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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 4 maggio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la «Via Francigena» è un antico itinerario che attraversa l'Europa, le cui origini risalgono al Medioevo. Il percorso, fissato intorno al 990 dall'arcivescovo Sigerico in ottanta tappe e conservato in un documento storico alla British Library di Londra, parte da Canterbury e arriva a Roma, inserendosi nei tracciati definiti «romei» che raggiungevano la capitale della cristianità;
    la via percorre la contea del Kent, arriva alla Manica, prosegue lungo le regioni francesi Nord-Pas de Calais, Picardie, Champagne-Ardenne, Franche-Comtè, varca la frontiera Svizzera nel cantone di Vaud e, in Italia, si snoda attraverso le regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio;
    la Francigena, arteria di commercio e di pellegrinaggio, divenne nel corso dei secoli una via di collegamento importantissima tra il nord e il sud Europa e un fecondo terreno di scambio culturale ed economico. Si tratta di un itinerario non costituito da un unico tracciato, ma da un intreccio di strade e sentieri che si sviluppavano in relazione ai differenti contesti e mutamenti storici, economici e sociali. Un itinerario quindi in cui i luoghi sacri (cattedrali e chiese) si intrecciano con le testimonianze di vita comune come grance, granai, ponti fortificati, ospedali, stazioni di posta, cisterne, mulini, antiche locande;
    nel 1994, su iniziativa del Ministero del turismo italiano, il Consiglio di orientamento degli itinerari culturali del Consiglio d'Europa decise di raccomandare l'elezione della Via Francigena a itinerario culturale;
    il 21 aprile 1994, la direzione educazione, cultura e sport del Consiglio d'Europa ha ufficializzato il riconoscimento di itinerario culturale della Via Francigena (protocollo n. 459 del 4 maggio 1994);
    il 9 dicembre 2004 il Consiglio d'Europa ha dichiarato la Via Francigena «Grande itinerario culturale del Consiglio d'Europa» ai sensi della risoluzione (98) 4, adottata dal Comitato dei Ministri il 17 marzo 1998. La definizione «Grande itinerario culturale» fa riferimento a temi pan-europei definiti in più progetti di varie regioni europee con una cooperazione di lunga durata in più campi d'azione, riunendo abilità interdisciplinari;
    nel corso degli ultimi anni il percorso italiano della Via Francigena è stato oggetto di interventi pubblici, di aggiornamenti normativi, di progetti locali. Per quanto riguarda le iniziative di carattere nazionale ricordiamo:
     la legge numero 270 del 1997, concernente il piano degli interventi di interesse nazionale relativi a percorsi giubilari e pellegrinaggi in località al di fuori del Lazio, varata in occasione del Giubileo del 2000;
     il progetto, inaugurato nel 2007, promosso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, relativo a una mappatura dei prodotti agroalimentari e delle strutture agrituristiche lungo l'itinerario;
     l'istituzione nel 2007, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di una consulta per gli itinerari culturali, storici e religiosi e di un comitato scientifico della consulta, organo tecnico-operativo con il compito di deliberare il programma delle attività e adottare gli atti di indirizzo;
     il progetto, inaugurato nel 2008, del Ministero per i beni e attività culturali che ha dotato alcuni tracciati originari presenti sul territorio italiano (972 chilometri) di una segnaletica adeguata (circa 6.000 cartelli, circa uno ogni 500 metri);
     la legge numero 9 del 2014, all'articolo 13, comma 24, che ha finanziato progetti (promossi da comuni da 5 mila a 15 mila abitanti) «per il coordinamento dell'accoglienza turistica tramite la valorizzazione di aree territoriali di tutto il territorio nazionale, di beni culturali e ambientali, nonché il miglioramento dei servizi per l'informazione e l'accoglienza dei turisti». Tale norma (i cui termini relativi alla scadenza dei bandi sono stati poi prorogati con la legge numero 302 del 2014) ha incentivato molti enti territoriali, posti lungo la Via Francigena, a presentare dei progetti legati all'itinerario, dall'accoglienza alla valorizzazione dei siti culturali;
     la legge numero 83 del 2014 che presenta norme che si ispirano direttamente alla valorizzazione della Via Francigena a partire dalla semplificazione dei progetti a valenza interregionale e dall'affido gratuito dei beni demaniali, non utilizzati e presenti lungo l'itinerario, destinati al supporto logistico ed informativo e con funzioni ricettive;
    a queste iniziative vanno poi aggiunti gli interventi promossi dagli enti locali territoriali, nei differenti livelli istituzionali, come i finanziamenti stanziati da alcune regioni che hanno creduto particolarmente nella valorizzazione dell'itinerario quale volano di sviluppo locale:
     la regione Toscana ha investito negli ultimi cinque anni, per un tratto complessivo di 370 chilometri, 16 milioni di euro per interventi di messa in sicurezza del tracciato, per l'ammodernamento delle strutture ricettive e campagne di comunicazione;
     la regione Lazio (con i fondi del progetto europeo Certess) ha stanziato risorse per la manutenzione ordinaria dei percorsi e della relativa segnaletica, per promuovere servizi di accoglienza e di logistica e per realizzare progetti editoriali per incentivare una migliore fruizione degli itinerari;
     sono inoltre previsti interventi specifici, promossi dalle regioni interessate (Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, Piemonte) per la qualificazione della rete degli uffici di informazione e accoglienza turistica lungo il percorso; per la realizzazione di una segnaletica coordinata; per azioni promo-pubblicitarie sui mercati interno ed estero; per interventi di formazione rivolti a operatori turistici, guide, addetti all'informazione turistica; per il sostegno alla qualificazione dei servizi offerti da consorzi turistici, per la realizzazione di eventi di grande richiamo;
    sono stati sottoscritti accordi di programma, sia nazionali che internazionali, per una valorizzazione dei territori interessati dalla Via Francigena, come ad esempio:
     a) il protocollo di collaborazione firmato nel mese di ottobre del 2014 dai rappresentanti delle regioni europee coinvolte: Kent (Regno Unito); Nordpas-de-Calais, Picardie, Champagne-Ardenne, Franche-Comtè (Francia); Cantone Vaud, Cantone Vallese (Svizzera); Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio (Italia);
     b) l'istituzione di un tavolo tecnico istituzionale permanente promosso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con le regioni coinvolte per definire una governance unica del progetto «sulla Via Francigena»;
     c) la sottoscrizione, nel mese di marzo 2015, di un Protocollo di Intesa a sostegno dello sviluppo e della promozione della Via Francigena, da parte di sindaci dei 17 comune del Lazio a nord di Roma, interessati dal percorso;
    la Via Francigena stata oggetto, nell'attuale legislatura, di numerosi e diversificati atti ed iniziative parlamentari tra cui:
     la presentazione di proposte di legge per promuoverne la valorizzazione e la fruizione sia alla Camera dei deputati (AC 294) sia al Senato (AS 450);
     accoglimento da parte del Governo alla Camera dei deputati di ordini del giorno specifici che impegnano l'esecutivo: (numero 9/02426-A/004) a «riconoscere l'antico percorso italiano della Via Francigena quale risorsa culturale, ambientale e turistica di primaria valenza pubblica nazionale»; «a promuovere, con norme specifiche, finanziamenti pubblici adeguati e protocolli d'intesa finalizzati fra soggetti privati ed enti territoriali interessati, la tutela, la valorizzazione dalla Via Francigena, attraverso interventi di recupero, manutenzione e promozione del patrimonio storico-culturale, spirituale e ambientale e di riqualificazione del patrimonio ricettivo esistente»; (numero 9/02426-A/012) «ad attivarsi per lo stanziamento di risorse finalizzate a completare l'individuazione del percorso denominato “Via Francigena”, quale itinerario storico, culturale e religioso»; «a realizzare una segnaletica completa e uniforme che consenta di percorrere l'itinerario, anche a piedi, nell'intero territorio italiano»;
     la costituzione di un intergruppo parlamentare a sostegno della «Via Francigena» al quale hanno aderito 37 tra deputati e senatori di diversi orientamenti politici;
    la Convenzione per la tutela del patrimonio culturale e naturale è un trattato internazionale adottato dalla Conferenza Generale dell'Unesco il 16 novembre del 1972 con il compito di definire il patrimonio mondiale attraverso l'adozione di una lista che raccolga i beni considerati d'interesse eccezionale e di valore universale per l'umanità;
    tale convenzione, per ciò che concerne il patrimonio «materiale» è stata recepita, nell'ordinamento nazionale, dalla legge numero 184 del 1977 «Ratifica della Convenzione sulla protezione del patrimonio mondiale, culturale, naturale dell'umanità»;
    il decreto numero 4195 del 24 maggio 2007 «disciplina la composizione, i compiti e le funzioni della Commissione Nazionale Italiana per l'Unesco»;
    la procedura concordata per l'invio di candidature nelle liste e nei network dell'Unesco è stata approvata nella seduta del Consiglio Direttivo della Commissione nazionale italiana per l'Unesco il 6 maggio del 2011;
    si è costituito nel 2010 presso il Ministero per i beni e le attività culturali, il gruppo di coordinamento per la candidatura della Via Francigena per l'iscrizione nella Lista del Patrimonio materiale mondiale dell'Unesco formato da rappresentanti dello stesso ministero, delle regioni Toscana e Lazio, delle province di Siena e Pavia, dell'Associazione europea delle Vie francigene e del Parco della Val d'Orcia;
    nell'anno in corso il comune di Fidenza, città nella quale ha sede l'Associazione europea delle Vie francigene, ha parallelamente avviato un proprio percorso per l'inserimento del Duomo cittadino quale patrimonio mondiale nell'ambito del più vasto progetto di candidatura della Via Francigena nella Lista del patrimonio tutelato dall'Unesco, e in tale iniziativa, alla quale la regione Emilia-Romagna ha dato la propria adesione, è stato coinvolto il Ministero dei beni culturali e delle attività culturali e del turismo;
    ad oggi non risultano ulteriori notizie ufficiali relative all’iter della candidatura che prevede successivamente l'analisi della proposta da parte della Commissione nazionale italiana per l'Unesco (una struttura interministeriale – a cui partecipano rappresentanti del Ministero per i beni e le attività culturali, del Ministero degli affari esteri e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e la successiva redazione di una documentazione di sostegno alla candidatura stessa che necessita di un dossier ed un piano di gestione;
    secondo la citata «Procedura concordata per l'invio di candidature nelle liste e nei network dell'Unesco» la prossima scadenza per la presentazione delle candidature per il «patrimonio materiale mondiale» è prevista per il 30 gennaio 2016;
    l'antico cammino di fede corrisponde dunque pienamente ai recenti indirizzi assunti dall'Unesco che ha deciso di privilegiare, per l'assegnazione del riconoscimento a bene immobile dell'umanità, proprio questa tipologia di candidature (come risulta peraltro dagli ultimi siti italiani premiati: «La ferrovia retica nel paesaggio dell'Albula e del Bernina»; «Dolomiti»; «I longobardi in Italia. Luoghi di potere»; «Siti palafitticoli preistorici delle alpi»; «Ville medicee»; «Monte Etna»; «Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato»);
    tale candidatura, inoltre, interessa non solo una nazione ma più Paesi. Sarebbe quindi opportuno, come già accaduto in passato, che il Governo italiano collaborasse attivamente con gli altri stati interessati al fine di definire una candidatura unitaria;
    la candidatura della Via Francigena è un significativo volano per promuovere e valorizzare l'Italia come un vero e proprio «museo diffuso» ampliando e diversificando l'offerta dei flussi turistici tradizionali, favorendo una fruizione lenta, sostenibile, integrabile con le tante e diverse peculiarità delle realtà territoriali;
    la candidatura della Via Francigena rappresenta anche un'occasione per dare impulso ad una corretta conservazione, fruizione e promozione del patrimonio storico e artistico dei molteplici monumenti che caratterizzano l'intero l'itinerario. Senza dimenticare che il percorso, nato come itinerario religioso, può anche divenire un'occasione straordinaria e irripetibile di arricchimento culturale, di valorizzazione delle ricchezze paesaggistiche e di riscoperta del vasto patrimonio enogastronomico e artigianale locale. Uno strumento irrinunciabile quindi per un turismo non invasivo, compatibile con le risorse indigene, attento all'ambiente e capace di strutturarsi in flussi omogenei lungo un vasto arco temporale;
    la Via Francigena è una risorsa importante per l'economia di intere regioni (in Toscana, ad esempio, crea ad oggi un volume di affari annuo di 16 milioni di euro, 400 posti di lavoro e 150 mila visitatori ed anche di moltissimi centri minori che potranno beneficiare della vicinanza con l'itinerario; sono infatti circa 800.000 i potenziali visitatori annui: pellegrini in primo luogo attirati dai luoghi spirituali e religiosi presenti lungo il percorso (la Via Francigena si inserisce infatti nell'ambito delle tre «peregrinationes maiores») ma anche dal turismo enogastronomico e sportivo. In questa direzione è necessaria una completa ed efficace messa in sicurezza del tracciato per la mobilità dolce (biciclette, passeggiate a piedi e a cavallo), una segnaletica efficiente e visibile e la presenza di strutture ricettive convenzionate. La realizzazione di questi progetti rappresenterebbe quindi un'occasione straordinaria di valorizzazione dei patrimonio esistente, un esempio di accoglienza, un'opportunità di crescita economica locale a basso impatto ambientale ed un esempio concreto di uno sviluppo turistico sostenibile capace di valorizzare un rapporto rinnovato tra visitatori e comunità;
    l'8 dicembre 2015 Papa Francesco aprirà il Giubileo che si concluderà nel mese di dicembre 2016. L'Anno Santo oltre a rappresentare una opportunità di crescita economica ed occupazionale (nel 2000, l'anno dell'ultimo Giubileo, l'Italia registrò una crescita record del Pil del 2,9 per cento; il tasso di disoccupazione calò di un punto percentuale; solo a Roma la presenza di turisti e pellegrini portò circa 13 mila miliardi di lire, 2 mila miliardi in più rispetto al 1999) è inevitabilmente una opportunità strategica ed irrinunciabile, oltre che un evento dagli innumerevoli valori simbolici, per veicolare e rafforzare la candidatura della Via Francigena;
    in questo contesto va inoltre rimarcato come l'Expo 2015, che si inaugurerà a Milano nel prossimo mese di maggio, sarà una opportunità altrettanto significativa per trainare nel nostro Paese diversificati flussi turistici internazionali per i prossimi anni,

impegna il Governo:

   a presentare entro il 30 gennaio 2016 il progetto di candidatura per l'inserimento della «Via Francigena» nella lista rappresentativa del patrimonio culturale materiale dell'umanità dell'Unesco, d'intesa con gli altri Paesi europei interessati dal tracciato ed in relazione a quanto esposto in premessa, al fine di dare continuità alle iniziative, agli stanziamenti ai protocolli d'intesa ed ai progetti già messi in atto dai soggetti preposti nel corso degli ultimi anni;
   a presentare in Parlamento, almeno 60 giorni prima della scadenza del 30 gennaio 2016, una relazione sul lavoro dei soggetti istituzionali preposti e sulle fasi di avanzamento della candidatura della «Via Francigena» nella lista rappresentativa del patrimonio culturale materiale dell'umanità dell'Unesco;
   ad inserire nelle prossime iniziative normative utili, anche in previsione del Giubileo che si aprirà il prossimo mese di dicembre, norme specifiche e finanziamenti adeguati per la valorizzazione e la fruizione della «Via Francigena», concordati preventivamente con il gruppo di coordinamento per la candidatura, la Commissione nazionale italiana per l'Unesco e con le istituzioni territoriali competenti.
(1-00843) «Cenni, Terrosi, Romanini, Albini, Ascani, Bechis, Beni, Massimiliano Bernini, Stella Bianchi, Capone, Catania, Antimo Cesaro, Cova, Dallai, Marco Di Maio, Fanucci, Ferranti, Fiorio, Gandolfi, Guidesi, Incerti, Lacquaniti, Maestri, Manzi, Marguerettaz, Mariani, Nardi, Pellegrino, Prina, Andrea Romano, Venittelli, Verini, Zaccagnini».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'attività turistico ricreativa rappresenta in Italia un settore con forti potenzialità di sviluppo e di occupazione ed è ormai urgente, in un settore strategico quale quello delle attività balneari insistenti sul demanio marittimo, la necessità di mettere in atto processi di innovazione e di investimento che rendano queste aree demaniali sempre più attrattive e fruibili e che ne preservino la bellezza, il paesaggio e il valore economico;
    l'Italia, con i suoi 7.458 chilometri di costa, si distingue per la sua specificità in ambito europeo. Nel nostro Paese, infatti, vi è una larga diffusione sul demanio marittimo di stabilimenti balneari, oggetto di concessione. Il ricorso a tale istituto è motivato dalla natura del bene, appartenente allo Stato, ex articolo 822 del codice civile, e destinato, tra l'altro, a soddisfare interessi pubblici;
    risultano censite nel nostro Paese circa 28.000 concessioni rilasciate per finalità turistico-ricreative con strutture «amovibili» e circa 1.000 pertinenze demaniali marittime con manufatti «inamovibili» di proprietà dello Stato;
    gli stabilimenti balneari sono diffusi in tutto il territorio costiero del Paese e in alcune particolari aree, come la Versilia e le coste romagnola, abruzzese e marchigiana, hanno raggiunto livelli di significatività economica paragonabile a quella di veri e propri distretti produttivi. Sono, inoltre, fortemente integrati con l'offerta alberghiera contribuendo significativamente al prodotto interno lordo turistico;
    il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con il quale l'Italia ha recepito la direttiva 2006/123/CE («direttiva servizi», cosiddetta Bolkestein), stabilisce che, dal 1o gennaio 2016, le concessioni demaniali non potranno più essere rinnovate automaticamente (non valendo più il diritto di insistenza), ma dovranno essere oggetto di un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione;
    ai sensi dell'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, come modificato dall'articolo 1, comma 547, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del citato decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2020; il comma 732 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) ha fissato al 15 ottobre 2014 il termine temporale previsto per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime;
    il termine del 15 ottobre 2014 è stato superato senza che siano intervenute ulteriori modificazioni legislative;
    il Tar di Milano il 26 settembre 2014 ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione europea la questione pregiudiziale della compatibilità con la normativa comunitaria delle disposizioni nazionali, ricorso che probabilmente avrà il suo epilogo fra estate e autunno di quest'anno;
    il Tar della Toscana il 27 febbraio 2015 ha stabilito che, nelle concessioni demaniali marittime, sono di proprietà del concessionario le opere che questi ha realizzato sulla superficie demaniale;
    permane una fase di incertezza che potrebbe essere superata attraverso l'istituzione di una cabina di regia che, sotto la guida della Presidenza del Consiglio con la presenza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, del Ministro dell'economia e delle finanze e Agenzia del demanio, favorisca e finalizzi il confronto con le categorie e le rappresentanze istituzionali coinvolte;
    appare inoltre necessario definire un tavolo comuni e regioni poiché l'uso del demanio marittimo, oltre alla attività turistico ricreativa, riguarda il commercio, la pesca e l'acquacoltura, l'industria e la portualità,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per costituire la sopracitata cabina di regia;
   ad assumere iniziative per individuare nei comuni i soggetti che, per quanto riguarda le gare per le concessioni demaniali, da soli o in associazione volontaria, bandiscono le gare, col criterio della offerta economicamente più vantaggiosa e con criteri che prevedano:
    a) il diritto al concessionario uscente, da parte del concessionario subentrante, di un indennizzo determinato sulla base di una valutazione dei beni non integralmente ammortizzati, degli investimenti effettuati e del valore commerciale di mercato della impresa;
    b) che non si possa fare ricorso all'istituto dell'avvalimento;
    c) che sia valutata l'esperienza acquisita nel tempo e il valore dei profili professionali e del piano occupazionale;
    d) che sia valutato il piano economico e finanziario di copertura degli investimenti e di annessa gestione;
    e) che non si possano acquisire più di due (ad esempio) concessioni sia direttamente che indirettamente;
    f) che sia valutata la coerenza della offerta col piano spiaggia;
   a dare incarico alle prefetture di tenere un elenco aggiornato dei concorrenti con l'elaborazione di una white list che consenta di prevenire eventuali tentativi di infiltrazioni criminali;
   ad assumere iniziative per eliminare il metodo di calcolo dei canoni demaniali sulla base dei valori dell'Osservatorio mercato immobiliare, eliminando anche la distinzione fra facile e difficile rimozione e sostituendola con un criterio che invece tenga conto della effettiva tipologia di attività svolta e anche della effettiva occupazione demaniale oggetto di concessione.
(7-00672) «Lodolini».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 14, comma 2 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 recante «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea.», convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, ha previsto che «Entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto (25 giugno 2014 n.d.r.), il sistema di tracciabilità dei rifiuti è semplificato, ai sensi dell'articolo 188-bis, comma 4-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in via prioritaria, con l'applicazione dell'interoperabilità e la sostituzione dei dispositivi token usb, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
    il medesimo articolo ha integrato l'articolo 11 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, con il comma 9-bis prevedendo che «Il termine finale di efficacia del contratto (con Selex per il SISTRI n.d.r.), come modificato ai sensi del comma 9, è stabilito al 31 dicembre 2015. Fermo restando il predetto termine, entro il 30 giugno 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avvia le procedure per l'affidamento della concessione del servizio nel rispetto dei criteri e delle modalità di selezione disciplinati dal codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e dalle norme dell'Unione europea di settore, nonché dei principi di economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante aggiornamento tecnologico»;
    l'articolo 11, comma 8, del decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», ha istituito una commissione di collaudo del sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI)», composta da 3 membri «di cui uno scelto tra i dipendenti dell'Agenzia per l'Italia Digitale o dalla Consip spa e due tra professori universitari di comprovata competenza ed esperienza sulle prestazioni oggetto del collaudo»;
    il 20 agosto 2013 sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato pubblicato l’«Avviso di selezione per profili professionali necessari alla formazione di una commissione di collaudo per la verifica del sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI)» recante l'invito a presentare la candidatura per la nomina;
    il 20 settembre 2013 è stata istituita la commissione con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che prevedeva pure che le operazioni di collaudo si dovessero concludere entro 60 giorni dalla sua costituzione ed entro il 31 gennaio 2014 per quel che riguardava l'operatività del sistema;
    in risposta all'interrogazione n. 5-02535 con la quale si chiedeva «quali erano nel dettaglio gli esiti delle indagini condotte dalla commissione di collaudo, prevista dall'articolo 11, comma 8, del decreto-legge n. 101 del 2013, e se tali operazioni avessero anche riguardato il funzionamento del sistema nel suo complesso e l'impatto sulle imprese in termini di costi, di semplicità di utilizzo, di efficacia per il reale contrasto alle ecomafie e di una piena tracciabilità dei rifiuti», il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella seduta del 3 aprile 2014 ha risposto che per la commissione di collaudo il «SISTRI è conforme agli obiettivi che l'Amministrazione ha inteso perseguire»;
    dalla documentazione prodotta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito all'esito della verifica risulta che: «La Commissione ha in particolare accertato che le tecnologie predisposte fossero funzionali agli obiettivi che l'amministrazione aveva inteso perseguire mediante il contratto e che fossero perfettamente funzionanti le componenti delle infrastrutture centrale e periferica, tanto singolarmente quanto nella modalità di interazione. Sulla base di osservazioni avanzate dalle Associazioni di categoria presenti nel Tavolo tecnico di monitoraggio e concertazione del SISTRI, sono state presentate alla Commissione, specifiche raccomandazioni riguardanti in particolare l'accertamento dei profili di utilità dei dispositivi USB e BlackBox attraverso la diretta e immediata utilizzabilità della georeferenziazione degli automezzi (cosiddetta tracciabilità in tempo reale del trasporto dei rifiuti), e la valenza certificatoria ai fini della imputazione delle operazioni di movimentazione e/o trattamento dei rifiuti. La Commissione ha terminato i lavori in data 20 dicembre 2013, rilasciando il certificato di conformità del sistema SISTRI, accompagnato da verbale e relativa documentazione; in particolare, ha esaminato in contraddittorio con i rappresentanti della Società Selex Se.Ma. tutti i requisiti derivanti dalle norme vigenti alla data di inizio delle attività di collaudo e dagli atti contrattuali, ha verificato, con prove ed esami documentali, come tali requisiti fossero stati implementati nel SISTRI e come gli stessi fossero esaustivamente soddisfatti ai fini della dimostrazione della conformità della fornitura agli obiettivi che l'amministrazione ha inteso perseguire mediante il contratto avvalendosi anche delle prove dei test eseguiti dall'AGID, in attuazione del decreto ministeriale relativo. Ha quindi ritenuto che la Selex Se.Ma. abbia sviluppato il progetto in modo soddisfacente con scelte architetturali e tecnologiche che riflettono lo stato dell'arte al momento della progettazione e che sono tutt'oggi pienamente funzionali agli obiettivi del SISTRI. Ha verificato altresì, attraverso l'esame delle registrazioni giornaliere dei risultati del monitoraggio in esercizio del SISTRI (periodo ottobre-novembre) che tutte le componenti dell'infrastruttura centrale e periferica interagissero secondo le aspettative e che i dati risultanti fossero o meno coerenti con le segnalazioni pervenute al contact center o attraverso i canali attivati con le associazioni di categoria. Le conclusioni della Commissione sostengono l'assenza di difetti e/o carenze tali da precludere l'erogazione dei servizi, nonché la diretta e immediata utilizzabilità della georeferenziazione degli automezzi (cosiddetta tracciabilità in tempo reale del trasporto dei rifiuti) e la valenza certificatoria ai fini della imputazione delle operazioni di movimentazione e/o trattamento dei rifiuti, ritenendo altresì positivo l'esito della verifica condotta»;
    intervenendo al videoforum di Repubblica TV il 9 aprile 2014 il Ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti ha dichiarato, in merito al SISTRI, quanto segue: «Si va avanti, bisogna assolutamente farlo perché è indispensabile, perché quello che abbiamo visto accadere nella Terra dei Fuochi non deve più accadere», aggiungendo che «bisogna che questo sistema non crei danni agli imprenditori. Noi abbiamo un sistema che nasce vecchio, perché questo contratto risale a tanti anni fa. La tecnologia è andata avanti, il diritto amministrativo è andato avanti e ha bisogno di un aggiornamento. Stiamo lavorando su questo e vediamo il risultato che riusciamo ad ottenere, perché abbiamo un contratto fatto e la pubblica amministrazione i contratti deve rispettarli fino in fondo»;
    successivamente, intervenendo alla fiera di Rimini «Ecomondo», lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha affermato: «Abbiamo deciso di sostituire il sistema Sistri, ritenuto Obsoleto dal punto di vista tecnologico, con un nuovo sistema e per legge faremo la gara entro il 31 dicembre 2015»;
    ancor più di recente, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, facendo il bilancio di un anno di attività ha evidenziato che nel 2014 tra i punti sui quali c'erano state maggiori novità, vi era proprio il Sistri con l'esenzione delle aziende agricole e di quelle sotto i dieci dipendenti;
    come hanno riportato gli organi di stampa il Ministro ha poi spiegato che le attenzioni del dicastero si stavano concentrando sulla gara europea per riaffidare la gestione del servizio dichiarando testualmente: «Entro giugno saremo pronti a farla partire e il nuovo sistema sarà avviato ufficialmente dal 2016»;
    a gestire la procedura di gara sarà Consip;
    l'impianto del decreto «sblocca Italia» in cui è ricompresa la proroga del contratto Selex Se.Ma. fino al 31 dicembre 2015 si fonda sull'obiettivo della semplificazione e si pone pure in una prospettiva di progressiva riduzione dei costi a carico degli utenti e di aumento dei servizi ad essi offerti, anche mediante la possibilità che la piattaforma informatica del SISTRI confluisca in un sistema informativo più ampio a servizio della pubblica amministrazione;
    le sanzioni, escluse quelle per la mancata iscrizione e mancato versamento del contributo annuale da parte delle imprese soggette, sono state via via prorogate rinviandone l'entrata in vigore al pieno funzionamento del SISTRI a dimostrazione che lo stesso legislatore non era convinto che il sistema fosse ancora efficace ed efficiente;
    la proroga relativa all'applicazione delle sanzioni connesse alla operatività del SISTRI sono l'implicita prova della non assoluta e piena affidabilità del vigente sistema di tracciabilità dei rifiuti;
    Confindustria, Assosoftware e Assintel con lettera del 14 marzo 2014 indirizzata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avevano segnalato criticità ed in particolare che il sistema:
     è troppo invasivo e complesso e non tiene conto dei sistemi operativi in uso nelle imprese;
     utilizza tecnologie obsolete come la chiavetta USB che mal si conciliano con le più moderne modalità di interscambio dati;
     non offre le necessarie garanzie di legalità e di operatività sia per la farraginosità delle norme di riferimento e dei numerosi manuali operativi sia per il cattivo funzionamento dello stesso sistema di interoperabilità;
    altre palesi criticità del sistema tecnico e normativo sono state segnalate, dopo la verifica e collaudo ministeriale, dall'ASS.IEA (Associazione italiana esperti ambientali) con una lettera del 19 febbraio 2015, nella quale si evidenzia, ad esempio, che «Oltre 13.000 imprese sono iscritte all'Albo nazionale gestori ambientali per il trasporto di piccole quantità (inferiori a 30 chilogrammi o litri al giorno) di rifiuti pericolosi derivanti dall'esercizio della loro attività economica, ma ad oltre quattro anni di distanza dall'introduzione del SISTRI non è ancora stato definitivamente chiarito se questi soggetti siano tenuti o meno ad usare il sistema di tracciabilità dei rifiuti durante la fase di trasporto dei loro rifiuti e, conseguentemente, a richiedere l'installazione della black-box sui veicoli aziendali;
    le criticità sono anche nella complessità della normativa e delle sue difficoltà applicative: ad esempio, l'articolo 188-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 dispone, al comma 1, che siano tenuti ad aderire al SISTRI: «gli enti o le imprese che raccolgono o trasportano rifiuti speciali pericolosi a titolo professionale». La circolare 1/2013 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in proposito chiarisce che: «Con riferimento alle attività di trasporto dei rifiuti, la locuzione «enti o imprese che raccolgono o trasportano rifiuti speciali pericolosi a titolo professionale», contenuta al comma 2 dell'articolo 11 del n. 101/2013, deve intendersi riferita agli enti e imprese che (raccolgono o) trasportano rifiuti speciali pericolosi prodotti da terzi», soggiungendo però che «pertanto, il trasporto in conto proprio è soggetto ad altra decorrenza». È di tutta evidenza che se, secondo l'interpretazione ministeriale riportata, l'obbligo è previsto per gli enti e le imprese che «trasportano rifiuti speciali pericolosi prodotti da terzi», le imprese e gli enti che trasportano rifiuti speciali pericolosi da loro stessi prodotti non esercitando quest'attività «a titolo professionale» sono del tutto esclusi dagli obblighi di adesione al SISTRI indipendentemente dalla circostanza che siano iscritti alla categoria 2-bis o 5 dell'Albo nazionale gestori ambientali»;
    le indicazioni contenute nel «Manuale operativo SISTRI» sono perciò fuorvianti e le risposte difformi inoltrate dal contact center SISTRI sono un'altra palese dimostrazione dell'inefficienza del sistema sia sotto il profilo normativo sia tecnico;
    la CNA, attraverso un sondaggio realizzato nel 2014 su circa 1700 imprese, ha confermato la bocciatura totale del Sistri, assegnandogli un voto di due in una scala da uno a dieci. Voto dovuto alla complessità delle procedure, ai malfunzionamenti tecnici, ai costi elevatissimi e, non da ultimo, alla totale incapacità di garantire effettivamente la tracciabilità dei rifiuti;
    tutti gli atti del Parlamento, compresa la proroga al contratto con Selex Se.Ma., oggetto peraltro a suo tempo di censura da parte dell'autorità di vigilanza sui contratti pubblici hanno avuto come fondamento la convinzione, avvalorata dalle stesse dichiarazioni del Ministro, che dal 1o gennaio 2016 le imprese non avrebbero più dovuto a che fare con il SISTRI;
    se, come ora invece si apprende dalle stesse fonti ministeriali, la gara alla quale procederà entro giugno 2015 CONSIP è finalizzata solo ad individuare il concessionario ma che il nuovo sistema di tracciabilità potrà essere in funzione solo dopo circa due anni, significa che il SISTRI continuerà a vivere ancora, anche oltre ogni attesa anche dei suoi pochissimi sostenitori (...);
    poiché poi ogni nuovo sistema di tracciabilità richiede fasi di sperimentazione, di verifica e di collaudo preventive alla operatività e piena applicazione alle imprese ed al fine di evitare quanto è già accaduto con il SISTRI, è necessario prevedere che dal 1o gennaio 2016 cessi ogni obbligo di adesione al sistema di tracciabilità informatica dei rifiuti che può restare solo su base volontaria e, conseguentemente, che cessino gli obblighi di iscrizione e di versamento per le imprese interessate;
    la tracciabilità nella movimentazione dei rifiuti può essere comunque garantita dal sistema cartaceo dei formulari di identificazione rifiuti e del registro di carico e scarico essendo assodato che il SISTRI non è stato quello strumento di supporto per i controlli ambientali per il quale era stato ipotizzato;
    che R.et.E Imprese Italia ha elaborato e presentato il 25 marzo 2015 proposte per un nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti che può costituire un'ottima base per un nuovo e diverso sistema che concili la necessità di controlli rigorosi, adeguati livelli di tutela dell'ambiente e quella di non gravare con oneri inutili e penalizzanti le imprese, soprattutto le PMI, che producono o gestiscono rifiuti,

impegna il Governo:

   ad adottare gli atti necessari a sospendere dal 1o gennaio 2016 l'obbligo di adesione al SISTRI fino alla piena operatività, previo collaudo con esito positivo, di un nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti realizzato dal concessionario che risulterà vincitore della gara che sarà indetta dalla CONSIP spa, finalizzato a semplificare effettivamente le procedure e che dovrà essere sostenibile per le imprese ed efficace per i controlli;
   a prevedere nella Convenzione di incarico a CONSIP spa che quest'ultima tenga in debito conto delle proposte presentate il 25 marzo 2015 da RetE Imprese Italia per un nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti;
   a prevedere che CONSIP spa coinvolga nella fase di elaborazione del Bando di gara e poi nella fase del collaudo operativo le associazioni di categoria presenti nel già costituito tavolo tecnico di monitoraggio e concertazione del SISTRI;
   a prevedere, nelle more della piena operatività del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, solo forme di adesione volontaria (da definire con le associazioni di categoria presenti nel già costituito Tavolo tecnico di monitoraggio e concertazione del SISTRI) finalizzate a verificarne il buon funzionamento in tutte le fasi operative della filiera della movimentazione dei rifiuti;
   ad adottare con urgenza, le iniziative normative necessarie, coerenti con quanto al primo impegno, che garantiscano la tracciabilità dei rifiuti tramite i fir, i registri di carico e scarico ed il MUD per assicurare comunque un adeguato controllo ambientale.
(7-00673) «Carrescia, Donati, Dallai, Giovanna Sanna, Zardini, Manzi, Senaldi, Coppola, Realacci».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    in data 15 aprile 2015, la multinazionale finlandese Nokia, produttrice di apparecchiature per telecomunicazioni, ha annunciato di aver acquisito, per 15,6 miliardi di euro, l'azienda franco-americana Alcatel-Lucent. L'operazione è stata strutturata per far nascere un gruppo in grado di competere, nei settori delle infrastrutture di rete, delle centraline e delle antenne per le comunicazioni cellulari a livello mondiale, con il colosso cinese Huawei e con quello svedese Ericsson;
    in Italia, l'azienda ha la sua sede principale a Vimercate (MB), dove sono ospitati gli headquarter e i principali laboratori relativi agli apparati di trasmissione radio a microonde, e altri centri di ricerca e sviluppo a Battipaglia (SA) e Rieti, mentre a Trieste è attivo uno stabilimento di produzione;
    già da tempo, la direzione generale sta discutendo del futuro di 43 addetti di Vimercate, attualmente in cassa integrazione, che a maggio 2015 rischierebbero il licenziamento, e della possibile esternalizzazione dello stabilimento di Trieste, che occupa circa 400 addetti;
    con lettera del 16 marzo 2015, le segreterie nazionali di FIM-CISL, FIOM-CGIL e UILM-UIL, hanno richiesto ai componenti della XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato della Camera dei Deputati, un'audizione urgente sulle problematiche occupazionali dei lavoratori dell'azienda Alcatel-Lucent;
    in data 27 marzo 2015, con protocollo 2015/0000688/COM, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della XI Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei Deputati, dichiarava di avere convenuto, nella riunione tenutasi in data 26 marzo 2015, sull'opportunità di procedere ad un'audizione informale di rappresentanti dei sindacati FIM-CISL, FIOM-CGIL e UILM-UIL, da loro richiesta, sulla situazione occupazionale e sulle problematiche lavorative concernenti il personale dell'azienda in considerazione;
   in data 1o aprile 2015, tale audizione si è tenuta in presenza dei rappresentanti dei sopracitati sindacati, che hanno messo in luce le problematiche occupazionali e di delocalizzazione dei siti di Vimercate e Trieste,

impegna il Governo:

   a promuovere un tavolo urgente di confronto, tramite il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per l'utilizzo degli ammortizzatori in deroga finalizzati a scongiurare i licenziamenti, in considerazione della procedura di mobilità in scadenza per il prossimo 7 maggio;
   a sollecitare secondo quanto già richiesto dalle Organizzazioni sindacali il tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico per un intervento di politica industriale e per il controllo sulle procedure dell'acquisizione di Alcatel-Lucent da parte di Nokia, che permetta di difendere gli attuali livelli occupazionali e industriali presenti in Italia negli stabilimenti Alcatel-Lucent di Vimercate e Trieste;
   a intervenire nella gestione dei piani governativi relativi alla banda ultralarga e all'agenda digitale, per fare in modo che gli investimenti pubblici previsti siano finalizzati al mantenimento e allo sviluppo dell'occupazione in Italia.
(7-00674) «Albanella, Miccoli, Baruffi, Giacobbe».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   RABINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal mese di novembre 2014 il territorio della provincia di Cuneo è stato interessato da prolungate precipitazioni piovose, alle quali hanno fatto seguito nel mese di febbraio 2015 abbondanti nevicate anche a quote collinari;
   in particolare, le precipitazioni più intense con cumulate significative sono state registrate nei giorni 3-6 novembre, soprattutto nella parte alta del bacino del fiume Tanaro, dove si sono verificati rilevanti incrementi dei livelli idrometrici che hanno localmente superato la soglia di pericolo;
   precipitazioni diffuse e persistenti, per le quali è stata diramata l'allerta meteo da parte del Centro funzionale della regione Piemonte, sono proseguite per tutto il mese di novembre, in particolare nei giorni dal 9 al 12 novembre e dal 28 novembre al 1o dicembre 2014;
   nel mese di febbraio 2015, invece, abbondanti nevicate si sono depositate sull'arco alpino e sui settori collinari della provincia di Cuneo, determinando, soprattutto nelle giornate del 4 e 5 febbraio, una situazione di elevata criticità legata al rischio valanghe, così come segnalato dal bollettino di allerta diramato dal Centro funzionale regionale;
   tale situazione ha determinato condizioni di generalizzata saturazione dei versanti che hanno reagito rapidamente alle recenti piogge del mese di marzo 2015, con rapido sviluppo di numerosi fenomeni franosi che hanno provocato gravi danni alle infrastrutture pubbliche ed hanno richiesto interventi urgenti per garantire la sicurezza di esercizio della viabilità;
   nel periodo dal 15 al 26 marzo 2015 diffuse precipitazioni hanno coinvolto in particolare la fascia alpina e prealpina sudoccidentale della regione, le pianure meridionali ed i rilievi collinari a sud del Po, determinando elevate condizioni di criticità sui versanti, accentuate dal contesto idrogeologico già compromesso dalle prolungate precipitazioni piovose del novembre 2014 e dalle abbondanti nevicate di inizio 2015;
   gli effetti al suolo hanno interessato una vasta porzione del territorio cuneese, risultando significativi nei settori delle Langhe, del Roero e del Monregalese, ove la tipologia di dissesto maggiormente diffusa è costituita da frane per fluidificazione delle coperture superficiali e da scivolamenti sia di tipo planare sia di tipo rotazionale allo stato incipiente, che si sono manifestati con la formazione di fratture, trincee, rigonfiamenti e marcate ondulazioni;
   lo sviluppo e la vasta diffusione di tali fenomeni, che hanno interferito in molti punti con le infrastrutture pubbliche (rete viaria provinciale e comunale), provocando danno ed interruzioni, sono da mettersi in relazione con le citate condizioni di generale saturazione dei terreni, sui quali le ultime precipitazioni piovose hanno determinato condizioni di superamento dello stato limite per l'innesco;
   nel complesso, l'intera viabilità di competenza della provincia di Cuneo ha registrato criticità legate soprattutto ai movimenti gravitativi che hanno interessato il sedime stradale ed hanno comportato l'attivazione del sistema di protezione civile con l'intervento dei vigili del fuoco, delle strutture tecniche comunali e provinciali e del volontariato di protezione civile;
   gran parte dei dissesti conseguenti a tali eventi costituiscono un aggravamento di analoghi fenomeni registrati in occasioni di calamità precedenti, in particolari di quelli derivanti dalle intense ed eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nel corso del mese di aprile 2009 (per le quali era stato dichiarato lo stato di emergenza dalla Presidenza del Consiglio dei ministri), in riferimento ai quali erano stati eseguiti i soli ripristini di prima fase urgenti ma non gli interventi definitivi di mitigazione del rischio e messa in sicurezza per mancanza di specifiche risorse economiche;
   le avverse condizioni climatiche, sempre più frequenti, stanno mettendo a dura prova la tenuta idrogeologica di diverse aree della provincia cuneese e rendono necessari nell'immediato interventi per la messa in sicurezza del territorio e ripristino delle infrastrutture, con priorità per le zone più gravemente colpite, prevedendo stanziamenti adeguati per il contrasto al dissesto idrogeologico –:
   se non si ritenga opportuno procedere al più presto alla deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, come modificato dal decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012, dello stato di emergenza per i territori del Piemonte colpiti dagli intensi eventi meteorologici tra novembre 2014 e marzo 2015;
   se il Governo, in tale contesto, non ritenga necessario programmare interventi di somma urgenza per il ripristino dei collegamenti interrotti ed interventi strutturali di eliminazione del rischio idrogeologico e di ricostruzione e messa in sicurezza del territorio, ritenuti ormai indifferibili;
   se non si ritenga urgente destinare congrue risorse per far fronte all'emergenza alluvionale, ai gravi danni subiti e alle conseguenti opere di ripristino, nonché ad interventi di rimozione delle situazioni di pericolo e di prevenzione e mitigazione del rischio di dissesto idrogeologico. (3-01468)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese detiene il triste record della pressione fiscale più alta del mondo e un'economia illegale che pesa per 1,7 miliardi di euro sull'economia e che dunque vale, secondo Confcommercio, il 17,3 per cento della pressione fiscale stessa: la «vera» pressione fiscale dell'Italia nel 2013, al netto del sommerso, era attestata a quota 53,2 per cento, mentre, secondo un articolo del sito scenarieconomici.it, nel 2014 sarebbe addirittura il 57,93 per cento e il 58,61 per cento nel 2015;
   la pressione fiscale «legale» in Danimarca è del 51,3 per cento in Francia del 49,5 per cento e si tratta delle più alte, mentre in Spagna è invece al 37,6 per cento in Irlanda al 32,5 per cento negli Usa al 27,7 per cento;
   altra preoccupante particolarità italiana è che, mentre in Paesi come la Germania e la Svezia, ad esempio, mentre si riducono le tasse si promuove la crescita del prodotto interno lordo, in Italia vi sarebbe un rapporto significativo tra l'aumento delle tasse e la mancata crescita economica; infatti solo in Italia la pressione fiscale, che è a livelli abnormi, mortifica la crescita: in Italia il prodotto interno lordo reale pro capite del periodo pre recessivo (1996-2007) è crollato di 11 punti rispetto a quello degli anni successivi l'inizio della crisi (2008-2013);
   il presidente dell'istituto di statistica, Giorgio Alleva, in audizione il 21 aprile, ha spiegato, numeri alla mano che: «Il 15 ottobre dell'anno scorso, in conferenza stampa, dopo l'approvazione della legge Stabilità in consiglio dei ministri, Renzi annunciava un taglio di 18 miliardi alle tasse, oggi l'Istat conferma che nel documento di economia e finanze la pressione fiscale si mantiene, nel 2015, allo stesso livello del 2014»;
   nella prima versione del documento di economia e finanza di quest'anno si leggeva che la pressione fiscale «a legislazione vigente» era destinata a salire dall'attuale 43,5 per cento al 44,1 per cento nel 2016 e 2017, ma dopo le polemiche dei giorni scorsi nel documento di economia e finanza è stato inserito un focus che ricalcola la pressione fiscale e arriva a dire che quest'anno calerà sotto il 43 per cento; tutto questo, però, si ottiene conteggiando gli 80 euro del «bonus Renzi» come taglio fiscale e non come spesa e dando per cancellate le famose e preoccupanti clausole di salvaguardia, anche se eliminarle in realtà richiederà un intervento ad hoc da inserire nella prossima legge di stabilità;
   rispetto alla spending review, da cui il Governo conta di ottenere risparmi per 10 miliardi di euro, uno degli interventi è la riduzione delle agevolazioni fiscali, per quasi 2,5 miliardi, più degli 1,5 che comparivano nelle bozze del documento di economia e finanza, ma come hanno sottolineato molti economisti, tagliare delle agevolazioni fiscali non equivale ad aumentare la spesa e tanto meno a diminuire la pressione fiscale;
   la spending review ha colpito duramente gli enti locali per un totale di circa 9 miliardi di euro che fanno rischiare il dissesto economico a molte realtà locali, mentre la parte relativa ai Ministeri è sostanzialmente pari a zero visto che i Ministeri hanno tagliato, la propria spesa primaria dell'1,2 per cento contro il 4,9 per cento delle regioni, 9,7 per cento delle province e 2 per cento dei comuni, anche se l'obiettivo dichiarato dal Premier era 3 per cento per tutti;
   secondo le stesse dichiarazioni rilasciate dai tecnici incaricati dal Governo, Gutgeld e Perotti, la lista delle misure possibili della spending review sarebbe pronta, ma all'obiettivo dichiarato dei dieci miliardi di euro di tagli o almeno di economie per l'anno prossimo, mancherebbero ben quattro miliardi ancora da individuare, per poter evitare l'aumento automatico dell'Iva per 16 miliardi;
   se il programma tanto atteso dalla Unione europea, e dal Governo italiano del quantitative easing andrà come previsto, la deflazione verrà combattuta con un aumento dell'inflazione, ovvero i prezzi al consumo si alzeranno, mentre i salari resteranno sempre gli stessi, con il rischio di un crollo ancora maggiore della domanda interna: in un contesto del genere la pressione fiscale ha un ruolo ancora più cruciale come unica valvola di sfogo possibile, perché famiglie e imprese possano davvero sopravvivere alla crisi economica in atto;
   secondo quanto illustrato dalla relazione della Corte dei Conti depositata al Senato in occasione delle audizioni sul documento di economica e finanza, i consumi degli italiani sarebbero tornati ai valori del secolo scorso: la spesa pro-capite è tornata indietro ai livelli del 1997, con un'impressionante caduta degli investimenti, calati di un terzo dal 2007, poiché i salari in termini reali sarebbero caduti dell'1,3 per cento, visto che durante i sette anni di crisi, le retribuzioni lorde pro-capite sono cresciute dell'11 per cento nella media dell'intera economia, ma i prezzi sono cresciuti nello stesso periodo del 12,3 per cento –:
   se il Governo non intenda chiarire la sua posizione circa le promesse fatte sulla diminuzione della pressione fiscale, e in che modo intenda intervenire per tenervi fede, affinché la pressione fiscale possa abbassarsi in maniera reale e significativa anche in previsione del prossimo innalzamento dei prezzi al consumo e dei rischi ad esso collegati di cui in premessa;
   se il Governo non intenda attuare una reale ed incisiva spending review anche nell'ambito dei Ministeri, in attuazione delle intenzioni espresse inizialmente di raggiungere l'obiettivo del 3 per cento anche in quelle sedi e per dare, al contempo, respiro agli enti locali che sono stati investiti dalla maggior parte dei tagli;
   se il Governo non intenda chiarire in che modo si stia orientando per risolvere il problema dei quattro miliardi di euro mancanti della spending review, visto che, come hanno spiegato anche i tecnici incaricati, si tratta, a questo punto, di decisioni politiche di cui i cittadini hanno il diritto di essere al corrente. (4-09024)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale del 10 marzo 2015, ma resa nota soltanto la scorsa settimana, che ha dichiarato l'incostituzionalità della norma relativa al comma 25 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto decreto salva-Italia), che blocca l'adeguamento all'inflazione delle pensioni lorde di importo superiore a tre volte del minimo previsto dall'Inps (pari a 1.405.05 euro) per il biennio 2012-2013 ad avviso dell'interrogante, si aprono degli scenari preoccupanti sia per la tenuta dei conti pubblici che evidentemente nettamente diversi rispetto alle linee di indirizzo di finanza pubblica ed economica recentemente approvate dal DEF 2015;
   se infatti, gli effetti inizialmente accertati dall'Avvocatura dello Stato sull'equilibrio dei conti pubblici a regime erano stati quantificati in circa 5 miliardi di euro nel biennio 2012-2013, in realtà secondo quanto riportano i principali quotidiani (fra i quali: Il Corriere della sera e Il Sole 24 Ore, venerdì 1o maggio e domenica 3 maggio 2015), l'impatto complessivo (sommando ulteriori circa 5 miliardi di euro per il 2014 e 2015 in considerazione dell'adeguamento dei prezzi che si trascina annualmente), potrebbe essere almeno di 10 miliardi di euro;
   secondo i dati Istat, il blocco ha riguardato circa 6 milioni di persone con una pensione superiore ai 1.443 euro mensili lordi, mentre la quota maggiore è costituita da pensionati tra i 1.500 euro e i 1.999 euro (17,4 per cento del totale) e tra 2 mila e 3 mila euro (13,7 per cento) e di conseguenza a seguito del dispositivo della sentenza della Consulta, occorrerà ai fini del rimborso, valutare le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione considerando ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, da prevedere in via definitiva;
   la suesposta decisione della Corte costituzionale, ad avviso dell'interrogante, richiede urgenti e necessari chiarimenti dal Governo, considerando l'entità rilevantissima dell'onere scaricato sui conti pubblici, che con ogni probabilità, dovrà rivedere l'intero impianto decisionale della politica economica e finanziaria del Governo alla luce della pronuncia, che sostanzialmente dispone, che il legislatore non può compromettere il potere d'acquisto dei pensionati;
   l'impatto della sentenza infatti, evidenzia inoltre l'interrogante, rischia di complicare notevolmente le decisioni di finanza pubblica, anche con riferimento all'ipotetico «tesoretto» peraltro basato e «prenotato»: sulla base di una stima di un modesto incremento del Pil (circa 0,7 per cento) che può essere verificato solo a fine anno, che sulle modalità di restituzione ai diretti interessati, se si valutano gli importi stimati in circa 2 mila euro nette per ogni singolo rimborso –:
   quali orientamenti intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa, nell'ambito delle rispettive competenze;
   se non ritengano urgente ed opportuno, in considerazione della sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale la riforma delle pensioni varata dal Governo Monti, i cui effetti sui saldi di finanza pubblica rischiano di essere particolarmente gravi e negativi sui conti pubblici, chiarire quali orientamenti il Governo in carica, intenda intraprendere anche con riferimento ai tempi previsti per il rimborso ai pensionati interessati. (4-09025)


   GREGORI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 18 comma 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, prevede che le sezioni staccate di TAR che non siano sedi di corte d'appello sono soppresse a decorrere dal 1o luglio 2015 e da tale data i ricorsi sono depositati nella sede centrale;
   la norma afferma che la soppressione e la data di decorrenza sono subordinate alla assenza di misure di attuazione del piano di cui al successivo comma 1-bis: detto piano evidentemente potrebbe anche non prevedere più la soppressione o modificare la data di decorrenza della stessa. Trattasi appunto del piano che il Governo, sentito il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, deve presentare alle Camere, unitamente ad una relazione sull'assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali, che prevede misure di ammodernamento e razionalizzazione della spesa e l'eventuale individuazione di sezioni da sopprimere tenendo conto della collocazione geografica, del carico di lavoro e dell'organizzazione dei servizi giudiziari;
   l'originaria data del 31 dicembre 2014 entro la quale era prevista la presentazione della relazione alle Camere e l'allegato piano, è stata spostata dal 31 dicembre 2014 al 28 febbraio 2015 dall'articolo 2 comma 1, lettera a), del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192;
   la disposizione del comma 1-bis mette quindi in discussione anche la soppressione prevista al primo comma: sia perché detta soppressione è espressamente subordinata alla mancata approvazione di misure di attuazione del piano, e quindi il piano, se approvato prima del 1o luglio 2015 può anche disporre diversamente; sia perché appunto l'articolo 1-bis del citato decreto-legge 90 del 2014 rimette al piano «l'eventuale individuazione delle sezioni da sopprimere» e non già l'eventuale individuazione di ulteriori sezioni da sopprimere;
   per la regione Lazio e la sua cittadinanza, una eventuale soppressione della sezione staccata di TAR di Latina sarebbe un elemento di fortissima criticità per il corretto funzionamento della giustizia nel territorio;
   sotto il profilo della collocazione geografica la sede di Latina offre una utile soluzione giudiziaria raccogliendo il contenzioso localizzato in una zona omogenea e popolosa della regione Lazio;
   sotto il profilo del carico di lavoro, la sede di Latina, comporta un significativo decongestionamento della sede di Roma che ha competenze particolari rispetto a tutti gli altri tribunali accentrando il contenzioso di tutte le amministrazioni centrali e con competenze funzionali specifiche; consente quindi di azzerare nel breve-medio periodo l'arretrato del contenzioso di zona, diversamente da quanto accadrebbe in caso di accorpamento con Roma, senza poter apportare significativi benefici;
   sotto il profilo dell'organizzazione ed in particolare della spesa, visto il limitato impegno che richiede il mantenimento della sezione staccata di Latina, considerata la gratuità dell'uso dei locali, deve anche valutarsi che la legge n. 205 del 2000 ha introdotto un importante principio, caratteristico della giustizia amministrativa, consistente nell'autonomia finanziaria ed organizzativa (articolo 20 della suddetta legge che ha introdotto l'articolo 53-bis nella legge 27 aprile 1982, n. 186). È previsto infatti che il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa provvede all'autonoma gestione delle spese di Consiglio di Stato e tribunali, nei limiti di un fondo annualmente erogato dal Ministero dell'economia e delle finanze; inoltre, sempre il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa disciplina l'organizzazione, il funzionamento e la gestione delle spese del complesso Consiglio di Stato TAR;
   nella seduta del 27 febbraio 2015, anche il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa ha formulato alcune valutazioni in merito al futuro assetto dei TAR che sembrano all'interrogante di assoluto rilievo per l'attività parlamentare e di governo, esprimendo forti perplessità in merito all'eventuale chiusura della sede staccata di Latina –:
   quali siano le modalità adottate e le valutazioni effettuate circa l'individuazione delle sezioni di TAR da sopprimere, anche in relazione al futuro assetto organizzativo della giustizia amministrativa;
   se s'intenda rivedere la decisione di sopprimere la sezione staccata di TAR di Latina, e in caso contrario, quali siano le ragioni e i tempi effettivi della soppressione della sede di Latina. (4-09033)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come appare sul sito della Camera di commercio ItalAfrica htpp://www.italafricacentrale.com «l'ingegnere Cestari rappresenta in via esclusiva il Burundi, Paese dalle grandi potenzialità ed alla ricerca di stabili dinamiche di cooperazione per lo sviluppo, in tutte le fasi organizzative e propedeutiche alla presenza del Burundi all'interno dell'importante manifestazione» Expo 2015;
   sarebbe, però, corretto dire che l'ingegner Alfredo Cestari «rappresentava» in via esclusiva il Burundi quale commissario generale per Expo 2015, posto che a soli 30 giorni dall'inizio della manifestazione veniva raggiunto da un grave e immotivato provvedimento di revoca dell'incarico;
   in particolare, l'ingegner Cestari, presidente della camera di commercio italo-estera, già nel febbraio 2008 riceveva dall'allora sindaco di Milano, Letizia Moratti, l'importante incarico di promuovere la candidatura di Milano nei Paesi di competenza di ItalAfrica centrale;
   il delicato lavoro di promozione svolto dall'ingegner Cestari, che lo portava a visitare ben sette Stati africani in pochissimi giorni, contribuiva a determinare l'aggiudicazione dell'esposizione universale all'Italia sulla Turchia, come deciso dal Bureau des Expositions a Parigi lo scorso 31 marzo 2008;
   nonostante la costante e documentata attività svolta a favore del nostro Paese e dei congolesi in Italia, nonostante fosse stata trasmessa una nota verbale favorevole da parte dell'Ambasciata del Congo a Roma, nonostante non avesse riportato nessuna condanna penale in Italia o all'estero, già nei mesi successivi la votazione a Parigi, però, veniva comunicato il mancato rinnovo della nomina dell'ingegner Cestari a console onorario della Repubblica Democratica del Congo e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale negava l’exequatur senza dare alcuna motivazione;
   lo scorso ottobre 2013 il Governo della Repubblica del Burundi lo nominava commissario generale del Paese per l'Expo 2015 al fine di consentire una proficua e strutturata partecipazione del Burundi all'evento e rafforzarne l'immagine nei confronti degli interlocutori internazionali;
   nonostante il BIE (Bureau international des expositions) non avesse eccepito nulla alla nomina, il general manager divisione partecipanti di Expo 2015, Stefano Gatti, avrebbe manifestato di non gradire tale nomina;
   né in Burundi né in Ruanda esiste una rappresentanza diplomatica italiana e, pertanto, la camera di commercio ItalAfrica Centrale rappresenta, per quegli Stati, l'unico punto di riferimento per gli imprenditori italiani e africani che intendano investire in progetti di cooperazione economica;
   molti altri Governi dell'Africa sub-sahariana avevano già affidato all'ingegner Cestari degli incarichi per l'ideazione, la realizzazione e la messa in opera di attività propedeutiche alla partecipazione del Paese all'EXPO e per il coordinamento delle azioni e delle delegazioni durante i mesi di esposizione e numerosi altri Paesi, come Liberia, Kenya, Costa d'Avorio e Somalia avevano richiesto la sua assistenza;
   la camera di commercio ItalAfrica Centrale ha svolto, altresì, in maniera autonoma e gratuita, attività volte a promuovere l'Expo di Milano con le delegazioni diplomatiche e con le aziende italiane ed africane, organizzati dal 2008 al 2015;
   tali attività sono state svolte nell'interesse delle imprese italiane, delle istituzioni pubbliche e dei Governi d'Africa affinché l'Expo di Milano potesse rappresentare per essi e per i Paesi un'occasione di sviluppo economico bilaterale;
   per l'accoglienza delle delegazioni africane e la buona riuscita dei tavoli tematici, ItalAfrica Centrale, in questi mesi, come si può ben immaginare, ha sostenuto un cospicuo investimento per la formazione di oltre 60 professionisti e l'attività di promozione e sensibilizzazione svolta in questi anni consentirà la partecipazione di almeno 500.000 operatori specializzati sia italiani che africani;
   nonostante ciò, a soli 30 giorni di distanza dall'apertura dell'Expo, in data 31 marzo 2015 il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale burundese ha comunicato al proprio ambasciatore in Italia la sostituzione del commissario con il suo vice;
   tale decisione è maturata in accoglimento di una precisa richiesta del Ministero degli affari esteri italiano, così come emerge dalla comunicazione dell'omologo Ministero del Burundi dello scorso 31 marzo;
   la revoca della nomina di commissario generale ha determinato la perdita immediata di almeno 60 posti di lavoro diretti e quella preventivata di circa 100 ulteriori durante i sei mesi di Expo;
   per il lavoro svolto dal 2008 a favore del coinvolgimento dell'Africa in Expo, molti Paesi hanno affidato alla camera di commercio ItalAfrica Centrale l'organizzazione e lo sviluppo delle proprie attività ed è ragionevole presumere che, in assenza dell'impegno di ItalAfrica, non potrà essere garantita la necessaria presenza strutturata nei padiglioni;
   Burundi, Madagascar e RD Congo, solo per citarne alcuni, sono Paesi che, venendo a mancare il sostegno ed il lavoro preparatorio di ItalAfrica, non potranno garantire una importante ed adeguata partecipazione all'esposizione universale;
   alla base di tale inaspettata richiesta di sostituzione non sembrerebbero sussistere motivazioni formalmente e sostanzialmente valide e nemmeno nei regolamenti Bureau international des expositions non ci sarebbe legittimazione alcuna –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano le motivazioni alla base di quella che all'interrogante appare un'anomala e irrituale azione di «pressione» del Ministero degli affari esteri italiano che ha portato alla revoca dell'ingegner Alfredo Cestari a commissario generale a pochi giorni dall'inizio dell'Expo 2015, con prevedibili gravi ricadute economiche e di immagine, anche a danno dell'Italia. (4-09032)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono in corso i lavori per la predisposizione del bando di gara per l'affidamento della nuova concessione del sistema SISTRI;
   CONSIP, nell'ambito delle attività di centrale di committenza, come incaricata dal Ministero, ha illustrato i principi su cui andrà a fondarsi il nuovo sistema SISTRI nel corso dell'incontro del 15 marzo 2015 del tavolo di concertazione e monitoraggio;
   CONSIP ha evidenziato, tra l'altro, che gli obiettivi posti per la revisione del vetusto SISTRI prevedono la pubblicazione del bando di gara entro il prossimo 30 giugno 2015 e l'aggiudicazione della concessione al nuovo soggetto entro il 31 dicembre 2015;
   tuttavia, ad oggi, le imprese e i soggetti obbligati hanno impegni e compiti precisi ai fini dell'adesione al vecchio sistema SISTRI, nonostante il Ministero ha in corso la modifica del sistema di tracciabilità dei rifiuti;
   in particolare, le norme vigenti prevedono il pagamento dell'iscrizione per i soggetti obbligati entro il 30 aprile 2015, disponendo sanzioni pesanti per la mancata iscrizione, veramente sproporzionate per i piccoli produttori;
   inoltre, dal 1o gennaio 2016 è prevista l'entrata in vigore di tutte le sanzioni previste dal sistema SISTRI;
   nonostante la conferma da parte del Ministero che l'attuale SISTRI non ha nulla di valido si chiede pertanto alle imprese di accettare di pagare ogni anno una quota di iscrizione e, fatto ancora più grave, si prevedono sanzioni per chi a causa di un sistema vetusto ed obsoleto si troverebbe in difficoltà dell'utilizzo;
   le imprese chiedono la sospensione di tutte le sanzioni relative al SISTRI fino all'entrata in funzione del nuovo sistema, in quanto non è possibile obbligarle ad iscriversi e pagare per un sistema non funzionante che lo stesso Ministero vuole modificare radicalmente attraverso un progetto di pubblica evidenza, proprio perché non utilizzabile;
   soprattutto le imprese trovano scorretta l'applicazione, dal 1o gennaio 2016, delle sanzioni fino ad oggi sospese, proprio in quanto il sistema non funziona ancora correttamente –:
   se il Ministro non intenda assumere un'immediata iniziativa normativa che sospenda in toto le sanzioni relative all'attuale SISTRI, posticipando l'entrata in vigore delle medesime sanzioni fino alla data in cui entrerà in funzione in via definitiva il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti completamente riprogettato.
(4-09021)


   D'INCÀ e DA VILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il dissesto ideologico è un problema estremamente diffuso sul territorio nazionale e le calamità naturali che si verificano con maggiore frequenza sono frane e alluvioni che mettono a rischio centri abitati, autostrade e ferrovie e vanificano molto spesso gli interventi di manutenzione stradale;
   nella regione Veneto, la provincia maggiormente colpita dal fenomeno franoso è quella di Belluno, seguita da Vicenza, Verona, Treviso e Padova. il geologo Luca Salti afferma che i più pericolosi sono i terreni non frequentati e degradati nei quali è necessario tener puliti gli appezzamenti: priorità quindi alla pulizia dei boschi, poiché molte frane sono cadute sulla strada proprio a causa del peso delle piante. E gli alberi sono stati la causa anche di ostruzioni nei torrenti di fondovalle con un pericoloso effetto diga (http://corrierealpi.gelocal.it);
   esiste un problema che riguarda il riordino forestale e il taglio delle piante lungo le strade per motivi di sicurezza e prevenzione dei rischi di frana: non esiste una normativa specifica e chiara in materia, che definisca le competenze degli enti gestori e che consenta ai sindaci di intervenire in fase di prevenzione per la pulizia di scarpate e fasce di rispetto lungo le infrastrutture varie, a differenza invece di quanto previsto per ferrovie, per le quali la materia è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 753 del 1980;
   le ordinanze sindacali per obbligare i privati a tenere curate le loro proprietà lungo le infrastrutture stradali di rilevanza regionale, provinciale e locale, hanno poca efficacia e molto spesso vengono impugnate davanti al giudice. Inoltre, senza una specifica norma, l'amministrazione ha difficoltà nell'intervento diretto, sia per il problema dell'accesso alle proprietà private (in cui serve consenso), ma anche per il problema della copertura finanziaria soprattutto per interventi in luoghi non agevoli, quali le montagne;
   per quanto riguarda la pulizia di fiumi e torrenti, si segnala come esempio la situazione del fiume Piave, che necessita di lavori di sghiaiamento e pulizia dalla vegetazione in alveo. Nel comune di Ospitale di Cadore in particolare c’è il problema del ponte sul fiume che «fa da tappo» durante le piene: non è chiara la competenza delle autorità preposte (regione Veneto, guardia forestale, genio civile) che spesso quindi non intervengono per le manutenzioni programmate e si limitano solo a lavori in emergenza, con incrementi notevoli di spesa –:
   se siano al corrente del problema del riordino forestale e se ritengano opportuno assumere, per quanto di competenza, iniziative volte a definire una norma specifica, di carattere nazionale, che definisca distanze minime di sicurezza degli alberi e delle aree boschive dalla sede stradale, come già esiste per le ferrovie, facendo sì che tale norma dia anche il potere ai sindaci di emettere ordinanze nei confronti di tutti i proprietari di terreni a confine con le infrastrutture viarie per l'osservanza scrupolosa delle distanze minime di sicurezza, obbligando i privati, a proprie spese, a verificare ed eliminare i fattori di pericolo per la caduta di alberi, definendo tempi certi per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e dando gli strumenti alle forze dell'ordine per far rispettare le ordinanze e comminare le sanzioni amministrative in caso di inadempienza da parte del privato. (4-09023)


   PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Maruggio, nel tarantino, è un comune di 5.471 abitanti che si affaccia sul mare. All'interno del territorio comunale di Maruggio è presente l'area portuale della sua frazione, Campomarino di Maruggio;
   il porto turistico è stato, negli anni, gestito dalla Torre Moline spa, società nata nel 1999, con capitale al 51 per cento privato e 49 per cento pubblico. Tale società nacque per far fronte al completamento di quello che doveva essere un porto turistico, con rimessaggio d'imbarcazioni (di varie dimensioni) e struttura ricettiva annessa, che doveva garantire sviluppo turistico e lavoro per i residenti del posto;
   al privato era stato affidato l'intero compito di gestire l'intera struttura, compresa la manutenzione che lo stesso, non ha mai eseguito negli anni;
   il comune di Maruggio, con nota del 14 gennaio 2015, prot. n. 510, ha indetto, ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni, la prima riunione di Conferenza dei Servizi per la valutazione e l'approvazione del progetto avente a oggetto «MOVIMENTAZIONE DI SEDIMENTI MARINI IN AMBIENTE SOMMERSO CON NUOVE TECNOLOGIE, FINALIZZATE AL RIPRISTINO DEL PASSO DI ACCESSO DEL PORTO TURISTICO DI CAMPOMARINO MARUGGIO», proposto dalla società Torre Moline s.p.a., invitando a partecipare alla stessa le Amministrazioni pubbliche competenti, tenute a esprimersi e adottare, atti di concerto o d'intesa e a rilasciare pareri, autorizzazioni, nulla osta, sull'istanza presentata;
   dalla documentazione prodotta si evidenzia che non è stata eseguita la caratterizzazione fisica, chimica, microbiologica ed eco tossicologica dell'area marina sulla quale s'intendono spostare i sedimenti, inoltre non è stata approfondita la conoscenza delle caratteristiche del sito d'intervento con particolare riferimento alla natura geologica e geotecnica del sito;
   gli aspetti segnalati rappresentano requisiti fondamentali per affrontare in sede progettuale, autorizzativo ed esecutivo, un'attività di dragaggio (Linee guida per le problematiche connesse alle attività di dragaggio nei porti e di possibilità e modalità di riutilizzo dei materiali dragati emesse il 29 maggio 2008 dal Consiglio superiore dei lavori pubblici e decreto ministeriale del 24 gennaio 1996);
   la società Torre Moline spa ha deciso di avvalersi della procedura, invece del percorso procedimentale della VIA della conferenza dei servizi ex legge 7 agosto 1990 n. 241, strumento, a parere dell'interrogante, semplicistico per un intervento di tale portata. Si rileva, inoltre, che non è stata eseguita un'approfondita analisi delle possibili interferenze delle attività summenzionate con l'area marina inclusa nel sito d'importanza comunitaria «Dune di Campomarino», soprattutto al fine di tutelare le praterie della fanerogama marina Poseidonia oceanica ivi presenti. Si tratta, infatti, di un habitat individuato tra quelli di tipo prioritario ai sensi della Direttiva 92/43/CEE –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare per preservare, nell'area sito d'importanza comunitaria «Dune di Campomarino», le praterie della fanerogama marina Poseidonia oceanica. (4-09027)


   BRAGA, MONTRONI, TARANTO, MARIANI, GADDA, STELLA BIANCHI, DONATI, BASSO, MANFREDI, DALLAI, COMINELLI, GIOVANNA SANNA, CARRESCIA e SENALDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il SISTRI, ovvero il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, nato con l'idea di attuare una semplificazione del processo di gestione e tracciabilità dei rifiuti, avrebbe dovuto avere l'obiettivo di facilitare l’iter di tracciabilità dei rifiuti. In realtà, tra rinvii, abrogazioni e modifiche alla normativa, il SISTRI non ha mai di fatto soddisfatto le aspettative, inoltre sono stati sollevati molti dubbi relativamente alla trasparenza delle procedure di affidamento del sistema, avvenuto senza gara d'appalto, alla società SELEX del gruppo FINMECCANICA;
   è utile, altresì, ricordare che per il sistema Sistri non è stato mai effettuato alcun collaudo sebbene esso sia previsto dalla normativa vigente sugli appalti pubblici;
   ancora oggi, il sistema riscontra numerose criticità, dovute ai malfunzionamenti della tecnologia utilizzata (nella fase di riallineamento circa il 90 per cento delle imprese ha segnalato problemi nell'utilizzo dei dispositivi USB e black box o della stessa piattaforma); all'ingestibilità e all'inadeguatezza delle procedure e all'aumento dei costi per le imprese (20 volte superiori rispetto alle procedure cartacee);
   dal momento della sua istituzione ad oggi le imprese hanno dovuto fare i conti con enormi costi (contributi annuali, installazione delle black box e contratti per l'acquisto delle schede, ma anche formazione, acquisto delle necessarie dotazioni informatiche, veicoli fermi a causa dei danni causati dalle stesse black box, e altro), una normativa poco chiara e l'incapacità del soggetto gestore del SISTRI a fornire le adeguate risposte alle decine di migliaia di segnalazioni;
   il SISTRI comporterebbe, a regime, un costo complessivo per il Paese di 3 miliardi di euro all'anno, decuplicando gli oneri che le imprese attualmente sostengono per la corretta gestione dei rifiuti;
   il servizio di gestione del programma Sistri è stato affidato alla società Selex che continuerà gestirlo sino al 31 dicembre 2015 in base alla proroga del termine di efficacia del relativo contratto disposta con l'articolo 14, comma 2-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014;
   la stessa disposizione normativa prevede che, entro il 30 giugno 2015, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avvii le procedure per l'affidamento della concessione del servizio ad altro idoneo soggetto, nel rispetto dei criteri e delle modalità di selezione disciplinati dal codice degli appalti pubblici e dalle norme dell'Unione europea, nonché dei principi di economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante monitoraggio tecnologico;
   nel definire un bando per l'affidamento del sistema di tracciabilità ai rifiuti, tale disposizione, anche secondo quanto espresso pubblicamente dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispondendo anche ai rilievi mossi da numerosi atti di sindacato ispettivo in Parlamento e anche dalle associazioni di categorie, avrebbe dovuto consentire il superamento dell'attuale sistema e delle relative criticità e una razionalizzazione del sistema;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in conformità alle previsioni normative di cui all'articolo 11, comma 9-bis, del decreto-legge n. 101 del 2013, ha ritenuto di avvalersi della società Consip, la quale, una volta individuate e definite le modalità e le condizioni, anche operative, per la concessione del servizio, procederà alla indizione e alla gestione della gara pubblica;
   Consip pubblicherà entro il 30 giugno 2015 una iniziativa di gara europea che avrà come oggetto la presa in carico dell'attuale servizio; l'analisi di dettaglio delle nuove funzionalità, tenuto conto anche dei requisiti proposti dagli stakeholder; la progettazione, la realizzazione e la gestione dei servizi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno sospendere non solo l'operatività del SISTRI ma anche il pagamento dei contributi annuali ed il relativo regime sanzionatorio, attraverso l'abrogazione delle modifiche al decreto legislativo n. 152 del 2006, introdotte dai diversi provvedimenti che hanno riguardato il SISTRI, mantenendo in essere il regime cartaceo nel periodo necessario a garantire la tracciabilità dei rifiuti in attesa della definizione di un nuovo sistema informatico o introducendo immediatamente l'obbligo della compilazione telematica del MUD da parte dei gestori e dei produttori;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover affidare tramite un bando di gara la realizzazione di una nuova piattaforma tecnologica, mantenendo in campo ad un soggetto istituzionale l'affidamento della gestione del sistema di tracciabilità dei rifiuti;
   se il Ministro interrogato non ritenga di rendere noti i punti essenziali che dovranno essere la base del nuovo contratto di affidamento e del nuovo regolamento del sistema di tracciabilità dei rifiuti, in ossequio a quanto previsto nel codice degli appalti, garantendo la dovuta trasparenza e legalità, ribadito che, a fronte della grave pervasività delle ecomafie nel ciclo dei rifiuti, la tracciabilità degli stessi e il loro smaltimento corretto senza danni per l'ambiente e i cittadini sono assolutamente necessari. (4-09028)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la stragrande maggioranza degli enti locali sta affrontando con grave difficoltà la messa a punto dei bilanci di previsione degli enti;
   molte sono le cause che impediscono agli amministratori di programmare un bilancio equilibrato, riconducibili in massima parte alle scelte del legislatore statale di operare tagli di risorse al fondo di solidarietà comunque in maniera non compatibile con le finalità del fondo bensì calcolate al solo fine di ripianare o coprire misure legislative nell'ambito di provvedimenti non inerenti l'attività dei comuni;
   in una situazione generale di difficoltà finanziarie dei comuni, alcuni enti scontano penalizzazioni ancora superiori, a causa della mera scelta di criteri contabili, operate ancora una volta dal legislatore nazionale: ciò avviene tra le altre per quei comuni che gestiscono alcuni servizi sociali essenziali, come ad esempio le residenze sanitarie assistenziali;
   la gestione delle residenze per anziani, scelta positiva di comuni che intendono offrire un servizio importante per le famiglie, costituisce attività significativa in termini economici e, soprattutto per comuni più piccoli, incide percentualmente in maniera consistente sul bilancio comunale, fino a rappresentarne il 50 per cento o più;
   i parametri di riduzione di spesa imposti dai provvedimenti di spending-review sono stati imposti in maniera lineare senza tenere conto che alcune voci, come la gestione delle residenze sanitarie assistenziali, hanno caratteristiche non comprimibili o perlomeno non con gli stessi criteri delle altre spese dell'ente –:
   se il Governo intenda prevedere iniziative, anche normative, specifiche riguardo agli enti locali specificati in premessa, affinché sia riconosciuta la specificità della gestione di alcuni servizi e ne consegua una adeguata rimodulazione dei tagli per i comuni che si facciano carico di tali servizi.
(2-00953) «Fedriga, Borghesi».

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ e DA VILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 il Governo ha sbloccato il cosiddetto «Fondo Letta», fondo per la valorizzazione e la promozione delle aree territoriali svantaggiate confinanti con le regioni a statuto speciale istituito nel 2007 e destinato ai comuni adiacenti alle regioni a statuto speciale;
   per quanto riguarda il Veneto, il fondo Letta che interessa 64 amministrazioni comunali confinanti con il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia (29 comuni in provincia di Belluno, 8 comuni in provincia di Treviso, 7 comuni in provincia di Venezia, 12 comuni in provincia di Vicenza, 8 Comuni in provincia di Verona), va a sommarsi al «Fondo Odi» per lo sviluppo dei comuni di confine, meglio conosciuto come «Fondo Brancher», istituito nel 2010 e destinato ai comuni confinanti con il Trentino. In particolar modo, si segnala la situazione della provincia di Belluno schiacciata dalle due regioni a statuto speciale, che hanno a disposizione maggiori risorse economiche;
   questi finanziamenti per i Comuni veneti ubicati nelle aree di confine contribuiscono ad attenuare, non certo a risolvere, lo storico divario nell'attribuzione delle risorse statali alle regioni Statuto speciale rispetto a quelle a Statuto ordinario: sono stati finanziati progetti nei settori sociale e sanitario, scolastico, dei trasporti, della raccolta differenziata, per il miglioramento della viabilità comunale e locale, per la promozione del turismo, delle attività artigianali e del settore primario. Interventi che, data la scarsità di risorse pubbliche, risultano sempre più difficili da realizzare da parte delle amministrazioni locali –:
   il «Fondo Letta» è stato liquidato ai comuni prima dell'entrata in vigore dell'obbligo di rispettare il patto di stabilità: il rispetto degli obblighi conseguenti alla sottoposizione dei piccoli comuni al patto di stabilità rende particolarmente difficoltoso, se non impossibile, l'utilizzo delle risorse erogate, aggravando ulteriormente e forse irrimediabilmente quella situazione di svantaggio delle popolazioni che vivono in montagna;
   si riporta l'esempio del comune di Pieve di Alpago che pur avendo a disposizione questi fondi (800 mila euro) non può spenderli, perché non ha entrate sufficienti da pareggiare l'uscita delle risorse del fondo. Il comune ha pronto un progetto per mettere in sicurezza la viabilità locale ma non può realizzarlo, tenendo bloccato in cassa quasi 1 milione di euro che farebbe lavorare il territorio, oltre che; metterlo in sicurezza –:
   se siano al corrente del problema e se intendano assumere iniziative per svincolare dal patto di stabilità le risorse specifiche dei fondi, già trasferiti e futuri, destinati a rimuoverle situazioni di svantaggio dei comuni montani confinanti con le regioni a statuto speciale. (4-09020)


   D'INCÀ e DA VILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la spesa per acquisti di beni e servizi costituisce una parte rilevante delle uscite per il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. L'istituzione di centrali uniche di committenza nasce per semplificare le procedure di approvvigionamento. Infatti, l'utilizzo di una struttura che si occupa dell'intera gestione dei vari processi, che rende più efficiente e trasparente l'utilizzo delle risorse pubbliche, fornendo alle amministrazioni strumenti competenze per gestire i propri acquisti di beni e servizi, stimolando le imprese al confronto competitivo con il sistema pubblico, svincola le amministrazioni dall'onere burocratico di indire e gestire le gare d'appalto, le convenzioni, gli accordi e i contratti, per proprio conto, con tutto quel che ciò comporta in termini di costi diretti e indiretti;
   le pubbliche amministrazioni devono rivolgersi a CONSIP (società per azioni del Ministero dell'economia e delle finanze), centrale di committenza nazionale, che realizza il programma di razionalizzazione degli acquisti nella pubblica amministrazione di beni e servizi. CONSIP definisce con appositi bandi le tipologie di beni e servizi e le condizioni generali di fornitura, gestisce l'abilitazione dei fornitori e la pubblicazione e l'aggiornamento dei cataloghi pubblicati sul MEPA (un mercato digitale in cui le amministrazioni possono acquistare, per valori inferiori alla soglia comunitaria), mentre non ha competenza per quanto riguarda l'affidamento di lavori pubblici di progettazione e di natura intellettuale, salvo il caso in cui siano connotati da serialità e caratteristiche esecutive standardizzate (accordi quadro);
   CONSIP, quindi, conclude, per conto delle amministrazioni pubbliche, e nel rispetto del «codice degli appalti», convenzioni, accordi quadro e bandi di gara per beni e servizi, definendo le condizioni generali di fornitura, perfezionate successivamente dalle singole amministrazioni con l'emissione dell'ordinativo di fornitura e del contratto firmato digitalmente dal R.U.P. della stazione appaltante, predisposto dalla centrale unica di committenza direttamente sulla piattaforma informatica;
   per quanto attiene a contratti di lavori pubblici, che non siano connotati da serialità e caratteristiche esecutive standardizzate, si esula da CONSIP e tutte le procedure sono svolte e seguite direttamente dalla stazione appaltante. Lo stesso procedimento per quanto riguarda i contratti di beni e servizi avviene in presenza di centri unici di acquisto. Infatti, il contratto è stipulato tra l'ente pubblico e l'aggiudicatario, senza che vi sia nessun tipo di controllo da parte di un terzo organismo che verifichi l'aderenza dei contenuti del contratto stesso con l'oggetto, le condizioni e gli importi di gara. In questo modo, oltre alla fornitura del bene potrebbero essere inserite altre voci come, per esempio, il servizio di manutenzione, che non fa parte della gara aggiudicata;
   i centri unici di acquisto, generalmente circoscritti ad ambiti di competenza territoriale regionale, perseguono le finalità specifiche di una centrale di committenza in un'ottica di miglioramento tecnologico, espletando le gare d'appalto (solitamente in ambito sanitario) approvate dalla giunta regionale, che provvede a stabilirne gli obiettivi, le risorse e le attività, in ragione delle risorse e dei sistemi premiali regionali e statali. Essi svolgono, principalmente, la funzione di amministrazioni aggiudicatrici e seguono tutte le procedure di gara fino al momento dell'aggiudicazione ad un fornitore, parte contrattuale esclusa;
   l'articolo 29 del codice dei contratti pubblici ha confermato in più disposizioni il divieto di artificioso frazionamento. I motivi del divieto risiedevano nell'intento di evitare elusioni della disciplina comunitaria mediante acquisizione di lotti di minore valore economico e applicazione di procedure meno competitive di quelle previste per i contratti «sopra soglia» (si veda in proposito Consiglio di Stato 5 ottobre 2011, n. 5445). L'articolo 44, comma 7, del decreto-legge 201 del 6 dicembre 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011, ha aggiunto il comma 1-bis all'articolo 2 del decreto legislativo 163 del 2006, imponendo alle stazioni appaltanti, al fine di favorire l'accesso al mercato delle piccole e medie imprese, di suddividere gli appalti in lotti funzionali, «ove possibile ed economicamente conveniente» e comunque nel rispetto della disciplina comunitaria. La suddivisione in lotti è stata formulata in termini di doverosità se diretta a favorire l'accesso al mercato delle piccole e medie imprese;
   in questi giorni l'Autorità nazionale anticorruzione ha svolto un'indagine sistematica sui comuni capoluogo di provincia, per l'eccessivo ricorso all'utilizzo delle procedure negoziate, divenute di fatto procedure ordinarie anziché di carattere eccezionale come previsto dal codice dei contratti pubblici. Sono stati estrapolati dalla banca dati nazionale dei contratti pubblici, i dati relativi a forniture e servizi in economia affidati dal 1o gennaio 2010 al 10 marzo 2015, singolarmente di importo inferiore alla soglia comunitaria, che presentano carattere di regolarità o che risultano reiterati nell'arco temporale annuale e che nel complesso superano la soglia consentita. Sono stati presi in considerazione anche gli appalti effettuati con affidamento diretto, cottimo fiduciario e affidamento diretto, ex articolo 5 della legge 381 del 1991, in quanto fattispecie che caratterizzano forme di procedura negoziata;
   nel comunicato del 16 aprile 2015 del presidente ANAC, il dottor Cantone evidenzia che «l'indagine ha portato all'individuazione di 90 comuni (su un totale di 116 attualmente presenti sul territorio nazionale) interessati da anomali fenomeni di ripetizione contrattuale, ed indici d potenziale violazione del comma 10 dell'articolo 29 del decreto legislativo 163 del 2006 (...). L'articolo 125 dello stesso Codice prevede inoltre, al comma 13, che nessuna prestazione di beni, servizi possa essere artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia (divieto di artificioso frazionamento).(...) È altresì emerso che n. 10 Comuni (esclusi quelli già interessati da indagini dell'Autorità attualmente in corso) hanno proceduto ad affidamenti diretti o in economia, reiterati nel corso del medesimo anno o di più anni consecutivi, per importi complessivi superiori al milione di euro, ossia pari ad oltre 5 volte la soglia consentita per legge» (http://www.anticorruzione.it);
   l'analisi ha evidenziato, non solo la sistematica disapplicazione delle modalità di calcolo del valore presunto dell'appalto previste dall'articolo 29 del codice, ma anche il conseguente utilizzo di procedure di scelta del contraente (affidamenti in economia; affidamenti diretti) che, qualora si fosse rispettato quanto disposto dal citato articolo 29, non sarebbero state consentite. Si riportano a titolo di esempio i dati de Il Sole 24 ore del 18 aprile 2015:
    il comune di Firenze ha fatto affidamenti diretti per 15 milioni di euro, con 19 affidamenti diretti in violazione delle norme, tra cui quello del servizio di assistenza sociale per bambini e giovani frazionato 74 volte per un importo complessivo di 3,7 milioni euro;
    il comune di Roma ha fatto affidamenti diretti per 89 milioni di euro, con un servizio frazionato 256 volte per un importo complessivo di 12,2 milioni euro;
    il comune di Genova ha fatto affidamenti diretti per 17 milioni di euro, con il servizio di assistenza sociale frazionato 63 volte per un importo complessivo di 3,5 milioni euro;
   il comune di Lazise (Verona) è sotto inchiesta per i servizi di manutenzione di giardini, impianti sportivi e parco giochi affidati tra il 2010 e il 2012 direttamente a cinque imprese per importi che variano da 4000 fino a 19000 euro. Le accuse sono di: Turbativa D'asta: lavori che potevano essere affidati in un colpo solo e per tutto l'anno venivano frazionati in modo da procedere all'aggiudicazione diretta per importi inferiori ai 20 mila euro, impedendo la gara per pubblici incanti con la partecipazione di altre aziende per importi superiori ai 20 mila euro. Per la procura, questo illecito sarebbe avvenuto 5 volte; Truffa: l'illecito appare per sette volte nell'ordinanza del tribunale. Il raggiro consisteva nell'aggiudicazione diretta dei lavori alle imprese e comportava un vantaggio alle aziende beneficiare dell'affidamento dei servizi ma, allo stesso tempo, un danno alle casse del comune. Nel giugno 2010 veniva affidato lo sfalcio del verde con un esborso del comune di Lazise superiore di 12 mila euro rispetto al valore di mercato per questi stessi servizi. (http://venetoius.it);
   ci deve essere attenzione dell'amministrazione sull'importanza della rilevazione dei fabbisogni, ai fini di una corretta programmazione per predisporre la pianificazione triennale dei lavori e delle acquisizioni di beni e servizi, che deve essere aggiornata annualmente;
   la soglia per l'affido diretto di beni e servizi è di 20 mila euro, che sale a 40 mila per l'affido diretto di lavori. Per le procedure negoziate di servizi (fra cui le manutenzioni), in cui l'amministrazione invita almeno 5 ditte a produrre un'offerta, la soglia sale a 200 mila per i lavori a corpo e a 400 mila per quelli a misura;
   spesso, le manutenzioni si trasformano in «lavori», convertendo di fatto la sola fornitura di un apparato o del servizio di manutenzione programmata in lavori pubblici ricomprendendo la posa in opera del dispositivo, la manutenzione straordinaria o la manutenzione evolutiva di un impianto, attualmente, non soggetti alla competenza di CONSIP, consentendo così alle amministrazioni locali di raggiungere la soglia dei 40 mila euro per l'affido diretto invece dei 20 mila euro, prevista dal codice degli appalti;
   da una verifica a campione sui siti dei consigli regionali (Lombardia, Lazio, Veneto), nell'apposita sezione «Amministrazione trasparente» prevista dal decreto legislativo 33 del 2013, alla voce «provvedimenti», sottosezione «provvedimenti dirigenti», appare palese per il consiglio regionale del Veneto, rispetto agli altri due consigli regionali, la mancata pubblicazione dei provvedimenti nella loro interezza, ma si evidenzia la sola pubblicazione di una scheda sintetica, oltre ad un aggiornamento che si ferma al secondo semestre 2014. Visionando alcune schede sintetiche risultano quantomeno elevati nell'ammontare e non ben specificate le condizioni di affidamento degli atti riferiti ad alcuni lavori. In un solo atto, ad esempio, (http://doc989.consiglioveneto.it/trasparenza/resources/DSG–104–2014.pdf) si fa menzione di lavori per messa in sicurezza e «diversi» di gestione delle sedi del solo consiglio regionale del Veneto, per un ammontare di poco meno di 500.000 euro che saranno affidati, con successivi provvedimenti, che ad oggi non sono ancora consultabili. Da un'ulteriore esplorazione della sezione dedicata alla trasparenza si evidenzia un'altra scheda sintetica di provvedimento (http://doc989. consigliove-neto.it/trasparenza/resources/DSG–92–2014.pdf) relativa al trasloco e alla movimentazione di un paio di strutture del consiglio regionale del Veneto, per un costo che arriva a sfiorare i 50.000 euro, senza alcun riferimento alla procedura adottata per l'aggiudicazione, nonostante nel MEPA (mercato elettronico della pubblica amministrazione) siano ricomprese nel bando (facility management uffici 3) le seguenti tipologie di servizi: facchinaggio interno e facchinaggio esterno/traslochi. Inoltre, ma non da ultimo, si sottolinea il mero contenuto della scheda sintetica riferita ad un provvedimento che autorizza lavori e opere di somma urgenza nelle sedi consiliari regionali venete, (http://doc 989.consiglio veneto.it/trasparenza/resources/DSG-61- 2014.pdf) per la cifra di ulteriori quasi 150.000 euro. Con tre provvedimenti in sostanza si affidano lavori per circa 700.000, quindi si potrebbe stimare una spesa di almeno 3,5 milioni di euro annui per manutenzioni e per i lavori delle sedi consiliari venete. Non pochi dubbi sorgono spontanei sulla regolarità degli affidamenti e sulle procedure messe in atto previste dal codice degli appalti e da altra normativa vigente;
   sovente l'affido diretto delle opere pare rivesta carattere di urgenza e l'amministrazione evidenzi situazioni di emergenza che di fatto consentono al RUP di affidare direttamente i lavori di ripristino dei locali o degli impianti;
   l'attività di controllo della Corte dei conti (Corte conti, sez. centr. controllo, n. 96/97) ha posto in luce, sia dal punto di vista economico che giuridico, come alle restrizioni in tema di trattativa privata succedutesi negli anni più recenti, abbia fatto da pendant l’«esplosione» delle spese in economia, che talvolta ha trovato ispirazione e giustificazione nello stesso Legislatore (regolamento n. 384/01, predisposto nell'ambito dello stesso Ministro dell'economia e delle finanze);
   nelle procedure negoziate di lavori, la legge prevede che siano garantite la trasparenza, l'imparzialità e la rotazione degli incarichi (solo in fase di invito) ma è sufficiente invitare tutte le ditte, iscritte nell'albo ufficiale e che posseggono i requisiti richiesti, per poter aggiudicare il lavoro anche sempre alla stessa, senza violare la legge. Inoltre, accade che la stazione appaltante aggiudichi l'appalto per l'esecuzione dell'opera applicando in gara il criterio del massimo ribasso, senza prevedere le cosiddette «varianti in corso d'opera», che, dopo l'eventuale fruizione del 5o d'obbligo che da solo non copre tutte le esigenze, diventeranno veri e propri «lavori» a sé stanti che la pubblica amministrazione spesso affida direttamente all'aggiudicatario della predetta gara dando seguito a una reiterazione di incarichi;
   il codice appalti prescrive che l'affidatario di questo genere di contratti semplificati debba possedere i requisiti di idoneità morale, capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria prescritta per le prestazioni affidate con le procedure concorsuali. Inoltre, con norma ad avviso degli interroganti di dubbia legittimità, consente alle stazioni committenti di istituire elenchi di operatori economici, sulla base di espressa richiesta di questi, da aggiornare con cadenza almeno annuale –:
   se siano a conoscenza delle criticità e delle incongruenze normative e come intendano procedere alla armonizzazione delle diverse disposizioni, considerato che l'articolo 125, comma 13, del codice dei contratti pubblici permane nel vigore vietando l'artificioso frazionamento dell'appalto al fine di sottoporre l'affidamento alle procedure di acquisizione in economia, che quest'ultima norma non è stata oggetto di modifiche da parte della norma di favore per le piccole e medie imprese contenuta nel decreto del «fare» e che si deve quindi verificare come sia conciliabile il nuovo obbligo di frazionamento in lotti con il divieto posto dal comma 13 dell'articolo 125 del Codice;
   se siano a conoscenza delle criticità espresse più volte da Corte dei Conti, dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e dall'ANAC in merito al rapporto tra procedure in economia e procedure negoziate e cosa intendano fare, pur garantendo la tutela della concorrenza, per contrastare il fenomeno costituito dall'abuso delle spese in economia, posto che le spese in economia, ed in particolare il cottimo, operano completamente al di fuori delle ipotesi comunitarie e sono giustificabili nel nostro ordinamento solo se concretano ipotesi negoziali di basso valore, ove possa sostenersi la sostanziale irrilevanza sul mercato complessivo in cui operano e la loro natura semplificante ed economica, rispetto alle procedure aperte alla concorrenza;
   se ritengano opportuno modificare il regolamento n. 384/01, sulla semplificazione dei procedimenti di spese in economia, che prevede la determinazione di soglie di applicazione elevatissime senza alcun richiamo alle restrizioni tipologiche, che un simile sistema dovrebbe possedere, considerato che, ad avviso degli interroganti l'assenza di una coerente disciplina dei limiti di valore complessivo di un tale sistema, ne comporta, inevitabilmente l'abuso, nonché l'atomizzazione di commesse di una certa rilevanza in micro-contratti di natura seriale (particolarmente inefficaci si sono dimostrate, nell'esperienza applicativa, norme che si limitano a vietare l'artificioso razionamento delle commesse, senza istituire controlli obiettivi e sanzioni su tali pratiche molto diffuse);
   se non ritengano opportuno inserire il principio della proporzionalità nella redazione dei regolamenti delle spese in economia, in quanto i limiti di spesa assai elevati, consentiti dal codice, non possono essere proficuamente adottati da tutte le stazioni appaltanti, e pertanto, l'adozione dei limiti di spesa e la individuazione di fattispecie tipiche dovrebbero essere proporzionate alle dimensioni e alle risorse gestite dai diversi committenti facendo si che ogni bilancio preventivo delle amministrazioni pubbliche sia corredato da un piano delle spese gestibili in economia, comprensivo di un quadro illustrativo del loro importo globale, del rapporto con il budget complessivamente a disposizione per lavori, forniture e servizi, dei funzionari incaricati della loro gestione;
   se ritengano opportuno estendere alle centrali uniche di committenza, quale CONSIP, la competenza oltre che sulla fornitura di beni e servizi, anche sulla posa in opera-categoria lavori, in modo da limitare l'uso arbitrario degli affidi diretti nelle opere pubbliche, istituendo forme di controllo sul contratto finale stipulato dall'ente pubblico con il concessionario e facendo sì che sia prevista una programmazione delle gare da fare, aggregando su Consip gare di mercati nazionali e riservando altre categorie merceologiche ai centri unici di acquisto (regionali), peraltro già molto attivi sul mercato dei prodotti sanitari;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per modificare la cadenza annuale di revisione degli elenchi di operatori economici, prevista dalla norma, che di fatto può costituire in ambiti locali un sensibile ostacolo alla libera competizione tra gli operatori stessi valutando la possibilità che l'aggiornamento dell'albo fornitori avvenga con scadenze trimestrali e comunque sempre prima di gare d'appalto, in modo da verificare il mantenimento o la modifica dei requisiti degli operatori economici iscritti e che sia istituito per la pubblica amministrazione un obbligo temporale di 30 giorni per l'inserimento nell'albo delle nuove iscrizioni degli operatori economici;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per modificare l'obbligo di rotazione per le procedure negoziate, che la normativa prevede per l'invito a presentare l'offerta da parte degli operatori economici, riferendolo invece all'affido dell'appalto. (4-09034)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la categoria dei periti industriali e dei periti industriali laureati, regolamentata con regio decreto n. 275 dell'11 febbraio 1929, si trova in una situazione di grave criticità che necessita di urgenti iniziative;
   con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 si è di fatto realizzata l'elevazione del livello di formazione alla laurea, quale requisito per l'accesso all'albo, come previsto dalla direttiva europea (48/89) di carattere generale sulle professioni che prevede per l'esercizio di una professione intellettuale un livello minimo di formazione post-secondario di tre anni di livello universitario;
   attraverso l'introduzione delle cosiddette «lauree brevi», si è dunque equiparato il sistema formativo dei periti industriali per l'accesso alle libere professioni regolamentate al sistema di riconoscimento previsto in Europa;
   successivamente è stata emanata la direttiva 36/2005, recepita dall'Italia con decreto legislativo n. 206 del 2007 che di fatto contribuiva a superare l'anomalia creatasi – come nel caso dei periti industriali – della coesistenza nel medesimo albo di professionisti con formazione universitaria e professionisti con formazione secondaria;
   difatti, l'articolo 12 della predetta direttiva del 2005, ripreso dall'articolo 20 del citato decreto legislativo del 2007, recita che: se lo Stato membro di origine eleva il livello di formazione richiesto per l'ammissione ad una professione e per il suo esercizio, e se una persona che ha seguito una precedente formazione, che non corrisponde ai requisiti della nuova qualifica, beneficia dei diritti in forza delle disposizioni nazionali legislative, regolamentari o amministrative, in tal caso detta formazione precedente, ai fini del riconoscimento, corrisponde al livello della nuova formazione;
   in tal senso, costituisce un precedente quello dei consulenti del lavoro – anche loro con requisito formativo iniziale di livello secondario (i consulenti hanno visto elevarsi il livello minimo alla formazione universitaria) – per il cui esercizio della professione è stato fissato un termine per l'accesso ai possessori del vecchio titolo (decreto-legge n. 10 del 2007 che ha modificato la legge n. 1979 del 2012);
   invero, l'attuale contesto normativo comporta, a giudizio dell'interrogante una discriminazione di dubbia legittimità del perito industriale nell'ambito dell'Unione europea, essendogli preclusa la possibilità di accedere all'esercizio della professione regolamentata con il livello che gli spetta, ovvero il livello di qualifica prescritto all'articolo 11, lettera d), della direttiva 36/2005/CE –:
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare con urgenza affinché possa essere interrotto l'accesso definitivo dei diplomati alla professione di perito industriale, al fine di evitare ogni discriminazione in danno dei periti industriali che già esercitano la professione sul territorio italiano e comunitario, chiarendo in modo netto e definitivo che la professione di perito industriale sia una professione  regolamentata appartenente al livello di qualifica professionale di cui all'articolo 11, lettera d), della direttiva 36/2005/CE. (4-09019)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 461 del 3 aprile 2008 della regione autonoma del Friuli Venezia Giulia, direzione centrale patrimonio servizi generali, è stato disposto il trasferimento a titolo gratuito al comune di San Vito al Tagliamento (Pordenone) del compendio costituito dalla caserma «Dall'Armi» sita nel comune di San Vito al Tagliamento, punto 4 della tabella A in allegato al decreto legislativo n. 35 del 2007 e identificato al catasto fabbricati del comune di San Vito al Tagliamento;
   tale decreto stabiliva l'impegno da parte dell'ente locale per l'utilizzo del bene immobile con finalità che abbiano un significativo interesse pubblico e sociale, volto alla valorizzazione del contesto urbano e territoriale;
   il consiglio comunale di San Vito al Tagliamento in data 20 giugno 2013, con deliberazione n. 22 ha unanimemente fatto proprie le dichiarazioni del sindaco circa la realizzazione di una struttura carceraria nella sede della caserma «Dall'Armi»;
   con successivo provvedimento, in data 24 luglio 2013, l'assemblea locale ha approvato il verbale della conferenza di servizi svoltasi il 22 luglio 2013 dove si esprime parere favorevole al progetto preliminare del nuovo istituto penitenziario nella caserma «Dall'Armi»;
   con ulteriore deliberazione n. 44 del 26 settembre 2013 il consiglio del comune di San Vito al Tagliamento ha stabilito la cessione dell'area denominata ex caserma «Dall'Armi» per la realizzazione di un nuovo istituto penitenziario della provincia di Pordenone;
   in seguito, con nota n. 28384 del 7 ottobre 2013, il sindaco ha espresso parere favorevole, ai sensi dell'articolo 17-ter (Disposizioni per la realizzazione urgente di istituti penitenziari) della legge 26 febbraio 2010, in ordine alla localizzazione dell'istituto penitenziario da 300 posti detentivi nell'area dismessa della caserma «Dall'Armi», precisando che nell'area destinata alla realizzazione dello stesso non vi sono vincoli o impedimenti di alcun genere posti dall'ente locale, né di essere a conoscenza di analoghi provvedimenti posti da amministrazioni pubbliche competenti in materia;
   in data 30 ottobre 2013 è stata sottoscritta un'intesa tra il commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie e il presidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, ai sensi del citato articolo 17-ter della legge n. 26 del 2010, che destina l'area dismessa della caserma «Dall'Armi» alla realizzazione di un istituto penitenziario da 300 posti detentivi;
   il complesso penitenziario viene previsto nel piano carceri stilato dal Ministero dell'interno ed è oggetto di un finanziamento pubblico di 25 milioni di euro;
   in adempimento alle sopracitate deliberazioni dell'ente locale risulta necessaria la formalizzazione da parte del demanio dello Stato della costituzione di un diritto di superficie sull'area dell'ex caserma «Dall'Armi» –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se il Governo sia a conoscenza di impedimenti che ostacolino la realizzazione di quanto stabilito nell'intesa, stante il fatto che sono trascorsi ormai due anni dalla sottoscrizione;
   quali misure di competenza intenda assumere il Governo al fine di favorire lo snellimento procedurale. (4-09022)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come noto, tra i servizi cosiddetti non-aviation di un aeroporto vengono ricomprese tutta una serie di attività commerciali e non, tra cui negozi, ristorazione, alberghi, servizi di trasporto di collegamento, servizi di autonoleggio, servizi bancari e parcheggi;
   la normativa attuale prevede, per tali attività «lato terra», un sistema di regolazione parziale, nella misura in cui una quota non inferiore al 50 per cento del margine conseguito dal gestore aeroportuale per questi servizi concorre alla definizione dei ricavi complessivi del gestore;
   i ricavi di tipo landside per i servizi non strettamente aeronautici costituiscono una quota molto importante e in continua crescita dei bilanci dei gestori aeroportuali, che in alcuni casi possono arrivare a rappresentare quasi la metà dei ricavi totali;
   in particolare, come evidenziato anche da una recente inchiesta di Altroconsumo intitolata «Dove il posteggio costa quanto il volo», una delle maggiori voci di entrata nel bilancio per i gestori aeroportuali riguarda proprio l'attività dei parcheggi afferenti agli aeroporti, servizio che, stando agli ultimi studi pubblicati in materia, può rappresentare fino a quasi un quarto dei ricavi delle attività non-aviation e che spesso compensa altri settori in perdita;
   in aggiunta ai parcheggi di competenza dei gestori aeroportuali, situati tendenzialmente nel perimetro dell'infrastruttura aeroporto, negli ultimi anni si è sviluppato anche un sistema di parcheggi cosiddetti «remoti», esterni all'aeroporto ma collegati ad esso tramite servizi di navetta gratuita, di competenza o degli stessi gestori aeroportuali o di gestori privati;
   le tariffe proposte da questa ultima categoria di gestori sono tendenzialmente più vantaggiose se confrontate con le tariffe applicate dal gestore aeroportuale e talvolta i parcheggi remoti possono divenire concorrenziali, producendo un effetto di calmiere dei prezzi, pur nella considerazione che la vicinanza dei parcheggi interni al perimetro aeroportuale rispetto al terminal tende comunque a consolidare la condizione dei gestori aeroportuali di monopolisti nella fornitura di servizi landside;
   ad avviso degli interroganti, e come comprovato da autorevoli studi in materia, l'attività dei parcheggi ha garantito negli anni ai gestori di molti scali aeroportuali elevati profitti, a scapito degli utenti, cui viene di fatto precluso l'accesso a un mercato realmente concorrenziale, in cui ci sia un efficace confronto competitivo tra i servizi di parcheggio offerti, anche a causa dell'assenza di una chiara regolamentazione in materia;
   a titolo di esempio, si cita il caso della gestione dei parcheggi aeroportuali del Marco Polo di Venezia, la quale è stata affidata, mediante sub-concessione diretta e senza lo svolgimento di una procedura di gara d'appalto, alla Marco Polo Park, società partecipata al 100 per cento dalla Save S.p.A., titolare della concessione per la gestione dell'aeroporto Marco Polo di Venezia;
   per quanto di conoscenza, la Save s.p.a. gestisce ad oggi direttamente circa seimilacinquecento posti auto all'interno dei parcheggi aeroportuali, con tariffe base che superano i 10 euro al giorno;
   accanto alla gestione da parte di Save dei parcheggi del Marco Polo, sono sorti nei pressi della struttura aeroportuale, sette nuovi parcheggi esterni al sedime del Marco Polo, più economici rispetto alle tariffe praticata dalla Save;
   la realizzazione di nuovi parcheggi attorno alla zona aeroportuale del Marco Polo, ha dato vita a quella che è stata chiamata dalla stampa locale una vera e propria «guerra dei parcheggi» nella zona di Tessera, fautrice di molteplici tensioni legali sorte tra il concessionario Save e i gestori di parcheggi esterni, concorrenti di Save;
   la Save ha presentato in questi anni numerose segnalazioni per presunte irregolarità nella gestione dei parcheggi privati esterni all'aeroporto, tra cui un recente ricorso contro la Benetazzo Group, proprietaria del parcheggio Pes.co da 200 posti auto, con una richiesta di risarcimento da parte di Save di 5 milioni di euro per concorrenza sleale;
   in assenza di un'organica regolamentazione del sistema aeroportuale in materia, si è espressa anche una recente pronuncia del Tar del Lazio (sentenza n. 1693/13), il quale ha precisato che, attesa la natura pubblica di demanio del sedime aeroportuale, il gestore aeroportuale è obbligato a indire una procedura competitiva per selezionare il soggetto privato al quale concedere in uso specifiche aree all'interno dell'aeroporto, non potendo procedere ai rinnovi automatici senza gara dei rapporti di subconcessione in essere di spazi aeroportuali finalizzati allo svolgimento di determinate attività commerciali;
   la giustizia amministrativa ha inoltre precisato che al gestore aeroportuale è assegnato il compito di amministrare e gestire le infrastrutture aeroportuali «secondo criteri di trasparenza e non discriminazione» (cfr. articolo 705 cod. nav.), principi questi che devono, dunque, impregnare tutta l'attività di gestione, ivi compresa quella finalizzata alla subconcessione/locazione, poiché, in tal caso ciò che rileva è la natura pubblica del sedime oggetto di concessione, la cui disposizione non può sfuggire, in un'ottica pro-competitiva delle attività economiche che vi possono essere esercitate, ai parametri della parità di condizione di tutti i possibili competitori –:
   quali specifiche iniziative di natura normativa o regolamentare, il Governo intenda adottare al fine di garantire un'allocazione equa e non discriminatoria degli spazi destinati ad attività commerciali all'interno dei sedimi aeroportuali, inclusa l'attività dei parcheggi, così come auspicato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e in linea con la recente giurisprudenza del TAR del Lazio, al fine di evitare l'estensione da parte del gestore aeroportuale del proprio potere di mercato ai servizi commerciali, limitando in tal senso lo svolgimento degli stessi da parte di altri operatori. (5-05495)


   NARDUOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 aprile 2014 l'interrogante ha depositato l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5/02697, a cui il Governo ha risposto nel corso della seduta della Commissione IX (Trasporti) del 18 giugno 2014;
   a distanza di un anno la situazione rappresentata nell'atto di sindacato ispettivo di cui sopra si ripresenta in maniera identica: il treno regionale R20490 (in partenza da Monselice alle 19.38 in direzione Legnago), l'autobus sostitutivo VE708 (in partenza da Monselice alle 20.38 sempre in direzione Legnago) e anche il treno regionale R20795 (in partenza da Venezia alle 18.49 in direzione Rovigo) risulterebbero sospesi dai primi di giugno ai primi di settembre;
   ciò causerebbe un grande disagio per i pendolari che quotidianamente, per studio o per lavoro, si spostano in treno dalla bassa padovana e dalla bassa veronese verso Venezia o Padova e ritorno;
   lo scorso anno, raccogliendo le istanze provenienti dalla clientela e dal territorio, la regione decise di ripristinare le corse summenzionate;
   appare pertanto inspiegabile la decisione di cancellare i treni in questione, dal momento che il numero dei pendolari che usufruiscono di tali corse non sono diminuiti e, di conseguenza, verrebbe meno un servizio per loro essenziale –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   considerando che la programmazione e la gestione dei servizi di trasporto pubblico sono in capo alla regione, quali strumenti abbia a disposizione, per quanto di competenza, per cercare di mitigare il grande disagio in cui si troveranno migliaia di pendolari che si trovano a viaggiare anche attraverso più regioni.
(5-05498)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FORMISANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'esecuzione di pubbliche commesse o di pubblici appalti, negli ultimi tempi è invalsa la prassi di prevedere procedure di ampio valore economico, ivi compresi gli «accordi quadro» (insieme di molteplici ordini, commesse e contratti applicativi), di modo che i requisiti posti a base della partecipazione siano talmente elevati da escludere un notevole numero di aziende dalla partecipazione ed in particolare le piccole e medie imprese;
   di contro, l'Unione europea a più riprese, e da ultimo con direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, all'articolo 87, ha stabilito che «È opportuno che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle PMI. Gli enti aggiudicatori dovrebbero essere incoraggiati ad avvalersi del codice europeo di buone pratiche, di cui al documento di lavoro dei servizi della Commissione del 25 giugno 2008 dal titolo «Codice europeo di buone pratiche per facilitare l'accesso delle PMI agli appalti pubblici»;
   tra le altre misure suggerite, vi è quella di una esplicita previsione di suddivisione dei lavori in lotti;
   sarebbe buona regola procedere così come suggerito dall'Unione europea, fornendo idonee direttive a tutte le pubbliche amministrazioni –:
   se il Ministro condivida tale impostazione e, in caso affermativo — come ritenuto auspicabile dall'interrogante quali iniziative di competenza intenda porre in atto per giungere al rispetto della citata direttiva 2014/25/UE attraverso idonee disposizioni da impartire alle stazioni appaltanti pubbliche. (4-09017)


   GIACOMONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 30 gennaio 2013 è stata emessa la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e speciale europeo e al Comitato delle regioni sul «quarto pacchetto ferroviario – completare lo spazio ferroviario europeo unico per favorire la competitività e la crescita europee»;
   il Libro bianco del 2011 sui trasporti illustrava, tra l'altro, il potenziamento del ruolo del trasporto ferroviario, data la difficoltà a ridurre la dipendenza dal petrolio in altri settori. Tuttavia, questo obiettivo può essere realizzato solo se il sistema ferroviario sarà in grado di garantire servizi efficienti e convincenti;
   con delibera 7 agosto 2013, n. 260, la giunta della regione Lazio ha adottato gli indirizzi per la stesura del piano regionale della mobilità, dei trasporti e della logistica (PRMTL);
   gli indirizzi per il piano regionale della mobilità, dei trasporti e della logistica individuano tra le aree strategiche su cui intervenire il sistema ferroviario, con l'obiettivo di garantire una maggiore frequenza dei treni e, quindi, liberare le arterie viarie fortemente congestionate con la previsione della riorganizzazione del servizio regionale e interventi sulle stazioni;
   in data 14 febbraio 2006 era stato sottoscritto un apposito protocollo d'intesa tra le Ferrovie dello Stato s.p.a. la RFI s.p.a., la regione Lazio, la provincia di Roma e il comune di Roma per l'attuazione di un progetto di rete ferroviaria regionale e metropolitana in cui era stata inserita la riapertura della stazione ferroviaria del Divino Amore (Falcognana) sulla linea FR8 Roma-Formia-Nettuno;
   inoltre, dal 2009 era stato attivato un tavolo di confronto tecnico tra comune di Roma RFI regione Lazio;
   con ordine del giorno n. 9/2009 il locale municipio ha dato indicazione che parte degli oneri concessori derivanti dal piano di recupero integrato (Print) di Santa Palomba del comune di Roma, vengano utilizzati per la realizzazione della fermata/stazione di Divino Amore-Falcognana;
   nel quadrante in corrispondenza della via Ardeatina, fortemente congestionato dal traffico, sono attive le linee ferroviarie regionali FL7 Roma Napoli via Formia e FL8 Roma-Nettuno, utilizzate da una utenza prevalentemente di tipo pendolare che, però, attualmente interessa solo marginalmente il territorio del comune di Roma;
   in data 23 luglio 2010 RFI ha presentato il progetto relativo all'attivazione della fermata proprio in località Falcognana, in cui venivano evidenziati il particolare dei costi e dei tempi per la messa in esercizio;
   al N.P.R.G. del comune di Roma ha previsto un forte incremento urbanistico nel quadrante sud di Roma ed in particolare nell'area Ardeatina-Laurentina, parte delle nuove cubature sono ormai attivate o in via di attivazione;
   la mobilità di oggi, soprattutto nei grandi centri urbani, riveste una componente essenziale del funzionamento della città e della vita dei suoi abitanti, i quali esprimono sempre più una crescente esigenza di efficienza e di miglioramento per tutti gli aspetti che la mobilità include;
   anche in previsione del prossimo Giubileo il miglioramento della viabilità è un aspetto di primaria importanza, vista la mole di visitatori che la città di Roma dovrà accogliere, soprattutto in prossimità dei grandi centri di culto;
   l'obiettivo generale nel quadrante Roma sud, e quello di aumentare le condizioni di accessibilità al trasporto pubblico su ferro di tutti i cittadini residenti e la razionalizzazione della rete stradale attraverso interventi di riconnessione e di fluidificazione della viabilità –:
   quali orientamenti intenda esprimere in riferimento a quanto esposto in premessa, e, conseguentemente, quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, al fine di consentire la riapertura e il funzionamento in esercizio della Stazione Ferroviaria in località Divino Amore-Falcognana. (4-09018)


   GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni abbiamo assistito al progressivo degrado delle condizioni di viaggio su rotaie, con riferimento in particolare ai treni regionali: tempi di percorrenza sempre più lunghi, numero dei treni sempre più ridotto, aumento delle tariffe, deterioramento della qualità, dell'igiene e della sicurezza dei treni;
   la questione del trasporto pubblico locale e del pendolarismo costituisce uno dei più gravi problemi per la mobilità urbana ed extraurbana nazionale e attribuisce all'Italia un triste primato europeo in termini di mobilità sostenibile, sicurezza, abbattimento delle emissioni da traffico veicolare e diritti dei passeggeri;
   i pendolari quotidianamente vivono il disagio causato dai ritardi nonché a volte dalla improvvisa cancellazione di corse ferroviarie che impediscono agli stessi di raggiungere regolarmente il posto di lavoro o di studio;
   l'ennesimo caso è accaduto in Valdichiana in data 29 aprile 2015, quando a seguito di un guasto al materiale, il treno regionale 6712 è stato cancellato da Chiusi CT a Firenze SMN. Il convoglio, che partendo da Chiusi alle 7:12 raggiunge Arezzo alle 7:44 per proseguire alla volta del Valdarno e di Firenze, avrebbe già subito una prima cancellazione per motivi simili il 21 febbraio 2015;
   la soppressione, naturalmente, ha causato disagio a centinaia di studenti e lavoratori di Chiusi, Castiglion del Lago, Cortona e Castiglion Fiorentino, che sono rimasti in stazione e coloro i quali sono riusciti ad organizzarsi con mezzi alternativi hanno raggiunto scuole o luoghi di lavoro in notevole ritardo;
   il Comitato pendolari locale ha già sollevato all'assessore regionale Ceccarelli il problema del potenziamento dei collegamenti dalla Valdichiana ad Arezzo e Firenze, in fascia pendolare. Nella consapevolezza del regime di contenimento della spesa, è stato suggerito di introdurre due fermate in Valdichiana, per il treno R11680 che parte attualmente da Chiusi alle 7:53 e raggiunge Arezzo alle 8:31 e prosegue direttamente a Firenze terminando la corsa a Santa Maria Novella alle 9:32;
   l'episodio del 29 aprile ripropone il tema del potenziamento che garantirebbe soluzioni paracadute anche in casi di guasti al materiale –:
   se il Governo sia al corrente di quanto riportato in premessa e quali eventuali iniziative intenda assumere per potenziare il servizio di trasporto pubblico locale, assumendo iniziative per incrementare, le risorse statali destinate a tale scopo così da evitare che casi come quello descritto in premessa abbiano a ripetersi. (4-09026)


   ARTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Regolamento UE 1315/2013 stabilisce gli orientamenti, i criteri, le modalità e le prescrizioni ambientali per lo sviluppo della rete trans europea dei trasporti;
   il piano nazionale degli aeroporti prevede dei requisiti per l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale strategico. «Unica eccezione alla regola di un solo aeroporto strategico per ciascun bacino – si legge – è quella relativa al bacino del Centro-Nord, per il quale gli aeroporti strategici individuati sono tre – Bologna e Pisa-Firenze – in considerazione delle caratteristiche morfologiche del territorio e della dimensione degli scali e a condizione, relativamente ai soli scali di Pisa e Firenze, che tra gli stessi si realizzi la piena integrazione societaria e industriale»;
   tale classificazione appare non corretta anche alla luce degli orientamenti prescrittivi della UE ribaditi nella Gazzetta Ufficiale, dell'Unione europea del 4 aprile 2014 C 99/3 nella quale a pagina 21, comma «e» [88] si specifica chiaramente che le valutazioni devono essere fatte per singolo aeroporto anche se già parte di aggregazioni. Inoltre non viene preso atto dei bacini di utenza e le loro distanze per ampliamenti e/o nuove infrastrutture aeroportuali;
   il capo dell'unità Filip Cornelis, il 4 marzo 2015, per conto del Commissario europeo Violetta Bulc, nella risposta ai Comitati della piana fiorentina sull'applicazione dei regolamenti europei n. 131 del 2013 e n. 1316 del 2013 sottolinea che, per quanto concerne la classificazione dell'aeroporto di Firenze, questo «non è un aeroporto strategico»;
   come si legge ne La Repubblica, edizione di Firenze, del 17 aprile 2015, il presidente di Corporación America Italia, Roberto Naldi, ha dichiarato: «l'aeroporto di Firenze è definito strategico dal Piano Nazionale degli Aeroporti, in seguito alla fusione con l'aeroporto di Pisa da cui nascerà Toscana Aeroporti. Ha diritto al 50 per cento di finanziamenti pubblici, stimati in 150 milioni di euro, investimenti che rimarranno ai cittadini toscani. L'aeroporto è infatti di proprietà del demanio, non della società che gestisce lo scalo grazie a una concessione quarantennale»;
   il Governo ha per il momento stanziato 50 milioni di euro per l'aeroporto di Firenze, tramite il decreto Sblocca Italia, nel DEF tale finanziamento sembra apparentemente eliminato ma è stato confermato che verrà riproposto nella legge di stabilità;
   nello «Studio Aeronautico dell'Aeroporto di Firenze – RWY 12/30 – Fase 1 – Rev. 2», redatto dall'ENAV ed attualmente in fase di VIA ministeriale, le simulazioni di volo per la frequenza di arrivi e partenze, sono state effettuate con aeromobili Boeing 757/200 ovvero intercontinentali;
   a pagina 15 capitolo 3.2 ENAV ribadisce che il nuovo aeroporto di Firenze «sulla base della lunghezza pista sopra specificata (2400 metri), si identifica con «codice 4» il riferimento numerico dell'aeroporto e, data anche la larghezza pista di 45 metri, si identifica con «D/E» il codice letterale di riferimento». Un aeroporto intercontinentale a differenza di quanto affermato sia dal Governo nel Piano nazionale aeroporti che dalla regione nel corso dell’iter procedurale PIT che dovrebbe essere 3C City Airport;
   nello studio non viene riscontrata alcuna problematica legata all'ubicazione dell'aeroporto, ai piani di rischio ed alla scuola dei Marescialli Zona Tutela B, in virtù della prevista unidirezionalità, che però sia ENAV che ENAC non sembra certifichino ufficialmente –:
   se intenda specificare espressamente quale sarà la classificazione del nuovo aeroporto di Firenze;
   con quali modalità, con quali tempi e con quali importi intenda garantire finanziamenti pubblici per il nuovo aeroporto di Firenze, specificando i riferimenti di legge, direttive e linee guida per l'assegnazioni di tali fondi;
   se l'inserimento di Firenze e Pisa nella lista degli aeroporti nazionali strategici sia o meno conforme alle normative dell'Unione europea;
   se non ritenga opportuno rivedere il piano nazionale degli aeroporti anche alla luce della risposta della commissione europea ai comitati della Piana Fiorentina;
   con quali modalità si intenda garantire l'unidirezionalità della pista;
   nel caso di impossibilità utilizzo della pista RWY 12 quali siano le alternative di operatività disponibili. (4-09030)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIMBRO, GADDA, MISIANI, GIAMPAOLO GALLI, LAFORGIA, MARANTELLI e COVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 14 aprile 2015, è apparsa sul muro di uno stabile di largo Boccioni, a Milano, quartiere di Quarto Oggiaro, l'ennesima minaccia di morte rivolta al consigliere di zona e segretario di circolo del Partito democratico Fabio Galesi, distintosi in questi anni per l'indefessa attività contro la criminalità e il degrado del quartiere;
   a seguito del fatto, numerose sono state le dichiarazioni e manifestazioni di solidarietà in favore di Galesi, dal sindaco Pisapia fino all'ANPI di zona;
   l'intimidazione («Fabio Galesi cadavere») non è purtroppo la prima ricevuta dal giovane amministratore;
   l'accaduto è da mettersi in relazione con altri fatti accaduti poco prima, nel medesimo quartiere: la settimana precedente, nelle notti di martedì 6 e venerdì 10 aprile, alcuni giovani, affissero un'enorme quantità di manifesti di propaganda del movimento Casapound, il quale ha proprio a Quarto Oggiaro la sua sede milanese. A denunciare l'episodio, fu lo stesso Galesi;
   in rete, la pagina Facebook «Casapound Italia Milano» pubblicò le foto dei manifesti affissi; il post registra numerosi commenti, nei quali Galesi e l'ANPI ricorrono come destinatari di ingiurie;
   tutto ciò non è che l'ultima manifestazione dell'ormai annoso, e sempre più radicato, problema dell'avanzata delle nuove destre. Tralasciando qui il contesto nazionale e europeo, ben noto a tutti, e le cause e origini del problema, la correità di alcune formazioni politiche nel richiamarsi a parole e temi i movimenti neofascisti, per reale convergenza ideologica o per convenienze elettorali, gli interroganti vorrebbero richiamare l'attenzione sulla situazione milanese, la quale, è innegabile, va registrando un sempre maggiore acuirsi del fenomeno. Alcuni memoranda, indici del progressivo radicamento del movimento sul territorio lombardo: la presenza a Milano, Bollate, Lodi e Monza delle sedi del circuito lombardo hammerskin denominato «Lealtà azione» (in particolare sulla skinhouse bollatese sono stati presentati già molti atti di sindacato ispettivo al Governo); i sedici esponenti di Casapound e Forza Nuova a processo per apologia di fascismo al corteo milanese per Ramelli del 2013, parata nazifascista quest'anno vietato dalla questura; la presenza, nel consiglio comunale di Novate Milanese, di un'esponente di Casapound, primo caso italiano. Al riguardo, val la pena di ricordare i precedenti del 2004 e 2006: a Nosate, provincia di Milano, e Belgirate, sulla sponda occidentale del lago Maggiore, vennero eletti due consiglieri del NSAB (Nationalsozialistische Arbeiter Bewegung, clone del partito nazista, che da qualche anno fa proseliti in rete): i primi nazionalsocialisti eletti in un'istituzione europea dal dopoguerra, infine, il raduno neonazista di Rogoredo dello scorso anno, con centinaia di partecipanti da tutta Europa, delegazioni naziste e membri del Ku Klux Klan;
   nel «triangolo nero» di Milano, Brescia e Varese, degne di menzione sono le iniziative della comunità «Dodici raggi» (o «Varese Skinheads»): le celebrazioni annuali del compleanno hitleriano, il 20 aprile (due anni fa un concerto a Malnate radunò quattrocento neonazisti), e i periodici oltraggi al sacrario partigiano di Monte San Martino sulle Prealpi, nel cui terreno, come omaggio ai caduti repubblichini, i militanti sono soliti infiggere le Toten rune, simbolo col quale si onoravano i caduti delle SS;
   l'appena passato 25 aprile, come lo scorso anno, il Cimitero Maggiore di Milano ha visto sfilare circa trecento esponenti di CasaPound, Forza Nuova e Lealtà Azione, tutti in divisa, con i simboli hammerskin in mostra sui giubbotti neri; nei giorni precedenti l'associazione Memento aveva provveduto ad agghindare con i gagliardetti della RSI tutte le tombe; a ulteriore sfregio, è stata innalzata sul pennone l'aquila di Salò. Analoga manifestazione è avvenuta al cimitero di Monza;
   desta, inoltre, allarme la vicinanza di alcune amministrazioni comunali alle organizzazioni neofasciste: basti il recente caso di Turbigo, dove una via è stata intitolata al gerarca fascista Ezio Maria Grey;
   la legge n. 645 del 1952 come noto, sanziona chiunque «promuova od organizzi sotto qualsiasi forma la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista», oppure chiunque «pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche» –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, intenda assicurare un costante monitoraggio delle attività e delle manifestazioni che si ispirano a valori inconciliabili con quelli della Costituzione Repubblicana, come nei casi sopra descritti, adottando ogni iniziativa di competenza per tutelare l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. (4-09029)


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come previsto dall'articolo 403 del codice civile, i minori stranieri non accompagnati devono essere accolti ed economicamente sostenuti dal sindaco del comune in cui vengono identificati: grazie a questa normativa nel 2014 i comuni italiani hanno dato alloggio a 10.536 stranieri under 18, che sono stati accolti da alcune centinaia di associazioni e cooperative ma purtroppo, in molti casi, sono stati anche sfruttati come risorsa di fondi facili dalla criminalità organizzata;
   gli oltre 30 milioni di euro l'anno che escono dalle casse pubbliche per garantire un alloggio ai minori che sbarcano in Italia senza genitori, costituiscono spesso l'obiettivo di molte organizzazioni criminali: dal giro delle coop legate ai boss di Mafia Capitale agli intermediari senza scrupoli che strumentalizzano gli immigrati a volte anche facendo in modo che giovani di oltre 30 anni vengano riconosciuti come minori per accedere ai fondi;
   secondo un'inchiesta del giornale La Repubblica, una qualificata fonte delle forze di polizia avrebbe rivelato che: «Quando i minori stranieri arrivano, i dirigenti del dipartimento politiche sociali di un qualsiasi comune italiano contattano le cooperative con cui collaborano. L'affare è grosso e queste si organizzano. Se non hanno alloggi li trovano in una notte: acquistano villette, affittano, chiedono palazzetti in prestito a costruttori amici. Pochi giorni dopo la macchina è pronta ad accogliere i ragazzi»;
   sempre secondo l'inchiesta di La Repubblica, un esempio di queste realtà di sfruttamento è Osa Mayor, la piccola cooperativa che riceve dal dipartimento Politiche Sociali del Comune di Roma il compito di accogliere circa 60 stranieri, tutte famiglie con minori e che, pur ricevendo dal Campidoglio la retta completa, alloggerebbe i suoi ospiti in un villino alle porte di Roma con una cucina di fortuna allestita nel garage con un forno a microonde, impianti non a norma, letti accatastati, mancato rispetto delle normative antincendio e soprattutto continuerebbe a dichiarare la presenza di tutti gli ospiti anche quando parte di loro ha lasciato la casa;
   il peso economico dei minori stranieri non accompagnati grava soprattutto sulle casse degli enti locali: lo scorso anno il ministero del lavoro ha stanziato 14,8 milioni di euro per sostenere i comuni, mentre il resto dei fondi sarebbe uscito direttamente dalle casse degli enti locali; di queste spese i trasferimenti statali sono stati effettuati sui conti di tesoreria comunale, ma solo 4 amministrazioni avrebbero presentato i certificati di corretto utilizzo del contributo pubblico, per un valore irrisorio di 21.240 euro; secondo quanto riportato da La Repubblica, al 31 dicembre del 2014 non vi era ancora traccia di come i restanti 313 comuni avessero usato gli altri 14,7 milioni, e naturalmente questa confusione aiuta i traffici di coloro che sfruttano i minori –:
   se il Governo sia al corrente di questa gravissima situazione e in che modo intenda intervenire con urgenza, nei modi che gli sono propri, per monitorare la situazione e fare sì che i minori stranieri non accompagnati non diventino preda di un business criminale, ma vengano tutelati nei loro diritti, e per preservare, altresì, i preziosi fondi che vengono stanziati a questo scopo, troppo spesso drenati da una rete malavitosa ormai radicata e che lo Stato non può più ignorare. (4-09031)


   FIORONI, OLIVERIO, COVELLO, BATTAGLIA e MAGORNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Fiumicino, da quanto si evince dalla stampa, è stato oggetto da tempo di attenzioni molteplici da parte di referenti di «mafia capitale»;
   nel 2013 Ernesto Diotallevi, ex boss della Magliana, avrebbe tentato di realizzare una pompa di benzina per contrabbandare carburante, aiutato dai figli e, a quanto risulta dalla stampa, in tale operazione sarebbe stato appoggiato da Mauro Gonnelli, all'epoca presidente del consiglio comunale di Fiumicino e candidato a sindaco (poi sconfitto) per il medesimo comune;
   da ulteriori fonti di stampa, che riportano il contenuto di intercettazioni, il sostegno rivolto al candidato Gonnelli da parte di Diotallevi, basato su presunti possibili vantaggi derivanti dalla sua elezione, si esprime in termini molto espliciti e, per certi versi, inquietanti; il figlio Mario afferma, riferendosi al Gonnelli e rivolgendosi al padre, che «è talmente impiastrato di malavita che tu sei una divinità per questo»;
   successivamente alle elezioni le tensioni nel comune non sono cessate;
   solo a titolo esemplificativo si segnala che, nel corso della recente discussione del bilancio, il 16 aprile 2015, proprio il consigliere Gonnelli, capogruppo di minoranza, si rivolgeva con termini quantomeno assolutamente fuori luogo e particolarmente irrispettosi all'assessore al bilancio del comune, Arcangela Galluzzo;
   l'intervento di Gonnelli, al di là di un contenuto che gli interroganti giudicano offensivo e discriminatorio, anche perché rivolto ad una donna competente e da tutti apprezzata, potrebbe altresì suonare, secondo gli interroganti, vagamente minaccioso, anche in considerazione del clima appena descritto e delle vicende quantomeno opache cui si è poc'anzi accennato, che ad avviso degli interroganti suscitano pesanti dubbi circa tentativi di interferenze nell'operato dell'amministrazione –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto descritto in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-09036)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   RABINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998, sono state date disposizioni in materia di ordinamento di classi di concorso a cattedre nelle scuole ed istituti di istruzione secondaria ed artistica e non vi è stato un ulteriore decreto successivo sulla stessa materia;
   con la circolare n. 21 del 14 marzo 2011 venivano fornite indicazioni riguardo alla mobilità dei docenti istituendo le cosiddette «classi di concorso atipiche» per salvaguardare le dotazioni organiche di ruolo degli istituti in attesa del riordino delle classi di concorso;
   si tenga presente che le classi di concorso atipiche pongono sullo stesso piano docenti abilitati in graduatorie differenti e che quindi non hanno partecipato alle stesse prove di selezione per conseguire l'abilitazione;
   la situazione venutasi a creare sta provocando notevoli tensioni all'interno delle scuole tra i docenti con conseguenze a discapito del diritto allo studio e all'apprendimento degli studenti;
   la sentenza n. 4254 del 2015 del 17 marzo 2015 la III sezione bis del tribunale amministrativo regionale del Lazio ha nuovamente rilevato la non conformità alla normativa vigente della condotta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il quale, ancora una volta e secondo le medesime modalità, accorpava classi di materia, riferendosi a docenti che avevano conseguito abilitazioni all'insegnamento secondo il previgente ordinamento disciplinato dal decreto ministeriale n. 39 del 1998;
   quale sia l'intenzione del Ministro interrogato riguardo a tale materia, che risulta molto delicata, tenendo conto degli obiettivi molto elevati in termini di competenze che il Ministero si attende che raggiungano gli studenti italiani e considerato inoltre che si rischia di non riconoscere il merito ai docenti che hanno conseguito abilitazioni che coinvolgono più discipline e che tuttora hanno carichi di lavoro e responsabilità molto elevati. (3-01467)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NACCARATO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i restauratori diplomati presso le scuole di alta formazione, in base alla normativa vigente, hanno richiesto l'equiparazione e l'equipollenza del loro percorso formativo alla classe di laurea lmr/02;
   tali figure professionali, diplomati presso le scuole di alta formazione (in seguito SAF) durante i corsi precedenti al 2009, si trovano nella situazione di non poter vantare un titolo pienamente riconosciuto in quanto non equiparato e non equipollente alla classe di Laurea LMR/02 di nuova istituzione, forse per svista da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   la mancanza di equiparazione ed equipollenza alla classe di laurea LMR/02 penalizza fortemente la spendibilità anche a livello europeo del titolo acquisito, creando danni di immagine ed economici ad un settore di professionisti che da sempre è riconosciuto come il livello massimo di formazione a carattere tecnico e scientifico, necessario per esercitare la professione di restauratore di beni culturali anche in campo internazionale;
   le scuole di alta formazione di restauro hanno da sempre formato una figura professionale con capacità analitiche molto ampie, in grado di applicare i temi della teoria del restauro e della definizione dello stato di conservazione su molteplici casi, una professione unitaria che permette di progettare e dirigere, oltre che operare, sui vari manufatti;
   l'amministrazione pubblica si è sempre affidata, spesso in modo esclusivo, ai diplomati dalle scuole di alta formazione per il restauro di opere d'arte di eminente livello e per interventi su opere classificate e riconosciute di pubblico interesse;
   non riconoscere l'equipollenza con i titoli di laurea LMR/02 di nuova istituzione, non solo non rende giustizia al mondo del restauro, di cui l'Italia è stata fiera portabandiera nel mondo, ma contraddice l'impianto stesso dei nuovi corsi di laurea, che proprio dalle scuole di alta formazione hanno tratto esempio;
   le questioni attinenti alla regolamentazione giuridica dell'esercizio della professione di restauratore si collocano su due piani che, seppure interferenti, si collocano in ambiti diversi;
   il primo di questi piani attiene all'accesso alla professione ed è disciplinato dagli articoli 29 e 182 del Codice dei beni culturali e ambientali (decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 22);
   in particolare, l'articolo 29 stabilisce che gli interventi di manutenzione e di restauro su beni mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali e disciplina il rilascio dei nuovi titoli abilitativi;
   l'articolo 182 regola invece la fase transitoria, fino alla entrata regime della disciplina dettata dall'articolo 29. In particolare, la norma stabilisce i requisiti e le modalità di iscrizione negli appositi elenchi di coloro che abbiano seguito percorsi formativi o professionali prima della messa a regime stabilita dall'articolo 29;
   questa messa a regime è avvenuta essenzialmente con i decreti ministeriali n. 86 e 87 del luglio 2009, che hanno regolamentato la professione e l’iter formativo di questo specifico settore;
   per completare l'illustrazione di questo specifico ambito, va considerato che l'articolo 182 comma 1, nella sua formulazione originaria, prevedeva un meccanismo automatico, per cui acquisivano direttamente la qualifica di restauratore di beni culturali (comma 1) coloro che avevano conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 368 del 1998 – si tratta di: Istituto centrale del restauro (ora, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 233 del 2007, Istituto superiore per la conservazione ed il restauro); Opificio delle pietre dure; Istituto centrale per la patologia del libro (ora, ai sensi del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 233 del 2007, istituto per il restauro e conservazione del patrimonio archivistico e librario) – purché iscritti ai corsi prima del 31 gennaio 2006;
   questo meccanismo è stato modificato dall'articolo 1 comma 1 legge n. 7 del 2013, che ha escluso il riconoscimento automatico, subordinandolo alla procedura di selezione pubblica o, in alternativa, alla prova di idoneità;
   rispetto alla previgente disciplina, non è mutato l'accesso diretto al titolo di restauratore – ancorché sempre condizionato all'esito della procedura di selezione pubblica – per i soggetti che abbiano conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 (Scuole di alta formazione e di studio che operano presso l'Istituto centrale del restauro, l'Opificio delle pietre dure e l'Istituto centrale per la patologia del libro). Tali scuole assegnano, infatti, ben 300 punti (così prescrive la tabella allegata alla legge n. 7 del 2013);
   le linee guida, elaborate dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con decreto del 6 agosto 2014, dettano norme dirette a facilitare l'interpretazione della complessa disciplina dettata dall'articolo 182 del codice, che riguarda altre figure professionali (i collaboratori restauratori di beni culturali) e i restauratori privi della specifica formazione conseguita presso una delle scuole di alta formazione, valorizzando il dato di fatto del periodo precedente alla entrata in vigore del testo normativo, che consentiva l'esercizio di questa professione anche ad altri soggetti, non in possesso di questo specifico titolo di studio;
   le linee guida specificano i passaggi del percorso diretto al riconoscimento, dettando una disciplina più dettagliata rispetto alla norma di legge. Fin qui, sinteticamente, il percorso diretto all'inclusione negli elenchi abilitanti l'esercizio della professione;
   occorre esaminare il diverso campo del valore del titolo di studio rilasciato dalle SAF prima del 2009 e le possibilità di una sua equiparazione alla laurea magistrale LMR/02;
   sul punto l'istanza diretta alla equiparazione dei titoli di studio rilasciati dalle SAF prima del 2009 alla laurea magistrale LMR/02, si fonda su precisi riconoscimenti contenuti nella disciplina attuativa del Codice dei beni culturali e su una interpretazione e attuazione conforme da parte della contrattazione collettiva dei dipendenti di questo specifico comparto ministeriale;
   circa l'importanza di questo titolo, le stesse linee guida del 2015, a pagina 9, nota n. 3, mettono in evidenza che «rientrano nella prima delle categorie dei titoli elencate nella Tabella I (richiamata in precedenza, n.d.r.), sia i diplomi rilasciati dalle Scuole di alta formazione dell'Istituto Centrale per il Restauro (oggi Istituto per la Conservazione ed il Restauro), dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze (o dalle sedi distaccate: Scuola del Mosaico di Ravenna), nonché dall'Istituto Centrale per la Patologia del Libro (oggi Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario) negli ultimi anni (corsi di durata quadriennale, poi quinquennale, in attuazione dell'articolo 29, commi 8 e 9, del Codice e del decreto ministeriale n. 87 del 2009) sia quelli rilasciati prima della riorganizzazione dei corsi (di durata triennale o, per quelli organizzati dall'I.C.P.L. fino al 1987, biennale). Ciò alla luce del tenore letterale della Tabella I, giustificato peraltro dalla circostanza secondo la quale, indipendentemente dalla durata, le Scuole di alta formazione del Ministero, anche prima del riordino di cui all'articolo 9 decreto legislativo n. 368 del 1998, hanno rappresentato il modello di eccellenza rispetto al quale la validità degli altri corsi statali o regionali veniva pro-tempore considerata dalla normativa e dalla prassi. Ne è riprova la previsione dell'articolo 29, comma 8 del Codice, che abilita ope legis le suddette Scuole alla formazione dei nuovi restauratori, sottraendole alla necessità di un vero e proprio accreditamento (fermo restando il rispetto dei criteri quantitativi qualitativi dell'insegnamento e delle verifiche per tutti i corsi dai regolamenti attuativi);
   le Linee guida pongono sullo stesso piano i titoli rilasciati da queste Scuole prima del 2009 con quelli «degli ultimi anni», vale a dire quelli successivi al decreto ministeriale n. 87 del 2009. Non a caso, i crediti formativi riconosciuti dalla tabella I sono gli stessi, 300, previsti dal decreto ministeriale n. 87 del 2009. Infatti, la formazione del restauratore di beni culturali si struttura presso l'ISCR in un corso a ciclo unico di cinque anni (LMR/02 Conservazione e Restauro dei Beni Culturali DI 2 marzo 2011) articolato in 300 crediti formativi previsti dalla citata classe di laurea magistrale;
   un secondo elemento viene dalla circolare n. 520 del 23 dicembre 2001 del Ministero per i beni culturali e ambientali, diretto a disciplinare le procedure concorsuali di mobilità interna dei dipendenti, all'interno delle Aree su cui si articola la classificazione del personale. Nella scheda allegata alla tabella 5 della circolare, diretta a individuare i titoli abilitativi per l'inquadramento come funzionario restauratore conservatore, il possesso di un diploma rilasciato da una SAF è equiparato al possesso di laurea specialistica o magistrale equipollente a quelle individuate dal Decreto del Ministero dell'istruzione n. 509 del 3 novembre 1999. In sostanza, la circolare pone sullo stesso piano i diplomi rilasciati dalle SAF con le lauree del vecchio ordinamento e le corrispondenti lauree magistrali del nuovo ordinamento e questo avviene proprio nell'ambito di una procedura diretta alla valutazione della professionalità per il successivo inquadramento professionale;
   l'equiparazione alla laurea magistrale dei titoli di studio rilasciati da Scuole di alta formazione ha riguardato anche il settore dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica, attraverso i commi 102 e seguenti dell'articolo 1 della legge di stabilità n. 228 del 24 dicembre 2012;
   nel caso dei restauratori, si tratterebbe quindi di attuare principi che già discendono da norme di legge e da fonti di normazione secondaria, in particolare:
    a) l'articolo 29 del Codice dei beni culturali;
    b) la tabella I, più volte richiamata, come modificata dalla legge 14 gennaio 2013 n. 7, di modifica dell'articolo 812 del codice;
    c) decreti ministeriali 86 e 87/2009;
    d) linee Guida de Mibac del 6 agosto 2014;
    e) circolare n. 520 del 23 dicembre 2001 del Mibac e contrattazione collettiva del comparto, attraverso provvedimenti di normazione secondaria che completino il percorso di piena equiparazione già riconosciuto parzialmente;
    f) parificazione dei crediti formativi riconosciuti ai titoli rilasciati dalle SAF vecchio ordinamento, dalle SAF nel nuovo ordinamento con i crediti formativi previsti per il riconoscimento della laurea magistrale (cfr. Decreto Interministeriale 2 marzo 2011 (pubblicato in GU 17 giugno 2011 serie generale n. 139);
   l'attuazione di questi principi può avvenire nelle forme del decreto interministeriale, considerando che le fonti legislative richiamate pongono i presupposti per la equiparazione;
   gli interrogati ritengono che non sia necessario infatti di incidere sul percorso delineato dall'articolo 182 del Codice, ma solo di accertare la piena equiparazione alla laurea magistrale LMR/02 del titolo rilasciato da scuole di eccellenza prima dei numerosi interventi normativi che hanno interessato il settore, che hanno compromesso la trama unitaria originaria che, con questo riconoscimento, può essere riportata alla sua situazione originaria, incentrata sulla piena valutazione del livello di eccellenza che queste Scuole hanno sempre avuto in Italia e all'estero –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se intendano adoperarsi per chiarire le circostanze sopra descritte e adottare gli atti, di loro competenza, per garantire l'equiparazione e l'equipollenza del percorso formativo delle scuole di alta formazione alla classe di laurea lmr/02.
(5-05497)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, TRIPIEDI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GRANDE, DI BATTISTA, RUOCCO, DAGA, FRUSONE, VIGNAROLI, BARONI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica negli ultimi anni ha comportato una progressiva desertificazione industriale in diverse aree del paese del Paese, molte di queste in passato caratterizzate da una stabile vocazione ad attività produttiva: basti pensare, solo per citare qualche esempio, ai siti marchigiani ed umbri dove sono (o erano) localizzate le aziende della Merloni e dell'Indesit, famose per gli elettrodomestici e la componentistica;
   tuttavia oltre agli aspetti congiunturali dovuti alla crisi economica e al calo della domanda interna, sempre più spesso si riscontrano tendenze preoccupanti, da parte di alcuni imprenditori, ad abusare degli stridenti messi a disposizione dalla normativa vigente in tema di ammortizzatori sociali e di sostegno alle imprese e al lavoro: la cassa integrazione, ad esempio, viene sovente utilizzata in modo distorto, non come sostegno al reddito dei lavoratori, ma come una sorta di «bancomat» a cui accedono gli imprenditori per abbattere il costo del lavoro;
   in altri casi si assiste alla tendenza di alcuni imprenditori a compiere complesse e spregiudicate operazioni societarie (scissioni, vendite e/o affitti di rami di aziende, conferimenti in trust, operazioni di outsourcing, apertura di procedure concorsuali o concordati, cambi di oggetto sociale, quotazione della azienda nel mercato finanziario e altro) che seppur consentite dal diritto societario vengono utilizzati in modo improprio, tali da generare il duplice effetto di pregiudicare le ragioni creditorie (di fornitori, clienti e soprattutto lavoratori) e di alimentare una vorace economia finanziaria a beneficio di pochissimi ed impoverire l'economia reale del Paese;
   tale situazione non comporta solo un danno per i soggetti direttamente coinvolti, ma anche – e soprattutto – per la collettività, che è costretta a paure, suo malgrado, per la mala gestio altrui;
   in diversi casi, come quello che si riporta infra, appaiono agli interroganti alcuni comportamenti di dubbia regolarità, già all'attenzione dell'autorità giudiziaria, che tuttavia, nelle more dei tempi di accertamento giudiziario lasciano esposti lavoratori e creditori, con scarsissime possibilità di intervento a tutela delle posizioni legittime;
   l'imprenditore Alberto Veneruso, nato a Napoli il 24 settembre 1969, è oramai tristemente noto alle cronache dei giornali i quali hanno ampliamente riportato le disavventure imprenditoriali dello stesso;
   nel 1996, a seguito della morte del padre, assume le redini delle aziende di famiglia – la Permaflex (famosa azienda i materassi) e la Aviointeriors (nota azienda metalmeccanica che opera nei settori aeronautici e ferroviari) –, iniziando un cammino che ben presto porterà al fallimento della Permaflex e alla chiusura, con relativo fallimento, della Rail Interiors/After, società di interni ferroviari, nata come separazione del comparto ferroviario di Aviointeriors; il cammino prosegue con il fallimento della reindustrializzazione del sito ex Good Year, attraverso la società Meccano Aeronautica alla quale approdarono molti lavoratori della ex Good Year anche tramite la procedura di mobilità ex legge n. 223 del 1991, nonostante l'erogazione di importanti finanziamenti pubblici; per quanto riguarda la società Aviointeriors srl, la situazione è più complessa avendo subito dei cambi societari attraverso cessioni di rami d'azienda e scissioni relative, passando attraverso società che si chiamano AvioFin, Agw anch'esse entrambe fallite;
   in seguito al rigetto della richiesta di concordato e il conseguente fallimento anche di AGW ed Alfer, vengono aperte due inchieste dalla procura della Repubblica, di Latina con ipotesi di reati fallimentari;
   la attuale Aviointeriors, nata da una scissione nel febbraio 2011, è la risultanza della cosiddetta «Galassia Veneruso»;
   purtroppo la nuova Aviointeriors che conta circa 200 dipendenti porta con sé la pesante eredità imprenditoriale e lavorativa dell'imprenditore Veneruso e la crisi attuale della azienda parrebbe legata ad una cattiva gestione aziendale non adeguata di un settore che ha allontanato aziende come, Airbus, Boeing, ATR;
   nel giugno del 2014 la situazione precipita e la Aviointeriors dichiara l'apertura della procedura di mobilità per 150 dipendenti, nel settembre del 2014 i lavoratori depositano numerose denunce ai militari della Guardia di finanza per appropriazione indebita nei confronti della Aviointeriors, poiché lamentano il mancato riconoscimento del rimborso derivante dal modelli 730;
   secondo quanto si apprende, e stando a quanto affermato a fonti sindacali i licenziamenti risultano essere in controtendenza rispetto alle nuove commesse assunte dall'azienda tra cui quella prevista per aprile 2015 per quattro Boeing 747-8 di un'importante compagnia aerea russa;
   a tutt'oggi i lavoratori in mobilità mantengono un presidio permanente davanti alla azienda Aviointeriors e forte è la preoccupazione che si ripeta la medesima «strategia aziendale» che ha caratterizzato le precedenti operazioni aziendali condotte dal signor Veneruso e che ha portato alla disgregazione delle precedenti imprese –:
   quali iniziative intendano intraprendere – ovvero abbia intrapreso e con quale esito – per appurare l'esistenza dei presupposti previsti alla normativa vigente in merito alla procedura di mobilità avviata dall'azienda in questione;
   quali urgenti iniziative intendano attuare per conoscere le reali intenzioni della dirigenza della Aviointeriors e per favorire la predisposizione di un serio e trasparente piano industriale che impegni l'azienda al rilancio dell'attività produttiva con nuovi investimenti e al reintegro dei lavoratori licenziati scongiurando il temuto ridimensionamento o la chiusura dell'azienda;
   quali iniziative normative intenda adottare il Governo per inibire, arginare e prevenire l'abuso di strumenti giuridici pensati per supportare le imprese in difficoltà. (5-05499)


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, TRIPIEDI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica negli ultimi ha comportato una progressiva desertificazione industriale in diverse aree del paese del Paese, molte di queste in passato caratterizzate da una stabile vocazione ad attività produttiva: basti pensare, solo per citare qualche esempio, ai siti marchigiani ed umbri dove sono (o erano) localizzate le aziende della Merloni e dell'Indesit, famose per gli elettrodomestici e la componentistica;
   tuttavia oltre agli aspetti congiunturali dovuti alla crisi economica e al calo della domanda interna, sempre più spesso si riscontrano tendenze preoccupanti, da parte di alcuni imprenditori, ad abusare degli strumenti messi a disposizione dalla normativa vigente in tema di ammortizzatori sociali e di sostegno alle imprese e al lavoro: la cassa integrazione, ad esempio, viene sovente utilizzata in modo distorto, non come sostegno al reddito dei lavoratori, ma come una sorta di «bancomat» a cui accedono gli imprenditori per abbattere il costo del lavoro;
   in altri casi si assiste alla tendenza di alcuni imprenditori a compiere complesse e spregiudicate operazioni societarie (scissioni, vendite e/o affitti di rami di aziende, conferimenti in trust, operazioni di outsourcing, apertura di procedure concorsuali o concordati, creazione di nuove imprese con cambi di oggetto sociale, quotazione della azienda nel mercato finanziaria e altro) che seppur consentite dal diritto societario vengono utilizzate in modo improprio, tali da generare il duplice effetto di pregiudicare le ragioni creditorie (di fornitori, clienti e soprattutto lavoratori) e di alimentare una vorace economia finanziaria a beneficio di pochissimi ed impoverire l'economia reale del Paese;
   tale situazione non comporta solo un danno per i soggetti direttamente coinvolti, ma anche – e soprattutto – per la collettività, che è costretta a pagare, suo malgrado, per la mala gestio altrui;
   in diversi casi, come quello che si riporta infra, appaiono agli interroganti alcuni comportamenti di dubbia regolarità che nelle more dei tempi degli eventuali accertamenti giudiziari lasciano esposti lavoratori e creditori, con scarsissime possibilità di intervento a tutela delle posizioni legittime;
   la società Trafomec spa di Tavernelle di Panicale (PG), nata negli anni ’80, era una fabbrica ad alta tecnologia conosciuta in tutto il mondo che progettava e produceva trasformatori e combinazioni magnetiche per la Nasa, componenti per il circuito antincendio del Tgv, trasformatori per i treni che passano sotto la Manica;
   proprio per il suo alto valore tecnologico ha attirato anche speculatori vari che, nella distrazione di molti, hanno distrutto quello che era il fiore all'occhiello della Val Nestore (PG);
   degli anni l'azienda si espande fondando Eurotrafo per componenti di medio voltaggio, Trafofluid per trasformatori raffreddati ad acqua, nel 1999 diventa il maggior azionista della società svizzera Imel Energy per componenti di piccole serie e nel 2000 registra 40 miliardi di euro di investimenti e 320 dipendenti;
   le origini della crisi risalgono al 2003 quando Trafomec viene investita da una crisi finanziaria che genera un deficit di circa trenta milioni di euro. Viene esautorato tutto il vecchio gruppo dirigente e nel periodo di transizione forte è la presenza di Gepafin (società finanziaria partecipata dalla regione Umbria) e Sviluppumbria anche all'interno del consiglio di amministrazione della società. Viene rinegoziato il debito e Gabrio Caraffini, immobiliarista di Città di Castello, rileva il pacchetto di maggioranza della Trafomec che riesce a godere delle garanzie che, grazie alle istituzioni, riaccordano la fiducia all'azienda;
   nel 2008 entra nel pacchetto azionario di Trafomec la Cape Live di Simone Cimino, discusso finanziere agrigentino, con circa il 46 per cento di azioni. Caraffini e Cimino si lanciano in altre avventure finanziarie che ben presto li portano entrambi in problemi giudiziari per vari reati: l'azienda e il gruppo finiscono nelle mani di soggetti che sfruttano più le sue potenzialità commerciali che industriali (www.ricerca.repubblica.it del 26 novembre 2010 «Cimino, Cape Live e il giro di soldi schermati dal Belgio» di Walter Galbiati);
   nonostante Trafomec potesse vantare di essere il fornitore esclusivo di clienti come la NASA, TGV treno ad alta velocità francese, la partecipazione al progetto ENEL per la prima centrale solare termodinamica di Siracura, negli anni 2010 – 2011 viene investita da una serie di scandali in cui rimanevano coinvolte persone legate alla vecchia proprietà Trafomec (www.umbria24.it del 29 settembre 2011 «Bancarotta e riciclaggio, arrestato l’ex numero uno di Trafomec Gabrio Caraffini e altre quattro persone») che, unitamente ad una crisi del settore e alla mancata ristrutturazione della struttura produttiva di Tavernelle di Panicale dovuta a scelte imprenditoriali del management, portavano la società alla richiesta di apertura di una procedura di mobilità nel luglio del 2011 con esuberi che coinvolgevano 105 lavoratori su 156 occupati presso lo stabilimento di Tavernelle e successivamente nel settembre 2011 veniva accolta la richiesta di cassa integrazione guadagni in deroga per la quasi totalità dei dipendenti (pari a 154 lavoratori);
   successivamente Trafomec spa di Tavernelle di Panicale (PG) assumeva la denominazione di Trafoitalia spa con sede in Milano e la nuova Trafomec Europe spa nel marzo 2014 stipula accordo con i sindacati, con la mediazione dell'assessorato allo Sviluppo Economico e Attività Produttive della Regione Umbria che prevede la localizzazione dell'unico sito produttivo di Trafomec Europea a Tavernelle attraverso il riassorbimento di 120 lavoratori;
   con l'accordo del maggio 2014 viene stabilito un riassorbimento dei lavoratori che manifestano la propria disponibilità anche se ciò comporterà una decurtazione salariale pesante e la cancellazione dell'anzianità di servizio e per i lavoratori che non vena o ricollocati viene concordato un incentivo all'esodo pari a 8 mila euro da erogare insieme alle altre spettanze in 6 rate. I pagamenti dovranno essere effettuati da TrafoItalia e vengono garantiti da Trafomec Europe;
   eppure nonostante l'accordo non tutti i lavoratori vengono riassorbiti rispetto ai 120 previsti dall'accordo e nessuna delle spettanze dovute viene corrisposto sia da TrafoItalia che da Trafomec Europe;
   addirittura nel dicembre del 2014 il tribunale di Milano revoca l'ammissione al concordato preventivo di TrafoItalia per irregolarità finanziarie e ne decreta il fallimento (fallimento n. 1106 del 2014);
   tutta la vicenda descritta, a parere degli interroganti, è emblematica anche di come possono essere utilizzati a volte in modo improprio gli strumenti previsti dal diritto societario, come l'affitto di ramo d'azienda o le procedure concorsuali, tali da tradursi alla fine in pregiudizio per i creditori e i lavoratori che subiscono tali operazioni;
   a tutt'oggi forte rimane la preoccupazione tra tutti i dipendenti ed ex dipendenti della Trafomec sia in merito al mancato rispetto degli accordi faticosamente raggiunti sia per le prospettive lavorative legate al futuro dello stabilimento –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo, per quanto di propria competenza, al fine di richiamare le aziende in questione al rispetto degli accordi sottoscritti con i lavoratori;
   se risulti al Governo un quadro preciso della situazione attuale, piano industriale, piano di investimenti, situazione occupazionale e prospettive a breve, medio e lungo termine del sito industriale di Tavernelle della Trafomec Europe;
   quali urgenti iniziative intenda assumere il Governo – anche di concerto con le istituzioni locali e regionali – per favorire la predisposizione di un serio piano industriale con investimenti e risorse, purché finalizzato ad un effettivo rilancio dell'attività produttiva dello stabilimento di Tavernelle della Trafomec Europe e che assicuri il pagamento di quanto dovuto ai lavoratori in base agli accordi sottoscritti;
   quali iniziative normative il Governo intenda adottare per inibire, arginare e prevenire l'abuso di strumenti giuridici pensati per supportare le imprese in difficoltà. (5-05500)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sensibilità chimica multipla (MCS) è una malattia che pochi conoscono e che la maggior parte dei medici riconosce con difficoltà. La malattia si caratterizza infatti per una serie di sintomi differenti, che possono colpire ogni organo, e le sue manifestazioni sono estremamente differenti da persona a persona e infatti il nome stesso dato alla patologie è piuttosto generico. I sintomi più frequenti, ed altamente lesivi della qualità della vita del paziente, fino all'invalidità, sono quelli di tipo allergico, come difficoltà respiratoria, nausea, emicrania, dermatiti da contatto, vertigini, ipersensibilità agli odori e manifestazioni, talvolta anche gravi a livello neurologico, come sdoppiamento della personalità e amnesia;
   con il tempo, soprattutto se l'esposizione alla sostanza continua, la malattia produce nell'organismo effetti irreversibili e può portare addirittura allo sviluppo del cancro, di malattie autoimmuni e all'ictus. Proprio la presenza dei sintomi neurologici, accompagnata dal fatto che nei pazienti non venivano riscontrate allergia, ha per molto tempo indotto a indirizzare queste persone verso cure psichiatriche, ma solo in alcuni casi trattamenti con gli antidepressivi hanno dato buoni risultati. Oltre alla varietà dei sintomi e della loro gravità a rendere più difficile la diagnosi – e anche a rendere assai difficile una vita normale – è il fatto che a causarli possono essere sostanze molto differenti tra loro e di uso estremamente comune come la candeggina, detergenti, profumi, saponi, pesticidi e prodotti da giardino, ma anche gas di scarico, micropolveri e campi elettromagnetici accentuati. Per molti pazienti diventa difficile trovare anche un ambiente adeguato in cui vivere, poiché l'installazione di un ripetitore telefonico, la presenza di un benzinaio o di molto traffico o di altre comuni attività commerciali vicine può rendere la vita insopportabile;
   spesso i sintomi si accompagnano a stati ansiosi e depressioni, ma è difficile ancora stabilire se questi facciano veramente parte della malattia o siano piuttosto una conseguenza del timore continuo di entrare in contatto con le sostanze e la difficoltà a condurre una vita normale. Attualmente, l'ipotesi tenuta in maggior considerazione, scartata ormai quella che si tratti di un problema di tipo psichiatrico, è che la malattia sia causata da una ridotta capacità di metabolizzazione delle sostanze xenobiotiche a causa di una carenza genetica o della rottura dei meccanismi enzimatici di metabolizzazione a seguito della esposizione tossica;
   un caso drammatico è rappresentato dalla situazione di Deborah Iori una giovane mamma di Varese che non può più abbracciare i suoi figli, non può alimentarsi, non può uscire, non può indossare gli abiti che portava prima, perché rischia di morire. Se non parte subito per la costosa terapia all'estero, difficilmente, a Varese come in Italia, senza le adeguate cure, potrà sopravvivere a lungo;
   la situazione fisica è quasi compromessa con un peso di 35 chili, costretta su una sedia a rotelle, respirare con una mascherina e non può più alimentarsi, se non attraverso l'acqua. La condizione peggiora visibilmente, di giorno in giorno. I problemi fisici della signora Iori erano già sorti nell'infanzia e l'incertezza della diagnosi è durata fino al 2001, quando viene scoperta una forma di celiachia. Tuttavia, nonostante la rigorosa dieta i sintomi hanno continuato a persistere;
   negli anni la malattia, attribuita ad un quadro di miastenia gravis, peggiora a tal punto da compromettere la deambulazione e a costringere la paziente su di una carrozzina;
   dall'estate 2012 comincia un doloroso declino progressivo che porta ad avere continui rischi letali, anche solo attraverso il contatto casuale con odori o profumi della quotidianità, come cibi o detersivi. L'unico modo per sopravvivere è vivere costantemente attaccata alla mascherina in una camera della sua casa, completamente aerata. Nell'ultimo mese è arrivata finalmente a conoscere il nome del suo nemico: una grave mitocondriopatia causata da un forte deficit di attività di glutatione trasferasica, meglio conosciuta con la sigla Mcs. In Italia non è possibile curare questa malattia, gli unici centri al mondo sono a Londra e a Dallas, e sono entrambi privati;
   il giorno 5 maggio 2015 è prevista la partenza per raggiungere Dallas per iniziare le cure, ma per il viaggio è necessario predisporre un velivolo speciale che, per rispettare il protocollo internazionale del MCS, dovrà subire un trattamento particolare che porterà ad un completo smontaggio, a quattro procedimenti di pulitura totali e ad un rimontaggio con copertura di fogli di alluminio di ogni superficie al fine di azzerare ogni possibilità di contatto con sostanze che non siano aria purissima;
   il costo del viaggio e delle cure si aggira tra i 180 ed i 200 mila euro, non sostenibili dalla famiglia Iori provata da una vita di cure e al momento si sta provvedendo con aiuti che giungono attraverso la generosità di molti cittadini della provincia di Varese attraverso le più disparate iniziative –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda assumere urgentemente iniziative per predisporre forme di sostegno per i malati di sensibilità chimica multipla nell'immediato per i casi più gravi, dando loro la possibilità di curarsi nei centri esteri in attesa di istituire centri specialistici in Italia e ricordando che per gli esperti italiani in Italia le persone affette da sensibilità chimica multipla sono circa 1 milione ma che solo quindicimila, circa l'uno virgola cinque per cento del totale, sanno di esserne affetti.
   (5-05496)


   MANTERO, BUSTO, GRILLO, LOREFICE, DI VITA, SILVIA GIORDANO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal giornale «Il Monferrato», datato 16 gennaio 2015, si è appresa la notizia dal titolo «Mesotelioma. Un progetto mai illustrato ufficialmente emerso spulciando in internet. E pone parecchi quesiti. Riunioni e telefono: 130mila euro !» con sottotitolo «Ingenti spese amministrative per la rete organizzativa. E la ricerca ?»;
   nel citato articolo si fa riferimento al «progetto esecutivo» con fondi pubblici avente ad oggetto «Rete organizzativa per la promozione della comprensione dei fenomeni molecolari, l'ottimizzazione dei percorsi diagnostici e terapeutici e gli studi clinici sperimentali per il mesotelioma maligno della pleura»;
   nell'articolo si riferisce di aver trovato il cosiddetto «progetto esecutivo programma CCM 2012» nel sito dell'associazione Comitato permanente ex esposti, amianto e ambiente, che ha sede a Giammoro, in provincia di Messina, e il cui responsabile ha confermato di esserne venuto in possesso dopo l'incontro tra gli esponenti del comitato e quelli del Ministero della salute avvenuto ad agosto 2013;
   inoltre, dal giornale «Il Monferrato», datato 20 marzo 2015, si è appresa la notizia dal titolo «Dove sono i soldi della ricerca ?» nel quale un'ex infermiera del Santo Spirito di Casale Monferrato (Piemonte), «portatrice sana di mesotelioma», si interroga, tra le altre cose, sui fondi destinati al mesotelioma, malattia conosciuta anche come il tumore dell'amianto;
   ad oggi non si comprende quale sia stato l'impiego dei fondi destinati alla ricerca, dei 600mila euro, per il progetto sopra indicato: «Rete organizzativa nazionale per la promozione della comprensione dei fenomeni molecolari, l'ottimizzazione dei percorsi diagnostici e terapeutici e gli studi clinici sperimentali per il mesotelioma maligno della pleura»;
   il professor Luciano Mutti, Titolare della cattedra di ricerca sul cancro alla Salford University e responsabile dell'unità per studio e cura dei tumori toracici al Salford Royal Hospital University of Manchester, presidente del GIME, Gruppo italiano mesotelioma e direttore del dipartimento terapia e cura del mesotelioma dell'Osservatorio nazionale sull'amianto, in prima linea da anni nella ricerca delle cure per il mesotelioma, ha affermato che ci si può ammalare di amianto in molti modi, ci si può ammalare con malattie benigne, ci si può ammalare con malattie maligne, peccato che le risorse destinate alla ricerca su questo tumore siano sempre state molto piccole;
   non si sa ancora oggi quali siano stati invece i criteri con i quali le risorse per questa ricerca sono state assegnate, per quale scopo, che uso ne è stato fatto, quali sono i risultati e soprattutto su quali basi si sono identificati gli «esperti»;
   il professor Mutti invita a fare un semplice confronto con i metodi utilizzati nello stesso frangente negli altri Paesi europei e, in particolare, in Inghilterra dove i casi accertati di tumore della pleura sono quasi il doppio di quelli italiani;
   non si può che essere quindi stupefatti nell'apprendere dal giornale locale «Il Monferrato» quanto segue: «una rete di ricerca per nuove terapie sul mesotelioma: 600mila euro (già stanziati) tutti destinati alla organizzazione e nulla alla ricerca vera e propria; tra i costi anche 70mila euro per telefono e poste (in tempo di email e pec gratuite), 60mila euro per quattro riunioni (15mila l'una), 20mila euro per un rapporto annuale (stampa e redazione) che almeno al nostro giornale non è mai stato reso noto»;
   si apprende, ancora:
    che il progetto annunciato alcuni anni fa – dopo la nomina del pool di esperti da parte del Ministro Balduzzi per le problematiche legate alla ricerca amianto – effettivamente esiste, e coinvolge, oltre al professor Giorgio Scagliotti, qualificato capo progetto, altre 14 unità operative ubicate in sette regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Liguria, Lazio), e il referente di ognuna regione nel progetto viene identificato con nome e cognome;
    che il progetto aveva una durata di due anni (per cui dovrebbe addirittura essere già concluso);
    che nessuno sa quali siano i risultati raggiunti;
    che la domanda è stata rivolta da alcuni giornali anche al coordinatore del progetto professor Giorgio Scagliotti dell'università di Torino, dipartimento di oncologia, soprattutto in merito all'impiego delle risorse, ma che questi non si è reso disponibile;
    nel progetto iniziale – che ipotizzava un costo complessivo di 600mila euro e totalizzava nel piano finanziario generale risorse per 700mila euro – sono previsti 520mila euro per il personale (35mila euro lordi per 14 unità), ma non è chiaro se si tratti di nuove figure professionali o di integrazioni economiche destinate a personale già a ruolo;
    altra voce di spesa (70.000 euro) è prevista per i cosiddetti «costi indiretti»: posta, telefono, corriere; 60mila euro sono invece previsti per quattro riunioni la prima per dare avvio al progetto e le altre tre – a scadenza semestrale – presumibilmente per le necessarie verifiche e aggiornamenti;
    prevista la costruzione di un sito web specifico per la cui realizzazione e manutenzione si prevede un esborso di 25mila euro;
    20mila euro costerebbe invece la redazione e la stampa del rapporto annuale di attività, ma anche in questo caso, come evidenziato nell'articolo de Il Monferrato, «alla nostra redazione non è mai pervenuto alcun report, nonostante la nostra testata segua da sempre e con attenzione la problematica amianto»; tra l'altro, trattandosi di un progetto di durata biennale, i rapporti avrebbero dovuti essere due;
    infine, sono previsti 5000 euro per «le missioni destinate alla “disseminazione attività di rete”», difficile da interpretare a cosa si riferisca;
    ma la cosa che fa più riflettere è il fatto che dal planning firmato dal professor Scagliotti, non risulta evidente alcuna attività di ricerca vera e propria, ma pare che il 100 per cento del finanziamento sia destinato esclusivamente alla struttura organizzativa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e a che punto sia il progetto biennale sopra esposto;
   se il progetto si sia già concluso, dato che 600mila euro sarebbero già stati erogati e i due anni di durata sono già trascorsi;
   quale ente abbia ricevuto e gestito le risorse economiche e come le abbia rendicontate;
   se i fondi stanziati siano stati utilizzati interamente;
   se sia stato predisposto il rapporto annuale e, nel caso fosse stato predisposto, per quali ragioni non sia stato diffuso, così come sembrerebbe da quanto sopra esposto;
   quali siano i risultati raggiunti dal progetto;
   nel caso esistano dei risultati, come mai non siano stati diffusi, neanche sui siti tematici;
   se esista un sito internet di riferimento del progetto, così come previsto;
   se risultino congrue le spese relative a telefono, sito, rapporto annuale e riunioni;
   se sia possibile ricevere una spiegazione circa le attività in cui consisterebbe la «disseminazione attività di rete»;
   se il progetto sia stato rinnovato con nuovi stanziamenti. (5-05501)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2014 si è tenuta la prima riunione del gruppo di coordinamento nazionale GNL che, secondo quanto riportato nel comunicato «GNL, verso il piano strategico nazionale», pubblicato sul sito del Ministero dello sviluppo economico il 30 aprile 2014, «ha iniziato formalmente l'attività prevista nello studio di fattibilità tecnica ed economica propedeutica alla predisposizione del Piano strategico nazionale sull'utilizzo del GNL in Italia»;
   nel corso della riunione, sarebbero «stati costituiti i sottogruppi ed individuati i soggetti pubblici e privati che saranno coinvolti in questa prima fase»;
   al gruppo di coordinamento nazionale GNL e i sottogruppi dovrebbero svolgere le proprie attività su quattro tematiche principali: un sottogruppo trasversale (autorizzazioni, approvvigionamento e stoccaggio, accettabilità sociale e divulgazione, sicurezza dello stoccaggio e distribuzione) e tre sottogruppi settoriali (impiego nei trasporti marittimi, impiego nei trasporti terrestri, impiego per gli altri usi finali);
   il comunicato riferisce inoltre che «Periodicamente vi saranno riunioni del gruppo di coordinamento nazionale GNL per valutare lo stato di avanzamento dei lavori. I risultati più rilevanti saranno diffusi attraverso la sezione dedicata sul sito del Ministero»;
   è disponibile nel sito del Ministero dello sviluppo economico il documento «Prima composizione del Coordinamento tecnico per lo studio di fattibilità», stilato nel mese di aprile del 2014 dal Coordinamento tecnico per lo studio di fattibilità tecnica ed economica per il piano strategico nazionale sull'utilizzo del GNL (gas naturale liquido);
   il documento, oltre a indicare i diversi soggetti che compongono i quattro sottogruppi, illustra iter e tempi per la predisposizione del piano strategico nazionale sul gas naturale liquido;
   in particolare viene indicato un tempo di 6 mesi per la predisposizione delle prime bozze e per organizzare un convegno di discussione; viene inoltre specificato che il documento dovrà essere «snello di massimo 50 pagine con allegati tematici» e che si sarebbe dovuta tenere una «consultazione pubblica online»; viene indicata la predisposizione del piano strategico nazionale del GNL nella versione finale e la predisposizione di un disegno di legge entro l'inizio del 2015 per definire gli aspetti normativi conseguenti;
   a oltre un anno dall'insediamento del gruppo di coordinamento nazionale GNL, non si conoscono né le attività svolte dal gruppo nella predisposizione dello studio di fattibilità né lo stato di avanzamento del piano strategico nazionale sull'utilizzo del gas naturale liquido in Italia;
   le ultime notizie pubblicate sul sito sono quelle relative ai già citati documenti risalenti al mese di aprile 2014;
   la sezione dedicata sul sito internet del Ministero, destinata a illustrare «i risultati più rilevanti», non sembra essere aggiornata e, per alcune modalità, sembra addirittura inattiva;
   lo studio di fattibilità tecnica ed economica dovrebbe essere frutto di un'analisi approfondita delle esperienze già in atto in altri Paesi, delle potenzialità d'impiego in Italia, dei risvolti economici per i settori di competenza nonché sui rischi e sull'articolato sistema a garanzia dell'incolumità delle persone e della salvaguardia dell'ambiente;
   in una fase di transizione verso un sistema energetico basato su fonti rinnovabili, il gas naturale liquido potrebbe attenuare i costi di approvvigionamento energetico e migliorare le prestazioni ambientali in termini di emissioni di CO2 e di particolato;
   l'assenza di un piano strategico nazionale, in una fase in cui si sta registrando un forte interesse da parte di diversi soggetti verso il gas naturale liquido, potrebbe rappresentare un forte limite sia per tutti gli aspetti attinenti alla sicurezza sia per quanto riguarda la necessaria pianificazione degli investimenti volti alla realizzazione di infrastrutture di distribuzione e stoccaggio del gas;
   in particolare, si segnala che diversi soggetti sia consumatori di energia sia produttori di impianti, apparecchiature e macchinari sono impegnati nella pianificazione di ingenti investimenti volti all'utilizzo del gas naturale liquido, attività che richiama con urgenza la necessità di un quadro normativo di riferimento –:
   quali siano, a distanza di un anno dal suo insediamento, le risultante del lavoro svolto sino ad oggi dal gruppo di coordinamento nazionale GNL;
   quali siano le ragioni a causa delle quali, nel corso di un anno, non è stata aggiornata la sezione del sito del Ministero dello sviluppo economico dedicato al piano strategico nazionale sull'utilizzo del gas naturale liquefatto;
   se non ritenga opportuno definire nel dettaglio il crono programma del lavoro del gruppo di coordinamento nazionale GNL e di rendere pubblici, di volta in volta, i risultati raggiunti dal gruppo.
(5-05494)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOCATELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il caso della Cooperativa di Consumo di piccole medie dimensioni di Terno d'Isola, in provincia di Bergamo, costituisce un utile caso di specie per sottoporre all'attenzione del Governo un problema più generale che attiene alla vigilanza sugli enti cooperativi di cui al decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220;
   la competenza ad esercitare la vigilanza sugli enti cooperativi spetta al Ministero dello sviluppo economico o alle associazioni nazionali di rappresentanza giuridicamente riconosciute;
   l'attività di vigilanza è volta a garantire la trasparenza nella gestione ed il corretto funzionamento amministrativo della cooperativa, oltre che ad assicurare che le società e gli enti che si definiscono mutualistici, perseguano effettivamente tali finalità;
   la cooperativa di consumo di Terno d'Isola (Bergamo) codice fiscale 00298260167, risulterebbe da anni gestita in modo per nulla trasparente e nemmeno rispondente allo spirito cooperativo nonostante le reiterate segnalazioni alla Associazione cui la Cooperativa aderisce e che dovrebbe garantire la forma di controllo prevista dal decreto citato;
   il 4 marzo 2015 è stata inoltrata al presidente, al direttore e al responsabile revisioni della Confcooperative di Bergamo un'articolata lettera-denuncia, sottoscritta da un gruppo di soci, delle irregolarità consumate nella gestione della cooperativa di Terno d'Isola auspicando un appropriato intervento per il pronto ristabilimento di una corretta gestione finalizzata al pieno conseguimento degli obiettivi sociali;
   rimasto inascoltato l'appello rivolto agli organi provinciali della Confcooperative di Bergamo, 18 soci della suddetta Cooperativa hanno inoltrato in data 20 aprile 2015 al Ministero dello sviluppo economico, direzione della divisione V — vigilanza sul sistema cooperativo – attività ispettiva e di revisione, una nuova lettera-esposto in cui si denunciavano le varie irregolarità, avanzando, a tal proposito, la richiesta di ispezione straordinaria e di urgente intervento per quanto di propria competenza;
   a tutt'oggi le varie istanze di intervento inoltrate agli organi cui la legge affida il controllo sugli enti cooperativi non hanno prodotto effetto alcuno –:
   se la situazione rappresentata possa considerarsi eccezionale, vista la rilevante presenza di cooperative di piccole e medie dimensione;
   quali iniziative intenda assumere perché venga disposta dalla direzione V del Ministero dello sviluppo economico una verifica specifica nei confronti della cooperativa citata e, nel caso venissero riscontrate le segnalazioni fatte, quali iniziative intenda adottare nei confronti dei responsabili del mancato controllo;
   se non ritenga utile, per quanto di competenza, una verifica più generale dell'operato delle associazioni in merito alle attività di vigilanza;
   se non ritenga necessario assumere iniziative di carattere normativo per rivedere la disposizione che prevede di delegare l'attività di controllo alle associazioni, considerato che le stesse rappresentano le cooperative e ciò determina a giudizio dell'interrogante un chiaro conflitto di interessi. (4-09035)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Paolo Nicolò Romano e Petraroli n. 5-05433, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pesco.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Chimienti e altri n. 5-05444, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Micillo, Cozzolino.

Cambio di presentatori di mozioni.

  La mozione n. 1-00795, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 aprile 2015, è da intendersi presentata dall'onorevole Mucci, già cofirmatario della stessa.

  La mozione n. 1-00834, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 aprile 2015, è da intendersi presentata dall'onorevole Segoni, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Zolezzi n. 4-07036 del 26 novembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Pastorelli n. 4-07086 del 29 novembre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Rubinato n. 5-04863 del 26 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Borghesi n. 4-08543 del 25 marzo 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Fabrizio Di Stefano n. 5-05304 del 10 aprile 2015.