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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 2 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    la perdurante crisi economica ha messo a dura prova le capacità di rimborso di crediti da parte di famiglie e imprese, producendo un esponenziale aumento d'insolvenze e, quindi, di procedure coatte di esecuzione su immobili intraprese dal sistema bancario e dagli agenti della riscossione, prima fra tutti Equitalia, tanto che la cronaca consegna casi drammatici di episodi consequenziali alle espropriazione della casa di abitazione ed al suo pignoramento, azioni che spesso vengono avviate senza preliminarmente valutare, anche in caso di indigenza comprovata, le reali condizioni personali e finanziarie del debitore;
    il sistema bancario, dal canto suo, sentitosi spinto, sotto la scure del progressivo e costante aumento dei cosiddetti non performing loan, verso livelli di esposizione non più sostenibili, avendo registrato nell'aprile del 2015 sofferenze lorde per 191,5 miliardi di euro per crediti deteriorati complessivi superiori ai 350 miliardi di euro, ha chiesto al Governo l'emanazione di nuove e più stringenti regole finalizzate all'accorciamento dei tempi necessari per il completo recupero delle somme prestate;
    qualora si sviluppasse il mercato dei non performing loan, lo stesso punterebbe inevitabilmente alle sofferenze più facili da risolvere e cioè a tutte quelle assistite da ipoteca immobiliare. Sotto questo aspetto non si può trascurare che, quasi sempre, dietro ad ogni ipoteca può celarsi una famiglia temporaneamente in affanno che non meriterebbe di dover subire dal suo creditore privato, come un istituto di credito, un trattamento diverso da quello che gli riserverebbe lo Stato. A tal ultimo proposito, infatti, grazie all'articolo 76, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, come novellato dall'articolo 52, comma 1, lettera g) del decreto-legge n. 69 del 2013, meglio conosciuto come «decreto del fare», convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, il debitore esecutato da Equitalia, attraverso la dichiarazione d'impignorabilità della casa (non di lusso) di abitazione, oltre a vedersi salvaguardato un bene primario, può vantare il diritto a continuare a fruire della propria abitazione, diritto che arriva a superare quello dello Stato di rientrare di un proprio credito fiscale o contributivo;
    di più: la terza sezione civile della Corte di cassazione, con una magistrale interpretazione, ha inoltre sciolto definitivamente ogni dubbio in relazione al profilo di efficacia temporale del sopradetto principio derivante dal novellato articolo 76, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, fornendo anche talune istruzioni di carattere operativo, stabilendo che quando l'espropriazione immobiliare abbia ad oggetto l'unico bene di proprietà, non di lusso, ove il contribuente abbia stabilito la propria residenza, «l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente di riscossione» (si veda la sentenza n. 19270 del 12 settembre 2014);
    secondo le alcune proiezioni effettuate sui dati raccolti presso 35 tribunali italiani e relative al quinquennio 2008-2013, pignoramenti ed esecuzioni immobiliari, complice la crisi economica, sono aumentati di circa il 108,1 per cento, percentuale alla quale si deve aggiungere un triste trend positivo pari all'11,6 per cento e relativo all'anno 2014;
    sul versante dei procedimenti di rilascio degli immobili ad uso abitativo, alla luce dei dati riportati nel mese di maggio 2015 dal «Rapporto sugli sfratti in Italia» elaborato con la collaborazione dei Ministeri dell'interno e della giustizia, dei 77.278 provvedimenti esecutivi emessi nell'anno 2014, 69.015 sono attribuibili a morosità. Il raffronto con i dati riferiti all'anno 2013 evidenzia per i provvedimenti di sfratto emessi nel 2014 un trend positivo pari a +5 per cento. Con riferimento agli stessi dati, circa il 41 per cento dei provvedimenti di rilascio emessi nel medesimo anno in tutto il territorio nazionale è riferibile alle province dei grandi comuni come Torino, Milano, Venezia, Verona, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo;
    in uno scenario nel quale anche l'emergenza abitativa, accanto alla disoccupazione, risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale del Paese, avendo assunto dimensioni allarmanti, soprattutto, come si è visto, nelle grandi aree urbane ove le percentuali di sfratti per morosità incolpevole, riferibili spesso a locazioni di alloggi popolari, arrivano a superare il 90 per cento, anche con il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, (cosiddetto decreto IMU), Governo e Parlamento hanno impresso un'inversione di tendenza sulle politiche della casa, adottando timide ma importanti misure di sostegno all'accesso all'abitazione ed al settore immobiliare, prevedendo l'intervento diretto della Cassa depositi e prestiti attraverso il Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa e l'istituzione di alcuni fondi, tra i quali il fondo di garanzia a copertura del rischio di morosità «incolpevole», con uno stanziamento di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, incrementato di ulteriori 225,92 milioni di euro dal 2014 al 2020 dall'articolo 1, comma 2 del decreto-legge n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2014, e destinato a sanare quelle condizioni di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo legate alla perdita o alla consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare;
    pertanto, alla morosità, quando involontaria e, quindi, non colpevole è stata riconosciuta rilevanza giuridica con l'istituzione di un fondo ad hoc destinato al finanziamento di percorsi di accompagnamento sociale ma solo riguardo a soggetti sottoposti a sfratto esecutivo che, a causa di sopravvenuta impossibilità, per perdita della capacità reddituale, a provvedere al pagamento del canone locativo. Sarebbe invece auspicabile un intervento normativo che estenda la destinazione delle risorse dello stesso fondo anche per il sostegno di quei proprietari che si sono visti pignorare il proprio immobile adibito ad abitazione principale a causa della loro insolvenza legata ad oggettive e temporanee difficoltà economiche, ed il soddisfacimento dei creditori attraverso la remunerazione degli interessi legati all'eventuale moratoria dei provvedimenti esecutivi, disponendo a tal fine annualmente, in sede di approvazione della legge di stabilità, maggiori risorse finanziarie da destinare al predetto fondo di cui all'articolo 5,comma 6 del decreto-legge n. 102 del 2013;
    con una recente modifica introdotta dal Parlamento al decreto-legge n. 132 del 2014 sulla riforma della giustizia civile, come convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, è stata soppressa l'originaria previsione governativa che era diretta ad introdurre l'obbligo per il giudice dell'esecuzione immobiliare di ordinare la liberazione dell'immobile pignorato nel momento in cui autorizza la vendita, intervento che, essendo volto a conseguire la massima efficacia delle vendite forzate, avrebbe dovuto porre l'immobile pignorato nella situazione di fatto e di diritto il più possibile analoga a quella di un immobile posto in vendita sul libero mercato, liberando in tal modo l'acquirente dalle incertezze legate ai tempi ed ai costi del procedimento di esecuzione per rilascio dell'immobile. Grazie alla soppressione della norma intervenuta in sede di esame parlamentare, il proprietario dell'immobile pignorato potrà pertanto continuare ad occuparlo fino alla data di effettivo perfezionamento della vendita coatta;
    nonostante il sopraddetto quadro normativo, molta strada deve ancora farsi sul piano delle tutele di coloro che, a causa della sopravvenuta incapacità economica ad onorare le loro esposizioni debitorie nei confronti di soggetti privati (banche o terzi), si sono visti pignorare un bene primario quale è la casa di abitazione,

impegna il Governo:

   ad adottare, con riferimento a situazioni di involontaria esposizione debitoria nei confronti di creditori privati da parte di soggetti che versino in condizioni di obiettivo disagio economico, disposizioni normative volte a prevedere:
    a) una sospensione di 12 mesi dei procedimenti di esecuzione immobiliare esecutivi a carico degli immobili adibiti ad abitazione principale, con particolare riguardo a coloro che sono maggiormente esposti a difficoltà economiche e finanziarie ed ai nuclei familiari privi di collocazione abitativa alternativa;
    b) in sede di asta giudiziaria relativa al pignoramento del bene immobile del debitore adibito ad abitazione principale, l'attribuzione per legge allo Stato del diritto di prelazione, anche al fine di garantire alla famiglia vittima del provvedimento esecutivo il diritto a continuare ad abitare, dietro corresponsione di un canone sociale, nell'immobile acquisito dallo Stato, o al fine di destinarlo, se libero, all'edilizia popolare;
   ad assumere iniziative normative volte ad estendere la destinazione delle risorse del sopradetto fondo per la morosità incolpevole, in particolare per il sostegno di quei proprietari che si sono visti pignorare il proprio immobile adibito ad abitazione principale a causa della loro insolvenza legata ad oggettive e temporanee difficoltà economiche, e per il soddisfacimento dei creditori attraverso la remunerazione degli interessi legati all'eventuale moratoria dei relativi provvedimenti esecutivi.
(1-00931) «Paglia, Scotto, Zaratti, Daniele Farina, Pellegrino, Costantino, Melilla».


   La Camera,
   premesso che:
    il problema delle esecuzioni immobiliari, in un momento di difficoltà economica come quello attuale, è purtroppo sempre più frequente e assume particolare rilevanza per i suoi effetti negativi quando si tratta della casa in cui risiede il debitore e quando è, al contempo, l'unico bene di sua proprietà;
    in questi casi, infatti, neppure la tutela del bene dal pignoramento può essere considerata una misura sufficiente se non è accompagnata da un percorso di sostegno che aiuti il proprietario in difficoltà nel rientro dal debito;
    in tutti gli altri casi, pur essendo l'abitazione un «bene rifugio», per mancanza di liquidità o per debiti può essere oggetto di pignoramento e quindi nei casi di conclamata insolvenza finire all'asta. Va comunque sottolineato che tale circostanza non è sempre risolutiva ai fini della copertura del debito perché nelle aste, nella gran parte dei casi, si registra una forte riduzione del prezzo di vendita e una posizione debitoria che permane comunque difficile per il futuro. Inoltre, nei fatti determina il reale rischio di impoverimento e di esclusione sociale da espropriazione per le famiglie in difficoltà che vengono private della prima casa e permangono in una difficoltà economica;
    il rischio di perdere la casa quale unico bene di proprietà non riguarda oggi solo le aree sociali economicamente più svantaggiate ma si estende a fasce sempre più ampie della popolazione, fino a coinvolgere anche le classi medie per gli effetti della grave crisi economica in essere che ha riflessi sulla riduzione dell'occupazione e sull'aumento del costo della vita. Il disagio abitativo riguarda, sempre più, famiglie impoverite dalla crisi attuale. I dati della Banca d'Italia indicano che una famiglia su tre ha contratto passività finanziarie e che, a causa della riduzione dei redditi provocata dalla crisi economica, le famiglie hanno difficoltà a farvi fronte con conseguente messa a rischio del patrimonio familiare che spesso è la garanzia generale verso i creditori. La recessione in atto ha altresì aggravato la situazione, tanto che il welfare abitativo, nelle sue diverse forme, lascia scoperte quote tendenzialmente crescenti della popolazione, rendendo necessarie misure di urgenza per far fronte alla carenza di alloggi sociali o di edilizia residenziale pubblica;
    la necessità di provvedimenti che favoriscano la disponibilità di edilizia residenziale pubblica è ancor più evidente se si considerano i dati dell'indagine realizzata dalla fondazione Civicum in collaborazione con il Politecnico di Milano sulla politica abitativa in Italia che ha analizzato 15 grandi comuni italiani dove risiedono oltre 7,5 milioni di persone, pari al 13 per cento circa della popolazione e dove gli alloggi di edilizia residenziale pubblica censiti sono oltre 131 mila;
    lo studio evidenzia, anche in tema di edilizia residenziale pubblica, l'Italia a due velocità: al Nord ci sono in media venti alloggi ogni 1000 residenti e un investimento medio di 28 euro per abitante, contro gli 8 alloggi ogni 1000 residenti e i 9 euro per abitante che caratterizzano l'Italia centromeridionale;
    al fine di evidenziare anche l'efficienza gestionale del patrimonio immobiliare pubblico, la ricerca ha preso in esame anche il tasso di occupazione degli alloggi. A parità di numero di case disponibili, infatti, un basso tasso di occupazione è normalmente dovuto all'indisponibilità degli alloggi per interventi di ristrutturazione, a problemi nelle procedure interne per la loro assegnazione o ad occupazione abusive. Ebbene, solo in tre delle città analizzate (Bari, Catanzaro e Pescara) tutti gli alloggi risultano occupati o assegnati. Si tratta, peraltro, di città dove il numero di alloggi disponibili è particolarmente basso rispetto al numero di residenti;
    con il decreto-legge n. 69 del 2013 («decreto del fare»), all'articolo 52, comma 1, lettera g), è stata disciplinata l'interruzione delle procedure esecutive intraprese da Equitalia sugli immobili abitati come prima casa, intervenendo sul decreto del Presidente della Repubblica n.602 del 1973;
    in particolare, con questo intervento legislativo viene di fatto bloccata l'esecuzione esattoriale se l'immobile rappresenta l'unica proprietà del debitore, se è adibito ad abitazione e se lo stesso debitore vi risiede anagraficamente;
    tuttavia, per giurisprudenza consolidata, con alcune recenti sentenze in materia, viene stabilito che l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice esecutore o per iniziativa dell'agente di riscossione, se l'espropriazione immobiliare abbia ad oggetto l'unico bene di proprietà, non di lusso, dove il contribuente debitore abbia stabilito la sua residenza;
    va considerato, in ogni caso, che sospendere ex lege la procedura di esproprio degli immobili presenta profili di incostituzionalità con riferimento al venir meno dei diritti di natura privatistica dei creditori. Pertanto, risulta determinante porre in essere un'efficace politica abitativa di edilizia residenziale pubblica per le fasce sociali deboli e di sostegno economico per le famiglie in grave difficoltà o in stato di insolvenza;
    in particolare, appare necessaria l'elaborazione di un piano pluriennale di offerta di alloggi di edilizia residenziale in favore delle fasce sociali deboli e più esposte alla crisi economica; al contempo, sarebbe opportuno rendere effettivamente utilizzabili le risorse stanziate per il rifinanziamento del fondo di sostegno degli affitti e per la morosità incolpevole;
    in questa direzione il decreto-legge n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, persegue, fra gli altri, l'obiettivo di affrontare e risolvere l'emergenza abitativa in atto nel Paese; a tal fine, il provvedimento adotta una serie di misure finalizzate, da un lato, a «fornire un sostegno economico alle categorie sociali meno abbienti che oggi non riescono a pagare l'affitto» e, dall'altro, ad «incrementare l'offerta di alloggi in affitto a canone concordato»;
    anche nel 2014 sono aumentati i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari. Secondo i dati dell'Adusbef, infatti, si attestano a 52.606 nel dicembre 2014, con una media di 20 provvedimenti per giorno lavorativo, l'11,6 per cento in più rispetto al 2013. La cifra è ricavata dalle proiezioni sui dati raccolti in 35 tribunali italiani al 30 ottobre 2014. Secondo i dati di Federconsumatori, in 5 anni di crisi (2008-2013), pignoramenti ed esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 108,1 per cento che, tradotto in termini numerici per abitazioni interessate da tali provvedimenti, equivarrebbe alla scomparsa di città di dimensioni pari ad Ancona, Bolzano o Terni;
    l'aumento del numero dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari, malgrado gli interventi legislativi entrati in vigore, ha portato ad un incremento delle richieste di aiuto da parte delle famiglie italiane in difficoltà, che spesso sono costrette a rivolgersi a terzi per cercare di risolvere un problema per loro insormontabile, come la cancellazione del pignoramento sull'immobile o per impedire la svendita della casa pignorata,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità:
   a) di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a sostenere i nuclei familiari, soprattutto con figli, che siano in situazioni di pignoramento ed esecuzione immobiliare per effetto di condizioni di insolvenza e involontarietà del debitore;
   b) a varare una politica di accordi con le banche per l'individuazione di misure volte ad una gestione dei mutui in sofferenza, con particolare riferimento alle famiglie in situazione temporanea di insolvenza;
   c) a promuovere iniziative volte ad arginare il fenomeno dei pignoramenti degli immobili adibiti ad abitazione principale;
   d) ad adottare iniziative per favorire la disponibilità di risorse economiche finalizzate all'aumento del numero di alloggi di edilizia residenziale pubblica disponibili per le famiglie disagiate, con specifico riferimento a coloro nei confronti dei quali sia stata avviata una procedura esecutiva riferita alla casa di abitazione e con una contestuale semplificazione delle procedure di assegnazione che consentano una riduzione significativa dei tempi relativi agli iter procedurali.
(1-00932) «Matarrese, Mazziotti Di Celso, Vargiu, D'Agostino, Vecchio, Dambruoso».


   La Camera,
   premesso che:
    il settore dei call center in Italia è in crisi da diverso tempo e senza misure di salvaguardia per i lavoratori il Governo sarà costretto ad affrontare un rilevante problema occupazionale;
    nei prossimi mesi, secondo i sindacati di categoria, potrebbero chiudere diverse grandi aziende di call center causando la perdita di numerosi posti di lavoro;
    tutto questo è attribuibile alle delocalizzazioni selvagge, alle procedure di dumping sui mercati esteri e alle procedure di gara al massimo ribasso che stanno mettendo in ginocchio un settore composto prevalentemente da giovani e donne, in particolare delle regioni meridionali del Paese;
    il ricorso massiccio al sistema del massimo ribasso nelle gare di appalto spinge le aziende di questo settore a delocalizzare l'attività produttiva in quei Paesi del mondo, si cita come esempio l'Albania, in cui il costo della manodopera è notevolmente inferiore;
    questo tipo di gare penalizza la qualità dei servizi di call center e, inoltre, non consentono un risparmio reale per la collettività poiché non viene considerato che i prezzi praticati dalle aziende devono tener conto anche dei costi reali del personale e non soltanto degli sgravi conseguibili dall'azienda stessa;
    per quanto riguarda le delocalizzazioni all'estero delle attività produttive, queste avvengono sovente senza rispettare la legislazione vigente;
    accade troppo spesse che le aziende che gestiscono i call center non osservino quanto previsto dall'articolo 24-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nell'attività svolta da call center;
    il comma 2 dell'articolo 24-bis stabilisce che, qualora un'azienda decida di spostare l'attività di call center fuori dal territorio nazionale, debba darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali indicando i lavoratori coinvolti, e all'Autorità garante per la protezione dei dati personali, indicando quali misure vengano adottate per il rispetto della legislazione nazionale, in particolare del codice in materia di protezione dei dati personali e del registro delle opposizioni;
    il comma 3 dell'articolo 24-bis stabilisce, invece, che in attesa di procedere alla ridefinizione del sistema degli incentivi all'occupazione nel settore dei call center, i benefici previsti dall'articolo 8 della legge 29 dicembre 1990, n. 407, in materia di contratti di formazione e lavoro e assunzioni a tempo indeterminato, non possano essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri;
    alcune aziende di call center, nonostante la presenza di tali norme, continuano a godere degli incentivi pubblici malgrado sia in atto il processo di delocalizzazione;
    tra le varie aziende di questo settore attualmente in crisi è da segnalare il caso rappresentato dal Gruppo Teleperformance, leader mondiale nell'offerta di servizi di Contact center, presente in 62 paesi nel mondo attraverso 270 Contact center e con oltre di 175 mila risorse, in Italia a sede a Fiumicino e Taranto. Attraverso 89 mila postazioni gestisce globalmente oltre 1.000 Clienti, un terzo dei quali sono società «blu chip» internazionali, presenti all'interno delle principali industry: telecomunicazioni, servizi finanziari, banche e assicurazioni; media e grande distribuzione;
    la multinazionale francese si è insediata a Taranto firmando un contratto di localizzazione il cui impegno finanziario ammontava a circa 2 milioni di euro, di cui 1 milione erogato come contributo dal Ministero dello sviluppo economico. Il programma prevedeva l'acquisto di 650 postazioni per gli operatori (mobilio da ufficio comprensivo di personal computer); infrastrutture tecnologiche (server e dischi per la SAN - Storage Area network - per i nuovi PC); apparati telefonia e dati; stampanti industriali, scanner e imbustatrici; allacciamento alla rete elettrica;
    Sviluppo Italia, oltre ad aver realizzato l'analisi preliminare dell'esistenza dei requisiti formali, della fattibilità tecnico economica e della cantierabilità dell'iniziativa, ha prestato assistenza all'investitore nella predisposizione della domanda di Contratto di Programma, al Ministero dell'economia e delle finanze e alla regione nella predisposizione del testo di Accordo di programma quadro e ha svolto attività di coordinamento e gestione delle fasi del processo di governance del contratto di localizzazione;
    dopo l'avvio delle attività nel luglio 2005, in data 12 aprile 2007 presso la sede regionale del Genio Civile, è stato sottoscritto, tra l'allora assessore al lavoro e formazione professionale, i rappresentanti dei sindacati confederali e i rappresentanti della società Teleperformance Italia, il primo accordo sulla stabilizzazione occupazionale dei dipendenti della sede tarantina;
    la Società In & Out (Teleperformance) ha inoltre ottenuto dei finanziamenti provenienti dai Fondi europei, bando P.O.R. Puglia 2000-2006, complemento di programmazione, Asse III, Misura 3.11 «Sviluppo e consolidamento dell'imprenditorialità, emersione del lavoro non regolare, Azione c) Aiuti all'occupazione», che prevedeva finanziamenti, per un ammontare complessivo di risorse pari a euro 4.227.44,78, alle imprese, consorzi di piccole e medie imprese, organizzazioni no profit, cooperative pugliesi finalizzati alla trasformazione dei contratti di collaborazione a progetto in rapporti di lavoro subordinato. Si trattava, quindi, di un intervento finalizzato alla stabilizzazione occupazionale, da attuare in sinergia con le previsioni della legge finanziaria 2006. L'intervento consisteva nell'erogazione di un contributo pari a euro 7.747 per ciascun rapporto di lavoro trasformato, aumentato del 50 per cento nel caso in cui le trasformazioni effettuate riguardassero manodopera femminile;
    è doveroso precisare che l'azienda francese dei call center, dal 2008 a oggi, ha goduto dei benefici previsti dalla legge per la stabilizzazione dei lavoratori. Tra questi l'utilizzo di circa 36 mesi di ammortizzatori sociali in deroga, dopo la sottoscrizione di un importante accordo sindacale che ha permesso all'azienda di abbattere del 12 per cento il costo del lavoro, consentendole un innegabile vantaggio competitivo nel settore. L'incentivo è riconosciuto nel limite massimo di 8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016;
    il 7 maggio 2015 l'amministratore delegato della multinazionale, Gabriele Piva, ha annunciato ufficialmente l'apertura delle procedure per la societarizzazione delle due sedi italiane. La società sta, infatti, procedendo alla creazione di una new-company (Corporate) e una bad-company (In & Out SpA). L'idea è di scorporare la società per lasciare gli utili frutto di accordi commerciali del Gruppo a livello mondiale nella «Corporate» presso la sede di Fiumicino e condurre verso morte certa la «In&Out» società in perdita nella quale ci sono i lavoratori della città ionica;
    il 30 giugno 2015 scadrà l'accordo che negli ultimi anni ha consentito a Teleperformance un innegabile vantaggio competitivo;
    è doveroso ricordare che la sola sede di Taranto conta 2.700 addetti, di cui 1.700 con contratto a tempo indeterminato e circa 1.000 con contratto a progetto, rappresentando la seconda realtà di lavoro dopo Ilva. L'eventuale chiusura o delocalizzazione della sede di Taranto dell'azienda comporterebbe conseguenze disastrose sia per i lavoratori, sia per l'economia ionica già in forte difficoltà per le note vicende di Ilva,

impegna il Governo:

   a formare dati certi riguardanti le attività di delocalizzazione che hanno interessato, fino ad oggi, i servizi di call-center;
   a verificare se tali attività siano avvenute nel rispetto dell'obbligo di cui all'articolo 24-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché siano garantite le condizioni necessarie al pieno rispetto della normativa di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 83 del 2012, citato in premessa;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza volta a rivedere la disciplina del massimo ribasso nelle gare di appalto;
   a informare i competenti organi parlamentari sugli effetti derivanti dall'applicazione della legge di stabilità 2014 (comma 60, dell'articolo 1, della legge n. 147 del 2013) in materia di delocalizzazioni e in particolare quelle inerenti al comparto dei servizi di call center;
   ad assumere iniziative urgenti volte al sostegno del reddito dei lavoratori interessati dalla crisi dell'azienda Teleperformance.
(1-00933) «Petraroli, Tripiedi, Chimienti, Dall'Osso, Cominardi, Massimiliano Bernini, Grande, Battelli, Carinelli, Nesci».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia il termalismo rappresenta una risorsa fondamentale a disposizione del Servizio sanitario nazionale, atteso che le cure termali, per la loro efficacia terapeutica e per la loro duttilità di impiego, si sono da sempre rivelate particolarmente idonee ad esplicare un'incisiva azione per la tutela globale della salute in ciascuna delle tre fasi della prevenzione, cura e riabilitazione e costituiscono, da sempre, uno strumento indispensabile per il mantenimento ed il ripristino dello stato di benessere psicofisico ed un valido rimedio per una pluralità di patologie cronico-corrosive ampiamente diffuse nella popolazione;
    il sistema termale del nostro Paese è costituito da un'articolata rete di imprese, omogeneamente operanti su tutto il territorio nell'ambito della sanità pubblica e privata, che offrono prestazioni all'avanguardia, all'altezza di quelle presenti nel resto d'Europa e nel mondo;
    tale risultato è diretta conseguenza degli investimenti regionali e di quelli attivati anche grazie all'istituzione della Fondazione per la ricerca scientifica in materia termale, che è alimentata con il contributo della quasi totalità delle imprese del settore;
    il termalismo nel nostro Paese è anche una delle componenti maggiormente radicate nel vivo del patrimonio turistico, culturale e storico — oltre che in quello sanitario – contando 378 stabilimenti distribuiti in 20 regioni e 170 comuni, occupando oltre 60.000 addetti – tra quelli diretti e quanti lavorano nell'indotto – e producendo un fatturato annuo diretto di 800 milioni di euro circa, che arriva a più di 1,5 miliardi di euro, considerando i servizi ad esso correlati (alberghiero, ristorazione, commercio, e altro);
    le località termali rappresentano un asset rilevante per il sistema turistico e paesaggistico nazionale (pari a circa il 5 per cento del turismo italiano) in grado di favorire significativi processi di destagionalizzazione attraverso la combinazione di fattori quali la consolidata tradizione di cura, l'offerta di «benessere termale» ed i vari attrattori di cui i territori termali sono normalmente dotati;
    in questo quadro, il termalismo rappresenta una risorsa determinante per vaste aree del Paese per le quali il termalismo, nella maggioranza di queste, rappresenta l'unica risorsa economica ed occupazionale disponibile;
    al pari di altri comparti afferenti sia al mondo della sanità che a quello del turismo, il settore termale è stato pesantemente colpito dalla crisi economica, avendo subito una contrazione del fatturato per cure, nel periodo 2008-2014, di quasi il 20 per cento;
    la minore disponibilità di risorse finanziarie da parte delle famiglie ha indotto una forte contrazione anche dei periodi di soggiorno da parte degli utenti termali provocando pesanti ricadute negative sull'intero sistema economico che gravita intorno al turismo termale;
    tale situazione ha determinato il sostanziale blocco degli investimenti per ammodernamenti ed ampliamenti delle strutture termali, come pure per la realizzazione di nuove strutture ricettive o per la ristrutturazione di quelle esistenti;
    l'articolo 1, comma 301, della legge di stabilità 2015, di cui alla legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha disposto che dal 1o gennaio 2016 le prestazioni economiche accessorie alle cure termali erogate da parte di Inps e Inail per effetto della legge 24 ottobre 2000, n. 323, non saranno più a carico delle rispettive gestioni previdenziali;
    il decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 22, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, emanato in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 cosiddetto «Jobs act», prevede l'erogazione della nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego – NASpI agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1o maggio 2015 che interessano i lavoratori dipendenti con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni nonché degli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato; il medesimo decreto legislativo prevede che, in via sperimentale per il 2015, in relazione agli eventi di disoccupazione involontaria verificatisi dal 1o gennaio 2015 al 31 dicembre 2015, sia riconosciuta un'indennità di disoccupazione mensile denominata DIS-COLL – ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, iscritti in via esclusiva alla relativa Gestione separata, non pensionati e privi di partita IVA;
    con la NASpI è riconosciuta una indennità proporzionale alla retribuzione mensile ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentano almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione e 30 giorni di lavoro effettivo o equivalenti nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
    ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto legislativo la NASpI è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni (cioè al massimo per 24 mesi);
    tale previsione, nel caso di lavoratori stagionali, potrebbe portare a penalizzazioni legate proprio al tipo di contratto; sarebbe opportuno introdurre correttivi ai criteri di calcolo della durata della NASpI che tengano conto della necessità di non penalizzare i lavoratori stagionali, anche alla luce delle difficoltà legate alla contrazione del periodo di lavoro e alla conseguente riduzione del reddito;
    l'evolversi del mercato di riferimento, con la nuova offerta termale proveniente dai sistemi di altri Paesi europei e extraeuropei e capaci di realizzare politiche commerciali e di marketing fortemente aggressive, rende necessario consentire al termalismo nazionale di poter continua a competere ad un livello paritario;
    appare ormai indifferibile dare concreta attuazione al progetto di rilancio del settore termale del nostro Paese, in una più complessiva ottica di valorizzazione delle economie locali;
    esistono numerose questioni afferenti il settore termale che richiedono interventi normativi immediati e soluzioni «su misura» che garantiscano agli imprenditori e agli investitori certezze normative e risorse certe, anche al fine di permettere una ordinata attività economica fondata sulla programmazione di investimenti nel medio e lungo termine e la definizione di strategie di ampio respiro. Al riguardo, si sottolinea la presenza di numerose proposte di legge di riordino del sistema termale che risultano depositate in Parlamento;
    in particolare, appare urgente un intervento normativo volto a:
     a) stanziare le risorse finanziarie necessarie per la revisione per il triennio 2016-2018 delle tariffe massime delle prestazioni di assistenza termale erogate per conto del Servizio sanitario nazionale, tenendo conto del costante incremento dei costi di produzione;
     b) chiarire in via interpretativa l'inapplicabilità del decreto legislativo 26 marzo 2009, n. 59 (di attuazione della direttiva 2006/123/CE, cosiddetta «Direttiva Bolkenstein») alle attività termali in quanto attività di erogazione di servizi sanitari, recependo i chiarimenti forniti sul tema sia dalla Commissione europea che dal Ministero della salute, d'intesa con il Ministro delle politiche comunitarie;
     c) agevolare il reinserimento sul mercato e l'attuazione dei percorsi di privatizzazione previsti per legge delle imprese termali pubbliche, per le quali è indifferibile il recupero delle corrette e normali modalità di gestione, anche attraverso un impegno diretto di Cassa depositi e prestiti;
    la soluzione della maggior parte delle questioni fin qui descritte risulterebbe senz'altro agevolata dalla rapida approvazione di un provvedimento legislativo di revisione della legge 24 ottobre 2000, n. 323, di riordino del settore termale, nel quale potrebbero trovare spazio ulteriori disposizioni quali:
     a) la delega al Governo per l'adozione di un testo unico della normativa in materia di attività idrotermali;
     b) la semplificazione amministrativa, con particolare riguardo all'onnicomprensività dell'autorizzazione all'apertura;
     c) il rafforzamento della tutela della terminologia «termale», con inasprimento dell'apparato sanzionatorio attualmente previsto;
     d) l'implementazione degli stabilimenti termali nell'ambito dell'offerta di prestazioni sanitarie a livello territoriale;
     e) la realizzazione presso le aziende termali, di sistematiche attività di promozione della salute e di prevenzione delle malattie, con stabile partecipazione all'attuazione di programmi istituzionali di educazione sanitaria e campagne di prevenzione delle patologie a forte impatto sociale;
     f) l'ampliamento del ruolo degli accordi nazionali di cui all'articolo 4 della citata legge n. 323 del 2000 volti a garantire l'unitarietà del sistema termale nazionale;
     g) l'individuazione di un percorso di attuazione del profilo professionale dell'operatore termale, previsto dall'articolo 9 della citata legge n. 323 del 2000 che ne consenta la definizione in tempi certi e brevi, atteso che il ritardo fino ad oggi accumulato risulta doppiamente penalizzante, sia sul piano della competitività in termini di qualità dell'organizzazione e delle prestazioni erogate, sia sul piano dell'occupazione, soprattutto quella giovanile, che potrebbe trovare un ulteriore ed utile sbocco in uno di quegli ambiti formativi intermedi tra l'università ed il diploma che sono, invece, ampiamente coltivati negli altri Paesi dell'Unione europea,

impegna il Governo:

   ad adottare idonei provvedimenti di sostegno per il settore termale, scongiurando l'applicazione, a decorrere dal 1o gennaio 2016, delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 301, della legge di stabilità 2015 e reintroducendo per le cure termali che prevedevano l'erogazione di prestazioni economiche accessorie da parte di Inps e Inail la copertura da parte delle rispettive gestioni previdenziali;
   a destinare risorse finanziarie sufficienti per la revisione per il triennio 2016-2018 delle tariffe massime delle prestazioni di assistenza termale erogate per conto del Servizio sanitario nazionale;
   a favorire, per quanto di competenza, il rapido iter dei disegni di legge di revisione della legge 24 ottobre 2000, n. 323, per provvedere all'adeguamento normativo al mutato contesto economico e sociale di riferimento del settore termale;
   ad assumere iniziative normative con urgenza per introdurre una disciplina che definisca i criteri per il rilancio degli stabilimenti termali in mano pubblica, attraverso idonee modalità di ristrutturazione dei debiti accumulati che siano contestualmente accompagnati da profondi processi di ristrutturazione organizzativa, anche attraverso un impegno diretto di Cassa depositi e prestiti;
   a chiarire che la norma di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante l'attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, applicabile a qualunque attività economica, di carattere imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta allo scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione anche a carattere intellettuale, si interpreta nel senso di escludere dall'ambito di applicazione le attività termali e a quelle di imbottigliamento delle acque minerali e termali, ivi compreso il rilascio ed il rinnovo delle relative concessioni;
   a dare attuazione al decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 38, di recepimento della direttiva 2011/24/UE relativa all'assistenza sanitaria transfrontaliera, prevedendo efficaci strumenti applicativi specifici per il settore termale, che consentano a quest'ultimo di poter cogliere le opportunità che offre un nuovo mercato potenzialmente destinato ad interessare 600 milioni di europei dei 28 Paesi, 2 milioni di medici e 20 milioni d'infermieri e operatori termali, garantendo al settore nazionale una preziosa opportunità di crescita che avrebbe ricadute economico-occupazionali estremamente positive anche per i singoli territori di riferimento e costituirebbe una nuova attrattiva anche per il turismo tradizionale e per quello del benessere termale;
   ad adottare idonee iniziative volte a promuovere e sensibilizzare, anche attraverso mezzi di informazione e iniziative mediatiche, l'utilizzo di terapie termali, quali cure mirate alla salute ed al benessere psico-fisico dell'individuo, implementando la promozione anche attraverso campagne informative rivolte ai medici di base al fine di indirizzare i propri pazienti a curarsi nelle strutture termali, laddove possibile;
   ad adottare idonee iniziative al fine di costituire un insieme di distretti del termalismo finalizzati a valorizzare le eccellenze delle singole realtà, riconosciuti e coordinati a livello nazionale così da rendere il sistema termale italiano ancora più competitivo sui mercati internazionali, anche attraverso la predisposizione di progetti di filiera che possano eventualmente prendere parte ad opportunità finanziarie di tipo comunitario;
   ad assumere iniziative per introdurre correttivi ai criteri di calcolo della durata della NASpI previsti dall'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, che tengano conto della necessità di non penalizzare i lavoratori stagionali, in particolari quelli del settore termale, eventualmente prevedendo una disciplina transitoria per la detrazione, ai fini di tale calcolo, dei periodi che hanno già dato luogo ad erogazioni di prestazioni di assicurazione per l'impiego;
   ad istituire la «Giornata nazionale delle TERME D'ITALIA» al fine di perseguire, attraverso l'apertura straordinaria degli stabilimenti termali e check up gratuiti nelle principali aree termali del Paese, la valorizzazione delle terapie termali quali cure mirate alla salute ed al benessere psicofisico dell'individuo.
(1-00934) «Fanucci, Di Lello, Tabacci, Alfreider, Melilla, Taglialatela, Barbanti, Milanato, Vignali, Cimmino, Rondini, Arlotti, Ascani, Bargero, Becattini, Benamati, Bini, Bossa, Paola Bragantini, Bruno Bossio, Camani, Capodicasa, Capone, Carloni, Cenni, Antimo Cesaro, Coppola, Cova, Covello, Crimì, Currò, D'Incecco, Dallai, Marco Di Maio, Donati, Fabbri, Famiglietti, Fauttilli, Folino, Fregolent, Fucci, Fusilli, Gadda, Giampaolo Galli, Galperti, Gribaudo, Iacono, Kronbichler, Patrizia Maestri, Magorno, Manfredi, Marrocu, Mazzoli, Miotto, Mongiello, Montroni, Moretto, Moscatt, Pilozzi, Porta, Raciti, Rostellato, Rubinato, Saltamartini, Sannicandro, Schirò, Tartaglione, Vazio, Vico».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    i sostituti d'imposta (datori di lavoro privati, pubbliche amministrazioni, enti pensionistici, condomini e altro) devono comunicare all'Agenzia delle entrate, mediante una dichiarazione annuale, i dati relativi alle ritenute effettuate nel periodo d'imposta precedente, nonché quelli relativi ai versamenti eseguiti, ai crediti, alle compensazioni operate e ai dati contributivi e assicurativi;
    la dichiarazione si compone di due modelli: il 770 Semplificato e il 770 ordinario;
    in relazione ai dati da comunicare e ai quadri del modello da compilare, i soggetti tenuti a presentare la dichiarazione devono trasmettere, esclusivamente in via telematica, uno o entrambi i modelli;
    con il decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni, è stato emanato il regolamento recante le modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto ed, in particolare, l'articolo 4 del citato decreto n. 322 del 1998, concernente la dichiarazione dei sostituti d'imposta, fissa al 31 luglio il termine ordinario di presentazione della stessa;
    con due separati provvedimenti del direttore dell'Agenzia delle entrate, il 15 gennaio 2015 – pubblicati sul sito internet dell'Agenzia delle entrate – sono stati approvati i modelli 770/2015 semplificato ed ordinario, concernenti le comunicazioni da parte dei sostituti d'imposta, successivamente modificati con provvedimento del direttore dell'Agenzia dell'11 maggio 2015;
    la versione 1.00 del software 770 semplificato 2015, indispensabile per procedere alla redazione e all'invio telematico del modello stesso, è stata resa disponibile, invece, solo in data 14 maggio 2015;
    ogni anno il Governo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, proroga la suindicata scadenza anche a seguito delle esigenze manifestate dalle aziende e da numerose categorie di professionisti, fra cui i consulenti del lavoro, i ragionieri e i tributaristi, che ritengono impraticabile l'invio dei modelli 770 entro la data del 31 luglio, in quanto trattasi di dichiarativi complessi ed articolati da compilare in un periodo già intasato da altre importanti scadenze tributarie: calcolo e versamento delle imposte locali, versamenti a saldo e in acconto delle imposte sui redditi per le persone fisiche e giuridiche, applicazione ai medesimi redditi delle risultanze derivanti dagli studi di settore, versamento del saldo dell'iva annuale e dei contributi previdenziali, deposito dei bilanci di esercizio, solo per citare i principali adempimenti ricadenti nel periodo immediatamente a ridosso della pausa estiva;
    per le suindicate ragioni, nel 2014 la scadenza per l'invio telematico dei modelli 770 è stata prorogata al 19 settembre; nel 2013 essa era stata rinviata al giorno 20 del medesimo mese e analogamente era accaduto nel 2012;
    l'articolo 6, comma 4, dello statuto del contribuente prevede che «al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria»;
    dal 2015 è previsto un nuovo adempimento fiscale nonché una nuova scadenza; pertanto, entro il termine perentorio del 7 marzo (differito al 9 marzo solo perché cadente di sabato), i sostituti d'imposta e gli intermediari hanno dovuto provvedere alla redazione e trasmissione telematica della certificazione unica 2015 (CU);
    la certificazione unica contiene gran parte dei dati da indicare nel modello 770, consentendo così una utile semplificazione e riduzione delle complessità relative allo stesso;
    i continui differimenti degli ultimi anni evidenziano la necessità di modificare strutturalmente la scadenza dell'adempimento, collocandola stabilmente nei mesi autunnali affinché non interferiscano con le altre scadenze tributarie;
    vanno considerate le esigenze generali rappresentate dalle categorie professionali in relazione ai numerosi adempimenti fiscali da porre in essere per conto dei contribuenti e dei sostituti d'imposta;
    un differimento di termini per la trasmissione in via telematica dei dati contenuti nella dichiarazione modello 770 non comporta alcun onere erariale, atteso che la funzione di tale dichiarazione è soltanto riepilogativa e, pertanto, alla presentazione della stessa non sono connessi obblighi di versamento delle imposte,

impegna il Governo

a porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, affinché, con decorrenza dall'anno 2015, il termine ultimo per la presentazione del modello 770 sia stabilito al 30 di novembre di ogni anno (con riferimento ai dati relativi al periodo di imposta precedente) e affinché, tramite lo stesso modello, vengano richiesti esclusivamente i dati non ancora in possesso della pubblica amministrazione.
(7-00720) «Alberti, Villarosa, Pesco, Ruocco».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2014) ai sensi (articolo 13, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234) presentata dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei recita: Senza pretesa alcuna di esaustività, si possono segnalare, sulla scorta della Relazione consuntiva 2014, anche i risultati conseguiti in alcuni altri settori strategici per gli interessi dell'Unione e del nostro Paese, a partire dall'agricoltura. Su iniziativa della Presidenza italiana, il Consiglio ha innanzitutto risposto alle «contro-sanzioni» russe in campo agricolo individuando alcune misure volte ad arginare il loro impatto sulle produzioni europee, con particolare riguardo ai settori dell'ortofrutta e lattiero-caseario. Sono stati inoltre portati avanti i lavori sul regolamento per la produzione biologica e l'etichettatura dei prodotti biologici nonché sull'accesso alla terra e al credito dei giovani;
    tale richiamo teso alla valorizzazione e tutela delle produzioni agricole, con particolare riferimento a quelle lattiero casearie, costituisce un elemento imprescindibile per lo sviluppo economico di un settore trainante e decisivo per l'economia della regione Sardegna;
    la Commissione europea con una diffida allo Stato italiano chiede all'Italia di abrogare una legge che vieta l'utilizzo di latte in polvere nella produzione di formaggi;
    il 28 maggio la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia invitandola a modificare le disposizioni della legge n. 138 dell'11 aprile 1974 recante «nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana» che sancisce il divieto di utilizzo e di detenzione di latte in polvere e latte ricostituito al fine della produzione di prodotti caseari;
    secondo tale norma è vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare:
   a) latte fresco destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari al quale sia stato aggiunto latte in polvere o altri latti conservati;
    con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
   b) latte liquido destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari ottenuto, anche parzialmente, con latte in polvere o con altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
   c) prodotti caseari preparati con i prodotti di cui alle lettere a) e b) o derivati comunque da latte in polvere;
   d) bevande ottenute con miscelazione dei prodotti di cui alle lettere a) e b) con altre sostanze, in qualsiasi proporzione;
    tale norma prevede sostanzialmente che in Italia i formaggi si possano produrre solo con il latte;
    si tratta una norma di tutela e nel contempo tesa alla valorizzazione della unicità del prodotto lattiero caseario;
    la diffida della Commissione è l'ennesima imposizione di una Europa incapace di affrontare emergenze come l'emigrazione, ma che si rivela pronta ad assecondare le grandi lobby che puntano ad abbassare gli standard qualitativi dei prodotti alimentari solo al fine di elevare i profitti a scapito della qualità;
    a rischio non ci sarebbero le Dop ma tale modifica potrebbe alla fine intaccare anche tale tutela e finirebbe comunque per intaccare e minare la stessa immagine dei formaggi tutelati con forme particolari di riconoscimento,

impegna il Governo:

   a tutelare e valorizzare la tipicità dei prodotti lattiero caseari prodotti sul territorio italiano, con particolare riferimento a quelle aree, come la Sardegna, che hanno una specificità riconosciuta anche attraverso le Dop;
   a tutelare tali produzioni attraverso la legge n. 138 dell'11 aprile 1974 e garantirne la piena applicazione;
   a difendere, nelle forme che riterrà utili, tale norma in ambito europeo e invitando la commissione europea a ritirare la diffida in materia.
(7-00721) «Schullian, Pili».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l’«Investor-State Dispute Settlement» – ISDS è un meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stato e investitore privato; questo strumento consente alle aziende di accedere ad un processo arbitrale se ritengono di aver ricevuto un trattamento ingiusto dalle pubbliche autorità, se pensano di essere state discriminate a favore di imprese nazionali oppure se considerano una legislazione, adottata dallo Stato nel quale operano, discriminatoria e quindi d'ostacolo per le loro attività; disposizioni che prevedono 1’ istituto dell'ISDS sono contenute in un gran numero di trattati bilaterali per gli investimenti, in alcuni accordi commerciali internazionali (ad esempio nell'Accordo Nordamericano per il Libero Scambio – NAFTA) e in accordi internazionali di investimento come il «Trattato sulla Carta dell'energia». Tali clausole sono basate sulle analoghe presenti nell'accordo CETA in negoziazione tra UE e Canada. A livello globale, il ricorso allo strumento dell'Isds è in continuo aumento: nel 2012 erano aperti 154 contenziosi di questo tipo, di cui 58 aperti nel solo 2012, con una crescita del 250 per cento rispetto al 2000. La clausola Isds, è contenuta anche nel trattato commerciale Usa-Ue, noto con sigla Ttip, transatlantic trade and investment partnership, in via di negoziazione;
   nonostante la Commissione si sia affannata nel presentare nel modo più positivo possibile queste clausole, pubblicando una serie di risposte alle critiche più pressanti, l'idea dell'opinione pubblica è decisamente negativa, per il timore che un arbitrato possa stravolgere decisioni politiche democraticamente prese. I sindacalisti europei sono contro il TTIP e le ISDS, allo stesso modo molte organizzazioni per la salute, gruppi in rappresentanza della società civile e membri del Parlamento europeo. Lo stesso Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha espresso vivaci preoccupazioni concernenti le clausole Isds, sottolineando come la competenza dei giudici degli Stati membri dell'Unione europea possa essere limitata dalle controversie investitore-Stato. Infine, anche il Governo tedesco ha denunciato forti dubbi sulla necessità di introdurre le clausole ISDS, in considerazione del fatto che gli investitori americani sono sufficientemente tutelati dai tribunali europei;
   le clausole ISDS consentono il cosiddetto «forum shopping», una azienda può citare uno Stato dinanzi ad un arbitro anche se non esistono accordi specifici tra lo Stato dell'azienda e lo Stato citato. Infatti è sufficiente che esistano accordi con lo Stato nel quale l'azienda ha una sede secondaria. Un esempio è l'azione proposta dalla americana Philip Morris (Usa) contro l'Australia sulla base degli accordi tra Australia e Hong Kong, dove la Philip Morris ha una sede secondaria, anche se non esistono specifici accordi tra Usa e Australia. La proposta della Commissione europea è di escludere i casi di aziende «mailbox», pretendendo che l'azienda straniera debba stabilire una effettiva sede con attività economiche sostanziali prima di poter portare in giudizio lo Stato. Ovviamente le multinazionali, che sono quelle che possono creare maggiori problemi ad uno Stato, non hanno nessuna difficoltà a superare questo ostacolo;
   trattamento giusto ed equo: il principio del trattamento «fair and equitable» (FET) è previsto dalle clausole ISDS, in modo da assicurare un trattamento giusto ed equo agli investitori esteri. Il principio in questione, come del resto tutti i principi generici, può portare facilmente ad abusi. Le applicazioni dei tribunali arbitrali variano notevolmente. La proposta della Commissione europea è di prevedere una lista di specifici diritti in relazione ai quali si applica la clausola FET. Purtroppo tale lista non è «chiusa» e quindi può teoricamente portare comunque ad applicazioni estensive;
   le procedure ISDS sono molto dispendiose, le cause costano cifre enormi, gli onorari degli arbitri, pagati fino a 3.000 dollari al giorno, sono elevatissimi e a carico delle parti. Sono gli arbitri a decidere chi paga, ed è accaduto che anche se uno Stato ha vinto la causa ha dovuto comunque provvedere per le spese del giudizio. Anche solo questo aspetto può far sì che uno Stato sia restio a introdurre normative che potrebbero provocare azioni legali da parte degli investitori esteri;
   la Commissione intende introdurre un «right to regulate» al fine di promuovere l'interesse pubblico rispetto ad altri interessi. In realtà in questo modo il «diritto alla regolamentazione» del Governo diventa un'eccezione rispetto alla protezione degli investimenti aziendali, che assumono il ruolo primario, inoltre tale diritto è tutelato solo in relazione ad «obiettivi legittimi», che però non sono specificati. Alla fine saranno gli arbitri a decidere quali sono. I tribunali nazionali sono disegnati per essere indipendenti, imparziali, e rispettosi del principio della separazione dei poteri. Non accade lo stesso con i tribunali arbitrali: ognuna delle parti in causa sceglie uno dei tre arbitri, mentre il terzo è scelto di comune accordo oppure dal segretario generale del Centro Internazionale per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti (ICSID), il quale è scelto a sua volta dal presidente della Banca Mondiale. In caso di appello tutti e tre gli arbitri sono nominati dal presidente della Banca Mondiale. Il presidente della Banca Mondiale è nominato dagli Usa. È evidente lo squilibrio a favore degli Stati Uniti. Un collegio arbitrale non ha il potere di abrogare una norma legislativa nazionale, però può statuire che quella norma compromette i profitti presenti e futuri dell'investitore estero, per cui lo Stato verrà condannato a risarcire tali mancati guadagni. Ad esempio, la canadese Gabriel Resource ltd cita la Romania perché il legislatore, per motivi di sicurezza dei cittadini, ha impedito la realizzazione di una miniera a cielo aperto, per la quale erano stati spesi dall'azienda 1,4 miliardi. Alla fine la norma rimarrà in vigore ma lo Stato potrebbe essere costretto a pagare fino a 4 miliardi alla GBU, cioè circa il 2 per cento del Pil nazionale. Un disincentivo così forte influisce sicuramente sulle procedure di formazione delle nuove leggi. Secondo uno studio UNCTAD (Conferenza dell'ONU sul Commercio) il 70 per cento delle richieste degli investitori viene accolta almeno in parte;
   come ipotizzato alcuni mesi fa dalla Campagna Stop TTIP Italia, l'Italia deve rispondere per la prima volta nella sua storia ad una denuncia causata da un ISDS. A confermarlo è l'ICSID, il Centro internazionale di risoluzione delle dispute (legato alla Banca Mondiale) dove chiarisce come tre investitori di energie rinnovabili, il belga Blusun S.A., il francese Jean-Pierre Lecorcier e il tedesco Michael Stein, abbiano denunciato la Repubblica italiana per la revisione del sistema incentivante sull'energia fotovoltaica. La possibilità di adire all'arbitrato privato dell'ICSID la offre l’Energy Charter Treaty, il trattato di liberalizzazione dell'energia che prevede l'istituzione di un organismo risoluzione delle controversie tra investitori privati e Stati. Il caso che riguarda l'Italia è stato anche inserito in un dossier della Commissione Juri del Parlamento europeo del 2014 (pag 13). Il tribunale si è costituito il 12 giugno 2014 con la francese Dentons Europe come consulente di parte per gli investitori. Per l'8 maggio scorso era attesa la memoria difensiva dell'Avvocatura dello Stato, ma il silenzio imposto sull'ISDS, per evitare problemi sul negoziato TTIP, non permette di capire come stia procedendo la causa –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali azioni intenda intraprendere, se il Governo reputi opportuno concludere atti pattizi, commerciali o di altra natura, bilaterali o multilaterali, che includano previsioni per la composizione delle controversie investitore-Stato (ISDS);
   se il Governo non reputi opportuno, alla luce del fatto che il nostro Paese sia impegnato a rispondere prima volta nella sua storia ad una denuncia causata da un ISDS, così come descritto in premessa, valutare bene e con attenzione le conseguenze dell'adesione ad un trattato come il TTIP che, anche con le clausole ISDS, in esso contenute, potrebbe causare ricadute negative sulle finanze italiane, così come reso noto e denunciato dalla campagna Stop TTIP Italia e se essendo il nostro Paese coinvolto direttamente, non reputi opportuno chiarire quale sia lo Stato la causa in corso, superando silenzio sul trattato;
   se il Governo non reputi opportuno agire, nelle opportune sedi a livello nazionale, sovranazionale e internazionale, per promuovere ogni possibile iniziativa volta ad eliminare dalla versione finale del CETA e dalla versione finale del TTIP le previsioni per la composizione delle controversie ISDS;
   se il Governo non reputi opportuno ostacolare la matrice ideologica delle clausole ISDS che consentiranno di contestare possibili riforme e leggi innovative a tutela dei cittadini, non solo politiche ambientali ma anche riforme in materia di diritto d'autore o di tutela dei dati personali, considerato che l'introduzione della riforma della privacy dell'Unione europea, limitando il trattamento dei dati personali dei cittadini europei da parte delle aziende americane, potrebbe avviare una miriade di cause ISDS perché, appunto, riduce i guadagni attesi da queste aziende;
   se il Governo non reputi opportuno impegnarsi affinché vi sia pieno rispetto del trattato di Lisbona, dove la politica commerciale dell'Unione europea, ha assunto una caratura fortemente sociale (principio di precauzione, articolo n. 191), in quanto deve essere condotta nel rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti dell'uomo, mentre al contrario, le clausole ISDS prevedono un pericoloso ribaltamento mettendo le aziende prima degli Stati e i profitti prima dei cittadini.
(2-01021) «Zaccagnini, Kronbichler, Fratoianni».

Interrogazioni a risposta orale:


   SANTELLI, OCCHIUTO e GALATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta «riforma Delrio», legge n. 56 del 7 aprile 2014, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» che ridisegna confini e competenze dell'amministrazione locale fu approvata in tempi molto rapidi; al contrario, per quanto riguarda l'attuazione di diversi aspetti della legge, è stata prevista un'applicazione graduale, che si è tradotta in tempi di realizzazione molto lunghi. Quest'ultimo aspetto risulta particolarmente evidente con riferimento alla sorte dei dipendenti dell'ente provincia;
   con la novellata classificazione della provincia quale ente di secondo livello, il funzionamento dei suoi organismi e nello specifico della struttura burocratica è talvolta risultato tortuoso e complesso;
   tutto ciò è particolarmente ravvisabile nel caso della provincia di Vibo Valentia. I dipendenti della provincia calabra non ricevono alcun emolumento da cinque mesi, mentre da più di due anni non hanno percepito lo stipendio con regolarità;
   nel caso di Vibo Valentia, la «riforma Delrio» ha accelerato la grave crisi già in atto che si è purtroppo tradotta nel dissesto finanziario dell'ente, dichiarato dal commissario Mario Ciclosi il 30 ottobre 2013. L'esposizione debitoria complessiva dell'ente è pari a circa 20 milioni di euro;
   la situazione di grave crisi comporta un crescente disagio sociale che interessa centinaia di famiglie del vibonese, che in molti casi possono far riferimento sul solo reddito del familiare, dipendente della provincia, che si trova a vivere una condizione di forte incertezza;
   la cronaca dei giorni scorsi è impietosa. Durante una pacifica manifestazione, un dipendente provinciale ha accusato un grave malore, mentre un'altra lavoratrice ha minacciato il suicidio, sventato grazie alla solerzia dei colleghi e delle forze dell'ordine presenti in loco;
   la crisi si inserisce in un contesto già minato dalla crisi industriale ed occupazionale, particolarmente afflittiva per il vibonese, territorio che registra una rilevante presenza della criminalità organizzata;
   recentemente, il consiglio della regione Calabria ha approvato, all'unanimità, la legge regionale 22 giugno 2015, n. 14, recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione del processo di riordino delle funzioni a seguito della legge 7 aprile 2014, n. 56». Finora, l'approvazione della citata legge non ha comportato alcun effetto concreto rispetto alla situazione in cui versano i dipendenti provinciali vibonesi –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere il Governo, anche al fine di istituire un fondo speciale per superare le criticità della provincia di Vibo Valentia con specifico e prioritario impegno al pagamento degli stipendi arretrati dei dipendenti, regolando anche il versamento delle future spettanze dovute in virtù del ruolo di dipendenti pubblici;
   se il Governo intenda, comunque e in che termini, attivarsi per il superamento della crisi che investe il regolare funzionamento dell'ente provincia, dando priorità, in ogni caso, al soddisfacimento delle legittime istanze dei dipendenti provinciali vibonesi. (3-01589)


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da autorevoli fonti giornalistiche si applicherebbe il cosiddetto «lodo» Enel per modificare la clausola di onorabilità nello statuto di Cassa depositi e prestiti e consentire così la nomina al vertice di Fabio Gallia, su cui pende una citazione in giudizio della procura di Trani;
   sarebbe questa, secondo quanto afferma il Sole 24 Ore, la soluzione che sarà proposta all'assemblea straordinaria dei soci della Cassa. Contrariamente a Eni, Terna e Finmeccanica, il gruppo guidato da Francesco Starace aveva infatti recepito a maggio dello scorso anno, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze; la direttiva Saccomanni del 2013 che prevedeva, tra l'altro, l'ineleggibilità o la decadenza per giusta causa delle funzioni di amministratore, senza diritto al risarcimento dei danni per coloro che hanno subito una sentenza di condanna, anche non definitiva, o nei confronti di chi ha ricevuto un decreto che dispone il giudizio rispetto a determinate tipologie di reati;
   nell'ultima assemblea del 28 maggio 2015 è stata, però approvata la modifica della clausola etica per renderla compatibile mantenendo comunque una disciplina dei requisiti di onorabilità degli amministratori ben più rigorosa rispetto a quella applicabile alla generalità delle altre quotate;
   è stata invece abrogata la norma che fa scattare l'ineleggibilità per l'emissione di un decreto che dispone il giudizio o il giudizio immediato (cioè quella che, nel caso di Cassa depositi e prestiti) scatterebbe per Gallia impedendone la nomina) e quella che stabilisce altresì il passaggio in assemblea per esaminare la permanenza in carica dell'amministratore, laddove questo sia stato oggetto di un decreto di giudizio o di una sentenza di condanna definitiva per danno erariale –:
   se corrisponde al vero quanto descritto in premessa;
   se ritengano comunque per la onorabilità e credibilità di Cassa depositi e prestiti di ritirare la candidatura del signore Fabio Gallia;
   se ritengano opportuno applicare strettamente e rigorosamente i criteri, soprattutto quelli di onorabilità, di competenza e di professionalità, previsti dalla direttiva 24 giugno 2013 per la scelta dei manager di Cassa depositi e prestiti.
(3-01590)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI e GUERRA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   molti comuni, soprattutto quelli ubicati in zone turistiche, debbono fronteggiare la obiettiva ed urgente necessità di ricorrere, nell'esercizio delle funzioni di polizia locale, ad assunzioni ad tempus, temporalmente limitate ai mesi estivi, per poter soddisfare esigenze tipicamente stagionali, legate ai rilevanti e consistenti flussi di turisti e di visitatori, che determinano un enorme incremento della popolazione estiva in quei territori, con tutto il carico che ne deriva ai fini della vigilanza cittadina, dei volumi di traffico da governare, della sicurezza delle persone;
   tale questione, così delicata ed urgente, non appare esser stata affrontata dal decreto-legge 19 gennaio 2015, n. 78, recante «Disposizioni Urgenti in materia di Enti Territoriali», che (articolo 5) dispone il transito del personale appartenente ai Corpi ed ai servizi di polizia provinciale, nei ruoli degli enti locali per lo svolgimento delle funzioni di polizia municipale, con i limiti e le condizioni ivi previsti;
   sarebbe assurdo e gravemente penalizzante per le comunità locali se i comuni non fossero posti nelle condizioni di poter reclutare vigili con contratto meramente temporaneo per soddisfare un fabbisogno per un periodo ben circoscritto in tema di vigilanza urbana, di governo del traffico, di controllo e sicurezza del territorio –:
   quali iniziative, anche attraverso apposito atto di indirizzo e/o interpretativo, il Governo intenda assumere per chiarire che ai comuni non sia preclusa la possibilità di reclutare con contratto meramente temporaneo personale per assolvere funzioni di polizia locale, al fine di soddisfare e fronteggiare le esigenze stagionali notevolmente accresciute dei mesi estivi, soprattutto nei comuni ubicati in zone turistiche. (5-05969)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOSACCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   su alcuni siti di informazione locale è stata riportata la notizia di una violenta aggressione ai danni di un ragazzo avvenuta a Polignano a Mare;
   vi è anche un video, rilanciato dai social network, in cui si mostra l'aggressione da parte di due ragazzi che in piazza Moro hanno minacciato e massacrato di botte il ragazzo inseguendolo fino all'interno di un negozio di calzature;
   la violenza degli aggressori ha coinvolto anche la commessa del negozio e un anziano passante;
   il ragazzo aggredito ha dovuto far ricorso alle cure del 118 e sono in corso indagini da parte delle forze dell'ordine;
   nei confronti del ragazzo sono state pronunciate parole offensive di matrice omofoba;
   si tratta di un episodio grave da non sottovalutare e su cui riflettere –:
   se il governo sia a conoscenza di tale episodio e quali iniziative intenda attivare per accertare la natura dell'aggressione e, ove fosse chiara la matrice omofoba, quali iniziative intenda promuovere per rafforzare azioni di contrasto contro l'omofobia e promuovere una più profonda cultura anti discriminazione, supportando anche l'azione degli enti locali. (4-09651)


   CAPARINI, GIANLUCA PINI, BORGHESI, GUIDESI, SIMONETTI, MOLTENI, INVERNIZZI, RONDINI, MARCOLIN e ALLASIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economico-finanziaria ha avuto pesanti ripercussioni sul sistema editoriale ed informativo italiano, portando negli ultimi anni alla chiusura di importanti realtà editoriali a livello sia nazionale che regionale;
   il libero accesso e la libera fruizione dell'informazione sono uno dei principi inderogabili sanciti anche dalla Costituzione;
   il contesto informativo nazionale ormai necessita, proprio per i motivi su esposti, di pluralismo e voci indipendenti non condizionate dai interessi di parte;
   l’ANSA, prima agenzia di stampa italiana ed una delle principali a livello internazionale, per sua missione editoriale garantisce visibilità e dà voce a tutti gli attori sociali, politici ed economici del Paese indipendentemente da interessi di parte;
   la redazione dell’ANSA con i suoi 330 giornalisti garantisce la copertura mediatica e informativa dell'intero territorio nazionale con le sue sedi in tutte le regioni italiane, ed espleta funzioni di appoggio e coordinamento ai giornalisti, italiani e stranieri, con la presenza di corrispondenti ed uffici di rappresentanza nelle principali capitali estere;
   il perdurare della crisi ha spinto gli editori a ridurre l'importo degli abbonamenti ai notiziari ANSA;
   il Governo italiano ha deciso di ridurre le convenzioni con le agenzie di stampa con tagli unilaterali del 5 per cento, solo per il 2015, senza modificare le convenzioni stesse;
   due stati di crisi consecutivi negli ultimi 10 anni hanno già visto accedere al prepensionamento oltre cento giornalisti, riducendo il numero di giornalisti in servizio;
   i vertici aziendali dell’ANSA hanno prospettato un ulteriore esubero di 65 giornalisti o, in alternativa, contratti di solidarietà per due anni (entrambe soluzioni che limiterebbero di fatto la qualità del servizio);
   i giornalisti a tutela della propria professione e «del patrimonio informativo nazionale» hanno dichiarato uno sciopero immediato –:
   se quanto esposto corrisponda ai fatti;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere a salvaguardia dell’ANSA e del pluralismo informativo nazionale;
   se il Governo intenda intervenire con un piano di tutela del settore editoriale e in che termini. (4-09652)


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale stampa associata (Ansa) è la più importante agenzia di informazione in Italia e la quinta al mondo;
   la sua presenza in tutte le regioni italiane, e in 78 Paesi del mondo, con 81 uffici, fanno dell'Agenzia una fondamentale infrastruttura dell'informazione, sia per i diversi organi di informazione, nazionali e locali, che per le istituzioni;
   il 23 giugno scorso il Comitato di redazione dell'Ansa ha indetto uno sciopero a seguito del piano di «riorientamento e sviluppo» presentato dall'azienda, che prevede 65 esuberi da gestire dal primo luglio con un ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria o a contratti di solidarietà, per far fronte all'emergenza di un rosso di bilancio stimato per il 2015 in 5 milioni di euro. Tale proposta è stata giudicata «irricevibile» dal Cdr in quanto «vanificherebbe i pesanti sacrifici fatti negli ultimi anni e ogni reale prospettiva di sviluppo dell'agenzia oggi necessaria per difenderne il ruolo di cardine nel sistema dell'informazione in Italia»;
   nel corso degli ultimi anni, infatti, l'Ansa ha subito diverse crisi aziendali che hanno portato al prepensionamento di circa 100 giornalisti, incidendo fortemente sulla distribuzione del lavoro all'interno delle redazioni;
   anche per tali ragioni vi è una ferma opposizione dei giornalisti allo strumento dei contratti di solidarietà, in quanto minerebbe ulteriormente la qualità ed il livello di copertura giornalistica, sino ad oggi garantiti dalla professionalità e dai sacrifici dei redattori;
   il sistema di informazione italiano non gode di ottima salute. Oltre alle frequenti crisi aziendali che hanno e stanno riguardando diverse testate del nostro pa-norama editoriale, l'Italia si colloca costantemente nei piani bassi delle classifiche internazionali sulla libertà di stampa. Quest'anno, ad esempio, ricopre il 72 esimo posto nella graduatoria redatta annualmente dall'organizzazione Reporter senza frontiere, in una posizione tra Moldavia e Nicaragua, Stati che vantano status democratici non comparabili con quelli del nostro Paese;
   gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un trend fortemente negativo in merito all'acquisto di spazi pubblicitari sulle testate, sopratutto cartacee, tra le principali fonti di ricavi per le aziende giornalistiche;
   contestualmente il Governo italiano ha attuato una politica di riduzione dei contributi per l'editoria che sta mettendo a rischio la sopravvivenza di diverse testate, sopratutto quelle organizzate con strutture societarie cooperative e non profit;
   il pluralismo dell'informazione è un bene primario per ogni società democratica, pertanto l'intervento pubblico a sostegno di questo particolare, quanto delicato, comparto industriale, non può rispondere a logiche prettamente economiche o di bilancio, senza subire contraccolpi sul piano della qualità democratica del nostro Paese –:
   considerato che l'Ansa gode di convenzioni con il Governo italiano, quali iniziative intenda adottare la Presidenza del Consiglio dei ministri al fine di monitorare lo stato di difficoltà della prima agenzia di stampa italiana ed i suoi standard di qualità;
   quali misure intenda adottare, alla luce dei fatti richiamati in premessa, per garantire il pluralismo dell'informazione nel nostro Paese. (4-09655)


   FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, nella sostanza si vuole imporre al nostro Paese, per mere logiche dettate dalle lobby delle multinazionali e non dal diritto alla salute e alla conoscenza del prodotto, di produrre formaggi senza latte;
   la diffida (del 29 maggio 2015 procedura d'infrazione n. 2014/4170) è stata inviata perché il nostro ordinamento prevede il divieto di utilizzare polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici situati sul territorio nazionale (legge n. 138 del 1974, Nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana);
   la motivazione giuridica posta a base della diffida dalla Commissione europea, sarebbe la violazione dell'articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'unione europea;
   la Commissione europea ritiene che la legge italiana in materia della tutela della qualità delle produzioni rappresenti una restrizione alla «libera circolazione delle merci», essendo che la polvere di latte e il latte concentrato sono di utilizzo comune in Europa per la produzione di formaggi di dubbia se non di pessima qualità. Altri elementi critici sono la non conoscenza della filiera di produzione, gli standard igienico-sanitari, la quantità ormonale contenuta, la tracciabilità del prodotto di tali surrogati e la conseguenza a medio-lungo termine sulla salute umana;
   l'adeguamento normativo che l'Europa ci chiede è, di fatto, una vera e propria deregolamentazione dei sistemi dei controlli di cui il nostro Paese è leader nel mondo e, la diretta conseguenza, sarà un non contrasto delle sofisticazioni e delle adulterazioni, all'aumento di tali reati che non verranno più perseguiti qualora il nostro ordinamento recepisse tale indicazione, oltre alla perdita culturale che la produzione lattiero-casearia narra dei territori con la notevole qualità, diversità, sicurezza e quantità delle produzioni casearie;
   è evidente che alla base di questa scelta della Commissione europea non vi è l'applicazione né del principio di precauzione e né tanto meno la tutela delle produzioni e delle certificazioni di qualità, anzi vi è la messa a repentaglio del made in Italy, per poi addivenire ad adeguamenti ordinamentali che di fatto disperderanno l'evocazione di garanzia che il made in Italy ha nel mondo;
   è indubbio che ci sono i grandi proventi delle multinazionali del settore le quali hanno tutti gli interessi per creare le precondizioni per il Transatlantic trade and investment partnership, che si rivelerà la tomba delle produzioni alimentari di qualità e certificate;
   il 31 marzo 2015 è terminato il regime delle quote latte e l'Italia dovrà pagare una multa, circa 41 milioni di euro, per aver splafonato nelle quantità delle quote assegnate al nostro Paese nell'ultima campagna lattiero-casearia. Quindi, se passasse questo pericolosissimo adeguamento normativo sul nostro territorio arriverà latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito a costi bassissimi, di pessima qualità con conseguenze socio-economiche pesantissime per la tenuta degli allevamenti italiani;
   è opportuno ricordare tutti i processi di deregolamentazione nel settore della trasformazione del primario operati finora dalla Commissione europea come, ad esempio, dal vino senza uva (wine kit che promettono di ottenere in pochi giorni le etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua), al cioccolato senza cacao, di aumentare la gradazione del vino (vino zuccherato) attraverso l'aggiunta di zucchero nei Paesi del Nord Europa (lo zuccheraggio è sempre stato vietato nei Paesi del Mediterraneo), la possibilità per alcuni tipi di carne di non indicare l'aggiunta di acqua fino al 5 per cento, ma per alcuni prodotti (wurstel, mortadella) tale indicazione può essere elusa, la circolazione libera di imitazioni del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano (cosiddetti similgrana) in tutta Europa o come le mozzarelle dove, una su quattro, non sono prodotte in Italia ma ottenute con semilavorati industriali (cagliate) che provengono dall'estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea. A quanto summenzionato bisogna aggiungere la mancanza di informazioni chiare e definite per l'olio extravergine di oliva ottenuto da olive straniere dove, nella stragrande maggioranza dei casi, è quasi impossibile leggere in etichetta nei supermercati scritte come «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari», questo tutto a scapito dei consumatori e della sicurezza alimentare;
   è fuor di dubbio che la normativa comunitaria sull'etichettatura va radicalmente rivista e adeguata ai migliori standard qualitativi esistenti nei Paesi virtuosi, come l'Italia, perché è ambigua e contradditoria come nel caso dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta della carne bovina, ma non per i prosciutti, per l'ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Tutte queste antinomie giuridiche non fanno altro che impedire al consumatore di conoscere quello che realmente sta consumando visto che, a mo’ d'esempio, due prosciutti su tre venduti come italiani, in realtà non lo sono perché provenienti da maiali allevati all'estero, come del resto anche per il latte a lunga conservazione dove tre cartoni su quattro sono stranieri perché privo dell'indicazione di provenienza –:
   quali interventi o azioni il Governo italiano intenda porre in essere per evitare che il nostro ordinamento venga deregolamentato, adeguandolo a quello comunitario, a scapito delle produzioni di qualità del lattiero-caseario che utilizzano latte e non latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la produzione di formaggi;
   se il Governo non ritenga necessario invocare il principio di sovranità alimentare, sicurezza alimentare e il principio di precauzione al fine di scongiurare che questa alchimia giuridica lobbistica si traduca in realtà ordinamentale;
   se non si valuti opportuno confutare, in punto di diritto e nelle sedi opportune, la base giuridica posta a fondamento da parte della Commissione europea, che ha prodotto quale conseguenza la diffida nei confronti del nostro Paese, visto che l'articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea afferma che: «...la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei Trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni...» posto che è evidente la forte componente normativa su base «discrezionale» (... quando reputi...);
   quali interventi o azioni il Governo intenda porre in essere per difendere il made in Italy nel settore agroalimentare dalla crescente pressione internazionale e comunitaria che mira alla deregolamentazione e all'abbassamento degli alti standard qualitativi che sono alla base e a garanzia delle produzioni di qualità del nostro sistema Paese. (4-09657)


   DEL GROSSO, SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SPADONI, DI BATTISTA e SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, onorevole Lapo Pistelli, dal primo luglio 2015 assumerà la carica di vicepresidente senior dell'Eni con delega ai rapporti con gli azionisti e alla promozione del business internazionale;
   l'onorevole Lapo Pistelli è stato co-firmatario di due proposte di legge entrambe presentate la scorsa legislatura: la n. 2668 (Veltroni e altri), recante norme per la prevenzione delle situazioni di conflitto di interessi dei titolari di cariche di governo e per l'accesso alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza; e la n. 3700 (Lenzi e altri) recante disposizioni in materia di ineleggibilità e di incompatibilità tra il mandato parlamentare, gli incarichi di governo e cariche di amministratore locale;
   la legge n. 215 del 2004 («legge Frattini»), ha introdotto l'incompatibilità, per dodici mesi, per i titolari di cariche di Governo ad assumere incarichi in enti di diritto pubblico, anche economici, nonché in società aventi fine di lucro che operino in settori connessi con la carica ricoperta;
   il parere favorevole dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) sul passaggio del deputato e viceministro Lapo Pistelli alla vicepresidenza dell'Eni appare basato sugli assunti che lo stesso non aveva poteri regolatori e amministrativi su Eni e dalle informazioni in possesso della stessa Autorità antitrust non sembra esserci evidenza di rapporti giuridici ed economici costituiti nell'ambito delle attribuzioni svolte dal richiedente con le società del gruppo Eni nel periodo in cui è stato svolto l'incarico di Governo;
   tale parere favorevole dell'Antitrust sembra essere, a parere degli interpellanti, molto equivoco e fa sorgere dubbi su un possibile conflitto di interessi. Infatti, il citato Pistelli aveva deleghe di Governo proprio sulle politiche ambientali ed energetiche, quindi su temi connessi all'attività dell'Eni –:
   se non ritenga ricorrano questioni di incompatibilità per conflitto d'interesse, al di là del parere non vincolante dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, relativamente al passaggio del Viceministro Lapo Pistelli dal Governo all'Ente nazionale idrocarburi. (4-09667)


   GREGORI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   i giornalisti e gli impiegati della redazione dell'agenzia di stampa Area, contrattualizzati anche con la società Audionews, sono in sciopero da inizio giugno a causa di gravissimi ritardi nella corresponsione degli stipendi;
   a quanto risulta all'interrogante, infatti, da 8 mesi i 20 giornalisti professionisti dipendenti dell'agenzia di stampa non ricevono lo stipendio, se non piccoli acconti, l'ultimo avvenuto lo scorso 22 maggio: circa 200 euro come parte della retribuzione di novembre 2014;
   lo scorso 26 giugno, l'assemblea di redazione dell'agenzia di stampa ha ricevuto la comunicazione formale del licenziamento di 14 giornalisti e 2 impiegati in Audionews, sotto forma di avvio di procedura di licenziamento collettivo;
   l'agenzia di stampa Area fornisce notiziari e servizi ad oltre 150 radio private italiane, si tratta della più grande agenzia radiofonica italiana che, da trent'anni ormai offre un capillare servizio giornalistico altamente professionale;
   per i prossimi giorni si prospetta un peggioramento della vertenza, in quanto è possibile che l'amministrazione ponga in liquidazione l'attività, senza che sia stato proclamato in tempo lo stato di crisi e quindi il conseguente ricorso agli ammortizzatori sociali –:
   se s'intenda intervenire con la massima urgenza per salvaguardare i livelli occupazionali dell'agenzia di stampa Area e quali iniziative s'intendono assumere per scongiurare la messa in liquidazione della società. (4-09668)


   LUPO, MANNINO, MASSIMILIANO BERNINI, DI VITA, PARENTELA, D'UVA, RIZZO, GRILLO, LOREFICE, MARZANA e DI BENEDETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'arrivo del primo caldo stagionale, la Sicilia è stata interessata da diverse emergenze incendi occorse in diverse province della Sicilia;
   nella sola provincia di Trapani nei giorni scorsi un enorme incendio ha mandato in fumo 190 ettari di vegetazione, di cui 35 di proprietà del comune di Erice, 40 di Valderice e il resto del demanio regionale;
   lo scorso anno, per potenziare il dispositivo di soccorso ordinario del Corpo nazionale in Sicilia, su richiesta della direzione regionale vigili del fuoco competente, sono stati effettuati 1.328 richiami di personale vigile del fuoco volontario a orario discontinuo, finalizzati all'implementazione delle squadre operanti nei distaccamenti permanenti e volontari del corpo e all'attivazione dei distaccamenti stagionali;
   in questo quadro emergenziale, già di per se preoccupante, si inserisce la vicenda, portata alla luce da un'operazione condotta dal Nucleo di polizia tributaria e dalla Guardia di finanza, della maxi truffa ai anni dell'assessorato regionale territorio e ambiente nell'affidamento e svolgimento del servizio antincendio boschivo della regione, con l'accertamento della fraudolenta aggiudicazione dell'appalto, con le seguenti ipotesi di reato: falsità in atto pubblico, turbata libertà degli incanti, inadempimenti di contratti di pubbliche forniture;
   al di là degli aspetti penali della vicenda, è evidente che le false affermazioni dell'associazione temporanea di impresa, aggiudicataria dell'appalto, sulle reali possibilità di svolgimento del servizio antincendio boschivo, determinano un drammatico depotenziamento della capacità di intervento in una regione particolarmente vulnerabile al rischio incendi;
   alla luce di quanto emerso dalle suddette indagini e in virtù dell'imminente arrivo della stagione estiva, quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di rafforzare, in collaborazione con la regione siciliana, l'azione di prevenzione e tutela del patrimonio boschivo della regione siciliana, garantendo il regolare funzionamento del servizio antincendio
(4-09675)


   BARONI, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, DI VITA, LUPO, D'UVA, DALL'OSSO, FRACCARO, CECCONI, VILLAROSA e PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23 si prevedevo «il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici»;
   il Governo aveva previsto di approvare decreto delegato sul «riordino dei giochi» nel Consiglio dei ministri del 23 giugno 2015; accantonatolo in questa fase, non lo ha ripresentato nemmeno nel corso del Consiglio dei ministri del 26 giugno 2015;
   da un articolo del «Messaggero» del 16 giugno 2015 l'interrogante ha appreso che il Governo ha riavocato a sé il testo, composto da 114 articoli, sia per accorciarlo (nelle intenzioni dovrebbe diventare di circa una ventina di articoli), sia per effettuare eventuali modifiche;
   all'uopo avrebbe contattato alcuni studi legali internazionali: fra questi spicca il nome dello studio legale internazionale Cleary & Gottlieb;
   consultando il sito di avvocati afferenti allo studio della Cleary & Gottlieb di altre nazioni, l'interrogante ha scoperto che più di un professionista affiliato ha avuto rapporti professionali con alcune delle maggiori aziende di «gaming» del mondo. Una su tutte, la Codere S.A. di origine spagnola con interessi anche in Italia, curando strumenti finanziari come gli «hedge funds» e vari tipi di investimento, se non speculazioni finanziari per conto della suddetta società per la sezione spagnola e quella relativa all'area del Sudamerica;
   l'interrogante rileva che il «riordino dei giochi» è stato affidato al Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta e che, con ogni probabilità, sono stati evidentemente coinvolti anche gli uffici legislativi del Ministero dell'economia e delle finanze oltre che, presumibilmente, quelli afferenti alla Presidenza del Consiglio dei ministri –:
   se siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se questa consulenza verrà pagata dalla Presidenza del Consiglio o dal Ministero dell'economia e delle finanze o da entrambi e se, ognuno per la parte di propria competenza, possa quantificare il costo di tale incarico in valore assoluto e se lo si ritenga opportuno dal punto di vista economico, considerate le decine e decine di dipendenti, se non centinaia, se si comprende anche l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri che, presumibilmente sono stati impegnati nella stesura delle varie bozze che si sono succedute nel corso dei mesi;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'economia e delle finanze siano a conoscenza di quello che all'interrogante appare un clamoroso conflitto d'interessi in capo allo studio legale internazionale Cleary Gottlieb che risulta abbia collaborato in giro per il mondo con una delle maggiori concessionarie del gioco d'azzardo in Italia, la Codere S.A. (4-09686)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, GIANCARLO GIORDANO, PALAZZOTTO, PANNARALE, FERRARA, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA e SANNICANDRO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il liceo linguistico «Italo Svevo» di Colonia (Germania) è una scuola superiore paritaria, riconosciuta dallo Stato italiano e abilitata a rilasciare diplomi equivalenti a quelli delle scuole statali;
   fondata nel 1997, è l'unica scuola italiana in Germania (http://www.esteri.it). Segue i piani di studio ministeriali, utilizzando l'italiano e il tedesco come lingue veicolari;
   il liceo è gestito dal «DIE Stiftung Private Schulen GmbH» (Fondazione delle scuole private), fondazione che fa parte del gruppo Stiftung Bildung & Handwerk (Fondazione per la formazione e l'artigianato), organizzazione che opera nel settore della formazione e dell'educazione a livello internazionale e riunisce diversi istituti, dai centri di formazione professionale, le scuole di primo e secondo grado, alle scuole professionali e istituzioni universitarie private riconosciute dallo Stato;
   il liceo Italo Svevo svolge un ruolo fondamentale per la comunità italiana residente in Germania, permettendo di mantenere un forte legame con la cultura del nostro Paese, soprattutto per molti connazionali trasferitisi o nati in Germania;
   è riconosciuto in Germania come «Ergänzungsschule», ossia scuola che permette anche a studenti in possesso di una cittadinanza diversa da quella italiana di iscriversi e portare a compimento l'obbligo scolastico, pertanto contribuisce alla diffusione del patrimonio culturale italiano all'estero;
   la scuola è molto attiva anche dal punto di vista dei progetti didattici. Nell'anno 2014/2015 è entrata a far parte della rete delle scuole UNESCO, rete internazionale nata a Parigi nel 1953 con lo scopo di rafforzare l'impegno delle nuove generazioni nella promozione della comprensione internazionale e della pace, con il progetto: «L'alimentazione biologica nell'etica del consumatore, tedesco e in comparazione con quella del consumatore italiano»;
   il liceo rientra tra le scuole finanziate dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale con il capitolo di spesa 2619/1 («Contributi alle scuole italiane non statali, paritarie all'estero»);
   nel corso degli ultimi anni, anche a causa delle politiche di cosiddetta spending review, la scuola ha subito tagli progressivi ai finanziamenti da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sino a ridurre il contributo a soglie che mettono in discussione la stessa sopravvivenza del liceo;
   fonti interne all'istituto scolastico riferiscono all'interrogante che il liceo Italo Svevo rischia di chiudere nei prossimi anni se non saranno ripristinati da parte dello Stato italiano finanziamenti adeguati;
   purtroppo la politica dei tagli alla spesa non ha riguardato solo il capitolo delle scuole paritarie all'estero, ma più in generale l'intero sistema di insegnamento italiano in Paesi esteri, con una contrazione stimata in 3,7 milioni nel 2015 e 5,1 milioni per il 2016 e il 2017, sugli stanziamenti per le indennità di servizio (La Stampa.it, 15 novembre 2014) –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di confermare le informazioni illustrate in premessa, relativamente ai tagli dei finanziamenti al liceo linguistico Italo Svevo di Colonia, indicando l'ammontare complessivo della riduzione di risorse all'istituto;
   se non ritengano opportuno intervenire per permettere che l'unico liceo italiano in Germania, partner strategico per il nostro Paese, possa continuare ad operare;
   considerato l'attuale quadro economico e le opportunità che la diffusione della cultura del nostro Paese può generare in termini di valore, anche economico, quali iniziative intendano intraprendere al fine di salvaguardare e valorizzare la preziosa funzione delle scuole italiane all'estero. (4-09649)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DISTASO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta dall'ultimo rapporto sull'ecomafia per il 2015 predisposto da Legambiente e presentato questa settimana a Bari, il giro d'affari criminale connesso al traffico e allo smaltimento illecito dei rifiuti, evidenzia un incremento di 7 miliardi di euro rispetto all'anno precedente, raggiungendo la cifra complessiva di 22 miliardi di euro nel 2014;
   dal documento emerge che la Puglia risulta essere in testa nella classifica regionale degli illeciti, cui seguono la Sicilia, la Campania e la Calabria, che sommate raggiungono più della metà del totale nazionale, delle infrazioni pari a 14.736, cui si aggiungono 12.732 denunce, 71 arresti e 5.127 sequestri;
   le numerose inchieste effettuate dalla direzione distrettuale antimafia di Bari, dal nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Lecce e dal Corpo forestale dello Stato, in provincia di Bari e Taranto, hanno consentito di portare alla luce ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi e non, situati sotto terra, in diverse località pugliesi, confermando pertanto un quadro complessivo estremamente rischioso nell'ambito della tutela ambientale del territorio medesimo;
   il suesposto rapporto di Legambiente evidenzia, sia la capillare attività di monitoraggio, di controllo e d'intervento svolta in tutta la regione Puglia da parte delle forze dell'ordine, che al contempo un preoccupante slancio in avanti, nella classifica indubbiamente poco edificante, delle illegalità ambientali in Italia; il primato raggiunto, scalzando quello storico della Campania impone, a giudizio dell'interrogante, rapidi interventi nei riguardi della Puglia, al fine di fronteggiare il fenomeno del traffico e dello smaltimento illecito dei rifiuti;
   le dichiarazioni della magistratura barese, secondo le quali nel distretto di Bari si riscontra un'intensa attività criminale, con migliaia di tonnellate di rifiuti speciali non trattati, provenienti da impianti di compostaggio e di stoccaggio dalla Campania (come risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano «la Repubblica edizione di Bari» il 30 giugno 2015) e successivamente «tombati» nello stesso territorio pugliese (più precisamente nell'area foggiana), accrescono i dubbi e le incertezze, a parere dell'interrogante, sulle prospettive future della Puglia, in termini di specifiche tutele per la salute dell'intera comunità regionale, nonché per la contaminazione dei terreni in particolare quelli agricoli –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa, secondo cui l'ultimo rapporto di Legambiente attribuisce alla regione Puglia il primato nazionale per il numero di illeciti ambientali, per le irregolarità relative al ciclo dei rifiuti, nonché per i sequestri effettuati e per gli individui denunciati;
   se, in considerazione dell'elevata criticità esistente all'interno della regione medesima, non intendano assumere iniziative per prevedere misure volte a potenziare l'attività di controllo e di monitoraggio, da parte degli organi istituzionali preposti alla vigilanza e alla repressione, al fine di ridurre il numero complesso degli illeciti ambientali;
   se siano a conoscenza dell'esistenza di eventuale contaminazione di terreni agricoli, all'interno della suindicata regione, in grado di arrecare pericoli per la sicurezza dei prodotti agroalimentari;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri intendano assumere oltre a quelle in precedenza indicate, al fine di fronteggiare una situazione divenuta emergenziale, connessa all'intensa attività criminale delle ecomafie esistente in Puglia, che il più delle volte avviene in prossimità di terreni destinati a coltivazioni agricole. (5-05968)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PELLEGRINO, ZARATTI, FERRARA, SCOTTO, RICCIATTI, QUARANTA, AIRAUDO, PLACIDO, MARCON, DURANTI, PIRAS, FRATOIANNI, MELILLA, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, ZACCAGNINI e SANNICANDRO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da numerosi articoli di stampa nazionale e locale, nella mattina di lunedì 29 giugno 2015, i carabinieri del nucleo operativo ecologico (Noe) di Udine si sono presentati nello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, nel rione Panzano, per eseguire un'ordinanza del tribunale di Gorizia e sequestrare quattro aree destinate alla cernita e allo stoccaggio di rifiuti, prodotti da scarti di lavorazione;
   l'ex direttore dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, Carlo De Marco, e i titolari di sei aziende che lavorano all'interno del cantiere (e segnatamente i titolari della ditta «Pulitecnica friulana» di Udine, della «Petrol Lavori» di San Dorligo della Valle, della «Marinoni» di Genova, della Carboline Italia, della «Sirn» di Trieste e della Savi di Genova) sono coinvolti nell'indagine che ha portato al sequestro preventivo di alcune aree – e la conseguente sospensione delle attività lavorative di circa 5000 addetti – con l'ipotesi di reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata in violazione dell'articolo 256 del decreto legislativo 3 aprile 2006, 152 (Norme in materia ambientale). In particolare, per quanto risulta agli interroganti, la Procura della Repubblica di Gorizia, nel giugno 2013 si era vista respingere la richiesta di sequestro, prima dal giudice delle indagini preliminari e poi dal tribunale di Gorizia, in quanto non vi sarebbero state urgenze tali da giustificare una situazione di pericolo ambientale. Successivamente la procura della Repubblica di Gorizia ha presentato ricorso presso la terza sezione penale della Corte di Cassazione che ha disposto l'intervento di sequestro preventivo delle aree nello stabilimento Fincantieri a Panzano;
   in particolare, secondo quanto risulta, l'inchiesta riguarda la gestione degli scarti di lavorazione nelle navi prodotti da parte delle ditte subappaltatrici di Fincantieri, che purtuttavia non risultano titolari dell'autorizzazione a gestire i rifiuti e la contestazione riguarda in particolare il deposito temporaneo messo a disposizione da Fincantieri, dove i vari rifiuti vengono ammassati e quindi rimossi da parte di un'altra ditta subappaltatrice;
   la Corte di Cassazione ha accolto la tesi della Procura, per cui tutte le ditte in subappalto, e non solo Fincantieri, sarebbero soggette all'autorizzazione al trattamento rifiuti, anche in caso di semplice stoccaggio, per cui la procedura utilizzata nel cantiere rappresenterebbe quindi un «deposito incontrollato», sanzionato dal citato decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   per quanto riguarda l'attività lavorativa dei dipendenti, il Nucleo operativo ecologico (Noe) avrebbe lasciato intendere che essa potrà riprendere solo nel momento in cui la situazione sarà regolarizzata e i rifiuti saranno portati fuori dalle aree;
   l'azienda Fincanteri, in una nota, ha specificato che le aree sottoposte al sequestro sono «destinate alla selezione dei residui di lavorazione, strategiche per il regolare svolgimento del ciclo produttivo» e che «ferma restando l'intenzione di assumere con urgenza tutte le opportune iniziative in sede giudiziaria al fine di ottenere la revoca di detta misura, che considera particolarmente gravosa anche in ragione dei danni che il permanere degli effetti della stessa potrebbe provocare, è costretta, in ottemperanza al predetto provvedimento del Tribunale, a disporre a far data da oggi la sospensione dell'attività lavorativa di tutto il personale coinvolto nel ciclo produttivo del cantiere di Monfalcone»;
   su tale vicenda è intervenuto in modo a giudizio degli interroganti particolarmente inopportuno il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che ha dichiarato come il sequestro di alcune aree dei cantieri di Monfalcone della Fincantieri da parte del nucleo operativo ecologico dei carabinieri è «un altro caso Ilva», un esempio della «manina anti-impresa» che non lascia operare le aziende italiane, senza considerare le gravi implicazioni per la tutela della salute dei lavoratori e della salubrità del territorio interessato –:
   quali elementi il Governo intenda fornire con riferimento alla vicenda descritta in premessa, se sia a conoscenza delle aree dove i rifiuti saranno trasferiti e quali iniziative di competenza saranno adottate per dirimere la situazione di pericolo ambientale in cui versa lo stabilimento Fincantieri di Monfalcone e neutralizzare ogni possibile pregiudizio per la ripresa operativa dell'attività lavorativa dei dipendenti. (4-09666)


   RONDINI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sia notizie di stampa che lo stesso sindaco indicano che nei prossimi otto mesi circa 20 mila tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania verranno smaltiti nell'inceneritore di Trezzo sull'Adda. Nessuna comunicazione è stata fatta a regione Lombardia che ora ha ordinato controlli a tappeto per verificare il rispetto delle norme;
   il sospetto sottolineato dalle istituzioni lombarde è che i rifiuti provenienti dalla regione del Sud non siano speciali ma bensì urbani. Se così fosse, sarebbe palese che non si stia rispettando l'obbligo di intesa tra le due regioni, non trascurando la mancata comunicazione del conferimento della regione Campania verso regione Lombardia;
   tale provvedimento risulta essere altamente ingiusto perché, mentre al Nord si aumenta la percentuale di raccolta differenziata, altre città del sud come Roma o Napoli si continua ad evitare di prendere provvedimenti seri, al fine di arrivare a percentuali dignitose di raccolta differenziata ed a costruire nuovi inceneritori che possano provvedere ai bisogni dei territori;
   presso l'impianto si è assistito all'inserimento di rifiuti provenienti da altre regioni, nello specifico Lazio e Abruzzo a cui si assiste all'odierno allargamento alla Campania, per un conferimento quantitativamente rilevante e anomalo non giustificato da emergenze, ma solo da incapacità delle altre regione nella gestione dei rifiuti;
   come precisato dall'assessore Terzi «sia anche giusto anche rimarcare che la rete nazionale degli inceneritori contenuta nello “Sblocca Italia” non è ancora in vigore»;
   così facendo si punta a stravolgere il potere programmatorio di regioni come la Lombardia che hanno raggiunto negli anni, grazie agli sforzi dei suoi cittadini, la piena autosufficienza –:
   se il Ministro, essendo a conoscenza della situazione, non intenda domandare al Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente una verifica, anche a campione sui rifiuti che vengono smaltiti fuori dalla regione Campania. (4-09685)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   l'Europa ha distinto fin dal 1975 (dir. 1975/368/CE e dir. 1992/51/CE) la professione di guida turistica (tourist guide), alla quale riconosce caratteristiche di «specificità di area», da quella di accompagnatore (tour manager), che assiste il gruppo nel corso del viaggio;
   tramite il C.E.N. (Comitato europeo di normalizzazione) sono state approvate le definizioni a livello europeo delle due professioni (Norma Europea EN 13809 del 2003);
   «la Guida Turistica guida i visitatori nella lingua da loro scelta ed interpreta il patrimonio culturale e naturale di un territorio. Possiede normalmente una qualificazione specifica per un determinato territorio (area-specific qualification). Tale qualificazione è rilasciata e/o riconosciuta dall'autorità competente del Paese visitato»;
   «l'Accompagnatore Turistico conduce e supervisiona lo svolgimento del viaggio per conto del tour operator, assicurando il compimento del programma, e fornisce informazioni pratiche sui luoghi visitati»;
   la professione che varca i confini e che è transfrontaliera è quella dell'accompagnatore che conduce il gruppo nel corso del viaggio da un Paese ad un altro, non quella della guida che è una professione stanziale. Quando una guida accompagna un gruppo all'estero non sta più svolgendo il ruolo di una guida che, per definizione, è specializzata sul patrimonio di un territorio specifico, ma sta svolgendo il ruolo proprio dell'accompagnatore;
   fuori dal proprio territorio, la guida perde la sua competenza. Per nessun'altra professione, la competenza è legata ad un, territorio come per la guida turistica;
   la guida turistica conosce i beni materiali ed immateriali di un territorio; è il rappresentante di una comunità, di una cultura locale, è il suo ambasciatore, è un mediatore inter-culturale, contribuisce alla valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, alla sensibilizzazione per il suo rispetto conservazione, favorisce la promozione del suo territorio come destinazione turistica e dei suoi prodotti tipici. Tale ruolo è riconosciuto dal C.E.N. (Norma Europea EN 15565 del 2008);
   la guida turistica, inoltre, illustra e promuove tutti i siti, anche quelli meno conosciuti del patrimonio culturale italiano;
   con la legge n. 97 del 2013, articolo 3, il patrimonio è illustrato da guide specializzate in patrimoni di altri territori. Una delle conseguenze principali dalla situazione succitata è quella di avere, nei confronti dei turisti, visite guidate di basso profilo e solo nei monumenti maggiormente visitati. Le visite sono generiche e superficiali e privano il visitatore-consumatore di servizi di qualità e del diritto ad una corretta divulgazione del patrimonio culturale italiano. Con tale legge, le guide turistiche italiane perdono la loro qualificazione, ma anche le regioni perdono le loro guide qualificate;
   l'articolo 3 della legge europea n. 97 del 2013 interviene a seguito della procedura di pre-infrazione (EU Pilot 4277/12/MARK) riferita a violazioni della direttiva «servizi» (2006/123/CE) da parte di leggi regionali; tale procedura è stata attivata al fine di consentire la libera prestazione di servizi da parte delle guide turistiche di altri Stati membri su tutto il territorio nazionale;
   ai sensi del comma 2 dell'articolo 3, i cittadini comunitari che abbiano ottenuto l'abilitazione in un altro Stato membro per operare in regime di libera prestazione di servizi, non necessitano, invece, di autorizzazioni o abilitazioni, ad eccezione che per i siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico da individuare con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   la professione di guida turistica è regolamentata dalla disciplina prevista dalla direttiva «professioni» (2005/36/CE) recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 206 del 2007 che regolamenta il diritto di stabilimento (che prevede il riconoscimento del titolo europeo e prove compensative) e la prestazione temporanea (che non prevede la verifica delle competenze);
   la Commissione europea (nella relazione al Consiglio e al Parlamento europeo) ha descritto la situazione con le seguenti parole: «La Commissione ha potuto constatare che all'origine dei problemi di libera circolazione vi è, il più delle volte, la confusione tra due professioni diverse ma complementari: le guide turistiche e gli accompagnatori. Questo profilo (degli Accompagnatori) non deve essere confuso con quello della Guida. La volontà di certe Associazioni di avere accesso ad una professione diversa rappresenta una questione che, evidentemente, va oltre le garanzie previste dall'attuale ordinamento comunitario in vigore» (Bruxelles, 3 febbraio 2000 COM 2000-17, § 273, 275, 281);
   nel comunicato del MiBACT, in data 12 marzo 2015, sono riportate le seguenti parole: «in base alle regole europee come gli stranieri possono venire a esercitare la professione in Italia, così gli italiani possono esercitare la loro professione all'estero»;
   la qualificazione professionale che le guide italiane hanno conseguito in anni di studio non è tuttavia utilizzabile in altri Paesi europei;
   non si tiene conto del fatto che, se si accompagna un gruppo all'estero, non si stanno svolgendo le mansioni della guida che, per definizione, è stanziale e specializzata su un patrimonio limitato, ma si stanno svolgendo le mansioni dell'accompagnatore che è una figura viaggiante, senza limiti territoriali. Tale confusione è voluta dai tour operator stranieri che vogliono far effettuare tutte le visite guidate ai capo-gruppo stranieri;
   in Italia l'esercizio della professione è regolamentato e vi si accede tramite esami volti ad accertare le competenze al fine del rilascio dell'abilitazione che ha valore all'interno dell'ambito territoriale provinciale e regionale;
   inoltre, il regime fiscale presente costringe alla chiusura molte partite iva, mentre gli stranieri, non pagando le tasse in Italia, avvantaggiandosi delle leggi, pongono in una posizione sfavorevole il cittadino italiano;
   il 29 gennaio 2015 il Ministro interrogato ha firmato un decreto in cui si stabiliscono i criteri generali di accesso alla professione di guida turistica, delegando in via concorrente alle regioni le verifiche del caso;
   il decreto succitato, per la fase transitoria (articolo 8, comma 1) che potrebbe durare due o tre anni, permette a tutte le guide europee, prive di competenza accertata, di esercitare anche nei siti riservati alle guide specializzate, facendo diventare l'Italia dei beni culturali «terra di nessuno»;
   per le guide già abilitate, con regolari esami pubblici, iscritte in regolari elenchi pubblici regionali o provinciali, si richiede inoltre di sostenere ulteriori esami per poter estendere la validità delle abilitazioni provinciali ad altri siti cosiddetti protetti, in cui solo le guide fornite di questa ulteriore specializzazione potranno esercitare;
   a quanto consta agli interroganti l'Etoa, l'associazione di tour operator europei, ha sempre appoggiato tali, posizioni; interessi analoghi sono sostenuti dalle società di servizi aggiuntivi, alle quali vengono concessi in affido i servizi di biglietteria, pulizia, vendita di libri e che invece vendono anche i servizi di visite guidate, condotte da personale non abilitato, con ciò contravvenendo alle leggi vigenti e spesso sottopagando il personale;
   il mercato dei «servizi aggiuntivi», ovvero la gestione delle biglietterie e dei bookshop dei principali siti archeologici e musei d'Italia, è prerogativa dei seguenti operatori: la Coopculture assieme all'Electa, Civita cultura, Zetema: fondata da Civita insieme ad Acea e Costa edutainment, poi acquisita al 100 per cento dal comune di Roma, attiva nelle gestione indiretta degli istituti culturali di proprietà del Campidoglio;
   le convenzioni dei servizi aggiuntivi sono scadute da diversi anni; ma, invece di fare un concorso pubblico, sono state sempre «prorogate» e continuano ad esserlo –:
   se intenda ritirare il decreto ministeriale del 29 gennaio 2015 fino all'approvazione di una legge di riforma complessiva della professione di guida turistica e se, per quanto di competenza, intenda dare attuazione a quanto promesso, già da molto tempo, e cioè di effettuare gare pubbliche per l'affidamento dei servizi aggiuntivi presso i siti museali;
   se intenda valutare la presenza di guide turistiche qualificate presso i poli museali, le istituzioni culturali e i monumenti più importanti, ricavando in Europa la specificità culturale italiana e l'unicità del suo immenso patrimonio culturale (il più grande dei 28 Paesi dell'Unione europea);
   se intenda valutare la possibilità di contrastare quelle che agli interroganti appaiono indebite pressioni delle grandi multinazionali del turismo che vogliono la de-regolamentazione delle visite guidate, privando l'Italia di uno dei suoi beni più preziosi, dei relativi introiti dei versamenti fiscali e dei contributi previdenziali;
   se ritenga di poter contrastare le pressioni dei tour operator stranieri in materia di «prestazioni temporanee» delle guide europee, effettuate senza verifica delle competenze, affinché non diventino continuative, controllando l'effettiva temporaneità e la corretta applicazione della direttiva europea professioni a questo riguardo ed evitando gli abusi sempre più frequenti;
   se il Governo intenda assumere iniziative per riconsiderare le interpretazioni del diritto europeo (alla base dell'articolo 3 della legge n. 97 del 2013) che fanno ricadere le guide turistiche sotto la direttiva «servizi» (ex Bolkenstein) anziché sotto la direttiva «professioni».
(2-01022) «Marti, Altieri».

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 ottobre del 2014 il sovrintendente della fondazione Teatro dell'Opera di Roma, Carlo Fuortes, ha consegnato alle organizzazioni sindacali la notifica di avvio della procedura di licenziamento collettivo ex lege 223 del 1991 dell'orchestra e del coro, senza che fosse avvenuto alcun preventivo incontro con i sindacati previsto dall'articolo 38 del contratto collettivo nazionale del settore;
   la decisione era stata presa e trionfalmente trasmessa alla stampa dopo un incontro avvenuto nel settembre 2014 tra il sovrintendente ed i soli soci fondatori (Comune, Ministero e Regione) comunicandola ufficialmente al consiglio di amministrazione della Fondazione come cosa fatta soltanto nella successiva riunione del 2 ottobre;
   il 17 novembre 2014 i lavoratori del teatro, per scongiurare quella che sarebbe stata la rovina di 180 famiglie, ed estenuati da una massiccia campagna di stampa a loro discredito, si sono visti costretti a firmare un accordo che prevedeva significativi tagli ai salari dei lavoratori, mentre la parte datoriale si rifiutava di impegnarsi al contenimento delle spese degli allestimenti, dei cachet degli artisti ospiti e degli emolumenti dei dirigenti;
   nel successivo mese di dicembre, tuttavia, è apparsa sulla stampa una lettera datata 8 aprile 2013, e quindi precedente di ben sei mesi all'avvio della procedura di licenziamento collettivo, nella quale l'Avvocatura dello Stato esprimeva parere negativo circa la possibilità di avviare tale procedura data la natura pubblicistica della Fondazione, da sempre sostenuta dall'Avvocatura stessa;
   da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Tempo lo scorso 15 giugno e basato sull'analisi dei dati forniti dalla direzione delle risorse umane del Teatro dell'Opera di Roma, risulta una anomala e sproporzionata concentrazione del personale tecnico amministrativo nei ruoli apicali: circa il 75 per cento di questi, infatti, risulterebbe inquadrato nei primi tre livelli, nei quali si collocherebbero ben 29 funzionari, costituendo, di fatto, una sorta di «esercito di generali», nonostante la significativa riduzione del totale dei dipendenti, passati da oltre settecento a poco più di cinquecento;
   ciò avverrebbe in aperta contraddizione con la delibera del Consiglio di amministrazione dello stesso organismo del 9 giugno 2000, n. 8, che prevedeva che tutti gli inquadramenti di personale successivi a quella data avrebbero dovuto rispettare i livelli di inquadramento previsti dalla contrattazione di settore;
   inoltre, nel corso del 2014, nelle more dell'accordo capestro tra amministrazione e lavoratori siglato il 17 novembre 2014, il sovrintendente Fuortes avrebbe elargito promozioni, assegni ad personam e superminimi individuali di dubbia validità ad ignoti destinatari;
   sempre nel corso del 2014 il sovrintendente Fuortes ha nominato due direttori artistici, caso unico nella storia delle fondazioni lirico sinfoniche italiane ed estere, la somma dei cui compensi corrisponde pressoché al doppio del risparmio ottenuto dalla Fondazione, con la sospensione della cosiddetta «indennità sinfonica» dell'Orchestra e del Coro, per abolire la quale dal dottor Fuortes si è molto impegnato;
   ad oggi, la nomina del doppio direttore artistico, che nelle dichiarazioni del sovrintendente avrebbe trovato giustificazione nella elaborazione di una articolata stagione sinfonica da affiancare a quella ufficiale, ha prodotto, leggendo il programma della stagione 2015/2016 appena presentato, nove concerti in totale, tutti diretti da direttori sicuramente talentuosi ma praticamente sconosciuti al grande pubblico;
   nella prossima stagione non vi è traccia neanche di quelle coproduzioni tra le cosiddette macro-regioni previste dal decreto del 28 febbraio 2006 e rimaste lettera morta, mentre è previsto l'acquisto in blocco di produzioni dall'estero, sostituendo l'Orchestra ed il Coro e nonostante siano già state messe in scena recentemente dal Teatro dell'Opera di Roma;
   nella stagione in corso si assiste ad uno snaturamento del Teatro dell'Opera con una programmazione estiva che comprende eventi economicamente ed organizzativamente onerosi e che, trattandosi di concerti «pop», nulla hanno a che vedere con la funzione istituzionale della fondazione;
   risulta all'interrogante che sulla gestione del Teatro dell'Opera da parte del sovrintendente Fuortes sarebbe stato depositato anche un esposto alla procura, regionale della Corte dei Conti, che denuncia, tra le altre cose, le spese legali che la Fondazione sostiene affidando i propri contenziosi ad avvocati del libero foro pur potendo continuare, invece, ad avvalersi del patrocinio gratuito dell'Avvocatura Stato come previsto dall'articolo 43 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1161, e dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, istitutivo delle fondazioni lirico sinfoniche e confermato da ampia giurisprudenza in materia di patrocinio legale di realtà di natura o interesse pubblicistici;
   dalla relazione della Corte dei Conti sugli esercizi 2013 delle Fondazioni Lirico Sinfoniche presentata nell'adunanza del 24 aprile 2015 (determinazione n. 44/2015) emerge che tra quelle che versano in condizioni peggiori ci sono proprio le fondazioni in cui il direttore generale dello spettacolo dal vivo Salvatore Nastasi e l'attuale sovrintendente del Teatro dell'Opera di Roma, Carlo Fuortes, sono stati addirittura Commissari di Governo, vale a dire Firenze, Napoli e in ultimo Bari, dove Fuortes è riuscito a lasciare circa due milioni di euro di passivo, erodendo persino il patrimonio della Fondazione –:
   se e quali iniziative siano state assunte in seguito alla pubblicazione del citato parere dell'Avvocatura riguardo la legittimità dei licenziamenti collettivi, ovvero, qualora non ne sia stato assunto alcuno, quali siano le ragioni dell'inerzia dell'amministrazione in materia;
   quali siano ad oggi le risultanze dell'attività di coordinamento tra le Fondazioni ed il Ministero per i beni culturali e le attività culturali, prevista dal decreto del 28 febbraio 2006;
   quale sia il reale impatto economico delle spese relative ai contenziosi della fondazione Teatro dell'Opera di Roma non affidate all'Avvocatura dello Stato, e la regolarità dell'affidamento di tale contenzioso ad avvocato del libero foro.
(4-09683)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CORDA, FRUSONE, BASILIO, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   tra il mese di maggio e quello di giugno 2015 si sono registrati ben quattro incidenti mortali che hanno coinvolto personale militare e civile della Difesa;
   il 21 maggio 2015 il caporal maggiore Fabio Comini di 26 anni del 4o Reggimento alpini paracadutisti è morto all'aeroporto di Tassignano (Capannori, provincia di Lucca) durante un'esercitazione di lancio con paracadute a caduta libera; secondo quanto riportato dalla stampa, dopo un'avaria al paracadute principale il paracadute di emergenza non si sarebbe aperto;
   il 27 maggio 2015 la caporal maggiore Alessia Chiaro di 25 anni del Reggimento logistico Julia di Merano è morta precipitando mentre partecipava ad un'esercitazione di movimento in quota nella zona di forcella del Picco Ivigna;
   il 20 giugno 2015, secondo quanto riporta il sito del sindacato Flp-Difesa, Roberto Coratti di 60 anni, dipendente civile dello Stabilimento militare propellenti di Fontana Liri (Frosinone), è morto folgorato mentre riparava una centralina elettrica dello stabilimento; lo scorso gennaio due lavoratori erano rimasti gravemente feriti per lo scoppio di un ordigno in un altro sito dell'Agenzia industrie difesa, lo stabilimento militare ripristini e recuperi del munizionamento di Noceto (Parma);
   il 24 giugno 2015 il sergente Sergio David Ferreri, militare di 32 anni molto esperto, in forza al 9o reggimento paracadutisti d'assalto di Pisa è morto a Chiusino in provincia di Pisa durante un'esercitazione di lancio da un velivolo C-130 dell'Aeronautica militare;
   gli interroganti non conoscono i risultati di eventuali inchieste giudiziarie o amministrative sugli incidenti, ma non possono non rilevare la straordinaria concentrazione di tanti infortuni mortali in un così breve tempo e in situazioni molto diverse tra di loro, tanto da far ritenere che alla base ci possa essere una insufficiente manutenzione degli equipaggiamenti o degli impianti e uno scarso addestramento degli operatori eventualmente combinato con una non sufficiente attenzione agli aspetti della sicurezza anche come conseguenza dei continui ed insostenibili tagli alle spese di esercizio e addestramento;
   il bilancio della Difesa 2015 destina solo 1.170 milioni di euro all'esercizio, pari all'8,6 per cento dello stanziamento complessivo con una diminuzione del 12,92 per cento rispetto al 2014. Nel 2010 i fondi per l'esercizio ammontavano al 12,3 per cento del bilancio e negli anni hanno subito un'erosione molto più rapida di quelli destinati all'investimento –:
   se il Ministro non ritenga, almeno per alcuni di essi, che tali incidenti siano riconducibili a carenze di manutenzione, addestramento e sottovalutazione dei rischi per la sicurezza del personale e quali iniziative siano state assunte per ridurre al minimo il ripetersi degli stessi;
   se non reputi necessario l'avvio di una indagine interna da parte del Ministero della difesa in merito alla situazione della sicurezza sul lavoro del personale militare e civile impiegato;
   se non ritenga in ogni caso urgente un riequilibrio della ripartizione delle spese all'interno del bilancio della Difesa per garantire non solo una migliore efficienza dello strumento militare ma anche e prioritariamente la sicurezza degli operatori militari e civili della Difesa.
(5-05959)


   ROSTELLATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dal Mattino di Padova del 2 aprile del 2015 si evince che la caserma Piave, sita in Via Cristoforo Moro – Padova, chiuderà i battenti entro l'anno. Lo ha confermato – si legge nel testo – il generale di Corpo d'Armata Bruno Stano, comandante delle Forza di difesa interregionale Nord, durante la cerimonia dell'alzabandiera;
   nello stesso articolo si apprende che ad inizio estate inizierà il trasloco: i militari ancora operativi, incominceranno a trasferirsi nella caserma Salomone in Prato della Valle. Dopodiché gli edifici torneranno in mano al demanio militare che potrebbe cederli;
   nell'occasione della manifestazione «domenica di carta» tenutasi il 5 ottobre 2014 a Padova, presso l'archivio storico della provincia, è emersa la necessità della struttura di ampliarsi, tant’è che, già nel settembre 2012, l'allora funzionario alla provincia di Padova, l'architetto Nicola Gennaro, ne progettò l'ampliamento;
   ampliamento che restò solo sulla carta per mancanza di fondi, difatti la struttura, suddivisa in circa 24 chilometri di scaffalature contenenti volumi, carte sciolte, pergamene, mappe, non è più in grado di accogliere ulteriore documentazione, e necessita di almeno ulteriori 6000 metri quadrati;
   la struttura, attualmente di proprietà della provincia, è in regime di locazione passiva con canone annuo di ben 152.201,36 euro;
   ai fini della riduzione della spesa pubblica, i vari Ministeri stanno provvedendo alla riassegnazione dei propri immobili al demanio pubblico, anche a seguito dell'attuazione del cosiddetto decreto sblocca Italia, e venendo a conoscenza che tra gli immobili oggetto di riassegnazione figura anche la caserma Piave, e tenuto conto che all'interno della stessa sono presenti palazzine archivio dell'ex distretto militare, già attrezzate a norma per la conservazione dei documenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della necessità di ampliamento dell'Archivio di Stato di Padova, visto l'importante e significativo ruolo che riveste l'Istituto nella tenuta e conservazione dei documenti storici, e, di conseguenza, se abbia intenzione di chiedere alla competente Agenzia del demanio l'assegnazione di parte delle strutture che saranno oggetto di restituzione all'amministrazione finanziaria con riferimento anche a parte della caserma Piave, allorquando, cessata l'esigenza istituzionale della Difesa, l'immobile venga reso disponibile». (5-05970)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 22 giugno 2015 il Consiglio affari generali, riunitosi in vista del successivo Consiglio europeo del 25-26 seguenti, ha approvato l'avvio della missione navale di contrasto al traffico dei migranti clandestini diretto dalle coste libiche verso quelle dell'Italia, denominata EuNavForMed;
   il 25 giugno seguente, il Governo ne ha informato le Camere, riunendo le Commissioni difesa dei due rami del Parlamento per comunicazioni urgenti;
   nella circostanza, pur essendosi appreso che l'intervento tende alla distruzione della capacità di trasporto marittimo degli scafisti, non si è compreso in cosa effettivamente la nuova operazione militare differirebbe da quelle che l'hanno preceduta, da Mare Nostrum a Triton e Mare Sicuro, tradottesi nel trasbordo dei clandestini e nel loro successivo sbarco nei porti del nostro Paese;
   risulta in particolare oscuro il modo in cui si conta di dissuadere gli scafisti dall'intraprendere i loro commerci, posto che il naviglio che impiegano è notoriamente a perdere e di bassa qualità;
   è di decisiva importanza al successo della missione che i clandestini intercettati non siano trasportati in un Paese dell'Unione europea, e meno che mai nel nostro, unico elemento che potrebbe davvero differenziare EuNavForMed dalle operazioni che l'hanno preceduta –:
   quali siano le regole di ingaggio alle quali la EuNavForMed dovrà attenersi al momento in cui le navi che le sono assegnate intercetteranno imbarcazioni con clandestini a bordo. (4-09654)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAGLIA e QUARANTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca Carige rappresenta la più importante banca ligure oltre ad uno dei principali istituti di credito nel panorama italiano con sede a Genova, essa può contare su una distribuzione capillare sul territorio italiano di più di 1.100 sportelli ed oltre 2 milioni di clienti tra famiglie, professionisti, imprese, artigiani ed enti;
   nel 2013 l'inchiesta finanziaria che si abbatte sulla banca fa uscire definitivamente di scena Giovanni Berneschi, che sin dalla fine degli anni Novanta era stato il protagonista indiscusso dell'espansione di Carige in Liguria e in Italia, inchiesta peraltro conclusasi con l'arresto dello stesso Berneschi e l'imposizione da parte di Bankitalia di una drastica ricognizione dei crediti in sofferenza e la richiesta di un rafforzamento patrimoniale di 800 milioni nel 2014;
   nel frattempo, al fine di fare recuperare alla Banca Carige credito e solidità finanziaria, vengono posti alla sua guida in qualità di presidente il dottor Castelbarco ed in qualità di amministratore delegato il dottor Montani; come prime iniziative vengono cedute le assicurazioni, mentre la Creditis (società di credito al consumo) ed il private banking (la Banca Cesare Ponti) sono in attesa di essere vendute, mentre per la fine del mese di maggio u.s. viene disposto, contemporaneamente con l'approvazione del bilancio 2014, un secondo aumento di capitale pari a 850 milioni di euro;
   secondo quanto riportato dal quotidiano «il Secolo XIX» del 21 aprile 2014, dopo aver ricevute tutte le autorizzazioni, l'imprenditore Vittorio Malacalza, che ha acquistato per 66,2 milioni il 10,5 per cento) del pacchetto dalla Fondazione, diventando il primo azionista della banca avrebbe dichiarato di essere disponibile a trovare intese «con chiunque voglia investire per il bene della banca»; sullo stesso quotidiano si legge che Gabriele Volpi, altro imprenditore ligure, si è reso disponibile a sottoscrivere l'aumento di capitale di Carige e a fare un accordo di governance al fine di accrescere la sua partecipazione azionaria dall'attuale 2 per cento scarso al 5 per cento;
   Gabriele Volpi ha iniziato la sua attività imprenditoriale negli anni ’70 in Nigeria nell'industria petrolifera, di logistica a supporto delle piattaforme estrattive, riuscendo a creare un gruppo, la Intels, che ben presto si accredita con un giro d'affari stimato in 2 miliardi di dollari;
   il 1o agosto 2012 il quotidiano «il Sole 24ore» dedica un lungo articolo a Gabriele Volpi intitolato: «L'ascesa dell'italiano più ricco d'Africa. Affari all'ombra dell'ex vicepresidente nigeriano Abubakar», con il quale viene ricostruita la fortuna dell'imprenditore italiano attraverso i documenti e le testimonianze raccolte dalla Commissione permanente di inchiesta del Senato americano che per oltre un anno ha investigato sul fenomeno della corruzione della leadership politica nigeriana; allo stesso articolo emerge il legame tra Volpi e Abubakar, grazie al quale la sua azienda Intels ottiene il monopolio della logistica petrolifera; a tal proposito si legge che: «la commissione di inchiesta prova il legame tra Volpi e il vicepresidente nigeriano: “negli anni Ottanta Abubakar entra in società con Volpi attraverso una società creata per fornire servizi di supporto portuale all'industria del petrolio e del gas”, e ancora, che: “la commissione d'inchiesta e la Security Exchange Commission, equivalente alla nostra Consob”, hanno appurato che circa “2,8 milioni di dollari in tangenti pagate dalla multinazionale Siemens sono stati convogliati su un conto bancario in Maryland intestato a Jennifer Douglas” moglie di Abubakar»;
   tutte le indiscrezioni circolate circa la volontà di Volpi di acquistare azioni di Banca Carige sono confermate il 30 maggio 2015 da Radiocor (Sole 24ore); inoltre, il 31 maggio 2015, sul quotidiano Repubblica si legge: «da ieri Gabriele Volpi risulta titolare del 2,5 per cento del capitale Carige attraverso il trust inglese “Summer”, riconducibile alla sua famiglia; è il veicolo usato dall'imprenditore per questa e altre operazioni; per scoprire quali non resta che aspettare; fra la fine maggio e inizio giugno scatterà l'aumento di capitale da 850 milioni della banca e Volpi non promette solo di onorare la sua quota, bensì di salire ancora fino alla soglia del cinque per cento» –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il non ritenga opportuno acquisire elementi presso la Consob in relazione ad una imponente operazione destinata a ridefinire i cosiddetti «azionisti rilevanti» di Banca Carige, e rendere più stringenti i requisiti di onorabilità degli azionisti definiti dal decreto ministeriale 18 marzo 1998, n. 144, anche estendendone l'ambito di applicazione, mediante una riduzione della percentuale del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto, quantomeno ai casi in cui quote inferiori al 5 per cento si trovino a determinare una posizione rilevante rispetto alla composizione dell'azionariato mediante indagini, avviate anche all'estero, inerenti la condotta etica degli azionisti. (5-05967)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è dal 2000 che le regioni hanno la piena responsabilità per quanto riguarda le politiche in materia di servizio ferroviario locale. Sono infatti subentrate allo Stato nel ruolo di interlocutore con i diversi concessionari che operano il servizio regionale e dal 2001 hanno avuto trasferite le risorse, già destinate al finanziamento del servizio ferroviario locale. Alle regioni spetta dunque definire con i gestori, operanti in concessione sul proprio territorio, la quantità, i costi e gli standard di qualità dei servizi ferroviari erogati. Le «prestazioni» sono stabilite nei cosiddetti contratti di servizio (CdS), con il quale da un lato l'impresa ferroviaria s'impegna all'erogazione di un quantitativo di treni per chilometro ed al rispetto di determinati indici di qualità (relativi a pulizia, comfort, informazione e puntualità delle corse), dall'altro l'amministrazione regionale stabilisce un corrispettivo economico per l'erogazione di tali servizi. In ultimo, il contratto di servizio stabilisce le penali da applicare al gestore dei servizi in caso di mancato rispetto degli indici di qualità definiti dallo stesso contratto;
   nel caso della Calabria, nonostante una media di 230 soppressioni di treni al mese le penali non sono previste dal contratti di servizio;
   il rapporto Pendolaria 2014 ha analizzato in ogni regione le risorse e gli impegni previsti nei contratti di servizio, per capire come le politiche dei governi locali sui trasporti si siano tradotte o meno in attenzioni e investimenti a favore del trasporto ferroviario pendolare. In Calabria si è assistito in quattro anni a tagli per il 16,3 per cento, un aumento delle tariffe del 20 per cento, assenza di stanziamenti per il servizio e per il materiale rotabile ed una drastica riduzione sulla quantità di treni per chilometro che passano da 7,4 a 5,8;
   il rapporto Pendolaria mostra, di anno in anno, per la Calabria, la stessa fotografia di isolamento e di arretratezza – in alcuni casi addirittura peggiorata. Nel corso del 2014 la Regione Calabria ha tagliato circa 10 milioni di euro al contratto di servizio con Trenitalia, già impoverito di molto negli ultimi anni. In seguito a questa decisione a partire dallo scorso giugno è stata decretata la soppressione di ben 26 treni regionali solo sulla linea Jonica tra Reggio e Metaponto e tra Catanzaro Lido e Lamezia. In seguito alle trattative tra Regione e Trenitalia i tagli sono poi diventati 16, con 10 corse ripristinate. Ma allarmano le notevoli riduzioni su alcuni linee, come la Jonica e la linea Rosarno – Lamezia Terme centrale via Tropea;
   drammatica è proprio la situazione della linea Catanzaro Lido-Lamezia Terme parzialmente rinnovata nel 2008 con la costruzione della variante Catanzaro Lido — Settingiano e della nuova stazione di Catanzaro-Germaneto. Infatti, dopo un taglio di circa 10 milioni di euro da parte della regione sul contratto di servizio avvenuto la scorsa estate la linea Catanzaro Lido-Lamezia Terme centrale è stata classificata come tratta a scarso traffico e vede 10 collegamenti al giorno (per senso di marcia) di cui solo 3 con treni regionali. Il resto è stato sostituito con autobus. In pratica, si è tornati alla sostituzione dei treni con i mezzi su gomma proprio come nel periodo di interruzione della ferrovia tra il novembre 2011 e l'aprile 2013, a seguito del crollo di un ponte tra Marcellinara e Feroleto Antico. Nonostante sia una linea, di 42 chilometri, a binario unico risulta strategica perché unisce i versanti tirrenico e jonico della Calabria tanto da aver fatto proporre la sue elettrificazione più volte negli ultimi anni. I tagli quindi aggiungono disagi per un'area, quella jonica, già martoriata sul fronte del trasporto ferroviario e che già da anni non può raggiungere in modo diretto in treno Lamezia Terme centrale, avendo spezzato i collegamenti regionali provenienti dalla Jonica sud (Reggio Calabria/Roccella Jonica) e da Crotone/Sibari, a Catanzaro Lido;
   anche i treni a più lunga percorrenza hanno subito dei cambiamenti importanti nel corso degli ultimi anni, mentre addirittura finiranno nel dimenticatoio la maggior parte dei treni notturni, che almeno allo stato attuale sono destinati a scomparire. In Calabria tra il 2010 e il 2011 sono stati soppressi 4 Intercity notturni e addirittura 12 treni Espressi che permettevano, con un costo contenuto, di collegare questa regione sia con la Sicilia sia con Roma. Solo nel 2013 sono stati tagliati gli Espressi diretti a Torino, Milano, Venezia e Bolzano, mentre nel 2012 i tagli più gravi hanno riguardato la linea Jonica. In quest'ultimo caso oltre alla mancanza ormai di passaggio dei treni, con un solo treno al giorno tra Metaponto e Reggio Calabria (ed un cambio a Catanzaro Lido), si assiste anche alla chiusura di biglietterie di stazioni importanti come Sibari e Crotone;
   la presenza di servizi su gomma in sovrapposizione al treno, alle porte del 2015, non è più accettabile: sono costi che ingiustamente vengono sostenuti dai cittadini calabresi, peraltro beffati due volte, visto che il servizio è assolutamente poco appetibile a causa degli alti tempi di percorrenza (compresi tra 45 e 50 minuti per percorrere 42 chilometri);
   una nuova Catanzaro Lido – Lamezia darebbe anche la possibilità di collegare direttamente il capoluogo di Regione Catanzaro con la Capitale e con il resto d'Italia. Non sarebbe più un sogno collegare con un servizio Frecciargento Catanzaro Lido con Roma Termini in 4 ore e 30 minuti, con relative coincidenze regionali da/per Crotone-Sibari e Soverato-Roccella Jonica-Reggio Calabria;
   nel 2012 il Ministero della coesione territoriale ha destinato 80 milioni di euro all'elettrificazione della tratta tra Catanzaro Lido e Lamezia Terme centrale per un lavoro che, allo stato attuale, a causa del tracciato poco agevole e costellato di criticità idrogeologiche, sarebbe totalmente inutile ai fini del miglioramento e della velocizzazione dei treni. I lavori, per giunta, non sono mai partiti;
   Legambiente ha segnalato una media del 25 per cento in meno di risorse da parte dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma negli ultimi 4 anni. Il Governo Renzi ha assicurato, in controtendenza, uno stanziamento di 3,8 miliardi di euro per tentare di dare uno shock positivo alla pericolante economia nazionale, tuttavia, con grande rammarico notiamo ancora una volta che nello «Sblocca Italia» non è menzionata neppure lontanamente la Calabria, «solita» grande assente, ormai da decenni, nei piani nazionali di investimento infrastrutturale nel settore del trasporto ferroviario;
   in Calabria, il cronico ritardo che riguarda il potenziamento delle infrastrutture e il ricambio del materiale rotabile fa sì che i tempi di percorrenza, non solo tra centri di minor grandezza, assumano dimensioni impensabili per un viaggio da effettuare quotidianamente. Muoversi da una città all'altra, su percorsi sia brevi che lunghi, può portare a viaggi di ore e a dover scontare numerosi cambi obbligati anche solo per poche decine di chilometri di tragitto, mentre le coincidenze e i collegamenti intermodali rimangono un sogno;
   l'obiettivo da perseguire nell'interesse del Paese è di potenziare i collegamenti lungo le principali direttrici nazionali, migliorando l'offerta e l'integrazione modale con porti e aeroporti, pullman, trasporto pubblico locale, eliminando anche sprechi. Questo dovrebbe essere il ruolo del Ministero dei trasporti, con una attenta regia di politiche e investimenti. Non esistono infatti scuse infrastrutturali, nei collegamenti tra i principali capoluoghi di regione, al nord come al sud, devono essere garantiti collegamenti diretti su treni moderni che possano circolare con velocità competitive nei confronti delle automobili. Non è accettabile che scompaiano i collegamenti interregionali perché le regioni hanno deciso di tagliare le linee più periferiche e il Ministero non intervenga. Al Ministero spetta il compito di verificare che siano garantiti gli stessi diritti di accesso al trasporto ferroviario in tutta Italia –:
   se ai cittadini calabresi siano stati garantiti gli stessi diritti di accesso al trasporto ferroviario al pari dei residenti delle altre regioni;
   se non ritengano opportuno che si provveda alla messa in sicurezza e alla velocizzazione e solo in seguito all'elettrificazione della tratta tra Catanzaro Lido e Lamezia Terme centrale oltre alla costruzione dell'irrinunciabile collegamento ferroviario con l'aeroporto internazionale.
(4-09678)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA, NESCI, MASSIMILIANO BERNINI e D'UVA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Salvatore Barbagallo è un imprenditore di 65 anni che il 3 marzo del 2007 entrò nella questura di Vibo Valentia e fece i nomi di una decina di esponenti dei Mancuso per una serie di reati ai suoi danni. Dalla lettura di un articolo del Corriere della sera datato 24 giugno 2015, l'interrogante ha appreso che i Mancuso, una tra le ‘ndrine più pericolose d'Italia, lo avrebbero obbligato per anni a scavare pozzi gratis sulle loro terre, impadronendosi poi delle sue trivelle, per spingersi infine – approfittando della bancarotta a cui lo avevano ridotto – a sottrargli la casa in un'asta giudiziaria truccata;
   a otto mesi dalla denuncia di Barbagallo i testimoni da lui indicati non sono ancora stati sentiti, i processi sono fermi, il reato di estorsione che innesca la domanda di indennizzo riservato agli imprenditori che denunciano il racket non è neanche stato ipotizzato e questo è da imputare ad una carenza di organico del tribunale di Vibo che è fra i più intasati d'Italia;
   Barbagallo ha scritto ad uffici di ogni tipo e la procura antimafia lo convoca regolarmente a testimoniare contro la ’ndrangheta ma i processi per i reati ai suoi danni, per una serie di vizi di forma e rinvii, restano bloccati. Giunto allo stremo ha scritto una lettera a Papa Francesco e lo scorso 19 maggio si è steso sul selciato nel centro di Limbaldi – comune di 3400 abitanti in provincia di Vibo Valentia dove quel giorno era in visita la commissione parlamentare antimafia – impedendo alla Presidente Rosy Bindi di andarsene;
   il Ministero dell'interno prevede un fondo per le vittime del racket e dell'usura, unificato, con legge del 2011, con quello «per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso». Viene offerto «agli operatori economici, ai commercianti, agli artigiani, ai liberi professionisti vittime di estorsione». La concessione del fondo è deliberata dal Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura. La somma dovrebbe coprire l'intero ammontare del danno (e non oltre 1.549.370,70 euro);
   quando una dichiarazione fa scattare un'ipotesi di reato per estorsione, l'imprenditore ha diritto ad un indennizzo dal Fondo del Ministero dell'interno per le vittime del racket e dell'usura, la cui contabilità mostra tuttavia che qualcosa non funziona: è una delle poche voci nel bilancio dello Stato in cui la disponibilità supera la spesa. Nel 2014 il fondo aveva 81,5 milioni di euro, ma ne ha impiegati 60,8 e di questi appena 10,9 per le vittime, del racket. Ci sarebbe spazio per triplicare le denunce visto che, secondo il Censis, 1'80 per cento degli imprenditori in Italia trova che, negli ultimi due anni, l'estorsione sia aumentata;
   l'anno scorso, le domande pendenti per gli indennizzi erano 692 (su decine di migliaia di casi di estorsione), quelle accolte 128;
   per farsi aiutare dal fondo anti-racket oggi un imprenditore deve attraversare un vero e proprio labirinto: la denuncia in Procura, la domanda in prefettura, l'istruzione della pratica, la convocazione dei comitati per quantificare i danni, l'inoltro al commissario anti – racket di Roma, la valutazione dell'istruttoria, la conferma delle somme, il rinvio alla società pubblica che gestisce i pagamenti (Consap), che a sua volta fa una nuova istruttoria sulla posizione finanziaria del denunciante. Per ogni nuova firma può servire un mese, e ne servono almeno nove. Anche senza intoppi, l'intera procedura dura più di un anno durante il quale l'imprenditore vive chiuso in casa, minacciato, senza reddito –:
   se non sia il caso che il Governo intraprenda, per quanto di competenza, una serie di iniziative urgenti per far fronte ad una situazione drammatica che rende impossibile riuscire a fornire ai cittadini calabresi vittime del racket e dell'usura un servizio giudiziario minimamente accettabile;
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, finalizzate alla copertura integrale e all'ampliamento dell'organico tenendo conto della qualità e quantità dei processi pendenti presso il tribunale di Vibo Valentia;
   se non ritenga opportuno, nella fattispecie, intervenire per garantire al signor Salvatore Barbagallo e a tutti gli imprenditori vittime del racket tempi celeri per accedere all'indennizzo ad essi riservato. (4-09674)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BECHIS, BARBANTI e TURCO. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 20 febbraio 2015 veniva accolto come raccomandazione dal Governo l'ordine del giorno 9/02803-A/162, a firma Bechis, che testualmente recita:

  «La Camera,
   premesso che:
    durante l'esame del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 nelle Commissioni riunite I e V, in sede referente, è stato approvato un emendamento che inserisce nell'articolo 8, il comma 10-bis, che consente al giudice – nelle more del riparto delle risorse relative al 2015 del «Fondo nazionale locazioni» e della loro effettiva attribuzione e alle regioni, e comunque fino al 120o giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto – di disporre, su richiesta della parte interessata e al fine di consentire il passaggio da casa a casa, la sospensione dell'esecuzione delle procedure esecutive di rilascio per finita locazione di cui all'articolo 4, comma 8, del decreto-legge 150 del 2013;
    per quanto sia positivo questo mini-intervento del Governo in sede di conversione del decreto, non risolve assolutamente il caos degli sfratti e le difficoltà di 20 mila famiglie che rischiano di perdere l'abitazione;
    in questo provvedimento era molto attesa la proroga della scadenza del 31 dicembre 2014, contenuta nell'articolo 4, comma 8, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15 che ha prorogato il termine previsto dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2008, n. 199;
    il campo di applicazione dell'articolo 4, comma 8, del decreto-legge 150 del 2013 riguarda gli immobili adibiti ad uso abitativo situati nei comuni elencati dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007, inoltre la proroga prevista dal decreto-legge 150 era disposta in favore delle cosiddette fasce deboli della popolazione: reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro; presenza, nel nucleo familiare, di persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento; oppure coloro che non sono in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza, oltre ai conduttori che abbiano, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte a prorogare gli effetti delle disposizioni citate in premessa».

   il giorno 28 giugno è trascorso il 120o giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192;
   da un'elaborazione Federcasa su dati ISTAT e Comuni, 2014 in Italia su 5.172.845 famiglie residenti 133.489 risultano in graduatoria per l'assegnazione di un alloggio di edilizia popolare;
   da fonte Ministeriale nel solo 2013 gli sfratti eseguiti sono stati 31.399 a fronde dei 129.577 richiesti, di cui solo 2.659 per necessità del locatore;
   da una ricerca sull'edilizia popolare in Italia condotta da Federcasa il patrimonio gestito consisterebbe in 764 mila alloggi, 102 mila unità immobiliari non residenziali in locazione, 24 mila abitazioni a riscatto, 65 mila alloggi di proprietà di terzi, con un volume di affari pari a 1,2 miliardi di euro di cui la quota affitti è pari a 942 milioni di euro;
   ad avviso dell'interrogante appare iniquo che dal 29 giugno, in assenza di un'adeguata offerta di edilizia residenziale pubblica le cosiddette fasce deboli della popolazione corrono il concreto rischio, con tutto ciò che ne conseguirebbe, di finire in mezzo ad una strada –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative gravi ed urgenti intenda assumere il Ministro interrogato, al fine di dare soluzione alla problematica descritta, eventualmente recependo le soluzioni ivi prospettate al fine di tutelare i minori, le persone ultrasessantacinquenni, i malati terminali o i portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento. (5-05963)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Istat, tra il 2011 e il 2013, si è ridotta l'offerta del trasporto pubblico locale (tpl) nei capoluoghi di provincia, con 260 posti al chilometro in meno;
   il calo dell'offerta nel triennio è del 5,5 per cento, fino a 4.482 posti al chilometro;
   l'Istat delinea un quadro allarmante, giacché risultano in flessione tre capoluoghi su quattro e, in particolare, Milano, Torino e Napoli;
   la produzione di posti-chilometro è diminuita per autobus (-7,4 per cento), filobus e tram (-11,1 per cento), ma è aumentata per la metropolitana (+10 per cento), grazie anche all'estensione della rete di quasi 30 chilometri;
   i dati sulla mobilità urbana delineano l'ennesimo divario tra nord e sud del Paese: nelle città del settentrione, come in quelle del centro, l'offerta complessiva è infatti, di circa 5.500 posti-chilometro per abitante, più del doppio di quelle del mezzogiorno con 2.178;
   ad usare il trasporto pubblico locale sono 30 persone su 100 al centro, 26 al nord e 17 nel mezzogiorno, di questi gli utenti non occasionali sono circa 12 su 100 mentre nelle aree metropolitane il numero sale a 69 su 100;
   la soddisfazione per il servizio è più alta al nord, mentre al centro e sud Italia i fruitori si dicono meno soddisfatti ricorrendo al mezzo privato per i propri spostamenti. Sul giudizio negativo dei passeggeri gli aspetti più critici del servizio sono il costo dei biglietti, la comodità delle fermate e la pulizia delle vetture;
   secondo l'Istat la densità delle fermate presenti sul territorio comunale è da considerarsi come un indicatore dell'accessibilità ai servizi di tpl. Il valore medio complessivo nel 2013 è di 5,1 fermate ogni 2 chilometri, dato che aumenta nei grandi comuni con 11,4 fermate per chilometro quadrato, ma diminuisce in maniera significativa nel mezzogiorno che invece presenta 3,7 fermate per chilometro quadrato –:
   quali azioni intenda intraprendere – in particolare verso i comuni delle città capoluogo e verso le città metropolitane – per assicurare un sistema di mobilità urbana nazionale che abbia nell'offerta del trasporto pubblico locale un punto di forza, capace di ridurre l'inquinamento atmosferico e acustico, diminuendo al contempo i tempi di spostamento delle persone e assicurando loro sostenibilità e salubrità dell'ambiente in cui vivono;
   quali provvedimenti voglia adottare affinché diminuisca il divario tra nord e sud del Paese in un settore, come quello del trasporto pubblico locale, fondamentale per l'economia, anche per gli importanti effetti che produce direttamente sui cittadini e le famiglie;
   se non ritenga necessario attuare politiche nazionali per migliorare la qualità del servizio di trasporto pubblico locale, delle sue prestazioni e della sua fruibilità da parte dell'utenza, promuovendo l'integrazione tra servizi diversi per modalità o per tipologia, massimizzando le possibilità di interscambio tra i servizi, incentivando la sostituzione dei mezzi obsoleti e il miglioramento dell'impatto ambientale.
(5-05965)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SAMMARCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Roma Capitale è presente un servizio di richeau, motocarrozzette e altri mezzi a motore e non, che svolge attività di noleggio con conducente (NCC);
   tale servizio, che doveva essere un modo per recuperare ex detenuti, si sta rivelando una fonte di «economia sommersa»: inizialmente l'attività era stata concepita come un servizio gratuito e affidabile per i turisti, oggi invece, dopo una fase iniziale di sperimentazione, è diventato un servizio a pagamento senza l'emissione della relativa ricevuta fiscale;
   i richeau inizialmente si contavano sulle dita di una mano; oggi, invece, i velocipedi che attraversano il centro della Capitale si sono moltiplicati esponenzialmente, parimenti alle tariffe applicate; senza alcun tipo di regolamentazione dell'attività, le tariffe sono state oggetto di continui e costanti rialzi, decisi ad libitum dagli erogatori del servizio;
   i conducenti dei richeau o degli altri velocipedi non sono più ex detenuti, ma molto spesso stranieri, pagati pochissimo, la maggior parte dei quali senza ferie, contributi, privi di un quadro normativo che possa tutelare la loro posizione lavorativa, ma soprattutto privi di una copertura assicurativa che tuteli loro stessi, i mezzi ed i clienti da eventuali sinistri;
   tali soggetti non possono essere in possesso di alcuna autorizzazione NCC, licenza taxi, ovvero di qualsivoglia titolo abilitativo per l'esercizio di attività di trasporto pubblico persone non di linea, in quanto la «Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea» (legge 15 gennaio 1992, n. 21, modificata dal decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge del 27 febbraio 2009, n. 14) non disciplina il servizio richeau tra gli autoservizi pubblici non di linea;
   la citata legge quadro, all'articolo 1, comma 2, delimita il servizio pubblico non di linea solamente al servizio taxi con autovettura, motocarrozzetta, natante e veicoli a trazione animale e il servizio di noleggio con conducente ad autovettura, motocarrozzetta, natante e veicoli a trazione animale;
   la stessa norma prevede che l'esercizio del servizio taxi o di piazza sia subordinato al rilascio di una specifica licenza da parte della competente amministrazione comunale (articolo 8), in favore di soggetti che siano inseriti in un apposito ruolo tenuto dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, i quali abbiano comprovato il possesso di requisiti psicofisici e morali (articolo 6);
   sulla base di quanto esposto, ai conducenti dei velocipedi dovrebbero irrogarsi le sanzioni amministrative previste dall'articolo 86 del codice della strada (di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992) per l'esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio di piazza, in quanto soggetti che svolgono un'attività senza una necessaria autorizzazione amministrativa preventiva, attraverso l'uso di un veicolo che la legislazione di settore non ritiene idoneo all'espletamento della stessa;
   la Polizia di Roma Capitale starebbe svolgendo una serie di controlli e irrogando sanzioni amministrative pecuniarie soltanto in applicazione dell'articolo 85 del codice della strada, che sanziona l'esercizio abusivo del servizio di noleggio con conducente, ma non riconduce la fattispecie suddetta alla violazione dell'articolo 86 del codice della strada, che disciplina l'esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio di piazza;
   nel caso in esame, i soggetti che esercitano abusivamente l'attività di trasporto pubblico di persone con richeau operano in modo analogo ai taxi: infatti, essi sostano su pubblica piazza, non operano sulla base di previe prenotazioni, provvedono a servizi di trasporto individuale o di piccoli gruppi di persone ed effettuano corse limitate al territorio comunale. Pertanto, non si comprende perché questa attività non sia sussumibile nella fattispecie descritta dall'articolo 86 del codice della strada;
   il servizio taxi o NCC garantisce l'incolumità e la tutela dei passeggeri attraverso la stipula obbligatoria di una RC auto: infatti, il codice della strada prescrive che per i veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi, circolanti o sostanti su strade pubbliche, venga sottoscritta una copertura assicurativa (la RC, appunto) atta a risarcire eventuali danni provocati a terzi o cose. Il conducente non è coperto dalla RCA, mentre lo sono i passeggeri trasportati; inoltre l'assicurazione copre il veicolo anche se in sosta o senza guidatore. Questa forma di tutela chiaramente non è estesa ai clienti di operatori che svolgono abusivamente un servizio di trasporto di persone attraverso velocipedi –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative normative per regolamentare un'attività che di fatto viene svolta in molti centri storici d'Italia, attraverso la previsione di un'autorizzazione amministrativa che permetta il rispetto di standard qualitativi del servizio uniformi sul territorio italiano;
   se non ritenga necessario, all'interno della regolamentazione di tale attività, prevedere l'obbligatorietà di una polizza assicurativa che tuteli in particolar modo i passeggeri da eventuali sinistri;
   se non ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa con la quale si chiarisca che l'esercizio abusivo di tale attività non comporta solo l'applicazione di sanzioni per violazione dell'articolo 85 del codice della strada, ma anche per violazione dell'articolo 86 del medesimo codice, che sanziona l'esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio di piazza.
(4-09664)


   GREGORI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   numerosi pendolari si sono rivolti all'interrogante al fine di denunciare l'impatto nefasto sulle loro condizioni di vita causato da una recente novità introdotta da Trenitalia nelle condizioni di viaggio degli abbonati alle tratte ad Alta velocità;
   dal prossimo 1o luglio Trenitalia non consentirà più agli abbonati di viaggiare senza prenotazione sui treni ad alta velocità; diventa così obbligatoria la preventiva prenotazione del posto sul treno scelto ed ogni abbonato potrà effettuarne due al giorno, una per l'andata e una per il ritorno;
   viene altresì stabilito, per ogni corsa, un numero limitato di prenotazioni per gli abbonati. Si tratta di un meccanismo che presenta due profili di criticità a giudizio dell'interrogante;
   il primo riguarda i disagi causati ai pendolari: nelle ore a maggior traffico passeggeri il rischio è quello di un congestionamento delle prenotazioni dei pendolari abbonati, molti dei quali rischiano di non trovare posto all'interno dei treni che utilizzano quotidianamente, pur avendo pagato l'abbonamento;
   va infatti ricordato al Ministro interrogato che gli abbinati, che spendono annualmente dai 405 ai 440 euro, rappresentano una clientela vitale e stabile per Trenitalia. Le nuove disposizioni sono, dunque, dannose a livello economico non solo per gli abbonati, ma anche per l'azienda stessa;
   soluzioni con maggiore flessibilità potrebbero garantire ugualmente economicità e sicurezza del servizio, anche attraverso l'adattamento della carrozza esecutive che spesso risulta viaggiare sostanzialmente vuota, che fornisce un servizio poco richiesto ed antieconomico per lo stesso gestore;
   in mancanza di una effettiva alternativa molti pendolari sarebbero costretti a lasciare il posto di lavoro –:
   se il Ministro interrogato intenda acquisire tutti gli elementi necessari volti alla formazione di un orientamento in materia, anche ai fini di chiedere a Trenitalia, per quanto di rispettiva competenza, che tale disposizione sugli abbonati venga revocata o comunque si proceda ad individuare soluzioni alternative, non lesive dei diritti del passeggero abbonato. (4-09676)


   SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema di accesso e sosta mezzi all'interno del sedime aeroportuale di Tessera (Venezia) è stato sottoposto ad una nuova disciplina con la recente adozione da parte della Save s.p.a., società concessionaria per la gestione dell'aeroporto «Marco Polo» di Venezia, di un regolamento per l'accesso e la sosta dei veicoli NCC (noleggio con conducente), taxi e shuttle valido sulle aree appartenenti al sedime aeroportuale affidato a Save in regime di concessione da ENAC;
   in particolare, è intervenuta da parte del concessionario aeroportuale Save l'imposizione del pagamento di un pedaggio per l'accesso delle autovetture, sia all'area partenza che a quella degli arrivi, per il carico e lo scarico dei passeggeri trasportati;
   l'introduzione di tale pedaggio, che scatta a seguito del terzo passaggio della stessa autovettura nell'area del sedime aeroportuale, colpisce in particolar modo gli operatori professionali, i quali, trasportando i rispettivi clienti e compiendo di conseguenza, più passaggi giornalieri, sono costretti a pagare somme non indifferenti per poter svolgere la loro attività professionale;
   difatti, l'imposizione di un pedaggio, dopo il terzo passaggio giornaliero, rappresenta, per le strutture che offrono il trasporto di cortesia ai propri clienti, una spesa rilevante per il fatturato aziendale, dal momento che il trasporto di cortesia – il cosiddetto shuttle — è per legge gratuito;
   per quanto di conoscenza, la previsione di una sorta di «tassa di ingresso» a carico delle autovetture, per il semplice accesso alle aree di partenza e di arrivo per il carico e scarico dei passeggeri, senza la fruizione dei servizi offerti all'interno dello scalo, non trova simili esempi negli altri scali aeroportuali europei ed internazionali, ad eccezione di quello di Tessera, ma risulta bensì agli interroganti che sia dovere del concessionario aeroportuale prevedere e delimitare le corsie in cui possa avvenire l'operazione di scarico dei viaggiatori;
   alla imposizione di un pedaggio per i servizi di trasporto di cortesia, si aggiunge all'aeroporto «Marco Polo» anche l'introduzione, non autorizzata da Enac, di apposite sbarre di altezza atte a bloccare il passaggio sulle corsie di accesso alle aree partenze e arrivi dei veicoli commerciali adibiti a navette, che superano il livello dimensionale delle semplici autovetture per assumere quello dei veicoli immatricolati M2;
   per quanto attiene ai profili di competenza istituzionale, appare altresì di dubbia legittimità, ad avviso degli interroganti, l'adozione diretta da parte del concessionario dell'aeroporto, di specifiche disposizioni in materia di utilizzazione dello scalo, vincolanti nei confronti di tutti coloro che frequentano l'aeroporto, potere operativo che dovrebbe al contrario essere esercitato dalla direzione aeroportuale competente di ENAC –:
   se non si ravvisi profili di contrasto con la normativa vigente inerenti il regolamento aeroportuale di cui in premessa, emanato dalla concessionaria Save s.p.a., nella parte relativa all'introduzione dell'onere del pagamento di un pedaggio per gli operatori che svolgono per professione l'attività di trasporto viaggiatori su strada con autovetture, nonché all'introduzione di sbarre di altezza non autorizzate per bloccare il passaggio di accesso agli operatori professionali, e se non ritenga opportuno sospendere, con l'urgenza richiesta dal caso, l'efficacia operativa ed economica del suddetto regolamento, a tutela del rispetto dei diritti di tutti i fruitori aeroportuali. (4-09681)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 12 settembre 2014 n. 133, all'articolo 17, sono state introdotte modifiche puntuali al Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (di seguito decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001);
   in seguito all'approvazione di una proposta emendativa – sottoscritta dai deputati Mannino, Busto, Daga, Micillo, Segoni, Terzoni, Zolezzi e Vignaroli – è stata inserita la lettera q-bis all'articolo 17 comma 1 del decreto-legge n. 133/2014 contenente delle modifiche all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001 rubricato «Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali»;
   con l'articolo 17, comma 1 lettera q-bis), è stato inserito, nell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, il comma 4-bis con lo scopo di prevedere un'ulteriore misura sanzionatoria nei confronti dei responsabili di abusi edilizi, consistente nell'irrogazione di una sanzione pecuniaria amministrativa da 2.000 euro a 20.000 euro, nel caso in cui il responsabile dell'abuso non ottemperi all'ordine di demolizione precedentemente ingiunto dall'amministrazione comunale;
   in base al nuovo comma 4-bis dell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, la sanzione è dovuta nella misura massima di 20.000 euro in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui all'articolo 27, comma 2, e in ogni caso se gli interventi interessano aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, ed è stato, altresì, stabilito che la mancata o tardiva adozione del provvedimento sanzionatorio da luogo all'apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del dirigente o del funzionario inadempiente;
   in base al nuovo comma 4-quater dell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – inserito con la citata disposizione contenuta nel decreto-legge n. 133 del 2014 – le regioni hanno la facoltà di aumentare l'importo delle sanzioni amministrative previste dal citato comma 4-bis, e di stabilire che le stesse sanzioni siano periodicamente reiterabili qualora permanga l'inottemperanza all'ordine di demolizione;
   la novella legislativa si innesta all'interno di un quadro normativo definito dalle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 dalla normativa regionale in materia urbanistico-edilizia, e incide – per quel che concerne i profili di responsabilità dei dirigenti ovvero dei funzionari in servizio presso le amministrazioni competenti – sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e in particolare delle amministrazioni locali;
   per effetto delle modifiche introdotte, la mancata ottemperanza all'ordine di demolizione dell'abuso e di ripristino dello stato dei luoghi, una volta accertata, continua a costituire titolo per l'immissione in possesso dell'area in questione e, nei casi previsti, comporta, contestualmente, l'irrogazione di una sanzione pecuniaria che, in base ad apposita normativa regionale, potrà essere reiterata periodicamente in caso di mancata demolizione dell'immobile abusivo;
   le modifiche alla normativa vigente, apportate in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 133 del 2014, possono costituire una leva decisiva sia per contrastare la diffusione del fenomeno dell'abusivismo che continua a distruggere il territorio italiano, sia per sanzionare, più duramente, i responsabili di abusi edilizi che non vengono demoliti nonostante l'emissione, da parte delle amministrazioni competenti, delle ordinanze di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi;
   in riscontro all'interrogazione avente ad oggetto «Applicazione della normativa in materia di contrasto all'abusivismo edilizio (articolo 31 comma 4-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001)», presentata dal consigliere comunale di Milano Marco Cappato, l'assessore competente ha precisato che rispetto alle 4 ingiunzioni di demolizione notificate nel periodo compreso dall'11 novembre 2014 al 7 maggio 2015, la sanzione pecuniaria, quantificata in tutti e 4 i casi nella misura di 4.000 euro, è stata determinata applicando quanto previsto dall'articolo 16 della legge n. 689 del 1981;
   il citato articolo 16 della legge n. 689 del 1981, rubricato «Pagamento in misura ridotta», disciplina la modalità di calcolo delle somme dovute nel caso in cui il trasgressore provveda a pagare la sanzione prevista, entro 60 giorni dalla contestazione immediata o dalla notificazione degli estremi della violazione;
   a giudizio degli interroganti, il ricorso al meccanismo utilizzato per determinare l'importo delle sanzioni nel caso vengano pagate entro il termine di 60 dalla contestazione immediata ovvero dalla notificazione della violazione, è incongruo rispetto alle finalità di una norma che intende inasprire le sanzioni a carico dei soggetti che realizzano abusi edilizi e si sottraggono all'ordine di demolizione e rimessione in pristino ingiunto loro dall'amministrazione, e ne riduce l'efficacia;
   in riscontro alla medesima interrogazione, l'assessore ha risposto al quesito relativo all'applicabilità delle sanzioni previste dall'articolo 31, comma 4-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 anche rispetto a interventi edilizi per i quali l'ordine di demolizione è stato irrogato prima dell'entrata in vigore della legge n. 164 del 2014, scrivendo che «Ai fini dell'applicazione della sanzione occorre che il fatto contestato avvenga in vigenza della normativa sanzionatoria richiamata, nello specifico l'accertamento dell'inottemperanza dell'ingiunzione a demolire»;
   a giudizio degli interpellanti, è necessario – al fine di rendere pienamente efficace la norma – fornire chiarimenti sull'applicazione dell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, come da ultimo modificato con la legge n. 164 del 2014, e in particolare sul metodo per la determinazione dell'importo della sanzione prevista;
   con la medesima finalità, gli interpellanti ritengono necessario precisare che la sanzione pecuniaria debba essere applicata anche nei confronti dei responsabili di abusi edilizi per i quali l'ordine di demolizione è stato irrogato prima dell'entrata in vigore della legge n. 164 del 2014, in tutti i casi nei quali le amministrazioni - successivamente all'entrata in vigore della citata legge n. 164 del 2014 - constatano che il medesimo ordine non è stato ancora eseguito, anche quando l'esecuzione del provvedimento è stata inizialmente sospesa per effetto di un'impugnazione, con eventuale accoglimento della richiesta di sospensiva, e successivamente respinta dal collegio giudicante adito –:
   se intendano assumere iniziative affinché vengano precisate le modalità applicative della nuova normativa vigente e i criteri per la determinazione della sanzione pecuniaria di cui all'articolo 31, comma 4-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 valutando altresì la possibilità di monitorare l'applicazione della citata normativa.
(2-01023) «Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Terzoni, Zolezzi».

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il mondo di internet è universalmente riconosciuto come mezzo di comunicazione, i social network, siti web in cui è possibile fare nuove conoscenze, diventano sempre più un fenomeno di massa. La gente in internet s'incontra, si conosce e chatta senza chiedersi, non solo con chi si sta interfacciando, ma chi c’è dietro alla maschera di ricerca dei siti che, sempre più, rassomigliano a dei Google per ricercare persone;
   milioni di utenti registrano il loro profilo, creano la loro pagina personale e diffondono le proprie foto in rete per farsi pubblicità, condividere hobby e passioni con altri, fare nuovi incontri;
   dietro questi milioni di persone si nascondono anche i cosiddetti faker, individui che creano dei falsi profili con foto di attori e modelli presi dalla rete. Il fenomeno dei falsi profili, anche detti smurf, multiaccount, second e Sockenpuppe, è generato dalla tendenza da parte degli utenti a nascondersi dietro false identità;
   da tempo si parla della pericolosità della rete Internet dove lo spazio virtuale diventa il luogo delle verità inconfessabili, del disagio sociale, delle sconfitte scolastiche, degli amori clandestini, delle sfide, degli appuntamenti fino a diventare lo spazio di una esistenza parallela che fa perdere i legami con la realtà e che autorizza comportamenti che mai nella quotidianità e nella pienezza dell'identità verrebbero tenuti;
   la polizia postale ha scoperto moltissimi casi di frode, ha già chiuso siti Internet e sequestrato filmati e materiale discutibile, tuttavia niente impedisce a chi vuole fare del male, rincorrere facili guadagni o a chi intende dar sfogo a frustrazioni (individui o organizzazioni malavitose) di presentarsi in rete con una identità diversa oppure da un altro Paese;
   sono in continuo aumento i fenomeni degli adescamenti sui social network da parte di organizzazioni criminali, che attraverso falsi profili mettono a repentaglio la vita privata e pubblica con ricatti e minacce. Si impone una forte campagna di sensibilizzazione e di informazione da parte delle Istituzioni ed in particolare a tutela dei minori che sono sempre più a rischio tra le trappole della rete;
   il problema delle truffe, dell'uso distorto dei social network e delle pressioni psicologiche nel web sono continui e la cronaca non smette di ricordarcelo con suicidi e mobbing riferibili alla forza di persuasione;
   la legislazione in materia è tutta da costruire e in divenire perché il mondo virtuale subisce cambiamenti continui e i reati che si commettono in rete spesso vengono assoggettati a legislazione straniera visto che i domini vengono acquistati all'estero –:
   se i Ministri interrogati non ritengano utile assumere iniziative normative dirette ad un inasprimento delle pene per chi commette reati nel web;
   se non reputano necessario rafforzare la collaborazione con le autorità straniere al fine di scambiare informazioni e buone pratiche nella repressione dei comportamenti di coloro che utilizzano in modo illegale la rete;
   se non ritengano opportuno promuovere una campagna di educazione e formazione per un uso costruttivo e responsabile della rete e dei social network. (3-01592)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, prevede che il lavoratore cui siano stati riconosciuti i benefici di legge «ha diritto di scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo assenso»;
   apparentemente, fino al dicembre 2013, il Ministero dell'interno aveva sempre trasferito i dipendenti che lo avessero chiesto sulla base della predetta legge n. 104 del 1992;
   a quanto risulta, nel 2014 e nel 2015 nessun dipendente è stato trasferito sulla base della legge n. 104 del 1992;
   al momento, sarebbero interessati all'applicazione nei loro confronti dei benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992 circa 70 dipendenti dell'amministrazione dell'interno su tutto il territorio nazionale, a fronte dei 19 mila in servizio, forze di polizia escluse;
   dei 70 in stato di bisogno, circa 40, elencati dall'ufficio del personale di Roma, fronteggiano patologie particolarmente gravi;
   il dirigente responsabile della direzione centrale per le risorse umane a Roma risulta aver più volte fatto aggiornare l'elenco dei dipendenti «più gravi» al fine di agevolarne il trasferimento presso le sedi richieste;
   ciò nonostante, non risulta ad oggi che sia stato firmato alcun decreto di trasferimento –:
   per quali ragioni l'amministrazione dell'interno neghi ai propri dipendenti l'applicazione dei benefìci previsti dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104. (4-09653)


   QUARANTA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi la cronaca ha più volte evidenziato casi di aggressioni che si sono verificate su vari treni in più regioni e che hanno visto coinvolto il personale dedicato al controllo dei biglietti;
   oltre al caso eclatante di Milano, in cui il capotreno è stato aggredito con un machete ed è stato gravemente ferito, sono moltissimi i casi in cui il personale ferroviario subisce minacce e aggressioni verbali;
   Ferrovie dello Stato e i sindacati hanno stilato una lista di 15 treni, in 7 regioni diverse, particolarmente pericolosi su cui chiedono sia garantita la presenza di personale della Polfer;
   il Ministero dell'interno ha garantito che questi convogli saranno scortati dalla Polfer, e un secondo sciopero, previsto a cavallo tra l'11 e il 12 luglio è stato sospeso dai sindacati a fronte delle rassicurazioni ricevute;
   in Liguria la Filt CGIL in un documento con cui proclamava sciopero per il 7 di giugno ha denunciato la situazione in regione, ricordando l'aggressione a un capotreno a Diano Marina che è stato ricoverato con una prognosi di sette giorni;
   i sindacati liguri hanno inoltre evidenziato che Trenitalia ha rifiutato il confronto con i lavoratori non affrontando adeguatamente il tema della sicurezza che porta una minore qualità del servizio oltre che una situazione di disagio per chi lavora;
   un'inchiesta de Il Secolo XIX ha inoltre evidenziato, attraverso interviste a passeggeri e personale, come alcuni dei treni indicati «pericolosi» siano in realtà piuttosto tranquilli e che i principali problemi di sicurezza si individuano sui treni che viaggiano in orari notturni. Intervistati da Il secolo XIX vari capotreno in servizio sui treni «pericolosi» hanno dichiarato che la soluzione più semplice sarebbe aumentare il personale, com'era fino a pochi anni fa, con almeno un controllore e un capotreno per ogni convoglio –:
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per garantire non solo la sicurezza del personale delle ferrovie ma anche un servizio di qualità e sicuro per tutti;
   se abbiano a disposizione una mappatura delle situazioni di disagio e criminalità, non solo sui treni ma anche nelle stazioni, o se intendano dotarsi di tale strumento per avere un quadro preciso ed evidente della situazione. (4-09656)


   GREGORI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di una nota della Sezione ANPI di Anzio e Nettuno e di articoli pubblicati da alcuni quotidiani, l'interrogante ha appreso che alle celebrazioni istituzionali per la Festa della Repubblica Italiana che si sono svolte nei comuni di Anzio e Nettuno lo scorso 2 giugno 2015, sono intervenute alcune persone con 4 labari e 2 bandiere con i vessilli della famigerata Xa Flottiglia MAS, corpo militare della Repubblica Sociale Italiana (RSI);
   a quanto risulta, al comune di Anzio non era stata inviata nessuna richiesta di partecipazione alle rappresentanze della suddetta formazione militare, invito a loro diretto invece dal comune di Nettuno;
   i rappresentanti dell'ANPI di Anzio e Nettuno, regolarmente invitati dalle due istituzioni comunali, dopo aver chiesto senza esito spiegazioni e l'allontanamento della rappresentanza della così detta X-MAS, hanno deciso di abbandonare cerimonie e cortei, ritenendo inammissibile la partecipazione dei vessilli della X-MAS, corpo militare che si è macchiato di crimini di guerra anche contro la popolazione civile;
   la partecipazione di corpi a carattere para-fascista durante pubbliche manifestazioni costituisce una palese violazione dei principi costituzionali della Repubblica italiana –:
   se il Ministro interrogato intenda attivarsi per quanto di sua competenza, per accertare i fatti citati ed impedire che si ripetano nuovamente, consentendo così di ristabilire verità storica ed onorabilità, anche in relazione alla memoria della Repubblica italiana e dei due comuni di Anzio e Nettuno, Medaglie d'Oro al merito civile, ed alla loro cittadinanza. (4-09669)


   LOMBARDI, BARONI, DAGA, DI BATTISTA, D'UVA, RUOCCO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da qualche mese la direzione distrettuale antimafia di Roma ha aperto l'indagine «Mondo di mezzo» che ha scoperchiato una vasta e potente rete criminale con base romana; numerosi sono stati gli arrestati, tra i quali figura Luca Odevaine;
   Odevaine è stato vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e poi capo della Protezione civile e della polizia provinciale con Nicola Zingaretti e membro del Coordinamento nazionale sull'accoglienza per i richiedenti asilo del ministero dell'interno, fino al suo arresto;
   ne «Il Fatto Quotidiano» del 28 giugno 2016 si legge «L'accusa di corruzione: Odevaine è accusato di corruzione aggravata per i suoi rapporti con le cooperative sociali del gruppo guidato da Salvatore Buzzi ritenute nell'orbita di Mafia Capitale. Sarebbe stato stabilmente retribuito per favorirne l'accesso a commesse pubbliche (...). Alla perquisizione, il giorno dell'arresto per Mafia Capitale, nella casa di via Marco Aurelio, al Celio. Spuntano due passaporti validi: uno rilasciato il 10 ottobre 2006 a Luca Odovaine, l'altro il 12 maggio 2011 a Luca Odevaine. E c’è un "decreto per mutato cognome". Solo che il passaporto del 2006 come Odovaine ha l'ultimo visto il 9 ottobre 2013, in Venezuela. E quello del 2011 come Odevaine ce l'ha del 18 aprile 2014, sempre in Venezuela. Usati entrambi, con cognomi diversi, per oltre due anni. Una vita, molte vite: quali amici a garantirle ?»;
   già con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-08513 era stato posto il problema della molteplicità di cognomi – ne sono stati contati fino a cinque – dell'indagato Luca Odevaine;
   esisterebbero pertanto due passaporti validi di cui sarebbe titolare l'Odevaine; quindi esistono due documenti per l'espatrio forniti alla stessa persona, senza che le autorità di polizia ne abbiano avuto contezza;
   quanto alla ambasciata italiana a Caracas, si rileva un visto sul passaporto nel 2013 e sei mesi dopo nel 2014 un altro; ma il primo visto è rilasciato a Odevaine e il secondo a Odevaine, dal che si deduce che fino a quasi al momento degli arresti dell'Odevaine costui aveva disponibilità e impiego di una doppia identità tramite documenti –:
   se la notizia riportata da «Il Fatto Quotidiano» trovi conferma;
   se la notizia ivi riportata è veritiera, quanti siano i passaporti plurimi intestati a Odevaine Luca, Odovaine Luca e a altri cognomi geminabili;
   se la notizia riportata è veritiera, quali sono state le circostanze che non hanno consentito alle autorità preposte di non avvedersi dell'illegalità del doppio passaporto, in particolare per l'autorità consolare italiana a Caracas che non tratta certo ogni anno migliaia e migliaia di visti apposti sui passaporti;
   se uno dei due o tutti e due i passaporti in questione fossero passaporti di servizio. (4-09670)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distributore di benzina Ri.Al.Ga. Petroli sas di Rita Coppola e c. sito in Corso Umberto chilometro 12,940 di Caivano in provincia di Napoli è stato negli ultimi due mesi oggetto di ben 4 furti con scasso avvenuti nelle notti tra il 23 e il 24 maggio, il 3 e il 4 giugno, il 12 e il 13 giugno, il 24 e il 25 giugno;
   in totale il gestore Alberico Caccia avrebbe riportato oltre 25.000 euro di danni tra refurtiva e spese per il ripristino delle serrande forzate e delle vetrine sfondate a colpi di mazza;
   i furti riguarderebbero ingenti quantitativi di tabacchi, gratta e vinci e i contanti lasciati dai proprietari all'interno dell'esercizio commerciale;
   in seguito all'ultimo furto, il titolare sopraffatto dallo sconforto starebbe valutando seriamente di chiudere l'attività;
   quanto esposto, è evidentemente molto grave e richiederebbe una più adeguata presenza delle forze dell'ordine su un territorio, quale quello di Caivano, sempre più degradato a causa dell'intensificarsi del traffico di droga e di episodi quali quello denunciato nella presente interrogazione;
   è evidente come l'indispensabile presenza delle forze dell'ordine non possa prescindere da un adeguato stanziamento di uomini, risorse e mezzi, che attualmente il Governo centrale non garantisce in misura necessaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione che si sta creando in provincia di Napoli e in particolare nella zona di Caivano e quale sia la sua opinione in merito;
   quali provvedimenti intenda assumere il Governo, in particolare stanziando le adeguate risorse per la problematica descritta in premessa;
   se il Ministro non intenda doversi attivare affinché vengano attivate particolari forme di sorveglianza nei confronti degli esercizi commerciali presi di mira dai delinquenti così come nel caso descritto in premessa. (4-09677)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 giugno 2015, il questore di Ragusa ha vietato la manifestazione della Confcommercio di Vittoria, indetta dall'associazione di categoria per protestare contro la chiusura del mercato settimanale ad opera del sindaco del comune ragusano;
   il divieto del questore di Ragusa fa seguito ad un'ordinanza sindacale, la n. 46 del 2015, attraverso la quale si stabilisce la chiusura straordinaria del mercato settimanale degli ambulanti a causa di un'operazione di pulizia straordinaria dei luoghi interessati al mercato;
   da una parte, il sindaco lamenta comportamenti poco civili da parte degli ambulanti e dei clienti del mercato in ordine al decoro ed alla pulizia dei luoghi destinati al mercato, mentre dall'altra, la Confcommercio lamenta una mancanza di controlli da parte dell'amministrazione nei riguardi di coloro che «insudicerebbero» i luoghi destinati al mercato;
   a giudizio dell'interrogante, l'azione amministrativa del sindaco di Vittoria ed il conseguente divieto del questore di Ragusa sono viziati dalla polemica politica e dalla partigianeria piuttosto che dalla buona amministrazione;
   innanzitutto, secondo l'interrogante è gravissimo che sia stato leso il diritto costituzionale a manifestare il proprio dissenso in maniera così superficiale e frettolosa. Bastava spostare il luogo della manifestazione/sit-in;
   in secondo luogo, l'opera di pulizia dei luoghi dove ha sede il mercato settimanale, come di tutti i luoghi pubblici della città di Vittoria, dovrebbe avere carattere di ordinarietà e non di eccezionalità e, caso strano, per la durata di ben 5 giorni come se si dovesse ripulire l'intera città;
   in terzo luogo, il Corpo della polizia municipale avrebbe dovuto essere incaricato di effettuare i controlli e di irrogare le dovute sanzioni a tutti coloro che sporcano ed insudiciano la città di Vittoria; 
   la verità, a giudizio dell'interrogante, sta nelle parole del comunicato stampa che il sindaco Giuseppe Nicosia ha trasmesso all'indomani dell'ordinanza n. 46 in merito alla persona del rappresentante di categoria degli ambulanti di Vittoria, qualificato come «presentatore di una lista di opposizione di destra»;
   oltre agli aspetti di opportunità politica, a giudizio dell'interrogante, vi sarebbero degli aspetti di natura giuridica omessi, appunto, dal sindaco e che hanno indotto in errore il questore di Ragusa;
   anche l'eccessivo uso del potere di ordinanza da parte del sindaco di Vittoria dovrebbe essere soggetto di analisi e di giudizio. Appare all'interrogante eccessivo che per ripulire un piazzale destinato ad un mercatino settimanale occorrono un'ordinanza e 5 giorni di tempo per l'attività degli operatori ecologici –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa e quali valutazioni abbiano portato il questore di Ragusa a vietare la manifestazione della Confcommercio di Vittoria. (4-09680)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI GALLO, PETRAROLI e SIBILIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto stabilito dal decreto del direttore generale del 13 luglio 2011, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indetto un «Concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi»; a tal riguardo, sono stati messi a concorso un numero complessivo di 2.386 posti in tutta Italia, ripartiti nelle varie regioni secondo i valori riportati nell'allegato n. 1 del succitato decreto base a tali dati, n. 224 posti sarebbero stati riservati alla regione Campania;
   in applicazione dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2008, n. 140, la procedura concorsuale è stata svolta a livello regionale, riservando all'ufficio scolastico regionale il compito di curare quasi tutte le fasi della stessa, dalla nomina delle commissioni giudicatrici fino allo svolgimento dell'attività di formazione e tirocinio in collaborazione con l'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica;
   secondo quanto previsto dall'articolo 9 del bando di concorso, l’iter amministrativo ha previsto una preselezione, unitamente all'articolazione del concorso in due prove scritte, una orale e nella valutazione dei titoli;
   in Campania, la prova preselettiva, tenutasi il 5 ottobre 2011, ha condotto al superamento e alla selezione di 1484 partecipanti; tuttavia, hanno preso parte alle successive prove scritte, tenutesi nei giorni 14 e 15 dicembre 2011, ulteriori 400 partecipanti circa, ammessi con riserva, perché non avevano superato la prova preselettiva; la partecipazione di questi ultimi è stata consentita dal tribunale amministrativo regionale della Campania che, con ordinanza n. 06350/2011, in data 13 dicembre 2011 ha accolto la richiesta cautelare dei concorrenti;
   come si apprende dall'elenco dei candidati ammessi a sostenere le prove orali del concorso pubblicato sul sito hubmiur.pubblica.istruzione.it, la pubblicazione di tale elenco, in Campania, è avvenuta in data 30 ottobre 2012, mentre in molte altre regioni italiane erano già state pubblicate le graduatorie di merito;
   come si apprende dal documento «Napoli, Concorso Dirigenti scolastici: dal febbraio 2014 il MIUR deve ancora pubblicare la graduatoria; è una vergogna infinita che tradisce le aspettative di molti giovani», pubblicato sul sito www.ecodicaserta.it in data 8 novembre 2014, le prove orali, iniziate il 7 gennaio 2013, sono state sospese ad un mese di distanza per una nuova ordinanza cautelare del TAR Campania che ha accolto i ricorsi dei partecipanti bocciati alle prove scritte (in taluni casi si trattava di partecipanti già precedentemente bocciati alla prova preselettiva) e, sebbene nel luglio 2013 siano stati rigettati tutti i ricorsi, le prove orali sono riprese solo in data 3 ottobre 2013 e si sono concluse in data 18 febbraio 2014 a causa di una «abnorme calendarizzazione dilatata dei tempi della procedura»;
   dalla data del termine delle prove orali, i partecipanti al concorso hanno dovuto attendere altri 10 mesi per vedere pubblicata la graduatoria dei vincitori e degli idonei al concorso, avvenuta in data 18 dicembre 2014, unitamente all'annuncio che, oltretutto, non sarebbero stati assunti i 101 neo-dirigenti autorizzati dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 26 agosto 2014 per l'a.s. 2014/2015 e che le assunzioni sarebbero state rinviate al 1o settembre 2015 (come si evince dall'articolo «Reclutamento Dirigenti delle scuole – Informativa al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 29 dicembre e la situazione in Campania», pubblicato online sul sito anpcampania.it), ad avviso degli interroganti in contrasto con quanto disposto dall'articolo 17 della legge 8 novembre 2013, n. 128, secondo cui le graduatorie di merito sono trasformate in graduatorie ad esaurimento; nello specifico, «la validità di tali graduatorie permane fino all'assunzione di tutti i vincitori e degli idonei in esse inseriti, che deve avvenire prima dell'indizione del nuovo corso-concorso di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come da ultimo sostituito dal comma 1 del presente articolo»;
   le disposizioni sopra descritte non sembrerebbero essere state rispettate dal momento che nessuno dei 101 candidati della regione Campania autorizzati dal Ministero dell'economia e delle finanze risulta essere assunto, mentre il decreto del 7 luglio 2014, n. 58, prevede un nuovo corso nazionale per il reclutamento dei dirigenti scolastici, comportando il rischio che si profili una sorta di «precariato», eludendo l'assunzione prioritaria di tutti i vincitori e degli idonei prevista dal succitato articolo;
   dall'analisi dei documenti online già menzionati in precedenza e dell'appello a cura della professoressa Francesca Di Liberti, una dei tanti vincitori del concorso in attesa di risposte positive dalle istituzioni, si evince, in nuce, l'impari condicio dei vincitori e idonei campani rispetto agli omologhi delle altre regioni italiane: per i primi, infatti, l'assegnazione degli incarichi slitterebbe di tre anni malgrado la legge 8 novembre 2013, n. 128, preveda che i dirigenti delle pubbliche amministrazioni siano assunti in qualsiasi momento dell'anno;
   in aggiunta a tale situazione risulta doveroso ricordare che solo 101 dei 224 posti messi a concorso per la regione Campania sono stati autorizzati da Ministero dell'economia e delle finanze, mentre nella quasi totalità delle restanti regioni italiane il numero di dirigenti assunti ha rispettato o addirittura superato il numero di posti messi a concorso (Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria e Veneto); oltracciò, le regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, attraverso il DDG Lombardia prot. AOODRLO R.U. 10828 del 29 agosto 2012 e il DDG Emilia Romagna n. 571 prot. 11649 del 31 agosto 2012 rispettivamente, hanno coperto alcuni posti rimasti vacanti attingendo alla graduatoria del concorso della provincia di Trento, attraverso il ricorso esclusivo ad atti amministrativi e non a norme di legge, che non sembrano, pertanto, ostacolare tale tipo di procedimenti;
   in base a quanto previsto dall'articolo 24-quinquies della legge 28 febbraio 2008, n. 31, concernente disposizioni in materia di dirigenti scolastici, infatti, «gli aspiranti utilmente inclusi nelle rispettive graduatorie, che non conseguono la nomina per carenza di posti nel settore formativo cui si riferisce la nomina stessa, possono chiedere di essere nominati, nell'ambito della medesima tipologia concorsuale cui hanno partecipato, a posti rimasti eventualmente vacanti e disponibili in un diverso settore formativo, previo inserimento alla fine della relativa graduatoria. La possibilità di nomina, previo inserimento alla fine della relativa graduatoria, in ordine di punteggio degli idonei afferenti al primo e al secondo settore formativo, è ammessa anche per la copertura di posti rimasti eventualmente vacanti e disponibili in altra regione»;
   infine, il fondo «la buona scuola», che sarebbe stato istituito al fine di dotare il nostro Paese di un sistema d'istruzione basato sull'autonomia scolastica e finalizzato prioritariamente alla realizzazione di un piano straordinario di assunzioni, prevede che i docenti siano disponibili e flessibili, in modo da rispondere alle esigenze geografiche della scuola italiana, introducendo la possibilità che siano assunti in una provincia diversa della stessa regione o anche in una regione diversa da quella di appartenenza; con riferimento all'appello summenzionato, i docenti campani chiedono a gran voce che tali disposizioni vengano rese legittime anche per i dirigenti scolastici, evitando di favorire gli interessi di chi, secondo le parole della professoressa Di Liberti, «intasca fior fior di quattrini per la formazione di nuove leve» e favorendo, invece, la legittimazione di uno Stato che ottimizza le risorse umane su criteri di economicità e meritocrazia –:
   se e con quali modalità il Ministro interrogato intenda intervenire in merito alla situazione stagnante in cui riversano i docenti campani vincitori del concorso di cui in premessa e se non ritenga doveroso una iniziativa volta all'estensione dell'istituto dell'interregionalità anche ai dirigenti scolastici, evitando così lo spreco di risorse umane già formate e, quindi, perfezionando le assunzioni di coloro per i quali si è già investito a livello formativo.
(4-09659)


   LUIGI GALLO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, riunitosi in data 11 giugno 2015, alle ore 18,35 a Palazzo Chigi, sotto la Presidenza di Matteo Renzi e su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini, ha conferito a Rosa De Pasquale l'incarico di capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione del Ministero;
   tale dipartimento svolge molteplici funzioni in ambito scolastico e, in particolare, anche nell'area di stato giuridico del personale della scuola; formazione dei dirigenti, del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola. Inoltre, possiede a supporto tre uffici dirigenziali non generali e 30 posizioni dirigenziali non generali di funzione tecnico-ispettiva;
   in riferimento al nuovo capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, si ritiene necessario, però, fare un passo indietro, poiché la Corte dei Conti, in data 30 dicembre 2014 aveva già ricusato il visto sul decreto che affidava la carica triennale di capo dell'ufficio scolastico regionale della Toscana alla stessa a partire dal 4 settembre 2014;
   nello specifico, dall'esame del curriculum della dottoressa De Pasquale, ex-deputata del Partito Democratico che ha fallito la rielezione parlamentare nel 2013, non emergevano i requisiti di «particolare e comprovata» qualificazione professionale richiesti dal comma 6 dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, «soprattutto se posti a raffronto con le esperienze maturate dall'interessata rispetto ai compiti connessi all'incarico che si intende affidare». Inoltre, non sembrava sussistere un'indispensabile esperienza «acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali» richiesta dal medesimo comma; non è stata, infine, rilevata nella dottoressa De Pasquale «evidenza di quell'elemento di aggiuntività», necessario «quale presupposto per l'attribuzione dell'incarico dirigenziale a soggetto esterno ai relativi ruoli». Eventualità, questa, che la legge (articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2009) consente «solo nell'ipotesi in cui tale qualificazione non sia rinvenibile nell'ambito del personale-dirigenziale dell'amministrazione», per quelle che appaiono ovvie e condivisibili i «ragioni di contenimento della spesa pubblica»;
   d'altronde, ci si chiede quale azienda investirebbe nell'assunzione di un dirigente ex-novo senza avere la certezza che tale assunzione possa rivelarsi un valore aggiunto rispetto alle risorse umane e professionali già presenti nel proprio organico; quella di investire in risorse ridondanti, ad avviso degli interroganti, non può che essere definita una cattiva gestione amministrativa di un'azienda, specie se pubblica;
   eppure, in base all'articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 febbraio 2014, n. 98, gli uffici scolastici regionali risultano dipendere funzionalmente dai capi dipartimento in relazione alle specifiche materie da trattare. Essi possono, per di più, ai sensi dell'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, proporre al Ministro «l'adozione dei provvedimenti di revoca degli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale»;
   grazie al provvedimento del Governo, quindi, la dottoressa De Pasquale riveste, oggi, un importante ruolo di direzione nonostante la Corte dei Conti non abbia rinvenuto nel suo curriculum i requisiti indispensabili per assumere un incarico gerarchicamente inferiore a quello che ora le è stato affidato;
   di fatto nessuno metterebbe a capo della sua azienda una persona reputata non idonea finanche per un ruolo inferiore;
   in un momento in cui il concetto di «merito», che campeggia in uno degli otto capi del disegno di legge cosiddetto «La buona scuola» (recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), viene esibito dal Governo Renzi come parafulmine per ogni critica, il Governo decide di compiere, ad avviso degli interroganti, un'azione analoga a quelle della «vecchia» politica, quella che negli slogan elettorali aveva dichiarato di voler «rottamare», nominando ai vertici dirigenziali del Ministero una persona «bocciata» per ben due volte: dalla Corte dei Conti e dai cittadini alle elezioni;
   decisione questa che, d'altronde, pare essere del tutto in linea con l'avvio di quella che agli interrogati appare un programma di «controllo a catena» che pone di fatto la scuola pubblica sotto l'egida dei partiti politici;
   nel testo del disegno di legge infatti, in coda all'articolo sulle competenze dei dirigenti scolastici, si apprende che, per il triennio 2016-2018, per quanto concerne la valutazione dei dirigenti scolastici e le funzioni ispettive, possono essere attribuiti incarichi temporanei di livello dirigenziale non generale della durata di tre anni; tali incarichi possono essere conferiti, nell'ambito della dotazione organica dei dirigenti tecnici in servizio presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), anche in deroga alle percentuali previste per i dirigenti di seconda fascia, per tutto il periodo della propria durata –:
   se non si ritenga opportuno sollevare la dottoressa De Pasquale dall'incarico affidatole, giacché reputata in passato non idonea a ricoprire una carica addirittura gerarchicamente inferiore a quella rivestita attualmente, o intenda attendere che la Corte dei Conti si pronunci nuovamente in merito. (4-09663)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 368 del 17 agosto 1999, all'articolo 35, prevede che «Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, tenuto conto delle relative esigenze sanitarie e sulla base di un'approfondita analisi sulla situazione occupazionale, individuano il fabbisogno dei medici specialisti da formare, comunicandolo al Ministero della sanità e dell'Università (...);
   il medesimo articolo 35 prevede, inoltre, che «il Ministero della sanità, di concerto con il Ministero dell'università (...) e con il Ministro del tesoro (...), sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, determina il numero globale degli specialisti da formare annualmente, per ciascun tipo di specializzazione»;
   il secondo comma del citato articolo 35 dispone che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, previo parere del Ministero della salute, determina il numero dei posti da assegnare a ciascuna scuola di specializzazione accreditata, tenuto conto della capacità ricettiva e del volume assistenziale delle strutture sanitarie inserite nella rete formativa della scuola stessa;
   il decreto interministeriale n. 68 del 4 febbraio 2015 ha disposto il riordino delle scuole di specializzazione in area sanitaria;
   sulla base del fabbisogno individuato dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, tramite il citato articolo 35 del decreto legislativo n. 368 del 1999, con decreto del 20 maggio 2015 il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero dell'economia e delle finanze ha determinato nel numero di 6.000 il totale complessivo degli specialisti da formare annualmente per l'anno accademico 2014/2015;
   il medesimo decreto prevede che 5.000 contratti fossero coperti da risorse a legislazione vigente e 1.000 subordinati all'effettiva disponibilità delle risorse conseguenti all'approvazione del disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato per l'esercizio 2015, in quanto da coprire mediante riduzione dei capitoli di spesa dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   con decreto ministeriale n. 307 del 21 maggio 2015, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha provveduto a ripartire tra le diverse scuole di specializzazione istituite presso i singoli atenei, i 6.000 contratti di formazione specialistica finanziati con risorse statali per l'anno accademico 2014/2015;
   l'articolo 5, comma 4, del decreto ministeriale n. 48 del 20 aprile 2015, prevede che le università possano attivare in aggiunta ai contratti di formazione finanziati dallo Stato, ulteriori contratti di formazione specialistica coperti con risorse derivanti da donazioni a o da finanziamenti di enti pubblici o privati, purché comunicati al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prima della pubblicazione del bando per il relativo anno accademico;
   facendo riferimento all'articolo sopra citato, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nel decreto ministeriale n. 307 del 2015 ricordato in precedenza, ha comunicato alle Regioni le scuole di specializzazione che saranno effettivamente attivate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la ripartizione dei contratti nazionali, fissando, inoltre, il termine del 25 maggio 2015 per la comunicazione dei contratti aggiuntivi finanziati con risorse regionali;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con decreto ministeriale n. 315 del 26 maggio 2015, ha indicato i posti disponibili per l'anno accademico 2014/2015 per ciascuna scuola di specializzazione, prevedendo in aggiunta ai posti coperti con contratti di formazione specialistica finanziati con risorse statali, l'assegnazione di posti coperti con contratti finanziati con risorse statali;
   contrariamente a quando accaduto negli anni precedenti, la regione Sardegna non compare tra quelle che finanziano contratti di formazione medico specialistica;
   per un mero errore di copertura finanziaria, infatti, la regione Sardegna non è stata in grado di finanziare le 24 borse di studio aggiuntive previste;
   la regione è intervenuta, pur con un po’ di ritardo, per rimediare all'errore commesso stanziando i fondi necessari per le borse di studio e chiedendo al Ministro interrogato la riapertura dei termini del bando;
   come ha notato anche la sede provinciale di Cagliari dell'Associazione italiana dei giovani medici, la mancata previsione di finanziamenti regionali rischia di peggiorare la già grave crisi occupazionale dei medici sardi, costretti a lasciare la regione, se non l'Italia, per poter esercitare la professione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di venire incontro in via del tutto eccezionale a dei giovani che pagherebbero una colpa non loro, dovendo rinunciare ad una borsa di studio meritata per un errore della regione, concedendo una, sia pure breve, riapertura dei termini di scadenza del bando in modo da consentire a 24 giovani medici residenti in Sardegna di svolgere il loro ruolo nella sanità sarda, certamente molto importante, evitando, inoltre, un probabile, ennesimo, spreco di risorse umane significative e di competenze che potrebbero essere costrette a lasciare il Paese per poter proseguire nel loro lavoro, impoverendo ancor di più la sanità sarda. (4-09665)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'introduzione del nuovo indicatore di calcolo della situazione economica delle famiglie si sono verificati subito forti disagi tra i beneficiari dei servizi per il diritto allo studio, come già per altro denunciato dall'interrogante nell'atto di sindacato ispettivo 4-07553;
   vi sono vari dati infatti che dimostrano come, a seguito dell'introduzione del nuovo ISEE, la platea dei beneficiari di borsa di studio sia destinata a ridursi di percentuali anche consistenti;
   l'IRPET (ente regionale toscano) ha fatto proiezioni di calcolo rispetto alla platea dei borsisti confrontando gli ISEE con le vecchie e con le nuove procedure. I risultati di questa analisi indicano che il 9 per cento degli idonei avrebbe perso il beneficio, mentre il 5 per cento si sarebbe visto ridotto l'importo della borsa. D'altro lato i favoriti dal nuovo indicatore sarebbero stati solo il 6 per cento con un saldo negativo netto di 8 per cento di studenti danneggiati, per un totale assoluto pari a 1457 studenti;
   a queste analisi sono seguite quelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Si registra infatti un incremento generale dei valori dell'ISEE degli universitari, in tutte le fasce di reddito. Il numero di coloro che si troveranno con un ISEE più alto rispetto al periodo precedente la riforma è ben del 51 per cento contro il 40,8 che se lo vedranno ridotto e l'incremento medio dell'ISEE corrisponde al 10 per cento;
   infine si sono aggiunti i dati dell'università Milano Bicocca, elaborati dalle rappresentanze studentesche in CDA. Tali dati indicano che il 18 per cento degli studenti risultati idonei con il vecchio sistema non sarà più, idoneo, mentre i nuovi idonei saranno solo il 7 per cento. Questi dati portano ad una previsione di –11 per cento di idonei ad ottenere i benefici del diritto allo studio. Proiettando i dati ricavati sul totale dei borsisti si prevede, in termini assoluti, che 1600 studenti perderanno i sussidi in regione Lombardia;
   a fronte di questa situazione, tre regioni (Puglia, Piemonte, Toscana) hanno proceduto all'innalzamento delle soglie per accesso alla borsa di studio, ma questo non è possibile in tutte le regioni. Infatti la soglia massima per l'accesso ai benefici del diritto allo studio è stata inizialmente fissata a livello nazionale dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001. Le soglie devono essere poi aggiornate ogni anno dal MIUR entro il 28 febbraio; regioni come il Veneto e la Lombardia, che hanno già la soglia coincidente con il tetto massimo, non possono aumentarla e devono aspettare l'intervento del Ministero, che quest'anno è in ritardo;
   gli enti per il diritto allo studio devono approvare ed emanare in questi mesi i bandi territoriali o regionali per l'erogazione delle borse, contenenti, tra l'altro, i requisiti economici per l'accesso alle suddette provvidenze;
   l'effetto più immediato del cambio di regole per il calcolo dell'indicatore di situazione economica equivalente è, quindi, quello di diminuire la platea degli aventi diritto alla borsa. Un danno davvero importante, considerando che in Italia assistiamo già da tempo al fenomeno degli idonei non beneficiari. Gli spazi del diritto allo studio, pertanto, andrebbero restringendosi, con possibili ripercussioni importanti sulle immatricolazioni, che negli ultimi dieci anni hanno registrato un netto calo, soprattutto nel mezzogiorno –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga urgente provvedere attraverso le apposite iniziative normative all'adeguamento urgente dei limiti ISEE e ISPE, non solo sulla base dell'aggiornamento dell'indice ISTAT, ma tenendo conto degli effetti del nuovo ISEE, per non escludere migliaia di beneficiari. (4-09673)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dai giornali di stampa del 30 giugno 2015 che presso lo stabilimento Fincantieri di Monfalcone è stata eseguita un'ordinanza del tribunale di Gorizia per il sequestro di quattro aree destinate alla cernita e allo stoccaggio di rifiuti, prodotti da scarti di lavorazione;
   a quanto è dato sapere, l'ex direttore dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, Carlo De Marco, e i titolari di sei aziende che lavorano all'interno del cantiere, sono coinvolti nell'indagine che ha portato al sequestro preventivo delle aree in questione con l'ipotesi di reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata;
   l'inchiesta che ha condotto al sequestro riguarda la gestione degli scarti di lavorazione nelle navi prodotti da parte delle ditte subappaltatrici di Fincantieri, che non risultano titolari dell'autorizzazione a gestire i rifiuti. La contestazione riguarda in particolare il deposito temporaneo messo a disposizione da Fincantieri, dove i vari rifiuti vengono ammassati e quindi rimossi da parte di un'altra ditta subappaltatrice;
   il sequestro ha portato alla conseguente sospensione delle attività lavorative, pertanto, dal 30 giugno 2015 cinquemila operai sono stati sospesi dal lavoro;
   a riguardo, Fincantieri ha dichiarato che proprio in ottemperanza al provvedimento del tribunale, ha dovuto disporre la sospensione dell'attività lavorativa di tutto il personale coinvolto nel ciclo produttivo del cantiere di Monfalcone;
   inoltre, ulteriore grave conseguenza della misura di sequestro è lo stallo delle oltre 400 ditte fornitrici della Fincantieri che hanno visto il blocco delle forniture commesse per la produzione del cantiere;
   il nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Udine ha affermato che l'attività lavorativa dei dipendenti potrà riprendere nel momento in cui la situazione sarà regolarizzata e i rifiuti verranno portati fuori dalle aree sequestrate;
   a parere dell'interrogante, senza entrare nel merito del provvedimento di sequestro in questione, in fattispecie del genere è necessario adottare provvedimenti opportuni che contemperino la ovvia necessità che la giustizia faccia il proprio corso, con quelle di tutelare i lavoratori e non danneggiare l'attività di impresa con misure, che, per le loro conseguenze particolarmente gravose, potrebbero essere sproporzionate e cagionare seri danni;
   nel caso di specie le misure adottate hanno conseguenze indirette e gravi nei confronti di ben 5000 lavoratori e le loro famiglie, totalmente estranei ai fatti. Inoltre, va considerato il danno cagionato a tutto l'indotto di Fincantieri tra ditte e lavoratori. Dunque, è evidente l'urgenza di disporre provvedimenti per la loro salvaguardia –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, rispetto ai fatti di cui in premessa;
   se e quali immediate iniziative intendano adottare i Ministri, per quanto di competenza, affinché siano tutelati i ben 5000 lavoratori della Fincantieri sospesi dal lavoro nonché tutto l'indotto danneggiato dal blocco della produzione, attraverso iniziative che garantiscano urgentemente la ripresa dell'attività produttiva dell'impresa previa regolarizzazione della situazione contestata. (5-05957)


   ZANIN, COVA, FUSILLI e BOCCUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sicurezza nei cantieri edili costituisce una delle priorità della lotta agli infortuni sul lavoro;
   la responsabilità, in termini di sicurezza, delle operazioni di montaggio/smontaggio e manutenzione delle gru e degli apparecchi di sollevamento è a carico del datore di lavoro, il quale spesso non reperisce facilmente anche per l'appalto di montaggio e smontaggio e del controllo trimestrale funi-catene degli apparecchi di sollevamento, professionalità adeguate per gestire queste operazioni;
   la non corretta manutenzione, installazione e uso inidoneo di tale attrezzatura è alla base di gravi incidenti, infortuni mortali, danni ingenti a lavoratori ed alla collettività;
   nel settore degli apparecchi di sollevamento, l'unica figura non ben definita è proprio quella del montatore/manutentore, che anche per questo continua a restare una professione poco attraente per i giovani che ambiscono a un lavoro qualificato; in effetti, il montaggio di una gru, sia essa del tipo «automontante» o «a rotazione superiore» è un'operazione complessa e delicata, nella quale devono essere tenute in considerazione innumerevoli variabili: la tipologia del terreno, la vicinanza ad uno scavo, la presenza di vani sotterranei e altro. La normativa richiede che tale operazione venga realizzata da un «soggetto competente», in grado di valutare correttamente tutti gli aspetti necessari ad una corretta installazione. A questo soggetto competono tutte le responsabilità conseguenti ad eventuali errori commessi. Tuttavia, attualmente non è previsto un patentino per i montatori di gru, e perciò neppure una formazione specifica, realizzata in luoghi omologati per tali scopi, che permettano di toccare con mano i prodotti da impiegare, conoscendone l'utilizzo e le criticità. Una evoluzione delle norme in questa direzione potrebbe per altro determinare un salto di qualità anche per le stesse aziende nazionali produttrici di macchinari per l'edilizia, che nel mercato globale hanno bisogno di forza e qualità;
   il decreto ministeriale 11 aprile 2011 (entrato in vigore il 23 maggio 2012) ha reso obbligatoria per le gru che superano i 20 anni di età l'indagine supplementare, eseguita da «ingegnere esperto», cioè una verifica strutturale per individuare eventuali difetti o anomalie e stabilire la vita residua. Ciò in quanto il tempo trascorso diventa una variabile indefinita per la sicurezza di apparecchi che devono sollevare tonnellate, magari a 100 metri di altezza, sopra le teste delle maestranze di cantiere –:
   se il Governo non ritenga opportuna una normativa diretta alla definizione delle qualifiche minime connesse alle mansioni di installazione e manutenzione delle gru a torre;
   se il Governo non ritenga di promuovere iniziative che incentivino la rottamazione dei mezzi di sollevamento con più di 20 anni. (5-05961)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI e PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 89936 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, emanato in data 8 maggio 2015, sono state assegnate risorse finanziarie alle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto per gli ammortizzatori sociali in deroga pari ad euro 478.763.551 a valere sul fondo sociale per l'occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n.185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2;
   le citate risorse economiche si aggiungono a quelle precedentemente assegnate dallo Stato per il pagamento degli ammortizzatori sociali in deroga ma non risultano essere ancora sufficienti a coprire l'intero fabbisogno delle Regioni relativamente al 2014. Migliaia di lavoratori, pur avendo maturato da tempo il diritto ai trattamenti di cassa integrazione e mobilità in deroga, non hanno ancora ricevuto gran parte delle mensilità arretrate;
   nella regione autonoma della Sardegna sono complessivamente 26.763 le richieste di accesso agli ammortizzatori sociali in deroga relative all'anno 2014 di cui 9.494 per provvedimenti di cassa integrazione in deroga e 17.269 di mobilità in deroga;
   con la totalità delle risorse destinate alla Sardegna non è stata finora pagata neanche la metà delle mensilità del 2014. Con le ultime risorse assegnate, pari a 55 milioni di euro, si stanno accreditando in queste settimane tre mensilità ai lavoratori in mobilità in deroga che non hanno percepito nessuna spettanza riferita al 2014 e una mensilità a quanti hanno precedentemente percepito due mensilità. Nello stesso modo, per quanto riguarda i lavoratori in cassa integrazione in deroga, si sta procedendo a versare prioritariamente le somme rimaste a disposizione a coloro che non hanno ancora ricevuto alcun sostegno al reddito per il 2014;
   appare evidente la necessità di assegnare ulteriori risorse affinché i citati lavoratori possano ottenere il pagamento di tutte le mensilità di cui hanno diritto;
   è opportuno sottolineare che gli ammortizzatori sociali rappresentano l'unica entrata economica e di conseguenza l'unico strumento di sostentamento per molte delle famiglie cui appartengono i lavoratori suddetti. La situazione di disagio è aggravata dalla mancanza di riferimenti temporali certi da parte delle istituzioni nazionali per addivenire ad una soluzione definitiva della perdurante problematica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover adottare con urgenza iniziative di competenza affinché sia assegnato tempestivamente alla regione autonoma della Sardegna l'intero ammontare delle risorse necessarie per coprire il pagamento degli ammortizzatori sociali in deroga relativamente all'anno 2014. (4-09660)


   SANGA, CARNEVALI, MISIANI e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la «Grafiche Mazzucchelli spa» è azienda sita in Seriate (BG), rilevata nel 2012 dal gruppo Veneziani;
   a fine 2014 all'interno del gruppo si registrano i primi problemi: la controllata RotoAlba dopo i un periodo di difficoltà verrà dichiarata fallita dal tribunale di Asti;
   anche in Grafiche Mazzucchelli vi sono alcune problematicità, ad esempio in relazione ai pagamenti degli stipendi; la tredicesima viene infatti rateizzata;
   con l'inizio del 2015 proseguono le difficoltà e i ritardi nei pagamenti degli stipendi: lo stipendio di marzo viene pagato a maggio; lo stipendio di aprile viene rateizzato in due soluzioni, la seconda delle quali viene pagata solo a fine maggio;
   il 15 giugno l'azienda deposita presso il tribunale di Milano la richiesta di preconcordato. Da, allora, degli stipendi di maggio e giugno e della quattordicesima non si sa più nulla;
   l'azienda è sempre stata in buona salute, con presenza costante di clienti e di commesse; solo il mancato pagamento negli anni dei fornitori ha impedito la stampa degli ordinativi richiesti –:
   se il Ministro intenda approvare nel più breve tempo possibile i provvedimenti di cassa integrazione straordinaria, per dare sostegno ai lavoratori;
   se il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza, iniziative per il rilancio dell'attività aziendale, considerato che l'impresa è sempre stata in buona salute e che non risultano chiare le cause che hanno portato all'anticamera del fallimento;
   se si intendano mettere in campo le opportune iniziative per il coinvolgimento di tutte le istituzioni, anche locali, affinché si adoperino per dare continuità all'azienda. (4-09661)


   NICOLA BIANCHI e PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 89936 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, emanato in data 8 maggio 2015, sono state assegnate risorse finanziarie alle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto per gli ammortizzatori sociali in deroga pari ad euro 478.763.551 a valere sul Fondo sociale per l'occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2;
   le citate risorse economiche si aggiungono a quelle precedentemente assegnate dallo Stato per il pagamento degli ammortizzatori sociali in deroga ma non risultano essere ancora sufficienti a coprire l'intero fabbisogno delle regioni relativamente al 2014. Migliaia di lavoratori, pur avendo maturato da tempo il diritto ai trattamenti di cassa integrazione e mobilità in deroga, non hanno ancora ricevuto gran parte delle mensilità arretrate;
   nella regione autonoma della Sardegna sono complessivamente 26.763 le richieste di accesso agli ammortizzatori sociali in deroga relative all'anno 2014 di cui 9.494 per provvedimenti di cassa integrazione in deroga e 17.269 di mobilità in deroga;
   con la totalità delle risorse destinate alla Sardegna non è stata finora pagata neanche la metà delle mensilità del 2014. Con le ultime risorse assegnate, pari a 55 milioni di euro, si stanno accreditando in queste settimane tre mensilità ai lavoratori in mobilità in deroga che non hanno percepito nessuna spettanza riferita al 2014 e una mensilità a quanti hanno precedentemente percepito due mensilità. Nello stesso modo, per quanto riguarda i lavoratori in cassa integrazione in deroga, si sta procedendo a versare prioritariamente le somme rimaste a disposizione a coloro che non hanno ancora ricevuto alcun sostegno al reddito per il 2014;
   appare evidente la necessità di assegnare ulteriori risorse affinché i citati lavoratori possano ottenere il pagamento di tutte le mensilità di cui hanno diritto;
   è opportuno sottolineare che gli ammortizzatori sociali rappresentano l'unica entrata economica e di conseguenza l'unico strumento di sostentamento per molte delle famiglie cui appartengono i lavoratori suddetti. La situazione di disagio è aggravata dalla mancanza di riferimenti temporali certi da parte delle istituzioni nazionali per addivenire ad una soluzione definitiva della perdurante problematica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover adottare con urgenza iniziative di competenza affinché sia assegnato tempestivamente alla regione autonoma della Sardegna l'intero ammontare delle risorse necessarie per coprire il pagamento degli ammortizzatori sociali in deroga relativamente all'anno 2014. (4-09662)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante sono giunte ripetute segnalazioni relative ai dipendenti del Consorzio di bonifica della Valle Telesina sin dal 2002 in gestione liquidatoria con alterne vicende;
   alla data odierna le problematiche dei dipendenti della Valle Telesina sono ancora irrisolte e questa gestione liquidatoria non può garantire la puntuale erogazione del trattamento stipendiale nonostante sia stata stanziata la somma di euro 800.000,00 sul cap. 3112 istituito con legge di bilancio e denominato «Oneri per il personale dell'ex Consorzio Valle Telesina — Esecuzione Ordinanza Consiglio di Stato n. 4482/2012» e la somma a residuo di euro 200.000,00 al cap. 3120 denominato «Gestione liquidatoria consorzio Bonifica Valle Telesina — delibera di giunta regionale n. 62 del 18 gennaio 2002»;
   in effetti, le numerose segnalazioni giunte all'interrogante sono relative al personale in servizio (n. 13 unità) allocato provvisoriamente presso la comunità montana del Taburno di Frasso Telesino, al quale debbono essere corrisposte retribuzioni relative a 31 mensilità: n. 10 per l'anno 2013, 14 mensilità per l'anno 2014 e 7 mensilità anno 2015;
   all'interrogante, in particolare, si è rivolto un dipendente al quale il commissario liquidatore, dottor Giuseppe Catenacci, il 28 maggio ha certificato un credito in relazione a retribuzioni non pagate pari a 38.946 euro (15.072 euro per il periodo giugno/dicembre 2013, 19.188 euro per il periodo gennaio/dicembre 2014, 4.686 euro per il periodo gennaio/aprile 2015) e tale cifra è già aumentata dal momento che non risulta siano state liquidate le mensilità di maggio e giugno di quest'anno, né pare che saranno liquidate quelle dei prossimi mesi;
   risulta di tutta evidenza come in una simile situazione, una vicenda di evidente competenza regionale stia assumendo i contorni di una vicenda di ordine pubblico, dal momento che 13 famiglie senza reddito da 31 mesi sono una questione non più trascurabile dal Governo centrale –:
   se il Governo non ritenga che sussistono i presupposti per garantire strumenti di sostegno al reddito dei dipendenti individuati in premessa. (4-09684)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'anomala ondata di maltempo che ha colpito negli ultimi giorni la Puglia con violente raffiche di vento, nubifragi e grandinate ha particolarmente interessato la provincia di Bari;
   purtroppo si registrano significativi danni per quanto concerne i raccolti di ciliegie;
   particolarmente colpite le qualità di Bigarreaux, Georgia e Ferrovia;
   lungo l'asse viario Turi-Sammichele una violenta grandinata ha creato una spessa coltre di ghiaccio sul terreno;
   il comprensorio è uno tra i più noti per la qualità nell'ambito della produzione delle ciliegie di tutto il Paese;
   le organizzazioni di categoria hanno lanciato un allarme circa le conseguenze che questa ondata di maltempo avrà per tutto il settore e hanno evidenziato come anche altre colture, a partire da fragole e albicocche, hanno subito significative ripercussioni negative –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda intervenire per accertarsi di quanto accaduto e attivare un tavolo di confronto in sede ministeriale per tutelare uno dei settori, quello della ciliegia, di maggiore qualità della Puglia. (3-01591)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUPO, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente nazionale sementi elette (ENSE), costituito nel 1954 per iniziativa di alcuni istituti di credito al fine di promuovere l'uso di sementi di qualità e la certificazione su base volontaria, venne successivamente riconosciuto ente di diritto pubblico e posto sotto la vigilanza del Ministero dell'agricoltura con l'avvento della certificazione ufficiale obbligatoria;
   con la soppressione dell'ENSE decisa nel 2010, il servizio di certificazione è poi confluito nell'INRAN; quest'ultimo è stato a sua volta abolito nell'estate 2012 per poi, nel dicembre 2012, essere accorpato al CRA, dove solo nel corso dell'estate 2013, è stato formalmente inquadrato quale centro di sperimentazione e certificazione delle sementi (CRA-SCS);
   in Italia, ogni anno, circa 200.000 ettari di colture da seme vengono ufficialmente controllate e le sementi prodotte vengono certificate per il commercio interno, o per l'esportazione;
   la legge di stabilità n. 190 del 2014 al comma 381 dell'articolo 1, prevede che «l'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) è incorporato nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), che assume la denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, (CREA) conservando la natura di ente nazionale di ricerca e sperimentazione»;
   nella «bozza di piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione della ricerca del CREA» il Commissario designato prevede una riduzione delle attuali articolazioni territoriali pari al 50 per cento, nonché una riduzione delle spese correnti pari ad almeno il 10 per cento, rispetto ai livelli attuali;
   il terzo riordino in 5 anni, a parere degli interroganti, potrebbe inficiare l'operatività del servizio di certificazione ufficiale delle sementi –:
   quali strumenti a carattere d'urgenza, anche normativi, il Ministro intenda utilizzare al fine di garantire la piena operatività del servizio di certificazione ufficiale delle sementi. (5-05962)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI, TURCO e BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità per il 2015 i commi da 593 a 598 dell'articolo 1 prevedono «Misure in materia di medicinali innovativi». La norma, introdotta nel corso dell'esame al Senato, istituisce per gli anni 2015 e 2016 un Fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali innovativi, alimentato da un contributo dello Stato pari a 100 milioni di euro per l'anno 2015; una quota delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, pari a 400 milioni di euro per l'anno 2015 e 500 milioni di euro per l'anno 2016. Le somme del Fondo sono versate in favore delle regioni in proporzione alla spesa sostenuta dalle medesime per l'acquisto di medicinali innovativi. Ad integrazione del vigente meccanismo di ripiano, viene previsto che, nel caso di un fatturato derivante dalla commercializzazione di un farmaco innovativo superiore a 300 milioni di euro, la quota dello sforamento imputabile al superamento del Fondo aggiuntivo per i medicinali innovativi resta in misura pari al 20 per cento, a carico dell'azienda titolare di AIC relativa al medesimo farmaco e per il restante 80 per cento è ripartita, ai fini del ripiano, tra tutte le aziende titolari di AIC in proporzione dei loro rispettivi fatturati relativi ai medicinali non innovativi coperti da brevetto;
   in questo caso viene rilevato che le disposizioni in esame introducono una nuova finalizzazione nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla quota vincolata alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, senza incrementare le risorse ad esso destinate. Ad avviso degli interroganti appare pertanto necessario acquisire una conferma dal Governo circa la compatibilità di tale finalità aggiuntiva con l'equilibrio finanziario complessivo del servizio sanitario nazionale. In relazione alla spesa complessiva per i farmaci innovativi, quantificati dall'Aifa in 750 milioni di euro annui, ad avviso degli interroganti andrebbe chiarito se le risorse del vigente Fondo per i farmaci innovativi, unitamente a quelle del Fondo istituito dalla norma in esame destinato alla medesima finalità, siano sufficienti per far fronte alla spesa farmaceutica destinata ai farmaci in argomento; i fondi potrebbero essere insufficienti poiché l'Aifa ha previsto un fabbisogno di spesa pari a 750 milioni l'anno contro i 500 effettivamente stanziati;
   si segnala che l'Aifa ha previsto un meccanismo di ripiano denominato pay back. Esso è nato per venire incontro all'esigenza di una maggiore flessibilità del mercato farmaceutico, consentendo da un lato l'erogazione di risorse economiche alle regioni a sostegno della spesa farmaceutica di ciascuna, e dall'altro l'opportunità per le aziende farmaceutiche di effettuare le scelte sui prezzi dei loro farmaci, sulla base delle proprie strategie di intervento sul mercato;
   esso è stato previsto con una norma contenuta nella legge Finanziaria del 2007 e permette alle aziende farmaceutiche di chiedere all'AIFA la sospensione della riduzione dei prezzi del 5 per cento, a fronte del contestuale versamento in contanti (pay back) del relativo valore su appositi conti correnti individuati dalle regioni;
   tuttavia, rimane ferma la priorità di indirizzare la prescrizione dei farmaci verso una maggiore appropriatezza ed utilizzazione per giungere ad un efficiente governo della spesa farmaceutica, la metodologia e i risultati ottenuti dal sistema del pay back evidenziano un valido meccanismo di ripiano in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa programmata –:
   quali iniziative gravi ed urgenti, qualora i fatti narrati corrispondano al vero, intenda assumere il Ministro interrogato, al fine di dare soluzione alla problematica descritta in premessa, eventualmente recependo le soluzioni ivi prospettate specificando se intenda ricorrere al sistema di pay back al fine di colmare il divario tra risorse stanziate e risorse necessarie per l'acquisto di farmaci innovativi, in grado di salvare le vite o migliorare le condizioni di vita di numerosi pazienti bisognosi di terapie innovative disponibili sul mercato. (5-05964)


   VALIANTE. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa e dall'amministrazione locale che il centro trasfusionale attivo presso l'ospedale «Luigi Curto» nel comune di Polla (SA) è stato soppresso con un provvedimento della regione Campania e convertito in solo centro di raccolta. Tale provvedimento diventa seriamente penalizzante per il locale presidio ospedaliero che, in questo modo, risulta essere depotenziato. La chiusura del centro trasfusionale risulterebbe essere in contrasto con il parere favorevole espresso dalla commissione regionale di verifica sia riguardo ai locali sia alla dotazione di apparecchiature. Il sindaco di Polla Rocco Giuliano, con delibera, ha dato incarico all'assessore Corleto, in qualità di avvocato, di adire la giustizia amministrativa ed impugnare il provvedimento regionale in questione. Viene evidenziato, anche dallo stesso sindaco, come la chiusura del centro trasfusionale sia in netto contrasto con il piano generale aziendale che prevede la presenza nel presidio ospedaliero locale di un centro trasfusionale e giova ribadire il ruolo fondamentale che ha il richiamato centro poiché è al servizio non solo del nosocomio di Polla ma di tutta l'area del Vallo di Diano e dei territori limitrofi –:
   di quali elementi disponga, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attivazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere con riferimento alla chiusura del centro trasfusionale dell'ospedale Luigi Curto, per scongiurare una lesione dei livelli essenziali di assistenza per un territorio già molto penalizzato per i servizi sanitari. (5-05971)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge 15 marzo 2010, n. 38 «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore» all'articolo 2 comma 1, lettera d) garantisce la continuità assistenziale del malato dalla struttura ospedaliera al suo domicilio e definisce la complessa rete delle cure palliative come: «(...) l'insieme delle strutture sanitarie, ospedaliere e territoriali e assistenziali, delle figure professionali e degli interventi diagnostici e terapeutici disponibili nelle regioni e nelle province autonome, dedicati all'erogazione delle cure palliative, al controllo del dolore in tutte le fasi della malattia, con particolare riferimento alle fasi avanzate e terminali della stessa e al supporto dei malati e dei loro familiari»;
   in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 25 luglio 2012 veniva sancita l'intesa (Rep. 151/CSR 25/7/2012) che dava attuazione all'articolo 5, comma 3 della succitata legge n. 38 del 2010, circa la definizione dei requisiti minimi e delle modalità organizzative necessari per l'accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di cure palliative e della terapia del dolore;
   tale intesa garantiva un approccio palliativo per tutti i malati durante il loro intero percorso di cura, in funzione dei bisogni ed in integrazione con le specifiche fasi terapeutiche delle malattie croniche evolutive. Nell'ambito dell'assistenza ospedaliera, la rete di cure palliative veniva da tale intesa caratterizzata principalmente dalle seguenti prestazioni: la consulenza palliativa volta all'erogazione del supporto specialistico per il controllo dei sintomi e all'ottimizzazione dei percorsi diagnostici e terapeutici; dalle prestazioni in regime diurno e dall'attività ambulatoriale, alla quale sono ascritte le prestazioni per i pazienti autosufficienti che necessitano di valutazione specialistica per il controllo ottimale dei sintomi, ivi compreso il dolore;
   il decreto del Ministero della salute del 28 marzo 2013 «Modifica ed integrazione delle Tabelle A e B di cui al decreto 30 gennaio 1998, relative ai servizi ed alle specializzazioni equipollenti» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 94 del 22 aprile 2013, in recepimento dell'accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le (regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 7 febbraio 2013 (Rep. atti n. 57/CSR), riconosceva come «disciplina autonoma» le cure palliative che venivano inserite fra le discipline sanitarie dell'area della medicina diagnostica e dei servizi, al pari di altre discipline tipicamente ospedaliere, quali: l'anestesia e rianimazione e la radiodiagnostica ed introduceva le relative equipollenze con altre discipline, anch'esse essenzialmente ospedaliere, quali: la medicina interna, l'oncologia, la neurologia, le malattie infettive, eccetera;
   nell'ambito del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, venivano adottate le conclusioni della «Sessione delle cure palliative e terapia del dolore», in virtù delle quali veniva auspicata la creazione di una rete europea incentrata su una maggiore formazione dei professionisti, sullo scambio di informazioni reciproche afferenti alle best practice e allo sviluppo dei network. In tale sede, veniva anche rilanciata l'esigenza di sviluppare in particolare la rete pediatrica di cure palliative e terapia del dolore e di implementare le reti assistenziali domiciliari, al fine di assicurare ai pazienti la possibilità di permanere a domicilio fino al termine della loro vita;
   il decreto del Ministero della salute del 2 aprile 2015, n. 70 «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 127 del 4 giugno 2015 disattende parzialmente sia la legge n. 38 del 2010 che la successiva applicazione stabilita dalla conferenza Stato/regioni del 25 luglio 2012. Tale decreto infatti esclude le cure palliative dalle discipline ospedaliere, non ne configura una rete ospedaliera specifica e non contempla una distinta professionalità per i terapisti del dolore e i pallatiavisti;
   in particolare, il paragrafo 3.1 della tabella di cui all'allegato 1 del decreto ministeriale 70 del 2015 relativa agli «Standard minimi e massimi di strutture per singola disciplina» non menziona la disciplina delle cure palliative. Il paragrafo 8.1.1. oltre a non includere la rete di cure palliative nell'elenco delle reti ospedaliere, accenna appena alla palliazione, peraltro solo all'interno dell'ambito oncologico, senza mai menzionare l'intero ambito non oncologico;
   la legge 38 del 2010 aveva previsto e disciplinato l'ambito delle cure palliative non confinandolo alla sola salvaguardia della qualità della vita nella sua fase terminale, ma estendendolo ad ogni fase di malattia altamente sintomatica, ovvero alla cura del sintomo che genera sofferenza, al di là della possibilità o meno del trattamento della malattia di base che lo ha generato. In questo senso, le cure palliative ospedaliere costituivano la centralità dell'intera rete di CP, sottoforma di consulenze nei vari reparti (anche di pronto soccorso) e negli ambulatori («servizi senza posti letto»). L'ambulatorio di cure palliative rappresenta infatti la sede ove il paziente ancora autonomo viene inviato dopo la dimissione dall'ospedale per il controllo e il monitoraggio delle terapie antalgiche e sintomatologiche intraprese che spesso lo accompagnano in maniera altalenante nelle varie fasi della malattia (oncologica e non). Qualora il paziente si aggravi e non sia più in grado di accedere autonomamente all'ambulatorio, la struttura ospedaliera attiva l'assistenza domiciliare o quella residenziale (hospice);
   nuovi standard rischiano di compromettere tutto ciò, contravvenendo in tal modo alla ratio della legge 38 del 2019 e vanificando parte del cammino sin qui fatto dal legislatore, volto a garantire a tutti i pazienti sofferenti il diritto alle cure palliative in ogni fase di malattia gravemente sintomatica nell'ambito di tutti i setting di cura: ospedali, ambulatori e consulenze;
    il regolamento sugli standard ospedalieri e le cure palliative ha sollevato le forti contrarietà degli addetti ai lavori e dei pallatiavisti in particolare, così come di una parte del mondo accademico, anestesiologico ed oncologico. Da tale contrarietà è nato un «Appello per la presenza delle cure palliative in tutti setting di cura» sottoscritto, tra gli altri, dal professor Umberto Veronesi dello IEO – Istituto europeo di oncologia ed il professor Martin Langer dell'INT — Istituto nazionale dei tumori –:
   se non valuti opportuna una revisione del «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera» di cui al decreto ministeriale 70 del 2015 nel senso di includere esplicitamente nei suddetti standard ospedalieri le cure palliative, valorizzandone tutti i setting di cura e prevedendo una distinta professionalità per i terapisti del dolore ed i pallatiavisti, come sancisce la legge 15 marzo 2010, n. 38. (4-09658)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, FRANCO BORDO, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, QUARANTA, PLACIDO, AIRAUDO, PIRAS, MELILLA e DURANTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Candy Group, società che produce elettrodomestici, ha confermato il piano industriale relativo allo stabilimento di Brugherio (MB) con relativa riorganizzazione;
   proprio nel 2015 Candy ha celebrato il 70o di fondazione. Un anno difficile nel quale è scomparso il presidente onorario Peppino Fumagalli creatore, nel primo dopoguerra, della prima lavatrice italiana. Una multinazionale in grado di costruire 6,3 milioni di elettrodomestici nel mondo nel 2014 di cui però solo 450 mila lavatrici in Brianza. Il Gruppo Candy controlla anche i marchi Hoover, Iberna, Unling (Cina), Rosières, Susler (Turchia), Vyatka (Russia), Zerowatt, Baumatic con 5.300 addetti nel mondo e 8 centri produttivi in Europa, Turchia e Cina con 50 consociate. Nella sede di Brugherio, oltre ai 500 operai, attualmente lavorano altri 400 fra impiegati, ingegneri e tecnici in quello che è il quartier generale del Gruppo;
   la Candy ha annunciato 340 esuberi nello stabilimento di Brugheri; per Pietro Occhiuto segretario della Fiom Cgil Brianza è «Una scelta che per noi sembra tanto l'anticamera della chiusura dell'ultimo stabilimento, dove lavorano 500 operai per altro in contratto di solidarietà da un paio d'anni, italiano del gruppo»; queste sono le parole del sindacalista a commento di un comunicato diffuso il 28 giugno da Fim Cisl, Fiom Cgil e Rsu aziendali (il Giorno, QN, Monza Brianza);
   nei giorni scorsi si sono tenute due ore di sciopero e presidio davanti ai cancelli da parte di lavoratrici e lavoratori;
   «La Direzione Aziendale – prosegue la nota sindacale – nell'incontro tenuto lo scorso 23 giugno in Confindustria di Monza e Brianza, ha annunciato un piano di ristrutturazione che la delegazione sindacale ha giudicato irricevibile. Ridurre così drasticamente la forza lavoro equivale a dire che si sta mettendo in atto un reale disimpegno del Gruppo rispetto al sito produttivo di Brugherio. I lavoratori riuniti oggi in assemblea hanno lanciato un messaggio chiaro: non è accettabile che la soluzione più facile sia, ancora una volta, una nuova dichiarazione di esuberi. Per questo motivo il 30 giugno c’è stata una prima forma di mobilitazione proclamando 2 ore di sciopero per ogni turno di lavoro tenendo, contemporaneamente, dalle ore 8 alle 10, un presidio di lavoratori davanti i cancelli –:
   se il Governo non intenda tutelare i livelli occupazionali e di know how relativi a tale attività produttiva. (5-05958)


   COVELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Telint Sud srl, società, operante nel settore dei call center, con sede legale in Piemonte e sede operativa a Rende, ha dichiarato di voler cessare la propria attività, preannunciando 85 licenziamenti;
   il call-center, opera a Rende dal 2003 e svolge attività di telemarketing per una importante industria di cosmetici;
   la vita di questa attività è sempre stata molto complicata e i lavoratori pur di mantenere il posto di lavoro hanno già affrontato forti riduzioni di salario a fronte della identica quantità di ore lavorate;
   il Parlamento ha concluso nel mese di dicembre 2014 una indagine conoscitiva sul rapporto di lavoro presso i call center presenti sul territorio italiano evidenziando la necessità di un intervento del legislatore per regolamentare in maniera più efficace le tutele per i lavoratori;
   in considerazione dei precedenti, diventa imprescindibile un interessamento da parte del Governo rispetto alla vicenda –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima urgenza al fine di attivare un tavolo di confronto con azienda e organizzazioni sindacali per scongiurare il licenziamento di queste 85 unità lavorative e consentire la prosecuzione dell'attività del call center. (5-05960)


   RUBINATO e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda italiana Miniforms è licenziataria di un modello comunitario di design relativo a un tavolo d'arredo di successo («Passion»); in merito alla validità di tale registrazione sussiste però un conflitto di valutazione da parte di due tribunali nazionali;
   a tutela del proprio modello Miniforms ha infatti promosso due procedimenti cautelari contro due distinte imprese ritenute contraffattrici che mettevano in commercio copie di produzione orientale: il primo (contro Santarossa S.p.A.), presso il tribunale di Trieste e il secondo (contro MC Group, la holding del noto gruppo «Mondo Convenienza»), presso il tribunale di Venezia;
   il tribunale di Trieste ha dichiarato la nullità del modello: la decisione di primo grado è stata confermata dalla corte d'appello con sentenza depositata nel giugno 2012 e impugnata presso la Corte di Cassazione da Miniforms nel marzo 2013; il giudizio risulta ancora pendente, in attesa che venga fissata l'udienza;
   il tribunale di Venezia ritiene invece che il design sia pienamente valido e, per dirimere la posizione conflittuale, ha accolto, con ordinanza dell'ottobre 2012, l'istanza di Miniforms di ordinare alla controparte Mondo Convenienza di promuovere un giudizio di nullità per far i che la valutazione di validità fosse demandata all'organo che ha concesso la registrazione a livello comunitario: l'ufficio per l'armonizzazione del mercato interno (UAMI, a cui vengono inoltre pagate le tasse di mantenimento dell'esclusiva), ai sensi dell'articolo 86, terzo paragrafo, del regolamento (CE) 6/2002;
   il procedimento è stato sospeso da parte del tribunale di Venezia dal momento che il giudice nazionale, devolvendo la questione all'ufficio comunitario, si spoglia del relativo potere decisionale;
   l'UAMI, dopo lunghi mesi di silenzio, con provvedimento del 24 settembre 2013, ha ufficialmente deciso di sospendere il giudizio di nullità avanti a sé e di attendere la decisione della Corte di Cassazione italiana; a nulla sono valse le richieste di revoca in via di autotutela del suddetto provvedimento, inviate da Miniforms nell'aprile e nel luglio 2014, rimaste prive di riscontro;
   coerentemente con l'articolo 86, terzo paragrafo, del regolamento (CE) 6/2002, il tribunale di Venezia ritiene invece l'UAMI il massimo responsabile della validità dei modelli da esso concessi; in effetti, l'intera credibilità del sistema comunitario in tema di concessione di registrazioni di design impone un ruolo attivo e responsabile dell'UAMI non solo nel senso di «armonizzare» per quanto possibile le legislazioni dei Paesi membri, ma anche col fine di prevenire interpretazioni difformi delle medesime norme e quindi i conflitti di giudicati;
   inoltre, la Corte di cassazione italiana non potrà esprimere alcuna valutazione di merito, ma solo di legittimità; pertanto, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso presentato da Miniforms, il giudizio verrebbe rinviato alla corte di appello di Trieste; sussistono quindi ragioni non solo di diritto (in base a quanto previsto dal regolamento, comunitario in tema di disegni e modelli), ma anche di opportunità, che legittimano l'UAMI a proseguire il procedimento di nullità che ad oggi risulta sospeso, senza attendere il giudizio di un tribunale nazionale che l'ordinamento comunitario delinea come residuale;
   la condotta dell'UAMI, a giudizio degli interroganti, sta minando la sua affidabilità, alla quale peraltro l'Italia e le sue imprese hanno dimostrato sino ad ora di credere, con il deposito di circa 9000 modelli per anno (al secondo posto dopo la Germania);
   è inoltre essenziale che venga garantita la massima tutela del «made in» e del «designed in» Italy da parte delle istituzioni comunitarie per salvaguardare il sistema economico nazionale e a fronte per giunta di casi di contraffazioni asiatiche, di tutti i Paesi membri –:
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere, in ottica nazionale ed europea, per promuovere una tempestiva ed adeguata risposta alle richieste di garanzia e tutela avanzate dai titolari dei diritti dei modelli di design registrato a livello comunitario con particolare riferimento al modello di proprietà dell'azienda italiana Miniforms.
(5-05966)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Ansaldo Breda di Pistoia è stata recentemente venduta da Finmeccanica al gruppo Hitachi;
   l'azienda, che svolge la sua attività prevalentemente nel settore ferroviario, è un punto di riferimento per l'industria del trasporto su rotaia e per le tante imprese che operano nell'indotto, creando importanti prospettive di lavoro;
   la vendita della storica azienda pistoiese ha destato molte preoccupazioni per i dipendenti;
   sembrerebbe, infatti, che l'azienda sia stata venduta senza conoscere il piano industriale del gruppo Hitachi; la poca trasparenza con cui, ad avviso dell'interrogante, l'amministrazione, nella persona del manager Mauro Moretti, ha gestito l'operazione suscita perplessità in riferimento non solo al ruolo che l'azienda ricoprirà nell'ambito del nuovo assetto proprietario, ma anche al futuro del settore ferroviario che è strategico per l'economia italiana;
   sembrerebbe che l'azienda stia procedendo ad un ampio ridimensionamento dell'occupazione attraverso il ricorso ad incentivi all'uscita e al trasferimento di parte del personale nelle sedi di Reggio Calabria;
   se la tendenza è quella di impiegare altrove i lavoratori, anche giovani, che ricoprono ruoli nel campo della progettazione e della ricerca, a rischio potrebbe essere il futuro della stessa azienda insieme alla sua capacità di competere ed innovarsi;
   il silenzio dei vertici aziendali suscita grande preoccupazione per il futuro dell'azienda, per i suoi dipendenti e per l'indotto –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e intenda favorire un dialogo tra le parti interessate, al fine di apprendere quale siano le scelte industriali del gruppo Hitachi, adoperandosi affinché queste coincidano il più possibile con la necessità di garantire la continuità produttiva ed occupazionale della Ansaldo Breda di Pistoia, a beneficio del comparto ferroviario italiano;
   se il Governo sia a conoscenza dei potenziali costi che l'operazione potrebbe generare in riferimento ad eventuali licenziamenti e pensionamenti anticipati, nell'attuale contesto di grave crisi economica e sociale. (4-09650)


   CIRACÌ, POLIDORI, LUIGI CESARO, ABRIGNANI, FUCCI, LATRONICO, MOTTOLA, LAINATI, GIACOMONI, MARTI e DISTASO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2013 51 nazioni hanno sottoscritto il Trattato di Marrakech che, introducendo a livello internazionale una deroga al diritto d'autore, favorirebbe l'accesso di non vedenti ed ipovedenti ai contenuti del sapere digitali e non solo, consentendo la libera riproduzione, anche in assenza di copyright, di contenuti in formato accessibile in nome del principio di non discriminazione;
   il 30 aprile 2014, su autorizzazione dal Consiglio, l'Unione europea ha firmato il suddetto Trattato, ma nonostante l'articolo 218 del TFU conferisca all'unione europea competenza in materia di ratifica di accordi internazionali, aspetto confermato dalla Corte di giustizia in diversi casi pertinenti, alcuni Stati, come Italia e Germania, si sono mostrati riluttanti ritardando la ratifica del Trattato;
   nonostante le sollecitazioni europee e le interrogazioni presentate a Bruxelles nei mesi scorsi, l'Italia non ha ancora concluso l’iter di ratifica, come ha denunciato ancora recentemente l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti e l'European Blind Union, bloccando di fatto entrata in vigore del Trattato stesso;
   la Presidenza lettone, inoltre, in merito alla direttiva sull'accessibilità dei siti web degli enti pubblici, ha redatto una relazione intermedia, recentemente discussa dai 28 Ministri europei, che propone, fra le altre cose, che solo un numero limitato di siti web sia accessibile ai disabili, violando palesemente la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD) che prescrive parità di accesso alle informazioni;
   secondo le attuali discussioni in seno al Consiglio, inoltre, gli Stati membri starebbero discutendo la possibilità di escludere dal campo di applicazione della direttiva non soltanto tipi di siti web pubblici e siti web che forniscono servizi di interesse generale, ma anche alcuni tipi di contenuti come ad esempio video e documenti. Questo comporterebbe un'accessibilità solo superficiale ai siti web e l'impossibilità di scaricare documenti di approfondimento o moduli da compilare, nonostante il web oggi sia un luogo fondamentale per molti aspetti della vita quotidiana: cultura, occupazione, tempo libero, informazioni, istruzione e accesso ai servizi pubblici. Si negherebbe, dunque, alle persone con disabilità un diritto legittimo e fondamentale, quale quello di accesso alle informazioni su base di uguaglianza con tutti gli altri cittadini;
   nonostante siano trascorsi due anni dalla firma di Marrakech, come ha recentemente sottolineato il Presidente di EBU, Wolfgang Angermann, dopo gli emendamenti migliorativi adottati dal Parlamento europeo nel 2014 non sono stati fatti altri progressi «poiché i Ministri non hanno dato al dossier la priorità che merita – impedendo ai disabili – di accedere alle informazioni che tutti gli altri danno per scontate»;
   ad oggi, l'adozione di una direttiva europea sarebbe auspicabile anche per rispettare gli impegni politici assunti in passato con la dichiarazione Ministeriale del 2006 a Riga, l'Agenda digitale per l'Europa, il piano d'azione eGovernment 2011-2015, e la strategia europea sulla disabilità 2010-2020;
   come recentemente messo in luce dall'interrogazione parlamentare presentata a Bruxelles nel mese di marzo sul medesimo argomento «a livello mondiale soltanto l'1-5 per cento dei libri pubblicati è disponibile in un formato accessibile alle persone con disabilità visive. La ratifica del trattato di Marrakech da parte dell'Unione europea contribuirà ad affrontare tale penuria di libri, che impedisce a 250 milioni di persone di accedere alla cultura e all'istruzione» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti, se e quali iniziative intenda porre in essere per sollecitare la ratifica da parte italiana del Trattato di Marrakech, se intenda, di concerto con gli altri Ministri europei, impegnarsi per dare priorità in sede comunitaria al lavoro sulla direttiva per sostenere il diritto delle persone non vedenti alla parità di accesso alle informazioni e ai servizi online. (4-09671)


   PARENTELA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la centrale del Mercure, costruita nel 1962 tra le province di Potenza e Cosenza come centrale termoelettrica per la produzione elettrica, era costituita da 2 gruppi da 75 megawatt. Ad oggi, il primo è stato chiuso e dismesso nel 1993 mentre il secondo, chiuso nel 1997, è stato riconvertito a biomasse nel 2000 e depotenziato a 35 megawatt;
   il 25 settembre 2001 Enel Produzione spa ha presentato un progetto di riattivazione del gruppo della centrale termoelettrica riconvertito a biomasse a cui si sono fermamente opposti i cittadini della Valle del Mercure, l'Ente parco nazionale del Pollino nonché la regione Basilicata e la provincia di Potenza per via dei rischi per la salute connessi al funzionamento della centrale oltre ai danni economici che ne deriverebbero per il turismo;
   nonostante la sentenza n. 4400 del 2012 del Consiglio di Stato, depositata il 1o agosto 2012, abbia bocciato definitivamente il progetto di Enel, con decreto n. 16459 del 19 novembre 2012 la regione Calabria dipartimento n. 5/attività produttive, settore politiche energetiche ha autorizzato la riattivazione della sezione due della centrale contro il parere dell'Ente parco nazionale del Pollino, ente gestore del territorio su cui sorge la centrale;
   l'interrogante, da notizie a mezzo stampa, è venuto a conoscenza della decisione del Consiglio dei Ministri di dare il via libera alla riattivazione ed esercizio della Centrale del Mercure;
   la centrale ricade pertanto in un sito che può considerarsi tra i più tutelati del mondo. La fauna ivi residente – peraltro particolarmente protetta nelle sue diverse componenti – consta di ben 17 specie di uccelli in allegato I della direttiva 79/409/CEE, 3 in allegato II della medesima direttiva, 2 mammiferi in allegato B e D della direttiva 92/43/CEE (ovvero, prioritari per l'Unione europea), 3 specie di anfibi in allegato B e D (ugualmente prioritari), invertebrati; inoltre vi sono piante, e molte altre specie sia vegetali che animali da tutelare, che vanno a formare 11 unità ambientali zoologiche. Nelle zone limitrofe alla centrale esistono, poi, colture a marchio DOP: nei comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, infatti, si coltivano due prodotti pregiati che hanno ottenuto con decreto del 2 aprile del 2008 la protezione transitoria grazie alla quale i produttori possono utilizzare in ambito nazionale la denominazione DOP e precisamente: la melanzana rossa e i fagioli bianchi;
   la centrale richiede una considerevole quantità di legno vergine con un impatto insostenibile per la biodiversità del Parco;
   a parere dell'interrogante, delle associazioni ambientaliste e dei comitati che da anni si battono contro la riapertura della centrale occorre proteggere il prezioso e delicatissimo ambiente del parco nazionale del Pollino da un'iniziativa che arrecherebbe, direttamente e indirettamente – attraverso, ad esempio, il transito di ben oltre cento veicoli pesanti al giorno, necessari al trasporto dell'ingente quantità di biomassa necessaria ad alimentare la centrale, su strade, poste all'interno del perimetro del parco, assolutamente inidonee a sopportare un tale impatto veicolare – un danno gravissimo ed irreversibile, danneggiando così non soltanto aspetti naturalistici di grandissimo pregio, ma anche il concreto sviluppo economico ed occupazionale cui l'area del parco è, per sua stessa natura, vocata;
   i mezzi d'informazione hanno denunciato il pericolo di infiltrazioni criminali, in quanto il principale fornitore delle biomasse dell'Enel è stato più volte sottoposto a provvedimenti restrittivi per la frequentazione con ambienti della malavita calabrese;
   all'interrogante non risulta che ENEL abbia prodotto valutazioni dell'impatto delle emissioni della centrale sulla salute delle popolazioni residenti nella Valle del Mercure. Il presidente dell'Ordine dei Medici della Provincia di Potenza infatti ha sollecitato una Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS);
   ENEL inoltre, non ha prodotto valutazioni dell'impatto delle emissioni della centrale sulla salute delle popolazioni residenti nella Valle del Mercure. I Vertici dell'Associazione internazionale Doctors for Environment presente in 32 Paesi del mondo e riconosciuta da ONU e OMS sollecita una Valutazione di impatto sulla salute (VIS);
   non sono state fornite informazioni dettagliate sulle quantità di amianto rimosse dal gruppo sottoposto a bonifica, né sulle modalità della bonifica, né sul suo effettivo completamento alimentando voci che riportano la non completa rimozione dell'amianto che, si dice, sarebbe stato semplicemente ricoperto dal gruppo due della centrale. Altro motivo di allarme tra i cittadini sarebbe la presenza di cattivi odori nell'area circostante la centrale oltre a disturbi generali che hanno colpito nel maggio 2013 alcuni escursionisti;
   l'interrogante ha già ricordato nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-00116, presentato in data 14 maggio 2013, che «la centrale provoca l'immissione nell'aria di diossine, furani e polveri sottili presenti nei fumi di combustione con effetti cancerogeni a carico della popolazione locale e possibilità di contaminazione dei prodotti e colturo a marchio DOP. Vari studi hanno, infatti, evidenziato la presenza di diossine oltre i limiti ammessi nel latte e nei suoi derivati provenienti da allevamenti situati in prossimità di centrali a combustione di biomasse e inceneritori;
   studi condotti in Svezia (Molnar P, Gustafson P, Johannesson S, Boman J, Barregard L, Sallsten G: Domestic wood burning and PM2.5 trace elements: Personal exposures, indoor and outdoor levels. Atmospheric Environment 2005) evidenziano una maggiore esposizione a zinco, rame, piombo e manganese nelle famiglie che utilizzavano legno per il riscaldamento domestico; altri studi condotti su popolazioni esposte alle emissioni da combustione di biomasse evidenziano effetti sull'asma e sulla funzionalità respiratoria (Boman BC, Forsberg AB, Jarvholm BG: Adverse health effects from ambient air pollution in relation to residential wood combustion in modern society. Scand J Work Environ Health 2003); ulteriori studi condotti in Svezia evidenziano come le famiglie svedesi che utilizzano legna, rispetto ai controlli, hanno una maggiore esposizione a benzene e 1-3 butadiene (Gustafson P, Lars B, Bo S, Gerd S: The impact of domestic wood burning on personal, indoor and outdoor levels of 1,3-butadiene, benzene, formaldehyde and acetaldehyde. Journal of Environmental Monitoring 2007); l'Istituto nazionale ricerca sul cancro di Genova, ha evidenziato come nei Paesi appenninici dove l'uso della legna da ardere nelle stufe è diffuso, siano alte le concentrazioni di benzo(a)pirene e altri idrocarburi aromatici cancerogeni che notoriamente si producono durante le combustioni di biomasse. C’è da dire che la combustione di legna e altre biomasse solide in impianti industriali ad alta efficienza termica e con adeguati trattamenti dei fumi riduce queste emissioni, ma non le annulla» –: 
   quali provvedimenti intenda adottare il Ministro dell'ambiente al fine di proteggere il prezioso e delicatissimo ambiente del parco nazionale del Pollino, il cui straordinario ecosistema rischierebbe di essere gravemente compromesso dalla riattivazione della centrale;
   se non ritenga opportuno che vengano svolte delle verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di tutelare il diritto alla salute delle popolazioni della Valle del Mercure facendo chiarezza sulle attività connesse alla bonifica dell'amianto contenuto nei due gruppi costituenti la centrale;
   quali iniziative intendano adottare per evitare che gli elementi di contrasto con il quadro normativo comunitario possano determinare l'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia, con il rischio di dover sostenere i costi delle relative sanzioni pecuniarie. (4-09672)


   GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è opinione ormai diffusa che gli imprenditori cinesi lavoranti in Italia godano di un regime di tassazione agevolata che permetterebbe loro di praticare costi più bassi a danno delle imprese italiane, le quali non avendo gli strumenti per contrastare tali forme di concorrenza irregolare, rischiano di essere tagliate fuori dal mercato;
   negli anni sono nati interi quartieri con esercizi commerciali gestiti da cinesi, dove pochissimi imprenditori italiani riescono a sopravvivere pagando regolarmente le tasse e rispettando le regole della concorrenza;
   molti sostengono che questa falsa concorrenza sia stata caldeggiata proprio dal Governo italiano e, negli anni dal 2000 al 2005, con l'allora Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi, ad avviso dell'interrogante ha di fatto reso l'Italia una piattaforma logistica dell'Asia;
   gli anni della presidenza di Prodi coincidono, ad avviso dell'interrogante, con l'ascesa commerciale cinese in Italia e in Europa, la quale ha portato ad un'invasione nei mercati di prodotti a costi estremamente bassi e di scarsa qualità;
   il costo pagato dalle imprese e dai cittadini italiani è invece altissimo; molti imprenditori non sono riusciti a contrastare concorrenza sleale cinese e sono falliti, mentre i cittadini quotidianamente vengono ingannati su prodotti che acquistano, di provenienza cinese, i quali spesso sono realizzati senza alcun rispetto delle leggi in materia di sicurezza, ambiente, lavoro e contrasto allo sfruttamento della manodopera minorile;
   nel settembre del 2006 furono firmati accordi tra il Governo italiano e il Governo cinese riguardanti la ricerca, lo scambio di studenti universitari e ricercatori, le adozioni e il commercio; molti vedono in questi accordi l'inizio di una lenta e silenziosa invasione cinese in moltissime attività commerciali del Paese, favorita da un sistema di tassazione praticamente nullo, spesso accompagnato anche da forme di evasione –:
   se intendano far chiarezza in merito a quanto esposto in premessa e se siano a conoscenza dell'esistenza di forme di tassazione agevolata riconosciute nei confronti di imprenditori cinesi che svolgono un'attività commerciale in Italia, le quali pongono questi ultimi in una posizione di vantaggio rispetto agli imprenditori italiani, a danno dell'economia del Paese e della concorrenza. (4-09679)


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano: «Il Sole 24 ore», domenica 28 giugno 2015, sebbene l'Italia avesse rinunciato da anni, alla produzione di energia nucleare, tuttavia ha comunque il problema da risolvere legato alla necessità di smantellare le centrali nucleari oramai dismesse, riportandone i siti allo stato cosiddetto: «green fields», in cui la radioattività non sia più elevata di quella normalmente presente in ambiente;
   il medesimo articolo rileva inoltre come sussista, anche una considerevole quantità di rifiuti radioattivi che derivano anche da altre attività: dalla medicina nucleare, da lavorazioni industriali, che impiegano materie prime in cui è presente radioattività naturale e da altre fonti insospettabili (ad esempio i parafulmini prodotti fino agli anni 80, che contengono sostanze radioattive e pertanto vanno smaltiti con opportune precauzioni);
   risulta conseguentemente necessaria, secondo quanto evidenzia il richiamato articolo di stampa, la costruzione di un deposito nazionale per i rifiuti nucleari in grado di sostituire le decine di siti temporanei in cui le scorie sono attualmente stoccate, anche al fine di adeguare il nostro Paese, alle direttive europee che prescrivono tale adempimento (la maggior parte dei Paesi Ue ha già provveduto in tal senso), ma soprattutto per un elementare criterio di sicurezza;
   al riguardo si evidenzia infatti, che un sito unico può essere monitorato e mantenuto sicuro con efficienza molto maggiore rispetto all'attuale situazione frammentata;
   la costruzione del deposito, com’è noto, è stata affidata nel 2010 alla Sogin società pubblica, la cui gestione finanziaria assoggettata al controllo della Corte dei conti, interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, opera secondo gli indirizzi strategici formulati dal Ministero interrogato;
   la medesima società che si occupa della gestione dei rifiuti nucleari italiani, all'inizio di quest'anno ha consegnato all'Ispra (l'Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) la proposta di carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, il cui è iter attualmente in corso e sarà resa pubblica dopo l'estate, ovvero nel momento in cui i Ministeri interrogati, avranno dato il benestare;
   tale pubblicazione, secondo quanto evidenzia il direttore della Sogin avvierà la fase di consultazione pubblica che culminerà in un Seminario nazionale con tutti gli attori interessati, al fine di fornire tutte le informazioni necessarie con la massima trasparenza su tale infrastruttura, per dissipare le legittime preoccupazioni in tal senso;
   per la decisione relativa al deposito che dovrebbe sorgere in Italia, rileva il dirigente della Sogin, è stata utilizzata l'esperienza proveniente da altri Paesi, come la Francia, in cui un deposito di rifiuti nucleari a bassa e media attività equivalente a quello che pertanto dovrebbe essere realizzato nel nostro Paese, sorge nel dipartimento di Aube, distante 250 chilometri da Parigi, nel pieno di una zona agricola dedita alla produzione di champagne e altri prodotti di pregio;
   per riuscire ad ottenere un risultato simile a quello francese, prosegue lo stesso dirigente della Sogin, sarà necessario vincere la sfiducia nei confronti dell'amministrazione pubblica, che in Italia, a suo giudizio, senza motivo, è decisamente superiore a quella del confinante Paese transalpino;
   a parere dell'interrogante, quanto sostenuto dal direttore del deposito nazionale e parco tecnologico della Sogin, se da un lato risulta relativamente condivisibile con riferimento agli eccessivi livelli di insicurezza e di contrarietà da parte dell'opinione pubblica italiana, connessa al ritorno della produzione di energia nucleare nel nostro Paese, dall'altro occorre altresì approfondire con maggiore coerenza e linearità quali siano le politiche industriali e di sviluppo energetico per il Paese, con riferimento, in particolar modo, alle strategie in tema di energia, liberalizzazioni, che stante il quadro attuale risultano essere ondivaghe e confuse da parte del Governo in carica, anche in termini di prevenzione e trasparenza;
   a giudizio dell'interrogante inoltre, risulta altresì necessario, chiarire in termini più espliciti, ove fosse confermato il contenuto dell'articolo del quotidiano: «Il Sole 24 ore» in precedenza richiamato, quali criteri il Governo intenda perseguire ai fini dell'individuazione del sito per il deposito nazionale di scorie nucleari, in considerazione tra l'altro che la struttura geografica dell'Italia è nettamente differente da quella francese e peraltro ad alta vocazione agricola e turistica –:
   quali orientamenti intendano esprimere, per le parti di competenza propria, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intendano confermare il contenuto dell'articolo di stampa in precedenza richiamato, secondo cui tra pochi mesi, sarà designato il deposito nazionale di scorie nucleari in Italia;
   in caso affermativo, quali criteri i Ministri interrogati abbiano adottato al fine dell'individuazione di tale infrastruttura indubbiamente delicata dal punto di vista della sicurezza ambientale;
   se infine siano a conoscenza, della presenza di rappresentanti delle istituzioni regionali all'interno del seminario nazionale indicato in premessa, che segue l'avvio della consultazione pubblica nella quale sarà prevista l'individuazione del deposito di scorie. (4-09682)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Colletti e altri n. 1-00921, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cancelleri.

  La mozione Bergamini e altri n. 1-00922, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palese.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Venittelli e altri n. 7-00644, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Crivellari.

  La risoluzione in Commissione Da Villa n. 7-00718, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Crippa.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo n. 4-09503, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Micillo.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mariani n. 5-05896, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gnecchi.

  L'interrogazione a risposta scritta Sibilia e altri n. 4-09610, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Micillo.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Sberna n. 1-00924, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 451 del 30 giugno 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 52, comma 1, lettera g), del decreto-legge n. 69 del 2013, meglio conosciuto come «decreto del fare», ha novellato l'articolo 76, comma 1, del decreto del Presidente n. 602 del 1973, disciplinando l'interruzione delle procedure esecutive sugli immobili adibiti a «prima casa», intraprese da Equitalia;
    in base alla nuova disposizione, per bloccare le esecuzioni esattoriali, gli immobili devono rappresentare gli unici di proprietà del debitore, nonché devono essere adibiti ad uso abitativo e il contribuente vi deve risiedere anagraficamente;
    a seguito di un ricorso, avverso una sentenza, del tribunale di Milano che aveva accolto l'opposizione all'esecuzione immobiliare esattoriale avanzata da un contribuente nei confronti di Equitalia spa, avverso il pignoramento dell'usufrutto vitalizio di un appartamento, già adibito a casa coniugale, la terza sezione civile della Corte di cassazione con sentenza 12 settembre 2014, n. 19270, pur dichiarando inammissibile il ricorso per carenza di interesse, essendo intervenuta la richiamata norma, ha chiarito ulteriormente i confini di efficacia temporale di tale disciplina, stabilendo che la novella introdotta dal decreto-legge n. 69 del 2013 in materia di espropriazione della prima casa quando a procedere sia Equitalia, risulta applicabile ad ogni procedimento di esecuzione in corso, pure se intrapreso prima dell'emanazione della novella citata;
    nella sentenza, inoltre, la Corte di cassazione ha precisato che quando l'espropriazione immobiliare abbia ad oggetto l'unico bene di proprietà, non di lusso, ove il contribuente abbia stabilito la propria residenza, «l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente di riscossione»;
    la Corte di giustizia europea, con la sentenza del 10 settembre 2014, III sezione causa C-34/13, ha stabilito, ai sensi della direttiva 93/13/CEE relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, che, qualora la banca o istituto finanziario che sia abbia fatto firmare clausole abusive, l'ipoteca è nulla ed il pignoramento (come la successiva vendita all'asta) debbano essere bloccate, facendo di fatto prevalere il diritto all'abitazione nel caso di applicazione di clausole vietate dall'Unione europea. Le clausole abusive previste dalla direttiva 93/13/CEE, sono quelle che, malgrado il requisito della buona fede, determinano, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto;
    il fondo di solidarietà per i mutui prima casa istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, che consente la sospensione, fino a 18 mesi, del pagamento dell'intera rata del mutuo per l'acquisto dell'abitazione principale, non interviene nel caso in cui sia stata avviata da terzi una procedura esecutiva sull'immobile ipotecato e comunque prevede una serie di requisiti per il suo accesso che escluderebbe una vasta platea di interessati: la sospensione del pagamento della rata di mutuo, infatti, è subordinata al verificarsi di almeno uno dei seguenti eventi, relativi alla sola persona del mutuatario, intervenuti successivamente alla stipula del contratto di mutuo e accaduti nei tre anni antecedenti alla richiesta di ammissione al beneficio:
     a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;
     b) cessazione dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;
     c) morte o riconoscimento di handicap grave, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero di invalidità civile non inferiore all'80 per cento;

    inoltre per l'accesso è necessario avere un reddito Isee non superiore a 30.000 euro e un importo di mutuo non superiore a 250.000 euro per l'acquisto di un immobile non di lusso adibito ad abitazione principale;
    nonostante l'intervento delle norme e della giurisprudenza citate, cresce il numero di italiani che stanno perdendo la propria ed unica abitazione, per motivi collegati alla crisi (perdita del posto di lavoro, aumento del costo della vita ed altro);
    secondo i dati dell'Adusbef i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari nel 2014 sono stati quasi 5.500, 20 ogni giorno lavorativo, l'11,6 per cento in più rispetto al 2013. La cifra è stata ricavata dalle proiezioni sui dati raccolti in 35 tribunali italiani al 30 ottobre 2014. In 5 anni di crisi (2008-2013), per Adusbef e Federconsumatori, pignoramenti ed esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 108,1 per cento. Se venissero sommati gli aumenti dei pignoramenti dal 2006 al 2014, l'incremento sarebbe, per le associazioni citate, pari al 161,7 per cento in nove anni, che in termini assoluti equivarrebbe alla scomparsa di una città delle dimensioni di Ancona, Bolzano o Terni,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare iniziative di rango normativo volte ad individuare misure di natura economica per la gestione dei mutui ipotecari per la prima casa in sofferenza, con particolare riferimento ai nuclei familiari, soprattutto quelli numerosi, che si trovano in situazione di temporanea insolvenza;
   a prevedere l'istituzione, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica e nell'ambito delle dotazioni organiche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un organismo volto a verificare l'esatta dimensione del fenomeno del sovraindebitamento e individuare eventuali misure di contrasto, avendo particolare riguardo allo stato delle procedure esecutive di esproprio degli immobili adibiti a prima casa.
(1-00924)
(Nuova formulazione) «Sberna, Gigli, Capelli, Dellai».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   Interpellanza urgente Del Grosso n. 2-01015 del 23 giugno 2015.
   Interrogazione a risposta in Commissione Ottobre n. 5-05875 del 24 giugno 2015.
   Interrogazione a risposta in Commissione Paglia n. 5-05947 del 1o luglio 2015.
   Interrogazione a risposta immediata in Commissione Bechis n. 5-05956 del 1o luglio 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Losacco n. 5-05709 del 4 giugno 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01591.