicenda de «il Forteto» ha trovato una sua definizione nelle aule di tribunale, deve ancora scrivere la sua pagina nera circa le responsabilità politiche e istituzionali di enti locali, giudici, servizi sociali, mondo cooperativo, certi intellettuali e ovviamente di tutti quei politici che nel corso degli anni hanno ignorato o sottovalutato le denunce. Il processo stesso, secondo quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ha rischiato più volte di arenarsi, tra fascicoli spariti e poi miracolosamente rinvenuti e testimonianze prima rese e poi inspiegabilmente ritrattate;
    alla luce delle vicende sopra riportate, appare quanto mai necessario l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori a comunità e istituti, su cui si auspica la più ampia convergenza delle forze politiche, che si faccia carico di raccogliere e tesorizzare le vicende accadute presso la struttura di accoglienza «il Forteto» di Firenze, affinché, anche alla luce di quanto riportato dalla commissione regionale d'inchiesta istituita sui medesimi fatti, si possano colmare le lacune e le smagliature legislative a livello nazionale e si possa avviare un'indagine su tutto il territorio nazionale circa la bontà delle attività delle altre strutture, comunità e istituti d'accoglienza dei minori,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni opportuna iniziativa di propria competenza volta ad accertare e definire le responsabilità e le manchevolezze politiche ed istituzionali che negli anni hanno portato alla prosecuzione degli affidi di minori, nonostante gli arresti e le condanne inflitte ai due fondatori negli anni Ottanta per reati analoghi (maltrattamenti e atti di libidine con i minori ospiti) e nonostante la sanzione inflitta all'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per quanto avveniva nella comunità, anche in raccordo con tutte le iniziative intraprese in tal senso e richiamate in premessa;
   a verificare con urgenza la sussistenza dei presupposti per la nomina di un commissario che gestisca la cooperativa agricola in modo tale da dissociarla completamente dalla precedente gestione e dall'associazione e dalla fondazione «il Forteto», di cui sono tuttora parte tutti i condannati e in generale il gruppo dei fondatori, al fine anche di pervenire al più presto al pagamento delle provvisionali a favore delle vittime.
(1-00940) «Bergamini, Cozzolino, Brunetta, Carfagna, Brambilla, Prestigiacomo, Picchi, Palese, Bonafede, Gagnarli, Nuti, Toninelli, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'editoria italiana perde copie e pubblicità, ha bilanci in rosso e dà lavoro a un numero sempre minore di persone;
   secondo i dati del rapporto di Mediobanca le perdite, in cinque anni, hanno raggiunto la cifra di 1,8 miliardi di euro;
   per un calo del 24,8 per cento della diffusione (da 2,8 a 2,1 milioni di copie vendute ogni giorno) si registra un calo del 27,7 per cento dei ricavi delle vendite, nonostante il prezzo di copertine sia aumentato di 30-50 centesimi in media;
   il valore in Borsa si è dimezzato, il capitale netto delle aziende editoriali è crollato del 40 per cento;
   a questi dati negativi gli editori hanno reagito tagliando il 22 per cento della forza lavoro, con 4.200 dipendenti messi alla porta tra licenziamenti e prepensionamenti;
   negli ultimi due anni hanno chiuso 32 testate giornalistiche nazionali e locali con tremila posti di lavoro che sono svaniti nel nulla. A farne le spese l'editoria cooperativa, locale e del non-profit. Ma anche radio e tv locali dove ormai purtroppo non si contano licenziamenti, contratti di solidarietà e cassa integrazione;
   i contributi pubblici all'editoria sono scesi da 506 milioni di euro del 2007 ai 55 milioni di euro nell'anno in corso, e nel 2015 saranno ulteriormente ridotti a 40 milioni;
   in questo quadro molto preoccupante si inserisce quello relativo alla difficile situazione del mondo dell'editoria in Umbria con i casi eclatanti del Il Giornale dell'Umbria e dell'Ansa che rischiano di chiudere e vi è grande incertezza anche per altre presenze editoriali sia della carta stampata, che dell'emittenza locale radiotelevisiva;
   ciò determina un quadro di grande preoccupazione non solo per l'irrinunciabile ruolo dell'informazione quale presidio di pluralismo e democrazia, ma anche per i livelli occupazionali messi a rischio, soprattutto per i giovani che vi lavorano, in molti casi già in condizioni di precarietà;
   secondo gli ultimi dati i giornalisti umbri iscritti all'Istituto di previdenza giornalisti italiani sono 922 di cui 455 dipendenti, 661 freelance, 72 pensionati e 61 disoccupati –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di salvaguardare un patrimonio, quello editoriale umbro, che fa parte della cultura non solo della regione ma anche del Paese e con esso salvaguardare i livelli occupazionali dell'intero comparto.
(2-01024) «Galgano, Mazziotti Di Celso».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 17 giugno 2015 sul sito della Federazione del pubblico impiego www.dirpubblica.it esce un post dal titolo: «Lo strano caso di Miguel Martina», ove si legge «In data 15 giugno 2015 DIRPUBBLICA ha depositato presso il Tribunale di Civitavecchia (Roma) il ricorso per la repressione della condotta antisindacale compiuta dall'Agenzia delle Dogane, ai danni del proprio dirigente sindacale Miguel Martina, attraverso tre consecutivi addebiti disciplinari per aver, questi, partecipato ad una serie di trasmissioni televisive di LA GABBIA – LA 7 durante le quali ha criticato l'attività dell'Agenzia delle entrate attraverso una meticolosa ricostruzione dei dati sul recupero dell'evasione fiscale;
   contestualmente, è stato diffidato il dirigente della Dogana di Fiumicino (Roma 2), ove presenta servizio Miguel Martina, a desistere dall'ulteriore prosecuzione dei procedimenti disciplinari avviati in pregiudizio del predetto dirigente sindacale, avvertendolo espressamente che, nell'ipotesi in cui dovesse portare ad ulteriore compimento l'azione antisindacale già intrapresa ai danni di Dirpubblica, questa si riserva sin d'ora ad agire personalmente nei suoi confronti oltre il suo Ente di appartenenza (l'Agenzia delle Dogane)»;
   allegata al post, la lettera di diffida rivolta al direttore dell'Ufficio delle dogane di Roma 2, il dottor Davide Miggiano, da parte dell'avvocato Carmine Medici, incaricato in tal senso da Dirpubblica, nella quale lo si invita a evitare il protrarsi di quella che viene ritenuta una condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge n. 300 del 1970 (statuto dei lavoratori), essendo il dottor Martina già stato raggiunto da tre procedimenti disciplinari con medesime contestazioni, a fronte dei quali è stato opposto, sempre il 15 giugno 2015, ricorso presso la cancelleria del Tribunale di Civitavecchia;
   tra le informazioni fornite ai telespettatori dal dottor Martina in qualità di dirigente sindacale, risultano esserci i dati relativi alle commissioni tributarie provinciali (CTP) del 2013 e del 2014 (fonte lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze http://www.mef.gov.it/documenti/indexNewsDf.html), da dove risultava e risulta tuttora, che nel 2013 solo il 38,89 per cento delle sentenze in CTP su accertamenti contestati risultava favorevole all'Agenzia delle entrate, il 9,75 per cento parzialmente favorevole (sui quali il cittadino ha dimostrato che solo parte delle contestazioni erano fondate), vedendosi avversi i rimanenti; nel 2014 la percentuale delle sentenze favorevoli alle Entrate in commissioni tributarie provinciali si attestavano al 42,46 per cento mentre i giudizi intermedi all'11,28 per cento; nelle commissioni tributarie regionali (CTR) le percentuali di sentenze favorevoli sono del 42,57 per cento e quelle intermedie del 9,74 per cento: su circa 250.000 ricorrenti, più della metà hanno dovuto affrontare costi e burocrazia per vedersi riconoscere il diritto a un corretto accertamento fiscale;
   tra gli altri dati forniti sull'Agenzia delle entrate, senza alcun commento da parte del dirigente sindacale della federazione Dirpubblica, vi sono:
    la percentuale di controlli espletati nei confronti della popolazione in relazione alla capacità contributiva e al reddito dichiarato, dimostrando come nei confronti delle fasce deboli vi sia una percentuale di controlli e di prelievo superiore alle fasce più ricche, dove la percentuale di accertamenti svolti nei confronti delle categorie più deboli sono di oltre il 90 per cento del totale, mentre per i contribuenti che abbiano dichiarato un volume di affari di oltre 100 milioni di euro (banche, trust, Holding internazionali...) i controlli si riduco a poco più dell'1 per cento;
   la convenzione tra Ministro dell'economia e delle finanze e Agenzia delle entrate da cui ne consegue che i controlli siano di natura quantitativa, danneggiando di fatto le più deboli verso le quali è più semplice attivare gli accertamenti e contestare addebiti connaturati alla scarsa capacità di opposizione di questi ultimi;
   il sistema di incentivi per i dirigenti dell'Agenzia delle entrate che li incoraggia a realizzare obiettivi soprattutto quantitativi, e non qualitativi ed il presunto mancato raggiungimento dell'unico obiettivo che valuta la qualità del lavoro svolto, ossia quello relativo al contenzioso che, sia per il 2013 che per il 2014; tale obiettivo prevede che la percentuale di vittorie unita alla percentuale di giudizi intermedi debba essere almeno pari al 59 per cento mentre per il 2013 si attesta al 48,64 per cento presso le CTP e al 47,14 per cento alle CTR; nel 2014, dai dati ufficiali forniti dal Ministro dell'economia e delle finanze (appendici statistiche trimestrali) tali percentuali si attestano al 53,74 per cento per le CTP, e del 52,31 per cento per le CTR, ben lontani quindi dal 59 per cento richiesto: dati poi pressoché confermati anche dalla «Relazione sul monitoraggio dello Stato del contenzioso tributario e sull'attività, delle commissioni tributarie» pubblicata dal Ministero dell'economia e delle finanze (http://www.finanze.it/export/download/ Contenzioso2015/Relazione monitoraggio contenzioso 2014.pdf) che attesta la percentuale finale, tra CTP e CTR, favorevole all'ufficio e giudizi intermedi, al 54,41 per cento. Agli obiettivi, come da convenzione, viene assegnato un punteggio, sulla cui base vengono determinati i cospicui premi incentivanti dovuti per il risultato ottenuto;
   dalla citata «Relazione sul monitoraggio dello Stato del contenzioso tributario e sull'attività delle commissioni tributarie» pubblicata dal Ministero dell'economia e delle finanze, si evincono una serie di dati interessanti;
   rispetto al 31 dicembre 2013, al 31 dicembre 2014 i giudici attivi nelle relative commissioni tributarie risultavano essere 3.293, ovvero 270 unità in meno rispetta al 2013 (-7,58 per cento) contro le previsioni del decreto ministeriale 11 aprile 2008 (4.668 unità previste); ciò nonostante la diminuzione dei contenziosi tributari «definiti» (conclusi) è calata solo del 1,57 per cento, lasciando comunque ancora 573.522 contenziosi aperti, con una vita media pari a 836;
   il valore medio dei ricorsi definiti nel 2014 tra CTP e CTR, sulla base del valore della controversia, risulta essere, per lo scaglione da 0 a 20,000 euro, pari a euro 3.716,04 (su 213.847 casi), per lo scaglione da 20.000 a 1 milione, pari a 119.985,21 (su 72.957 casi) e per lo scaglione oltre il milione di euro, pari a 6.622.109,25 (su 4.737 casi);
   va specificato inoltre che:
    il dirigente sindacale; dottor Miguel Martina non è dipendente dell'Agenzia delle entrate. Davide Miggiano, direttore dell'Agenzia delle dogane presso cui lavora Martina, ha quindi attivato un procedimento disciplinare per fatti riferiti ad altra amministrazione pubblica, di carattere surrogatorio, non contemplato da alcuna normativa vigente non avendo egli mai fatto alcun riferimento alla propria Amministrazione o al proprio rapporti di servizio;
   la federazione sindacale Dirpubblica, da sempre impegnata sul fronte della legalità, è quella che ha presentato ricorso sui concorsi poi dichiarati illegittimi sia presso l'Agenzia delle entrate sia presso l'Agenzia delle dogane che poi ha determinato la sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2014 che dichiara illegittima ed incostituzionale la pratica utilizzata presso le Agenzie fiscali di conferire incarichi dirigenziali discrezionali senza alcun concorso;
   il dirigente sindacale di Dirpubblica Miguel Martina ha richiesto le tutele previste dall'articolo 54-bis del decreto legislativo 165 del 2001 per chi abbia denunciato fatti di concussione o corruzione interna in quanto sempre lui è stato estensore di denuncia presso gli organi competenti per fatti di presunta concussione interna in capo a un soggetto citato dalle cronache come attiguo indirettamente agli indagati di Roma «Mafia Capitale»;
   l'attuale ordinamento giuridico presenta diverse lacune in tema di protezione dei diritti e di tutela del cosiddetto whistleblower ossia quel cittadino che all'interno delle amministrazioni pubbliche e private, grazie ad un alto senso civico e sociale, ha il coraggio, e il merito, in presenza di situazioni di reato, di porre in essere denunce rischiando, ripercussioni lavorative;
   nello specifico l'articolo 54-bis della legge n. 165 del 2001, dispone che «L'adozione di misure discriminatorie è segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere» ignorando che i «provvedimenti di competenza» sono quelli per i quali lo stesso dipartimento può solo segnalare la questione nella sua relazione annuale al Parlamento e chiedere che la stessa amministrazione, di cui il dipendente lamenti una discriminazione, disponga gli accertamenti e che riferisca se essa stessa abbia adottato provvedimenti discriminatori in danno del denunciante: ciò comporta che il Dipartimento della funzione pubblica oltre a non aver alcun potere diretto sull'amministrazione autrice della discriminazione lascia lo stesso lavoratore in balia della stessa amministrazione da esso denunciata –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze sia a conoscenza di quanto esposto e se non intenda immediatamente agire presso gli uffici competenti al fine di:
    a) verificare se la condotta del direttore dell'ufficio delle dogane di Roma 2 dottor Davide Miggiano, nei confronti del dirigente sindacale di Dirpubblica Miguel Martina risulti consona a norme di legge;
    b) migliorare la qualità degli accertamenti emessi dall'Agenzia dell'entrate al fine di evitare l'onere della prova a una così vasta platea di cittadini ingiustamente vessati al fisco;
    c) verificare se i dirigenti dell'Agenzia delle entrate abbiano percepito il premio previsto per l'obiettivo prefissato al 59 per cento tra vittorie e giudizi intermedi nelle commissioni tributarie, ancorché sembri, dai dati ufficiali forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze, che non abbiano raggiunto neanche lontanamente tali obiettivi;
    d) attivare un reale controllo sui dati forniti dall'Agenzia delle entrate sugli obbiettivi raggiunti dai propri dirigenti, visto che lo stesso Governo ha stigmatizzato le cifre fornite per fini di marketing da parte dell'Agenzia delle entrate siano quantomeno discutibili ed in netta contraddizione con i dati ufficiali forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze;
    e) procedere, nel caso venisse riconosciuta la palese incongruenza dei dati forniti dall'Agenzia delle entrate da quelli pubblicati dal Ministero dell'economia e delle finanze e il legame di tali dati alla determinazione dei premi di produttività, alle opportune segnalazioni ai fini dell'accertamento di eventuali responsabilità e in merito all'eventuale danno erariale qualora si trattasse di premi distribuiti senza l'avvenuto raggiungimento degli obbiettivi previsti;
   a quanto ammonti il controvalore complessivo delle controversie pendenti al 31 dicembre 2014;
   quando pensi di ottemperare alle disposizioni del decreto ministeriale 11 aprile 2008 in tema di giudici tributari, in modo da rispettare l'organico previsto e accelerare il recupero delle entrate fiscali dovute per controversie pendenti arretrate;
   quale sia il controvalore totale effettivamente sentenziato a favore della pubblica amministrazione, tra ricorsi favorevoli, giudizi intermedi, conciliazioni e condoni, definito dai 308.019 ricorsi del 2014, utilizzando gli scaglioni presenti nel documento citato del Ministero dell'economia e delle finanze (da 0 a 20 mila euro, da 20 mila euro a 1 milione, oltre 1 milione di euro e valore indeterminabile, a fronte dei 40.917.357.825 euro di valore della controversia indicati, tra CTP e CTR;
   quali siano i costi diretti e indiretti complessivi imputabili alla giustizia tributaria per l'anno 2014;
   quale sia l'ammontare delle spese di giudizio per l'anno 2014 attribuite a carico della pubblica amministrazione e in compensazione, ripartite per i citati scaglioni basati sul valore della controversia;
   se non intenda favorire un rapido iter di ogni iniziativa normativa volta a tutelare in modo reale la figura del cosiddetto «whistleblower» (ovvero colui che lavorando all'interno di un'organizzazione, di un'azienda pubblica o privata si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività, decide di segnalarlo all'interno dell'azienda stessa o all'autorità giudiziaria o all'attenzione dei media, per porre fine a quel comportamento), come ad esempio la proposta di legge n. 1751 presentata il 30 ottobre 2013 alla Camera andando a colpire eventuali comportamenti intimidatori da parte del datore di lavoro o altre figure apicali a volte tese solo a intimidire i lavoratori per evitare ulteriori fughe di notizie su malagestio o altro.
(2-01026) «Pesco, Ruocco, Alberti, Fico, Pisano, Villarosa, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Brescia, Brugnerotto, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è di alcune settimane fa la notizia che l'Unione europea ha deciso di autorizzare l'uso del latte in polvere per la produzione casearia;
   la decisione dell'Unione europea ha sollevato un coro pressoché unanime di critiche. Produttori, consumatori, uomini di cultura ed esperti di alimentazione hanno concordato sul fatto che l'unico beneficio dall'uso di latte in polvere nell'industria casearia è, appunto, quello di avere minori costi di trasporto e di conservazione a tutto discapito della qualità del prodotto finale;
   la rivista specializzata L'Informatore Agrario ha pubblicato nel numero 26/2015 un interessante articolo del professor Geremia Gios sul tema dell'utilizzo di latte in polvere nell'industria casearia e sulle possibili difese da parte della nostra produzione casearia di qualità;
   va da sé che non sono sicuramente i nostri agricoltori, come quelli di ogni altro Paese comunitario, ad avvantaggiarsi di questa malintesa interpretazione della libera concorrenza. Come non se ne avvantaggeranno le nostre piccole industrie di trasformazione o la nostra filiera del latte;
   la normativa nazionale e comunitaria difetta, innanzitutto, nel fatto che non si obbliga ad apporre in etichetta l'origine della materia prima latte;
   a giudizio del professor Gios e dell'odierno interrogante, si ha l'impressione che un passo alla volta si creino condizioni per cui diventa sempre più difficile salvaguardare le produzioni di qualità italiane. Quelle produzioni in cui conta anche l'origine del prodotto agricolo e le modalità con cui esso è stato ottenuto e non solo la «ricetta» con cui si arriva al prodotto agroalimentare finale;
   probabilmente, il tempo di difendere i segni distintivi della nostra produzione agroalimentare in modo diverso, con un'altra strategia, è giunto;
   non dovremmo più limitarci a difendere i nostri marchi, i nostri simboli, le nostre produzioni dalla contraffazione «sic et simpliciter», ma dovremmo impostare una politica della ricerca scientifica che dimostri che i prodotti ottenuti in un certo modo sono, alla lunga, meno salubri di altri. Di tal modo che si potrà chiedere alle Istituzioni europee che i costi per differenziare sul mercato i prodotti siano a carico di chi produce alimenti di qualità inferiore;
   solo se dimostra che c’è un interesse collettivo a non avere esternalità negative al momento della produzione, o della trasformazione, o del consumo si potrà contrastare l'accettazione acritica di regole basate sui teorici modelli della concorrenza perfetta;
   occorre uno sforzo congiunto di produttori, mondo della ricerca ed ente pubblico per produrre un'adeguata documentazione scientifica quale base necessaria per una rivisitazione del quadro complessivo entro cui si colloca la politica agricola comunitaria;
   a questo sforzo, a giudizio dell'interrogante, non può sottrarsi il Governo ed i suoi enti di ricerca scientifica agroalimentare –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per stanziare dei fondi straordinari per avviare un serio programma di ricerca nel senso inteso in premessa;
   quali provvedimenti ed iniziative intenda adottare per difendere la nostra produzione agroalimentare di qualità e con essa l'agricoltura italiana. (4-09710)


   MASSIMILIANO BERNINI, DAGA, VIGNAROLI, FRUSONE, DI BATTISTA, LOMBARDI e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 1o gennaio 2013 vige uno stato di emergenza in relazione alla non potabilità dell'acqua destinata al consumo umano, in conseguenza della concentrazione di arsenico superiore ai 10 microgrammi per litro, limite imposto dal decreto legislativo n. 31 del 2001;
   tale stato di emergenza giunge dopo 10 anni e tre proroghe triennali per adeguarsi a quanto richiesto dalla Commissione europea che nel luglio 2014 ha aperto una procedura d'infrazione contro l'Italia per la contaminazione dell'acqua da arsenico, in particolare nel Lazio;
   nonostante sia stata approvata la legge regionale n. 5 del 2014 che prevede la ridefinizione degli ATO per bacini idrografici, non è stata ancora approvata la parte di ridefinizione dei bacini idrografici per mancanze della giunta regionale e del consiglio regionale;
   a causa da quanto esposto in precedente premessa la gestione da Talete potrebbe passare ad Acea non lasciando quindi presagire nulla di nuovo per quanto riguarda la risoluzione del problema arsenico nelle acque;
   sarebbero gli abitanti di 64 comuni del Lazio ad essere esposti in maniera costante e continuata, a partire dalla metà degli anni ’80, ai nocivi effetti sulla salute umana derivanti dall'assunzione di acqua contenente arsenico, ampiamente documentati dalla letteratura scientifica internazionale e da studi epidemiologici condotti dall'ISS (Istituto superiore di sanità);
   uno studio del dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario della regione Lazio, pubblicato ad aprile 2012, ha registrato tra il 2005 e 2011, nei comuni dove la concentrazione di arsenico è superiore a 20 microgrammi, un aumento della mortalità per tutti i tipi di tumore (in particolare polmone e vescica), ipertensione, ischemia cardiaca e diabete nella provincia di Viterbo e del 12 per cento per i tumori in quella di Latina;
   il limite massimo di concentrazione di arsenico nelle acque destinate al consumo umano è di 10 microgrammi per litro, limite considerato provvisorio dall'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) a causa della difficoltà di rilevazione e di rimozione dell'arsenico, e la stessa OMS ne raccomanda la riduzione pressoché totale;
   nel marzo 2011 la Commissione europea ha concesso alla regione Lazio la terza deroga sul contenuto di arsenico nell'acqua da erogare: il limite è stato innalzato dai 10 microgrammi per litro previsti dalla direttiva 98/83/CE, a 20 microgrammi per litro. La Commissione europea indica la data del 31 dicembre 2013 come termine improrogabile per riportare i valori di arsenico contenuti nell'acqua nei limiti consentiti dalla normativa comunitaria;
   l'articolo 10 del decreto legislativo n. 31 del 2001 sancisce l'obbligo di informativa ai cittadini in ordine ai provvedimenti adottati da parte di sindaci, gestori, azienda sanitaria locale ed autorità d'ambito;
   l'articolo 12 prevede l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte della regione nel caso di inerzia delle autorità locali nell'adozione dei provvedimenti necessari alla tutela della salute umana;
   l'articolo 12 prevede l'obbligo da parte della regione di rendere possibile un approvvigionamento idrico d'emergenza per fornire acqua in quantità e per il periodo necessario a far fronte alle contingenze ed esigenze locali;
   con o.p.c.m. 3921 del 28 gennaio 2011 il Presidente della regione Lazio, Renata Polverini, è nominata commissario delegato per l'emergenza relativa alla concentrazione di arsenico, superiore ai limiti di legge, nelle acque destinate all'uso umano, riscontrata in alcuni comuni della regione Lazio;
   nonostante la spesa per la messa in opera di vari impianti di dearsenificazione nella provincia di Viterbo ammonti a circa ventuno milioni di euro, i dati Asl di Viterbo di giugno mettono in evidenza una situazione drammatica per i comuni dell'intera provincia;
   sul sito internet della ASL di Viterbo è possibile infatti leggere che ben sette comuni superano i limiti massimi di presenza di arsenico nell'acqua;
   in particolare nel comune di Civita Castellana nei serbatoi Barco e Faleri che alimentano il centro storico, i valori riferiti alla presenza di arsenico nell'acqua sono rispettivamente di 45 e 34,5 microgrammi per litro, mentre nel comune di Vetralla su 17 punti di rilevazione, 12 superano il limite di 10, tre addirittura la soglia dei 30;
   su alcuni quotidiani locali è possibile leggere che «in conseguenza di questi sforamenti, la ASL di recente ha multato i comuni di Vetralla e Civita Castellana, la Talete e i gestori (ovvero le due ditte che hanno realizzato gli impianti di dearsenificazione)» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa e di quali informazioni disponga in merito a quanto posto in essere dalla struttura commissariale con riferimento alla problematica descritta in premessa. (4-09721)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   con reggio decreto 6 giugno 1940, n. 3344, è stata assentita al consorzio del Ticino la concessione della costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago Maggiore (traversa della Miorina);
   i livelli massimi di oscillazione della regolazione dei livelli idrometrici del lago sono stati stabiliti con disciplinare allegato alla concessione n. 3680 del 24 gennaio 1940, poi rivisto nella stagione 1948/1949 previo accordo con la Confederazione elvetica, secondo un limite invernale individuato nel periodo 15 novembre-15 marzo, posto tra –0,50 (+192,516 s.l.m.) e + 1,50 (+194,516 s.l.m.) rispetto allo zero idrometrico di Sesto Calende fissato a +193,016 s.l.m. ed un regime estivo nel periodo successivo compreso tra –0,50 e +1,00 (+194,016 s.l.m.);
   l'Autorità di bacino del fiume Po con deliberazione n. 1/2015 del 12 maggio 2015, ha autorizzato l'avvio della sperimentazione della regolazione estiva dei livelli del lago Maggiore consentendo, attraverso un protocollo di sperimentazione, un aumento progressivo del livello estivo di regolazione del lago individuato nel periodo 15 marzo-15 settembre, portandolo da +1,00 a +1,50 (+194,516 s.l.m.) mediante fasi intermedie: per il primo triennio a +1,25 (+194,266 s.l.m.) valutando poi il successivo innalzamento a + 1,30 (+194,316 s.l.m.) sino ad arrivare a +1,50;
   sulla sperimentazione sono stati interpellati i comuni rivieraschi del lago Maggiore solo nell'ultima seduta della conferenza di servizi nella quale sono state assunte le decisioni definitive; in quella sede i comuni hanno espresso il proprio dissenso (parere contrario) rispetto al previsto innalzamento progressivo del livello del lago, che implica l'equiparazione del regime invernale a quello estivo, senza soluzione di continuità;
   l'autorizzazione all'avvio della sperimentazione è stata concessa su richiesta del Consorzio del Ticino, a quanto consta agli interpellanti senza verificare, in via preventiva, le ragioni effettive della richiesta, al di là della ordinaria esigenza di regolazione del regime lacustre;
   il maggior invaso estivo del lago, tenuto conto anche dell'aumento del livello dell'acqua conseguente alle frequenti precipitazioni, stante la notevole estensione del bacino imbrifero del lago medesimo, determina significativi inconvenienti quali: la riduzione dell'estensione delle spiagge e rilevanti rischi quali straripamenti e danni in caso di intemperie e precipitazioni; effetti di rigurgito sugli scarichi a lago, di fognature e tombinature; allagamenti di zone paludose emergenti con ristagno e intorbidimento delle acque e allontanamento della fauna ittica; ricadute negative sulla navigabilità del lago; l'aumento del livello lacustre non consente, inoltre, le necessarie operazioni di manutenzione dei manufatti spondali a protezione di opere pubbliche ed infrastrutture viarie; occorre, infine, considerare anche i notevoli, volumi d'acqua trattenuti dai bacini artificiali posti a monte del lago, sia in territorio italiano che elvetico –:
   se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative il Governo intenda assumere, ai fini della salvaguardia degli equilibri degli ecosistemi lacuali, per prevenire e limitare al massimo possibili eventi di esondazione del lago, conseguenti al nuovo regime di regolazione dei livelli dell'acqua, e per contrastare le conseguenze negative sulla redditività e competitività dei servizi e sulle attività produttive legate alla ricettività turistica del lago.
(2-01025) «Borghi, Bonomo, Capozzolo, Covello, Braga, Mariani, Tacconi, Anzaldi, Bergonzi, Bazoli, Prina, Carrescia, Arlotti, Paolo Rossi, Bonavitacola, Bratti, Culotta, Fabbri, Baruffi, Casati, Vico, Chaouki, Marco Meloni, Cardinale, Capone, Marco Di Stefano, Benamati, Dell'Aringa, Francesco Sanna, Giovanna Sanna».

Interrogazione a risposta immediata:


   CALABRÒ, DE MITA e DE GIROLAMO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio della regione Campania sono stoccate – in circa 22 siti – circa 4.000.000 di ecoballe, che rappresentano un'emergenza ambientale per la regione;
   la gestione dei siti di stoccaggio costa ai cittadini campani circa 15.000.000 euro annui per le attività di gestione, sorveglianza, monitoraggio, prelievo e smaltimento del percolato, nonché per canoni di affitto (11 siti di stoccaggio risultano di proprietà privata);
   per tali ecoballe si sono prospettate, nel tempo, diverse soluzioni per lo smaltimento definitivo, senza che, ad oggi, si sia mai trovata una soluzione definitiva;
   la Commissione europea ha deferito la Repubblica italiana innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea (causa C-653/13), in quanto l'Italia non avrebbe adottato le misure necessarie per conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia nella causa C-297/08, nella quale è stato dichiarato che «la Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 4 e 5 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti»; conseguentemente «la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 260, paragrafo 1, TFUE»;
   la sentenza della Corte di giustizia, che sarà depositata il 16 luglio 2015, verosimilmente condannerà l'Italia a pesanti sanzioni pecuniarie per l'inadempimento della regione Campania nella definizione e attuazione del piano regionale di gestione dei rifiuti e, probabilmente, anche per la vicenda delle ecoballe –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda assumere al fine di garantire lo smaltimento delle ecoballe, anche in considerazione dell'ipotesi che la Corte di giustizia potrebbe condannare l'Italia ad una sanzione pecuniaria di circa 90.000.000 di euro all'anno.
(3-01597)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   MARTELLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Confturismo Veneto, nei giorni scorsi, ha denunciato, attraverso i media, un episodio singolare che rischia, però, di provocare non pochi danni ad un comparto strategico quale quello del turismo lungo le coste venete;
   attraverso lo smartphone connettendosi dalla spiaggia di Bibione Pineda in provincia di Venezia mediante una apposita app per verificare le condizioni meteo, in tempo reale, risultava la previsione di prevalentemente nuvoloso con rischio temporali pur in presenza di ottime condizioni climatiche;
   la diffusione degli smartphone e delle app concernenti le previsioni meteo, che sono tra le più «cliccate», soprattutto, in questo periodo, fa sì che si tratti di strumenti che possono influenzare non poco la scelta delle località turistiche;
   già negli anni precedenti sono state denunciate dagli operatori turistici situazioni di questo tipo tant’è che è stato coniato il termine di «meteo terrorismo»;
   il limite di attendibilità delle previsioni, secondo l'Aeronautica militare, non supera i tre giorni e, paradossalmente, il sito meteo dell'Aeronautica non ha la stessa popolarità di altri siti «settoriali»;
   la inattendibilità di alcune previsioni rischia di determinare non poche ripercussioni negative ai danni del comparto turistico –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per implementare, in particolare, per le località turistiche di maggiore richiamo, uno specifico servizio pubblico di informazioni meteo, anche con applicazioni per smartphone e altri supporti elettronici, in maniera da assicurare la massima attendibilità possibile e non pregiudicare l'attività degli operatori.
(4-09716)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI e BECHIS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla testata Marine Corps Time a partire dal prossimo autunno reparti del US Marine Corps saranno imbarcati a bordo di unità navali di Paesi alleati schierate nel Mediterraneo;
   l'iniziativa, denominata Allied Maritime Basing Initiative (AMBI) è stata avviata dal US Department of Defense per fronteggiare la scarsità di navi anfibie statunitensi dispiegate nel Mediterraneo, causata dall'esigenza di mantenere una maggiore presenza di questo tipo in Asia, con la conseguente rimozione dal Mediterraneo della Marine Expeditionary Unit tipicamente presente;
   secondo quanto dichiarato dal portavoce dei Marines in Europa e Africa, capitano Richard Ulsh, la prima nave europea ad essere impiegata per il preposizionamento di unità dell’US Marine Corps nell'abito dell'AMBI sarà la nave ammiraglia italiana Cavour, che ospiterà unità dei Marines e relativi mezzi, armi ed equipaggiamenti a partire dal mese di settembre 2015;
   al Cavour, seguirà a novembre la nave anfibia Ocean della Royal Navy e, in seguito, si aggiungeranno anche navi fornite da Spagna, Francia e Olanda;
   la nave Cavour ospiterà anche alcuni convertiplani e, a questo proposito, il capitano Ulsh ha affermato che sarà necessario valutare la compatibilità delle navi europee per accertarsi che siano in grado di gestire il peso e il calore generato dai convertiplani, nonché la compatibilità degli ascensori e degli hangar; pertanto, a settembre, alcuni convertiplani tipo MV-22B Osprey dell'USMC saranno impegnati nella conduzione di test a bordo della nave Cavour;
   il capitano Ulsh ha dichiarato che i test sulla nave Cavour saranno effettuati prima dello svolgimento della grande esercitazione Trident Juncture;
   Trident Juncture si terrà tra il 1o ottobre e il 6 novembre 2015 in Italia, Spagna e Portogallo e porterà alla validazione della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la nuova componente della NATO Response Force costituita principalmente quale strumento impiegabile nell'ambito dell'attuale scenario di crisi con la Russia;
   all'esercitazione Trident Juncture parteciperanno anche elementi della Special Purpose Marine Air-Ground Task Force-Crisis Response-Africa (SP-MAGTF), forza dell’US Marine Corps composta da circa 1.700 militari e attualmente basata a terra e suddivisa tra Spagna, Italia e Romania;
   secondo il Marine Corps Time, le unità imbarcate sulle navi europee saranno probabilmente appartenenti alla SP-MAGTF –:
   se trovi conferma quanto riportato riguardo al dispiegamento di unità dell’US Marine Corps a bordo della nave Cavour in un periodo in cui la stessa ammiraglia della flotta italiana sarà impegnata a guidare la missione EU NAVFOR Med e, in caso affermativo, a quale catena di comando risponderanno i militari statunitensi imbarcati sulla nave della Marina militare. (5-05994)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, PESCO, ALBERTI e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la De Masi è un gruppo aziendale che si occupa di costruzioni meccaniche, costruzione di macchine agricole, manutenzioni meccaniche e servizi portuali ed occupa un totale di circa 260 lavoratori, ed è diversificato in diverse realtà produttive come: la «De Masi Costruzioni Srl», con sede a Gioia Tauro (RC), che produce macchine ed attrezzature per l'agricoltura con 43 dipendenti assunti a tempo indeterminato e 15 dipendenti a tempo determinato impiegati nel periodo di picco produttivo; la «De Masi S.p.A.», con sede a Rizziconi (RC), che si occupa della commercializzazione di macchine, attrezzi e prodotti per l'agricoltura, alla manutenzione delle attrezzature portuali e delle navi container realizzate all'interno dell'area portuale di Gioia Tauro con personale altamente specializzato e che impiega circa 100 dipendenti; alcune altre aziende attive nella logistica e movimentazione merci all'interno dell'area portuale con circa 50 dipendenti; un'azienda che si occupa della zincatura di metalli e della carpenteria metallica leggera che occupa 40 dipendenti; la «Agriter Srl» con sede a Vibo Valentia, che si occupa della commercializzazione di macchine e prodotti per l'agricoltura con 12 dipendenti;
   grazie agli accordi di collaborazione con diverse università, la De Masi ha depositato numerosi brevetti industriali a tutela delle nuove tecnologie implementate;
   la famiglia De Masi da sempre investe in maniera importante per la crescita delle aziende, cercando sbocchi in nuovi mercati come quello australiano dove sono presenti due diverse aziende di proprietà che si occupano della commercializzazione dei prodotti;
   la De Masi si contraddistingue anche per le numerose battaglie per la legalità che i componenti della famiglia hanno combattuto per assicurare la vita delle proprie imprese ed il lavoro ai propri dipendenti ed Antonino De Masi, titolare dell'azienda, è stato più volte insignito di premi proprio per le sue battaglie per la legalità;
   in data 19 dicembre 2014, sul sito di informazione «lacnews24.it», veniva pubblicata la notizia riguardante il contenzioso aperto tra la De Masi e le banche che starebbero portando l'azienda al fallimento. Nell'articolo era indicata anche la situazione di disagio vissuta dai lavoratori per i quali si sarebbe dovuto iniziare il procedimento di cassa integrazione in deroga;
   da fonti sindacali, pare non sia stata avviata la promessa cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga per i lavoratori, stante la perdurante crisi in cui versa l'azienda. Per la precisione, sempre da informazioni sindacali, sono state presentate due richieste: una che va dal 1o settembre 2014 al 31 dicembre 2014 e un'altra che va dal 1o gennaio 2015 al 31 maggio 2015, in relazione alle quali si stanno ancora aspettando i relativi decreti di approvazione che, da notizie non ufficiali, sarebbero all'attenzione del Ministero dell'economia e delle finanze per la definitiva approvazione. Dal giorno 1o settembre 2014 alla data del deposito di detto atto parlamentare, i lavoratori non hanno percepito alcuna somma promessa, cosa che ha portato loro e le loro famiglie a vivere in evidente disagio economico. Lo stato di povertà dei lavoratori che da circa nove mesi non percepiscono alcun compenso, genera un più che evidente stato di assoluta urgenza per la risoluzione della situazione descritta;
   in data 24 aprile 2015, veniva riportata la notizia della firma, al Ministero dello sviluppo economico, di un memorandum of understanding tra i rappresentanti del gruppo De Masi e delle banche Unicredit, MPS e BNL-BNP, che pone solide basi per concludere positivamente il contenzioso in materia legale e finanziaria che da molti anni li vede contrapposti –:
   se corrisponda al vero la notizia che i lavoratori della De Masi non abbiano ancora usufruito della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga promessa e, se la notizia corrispondesse a verità, per quale motivo non sia stato ancora attivato il procedimento concordato dal Governo con le parti sociali;
   sempre se la notizia corrispondesse al vero, se i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, non intendano attivarsi per corrispondere ai lavoratori, nell'immediato, le somme loro spettanti della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, comprese quelle arretrate a decorrere dal 1o settembre 2014. (5-05990)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI BATTISTA, PETRAROLI e SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreti del Ministro in indirizzo portanti nn. 16 e 17 dell'8 febbraio 2013 veniva disposta, previo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo, la sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria, rispettivamente della Banca Popolare di Spoleto spa e della Spoleto Credito e Servizi società cooperativa, sua controllante;
   i predetti decreti venivano adottati, ai sensi dell'articolo 70 TUB, in seguito all'invio delle risultanze istruttorie effettuate dalla Banca d'Italia al Ministro interrogato;
   l'articolo 70 citato dispone, infatti, che «Il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche»;
   di conseguenza la facoltà di scelta in capo al Ministro interrogato, implica una valutazione discrezionale e di opportunità che il Ministro stesso è obbligato ad effettuare a seguito delle risultanze dell'autorità di vigilanza;
   con sentenze del 18 dicembre 2014 il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quarta) ha annullato i decreti de quibus dichiarandoli illegittimi in quanto il Ministro ha totalmente omesso di svolgere un'istruttoria autonoma rispetto a quella della Banca d'Italia e neppure ha effettuato una valutazione critica delle «gravi irregolarità nell'amministrazione» evidenziate dall'autorità di vigilanza;
   secondo il Consiglio di Stato il Ministro dell'economia e delle finanze «avrebbe dovuto eseguire un'attività istruttoria, anche al fine di dare contezza della sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi necessari ad attivare la procedura di amministrazione straordinaria nonostante, da un lato, il mutamento delle condizioni patrimoniali della Banca Popolare di Spoleto s.p.a. e, dall'altro, il giudizio positivo della Lega Nazionale Cooperative e Mutue»;
   si consideri, inoltre, che i commissari dell'amministrazione straordinaria, Giovanni Boccolini, Gianluca Brancadoro e Nicola Stabile, avrebbero dovuto operare, sotto la supervisione della Banca d'Italia, al fine di garantire sia la regolarizzazione dell'attività aziendale sia la piena tutela dei diritti dei depositanti e dei creditori sociali;
   come riportato dall'Adusbef e da organi di informazione, i commissari straordinari hanno però rifiutato la ricapitalizzazione della Banca per oltre 100 milioni di euro ed hanno deciso di offrire la banca popolare di Spoleto al Banco Desio e della Brianza;
   a seguito dell'ingresso del Banco di Desio all'interno della compagine azionaria il controllo della Popolare di Spoleto è difatti passato dai vecchi soci proprio alla Banca Desio: la Spoleto Crediti e Servizi, che prima aveva il 51 per cento, è scesa ad un irrilevante 13 per cento;
   ciò, infatti, è avvenuto attraverso un aumento di capitale che, secondo alcuni organi di stampa, avrebbe portato a «diluire» tutti i soci di minoranza, a cominciare dalla Spoleto Credito e Servizi e i suoi 20 mila risparmiatori: si è trattato però di un aumento di capitale, valutato oltre 90 milioni di euro, che si è attuato attraverso il conferimento di 32 sportelli bancari del gruppo Desio, sparsi tra Lazio e Toscana, che sono stati, appunto, conferiti a Bps a fronte dell'emissione di oltre 50 milioni di nuove azioni ordinarie, prive dell'indicazione del valore nominale, ad un prezzo unitario di pari a 1,812 euro, riservato a Banco Desio;
   come denunciato da alcuni organi di stampa e da alcune associazioni dei consumatori, i valori azionari detenuti dai risparmiatori, sono stati completamente azzerati da una operazione dannosa per 21.000 soci azionisti della banca con danni che sono stati stimati tra i 300 e i 500 milioni di euro;
   gli interroganti non possono esimersi dal rilevare come l'avvio dell'amministrazione straordinaria abbia, da un lato, contribuito a determinare un mutamento dell'assetto proprietario della banca;
   l'amministrazione straordinaria, poi dichiarata illegittima, ha altresì determinato, dall'altro lato, un ingente danno ai soci ed ai risparmiatori della Popolare come si evidenziava in precedenza;
   il Ministro in indirizzo, per il tramite del Sottosegretario Zanetti, in riscontro ad un'interrogazione a risposta immediata in Commissione portante n. 5-05070 e nel predetto decreto del 20 aprile 2015, ha evidenziato che la valutazione negativa espressa dalla Banca d'Italia, ex articolo 56 TUB, in ordine all'aumento di capitale che era stato ipotizzato dalla Banca Popolare di Spoleto prima del commissariamento, sarebbe stata motivata dalla circostanza che la componente azionaria di tale rafforzamento patrimoniale ammontava, nell'immediato, a 30 milioni di euro;
   come esposto in precedenza, però, agli interroganti risulta che l'aumento di capitale proposto dalla BPS sarebbe stato di 100 milioni di euro;
   al riguardo è stata altresì presentata l'interrogazione a risposta immediata in Commissione, portante n. 5-05130, a firma dei deputati Alessio Villarosa e Daniele Pesco, con la quale veniva chiesto al Ministro in indirizzo «quale posizione intenda assumere a seguito della decisione del Consiglio di Stato e come ritenga di poter rimediare al danno patrimoniale subito dagli azionisti a seguito dell'ingiusto commissariamento»;
   la risposta fornita dal sottosegretario Zanetti all'interrogazione 5-05130 è stata del tutto insufficiente in quanto ha rinviato alla risposta data alla precedente interrogazione n. 5-05070 del 18 marzo 2015, che, a parere degli interroganti, è stata a sua volta del tutto incompleta;
   la posizione del Ministro in indirizzo sulle sentenze del Consiglio di Stato e sulle vicende della BPS è però emersa unicamente a seguito di un recente provvedimento del 20 aprile 2015;
   difatti gli interroganti hanno appreso che il Ministro dell'economia e delle finanze ha reiterato, in data 20 aprile 2015, il decreto del febbraio 2013 con cui era stata disposta l'amministrazione straordinaria della banca Popolare di Spoleto, poi annullato, come si è visto, dalle succitate sentenze del Consiglio di Stato;
   nel decreto con il quale viene reiterato «ora per allora» il precedente provvedimento di commissariamento, non risulta agli interroganti se il Ministro abbia proceduto ad effettuare una propria autonoma istruttoria, ma l'atto sembra essere stato adottato nuovamente a seguito di una adesione, per relationem, alle considerazioni e valutazioni della Banca d'Italia;
   dal medesimo decreto del 20 aprile 2015, si evince altresì che, oltre alle perdite patrimoniali, la Banca d'Italia sembra aver fatto riferimento a gravi violazioni nell'amministrazione e gravi violazioni normative, ma, nel provvedimento, non si specifica in cosa consistano tali violazioni né risulta che il Ministro abbia effettuato una valutazione critica delle risultanze dell'organo di vigilanza;
   si consideri, infine, che con il predetto decreto del 20 aprile 2015 si è disposto, all'articolo 1, «lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Banca Popolare di Spoleto S p A con sede in Spoleto (PG) e la sottoposizione della stessa alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 70 comma 1, lett. a) e b) del t.u.b.» (comma 1), con effetto «a partire dall'8 febbraio 2013» (comma 2);
   pertanto, a parere degli interroganti, essendo il decreto del 20 aprile 2015, un provvedimento che è intervenuto «ora per allora», con efficacia retroattiva, deve considerarsi tutt'oggi in vigore l'amministrazione straordinaria della BPS;
   conseguentemente deve ritenersi annullata la delibera dell'assemblea degli azionisti in sede ordinaria di Banca Popolare di Spoleto spa che ha nominato, in data 30 luglio 2014, il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale per gli esercizi 2014-2016 sulla base delle liste presentate dall'azionista di maggioranza Banco di Desio e della Brianza spa e dall'azionista di minoranza Spoleto Credito e Servizi, soc. cop. in A.S.: CONSIGLIO D'AMMINISTRAZIONE – Presidente Stefano Lado, Vice Presidente Vicario Luciano Colombini, Consiglieri Claudio Broggi, Graziella Bologna, Pier Antonio Cutellè, Argante Del Monte, Giada Fantini, Giuseppe Listanti, Maria Rita Mantovani, Marino Marrazzà, Alessandro Pellicciotta, – COLLEGIO SINDACALE: Presidente Francesco de Petra, Sindaci Effettivi Giulia Pusterla, Francesco Pozzoli, Supplenti, Elisabetta Ciuffa, Katia Amplorella;
   allo stesso tempo dovranno considerarsi annullati e posti nel nulla anche tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti –:
   per quali ragioni il Ministro interrogato abbia omesso completamente di svolgere un'istruttoria autonoma rispetto a quella della Banca d'Italia e di effettuare una valutazione critica delle risultanze della Banca d'Italia relativamente alla Banca Popolare di Spoleto;
   quali siano le risultanze dell'istruttoria che hanno portato il Ministro interrogato ad adottare il provvedimento del 20 aprile 2015, con il quale si reitera, «ora per allora», il decreto del febbraio 2013 con cui era stata disposta l'amministrazione, straordinaria della banca Popolare di Spoleto;
   per quali ragioni, nel decreto del 20 aprile 2015, il Ministro interrogato abbia di nuovo omesso di indicare, salvo un rinvio per relationem, in cosa sarebbero consistite le gravi violazioni nell'amministrazione e le gravi violazioni normative messe in atto dalla Banca Popolare di Spoleto, e per quale ragione il Ministro abbia completamento omesso di procedere a valutazioni critiche in relazione alle violazioni rilevate dall'autorità di vigilanza bancaria;
   se trovi conferma che l'importo proposto dalla Banca Popolare di Spoleto per l'aumento di capitale, prima dell'amministrazione straordinaria, è stato pari a 100 milioni di euro anziché 30 milioni come riportato nella risposta all'interrogazione di cui in narrativa;
   se qualora, attraverso l'amministrazione straordinaria, poi dichiarata illegittima, siano stati cagionati ingenti danni agli azionisti della Banca Popolare di Spoleto con che modalità ed in che misura intenda procedere per quanto di competenza perché si giunga al ristoro di tutti i danni conseguenti all'illegittimo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo della Popolare spoletina;
   se dal punto di vista giuridico, il decreto ministeriale del 20 aprile 2015 abbia determinato, intervenendo «ora per allora», che l'amministrazione straordinaria debba considerarsi ancora in vigore con conseguente annullamento della delibera dell'assemblea degli azionisti in sede ordinaria di Banca Popolare di Spoleto S.p.A. che ha nominato, in data 30 luglio 2014 il consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale e di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti. (4-09707)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) ha prorogato al 31 dicembre 2015 le detrazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, compresi gli interventi sulle parti comuni e su tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio;
   il sito dell'Agenzia delle entrate ben illustra tutti gli adempimenti utili e necessari all'ottenimento della detrazione, specificando che l'agevolazione fiscale consiste in detrazioni Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) o Ires (Imposta sul reddito delle società) ed è concessa quando si eseguono interventi che aumentano il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti;
   la detrazione, che è pari al 65 per cento per i costi documentati e sostenuti dal contribuente dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2015, è riconosciuta per le spese affrontate per: la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento, il miglioramento termico dell'edificio (coibentazioni – pavimenti – finestre comprensive di infissi), l'installazione di pannelli solari, la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale e deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo;
   il limite massimo di risparmio ottenibile con la detrazione (euro 100.000, euro 60.000 e euro 30.000, a seconda del tipo di intervento) va riferito all'unità immobiliare oggetto dell'intervento stesso;
   possono usufruire della detrazione tutti i contribuenti residenti e non residenti, anche se titolari di reddito d'impresa, che possiedono, a qualsiasi titolo, l'immobile oggetto di intervento; in particolare, sono ammessi all'agevolazione: le persone fisiche, compresi gli esercenti arti e professioni, i contribuenti che conseguono reddito d'impresa (persone fisiche, società di persone, società di capitali), le associazioni tra professionisti e gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale;
   nulla viene invece indicato dagli uffici dell'Agenzia delle entrate circa il luogo di approvvigionamento dei materiali utili agli interventi di riqualificazione energetica consentendo di fatto l'acquisto anche presso aziende situate in altri Stati dell'Unione europea, nella fattispecie nei Paesi confinanti quali Austria, Slovenia, Francia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, anche normative intenda porre in essere al fine di ridurre il fenomeno descritto, a tutela delle aziende italiane, specificando chiaramente che l'ottenimento della detrazione fiscale è subordinato all'acquisto esclusivo, presso aziende con sede sul territorio italiano, di materiali volti al risparmio energetico. (4-09714)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la normativa vigente prevede che le aziende edili e dell'indotto edile, situate sul territorio italiano ed identificate dall'Agenzia delle entrate con il codice Ateco 2007, acquistando dei materiali professionali da altre aziende site sul territorio italiano sono soggette al pagamento dell'imposta sul valore aggiunto con un'aliquota del 10 per cento oppure del 22 per cento;
   a differenza di quanto stabilito dallo Stato italiano, nella vicina Repubblica di Slovenia non è prevista l'applicazione di imposte per l'acquisto tra imprese;
   l'Agenzia delle entrate prevede che le imprese edili e dell'indotto edile qualora abbiano maturato un credito iva superiore ai 15 mila euro annui, a seguito della notifica da parte di un dottore commercialista, possano chiederne il rimborso;
   nei giorni scorsi, gli organi di informazione hanno riportato l'allarme lanciato da Confartigianato Trieste per aver registrato una crescita esponenziale di fatture emesse all'estero che testimoniano la «fuga» in atto da parte delle imprese edili con sede legale nel territorio friulano-giuliano, verso la vicina Slovenia, per l'acquisto di materiali utili per la loro attività;
   tale meccanismo consente alle aziende edili e dell'indotto del settore di non essere soggette all'anticipo dell'imposta prevista, di evitare le procedure utili alla richiesta di rimborso e di maturare un credito iva –:
   se il Ministro interrogato intenda intervenire per sanare le criticità citate in premessa attraverso l'introduzione sul territorio della regione Friuli Venezia Giulia di meccanismi di fiscalità di vantaggio a tutela del lavoro e del commercio locale, ponendo altresì rimedio alle perdite tributarie subite dall'erario. (4-09715)


   PISO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 giugno 2015 si è svolto il consiglio di amministrazione di Atac spa, nel quale l'amministratore delegato ha riferito che il risultato economico e consuntivo 2014 si è concluso con una perdita pari a 141 milioni di euro;
   sempre secondo dati elaborati dall'Atac nel Reporting gestionale al 30 aprile 2015, la perdita stimata per il primo semestre dell'anno in corso ammonta a 60 milioni di euro;
   sempre nel corso del consiglio di amministrazione sopra richiamato, il management di Atac ha quindi preso atto che l'azienda si trova nelle condizioni di cui all'articolo 2447 del codice civile;
   i vertici dell'Atac ritengono possibile fronteggiare questa situazione procedendo ad una ricapitalizzazione della società mediante 40 milioni di euro cash che dovrebbero essere erogati dal comune ed attraverso il conferimento dei nuovi treni Caf per un valore di circa 140 milioni di euro;
   allo stato, nel bilancio comunale di Roma Capitale, non esiste tuttavia alcuna specifica previsione che autorizzi a ritenere fondata l'ipotesi di un'erogazione di 40 milioni di euro per ricapitalizzare l'azienda;
   su questi dati negativi, che di fatto determinano un clamoroso fallimento del piano industriale aziendale che prevedeva un sostanziale pareggio entro il 2015, hanno pesato molte scelte politiche gestionali sbagliate, aggravate da inammissibili ritardi della giunta capitolina nell'approvazione del nuovo contratto di servizio (tutt'ora non completata): solo quest'ultima inadempienza è costata all'Atac almeno 6 milioni di euro mese da gennaio ad oggi;
   preoccupa inoltre l'ancor più inspiegabile blocco delle procedure che il Campidoglio avrebbe dovuto attivare per valorizzare il patrimonio immobiliare dell'Atac, considerato, ad oggi, come una delle principali garanzie del pesante indebitamento dell'azienda verso le banche;
   ove tale inspiegabile quanto ostinata inettitudine amministrativa dovesse prolungarsi, è evidente che, a scadenza, le banche potrebbero pretendere una rivalutazione dei rischi complessivi dell'esposizione aziendale;
   per quanto riguarda la ricapitalizzazione, è bene ricordare che lo stesso Ministero dell'economia e finanze nei rilievi presentati all'Atac in data 10 giugno 2014, nella relazione sulla verifica amministrativa contabile firmata dal dottor Quirino Cervellini (rilievi poi ribaditi in una nota del Ministero dell'economia e delle finanze del 3 febbraio 2015), si afferma che l'ente locale deve provvedere ad un'eventuale ricapitalizzazione sulla base di un «programma industriale o una prospettiva che realizzi l'economicità e l'efficienza della gestione nel medio e lungo periodo» (Corte dei conti, sezione di controllo Lombardia n. 220/2012 e sezione di controllo Piemonte n. 61/2010);
   negli stessi documenti vengono espresse considerazioni sull'utilizzo di beni in natura ai fini della ricapitalizzazione, sottolineando come si configuri una responsabilità di danno erariale ove tali conferimenti si svolgano al di fuori di una logica di risanamento e riequilibrio dell'azienda beneficiaria;
   il verbale del consiglio di amministrazione del 30 giugno 2015 e ancor più il Reporting gestionale al 30 aprile 2015 dimostrano per tabulas il fallimento del piano industriale dell'Atac ed una perdita tendenziale di almeno altri 100-120 milioni di euro per il 2015, prefigurando così condizioni per la ricapitalizzazione non compatibili con i richiami del Ministero dell'economia e delle finanze e con la giurisprudenza consolidata della Corte dei conti;
   tutta questa situazione risulta ancora più pericolosa per l'azienda di trasporto ove si considerino gli incerti destini dell'amministrazione Marino, decimata dagli arresti e dagli avvisi di garanzia e da una complessa dialettica all'interno delle varie istituzioni preposte a valutare un eventuale scioglimento per mafia. Tutti elementi che potrebbero, da un momento all'altro, determinare una caduta dell'amministrazione, privando Atac del suo naturale interlocutore ed azionista di riferimento –:
   se il Ministro interrogato intenda richiedere al servizio ispettivo di finanza pubblica lo svolgimento di una nuova verifica sulla situazione dell'Atac, alla luce dei fatti richiamati in premessa, valutando in tale sede se gli strumenti individuati dal comune e dall'Atac siano coerenti con i richiami formulati dal Ministero dell'economia e delle finanze e con quanto stabilito dalla consolidata giurisprudenza della Corte dei conti. (4-09725)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa Ansa e Dire del 23 giugno 2015, la situazione del tribunale di sorveglianza di Bologna «è drammatica»;
   a parlarne lanciando l'allarme, è stato, in una conferenza stampa, il presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto, il quale ha deciso di convocare i giornalisti il giorno successivo l'agitazione proclamata dall'Associazione nazionale magistrati in modo da evitare di «essere affogati» nei problemi generali della giustizia bolognese in quanto la sorveglianza «ha delle peculiarità di cui non si tiene affatto conto»;
   negli ultimi sei anni — ha spiegato Maisto – il personale si è ridotto del 37 per cento, mentre le competenze sono aumentate di dieci volte tanto, soprattutto di recente per volontà del Governo;
   il problema principale della sorveglianza bolognese — ha detto Maisto – è dunque nei numeri ridotti, di magistrati e di personale di cancelleria. A Bologna i giudici sono quattro più il presidente, come da organico, ma uno è in malattia e per far fronte al lavoro «ne servirebbero il doppio». Vacante è il posto previsto a Modena, cui fanno supplenza i giudici di Bologna. Ancora più seria è la questione a Reggio Emilia dove c’è un solo magistrato (sarebbero due, da organico), competente anche su Parma e Piacenza, con circa 1.200 detenuti da giudicare, più ovviamente i casi di persone in libertà. Non è molto più bassa la media di detenuti per ciascuno degli altri magistrati;
   altre problematiche e rischi paventati dal presidente Maisto riguardano: 1) il fatto che, a breve, potrebbero non essere più a disposizione le sette unità di polizia penitenziaria che fanno lavoro di supporto negli uffici, perché dovranno riprendere servizio nelle carceri; 2) l'assenza del direttore amministrativo, «in prestito» una volta ogni 15 giorni da Modena, con l'effetto di difficoltà a pagare periti ed esperti; 3) il venir meno della risorsa del volontariato che, con il passaggio delle province alla città metropolitana, non vede il riconfermarsi di quelle convenzioni che avevano svolto un ruolo significativo per far fronte all'immane mole di lavoro quotidiano;
   caso clamoroso rappresentato nel corso della conferenza stampa è quello di Reggio Emilia: sui due magistrati di sorveglianza di Reggio Emilia ricadono i territori di Reggio, Parma e Piacenza, con due carceri (che ospitano anche i detenuti in regime di 41-bis e i «sex offender»), l'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio che è ancora aperto, le nuove Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) e il Cdt (centro diagnostico terapeutico) di Parma, che smista i detenuti pericolosi. «A Reggio Emilia eravamo due magistrati con 600 detenuti a testa, numeri altissimi. Adesso sono sola, ha spiegato il giudice di sorveglianza Maria Giovanna Salsi. E anche la situazione del personale è drammatica: a pieno organico dovrebbero essere nove persone, invece sono cinque di cui uno part time. Tra loro poi ci sono un commesso e un autista, che non possono apporre timbri e non hanno potere di firma» — ha aggiunto Salsi lanciando l'allarme: Basta solo che due persone si ammalino contemporaneamente, o che qualcuno vada in ferie mentre uno è malato, che il tribunale non può aprire, perché non c’è personale a ricevere gli atti, le carte cadrebbero a terra;
   il Consiglio superiore della magistratura ha assegnato all'ufficio di sorveglianza di Modena due magistrati ordinari in tirocinio, i quali però prenderanno servizio solo a dicembre 2015, mentre la corte di appello, diversamente che in passato, non ha rinnovato l'applicazione esterna con magistrati di altro tribunale;
   le agenzie di stampa Ansa e AdnKronos del 6 luglio 2015 riportano le dichiarazioni della segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini la quale, a proposito di quanto sopra descritto, oltre a denunciare il fatto che la situazione diverrà ancora più esplosiva per le risposte che il tribunale di sorveglianza di Bologna dovrà necessariamente dare alle richieste dei permessi estivi dei detenuti, si dichiara pronta ad intraprendere forme di lotta nonviolenta se l'emergenza in atto non dovesse rapidamente rientrare considerato che sono in gioco diritti umani fondamentali –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   come intenda far fonte all'emergenza degli organici riguardante il tribunale di sorveglianza di Bologna e dei suoi uffici;
   in particolare:
    a) se corrisponde al vero che le 7 unità di polizia penitenziaria che fanno un necessario lavoro di supporto negli uffici del tribunale di sorveglianza di Bologna, riprenderanno a breve servizio nelle carceri;
    b) se intenda intervenire per rimpiazzare la figura mancante del direttore amministrativo la cui assenza provoca le omissioni descritte in premessa;
    c) se intenda farsi promotore di un'iniziativa atta a ripristinare quelle convenzioni con il volontariato venute meno con il passaggio di competenze dalle province alla città metropolitana;
    d) cosa intenda fare per rimpiazzare gli organici mancanti del personale di cancelleria;
    e) con riferimento alla corte d'appello, se intenda richiedere l'applicazione esterna con magistrati di altro tribunale;
   quale sia oggi sul territorio italiano la situazione degli organici, sia dei magistrati che del personale di cancelleria e di altri ruoli dei singoli tribunali di sorveglianza e dei loro uffici. (4-09723)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in relazione ai lodi arbitrali riguardanti i piani di ricostruzione dei comuni di Ancona, Ariano Irpino e Macerata, come deputati del gruppo 5 stelle in data 14 aprile 2015 gli interpellanti hanno presentato l'interrogazione a risposta orale in Commissione (5-05331); in data 29 aprile 2015 una interrogazione a risposta scritta (4-08994) entrambe ancora senza risposta benché la questione riguarda un esborso dello Stato di circa 2 miliardi di euro;
   il quotidiano La Voce delle Voci, del 15 aprile 2015, ricostruisce le vicende relative ai predetti lodi arbitrali e sostiene: «E l'incredibile esito, in soldoni, è che in un colpo solo l'arbitrato Longarini azzera tutti i fondi disponibili per il trasporto locale che – secondo alcune stime – necessitava di somme urgenti pari ad almeno 600 milioni di euro. A rischio alcune opere «strategiche» come la Torino-Lione: si tratta di cifre da autentico brivido, una su tutte: i posti di lavoro in pericolo sono un vero esercito, fra i 35 e i 40 mila, Una parola dall'ex ministro Lupi ? Niente. Qualche commento dal neo ministro per le infrastrutture Graziano Del Rio ? Silenzio. E resta muto come un pesce anche Di Pietro che rintracciato dall'inviato di Libero Giacomo Amadori, risponde a monosillabi: «non so nulla, sono in campagna a Montenero di Bisaccia». Si ricorda di quei tre arbitrati ? «Non mi ricordo proprio niente». Longarini, non ricorda ? «Non so di cosa sta parlando, mi ha beccato in campagna. Buonasera». Abbiamo chiesto lumi ad un esperto in materia di reati contro la pubblica amministrazione. «Una storia davvero incredibile, Anomalie a non finire. Ci sarebbe da capire molto in questa vicenda che presenta troppi lati oscuri. Gli importi, poi, mi sembrano assolutamente stratosferici, e anche qui andrebbe effettuata una verifica ad hoc». Circa l'importo, a quanto pare, è una cifra assolutamente record. Tale da superare lodi arbitrali tra colossi nazionali. Un esempio, leggiamo dal Corriere della Sera del 24 marzo: «Arbitrato tra Edison ed Eni – Vale almeno 800 milioni il rimborso chiesto dalla Edison all'Eni sulla revisione dei prezzi del contratto per le forniture di gas dalla Libia. Una richiesta rispedita al mittente attivando un arbitrato internazionale, che si sta avviando alla conclusione. La procedura è stata avviata nell'autunno 2012, contestualmente all'annuncio con cui è stata notificata alle parti la vittoria di Edison nel primo arbitrato, quello del 2010»;
   27 maggio 2015 il quotidiano Corriere della Sera, con ampio spazio, illustra i tre lodi arbitrali che vedono, finora, la soccombenza dello Stato; sul medesimo tema il quotidiano Libero del 28 maggio 2015 pubblica un articolo in cui si da conto, tra l'altro, che un procuratore della Repubblica di Roma ha ordinato il sequestro del fascicolo del procedimento presso la corte d'appello di Roma e ha inviato la guardia di Finanza a presidiare l'aula il 27 maggio 2015 ove era in corso la causa tra lo Stato ed Edoardo Longarini, ex concessionario;
   la causa riguarda il lodo di Ancona per il quale il collegio arbitrale ha condannato lo Stato a pagare un risarcimento di 1,2 miliardi di euro. Cifra che sommata a quella delle condanne subite per i lodi di Ariano Irpino e Macerata (250 milioni di euro), porta, fino ad ora, ad un totale di circa 1,5 miliardi di euro. Una somma simile a quella stanziata dal Governo per dare copertura al decreto legge n. 65 del 2015 con il quale si procederà alla parziale restituzione, ad una piccola parte dei pensionati italiani, delle somme indebitamente sottratte loro, come stabilito dalla nota sentenza della Corte costituzionale. Una somma degna di conquistare il guinness dei primati e che, ad avviso degli interpellanti, non è dovuta dallo Stato;
   infatti la legge n. 317 del 1993 ha cancellato i piani di ricostruzione post bellica e ha stabilito i criteri per il calcolo delle opere eseguite dai concessionari: «I lavori relativi a lotti di piani di ricostruzione già affidati con atti di concessione annullati con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 7 ottobre 1992, sono contabilmente definiti con riferimento allo stato di avanzamento dei lavori esistente alla data di emanazione del decreto di annullamento. Il comma 3 dell'articolo 2 della legge 12 agosto 1993, n. 317, va interpretato nel senso che per le concessioni di lavori relativi ai lotti di ricostruzione già affidati con atti di concessione annullati con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 7 ottobre 1992, resta confermata la perdita di efficacia e che la loro definizione contabile va effettuata con riferimento allo stato di avanzamento alla data di emanazione del decreto di annullamento, data di cessazione dei lavori»;
   la data di cessazione dei lavori dei piani di ricostruzione dei comuni di Ancona, Ariano Irpino e Macerata è il giorno 8 ottobre 1992, giorno in cui il signor Longarini è stato arrestato con l'accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato, per le vicende legate ai predetti piani di ricostruzione. Pertanto, in base alla legge, la definizione contabile dei lavori eseguiti a quella data (data di cessazione dei lavori) deve essere effettuata in base agli stati di avanzamento dei lavori effettivamente realizzati a quella data e liquidare o farsi restituire le eventuali differenze. Per quanto attiene i lodi di Ariano Irpino e Macerata, gli interpellanti richiamano integralmente il contenuto delle due interrogazioni, senza risposta, citate in premessa. Si aggiunge però la vicenda che riguarda i due citati piani in riferimento alle «dimissioni» del professor Malinconico da Presidente del Collegio per il piano di Macerata. Stando alla nota del Capo di gabinetto del Ministro (protocollo 4347 dell'8 maggio 2008) facendo riferimento ad una temporanea astensione dall'incarico del professor Carlo Malinconico, riteneva che «il Collegio arbitrale, come originariamente costituito, potesse procedere nelle sue attività». Ma emerge anche un'altra versione, Stando al verbale del 27 giugno 2008 approvato dal Collegio arbitrale composto per il piano di ricostruzione di Ariano Irpino (signori Nunziata, Gamberale Messina), ad un certo punto si sostiene «che all'udienza del 22 maggio 2008 venne depositata la convenzione sottoscritta in data 22 maggio 2008 (anche in questo caso nello stesso giorno), dal signor Edoardo Longarini e dall'ingegner Mario Mautone, direttore generale del Ministero delle infrastrutture, con la quale le parti, posto che la controversia insorta in dipendenza dei lavori concernenti il piano di ricostruzione del comune di Macerata, era ancora devoluta ad un collegio arbitrale composto dal professor Malinconico, Presidente, ingegner Gamberale e avvocato Domenico Condello, costituitosi in data 26 giugno 2007, e che successivamente il professor Malinconico rinunciava all'incarico, confermavano di devolvere ad un collegio arbitrale la soluzione della controversia insorta in dipendenza dei lavori del Piano di ricostruzione di Macerata e confermavano di devolvere tale controversia al medesimo Collegio Arbitrale già costituito per la risoluzione del lodo di Ariano Irpino, e ciò «in ragione della suddetta attinenza di questioni giuridiche e tecniche, e pertanto per ragioni di economicità, speditezza ed efficienza della procedura arbitrale. Tutto ciò premesso il Collegio di dichiara di accettare come formalmente accetta con la sottoscrizione del presente verbale, l'incarico di risolvere la controversia relativa al piano di ricostruzione di Macerata e adotta le seguenti determinazioni: ..... «Firmato Nunziata, Gamberale, Messina, Giuffrè, Rufini, Marconi, in pratica un Collegio arbitrale si è autodevoluto il lodo arbitrale di Macerata e autonominato collegio arbitrale unico senza neanche tenere conto che il medesimo Collegio è stato formato dal Ministro e non da un direttore del Ministero stesso. Come detto sopra i due lodi sono stati resi esecutivi con lo stesso Decreto. In riscontro alla richiesta dell'Avvocatura di fornire le proprie valutazioni ai fini dell'impugnativa di tale lodo la Direzione Generale del Ministero richiamava tra le altre motivazioni e pregiudiziali processuali anche la nullità del compromesso alla luce della revoca delle concessioni disposta dalla legge n. 317 del 1993, già intervenuta quando Longarini aveva formulato la domanda di arbitrato. Anche in questo caso tutti i rilievi sono stati semplicemente ignorati. Infatti con riferimento ai lodi arbitrali esecutivi per i piani di ricostruzione di Ariano Irpino e Macerata il signor Edoardo Longarini, con atto di precetto del 23 febbraio 2011, notificato il 1o marzo 2011, ha intimato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il pagamento dell'importo di euro 254.236.165,43. A tale atto di precetto è seguito un atto di pignoramento in data 18 marzo 2011 per l'importo di 381.354.248,14. In seguito alla rideterminazione dell'importo di cui all'atto di precetto effettuata da parte dell'ufficio centrale del bilancio e sulla base di apposito parere dell'Avvocatura Generale dello Stato è stato emesso un decreto di pagamento (n. 7630 del 2 maggio 2011) mediante la speciale procedura in conto sospeso per l'importo di euro 250.097.010,94 relativo alla sola sorte capitale e interessi. I lodi arbitrali sono stati impugnati davanti alla Corte d'Appello di Roma;
   i compensi per gli arbitri e i segretari dei due collegi (poi unificati «per ragioni di economicità, speditezza ed efficienza della procedura arbitrale») ma con parcelle separate, sono stati autodeliberati:
    per il lodo di Ariano Irpino in euro 1.187.481,37; il Collegio è composto da: presidente Vincenzo Nunziata, avvocato Ignazio Messina per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Vito Gamberale per Longarini e Segretari: Maria Caterina Giuffrè, Rita Rufini e Guglielmo Marconi. Per il lodo di Macerata in euro 1.346.252,56; per oneri e diritti di precetto in euro 1.728,34. Il Collegio è composto dal Presidente professor Carlo Malinconico (che successivamente rinuncia) e il lodo viene «devoluto» al precedente Collegio presieduto da Vincenzo Nunziata; Domenico Condello per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Vito Gamberale per Longarini. Segretari: Guglielmo Marconi, Rita Ruffini (rispettivamente dipendenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Sergio Fidanzia. In totale si sono autodeliberati la somma di 2.535.462,27 euro. Si tratta ad avviso degli interpellanti, di ripetute violazioni delle norme di legge vigenti riguardanti l'entità dei compensi per i Collegi arbitrali. L'articolo 241, comma 12, del decreto legislativo n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici), dispone tra l'altro che: «Sono comunque vietati incrementi dei compensi massimi legati alla particolare complessità delle questioni trattate, alle specifiche competenze utilizzate e all'effettivo lavoro svolto. Il compenso per il collegio arbitrale, comprensivo dell'eventuale compenso per il segretario, non può comunque superare l'importo di centomila euro, da rivalutarsi ogni tre anni con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti»;
   per quanto riguarda il piano di ricostruzione del comune di Ancona, con atto B3/3149 del 28 luglio 2006 tra il Ministro Di Pietro e Longarini viene stipulata «una convenzione d'arbitrato in materia non contrattuale articolo 808-bis c.p.c.» con la quale si stabiliva che «la futura controversia relativa alla quantificazione e alla liquidazione dei danni conseguenti alla mancata emanazione, in favore della Società Adriatica Costruzioni Ancona a r.l., del decreto d affidamento dei lavori di cui al progetto del 21 gennaio 1987 ... omissis ... per cui è già intervenuta condanna generica con sentenza della Corte di Appello di Roma n. 4502/05, sia decisa da un collegio di tre arbitri rituali». Appare agli interpellanti «stupefacente», definire «futura» una controversia che è iniziata anni prima. Con nota UDC/Gabinetto n. 13056 del 5 settembre 2006 il Ministro autorizzava il direttore per l'edilizia statale e gli interventi speciali «ad assumere i necessari provvedimenti di approvazione della convenzione d'arbitrato specificando che con successiva determinazione avrebbe provveduto ad individuare l'arbitro di parte». La Convenzione d'arbitrato è stata approvata con decreto direttoriale B3/3150 del 6 settembre 2006. Anche in questo caso in meno di 24 ore. Inoltre con nota UDCGAB n. 1867 del 6 febbraio 2007 il Capo di Gabinetto «nel ritenere condivisibile l'emendamento prospettato dal Longarini con lettera del 30 gennaio 2007 volto ad ampliare la scelta delle professionalità cui riferirsi per il conferimento dell'incarico di arbitro» invitava il Direttore Generale «a voler formalizzare la modifica della clausola convenzionale, come prospettata dalla controparte». Con decreto direttoriale B3/3021 del 14 febbraio 2007 viene approvato l'atto aggiuntivo sottoscritto il giorno precedente. Anche questo «passaggio» suscita qualche perplessità nella struttura ministeriale al punto che il direttore scrive al capo di gabinetto un appunto personale manifestando dubbi sulla legittimità della convenzione sottoscritta. Infatti l'articolo 808-bis recita: «(Convenzione di arbitrato in materia non contrattuale). Le parti possono stabilire, con apposita convenzione, che siano decise da arbitri le controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali determinati. La convenzione deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall'articolo 807,» Inoltre la legge n. 317 del 1993 dispone: «i lavori relativi a lotti di piani di ricostruzione già affidati con atti di concessione annullati con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 7 ottobre 1992, sono contabilmente definiti con riferimento allo stato di avanzamento dei lavori esistente alla data di emanazione del decreto di annullamento. Il comma 3 dell'articolo 2 della legge 12 agosto 1993, n. 317, va interpretato nel senso che per le concessioni di lavori relativi ai lotti di ricostruzione già affidati con atti di concessione annullati con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 7 ottobre 1992, resta confermata la perdita di efficacia e che la loro definizione contabile va effettuata con riferimento allo stato di avanzamento alla data di emanazione del decreto di annullamento, data di cessazione dei lavori». Una legge che sembra sfuggita a tanti ma non a tutti tanto che, in occasione del cosiddetto decreto «taglia leggi» del Ministro Calderoli, è stata cassata proprio la norma interpretativa. La vicenda è stata resa pubblica da un articolo del giornalista Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera che denuncia «il regalo a Longarini». Il Ministro fa marcia indietro sostenendo che si è trattato di una «svista». Ma le «sviste» non finiscono qui. Ad avviso degli interpellanti gli attori dei lodi arbitrali non hanno tenuto conto neanche della legge 24 dicembre 2007 n. 244 articoli 3, commi 19, 20 e 21 che stabilisce:
    «19. È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di inserire clausole compromissorie in tutti i loro contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi ovvero, relativamente ai medesimi contratti, di sottoscrivere compromessi, Le clausole compromissorie ovvero i compromessi comunque sottoscritti sono nulli e la loro sottoscrizione costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale per i responsabili dei relativi procedimenti.
    20. Le disposizioni di cui al comma 19 si estendono alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente dalle pubbliche amministrazioni di cui al medesimo comma, nonché agli enti pubblici economici ed alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente da questi ultimi.
    21. Relativamente ai contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi già sottoscritti dalle amministrazioni alla data di entrata in vigore della presente legge e per le cui controversie i relativi collegi arbitrali non si sono ancora costituiti alla data del 30 settembre 2007, è fatto obbligo ai soggetti di cui ai comuni 19 e 20 di declinare la competenza arbitrale, ove tale facoltà sia prevista nelle clausole arbitrali inserite nei predetti contratti; dalla data della relativa comunicazione opera esclusivamente la giurisdizione ordinaria. I collegi arbitrali, eventualmente costituiti successivamente al 30 settembre 2007 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge, decadono automaticamente e le relative spese restano integralmente compensate tra le parti.»;
   la citata norma sarebbe dovuta entrare in vigore dal 1o gennaio 2008 ma il decreto-legge n. 248 del 2007 cosiddetto mille proroghe, emanato il 28 dicembre 2007 (lo stesso giorno della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge n. 244 del 2007), l'articolo 15 che proroga l'applicazione del precitato articolo 3, commi 19, 20, 21 e 22 «al 1o luglio 2008», ad avviso degli interpellanti la motivazione che induce i diversi attori (MIT, Funzionari Collegi arbitrali e il Longarini) ad accelerare le procedure negli ultimi giorni di giugno 2008, potrebbe essere la «provvidenziale proroga» che permetteva di non incappare nei divieti che scattano dal 1o luglio, anziché dall'originario 1o gennaio 2008, Se la proroga potrebbe aver reso possibile il «miracolo» della devoluzione del lodo di Macerata al Collegio costituito per il lodo di Ariano Irpino, la medesima disciplina non avrebbe salvato il lodo arbitrale di Ancona in quanto il Collegio non era ancora stato costituito alla data del 1o luglio 2008. Eppure anche in questo caso, il capo di gabinetto con nota del 5 agosto 2008, n. 9854 chiede all'avvocatura generale dello Stato di individuare un avvocato dello Stato ai fini della nomina dell'arbitro di competenza dell'amministrazione. Il 21 agosto del 2008 l'Avvocatura ha nominato l'avvocato dello Stato Aurelio Vessichelli. Con atto del 21 agosto 2008 n. 116 (nello stesso giorno, in pieno periodo ferragostano), il capo di gabinetto Iafolla del Ministro Matteoli, ha nominato l'avvocato Vessichelli in qualità di rappresentante della parte pubblica, l'avvocato Greco in qualità di mandatario del Longarini e di comune accordo tra i due venne nominato «quale terzo arbitro, con funzioni di Presidente, il dottor Pasquale De Lise». Il dottor De Lise, in data 17 maggio 2010 ha rinunciato all'incarico (come il professor Malinconico nel lodo per Macerata). Il 9 luglio 2010 fu nominato, dall'avvocato Vessichelli «quale rappresentante della parte pubblica, su delega del capo di Gabinetto cons. Claudio Iafolla, d'ordine del ministro» (Matteoli), dall'avvocato Greco in qualità di mandatario del signor Longarini, quale terzo arbitro il professor avvocato Aldo Pezzana. L'esito dell'arbitrato si è concluso con il lodo parziale in data 26 marzo 2012 e il lodo definitivo del 26 luglio 2012, e ha condannato l'amministrazione al pagamento di 1.201.105.077,00 oltre interessi e metà delle spese, diritti e onorari di lite a favore del Longarini. Con l'emanazione di una successiva ordinanza, il Collegio ha disposta la liquidazione dei compensi agli arbitri (cioè a loro stessi) e ai segretari, nonché alle spese di funzionamento del collegio arbitrale, nelle seguenti somme: 12.000.000,00 di euro per gli arbitri, 1.200.000,00 euro per i segretari e 620.000,00 euro per il CTU (importi al netto dell'IVA, degli oneri previdenziali e del CPA). La Direzione Generale per gli affari generali ed il personale, con nota 5849/u del 21 novembre 2012, ha rilevato che «le ingenti richieste» del Collegio, non corrispondono assolutamente a quanto effettivamente liquidabile in applicazione della vigente normativa e ha chiesto «di revocare la suddetta ordinanza, rideterminando le somme da liquidare sulla base dei parametri fissati» in base a quanto disposto dall'articolo 241 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici) che dispone: «Sono comunque vietati incrementi dei compensi massimi legati alla particolare complessità delle questioni trattate, alle specifiche competenze utilizzate e all'effettivo lavoro svolto. Il compenso per il collegio arbitrale, comprensivo dell'eventuale compenso per il segretario, non può comunque superare l'importo di centomila euro, da rivalutarsi ogni tre anni con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti». Il lodo emanato dal collegio condanna il MIT a pagare euro 1.201.105.077,00, il collegio riesce a quantificare «per lavori non realizzati – varianti, mancata percezione dei flussi di cassa euro 350.286.372; per mancata percezione indennità di evoca euro 43.931.378; per lavori non realizzati – prescrizioni, mancata percezione dei flussi di cassa euro 230.137.559; per mancata percezione indennità di revoca euro 73.866.092; per fallimento della Edizioni Locali s.r.l. euro 51.943.218 e per danno immagine euro 57.195,479, euro 807.360.098 che ad avviso degli interpellanti non c'entrano nulla con quanto prescrive la legge n. 317 del 1993 che recita: «Il comma 3 dell'articolo 2 della legge 12 agosto 1993, n. 317, va interpretato nel senso che per le concessioni di lavori relativi ai lotti di ricostruzione già affidati con atti di concessione annullati con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 7 ottobre 1992, resta confermata la perdita di efficacia e che la loro definizione contabile va effettuata con riferimento allo stato di avanzamento alla data di emanazione del decreto di annullamento, data di cessazione dei lavori». Si domandano gli interroganti come abbiano potuto i componenti del collegio: Presidente e del Collegio Pasquale De Lise, sostituito dall'avvocato Aldo Pezzana, Gaetanino Longobardi per Longarini (forse in sostituzione dell'avvocato Greco), e avvocato dello Stato Aurelio Vessichelli per il MIT, riconoscere importi in danno per lo Stato per ambiti che nulla hanno a che vedere con la realizzazione di tratte stradali e con gli stati di avanzamento lavori per la realizzazione dei piani di ricostruzione. Si domandano altresì come è stato possibile che a fronte della richiesta di arbitrato «il petitum», cioè la cifra oggetto del contenzioso quantificata in 300.000.000,00 euro sia salita e sia stata esaminata senza alcuna obiezione dell'esimio Collegio, una richiesta risarcitoria del signor Longarini pari a 4.850.326.688,00, Infatti stando a quanto descritto nel lodo finale: «in particolare l'attore (Longarini) quantificava la sua pretesa risarcitoria in euro 4.850,326.668,00 mentre l'Avvocatura dello Stato proponeva varie eccezioni pregiudiziali e contestava nel merito le conclusioni della relazione peritale»; in effetti il petitum passa da 300.000.000,00 circa a 4.850.326.668,00. Una pretesa che moltiplica per 16 volte quella originaria su cui il Collegio arbitrale è stato costituito. Circostanza che non risulta evidenziata dal Collegio stesso benché sia stato affidato «l'incarico di Presidente del Collegio arbitrale per la risoluzione della controversia «Signor Edoardo Longarini c/Ministero delle infrastrutture e dei trasporti», nominato dalle parti». Risulta altresì l'entità del Petitum di 300.000.000,00 euro circa, alla data di novembre 2008;
   l'insieme degli avvenimenti sopra descritti evidenziano, ad avviso degli interpellanti, la costruzione di un disegno volto a ottenere dallo Stato somme ingentissime, quantificabili finora a circa 2 miliardi di euro, cifra superiore al «tesoretto» e alla somma stanziata per far fronte, mediante decreto-legge n. 65 del 2015, alla sentenza della Corte costituzionale in materia di pensioni per milioni di pensionati –:
   se risulti agli atti come sia stato possibile che:
    a) siano stati costituiti lodi arbitrali in contrasto con il parere dell'Avvocatura Generale dello Stato come nel caso di Macerata;
    b) sulla base di quali indirizzi un direttore del Ministero ingegner Mauro Mautone, abbia firmato, in data 22 maggio 2008, la convenzione sottoscritta con il signor Edoardo Longarini, per devolvere la controversia relativa al Piano di ricostruzione di Macerata al collegio già costituito per il piano di Ariano Irpino e che nello stesso giorno, la convenzione sia stata depositata al collegio costituito per il Piano di ricostruzione di Ariano Irpino e che il collegio abbia potuto dichiarare di accettare, come formalmente ha accettato con la sottoscrizione del verbale, l'incarico di risolvere la controversia relativa al piano di ricostruzione di Macerata; e come abbia potuto il Capo di Gabinetto sostenere che il collegio privo della figura del Presidente «potesse procedere nelle sue attività, salvo inglobare lo stesso Collegio in quello costituito per Ariano Irpino»;
    c) il Collegio «unificato» abbia depositato due distinti lodi e due distinte parcelle per i compensi dei componenti il collegio arbitrale e che gli stessi collegi abbiano prodotto due ordinanze di liquidazione dei compensi spettanti ai Componenti in somme di 2,5 milioni di euro, abnormemente superiori al limite imposto dalla legge di 100.000,00 euro;
    d) per il piano di ricostruzione di Ancona, sia stato costituito un lodo arbitrale basato su controversie future, quando la controversia è iniziata in data antecedente alla costituzione del Collegio e alla richiesta del lodo;
   per quali motivi il Ministro pro tempore abbia accolto le proposte emendative proposte dal Longarini sulle figure professionali da includere nel Collegio esaminante il lodo stesso e se tale deroga sia prevista dalla normativa e se risulti agli atti per quali motivi il Ministro e il Capo di gabinetto abbiano ritenuto di soprassedere rispetto alle segnalazioni di gravi violazioni di legge prodotte dalla struttura ministeriale imponendo di proseguire sui lodi anche contra lege;
   su quali basi i lodi siano stati pronunciati considerato che la legge n. 317 del 1993 fa esplicito riferimento, ai fini della liquidazione contabile dei lavori eseguiti, agli stati di avanzamento lavori alla data di cessazione dei lavori (8 ottobre 1992), mentre risultano risarcite somme che nulla hanno a che vedere con i lavori oggetto delle concessioni dei piani di ricostruzione, come ad esempio il fallimento delle Edizioni Locali del Longarini, i lavori non eseguiti e persino il danno all'immagine di una persona all'epoca condannata in primo grado a 10 anni per truffa aggravata ai danni dello Stato proprio per i piani di ricostruzione;
   come sia stato possibile che a fronte di un petitum di 300 milioni di euro il collegio arbitrale abbia discusso su una pretesa risarcitoria del Longarini moltiplicata di 16 volte e pari a 4,8 miliardi di euro senza nulla eccepire e che in apparente contrasto con il decreto legislativo n. 163 del 2006 i Collegi arbitrali abbiano emesso ordinanze per la liquidazione dei propri compensi di gran lunga superiori al tetto di centomila euro stabilito dalla legge e fino a 14 milioni di euro nel caso del lodo di Ancona;
   se e quali misure intendano attuare per evitare l'esborso miliardario dei tre lodi arbitrali anzidetti e per recuperare le somme già versate per i lodi e per i compensi dei componenti dei collegi compresi i segretari e se e come intenda recuperare la differenza tra il tetto massimo di centomila euro previsto dalla legge e quanto deciso dalle ordinanze emesse dai tre collegi e quali iniziative intenda assumere nei confronti dei responsabili delle eventuali violazioni di leggi ai danni dello Stato in relazione a quanto descritto in premessa.
(2-01027) «Agostinelli, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano».

Interrogazione a risposta immediata:


   PRESTIGIACOMO, PALESE, CATANOSO, RICCARDO GALLO, GIAMMANCO e FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 aprile 2015, sull'autostrada A19 Catania-Palermo, all'altezza del viadotto Himera, al chilometro 61, tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli, in direzione del capoluogo etneo, hanno ceduto due piloni a causa di un movimento franoso che ha interessato la strada provinciale n. 24 Scillato-Caltavuturo;
   a quasi tre mesi dal verificarsi del fenomeno di dissesto, il viadotto Himera risulta ancora chiuso ed impraticabile e l'autostrada A19, unica infrastruttura di collegamento tra la parte occidentale e quella orientale della Sicilia, è completamente bloccata;
   il 3 luglio 2015 è stato pubblicato, sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il piano degli interventi, predisposto dal commissario delegato Marco Guardabassi, di attuazione delle misure per il superamento dell'emergenza in seguito al movimento franoso che ha interessato il viadotto Himera 1 dell'autostrada A19 Palermo-Catania verificatosi ad aprile 2015;
   tale piano prevede la demolizione/decostruzione della carreggiata in direzione Catania, l'intervento di adeguamento della strada provinciale n. 24 alle condizioni necessarie per la circolazione del traffico veicolare autostradale e l'intervento di realizzazione della rampa di innesto in autostrada;
   la stima dei costi di attuazione ammonta a più di nove milioni di euro e i tempi sono stati stimati «in via precauzionale» al «massimo dei tempi amministrativi e operativi nell'ambito comunque di procedure emergenziali, che consentano di evitare al massimo i disagi della brutta stagione per restituire quanto prima l'arteria al trasporto di merci e persone»;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha tentato di chiarire, con una nota, che si potrebbe arrivare «alla durata di un mese anziché i due mesi previsti, con conseguente gara e affidamento dei lavori auspicabilmente all'inizio del mese di agosto»;
   il 14 aprile 2015 il Ministro interrogato tranquillizzava la popolazione locale e gli autotrasportatori, recandosi di persona a fare un sopralluogo e dichiarando: «Abbiamo studiato efficacemente una soluzione che dovrebbe consentire nell'arco di tre mesi da oggi di ripristinare il traffico con un piccolo bypass. I tecnici sono molto tranquilli sui tempi di realizzazione, penso che daremo una risposta molto rapida perché parliamo di un tratto di strada di un chilometro e mezzo»;
   nella realtà la deviazione è di più di 20 chilometri e passa attraverso strade tortuose di montagna, tanto da creare seri problemi agli spostamenti nell'isola;
   al progetto di ripristinare un volo aereo sulla tratta Palermo-Catania non è stato dato seguito, né si è parlato di migliorare l'infrastruttura ferroviaria;
   i Governi, nazionale e regionale, hanno deciso di cassare il progetto del ponte di Messina, ma nel contempo non hanno investito in quelle infrastrutture di trasporto e mobilità di cui la Sicilia ha assoluta necessità;
   la regione Sicilia è in balia di un degrado strutturale, al quale né il Governo nazionale, né quello regionale pare sappiano porre un limite –:
   quali iniziative, a parte quelli che gli interroganti giudicano i consueti proclami, il Governo abbia concretamente posto in essere al fine di intervenire sullo stato drammatico della viabilità in Sicilia e quali siano i tempi reali per un ripristino effettivo e dignitoso del collegamento fra la parte orientale e quella occidentale dell'isola. (3-01603)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 Gennaio 2015, in vigore dal 4 maggio 2015, in attuazione dell'articolo 1, comma 94 della legge 147 del 2013 (stabilità 2014), ha disposto che le funzioni relative alla tenuta e alla gestione degli Albi provinciali degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, in precedenza svolte dalle province, spettino agli uffici della motorizzazione civile nel rispettivo ambito territoriale di competenza;
   nonostante le istruzioni dettate dal Ministero dei trasporti agli uffici della motorizzazione per rendere operativo detto passaggio di competenze (contenute nella circolare ministeriale n. 2 del 13 maggio scorso), permangono numerose problematiche che, di fatto, stanno rallentando le pratiche per le iscrizioni all'Albo degli autotrasportatori di cose per conto di terzi e al Registro elettronico nazionale (REN), da parte delle nuove imprese;
   in particolare, risulta che molti uffici della MCTC abbiano difficoltà a mettere in atto le predette istruzioni anche per quelle pratiche che, in ottemperanza dell'Accordo Stato – Città ed autonomie locali del 23 aprile scorso, sono già state istruite dalle province ed in ordine alle quali l'unica attività richiesta alle motorizzazioni è quella di effettuare una «semplice verifica di correttezza formale dell'istruttoria stessa e logicità giuridico – sostanziale degli argomenti esposti nella relazione e nello schema di provvedimento proposto (dalla Provincia)»;
   le difficoltà di funzionamento delle motorizzazioni si stanno appalesando anche rispetto alle operazioni di revisione dei mezzi pesante. Infatti, le nuove procedure introdotte dal Ministero dei trasporti con la circolare prot. 8259 RU del 1o aprile 2015 (che prevedono dei tempi standard in relazione alla tipologia del veicolo da revisionare), richiedono la disponibilità di un numero di personale congruo al fine di non rallentare lo svolgimento delle predette operazioni, con inevitabili ripercussioni per le imprese di autotrasporto;
   la circolare ministeriale prima citata ha acconsentito alla possibilità di incrementare il numero delle prenotazioni per ciascuna seduta, tenuto conto della «quantità e del profilo del personale di aiuto eventualmente disponibile», assegnando ai Direttori Generali territoriali il compito di dare disposizioni per la rapida individuazione e formazione del personale, anche mediante affiancamento sul lavoro –:
   cosa intenda fare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per risolvere le criticità sopra evidenziate. (4-09717)


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come già ricordato nell'interrogazione n. 5-05937, la strada statale 554-bis (nota anche come nuova 554) è un'arteria fondamentale della viabilità regionale sarda. Il suo tracciato presenta caratteristiche di superstrada, con due corsie per senso di marcia. L'arteria si raccorda con la nuova strada statale 125 e consente il collegamento dell'area metropolitana di Cagliari alle località turistiche della costa sud orientale, sino a Villasimius, proseguendo poi per Costa Rei e Muravera, per raggiungere infine l'Ogliastra;
   sin dalla sua inaugurazione, la carreggiata della nuova 554 ha subito fenomeni di dissesto, particolarmente drammatici nel tratto ricompreso tra il chilometro 0,000 e il chilometro 6,500 che sono stati gli inequivocabili segnali premonitori degli attuali, gravissimi cedimenti strutturali;
   dal marzo scorso, l'ANAS ha annunciato gli interventi di ripristino provvisorio del tratto stradale interessato. Il suddetto cantiere è situato al chilometro 3,100 della strada statale 554, nel comune di Quartucciu e più volte è comparsa sulla stampa locale la promessa di un parziale ripristino della viabilità, almeno in un senso di marcia, entro la fine del mese di giugno 2015;
   tale attività di ripristino della viabilità, sempre secondo quanto riferito dalla stampa locale, avrebbe subito un blocco temporaneo, nella seconda metà di giugno, in seguito al sequestro di un tratto della strada statale 554, a seguito dell'apertura di un'indagine da parte della magistratura;
   il 19 giugno 2015 Anas si impegnava a presentare in tempi brevi una motivata istanza di dissequestro (vedasi L’Unione Sarda 20 giugno 2015), allo scopo di poter completare le opere necessarie al ripristino provvisorio del tratto stradale, per garantire un più accettabile smaltimento dei grandi flussi di traffico estivi. Il perdurare dell'interruzione della viabilità tra l'area di Cagliari e il litorale sud orientale comporta infatti drammatiche conseguenze per la viabilità locale e per il turismo del sud Sardegna;
   coerentemente con tali necessità e con gli impegni pubblicamente assunti dall'ANAS, in data 2 luglio, durante il question time in Commissione Infrastrutture, il Governo, rispondendo all'interrogazione n. 5-05937 presentata dall'interrogante, ha comunicato che lo scorso 4 giugno 2015 è stata effettuata la consegna dei lavori di ripristino provvisorio della strada statale 554 Cagliaritana (chilometro 3+000 della ex strada statale 554-bis);
   nella stessa circostanza, il Governo ha anche precisato che l'azienda appaltatrice dell'opera ha garantito il completamento dei lavori in venti giorni e che, alla data del 2 luglio 2015, gli scavi sono pressoché ultimati;
   la risposta del Governo, che in nessuna misura accenna alla eventuale persistenza di un provvedimento di sequestro giudiziario che insista sul cantiere di ripristino parziale della viabilità, autorizza ad ipotizzare la consegna dell'opera entro quindici giorni;
   nel frattempo, i primi week end della attuale stagione turistica hanno confermato come il tracciato della vecchia strada provinciale 17 (la strada litoranea, con due sole corsie) sia del tutto insufficiente a reggere il traffico estivo, con la inevitabile conseguenza delle lunghissime code di auto che — nelle giornate di punta — si creano nel tratto compreso tra il Margine Rosso e l'imbocco della nuova strada statale 125, all'altezza di Terra Mala;
   tale situazione è ovviamente fonte di straordinari disagi per tutte le famiglie che sono costrette a movimenti automobilistici pendolari per raggiungere in giornata le località balneari della costa sud orientale, che sono soggette ad aggravi di consumo di carburante e — soprattutto — di tempi morti di percorrenza, a causa della predetta interruzione della viabilità;
   il disagio nella rete viaria ha inoltre effetti dissuasivi sulle destinazioni turistiche della costa sud orientale, diventate più difficilmente raggiungibili e crea pertanto un danno economico a tutte le attività recettive e turistiche di tale regione della Sardegna;
   la ricerca di percorsi alternativi da parte degli automobilisti disperati sta caricando di traffico alcune strade locali di penetrazione (come la scorciatoia di Niu Crobu-Santu Lianu), assolutamente inadeguate a far fronte ai nuovi, incongrui volumi di traffico, con gravi situazioni di pericolo per i residenti –:
   se sia confermata l'imminenza della praticabilità della bretella, come si deduce dalla risposta all'interrogazione n. 5-05937;
   se l'attività di sequestro posta in essere della magistratura sia stata rimossa, come si dedurrebbe dalla risposta del Governo che non accenna in alcun modo ad impedimenti di ordine giudiziario alla conclusione dei lavori, oppure comporti persistenti interferenze nella consegna dei lavori del cantiere;
   se, nel caso in cui tale attività di sequestro giudiziario interferisse con il completamento dei lavori, l'ANAS abbia attivato un piano alternativo per la riabilitazione del traffico e sia comunque in grado di definire quando sarà disponibile una nuova bretella;
   qualora fosse difficile ipotizzare una soluzione alternativa in tempi accettabili, se l'ANAS e il Ministero dei trasporti abbiano segnalato al prefetto la gravità dei disagi eventualmente determinati dalla condizione di blocco del cantiere di transito parziale e abbiano conseguentemente individuato una soluzione che consenta l'immediato sblocco dell'attività di cantiere, permettendo la conclusione dei lavori e la parziale risoluzione dell'attuale disastrosa situazione della viabilità.
(4-09719)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'inchiesta «Mafia Capitale 2» agli inizi del mese di giugno tra gli arrestati figurano Salvatore Melolascina e Carmelo Parabita consiglieri della Cascina, colosso della ristorazione con sede a Roma, che gestisce il servizio mensa di decine di strutture pubbliche in tutto il Paese, dagli ospedali, al personale dei ministeri e anche di diversi centri di accoglienza (Cie);
   in virtù dell'applicazione del nuovo codice antimafia, in base al quale il requisito del certificato antimafia, che consentiva ad un'azienda di operare con la pubblica amministrazione, viene meno, il prefetto di Roma Gabrielli il 27 giugno 2015 con un'interdittiva antimafia ha stabilito che la Cascina debba essere estromessa dai servizi gestiti entro trenta giorni;
   sul sito della prefettura di Roma, il giorno 3 luglio 2015, è stato pubblicato il decreto di commissariamento dell'azienda La Cascina e delle collegate, tra cui Vivenda spa;
   la società Vivenda Spa, azienda controllata appunto dalla Cascina, è una società già nota e conosciuta dagli ispettori di Inps e Inail per il mancato pagamento dei contributi a centinaia di dipendenti durante il periodo in cui era fornitrice presso la Asl dell'Aquila e le scuole del capoluogo abruzzese nel 2012. Nonostante gli accertamenti, però, Vivenda spa ha continuato ad essere leader nel suo settore, acquisendo appalti e fornendo scuole e uffici pubblici di mezza Italia: l'ospedale Sant'Andrea di Roma, le scuole di Nettuno, il Ministero dell'interno, il policlinico «Gemelli» di Roma, la clinica «San Pietro» di Roma, le scuole di Cologno Monzese, le aziende sanitarie della Regione Lazio e, non ultime, le scuole dell'Aquila e l'ospedale San Salvatore;
   tale società risulta, inoltre, appaltatrice del servizio mensa della polizia di Stato in almeno 8 regioni italiane, servizio gestito fino al 30 giugno 2015;
   da una nota stampa del SILP di Trieste, risulterebbe che il servizio mensa della polizia sia stato affidato immediatamente e senza comunicazioni ad un'altra Società, la ELIOR Ristorazione Spa di Milano della GAMEZ ELIOR, mentre la mensa della Caserma di Roiano (Trieste) sia stata chiusa lasciando improvvisamente i quattro dipendenti senza lavoro;
   desta viva preoccupazione il futuro del personale precedentemente assunto regolarmente dalla Vivenda spa che si trova a dover affrontare questa nuova e delicata fase di passaggio di gestione del servizio mensa ad altra società –:
   quali siano stati i criteri di affidamento del servizio mensa alla nuova società ELIOR Ristorazione spa;
   se intenda chiarire quali siano le sorti del personale assunto precedentemente da Vivenda spa, se sia stato assorbito dalla nuova società appaltatrice, con quali tipologie contrattuali e se siano stati mantenuti i livelli salariali precedenti;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare per garantire agli Agenti di PS la qualità del servizio offerto dalla nuova società di gestione. (4-09708)


   FRATOIANNI, PANNARALE, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   notizie di stampa riportano la notizia di una sparatoria avvenuta in pieno centro a Terlizzi la sera del 1o luglio 2015;
   alle ore 22,40 due uomini, Giuseppe e Michele Baldassarre, padre e figlio di 59 e 37 anni, sono stati feriti a colpi di pistola nei pressi di un bar in prossimità della villa comunale;
   secondo le prime ricostruzioni i due uomini si trovavano sul posto quando, da un'altra vettura, sarebbero partiti i colpi che li hanno raggiunti: un proiettile ha colpito il padre ad una gamba mentre due colpi hanno colpito il figlio alle gambe;
   un altro colpo da arma da fuoco ha raggiunto ad un polpaccio una donna di 40 anni che in quel momento si trovava seduta ai tavolini del bar dove si è consumato l'agguato;
   la sparatoria potrebbe essere legata ad una vendetta trasversale perché i Baldassarre appartengono, secondo gli investigatori, ad una famiglia dedita ad attività criminali, contrapposta al gruppo rivale dei Dello Russo. Elemento di spicco dei Baldassarre è ritenuto Gioacchino, figlio di Giuseppe e fratello di Michele, attualmente agli arresti domiciliari;
   i due clan, in contrapposizione tra loro, gestiscono un giro di estorsioni, ricettazioni, traffico di stupefacenti e altre attività criminali;
   la comunità terlizzese patisce, da tempo, una situazione dove la sicurezza pubblica è messa a repentaglio continuamente da fatti di cronaca che denunciano quanto stia diventando insostenibile per le attività commerciali sane poter operare in serenità, oltre al venir meno della sicurezza pubblica dei cittadini di Terlizzi;
   altra questione di allarme sociale è la sicurezza nelle campagne dove si consumano furti, minacce, danneggiamenti alle strutture produttive, che pregiudicano fortemente l'economia locale che è basata, in larga parte, sulla agricoltura e la floricoltura;
   quanto suddescritto non rappresenta un fatto isolato perché in data 8 aprile 2014, grazie alla prontezza di un vigilantes, è stato sventato sulla strada provinciale 231 tra Ruvo di Puglia (Bari) e Terlizzi un assalto a un tir, dove i malviventi hanno esploso colpi di arma da fuoco in direzione del vigilantes che ha risposto al fuoco mettendoli in fuga. L'assalto ai tir è una piaga che attanaglia il nord-barese da anni;
   il 17 luglio 2012 nelle campagne tra Giovinazzo (Bari) e Terlizzi veniva freddato con sei colpi di pistola all'addome Francesco Grimaldi, 53 anni, pregiudicato e originario di Santo Spirito (Bari);
   il Grimaldi nel 2010 veniva arrestato nell'ambito di un'indagine della Guardi di finanza contro «colletti bianchi» che gestivano e riciclavano i patrimoni della mafia. Il Grimaldi era considerato custode dei soldi della cosca Abbaticchio attiva nel rione Libertà di Bari –:
   quali interventi urgenti il Ministro dell'interno intenda porre in essere in merito ai fatti suddescritti;
   quali azioni si intendano intraprendere per contrastare la criminalità organizzata del nord-barese sempre più aggressiva e spregiudicata, per tutelare la sicurezza e l'incolumità dei cittadini terlizzesi e la sicurezza delle campagne, i cui operatori sono sempre più oggetto di minacce e danneggiamenti alle attività produttive. (4-09711)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 79 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, come modificato dall'articolo 16, commi 21 e 29, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge n. 148 del 2011 dispone che i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, possano usufruire di permessi retribuiti per lo svolgimento del loro mandato elettorale;
   il comma 1 dell'articolo 79 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali stabilisce che i componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, hanno diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento. In caso di seduta svolta in orario serale, i lavoratori hanno diritto di non riprendere il lavoro prima delle ore 8 del giorno successivo e nel caso in cui i lavori si protraggano oltre la mezzanotte, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata successiva;
   il comma 3 dell'articolo 79 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali stabilisce che i componenti di giunte comunali, provinciali, metropolitane, delle comunità montane, nonché degli organi esecutivi dei consigli circoscrizionali, dei municipi, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, ovvero facenti parte delle commissioni consiliari o circoscrizionali formalmente istituite nonché delle commissioni comunali previste per legge, ovvero membri delle conferenze dei capogruppo e degli organismi di pari opportunità, previsti dagli statuti e dai regolamenti consiliari hanno diritto a un permesso retribuito per l'effettiva durata della partecipazione alle riunioni degli organi di cui fanno parte (il diritto di assentarsi comprende il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro);
   il comma 4 dell'articolo 79 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali stabilisce che i componenti degli organi esecutivi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle unioni di comuni, delle comunità montane e dei consorzi fra enti locali, e i presidenti dei consigli comunali, provinciali e circoscrizionali, nonché i presidenti dei gruppi consiliari delle province e dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti hanno il diritto, oltre ai permessi già citati, di assentarsi per un massimo di 24 ore lavorative al mese, elevate a 48 ore per i sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti;
   all'interno di alcuni consigli comunali sono talora presenti consiglieri a cui, anche per l'esiguità del numero dei componenti delle giunte, sono assegnate deleghe importanti, quali quelle relative a urbanistica, bilancio ed affari sociali, che richiedono un impegno particolare, del tutto equiparabile a quello sostenuto dai componenti degli organi esecutivi degli stessi comuni; pertanto, sarebbe opportuno interpretare le norme citate nel senso di parificare, in particolare per quanto riguarda la possibilità di usufruire di permessi retribuiti, la posizione dei consiglieri comunali con deleghe specifiche a quella dei componenti degli organi esecutivi –:
   se il Ministro interrogato, alla luce delle disposizioni vigenti riportate in premessa, ritenga sia possibile interpretare la norma nel senso di ricomprendere nell'alveo dell'applicazione dell'articolo 79, comma 4, anche i componenti dei consigli comunali a cui sono assegnate deleghe fondamentali quali urbanistica, bilancio e affari sociali, e se questi quindi possano intendersi equiparati ai componenti degli organi esecutivi, al fine di poter usufruire di ulteriori permessi retribuiti per l'espletamento del proprio mandato. (4-09722)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i media nazionali includono insistentemente il centro culturale islamico situato in via Pino a Camerlata tra i luoghi del nostro Paese potenzialmente più esposti al contagio del messaggio jihadista, se non tra le fonti più attive della propaganda radicale islamista;
   il centro culturale islamico di via Pino a Camerlata è sorto sul sito che ospitava precedentemente una moschea abusiva chiusa nel 2005;
   il centro di via Pino a Camerlata è stato inoltre inserito nella lista dei siti soggetti a particolare monitoraggio da parte dell’intelligence del nostro Paese, che in un recente rapporto lo ha qualificato come di orientamenti salafiti e giudicato capace di contribuire al rafforzamento dell'Islam radicale;
   il centro culturale islamico di via Pino a Camerlata risulta citato in una ricerca condotta per il Centro militare di studi strategici del Ministero della difesa da un noto specialista di terrorismo islamico, Michele Groppi, successivamente sintetizzata in un saggio più breve pubblicato dalla rivista geopolitica Limes, nel quale si dà notizia del fatto che il vice presidente dell'associazione culturale islamista di Como fu espulso per questioni di sicurezza nazionale, lasciando quindi supporre rischi in relazione alla propaganda del messaggio jihadista in tal senso –:
   alla luce delle circostanze generalizzate in premessa, quali iniziative abbia assunto o intenda assumere il Governo in relazione al centro culturale islamico di via Pino a Camerlata nell'ambito dell'attività di monitoraggio dei luoghi di culto che possono presentare rischi di infiltrazioni terroristiche. (4-09724)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 31 maggio 2015 si sono svolte le elezioni amministrative che hanno riguardato alcune centinaia di comuni italiani, tra cui quello di Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli;
   tuttavia, tutt'oggi ad oltre un mese di distanza dallo svolgimento dei comizi elettorali l'ufficio elettorale centrale del comune di Pomigliano d'Arco, presieduto dal magistrato dottoressa Vincenza Barbalucca, non ha terminato le procedure per la proclamazione del sindaco e del consiglio comunale;
   anche considerata l'esperienza dei comuni limitrofi di analoghe dimensioni, tale situazione risulta essere anomala e ingenera sospetti;
   a parere dell'interrogante si tratta di un ritardo che ormai appare del tutto ingiustificabile –:
   se risultino le ragioni dei ritardo di cui in premessa e, più in generale, se non intenda assumere iniziative normative per fissare un termine entro il quale le procedure elettorali in questione debbano necessariamente concludersi. (4-09726)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta immediata:


   LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, MARZANA, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, riunitosi in data 11 giugno 2015, alle ore 18.35 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza di Matteo Renzi e su proposta del Ministro interrogato, ha conferito a Rosa De Pasquale l'incarico di capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione del Ministero;
   tale dipartimento svolge molteplici funzioni in ambito scolastico e, in particolare, anche nell'area di stato giuridico del personale della scuola; formazione dei dirigenti, del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola. Inoltre, possiede a supporto tre uffici dirigenziali non generali e 30 posizioni dirigenziali non generali di funzione tecnico-ispettiva;
   in riferimento al nuovo capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, si ritiene necessario, però, fare un passo indietro, poiché la Corte dei conti, in data 30 dicembre 2014, aveva già annullato la carica triennale di capo dell'ufficio scolastico regionale della Toscana conferita alla stessa a partire dal 4 settembre 2014;
   nello specifico, dall'esame del curriculum della dottoressa De Pasquale, ex-deputata del Partito democratico, che ha fallito la rielezione parlamentare nel 2013, non emergevano i requisiti di «particolare e comprovata» qualificazione professionale richiesti dal comma 6 dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, «soprattutto se posti a raffronto con le esperienze maturate dall'interessata rispetto ai compiti connessi all'incarico ad essa affidato». Inoltre, non sembrava sussistere un'indispensabile esperienza «acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali» richiesta dal medesimo comma; non è stata, infine, rilevata nella dottoressa De Pasquale «evidenza di quell'elemento di aggiuntività», necessario «quale presupposto per l'attribuzione dell'incarico dirigenziale a soggetto esterno ai relativi ruoli». Eventualità, questa, che la legge (articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2009) consente «solo nell'ipotesi in cui tale qualificazione non sia rinvenibile nell'ambito del personale dirigenziale dell'amministrazione», per ovvie e condivisibili «ragioni di contenimento della spesa pubblica»;
    in base all'articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 febbraio 2014, n. 98, gli uffici scolastici regionali risultano dipendere funzionalmente dai capi dipartimento in relazione alle specifiche materie da trattare. Essi possono, per di più, ai sensi dell'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, proporre al Ministro «l'adozione dei provvedimenti di revoca degli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale»;
   la dottoressa De Pasquale riveste, oggi, un importante ruolo di direzione, nonostante la Corte dei conti non abbia rinvenuto nel suo curriculum i requisiti indispensabili per assumere un incarico gerarchicamente inferiore a quello che ora le è stato affidato;
   in un momento in cui il concetto di «merito», che campeggia in uno degli otto capi del disegno di legge cosiddetto «La buona scuola» (recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), viene esibito dal Governo Renzi come parafulmine per ogni critica, il Governo decide di compiere, ad avviso degli interroganti, un'azione analoga a quella della vecchia politica, la stessa che negli slogan elettorali aveva dichiarato di voler «rottamare», nominando ai vertici dirigenziali del Ministero una persona «bocciata» per ben due volte: dalla Corte dei Conti e dai cittadini alle elezioni –:
   se non ritenga opportuno sollevare la dottoressa De Pasquale dall'incarico affidatole, giacché reputata in passato non idonea a ricoprire una carica addirittura gerarchicamente inferiore a quella rivestita attualmente e se non intenda attendere che la Corte dei conti si pronunci nuovamente in merito. (3-01595)

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   dal 1873 opera a Napoli l'istituto Domenico Martuscelli che si occupa soprattutto della formazione scolastica dei non vedenti o ipovedenti coprendo una vastissima area del Mezzogiorno;
   attualmente l'istituto è un ente morale sottoposto – tramite il provveditorato agli studi di Napoli – alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   dispone di un ingente patrimonio immobiliare nel centro di Napoli valutato nell'ordine di almeno 50 milioni di euro;
   nel corso degli anni la situazione amministrativa dell'Istituto è andata via, via deteriorandosi nonostante i continui ripianamenti dei bilanci da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca stesso. Una parte del patrimonio immobiliare è in stato di abbandono e, quindi, inutilizzabile ai fini per i quali è stato donato all'ente o comunque acquisito e, di contro, alcuni immobili risultano invece affittati – come da notizie apparse sulla stampa nazionale o da denunce delle organizzazioni sindacali – a prezzi inferiori a quelli di mercato;
   da sette mesi, gli oltre quaranta dipendenti dell'Istituto non percepiscono lo stipendio pur adoperandosi per garantire per quanto possibile la funzionalità dell'ente;
   si è dovuto assistere ad un rimpallo di responsabilità tra lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'Unione italiana ciechi e la DTL di Napoli sull'eventuale applicazione ai dipendenti dell'Istituto, del decreto legislativo n. 965 del 2001 sulla cosiddetta mobilità;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è finalmente intervenuto, in data 16 giugno 2015, con la nomina di un commissario straordinario – Emanuele Sanfilippo – che allo stato, in base a quanto affermato da alcune organizzazioni sindacali non si sarebbe ancora insediato nonostante l'evidente gravità e urgenza della situazione –:
   in che modo intendano intervenire per scongiurare un ulteriore irreparabile aggravamento della situazione dell'istituto Domenico Martuscelli di Napoli che, è bene ricordarlo, rappresenta un punto di riferimento ed un presidio irrinunciabile del welfare dell'intero Mezzogiorno d'Italia e assicurare, alle lavoratrici ed ai lavoratori dell'ente, il corretto pagamento delle retribuzioni loro spettanti. (4-09709)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia di belle arti e restauro ABADIR dal 1998 al 2003 è stata l'unica istituzione scolastica della Sicilia occidentale, autorizzata dal Ministero ad avviare i corsi sperimentali, di durata quadriennale, con gli indirizzi di Restauro dei materiali lapidei e ceramici, pittorico, ligneo e della carta;
   l'accademia di belle arti ABADIR a San Martino delle Scale presso Monreale in provincia di Palermo nasce nel 1993 e viene legalmente riconosciuta; all'epoca della fondazione il diploma accademico che si otteneva dopo il quadriennio di studi era quello relativo all'insegnamento di pittura. In un secondo tempo, l'accademia richiedeva l'autorizzazione, all'allora Ministero della pubblica istruzione, per l'avvio di una sperimentazione per il corso quadriennale di restauro (pittorico o materiali lignei o ceramica e materiali lapidei o beni bibliografici e archivistici);
   nel novembre 1998 l'accademia riceveva l'autorizzazione (decreto ministeriale autorizzativo del 12 ottobre 1998 trasmesso con circolare prot. n. 2056 del 5 novembre 1998) per l'avvio della sperimentazione e, a partire dall'anno accademico 1998-99, vengono attivati gli indirizzi dei corsi in restauro (con i quattro indirizzi sopracitati);
   l'articolo 3 del suddetto documento specifica che «al termine del corso sperimentale si consegue il diploma di Accademia di Belle arti — indirizzo restauro (...)»;
   tale documento, quindi, conferma la validità del titolo rilasciato dall'accademia e la corrispondenza con quanto richiesto nel bando pubblico per l'acquisizione della qualifica professionale della qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali — tecnico del restauro (Gazzetta Ufficiale n. 73 del 19 settembre 2014) alla lettera b) dell'articolo 2 circa i requisiti per la partecipazione alla procedura selettiva e tra questi l'avere conseguito un «diploma di restauro presso accademia di belle arti con insegnamento almeno triennale»;
   a partire dal 2006 il Ministero si propone di «regolamentare» la professionalità dei restauratori, iscrivendoli in un elenco nazionale (che prevede i ruoli di collaboratore e restauratore), come già previsto dal codice dei beni culturali del 2004; tuttavia, l'elenco non è però mai stato compilato;
   negli anni seguenti il Ministero emana una serie di norme definendo: i livelli di qualità dell'insegnamento del restauro e i criteri di accreditamento degli Istituti che lo impartiscono (decreto interministeriale 26 maggio 2009, n. 87), i profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro (decreto ministeriale 26 maggio 2009, n. 86);
   in seguito, pertanto, nacquero i primi i corsi di I e II livello istituiti presso università ed accademie di restauro che promettono il rilascio del titolo di collaboratore e di restauratore, alla conclusione del percorso formativo rispettivamente di tre armi e di cinque anni;
   nel 2011 la disciplina dell'insegnamento subisce un'ulteriore modifica (decreto interministeriale 2 marzo 2011, con il quale si prevede la laurea magistrale a ciclo unico abilitante per il restauro e il decreto interministeriale 23 giugno 2011, n. 81), che definisce in maniera univoca le nuove modalità per l'acquisizione del titolo;
   all'inizio del riordino della normativa, l'accademia informava gli allievi che il Ministero aveva decretato l'equiparazione del diploma quadriennale a corso accademico di I livello in restauro, assicurando loro, quindi, il rilascio del titolo di collaboratore;
   a questo punto, vengono avviate le pratiche per la conversione del corso di vecchio ordinamento con il nuovo diploma di I livello in restauro. Il CNAM, con seduta del 18 settembre del 2008, approva il corso di I livello in restauro (con la circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 16 ottobre 2008); tuttavia non viene fatta richiesta di equipollenza del vecchio corso quadriennale;
   a seguito delle modifiche dei decreti ministeriali del 2011, l'accademia presenta la nuova documentazione per l'attivazione dei corsi, secondo le più recenti prescrizione. Il CNAM nelle sedute n. 47 e n. 50 esprime parere favorevole per i percorsi formativi professionalizzanti PFP1 e PFP, nel frattempo rimanendo invariata la situazione relativa al vecchio quadriennio;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, nel corso degli anni gli studenti hanno più volte richiesto notizie in merito all'equipollenza del titolo e dell'eventuale completamento percorso formativo, confidando nella buona fede dell'amministrazione, ma la direzione dell'accademia ha sempre garantito la rispondenza del titolo alle disposizioni ministeriali;
   dalla primavera del 2014 gli ex allievi, preoccupati dell'imminenza del concorso, iniziano a premere sull'amministrazione dell'accademia in merito al procedimento di equipollenza;
   contemporaneamente, gli ex allievi hanno inviato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca una richiesta a mezzo raccomandata, tutt'ora senza risposta, in cui si chiede in prima persona l'equipollenza del vecchio diploma quadriennale al diploma accademico di I livello in restauro;
   nel settembre 2014 subentra la nuova amministrazione dell'accademia e un folto gruppo di quaranta ex allievi richiede il rilascio di una certificazione di conformità del diploma accademico triennale in pittura con sperimentazione in restauro e del relativo piano di studi con la normativa prescritta dal dipartimento di progettazione e di arti applicate per il riordino del vecchi ordinamenti (decreto ministeriale 30 settembre 2009, n. 123) per attestare l'equipollenza al diploma accademico di I livello in restauro;
   dietro incessanti sollecitazioni la nuova amministrazione accademica si mette finalmente in contatto con il Ministero e inoltra la richiesta di equipollenza, con nota al Ministero il 17 settembre 2014, prot. n. 82, ma a distanza di sei mesi dall'invio di tale richiesta non c’è stata alcuna risposta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione delineata in premessa e se non ritenga, per quanto di competenza, di fare in modo che vi sia una pronuncia ministeriale che cerchi di salvaguardare i percorsi formativi e professionali dei diplomati presso l'accademia ABADIR. (4-09718)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina del restauro ha avuto negli ultimi 15 anni uno sviluppo lento, complesso e farraginoso. Negli anni svariati percorsi formativi, accademici e universitari, sono stati approvati, bloccati, modificati e fatti ripartire. L'indeterminatezza di questa situazione ha creato non poca confusione a tutti coloro che si sono approcciati al mondo della conservazione e del restauro nei passati negli ultimi vent'anni e che non hanno avuto la possibilità di iscriversi agli Istituti statali (ICR, Opificio delle pietre dure, Istituto di patologia del libro);
   peraltro, occorre segnalare che i livelli di qualità dell'insegnamento del restauro e i criteri di accreditamento ai quali gli Istituti si dovevano uniformare sono stati definiti in modo sistematico soltanto nel 2009 con il decreto interministeriale 26 maggio 2009, n. 87;
   la complessità della questione e della disciplina è stata, in alcuni casi, tra le cause del ritardo burocratico nei riconoscimenti delle equipollenze dei percorsi formativi del vecchio ordinamento, nonché nel carente orientamento degli studenti di allora verso una esaustiva integrazione dei percorsi formativi secondo i nuovi livelli di qualità;
   in data 19 settembre 2014, è stato pubblicato il bando pubblico per l'acquisizione della qualifica professionale di collaboratore restauratore di beni culturali – tecnico del restauro (Gazzetta Ufficiale n. 73 del 19 settembre 2014) e il predetto bando ha previsto, alla lettera b) dell'articolo 2, tra i requisiti per la partecipazione alla procedura selettiva l'avere «conseguito un diploma di restauro presso accademie di belle arti con insegnamento almeno triennale» o cui è «riconosciuta equipollenza ai diplomi accademici in restauro»;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, l'opportunità di diventare restauratore, purtroppo, si sta trasformando per molti professionisti che da anni lavorano nel settore, in un vero e proprio incubo. Infatti, chi ha svolto un percorso di studi accademici altamente qualificanti ma che i direttori delle accademie per dolo o incompetenza non hanno tempestivamente adeguato ai «regimi ministeriali» rischia di veder vanificato tutto il percorso formativo;
   purtroppo, secondo quanto segnalato al deputato interrogante, alcuni direttori amministrativi hanno inviato tardivamente le note al Ministero al fine di ottenere il riconoscimento delle varie equipollenze, creando delle pesanti sperequazioni e frustrando le legittime aspettative di decine di studenti che hanno profuso un costante e importante impegno per anni di studi;
   peraltro, sempre secondo quanto segnalato al deputato interrogante, la risposta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del CNAM (Consiglio nazionale per l'altra formazione artistica e musicale) riguardo alle equipollenze starebbe tardando creando un sempre maggiore danno agli interessati. La vicenda sarebbe anche da ricondursi al fatto che il CNAM sembrerebbe aver cessato la sua attività nel febbraio 2013 a causa della mancata proroga dei componenti dell'organo tecnico in assenza di nuove procedure elettorali svolte in tempo utile; in effetti, nel verbale n. 59 del 13 febbraio 2013, l'allora vice presidente del CNAM sottolineava la problematicità di una non tempestiva ricostituzione e ritorno in attività di questo organo fondamentale;
   ad oggi, così facendo, rischia di tagliare fuori dalla selezione per il titolo di restauratore e collaboratore-restauratore, tutti coloro che hanno frequentato detti corsi tra il 1998 ed il 2007; il rischio è quello di non poter accedere né al bando di restauratore né a quello di collaboratore restauratore e, conseguentemente, non avere più un titolo che consenta di lavorare nel settore per il quale si è studiato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga di dover intervenire, per quanto di competenza, al fine di risolvere quanto prima la situazione descritta in premessa;
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere e accelerare i relativi processi di equipollenza dei titoli necessari alla partecipazione ai concorsi pubblici. (4-09720)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 8 ottobre 2014, il Ministro interrogato ha nominato il nuovo direttore generale per l'ufficio scolastico regionale della Lombardia: la dottoressa Delia Campanelli, già dirigente di II fascia del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   sarebbero state completamente ignorate le indicazioni della regione Lombardia, che, a norma di legge, avrebbe dovuto poter esprimere un parere sulla scelta di una figura cui compete, tra l'altro, il collegamento tra il mondo della scuola e gli enti locali;
   a quanto consta all'interrogante la dottoressa Delia Campanelli, il 5 giugno 2015, avrebbe convocato tutti i dirigenti delle scuole lombarde, chiedendo loro di far votare dai collegi dei docenti di tutte le scuole del territorio una delibera sull'organico funzionale «in previsione dell'approvazione del disegno di legge della Buona Scuola»;
   la delibera sarebbe stata presentata ai dirigenti come «parere preventivo», preventivo rispetto all'approvazione del disegno di legge «Buona Scuola», evidentemente dato per scontato;
   i verbali di numerosi collegi docenti della seconda metà di giugno, pubblici e facilmente reperibili in rete sui siti istituzionali delle scuole lombarde, avrebbero introdotto il punto in questione;
   alcuni dirigenti invece avrebbero ignorato la richiesta, molti altri si sarebbero sentiti opporre un rifiuto all'irrituale richiesta; 
   irrituale perché gli uffici scolastici e i dirigenti, a giudizio dell'interrogante, devono applicare, non anticipare gli effetti di norme non ancora divenute legge;
   tutto ciò negli stessi giorni, in cui la Commissione affari costituzionali del Senato esprimeva un parere di costituzionalità contrario al disegno di legge della «Buona Scuola» –:
   se, quanto indicato dalla dottoressa Campanelli, rispondesse ad una precisa richiesta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   in caso affermativo, per quali ragioni sarebbe stato richiesto di approvare una direttiva relativa ad un disegno di legge che, per definizione, non essendo ancora divenuto legge, non può ancora produrre effetti di alcun tipo. (4-09727)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   SOTTANELLI e ANTIMO CESARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 564 del 1996 dispone in merito alla contribuzione figurativa e alla copertura assicurativa per periodi non coperti da contribuzione relativamente alla pensione dei sindacalisti, che, in base alla norma, sarebbe costituita soltanto dall'ultimo mese di stipendio percepito. In questo modo per un sindacalista è sufficiente lavorare pochi mesi, o anche uno soltanto, per avere accesso ad una pensione calcolata come se quello stipendio fosse stato percepito per tutta la vita lavorativa;
   la norma in questione, che ha alimentato diverse polemiche, concede a dirigenti e dipendenti sindacali la possibilità di ottenere una pensione integrativa di decine di migliaia di euro all'anno, attraverso il semplice pagamento di un mese di contributi. È evidente come l'intera pensione del sindacalista pesa sulle spalle dell'Inps, e quindi dei cittadini;
   critiche sono state mosse anche da Tiziano Treu, ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che ha dichiarato che la norma del 1996 si è rivelata «troppo costosa e ingiustificata» e che «a pensarci bene, siccome si sono verificati degli abusi, si poteva pensare a dei limiti», annunciando l'intenzione di effettuare delle ispezioni, ma solo «là dove ci siano delle segnalazioni ragionevoli» –:
   quale sia il numero dei sindacalisti e la durata del tempo in cui hanno usufruito dell'agevolazione loro concessa dalla legge n. 564 del 1996 e in che misura la norma abbia inciso sul bilancio a carico dell'Inps e quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro interrogato intenda attuare per sanare l'ingiustizia creata dalla norma citata, che grava sul bilancio dello Stato, proprio in questo momento di grave crisi economica.
(3-01598)


   SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SALTAMARTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende anche dalla stampa è stata avviata un'iniziativa – in tema di active ageing – al fine di analizzare e monitorare la platea degli esodati attraverso la compilazione di una scheda per la rilevazione delle persone prossime alla pensione e rimaste disoccupate a seguito di accordo collettivo o individuale per la risoluzione del rapporto di lavoro precedente al 1o gennaio 2012, o per accordi di mobilità siglati entro la stessa data;
   la «Rete dei comitati degli esodati», i diretti interessati e il Comitato della rete esodati ritengono poco proficuo che si debba procedere ad un sondaggio su base volontaria per raccogliere informazioni di cui il Ministero e/o l'Inps dovrebbero essere già in possesso;
   inoltre, la Rete ha lamentato la mancanza di un'estesa e diffusa campagna pubblicitaria di tale censimento, che possa garantire la partecipazione ed il coinvolgimento di tutti gli interessati, e che la formulazione del questionario impedisce di tener conto di tutti i casi coinvolti nella questione cosiddetta degli esodati;
   gli interroganti, condividendo le osservazioni dei comitati, temono che tale censimento possa portare a sostenere, come dichiarato nel novembre 2014 dal direttore generale dell'Inps, nell'ambito della sua audizione, che i sei provvedimenti di salvaguardia susseguitisi dal dicembre 2011 al settembre 2014 hanno interamente coperto la platea degli esodati;
   invero, gli interroganti sono ben consci dell'esistenza ancora di centinaia di persone da salvaguardare e di casistiche completamente escluse dai precedenti sei provvedimenti di salvaguardia, pur avendone pieno diritto in quanto rimasti privi di copertura reddituale da lavoro, da ammortizzatore e da pensione, a seguito dell'entrata in vigore della «riforma Fornero» (articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011), tant’è che sono tra i promotori in Parlamento di un'iniziativa legislativa relativa ad una settima – e si auspica definitiva – salvaguardia, che utilizza a copertura degli oneri le risorse già stanziate e non ancora utilizzate del «fondo esodati» (articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012) e segue ai fini della tutela degli aventi diritto il criterio del mese dopo mese in base al conseguimento dei requisiti per l'accesso alla pensione secondo le regole previgenti al decreto-legge n. 201 del 2011 –:
   di quali argomenti disponga il Governo al riguardo, quali siano i suoi orientamenti sulla materia e, in particolare, se intenda, per quanto di competenza, favorire un rapido iter della proposta della Lega Nord sulla cosiddetta settima salvaguardia. (3-01599)


   RIZZETTO, BARBANTI, BALDASSARRE, ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO, BECHIS e MUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i fondi interprofessionali, nati nel 2003, sono organismi associativi, gestiti dalle parti sociali (sindacati, associazioni di imprese) per finanziare piani formativi aziendali;
   le risorse utilizzate provengono dalle società iscritte al fondo, attraverso l'importo pari allo 0,30 per cento trattenuto dagli stipendi dei loro dipendenti e versato all'Inps mensilmente, che la legge n. 388 del 2000 destina obbligatoriamente alla formazione;
   le risorse recuperabili dalle società sono circa 50 euro annui per ogni dipendente (80 euro lordi sono il trattenuto medio, diventano circa 50 euro tenuto conto del 30 per cento trattenuto dai fondi per compensare la propria gestione) e, poiché i fondi sono 22 con, mediamente, 500.000 iscritti, si stima che il business sia di circa 800 milioni di euro l'anno, ma potrebbe essere di un importo di gran lunga superiore, tenuto conto delle risorse trattenute ma non dichiarate;
   le aziende possono usufruire di queste risorse solo iscrivendosi ad un fondo, attraverso una procedura gratuita, effettuabile dai consulenti del lavoro;
   ad oggi l'iscrizione ai fondi interprofessionali non implica l'obbligatorietà della firma del legale rappresentante, generando il fenomeno di iscrizioni «selvagge», che addirittura avvengono, talvolta, all'insaputa delle stesse aziende;
   sebbene al Ministero del lavoro e delle politiche sociali sia riconosciuta un'attività di vigilanza e monitoraggio nella gestione dei fondi, a parere dell'interrogante non vengono svolte delle idonee procedure di controllo. Ciò ha generato un sistema formativo dequalificato, totalmente autoreferenziale, in cui, come predetto, le aziende spesso si ritrovano iscritte ad un fondo senza esserne a conoscenza, non avendo neppure il diritto di accedere direttamente ai propri dati di cumulato presso l'Inps. Infatti, la procedura informatica, Fondi reports, che consentirebbe tale verifica, oggi è consultabile solo per il tramite dei fondi, mentre dovrebbe essere estesa anche alle aziende. Sul punto, l'Inps dichiara di aver già chiesto l'autorizzazione per l'estensione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel 2009, ma essa fu negata, ad avviso degli interroganti, immotivatamente per l'opposizione di quasi tutti i fondi;
   attualmente la legislazione in argomento prevede che le risorse economiche del fondo non utilizzate nel biennio dalle aziende per i progetti formativi dovrebbero essere messe a bando dal fondo di riferimento o restituite all'Inps entro un triennio;
   tuttavia, secondo una serie di circolari ministeriali di dubbia interpretazione, di fatto, la restituzione avviene da parte dei fondi in modo totalmente discrezionale, sia rispetto alle tempistiche che al quantum, che pare sia il 30 per cento del cumulato, per quelle che appaiono «prassi di cartello»;
   alcuni fondi restituiscono il denaro all'Inps addirittura dopo un quinquennio e non si può escludere che vi siano casi in cui il denaro inutilizzato non sia stato restituito e possa essere ancora interamente giacente presso i fondi, data l'assenza di idonei controlli;
   le criticità dei fondi sono state più volte evidenziate dalla stampa, in particolare da un articolo de Il Fatto quotidiano del 4 febbraio 2015 – intitolato «L'oscuro mondo dei fondi interprofessionali» – che in riferimento alle somme accumulate parla di una mole di denaro non rendicontato e non sottoposto ad alcun controllo, la cui gestione è il risultato «di accordi e complicità tra sindacati e associazioni imprenditoriali»;
   pertanto, si ritiene che nella gestione dei fondi sussistano evidenti meccanismi devianti, che devono essere urgentemente corretti con l'adozione di interventi normativi che prevedano la stipula di contratti ad enti ed imprese per regolare il rapporto con i fondi, nonché un adeguato sistema di controllo, che, tra l'altro, stabilisca la possibilità per tutti gli attori coinvolti di accedere ai dati, aziende comprese;
   il sistema di gestione e funzionamento di tali fondi sembra agli interroganti dunque essere governato da logiche che potrebbero far venire meno l'interesse ad impiegare il denaro raccolto in attività formative a vantaggio di una raccolta di iscrizioni dalle aziende che procurino risorse alle casse dei fondi;
   per le considerevoli criticità predette sui fondi interprofessionali non sono accettabili le dichiarazioni di Confindustria emerse da un articolo de Il Sole 24 ore, del 2 luglio 2015, con le quali reclama addirittura maggiore autonomia dei fondi e respinge l'adozione di vincoli di carattere pubblicistico –:
   se e quali iniziative urgenti intenda adottare per stabilire i criteri per una gestione trasparente e controllata delle risorse finanziarie pubbliche dei fondi, garantendo un corretto utilizzo delle stesse. (3-01600)


   VALERIA VALENTE, GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DELL'ARINGA, DI SALVO, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI, ZAPPULLA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-05056 svolta il 18 marzo 2015, seduta n. 394, è stata segnalata l'esigenza di assicurare continuità occupazionale e riconoscimento professionale ai collaboratori a progetto e a tempo determinato di Italia lavoro s.p.a., nel quadro della realizzazione e del conseguimento dei risultati previsti dai programmi e progetti di competenza di Italia lavoro s.p.a., quale azienda totalmente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, ente strumentale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell'occupazione e dell'inclusione sociale;
   in particolare, si è sollecitata la possibilità di conseguire continuità occupazionale e riconoscimento professionale anche attraverso la predisposizione di appositi percorsi di stabilizzazione dei suddetti lavoratori;
   il Ministero, a mezzo del rappresentante incaricato della risposta all'interrogazione, rese noto che erano state già stanziate risorse comunitarie provenienti dai vari programmi in corso, in favore di Italia lavoro s.p.a., per importi che avrebbero consentito il sostanziale mantenimento del bacino di risorse umane impegnate nei vari progetti dell'azienda, precisando, nell'occasione, l'intervenuta approvazione e il finanziamento di progetti ulteriori per un importo complessivo pari a euro 61.904.026,40 (finanziati nell'ambito della programmazione del fondo sociale europeo 2014-2020 – programma operativo nazionale sistemi di politiche attive (pon spao), la cui realizzazione avrebbe coinvolto numerose figure professionali) ed evidenziando, altresì, che, nel quadro della programmazione del fondo sociale europeo 2014-2020, risultavano già approvati e finanziati ulteriori progetti per un importo complessivo pari a euro 40.923.374,08;
   nella medesima occasione risulta essere stata prospettata la stipula di un apposito accordo aziendale riguardante il personale impiegato mediante collaborazioni coordinate e continuative, in relazione alle imminenti modifiche legislative che avrebbero comportato il superamento delle collaborazioni a progetto;
   con il «Jobs act» – nel quadro delle disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive a norma dell'articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 – è prevista l'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione-Anpa, partecipata da Stato, regioni e province autonome e vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il conferimento alla medesima delle competenze gestionali in materia di servizi per l'impiego, politiche attive ed aspi e l'imminente commissariamento della società Italia lavoro s.p.a., rispetto al quale non sembrano emergere chiare disposizioni sul futuro di dipendenti e precari della suddetta società;
   nel contempo, pur essendosi svolte apposite procedure per le vacancies di Italia lavoro s.p.a., le stesse non hanno conseguito alcun esito, in termini di stabilizzazione dei soggetti precari favorevolmente selezionati, anche in ragione dell'intervenuta emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2015 e la conseguente abolizione della disciplina normativa delle collaborazioni a progetto, imponendosi, allo stato, l'attivazione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (eventualità, questa, peraltro, già prospettata dalla stessa azienda nell'effettuazione della procedura selettiva delle vacancies);
   i 450 esperti in politiche attive e servizi all'impiego che hanno favorevolmente superato le anzidette selezioni pubbliche promosse da Italia lavoro s.p.a., pertanto, ad oltre un mese dalla pubblicazione delle graduatorie definitive dei vincitori, avvenuta sin dal 9 giugno 2015, non risultano contrattualizzati;
   in Campania, in particolare, in un contesto di specifico disagio economico-sociale a tutti noto, i vincitori delle vacancies di Italia lavoro s.p.a. risultano da mesi senza lavoro e, in molti casi, del tutto privi di alcun sostegno reddituale a causa dei ritardi nell'erogazione dell'indennità di disoccupazione per i collaboratori con rapporto di collaborazione coordinata (dis-coll);
   come noto, per poter derogare alla richiamata disciplina di cui al decreto legislativo n. 81 del 2015 in materia di collaborazione coordinata e continuativa, è necessario un preliminare accordo sindacale che motivi le esigenze di settore e organizzative che rendono necessario, per l'azienda, l'utilizzo della tipologia contrattuale in questione –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di dar seguito agli impegni assunti in occasione dell'interrogazione citata in premessa e, più specificamente, perché si addivenga alla sollecita definizione dell'accordo sindacale occorrente alla stipula dei contratti con i 450 precari vincitori delle predette procedure selettive vacancies di Italia lavoro s.p.a. (3-01601)


   MARCON, AIRAUDO e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche», cosiddetto salva Roma, ha disposto un piano di riequilibrio volto ad affrontare l'allarmante situazione connessa al livello del debito capitolino;
   all'articolo 16 («Disposizioni concernenti Roma Capitale»), comma 2, è infatti previsto un piano triennale di riequilibrio strutturale del bilancio, al cui interno sono contenute misure per il contenimento dei costi, molte delle quali dedicate alle società partecipate;
   in particolare, nell'ambito delle società partecipate, si prevede, alla lettera e) del sopra citato comma 2 dell'articolo 16 del decreto-legge n. 16 del 2014: «procedere, ove necessario per perseguire il riequilibrio finanziario del comune, alla fusione delle società partecipate che svolgono funzioni omogenee, alla dismissione o alla messa in liquidazione delle società partecipate che non risultino avere come fine sociale attività di servizio pubblico, nonché alla valorizzazione e dismissione di quote del patrimonio immobiliare del comune»;
   nel suddetto piano di riequilibrio, adottato con una deliberazione della giunta capitolina del 3 luglio 2014 (su cui il Ministero dell'economia e delle finanze ha dato parere favorevole l'8 agosto 2014), si prevede una riduzione della spesa corrente di circa 440 milioni di euro nel triennio;
   nel capitolo del piano di riequilibrio dedicato alle società partecipate, alcune misure sono dedicate alla società Roma multiservizi spa, dedicata, come leggibile sul portale web della società, a garantire standard di igiene, sicurezza e agibilità comunque ritenuti di interesse pubblico, operando, in particolare, presso le scuole comunali e statali, asili nido, aree verdi, monumentali e archeologiche, spiagge ed edifici e spazi ad uso pubblico;
   la Roma multiservizi spa è una società partecipata al 51 per cento da Ama spa, società del comune di Roma che opera per la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, per l'espletamento dei servizi cimiteriali e mantenimento del decoro urbano, e al 49 per cento da Manutencoop spa;
   nel sopra citato piano di riequilibrio strutturale, si prevedeva per la Roma multiservizi spa la «dismissione totale, coerentemente con le modalità di legge e l'attenzione rivolta alla salvaguardia dei livelli occupazionali»;
   in data 24 giugno 2014 è stata approvata dall'assemblea capitolina una mozione sottoscritta da alcuni consiglieri del Partito democratico e di Sinistra, ecologia e libertà, che impegnava il sindaco e la giunta a predisporre un percorso di valorizzazione nella cessione delle quote di Ama spa in Roma multiservizi spa mediante la cessione con gara della partecipazione, prorogando, altresì, il contratto per la gestione delle attività presso le scuole comunali, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali; la mozione richiedeva, inoltre, la revoca della richiesta preliminare di fornitura alla convenzione Consip, che aveva affidato i servizi di assistenza, pulizia e manutenzione delle scuole al consorzio Cnns, aggiudicatario del lotto Consip per le scuole del Lazio;
   la Consip, società per azioni del Ministero dell'economia e delle finanze, è la centrale acquisti della pubblica amministrazione al cui servizio opera secondo criteri di contenimento della spesa definiti dal Governo;
   a seguito dell'approvazione della mozione da parte dell'assemblea capitolina, la giunta e il sindaco di Roma hanno revocato la convenzione Consip, non essendo il consorzio affidatario in grado di garantire la tutela dei livelli occupazionali, come reso evidente dal rifiuto delle organizzazioni sindacali dell'accordo in peius circa le condizioni lavorative del personale;
   la mozione ha impegnato anche la giunta capitolina a prorogare, in base ai tempi indicati dal decreto-legge «salva Roma», il contratto relativo ai servizi presso le scuole comunali;
   la Roma multiservizi spa conta una dotazione organica di circa 3.800 unità;
   nel corso degli ultimi mesi sono stati numerosi i casi di procedure di mobilità o licenziamento attivate dalla società Roma multiservizi spa, tra cui i 48 addetti del servizio del verde, senza lavoro da più di un anno;
   il contratto di appalto concernente il global service scolastico, ossia i servizi di pulizia e manutenzione del verde delle scuole d'infanzia e degli asili nido, nonché di trasporto e accompagnamento, scaduto e prorogato nel corso degli ultimi anni e che riguarda circa 2.600 lavoratori, è stato al centro negli ultimi mesi di accese proteste da parte dei lavoratori stessi;
   in data 5 giugno 2015 è stato pubblicato il bando di gara per l'affidamento del sopra citato servizio, che scorpora lo stesso in cinque lotti, senza garanzie, di fatto, per la salvaguardia dei livelli occupazionali e delle condizioni contrattuali, non essendo stato integrato con la clausola sociale, come richiesto da lavoratori e organizzazioni sindacali –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato ha intenzione di intraprendere al fine di garantire la tutela dei livelli occupazionali e delle condizioni contrattuali dei lavoratori della società Roma multiservizi spa, impegnandosi attivamente per una soluzione positiva in grado di coniugare le esigenze di risanamento del bilancio capitolino e la salvaguardia del posto di lavoro di 3.800 lavoratori.
(3-01602)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, PESCO, DALL'OSSO e ALBERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Carrier Corporation, fondata dall'inventore della climatizzazione moderna, è il maggior produttore mondiale di soluzioni ad alto contenuto tecnologico per il riscaldamento, la climatizzazione, la refrigerazione e fornisce applicazioni eco-sostenibili quali sistemi di controllo, soluzioni integrate ad alta efficienza per applicazioni residenziali, commerciali, trasporti e refrigerazione. L'azienda è parte di UTC Climate, Controls & Security, società di United Technologies Corporation, uno dei più grandi gruppi tecnologici del mondo in campo aerospaziale e nei sistemi di gestione degli edifici. Carrier Corporation ha un fatturato di circa 13,5 miliardi di dollari, con circa 45 mila dipendenti ed opera in circa 170 Paesi in tutti i continenti;
   in data 4 giugno 2015, sul quotidiano «Il Giorno», veniva pubblicato l'articolo riguardante il mancato impegno alla reindustrializzazione del sito Carrier di Villasanta (MB), che comprometterebbe il futuro lavorativo degli ultimi 50 dipendenti dello stesso, dando continuità a quanto avvenuto nel 2014 con il licenziamento di 212 persone. I 50 lavoratori rimasti sono, attualmente, in cassa integrazione straordinaria che durerà sino a dicembre 2015 e non sino a maggio 2016, come precedentemente stabilito. A detta di Antonio Guzzi, segretario FIOM Monza e Brianza che sta seguendo la delicata situazione, la Carrier non ha intenzione di intervenire per risolvere le problematiche industriali ed occupazionali, aggravate dalle recenti norme nel campo del lavoro adottate dall'attuale Governo che complicano ulteriormente la posizione dei dipendenti dell'azienda;
   sempre secondo il sindacalista intervistato, la regione Lombardia che da tempo aveva promesso di occuparsi del problema dell'occupazione dei dipendenti della Carrier, non si è adeguatamente impegnata per aiutare i lavoratori –:
   se i Ministri interrogati non intendano istituire un tavolo nazionale di confronto con la società Carrier Corporation e le rappresentanze sindacali, che consenta di modificare l'attuale impostazione organizzativa della direzione aziendale e di garantire la piena occupazione di tutti i dipendenti della sede di Villasanta.
(5-05989)


   GNECCHI, INCERTI, BOCCUZZI, PATRIZIA MAESTRI, ALBANELLA, ZAPPULLA, GIORGIO PICCOLO, CASELLATO, GRIBAUDO, BARUFFI, GIACOBBE e MICCOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto interministeriale n. 63655 del 5 gennaio 2012, è stato riconosciuto il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito (indennità di mobilità o assegno straordinario), con esclusione della contribuzione figurativa, a favore di lavoratori inseriti in mobilità o nei fondi di sostegno a seguito di accordi stipulati entro il 30 aprile 2010 e che non rientravano nel contingente di 10.000 unità di cui all'articolo 12, comma 5-bis, decreto-legge n. 78 del 2010 (cosiddetta salvaguardia), ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2011 e comunque entro il periodo di fruizione delle prestazioni di tutela del reddito e con messaggio n. 1648/2012, l'Inps ha fornito le relative istruzioni operative;
   al succitato decreto era altresì allegata la tabella contenente le platee e il numero dei lavoratori interessati anno per anno, fino al 2017 ai quali va riconosciuto il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito;
   ad oggi, sono stati emanati i conseguenti decreti per gli anni 2011, 2012, 2013, 2014 al fine di consentire all'Inps di erogare l'assegno di sostegno al reddito ai lavoratori rientranti nella norma di cui all'articolo 42, comma 5-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010;
   non ci risulta che si stia predisponendo da parte dei Ministeri interessati, la conseguente emanazione del decreto interministeriale per l'anno 2015 e ciò comporta un periodo di assenza di qualsiasi reddito per i lavoratori interessati, in attesa di maturare l'erogazione del trattamento pensionistico –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di procedere all'emanazione del decreto di copertura per l'anno 2015 al fine di garantire l'intervento di sostegno al reddito a quei lavoratori e a quelle lavoratrici che hanno terminato la mobilità o sono usciti dal fondo di sostegno. (5-05992)


   TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, COMINARDI, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 183 del 2014 cosiddetto «Jobs act», ha introdotto la NASpI in sostituzione dell'ASPI e della Mini ASPI come sussidio di disoccupazione universale erogato dall'INPS per eventi di disoccupazione involontaria successivi al 1o maggio 2015, destinato ai lavoratori che perdono il lavoro ma hanno lavorato almeno 3 mesi;
   in data 10 giugno 2015, sul quotidiano online «La provincia di Lecco», veniva pubblicato l'articolo riguardante le denunce della mancata erogazione della NASpI, fatte dalla direttrice del patronato Inca di Lecco, Cinzia Gandolfi e dal segretario della Cgil di Lecco, Wolfango Pirelli, in occasione di un incontro sul nuovo ammortizzatore sociale. Il problema, a detta della Gandolfi e Pirelli, è dovuto al fatto che le 113 domande di cittadini a cui spetta la nuova NASpI, accumulate in soli 40 giorni ed in continuo aumento, non possono essere inviate dato che, a livello nazionale, non è ancora stata attivata la procedura per liquidarle. Le domande possono essere presentate solo per via informatica, ma l'Inps non ha la possibilità di poterle leggere e quindi non può erogare l'assegno a chi ne ha fatto richiesta;
   nell'articolo viene indicato come l'ASPI, l'ammortizzatore precedente al NASpI, nel solo periodo che va da gennaio al 10 giugno 2015 aveva raccolto 1.100 domande nella sola provincia di Lecco e aveva iniziato a funzionare dopo circa due anni di disagi tecnologici, ma proprio in quella, si è inserito il nuovo sistema della NASpI;
   secondo notizie ufficiose, la procedura per l'erogazione della NASpI pare sia stata rilasciata solo ad alcune sedi dell'INPS, che hanno però rilevato da subito problemi di funzionamento;
   è evidente che in molti dei casi di chi ha perso il posto di lavoro e non riceve il sussidio di disoccupazione, esista un reale disagio e che la situazione di ritardo possa tramutarsi in dramma –:
   quali siano i motivi legati ai ritardi nell'erogazione del sopracitato sussidio di disoccupazione universale erogato dall'INPS;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del numero di altri casi analoghi di non erogazione ai richiedenti del sussidio di disoccupazione NASpI sul territorio nazionale e, se ve ne sono, quali misure intenda adottare per attivare il corretto funzionamento del servizio a chi abbia fatto regolare domanda, compresi i richiedenti della provincia di Lecco sopracitati. (5-05995)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 giugno 2015, presso Confindustria Monza-Brianza, si è tenuto un incontro tra la direzione aziendale di Candy Hoover Group e i sindacati, poiché a ottobre 2015 scade il contratto di solidarietà per 500 operai. In tale occasione l'azienda ha dichiarato 340 esuberi nello stabilimento di Brugherio (MB), che è l'unico rimasto in Italia del Gruppo Candy Hoover;
   i sindacati non si aspettavano un numero così elevato di esuberi, in quanto negli incontri precedenti si era discusso di differenti tagli per ridurre i costi, che riguardavano il riconoscimento della quattordicesima, i premi di produzione e la mensa aziendale. Di contro, l'azienda, pur di colmare il divario con i costi dello stabilimento situato in Cina, ha previsto un diverso piano di ristrutturazione aziendale con il quale ha disposto: un taglio di 340 dipendenti, la riduzione della gamma di modelli prodotti, la riduzione della produzione – da 400.000 lavatrici prodotte all'anno a 300.000 – un investimento di 5/10 milioni di euro per automatizzare le catene di montaggio;
   a quanto è dato sapere, il prossimo ottobre ci sarà il rinnovo del contratto di solidarietà per altri 12 mesi e successivamente si procederà con gli esuberi. Tuttavia, si teme la possibilità che l'azienda non rinnovi il contratto di solidarietà e proceda direttamente con gli esuberi, poiché il piano di ristrutturazione aziendale predisposto e, in particolare, la drastica riduzione della forza lavoro appaiono preliminari alla chiusura del sito produttivo di Brugherio. Tra l'altro, gli esuberi in questione sono stati annunciati proprio allo scadere dei contratti di solidarietà ai quali si era fatto ricorso con un accordo siglato nel 2013, proprio per scongiurare 120 licenziamenti –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intenda intraprendere per la salvaguardia dei lavoratori in questione, anche istituendo un tavolo di concertazione tra la direzione aziendale e le parti sociali presso il Ministero.
(5-05996)


   ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il congedo parentale ad ore rappresenta un'opportunità per la madre lavoratrice: da un lato essa può organizzare il proprio lavoro e, dall'altro, può accudire i propri bambini;
   finora solo pochi contratti collettivi prevedevano la possibilità di poter utilizzare il congedo parentale ad ore, per altri bisognava attendere il rinnovo;
   già con l'interrogazione n. 5-02286, la sottoscritta sollecitava il Governo ad assumere iniziative normative per l'ampliamento a tutti i settori di tale possibilità, a prescindere dal rinnovo del contratto collettivo nazionale dei lavoratori, in maniera tale da garantire pari opportunità a tutte le lavoratrici madri, a prescindere dal settore di appartenenza;
   attraverso il decreto attuativo al Jobs act sulla conciliazione tempi di vita e di lavoro, viene estesa tale possibilità a tutti i contratti nazionali di lavoro, a prescindere dal rinnovo;
   titolato alla recezione delle richieste è l'INPS;
   attualmente, risulta all'interrogante che l'istituto non ha ancora provveduto ad aggiornare i propri software, non ha emesso ancora circolari applicative, e di conseguenza, nonostante sia prevista per legge tale possibilità, numerose sono le lavoratrici madri a non poter fare richiesta –:
   se il Ministro interrogato non intenda urgentemente assumere iniziative affinché l'istituto predisponga le circolari attuative e l'adeguamento alla disciplina vigente, al fine di rendere operativo a tutti gli effetti il congedo ad ore previsto dal decreto attuativo al Jobs act sulla conciliazione tempi di vita e di lavoro. (5-05997)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI, MANTERO, LOREFICE, VIGNAROLI e DI BATTISTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel periodo febbraio-aprile 2013 a Roma vi è stato, presso il policlinico Umberto I Dipartimento di Chirurgia «Pietro Valdoni», il decesso di una signora a seguito di un'infezione nosocomiale da Klebsiella pneumonia;
   non è noto agli interroganti se si sia trattato di un caso isolato ovvero se vi siano stati casi analoghi e nemmeno se siano state avviate indagini dalla procura della Repubblica di Roma;
   non risulta agli interroganti se siano state adottate misure atte a prevenire il diffondersi dell'infezione, né risulta se la direzione sanitaria abbia intrapreso le necessarie verifiche sull'ambiente delle sale operatorie con le colture ed i tamponi per la verifica di mantenimento della carica batterica;
   non è noto se vi sia stata l'infezione di altre persone nel medesimo reparto, precedentemente o successivamente all'infezione che ha colpito la signora deceduta, in tal caso andrebbe valutata una responsabilità omissiva da parte dei sanitari del reparto nonché della direzione ospedaliera;
   non è noto se il responsabile del reparto abbia inoltrato la comunicazione delle infezioni avvenute nel sito chirurgico, in base a quanto disposto dalla delibera ASL n. 675 del 25 giugno 2012 –:
   se il Ministro abbia già disposto o voglia disporre un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela della salute con relativa relazione presso il Policlinico Umberto I, dipartimento di chirurgia «Pietro Valdoni», riguardo al periodo febbraio-giugno 2013 per verificare se vi sia stato un picco delle infezioni ospedaliere presso il Dipartimento citato;
   se il Ministro intenda al riguardo assumere iniziative, nell'ambito del SiVeAS, volte ad accertare che attualmente siano assicurati adeguati livelli di sterilizzazione e sanificazione degli ambienti operatori e postoperatori presso il Policlinico Umberto I. (5-05998)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   GIGLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   una delle riforme qualificanti del Governo è rappresentata dalla legge di riforma di province e città metropolitane, cosiddetta legge Delrio (legge n. 56 del 2014), che prevede una serie di provvedimenti attuativi in capo a Stato e regioni;
   a complicare il cronoprogramma di questi adempimenti è stata la legge di stabilità per il 2015 che ha introdotto nuove scadenze e regole per il comparto;
   la sezione autonomie della Corte dei conti, nel referto «Il riordino delle province – Aspetti ordinamentali e riflessi finanziari» inviato al Parlamento, ha analizzato con precisione il processo di riorganizzazione a un anno dall'entrata in vigore della legge di riforma, facendo una prima valutazione degli effetti delle norme sugli andamenti finanziari delle province, sugli equilibri e sul rispetto del patto di stabilità;
   la Corte dei conti ha rilevato, in particolare, che tali ritardi e difficoltà nella fase attuativa, riguardano il riordino delle funzioni delegate o trasferite alle province e sono solo quattro le leggi regionali (Liguria, Toscana, Umbria e Marche) emanate al riguardo;
   si ricorda che il passaggio delle funzioni non fondamentali alle regioni doveva avvenire entro l'8 ottobre 2014 e che il personale da assegnare alle funzioni riorganizzate e quello da mettere in mobilità doveva avvenire entro il 31 marzo 2015;
   inoltre, dal punto della gestione finanziaria degli enti territoriali, ad esercizio finanziario 2015 inoltrato, l'onere della spesa del personale soprannumerario e delle funzioni non fondamentali che doveva essere trasferito su altri enti resta ancora a carico delle province. Ne consegue che una parte della spesa, soprattutto quella per il personale, grava su una gestione che non avrebbe invece dovuto considerarla nel proprio programma finanziario –:
   quali iniziative urgenti di competenza, di concerto con gli altri attori interessati, intenda adottare, da una parte, per dare sicurezza e garanzia ai circa ventimila dipendenti delle province e a quanti di questi siano stati già trasferiti e, dall'altra, per tamponare una situazione che rischia di compromettere i precari equilibri finanziari degli enti locali. (3-01596)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GNECCHI, MICCOLI, INCERTI, BOCCUZZI, PATRIZIA MAESTRI, ZAPPULLA, GIORGIO PICCOLO, CASELLATO, GRIBAUDO, BARUFFI, GIACOBBE e ALBANELLA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, decreto-legge n. 90 del 2014, convertito con modificazioni con legge n. 114 del 2014 dispone: «2. Salvo quanto previsto dal comma 3, i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge sono revocati»;
   a fronte della disposizione di cui sopra, le amministrazioni pubbliche hanno proceduto alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti che avevano raggiunto il limite ordinamentale, disponendo la cessazione del trattenimento in servizio;
   le pubbliche amministrazioni hanno proceduto pertanto al pensionamento coatto di dipendenti che sarebbero invece rimasti in servizio in ragione del fatto che per i pochi anni di contributi maturati si troveranno costretti a vivere con pensioni basse;
   si fa presente inoltre che sono state collocate coattamente a riposo donne che avevano 61 anni al 31 dicembre 2011 e solo 20 anni di contributi, a volte addirittura frutto del riconoscimento della maternità al di fuori del rapporto di lavoro o grazie al riscatto del congedo facoltativo per maternità, quindi una delle poche norme a favore delle donne si è trasformata in danno per le stesse, tutto questo senza rispettare l'articolo 30 del decreto legislativo n. 198 del 2006 che avrebbe permesso loro di rimanere in servizio fino a 66 anni e 3 mesi, l'articolo 30 infatti recita testualmente: «Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, previa comunicazione al datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia.», norma valida sia per il settore pubblico che privato –:
   per quanti dipendenti pubblici, suddivisi per sesso, età e anni di contribuzione sia stata disposta dopo il 31 ottobre 2014 la risoluzione del rapporto di lavoro e il relativo pensionamento coatto per aver raggiunto il limite ordinamentale dei 65 anni. (5-05991)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI, BECATTINI, MARCO DI MAIO, ROTTA, TERROSI, MARCHI, INCERTI, GADDA, ROMANINI, ZARDINI, MARIANI, FAMIGLIETTI, TIDEI, MANFREDI, MORANI, MARIANO, FRAGOMELI, GNECCHI, FABBRI, GALPERTI, GRASSI, CENNI, TINO IANNUZZI, AMATO, D'OTTAVIO, PATRIARCA, OLIVERIO, TARICCO, VENITTELLI, LODOLINI, MANZI, VERINI, LATTUCA, CAPONE e BERGONZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è al vaglio dell'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la possibilità di realizzare nel nostro Paese la consegna della posta a domicilio per giorni alterni;
   tale cambiamento colpirebbe in 3 tranche il 25 per cento dei comuni italiani sotto i 30 mila abitanti e sotto i 200 abitanti di densità km/q, coinvolgendo oltre 5.200 comuni su poco più di 8.000 e oltre 15 milioni di cittadini;
   nella sola provincia di Rimini, a titolo di esempio, sarebbero interessati 14 comuni su 26, ovvero tutta l'alta Valmarecchia e la Valconca con i comuni già più svantaggiati;
   con l'adozione di questo nuovo piano da parte di Poste, l'Italia rischierebbe una procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea, come anticipato a Poste e all'Agcom in una lettera informale fatta recapitare nei primi giorni di giugno, il cui contenuto è stato diffuso dai media;
   lo Stato da tempo versa alle Poste un contributo per coprire parte dei costi del servizio universale;
   la Federazione italiana settimanali cattolici ha già espresso la propria contrarietà all'eventuale recapito a giorni alterni dei «prodotti editoriali periodici quotidiani» ipotizzato dal documento «Consultazione pubblica sull'attuazione di un modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale» del 27 marzo 2015;
   senza il servizio universale (la consegna a domicilio 5 giorni su 7) vi sarebbero conseguenze pesanti sulla consegna dei quotidiani e di periodici a casa degli abbonati, con la penalizzazione dei giornali quotidiani e settimanali, spediti via posta, che basano il loro rapporto con gli abbonati sulla puntualità del recapito domiciliare;
   la preoccupazione di FISC è stata ribadita dal suo presidente Francesco Zanotti anche in una recente riunione a Roma con i vertici di Poste italiane spa;
   non pare appropriata la proposta di applicare la tariffa prioritaria, ritenuta dalla FISC provocatoria e fuori mercato –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire urgentemente, per quanto di competenza, al fine di continuare a garantire il servizio postale universale in quella parte d'Italia già svantaggiata e per mantenere in vita le voci del territorio e quelle che favoriscono il pluralismo e la democrazia. (5-05993)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge dall'ultimo rapporto annuale dell'Associazione nazionale imprese assicuratrici, circa 4 milioni di autovetture, pari all'8,7 per cento del totale, circolano nel territorio nazionale, sprovviste dell'obbligatoria polizza assicurazione per la responsabilità civile verso terzi;
   tale fenomeno che risulta in ascesa (solo in un anno è ulteriormente aumento di 400 mila unità), secondo quanto rileva il medesimo documento dell'Ania, è particolarmente avvertito nelle regioni del Mezzogiorno, in considerazione che le autovetture senza assicurazione sono una su dieci (pari al 13,5 per cento) e la loro incidenza aumenta anche al Centro (fino all'8,5 per cento) e al Nord-Italia (6,2 per cento);
   anche ai più alti livelli istituzionali è stato sostenuto come il numero complessivo dei veicoli che circolano senza copertura assicurativa, abbia raggiunto livelli intollerabili, specificando inoltre, come sia centrale ogni iniziativa di contrasto per affermare la legalità anche nel settore assicurativo, colpito da frodi troppo diffuse;
   secondo quanto annunciato dal presidente dell'Ania inoltre, il prossimo 18 ottobre arriveranno significative novità nei confronti degli automobilisti che frodano l'assicurazione sulla responsabilità civile verso terzi, attraverso l'introduzione della dematerializzazione del contrassegno, il cui strumento considerato una svolta per il contrasto al fenomeno, dovrebbe ridurre drasticamente l'evasione assicurativa;
   a tal fine, il rappresentante dell'Ania, nel corso della presentazione del rapporto in precedenza indicato, ha evidenziato l'urgenza di modificare la disciplina normativa del codice della strada, per consentire i controlli automatici con dispositivi come i tutor e le telecamere delle zone a traffico limitato oltre a quelli effettuati direttamente dalle forze dell'ordine sulla strada –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano di assumere iniziative normative per una rapida introduzione di modifiche della disciplina normativa del codice della strada in linea con quanto proposto dall'Ania e richiamata in premessa dall'interrogante. (4-09712)


   SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di riorganizzazione nazionale di Poste italiane presentato lo scorso mese di febbraio prevedeva per il Piemonte la chiusura di 40 uffici postali e l'apertura a giorni alterni di altri 130 uffici, ritenendoli «improduttivi» o «diseconomici» perché ubicati soprattutto nelle realtà montane e svantaggiate, senza considerare che queste zone vivono condizioni generali di servizio già di per sé disagiate;
   in seguito alle numerose proteste e grazie anche alla mozione presentata dal Gruppo della Lega Nord al Senato che ha impegnato il Governo a favorire una concertazione fra la società e le amministrazioni locali coinvolte per valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata ed individuare soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, alcuni degli uffici per cui era prevista la chiusura, rimarranno aperti e attivi;
   la scelta degli uffici da salvaguardare non risponde comunque alle numerose problematiche presenti anche in altri comuni: nella provincia di Biella inizialmente gli sportelli a rischio chiusura erano 7, mentre ora si dovrebbero salvare Biella Favaro e Cossato Ponte Guelpa, ma si paventa la chiusura delle filiali di Oropa, Biella Piazzo, Vigilano piazza Roma, Crocemosso e Pratrivero. La loro chiusura diventerebbe un problema per tutta la comunità contribuendo al depotenziamento del territorio e allo spopolamento dei piccoli comuni;
   gli uffici postali nei piccoli centri rappresentano dei punti di riferimento per la popolazione e la decisione di Poste italiane di limitare l'apertura degli uffici creerà enormi disagi soprattutto per i residenti anziani, ai quali verrà negata la possibilità di usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a frequenti e difficili spostamenti;
   sembra evidente che l'interesse economico ha prevalso sulla garanzia dell'omogeneità e della continuità del servizio stesso: gli utenti della fascia più debole, quelli di età avanzata, ai quali è già stata negata la possibilità da febbraio 2012 di riscuotere la pensione in contanti e si sono quindi visti costretti a lasciare i propri risparmi sui libretti postali, ora si vedono nuovamente danneggiati, non potendo usufruire dei servizi resi dagli uffici periferici, nonostante il regime di servizio universale debba essere finalizzato alla promozione di inclusione sociale di categorie deboli di consumatori;
   in merito all'interesse economico della società Poste italiane, con sentenza n. 1262 dell'11 marzo il Consiglio di Stato in relazione al progetto di razionalizzazione attivato da Poste italiane ha ribadito che «Poste non può fare spending review sulle spalle dei piccoli centri, determinando disservizi e disagi soprattutto alla popolazione anziana e a quella priva di strumenti tecnologici». Per questo motivo, concludono i giudici amministrativi, «le chiusure devono tenere conto della dislocazione degli uffici, con particolare riguardo alle aree rurali e montane, e anche delle conseguenze che la presenza ha sull'utilità sociale» –:
   se non ritenga urgente farsi promotore di una momentanea sospensione del processo riorganizzativo di Poste italiane nel Biellese, affinché possano essere rivalutate le condizioni dei comuni del Biellese così da scongiurare la chiusura di presidi tanto importanti per la comunità. (4-09713)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00553, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nicchi e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Locatelli, Zampa, Bergamini, Galgano, Spadoni, Nicchi, Albanella, Amato, Carocci, Chaouki, Cimbro, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Fabbri, Gadda, Gebhard, Gribaudo, Gullo, Iori, Maestri, Malpezzi, Marzano, Mongiello, Palma, Pastorelli, Piazzoni, Piccione, Quartapelle Procopio, Rocchi, Sbrollini, Tidei, Tinagli, Venittelli, Ventricelli, Vezzali, Villecco Calipari».

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Bazoli e altri n. 1-00928, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Boldrini.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Rizzo e altri n. 7-00551, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Basilio.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Artini e altri n. 4-09701, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bechis.

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati da presentatori:
   mozione Bergamini n. 1-00922 del 24 giugno 2015;
   mozione Cozzolino n. 1-00936 del 3 luglio 2015.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Sottanelli n. 5-05745 del 9 giugno 2015;
   interrogazione a risposta scritta Lombardi n. 4-09552 del 22 giugno 2015;
   interrogazione a risposta scritta Pesco n. 4-09629 del 30 giugno 2015;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo n. 4-09663 del 2 luglio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Guidesi n. 4-09679 del 2 luglio 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Artini e altri n. 4-09701 del 6 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05994.