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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 1 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'aggravamento della situazione economica delle famiglie italiane, dovuto al protrarsi della recessione da cui solo ora il Paese sembra cominciare a uscire, ha generato livelli di indebitamento sempre più rilevanti, grazie anche al basso livello dei tassi di interesse, che ha spinto molti a sottoscrivere finanziamenti e mutui per l'acquisto di beni e servizi;
    secondo dati recenti della Banca d'Italia quasi una famiglia su tre risulta aver contratto passività finanziarie, e molte di esse, per effetto del rallentamento nella dinamica dei redditi, conseguente alla recessione economica, hanno oggi notevoli difficoltà nel rimborsare tutto il debito contratto, mettendo così a repentaglio l'intero patrimonio, che costituisce la garanzia generale nei confronti dei creditori ai sensi dell'articolo 2740 del codice civile;
    con la legge 27 gennaio 2012, n. 3, è stata poi istituita la procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento, rivolta soprattutto alle famiglie, ai privati e alle società non fallibili, con la quale si è attuato un parziale superamento del principio di soggezione di tutti i beni del debitore, presenti e futuri, alle azioni dei creditori, ai sensi dell'articolo 2740 del codice civile. Queste disposizioni consentono, in particolare, sotto la supervisione di un giudice, un'effettiva ristrutturazione dei debiti contratti, con un bilanciamento corretto ed equilibrato, certo migliore di una moratoria generalizzata e riferita ad un'unica tipologia di beni, tra gli interessi dei creditori e le esigenze solidaristiche e di equità sociale. Con il deposito di una proposta di accordo di composizione della crisi, ovvero di un piano del consumatore, il giudice, in particolare, vagliate le condizioni di ammissibilità, può già disporre, in via cautelare, la sospensione dei procedimenti di esecuzione forzata, che dalla successiva data di omologazione dell'accordo o del piano non possono più essere iniziati o proseguiti. L'accordo può prevedere, inoltre, una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca;
    la legge non ha trovato fino ad oggi attuazione in ragione della mancanza dei decreti attuativi, in particolare di quelli destinati a stabilire le caratteristiche degli organismi di composizione della crisi, che hanno un ruolo centrale nella gestione di queste procedure, ma la mancanza è stata finalmente sanata con l'emanazione del decreto ministeriale 24 settembre 2014, n. 202, pubblicato il 27 gennaio 2015;
    per mettere al riparo le famiglie dal rischio di vedersi espropriare dai propri creditori anche beni essenziali come la prima casa, il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha stabilito che per i crediti di natura tributaria l'agente della riscossione non possa dar corso all'espropriazione se «l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente»: tali limitazioni sono state ritenute applicabili dalla giurisprudenza, che si è per prima occupata della materia anche ai procedimenti esecutivi già in corso alla data di entrata in vigore della norma (Corte di cassazione n. 19270 del 12.9.2014);
    l'insieme delle norme citate e, in particolare, il pieno dispiegarsi degli effetti della legge n. 3 del 2012 possono consentire di evitare i rischi di impoverimento e di esclusione sociale che deriverebbero dall'espropriazione forzata di beni essenziali come la prima casa di abitazione delle famiglie indebitate;
    al contrario, l'ipotesi di sospendere ex lege le procedure di espropriazione degli immobili adibiti ad abitazione principale presenterebbe profili di incompatibilità costituzionale, specie con gli articoli 41 e 42 della Costituzione, tenuto conto che le esigenze abitative delle famiglie in difficoltà finanziarie non possono tradursi in una compressione dei diritti privatistici dei creditori, ma devono, piuttosto, essere risolte attraverso politiche abitative;
    su tale tema, il Governo ha sin qui messo in campo importanti iniziative, a partire dal decreto-legge sull'emergenza abitativa n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, che hanno segnato la ripresa di una politica abitativa orientata a dare risposte ad un bisogno sempre più complesso e articolato, frutto di una significativa divaricazione avvenuta negli anni tra domanda e offerta di soluzioni adeguate ad una società in profonda trasformazione per composizione sociale, livello di reddito, distribuzione territoriale, tipologie familiari;
    inoltre, relativamente all'acquisto della prima casa, la Cassa depositi e prestiti spa ha messo a disposizione risorse per 2 miliardi di euro destinate al finanziamento, tramite mutui garantiti da ipoteca, dell'acquisto di immobili residenziali, nonché di interventi di ristrutturazione e miglioramento dell'efficienza energetica con priorità per le giovani coppie, i nuclei familiari di cui fa parte almeno un soggetto disabile e famiglie numerose; è stato previsto il rifinanziamento (40 milioni di euro) del fondo a favore dei mutuatari in difficoltà, che prevede la sospensione del pagamento delle rate del mutuo per un massimo di 18 mesi con oneri a carico del bilancio pubblico; per favorire la locazione, sono state varate misure di sostegno degli inquilini morosi incolpevoli ed è stato rifinanziato il fondo per l'accesso alle abitazioni in locazione; per quanto attiene, infine, il programma di recupero e razionalizzazione degli immobili ed alloggi di edilizia residenziale pubblica, è in fase attuativa quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80;
    tali misure necessitano tuttavia di essere rafforzate, sia sul fronte di una loro efficace implementazione (utilizzo effettivo delle risorse stanziate per il rifinanziamento del fondo sostegno affitti e fondo per la morosità incolpevole, avvio di un piano a breve termine per il recupero e l'utilizzo di alloggi di edilizia sociale oggi inagibili), sia con riguardo alla capacità di programmare interventi strutturali in un arco temporale di medio-lungo periodo, potendo contare anche su nuove linee di finanziamento europee (fondo europeo di sviluppo regionale e fondo sociale europeo per gli obiettivi di politica abitativa);
    sarebbe opportuno elaborare un programma pluriennale di offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati alle fasce più deboli e di messa a disposizione di patrimonio pubblico di edifici ed aree, al fine di coniugare la risposta al fabbisogno abitativo con la riqualificazione e la rigenerazione urbana;
    sarebbe, altresì, opportuno favorire l'aumento dell'offerta di alloggi in locazione, in particolare rafforzando il canale concordato, quale migliore strumento per contenere il livello degli affitti e favorire l'incontro tra domanda e offerta, anche attraverso una revisione della legge n. 431 del 1998 ed il rinnovo della convenzione nazionale sottoscritta nel 2001, nonché rivedere l'elenco dei comuni ad alta tensione abitativa, con l'inserimento di una serie importante di realtà territoriali sino ad oggi escluse,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di istituire un osservatorio sul sovraindebitamento, con all'interno enti e soggetti sia pubblici sia privati, dotati di competenze e professionalità specifiche, in grado di monitorare adeguatamente gli aspetti giuridici, sociali ed economici del fenomeno, con specifico riferimento alle procedure di espropriazione di immobili adibiti ad abitazione principale, per individuare le strategie più corrette per contrastarlo efficacemente;
   ad effettuare un attento monitoraggio sulla effettiva applicazione della legge n. 3 del 2012, al fine di valutarne l'efficacia e la necessità di eventuali correttivi;
   ad effettuare un'analisi approfondita ed aggiornata al fine di definire le misure da mettere in campo per arginare il fenomeno dei pignoramenti degli immobili adibiti ad abitazione principale;
   a procedere ad una verifica del progressivo stato di attuazione della legge 23 maggio 2014, n. 80, anche valutando l'opportunità di introdurre elementi correttivi ai fini di una maggiore efficacia e tutela delle fasce maggiormente in difficoltà per effetto della crisi economica, con specifico riferimento alla tutela dei nuclei familiari destinatari di provvedimenti di espropriazione di immobili adibiti ad abitazione principale.
(1-00928) «Bazoli, Braga, Causi, Amoddio, Berretta, Campana, Ermini, Giuliani, Greco, Giuseppe Guerini, Iori, Leva, Magorno, Marzano, Mattiello, Morani, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Verini, Zan, Mariani, Piazzoni, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».


   La Camera,
   premesso che:
    il G7 tenutosi a Elmau lo scorso 7 e 8 giugno 2015 ha riconosciuto l'importanza della garanzia dei migliori standard di salute possibili come uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano. Per questo motivo, i Paesi del G7, tra cui l'Italia, hanno ritenuto di impegnarsi fortemente per rafforzare i sistemi sanitari attraverso programmi bilaterali e strutture multilaterali;
    il caso Ebola ha dimostrato che bisogna comunque migliorare le capacità di prevenzione, di protezione e di risposta a emergenze che mettono rischio a livello globale la salute pubblica e ha evidenziato quanto siano cruciali una mobilitazione puntuale e il dispiegamento di appropriate capacità di risposta. Il G7 è dunque pronto a sostenere ogni rafforzamento dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) capace di aumentare il suo grado di prontezza a crisi complesse, riaffermando il ruolo centrale di questa istituzione;
    in quest'ottica il G7 sostiene l'implementazione del regolamento sanitario internazionale dell'Organizzazione mondiale della sanità e intende offrire assistenza ad almeno 60 Paesi, inclusi gli Stati dell'Africa Occidentale, per i prossimi cinque anni, sulla base delle competenze dei singoli Paesi e delle partnership esistenti. Un sostegno simile arriva dal G7 anche al piano della Banca Mondiale di sviluppare pandemic emergency facilities per convogliare rapidamente fondi a Governi, agenzie, organizzazioni non governative e altri attori e finanziare così il contenimento di pericolose epidemie prima che si trasformino in pandemie;
    un altro importante tema sollevato dal G7 a Elmau è la resistenza antimicrobica, una nuova minaccia globale da sconfiggere per il successo attuale e futuro della medicina umana e veterinaria. L'impegno dei 7 Paesi non si ferma a garantire sostegno al piano globale d'azione adottato dall'Organizzazione mondiale della sanità, ma coinvolge anche l'atteggiamento delle singole nazioni con i loro piani specifici, nella convinzione della necessità di un utilizzo prudente degli antibiotici e di uno stimolo alla ricerca per lo sviluppo di nuovi antibiotici e alle terapie alternative. Il tutto secondo un approccio integrato one health che tiene insieme salute, uomo, animale e ambiente;
    anche la lotta alle malattie tropicali neglette è entrata nell'agenda salute del G7, sancendo l'impegno per un investimento nella prevenzione e nel controllo di queste malattie anche grazie al sostegno alla mappatura e alla ricerca orientata a vaccini convenienti e di facile uso. Si tratta di un gruppo eterogeneo di malattie infettive croniche, che riguardano quasi esclusivamente le popolazioni che vivono in condizioni di estrema miseria nelle regioni in via di sviluppo dell'Africa, dell'Asia e delle Americhe. Ogni sforzo del G7 è mirato all'eliminazione di queste malattie nel 2020 anche attraverso un rifinanziamento nel 2016 del fondo globale contro Aids, tubercolosi e malaria;
    l'Italia, anche grazie alle proprie comprovate esperienze e competenze di livello internazionale, non può esimersi da un ruolo attivo e in prima linea su ogni punto discusso in occasione del G7,

impegna il Governo:

   a contribuire, nelle sedi opportune alla definizione del modello di riforma dell'Organizzazione mondiale della sanità ampiamente discusso e mai attuato, che porti alla riorganizzazione dell'Organizzazione mondiale della sanità nel contesto di una più ampia valutazione delle attività delle agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di emergenze (sanitarie e non) in ambito umano, animale, ambientale e di sicurezza;
   a promuovere modelli di cooperazione internazionale che includa anche il rafforzamento dei servizi sanitari dei Paesi a risorse limitate, anche attraverso la promozione di rapporti virtuosi con agenzie internazionali come Organizzazione mondiale della sanità, Food and Agricolture organization (FAO), Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE), Programma alimentare globale (WFP);
   a promuovere l'Italia come partner preferenziale nelle attività previste dalla Global Health Security Agenda promossa dal Governo degli Stati Uniti, anche in vista della posizione strategica dell'Italia per i Paesi del Mediterraneo;
   ad essere parte attiva nel partenariato verso enti pubblici e associazioni non governative nella prevenzione, nella diagnosi e nella risposta a emergenze epidemiche come Ebola;
   a declinare a livello nazionale secondo un approccio «one health» le indicazioni del G7 esposte nel documento «Sforzi congiunti per la lotta alla resistenza antimicrobica» in maniera tale da preservare, da un lato, l'efficacia degli antimicrobici esistenti e futuri e, dall'altro, promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuovi antimicrobici, vaccini, trattamenti alternativi, e strumenti di diagnosi rapida e precoce;
   a contribuire, economicamente e con le proprie risorse umane e di know how al piano di eradicazione globale delle malattie tropicali neglette, nell'ottica di un miglioramento delle condizioni di vita dei Paesi più poveri, da cui peraltro partono i flussi migratori verso il nostro Paese, con l'obiettivo di garantire condizioni sanitarie, ma anche complessivi contesti di vivibilità, che consentano a ciascun individuo di poter vivere aspettative esistenziali dignitose in qualsiasi nazione del mondo.
(1-00929) «Capua, Vargiu, Matarrese, Vitelli, Cimmino, Sottanelli, Quintarelli, Vecchio, Oliaro, Antimo Cesaro, Monchiero, Mazziotti Di Celso, Catania, Molea, Galgano, Rabino, Librandi, Pinna, D'Agostino, Bombassei».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto emerge da un'indagine dell'Associazione difesa utenti servizi bancari finanziari postali e assicurativi-Adusbef e dall'associazione Federconsumatori, anche nel corso del 2014 è proseguita la tendenza, in aumento, del fenomeno connesso ai pignoramenti e alle esecuzioni immobiliari, la cui quota a dicembre del 2014 ha raggiunto 52.606 procedure, con un aumento pari all'11,6 per cento, rispetto al 2013 (108,1 per cento considerando gli ultimi cinque anni);
    le rilevazioni delle analisi predisposte indicano, a tal fine, che dalle proiezioni sulle rilevazioni effettuate in 35 tribunali d'Italia, l'aumento maggiore si è registrato nella città di Modena con un +34 per cento, seguito da Sondrio (+33,3 per cento), Sulmona (+23,9 per cento), Frosinone (+22,1 per cento), Ferrara (+21,3 per cento), Pesaro (+20,4 per cento), Catania (+18,7 per cento), Monza (+15,2 per cento) e Cagliari (+14,9 per cento), mentre nelle grandi città: Bologna (+13,3 per cento), Torino (+10,8 per cento), Milano (+10,6 per cento), Roma e Napoli (+10,4 per cento);
    considerando la crescita vertiginosa delle procedure legate ai pignoramenti e alle esecuzioni immobiliari, (il cui aumento registrato in nove anni risulta pari al 161 per cento), nel complesso tali indicatori confermano un quadro economico delle famiglie italiane ancora fragile, il cui ulteriore riflesso della paralisi economica si riproduce nell'ambito delle sfere di competenza preposte alla vendita giudiziaria dell'espropriazione immobiliare;
    è più che evidente l'impossibilità di proseguire al pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti da parte delle famiglie e delle imprese in difficoltà: i recenti interventi legislativi volti alla sospensione temporanea, nonché al divieto di esproprio per la prima abitazione, non hanno quindi interrotto l'aumento dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari, rendendo necessarie ulteriori iniziative per tutelare espressamente chi rischia di perdere la prima casa, implementando le politiche abitative in vigore e contrastando con ogni mezzo la dimensione su scala nazionale del numero dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari;
    a tal fine, risultano necessarie altresì ulteriori iniziative normative nei confronti del sistema bancario, che ha beneficiato di 274,6 miliardi di euro di prestiti triennali al tasso dell'1 per cento dalla Banca centrale europea, ma che evidentemente persiste in un comportamento volto a rallentare le possibilità di accesso al credito da parte di famiglie e imprese,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta alla sospensione degli espropri relativi alla prima casa, e comunque tesa a rivedere i criteri che attualmente disciplinano i meccanismi e le procedure di espropriazione, valutando gli effetti applicativi delle disposizioni in vigore, evidentemente insufficienti, alla luce dei dati allarmanti citati in premessa;
   ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a rafforzare gli strumenti di garanzia dei cittadini nei confronti di provvedimenti di espropriazione di immobili adibiti ad abitazione principale, finalizzata innanzitutto alla tutela delle famiglie, in particolare qualora il debitore ed i componenti del nucleo familiare non siano proprietari di ulteriori unità immobiliari adibite ad abitazione;
   a prevedere interventi strutturali volti ad introdurre elementi di maggiore flessibilità nelle procedure di espropriazione, con specifico riferimento a quelle riferite ad immobili adibiti ad abitazione principale, nei confronti di coloro che, pur volendo ottemperare ai propri debiti fiscali e contributivi, non siano in grado di farlo per una comprovata e temporanea difficoltà finanziaria, determinata da un peggioramento della situazione economica oggettivo e indipendente dalla volontà del debitore stesso;
   ad adottare iniziative normative in tempi rapidi al fine di istituire un fondo, con dotazione annua pari ad 10 milioni di euro, per la remunerazione degli interessi per i creditori la cui procedura esecutiva immobiliare sia stata oggetto di sospensione ex lege;
   ad assumere iniziative nei confronti del sistema bancario, con riferimento alla gestione dei crediti deteriorati, individuando misure di sostegno e garanzia volte ad evitare la perdita della casa di abitazione in un periodo in cui la crisi finanziaria sta causando enormi difficoltà per famiglie e imprese.
(1-00930) «Palese».

Risoluzioni in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    il decreto 6 aprile 1994 del Ministro dell'interno, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 116 del 20 maggio 1994, riprendendo e sviluppando gli indirizzi contenuti nella «Raccomandazione del Consiglio delle Comunità Europee del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti» (86/666/CEE), fissava la regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere;
    la regola in oggetto poneva, in particolare a carico delle strutture ricettive turistico-alberghiere con capacità superiore a venticinque posti letto, richieste in parte ancor più esigenti di quelle contenute nella citata raccomandazione 86/666/CEE, imponendo talora interventi di adeguamento materialmente poco o per nulla praticabili, in particolare per quelle più piccole e situate nei centri storici, ovvero comportanti oneri dalla sostenibilità economica prevedibilmente molto problematica; tale regola, inoltre, dovendosi applicare in modo retroattivo, e richiedendo quindi il completo adeguamento anche per gli alberghi già conformatisi alle norme antincendio previgenti, prefigurava l'annullamento di tutte le autorizzazioni allora in essere;
    i principali ostacoli incontrati dalle strutture ricettive turistico-alberghiere per completare l'adeguamento, storicamente risultano riconducibili a:
     (a) difficoltà inerenti la realizzazione dei progetti di adeguamento, stante il fatto che la norma prevede provvedimenti ad hoc per ogni complesso alberghiero, secondo la situazione in cui versa la struttura, la sua posizione nel contesto urbano, l'altezza dell'immobile, la possibilità di spazi che permettano la posa in opera di manufatti esterni alla struttura stessa;
     (b) difformità nelle normative urbanistiche comunali legate alla pianificazione del territorio;
     (c) asserita eccessiva onerosità degli adempimenti, soprattutto per quelle strutture (e sono la maggior parte) con redditività esclusivamente stagionale, per le quali risulta problematica la sovrapposizione tra l'attuazione degli obblighi inerenti la sicurezza e le necessità di aggiornare strutturalmente gli alberghi, a livello di arredi e di servizi vari, in un mercato che impone standard qualitativi elevati per poter competere;
     (d) mancata identità tra proprietà dell'immobile e attività di gestione della struttura turistico-ricettiva; specialmente nei contratti di affitto di azienda, la responsabilità ricade quasi esclusivamente in capo all'affittuario e, sottostando questi già all'incombenza di onerosi canoni di affitto, si determina la situazione in cui l'affittuario non può provvedere per motivi economici, e la proprietà raramente interviene in quanto non responsabile di sanzioni dirette;
     (e) assenza di qualsivoglia forma di incentivo di carattere finanziario, soprattutto in considerazione dei tempi di ammortamento generalmente troppo brevi proposti dal sistema bancario negli ordinari sistemi di finanziamento, situazione modificatasi solo con il credito d'imposta previsto dal decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, e successive modificazioni, disciplinato e reso accessibile solo dal recentissimo decreto 7 maggio 2015 del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
    la situazione determinata dalle predette circostanze, nota al Legislatore, fu verosimilmente tra le principali ragioni che lo indussero a prevedere, con l'articolo 3-bis del decreto-legge 23 novembre 2001, n. 411, come convertito dalla legge 31 dicembre 2001, n. 463, una proroga al 31 dicembre 2004 dei termini previsti alle lettere b) e c) del punto 21.2 del citato decreto ministeriale del 9 aprile 1994, nonché, con lo stesso articolo, a incaricare il Ministro dell'interno di aggiornare le disposizioni del medesimo decreto relative alle attività ricettive esistenti, «avendo particolare riguardo alle esigenze di quelle ubicate nei centri storici»;
    in attuazione della suddetta norma, il decreto 6 ottobre 2003 del Ministro dell'interno, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 239 del 14 ottobre 2003, provvedeva all'aggiornamento delle disposizioni di prevenzione incendi, di cui al citato decreto 9 aprile 1994, integrando quelle riguardanti le attività ricettive turistico-alberghiere già esistenti; tali modifiche, tuttavia, non risolsero la situazione, in quanto, almeno a parere della platea interessata dal provvedimento, non rimuovevano molti degli elementi più problematici in misura sufficiente a dissipare le gravi criticità incontrate dagli operatori per il completamento delle opere di adeguamento;
    l'articolo 14 del decreto-legge 9 novembre 2004, n. 266, come convertito dalla legge 27 dicembre 2004, n. 306, rinviava di un anno, cioè al 31 dicembre 2005, il termine previsto dal citato decreto-legge n. 411 del 2001, specificando, in un secondo comma aggiunto in fase di conversione del provvedimento, che «la proroga del termine [...] per il completamento dell'adeguamento si applica alle strutture ricettive esistenti per le quali sia stato presentato, entro il 30 giugno 2005, al comando provinciale dei vigili del fuoco, il progetto di adeguamento per l'acquisizione del parere di conformità previsto dall'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37»;
    il decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, all'articolo 5 posticipava il medesimo termine «al 31 dicembre 2006 per le imprese che abbiano presentato la richiesta di nulla osta ai vigili del fuoco entro il 30 giugno 2005»;
    con l'articolo 3, comma 4, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, come convertito dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, il termine veniva «ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2007 per le imprese che abbiano presentato la richiesta di nulla osta ai vigili del fuoco entro il 30 giugno 2005»;
    il decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, come convertito dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, con l'articolo 3 disponeva che l'anzidetto termine «per completare l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell'interno [...] 9 aprile 1994 [...] è prorogato al 30 giugno 2008», specificando che tale prescrizione si applicava «alle strutture ricettive per le quali sia stato presentato, entro il 30 giugno 2005, al Comando provinciale dei Vigili del fuoco competente per territorio, il progetto di adeguamento per l'acquisizione del parere di conformità previsto dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37». Il medesimo termine veniva ulteriormente rinviato al 30 giugno 2009 dall'articolo 4-bis, comma 10, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129;
    l'articolo 23, comma 9, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, interveniva non solo per posporre il termine di cui sopra al 31 dicembre 2010, ma ne estendeva l'applicazione «anche alle strutture ricettive per le quali venga presentato, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, al Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio, il progetto di adeguamento per l'acquisizione del parere di conformità previsto dall'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37»;
    il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, al comma 1 dell'articolo 1 disponeva la proroga del termine anzidetto al 31 marzo 2011, prevedendo altresì la facoltà di ulteriore rinvio al 31 dicembre 2011 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, rinvio che effettivamente si ebbe con provvedimento del 25 marzo 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 31 marzo 2011;
    il decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, all'articolo 15, comma 7, procrastinava di ulteriori due anni, cioè fino al 31 dicembre 2013, il termine «per le strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre venticinque posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell'interno del 9 aprile 1994 [...] che non abbiano completato l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi e siano ammesse, a domanda, al piano straordinario biennale di adeguamento antincendio, approvato con decreto del Ministro dell'interno da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto»;
    l'articolo 11 del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, come convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, introduceva, al comma 1, una nuova posticipazione del termine in parola al 31 dicembre 2014, e disponeva altresì, al comma 2, che «con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, si provvede ad aggiornare le disposizioni del citato decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994, semplificando i requisiti ivi prescritti, in particolare per le strutture ricettive turistico-alberghiere fino a cinquanta posti letto»;
    da ultimo, l'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, come convertito dalla legge 27 febbraio 2015, n. 1, estendeva la proroga di cui al punto precedente fino al 31 ottobre 2015, termine a tutt'oggi in vigore;
    la lunghissima catena di proroghe appena descritta costituisce una prova difficilmente refutabile che la disciplina specifica è stata delineata non tenendo in adeguata considerazione la sua effettiva applicabilità; il fatto che le proroghe siano un espediente deplorevole per aggirare una difficoltà non significa che essa non sussista, significa solo che essa merita una nuova soluzione organica che tenga conto nella giusta misura di tutti i fattori oggettivi rilevanti;
    la tempestività del menzionato decreto, da adottarsi da parte del Ministro dell'interno, per la semplificazione dei requisiti in particolare per le strutture fino a cinquanta posti letto, la cui scadenza di termine ordinatorio è superata da oltre tredici mesi al momento del deposito della presente risoluzione, risulta evidentemente determinante per approntare per tempo gli interventi di adeguamento da parte delle strutture ricettive, nonché per consentire agli operatori di effettuare le valutazioni circa fattibilità, costi e tempi di tali interventi, volte a determinare se ricorrano, caso per caso, le condizioni per proseguire l'attività, o invece non risulti conveniente ovvero materialmente obbligata la cessazione dell'attività stessa;
    tale decreto, quand'anche la sua emanazione fosse molto prossima, non lascerebbe a gran parte delle strutture ricettive turistico-alberghiere interessate il tempo materiale per provvedere all'adeguamento nel termine di legge;
    nella «Relazione della Commissione sull'applicazione della Raccomandazione del Consiglio del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti (86/666/CEE)» [COM(2001) 348 definitivo], si riferiscono le parole contenute nel rapporto conclusivo di uno studio svolto su incarico della Commissione, scritte dieci anni dopo l'emanazione della raccomandazione: «la metà dei Paesi della comunità non ha accettato misure con effetto retroattivo. Queste disposizioni sono prese in conto solo al momento dei lavori di risistemazione di modifica o di ampliamento». Aggiunge inoltre la relazione: «l'impatto che la raccomandazione ha avuto sulle regolamentazioni nazionali dipende in gran parte dal livello di protezione già esistente al momento dell'approvazione della raccomandazione. Taluni Stati membri (Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Finlandia, Regno Unito, Lussemburgo e Paesi Bassi) hanno scelto di limitare l'applicazione delle disposizioni della raccomandazione agli alberghi di nuova costruzione o al momento dell'esecuzione di lavori di risistemazione, di modifica o di ampliamento dei vecchi»;
    da quanto testé riportato, risulta che l'orientamento «pro retroattivo» dell'Italia (e della Francia, a quanto si legge nella relazione in parola) di prevedere un rapido adeguamento a requisiti ancor più restrittivi di quelli minimi contenuti nella raccomandazione anche per le strutture già in attività, indipendentemente dalla circostanza che esse intraprendano o meno lavori di risistemazione, modifica o ampliamento, non è l'unico seguito dagli Stati membri. Inoltre, la lunghissima catena di proroghe susseguitesi, con prassi improntata a una mentalità in sé disdicevole, rappresenta un implicito riconoscimento del Legislatore che l'approccio inizialmente imposto non fosse probabilmente idoneo a un territorio contraddistinto da una proliferazione unica di città e borghi storici con centri di alto valore artistico e paesaggistico, ma dall'impianto urbanistico morfologicamente refrattario a stravolgimenti e superfetazioni degli edifici che incidano oltre una misura piuttosto limitata, soprattutto in considerazione del denso e non sempre coerente apparato normativo dei vincoli storico paesistici, sovente contraddittori ma ineludibili;
    ad oggi, non consta ai firmatari della presente risoluzione l'esistenza di un documento ufficiale che rappresenti con certezza la situazione statistica in merito all'adeguamento degli alberghi esistenti, giacché, alle richieste specifiche indirizzate da svariati soggetti alle competenti Direzioni e ai Comandi dei vigili del fuoco, non avrebbe, a quanto ci consta, fatto riscontro la presentazione di alcun dato organico in merito;
    i pochi dati pubblici in materia, ci risultano derivare da un rilievo effettuato dal Comando provinciale dei vigili del fuoco di Rimini, risalente al 19 ottobre 2013 (circa 10 anni dopo l'aggiornamento della disciplina operato con il decreto del Ministro dell'interno 6 ottobre 2003), e presentato in occasione di un convegno nazionale sulla prevenzione incendi, svoltosi durante l'edizione 2013 della manifestazione «ECOMONDO», dal quale si desumeva che, nella provincia di Rimini (una provincia, notoriamente, con grande e avanzata vocazione alberghiera): a) le strutture alberghiere (nuove ed esistenti) pienamente conformi alle disposizioni del decreto 9 aprile 1994 (quindi in possesso di certificato di prevenzione incendi, o che avessero presentato la SCIA) erano circa il 17 per cento del totale; b) gli alberghi in regola ai fini dell'esercizio (quelli di cui al punto precedente più quelli ammessi al piano straordinario di adeguamento) risultavano circa il 54,1 per cento del totale; c) gli alberghi che avevano presentato domanda al piano straordinario di adeguamento, ma non vi erano ancora stati ammessi, costituivano il 34,9 per cento del totale; d) gli alberghi che non risultavano in alcun modo in regola, cioè che non avevano neppure presentato domanda di ammissione al piano straordinario di adeguamento, rappresentavano circa l'11,8 per cento del totale;
    in uno studio statistico del dipartimento dei vigili del fuoco del 19 luglio 2009, denominato «Aggiornamento dello Studio sugli incendi negli alberghi in Italia e raffronto con la Gran Bretagna (U.K.)», curato dal dirigente superiore ingegner Maurizio D'Addato, si afferma che «l'incidenza della mortalità nell'ambito degli esercizi alberghieri è nell'ordine di 10-9, mentre l'incidenza dei feriti è nell'ordine di 10-7»; le statistiche dei vigili del fuoco, pertanto, mostrano che, nel periodo del decennio dal 1999 al 2008, la mortalità per incendio negli alberghi italiani è mediamente pari al valore di una persona ogni miliardo di presenze, che risulta nettamente inferiore alla frequenza di 10-6 (uno su un milione) che, in paesi evoluti come l'Olanda, è considerata la soglia di accettabilità (o meglio, il limite per considerare trascurabile il rischio) anche per elementi ritenuti vulnerabili;
    in base alle risultanze di tale studio, e tenendo conto che una elevatissima percentuale di alberghi non si era adeguata alle disposizioni di prevenzione incendi, se ne arguisce che l'applicazione integrale delle disposizioni del decreto 9 aprile 1994 con ogni probabilità causerebbe una ulteriore riduzione di frequenze di accadimento che sono tuttavia già ben inferiori alle frequenze incidentali rilevate in altre attività che pur si ritengono adeguatamente regolamentate sotto il profilo delle misure antincendio;
    qualsiasi incremento di sicurezza rappresenta in se stesso un obiettivo auspicabile ma, ad avviso dei firmatari, in questo ambito è mancato un confronto che consentisse allo Stato, udite le parti interessate con modalità trasparenti, di compiere un esame attento e obiettivo volto a determinare, sulla base di dati certi e completi che consentano di effettuare accurate valutazioni di impatto, il punto ottimale di contemperamento tra incrementi di sicurezza da richiedersi a partire da livelli già soddisfacenti e loro sostenibilità in rapporto sia ai valori di conto economico dei soggetti obbligati, sia in riferimento ai vincoli materiali e giuridici eventualmente posti dalla ubicazione delle rispettive strutture turistico-ricettive;
    secondo una comunicazione diramata nel giugno 2012 dall'ufficio B3, «Product and service safety», della Direzione generale salute e consumatori della Commissione europea, risulterebbe esplicito il proposito di valutare la possibilità di una revisione della raccomandazione 86/666/CEE. Ciò, oltre a offrire all'Italia una occasione che non va sprecata di mettere parola sull'opportunità di tale revisione e sulla sua auspicabile direzione, prefigurerebbe un perlomeno parziale scostamento dagli indirizzi della raccomandazione 86/666/CEE, con il rischio aver fatto impegnare gli operatori del settore alberghiero in pesanti opere di adeguamento che potrebbero entro breve termine o perdere il loro carattere di perentoria necessità ovvero, più probabilmente, conoscere variazioni o incrementi tali che, se il conseguente adeguamento fosse stato programmabile fin dal principio congiuntamente a quelli già preventivati o in loro parziale modifica, la sua gravosità organizzativa o economica sarebbe potuta essere complessivamente inferiore;
    da quanto risulta ai firmatari della presente risoluzione, nella fin troppo lunga fase di gestazione del tuttora mancante decreto previsto dall'articolo 11, comma 2, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, come convertito dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, inteso a semplificare i requisiti prescritti nella disciplina vigente, «in particolare» (e quindi non solo) «per le strutture ricettive turistico-alberghiere fino a cinquanta posti letto», non è stata promossa dalle strutture dell'amministrazione competente alcuna consultazione con le organizzazioni che rappresentano le parti interessate, né tanto meno si è mai aperto un tavolo tecnico che potesse vagliare le misure in oggetto mediante un confronto su comparazione dei livelli di rischio e valutazioni di impatto, argomentate in base a dati il più possibile sicuri, ufficiali e completi,

impegna il Governo:

   a promuovere, entro 90 giorni dall'approvazione della presente risoluzione, un tavolo tecnico composto dalle rappresentanze di tutte le parti interessate, con un termine lavori di 180 giorni dalla prima convocazione, finalizzato non solo a fissare parametri utili alla redazione del provvedimento di semplificazione atteso e a individuare gli elementi da portare in Commissione europea per la eventuale revisione della raccomandazione del 1986, ma soprattutto a operare una revisione della disciplina di regolamentazione della materia che sia informata agli esiti di un realistico confronto su: principi europei e obiettivi attuali della regolamentazione nazionale; effettivi livelli di sicurezza attuali; incrementi di sicurezza ottenibili e relativi oneri in rapporto ai differenti livelli e modelli di redditività dell'attività turistico-ricettiva; comparazione intersettoriale tra i livelli di sicurezza antincendio ammessi dalla disciplina di prevenzione antincendi nazionale vigente negli altri settori e ambiti; comparazione con le soluzioni relative alla prevenzione antincendio per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere degli altri Stati dell'Unione europea, in rapporto ai rispettivi dati reali sull'incidenza del rischio; vincoli non economici all'adeguamento;
   a sottoporre le risultanze dei lavori del tavolo tecnico sopra menzionato alle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica competenti per materia, consentendo una discussione con formulazione di suggerimenti non vincolanti da parte di esse;
   a rendere quanto prima disponibile alle medesime Commissioni un documento che, in base a quanto consta all'amministrazione competente, riferisca analiticamente e in modo aggiornato sul complessivo stato di adeguamento alle disposizioni contenute nella vigente regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere da parte degli alberghi italiani;
   a farsi promotore di un provvedimento che, nelle more della conclusione dei lavori del suddetto tavolo tecnico, consenta di: a) limitare l'applicazione integrale delle disposizioni antincendio vigenti al momento dell'esecuzione di lavori di risistemazione, di modifica o di ampliamento; b) applicare, per gli alberghi tra i venticinque e i cinquanta posti letto, la disciplina a oggi prevista per quelli fino a venticinque posti letto.
(7-00718) «Da Villa».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio disciplina la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori stabilendo che le indicazioni relative al Paese d'origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale Paese d'origine o luogo di provenienza del prodotto. Inoltre, prevede che in etichetta si debba evidenziare il Paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento quando questo è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario oppure quando il Paese d'origine o il luogo di provenienza dell'ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell'alimento;
    per alcuni alimenti, l'articolo 26 del regolamento prevede l'indicazione obbligatoria dell'origine (per esempio, per le carni bovine, suine, ovine e avicole), mentre per il latte, il latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari, gli alimenti non trasformati, i prodotti a base di un unico ingrediente e gli ingredienti che rappresentano più del 50 per cento di un alimento prevede che la Commissione presenti al Parlamento europeo e al Consiglio delle relazioni sulla applicabilità e sulla opportunità dell'indicazione obbligatoria;
    per tale ragione nel corso del 2014, la Commissione europea ha commissionato uno studio, che ha previsto indagini e studi di casi su consumatori, operatori del settore alimentare e autorità competenti degli Stati membri, nonché l'analisi di altre fonti disponibili nel settore e il 20 maggio 2015 ha pubblicato due distinte relazioni presentate al Consiglio dei ministri dell'agricoltura del 16 giugno 2015:
     la prima tratta l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente e degli ingredienti che rappresentano più del 50 per cento di un alimento;
     la seconda riguarda l'indicazione obbligatoria del Paese di origine del latte, del latte utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari e dei tipi di carni diverse dalle carni della specie bovina, suina, ovina, caprina e dalle carni di volatili;
    le relazioni ipotizzano tre scenari in ordine all'indicazione obbligatoria dell'origine:
     mantenimento dello status quo normativo (etichettatura di origine volontaria);
     introduzione di un'etichettatura di origine obbligatoria con indicazione a livello di UE/NON UE o Paese terzo;
     introduzione di un'etichettatura di origine obbligatoria a livello di Stato membro/Paese terzo;
    a parere della Commissione europea, per entrambe le relazioni, le informazioni sull'origine dei prodotti alimentari fornite facoltativamente dagli operatori costituirebbero per i consumatori una «valida opzione che non impone oneri supplementari all'industria e alle autorità»;
    secondo la Commissione, l'etichettatura di origine obbligatoria comporterebbe maggiori, quanto imprecisati, oneri per la maggior parte dei prodotti esaminati e, pertanto, il problema consisterebbe nel valutare se l'equilibrio tra costi e benefici sia tale da giustificare l'indicazione obbligatoria medesima;
    più specificatamente, per il settore del latte, nonostante i consumatori abbiano mostrato interesse per l'origine del prodotto con indicazione dello Stato membro, a parere della Commissione la disponibilità a pagare un prezzo maggiore per avere tali informazioni sarebbe modesta;
    una recente consultazione pubblica promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha evidenziato, invece, che i consumatori italiani vogliono conoscer sempre l'origine delle materie prime. In particolare, su alcuni prodotti: sul latte fresco (il 95 per cento degli intervistati), sui prodotti lattiero-caseari, come yogurt e formaggi (il 90 per cento, degli intervistati). Inoltre, l'82 per cento di coloro che si sono espressi ha dichiarato di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell'origine e della provenienza del prodotto;
    anche nel caso del latte da consumo, ove i costi per l'indicazione di origine obbligatoria sarebbero piuttosto modesti, il rapporto non ne propone l'attuazione perché l'impatto tra gli operatori non sarebbe uniforme; alcuni di questi sarebbero, secondo il report presentato dalla Commissione, costretti ad introdurre ulteriori sistemi di rintracciabilità, con un aumento significativo dei costi, soprattutto per le aziende ubicate nelle regioni frontaliere o nelle zone non autosufficienti nel settore del latte;
    l'indicazione dell'origine della materia agricola prevalente rappresenta una condizione fondamentale per informare correttamente il consumatore; un'informazione di questo tipo è necessaria, in nome del principio della trasparenza e non si pone in conflitto con le norme che regolano il libero mercato;
    nel caso del latte destinato al consumo diretto, i vari sistemi di etichettatura volontaria utilizzati da diversi Paesi membri dell'Unione europea, per quanto non uniformi, evidenziano l'importanza attribuita dai consumatori all'indicazione dell'origine della materia prima;
    tra l'altro, rendere obbligatoria l'indicazione dell'origine del latte destinato al consumo non comporterebbe alcun aumento di costi, tenuto conto delle regole attualmente in vigore, peraltro frutto della fine del regime delle quote, e i problemi segnalati dalle relazioni sono facilmente superabili senza costi aggiuntivi;
    il consumatore europeo si trova, oggi, nell'assurda situazione di non poter conoscere se un formaggio è prodotto con latte fresco o con latte in polvere, in quanto nelle etichette questa informazione non è prevista; in aggiunta, l'Italia si trova in una procedura di infrazione, in quanto la normativa nazionale non consente l'utilizzo di latte in polvere per la produzione di formaggio;
    si tratta di una situazione inaccettabile, perché da una parte non si consente all'Italia di salvaguardare una tradizione casearia millenaria, e dall'altra si impedisce di informare correttamente il consumatore, il quale sarebbe molto interessato a sapere se la principale materia utilizzata nella produzione di formaggi o di yogurt sia costituita da latte fresco o da latte in polvere;
    alla luce di quanto sopra esposto le conclusioni delle relazioni della Commissione, in particolare quella sul latte sono molto deludenti e assolutamente non condivisibili. Il nostro Paese non può accettare il mantenimento dello status quo che non soddisfa le aspettative dei consumatori, desiderosi di informazioni chiare e trasparenti, non creando favorevoli condizioni di competitività alle imprese italiane, le quali sono pronte ad organizzarsi al meglio per fronteggiare le sfide di un mercato globale;
    il Governo italiano sostiene da tempo che l'indicazione obbligatoria di origine dei prodotti agricoli ed alimentari deve costituire una priorità per le politiche dell'Unione europea, poiché si tratta di una grande opportunità per le imprese europee, ma anche di un fondamentale principio di concorrenza dei mercati – dove la competitività passa necessariamente anche attraverso azioni serie ed incisive di contrasto alle frodi – e di trasparenza per i consumatori;
    da molti anni l'Italia ha come priorità politica l'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima in etichetta e per tale motivo nel corso degli anni sono state emanate diverse normative in materia;
    in particolare, la legge n. 4 del 2011 prevede l'obbligatorietà dell'indicazione di origine dell'ingrediente primario per i prodotti alimentari trasformati, da realizzarsi attraverso l'emanazione di appositi decreti da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. L'attuazione di tale legge è attualmente sospesa in attesa dell'emanazione, a livello europeo, degli atti esecutivi della Commissione europea in materia di indicazione dell'origine dell'ingrediente primario, che la Commissione europea non ha ancora adottato, malgrado il termine originariamente previsto al 13 dicembre 2014 (articolo 26, paragrafo 3, regolamento (UE) n. 1169/2011);
    inoltre, già dal 2004 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha previsto l'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima nel caso del latte fresco, ma i tentativi di allargare anche al latte UHT tale previsione sono falliti, poiché nel frattempo è cambiata la normativa europea e l'iter di emanazione di norme nazionali è diventato molto più complesso;
    con il decreto-legge n. 91 del 2014 il Governo ha quindi avviato per alcuni prodotti, tra cui il latte e i prodotti lattiero-caseari, il procedimento previsto dall'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, che consente di normare l'indicazione dell'origine nei casi di protezione del consumatore dalle frodi, previa consultazione pubblica e dimostrazione del nesso tra territorio e produzione del prodotto;
    attualmente il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha concluso con successo la consultazione pubblica alla quale affiancherà un'indagine a valenza statistica e procederà con il CRA allo studio del legame con il territorio;
    un'altra iniziativa messa in campo per valorizzare l'indicazione dell'origine in etichetta è il logo «Latte 100 per cento italiano». Si tratta di un marchio collettivo geografico facoltativo, di proprietà di Unioncamere;
    è quindi necessario – date le peculiarità delle produzioni agroalimentari italiane – proseguire nello sforzo di allargare la platea dei prodotti e degli alimenti sottoposti all'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima, pur nella valutazione attenta e puntuale delle possibili criticità che potrebbero emergere in alcuni settori, in particolare quelli degli alimenti trasformati e non trasformati;
    la storica posizione dell'Italia sul tema, come delineata nelle premesse che precedono, trova tuttavia opposizione in alcuni settori economici e istituzionali che condividono le sollecitazioni della Commissione europea a favore dell'etichettatura d'origine facoltativa;
    tra le ipotesi più in linea con la posizione della Commissione europea, condivise anche da alcune istituzioni centrali, vi è quella secondo cui sarebbe preferibile un approccio settoriale, che consenta l'estensione del regime di etichettatura d'origine obbligatoria eventualmente ai soli prodotti di cui all'articolo 26, paragrafo 5, lettera a), quali carni minori (cavallo, coniglio, selvaggina) fresche confezionate che residuano rispetto a quelle per le quali l'obbligo è già disciplinato (carni bovine, suine, ovine e di volatili) ed il latte da bere di cui alla lettera b) del regolamento (UE) n. 1169/2015;
    secondo tale orientamento, con riguardo agli alimenti non trasformati, si ritiene che vada effettuata un'analisi caso per caso, valutando l'impatto che gli eventuali nuovi obblighi avrebbero sulla produzione, e si esprime parere contrario all'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima per i prodotti trasformati;
    in sostanza, tale posizione si porrebbe in contrasto con qualsiasi norma generale che imponga l'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima, e, in particolare, quando la norma generale riguardi alimenti trasformati, ponendosi in tal modo in contraddizione con gli impegni più volte assunti dal Governo anche in sede parlamentare;
    vanno considerate l'importanza dell'etichettatura per i produttori e i consumatori italiani e l'importanza essenziale di un maggiore coordinamento istituzionale delle iniziative e delle decisioni a tutela degli interessi italiani in campo agroalimentare,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le opportune iniziative in sede europea affinché la Commissione europea non si limiti a fare proprie le indicazioni derivanti dalle due relazioni di cui in premessa, considerando seriamente le esigenze espresse dalla maggioranza dei consumatori e dei produttori del settore agricolo, in materia di origine dei prodotti, con particolare riferimento al latte;
   a garantire un maggiore e continuativo coordinamento istituzionale, con particolare riferimento alle posizioni da assumere in sede europea, a tutela degli interessi italiani, assicurando la completezza e la trasparenza relativamente all'etichettatura dei prodotti agroalimentari.
(7-00719) «Oliverio, Sani, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   oggi, martedì 30 giugno, il giornale «L'Unità», la storica testata fondata da Antonio Gramsci, dopo una lunga assenza, è tornato in edicola;
   la scorsa estate, la società che pubblicava il giornale, Nuova Iniziativa Editoriale, nonostante i 60 milioni di contributi pubblici incassati nel corso dei suoi 14 anni di gestione, aveva portato i libri in tribunale e il giornale aveva sospeso la pubblicazione;
   la trasmissione televisiva Report, in un eccellente servizio giornalistico, ha ricostruito la surreale vicenda che aveva portato alla chiusura del giornale del quale il Partito Democratico, nonostante detenesse appena lo 0,1 per cento delle azioni, controllava la linea editoriale;
   nel servizio di Report viene evidenziato che i debiti dell’Unità, pari a 125 milioni di euro, attraverso un'abile operazione, erano stati trasferiti quasi totalmente allo Stato;
   il direttore dell’Unità è il dottor Erasmo D'Angelis, esponente del Partito Democratico, già Sottosegretario di Stato nel Governo Letta; che al momento attuale riveste l'incarico di coordinatore responsabile della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, presso la presidenza del Consiglio, come confermato dalla pagina web di «Italiasicura» all'interno del portale del Governo –:
   se il Governo non intenda revocare l'incarico di coordinatore responsabile della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche e comunque escludere qualsiasi incarico nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri in capo al dottor Erasmo De Santis posto che appare del tutto inopportuno che il giornale del quale il principale partito di Governo, attraverso la fondazione Eyu, detiene il 20 per cento sia diretto proprio da un dirigente presso la Presidenza del Consiglio, dando vita ad un inquietante corto circuito tra politica, istituzioni e media. (3-01588)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, TERZONI, MICILLO, MANNINO e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ICSID, il Centro internazionale di risoluzione delle dispute, l'Italia deve rispondere per la prima volta nella sua storia ad una denuncia causata da un ISDS (Investor-state dispute settlement), cioè il meccanismo di risoluzione delle controversie internazionali tra investitore e stato, al centro delle polemiche per il suo possibile inserimento nel TTIP, il Trattato Transatlantico tra Unione europea e Stati Uniti;
   la possibilità di adire all'arbitrato privato dell'ICSID la offre l’Energy Charter Treaty, il trattato di liberalizzazione dell'energia che prevede l'istituzione di un organismo di risoluzione delle controversie tra investitori privati e Stati;
   l'ICSID chiarisce come tre investitori di energie rinnovabili (il belga Blusun S.A., il francese Jean-Pierre Lecorcier e il tedesco Michael Stein) abbiano denunciato la Repubblica italiana per la revisione del sistema incentivante sull'energia fotovoltaica. Il caso che riguarda l'Italia è stato anche inserito in un dossier della Commissione Juri del Parlamento europeo del 2014;
   il tribunale si è costituito il 12 giugno 2014 con la francese Dentons Europe come consulente di parte per gli investitori;
   per l'8 maggio scorso era attesa la memoria difensiva dell'Avvocatura dello Stato, ma il silenzio del Governo sull'ISDS, non permette di capire come stia procedendo la causa. L'interrogante teme che tale mancanza di informazioni possa essere collegata al negoziato in corso relativo al TTIP;
   la prossima settimana si terrà la riunione straordinaria sul TTIP della Commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo –:
   se il Governo non ritenga urgente e necessario fornire informazioni puntuali sullo stato attuale della procedura giudiziaria relativa alla denuncia sopracitata;
   se il Governo non ritenga necessario prendere una posizione chiara verso la contrarietà a qualsiasi arbitrato internazionale dal TTIP, ISDS privato o pubblico, alla plenaria del Parlamento europeo.
(5-05924)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la DIRETTIVA 2014/60/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 15 maggio 2014 dispone norme relativamente alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012 (rifusione);
   il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali in conformità al trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Ai sensi dell'articolo 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, le pertinenti disposizioni sulla libera circolazione delle merci lasciano impregiudicati i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale;
   ai sensi e nei limiti dell'articolo 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, gli Stati membri mantengono il diritto di definire il proprio patrimonio nazionale e di prendere le misure necessarie per garantirne la protezione. Tuttavia, l'Unione svolge un ruolo prezioso nell'incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di proteggere il patrimonio culturale d'importanza europea di cui fanno parte i patrimoni nazionali;
   la direttiva 93/7/CEE ha istituito un sistema che permette agli Stati membri di ottenere la restituzione nel proprio territorio dei beni culturali che sono classificati come beni del patrimonio nazionale ai sensi dell'articolo 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che appartengono alle categorie comuni di beni culturali di cui all'allegato di tale direttiva, che sono usciti dal loro territorio in violazione delle disposizioni nazionali o del regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio. Tale direttiva disciplinava anche i beni culturali classificati come patrimonio nazionale che fanno parte integrante delle collezioni pubbliche o degli inventari delle istituzioni ecclesiastiche ma non rientrano in tali categorie comuni;
   la direttiva 93/7/CEE ha istituito una cooperazione amministrativa tra gli Stati membri per quanto riguarda i loro patrimoni nazionali, in stretto collegamento con la loro cooperazione con l'Interpol e altri organismi competenti nel settore delle opere d'arte rubate, prevedendo in particolare la registrazione di beni culturali perduti, rubati o usciti illecitamente e facenti parte dei loro patrimoni nazionali e delle loro collezioni pubbliche;
   la procedura prevista dalla direttiva 93/7/CEE ha costituito un primo passo verso la cooperazione tra Stati membri in questo settore nell'ambito del mercato interno, al fine di un ulteriore riconoscimento reciproco delle legislazioni nazionali in materia;
   il regolamento (CE) n. 116/2009, insieme alla direttiva 93/7/CEE, ha introdotto un sistema dell'Unione per la tutela dei beni culturali degli Stati membri;
   l'obiettivo della direttiva 93/7/CEE era di assicurare il rientro materiale dei beni culturali nello Stato membro dal cui territorio tali beni erano usciti illecitamente, a prescindere dai diritti di proprietà applicabili a tali beni. L'applicazione di tale direttiva ha, tuttavia, messo in luce i limiti del sistema destinato a ottenere la restituzione di tali beni culturali. Le relazioni sull'applicazione della direttiva ne hanno rivelato una scarsa applicazione a motivo, in particolare, della ristrettezza del suo ambito di applicazione risultante dalle condizioni stabilite nel suo allegato, dei termini brevi per l'avvio di un'azione di restituzione e dei costi legati alle azioni di restituzione;
   l'ambito di applicazione della presente direttiva dovrebbe estendersi a qualsiasi bene culturale classificato o definito da uno Stato membro, in applicazione della legislazione nazionale o delle procedure amministrative nazionali, come patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale ai sensi dell'articolo 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   la direttiva emanata dalla Commissione europea contempla pertanto beni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o numismatico o valore scientifico, siano essi parte di collezioni pubbliche o di altro tipo oppure singoli elementi, siano essi provenienti da scavi regolari o clandestini, purché siano classificati o definiti come patrimonio nazionale. Inoltre, i beni culturali classificati o definiti come patrimonio nazionale non dovrebbero più appartenere a categorie o rispettare le soglie di antichità e/o di valore per poter essere restituiti a norma della presente direttiva;
   il rispetto della diversità dei sistemi nazionali di protezione dei patrimoni nazionali è riconosciuto dall'articolo 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Al fine di promuovere la fiducia reciproca, lo spirito di cooperazione e la mutua comprensione tra gli Stati membri, è opportuno determinare la portata del termine «patrimonio nazionale» nel quadro dell'articolo 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   gli Stati membri dovrebbero inoltre facilitare la restituzione dei beni culturali nello Stato membro dal cui territorio detti beni sono usciti illecitamente a prescindere dalla data di adesione di tale Stato membro e dovrebbero garantire che la restituzione dei beni in questione non generi costi irragionevoli;
   gli Stati membri dovrebbero poter restituire beni culturali diversi da quelli classificati o definiti come patrimonio nazionale a condizione che rispettino le disposizioni pertinenti del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché beni culturali usciti illecitamente anteriormente al 1o gennaio 1993;
   è necessario intensificare la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri per favorire un'applicazione più efficace e uniforme della presente direttiva. A questo fine, è opportuno imporre di cooperare in modo efficiente tra di loro e di scambiarsi informazioni sui beni culturali usciti illecitamente attraverso l'uso del sistema di informazione del mercato interno («IMI») previsto dal regolamento (UE) n. 1024/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio (6). Per migliorare l'attuazione della presente direttiva, è opportuno creare un modulo del sistema IMI specificamente concepito per i beni culturali. È altresì auspicabile che le altre autorità competenti degli Stati membri utilizzino, ove opportuno, lo stesso sistema;
   è stato ritenuto altrettanto opportuno portare il termine per esercitare l'azione di restituzione a tre anni a decorrere dalla data in cui lo Stato membro dal cui territorio il bene culturale è uscito illecitamente viene a conoscenza del luogo in cui si trova il bene culturale e dell'identità del suo possessore o detentore. L'estensione di tale termine dovrebbe facilitare la restituzione e scoraggiare l'uscita illecita di beni del patrimonio culturale. A fini di chiarezza, è opportuno precisare che il termine per esercitare l'azione comincia a decorrere dalla data in cui viene a conoscenza dei fatti l'autorità centrale dello Stato membro dal cui territorio il bene culturale è uscito illecitamente;
   sulla prevenzione e il contrasto dei reati a danno dei beni culturali, adottate il 13 e 14 dicembre 2011, il Consiglio Europeo ha riconosciuto la necessità di adottare misure volte a rafforzare l'efficacia della prevenzione della criminalità relativa ai beni culturali e della lotta contro tale fenomeno. Ha raccomandato alla Commissione di prestare sostegno agli Stati membri per tutelare in modo efficace i beni culturali al fine di prevenirne e combatterne il traffico illecito e, ove opportuno, di promuovere misure complementari. Inoltre, il Consiglio ha raccomandato agli Stati membri di prendere in considerazione la ratifica della convenzione dell'Unesco concernente le misure da adottare per interdire e impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, firmata a Parigi il 17 novembre 1970, e della convenzione dell'UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati, firmata a Roma il 24 giugno 1995;
   le conseguenze dell'acquisizione di un bene culturale di provenienza illecita secondo la direttiva saranno davvero dissuasive solo se il pagamento dell'indennizzo è accompagnato dall'obbligo per il possessore del bene di dimostrare l'esercizio della diligenza richiesta;
   al fine di favorire un'interpretazione uniforme della nozione di diligenza richiesta;
   la presente direttiva si applica alla restituzione dei beni culturali classificati o definiti da uno Stato membro tra i beni del patrimonio nazionale, che sono usciti illecitamente dal territorio di tale Stato membro;
   la direttiva dispone e disciplina i seguenti significati:
    «bene culturale»: un bene che è classificato o definito da uno Stato membro, prima o dopo essere illecitamente uscito dal territorio di tale Stato membro, tra i beni del «patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale» secondo la legislazione nazionale o delle procedure amministrative nazionali, ai sensi dell'articolo 36 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
    «bene uscito illecitamente dal territorio di uno Stato membro»: un bene:
     a) uscito dal territorio di uno Stato membro in violazione delle norme di detto Stato membro sulla protezione del patrimonio nazionale oppure in violazione del regolamento (CE) n. 116/2009;
     b) non rientrato dopo la scadenza del termine fissato per una spedizione temporanea lecita o un bene che si trova in situazione di violazione di una delle altre condizioni di tale spedizione temporanea;
     3) «Stato membro richiedente»: lo Stato membro dal cui territorio è uscito illecitamente il bene culturale;
     4) «Stato membro richiesto»: lo Stato membro nel cui territorio si trova il bene culturale che è uscito illecitamente dal territorio di un altro Stato membro;
     5) «restituzione»: il rientro materiale del bene culturale nel territorio dello Stato membro richiedente;
     6) «possessore»: la persona che detiene materialmente il bene culturale per proprio conto;
     7) «detentore»: la persona che detiene materialmente il bene culturale per conto altrui;
     8) «collezioni pubbliche»: le collezioni, classificate come pubbliche conformemente alla legislazione di uno Stato membro, di proprietà di tale Stato membro, di un'autorità locale o regionale situata in tale Stato membro oppure di un ente che sia situato nel territorio di tale Stato membro, a condizione che il suddetto ente sia di proprietà di detto Stato membro o di un'autorità locale o regionale, oppure che sia finanziato in modo significativo dagli stessi;
   i beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro sono restituiti secondo la procedura e le modalità stabilite dalla direttiva;
   l'autorità centrale competente dello Stato membro richiedente informa senza indugio l'autorità centrale competente dello Stato membro richiesto in merito all'azione avviata per assicurare la restituzione del bene in questione –:
   se il Governo non intenda attivarsi al fine del più rapido recepimento di tale direttiva, senza ulteriori indugi;
   se non intenda il Governo provvedere all'applicazione delle norme contenute nella stessa direttiva per quanto riguarda i contenziosi, anche nelle more dell'adozione della stessa direttiva;
   se non intenda intervenire ed invocare l'applicazione di tale direttiva nel caso dei reperti di archeologia nuragica oggetto di denuncia per la vendita all'asta di Londra perseguendo la totale restituzione di tale patrimonio appartenente alla grande civiltà nuragica della Sardegna;
   se non intenda per quanto di competenza assumere iniziative per perseguire in tutti i modi gli autori di violazioni della direttiva e compiere un'azione urgente al fine di identificare e classificare in base alla direttiva tutti i beni sottratti al patrimonio culturale e illegittimamente detenuti e messi in vendita. (5-05933)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2014) ai sensi (articolo 13, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234) presentata dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei recita: «Senza pretesa alcuna di esaustività, si possono segnalare, sulla scorta della Relazione consuntiva 2014, anche i risultati conseguiti in alcuni altri settori strategici per gli interessi dell'Unione e del nostro Paese, a partire dall'agricoltura. Su iniziativa della Presidenza italiana, il Consiglio ha innanzitutto risposto alle “contro-sanzioni” russe in campo agricolo individuando alcune misure volte ad arginare il loro impatto sulle produzioni europee, con particolare riguardo ai settori dell'ortofrutta e lattiero-caseario. Sono stati inoltre portati avanti i lavori sul regolamento per la produzione biologica e l'etichettatura dei prodotti biologici nonché sull'accesso alla terra e al credito dei giovani»;
   tale richiamo teso alla valorizzazione e tutela delle produzioni agricole, con particolare riferimento a quelle lattiero casearie, costituisce un elemento imprescindibile per lo sviluppo economico di un settore trainante e decisivo per l'economia della regione Sardegna;
   la Commissione europea con una diffida allo Stato Italiano chiede all'Italia di abrogare una legge che vieta l'utilizzo di latte in polvere nella produzione di formaggi;
   il 28 maggio la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia invitandola a modificare le disposizioni della legge n. 138 dell'11 aprile 1974 recante «nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana» che sancisce il divieto di utilizzo e di detenzione di latte in polvere e latte ricostituito al fine della produzione di prodotti caseari;
   secondo tale norma è vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare:
    a) latte fresco destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari al quale sia stato aggiunto latte in polvere o altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
    b) latte liquido destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari ottenuto, anche parzialmente, con latte in polvere o con altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
    c) prodotti caseari preparati con i prodotti di cui alle lettere a) e b) o derivati comunque da latte in polvere;
    d) bevande ottenute con miscelazione dei prodotti di cui alle lettere a) e b) con altre sostanze, in qualsiasi proporzione;
   tale norma prevede sostanzialmente che in Italia i formaggi si possano produrre solo con il latte;
   si tratta una norma di tutela e nel contempo tesa alla valorizzazione della unicità del prodotto lattiero caseario;
   la diffida della Commissione è l'ennesima imposizione di una Europa incapace di affrontare emergenze come l'emigrazione, ma che si rivela pronta ad assecondare le grandi lobby che puntano ad abbassare gli standard qualitativi dei prodotti alimentari solo al fine di elevare i profitti a scapito della qualità;
   a rischio non ci sarebbero le Dop ma tale modifica potrebbe alla fine intaccare anche tale tutela e finirebbe comunque per intaccare e minare la stessa immagine dei formaggi tutelati con forme particolari di riconoscimento –:
   se non ritenga il Governo di dover intervenire al fine di tutelare e valorizzare la tipicità dei prodotti lattiero caseari prodotti sul territorio italiano, con particolare riferimento a quelle aree, come la Sardegna, che hanno una specificità riconosciuta anche attraverso le Dop;
   se non ritenga di dover tutelare tali produzioni attraverso la legge n. 138 dell'11 aprile 1974 e garantirne la piena applicazione;
   se non intenda porre in essere urgenti azioni, e quali, tese a difendere, tale norma in ambito europeo e invitando la commissione europea a ritirare la diffida in materia. (5-05935)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Siria dal 15 marzo 2011 vive una terribile guerra per procura alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi dove, finora, sono morte più di 220.000 persone tra civili e militari;
   vista la situazione di caos, sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria e il sedicente Stato Islamico (Isis);
   è stato documentato da diversi media in Turchia, così come dal dipartimento di Stato americano, il coinvolgimento dei servizi segreti turchi nel passaggio dei terroristi in Siria;
   l'Isis continua a ricevere i proventi dalla vendita di petrolio alla Turchia a un prezzo ridotto (come documentato da vari analisti e reporter di guerra) e dai reperti archeologici saccheggiati in Siria e Iraq e poi rivenduti sui mercati europei;
   da quanto si apprende da fonti giornalistiche, la Giordania favorisce il passaggio di terroristi sul suolo siriano (http://italian.irib.ir);
   Israele accoglie i terroristi feriti in Siria e, come documentato dai media israeliani, offre loro supporto logistico per tornare nei campi di battaglia siriani;
   dal mese di aprile 2015, l'Isis e il Fronte al-Nusra hanno proseguito la loro avanzata in Iraq e Siria, occupando prima la città di Ramadi in Iraq, e successivamente le città di Idlib e Palmira in Siria;
   l'inviato dell'Onu in Siria, Staffan De Mistura, ha ribadito più volte che il presidente siriano Bashar al-Assad è parte della soluzione alla crisi siriana e che sarebbe necessario un maggior coordinamento con le forze armate siriane contro le organizzazioni terroristiche Isis e al-Nusra, avendo acquisito nel tempo importanti informazioni di intelligence;
   la cosiddetta coalizione anti-Isis a guida americana non solo si è dimostrata inconcludente, ma, come nel caso dell'occupazione di Palmira, ha mostrato addirittura un chiaro atteggiamento non interventista, quasi benevolo;
   la cosiddetta coalizione nazionale siriana è divisa e lacerata da divisioni al suo interno tra continue liti e scandali per sottrazione di fondi; attualmente, ha un riscontro minimo di popolarità sul suolo siriano e la sua formazione militare, il Free Syrian Army, è ormai parte integrante delle organizzazioni terroristiche presenti sul territorio siriano;
   la Repubblica araba siriana non è isolata: è riconosciuta all'ONU, dai Paesi cosiddetti B.R.I.C.S., dai Paesi membri dell'Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), dall'Iran, Algeria, Libano, Kuwait e altri Paesi che stanno rivedendo la loro posizione, e che, nel complesso, rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per il ripristino delle relazioni diplomatiche con la Repubblica araba siriana;
   quali iniziative intenda adottare il Governo affinché sia posto fine al sostegno che Paesi come Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Israele, Giordania, offrono ai suddetti gruppi terroristici nel territorio siriano. (4-09641)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con la legge 257 del 27 marzo 1992, l'Italia ha messo al bando l'amianto vietando l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto. Previa autorizzazione espressa d'intesa fra i Ministri dell'ambiente, del lavoro e della sanità, è ammessa la deroga ai divieti per una quantità massima di 800 chilogrammi per amianto sotto forma di treccia o di materiale per guarnizioni non sostituibile con prodotti equivalenti disponibili;
   l'amianto è una sostanza particolarmente cancerogena perché può provocare due diverse malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, ed il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione addirittura di pochissime fibre;
   in Italia sono oltre quattromila le vittime dell'esposizione alla pericolosa fibra e nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza del mesotelioma, è previsto un forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025;
   secondo quanto si apprende da organi di stampa, l'Italia ha importato nel 2012 ingenti quantità di amianto dall'India, addirittura come maggiore importatore con 1040 tonnellate. Il dato è stato anche confermato dall'Agenzia delle dogane;
   il materiale, 1040 tonnellate nel biennio 2011-2012, sarebbe finito in una decina di imprese sparse in tutto il territorio nazionale, e trasformato o impiegato nella produzione di vari manufatti: lastre di fibracemento, pannelli, guarnizioni per freni e frizioni di autoveicoli. L'Agenzia delle dogane, interpellata dalla procura, non solo ha confermato l'ingresso dell'asbesto nel territorio nazionale, ma ha anche aggiunto che le importazioni sono continuate anche nel 2014;
   il caso è stato segnalato alla procura di Torino grazie ad un bollettino ufficiale pubblicato dal Governo indiano, in particolare dall'ufficio centrale del Ministero delle risorse minerarie dal titolo: «Indian Minerals Yearbooks 2012 – Asbestos – Final Release». In questo report ufficiale sono elencati le quantità estratte di asbesto con le relative destinazioni finali, dove l'Italia è indicata come principale partner commerciale;
   delle 1296 tonnellate di amianto esportate tra il 2011 e il 2012, la maggior parte è finita proprio nel nostro Paese. Al secondo posto c’è il Nepal, con 124 tonnellate e al terzo la Nigeria con 38 poi il Kenya, con 28 e il Ghana, con 15. L'India, stando alla relazione, è uno dei paradisi mondiali dell'asbesto, che fa largo uso del materiale. Solo fra il 2011 e il 2012 ne ha importato per un totale di 365 mila tonnellate in prevalenza dalla Russia (51 per cento) ma anche dal Kazakhstan (18 per cento), dal Brasile (13 per cento) e dal Canada (7 per cento);
   recentemente un reportage televisivo è tornato su questa tematica, seppur in anni differenti ma successivi all'entrata in vigore della legge 257 del 27 marzo 1992, riferendosi ad importazioni e utilizzo di amianto da parte di un'importante azienda italiana per fornitura destinate alla guardia di finanza –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte;
   quali azioni intenda intraprendere per quanto di competenza al fine di fare chiarezza sulla vicenda e accertare eventuali autorizzazioni da parte del Governo nel biennio 2011-2012;
   quali siano e con quali scopi le importazioni attualmente autorizzate e quali dall'entrata in vigore della legge 257 del 27 marzo 1992.
(2-01019) «Lavagno, D'Incecco, Albanella, Marchetti, Grassi, Fanucci, Sgambato, Miotto, Iacono, La Marca, Porta, Cominelli, Valeria Valente, Tullo, Giuseppe Guerini, Marchi, Gadda, Di Salvo, Gribaudo, Gandolfi, Ragosta, Braga, Marzano, Simoni, Pilozzi, Paris, Matarrelli, Quaranta, Carnevali, Migliore, Taricco».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, TERZONI, MICILLO, MANNINO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha recepito la direttiva 2007/2/CE mediante il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 32, «Attuazione della direttiva 2007/2/CE, che istituisce un'infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea (INSPIRE)», approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 ottobre 2009 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 56 del 9 marzo 2010 (Suppl. Ordinario n. 47);
   il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 32, e successive modificazioni e integrazioni consente allo Stato italiano di partecipare all'infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea (INSPIRE) per gli scopi delle politiche ambientali e delle politiche o delle attività che possono avere ripercussioni sull'ambiente, stabilendo norme generali per lo scambio, la condivisione, l'accesso e l'utilizzazione, in maniera integrata con le realtà regionali e locali, dei dati necessari, al fine di migliorare la qualità, l'organizzazione, l'accessibilità e la condivisione delle informazioni territoriali, in modo da assistere le autorità preposte a una più puntuale definizione delle politiche e delle attività che possono avere un impatto diretto o indiretto sull'ambiente nonché di consentire ai cittadini interessati di accedere alle informazioni territoriali e ai relativi servizi;
   l'articolo 11 della direttiva INSPIRE ha previsto che gli Stati membri, entro il mese di novembre 2011, avrebbero dovuto istituire e gestire una rete per la prestazione di una serie di servizi per i set di dati territoriali e i servizi ad essi relativi tra i quali i servizi di ricerca che secondo quanto previsto dalla lettera a) del primo comma del citato articolo consentono «[..] di cercare i set di dati territoriali e i servizi ad essi relativi in base al contenuto dei metadati corrispondenti e di visualizzare il contenuto dei metadati»;
   i suddetti servizi, secondo quanto previsto dalle disposizioni attuative della direttiva INSPIRE, devono essere inseriti in un registro apposito in modo tale che possano essere interrogati e resi disponibili attraverso il portale europeo di INSPIRE accessibile al sito web www.inspiregeoportal.ec.europa.eu;
   il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 32, e successive modificazioni e integrazioni, all'articolo 3, comma 2, designa il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare quale autorità nazionale competente per l'attuazione e l'ISPRA quale struttura di coordinamento anche ai fini del raccordo con la rete europea d'informazione e di osservazione in materia ambientale;
   il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 32 e successive modificazioni e integrazioni all'articolo 5, comma 1, prevede che il Repertorio nazionale dei dati territoriali (RNDT) previsto dall'articolo 59 del Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005 e successive modificazioni) costituisce il catalogo nazionale dei metadati relativi ai set di dati territoriali e ai servizi ad essi relativi e, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, costituisce un servizio di ricerca al fine di cercare i set di dati territoriali e i servizi ad essi relativi in base al contenuto dei metadati corrispondenti e di visualizzare il contenuto dei metadati;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, all'articolo 23, comma 12-quaterdecies, prevede che: «...la catalogazione e la raccolta dei dati geografici, territoriali ed ambientali generati da tutte le attività sostenute da risorse pubbliche è curata da ISPRA» e che «...con decreto del Presidente della Repubblica, sulla base di una intesa tra Presidenza del Consiglio – Dipartimento della protezione civile, Ministero della difesa, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e regioni, adottata dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definite le modalità per la gestione della piattaforma e per l'accesso, l'interoperatività e la condivisione, anche in tempo reale, dei dati e delle informazioni in essa conservati, e gli obblighi di comunicazione e disponibilità dei dati acquisiti da parte di tutti i soggetti che svolgono tale attività con il sostegno pubblico, anche parziale». Il catalogo ISPRA risulta a oggi federato con il RNDT, assicurando una piena e reciproca interoperabilità;
   il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 32 e successive modificazioni e integrazioni, all'articolo 6, comma 3-bis, prevede che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Consulta nazionale per l'informazione territoriale e ambientale, per il tramite della piattaforma di cui all'articolo 23, comma 12-quaterdecies, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, provvede affinché le informazioni, compresi i dati, i codici e le classificazioni tecniche, necessarie per garantire la conformità alle disposizioni di esecuzione di cui al comma 1, siano messe a disposizione delle autorità pubbliche o dei terzi a condizioni che non ne limitino l'uso a tal fine;
   il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 32 e successive modificazioni e integrazioni, all'articolo 7, comma 5, prevede, che nell'ambito del Sistema informativo nazionale ambientale (SINA) di cui alla legge 61 del 1994 avvenga la progressiva integrazione dei set di dati territoriali relativi a INSPIRE, a cura di ISPRA, con il fine di assicurare l'interoperabilità dei set di dati e dei servizi ad essi relativi;
   l'importanza del Sistema informativo nazionale ambientale, presso ISPRA e con la titolarità dell'intero Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, viene sottolineata anche dal disegno di legge n. 1458, all'articolo 11, sull'istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, già approvato dalla Camera dei deputati il 17 aprile 2014;
   nel quadro descritto risulta all'interrogante che ad oggi, l'Italia e il Ministero competente non abbiano ancora comunicato, ai fini dell'integrazione nel portale europeo i riferimenti ai richiamati servizi e che questo abbia prodotto da parte della Commissione europea in data 6 aprile 2015 l'apertura di un accertamento d'infrazione inviando la lettera di messa in mora articolo 258 TFUE (n. IT 7519/15/ENVI). A seguito di ciò il Ministero per mezzo di un suo consulente, in data 21 maggio 2015, ha risposto, comunicando via posta elettronica, che l'unico catalogo Nazionale è il Geoportale Nazionale, che contiene 311 metadati a fronte dei 17133 presenti nel RNDT (allegato 3 – Rapporto sul Monitoring); questo rispondendo solo in parte alle richieste formali della Commissione europea. Tale atto, se accertato, non assolvendo in pieno alle richieste della Commissione, porterà l'Italia alla sanzione amministrativa per infrazione con un aggravio di spesa di diversi milioni di euro. La registrazione del catalogo RNDT viceversa, oltre che essere richiesta dall'attuale quadro normativo, da un lato produrrebbe degli effetti virtuosi, poiché darebbe visibilità alle informazioni territoriali esistenti in Italia, incentivando la realizzazione di servizi innovativi da parte di pubbliche amministrazioni e soggetti privati e, dall'altro, risulterebbe estremamente semplice considerando che il nostro Paese ha da anni implementato un catalogo di metadati, così come previsto dal Codice dell'amministrazione digitale –:
   se il Ministro non ritenga di comunicare ufficialmente alla Commissione europea anche i riferimenti del catalogo nazionale dei metadati (Repertorio nazionale dei dati territoriali) gestito dall'Agenzia per l'Italia Digitale che è integrato con le consistenti attività di ISPRA in materia, permettendo di fornire una rappresentazione molto più esaustiva del patrimonio informativo dei dati territoriali, geografici e ambientali;
   se il Ministro non ritenga di nominare un nuovo punto di contatto nazionale ufficiale per INSPIRE verso la Commissione europea a sostituzione del dottor Fabio Annunziata, che dal marzo 2014 risulta non più nei ruoli del Ministero, riconoscendo il contributo degli altri soggetti nazionali, in particolare il ruolo di ISPRA quale struttura di coordinamento per l'implementazione di INSPIRE e valorizzando il ruolo della piattaforma di cui articolo 23, comma 12-quaterdecies, del decreto-legge n. 95 del 2012 come convertito dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012, di cui altresì fa esplicito riferimento il disegno di legge n. 1458 congiuntamente allo sviluppo del Sistema informativo nazionale ambientale, di cui già alla legge n. 61 del 1994;
   se il Ministro sia al corrente del ruolo di ISPRA come promotore del tavolo di coordinamento degli Organi cartografici dello Stato, definiti dal quadro normativo vigente, e come intenda sostenerlo e promuoverlo, anche alla luce delle premesse. (5-05927)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 12 giugno 2015 è stato emanato il decreto ministeriale 122 sulla procedura di valutazione d'impatto ambientale per la fase di indagini sismiche 3D del permesso di ricerca di idrocarburi denominato «d 79 F.R.-EN» localizzato nel Golfo di Taranto richiesto dalla società Enel Longanesi;
   il progetto prevede l'operazione di acquisizione sismica a mare attraverso strumentazione idonea all'individuazione di accumuli di idrocarburi gassosi nel sottosuolo marino, nell'area ubicata nel Golfo di Taranto ad una distanza minima dalla costa pari a 35 chilometri. I comuni interessati in Basilicata sono Nova Siri, Policoro, Rotondella, Scanzano, Pisticci, Bernalda;
   il progetto di ricerca di idrocarburi potrebbe provocare indubbi effetti negativi su tutti i comuni ubicati lungo la costa e sul comparto turistico, interessando la parte costiera con alterazione delle correnti e dell'equilibrio ecologico del mare, in un'area dove sono presenti diverse attività e produzioni agro-alimentari di pregio;
   il sito individuato ha un alto valore naturalistico, ove sono presenti habitat marini naturali ed anche specie da proteggere (ad esempio la tartaruga caretta, in via di estinzione dalle coste italiane);
   nell'area interessata è presente anche la riserva naturale regionale Bosco Pantano di Policoro, istituita con legge regionale 8 settembre 1999, n. 28. Oasi WWF dal 1995. La riserva interessa un'area di 550 ettari a bosco relitto di latifoglie decidue, nei comuni di Policoro e Rotondella;
   esiste un'ampia letteratura scientifica prodotta a livello mondiale da prestigiosi istituti di ricerca che hanno analizzato gli effetti che potrebbero avere sui cetacei le attività di ricerca di idrocarburi in mare e le eventuali successive fasi di trivellazione con tecnologie (air gun) basate sulla emissione di onde acustiche ad elevata energia, in grado di creare danni irreversibili agli apparati uditivi dei cetacei presenti nel mar Jonio;
   alla concessione di tale permesso, si oppongono, con numerose e fondate argomentazioni, enti pubblici, cittadini e associazioni –:
   quali iniziative intenda assumere per evitare la realizzazione di progetti di trivellazione nel mar Ionio, in quanto incompatibili con la vocazione economica, agricola e turistica dei territori interessati.
(5-05930)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo 2015, la concentrazione media globale di anidride carbonica nell'atmosfera ha raggiunto il livello record di 400 parti per milione;
   secondo gli scienziati del NOAA, «l'agenzia federale statunitense» che ha rilevato il dato, il fatto rappresenta una tappa fondamentale rispetto ai cambiamenti climatici, per i quali è stata fissata la soglia di sicurezza di 350 pmm.;
   la soglia dei 400 pmm di CO2 era già stata superata in alcune aree del mondo sia nel 2012 che nel 2013, ma si tratta della prima volta che tale concentrazione di gas serra viene registrata a livello globale;
   secondo Pieter Tans, scienziato di punta del Global Greenhouse Gas del NOAA, il dato conferma il fatto che le alte concentrazioni di anidride carbonica sono dovute ai combustibili fossili bruciati dall'uomo a partire dalla metà del 1980;
   la relazione di sintesi del V Rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climatechange) su clima e pianeta pone l'urgenza di adottare misure che contengano le emissioni di gas serra a livello globale;
   gli scienziati dell'Ipcc sono convinti che l'unico mezzo per limitare a 2oC l'aumento medio delle temperature è di ridurre a zero l'utilizzo delle risorse fossili entro il 2100, dimezzandolo entro il 2050;
   il rapporto stima la presenza di gas serra in atmosfera come la più alta degli ultimi 800.000 anni, con incremento della produzione e della velocità di produzione degli stessi negli ultimi 30 anni a livelli non più compatibili con la mitigazione e l'adattamento ai nuovi effetti;
   l'azione umana è considerata la causa principale dei cambiamenti climatici, con una margine di certezza altissimo stimato al 95 per cento secondo i calcoli dell'IPCC;
   l'attuale EXPO di Milano è una vetrina mondiale sul tema del cibo strettamente correlata ai cambiamenti climatici e alla capacità di produzione alimentare per ogni uomo del pianeta Terra;
   se non vi saranno adatti provvedimenti con i livelli di produzione inquinante non modificati, si stima che la temperatura media globale si innalzerà di almeno 5oC;
   nell'anno 2015 vi saranno importanti incontri internazionali a Lima e a Parigi, dove si dovrà trovare un punto di incontro tra Paesi emergenti, Paesi in via di sviluppo e industrializzati, per evitare una vera e propria tragedia collettiva e che metterebbe a serio rischio la salute e la capacità di produzione agro-alimentare dell'intero pianeta –:
   quali siano le misure che l'Italia intende adottare per abbandonare gradualmente ma in modo determinato e programmato, le fonti di energia fossili;
   quali sia la posizione che l'Italia assumerà negli incontri internazionali dei prossimi mesi sul tema;
   se il Ministro non ritenga di dover fornire ogni elemento utile sul rapporto Ipcc e adottare ulteriori strumenti perché le informazioni diventino patrimonio comune e vi sia una diffusione adeguata delle stesse nel Paese. (4-09637)


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sulla collina tra Colle Marcone di Chieti e Bucchianico (Chieti) c’è una mega-discarica abusiva. Sono ben 4 mila metri quadrati di rifiuti tossici. La discarica si estende nei pressi del Tratturo Magno, tra Colle Marcone di Chieti e Colle Sant'Antonio di Bucchianico. Il materiale lasciato in abbandono da anni è costituito da decine di fusti di batterie esauste ed in via di disfacimento, contenitori di rifiuti speciali accatastati sotto lamiere di rimedio, cumuli di spazzatura alti sei metri senza nessuna messa in sicurezza;
   in base all'articolo 7, comma 8, della legge della regione Abruzzo numero 27 del 2006 i comuni interessati dalla discarica restano titolari dei procedimenti di bonifica sino all'approvazione del nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti, e, visto che la regione Abruzzo non ha ancora approvato il piano di gestione, il sito doveva essere bonificato dal comune di Chieti su cui il sito insiste;
   nel 2009 la Guardia di finanza effettuò il sequestro dell'area inquinata, successivamente arrivò una condanna a 8 mesi di un imprenditore di Sulmona. Ma il processo è fermo in Cassazione;
   nel marzo 2014 la asl di Chieti segnalò al sindaco di Bucchianico (Chieti) la necessità di intervenire sul sito inquinato. In risposta il comune di Bucchianico rispose al prefetto e alle asl che la zona interessata ricadeva nel territorio comunale di Chieti. Il 24 Aprile 2014 la asl di Chieti segnalava al sindaco di Chieti che avrebbe dovuto agire con «urgenza e predisporre un intervento di messa in sicurezza perché l'area gravemente inquinata era a rischio incendio» allegando tutta la documentazione necessaria;
   nei giorni scorsi da un'inchiesta giornalistica del Quotidiano locale «Il Centro» sono emersi particolari gravi che hanno alimentato il sospetto che il sito inquinato ospiti rifiuti che potrebbero arrivare dalla Campania: sono stati rinvenuti numerosi faldoni di atti e documenti tra cui una delibera della Giunta Regionale della Campania sullo smaltimento di rifiuti speciali destinati al sito Pantano di Acerra;
   a seguito di questa inchiesta alcuni giorni fa è stato appiccato un rogo doloso alla discarica che ha messo a serio rischio gli abitanti dell'area interessata. Questo è avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 giugno 2015;
   il rogo ha distrutto non solo i rifiuti ma anche quei documenti mai sequestrati e custoditi per sei anni in un gabbiotto che ora è esploso. Documenti che parlano di collegamenti con la discarica e con il termovalorizzatore di Pantano di Acerra, nel Napoletano, dove a marzo sono stati portati via 21 mila tonnellate di ecoballe;
   secondo i vigili del fuoco intervenuti sul posto le fiamme sono partite dall'intero fronte, cioè il rogo è sicuramente doloso e innescato con benzina o altro liquido infiammabile;
   c’è il rischio che i fumi dei rogo contengano numerosi veleni, come la diossina, il benzene, lo xilolo e il toluone e l'incendio ha messo a repentaglio la salute di migliaia di cittadini che popolano l'area colpita dai fumi tossici;
   la magistratura ha aperto una inchiesta per individuare i responsabili di questa vicenda –:
   di quali informazioni disponga in relazione a quanto esposto in premessa, anche alla luce degli elementi raccolti dai vigili del fuoco, e se non intenda promuovere un accertamento per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di verificare lo stato dei luoghi e delle aree circostanti in relazione al rischio dell'abusivo sversamento di rifiuti che mette a repentaglio la salute di migliaia di cittadini. (4-09648)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, FRUSONE, CORDA, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati del piano annuale di gestione del patrimonio abitativo della difesa per il 2014, il parco alloggi di servizio delle Forze armate nell'anno 2014 comprende 16812 alloggi di varie tipologie, inclusivi di 3246 alloggi ritenuti non più utili ai fini istituzionali;
   il piano di gestione differenzia gli alloggi sulla base della Forza armata di appartenenza, mentre nulla viene detto rispetto alla loro distribuzione territoriale;
   parimenti dal citato piano non è dato di sapere, a fronte dei numeri complessivi forniti, se la dimensione del parco alloggi sia adeguato o meno alle esigenze delle Forze armate, se vi siano aree territoriali dove vi sia carenza di alloggi e altre in cui vi sia eventualmente un surplus;
   fino all'aprile 2004 gli incarichi che davano diritto all'alloggio di servizio erano contenuti in allegato a un decreto ministeriale pubblicato in Gazzetta ufficiale; con il decreto 23 gennaio 2004 n. 88 (riversato poi nel testo unico regolamentare del 2010) tali elenchi sono stati sottratti alla conoscibilità generale secondo gli interroganti senza giustificazione e sostituiti da elenchi predisposti e detenuti dagli Stati maggiori ma non pubblicati neppure nelle reti Intranet di Forza armata; aumentando ingiustificatamente il grado di opacità nella gestione e assegnazione degli alloggi stessi con evidenti rischi di abusi e in potenziale violazione di un interesse soggettivo di ciascun appartenente alle Forze armate non solo di conoscere il diritto individuale a ottenere un alloggio ma anche di conoscere i criteri con cui gli stessi sono attribuiti;
   il disporre o meno di un alloggio adeguato nella sede di servizio o nelle immediate vicinanze non rappresenta soltanto una esigenza organizzativa della Forza armata ma ha, in primo luogo, un impatto rilevante sulla qualità della vita del singolo militare e della relativa famiglia;
   inoltre, il piano di gestione, che pure viene sottoposto al Parlamento per un parere, non fornisce alcuna informazione relativamente alla adeguatezza del numero degli alloggi disponibili in relazione al fabbisogno teorico derivante dagli elenchi degli incarichi che vi danno titolo con il che ne consegue che al Parlamento non è dato di sapere se i numeri del parco alloggi corrispondono ai fabbisogni reali oppure no, il che rende evidentemente impossibile esprimere un parere informato e utile in materia;
   il mantenimento di una separazione degli alloggi per forza armata rende inutilmente rigida la loro gestione potendosi paradossalmente creare situazioni di aree territoriali dove esiste una eccedenza di alloggi rispetto alle esigenze di una forza armata e una carenza per un'altra, senza possibilità di compensazione tra le due –:
   se il Ministro della difesa non reputi necessario fornire un'informazione aggiornata, completa e dettagliata della consistenza degli alloggi della difesa e della relativa distribuzione territoriale su base provinciale distinta per forza armata di appartenenza;
   se non reputi in particolare necessario nel contempo una valutazione sulle esigenze alloggiative in base agli incarichi ai quali è riconosciuto il diritto all'alloggio di servizio e le eventuali aree di criticità;
   se non reputi urgente fornire e rendere successivamente pubblico con adeguate forme di pubblicità, anche mediante pubblicazione sul sito Internet della difesa, l'elenco degli incarichi che danno diritto all'alloggio di servizio delle diverse tipologie, con eventuale esclusione dei soli alloggi ASGC (alloggi per consegnatari e custodi);
   se non intenda avviare con urgenza un processo di unificazione della gestione del parco alloggi delle singole forze armate costituendo se del caso un'agenzia interforze. (5-05934)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PAGLIA e QUARANTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca Carige rappresenta la più importante banca ligure oltre ad uno dei principali istituti di credito nel panorama italiano con sede a Genova, essa può contare su una distribuzione capillare sul territorio italiano di più di 1.100 sportelli ed oltre 2 milioni di clienti tra famiglie, professionisti, imprese, artigiani ed enti;
   nel 2013 l'inchiesta finanziaria che si abbatte sulla banca fa uscire definitivamente di scena Giovanni Berneschi, che sin dalla fine degli anni Novanta era stato il protagonista indiscusso dell'espansione di Carige in Liguria e in Italia, inchiesta peraltro conclusasi con l'arresto dello stesso Berneschi e l'imposizione da parte di Bankitalia di una drastica ricognizione dei crediti in sofferenza e la richiesta di un rafforzamento patrimoniale di 800 milioni nel 2014;
   nel frattempo, al fine di fare recuperare alla Banca Carige credito e solidità finanziaria, vengono posti alla sua guida in qualità di presidente il dottor Castelbarco ed in qualità di amministratore delegato il dottor Montani; come prime iniziative vengono cedute le assicurazioni, mentre la Creditis (società di credito al consumo) ed il private banking (la Banca Cesare Ponti) sono in attesa di essere vendute, mentre per la fine del mese di maggio u.s. viene disposto, contemporaneamente con l'approvazione del bilancio 2014, un secondo aumento di capitale pari a 850 milioni di euro;
   secondo quanto riportato dal quotidiano «il Secolo XIX» del 21 aprile 2014, dopo aver ricevute tutte le autorizzazioni, l'imprenditore Vittorio Malacalza, che ha acquistato per 66,2 milioni il 10,5 per cento) del pacchetto dalla Fondazione, diventando il primo azionista della banca avrebbe dichiarato di essere disponibile a trovare intese «con chiunque voglia investire per il bene della banca»; sullo stesso quotidiano si legge che Gabriele Volpi, altro imprenditore ligure, si è reso disponibile a sottoscrivere l'aumento di capitale di Carige e a fare un accordo di governance al fine di accrescere la sua partecipazione azionaria dall'attuale 2 per cento scarso al 5 per cento;
   Gabriele Volpi ha iniziato la sua attività imprenditoriale negli anni ’70 in Nigeria nell'industria petrolifera, di logistica a supporto delle piattaforme estrattive, riuscendo a creare un gruppo, la Intels, che ben presto si accredita con un giro d'affari stimato in 2 miliardi di dollari;
   il 1o agosto 2012 il quotidiano «il Sole 24ore» dedica un lungo articolo a Gabriele Volpi intitolato: «L'ascesa dell'italiano più ricco d'Africa. Affari all'ombra dell'ex vicepresidente nigeriano Abubakar», con il quale viene ricostruita la fortuna dell'imprenditore italiano attraverso i documenti e le testimonianze raccolte dalla Commissione permanente di inchiesta del Senato americano che per oltre un anno ha investigato sul fenomeno della corruzione della leadership politica nigeriana; allo stesso articolo emerge il legame tra Volpi e Abubakar, grazie al quale la sua azienda Intels ottiene il monopolio della logistica petrolifera; a tal proposito si legge che: «la commissione di inchiesta prova il legame tra Volpi e il vicepresidente nigeriano: "negli anni Ottanta Abubakar entra in società con Volpi attraverso una società creata per fornire servizi di supporto portuale all'industria del petrolio e del gas”, e ancora, che: “la commissione d'inchiesta e la Security Exchange Commission, equivalente alla nostra Consob”, hanno appurato che circa “2,8 milioni di dollari in tangenti pagate dalla multinazionale Siemens sono stati convogliati su un conto bancario in Maryland intestato a Jennifer Douglas" moglie di Abubakar»;
   tutte le indiscrezioni circolate circa la volontà di Volpi di acquistare azioni di Banca Carige sono confermate il 30 maggio 2015 da Radiocor (Sole 24ore); inoltre, il 31 maggio 2015, sul quotidiano Repubblica si legge: «da ieri Gabriele Volpi risulta titolare del 2,5 per cento del capitale Carige attraverso il trust inglese "Summer", riconducibile alla sua famiglia; è il veicolo usato dall'imprenditore per questa e altre operazioni; per scoprire quali non resta che aspettare; fra la fine maggio e inizio giugno scatterà l'aumentò di capitale da 850 milioni della banca e Volpi non promette solo di onorare la sua quota, bensì di salire ancora fino alla soglia del cinque per cento» –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il non ritenga opportuno acquisire elementi presso la Consob in relazione ad una imponente operazione destinata a ridefinire i cosiddetti «azionisti rilevanti» di Banca Carige, e rendere più stringenti i requisiti di onorabilità degli azionisti definiti dal decreto ministeriale 18 marzo 1998, n. 144, anche estendendone l'ambito di applicazione, mediante una riduzione della percentuale del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto, quantomeno ai casi in cui quote inferiori al 5 per cento si trovino a determinare una posizione rilevante rispetto alla composizione dell'azionariato mediante indagini, avviate anche all'estero, inerenti la condotta etica degli azionisti. (5-05947)


   BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO, BECHIS e MUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è noto che con la recente sentenza n. 37 del 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimi circa 1.200 dirigenti delle agenzie fiscali, di cui addirittura 800 interessano l'Agenzia delle entrate;
   in sostanza questa pronuncia della Consulta ha palesato che le Agenzie fiscali, negli anni, non hanno rispettato la normativa che regola l'accesso alla dirigenza pubblica, decidendo di riconoscere incarichi dirigenziali ad personam attraverso scelte che prescindono dai requisiti curriculari e dalla meritocrazia;
   le conseguenze di queste scelte illegittime sono estremamente gravi sotto più punti di vista; bisogna innanzitutto considerare il danno che ha ricevuto il personale idoneo ad assumere incarichi dirigenziali che è stato escluso: al riguardo, è già in corso un contenzioso per risarcimento del danno, poiché l'amministrazione fiscale avrebbe dovuto, per legge, avvalersi di personale attraverso lo scorrimento delle graduatorie di concorsi già espletati;
   è stato poi inflitto un grave danno a cittadini ed imprese, considerando che al personale dirigenziale, irregolarmente nominato, è stato consentito di svolgere attività della massima importanza, incidendo su diritti soggettivi di famiglie e imprese in assenza di una obbligatoria verifica del possesso delle necessarie competenze; inoltre, se tutti gli atti sottoscritti dai dirigenti decaduti sono afflitti da nullità assoluta e insanabile, si configurerà un grave danno erariale per il venire meno di gettito fiscale per le casse dello Stato;
   la decadenza del considerevole numero di dirigenti ha inoltre prodotto gravi criticità, che rendono mal gestita una «macchina fiscale» che, a parere dell'interrogante, era già allo sfacelo;
   per sanare la situazione di stallo che si è creata con la decadenza delle posizioni dirigenziali, si è appreso, anche da articoli di stampa del 27 giugno 2015, che il Governo, vuole bandire un concorso per esami che richiederà almeno un anno per organizzare la selezione;
   tale soluzione è assurda, poiché le funzioni dirigenziali nelle Agenzie fiscali devono essere urgentemente garantite;
   già con interrogazione del 6 maggio 2015 (3-01470), si richiedeva il reclutamento dei dirigenti presso l'Agenzia delle entrate attingendo dalle graduatorie in vigore di concorsi pubblici per la qualifica di dirigente; alla stessa, il Ministro Madia rispondeva in modo assolutamente insoddisfacente, eccependo l'inopportunità di far ricorso allo scorrimento delle graduatorie di concorsi, asserendo altresì che si tratta di procedure concorsuali ormai «obsolete»: tale argomentazione è secondo gli interroganti non condivisa, considerando che si tratta di concorsi legittimi, le cui graduatorie sono state prorogate con regolari provvedimenti legislativi; del resto si ricorda che i dirigenti di ruolo dell'Agenzia delle entrate sono tutti vincitori di concorsi svolti tra il 1997 e il 1999: con lo scorrimento delle graduatorie si provvederebbe all'immediata copertura delle funzioni dirigenziali necessarie per l'idoneo espletamento delle attività delle agenzie fiscali, è dunque paradossale che il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione dichiari di non ritenere competenti queste persone per ruoli dirigenziali, considerando che sono risultate idonee per la posizione in questione con regolare concorso pubblico, mentre si è consentito per anni a centinaia di persone senza i necessari requisiti curriculari di ottenere irregolarmente incarichi da dirigente –:
   se e quali provvedimenti intenda adottare affinché venga disposto il reclutamento dei dirigenti presso l'Agenzia delle entrate attingendo dalle graduatorie in vigore di concorsi per la qualifica di dirigente, considerando che il Governo non può consentire che continuino a non essere garantite le funzioni dirigenziali, in mancanza delle quali si è considerevolmente aggravata la gestione dell'amministrazione fiscale. (5-05948)


   CURRÒ e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 marzo 2015 sulla testata giornalistica «La Gazzetta del Sud» è stato pubblicato un articolo – a firma redazione Milazzo – che paventa la chiusura dell'ufficio territoriale di Milazzo dell'Agenzia delle entrate;
   nella nota degli ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Messina Barcellona Pozzo di Gotto e Patti, inviata alla Direzione Regionale per la Sicilia dell'Agenzia delle entrate, si rappresenta che la paventata chiusura dell'ufficio territoriale di Milazzo aggraverebbe la situazione degli uffici superstiti e costringerebbe l'utenza a spostamenti talvolta superiori ai cinquanta chilometri;
   circa due terzi degli abitanti della provincia (quasi 400.000 dei 650.000 circa) si troverebbero costretti a rivolgersi al già sofferente ufficio territoriale di Messina; molti cittadini residenti nei comuni del distretto di Milazzo si trovano in posizione disagiata e l'ufficio territoriale di Milazzo svolge un'importante funzione di servizi e controlli nei confronti dei residenti (circa 100.000 abitanti dei 18 comuni del distretto), avventori, lavoratori del polo turistico delle sole Eolie, del polo portuale, commerciale ed industriale di Milazzo (raffineria, centrali elettriche, acciaieria, zona industriale ASI, indotto, e altro) e del litorale tirrenico, ove insistono complessivamente più di 6.000 attività (partite iva) con oltre 17.000 addetti;
   la conformazione territoriale, la presenza delle isole (ove insiste anche uno sportello dell'ufficio di Milazzo) e l'elevata urbanizzazione dell'area (seconda solo a Messina) rendono evidente che l'eventuale chiusura dell'ufficio territoriale di Milazzo comporterebbe, oltre ad un enorme disagio, anche un aumento dei costi sia per l'utenza privata che per i professionisti, aggravando così il «costo sociale» dell'operazione;
   la mozione dei lavoratori della sede di Milazzo del 31 marzo 2015 dell'Unione sindacale di base è contraria alla chiusura di detto ufficio che spoglierebbe ulteriormente la collettività di un servizio e di un'opportunità fondamentale per il buon andamento economico del territorio;
   la nota dell'Agenzia delle entrate – direzione regionale della Sicilia n. 0020183 del 25 marzo 2015, rende evidente che il reale motivo della chiusura non appare riconducibile alla spending review, quanto, piuttosto, all'incapacità di individuare dei locali idonei da condurre in locazione;
   l'ufficio territoriale di Milazzo risulta essere uno dei migliori uffici in termini di produttività e per erogazione di servizi alla collettività;
   l'ufficio territoriale di Milazzo rispetta i requisiti soggettivi e oggettivi del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, in quanto presso la sede svolgono attività oltre 30 dipendenti, la provincia è composta da circa 650.000 cittadini (secondo il censimento lstat del 2011) e tutti gli uffici della provincia sono condotti in locazione –:
   quali iniziative intenda assumere, nei limiti delle proprie competenze, al fine di salvaguardare l'attuale assetto dell'Ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate di Milazzo, fondamentale presidio del territorio, e trovare una soluzione alle problematiche sollevate riconducibili ai locali della sede. (5-05949)


   PISANO, CARIELLO, PESCO, ALBERTI, RUOCCO, VILLAROSA e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5-05553 svolta il 13 maggio 2015, a firma degli interroganti, è stato chiesto al Ministero dell'economia e delle finanze di assumere apposite iniziative volte a risolvere le problematiche applicative relative allo scomputo delle ritenute alla fonte a titolo di acconto operate l'anno successivo a quello di competenza, considerate le difficoltà derivanti dal mancato rilascio, da parte del sostituto, della certificazione attestante le ritenute effettuate sui compensi entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di imputazione dei compensi stessi;
   gli interroganti hanno prospettato come possibili soluzioni l'introduzione dell'obbligo per il sostituto d'imposta di trasmettere in via telematica le ritenute operate per singolo versamento o con cadenza periodica mensile o trimestrale, nonché l'introduzione di un sistema telematico che consenta al sostituito di verificare l'adempimento e la correttezza dei dati dichiarati dal sostituto ed in possesso dell'Agenzia delle entrate;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita l'Agenzia delle entrate, ha ritenuto le dette soluzioni «non in linea con le attuali esigenze di semplificazione, in quanto comporterebbero l'obbligo per il sostituto d'imposta di effettuare adempimenti ulteriori rispetto a quelli già previsti»;
   lo stesso Ministero ricorda che l'articolo 44-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, che prevedeva in capo ai sostituti d'imposta l'obbligo di comunicare mensilmente in via telematica i dati retributivi e le informazioni necessarie per il calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli, mediante una dichiarazione mensile da presentare entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento, è stato abrogato dall'articolo 51 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69;
   la semplificazione cui si riferisce il Ministero sarebbe dunque rappresentata dalla presentazione, da parte dei sostituti d'imposta, della certificazione unica e del modello 770/semplificato, di recente modificati dal decreto legislativo n. 175 del 2014; in pratica, entro il 28 febbraio dell'anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti, il sostituto deve attestare le ritenute operate, consegnando la certificazione al sostituito e trasmettendola entro il 7 marzo all'Agenzia delle entrate (anche i fini della predisposizione della nuova dichiarazione dei redditi precompilata) successivamente, i sostituti d'imposta devono comunicare all'Agenzia delle entrate, mediante una dichiarazione annuale, i dati relativi alle ritenute effettuate in ciascun periodo d'imposta, quelli relativi ai versamenti eseguiti, i crediti, le compensazioni operate e i dati contributivi e assicurativi a tal fine, posso optare per il nuovo modello 770/semplificato;
   la semplificazione prospettata dall'Agenzia, di fatto, però non risolve il problema dell'omessa certificazione e dichiarazione delle ritenute da parte del sostituto; inadempimenti questi che finiscono per gravare sul sostituito; anzi, come già rilevato nell'interrogazione citata, l'assenza di dati e notizie fiscali sul sostituto vincola l'Agenzia a rivolgersi al sostituito per il controllo della correttezza delle ritenute indicate in dichiarazione dei redditi; sicché, oltre alla decurtazione patrimoniale, subita a seguito della ritenuta, il sostituito finisce per essere costretto anche a dover sopportare il controllo fiscale dell'Agenzia e, soprattutto, a dover dimostrare la regolarità dei dati dichiarati attraverso costosissime gestioni manuali dei documenti da esso stesso prodotti ma anche prodotti da terzi, come istituti finanziari presso i quali è stato ricevuto l'incasso;
   le irregolarità, infedeltà e omissioni da parte del sostituto sono peraltro condizioni che si verificano con frequenza, soprattutto per le ritenute subite sui ricavi e compensi di imprese e professionisti; di questo è consapevole la stessa Agenzia, che è intervenuta con la risoluzione n. 68/E del 19 marzo 2009, precisando, in linea con la giurisprudenza consolidata, che in tutte le ipotesi di mancata ricezione della certificazione unica di cui all'articolo 4, comma 6-quater, del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, il contribuente può avvalersi di documenti diversi per giustificare lo scomputo della ritenuta subita; il citato documento di prassi precisa, infatti, che il contribuente può ottemperare alla formale richiesta di esibizione dei documenti, inviata dall'Agenzia delle entrate nell'ambito dei controlli ordinariamente previsti dall'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, allegando la fattura emessa, nella quale è indicata anche la ritenuta che il sostituto è tenuto ad operare, nonché l'estratto del conto bancario e una dichiarazione sostitutiva dalla quale risulti che le somme accreditate sono riferite alla fattura allegata e non vi sono stati ulteriori pagamenti;
   tale risoluzione conferma dunque  l'esistenza del fenomeno, ma soprattutto attesta come il controllo ex articolo 36-ter sia di fatto rivolto esclusivamente al sostituito senza coinvolgere affatto il sostituto, unico responsabile dell'omissione contabile e dichiarativa;
   sarebbe opportuno accertare quale sia lo stato dei controlli e dei contenziosi in materia di ritenute operate verso imprese e professionisti, specificando, per le annualità a decorrere dal periodo d'imposta 2011, con l'indicazione dei seguenti dati:
    1) il numero di dichiarazioni dei redditi presentate da imprese e professionisti in cui vengono evidenziate ritenute subite;
    2) il numero di dichiarazioni dei redditi presentate da imprese e professionisti in cui vengono indicate ritenute subite in misura superiore, o comunque non corrispondente, a quelle dichiarate nei modelli 770 presentati dai sostituti di imposta;
    3) il numero di controlli eseguiti sulle dichiarazioni dei redditi presentate da imprese e professionisti, aventi ad oggetto la verifica della regolarità delle ritenute subite e indicate in dichiarazione;
    4) l'esito dei suddetti controlli, specificando nel dettaglio:
     a) il numero dei controlli definiti con l'adesione del contribuente;
     b) il numero dei controlli conclusi con l'annullamento della contestazione o archiviazione degli atti;
     c) il numero di controlli oggetto di contenzioso tributario ed il relativo esito;
    5) il numero di controlli eseguiti nei confronti dei sostituti d'imposta aventi ad oggetto la contestazione dell'omessa presentazione del modello 770 o della certificazione delle ritenute operate su compensi corrisposti a imprese e professionisti, specificando l'esito del controllo, il numero dei contenziosi instaurati ed il relativo esito, il maggior gettito conseguito sia in termini di entrate tributarie che di sanzioni amministrative pecuniarie –:
   se intenda fornire le informazioni indicate in premessa. (5-05950)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la mancata emanazione del decreto legislativo di riordino del catasto fabbricati, come previsto dall'articolo 2 della legge n. 23 dell'11 marzo 2014, delude le aspettative di un riordino complessivo del sistema di tassazione sugli immobili che andasse nella direzione di una maggiore giustizia contributiva; attualmente, infatti, l'unico decreto legislativo emanato è stato il decreto legislativo 17 dicembre 2014, n. 198, recante norme sulla composizione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie;
   contrariamente a quanto stabilito dall'articolo 6 dello statuto dei diritti del contribuente, di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui i contribuenti hanno il diritto di poter adempiere alle obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e oneri possibili, la normativa degli ultimi anni in materia di tassazione sugli immobili e servizi si è notevolmente complicata rendendo incerte le entrate per gli enti locali e le somme da pagare per i contribuenti nonché estremamente difficili; di conseguenza, gli adempimenti a carico di cittadini e professionisti sono diventati estremamente costosi;
   l'ammontare complessivo di tasse e imposte sugli immobili è infatti cresciuto in maniera esponenziale: dall'ICI del 2011, per cui i contribuenti versavano 9,2 miliardi di euro, si è arrivati ai 25 miliardi di euro nel 2014 con l'introduzione della IUC, oltre 1 miliardo in più rispetto al 2012, anno della manovra «lacrime e sangue» del Governo Monti;
   l'imposta comunale sugli immobili (ICI) è stata dapprima riformata e sostituita dall'articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, che ha introdotto l'Imposta municipale propria, la cosiddetta IMU, per poi essere nuovamente rimodulata dalla legge di stabilità 2014 che ha previsto al suo posto la IUC, ossia l'Imposta unica comunale, un'imposta complessa composta dall'IMU sul possesso di immobili (esclusa solo per le prime abitazioni), la TARI (l'imposta sulla produzione di rifiuti), e la TASI (la tassa che interessa i servizi comunali indivisibili, di cui sono interessati anche i locatari per una quota a loro carico); in questo contesto estremamente incerto i contribuenti si sono spesso trovati spaesati di fronte al continuo slittamento delle numerose scadenze e senza gli strumenti adeguati per comprendere dei meccanismi di conteggio, complicati al punto da spingerli a rivolgersi a professionisti, caricandosi così di un ulteriore onere;
   gli aumenti hanno interessato non soltanto le proprietà adibite a prima abitazione, ma anche le seconde proprietà, su cui l'aumento è stato pesantissimo, le abitazioni date in affitto, su cui la tassazione in aumento è arrivata fino ad un +291 per cento, oltre alla tassazione del reddito da locazione, gli immobili non abitativi dati in affitto, su cui la tassazione mediamente erode l'80 per cento del canone, e le abitazioni non locate, per cui il contribuente deve spesso attingere ai propri risparmi per riuscire a pagare i cinque diversi tributi, fra tasse e imposte, gravanti su tali proprietà da cui, tra l'altro, non si riceve alcun reddito;
   in un simile contesto si rende necessario non soltanto procedere al più presto ad una effettiva semplificazione e sburocratizzazione delle obbligazioni e degli adempimenti tributari richiesti ai contribuenti, ma si impone, come impellenza improcrastinabile, la revisione dell'intero sistema di tassazione sugli immobili e i servizi al fine di introdurre una normativa fiscale più equa e razionale;
   nel Documento di economia e finanza per il 2015 si riportava come obiettivo quello di «razionalizzare e semplificare la tassazione locale sugli immobili dando stabilità a un settore della tassazione interessato da numerose riforme negli ultimi anni», attraverso «la possibile introduzione di un tributo/canone che sostituisca l'insieme delle imposte locali minori esistenti»;
   una simile riforma è già stata più volte annunciata dal Governo fin dal 2014, soprattutto in occasione della legge di stabilità 2015, ma finora mai affrontata; tenuto conto dell'attuale carico di imposizione fiscale, si rende necessario inoltre, in sede di riforma, evitare che la nuova riformulazione possa divenire l'occasione per un ulteriore aumento della tassazione, quanto piuttosto lo strumento per rivedere, a ribasso o nella direzione di una maggiore equità, l'imposizione fiscale; sarebbe opportuno dare un segno tangibile e nettamente percepibile ai cittadini, al fine di rifondere loro fiducia nelle pubbliche amministrazioni, in particolare quelle locali, spesso ingiustamente ritenute responsabili dell'aggravio fiscale, quando invece costrette, per i tagli subiti dal Governo centrale e per il rispetto del patto di stabilità interno, ad innalzare le aliquote per la parte di loro competenza e, contemporaneamente, a ridurre i servizi locali –:
   se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, predisporre gli opportuni provvedimenti, in tempi brevi e certi, al fine di ridisegnare radicalmente il sistema di imposizione fiscale sugli immobili e i servizi locali, con lo scopo di prevedere un'effettiva semplificazione e sburocratizzazione degli adempimenti richiesti ai contribuenti, riducendo in un'unica imposta le diverse voci tributarie e assicurando la certezza delle scadenze e dell'ammontare dei pagamenti dovuti, prevedendo al contempo una sostanziale riduzione e rimodulazione della pressione tributaria, un'imposizione più equa e razionale, basata sull'effettiva capacità reddituale degli immobili, e proporzionale ai servizi effettivamente resi ai cittadini. (5-05951)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge dall'analisi dell'Ufficio studi di Confartigianato su dati Istat e ITWorking, il valore dell'aliquota media IMU ligure sugli immobili di impresa è superiore non solo a quello dell'aliquota media nazionale (9,38 per cento), ma anche a quella del Nord Ovest (9,36 per cento), facendo risultare la Liguria la regione con la tassazione più alta;
   con un'aliquota media IMU del 9,72 per cento gli immobili produttivi liguri sono stati i più tartassati del 2014 dopo quelli della Toscana (9,75 per cento);
   sul fronte Tasi, l'aliquota media ligure è pari allo 0,20 per cento (contro la media nazionale dello 0,59 per cento), che colloca la regione Liguria al diciottesimo posto;
   l'aliquota cumulata IMU e Tasi sugli immobili di impresa liguri è pertanto pari al 9,92 per cento, quasi in linea con quella nazionale (9,97 per cento), facendo piazzare la regione al quattordicesimo posto;
   ai primi posti per aliquota cumulata IMU e Tasi si trovano le imprese di Umbria (10,34 per cento), Campania (10,19 per cento) e Sicilia (10,16 per cento); invece, tra le imprese che godono della tassazione minore italiana, quelle valdostane (8,16 per cento), sarde (9,05 per cento) e venete (9,64 per cento);
   per quanto concerne i capoluoghi di provincia liguri, Imperia risulta tra le prime quaranta città italiane che hanno l'aliquota più alta per le imprese: precisamente, si trova al trentacinquesimo posto con un'aliquota cumulata IMU e Tasi pari al 10,12 per cento ed è addirittura quarta considerando la sola IMU (10,07 per cento), le attività imprenditoriali di Genova sono al sessantaquattresimo posto per aliquota cumulata (9,9 per cento) e ben al diciottesimo posto per aliquota IMU (9,77 per cento), gli immobili produttivi di Savona sono al sessantasettesimo posto per aliquota cumulata (9,89 per cento) e al cinquantatreesimo posto per la sola IMU (9,35 per cento); infine, le imprese di La Spezia sono soggette ad un'aliquota combinata IMU e Tasi del 9,83 per cento, ponendosi al settantunesimo posto, e ad un'aliquota di sola IMU del 9,65 per cento, collocandosi al trentaduesimo posto;
   il prelievo fiscale su capannoni e laboratori è sempre più forte, aggravato dalla complicazione di aliquote diverse, e non è più concepibile il fatto che gli immobili produttivi siano tassati come se fossero seconde case o beni di lusso –:
   se non ritenga urgente accelerare l'annunciata riforma della tassazione immobiliare all'insegna della semplificazione e della riduzione delle aliquote, soprattutto quelle sugli immobili produttivi, il cui prelievo fiscale sempre più alto mina fortemente la competitività delle imprese italiane, in un periodo non certamente florido. (4-09635)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da un comunicato emesso dall'Ufficio stampa di palazzo della Consulta, si apprende che «la Corte Costituzionale, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze R.O. n. 76/2014 e R.O. n. 125/2014, ha dichiarato, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato»;
   tale pronuncia, di cui il legislatore dovrà leggere con attenzione le motivazioni, segue alla sentenza n. 70 del 2015 con la quale il giudice costituzionale ha sancito l'illegittimità del blocco dell'adeguamento delle pensioni, in quel caso con efficacia retroattiva;
   pertanto, mentre ad oggi non è ben chiaro come il Governo provvederà a dare esecuzione alla pronuncia e risarcire i pensionati italiani del maltolto, un'ulteriore sentenza della Corte costituzionale impone il reperimento delle risorse per sanare l'ingiustizia che negli ultimi anni ha colpito i dipendenti pubblici –:
   come, in che tempi e con quali risorse il Governo intende dare esecuzione alle due pronunce della Corte costituzionale citate in premessa. (4-09639)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, concernente «Disposizioni urgenti per la crescita e il consolidamento dei conti pubblici», convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è stato modificato dall'articolo 9-bis, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, concernente «Misure urgenti per l'emergenza abitativa per il mercato e delle costruzioni e Expo 2015», convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, e al comma 2 recita: «A partire dall'anno 2015 è considerata direttamente adibita ad abitazione principale una ed una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d'uso». Su tale unità immobiliare, inoltre, si prevede l'applicazione di TARI e TASI, per ciascun anno, in misura ridotta di due terzi;
   la nuova disciplina impone il regime IMU previsto per l'abitazione principale all'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani pensionati che non risiedono nello stato italiano e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) e non attribuisce ai comuni la facoltà di assimilare ad abitazione principale gli immobili posseduti in Italia dai cittadini non residenti e non pensionati;
   ne deriva che per gli immobili posseduti dai cittadini italiani residenti all'estero ed iscritti all'AIRE non sia prevista la possibilità di assimilazione all'abilitazione principale e che quindi debbano pagare in Italia un'aliquota IMU e TASI maggiore rispetto ai cittadini ugualmente residenti all'estero ed iscritti all'AIRE ma titolari di pensione;
   dagli atti parlamentari risulta che la questione sia già stata sollevata dal deputato Marco Causi con una interrogazione a risposta in Commissione, la n. 5-05399 e che il 22 aprile 2015 il Sottosegretario del Ministero dell'economia e finanze, Enrico Zanetti, abbia riferito che i comuni non possono per regolamento assimilare le abitazioni degli Italiani residenti all'estero pensionati negli stati di residenza agli Italiani residenti all'estero ma che non godano della pensione e che per una eventuale modifica normativa sarebbe necessaria una copertura finanziaria;
   sul sito web change.org è stata pubblicata una petizione on line per chiedere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e al Presidente del Consiglio Matteo Renzi di estendere anche ai cittadini italiani residenti all'Estero e iscritti all'AIRE i benefici di cui all'articolo 9-bis comma 1 del decreto-legge n. 47 del 2014 –:
   se sia a conoscenza della petizione di cui in premessa;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare per estendere anche ai cittadini italiani residenti all'estero ed iscritti all'AIRE i benefici ex articolo 9-bis del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, per garantire uguale trattamento a tutti cittadini italiani residenti all'estero. (4-09642)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   BORGHI, REALACCI, BRAGA, STELLA BIANCHI, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, COVELLO, DALLAI, DE MENECH, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MAZZOLI, MORASSUT, NARDI, GIOVANNA SANNA, VALIANTE e ZARDINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 maggio 2015, sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è stata pubblicata la graduatoria dei 3.116 piccoli comuni che hanno partecipato al click day del 13 maggio scorso per concorrere all'assegnazione dei fondi del programma «Nuovi progetti di interventi», nuovo nome del piano 6 mila campanili;
   il Programma, inserito nel decreto-legge n. 133 del 2015 cosiddetto Sblocca Italia, mette a disposizione 100 milioni di euro per nuovi progetti dei comuni fino a 5.000 abitanti e nasce dal dialogo avviato dal Presidente del Consiglio con i sindaci sulle opere locali necessarie o da completare;
   il dispositivo del «Click Day» – già utilizzato nel 2013 in occasione del «Primo Programma 6000 Campanili» – porta a compilare la graduatoria solo sulla base della tempistica di presentazione dei progetti, prescindendo dalla qualità e dalla natura degli stessi, e penalizza i comuni con strutture informatiche più fragili, non tenendo in alcun conto dell'istruttoria già effettuata dalla Presidenza del Consiglio sugli interventi segnalati dai comuni per nuovi investimenti in risposta ad una e-mail lanciata dal Presidente del Consiglio in occasione della Festa della Repubblica 2014;
   la reiterazione di tale meccanismo, peraltro, contraddice la pronuncia del Parlamento che – con una risoluzione approvata il 22 aprile 2014 dalla Commissione ambiente e lavori pubblici della Camera – ha affermato che l'adozione del solo criterio di ordine temporale di presentazione dei progetti rischia di creare gravi distorsioni e iniquità nella suddivisione delle risorse del programma, trascurando sia il merito dei progetti che la ripartizione territoriale delle risorse stanziate;
   la citata risoluzione sottolineava anche il problema del digital divide e la conseguente penalizzazione che l'utilizzo del click day ha comportato per i comuni periferici, in particolare quelli montani, e impegnava il Governo a modificare le modalità di assegnazione delle risorse secondo criteri che premino la virtuosità finanziaria dei comuni e che diano priorità a progetti di qualificazione e manutenzione del territorio, riduzione del rischio idrogeologico, riqualificazione ed efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, realizzazione di impianti di produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili, messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici, con particolare riferimento a quelli scolastici;
   nonostante tale specifica indicazione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha ritenuto di disattendere alle risoluzioni parlamentari dando vita ad un meccanismo di assegnazione di fondi pubblici del tutto casuale, iniquo, privo di valutazioni qualitative, che peraltro attribuisce a livello cronologico (arbitrariamente anticipato di un secondo rispetto all'orario indicato nel bando) più interventi rispetto alle risorse disponibili, determinando in tal modo il rischio di un'ulteriore arbitrarietà nell'assegnazione di risorse a comuni le cui domande risultano pervenute un secondo prima dell'orario di ammissibilità;
   è indispensabile quindi modificare radicalmente il procedimento di compilazione della graduatoria e i parametri di valutazione dei progetti, necessità su cui lo stesso Ministero ha convenuto durante il confronto parlamentare, salvo poi smentirsi in sede di applicazione –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per garantire ai comuni che hanno partecipato al click day del 13 maggio 2015 equità e pari condizioni di l'accesso ai fondi del programma «Nuovi progetti di interventi» e per dare piena attuazione agli impegni assunti a seguito dell'approvazione il 22 aprile 2014 della risoluzione n. 7-00317. (5-05936)


   MATARRESE e VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 554 bis (nota anche come nuova 554) è un'arteria fondamentale della viabilità regionale sarda. Il suo tracciato presenta caratteristiche di superstrada, con due corsie per senso di marcia. L'arteria si raccorda con la nuova strada statale 125 e consente il collegamento dell'area metropolitana di Cagliari alle località turistiche della costa sud orientale, sino a Villasimius, proseguendo poi per Costa Rei e Muravera, per raggiungere infine l'Ogliastra;
   l'opera, realizzata dalle ditte Della Morte, Gecopre e Safa, venne aperta al traffico nel 2004 e collaudata nel 2007. Il suo costo totale si aggira intorno ai 55 milioni di euro, a cui vanno aggiunti circa 400 milioni per fallimentari interventi tampone di ripristino;
   sin dalla sua inaugurazione, infatti, la carreggiata della nuova 554 ha subito fenomeni di dissesto, particolarmente drammatici nel tratto ricompreso tra il chilometro 0,000 e il chilometro 6,500 che sono stati gli inequivocabili segnali premonitori degli attuali, gravissimi cedimenti strutturali;
   fronte di tali cedimenti, l'ANAS, ente gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale, ha realizzato costosissimi interventi di ripristino con iniezioni di cemento per il rafforzamento del sottosuolo e colate di asfalto sulla piattaforma stradale che, non solo non hanno prodotto i risultati sperati, ma verosimilmente hanno paradossalmente finito per appesantire la massicciata e il manto stradale, concorrendo all'attuale fenomeno di scivolamento verso valle: un fenomeno franoso di origini profonde che, colpevolmente, non è mai stato individuato in fase di progettazione dell'opera e che ha poi ingenerato gli esiti disastrosi che da sempre affliggono la nuova 554;
   più in dettaglio, i primi smottamenti della carreggiata si sono registrati nel 2008 e sono continuati nonostante la sostituzione di una canaletta nel 2011, quando venne ipotizzato per la prima volta un cedimento legato a difetti di progettazione e di realizzazione dell'opera, mentre nel 2012 è stato rimosso e ripristinato il manto stradale. Al di là delle generiche rassicurazioni di Anas circa un presunto monitoraggio del movimento franoso attraverso il posizionamento di celle piezometriche ed inclinometri, dopo le alluvioni del novembre 2013, si sono verificate nuove frane e la situazione si è ulteriormente aggravata in seguito alle incessanti piogge dello scorso marzo 2015 quando, in un solo mese, si è formato un gradino di frana di oltre un metro sulla carreggiata. A quel punto, il 13 marzo, l'Anas ha deciso di chiudere completamente l'arteria in entrambi i sensi di marcia dal chilometro 0,000 al chilometro 6,500;
   dal marzo scorso, l'ANAS ha avviato gli interventi di ripristino provvisorio del tratto stradale interessato. Il suddetto cantiere è situato al chilometro 3,100 della strada statale 554, nel comune di Quartucciu e più volte è comparsa sulla stampa locale la promessa di un parziale ripristino della viabilità, almeno in un senso di marcia, entro la fine del mese di giugno 2015;
   a metà giugno però, un nuovo imprevisto sembrerebbe essersi frapposto al ripristino – seppur parziale – della viabilità della nuova 554. Infatti, nell'ambito di indagini avviate dalla procura di Cagliari, il nucleo di polizia giudiziaria del corpo forestale del capoluogo ha disposto il sequestro preventivo dell'area del cantiere, parrebbe in seguito al ritrovamento di modeste quantità di conglomerato bituminoso utilizzate nell'ambito dei lavori di ricostruzione del rilevato stradale eseguiti nel 2011;
   oltre ad annunciare la costruzione di una bretella di raccordo, lo scorso 19 giugno Anas si impegnava a presentare in tempi brevi una motivata istanza di dissequestro (vedasi L’Unione Sarda 20 giugno 2015), allo scopo di poter completare le opere necessarie al ripristino provvisorio del tratto stradale prima dei grandi flussi di traffico estivi. Il perdurare dell'interruzione della viabilità tra l'area di Cagliari e il litorale sud orientale comporta il rischio di drammatiche conseguenze per la viabilità locale e per il turismo del sud Sardegna;
   tale rischio è andato materializzandosi nei primi week end della attuale stagione turistica. Il tracciato della vecchia strada provinciale 17 (la strada litoranea, con due sole corsie) è del tutto insufficiente a reggere il traffico estivo, con la inevitabile conseguenza delle lunghissime code di auto che – nelle giornate di punta – si creano nel tratto compreso tra il Margine Rosso e l'imbocco della nuova strada statale 125, all'altezza di Terra Mala;
   tale situazione è ovviamente fonte di straordinari disagi per tutte le famiglie che sono costrette a movimenti automobilistici pendolari per raggiungere in giornata le località balneari della costa sud orientale, che sono soggette ad aggravi di consumo di carburante e – soprattutto – di tempi morti di percorrenza, a causa della predetta interruzione della viabilità;
   il disagio nella rete viaria ha inoltre effetti dissuasivi sulle destinazioni turistiche della costa sud orientale, diventate più difficilmente raggiungibili e crea pertanto un danno economico a tutte le attività recettive e turistiche di tale regione della Sardegna;
   al di là della riattivazione momentanea della percorribilità della nuova 554, Anas è tenuta a predisporre il progetto degli interventi di sistemazione definitiva dell'importante rete viaria, ma a tutt'oggi non è dato conoscere se tale progetto esista, quale sia il relativo finanziamento e quali siano i tempi ragionevolmente previsti per la realizzazione dell'intervento –:
   se non ritenga di esercitare in modo stringente il controllo e la vigilanza tecnica ed operativa su Anas (anche attraverso un'indagine ministeriale che accerti le eventuali responsabilità nella progettazione, realizzazione e nella gestione che gli interroganti giudicano maldestra della nuova 554 con la quantificazione del denaro pubblico speso sino ad oggi), nonché di attivare immediate e drastiche procedure affinché il gestore avvii, anche con cantieri aperti h 24, su tre turni e sette giorni su sette, tutti gli interventi necessari per mettere in sicurezza il tratto interrotto della nuova 554, per ripristinare rapidamente la viabilità interrotta (anche attraverso la costruzione di una bretella sostitutiva di raccordo) e per consentire alle attività imprenditoriali, ai turisti e a tutti gli automobilisti sardi di ridurre la portata del disagio. (5-05937)


   DAGA, MICILLO, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 8, comma 10-bis, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, al fine di consentire il passaggio da casa a casa per i soggetti interessati dalle procedure esecutive di rilascio per finita locazione, la parte interessata, deve presentare un'istanza al giudice che può disporre la sospensione fino al 28 giugno 2015, cioè fino al centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto;
   la mini proroga non sembra rappresentare la soluzione al problema; basti pensare che, a inizio anno, a chiedere al Governo la proroga degli sfratti erano stati, in un appello congiunto, gli stessi sindaci di Milano e Roma, Pisapia e Marino, «per evitare, in attesa del tempo necessario anche per l'attuazione del Piano casa disposto dal Governo, il rischio concreto di generare nelle grandi aree urbane una tensione insostenibile»; è proprio nel varo di questo pacchetto che il Ministro Lupi ha trovato la giustificazione per riuscire a mettere la parola fine allo «strumento vecchio e logoro della proroga gli sfratti», dotando con 446 milioni di euro complessivi i fondi per il sostegno all'affitto a canone concordato e quello per la morosità incolpevole, casistica esclusa dalla misura di proroga; stando al Piano casa, quindi, per quanti non ce la fanno a pagare l'affitto, ci sarebbero 226 milioni di euro, da spalmare su un orizzonte di sette anni, vale a dire 35 milioni all'anno; una cifra decisamente insufficiente, visto che solo nel 2013 gli italiani colpiti da sfratto esecutivo per morosità incolpevole sono stati oltre 65 mila;
   secondo quanto riportato dall'Unione inquilini la situazione al 2014 è la seguente: «I dati pubblicati dall'Agenzia di Statistica del Ministero dell'Interno sull'andamento degli sfratti in Italia nel 2014 parlano di una situazione che peggiora ancora in tutta Italia e in particolare a Roma. Le nuove sentenze di sfratto, che nel 2013 per la prima volta avevano superato la soglia degli 8000 provvedimenti, sono ulteriormente cresciute, arrivando nel 2014 a 8264. Le richieste di esecuzione con l'Ufficiale Giudiziario sono giunte a 10.263 (+28,67 per cento rispetto al 2013) e le esecuzioni forzate con la forza pubblica sono state 2.726 (con un incremento di quasi il 5 per cento rispetto all'anno scorso). In pratica a Roma nel 2014 per ogni giorno lavorativo ci sono stati 13 sfratti eseguiti con la forza pubblica, 47 accessi di Ufficiali Giudiziari, 38 nuove sentenze di sfratto. La morosità passa dall'86 per cento del totale delle sentenze emesse nel 2013 al 90 per cento nel 2014.»;
   alla fine del 2014 era stata depositata in Commissione l'interrogazione n. 5-04198 a cui il Governo non ha fornito risposta, nonché la risoluzione n. 7-00539 che chiedeva impegni chiari al Governo e che non è ancora stata discussa;
   i decreti attuativi necessari per avviare il percorso di recupero degli alloggi (articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014) e per l'erogazione dei fondi per il canone concordato e per la morosità incolpevole (articolo 2 del decreto-legge n. 47 del 2014) sono stati pubblicati da alcuni mesi in Gazzetta Ufficiale e ancora non si ricevono segnali da parte di comuni e regioni sulle ricognizioni necessarie all'erogazione;
   per quanto riguarda la regione Lazio, nel BUR Regione Lazio n. 43 del 28 maggio 2015 si legge che la regione ha disposto lo stanziamento di oltre 45 milioni di euro finalizzati al recupero di nuovi alloggi popolari da destinare alle graduatorie; in sintesi, si tratta di un finanziamento che la regione mette a disposizione delle ATER e dei comuni per adeguare ad uso abitativo gli immobili attualmente sfitti e inutilizzati che richiedano costi di rifacimento non superiori a 50 mila euro; questo provvedimento regionale fa seguito all'articolo 4 del decreto interministeriale 16 marzo 2015, secondo il quale entro 120 giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso le regioni devono trasmettere al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti gli elenchi degli interventi di recupero finanziabili, che devono a loro volta essere segnalati alla regione da parte dei comuni aventi titolo e delle ATER;
   sempre nel BUR della regione Lazio n. 43 viene segnalato un secondo provvedimento che riguarda invece i circa 240 inquilini sotto sfratto per finita locazione che hanno già ottenuto la mini-proroga in scadenza il prossimo 28 giugno: la regione Lazio ha infatti stanziato circa 900 mila euro, con i quali il comune di Roma dovrebbe poter concedere un contributo di tremila euro per ogni nucleo familiare; il comune di Roma ora dovrà quindi attivarsi immediatamente trasmettendo alla prefettura l'elenco dei soggetti aventi diritto, per permettere la sospensione degli sfratti in attesa della concessione del contributo (poiché questo dovrebbe appunto essere finalizzato ad agevolare il «passaggio da casa a casa»);
   vi è la fondata preoccupazione che, allo scadere del 28 giugno 2015, l'emergenza abitativa in tutto il Paese possa solo peggiorare se non si dà il giusto tempo per attuare tutti i provvedimenti necessari a garantire il passaggio da casa a casa e l'erogazione dei fondi agli aventi diritto –:
   se il Ministro, in base alla verifica dello stato dell'arte dell'erogazione dei Fondi per il canone concordato e per la morosità incolpevole e dello stato di attuazione dell'articolo 4 del decreto-legge 47 del 2014 relativo al recupero degli immobili, intenda chiarire le intenzioni del Governo sul futuro delle famiglie per le quali il 28 giugno è scaduta la proroga degli sfratti per finita locazione. (5-05938)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   al 30 giugno 2014, la rete autostradale nazionale è composta da circa 6.757 chilometri di strade, mentre la rete stradale (strade statali, regionali, provinciali, comunali) è costituita da circa 837.500 chilometri di strade, la totalità delle quali è caratterizzata da un impianto tradizionale che prevede l'impiego dell'asfalto, una miscela di bitume (derivante dal petrolio) e inerti;
   gli obiettivi del «pacchetto clima-energia 20-20-20» varato dall'Unione europea (1o ridurre i gas ad effetto serra del 20 per cento o del 30 per cento in caso di accordo internazionale; 2o ridurre i consumi energetici del 20 per cento, aumentando l'efficienza energetica; 3o soddisfare il 20 per cento del fabbisogno energetico europeo con le energie rinnovabili) hanno determinato una accelerazione sulla ricerca di prodotti innovativi capaci di assorbire le sostanze inquinanti presenti nell'atmosfera;
   ad oggi esistono diversi ed innovativi esempi di «asfalto ecologico» che costituiscono una valida alternativa al tradizionale asfalto utilizzato per pavimentare le strade. A titolo di esempio è possibile citare:
    a) asfalto realizzato senza l'impiego di bitume o di altre materie prime non rinnovabili, ma ottenuto dall'impiego prevalente di materiali da riciclo come la plastica derivante dalla raccolta differenziata, o la gomma dei copertoni degli autoveicoli;
    b) asfalto fotocatalitico concepito per assorbire l'inquinamento ambientale attraverso il processo di fotocatalisi che velocizza l'ossidazione degli inquinanti come l'ossido di azoto, le polveri sottili e i VOC immessi nell'aria dagli scarichi delle automobili e da altre attività dell'uomo: l'innesto della reazione chimica avviene attraverso l'irradiazione solare e l'ele- mento che consente il verificarsi di questo fenomeno è il Biossido di Titanio;
    c) pavimentazioni stradali realizzate in cemento fotocatalitico, con malta a base di biossido di titanio;
   ad oggi agli interroganti risulta che l'asfalto ecologico sia scarsamente utilizzato in Italia, in parte a causa del costo più elevato dell'asfalto tradizionale. Il costo potrebbe tuttavia essere ridotto con le adeguate economie di scala, ad esempio l'acquisto da parte degli enti pubblici e dei soggetti gestori o concessionari di strade permetterebbe il decollo di questo settore emergente e il successivo abbassamento dei costi;
   i comuni di Roma e Milano hanno già realizzato alcune strade con ecoasfalto e l'asfalto fotocatalitico è stato utilizzato anche in altre strade minori –:
   quale sia sulle tratte stradali di propria competenza il grado di diffusione dei materiali innovativi come quelli precedentemente menzionati e, anche alla luce delle sue dichiarazioni in occasione degli «Stati generali sui cambiamenti climatici e la difesa del territorio» del 22 giugno 2015, se non intenda prevedere azioni che ne incentivino l'impiego su grande scala al fine di contribuire a ridurre l'impatto sulle emissioni in atmosfera. (5-05939)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 7 Ferrandina-Matera è un asse viario molto importante in quanto collega la strada statale 407 Basentana alla città capoluogo di provincia e dall'ottobre 2015 è stata nominata capitale europea della cultura per l'anno 2019;
   la strada in questione, oltre ad essere ad unica carreggiata a doppio senso di marcia che mal sopporta l'enorme mole di traffico soprattutto nei giorni feriali per via dei mezzi pesanti che la percorrono, è in pessime condizioni strutturali;
   un fondo stradale sconnesso e pieno di avvallamenti pericolosi per gli automobilisti soprattutto nel tratto tra lo svincolo di Pomarico e quello di Miglionico, una galleria, quella in prossimità di Pomarico che dovrebbe essere maggiormente illuminata, sterpaglie ed erba alta a bordo strada, sono alcuni degli elementi che la rendono altamente insicura;
   purtroppo si verificano spesso una serie di incidenti;
   in considerazione dell'incremento del traffico legato al richiamo turistico della città di Matera, si rendono necessari interventi di manutenzione straordinaria che la mettano in sicurezza prima di qualsiasi studio di fattibilità per un possibile e necessario raddoppio;
   la stessa segnaletica è lacunosa e non degna di una strada che collega una città importante come Matera e i paesi dell’hinterland occorrerebbe effettuare interventi per facilitare la vita ai turisti;
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare affinché ANAS metta in sicurezza e migliori la viabilità lungo la strada statale 7 Matera-Ferrandina al fine di renderla adeguata a consentire l'accesso ad una capitale europea della cultura e meno pericolosa per i tanti pendolari che quotidianamente la percorrono. (5-05928)


   DE LORENZIS, MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la distribuzione della rete ferroviaria nazionale presenta significative differenze tra le diverse macro-ripartizioni del Paese (Mezzogiorno, Centro, Nord Ovest, Nord Est). Il Mezzogiorno ha la maggiore estensione di ferrovie con 5730 km, ma risulta penalizzato da una rete complessivamente meno moderna ed efficiente – possiede, infatti, il maggior numero di chilometri a «binario singolo» e conta il 41 per cento di rete non elettrificata;
   in Sicilia, in particolare, si registra una grave mancanza di un'offerta di servizi veloci regionali di collegamento tra i vari capoluoghi – su una rete ferroviaria di 1378 chilometri, infatti, soltanto 178 chilometri sono a doppio binario e ben 1200 chilometri a binario semplice (per ciò che concerne l'alimentazione, la Sicilia può contare su 800 chilometri di linee elettrificate – di cui 178 chilometri a doppio binario e 622 chilometri a binario semplice – ed addirittura 578 chilometri di linee non elettrificate);
   le reti di trasporto ferroviario appaiono, in generale, inadeguate e non sembrano essere in grado di soddisfare le aspettative in termini di infrastrutture rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea determinando una scarsa propensione all'utilizzo del mezzo ferroviario, soprattutto nel campo del trasporto merci che viene considerato – dagli operatori del settore logistico internazionale – deficitario sia per dotazione infrastrutturale sia per offerta di servizi in termini di tempi e costi;
   la gestione ed il mantenimento dell'infrastruttura statale sono stati affidati, sulla base di una concessione della durata di 60 anni – in scadenza nel 2060 – a Rete ferroviaria italiana (RFI) spa la quale, dal luglio 2001, ha assunto compiti di gestione e manutenzione della rete, progettazione, costruzione e messa in esercizio di nuovi impianti, gestione dei sistemi di sicurezza e regolazione ferroviaria, definizione dell'orario della rete, prestazione dei servizi di manovra dei convogli nelle stazioni ferroviarie;
   il contratto di programma RFI 2012-2016 parte investimenti – sottoscritto l'8 agosto 2014 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e Rete ferroviaria Italia (RFI) spa – delinea un orientamento di medio periodo caratterizzato principalmente dal mantenimento e dal miglioramento dei livelli di sicurezza previsti dagli obblighi e dalle prescrizioni normative, dallo sviluppo prestazionale dei corridoi merci e dalla velocizzazione degli assi passeggeri;
   il valore delle opere in corso del nuovo contratto di programma 2012-2016 – sommando i nuovi stanziamenti agli stanziamenti oggetto del precedente contratto 2007-2011 – si attesta a circa 98.736 milioni di euro (compresi progetti ultimati) rispetto ai 93.944 milioni di euro (compresi progetti ultimati) dell'aggiornamento 2010/2011 del contratto di programma 2007-2011;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana provvederanno all'aggiornamento del contratto per tenere conto delle risorse stanziate dalla legge n. 164 del 2014 cosiddetto Sblocca Italia (864 milioni di euro) e dalla legge di stabilità 2015 (12,3 miliardi di euro, peraltro comprensivi di 4,2 miliardi di euro per la manutenzione straordinaria che non è oggetto del Contratto parte investimenti);
   in data 25 febbraio 2013, a causa di continui smottamenti sui binari, viene chiusa la tratta ferroviaria Trapani-Alcamo, via Milo; nel 2003 erano stati stanziati 300 milioni per l'ammodernamento e la velocizzazione della ferrovia Palermo-Trapani e, a distanza di dodici anni circa, tale opera viene inserita nello «Sblocca Italia» per un importo di 491 milioni e risorse finanziare pari a 2 milioni soltanto;
   la chiusura di questa arteria ferroviaria ed il suo mancato ripristino stanno creando un grave danno alla mobilità dell'utenza pendolare che si trova costretta a raggiungere Trapani in bus sostitutivo dalla Diramazione di Alcamo o via Castelvetrano allungando la percorrenza di circa 70 km/treno e di oltre 35 minuti –:
   quali misure — di concerto con Rete ferroviaria italiana e con la regione Siciliana — intenda adottare per evitare il progressivo smantellamento e la definitiva chiusura della tratta ferroviaria Trapani-Alcamo, via Milo, quali interventi ritenga siano necessari per assicurare il ripristino della funzionalità, il potenziamento e la messa in sicurezza della tratta sopra citata ed in che tempi ed attraverso l'utilizzo di quali risorse economiche intenda realizzare le suddette opere di ripristino.
(5-05929)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'attentato di Sousse in Tunisia che ha sconvolto la comunità internazionale si è verificato un caso riportato dal quotidiano La Repubblica in data 29 giugno 2015 sul quale sono necessari chiarimenti da parte del Ministero dell'interno;
   il quotidiano riporta la notizia che la prima nave partita da Tunisi dopo l'attentato è stata la «Zeus Palace» della Grimaldi approdata a Palermo con 270 passeggeri;
   nell'articolo si evidenzia l'assenza di metal detector e scanner e si rileva come la sicurezza sia affidata a poche unità della dogana supportate da altrettante poche unità di polizia di Stato e guardia di finanza;
   è del tutto evidente che l'episodio riportato lascia molto perplessi e preoccupati circa l'efficacia dei sistemi di sicurezza del porto di Palermo e degli approdi di tutta la Sicilia –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere con la massima urgenza per rafforzare le misure di sicurezza anti terrorismo presso il porto di Palermo e di tutta la Sicilia rafforzando le dotazioni organiche delle forze dell'ordine in servizio e dotandole di adeguati mezzi e supporti tecnologici. (3-01587)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   456 profughi sono giunti il 30 giugno 2015 nel porto canale di Cagliari a bordo della nave della «Guardia civil» spagnola Rio Segura;
   a bordo sono state riscontrate 87 persone malate di scabbia e sono state messe in stato di isolamento;
   le condizioni di salute dei migranti complessivamente «non sono buone»;
   oltre alle 87 persone malate di scabbia, altre tre hanno fratture agli arti;
   le donne sono 156, di cui 18 incinte, mentre sono 42 i minori, di cui 12 bambini, alcuni anche di pochi anni;
   le strutture sanitarie intervenute hanno di fatto dichiarato un allarme scabbia tra i migranti sbarcati a Cagliari;
   i profughi risultano provenienti per la gran parte da Sudan, Eritrea e Senegal;
   la decisione con la quale sono stati trasferiti in Sardegna conferma la determinazione del Governo di fare dell'isola un vero e proprio campo di isolamento per evitare tensioni ai confini con gli altri Stati;
   tali trasferimenti che sono secondo l'interrogante palesemente irrazionali e irragionevoli raggiungono costi esorbitanti senza giustificazione alcuna;
   appare una decisione irrazionale proprio perché i migranti non vogliono essere isolati e reclusi di fatto in Sardegna ma puntano ad altre mete;
   tutto questo continuerà a provocare tensioni di ogni genere anche con le forze dell'ordine per colpa di un Governo che appare all'interrogante incapace di fronteggiare l'emergenza;
   appare del tutto irragionevole che una nave militare spagnola sia entrata nel porto di Cagliari quando avrebbe tranquillamente e senza ulteriori aggravi dirigersi direttamente nei porti spagnoli per le procedure d'accoglienza;
   è fin troppo evidente che la Sardegna non è attrezzata a questo tipo di sbarco, e soprattutto si conferma l'irrazionalità di una decisione che mira solo a isolare i migranti in Sardegna impedendogli di muoversi verso altre regioni e altri Stati;
   la scelta riguarda proprio la sua caratteristica principale: il suo essere isola e isolata;
   si tratta di una decisione che appare all'interrogante scandalosa e contro tutte le disposizioni internazionali;
   si mira a creare una vera e propria barriera fisica che isoli gli immigrati dal resto del continente e impedisca loro di muoversi nel territorio nazionale con troppa facilità;
   la Sardegna sarebbe di fatto un vero e proprio «campo di isolamento»;
   si tratta dell'ennesima decisione irrazionale del Governo italiano che, scaricando in Sardegna migliaia di immigrati, di fatto li colloca in un'isola per non disturbare le frontiere con gli altri Stati;
   questa non è accoglienza, per la quale la Sardegna non è pronta in questi numeri;
   appare evidente che dal giorno dopo il loro arrivo questi migranti vorranno andar via dalla Sardegna e per le forze dell'ordine saranno altri giorni di grande tensione;
   secondo l'interrogante il Governo opera solo funzionalmente alla spesa di denaro, ignora invece le reali condizioni delle singole regioni e, soprattutto, non tiene conto dell'obiettivo di questi migranti: raggiungere altre regioni e altri Stati –:
   se non intenda dare spiegazioni del motivo per il quale una nave militare spagnola è entrata nel porto Canale di Cagliari con a bordo quasi 500 migranti e non li abbia invece trasferiti nel primo utile porto spagnolo;
   se non intenda disporre che le navi militari straniere che operano nel Mediterraneo siano obbligate a trasferire nel principio di solidarietà e di sicurezza nei rispettivi porti di competenza;
   se non intenda interrompere questo flusso irrazionale e irragionevole di migranti in Sardegna considerato che gli stessi considerano l'isola una sorta di «campo di isolamento» teso ad impedire loro di muoversi verso altre regioni e altri Stati;
   se non intenda fornire un quadro esaustivo dell'organizzazione dell'accoglienza in Sardegna, compresi gli affidamenti e le graduatorie delle gare d'appalto per tali gestioni che risultano ancor oggi non rese pubbliche da alcune prefetture. (5-05932)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come denunciato a mezzo stampa da esponenti politici locali nella città di Trieste è stato istituito un servizio taxi in piena regola per il trasporto di immigrati, che non riguarda le urgenze bensì qualunque spostamento dai centri di accoglienza alle strutture sanitarie locali;
   lo stesso servizio per i cittadini italiani è gratuito solo a condizioni molto restrittive: un'età minima anni 18, una invalidità fisico – motoria al 100 per cento e impossibilità a deambulare senza l'aiuto di un accompagnatore, il tutto comprovato da idonea certificazione sanitaria rilasciata dalle, commissioni pubbliche preposte all'accertamento degli stati invalidanti, attestante il grado di invalidità suddetto;
   la decisione del commissario straordinario dell'azienda sanitaria locale di Trieste comporta presumibilmente, a bilancio invariato, un taglio ad altre spese sanitarie –:
   se esistano a livello nazionale protocolli o linee guida in materia di assistenza e gestione degli immigrati o dei richiedenti asilo che prevedano, anche solo in via opzionale, quanto attivato dalla ASL di Trieste. (4-09638)


   MOLTENI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 giugno 2015, un trentaduenne già noto alle forze dell'ordine, è stato sorpreso da una pattuglia dei carabinieri del nucleo di Erba, mentre si accingeva a raccogliere e portar via la refurtiva sottratta ad un appartamento situato in via Trieste, a Ponte Lambro;
   il furto in appartamento non è riuscito soltanto perché i proprietari dell'immobile sono rientrati a casa mentre il ladro era ancora intento a rubare, hanno immediatamente chiamato il 112 ed è stata trovata una pattuglia dei carabinieri pronta ad intervenire nelle immediate vicinanze;
   il ladro, tal Gringo Stojanovic, apparentemente un nomade proveniente da un campo rom del milanese, è stato arrestato;
   la vicenda prova, secondo l'interrogante, da un lato, il rischio che comporta dal punto di vista della sicurezza la presenza di campi nomadi sul territorio e, dall'altro, i benefici che un capillare controllo da parte delle forze dell'ordine può assicurare alla cittadinanza;
   la pressione microcriminale su Erba e dintorni permane elevata –:
   se il Governo non ritenga opportuno, alla luce delle circostanze generalizzate in premessa, rafforzare i presidi delle forze dell'ordine ad Erba, in particolare destinando alla locale stazione dei carabinieri più uomini e mezzi. (4-09647)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la sentenza della terza sezione della Cotte di giustizia dell'Unione europea del 26 novembre 2014, relativa alla reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi, specifica che l'indirizzo internazionale deve andare verso l'utilizzo di contratti a tempo indeterminato;
   il tribunale di Napoli si è recentemente espresso a favore di un docente precario in possesso dei 36 mesi di servizio, il quale si è visto riconosciuto il diritto ad avere un contratto a tempo indeterminato, condannando inoltre il Ministero al pagamento delle retribuzioni contrattualmente dovute per i periodi di interruzione di lavoro fino all'immissione in ruolo e di tutte le spese processuali;
   il precariato formatosi nel settore AFAM è stato generato da un'assenza di procedure concorsuali aperte per ben venticinque anni (legge n. 417 del 1990), e riservate per sedici anni (ordinanza ministeriale n. 247 del 1999), nonché per una sovrapposizione normo-giuridica senza precedenti;
   i dati attuali del precariato del settore AFAM censiti dalle recenti graduatorie nazionali prima menzionate indicano 1.201 docenti idonei; numero che sommato alle gemelle graduatorie di cui al decreto-legge n. 97 del 2004 non riesce a soddisfare i posti attualmente vacanti e disponibili, cosicché accademie e conservatori sono ugualmente costretti a ricorrere a graduatorie di istituto per far fronte al servizio didattico;
   l'età media dei docenti menzionati è superiore ai quarant'anni, con picchi limite all'età pensionabile; tutti sono abilitati e selezionati attraverso bandi pubblici d'istituto triennali, con un'esperienza d'insegnamento pluriennale e soprattutto con una media di servizio di molto superiore al limite imposto affinché il rapporto di lavoro si trasformi a tempo indeterminato;
   i docenti afferenti alle citate graduatorie nazionali hanno maturato tre anni accademici e oltre, allo stesso modo di tutti i docenti ancora non immessi a tempo indeterminato e facenti parte della graduatoria del 2004;
   l'applicazione delle graduatorie nazionali non è riuscita a coprire tutti i posti necessari al funzionamento degli istituti AFAM per il corrente anno accademico 2014/15;
   per molti posti vacanti si è dovuto ricorrere di nuovo all'indizione di bandi pubblici per la costituzione di nuove graduatorie d'istituto. I docenti delle graduatorie nazionali sono inoltre tutti occupati su posti liberi e vacanti con contratto a tempo determinato reiterato negli anni, per svolgere le medesime mansioni lavorative;
   quasi tutti i contratti sono senza soluzione di continuità, ponendosi così in contrasto con l'articolo 5 del decreto legislativo n. 368 del 2008, compreso il comma 4, il quale dispone che con «due assunzioni successive a termine senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto»;
   il 16 agosto del 2014, con apposito decreto del Presidente della Repubblica, sono state autorizzate le immissioni in ruolo di una percentuale dei docenti delle citate graduatorie nazionali gemelle ex lege n. 143 del 2004 (gemelle per modalità di reclutamento anche se bastavano due soli anni di servizio, mentre per le ultime graduatorie nazionali ne occorrevano almeno tre) trasformatesi ad esaurimento per effetto del citato decreto-legge n. 104 del 2013, il quale ha disciplinato a giudizio degli interpellanti in modo ingiustificatamente e incostituzionalmente diverso docenti appartenenti allo stesso compatto e con i medesimi requisiti;
   oltre ad essere necessario terminare il processo di stabilizzazione dei pochi docenti ancora ricadenti nell'ambito di applicazione della citata legge n. 143 del 2004 (dei quali non più di trenta di pertinenza delle Accademie di belle arti; si può oggettivamente parlare di graduatoria ormai esaurita), è al contempo fondamentale trasformare immediatamente la graduatoria nazionale ex lege n. 128 del 2013 (di cui al decreto ministeriale n. 526 del 2014) in graduatoria nazionale ad esaurimento, utile per l'attribuzione degli incarichi di insegnamento con contratto a tempo indeterminato e determinato; ciò anche in virtù del fatto chi è oggettivamente l'unica graduatoria nazionale, creata tramite procedura concorsuale, pienamente rappresentativa dell'attuale precariato storico nel compatto AFAM. Al riguardo, si ricorda come in questi anni i docenti inclusi nella graduatoria ex lege 128, oltre ad aver garantito il regolare inizio dei corsi, abbiano formato ed abilitato all'insegnamento i docenti ora immessi in ruolo nei licei ad indirizzo musicale;
   circa il 50 per cento del corpo docente precario, in possesso dei 36 mesi di servizio necessari, ha intrapreso azione legale nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a fronte dei principi di legge esposti e a tutela della stabilità lavorativa;
   al fine di non veder condannato il Ministero all'obbligo della stabilizzazione di questi poco più di mille docenti, al pagamento delle retribuzioni relative ai periodi di interruzione del rapporto di lavoro e delle relative spese processuali gli interpellanti ritengono sia indispensabile, opportuno e giusto sanare quest'incredibile anomalia tutta italiana –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Ministro per tutelare le professionalità didattiche incluse nelle citate graduatorie nazionali, nel rispetto dell'esperienza didattica maturata in anni di servizio e della continuità d'insegnamento, affinché si possa assorbire tutto il precariato del settore dell'alta formazione artistica e musicale in possesso del requisito nazionale ed europeo (trentasei mesi) sulla base dei posti attualmente vacanti e disponibili, e così chiudere il meccanismo delle supplenze legate al settore scuola;
   se il Ministro sia intenzionato ad aprire a breve un tavolo di confronto sul tema, con docenti e rappresentanze sindacali, prima di ogni riordino del comparto.
(2-01020) «Rigoni, Cimbro, Dallai, Albini, Tentori, Lattuca, Ciracì, Carra, Castricone, Censore, Cenni, Carocci, Ventricelli, Carnevali, Carella, D'Ottavio, Stumpo, Fiorio, Cominelli, Cova, Piras, Taricco, Pellegrino, Ferrara, Airaudo, Manfredi, Laforgia, Oliverio, Tino Iannuzzi, Iori, Mognato, Pastorino, Capodicasa».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la sezione provinciale di Bari dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti fino all'ultimo anno scolastico ha attuato un progetto concernente attività integrative extrascolastiche per gli 85 studenti con disabilità visiva, il servizio trascrizione dei libri di testo per i 30 allievi frequentanti le scuole secondarie di 2o grado nonché un progetto per centro diurno e assistenza domiciliare per i 26 videolesi adulti pluriminorati attivati presso l'Istituzione centro «Messeni»;
   questi progetti secondo il sindaco della città metropolitana di Bari sarebbero a rischio di chiusura come la stessa istituzione centro per videolesi «Messeni — Localzo» di Rutigliano, che assicura interventi educativo-riabilitativi ad oltre 70 alunni con minorazione visiva;
   il caso è stato segnalato dal presidente del consiglio regionale dell'UIC;
   circa 250 studenti da settembre rischiano di non avere più quelle figure professionali specializzate e quei supporti educativi e riabilitativi che, fino ad oggi, hanno favorito e sostenuto la loro piena partecipazione alla vita scolastica;
   il passaggio alle città metropolitane e il non completato processo di riforma sulle competenze in materia di enti locali, aggravato dal ridimensionamento delle risorse finanziarie a disposizione, rischiano di penalizzare gli utenti disabili visivi e le loro famiglie;
   per l'Unione italiana ciechi se si dovesse verificare quanto denunciato in vista dell'anno scolastico 2015/2016, ciò si tradurrebbe in una grave interruzione di pubblico servizio –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale situazione e se non intenda attivarsi, per quanto di competenza, per promuovere un incontro tra le istituzioni competenti e gli uffici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nonché l'Unione italiana ciechi e le famiglie per individuare le opportune soluzioni che assicurino la continuità dei servizi fino ad ora erogati e una loro migliore pianificazione a partire dal prossimo anno scolastico a tutela dei disabili e dei loro diritti. (5-05923)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUNO BOSSIO, BURTONE, D'ATTORRE, STUMPO, ZOGGIA, LEVA e CENSORE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 11 marzo 2015, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) si è pronunciato con ordinanza n. 1089/2015 su un ricorso proposto da centinaia e centinaia di ricorrenti diplomati magistrali che richiedevano l'accesso alle graduatorie ad esaurimento;
   il Consiglio di Stato, oltre a ribadire il valore abilitante del diploma magistrale conseguito entro il 2001/2002, importante traguardo raggiunto per la prima volta nel 2014 grazie ad un ricorso dell'Associazione ADIDA (associazione docenti invisibili da abilitare), ha valutato illegittima l'esclusione dalle graduatorie ad esaurimento dei docenti che sono in possesso di tale titolo;
   attualmente non tutti gli uffici scolastici hanno provveduto ad immettere i ricorrenti nelle graduatorie e, inoltre, viene del tutto travisata la natura della «riserva» con la quale i docenti vengono inseriti;
   gli uffici scolastici, difatti, persistono nel confondere la riserva di cui all'articolo 6, comma 6, del decreto ministeriale 235/2014, con la riserva che scaturisce dalla natura del provvedimento cautelare che è direttamente esecutivo;
   tale abnorme errore di interpretazione comporta l'impossibilità da parte dei ricorrenti di stipulare contratti a tempo determinato e indeterminato vanificando gli effetti del provvedimento cautelare del Consiglio di Stato e non ottemperando ad una ordinanza che, di fatto, prevede l'inserimento dei ricorrenti nelle GAE nei rispettivi uffici scolastici;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha già emanato una nota del 20 maggio 2015 n. 0015457 chiarendo agli USP di dover ottemperare, prendendo una posizione di favore rispetto ai ricorrenti; tuttavia gli uffici territoriali proseguono nel mantenere un comportamento che viola e contrasta il provvedimento processuale che deve essere inevitabilmente eseguito;
   il Governo, oltretutto, deve farsi carico di tutti i precari della scuola e dei diplomati magistrali a prescindere dalle posizioni processuali –:
   come il Governo intenda procedere per dare corso all'ordinanza del Consiglio di Stato chiarendo la natura della «riserva» disposta nella stessa ordinanza, dal momento che non può essere considerata uguale a quella riconosciuta a coloro i quali si sono inseriti in una graduatoria ancor prima di conseguire il titolo;
   per quali motivi non si consenta l'inserimento in GAE di tutti i diplomati magistrali entro l'anno 2001/2002, anche di quelli non beneficiari dell'ordinanza e dei ricorsi similari, al fine di evitare il moltiplicarsi dei contenziosi con ulteriori oneri per lo Stato. (4-09643)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da tempo si cerca di trovare soluzioni per il riconoscimento di benefici previdenziali in favore dei lavoratori impegnati in attività usuranti. La normativa di riferimento risale al decreto legislativo n. 374 del 1993, «Attuazione dell'articolo 3, comma 1, lettera f), della legge 23 ottobre 1992, n. 241, recante benefici per le attività usuranti», con lo scopo di attenuare l'innalzamento dell'età per il pensionamento di vecchiaia;
   tra le attività particolarmente usuranti individuate nella tabella A allegata al citato decreto legislativo, prodotta da una commissione tecnico-scientifico ai sensi dell'articolo 3, comma 1 lettera f), legge n. 421 del 1992, figurano i «lavori in altezza: su scale aeree, con funi a tecchia o parete, su ponti a sbalzo, su ponti a castello installati su natanti, su ponti mobili a sospensione. A questi lavori sono assimilati quelli svolti dal gruista, dall'addetto alla costruzione di camini e dal copritetto»;
   per l'elencazione e l'individuazione delle mansioni particolarmente usuranti, è stato emanato in seguito, il decreto ministeriale 19 maggio 1999, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 208 del 4 maggio 1999, che pur considerando i risultati a cui era pervenuta la commissione tecnico scientifica ed il parere espresso in merito a determinate mansioni in ragione delle caratteristiche di maggiore gravità dell'usura che esse presentano anche sotto il profilo dell'incidenza della stessa sulle aspettative di vita e dell'esposizione al rischio professionale di particolare intensità, non ha inserito tra le mansioni particolarmente usuranti: «il lavoro svolto in altezza»;
   successivamente il decreto legislativo n. 67 del 21 aprile 2011 «accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti a norma dell'articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n. 183» ha definito la platea dei soggetti interessati dal beneficio escludendovi ancora una volta i lavoratori in altezza;
   la mansione elettrodottista riguarda la manutenzione e il ripristino delle linee ad alta tensione su tutto il territorio nazionale, svolto su sostegni di linee aeree ad alta tensione (70, 150, 220 3 380 KW) che superano anche i 60 metri di altezza. Gli operatori, sono sottoposti ad uno stress psicofisico particolarmente intenso continuativo e protratto nel tempo che merita di essere preso in considerazione;
   l'elettrodottista svolge tutte le attività sui sostegni, ancorato mediante una cintura di sicurezza, in qualsiasi condizione climatica, per tutto il tempo necessario alla lavorazione, in qualsiasi ora del giorno, in qualsiasi stagione dell'anno e con qualsiasi condizione atmosferica;
   la differenza di temperatura tra la base del sostegno ed il punto di lavorazione nella grande maggioranza dei casi è notevole, aggravato dal riscaldamento dovuto allo sforzo fisico per la scalata. La conseguenza del passaggio del corpo, da una temperatura ad un'altra, è causa di contrazioni muscolari che possono degenerare in patologie più gravi;
   è consequenziale pensare che in caso di cambiamento del tempo (vento, pioggia, sole, neve, e quant'altro ci può riservare una giornata di una qualsiasi stagione), l'operatore, ne subisce gli effetti e gli eventuali cambiamenti di temperatura durante tutto l'arco della giornata lavorativa. Oltre a questi motivi ci sono anche la presenza di campi magnetici per tutti i periodi delle ispezioni. Il luogo di lavoro, in questo caso, è nelle immediate vicinanze dei conduttori e dei sostegni;
   in sede di Commissione lavoro in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-04388, che chiedeva un'applicazione differenziata dell'aspettativa di vita rispetto alle tipologie di mansioni svolte durante la vita lavorativa, il Ministro interrogato ha fatto presente che l'INPS ha dichiarato fin d'ora la disponibilità ad effettuare un approfondimento finalizzato a valutare la possibilità di diversificare il criterio di adeguamento dell'aspettativa di vita in base alle specifiche caratteristiche dell'attività lavorativa –:
   se non ritenga opportuno intervenire, al fine di introdurre nel decreto ministeriale del 19 maggio 1999, all'articolo 2, anche i lavori in altezza, quale mansione particolarmente usurante;
   se non ritenga rispetto alla problematica segnalata, di promuovere le necessarie azioni affinché l'INPS proceda ai conseguenti approfondimenti che consentano di diversificare il criterio di adeguamento dell'aspettativa di vita, in base alle specifiche caratteristiche dell'attività lavorativa. (5-05926)


   CIPRINI, GALLINELLA, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Perugina Nestlé con sede in Perugia rappresenta una delle più grandi industrie del capoluogo umbro oltre che una azienda «storica» della città di Perugia;
   Nestlé è una delle più importanti aziende multinazionali, che opera prevalentemente nel settore alimentare. In Italia ha sede a Milano ed occupa nelle otto sedi operative oltre 3.500 dipendenti. Lo stabilimento di San Sisto, acquisito dalla Perugina, è un centro di eccellenza per la produzione di specialità dolciarie a base di cioccolato destinate sia al mercato nazionale che, soprattutto, all'esportazione;
   come si apprende dalla stampa on line (www.perugiatoday.it del 29 giugno 2015: «L'allarme: Stanno svendendo la Perugina, la Nestlé sta smobilitando tutto») lo stabilimento perugino si troverebbe in una crisi importante seppur silenziosa: mancano (ancora) seri investimenti e interventi per un rilancio della produzione, si denuncia l'assenza di un piano ovvero una visione di lungo periodo tale da «traghettare» la fabbrica perugina fuori dall’impasse, non ci sono evidenze di una riorganizzazione aziendale piuttosto emerge un ridimensionamento deliberato da parte della azienda multinazionale Nestlé, la assenza di politiche produttive che hanno portato alla cessazione della realizzazione di alcuni prodotti dolciari che hanno da sempre caratterizzato il core business dello stabilimento perugino e di sicuro l'azienda non sta lavorando a nuovi prodotti da lanciare sul mercato e da pubblicizzare;
   i più colpiti da questa situazione di stallo e inerzia sono soprattutto i lavoratori che si trovano a dover vivere una fase di attesa sconcertante: proprio nella settimana a cavallo di giugno e luglio 2015 lo stabilimento è chiuso, i dipendenti cosiddetti fissi hanno accettato il contratto di solidarietà – con conseguente riduzione dell'orario di lavoro – nella speranza di vedere e di supportare l'azienda alla realizzazione di un vero piano di rilancio e i lavoratori part-time sono stati collocati in ferie ma appare «latitante» ogni iniziativa aziendale di rilancio;
   in realtà già con l'interpellanza urgente n. 2-836 del 10 febbraio 2015 l'interrogante aveva sollecitato il Governo ad intervenire e a «aprire un tavolo di confronto a livello nazionale finalizzato alla individuazione e condivisione delle linee guida di un piano industriale che abbia come obiettivi prioritari la salvaguardia dei livelli occupazionali e il potenziamento produttivo dello stabilimento perugino con idonei investimenti, così da scongiurare l'ipotesi del temuto ridimensionamento o peggio ancora della «delocalizzazione» della produzione»;
   il Governo in persona dell'allora Vice Ministro De Vincenti, sollecitato ad occuparsi, non solo della tutela del reddito dei lavoratori, compito comunque di estrema importanza, ma soprattutto delle strategie industriali perseguite dalla multinazionale svizzera nel nostro Paese, rispondendo alla suddetta interpellanza aveva assicurato l'avvio di «un confronto con i rappresentanti della proprietà per acquisire ogni elemento utile di conoscenza e, immediatamente dopo, sarà attivato un tavolo di confronto con al centro il futuro della Perugina nel più ampio contesto del futuro italiano della Nestlé.»;
   è tuttavia vero che già da quattro anni i dipendenti della Perugina di San Sisto di Perugia, visto l'andamento della produzione e la scarsa reattività della dirigenza dell'azienda, hanno denunciato il rischio di un progressivo smantellamento e perdita della produzione;
   a tutt'oggi l'interrogante non conosce l'esito del tavolo di confronto a cui il Governo ha dato il proprio impegno e quali siano le intenzioni della dirigenza in merito al futuro produttivo ed occupazionale dello stabilimento Nestlé di Perugia;
   a tutt'oggi permangono la preoccupazione e il rischio di un progressivo «smantellamento» o «depauperamento» della produzione dello stabilimento perugino e grande è l'incertezza dei lavoratori sul proprio futuro lavorativa –:
   se il Ministro sia a conoscenza della attuale situazione produttiva dello stabilimento della Nestlé con sede in Perugia e se sia vero che vi siano azioni ovvero si rilevi un'inerzia per l'assenza di investimenti da parte della proprietà finalizzate ad un progressivo «ridimensionamento» e/o «depauperamento» dell'attività produttiva dello stabilimento tali da produrre ricadute negative sui livelli occupazionali;
   se ci sia stato e quale sia l'esito del tavolo di confronto con la proprietà della Nestlé su cui il Governo si è impegnato e quali siano le reali intenzioni della dirigenza della Nestlé in termini di nuovi investimenti e di prospettive di rilancio dello stabilimento perugino;
   quali azioni e/o misure concrete abbia intrapreso o intenda intraprendere il Governo per scongiurare il temuto «ridimensionamento» e per rassicurare i lavoratori del proprio futuro lavorativo.
(5-05945)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 52 del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 144 del 24 giugno 2015 reca l'abrogazione del contratto a progetto, prevedendo che le disposizioni di cui agli articoli da 61 a 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003 «continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
   nel corso dell'esame dello schema di decreto legislativo, la Commissione lavoro (XI) del Senato ha reso il 13 maggio 2015 un parere favorevole con osservazioni;
   in particolare, una di tali osservazioni invitava il Governo a valutare la possibilità di continuare a prevedere il ricorso ai contratti a progetto per «le prestazioni negli enti di formazione che sono collegate a progetti oggetto di specifico finanziamento (docenti, organizzatori, ecc.) e le attività educative»;
   nel testo finale del decreto legislativo pubblicato in Gazzetta ufficiale il Governo non ha tenuto conto dell'osservazione avanzata dal Senato. Tale omissione, a giudizio degli interroganti pone seri problemi alla stipulazione o al rinnovo dei contratti da parte degli enti di formazione, con gravi ripercussioni sui servizi svolti e sull'occupazione, in un momento di grave disagio occupazionale specialmente tra i giovani;
   ad esempio, la Capitale Lavoro s.p.a., società unipersonale della città metropolitana di Roma capitale, ha difficoltà ad indire il bando pubblico per la selezione dei docenti dei centri provinciali di formazione professionale (CPFP) e delle scuole tematiche (per brevità: arti cinematografiche, sociale, energie);
   l'impossibilità di ricorrere ai contratti a progetto rischia di far saltare le date di inizio dei corsi 2015-2016 (14-15 settembre), che coinvolgono tra città metropolitana, comune di Roma, comuni di Anzio e Monterotondo ed i centri di enti convenzionati, circa 8000 giovani dai 14 ai 18 anni che attraverso queste attività concludono l'obbligo scolastico in risposta alla piaga dell'abbandono scolastico;
   non risulta una soluzione giuridicamente corretta quella di impone a tutti gli insegnanti e i formatori il possesso di partita IVA, in quanto ciò contraddirebbe contenuto e ratio dell'articolo 54 dello stesso decreto legislativo che intende promuovere la stabilizzazione di lavoratori titolari di partite IVA;
   considerato inoltre che il decreto legislativo è stato pubblicato il 15 giugno 2015, il Governo non ha neppure previsto una norma transitoria per consentire agli enti di formazione di far partire regolarmente i corsi per il 2015-2016 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per scongiurare il rischio illustrato in premessa e quanti siano gli enti di formazione e il numero potenziale di lavoratori coinvolti. (4-09646)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   ZACCAGNINI e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 giugno, 2015, l'agenzia stampa Ansa riportava la seguente notizia: «L'Italia rischia di perdere 389 milioni di aiuti comunitari per l'agricoltura»;
   la Commissione europea ha proposto una «rettifica finanziaria», ossia una perdita di risorse da compensare nel periodo di programmazione 2014-2010, il cui importo è di 388.743.938 euro a causa di 11 anni di «gravi carenze» contestate all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, Agea, la quale gestisce le risorse economiche degli aiuti comunitari della Politica agricola comune, PAC, che ammontano a circa 7 miliardi di euro annui;
   tutto parte grazie a un'indagine della Guardia di finanza e dell'Ufficio antifrode europeo, Olaf, sul Sistema informatico agricolo nazionale, Sian, utilizzato per gestire tutte le operazioni relative alla PAC in Italia. Gli accertamenti hanno consentito di scoprire l'esistenza di un registro parallelo, una sorta di limbo, che in Agea era conosciuto e gestito da pochi;
   la contabilità debitoria di posizioni irregolari o fraudolente legate all'uso dei fondi Ue veniva riportata in questo registro parallelo. La pratica è andata avanti dal 1999 al 2013, fino a quando la Guardia di finanza e l'Olaf hanno deciso di vederci chiaro;
   le situazioni opache, invece di essere approfondite e risolte col recupero del denaro da Agea negli anni, sono state ammucchiate in un angolo nascosto del Sian, lasciando che finissero in prescrizione. Questo significa che quando l'Italia sarà chiamata dalla Commissione europea a rispondere delle somme in sede definitiva – la cifra sarà compensata con gli aiuti previsti dalla nuova programmazione 2014-2020 –, Roma potrebbe non avere posizioni su cui rivalersi per limitare il danno economico;
   sulla vicenda vi è un'inchiesta della procura di Roma. I responsabili dell'ufficio monocratico di Agea che si sono susseguiti a partire dal 2008, Paolo Gulinelli, Alberto Migliorini e Concetta Loconte, quest'ultima tuttora in carica, rischiano il rinvio a giudizio per l'ipotesi di reato di abuso d'ufficio e falso in atto pubblico. I tre indagati non avrebbero controllato l'esatta contabilizzazione dei pagamenti eseguiti e avrebbero trasmesso alla Unione europea dichiarazioni relative ai conti annuali degli organismi pagatori, omettendo di informare la commissione del numero effettivo e della reale entità delle posizioni debitorie conseguenti alle erogazioni indebitamente erogate;
   la direttrice della direzione generale Agri, Christina Borchmann, in una lettera dello scorso aprile afferma che: «...date le preoccupazioni sollevate da l'audit, la dg Agri intende proporre una rettifica finanziaria relativa a tutti i debiti non recuperati anteriormente al 2010. L'importo massimo della correzione ammonta a 388.743.938 euro, di cui 388.728.816 euro finanziati dal Fondo Europeo Agricolo di Garanzia, FEAGA, e 15.121 euro dal Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, FEASR...». Nella lettera si fa anche presente che per il momento non sono stati presi in considerazione anche i 152 milioni di euro delle cosiddette «banche dati non gestite», vale a dire un altro ambiente del Sian i cui conti non quadrano e le cifre iscritte, nonostante riportino la dicitura «nazionale», sono in parte comunitarie. Le prime irregolarità sono state riscontrate già nel 2009;
   1'Olaf parla di irregolarità per 17 milioni di euro già nel 2009 all'interno del cosiddetto schema «set-aside». È un regime agronomico adottato nell'ambito della PAC dal 1988 fino al 1998, il quale prevedeva la possibilità per i proprietari di terreni non coltivati di ricevere alcuni finanziamenti. In questo contesto erano state riscontrate documentazioni false e manipolazioni dell'intero sistema con pagamenti non dovuti di circa 100 mila euro a beneficiario fino al 2006;
   altro precedente rispetto all'utilizzo dei fondi PAC ha riguardato la Sicilia. Sempre grazie ad una indagine condotta dall'Olaf nei confronti dell'Italia risalente al giugno 2013 sull'utilizzo di alcuni fondi Unione europea nell'isola, sono stati recuperati 28 milioni di euro e sono state indagate 47 persone;
   secondo il rapporto del 2014 dell'Ufficio anti frodi dell'Unione europea, l'Italia con 61 inchieste nazionali aperte è seconda in Europa per sospette frodi ai fondi europei nel periodo di programmazione 2007-2014. In tutto sono 61 i casi cui si aggiungono sette indagini condotte direttamente dall'Olaf nel corso del 2014 e riguardanti l'utilizzo di fondi comunitari da parte delle amministrazioni nazionali o regionali italiane –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e, in caso affermativo, quali interventi urgenti si intendano adottare per scongiurare la «rettifica finanziaria» che comporterebbe per l'Italia la perdita di 388.743.938 euro nella programmazione 2014-2020. (5-05940)


   FEDRIGA e GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 138 del 1974 «Nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana» prevede che è vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare prodotti caseari preparati con il latte fresco a cui è stato aggiunto latte in polvere o derivati comunque del latte in polvere;
   la ratio della normativa italiana era quella di mantenere alta la qualità delle produzioni casearie italiane salvaguardando le aspettative dei consumatori per quanto riguarda l'autenticità e la qualità dei prodotti italiani mediante la qualità delle materie prime. Una scelta che ha garantito fino ad oggi il primato della produzione lattiero casearia italiana che riscuote un apprezzamento crescente in tutto il mondo;
   il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato alla Rappresentanza permanente in Italia presso l'UE una lettera di costituzione in mora – procedura di infrazione 2014/4170 – per violazione del diritto dell'Unione europea in quanto la normativa italiana prevede, appunto, il divieto di impiego di latte in polvere, concentrato e latte ricostituito nelle produzioni lattiero-casearie;
   in sostanza ci viene chiesto di produrre «formaggi senza latte» e di conseguenza aprire il mercato a quelli prodotti in altri Paesi, appunto senza latte, che fino ad oggi non potevano arrivare sulle nostre tavole. Conseguenza inevitabile sarà la provenienza del latte in polvere dai quei paesi che lo offrono a prezzi bassissimi con ripercussioni anche sul prezzo finale del prodotto e con ricadute sulla tenuta degli allevamenti italiani;
   la contestazione fatta dalla Commissione europea è che la norma italiana rappresenta un restringimento del principio della «libera circolazione delle merci» all'interno dell'UE essendo il latte in polvere utilizzato in tutta Europa;
   l'eventuale modifica della normativa italiana, che dovrebbe rendere «legale» la possibilità di produrre formaggio con latte in polvere, non riguarderebbe però i prodotti DOP (Denominazione di origine protetta) e IGP (Indicazione geografica protetta) che hanno una normativa speciale e una tutela particolare da parte dell'Unione europea;
   un prodotto per avere la denominazione DOP deve, infatti, sottostare ad un rigido disciplinare che nel caso di prodotti caseari proibisce l'utilizzo di materie prime diverse dal latte ovvero proibisce l'uso del latte in polvere. Non dovrebbero — il condizionale è d'obbligo – essere a rischio il Grana Padano o il Montasio o il Provolone del Monaco perché appunto godono del marchio DOP e quindi hanno tutte le tutele. Mentre sono a rischio le mozzarelle, tranne quella di bufala campana Dop. Già oggi una mozzarella su quattro è prodotta con i cagliati del latte estero proveniente, in particolare, dall'Est europea come Germania, Polonia e Lituania;
   nel novembre 2013 la questione era già all'attenzione della Commissione europea, infatti, ero allo stadio di Caso Eu-Pilot (5697/13/AGRI) sul quale sembra che il Governo abbia risposto a febbraio 2014, evidentemente in maniera non sufficiente visto che successivamente la Commissione ha ritenuto di aprire formalmente la procedura di infrazione –:
   quali provvedimenti intenda assumere, anche nelle competenti sedi europee, per tutelare le produzioni lattiero-casearie colpite dall'ennesimo tentativo dell'Europa di sminuire il Made in Italy e abbassare la qualità, nel caso specifico, dei formaggi e degli yogurt italiani, nonché di conoscere il contenuto della risposta al caso Eu-pilot 5697/13/AGRI visto che la Commissione europea ha aperto la procedura di infrazione. (5-05941)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con procedura di infrazione n. 2014/4170 la Commissione europea ha recentemente messo in mora il nostro Paese per violazione del diritto dell'Unione in materia di produzioni lattiero-casearie con riferimento, in particolare, alle norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per alimentazione umana;
   la legge 11 aprile 1974, n. 138, dispone infatti il divieto di detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio, ovvero cedere a qualsiasi titolo, o utilizzare, prodotti caseari preparati con latte in polvere o altro latte conservato con qualunque trattamento chimico o comunque concentrato;
   tale normativa, secondo l'esecutivo comunitario, rappresenta una restrizione alla libera circolazione delle merci ed è pertanto lesiva delle norme in materia di libera concorrenza;
   ancorché un adeguamento del diritto nazionale a quello comunitario, come chiesto da Bruxelles, non riguarda le produzioni DOP e IGP per le quali non sarà mai possibile un utilizzo di materie prime diverse da quelle indicate nei rispettivi disciplinari, la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, concentrato o ricostituito, per la produzione di formaggi e yogurt, rappresenta senza dubbio una soluzione al ribasso che rischia di compromettere la qualità di oltre 400 produzioni nazionali, in gran parte formaggi, la cui specificità ed originalità sta proprio nella qualità della materia prima utilizzata, ovvero il latte, oltre che nel valore dei saperi e dei territori;
   una simile previsione danneggerebbe irrimediabilmente il nostro patrimonio agroalimentare frutto di una attenzione particolare alla qualità delle materie prime impiegate ed appare invece sostenere gli interessi delle multinazionali dell'industria alimentare e di una concezione di cibo come merce disponibile a basso prezzo;
   al fine di tutelare maggiormente il settore lattiero caseario nazionale è indispensabile rivedere la normativa unionale in materia di etichettatura di origine anche per garantire la trasparenza e la completezza delle informazioni ai consumatori –:
   quali urgenti azioni intenda intraprendere al fine di tutelare le produzioni lattiero-casearie italiane non certificate da DOP ed IGP e che tuttavia fanno parte del prezioso patrimonio agroalimentare di qualità nazionale e quali controdeduzioni intenda fornire alla Commissione europea per chiudere quanto prima il contenzioso aperto. (5-05942)


   FABRIZIO DI STEFANO, RUSSO, FAENZI e RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio scorso la Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea ha ricevuto una lettera di costituzione in mora da trasmettere al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nella quale si notifica che in seguito a una denuncia pervenuta alla Commissione «viene richiamata l'attenzione dell'Italia sulla legge dell'11 aprile 1974, n. 138»;
   la Commissione europea ha dunque inviato una diffida all'Italia per imporre la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito nella fabbricazione dei prodotti lattiero caseari, così come previsto dalla legge nazionale n. 138 del 1974;
   la legge nazionale in questione, in vigore dal 1974, ha garantito il primato della produzione lattiero casearia italiana, che riscuote un apprezzamento crescente in tutto il mondo dove le esportazioni di formaggi e latticini sono aumentate del 9,3 per cento nel primo trimestre del 2015;
   la richiesta della Commissione europea intende consentire la produzione di «formaggi senza latte» con la conseguenza che in caso di mancata ottemperanza della denuncia prenderà avvio la procedura d'infrazione da parte dell'organismo comunitario nei confronti dell'Italia;
   la normativa italiana attualmente in vigore, secondo la Commissione rappresenterebbe una restrizione alla libera circolazione delle merci, dato che nel resto dell'Unione europea i cosiddetti «latticini senza latte» sono di utilizzo comune;
   questa decisione comporterà una scadimento della qualità media dei formaggi e degli yogurt italiani; un danno alla reputazione del Made in Italy alimentare nel mondo, nonché un flusso d'importazione di polvere di latte e latte concentrato, che ovviamente riguarderà le produzioni più scadenti e a prezzi più bassi e che farà diminuire gli introiti degli allevamenti italiani;
   in Italia esistono oltre 400 tipi di formaggi, frutto di una straordinaria diversità di climi, paesaggi, tecniche e di saperi che dovrebbero poter circolare liberamente in Europa per restituire valore ai loro luoghi di origine. Al contrario, l'Unione europea sta cercando di promuovere un'idea completamente diversa di cibo: un cibo diventato merce, disponibile in grandi quantità a prezzi sempre più bassi;
   la politica della qualità prevede disposizioni ad hoc per la protezione delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche (Igp). La messa in mora inviata dalla Commissione europea pone a seri rischi la qualità della mozzarella di bufala, nonché alla qualità dei formaggi italiani, considerato che già da tempo l'Unione europea ha imposto la vendita nel nostro Paese di mozzarelle fatte all'estero con semilavorati industriali senza alcuna indicazione sull'etichetta;
   nell'ambito delle eccellenze a livello nazionale di produzione di mozzarella, la regione Campania ha espresso parere favorevole ad un nuovo disciplinare che innalza i livelli qualitativi di produzione per garantire prodotti freschi ai consumatori, consentendo al Consorzio di Tutela, di superare il tetto delle 60 ore, quale tempo massimo di stoccaggio che il latte può avere prima di essere trasformato;
   tale procedura innovativa, di fronte agli scenari europei prospettati dall'Unione europea, rappresenterebbe in realtà una modifica del disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana DOP; in quanto potrebbe rivelarsi un ostacolo fatale, poiché consentirebbe l'uso di latte congelato giustificato dalla necessità di accantonare le scorte di latte acquistate d'inverno, in quanto si produce di più e si consuma di meno, a differenza di quanto accade d'estate in cui si verifica il contrario –:
   quale sia la posizione del Governo in merito alle decisioni della Commissione europea e quali iniziative di competenza il Ministro intenda intraprendere al fine di tutelare il carattere di tipicità ed esclusività che rendono impareggiabile la mozzarella di bufala campana DOP ed i formaggi italiani considerato che l'utilizzo di latte congelato, così come previsto dalla Commissione europea, alimenterebbe un modello di agricoltura soggiacente al sistema industriale e sostanzialmente da esso dipendente, privo di sostenibilità e legame con i territori. (5-05943)


   OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CAPOZZOLO, CARRA, CENNI, COVA, DAL MORO, FIORIO, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, SANI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 aprile 1974, n. 138 concernente il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana proibisce, tra l'altro, di detenere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare latte fresco destinato... alla preparazione di prodotti caseari al quale sia stato aggiunto latte in polvere ovvero prodotti caseari preparati con derivati da latte in polvere;
   la citata legge n. 138 vieta, altresì, di detenere latte in polvere negli stabilimenti o depositi, e nei locali annessi o comunque intercomunicanti, nei quali si detengono o si lavorano latti destinati al consumo alimentare diretto o prodotti caseari;
   le predette disposizioni, più volte integrate, sono finalizzate ad impedire le frodi nel settore lattiero caseario, ad assicurare la trasparenza nelle relazioni commerciali e la sicurezza alimentare nei confronti dei consumatori;
   da ultimo il decreto-legge n. 91 del 2014, cosiddetto «campo libero», nell'ottica di semplificare l'applicazione della richiamata normativa ha migliorato il sistema delle informazioni relative all'introduzione sul territorio nazionale di latte in polvere ed ha precisato gli obblighi dei produttori, degli importatori e degli utilizzatori di latte in polvere relativamente alla tenuta del registro di carico e scarico, prevedendone la dematerializzazione e l'inserimento nell'ambito del sistema informativo agricolo nazionale (SIAN);
   il continuo impegno del legislatore interno di mettere a disposizione un quadro normativo per la effettiva protezione del patrimonio lattiero caseario del Paese e di tutela della qualità dei formaggi, in tutto 400, diversi da quelli a denominazione protetta e comunque legati alle caratteristiche dei territori, rischia di essere messo in discussione da una diffida da parte della Commissione europea diretta ad avviare una procedura di infrazione contro l'Italia per ottenere l'abrogazione della citata legge n. 138;
   da notizie apparse sulla stampa risulta che l'iniziativa della Commissione europea sia stata sollecitata dalla associazione delle industrie lattiero casearie (ASSOLATTE) o comunque da un suo segmento;
   se confermate tali notizie dimostrerebbero il completo distacco di una parte dell'industria lattiero casearia nei confronti degli interessi degli allevatori italiani e la noncuranza del prestigio e della grande reputazione del Paese in tema di prodotti caseari;
   diventa indispensabile che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sostenga la legge n. 138 del 1974 in ogni sede e faccia presente alla Commissione europea che la normativa italiana che disciplina il divieto di utilizzo del latte in polvere garantisce la sicurezza alimentare e la tutela dei consumatori senza pregiudicare in alcun modo la libera circolazione delle merci –:
   quali iniziative intende intraprendere in relazione alla richiamata procedura di infrazione, tenendo in debito conto le considera ioni svolte nelle premesse.
(5-05944)

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA, BENEDETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i consorzi di tutela svolgono essenzialmente funzioni di tutela, promozione e valorizzazione del prodotto oltre a curare gli interessi relativi alle denominazioni;
   ai fini del riconoscimento il consorzio deve dimostrare la partecipazione agli organi sociali delle categorie di riferimento individuate all'interno di ciascuna filiera produttiva; nel caso della filiera dell'olio la percentuale di partecipazione dei soggetti produttori è pari al 66 per cento mentre il restante 34 per cento è ripartito tra frantoiani ed imbottigliatori come stabilito dalla vigente normativa;
   per alcuni consorzi, quali in particolare il consorzio «Terra di Bari» è estremamente complesso mantenere i requisiti di rappresentatività in quanto molte aziende olivicole si inseriscono nel sistema di certificazione della DOP «Terra di Bari» esclusivamente per poter accedere al beneficio del sostegno accoppiato di cui all'articolo 68 del Regolamento (UE) 73/2009 senza tuttavia iscriversi al consorzio;
   posto che il prodotto tutelato è l'olio e non le olive, così come più volte chiarito dallo stesso Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e considerato che, come risulta da dati ufficiali, su una quantità di olive certificate dall'ente camerale pari a 100, solo il 40 per cento diventa olio DOP Terra di Bari, sarebbe opportuno rivedere i criteri di rappresentatività e i soggetti certificatori della DOP anche in considerazione del nuovo sistema di pagamento unico per superficie previsto nel Regolamento (UE) 1307/2013 –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di garantire l'operatività dei consorzi della filiera dell'olio, in particolare il Consorzio «Terra di Bari» ed evitare che l'iscrizione al sistema di certificazione della DOP da parte delle aziende olivicole sia esclusivamente un canale per accedere al premio PAC a prescindere da qualsiasi condivisione dei valori consortili.
(4-09640)


   FUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2015 la Commissione europea ha diffidato l'Italia chiedendo ufficialmente la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari;
   tale divieto è contenuto nell'articolo 1 della Legge 11 aprile 1974, n. 138, secondo cui «è vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare (...) prodotti derivati comunque da latte in polvere»;
   la diffida della Commissione europea, notificata alla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea con lettera di costituzione in mora, ha suscitato comprensibili proteste da parte del mondo produttivo agroalimentare italiano, che vede proprio nei prodotti lattiero-caseario un punto di forza anche sul piano dell’export verso l'estero (secondo i dati di Coldiretti le esportazioni di formaggi e latticini italiani sono aumentate in quantità del 9,3 per cento nel primo trimestre del 2015 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente);
   come sostenuto da Coldiretti, secondo cui l'eventuale fine del divieto metterebbe a rischio l'intera reputazione del Made in Italy, e da una parte sostanziosa delle Regioni intervenute dopo che la notizia è divenuta di pubblico dominio, misure del genere sono gravemente lesive per il nostro Paese e vengono prese senza tenere nel gusto conto le peculiarità dei singoli Stati membri dell'Unione europea;
   risulta all'interrogante che l'Italia che ha tempo fino alla fine di luglio per rispondere ai rilievi di Bruxelles –:
   quali urgenti e a parere dell'interrogante indifferibili iniziative ritenga di assumere il Governo per chiedere alla Commissione europea un supplemento di istruttoria in modo tale da consentire all'Italia di presentare argomentazioni adeguate;
   quali iniziative ritenga di assumere il Governo, in ambito europeo, per affermare il principio che le realtà agroalimentari europee non possono essere omologate senza tenere nel giusto conto le caratteristiche di un Paese come l'Italia, connotato da grandi tradizioni e da grandi successi anche economici nell'agroalimentare di alta qualità. (4-09644)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   BORGHESE e OTTOBRE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'intesa raggiunta in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 16 dicembre 2010, relativa alle «linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», ha stabilito la permanenza dei punti nascita con un numero di parti all'anno pari o superiore a 500;
   tale requisito ha tolto, così, almeno il 30 per cento dei punti nascita presenti sul territorio nazionale, secondo i dati del 2013 forniti dalla banca dati SDO del Ministero della salute, senza tenere in considerazione della particolare situazione orografica delle regioni alpine, dove i punti nascita sono raggiungibili con notevole difficoltà, soprattutto nel periodo invernale che, come noto, in quelle zone è notevolmente prolungato, e dove c’è anche il problema della mancanza di bacino di utenza che, con tali scelte politiche, si contribuisce solo ad alimentare;
   in Austria, Germania e Svizzera, invece, sono state fatte scelte diverse, più flessibili e più ragionevoli per le esigenze dei cittadini, nonostante tali Paesi debbano rispettare le medesime linee di indirizzo internazionali, con la «pronta disponibilità sostitutiva» di ginecologi, anestesisti e pediatri che garantisco una rapidità di intervento di 10 minuti;
   tutto ciò ha comportato che le regioni che non hanno il problema della presenza di zone montane o disagiate sono già riuscite a riorganizzare il percorso nascita, con la chiusura di 60 strutture tra il 2010 e il 2013, mentre le regioni dell'arco alpino e quelle che presentano difficili condizioni territoriali quali la distanza, l'orografia, nonché difficoltà a garantire il servizio di trasporto assistito materno (STAM) e il servizio di trasporto d'emergenza neonatale (STEN) ancora non riescono a riorganizzarsi;
   tale problema è quanto mai sentito in Trentino, dove la pura applicazione dell'Intesa del 16 dicembre 2010 comporta la chiusura di diversi punti nascita con tutte le ripercussioni, principalmente in termini di sicurezza della vita delle mamme e dei nascituri ma anche politiche, che tutto ciò sta determinando;
   se ritenga possibile avviare un progetto pilota a livello nazionale, volto ad aggiornare e rivedere gli standard fissati nell'accordo Stato-regioni e province autonome del 2010, al fine di verificare se siano ammissibili modalità organizzative più flessibili e idonee a garantire un servizio efficiente per i cittadini, anche al di sotto della soglia dei 500 parti all'anno, almeno nelle zone montane e disagiate, purché siano rispettati gli standard qualitativi, di efficienza e di appropriatezza stabiliti dall'accordo stesso. (5-05952)


   MARIANO e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Puglia ad oggi non sono presenti programmi di tutela dei lavoratori ex esposti ad amianto e in generale ai cancerogeni come avviene in altre realtà regionali (Veneto, Sardegna, Basilicata, ecc.) In attesa di giungere alla definizione di protocolli di sorveglianza sanitaria uniformi e condivisi come auspicato dal «Piano Nazionale Amianto» da offrire ai lavoratori, superando disomogeneità e disparità nell'offerta dei servizi sanitari si constata come il Sistema sanitario pugliese non ha ancora dato risposte alla legge che prevede che i lavoratori esposti in passato ad amianto, cancerogeni e mutageni (benzene, radiazioni, formaldeide, anilina, cromo, catrame ecc.) possano sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività lavorativa che ha comportato «esposizione»;
   tale «sorveglianza» già prevista prima dal decreto legislativo n. 277 del 1993 nei riguardi del rischio Amianto, «agente con effetti a lungo termine» con il «prolungamento del controllo dopo la cessazione dell'attività comportante l'esposizione» e dal decreto legislativo n. 626 del 1994 anche per i rischi da cancerogeni e mutageni, è attualmente riaffermata nel comma 6 dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 81 del 2008 – Accertamenti sanitari e norme preventive e protettive specifiche, dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni e mutageni e dal comma 2 dell'articolo 259 del decreto legislativo n. 81 del 2008 – Sorveglianza sanitaria per i lavoratori addetti alle opere di manutenzione, rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica;
   il registro tumori pugliese 2006-2008 ci dice che il mesotelioma, tipico tumore da amianto, è più frequente a Taranto e a Brindisi rispetto al resto della Puglia;
   gli stessi dati Inail riferibili agli stessi anni 2006-2008 sembrerebbero confermare il trend negativo –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alla situazione descritta in premessa. (5-05953)


   CIRACÌ e FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la gangliosidosi-GM1 è una rara malattia ereditaria da accumulo lisosomiale a trasmissione autosomica recessiva causata dal deficit totale e parziale dell'enzima lisosomiale beta-galattasidasi. Tale deficit porta ad un accumulo di sfingolipidi, in particolare ganglioside GM1, nel cervello, e negli organi viscerali inducendo la morte; la patologia si manifesta quando un bambino eredita una coppia di geni GLB1 mutati da entrambi i genitori che sono portatori sani, in tal caso, ci sarà una possibilità su quattro che il figlio erediti il gene difettoso da entrambi e che ne sia quindi affetto;
   la malattia è pan-etnica, anche se la prevalenza mondiale non è nota. La prevalenza alla nascita è stimata in circa 1:100.000-200.000 nati vivi. È stata osservata una prevalenza elevata a Malta e in Brasile, nella popolazione cipriota e nelle popolazioni Rom;
   in base all'età di esordio, sono stati identificati tre tipi di gangliosidosi GM1:
    una forma grave infantile a progressione rapida, che esordisce prima dei 6 mesi di vita (gangliosidosi GM1 tipo 1) con aspettative di vita molto basse, i bambini che ne sono affetti generalmente non superano i tre anni di vita;
    una forma tardo infantile o giovanile ad esordio fra i 7 mesi e i 3 anni di vita, con progressione più lenta rispetto al tipo1 ma con ritardo dello sviluppo motorio e cognitivo (gangliosidosi GM1 tipo 2) e con aspettative di vita altrettanto basse;
    una forma cronica dell'adulto ad esordio tra i 3 e i 30 anni (gangliosidosi GM1 tipo 3), caratterizzata primariamente da distonia generalizzata;
   la gravità della malattia dipende dai livelli di attività della beta galattosidasi;
   la sintomatologia è variabile e la diagnosi può essere difficile a causa dell'ampio spettro clinico della malattia, la prognosi dipende infatti dal tipo di gangliosidosi GM1 ed è estremamente sfavorevole nella forma infantile grave, mentre è variabile nella forma adulta cronica, ma il decorso è comunque sempre invalidante e la progressione fino all’exitus irreversibile. Il trattamento dei pazienti è sintomatico e di supporto, ma esso non altera in maniera significativa il corso della malattia e, a tutt'oggi, non esiste alcun trattamento medico effettivo. Attualmente la terapia mirata a ridurre la sintesi del substrato naturale dell'enzima stesso, che dovrebbe rallentare il decorso della malattia, è in «uso sperimentale» nelle forme ad esordio tardivo;
   Paola è una bambina di appena 2 anni, che dall'età di 6 mesi combatte contro questa patologia, Giuseppe è un bambino di 3 anni che dall'età di 1 anno combatte contro questa patologia, Daniela è una ragazza di 14 anni che dall'età di 5 anni combatte contro questa patologia, Antonio ha 6 anni e dall'età di 3 anni combatte contro questa patologia (potremmo menzionarne ancora tanti altri) e, a meno che la ricerca, che come spesso accade in Italia è scarsamente finanziata, non faccia significativi progressi, la malattia è destinata irrimediabilmente ad avanzare. La ricerca però è la sola speranza per tutti questi bambini;
   l'ultimo progetto di ricerca finanziato in Italia risale al 1999 e con l'ultima raccolta fondi Telethon ha destinato allo stesso appena 36 mila euro –:
   per quale ragione a tutt'oggi non siano stati destinati fondi statali alla ricerca sulla gangliosidosi GM1 producendo così un grave ritardo nel contrasto alla patologia e se intenda predisporre iniziative urgenti ed immediate e per sostenere la ricerca sulle malattie rare in favore dei bambini come Paola, e di tutti coloro che sono affetti da patologie alle quali è riservata un'attenzione minore. (5-05954)


   CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo mese nei pronto soccorso di alcuni ospedali napoletani si sono registrate numerose e continue aggressioni contro il personale sanitario e di vigilanza;
   l'Ordine dei medici napoletano ha dovuto avviare una campagna di sensibilizzazione che prevede la distribuzione di pettorine, raffiguranti giubbotti antiproiettili, con la scritta «Stop alla violenza contro i camici bianchi»;
   il tema della sicurezza del personale sanitario e di vigilanza nei più grandi nosocomi partenopei è riemerso più volte negli anni senza trovare evidentemente una soluzione concreta, come dimostrano le 30 aggressioni registrate dall'inizio dell'anno e che non accennano a diminuire;
   i camici bianchi e gli infermieri ed il personale tutto già stremati da un eccessivo carico di lavoro a causa del blocco del turn over, a ragione lamentano le difficoltà a lavorare in un clima di aggressioni fisiche e verbali, tanto da essere stati costretti in alcune strutture dell'Asl Napoli 1 ad operare senza cartellino identificativo;
   le campagne di sensibilizzazione che vedranno, inoltre, la costituzione di una task force di medici che si recheranno nelle scuole per educare i giovani ad un utilizzo civile delle strutture sanitarie, per quanto lodevoli e necessarie a cambiare l'approccio culturale nei confronti del Pronto Soccorso, difficilmente avranno un impatto nell'immediato;
   le cause degli episodi di violenza contro il personale sanitario, per quanto assolutamente ingiustificabili, sono ascrivibili ad una situazione di perenne emergenza con strutture di pronto soccorso sovraffollate, carenza di personale e turni massacranti, fattori che contribuiscono ad alimentare l'esasperazione dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se non ritenga necessario assumere iniziative per prevedere un'ulteriore deroga al blocco del turn over relativa a queste tipologie di strutture, al fine di garantire al personale sanitario di operare nella massima sicurezza anche ai fini della qualità dell'accoglienza e dell'assistenza da erogare in tempi rapidi.
(5-05955)


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI, TURCO e BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità per il 2015 i commi da 593 a 598 dell'articolo 1 prevedono «Misure in materia di medicinali innovativi». La norma, introdotta nel corso dell'esame al Senato, istituisce per gli anni 2015 e 2016 un Fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali innovativi, alimentato da un contributo dello Stato pari a 100 milioni di euro per l'anno 2015; una quota delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, pari a 400 milioni di euro per l'anno 2015 e 500 milioni di euro per l'anno 2016. Le somme del Fondo sono versate in favore delle regioni in proporzione alla spesa sostenuta dalle medesime per l'acquisto di medicinali innovativi. Ad integrazione del vigente meccanismo di ripiano, viene previsto che, nel caso di un fatturato derivante dalla commercializzazione di un farmaco innovativo superiore a 300 milioni di euro, la quota dello sforamento imputabile al superamento del Fondo aggiuntivo per i medicinali innovativi resta in misura pari al 20 per cento, a carico dell'azienda titolare di AIC relativa al medesimo farmaco e per il restante 80 per cento è ripartita, ai fini del ripiano, tra tutte le aziende titolari di AIC in proporzione dei loro rispettivi fatturati relativi ai medicinali non innovativi coperti da brevetto;
   in questo caso viene rilevato che le disposizioni in esame introducono una nuova finalizzazione nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla quota vincolata alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, senza incrementare le risorse ad esso destinate. Ad avviso degli interroganti appare pertanto necessario acquisire una conferma dal Governo circa la compatibilità di tale finalità aggiuntiva con l'equilibrio finanziario complessivo del servizio sanitario nazionale. In relazione alla spesa complessiva per i farmaci innovativi, quantificati dall'Aifa in 750 milioni di euro annui, ad avviso degli interroganti andrebbe chiarito se le risorse del vigente Fondo per i farmaci innovativi, unitamente a quelle del Fondo istituito dalla norma in esame destinato alla medesima finalità, siano sufficienti per far fronte alla spesa farmaceutica destinata ai farmaci in argomento; i fondi potrebbero essere insufficienti poiché l'Aifa ha previsto un fabbisogno di spesa pari a 750 milioni l'anno contro i 500 effettivamente stanziati;
   si segnala che l'Aifa ha previsto un meccanismo di ripiano denominato pay back. Esso è nato per venire incontro all'esigenza di una maggiore flessibilità del mercato farmaceutico, consentendo da un lato l'erogazione di risorse economiche alle regioni a sostegno della spesa farmaceutica di ciascuna, e dall'altro l'opportunità per le aziende farmaceutiche di effettuare le scelte sui prezzi dei loro farmaci, sulla base delle proprie strategie di intervento sul mercato;
   esso è stato previsto con una norma contenuta nella legge Finanziaria del 2007 e permette alle aziende farmaceutiche di chiedere all'AIFA la sospensione della riduzione dei prezzi del 5 per cento, a fronte del contestuale versamento in contanti (pay back) del relativo valore su appositi conti correnti individuati dalle regioni;
   tuttavia, rimane ferma la priorità di indirizzare la prescrizione dei farmaci verso una maggiore appropriatezza ed utilizzazione per giungere ad un efficiente governo della spesa farmaceutica, la metodologia e i risultati ottenuti dal sistema del pay back evidenziano un valido meccanismo di ripiano in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa programmata –:
   quali iniziative gravi ed urgenti, qualora i fatti narrati corrispondano al vero, intenda assumere il Ministro interrogato, al fine di dare soluzione alla problematica descritta in premessa, eventualmente recependo le soluzioni ivi prospettate specificando se intenda ricorrere al sistema di pay back al fine di colmare il divario tra risorse stanziate e risorse necessarie per l'acquisto di farmaci innovativi, in grado di salvare le vite o migliorare le condizioni di vita di numerosi pazienti bisognosi di terapie innovative disponibili sul mercato. (5-05956)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini italiani residenti sul territorio nazionale ed anche gli stranieri in possesso di regolare permesso di soggiorno rilasciato nel rispetto delle norme non possono usufruire del servizio sanitario nazionale gratuito per le cure mediche in tempi accettabili;
   tale disciplina è stata resa tale con l'articolo 40 del decreto del Presidente della Repubblica del 18 ottobre 2004 n. 334, e con il testo unico n. 286 del 1998, articolo 36, e successive modificazioni;
   il servizio sanitario nazionale ha peggiorato le prestazioni offerte agli utenti, con liste d'attesa che ormai hanno varcato i limiti che dovrebbero essere imposti dalla decenza e soprattutto dall'esigenza di non negare ai cittadini tempestività ed equità nell'accesso alla cure, principi che costituiscono i veri capisaldi di un diritto alla salute per tutti;
   analogamente può dirsi per i ritardi nei quali è incappata la legislazione sui servizi sociali, che ha qualche pecca e più di un velleitarismo, ma che, se applicata con seria e convinta volontà dagli operatori, dovrebbe produrre anche nei servizi collettivi (e tra questi il servizio sanitario nazionale) lo stesso virtuoso ammodernamento che ha portato la legge n. 833 del 1978;
   per realizzare questi obiettivi sono necessari progetti innovativi, piani di lavoro di lungo termine, programmi concreti e investimenti finanziari più focalizzati sulle vere esigenze (le risorse non vanno spese per irrobustire una pratica inaccettabile quale la libera professione intramoenia che ormai – come era facile prevedere – si è trasformata ad avviso degli interroganti in una generalizzata fonte di corruttela e di clientelismo che domina nei maggiori ospedali italiani, ai danni dei sacrosanti diritti dei cittadini;
   questo contesto di cose non depone a favore del Governo che è tenuto a svolgere il ruolo di mediatore tra la popolazione che necessita di cure e le persone operanti nell'ambiente medico; una tale situazione compromette la salute di tutta la popolazione che non è più in grado di sostenere gli ingenti costi per ricorrere a professionisti privati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, in attesa che venga riformata la sanità pubblica, assumere iniziative affinché siano garantite dal servizio sanitario nazionale, ai cittadini italiani e agli stranieri in possesso di permesso di soggiorno, le cure mediche gratuite di cui hanno diritto in quanto pagano le imposte sul territorio per tale servizio. (4-09636)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   appare sempre più urgente sviluppare una cultura altamente specializzata nel campo della medicina del lavoro che affronti problematiche specifiche in contesti ad alto rischio per poter garantire sicurezza e salute dei lavoratori, ma anche le condizioni ambientali più opportune sul piano della salute pubblica, senza dimenticare che sono i lavori e le attività professionali che saranno sempre ad alto rischio e per questo esigono misure straordinarie di tutela;
   Alessandro Morricella, il 35 enne dipendente del siderurgico morto in un incidente sul lavoro verificatosi all'altoforno 2, è stato investito da una fiammata l'8 giugno 2015 ha riportato ustioni di terzo grado sul 90 per cento del corpo. È morto quattro giorni dopo, il 12 giugno, nella rianimazione del Policlinico di Bari;
   a seguito dell'incidente mortale, la procura ha iscritto nel registro degli indagati, con l'accusa di omicidio colposo, dieci persone, tra cui il direttore dell'Ilva di Taranto e ha disposto il sequestro dello stesso altoforno 2;
   il fatto drammatico avvenuto a Taranto meno di un mese fa, pone ancora una volta in evidenza la complessità di decisioni dei vertici organizzativi dell'ILVA, che dovrebbero garantire sia la salute che la sicurezza dei lavoratori, senza rinunciare, nella misura del possibile, anche alla garanzia dei posti di lavoro;
   l'incidente costato la vita ad Alessandro Morricella sembra conseguenza di un errore umano, come afferma Carlo Mapelli, consulente dell'Ilva, e professore al Politecnico di Milano, il quale esclude che si sia trattato di un difetto del processo produttivo;
   il sindacato Usb, terzo sindacato per rappresentanza all'ILVA, sulla base di questo parere considera l'interruzione del lavoro nello stabilimento una responsabilità del Governo e dei commissari; a loro avviso, i commissari si sono rivelati incapaci nel gestire le criticità dello stabilimento e hanno tralasciato la prima vera emergenza dello stabilimento: garantire contestualmente la tutela della salute e il lavoro;
   fanno rilevare come l'occupazione sia in calo, gli appalti dimezzati e soprattutto il risanamento non sia mai iniziato, mentre molti operai continuano a pagare con la vita un sistema che contrappone salute e lavoro; la relazione annuale sullo stato dell'Ilva infatti, presentata pochi giorni dopo la morte di Alessandro Morricella, evidenzia come non siano stati raggiunti gli obiettivi previsti né sul piano della salute e della sicurezza, né sul piano dei risultati economici;
   il Parlamento e più volte intervenuto in merito alla questione ILVA, nella precedente e nell'attuale legislatura con iniziative tendenti a garantire la tutela della salute in quel contesto specifico –:
   cosa sia stato fatto e cosa si stia facendo in merito alla prevenzione e alla sicurezza per ridurre i rischi che drammaticamente si ripresentano in quello stesso scenario industriale. (4-09645)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, PALAZZOTTO, SCOTTO, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, MARCON, PLACIDO e AIRAUDO. Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   sulla vecchia strada statale 114 che va da Catania a Siracusa ci si imbatte in un desolante paesaggio di fabbriche e capannoni dismessi della cosiddetta ex Milano del Sud rappresentata da due conglomerati moderni, con diverse costruzioni avveniristiche, che, rivitalizzando il paesaggio circostante, pieno di carcasse di vecchi edifici abbandonati, costituiscono l'area della microelettronica siciliana in cui operano e lavorano più di 4000 tra ingegneri, chimici, fisici e tecnici specializzati. Non si tratta di cattedrali nel deserto, ma, viceversa, di costruzioni che celebrano la pluridecennale vocazione scientifico-industriale del territorio etneo in stretta sinergia con i poli lombardi gemelli di Agrate e Castelletto;

   tutto questo però per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, da qui a breve, potrebbe finire come effetto a causa del progressivo processo di finanziarizzazione che ha caratterizzato gli ultimi 8 anni dell'industria capofila del settore, la ST MICROELECTRONICS, gigante franco italiano della microelettronica, che da qualche tempo naviga in acque difficili a causa di alcuni errori nelle scelte strategiche e da un lento ma costante abbandono degli investimenti sul piano industriale a medio e lungo termine;

   la storia della ST MICROELECTRONICS è stata per oltre mezzo secolo una storia gloriosa ed ha sintetizzato appieno lo spirito del suo fondatore, Adriano Olivetti, in un mix, tipico della migliore manifattura italiana, fatto di attenzione ai lavoratori e allo sviluppo del territorio in stretta connessione con le università locali;

   per avere un'idea dell'importanza della ST MICROELECTRONICS nel comprensorio catanese, si pensi che a partire dal 1996 fino al 2001 la forza lavoro passata da 2000 unità a 4800 addetti. Tuttavia come spesso accade nel nostro Paese, piuttosto che assumere l'esperienza della multinazionale franco italiana come modello da proteggere ed emulare, su di essa si sono riproposti gli annosi difetti dell'industria italiana: un'attenzione esasperata alla riduzione dei costi ed una volontà pervicace a massimizzare i profitti a breve termine. Le logiche del più bieco liberismo sono state applicate in questo caso ad un'azienda controllata saldamente dal capitale pubblico dei Governi francese e italiano, un'azienda che prima della cura neoliberista aveva prodotto ricchezza per i lavoratori e per gli azionisti;

   la teoria dice che nessun sistema riformi se stesso e che ogni classe dirigente, per quanto fallimentare, persegua nei suoi errori finché per essi non chiamata a rispondere, soprattutto se a pagare sono chiamati i lavoratori e le lavoratrici e, quindi, in ultima analisi l'intera collettività;

   come inizio della decadenza va citato il 2007, quando con un improvvido dietrofront la dirigenza di ST MICROELECTRONICS decise di abbandonare il settore delle memorie e, di conseguenza, di tornare indietro sulla decisione di costruire nell'area industriale etnea uno stabilimento ultramoderno della dimensione di due campi di calcio e che avrebbe occupato altri 1200 lavoratori. Per quello stabilimento era stato attivato un contratto di programma da 2 miliardi di euro, di cui 450 milioni sostenuti dall'Unione europea e dallo Stato italiano. Fatto lo stabilimento produttivo, contestualmente si sarebbe potuto iniziare, secondo la consueta logica che legava il polo milanese e quello siciliano, una linea pilota nell'area ST di Agrate Brianza;

   subito dopo, la divisione memorie di ST con pi di 1480 lavoratori stata riversata prima in uno spin off dal nome evocativo della sua brevissima storia, Numonyx, e, successivamente, acquisita dalla multinazionale statunitense Micron, a cui non parso vero trovarsi servita su un piatto d'argento la ventennale esperienza degli ingegneri italiani per fare un ulteriore e fondamentale passo in avanti nella conoscenza della microelettronica nel suo mercato di riferimento, che era ed è, appunto, quello delle memorie;

   da allora in avanti i piani industriali di ST MICROELECTRONICS sono stati sempre pi nebulosi e si sono focalizzati su una riduzione del perimetro industriale e su un'attenzione maniacale alla riduzione dei costi e dei dipendenti;

   attualmente a forza di tagliare e di non investire in modo adeguato, ci si trova di fronte ad un bivio drammatico: continuare ad esistere, riprendendo gli investimenti, od essere prima privatizzati e poi venduti. A questo interrogativo dovrebbero rispondere subito il Governo italiano e quello francese, perché nel frattempo la nave inizia ad affondare ed in Francia sono già stati annunciati 2500 esuberi, di cui 1500 nel territorio transalpino e, sappiamo per esperienza, che un simile terremoto non lascerà indenne la parte manifatturiera italiana –:

   se il Governo sia conoscenza dei fatti rappresentati in premessa e, se sì, quali interventi urgenti intenda adottare per rilanciare gli investimenti a livello nazionale e nell'ambito di un piano europeo per la microelettronica già avviato, peraltro, dall'azienda tedesca Infineon che alcuni anni fa navigava in acque ben più agitate di quelle di ST MICROELECTRONICS, ma che stata capace di trovare interlocutori e risorse nell'ambito del proprio Paese;

   quali elementi il Governo intenda fornire in ordine all'annunciato piano di dismissione della quota azionaria pubblica della ST MICROELECTRONICS, nella considerazione che un settore strategico come la microelettronica non possa essere usato per fare cassa e una effettiva privatizzazione metterebbe a serio rischio gli stessi i lavoratori. (5-05925)


   MARTELLA e BRANDOLIN. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i carabinieri del Noe di Udine in esecuzione di una ordinanza del tribunale di Gorizia hanno proceduto a sequestrare alcune aree dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone (Gorizia), destinate alla cernita e allo stoccaggio di rifiuti, prodotti da scarti di lavorazione;
   il provvedimento, sarebbe scattato a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione che ha dato ragione alla richiesta iniziale del pubblico ministero che, precedentemente, era stata rigettata dal giudice per le indagini preliminari;
   il gruppo Fincantieri, ha comunicato, in ottemperanza al predetto provvedimento del tribunale, di aver disposto a partire dalla data del 30 giugno 2015, la sospensione dell'attività lavorativa di tutto il personale coinvolto nel ciclo produttivo del cantiere di Monfalcone, assicurando solo la manutenzione degli impianti e annunciando la volontà immediata di assumere tutte le opportune iniziative in sede giudiziaria al fine di ottenere la revoca della suddetta misura;
   nel cantiere di Monfalcone (Gorizia) lavorano circa cinquemila persone tra dipendenti diretti della Fincantieri e operai delle società in appalto;
   al cantiere sono in costruzione alcune importanti navi, grazie anche alla ripresa degli ordinativi, che sono tornati a livello pre-crisi del 2007;
   vi è forte preoccupazione tra i lavoratori e le organizzazioni sindacali che chiedono di non mettere a repentaglio il futuro dell'impianto;
   la vicenda in questione pone nuovamente alla ribalta la necessità di ricercare un giusto equilibrio tra lavoro e tutela dell'ambiente –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, nel più assoluto rispetto dell'autonomia dell'azione della magistratura, al fine di scongiurare che il blocco dell'attività industriale nel sito di Monfalcone determini conseguenze irreparabili alla capacità competitiva dei cantieri navali friulani tutelando i cinquemila lavoratori e le loro famiglie. (5-05931)


   PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il settore dei call center in Italia è in crisi da diverso tempo e senza misure di salvaguardia per i lavoratori il Governo sarà costretto ad affrontare un rilevante problema occupazionale; nei prossimi mesi, secondo i sindacati di categoria, potrebbero chiudere diverse grandi aziende di call center causando la perdita di numerosi posti di lavoro;
   tutto questo è attribuibile alle delocalizzazioni selvagge, alle procedure di dumping sui mercati esteri e alle procedure di gara al massimo ribasso che stanno mettendo in ginocchio un settore composto prevalentemente da giovani e donne, in particolare delle regioni meridionali del Paese; il ricorso massiccio al sistema del massimo ribasso nelle gare di appalto spinge le aziende di questo settore a delocalizzare l'attività produttiva in quei Paesi del mondo, si cita come esempio l'Albania, in cui il costo della manodopera è notevolmente inferiore;
   questo tipo di gare penalizza la qualità dei servizi di call center e, inoltre, non consentono un risparmio reale per la collettività poiché non viene considerato che i prezzi praticati dalle aziende devono tener conto anche dei costi reali del personale e non soltanto degli sgravi conseguibili dall'azienda stessa; Per quanto riguarda le delocalizzazioni all'estero delle attività produttive, queste avvengono sovente senza rispettare la legislazione vigente;
   accade troppo spesse che le aziende che gestiscono i call center non osservino quanto previsto dall'articolo 24-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nell'attività svolta da call center»;
   il comma 2 dell'articolo 24-bis stabilisce che, qualora un'azienda decida di spostare l'attività di call center fuori dal territorio nazionale, debba darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali indicando i lavoratori coinvolti, e all'Autorità garante per la protezione dei dati personali, indicando quali misure vengano adottate per il rispetto della legislazione nazionale, in particolare del codice in materia di protezione dei dati personali e del registro delle opposizioni;
   il comma 3 dell'articolo 24-bis stabilisce, invece, che in attesa di procedere alla ridefinizione del sistema degli incentivi all'occupazione nel settore dei call center, i benefici previsti dall'articolo 8 della legge 29 dicembre 1990, n. 407, in materia di contratti di formazione e lavoro e assunzioni a tempo indeterminato, non possano essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri; alcune aziende di call center, nonostante la presenza di tali norme, continuano a godere degli incentivi pubblici malgrado sia in atto il processo di delocalizzazione;
   tra le varie aziende di questo settore attualmente in crisi è da segnalare il caso rappresentato dal Gruppo Teleperformance, leader mondiale nell'offerta di servizi di contact center, presente in 62 Paesi nel mondo attraverso 270 contact center e con oltre di 175 mila risorse, in Italia a sede a Fiumicino e Taranto. Attraverso 89 mila postazioni gestisce globalmente oltre 1000 clienti, un terzo dei quali sono società «blu chip» internazionali, presenti all'interno delle principali industry: telecomunicazioni, servizi finanziari, banche e assicurazioni; media e grande distribuzione;
   la multinazionale francese si è insediata a Taranto firmando un contratto di localizzazione il cui impegno finanziario ammontava a circa 2 milioni di euro, di cui 1 milione erogato come contributo dal Ministero dello sviluppo economico. Il programma prevedeva l'acquisto di 650 postazioni per gli operatori (mobilio da ufficio comprensivo di personal computer); infrastrutture tecnologiche (server e dischi per la SAN — Storage Area network — per i nuovi PC); apparati telefonia e dati; stampanti industriali, scanner e imbustatrici; allacciamento alla rete elettrica;
   Sviluppo Italia, oltre ad aver realizzato l'analisi preliminare dell'esistenza dei requisiti formali, della fattibilità tecnico economica e della cantierabilità dell'iniziativa, ha prestato assistenza all'investitore nella predisposizione della domanda di contratto di programma, al Ministero dell'economia e alla regione nella predisposizione del testo di accordo di programma quadro e ha svolto attività di coordinamento e gestione delle fasi del processo di governance del contratto di localizzazione;
   dopo l'avvio delle attività nel luglio 2005, in data 12 aprile 2007 presso la sede regionale del genio civile, è stato sottoscritto, tra l'allora assessore al lavoro e formazione professionale, i rappresentanti dei sindacati confederali e i rappresentanti della società Teleperformance Italia, il primo accordo sulla stabilizzazione occupazionale dei dipendenti della sede tarantina;
   la Società In & Out (Teleperformance) ha inoltre ottenuto dei finanziamenti provenienti dai Fondi europei, bando POR Puglia 2000-2006, complemento di programmazione, asse III, misura 3.11 «Sviluppo e consolidamento dell'imprenditorialità, emersione del lavoro non regolare, Azione c) Aiuti all'occupazione», che prevedeva finanziamenti, per un ammontare complessivo di risorse pari a euro 4227.44,78, alle imprese, consorzi di piccole e medie imprese; organizzazioni no profit, cooperative pugliesi finalizzati alla trasformazione dei contratti di collaborazione a progetto in rapporti di lavoro subordinato. Si trattava, quindi, di un intervento finalizzato alla stabilizzazione occupazionale, da attuare in sinergia con le previsioni della legge finanziaria 2006. L'intervento consisteva nell'erogazione di un contributo pari a euro 7.747 per ciascun rapporto di lavoro trasformato, aumentato del 50 per cento nel caso in cui le trasformazioni effettuate riguardassero manodopera femminile;
   è doveroso precisare che l'azienda francese dei call center, dal 2008 a oggi, ha goduto dei benefici previsti dalla legge per la stabilizzazione dei lavoratori. Tra questi l'utilizzo di circa 36 mesi di ammortizzatori sociali in deroga, dopo la sottoscrizione di un importante accordo sindacale che ha permesso all'azienda di abbattere del 12 per cento il costo del lavoro, consentendole un innegabile vantaggio competitivo nel settore. L'incentivo è riconosciuto nel limite massimo di 8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016;
   il 7 maggio 2015 l'amministratore delegato della multinazionale, Gabriele Piva, ha annunciato ufficialmente l'apertura delle procedure per la societarizzazione delle due sedi italiane. La società sta, infatti, procedendo alla creazione di una new-company (Coporate) e una bad-company (In & Out spa). L'idea è di scorporare la società per lasciare gli utili frutto di accordi commerciali del Gruppo a livello mondiale nella «Corporate» presso la sede di Fiumicino e condurre verso morte certa la «In&Out» società in perdita nella quale ci sono i lavoratori della città ionica;
   il 30 giugno 2015 scadrà l'accordo che negli ultimi anni ha consentito a Teleperformance un innegabile vantaggio competitivo;
   è doveroso ricordare che la sola sede di Taranto conta 2.700 addetti, di cui 1.700 con contratto a tempo indeterminato e circa 1.000 con contratto a progetto, rappresentando la seconda realtà di lavoro dopo Ilva. L'eventuale chiusura o delocalizzazione della sede di Taranto dell'azienda comporterebbe conseguenze disastrose sia per i lavoratori, sia per l'economia ionica già in forte difficoltà per le note vicende di Ilva –:
   se intendano comunicare dati certi riguardanti le attività di delocalizzazione che hanno interessato, fino ad oggi, i servizi di call-center;
   se intendano verificare, per quanto competenza, se tali attività siano avvenute nel rispetto dell'obbligo di cui all'articolo 24-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;
   se intendano assumere ogni iniziativa di competenza affinché siano garantite le condizioni necessarie al pieno rispetto della normativa di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 83 del 2012, citato in premessa;
   se intendano mettere in campo ogni iniziativa di competenza volta a rivedere la disciplina del massimo ribasso nelle gare di appalto;
   quali iniziative intendano assumere per chiarire gli effetti derivanti dall'applicazione della legge di stabilità 2014 (comma 60, dell'articolo 1, della legge n. 147 del 2013) in materia di delocalizzazioni e in particolare quelle inerenti al comparto dei servizi di call center;
   se intendano assumere iniziative urgenti volte al sostegno del reddito dei lavoratori interessati dalla crisi dell'azienda Teleperformance. (5-05946)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPARINI, FEDRIGA, GUIDESI, ALLASIA, BORGHESI, SALTAMARTINI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, GRIMOLDI e INVERNIZZI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lunedì 29 giugno 2015 il Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente – Nucleo operativo ecologico di Udine – in attuazione di un provvedimento emesso dal tribunale penale di Gorizia, ha disposto il sequestro preventivo quattro aree del cantiere Fincantieri di Monfalcone (Gorizia), nel rione Panzano, destinate alla selezione e allo stoccaggio di residui di lavorazione (scarti di lamiera, di moquette e altro, quindi non rifiuti tossici), aree strategiche e indispensabili per il regolare svolgimento del ciclo produttivo. Sette persone, tra dirigenti e funzionari, sono state denunciate in stato di libertà con l'accusa di gestione illecita di rifiuti. Il provvedimento, come spiegano i carabinieri del Noe, è scattato a seguito di una sentenza della Corte di cassazione che ha dato ragione alla richiesta iniziale del pubblico ministero che, inizialmente, era stata rigettata dal giudice per le indagini preliminari, il procedimento è partito un anno e mezzo fa. Per quanto riguarda l'attività lavorativa dei dipendenti, spiega il Noe, questa potrà riprendere nel momento in cui la situazione sarà regolarizzata e i rifiuti verranno portati fuori dalle aree;
   dal canto suo il gruppo ha comunicato che le quattro aree sono strategiche per il regolare svolgimento del ciclo produttivo, di qui il blocco dell'attività, ritenendo la misura cautelativa adottata sproporzionata rispetto al danno causato e ai danni irreparabili che il permanere di tale situazione potrebbe provocare;
   da martedì 30 giugno a Monfalcone lavorano soltanto gli addetti alla manutenzione degli impianti, cioè un centinaio di persone. Al cantiere sono in costruzione alcune navi, grazie anche alla ripresa degli ordinativi, tornati a livello pre-crisi del 2007;
   sulla questione è intervenuto anche il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: All'assemblea di Confindustria del 28 maggio parlai di una «manina anti-impresa» che interviene quando meno te l'aspetti. Oggi sono stato superato dalla realtà, dai magistrati che hanno fermato la Fincantieri di Monfalcone. È un altro caso Ilva. Sembra che in questo Paese non si voglia che le imprese operino. Si tratta di un caso particolarmente grave;
   in allarme anche i sindacati. «Non possono essere i lavoratori a pagare e la medesima azienda che li occupa a pagare le dure conseguenze di un provvedimento della Magistratura», contesta Mario Ghini, segretario nazionale della Uilm. Più cauto Michele Zanocco, segretario nazionale Fim Cisl: «Chiederemo all'azienda interventi rapidi e risolutivi, oltre che il massimo della chiarezza sulla reale situazione di eventuale pericolo delle aree poste sotto sequestro, che a dire il vero, sino ad oggi non abbiamo mai registrato, o di eventuali violazioni di norme»;
   fincantieri è uno dei maggiori gruppi al mondo nella costruzione navale, il primo in occidente, di cui Monfalcone è il principale sito produttivo, tra i più grandi in Europa, che occupa circa 5.000 addetti;
   il volume degli acquisti effettuati annualmente da Fincantieri nell'ultimo quinquennio in Italia è pari a 1,5 miliardi di euro, presso oltre 3.000 imprese distribuite in diverse regioni del Paese. Una quota assolutamente rilevante di questo ammontare – circa il 20 per cento, pari a 300 milioni di euro all'anno – è stata assegnata proprio al Friuli Venezia Giulia –:
   quali iniziative intenda assumere volte al più rapido ripristino delle produzioni di un fiore all'occhiello dell'industria nazionale, una delle poche società italiane a poter vantare una leadership mondiale nel comparto in cui opera, che oggi è paralizzata da un provvedimento cautelativo dell'autorità giudiziaria. (4-09634)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Mongiello e altri n. 1-00925, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paola Boldrini, Ragosta, Iacono, Giovanna Sanna, Manfredi, Moscatt.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Pesco e altri n. 4-09629, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Busin.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Binetti n. 1-00926, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 451 del 30 giugno 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    la grave crisi economico-sociale che ha colpito così pesantemente il nostro Paese dal 2008 ha causato seri problemi ai cittadini, molti dei quali si sono trovati in condizioni di difficoltà economica;
    si tratta di persone che si trovano a dover fronteggiare la perdita del posto di lavoro, o la chiusura della loro attività economica, ed a sostenere contemporaneamente le necessità finanziarie derivanti dall'impegno di mantenere la famiglia;
    la prima casa costituisce un elemento fondamentale del patrimonio delle famiglie italiane e rappresenta, al contempo, un bene necessario per le famiglie. Proprio per la grave crisi economico-sociale che ha colpito il nostro Paese è aumentato in modo elevato il numero dei pignoramenti che si sono registrati in Italia in questi ultimi anni;
    appare, pertanto, giusto evidenziare che lo Stato punti al soddisfacimento dei propri crediti, ma è necessario, altresì, tutelare e garantire quanti sono oppressi dalle procedure di espropriazione immobiliare, soprattutto quando riguardino la prima casa di proprietà. Non è, infatti, ammissibile che una famiglia perda la propria casa, magari il suo unico bene reale, acquistato dopo anni di sacrifici;
    l'impignorabilità della prima casa risulta, altresì, necessaria, al fine di una perequazione sociale che salvaguardi un bene, la prima casa, che costituisce, tra l'altro, un elemento fondamentale di aggregazione familiare, che consente di tutelare le famiglie ed il diritto di tutti ad avere un alloggio, al fine di evitare il rischio di indigenza e disagio sociale abitativo che ne deriverebbe;
    il decreto-legge cosiddetto «del fare» n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha previsto, all'articolo 52, che l'agente della riscossione non dà corso all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate da decreto del Ministro per i lavori pubblici del 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente. Per gli altri beni immobili del debitore (abitazioni non prima casa, case di lusso, fabbricati A/8 e A/9) l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro. Si prevede, inoltre, che in tal caso l'espropriazione possa essere avviata se è stata iscritta ipoteca e sono decorsi almeno sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto;
    la Corte di cassazione, con la sentenza 12 settembre 2014, n. 19270, ha contribuito ad ampliare la tutela del diritto alla prima casa, stabilendone l'impignorabilità da parte di Equitalia, con estensione della validità della disposizione contenuta nel citato decreto-legge anche per i procedimenti in corso. La Corte di cassazione ha, infatti, affermato che: «dal momento che la norma disciplina il processo esecutivo esattoriale immobiliare e non introduce un'ipotesi di impignorabilità sopravvenuta del suo oggetto, la mancanza di una disposizione transitoria comporta che debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'articolo 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti ad essa successivamente compiuti di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di introduzione del giudizio»; tale norma è entrata in vigore il 22 giugno 2013;
    contrariamente alle conclusioni contenute nella nota del Ministero dell'economia e delle finanze - per la quale tale norma non ha effetto retroattivo e, pertanto, tutti i pignoramenti effettuati prima del 22 giugno 2013 dovevano considerarsi validi ed efficaci - la Corte di cassazione ha esteso la non pignorabilità a tutti gli immobili soggetti ai procedimenti di Equitalia ancora in corso. Pertanto, «in tema di espropriazione immobiliare esattoriale, qualora sia stato eseguito il pignoramento immobiliare mediante la trascrizione e la notificazione dell'avviso di vendita ai sensi dell'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ed il processo sia ancora pendente alla data del 21 agosto 2013 (di entrata in vigore dell'articolo 52, comma 1, lettera g), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ai sensi dell'articolo 86 del decreto-legge n. 69 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194, supplemento ordinario del 20 agosto 2013), l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente della riscossione, se l'espropriazione ha ad oggetto l'unico immobile di proprietà del debitore, che non sia bene di lusso e sia destinato ad abitazione del debitore, il quale vi abbia la propria residenza anagrafica»;
    il tema del diritto all'abitazione quale diritto intangibile da tutelare è stato affrontato di recente anche dall'Unione europea. In particolare, la decisione della Corte di giustizia europea n. C-34/13 del 10 settembre 2014, in materia di pignoramento eseguito sulla prima casa se il contratto di mutuo contiene clausole vietate dalla direttiva UE/93/2013, con la quale i giudici tornano ad affrontare il tema delle clausole abusive dei contratti dei consumatori, con particolare riferimento ai contratti di credito al consumo che prevedono la costituzione, a favore della banca o finanziaria, di un diritto di garanzia sull'immobile di abitazione del cliente. La Corte di giustizia europea sottolinea che «la perdita dell'abitazione familiare non è solamente idonea a violare gravemente il diritto dei consumatori, ma pone i familiari del consumatore interessato in una situazione particolarmente delicata». Essa «costituisce una delle più gravi violazioni al diritto al rispetto del domicilio» e, pertanto, «qualsiasi persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di tale misura»;
    occorre, pertanto, tutelare in modo certo coloro che perdono o che rischiano di perdere la propria casa con misure adeguate che permettano di risolvere questo problema che incide in modo grave sulla situazione economica delle famiglie italiane;
    andrebbe resa più rapida con ogni mezzo l'attuazione del programma di recupero degli immobili di edilizia popolare varato con il decreto-legge n. 47 del 2014 e sarebbe opportuno avviare un piano di medio termine per l'ampliamento complessivo dell'offerta di edilizia residenziale pubblica e di razionalizzazione delle gestioni, in particolare valorizzando il nesso fra politiche per la casa e tutela della famiglia come elemento imprescindibile di coesione sociale: dai giovani che desiderano sposarsi ma non possono permettersi un'abitazione agli anziani che temono di essere cacciati dalle loro case, perché non più in grado di pagare il mutuo o le tasse;
    sarebbe opportuno che le fondazioni bancarie inseriscano tra i loro obiettivi prioritari il diritto delle famiglie alla prima casa, facilitandone non solo l'accesso ma lo stesso mantenimento e che si favorisca la creazione di reti di solidarietà che permettano finanziamenti a tasso zero alle famiglie in difficoltà in una logica di auto-aiuto,

impegna il Governo:

   a sospendere gli espropri relativi alla prima casa;
   ad affrontare con misure adeguate lo stato di estrema indigenza in cui versa un numero crescente di famiglie italiane per il protrarsi della crisi e per l'oggettiva difficoltà di inserimento e reinserimento nel mondo del lavoro, con riferimento alla situazione di coloro che sono destinatari di procedure di espropriazione di un immobile adibito ad abitazione principale;
   a rivedere tempi e modi con cui Equitalia rivendica i suoi diritti senza mai farsi carico dei corrispondenti doveri di rimborso e restituzione in tempi adeguati con riferimento alle problematiche esposte in premessa;
   a varare una politica di accordi con le banche per l'individuazione di misure volte ad una gestione dei mutui in sofferenza, con particolare riferimento alle famiglie in situazione temporanea di insolvenza.
(1-00926)
(Nuova formulazione) «Binetti, Dorina Bianchi».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   Interrogazione a risposta in Commissione Moretto n. 5-02863 del 20 maggio 2014.
   Interrogazione a risposta scritta Bechis n. 4-09372 del 5 giugno 2015.