Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 23 aprile 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nella risoluzione del 18 giugno 1987, il Parlamento europeo ha riconosciuto che i tragici avvenimenti verificatisi negli anni 1915-1917 a danno degli armeni stabiliti sul territorio dell'Impero ottomano costituiscono un genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio;
    con la citata risoluzione 18 giugno 1987, il Parlamento europeo invitava, quindi, il Consiglio ad adoperarsi perché il governo turco riconoscesse il genocidio perpetrato nei confronti degli armeni nel 1915/17 e favorisse l'instaurarsi di un dialogo politico tra la Turchia ed i delegati del popolo armeno;
    nel 2012 il Parlamento francese ha approvato una legge che punisce con il carcere la negazione del genocidio armeno, mentre sono numerosi i Paesi che hanno ufficialmente riconosciuto il genocidio armeno, tra cui: Argentina, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Lituania, Libano, Paesi Bassi, Polonia, Russia, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Uruguay e Venezuela;
    nella risoluzione approvata a larga maggioranza il 15 novembre 2000, sulla relazione periodica 1999 della Commissione europea sui progressi della Turchia verso l'adesione, si invitava il Governo turco al riconoscimento del genocidio ai danni della minoranza armena, ed ad avviare un dialogo con l'Armenia, segnatamente al fine di ristabilire relazioni diplomatiche e commerciali normali tra i due paesi e di togliere il blocco attualmente in vigore;
    il 16 novembre 2000 è stata approvata dalla Camera dei deputati la risoluzione n. 6-00148, in cui, facendo riferimento alla sopra citata risoluzione, si impegnava il Governo ad adoperarsi per il completo superamento di ogni contrapposizione tra popoli e minoranze diverse nell'area, al fine di creare le condizioni, nel rispetto dell'integrità territoriale dei due Stati, per la pacifica convivenza e la corretta tutela dei diritti umani nella prospettiva di una più rapida integrazione della Turchia e dell'intera regione nell'Unione europea;
    in data 11 febbraio 2015, il Senato ha approvato a larghissima maggioranza il disegno di legge contro il negazionismo (ora all'esame della Commissione giustizia della Camera dei deputati), con il quale si prevede un'aggravante di pena di tre anni per i reati di propaganda, pubblica istigazione e pubblico incitamento a commettere atti di discriminazione razziale, se essi si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah, dei crimini contro l'umanità o dei crimini di guerra, come definiti dallo statuto della Corte penale internazionale;
    lo Stato turco rifiuta, tuttora, l'accusa di genocidio ritenendola infondata;
    nel corso dell'omelia pronunciata il 12 aprile 2015 nella basilica di San Pietro, il Papa, di fronte a tutti i rappresentanti delle diverse confessioni cristiane dell'Armenia, tra i quali spiccava Karekin II, catholicos di tutti gli armeni, e al Presidente della Repubblica Seri Sargsyan, ha usato il termine genocidio per riferirsi al massacro degli armeni, avvenuto nel 1915: «La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come il primo genocidio del Ventesimo secolo, essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana»;
    il presidente islamico turco Recep Tayyip Erdogan ha «condannato» le parole di Papa Francesco sul genocidio armeno del 1915-16 e lo ha «avvertito» di non «ripetere questo errore»;
    il 15 aprile 2015 è stata nuovamente approvata una risoluzione da parte del Parlamento europeo, in cui, ribadendo l'importanza di mantenere vivo il ricordo del passato, perché non può esservi riconciliazione senza verità e memoria, e unendosi alla commemorazione del centenario del genocidio armeno in uno spirito di fratellanza europea, solidarietà e giustizia, si propone l'istituzione di una giornata europea del ricordo dei genocidi, al fine di ricordare ancora una volta il diritto di tutti i popoli e di tutte le nazioni del mondo alla pace e alla dignità;
   nei giorni successivi la Turchia ha anche minacciato di espellere i 100.000 armeni che vivono in territorio turco, mentre il primo ministro Davutoglu è tornato a parlare di «complotto», spingendosi ad accusare che il Papa ha aderito al fronte del male che cospira contro il Governo turco;
   la questione armena e quella delle minoranze in Turchia devono essere inserite nel quadro delle relazioni tra la Turchia e L'Unione europea in quanto la democrazia non può mettere solide radici in un Paese, se non a condizione che quest'ultimo riconosca e arricchisca la propria storia con le diversità etniche e culturali;
   l'integrazione europea, modello di pace e di riconciliazione, si fonda sulla libera scelta dei popoli europei a impegnarsi per un futuro comune, e l'Unione europea ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia e il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, sia all'interno che all'esterno del suo territorio;
   come invocato da Papa Francesco, riconoscere la verità storica e il male compiuto serve a prevenire che esso torni a ripetersi ai nostri giorni nelle numerose aree di conflitto in cui è all'opera il fondamento islamico ed è la premessa perché esso altri genocidi non abbiano più a verificarsi in Siria, in Pakistan, in Iraq e in altre parti del mondo;
   nella sessione plenaria a Bruxelles l'Europarlamento ha chiesto alla Turchia di «continuare nei suoi sforzi per il riconoscimento del genocidio armeno» e anche «l'apertura degli archivi per accettare il passato». Per l'Europa i turchi ottomani commisero «un genocidio» ai danni degli armeni tra il 1915 e il 1917;
   riprendendo esplicitamente l'invito rivolto dal Papa in occasione della messa con gli armeni del 12 aprile, i parlamentari europei hanno incoraggiato la Turchia a sfruttare le commemorazioni del centenario del genocidio per «creare le condizioni per un'autentica riconciliazione tra il popolo turco e quello armeno», si legge ancora nel documento;
    ad essi purtroppo una nota del Ministro degli esteri turco ha risposto sprezzantemente affermando: «Noi non prendiamo seriamente coloro che hanno adottato questa risoluzione» e ridicolizzando l'importanza dell'Europarlamento a motivo della bassa parte partecipazione popolare alle elezioni con cui è stato rinnovato nel 2014;
    queste contraddizioni dovrebbero auspicabilmente poter essere superate nel corso del processo di avvicinamento della Turchia all'Unione europea,

impegna il Governo:

   a sostenere presso le istituzioni europee ogni iniziativa volta ad accelerare il riconoscimento da parte del Governo turco del genocidio armeno e della identità del popolo armeno, in quanto minoranza etnica, culturale, linguistica e religiosa;
   ad aderire alla giornata europea del ricordo dei genocidi promossa dal Parlamento europeo;
   a mettere a disposizione degli studiosi tutto il materiale di interesse storico disponibile negli archivi.
(1-00831) «Gigli, Sberna, Marazziti, Caruso, Capelli, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    dai rubinetti di Brescia sgorga acqua destinata ad uso potabile sempre più carica di cromo esavalente, sostanza che, «sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche è stata classificata dalla IARC (International agency for research on cancer) come cancerogena per l'uomo (classe I)» (Fact sheet: «Cromo esavalente», Ispesl, dipartimento di medicina del lavoro, Centro ricerche l'Arma CERT); diversi studi, infatti, hanno dimostrato l'elevata tossicità del cromo esavalente se ingerito o se ne vengono respirati i fumi;
    sono ormai all'ordine del giorno, come in un bollettino di guerra, le segnalazioni di valori di record di cromo VI rilevati nell'acqua di Brescia e dintorni:
     il 5 marzo, a Folzano, una frazione del comune di Brescia, il valore di cromo VI rilevato nell'acqua di quattro pozzi privati è arrivato a livelli record: fino a 300 microgrammi litro, 6 volte il limite stabilito dalla legge per l'acqua potabile con il decreto legislativo n. 31 del 2001, di 50 per l'acqua del rubinetto e di 5 per la falda; scoperta che ha portato il Comune ad emettere un'ordinanza per vietare categoricamente il consumo di quell'acqua «perché non è potabile e non può essere destinata al consumo umano»;
    il 2 marzo scorso, ad Ospitaletto, provincia di Brescia, è stato rilevato che le falde acquifere sono inquinate da cromo esavalente per un valore di ben 70 volte oltre il limite di legge, ossia fino a 364 microgrammi per litro: si è scoperto questo sotto il tracciato del TAV;
     nel dicembre del 2014 è stata riscontrata la presenza di cromo esavalente oltre i limiti sotto la terza corsia dell'autostrada A4, mentre si stava creando un sottopasso per la Brebemi: il valore era di 1.400 volte oltre il limite;
    solo il 3 marzo scorso, è stata fornita finalmente una risposta, peraltro risultata insoddisfacente per l'interrogante, all'interrogazione n. 3-01321 datata dicembre 2013 sul grave problema della presenza del cromo VI nell'acqua di Brescia e dintorni;
    il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, rispondendo alla interrogazione n. 3-01321 ha confermato come di fatto le istituzioni si stiano accorgendo soltanto adesso della gravità della situazione del cromo VI, dichiarando che: «nel corso dell'incontro in sede comunitaria del gruppo di esperti in materia di acqua potabile (direttiva n. 98/83/CE che ho citato) che si è svolto a Bruxelles in data 18 dicembre 2014, proprio su proposta dell'autorità sanitaria centrale italiana, che valuta la rilevanza della questione in esame, è stata posta all'ordine del giorno la necessità e l'urgenza di aggiornare i parametri di controllo previsti in direttiva di sostanze chimiche di interesse comune per gli Stati membri, tra le quali anche il cromo VI. A tale riguardo, è stata comunicata dalla Commissione europea la pianificazione di un accordo di cooperazione tra la Commissione europea e l'Organizzazione mondiale della sanità per la revisione tecnico-scientifica dei criteri che presiedono ai parametri e ai valori di parametro attualmente indicati nella direttiva n. 98/83/CE»;
    sempre rispondendo in Aula alla interrogazione n. 3-01321, il sottosegretario Vito De Filippo ha concluso con un'altra promessa priva di indicazioni temporali precise: «Da ultimo, rassicuro gli onorevoli interroganti che stiamo provvedendo, secondo anche la loro richiesta, ad investire, per gli aspetti di competenza, il comando generale dei NAS»;
    nel comune di Brescia e nella provincia, le morti per tumore al fegato, casi di cancro al pancreas, cancro alla laringe, incidenza per malattie pneumologiche e altre malattie legate all'aria e all'alimentazione e a quello che viene ingerito sono elevatissime e sono oltre la media nazionale;
    nella sua nota protocollo 24 febbraio 2014 – 0006603 inviata su richiesta dell'interrogante, l'ISS (Istituto superiore di sanità) spiega che «il Cromo esavalente, diffuso in composti di origine industriale quali cromati e tiolati, è caratterizzato da elevata tossicità e cancerogenicità» infatti «il Cr (VI) è stato classificato dalla IARC (International Agency for research on Cancer) nel gruppo 1 (cancerogeno per l'uomo) sulla base di studi epidemiologici che hanno dimostrato associazione tra esposizione per via inalatoria al Cr(VI) e cancro al polmone», e, anche se «l'esposizione per ingestione a Cr(VI) è associata a minimo grado di rischio», «uno studio di cancerogenesi a lungo termine in roditori, effettuato dall'NTP (National Toxicology Program), ha evidenziato che la somministrazione del Cr(VI) per via orale è associato ad un'aumentata incidenza di tumori della cavità orale nel ratto e dell'intestino tenue nel topo in entrambi i sessi» e che «i composti di Cr(VI) sono genotossici in un ampio range di test di genotossicità in vitro e in alcuni studi in vivo in seguito a somministrazione per via orale»;
    sempre secondo la nota dell'ISS di cui sopra, anche se l'esposizione per ingestione al Cr(VI) è legata ad un rischio minore poiché i composti del cromo esavalente nel tratto gastrointestinale dell'uomo sono ridotti efficientemente a composti Cromo III, che non è pericoloso, «tuttavia non si può escludere che anche a bassi livelli di esposizione una piccola percentuale possa eludere la riduzione a Cr(III), riduzione che determina i potenziali effetti tossici o cancerogeni»;
    l'aumento del cromo esavalente nell'acqua di Brescia è una triste eredità del passato industriale della zona: i bagni di cromo sono una protezione essenziale per tutte le lavorazioni metalliche (dalle posate alle armi) e fino a pochi anni fa le scorie liquide venivano scaricate semplicemente nei corsi d'acqua e nel terreno, infatti nel Mella per decenni sono finiti quintali e quintali di liquidi tossici che hanno inquinato i pozzi nella bassa valle, parte della città, fino ad arrivare nella Bassa, il granaio della provincia;
    oggi non sono aumentate le fonti inquinanti, ma i veleni rilasciati nell'ambiente in passato proseguono inesorabili la loro discesa e stanno dunque percolando fino alla falda profonda;
    i dati forniti dalla ASL nel rapporto di agosto 2014 indicano una concentrazione crescente del cromo esavalente nell'acqua di rubinetto: sarebbe giunta a 10 microgrammi per litro, con picchi nelle zone ovest della città e nella bassa Valtrompia, con un aumento rispetto a febbraio anche in zona Lamarmora e Villaggio Sereno; dai rubinetti scende acqua anche con 13 microgrammi di cromo esavalente per ogni litro, un inquinamento che rimane nonostante gli accurati filtraggi a cui il gestore sottopone l'acqua e che l'organismo umano assimila con gravi rischi per la salute;
    lo Stato italiano parla di limite massimo di 5 microgrammi per litro per l'acqua di falda che si alza a 50 per quella che scende dal rubinetto di casa nostra (decreto legislativo n. 31 del 2001), limite specifico per il cromo in generale che è stato stabilito dall'Unione europea 15 anni fa, e segue le linee guida sull'acqua potabile dell'Organizzazione mondiale della sanità, quarta edizione 2011, dove però è l'OMS stessa, che, pur riconfermando il valore standard, che risale addirittura al 1958, specifica che quel valore è individuato come livello provvisorio, alla luce di alcune incertezze di ordine tossicologico, e totale, nel senso che non prende in considerazione un livello apposito per il cromo esavalente, dal momento che permangono difficoltà analitiche per la valutazione di questa sola forma, che però è riconosciuta essere molto pericolosa per l'organismo umano;
    nell'interpellanza urgente 2-00452, come nella precedente risoluzione in Commissione 7-00217, veniva evidenziato che «il decreto legislativo n. 31 del 2001 non abbia previsto un limite specifico per il cromo VI, per il semplice fatto che il suo livello nell'acqua potabile dovrebbe essere minimo, in conformità con quanto stabilito dal testo unico in materia ambientale (il decreto legislativo n.  152 del 2006) che considera contaminate quelle acque sotterranee in cui la concentrazione di cromo VI sia superiore a 5 microgrammi per litro; questa considerazione implicita contenuta nel decreto legislativo n. 31 del 2001 ha creato però una distorsione interpretativa della legge, inducendo alcuni organi preposti al controllo a verificare, sì, il limite di 5 microgrammi per litro di cromo VI per le acque di falda, ma non a verificare lo stesso limite per l'acquedotto, permettendo il consumo di acqua con concentrazioni di cromo VI che possono arrivare fino a 50 microgrammi per litro (quantità dieci volte maggiore a quella prescritta dal decreto legislativo n. 152 del 2006); appare, quindi, esservi una chiara contraddizione tra le forme di tutela introdotte per le acque sotterranee e quelle erogate all'utenza;»;
    l'ambiguità che caratterizza il quadro normativo di riferimento, connessa alla mancata previsione nel decreto legislativo 31 del 2001 di un limite specifico per il cromo esavalente, distinto dal cromo totale, può indurre nell'errore di considerare applicabile al cromo VI la soglia di 50 microgrammi/Litro di Cromo totale anche per l'acqua del rubinetto, con conseguenze allarmanti per gli impatti sulla salute umana;
    l'EPA (Environmental protection Alency) sta attualmente completando la valutazione del rischio per la salute umana del cromo esavalente e in base alle conclusioni deciderà se sia necessario ridefinire lo standard di riferimento del cromo per l'acqua potabile; nel frattempo ha raccomandato un programma di monitoraggio del cromo esavalente nelle acque potabili;
    l'OEHHA (Office of enviromental health hazard assessment) dell'Agenzia di protezione ambientale della California, dove il limite di legge è già fissato a 0,1 microgrammi per litro, ha recentemente indicato il limite di 0,02 microgrammi per litro, quantità ben cinquecento volte inferiore alle concentrazioni medie presenti nell'acquedotto di Brescia;
    l'acqua può essere pericolosa per la salute umana anche per la presenza di un mix di inquinanti con cui si entri in contatto per lunghi periodi, ovvero per la co-presenza, pur sempre sotto i valori limite, anche di altri inquinanti, come solventi clorurati;
    ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 31 del 2001, che dà attuazione alla direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano, «Entro il 31 gennaio di ciascun anno, la regione o la provincia autonoma comunica al Ministero della sanità e dell'ambiente le seguenti informazioni relative ai casi di non conformità – dei parametri relativi alle acque destinate al consumo umano – riscontrati nell'anno precedente» in particolare indicando: «a) il parametro interessato ed il relativo valore, i risultati dei controlli effettuati nel corso degli ultimi dodici mesi, la durata delle situazioni di non conformità; b) l'area geografica, la quantità di acqua fornita ogni giorno, la popolazione coinvolta e gli eventuali effetti sulle industrie alimentari interessate; c) una sintesi dell'eventuale piano relativo all'azione correttiva ritenuta necessaria, compreso un calendario dei lavori, una stima dei costi e la relativa copertura finanziaria nonché disposizioni in materia di riesame»;
    ai sensi dell'articolo 8 del medesimo decreto legislativo «L'azienda unità sanitaria locale comunica i punti di prelievo fissati per il controllo, le frequenze dei campionamenti e gli eventuali aggiornamenti alla competente regione o provincia autonoma ed al Ministero della sanità secondo modalità proposte dal Ministro della salute (...) e trasmette gli eventuali aggiornamenti entro trenta giorni dalle variazioni apportate»;
    infine ai sensi dell'articolo 75 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che concerne anche lo stato delle acque superficiali: «Con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattività che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, pericolo di grave pregiudizio alla salute o all'ambiente oppure inottemperanza ad obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio per materia, assegna all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere, decorso inutilmente il quale il Consiglio dei ministri, sentito il soggetto inadempiente, nomina un commissario che provvede in via sostitutiva. Gli oneri economici connessi all'attività di sostituzione sono a carico dell'ente inadempiente. Restano fermi i poteri di ordinanza previsti dall'ordinamento in caso di urgente necessità e le disposizioni in materia di poteri sostitutivi previste dalla legislazione vigente, nonché quanto disposto dall'articolo 132»;
    da quanto finora emerso, dunque, nonostante la portata devastante dal punto di vista ambientale dell'inquinamento derivante dall'utilizzo e dalla dispersione nell'ambiente del cromo esavalente sarebbe stata nota da molti anni, non sarebbe stata intrapresa nessuna iniziativa realmente efficace e sistemica, soprattutto di mappatura dei siti e delle indispensabili bonifiche,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per abbassare da subito in via precauzionale il limite massimo fissato dal decreto legislativo n. 31 del 2001 per il cromo totale, e indicare, anche per le acque destinate al consumo umano, un limite specifico di massima cautela per il cromo VI, in modo da tutelare la salute dei cittadini, visto il carattere di urgenza che ha assunto il problema, evidenziato ultimamente dalle recenti scoperte di valori record della sostanza nella rete idrica destinata al consumo umano del territorio di Brescia;
   a sollecitare adeguatamente nelle sedi competenti la revisione tecnico-scientifica dei criteri che presiedono ai parametri e ai valori di parametro attualmente indicati nella direttiva n. 98/83/CE, di cui in premessa, anche acquisendo i più recenti studi condotti da enti scientifici e di ricerca, con particolare riferimento ai risultati dell'Università degli studi di Milano;
   ad adottare provvedimenti anche urgenti in relazione alla situazione di cui in premessa, con particolare riferimento alla necessaria tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini delle aree interessate, anche attraverso iniziative normative che stabiliscano una maggiore frequenza dei controlli e dei campionamenti di cui agli articoli 6, 7 e 8 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, al fine di garantire una più significativa rappresentatività della qualità delle acque, con particolare attenzione alle utenze più vulnerabili, come le scuole della città;
   ad assumere iniziative diretta prevedere pene e sanzioni più alte rispettivamente in caso di condotte penalmente rilevanti o di inadempimenti connessi al rispetto della normativa di settore, prevedendo altresì di destinare le risorse economiche derivanti dall'applicazione delle predette sanzioni per la necessaria attività di bonifica e messa in sicurezza dei territori coinvolti;
   il convocare quanto prima un tavolo tra tutte le parti istituzionali coinvolte per trovare una soluzione condivisa a salvaguardia del territorio e delle popolazioni locali anche al fine di assumere ogni iniziativa economica e normativa utile, per assicurare – in tempi rapidi e certi – l'attuazione dell'attività di bonifica del territori, inquinati;
   ad assumere le iniziative di competenza necessarie a favorire il completamento dell'anagrafe dei siti inquinati da bonificare, ai sensi dell'articolo 251 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e la conseguente mappatura del territorio interessato relativamente ai fatti esposti in premessa, e, a seguito di tale operazione avviare un piano di bonifiche, ai sensi dell'articolo 252, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per il recupero e la riconversione dei siti inquinati;
   verificare con tempestività quale sia il quadro aggiornato della situazione di cui in premessa, per accertare, con il coinvolgimento dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, i danni ambientali cagionati e la relativa condizione delle acque destinate al consumo umano nella città di Brescia, disponendo un'indagine epidemiologica aggiornata sugli eventuali effetti nocivi dell'inquinamento della falda acquifera sulla salute dei cittadini;
   informare la popolazione sullo stato del loro territorio e dei rischi per la loro salute, anche mediante la pubblicazione su sito istituzionale dell'esito dei monitoraggi periodici della risorsa idrica e dei controlli previsti dal decreto legislativo n. 31 del 2001, dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e dal decreto legislativo n. 30 del 2009, ed avviare ogni iniziativa utile a mettere in condizione le aziende sanitarie locali di svolgere l'indispensabile attività di sensibilizzazione nei confronti della cittadinanza circa i pericoli legati all'inquinamento da cromo esavalente;
   avviare con urgenza un'azione puntuale di mappatura precisa di tutte le attività produttive inquinanti, sia attive che dismesse, per individuare, ed eventualmente interrompere, sversamenti ancora in corso e adottare misure di prevenzione e messa in sicurezza d'emergenza idonee in relazione al fenomeno dell'innalzamento della falda conseguente alla cessazione delle pregresse attività di pompaggio dell'acqua da parte delle industrie;
   se è stata disposta e/o effettuata per gli aspetti di competenza, una verifica da parte del comando generale dei NAS così come annunciato nella seduta n. 384 di martedì 3 marzo 2015 dal Sottosegretario di Stato per salute, Vito De Filippo e se, in caso affermativo, intenda comunicarne gli esiti, nonché valutare di effettuare un intervento ai sensi dell'articolo 75, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
(1-00832) «Sorial, Vignaroli, Micillo, De Rosa, Daga, Cominardi, Alberti, Basilio, Zolezzi, Colonnese, Terzoni».


   La Camera,
   premesso che:
    all'inizio del XX secolo, durante gli ultimi anni dell'esistenza dell'Impero Ottomano, il popolo armeno ha subito un vero e proprio genocidio (in lingua armena Medz Yeghern «Grande Crimine»). Ideato, pianificato e realizzato dal governo dei Giovani Turchi, ebbe il suo tragico inizio il 24 aprile 1915, con la fucilazione dell'intellighenzia armena di Istanbul e si concluse con lo sterminio di oltre 1.500.000 civili armeni cristiani indifesi;
    la strage fu condotta nel modo più crudele: fucilazione della popolazione maschile, deportazione e lunghe marce della morte verso i deserti della Siria, e l'annientamento finale dei sopravvissuti nei campi della morte nel deserto di Deir el-Zor, su disposizione del governo turco guidato dal Gran Visir Talat Pasha e condotto dall'OS (Organizzazione speciale per lo sterminio degli armeni);
    è posizione consolidata tra gli storici indipendenti che gli armeni furono eliminati alimentando odio religioso e razziale, adempiendo l'indispensabile pulizia etnica propugnata dall'ideologia dei Giovani Turchi;
    come ormai è riconosciuto da 21 Paesi (Argentina, Armenia, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Italia, Libano, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Federazione Russa, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Uruguay, Santa Sede, Venezuela), dal Parlamento europeo, dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il termine corretto per definire la prima immensa strage del ’900, e che fu perpetrata contro gli armeni, è «genocidio»;
    è notorio che Raphael Lemkin, giurista polacco ebreo, ha fondato la descrizione del reato di genocidio nel diritto internazionale sulle dinamiche del genocidio armeno, coniando così il termine stesso che sta alla base della Convenzione ONU per la Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio del 1948;
    la Camera dei deputati con una risoluzione del 17 novembre 2000, all'unanimità, ha fatto proprio il contenuto di una risoluzione del Parlamento europeo del 1987, riconoscendo il genocidio armeno. In particolare nella risoluzione ricorda l'invito al governo di Ankara al riconoscimento del genocidio ai danni della minoranza armena, commesso anteriormente allo stabilimento della moderna Repubblica Turca. Inoltre, più di 60 amministrazioni locali italiane, grandi e piccole (Roma, Milano, Genova, Firenze, Padova, Parma, Ravenna, Belluno, Udine eccetera) hanno solidarizzato con i discendenti dei sopravvissuti del genocidio armeno attraverso riconoscimenti;
    nell'occasione del centenario, Papa Francesco, nel corso di una messa nel ricordo dei «martiri armeni», ha definito quello contro armeni e altri cristiani, perpetrato a partire dal 24 aprile 1915, «il primo genocidio del XX secolo» che «ha colpito il popolo armeno, prima nazione cristiana» (12 aprile);
    successivamente a questa attestazione pubblica, in continuità con parole e atti di Giovanni Paolo II, il governo turco ha definito «calunniose» le affermazioni del Pontefice e ha richiamato in patria il proprio ambasciatore presso la Santa Sede. Tutto questo ha scosso profondamente l'opinione pubblica italiana;
    il Governo italiano – nella persona del sottosegretario Gozi – ha invece in sostanza rivendicato il diritto al silenzio e il dovere della neutralità sulla questione dei genocidi del secolo scorso;
    il genocidio degli armeni è pressoché sconosciuto alla grande massa dei cittadini italiani. Nei testi scolastici se ne trovano modeste tracce e non senza ambiguità. Le manifestazioni pubbliche dedicate a questa tragica vicenda sono rarissime;
    il centenario del 2015 è un'occasione di memoria condivisa con un popolo, la cui storia e la cui cultura si sono da secoli fecondamente intrecciate alle nostre, dall'età romana fino alla guerra di liberazione e alla costruzione dell'Italia repubblicana;
    il patrimonio culturale armeno in Italia ha la sua roccaforte nell'Isola di San Lazzaro a Venezia custodita dai padri mechitaristi armeni, ma preziosi reperti della cultura armena sono custoditi in quasi tutte le regioni italiane. Numerose comunità armene della diaspora sono presenti in modo vivace e perfettamente integrato nel nostro Paese;
    negli ultimi anni il romanzo storico «La masseria delle allodole» di Antonia Arslan, cittadina italiana di origine armena, scampata al genocidio, e l'omonimo film dei fratelli Taviani, hanno ottenuto riconoscimenti nazionali e internazionali per il valore artistico e l'accuratezza della ricostruzione storica;
    il centesimo anniversario del primo genocidio del XX secolo, le cui tecniche e la cui segretezza furono presi a modello per quella catena di crimini contro l'umanità che ha caratterizzato il Secolo Breve, è una straordinaria occasione per consolidare nella coscienza nazionale e trasmettere alle giovani generazioni il ripudio dell'odio razziale e religioso e la fecondità del rapporto tra popoli e civiltà differenti;
    la coscienza della comune appartenenza alla famiglia umana ed in particolare a quella europea impone a chi ha responsabilità pubblica di contribuire a spazzare via le foglie secche dell'oblio, senza lasciarsi frenare da opportunismi e prudenze di comodo dinanzi al contenzioso ancora aperto tra popoli e governi discendenti delle vittime e dei carnefici;
    non si tratta di puntare il dito contro il popolo turco. Tanto più che esistono responsabilità delle potenze occidentali che lasciarono che il massacro si compisse per ragioni di strategia globale. Esse permisero che l'opera di annientamento fosse compiuta, dopo un timido soccorso. E dimenticarono. Non dimenticò invece Hitler, che trasse insegnamenti per i crimini contro l'umanità della II Guerra mondiale... Già il 22 agosto 1939 a Obersalzberg, prima dell'invasione della Polonia allorché diede l'ordine «di uccidere senza pietà tutti gli uomini, donne e bambini di razza o lingua polacca», tranquillizzò i suoi comandanti sulle future conseguenze dicendo: «Chi parla ancora oggi dello sterminio degli armeni?»;
    lo studio e la conoscenza dei fatti sono potente strumento contro il negazionismo, il quale, secondo l'Associazione internazionale degli studiosi del genocidio (IAGS), non è una semplice opinione sbagliata, infatti: «L'ultimo atto di un genocidio è la sua negazione». In altri termini è quell'atto che rende il crimine del genocidio, un crimine perfetto;
    oggi tocca il compito di sapere. Senza giustificazionismi e senza negazionismi. La memoria è scudo contro la barbarie presente e futura;
    il culmine delle celebrazioni in Armenia e in tutto il mondo è il 24 aprile 2015,

impegna il Governo:

   a riconoscere il genocidio degli armeni, primo genocidio del XX secolo, come omaggio alla verità storica senza cui non esiste pacifica convivenza;
   a partecipare con una delegazione del massimo livello alle celebrazioni in memoria delle vittime a Erevan il 24 aprile prossimo;
   a promuovere attivamente la riconciliazione tra la nazione e il Governo turco e la nazione e il Governo armeno sulla base della ricerca della verità, che non può prescindere dal riconoscimento sincero delle responsabilità del governo turco ottomano per le immani stragi contro armeni e cristiani di tutte le confessioni in quel 1915;
   ad attivarsi, collaborando con le istituzioni scolastiche e nel rispetto della loro autonomia, per far sì che nelle scuole di ogni ordine e grado ancora in questo anno scolastico e in quello 2015-2016 si promuova con idonee iniziative la conoscenza e lo studio del genocidio del popolo armeno, attraverso testimonianze e lezioni da tenersi in orario scolastico e post-scolastico, predisponendo una serie di strumenti e di proposte d'intesa con la comunità armena;
   ad inserire stabilmente la conoscenza del genocidio armeno nei programmi scolastici, favorendo una mentalità di pace e concordia tra i popoli, nel rispetto delle differenti identità religiose e culturali.
(1-00833) «Brunetta, Palmieri, Picchi, Polidori».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate ha avviato una selezione pubblica per l'assunzione a tempo indeterminato di 892 unità, per la III area funzionale, fascia retributiva F1, profilo professionale funzionario, per attività amministrativo-tributaria;
   il bando prevede la seguente ripartizione dei posti: 10 in Emilia Romagna; 20 in Liguria; 470 in Lombardia; 110 in Piemonte; 42 in Toscana e 140 in Veneto;
   la procedura di selezione si articola in due fasi: prova oggettiva attitudinale e prova oggettiva tecnico-professionale;
   il bando è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2015, l'invio telematico delle domande scadeva alle 23,59 del giorno 26 marzo e la comunicazione delle sedi, giorno e ora di svolgimento della prova oggettiva attitudinale è stata pubblicata il 21 aprile 2015;
   tale ultima pubblicazione ha comunicato che la prova avrà luogo presso i locali della fiera di Roma, via Alexandre Gustave Eiffel, Roma, padiglione 3, secondo un calendario prestabilito che vede la ripartizione dei candidati in turni di tre al giorno dal 7 maggio al 5 giugno 2015; la mancata presentazione nel luogo, nel giorno e nell'ora stabiliti per sostenere la prova d'esame ovviamente sarà considerata rinuncia e determinerà l'esclusione dalla prova;
   la predetta comunicazione ha creato non poco sconcerto tra i candidati, che dovranno ora optare se rinunciare alla prova o sostenere spese di viaggio, vitto e alloggio per la chimera del posto di lavoro stabile;
   il comma 5 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, si ricorda, recita che «I concorsi pubblici nelle amministrazioni dello Stato e nelle aziende autonome si espletano di norma a livello regionale. Eventuali deroghe, per ragioni tecnico-amministrative o di economicità, sono autorizzate dal Presidente del consiglio dei ministri. Per gli uffici aventi sede regionale, compartimentale o provinciale possono essere banditi concorsi unici circoscrizionali per l'accesso alle varie professionalità»;
   si rammenta, altresì, che un precedente bando dell'Agenzia delle entrate per l'assunzione di 855 unità, per la medesima area funzionale, fascia retributiva e profilo professionale, del 2012, aveva previsto sedi regionali – dalla Calabria al Friuli Venezia Giulia – per l'espletamento della prova da parte dei rispettivi partecipanti –:
   quali siano le motivazioni che hanno indotto alla deroga di cui al comma 5 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001 citato in premessa;
   se, nel caso sussistano ragioni di economicità, il Governo non ritenga doveroso evitare spending review a scapito di tanti giovani meritevoli e volenterosi di mettersi alla prova, ma bisognosi economicamente;
   nel caso non sussistano ragioni di economicità o tecnico-amministrative, come si concili la decisione di una sede unica a Roma con il disposto del comma 5 dell'articolo 5 decreto-legge 165 del 2001 e, di conseguenza, se non si intenda re-individuare sedi regionali per l'espletamento della prova di cui in premessa;
   se il Presidente del Consiglio nell'autorizzare la deroga di cui alla norma citata, abbia considerato i disagi economici cui andrebbero incontro tanti giovani ovvero se abbia tenuto conto che l'adozione di un tale provvedimento di fatto contrasta con le affermazioni politiche di voler incentivare e sostenere l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani. (5-05428)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, LOMBARDI, CARINELLI, PESCO, ALBERTI, CANCELLERI, LOREFICE, MANTERO, BARONI, SILVIA GIORDANO, SARTI, NESCI, SIBILIA, CASTELLI, FERRARESI, DI BATTISTA e L'ABBATE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Call&Call Milano srl, azienda di call center nata nel 2002, si occupa di servizi di customer care per tre importanti società finanziarie e bancarie italiane quali Ing Direct, Agos Ducato e Fiditalia. La holding ha 2.500 dipendenti distribuiti tra la sede principale di Cinisello Balsamo (Milano) e le altre società operative a La Spezia, Roma, Locri (Reggio Calabria), Casarano (Lecce), Pistoia e Cagliari;
   in data 21 aprile 2015, sul quotidiano online «repubblica.it», veniva pubblicata la notizia del licenziamento di 186 persone nella sede di Cinisello Balsamo per assumerne altre, allo stesso tempo, nelle sedi di Roma e della Calabria. Tale decisione è stata presa dal consiglio di amministrazione dell'azienda il 10 aprile 2015, data in cui lo stesso consiglio ha aperto la procedura di licenziamento collettivo per la chiusura del sito di Cinisello Balsamo;
   le categorie del settore comunicazione dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, hanno denunciato che le manovre dei licenziamenti e riassunzioni in altri siti da parte della società, siano frutto delle nuove norme inserite nella legge conosciuta come Jobs act. Proprio in virtù di tale legge, la Call&Call starebbe approfittando nell'assumere giovani con contratti meno costosi e più flessibili, ottenendo gli annunciati sgravi fiscali che porterebbe l'azienda ad abbassare gli stipendi medi dagli attuali 1.200 euro a 1.000 euro mensili;
   a luglio 2014, il personale del sito di Cinisello ha iniziato il periodo di contratto di solidarietà di tipo difensivo, al fine di evitare il licenziamento di 41 dipendenti. Come affermano i sindacati, dopo l'entrata in vigore del Jobs act, i dirigenti la società, senza aver mai comunicato le difficoltà legate alla gestione del contratto di solidarietà, hanno dirottato parte del flusso di lavoro su altre sedi del gruppo e assumendo nuovo personale con la formula del contratto a tutele crescenti;
   sempre a detta dei sindacati, il comportamento tenuto dall'azienda riguardante la procedura per i licenziamenti collettivi e contemporanea assunzione di nuovi lavoratori in altre zone d'Italia, è stato possibile grazie al fatto che la Call&Call ha costituito più società (Call&Call Milano srl, Call&Call La Spezia srl, Call&Call Lokroi srl, ecc.), e in un gioco di «scatole cinesi» difficilmente sondabile dall'esterno, la sede di Cinisello può risultare effettivamente in crisi a differenza di quella di Roma, o di Locri, o di La Spezia;
   secondo quanto dichiarato dall'azienda, la perdita annua dell'azienda di Cinisello sarebbe di 500 mila euro a causa dei costi eccessivi del lavoro. Gli stessi dirigenti della Call&Call, più nello specifico hanno motivato i licenziamenti sul sito di Cinisello Balsamo dovuti a quanto accaduto negli ultimi anni, dove «ci sono state perdite di – esercizio significative non più sostenibili a seguito di un calo delle commesse e in presenza di costi generali incompatibili con il nuovo contesto di mercato, soprattutto per una fra le pochissime imprese del settore che ha scelto di non spostare lavoro italiano in offshoring e, dunque, non ha potuto mediare l'incidenza del costo del lavoro ricorrendo alla delocalizzazione. Da qui la necessità non più rinviabile di attivare la procedura di mobilità, trattandosi di una situazione strutturale e non congiunturale»;
   a giudizio degli interroganti, tali ultime dichiarazioni rilasciate dai proprietari della società riguardanti il periodo di crisi della stessa, stridono completamente con il fatto che il fatturato annuale dell'azienda corrisponda a 57 milioni di euro, come riportato nel sito ufficiale della Call&Call –:
   se il Governo non intenda promuovere un tavolo nazionale di confronto con la società Call&Call Milano srl e le rappresentanze sindacali, al fine di poter evitare i licenziamenti dei lavoratori della sede di Cinisello Balsamo;
   se il Governo e, in particolare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per quanto sopra riportato, non ritengano più che lacunosa la legge 183 del 2014 cosiddetta, Jobs act da loro promossa, e quali iniziative intendano assumere, a livello normativo, per porre rimedio a questa problematica che, come facilmente intuibile, troverà potenziale applicazione da parte di altri datori di lavoro. (5-05432)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, NESCI, DIENI, BUSTO, MASSIMILIANO BERNINI, CRIPPA, L'ABBATE e BENEDETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel summit sul clima tenutosi a New York nel settembre 2014, che ha visto la partecipazione di 120 leader mondiali, il Governo italiano, attraverso le parole del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aveva preso una chiara posizione per sostenere la lotta ai cambiamenti climatici;
   in particolare Renzi ha chiesto impegni vincolanti al fine di raggiungere «un accordo capace di dare il segno della volontà politica» dei partecipanti e ha evidenziato la necessità di «seguire un percorso che porti a una riduzione di emissioni» con target precisi: -40 per cento rispetto al 1990 entro il 2030 e -80 per cento sempre sul 1990, entro il 2050; il premier ha anche affermato l'esigenza di investire strategicamente sulle energie rinnovabili;
   l'Italia, dopo un primo, timido, tentativo di modificare il quadro normativo in materia di coltivazione di idrocarburi al fine di aumentare il livello complessivo di tutela ambientale, ha approvato, con il decreto-legge n. 133 del 2014, denominato «SbloccaItalia», una norma che, di fatto, rappresenta un completo cambio di rotta: da un lato viene attribuito alle attività di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi e stoccaggio sotterraneo del gas, carattere di opere di interesse strategico di pubblica utilità, urgenti e indifferibili, dall'altro alle regioni viene tolto ogni ruolo decisionale in merito, espropriandole di fatto dei propri poteri;
   il decreto-legge n. 133 del 2014 modifica le norme sulla prospezione, ricerca e coltivazione idrocarburi che diventeranno attività di pubblica utilità dalle quali sarà prevista l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi. In Calabria 1/3 del territorio è soggetto a vincoli minerari per gli idrocarburi, metà dei quali nella fascia costiera;
   le autorizzazioni avranno effetto di variante urbanistica cosa che porterà i comuni interessati ad essere spogliati delle proprie competenze strategiche sulla programmazione territoriale (piani regolatori);
   le attività di estrazione di idrocarburi (già di competenza statale per quello che riguarda le concessioni marine) interesseranno anche quelle sulla terra ferma dell'intera fascia jonica. La provincia più colpita sarà quella di Cosenza per il numero di concessioni insistenti sul territorio. Il decreto ministeriale 9 giugno 2014 – relativo al permesso di ricerca «D.R. 74.-AP» della società Apennine Energy spa – autorizza nuovamente l'Apennine Energy, già titolare dell'istanza «d.150 D.R-.CS», nonostante i pareri contrari e le opposizioni dei comuni calabresi sui quali insiste l'area costiera a vocazione turistica, agricola ed ambientale con ecosistemi marini unici e di grande rilievo. L'area del permesso, estesa in un raggio di 63,13 chilometri quadrati, è immediatamente a ridosso della costa dei comuni di Trebisacce, Cassano allo Ionio, Rossano, Amendolara, Corigliano Calabro, Calopezzati, Villapiana, Albidona e Brosia;
   le estrazioni marittime (che con questo decreto-legge n. 133 del 2014 avverranno sotto il limite delle 12 miglia) avranno inoltre conseguenze molto importanti per il tratto costiero;
   altra dannosa novità istituita dal decreto-legge è che il rilascio del titolo di concessione di attività sui giacimenti sarà unico (le autorizzazioni per le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi prima del decreto erano atti amministrativi separati), e le autorizzazioni avranno una durata superiore ai 30 anni;
   le norme contenute nel decreto-legge n. 133 del 2014 interesseranno anche i procedimenti in corso e quelli vigenti;
   i commi n. 552, 553, 554 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 26 dicembre 2014 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014 Supplemento Ordinario n. 99) nella formulazione dovuta a emendamenti del Governo pongono l'Italia in una posizione di «retroguardia» nello scenario energetico europeo, favorendo lo sviluppo delle fonti fossili e gli interessi commerciali delle compagnie petrolifere, contro le comunità e gli enti locali, costretti a subire sul proprio territorio infrastrutture dichiarate «di interesse strategico»;
   il comma 552 della legge di stabilità, come precedentemente richiamato, garantisce la «semplificazione» per le autorizzazioni non solo per le ricerche ed estrazioni di idrocarburi ma anche per le cosiddette «opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasporto degli idrocarburi in raffineria, delle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento dei titoli, comprese quelle localizzate al di fuori del perimetro delle concessioni di coltivazioni». Tali opere strategiche vengono autorizzate anche nel caso in cui non si «raggiunga» l'intesa con le regioni ai sensi dell'articolo 38 della legge «sblocca Italia». Il comma 552 che fa riferimento all'articolo 1, comma 8-bis della legge n. 239 del 23 agosto 2004 recita infatti: «fatte salve le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7 e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonché nel caso di mancata definizione dell'intesa di cui al comma 5 dell'articolo 52-quinquies del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessata. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai procedimenti amministrativi in corso e sostituiscono il comma 6 del citato articolo 52-quinquies del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001»;
   il comma 554 della legge di stabilità modifica il comma 1-bis dell'articolo 38 della legge «sblocca Italia»: «il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree di cui al comma 1 ovvero i titoli abilitativi per «attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico, di pubblica utilità, urgenti e indifferibili» previa intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni. Prima invece l'intesa era rilasciata dalle regioni interessate da attività petrolifere;
   dopo la conversione in legge del decreto-legge «sblocca Italia», sei regioni – Abruzzo, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto – hanno impugnato di fronte alla Corte costituzionale la legge n. 166 del 2014 di conversione del decreto n. 133 del 2014; in sostanza le regioni hanno deciso di contrastare quella che gli interroganti giudicano la forzatura dirigistica, voluta dal Ministero dello sviluppo economico, e contraria al Titolo V della Costituzione, che bypassa l'intesa con le regioni e stabilisce corsie preferenziali e poco trasparenti per le valutazioni ambientali e per il rilascio di concessione uniche di ricerca e coltivazione di idrocarburi;
   la regione Calabria aveva tempo fino allo scorso marzo 2015 per dare parere contrario alle istanze di ricerca petrolifera sulle proprie coste (termine per l'inizio dello sblocca italia e successive autorizzazioni del governo). Ora le sorti dei territori regionali con tutte le conseguenti problematiche ambientali verranno demandate al Presidente del Consiglio;
   la regione Calabria ha presentato ricorso dinanzi alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli articoli 37 e 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.133 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014 n. 164 in quanto lesive delle prerogative attribuite dalla Costituzione alle regioni e agli enti locali. La Calabria, tuttavia, non ha impugnato, al pari delle altre regioni, gli emendamenti petroliferi contenuti nel patto di stabilità allo stesso modo in cui ha impugnato lo Sblocca Italia con riferimento agli articoli 37 e 38;
   il dipartimento «Ambiente e Territorio» della regione Calabria, viste le richieste di VIA (valutazione impatto ambientale) inerenti progetti di ricerca di idrocarburi a terra nelle zone dello Jonio cosentino presentate dalla Total E&P Italia, ha rilevato l'impossibilità di procedere alla valutazione di impatto ambientale per carenza di documentazione sui progetti di ricerca già precedentemente richiesta dichiarando la non valutabilità delle istanze per come formulate dal proponente. Lo stesso dipartimento della regione Calabria ha rilevato, altresì, che la valutazione di impatto ambientale non può ridursi a verifica astratta sulla compatibilità ambientale, ma deve comportare una analisi comparativa approfondita sulle matrici ambientali e sul confronto tra utilità socio-economica e sacrificio ambientale;
   gli effetti documentati della produzione di liquami, fanghi e gas inquinanti generati da questo tipo di attività estrattive non sono sicuramente auspicabili nell'ottica di favorire lo sviluppo turistico costiero del comune di Corigliano Calabro e dei comuni adiacenti: mi riferisco, in primo luogo alle autorizzazioni fornite alla società Appenine Energy relative alla ricerca di idrocarburi del progetto D150 nel tratto di costa tra (Cassano allo Jonio) e (Corigliano Calabro), inoltre vi sono altri 3 progetti in corso di valutazione. Il territorio della costa Corigliano Calabro presenta caratteristiche territoriali ce hanno permesso un forte sviluppo del turismo, dell'artigianato, della pesca, dell'agroalimentare e di tutte le attività indotte e connesse. La concessione di coltivazione di idrocarburi potrebbe causare gravi motivi di pregiudizio rispetto situazioni di particolare valore ambientale, archeologico-monumentale legata anche ad una immagine sana del territorio, oltre ai rischi per la salute umana;
   il rischio di scoppi di piattaforme è sempre presente e ampiamente documentato. Sebbene questi siano eventi rari, sono pur sempre possibili ed è sufficiente un solo incidente, uno solo, per distruggere l'intera costa, vanificare decenni di lavoro per la promozione turistica e distruggere l'industria della pesca. Incidenti recenti riguardano la Spagna, la Corea, il Messico, la Norvegia, l'Australia e, ovviamente il pozzo Macondo nel golfo del Messico degli Usa;
   l'attività di esplorazione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare o in terraferma comporta inevitabilmente il ricorso ad operazioni invasive e potenziali rischi non eliminabili per l'ambiente e per la salute, così come l'aumento di emissioni climalteranti;
   all'interno del bacino del mar Mediterraneo, l'Adriatico è il mare che vanta la più alta presenza di piattaforme petrolifere e, allo stesso tempo, il mare che fornisce oltre la metà del pescato in Italia;
   secondo i dati forniti dal Piano d'azione mediterranea delle Nazioni Unite, ogni anno il Mediterraneo è oggetto di immissioni di idrocarburi per circa 600 mila tonnellate, mentre, a partire dal 1985, si sono verificati 27 incidenti con un totale di 271.900 tonnellate di petrolio sversate; in sostanza il Mediterraneo è il mare con il più elevato inquinamento da petrolio al mondo il quale, unito ad altre forme di inquinamento (scarichi urbani e industriali non depurati, uso dei sostanze chimiche in agricoltura, ecc.) rischia di compromettere gravemente l'equilibrio dei suoi ecosistemi;
   non va dimenticato che le attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi, oltre a mettere a repentaglio l'integrità di aree di particolare pregio paesaggistico e naturalistico e le numerose attività economiche legate al turismo e alla pesca, comportano un aumento del rischio sismico e vulcanico;
   secondo gli studi effettuati, il petrolio presente nei nostri fondali oltre ad essere esiguo è anche ricco di impurità, e di difficile estrazione; il petrolio estratto nell'Adriatico si presenta dunque come una fanghiglia corrosiva, melmosa e densa che necessita di una lunga lavorazione per l'utilizzo di destinazione, a processo che inizia già sulle piattaforme marine;
   la maggior parte degli sversamenti di idrocarburi in mare, circa 1180 per cento, è imputabile allo svolgimento di attività di routine di manutenzione degli impianti, di estrazione e trasporto degli idrocarburi; una piattaforma in mare nell'arco della sua vita rilascia mediamente 90.000 tonnellate di sostanze inquinanti; il Mediterraneo ha una densità di catrame pelagico di 38 milligrammi per metro quadro, una percentuale altissima ormai assolutamente insostenibile, che rischia di aumentare ancora con l'avvio di nuove attività di coltivazione di idrocarburi;
   a rendere ancora più preoccupante il futuro del mare Mediterraneo, in particolare del mare Adriatico, c’è la decisione del governo croato di consentire, come annunciato dal ministro degli esteri Ivan Vrdoliar, le trivellazioni petrolifere nelle proprie acque territoriali;
   tra i rischi connessi alle attività estrattive nel mare Adriatico c’è anche la presenza di molti ordigni bellici inesplosi, che potrebbero provocare danni enormi all'ambiente e all'ecosistema;
   la questione è stata affrontata anche nel Parlamento europeo, con un'interrogazione nella quale si è affermato che le coste croate distano 100 chilometri da quelle di Venezia, che la disposizione sottomarina di alcuni giacimenti sconfina in acque territoriali italiane e che l'ecosistema marino dell'Adriatico, caratterizzato anche dal fenomeno della subsidenza, è estremamente fragile e si è chiesto alla Commissione europea come intenda agire sulle possibili conseguenze di nuove attività di estrazione di idrocarburi nell'Adriatico e se intenda fermare lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi nell'Adriatico ancora non aperti. La Commissione, pur nell'ambito di una risposta interlocutoria, ha in ogni caso ribadito che i progetti di prospezione petrolifera e lo svolgimento delle ricerche devono rispettare la direttiva sulla sicurezza delle operazioni in mare, la direttiva sulla valutazione dell'impatto ambientale, la direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino e, ai sensi del protocollo offshore, la convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall'inquinamento;
   in una lettera aperta inviata al Presidente del Consiglio lo scorso ottobre 2014 un gruppo di docenti e ricercatori dell'università e dei centri di ricerca di Bologna ha sottolineato che «la strategia energetica nazionale è sbagliata» ed in particolare:
    «il decreto attribuisce un carattere strategico alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi, semplifica gli iter autorizzativi, toglie potere alle regioni e prolunga i tempi delle concessioni con proroghe che potrebbero arrivare fino a 50 anni. Tutto ciò in contrasto con le affermazioni di voler ridurre le emissioni di gas serra e, cosa ancor più grave, senza considerare che le attività di trivellazione ed estrazione ostacolano e, in caso di incidenti, potrebbero addirittura compromettere un'enorme fonte di ricchezza certa per l'economia nazionale: il turismo. D'altra parte il decreto non prende in considerazione la necessità di creare una cultura del risparmio energetico e più in generale della sostenibilità ecologica e non semplifica le procedure che ostacolano lo sviluppo delle energie rinnovabili;
    il mancato apporto, quantitativamente marginale, delle nostre riserve di combustibili fossili potrebbe essere facilmente compensato riducendo i consumi. Ad esempio, mediante una più diffusa riqualificazione energetica degli edifici, la riduzione del limite di velocità sulle autostrade, incoraggiando i cittadini ad acquistare auto che consumino e inquinino meno, incentivando l'uso delle biciclette e dei mezzi pubblici, trasferendo gradualmente parte del trasporto merci dalla strada alla rotaia o a collegamenti marittimi e, soprattutto, mettendo in atto una campagna di informazione e formazione culturale, a partire dalle scuole, per mettere in luce i vantaggi della riduzione dei consumi individuali e collettivi e dello sviluppo delle fonti rinnovabili rispetto al consumo di combustibili fossili e ad una estesa trivellazione del territorio;
    l'unica via percorribile per stimolare una reale innovazione nelle aziende, sostenere l'economia e l'occupazione, diminuire l'inquinamento, evitare futuri aumenti del costo dell'energia, ridurre la dipendenza energetica dell'Italia da altri Paesi, ottemperare alle direttive europee concernenti la produzione di gas serra e custodire l'incalcolabile valore paesaggistico delle nostre terre e dei nostri mari consiste nella rinuncia definitiva ad estrarre le nostre esigue riserve di combustibili fossili e in un intenso impegno verso efficienza, risparmio energetico, sviluppo delle energie rinnovabili e della green economy –:
   se ritenga opportuno che venga portato avanti attività di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi e stoccaggio sotterraneo del gas nonostante la ben nota posizione contraria dei comuni calabresi sui quali insiste l'area costiera a vocazione turistica, agricola ed ambientale con ecosistemi marini unici e di grande rilievo;
   se non ritenga opportuno, rispondere all'appello di 22 scienziati che chiedono che si rinunci definitivamente ad estrarre le nostre esigue riserve di combustibili fossili in nome di un presunto interesse strategico di pubblica utilità che potrebbe essere soddisfatto con più lungimiranti investimenti sulle energie rinnovabili che porterebbero ricadute positive in termini di occupazione e minor inquinamento;
   se i progetti di prospezione petrolifera e lo svolgimento delle ricerche rispettino la direttiva sulla sicurezza delle operazioni in mare, la direttiva sulla valutazione dell'impatto ambientale, la direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino e, ai sensi del protocollo offshore, la convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall'inquinamento. (4-08903)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il peggiore fallimento della Presidenza italiana del semestre europeo guidata dal Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi e conclusa da poco, è stata la mancata salvaguardia del made in Italy, infatti persino un ottimista come Renzi ha dovuto ammettere di fronte all'Europarlamento: «Siamo stati sconfitti sul “made in”. Nessun risultato positivo su questo versante, ci sono state incomprensibili resistenze», risultate insuperabili perché giunte dall'azionista di maggioranza dell'Unione europea, la Germania;
   eppure Renzi qualche mese fa già cantava vittoria, poiché dopo quasi dieci anni di battaglie, il 15 aprile 2014 scorso l'Europarlamento aveva fatto passare una mozione dei commissari Tajani e Borg per rendere obbligatoria l'indicazione obbligatoria sull'origine dei prodotti non alimentari per la sicurezza dei consumatori e in quella occasione il gruppo di Paesi guidato dalla Germania era stato sconfitto, visto che 419 deputati avevano respinto un emendamento del fronte del no, che andava in direzione opposto;
   questo era stato un passo decisivo per la tutela dell'origine dei prodotti italiani e per valorizzare il patrimonio manifatturiero italiano: dette disposizioni valorizzavano il patrimonio manifatturiero dell'artigianato e dell'impresa diffusa, difendevano il diritto dei consumatori a una corretta informazione sull'origine dei beni acquistati e, infine, combattevano il fenomeno della contraffazione; in particolare, il Parlamento europeo aveva approvato l'obbligo di indicazione di origine controllata contenuto nella proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti, definendo nuove disposizioni per garantire la piena tracciabilità del prodotto, come già avviene nei principali Paesi aderenti all'Organizzazione mondiale del commercio (ad esempio Usa, Giappone, Canada e Corea);
   in seguito la situazione si è modificata e il Presidente del Consiglio non ha evidentemente saputo farvi fronte: prima la nuova Commissione non ha inserito il «made in» tra le sue priorità, quindi i tedeschi hanno continuato a fare pressioni sui Paesi esportatori, con il risultato che, a inizio dicembre 2014, dopo un Consiglio europeo sulla competitività presieduto dal Ministro dello sviluppo economico italiano, Federica Guidi ha dovuto ammettere: «Tra i 28 Paesi europei non c’è accordo sul made in. Non siamo riusciti a trovare una mediazione in quanto diversi Stati membri, tra cui la Germania, non hanno una visione comune»;
   il viceministro al Commercio estero, Carlo Calenda, ha dichiarato: «Made in ? Ero in Confindustria quando facemmo la battaglia, quando era commissario Peter Mandelson, e non avemmo l'approvazione per un voto. La ragione per cui non passa è la questione tedesca, oggi sono sostanzialmente trasformatori e non lo vogliono, e i tedeschi non si muovono di una virgola. Ma vorrei andare vedere se il loro made in Germany rispetta tutti i criteri doganali»;
    secondo il vice presidente di Confindustria con delega all'Europa Lisa Ferrarini: «Il made in avrebbe ricadute economiche concrete sui territori e soprattutto un impatto emotivo sugli imprenditori: ridarebbe loro quella punta di ottimismo, quella fiducia, che vale più di un trattamento economico. Ci aspettavamo un atteggiamento molto più assertivo dalla presidenza»;
   l'interrogante aveva già evidenziato nell'atto camera 2-00913, ancora senza risposta, che la svalutazione dell'euro messa in atto dall'Europa per uscire dalla crisi, sembra si stia configurando in realtà come un vantaggio soprattutto per la Germania, mentre il nostro Paese, gravato dalla crisi economica in atto, rischia soltanto di vedere svendute le sue eccellenze del made in Italy e disarticolati i suoi distretti produttivi;
   dopo anni di declino economico, e con i vantaggi dell'euro debole, l'Italia starebbe diventando un terreno di caccia: in questi ultimi anni alcune delle maggiori industrie italiane sono state cedute, di fatto, a proprietà straniere, non solo i grandi marchi della moda e del lusso da sempre espressione del nostro made in Italy (da Bulgari a Loro Piana, da Valentino a Ferré), ma anche il settore alimentare e la meccanica (come Ducati), e questa vera e propria svendita delle nostre eccellenze è molto grave sia dal punto di vista economico che in termini occupazionali e di sviluppo di indotto ma soprattutto sembra dimostrare la totale resa da parte dell'Esecutivo rispetto alla fase di deindustrializzazione che sta attraversando il nostro Paese;
   per alcuni osservatori economici, quella in atto nel nostro Paese sarebbe una vera e propria invasione pianificata: l'euro sarebbe nato su un patto di ferro franco-tedesco teso a deindustrializzare territori produttivi italiani, il nord Italia in particolare, in pratica il meglio della nostra piccola e media industria in settori dove siamo leader mondiali come la meccanica, l'automotive, la filiera chimico-plastica e l'automazione che fanno la gran parte del nostro avanzo primario nel manifatturiero;
   l'attenzione delle imprese tedesche, come riportato da una recente inchiesta del Financial Times, si starebbe «concentrando sulla cosiddetta zona di crisi, dove possono venire in aiuto delle medie imprese italiane che spesso devono lottare per ottenere l'accesso al credito» e il loro l'espansionismo risponde soprattutto a strategie diverse dalle classiche acquisizioni crossborder francesi, cinesi o americane: Berlino punta direttamente al cuore pregiato del made in Italy, la piccola media impresa con buoni prodotti e tecnologia inserita nelle filiere internazionali che la crisi rende sempre più esposta alle operazioni ostili; non a caso dal 2010 a oggi il 55 per cento delle circa 50 operazioni «Germania su Italia» ha riguardato il settore «industrial» (fonte: Kpmg) –:
   se il Governo non intenda spiegare in maniera dettagliata le ragioni di questo grave fallimento della difesa del made in Italy che ha pesanti ripercussioni sul nostro Paese;
   quali iniziative di competenza il Governo stia ponendo in atto per sostenere e tutelare il made in Italy, promuovendo l'immagine dell'Italia all'estero, anche attraverso l'implementazione di strumenti efficaci a contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori e per rimediare al problema della mancata salvaguardia del made in Italy in sede europea, che rende il tessuto produttivo italiano, già palesemente in difficoltà tanto da essere spesso costretto a una vera e propria svendita, del tutto privo di tutela.
(4-08914)


   FAVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dall'avviso di post informazione, privo di data, pubblicato in data imprecisata sul sito dell'Ente Autorità Portuale di Augusta (http://www.portoaugusta.com) si apprende che con delibera presidenziale n. 41/13 del 30 agosto, la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara ex articolo 57 del decreto legislativo n. 163 del 2006, esperita ai sensi dell'articolo 122, comma 7, del decreto legislativo n. 163 del 2006, per l'affidamento dei lavori di pavimentazione delle aree comuni e realizzazione della segnaletica stradale del porto commerciale di Augusta, è stata aggiudicata in via definitiva alla società «Impresa di Costruzioni Ing. Filippo Colombrita Srl», per l'importo di euro 737.330,10 oltre euro 24.174,25 per oneri di sicurezza;
   in difformità alle disposizioni introdotte dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, e in particolare delle norme che prescrivono la pubblicazione sul sito istituzionale dei bilanci di previsione e, di conti consuntivi in forma sintetica, aggregata e semplificata, il sito dell'autorità portuale di Augusta non riporta in misura adeguata tali informazioni;
   in difformità dal decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33 (decreto «trasparenza»), non sono pubblicati sul sito della autorità portuale di Augusta l'elenco dei compensi connessi alla carica, compresi i rimborsi spese e le indennità di missione, le informazioni relative ad altre cariche, con i compensi percepiti;
   essendo scaduto nell'ottobre 2013 il mandato del presidente, dal dicembre dello stesso anno e fino ad oggi l'Ente è retto da un commissario nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (dal dicembre 2013 al novembre 2014 dal dott. Enrico Maria Pujia e dal novembre 2014 ad oggi dall'avvocato Alberto Cozzo);
   tutti gli enti titolati a fornire al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la terna di nominativi per la nomina del nuovo presidente dell'autorità portuale di Augusta, lo hanno fatto senza ritardi a tempo debito, benché senza preventivamente richiedere con avviso pubblico la presentazione dei curricula degli aspiranti;
   è del tutto evidente che la legge n. 84 del 1994 consente il ricorso al commissariamento dell'Ente per il tempo strettamente occorrente a pervenire – ove necessario ma, non è questo il caso per Augusta – all'intesa con il presidente della regione, sulla persona da nominare e pertanto non si comprende per quale motivo il commissariamento si stia ormai prolungando da 18 mesi;
   inoltre, come confermato in pronunce dei tribunali amministrativi, le funzioni del commissario che sostituisce il presidente dell'autorità portuale dovrebbero limitarsi allo svolgimento dell'ordinaria amministrazione –:
   quali siano le ragioni di urgenza che, nonostante il rilevante importo economico, giustificherebbero l'affidamento dei lavori con procedura negoziata senza preventiva pubblicazione di bando;
   per quali motivi siano disattese le norme sulla trasparenza e non vengano resi consultabili dal pubblico tutti i bilanci dell'autorità portuale, i compensi degli amministratori e tutte le informazioni che la legge prescrive di rendere accessibili;
   se non si intendano richiamare i responsabili e, qualora ve ne siano gli estremi, sanzionare tali omissioni e l'inosservanza delle leggi vigenti in materia;
   se non si ritenga di avviare un'ispezione sulla gestione dell'autorità portuale di Augusta e, nel contempo, valutare se sussistano i presupposti per dichiarare nulli tutti gli atti assunti che eventualmente non rientrano nell'ordinaria amministrazione e/o eventualmente viziati da eccesso di potere o adottati in difformità da quanto previsto dalla legge n. 84 del 1994;
   per quale ragione non si sia finora proceduto alla nomina del nuovo presidente dell'autorità portuale di Augusta;
   se – in considerazione della mancanza di pubblicità sui requisiti delle persone indicate a presiedere l'autorità portuale di Augusta – non si ritenga opportuno e necessario richiedere agli enti interessati di esprimere una nuova tema di nominativi – uguale o diversa da quella già presentata – in ogni caso subordinata alla preventiva valutazione dei curricula che tutti coloro che possiedono i prescritti titolo saranno pubblicamente invitati a presentare. (4-08916)


   GIULIETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in merito alla detassazione delle retribuzioni di produttività la legge di stabilità 2015 non contiene alcuna disposizione ma è opportuno ricordare che la legge n. 228 del 2012, all'articolo 1, comma 482, ha stanziato anche per l'anno 2015 una somma di circa 200 milioni di euro in materia di imposta sostitutiva del 10 per cento per le retribuzioni di produttività;
   lo scorso anno il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente le misure sperimentali per l'incremento della produttività relativo al 2014, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 aprile 2014;
   è indispensabile che il Governo dia piena e rapida attuazione per il 2015 alle misure relative alla detassazione e decontribuzione per le somme erogate a titolo di incremento di produttività;
   è altresì necessario rendere strutturale la detassazione e decontribuzione del salario di produttività al fine di evitare quello stillicidio di incertezza che si verifica annualmente;
   inoltre il Governo potrebbe considerare l'opportunità di un ulteriore sforzo per estendere la tassazione agevolata alle fasce di reddito finora escluse, aumentando la gradualità del metodo di calcolo e abbandonando definitivamente il sistema iniquo e penalizzante di unico livello di detassazione riferito al tetto annuale di reddito –:
   quale sia l'orientamento del Governo relativamente ai provvedimenti da emanare in materia di detassazione delle retribuzioni di produttività per l'anno 2015 e quale sia la tempistica prevista.
(4-08920)


   AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la gestione di ANAS spa è, da tempo, al centro di attenzione in numerosi atti di sindacato ispettivo che hanno segnalato inefficienze, assenza di una sana gestione, compensi esorbitanti dei vertici societari al punto che il presidente della società Pietro Ciucci ha annunciato di voler rassegnare le dimissioni da questo incarica;
   lo stesso si è già dimesso dal ruolo di direttore generale, riscuotendo per quest'ultimo incarico una liquidazione milionaria;
   prima di lui l'ex Presidente Pozzi si è dimesso dal medesimo incarico, in anticipo rispetto alla scadenza contrattuale, a seguito delle reiterate critiche sulla sua gestione ad avviso dell'interrogante pessima di ANAS spa anch'egli riscuotendo una liquidazione abnorme, pari a un importo netto di euro 1.398.862,70 (lordo euro 1.800.000,00) vale a dire circa 41.000,00 euro lordi per ogni mese di servizio prestato e addirittura in anticipo rispetto alla fuoriuscita dall'incarico;
   una gestione, quella dell'ANAS, le cui responsabilità, ad avviso dell'interrogante, non possono ricadere solo sul «capo azienda» ma anche sui più stretti collaboratori e in particolare sui Condirettori Generali della Società proposti e nominati dal Presidente, tuttora in carica, Ciucci;
   in altro atto di sindacato ispettivo, ancora in attesa di risposta, è stato citato anche il caso del dottor Piero Buoncristiano, già capo del personale ANAS (sostituito in ANAS dal dottor Carlo Ranucci), oggi pensionato ANAS e amministratore delegato dimissionario di CAV «Concessioni Autostrade Venete», società partecipata dalla medesima ANAS, nonché assegnatario di molteplici collaudi di opere pubbliche;
   diversi organi di informazione hanno pubblicato una serie di articoli (vedasi la Stampa del 29 febbraio 2012; il Fatto Quotidiano del 29 febbraio 2012; Corriere della Sera 19 gennaio 2013; il Fatto Quotidiano del 13 febbraio 2013; il Messaggero 20 febbraio 2013; la Repubblica 20 febbraio 2013) riguardante il dottor Leopoldo Conforti, condirettore generale e responsabile del settore legale e patrimonio di ANAS spa in cui rientra la delicata e strategica direzione del settore gare e contratti — dell'ANAS. Risulta che il dottor Conforti è stato assunto dall'ANAS, in data 5 ottobre 2009, provenendo da Alitalia — Linee Aeree Italiane spa, ove nel biennio precedente è stato responsabile della direzione legale e societario, segretario del consiglio di amministrazione, responsabile ad interim risorse umane del gruppo Alitalia;
   inoltre, risulta che il dottor Conforti è stato rinviato a giudizio (con altri manager della società Alitalia) per i suoi comportamenti presso l'ALITALIA — stando ai citati articoli di stampa — per il reato di bancarotta per distrazione o per dissipazione. Secondo la Corte dei Conti una dissipazione della Compagnia «con operazioni abnormi sotto il profilo contabile e gestionale che avrebbero causato perdite per oltre 4 miliardi di euro». L'ANAS spa, – come risulta dal sito ufficiale «retribuzione dirigenti» — pur dovendo essere a conoscenza degli esiti delle indagini della procura della Repubblica e della Corte dei Conti, ha mantenuto il dottor Conforti nel delicato incarico di condirettore generale e ha erogato una retribuzione annua lorda di 200.000,09 euro e una retribuzione per obiettivi di 64.581,33 euro, retribuzioni riconfermate anche per l'anno 2014 e ridotte a partire dal 1o maggio 2014 al limite annuo di 240.000,00 euro al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 66 del 2014 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti suesposti e se e quali iniziative di competenza intenda, assumere in quanto il Ministero dell'economia e delle finanze è l'azionista unico della società ANAS e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è incaricato della vigilanza sulla stessa, e se intendano porre rimedio a tale singolare situazione. (4-08921)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI, DI LELLO e LOCATELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 24 marzo 2015 la cittadinanza di San Leo, comune situato nella Val Marecchia in provincia di Rimini, è venuta a conoscenza dagli uffici provinciali di Rimini che la ditta di escavazioni CABE srl di Santarcangelo sta predisponendo la realizzazione di un impianto di discarica di rifiuti speciali;
   per la precisione, il 24 ottobre 2014, la ditta sopra citata ha presentato un «Progetto di impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti e di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi in Loc. Pian della Selva»;
   il progetto prevede: un impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti, della potenzialità di circa 120.000 tonnellate/anno; una discarica di rifiuti inerti, della potenzialità di 1.212.000 tonnellate; una discarica per rifiuti speciali non pericolosi, della potenzialità di 3.352.500 tonnellate, con un raggio di raccolta fino a 150 chilometri di distanza cioè sino ad arrivare alle province di Bologna, Ravenna, Arezzo e Ancona;
   la notizia ha suscitato grande sconcerto e una generale mobilitazione tra i cittadini che si sono subito attivati contro la realizzazione di questo progetto che avrebbe grosse ripercussioni sia dal punto di vista ambientale che per quanto riguarda la sicurezza in un territorio dove frane e smottamenti sono all'ordine del giorno;
   a tal proposito, si rileva che l'impianto di discarica dovrebbe sorgere in una località dove in passato esisteva una cava mineraria alla cui cessazione, si è provveduto, al completo ripristino, bonifica e rinverdimento e, dato il terreno prevalentemente collinare, alla sistemazione di una frana in corso perché il sito è vincolato dal piano della regione per dissesto idrogeologico;
   inoltre, la zona circostante il sito di cui sopra è stata pesantemente interessata nei mesi scorsi da frane e smottamenti che hanno determinato la chiusura temporanea di diverse strade. Infatti, sono ben 32 i dissesti idrogeologici censiti ed attivatisi nei mesi di febbraio e marzo 2015, in tutto l'entroterra comunale, di conseguenza la realizzazione di un impianto di discarica, con un considerevole aumento dei mezzi pesanti presenti sulle strade del territorio comunale e con la movimentazione terra, necessaria alla logistica dell'impianto, peggiorerebbe una situazione già fortemente compromessa –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato sia in possesso con riferimento al rischio idrogeologico che interessa la zona del comune di San Leo e quali iniziative, per le parti di competenza, abbia intenzione di assumere affinché si adottino tutti gli strumenti utili per mettere in sicurezza un territorio sottoposto a continue frane e smottamenti alla luce anche della previsione della realizzazione del citato progetto di trattamento e recupero di rifiuti nell'area. (4-08918)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 23 luglio 2010 è stato pubblicato sul bollettino ufficiale della regione Calabria n. 29 il procedimento diretto alla apposizione del vincolo di servitù coattiva di elettrodotto, di proprietà TERNA spa, relativo alla tratta del percorso, in variante, della linea elettrica da 150 Kw, da realizzarsi nella zona del comune di Cardinale (CZ);
   detta variante di tratta, facente parte del progetto generale denominato «Parco Eolico di San Vito», prevede l'inserimento di un certo numero di tralicci tronco-piramidali in alcune particelle catastali di proprietà privata ricadenti nel comune di Cardinale;
   tali particelle sono interamente ricoperte da boschi di castagno ceduo e, pertanto, risultano, per espressa previsione di legge, articolo 142, lettera g), del decreto legislativo, n. 42 del 2004;
   l'inserimento dei tralicci e la realizzazione delle gallerie di servizio e di manutenzione prevedono, nelle indicate aree boschive di proprietà privata e soggette ai detti vincoli di legge, il taglio raso degli alberi e l'estirpazione di secolari ceppaie con danni irrimediabili per l'ambiente e il paesaggio e rischi concreti persino per la fauna e per l'ecosistema dei boschi;
   anche l'amministrazione comunale di Cardinale pur non evidenziando esplicitamente, in detta nota, che tali particelle sono costituite da boschi cedui di castagno e come tali ricadenti in zone forestali, ha dichiarato, tuttavia, l'esistenza del vincolo ambientale paesaggistico ex articolo 142, lettera g), del decreto-legge n. 42 del 2004;
   in un parere reso il 28 maggio 2010, espresso dal Nucleo VIA-VAS-IPPC della Regione Calabria, si evince che il progettista dell'opera, di fatto, in difformità a quanto attestato dallo stesso comune, ha asseverato che le zone interessate, compreso quelle del comune di Cardinale, non ricadono in aree vincolate ai sensi del decreto-legge n. 42 del 2004. Tale dichiarazione probabilmente, può aver indotto in inganno e/o errore gli enti preposti al controllo, in particolare la direzione regionale dei beni culturali e ambientali e gli altri enti competenti;
   nel decreto del dirigente, assunto il 16 novembre 2010 al prot. n. 18119, riportato nel Registro dei decreti del dirigente della regione Calabria, al numero 16382, del 22 novembre 2010, alla pagina n. 3, rigo 9, si legge che: «qualunque difformità o dichiarazione mendace dei progettisti, su tutto quanto esposto e dichiarato, negli elaborati tecnici agli atti, inficiano, la validità del presente provvedimento»; il caso di specie, potrebbe essere compreso in tale casistica –:
   quali iniziative intenda assumere la competente soprintendenza in merito al rispetto del vincolo paesaggistico esistente anche alla luce di quanto rappresentato nelle premesse. (5-05424)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014, convertito con modificazioni dalla legge del 9 luglio 2014 n. 106, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», all'articolo 1 istituisce «l'Art-Bonus»;
   si tratta di un regime fiscale agevolato di natura temporanea, sotto forma di credito d'imposta, in favore delle persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali in denaro per interventi a favore della cultura e dello spettacolo. La disposizione è finalizzata a favorire e potenziare il sostegno del mecenatismo e delle liberalità al fondamentale compito dello Stato di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale;
   i contribuenti possono usufruire del credito nella misura del 65 per cento delle erogazioni effettuate nel 2014 e nel 2015 e del 50 per cento per il 2016 e nel periodo indicato non si applica la disciplina ordinariamente prevista per le erogazioni liberali dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (detrazioni IRPEF e deduzioni IRES);
   il credito d'imposta è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15 per cento del reddito imponibile, ai soggetti titolari di reddito d'impresa nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui, ed è ripartito in tre quote annuali di pari importo. Sono previste specifiche misure per garantire la pubblicità e la trasparenza, nonché la creazione, all'interno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di strutture per favorire la raccolta di fondi;
   secondo Gian Paolo Ranocchi, autore dell'articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore il 23 marzo 2015, diventerebbe particolarmente importante definire quale sia il confine alla base della differenziazione tra liberalità e prestazione;
   afferma, infatti, che «ove l'impresa fornisce fondi secondo le disposizioni dell’Art-Bonus e poi decide di utilizzare l'iniziativa sul piano dell'autopromozione, la liberalità mantiene tale natura assicurando la sua spendibilità di bonus fiscale», ma la cosa cambia quando «chi usufruisce dei fondi derivanti dalla donazione, faccia comunicazione a terzi dell'intervento finanziario dell'impresa»; in questo caso la liberalità si potrebbe prospettare come il corrispettivo di un servizio e si entrerebbe in un terreno insidioso in cui diventerebbe opinabile l'effettiva natura della gratuità dell'elargizione;
   laddove, infatti, si possa ragionevolmente sostenere che l'erogazione altro non è che un corrispettivo di un servizio, è chiaro che il pagamento perderebbe la natura di liberalità: cadrebbero, così, i presupposti alla base dell'incentivo fiscale;
   il decreto ministeriale del 19 dicembre 2012 recante «Approvazione delle norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazione di beni culturali e di fattispecie analoghe o collegate», al punto 1.3.1 affronta la problematica delle erogazioni liberali accompagnate da riconoscimento morale sia ad opera di soggetti che operano non a fine di lucro sia ad opera di soggetti che hanno tale fine specificando «in tali casi l'amministrazione procedente dovrà prestare un'attenzione particolare a che il riconoscimento morale attribuito al donatore impresa commerciale non travalichi i limiti suoi propri per assumere la consistenza di una vera e propria sponsorizzazione»;
   a parere dell'interrogante, la sopra citata disposizione non indica i criteri o i modi con cui «l'amministrazione procedente dovrà prestare un'attenzione particolare» e, pertanto, il rischio di pregiudicare il beneficio dell’Art-Bonus sarebbe concreta –:
   se vi possano essere motivi, come quelli descritti nelle premesse che possano minacciare le fondamenta dell'istituzione dell’Art Bonus e se non ritenga opportuno fornire precisi chiarimenti relativi alla modalità di comunicazione dei soggetti beneficiari;
   quali iniziative urgenti intenda adottare per precisare in maniera chiara la questione relativa alla fruibilità del ritorno di immagine del soggetto erogante per evitare che l'erogazione liberale possa essere considerata quale corrispettivo di un servizio. (4-08915)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 26 gennaio 2015 lo Stato Maggiore dell'Esercito ha comunicato verbalmente tramite il comandante generale del centro di selezione e reclutamento nazionale dell'Esercito di Foligno, il provvedimento di licenziamento degli psicologi civili in servizio presso il centro di selezione e reclutamento nazionale dell'Esercito sito in Foligno;
   il provvedimento riguarda anche gli psicologi civili dei centri periferici afferenti;
   gli psicologi civili in questione operano nella selezione psicoattitudinale del personale militare;
   la motivazione addotta è legata a necessità di ridurre il bilancio nel capitolo «esercizio», dove risultano gravare le convenzioni stipulate con gli psicologi civili;
   ad oggi è stata data comunicazione ufficiale di riduzione del monte orario nella misura del 30 per cento a far data dal 1o giugno 2015;
   gli psicologi interessati da tale provvedimento lavorano da più di 25 anni per lo Stato ed il rapporto lavorativo è definito da una convenzione a tempo indeterminato ai sensi dell'accordo collettivo nazionale per gli specialisti ambulatoriali (decreto del Presidente della Repubblica n. 446 del 2001);
   si tratta di persone a cui, nella grande maggioranza dei casi, mancano ancora almeno dieci anni per arrivare al pensionamento e che in considerazione del provvedimento di riduzione del monte orario adottato si trovano ad essere seriamente penalizzate nonché esposte al sempre più concreto rischio di trovarsi improvvisamente espulse dal mondo del lavoro e prive di qualsivoglia forma di ammortizzatori sociali;
   si parla, peraltro, di figure che hanno maturato nel corso del tempo un'esperienza notevole in un'attività estremamente sensibile ed importante (specie in questo periodo storico) quale la selezione del personale militare;
   a dimostrazione dell'importanza del lavoro svolto da queste figure professionali basta segnalare il forte incremento dell'attività di selezione presso il centro di selezione e reclutamento nazionale dell'Esercito degli ultimi anni;
   ad oggi non è ancora stato avviato realmente un tavolo di concertazione sulla possibile ricollocazione di tale personale in altre amministrazioni così come previsto dal protocollo d'intesa stipulato dal Ministero della difesa coi sindacati di categoria;
   alla prima riunione convocata mediante commissione paritetica i vertici militari erano assenti;
   lo stesso Ministro della difesa ha nel recente passato annunciato la riorganizzazione del personale entro il 2016, prevedendo la ricollocazione dello stesso in altre amministrazioni e garantendo che non ci sarebbero stati licenziamenti;
   sussistono controversie interpretative sulla natura contrattuale dei professionisti in questione, che, pur avendo una convenzione a tempo indeterminato, sono definiti lavoratori autonomi;
   l'ente, ad integrazione dell'accordo collettivo degli specialisti ambulatoriali, ha sempre previsto un atipico contratto con clausole prevedenti la rescissione dello stesso in casi di mancato finanziamento al centro, in casi di soppressione dello stesso e laddove fosse prevista la presenza di personale militare;
   non sembra ricorra oggi nessuna delle tre condizioni appena citate;
   il personale, definito alla stregua di lavoro parasubordinato, riceve il CUD ed ottempera a norme dei lavoratori dipendenti;
   l'attuale provvedimento di riduzione dell'orario settimanale nella misura del 30 per cento sembra essere quantomeno frettoloso e desta notevoli perplessità, poiché non sembra siano state verificate soluzioni alternative;
   sembra inoltre poco efficace una soluzione di questo tipo per garantire un serio taglio alla spesa, giacché il costo annuo del personale in questione ammonta a non più di 400.000 euro –:
   se non ritengano, per quanto di competenza, di dover intervenire al fine di verificare se vi sono i margini per trovare soluzioni alternative agli attuali provvedimenti;
   se non ritengano che vi sia, nel provvedimento, una mancata applicazione delle regole di concertazione collettiva che potrebbero esporre l'amministrazione a ricorsi in cui, ad avviso degli interroganti, con ogni probabilità, soccomberebbe;
   se non ritengano doveroso far sì che vi sia un serio tavolo di concertazione sulla possibile ricollocazione di tale personale in altre amministrazioni, così come previsto dal protocollo d'intesa stipulato dal Ministero della difesa con i sindacati di categoria. (4-08904)


   OTTOBRE. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 1818 la contea principesca del Tirolo, compresi i territori abitati da popolazioni di lingua italiana, entrò a far parte della Confederazione germanica;
   nel 1866 le truppe italiane fecero la loro comparsa nel territorio del Trentino, la loro avanzata venne però fermata dalla fine della terza guerra d'indipendenza, che si concluse lasciando il Trentino in mani austriache, erano stati 3-400 i trentini fuoriusciti nei vicini stati italiani per partecipare alle campagne per l'indipendenza italiana, furono naturalmente più numerosi gli abitanti della contea tirolese, sia germanofoni che italofoni, arruolati nell'imperiale regio esercito austriaco;
   nel 1867 l'Impero d'Austria divenne impero austro-ungarico;
   con lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 buona parte della popolazione maschile della contea principesca del Tirolo, sia germanofona che italofona, vestì la divisa dell'imperiale regio esercito;
   l'Austria-Ungheria e l'Italia aderivano entrambe alla Triplice alleanza, che era di natura difensiva e non contemplava l'intervento italiano al fianco degli austro-tedeschi; l'Italia mantenne inizialmente la sua neutralità, ma in cambio di concessioni territoriali comprendenti anche l'Alto Adige/Südtirol in base ai termini del trattato segreto di Londra, stipulato nell'aprile 1915, poi l'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria; occorre ricordare che nel 1910 gli abitanti italofoni dell'odierna provincia di Bolzano erano solamente 6.950 su di una popolazione di 251.451 persone;
   «Welschtiroler» era il termine usato nell'esercito austro-ungarico, per definire quella parte di soldati provenienti dal territorio trentino;
   una buona opportunità per giungere a una quantificazione dei «Welschtiroler» presenti nell'esercito austro-ungarico è offerta dai fogli matricolari degli arruolati, conservati presso il Tiroler Landesarchiv di Innsbruk;
   si tratta di un fondo molto cospicuo, riguardante il Sudtirolo tedesco e il Trentino, che comprende circa 270 raccoglitori in cui sono conservati i «Grundbuchsblatter», fogli matricolari, di circa 54.000 soldati delle classi 1865-1900 e anche alcuni che risalgono al 1830;
   purtroppo questo fondo di documenti è lacunoso perché nel 1949 un consistente numero di questi atti fu trasmesso, insieme ad altri documenti militari, alla Repubblica italiana;
   da un verbale di consegna del 21 novembre del 1949 conservato presso il Tiroler Landesarchiv (Archivio storico del Tirolo) di Innsbruck, si può desumere che la Landesevidenz aveva, a quella data, consegnato al distretto militare di Belluno un intero vagone ferroviario di materiale d'archivio, nel quale, risulta all'interrogante ci fossero i documenti dei soldati della classe 1876-1925 del distretto militare di Bolzano e quelli della classe 1882-1924 dei distretto militare di Trento;
   risulterebbe, inoltre, da una comunicazione dell'ufficio italiano di collegamento di Innsbruck, del 22 novembre 1950, che gli atti siano arrivati a Belluno il 29 novembre 1949;
   tutta questa documentazione potrebbe essere una fonte insostituibile di ulteriori informazioni e potrebbe riempire il vuoto di notizie per alcuni distretti militari, nonché essere materiale utile per i parenti e discendenti –:
   se i Ministri interrogati possano, per quanto di competenza, appurare dove sia attualmente il materiale inviato, presso il distretto militare di Belluno, nel novembre 1949 da Innsbruck, perché attualmente risulta introvabile. (4-08910)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda relativa all'IMU sui terreni agricoli ha dimostrato, oltre ad una tanto evidente quanto disarmante superficialità nella definizione dei criteri di esenzione relativi alla classificazione delle altimetrie dei comuni (il cui elenco predisposto dall'ISTAT risale peraltro al 1952 e non più aggiornato), anche e soprattutto una decisione negativa e penalizzante per il tessuto economico dell'intero comparto: i parametri adottati producono disparità di trattamento difficilmente giustificabili tra territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche;
   a tal fine, il decreto-legge del 24 gennaio 2015, n. 4, convertito dalla legge n. 34 del 2015, resosi necessario a seguito delle sollecitazioni provenienti dal settore agricolo nonché delle pesanti censure confermate del TAR Lazio, che ha imposto al Governo una revisione delle regole applicative, non contempla all'interno dei criteri di esenzione dal tributo, le aree economicamente svantaggiate, meritevoli di specifica considerazione, ugualmente a quelle montane, che escono invece dall'ambito di applicazione dell'IMU;
   l'interrogante ricorda a tal proposito, come nonostante esista una graduatoria definita e chiara, per le aree svantaggiate, individuate con il regolamento dell'Unione europea n. 1305 e pertanto già oggetto di particolare attenzione in ambito comunitario, il suesposto decreto-legge, non considera tali fasce economicamente e socialmente svantaggiate, contribuendo con tale aggravio tributario, ad accrescere le disparità economiche in particolare nelle aree del Mezzogiorno come la Sicilia, in cui l'agricoltura, com’è noto, rappresenta un comparto fondamentale dell'economia regionale;
   la necessità d'intervenire in tempi rapidi, al fine di introdurre nei regimi di esenzione previsti dal decreto-legge n. 4 del 2015 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, tutti i terreni agricoli ricadenti nei comuni italiani situati all'interno delle zone svantaggiate, appare pertanto urgente e necessaria, in considerazione del fatto che importanti aree nazionali a vocazione agricola, come quelle isolane, subiscono una profonda iniquità di trattamento fecale, con inevitabili ripercussioni economiche e occupazionali –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se, in considerazione delle articolate criticità in precedenza richiamate, non ritenga urgente ed opportuno assumere in tempi rapidi iniziative per l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, nei confronti di tutti i terreni agricoli ricadenti nei comuni italiani di cui all'elenco delle zone svantaggiate allegato alla circolare n. 9 del 14 giugno 1993 del Ministero delle finanze.
(5-05422)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero interrogato, in qualità di azionista unico di Enav Spa – la Società che fornisce servizi essenziali di controllo del traffico aereo – ha convocato, in data 13 aprile 2015, un'assemblea per deliberare una riduzione di capitale sociale (pari a euro 1,122 miliardi) di euro 180 milioni, avviando contestualmente le procedure per emettere un prestito obbligazionario di importo equivalente finalizzato a finanziare tale riduzione;
   in base al comunicato stampa della stessa società, tale riduzione è stata motivata come un primo passo «nell'ambito del processo di valorizzazione e privatizzazione della Società» pertanto tale prestito obbligazionario «consentirà non solo di reperire la necessaria liquidità per far fronte alla riduzione di capitale, ma soprattutto, rappresenta un passo importante verso la privatizzazione, utile ad accreditare l'Azienda presso i mercati finanziari e testare concretamente l'interesse degli investitori»;
   tali motivazioni non soddisfano l'interrogante poiché lascia perplessi la ratio di indebitare di 180 milioni di euro un'Azienda sana per obbligarla a ripianare tale «riduzione» con un prestito obbligazionario e questo giustificandolo come «un passo importante verso la privatizzazione, utile ad accreditare l'Azienda presso i mercati finanziari e testare concretamente l'interesse degli investitori». Anche la tesi che la società è eccessivamente capitalizzata non giustifica una riduzione del suo capitale, infatti non si comprende perché ricorrere ai mercati finanziari per ripianare tale «riduzione», e nemmeno la necessità del Governo di un anticipo dell'importo stimato dalla sua privatizzazione, da destinate all'ammortamento dei titoli pubblici, non convince dal momento che spingere l'Azienda all'indebitamento potrebbe compromettere paradossalmente l'esito favorevole dell'intera operazione di privatizzazione;
   il debito pubblico ormai e arrivato a livelli di guardia, raggiungendo la cifra monstre di 2.169,20 miliardi di euro (132.5 per cento previsioni del Def per il 2015), e 180 milioni di anticipo non avranno certamente un effetto significativo ai fini del a sua riduzione. All'opposto, come sopradetto, questa operazione finanziaria rischia di minare il raggiungimento delle stime di riduzione del volume globale del debito pubblico, di all'incirca un miliardo di euro, ottenibili dalla vendita del 49 per cento del capitale di Enav spa. Stime che nelle ultime proiezioni del Governo sono già state ridotte a 700 milioni di euro;
   Enav spa, pur avendo chiuso il bilancio 2013 con un utile di 50,5 milioni (+ 9,4 per cento), presenta già un'esposizione debitoria di altrettanti 180 milioni di euro con la Banca europea degli investimenti (BEI) per un programma globale di investimenti di 500 milioni di euro per l'ammodernamento dei suoi sistemi di controllo come richiesto a tutti i Paesi dell'Unione europea dalla Commissione europea per il progetto comunitario del Single European Sky;
   la stampa nazionale ha dato ampio risalto a questa operazione e non poche sono le perplessità emerse sulle ragioni sottostanti questa manovra. Da indiscrezioni di stampa si evince, chiaramente che tale decisione del Governo è stata assunta anche per superare lo stallo della nomina del nuovo amministratore delegato che da oltre sette mesi è incomprensibilmente bloccata. Attualmente, infatti, l'azienda è ancora guidata ad interim dal presidente Maria Teresa Di Matteo vice capo di gabinetto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   l'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, dispone che «il compenso stabilito ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile, dai consigli di amministrazione delle società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione» (compenso che per l'anno 2012 è stato pari a 301.320,29 euro come da Nota del 17 luglio 2013 del Ministero della giustizia);
   successivamente l'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014, Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, ha imposto il limite massimo retributivo, riferito al primo presidente della Corte di Cassazione, di «euro 240 mila annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente»;
   il suddetto limite, disposto per condivisibili ragioni di spending review, non si applica, come viceversa sarebbe auspicabile, ai dirigenti delle società a controllo pubblico quotate e quelle non quotate che emettono titoli negoziati su mercati regolamentati, in pratica le obbligazioni;
   consentendo pertanto alle società partecipate dallo Stato di emettere bond questo autorizzerebbe di fatto i suoi manager a derogare dal limite imposto dalla legge alle retribuzioni massime dei dirigenti pubblici, in quanto Società attiva in borsa, e questo spiegherebbe il perché della decisione del Governo (MEF) del 13 aprile 2015 relativa ad Enav spa che da sette mesi attende la nomina dei nuovi vertici;
   se fosse confermata questa ipotesi, ossia di un'operazione finalizzata a permettere la deroga dall'obbligo di applicazione del limite massimo retributivo, ci troveremo di fronte ad un fatto gravissimo passibile di denuncia alla procura della Corte dei conti poiché rappresenterebbe un chiaro aggiramento della normativa nazionale con evidenti elementi di dolo per l'erario pubblico quantificabili sia per i costi diretti, sostenuti per avviare l'operazione di allocazione dei titoli obbligazionari sul mercato finanziario con relativi oneri per il suo rimborso, e sia indiretti poiché indebitando un'azienda sana si rischierebbe di minarne la sua solidità finanziaria e quindi il suo rating tale da impattare sulla sua quotazione in Borsa in occasione della vendita prossima del 49 per cento di capitale che è opportuno ribadire trattasi pur sempre di capitale pubblico;
   tale operazione finanziaria in Enav spa non rappresenta un caso isolato, poiché altre società pubbliche non quotate stanno adottando analoghi meccanismi di accesso al mercato finanziario come nel caso più noto della Rai che, in data 25 marzo 2015, ha annunciato l'emissione di un bond da 350 milioni. Anche in questo caso adducendo motivazioni discutibili quale quella di sostituire vecchi debiti bancari, che hanno un tasso di interesse più penalizzante, con del nuovo debito a condizioni più vantaggiose. In realtà, come attenti analisti hanno già osservato, sembra che anche questa operazione sia esclusivamente finalizzata a permettere ai vertici aziendali di bypassare i vincoli retributivi imposti dalla legge;
   riprovevole che in epoca di grave crisi economica i dirigenti pubblici di Enav spa e di altre partecipate pubbliche utilizzino questi stratagemmi per derogare alla normativa nazionale sul tetto delle retribuzioni pubbliche, contravvenendo così alle condivisibili politiche di spending review messe in campo per ridurre l'enorme mole debitoria del Paese, e agli stessi principi di economicità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa sanciti dall'articolo 97 della Costituzione –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire le ragioni sottostanti la sua decisione di consentire ad un'azienda sana e strategica come Enav spa di indebitarsi di 180 milioni di euro per recuperare, attraverso l'emissione di strumenti finanziari, la riduzione di analogo importo del suo capitale sociale;
   se il Ministro interrogato non ritenga inoltre opportuno assumere iniziative normative per contrastare quello che ormai sta assumendo i caratteri di un modus operandi dall'alta dirigenza pubblica assumendo iniziative per estendere il limite massimo retributivo previsto dalla legge anche ai consigli di amministrazione delle società per Azioni a controllo pubblico quotate in borsa. (5-05433)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono sempre numerosi i ritrovamenti di vecchi libretti di deposito da parte degli eredi dei correntisti originari;
   quasi sempre tali rinvenimenti avvengono in concomitanza allo sgombero degli alloggi occupati da persone anziane nel frattempo decedute;
   molto spesso, però, tali titoli non vengono ritenuti esigibili dagli istituti di credito interessati;
   spesso si contesta l'eccessivo lasso di tempo trascorso dall'ultima operazione, altre volte mutamenti di nome e ragione sociale dell'istituto;
   ciò appare contrario ai principi di lealtà contrattuale, visto che non si è dinanzi a diritti decaduti o prescritti e che il denaro in parola è comunque rimasto nelle disponibilità delle banche e, dunque, fatto fruttare dalle stesse –:
   di quali dati statistici disponga circa le situazioni segnalate in premessa, avendo cura di specificare le posizioni aperte e quelle definite, indicando in quanti casi agli aventi diritto siano stati effettivamente riconosciuti capitale e interessi;
   se non ritenga doveroso assumere iniziative volte a risolvere con somma urgenza quanto qui denunciato, trattandosi di risorse che vanno attribuite ai legittimi titolari. (4-08906)


   COVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto legislativo n. 288 del 16 ottobre 2003, è stata regolata la trasformazione degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico in fondazioni IRCCS, enti aventi natura pubblica per espressa previsione normativa;
   con decreto del Ministro della Salute del 29 dicembre 2004, l'IRCCS ospedale maggiore di Milano viene trasformato in fondazione IRCCS ospedale maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena (ora Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico), con decorrenza dalla data d'insediamento del nuovo organo di governo dell'ente, ossia dal gennaio 2005;
   fra i soggetti chiamati a formare l'organo di governo della Fondazione IRCCS (consiglio di amministrazione), si annoverano, quali fondatori, il Ministero della salute, la regione Lombardia, comune di Milano e l'Arcivescovado di Milano e, quali soci partecipanti, come consentito dall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 288 del 2003, ripreso dallo statuto della Fondazione IRCCS, ad oggi, la sola Fondazione Fiera Milano spa;
   nella sua plurisecolare esistenza, che ha avuto inizio nel 1456 con bolla istitutiva papale, la Fondazione IRCCS ha accumulato un ingentissimo patrimonio immobiliare disponibile, sia urbano che rurale, il cui valore – come più volte dichiarato in questi anni dal Presidente della stessa Fondazione IRCCS, Giancarlo Cesana – è prossimo a 1,5 miliardi di euro;
   oggi, dopo circa 560 anni di storia e a soli 10 anni dalla sua trasformazione ai sensi del decreto legislativo n. 288 del 2003 sotto la guida della Presidenza Cesana, la Fondazione IRCCS non è più proprietaria di nulla;
   il patrimonio immobiliare disponibile urbano è stato, infatti, conferito ad un fondo immobiliare, gestito dalla società Polaris Real Estate SGR S.P.A., maxi polo immobiliare recentemente sorto – secondo le cronache giornalistiche – tra Leonardo Del Vecchio, Gilberto Benetton, Gianpietro Nattino e Giuseppe Guzzetti (presidente della Fondazione CARIPLO). Recentemente, Cassa Depositi e Prestiti ha acquisito il 40 per cento delle quote a fronte di un versamento alla fondazione IRCCS dell'importo di circa 100 milioni di euro;
   il patrimonio immobiliare disponibile rurale è stato invece ceduto – in diritto reale, per 30 anni, a titolo gratuito – ad una fondazione di diritto privato dotata di autonomia statutaria e aperta alla partecipazione di altri soggetti, anche privati, alla fondazione Sviluppo Ca’ Granda, costituita dalla medesima fondazione IRCCS;
   le complesse operazioni di carattere finanziario immobiliare, la prima, e societario immobiliare, la seconda, non sembrano rispettare quanto previsto nell'accordo di programma sottoscritto nel 2000 fra il Ministero della salute, la regione Lombardia, il comune di Milano, l'azienda ospedaliera Istituti clinici di perfezionamento e l'ospedale Maggiore di Milano (ora, appunto, la Fondazione IRCCS), e rivisto fra gli stessi soggetti nel 2004, finalizzato a definire le condizioni necessarie per la realizzazione di una grande ristrutturazione del complesso ospedaliero che fa capo alla fondazione IRCCS, stabilendo, in particolare, la soluzione di un mutuo per il finanziamento della ristrutturazione ospedaliera;
   di tale ristrutturazione, anche nel dibattito pubblico, non v’è traccia sicura ed aggiornata, anche solo in relazione ai relativi costi stimati;
   la spoliazione del patrimonio della Fondazione IRCCS ha avuto anche altro precedente importante;
   alla data del 31 dicembre 2004, prima della sua trasformazione fondazione IRCCS, l'ospedale Maggiore di Milano aveva riserve a bilancio per circa 100 milioni di euro, in vista dell'investimento per il nuovo ospedale, riserve accumulate in particolare grazie calla gestione del patrimonio disponibile ed all'alienazione di immobili non strategici e di aree edificabili;
   negli anni successivi al 2004, la regione Lombardia ha autorizzato/indotto l'impiego di larga parte di quelle risorse per coprire gli sbilanci derivanti dall'ordinaria attività di assistenza;
   quanto emerge dalla complessa e travagliata vicenda che riguarda la fondazione IRCCS Ca’ Granda ospedale Maggiore Policlinico colpisce, se non altro, per l'assenza di un effettivo vaglio e di un controllo in ordine a quanto operato dal consiglio di amministrazione della medesima fondazione IRCCS. Vaglio e controllo che riguardino, fra i molteplici aspetti, la valutazione costi/benefici operata dal consiglio di amministrazione della fondazione IRCCS, prima di assumere le proprie decisioni, rispetto alle operazioni immobiliari ora ricordate, anche in raffronto a possibili soluzioni alternative;
   è bene rammentare che l'articolo 2, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo n. 288 del 2003 la cui legittimità costituzionale è stata confermata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 270 del 2005), sottopone le Fondazioni IRCCS alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se nell'esercizio del potere di vigilanza spettante al Ministero dell'economia e delle finanze, di cui al citato articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 288 del 2003, le operazioni su esposte rientrino nel rispetto della legge e nella garanzia del patrimonio dell'ente vista la complessità ed la gravità delle operazioni ed ai valori economici in gioco;
   se sia stata effettuata una verifica e vigilanza di tutte le principali vicende che hanno riguardato la fondazione IRCCS, a far tempo dalla sua nascita nel 2005 e principalmente: i rapporti con la fondazione Fiera di Milano; le vicende inerenti al patrimonio immobiliare disponibile urbano e rurale; i rapporti con fondazione CARIPLO/Banca Intesa San Paolo; le consulenze e la pareristica acquisita in relazione alle ricordate operazioni; le società e gli enti che fanno riferimento – anche non maggioritariamente – alla fondazione IRCCS; le risorse a bilancio per investimenti utilizzate per coprire sbilanci di parte corrente anche in relazione a possibili violazioni di legge e di atti/accordi amministrativi ed alla sussistenza di possibili lesioni del preminente interesse pubblico generale. (4-08923)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di trasporto ferroviario, sulle tratte Padova-Venezia-Ferrara-Bologna e Rovigo-Verona è stato più volte oggetto di riduzioni di corse o soppressione di scali;
   si tratta di un'area del territorio regionale del Veneto che riveste un ruolo di collegamento e scambio tra diverse dorsali che mettono in contatto più province e più regioni;
   Trenitalia ha nuovamente in programma durante il periodo estivo di sopprimere ulteriori corse serali, in quanto non più utilizzate dal pendolarismo studentesco;
   di fatto si avrà la cancellazione del treno regionale R20490 sulla tratta Monselice-Legnago e il treno rionale R20795 sulla tratta Venezia-Rovigo;
   tale situazione si era già venuta a creare lo scorso anno ed aveva suscitato le medesime perplessità e le medesime rimostranze da parte degli utenti composti prevalentemente da studenti ma anche da lavoratori;
   tale diminuzione del servizio creerà notevoli disagi ai pendolari –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga di attivare presso Trenitalia per garantire un maggior servizio nell'area indicata e sulle tratte indicate e se esistano programmi di sviluppo e promozione del trasporto ferroviario in Veneto. (5-05425)

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in alcuni Stati della Unione europea i così detti «parcheggi rosa», riservati a donne in gravidanza o con prole in tenera età, sono stati regolamentati e rientrano a tutti gli effetti nelle disposizioni stradali;
   in altri Paesi, compresa l'Italia, si tratta, invece, di iniziative lasciate alla mera cortesia degli utenti, con la conseguenza pratica che quasi mai gli stalli in parola risultano effettivamente liberi per le persone interessate;
   consta che nemmeno la Commissione europea abbia ancora emanato (o intenda farlo a breve) una direttiva per uniformare le disposizioni stradali in materia;
   se non ritengano di attivarsi per addivinire al riconoscimento giuridico dei «parcheggi rosa», regolamentando gli stalli riservati a donne incinte o con bambini piccoli –:
   se non ritengano di dover assumere iniziative per un intervento di uniformazione da parte delle competenti autorità comunitarie, consentendo all'Italia di essere il primo Paese a farsi garante di un diritto che investe anche questioni di salute, oltre che di profondo senso civico.
(4-08907)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ALIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è certamente una delle istituzioni più importanti e significative per il nostro Paese;
   numerosi sono gli interventi che esso affronta e gestisce quotidianamente sul territorio: interventi assicurati sempre con la massima professionalità e competenza;
   di fronte a tali gravosi, fondamentali impegni risulta necessario assicurare al Corpo nazionale dei vigili del fuoco un aumento di organico che consenta l'espletamento della sua attività nel migliore dei modi;
   nella fase di discussione e approvazione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, all'articolo 8, si è disposta l'assunzione di 1000 unità di vigili del fuoco tramite lo scorrimento delle graduatorie per la procedura di stabilizzazione del personale precario del Corpo ai sensi della legge n. 296 del 2006 e della graduatoria del concorso pubblico ad 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco;
   con la conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, la validità delle graduatorie è stata prorogata al 31 dicembre 2016 ed in base all'articolo 3, comma 3-octies del citato decreto-legge, si è disposto un ulteriore incremento della dotazione organica del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di 1030 unità, di cui 1.000 nel ruolo operativo utilizzando lo scorrimento delle citate graduatorie;
   l'aumento di 2000 unità non è tuttavia riuscita a compensare la carenza di personale dell'organico dei vigili del fuoco;
   inoltre, le limitazioni imposte dal turnover hanno impoverito il già carente organico dei vigili del fuoco –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per stanziare ulteriori risorse economiche per l'assunzione di nuove unità di personale al fine di garantire al Corpo nazionale dei vigili del fuoco di svolgere la propria attività nel migliore dei modi. (4-08911)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando ad un'analisi pubblicata recentemente dalla Rivista Limes, a firma Michele Groppi, intitolata «Ritratto del jihadista lumbard», Milano e Lombardia sarebbero «il fulcro dell'eversione islamista» nel nostro Paese;
   Michele Groppi giunge a queste conclusioni sulla base dell'ampiezza della comunità musulmana residente in Lombardia, della folta presenza di quelle che l'autore stesso definisce «palestre del radicalismo islamico», delle risultanze delle inchieste della magistratura, dei piani degli attentati rinvenuti e degli accertati «legami con il jihad globale»;
   in Lombardia vivono in effetti oltre 409 mila musulmani, il 26,5 percento del totale presente in Italia;
   la sola Milano sarebbe stata oggetto di almeno sei piani d'attacco dei tredici complessivamente censiti finora, dato che fa della città ambrosiana il primo bersaglio nazionale dei jihadisti. A Milano hanno altresì avuto luogo due dei sei attentati jihadisti eseguiti ma non riusciti e dell'unico attacco parzialmente riuscito nel nostro Paese;
   le moschee milanesi di via Quaranta e viale Jenner avrebbero ospitato predicatori radicali provenienti da tutto il mondo islamico, divenendo fonte d'ispirazione per numerosi musulmani che avrebbero successivamente abbracciato la causa del jihad e del terrorismo;
   Groppi rileva, altresì, che della dozzina di convertiti italiani divenuti Foreign Fighter almeno quattro provenivano dai Comuni di Milano, Como e Cantù;
   da quanto precede emerge un quadro che anche nella prospettiva dell'Expo 2015, di cui è ormai è imminente l'inizio, dovrebbe fare della Lombardia il teatro regionale sul quale concentrare gli sforzi tesi a prevenire la commissione di attentati;
   sulla situazione si è già più volte cercato di attirare l'attenzione del Governo, con numerosi atti di sindacato ispettivo, mentre dal canto suo la regione Lombardia ha varato provvedimenti che di fatto implicano una moratoria nella costruzione di nuovi siti da adibire al culto islamico;
   la presenza di Foreign Fighters e simpatizzanti del jihadismo italiani e stranieri a Como ed in particolare nella zona di Cantù risulta comprovata –:
   se il Governo sia a conoscenza di specifiche minacce gravanti sul territorio lombardo, anche in connessione con lo svolgimento dell'Expo 2015;
   quali misure il Governo intenda assumere per garantire la sicurezza in Lombardia ed in particolare a Como e nel territorio comunale di Cantù e se in particolare non si ritenga opportuno rinforzare ulteriormente i presidi delle forze di polizia che vi operano;
   se il Governo stia valutando l'ipotesi di escludere la Lombardia dal piano di ripartizione tra le regioni del nostro Paese dei migranti che giungono irregolarmente nel nostro Paese, a prescindere dal fatto che richiedano o meno l'asilo politico, tenuto presente che proprio il 22 aprile 2015 è stato rivelato come un clandestino giunto a Lampedusa nel 2011 sia divenuto un Foreign Fighter. (4-08913)


   FAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere — premesso che:
   l'inchiesta «Mondo di mezzo», coordinata dalla direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica di Roma, ha portato alla luce l'esistenza di un'articolata associazione di stampo mafioso capeggiata dall'ex componente della banda della Magliana ed estremista nero Massimo Carminati che vede indagati politici, imprenditori e professionisti di Roma e provincia;
   la Corte di Cassazione ha recentemente confermato l'impianto accusatorio prospettato dalla Procura distrettuale e accolto sia dal Gip sia dal tribunale del riesame;
   nell'ambito dell'inchiesta emergeva il condizionamento dell'amministrazione comunale di Sacrofano;
   giova riportare il contenuto dell'informativa conclusiva dei ROS nell'indagine Mondo di Mezzo: «L'attività d'indagine operata dal II Reparto Investigativo del ROS in seno al presente procedimento penale, permetteva di evidenziare come il sodalizio criminale indagato promanasse i propri interessi illeciti coinvolgendo ampi settori della pubblica amministrazione. Ad ulteriore conferma di quanto già emerso nei riguardi dell'amministrazione capitolina, le acquisizioni tecniche operate da quel Reparto disvelavano come anche presso il Comune di Sacrofano (RM), il sodalizio fosse riuscito ad inserirsi attraverso la nomina di amministratori a questo compiacenti. Non occorre in questa sede sottolineare che il territorio di Sacrofano, proprio perché luogo di residenza eletta dei vertici dell'organizzazione criminale indagata quali Carminati Massimo e Brugia Riccardo, rivestiva, anche simbolicamente, un ruolo di straordinaria importanza. L'attività operata infatti permetteva di raccogliere numerosi elementi indiziari che permettevano di evidenziare come il sodalizio di Carminati Massimo avesse sostenuto la candidatura a sindaco di quel comune di Luzzi Tommaso già amministratore delegato dell'azienda ASTRAL SPA»;
   ed ancora: «I rapporti tra Carminati Massimo ed il sindaco Luzzi si protraevano nel corso del tempo, tanto è vero che il 19 gennaio 2014 il primo cittadino di Sacrofano, secondo quanto riferito da Gaglianone Agostino, avrebbe partecipato ad un pranzo organizzato presso l'abitazione del Carminati a cui prendevano parte anche Testa Fabrizio, Gramazio Luca, Gramazio Domenico e lo stesso Gaglianone»;
   allo stato non risulta che sia stata insediata una commissione d'accesso in seno al comune di Sacrofano al fine di valutare i presupposti per un eventuale scioglimento per condizionamento mafioso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali gravissimi fatti e per quali ragioni il prefetto di Roma non abbia insediato una commissione d'accesso in seno all'amministrazione in questione, diversamente da quanto fatto per il comune di Roma. (4-08919)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'OTTAVIO, FREGOLENT, ROSSOMANDO, PAOLA BRAGANTINI, BOCCUZZI e GIORGIS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è stata disposta la chiusura a tutte le attività dell'edificio denominato «Palazzo Nuovo», una delle sedi più importanti e frequentate dell'università di Torino;
   il rettore, che ha da tempo affidato all'A.R.P.A. Piemonte la mappatura della eventuale presenza di amianto nelle sedi universitarie, in attesa delle osservazioni conclusive a cura dell'ente in qualità di consulente dell'ateneo, e a seguito del verbale dell'A.S.L. TO1 del 15 aprile 2015, ha ritenuto opportuno disporre il divieto di uso dell'intera sede;
   l'università di Torino sta cercando di predisporre un piano urgente di interventi mirati che, sulla base delle indicazioni che riceverà dagli organi competenti, consentano di riprendere al più presto l'attività didattica;
   inoltre, grazie al pieno supporto e alla pronta risposta sul piano operativo e organizzativo della città di Torino, che si è messa a disposizione istituendo una task force, per il reperimento di spazi cittadini necessari è in fase di predisposizione un piano di utilizzo di locali alternativi sparsi nel territorio, in quanto non è prevedibile, al momento la durata della chiusura –:
   se e con quali iniziative il Ministro ritenga di favorire una positiva conclusione della questione e che cosa abbiano messo a disposizione dell'università di Torino. (5-05429)

Interrogazione a risposta scritta:


   SANTERINI e DELLAI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la riforma dell'università sono stati introdotti dei criteri e delle regole per la valorizzazione della qualità e dell'efficienza tra cui un sistema di accreditamento periodico delle università attraverso criteri definiti ex ante anche ai fini della allocazione delle risorse con criteri di qualità e merito;
   come è purtroppo noto alla complessa riforma non sono seguiti adeguati investimenti e prosegue una costante azione di disinvestimento con misure che rischiano di diminuire il livello qualitativo indebolendolo ulteriormente il sistema italiano dell'università e della ricerca;
   nello specifico, con ripetuti interventi legislativi che modificano le percentuali, continuano ad essere estese le disposizioni sul blocco del turn over previste dal decreto-legge n. 112 del 2008 per il triennio 2009-2011;
   con il decreto ministeriale pubblicato il 27 marzo 2015 sono state evidenziate le conseguenze della situazione grave in cui versa il sistema ovvero che «l'offerta formativa rischia di essere pregiudicata dalle limitazioni in materia di turn over previste dalla normativa vigente»;
   il decreto, preso atto della grave situazione provocata dai tagli e dalle limitazioni poste al sistema, per evitare le inevitabili conseguenze, attenua in via transitoria i requisiti minimi per l'accreditamento dei corsi di laurea;
   tali requisiti, posti a presidio della qualità, sono stati definiti in attuazione della riforma universitaria dall'articolo 5, comma 1, del decreto ministeriale 30 gennaio 2013, n. 47, e successive modificazioni, e hanno trovato applicazione a decorrere dall'anno accademico 2013/2014;
   il provvedimento, pur non variando il numero minimo di docenti per attivare i corsi di laurea (nove per i corsi di primo livello e sei per quelli di secondo), permetterà di considerare nel computo anche i professori non strutturati ovvero i professori a contratto, anche a titolo gratuito, e i professori straordinari a tempo i cui oneri finanziari sono a carico di imprese o fondazioni, o altri soggetti pubblici o privati su base convenzionale, fino alla misura di un terzo dei posti;
   le nuove disposizioni saranno in vigore fino all'anno accademico 2017/2018, termine ultimo degli attuali limiti al turn over del personale, e riguarderà sia le università statali che quelle non statali;
   il decreto completa nella sostanza una politica di Governo che da una parte blocca il turn over e, dall'altra, cosciente del depauperamento dell'offerta formativa, ritiene di porvi rimedio abbassando i requisiti minimi di docenza per l'accreditamento dei corsi;
   tale scelta oltretutto cambia le regole nel corso della programmazione con conseguenze negative su chi le ha osservate e con un messaggio molto lontano da quello impresso con la riforma;
   la situazione rischia di favorire fenomeni distorsivi come l'utilizzo di docenti precari, spesso non di eccellenza o che non sono riusciti ad ottenere l'abilitazione, o come l'utilizzo dei minimi, non solo per sostenere un'offerta formativa già collaudata ed entrata in sofferenza, ma anche per aprire nuovi corsi di laurea, soprattutto da parte di realtà, come alcune università telematiche, che già hanno mostrato scarsa sensibilità per la qualità della docenza –:
   se il Ministro interrogato abbia considerato le possibili conseguenze che la nuova disciplina comporterà e quali siano i suoi intendimenti in merito;
   se non ritenga opportuno adoperarsi per provvedere allo sblocco immediato del turn over e alla allocazione di risorse straordinarie che consentano – attraverso un programmato inserimento nel sistema universitario accademico italiano basato sul merito – l'accesso di giovani nella ricerca e alla docenza e il mantenimento dell'eccellenza formativa e della ricerca scientifica, come pilastro fondamentale dello sviluppo economico, sociale e culturale del Paese;
   se non ritenga in subordine, qualora il blocco del turn over risultasse una necessità ineludibile, di assumere iniziative per definire norme rigorose che impediscano l'uso di «minimi in deroga» per aprire nuovi corsi di laurea non solo direttamente, come è già previsto, ma anche indirettamente. (4-08917)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GNECCHI, COMINELLI, ASCANI, SCUVERA, CINZIA MARIA FONTANA, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, GIACOBBE, MURER, ALBANELLA, CASELLATO, BARUFFI, BONOMO, QUARTAPELLE PROCOPIO e MARCO DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, ha previsto, dal 1o gennaio 2009, l'abrogazione del divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo e dipendente;
   prima della suddetta abrogazione, da fonte Inps – coordinamento generale statistico attuariale – archivio centrale dei pensionati, nell'anno 2007, nella fascia di età fra 60 e 80 anni e oltre, erano 794.000 i pensionati che lavoravano. Per quanto riguarda i redditi da lavoro conseguiti, trascurando le classi di importo fino a 999 euro, ci sono circa 235.000 soggetti che hanno conseguito redditi fra 1000 e 1999 euro mensili e circa 136.000 soggetti che hanno conseguito redditi fra 2000 e fino a oltre 3000 euro mensili;
   nell'anno 2012, ultimo dato disponibile dal rapporto 2013 sulla coesione sociale Istat – sempre da fonte Inps, nella fascia di età fra 60 e 80 anni e oltre, erano 1.355.000 i pensionati che lavoravano. Per quanto riguarda i redditi da lavoro conseguiti, trascurando le classi di importo fino a 999 euro, ci sono circa 661.000 soggetti che hanno conseguito redditi fra 1000 e 1999 euro mensili e circa 392.000 soggetti che hanno conseguito redditi fra 2000 e fino a oltre 3000 euro mensili;
   dai dati di cui sopra, risulta evidente che a seguito dell'abrogazione del divieto di cumulo, i pensionati che hanno continuato a lavorare, sono aumentati gradualmente dopo il 1o gennaio 2009 e la differenza fra l'anno 2007 e l'anno 2012 ha comportato un aumento di circa 561.000 pensionati che hanno anche redditi da lavoro fra la fascia di età di 60 e oltre 80 anni;
   dall'archivio storico Istat sull'occupazione giovanile nella fascia 15-24 (dati destagionalizzati) risulta che nell'anno 2008 la disoccupazione giovanile era in media del 22 per cento, nel 2009, anno di entrata in vigore della legge di cui sopra è salita a oltre il 26 per cento, nel 2010 al 28 per cento, nel 2011 è arrivata ad oltre il 31 per cento e dal 2012, per effetto anche della «manovra Foriero» sulle pensioni, è arrivata al 38 per cento, aumentando nel corso degli anni per gli effetti combinati di cui sopra, fino ad un tasso di disoccupazione del 42,6 per cento, registrato dall'Istat nell'ultima rilevazione del febbraio 2015;
   in termini di dati assoluti, nel 2008 erano circa 1.400.000 i giovani occupati nella fascia di età 15/24 anni, a febbraio 2015 risultano invece essere 868.000 unità;
   se è pur vero che in parte la causa dell'aumento della disoccupazione giovanile, sia dovuta alla situazione di crisi economica degli ultimi anni, non vi è dubbio alcuno, che l'assenza di opportunità occupazionali per i giovani, è causata anche dall'abrogazione del divieto di cumulo intervenuta a partire dal 2009 e dalla successiva «manovra Foriero» sulle pensioni che ha modificato pesantemente i requisiti di accesso alla pensione;
   per gli aspetti di cui sopra, molti Paesi europei, che hanno parimenti al nostro elevato i requisiti di accesso alla pensione, hanno comunque mantenuto un canale di uscita flessibile verso la pensione prevedendo delle penalizzazioni e risulta agli interroganti anche che il pensionato è comunque legato a delle restrizioni o decurtazione della pensione, se prosegue l'attività lavorativa dopo la pensione;
   a fronte delle situazioni sopra descritte, l'Italia non sta favorendo le nuove generazioni affinché queste possano aspirare alla possibilità di avere un'occupazione stabile, a costruirsi il proprio avvenire e a realizzare un progetto di sé e poter godere di un reddito futuro da pensione dignitoso –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, per le ragioni suesposte e per favorire l'occupazione giovanile, di promuovere:
    a) la reintroduzione del divieto di cumulo fra redditi da pensione e redditi da lavoro o comunque un'adeguata trattenuta sulla pensione in godimento, portando ad un risparmio per il sistema previdenziale;
    b) la reintroduzione della flessibilità in uscita per favorire il ricambio generazionale;
    c) iniziative per l'attuazione del protocollo del welfare del 2007, recepito nella legge n. 247 del 2007 al fine di garantire ai giovani di oggi il raggiungimento di un tasso di sostituzione al netto della fiscalità non inferiore al 60 per cento. (5-05423)


   GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   73 lavoratori della società Getek, erogante servizi al contac center Inps ed Inail della città di Crotone, sono attualmente in mobilità;
   la Getek è stata dichiarata fallita dal tribunale fallimentare di Roma nel 2012;
   i lavoratori in questione hanno svolto il servizio in esclusiva per il numero verde Inps/Inail, in una materia delicata quale è quella previdenziale. La professionalità dei lavoratori, ha visto il riconoscimento professionale da parte degli stessi enti Inps ed Inail;
   nel mese di settembre 2010 , la gara per il servizio di contact center Inps/Inail viene aggiudicata alla RTI Transcom Worldwide Spa/Visiant Contact srl;
   mentre tutti gli operatori dei vari siti, impiegati nella precedente commessa sono stati inseriti fin da subito nella nuova commessa, soltanto ai lavoratori della Getek, a quanto risulta all'interrogante, non è stato concesso di rientrare nel circuito lavorativo, ma anzi sono stati posti prima in cassa integrazione ordinaria, poi in cassa integrazione straordinaria e, infine, in mobilità. Al contrario, in altri siti sono stati assunti dal 2010 ad oggi, più di 1500 nuovi operatori per lo stesso servizio;
   in occasione del question time alla Camera dei deputati, il 14 gennaio 2015, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha garantito la massima attenzione del suo dicastero sulla vicenda, esprimendo l'intenzione di valutare ogni possibile soluzione diretta a tutelare la posizione dei lavoratori e delle loro famiglie;
   della vicenda, dalle rappresentanze sindacali è stato reso edotto anche il presidente dell'Inps. Nel mese di marzo 2015, i vertici dell'Inail hanno risposto ad una missiva inviata dai lavoratori in mobilità, affermando che nella redazione del prossimo capitolato relativo al nuovo bando di gara per il nuovo servizio di contact center saranno valutate iniziative per inserire azioni mirate per la risoluzione della vertenza segnalata;
   la gara in questione ha una scadenza prevista il prossimo giugno 2015;
   la situazione dei lavoratori della Getek in mobilità è drammatica dal punto di vista occupazionale. I lavoratori in questione sono monoreddito con figli e mutui a carico. Dal mese di ottobre 2014, l'80 per cento di loro non percepisce più nessun ammortizzatore sociale –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa di competenza, di concerto con i vertici dell'Inps, affinché, nell'ambito della assegnazione dei servizi in questione attraverso il bando in scadenza il prossimo giugno 2015, venga garantito il ricollocamento dei lavoratori della ex Getek attualmente in mobilità;
   se s'intenda convocare un tavolo tecnico di confronto, di concerto con le autorità interessate, le parti sociali e le organizzazioni sindacali, per affrontare con urgenza ed efficacia la vertenza in questione. (5-05430)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   attualmente, tra le varie misure di cui possono usufruire gli aderenti attraverso il programma Garanzia Giovani, esiste la possibilità di effettuare un tirocinio lavorativo;
   esso prevede che la somma percepita dal tirocinante sia coperta per la maggior parte dall'INPS);
   in Emilia Romagna, per esempio, i 450 euro previsti come compenso minimo dalla legge regionale, sono a carico dell'impresa per soli 150, prevedendo la normativa nazionale che un minimo di 300 siano a carico della regione;
   esistono disposizioni in Italia, come quella prevista dal centro per l'impiego di Rimini, che vietano l'uso dei tirocini di inserimento ordinari in presenza di picchi produttivi, sulla base di quanto previsto dalla norma nazionale che prevede che: «i tirocinanti non possono sostituire lavoratori con contratto a termine che, generalmente, vengono assunti durante i picchi di attività dell'azienda», rimandando a leggi regionali i criteri con cui determinare queste situazioni;
   non è chiaro se tale complesso previsionale si debba ritenere esteso anche ai tirocini effettuati in regime di Garanzia Giovani, come dovrebbe far supporre l'analogia fra le condizioni contrattuali richiamate;
   si hanno infatti segnalazioni che nel riminese aziende del settore turistico/stagionale stiano procedendo a richiedere a giovani in cerca di lavoro l'iscrizione a Garanzia Giovani, evidentemente con lo scopo di poter poi assumere tramite tirocinio sovvenzionato;
   in tal caso si configurerebbe un impegno di risorse pubbliche a copertura di lavori stagionali e quindi privi di qualsiasi possibile prospettiva di continuità, che si sarebbero peraltro attivati anche in assenza di tali contributi –:
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per chiarire che i tirocini in ambito Garanzia Giovani debbano essere assimilati in tutto ai tirocini di inserimento ordinari, e come tali essere assoggettati alle norme nazionali e regionali che ne vietino l'utilizzo in presenza di picchi produttivi e di lavoro stagionale, evidentemente privo di carattere formativo e di avviamento occupazionale. (4-08908)


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Call&Call Srl con sede legale a Cinisello Balsamo (Milano), con lettera del 10 aprile 2015, ha avviato le procedure di licenziamento collettivo ai sensi e per gli effetti della legge n. 223 del 1991, al fine di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro per cessazione delle attività nei confronti di n. 186 lavoratori occupati presso l'unità produttiva di Cinisello Balsamo, pari alla totalità delle risorse occupate presso il centro;
   la società, posseduta al 100 per cento da Call&Call Holding spa, opera nel settore del contact center, focalizzandosi, nel tempo, in attività di customer care inbound, con le seguenti commesse attualmente in essere:
    ING Direct — Attività di customer care telefonico inbound ed outbound, supporto commerciale con proposte di vendita conto corrente e/o conto deposito, assistenza clienti chat;
    AGOS DUCATO – Attività di customer care telefonico inbound ed outbound, supporto commerciale con proposte di buoni di prelievo, presa appuntamenti in filiale, assistenza telefonica ai prospect web;
    FIDITALIA – Attività di customer care telefonico inbound ed outbound, supporto commerciale con proposta di nuovo finanziamento (passaggio di opportunità al committente), outbound verifica della qualità della forza vendita;
   già nello scorso anno, nei vari incontri tenutisi a livello sindacale, la società illustrava l'aggravarsi della criticità del mercato di riferimento (dovuto ad un forte calo dei ricavi e della redditività dei servizi offerti, anche per via della crisi economica-finanziaria globale che ha portato alla delocalizzazione dei processi produttivi) e rappresentava come il costo del lavoro presso la sede di Cinisello Balsamo non rendesse competitiva l'unità produttiva e come la contrazione del mercato non rendesse comunque possibile un'adeguata remunerazione dei fattori produttivi, nonché la copertura dei costi fissi di gestione della struttura;
   in data 25 giugno 2014, società e rappresentanze sindacali, raggiungevano l'accordo per la sottoscrizione di un contratto di solidarietà difensivo di tipo «B», ex articolo 5, commi 5 e 8, della legge n. 136 del 1993, avente scadenza il 30 giugno 2015;
   a giugno prossimo, pertanto, 186 famiglie – il 70 per cento delle quali della zona di Monza e Brianza – rischiano di ritrovarsi sul lastrico; gran parte dei lavoratori sono ultra quarantenni, a rischio dunque, di esclusione sociale per mancato ricollocamento, ma ancora troppo giovani per accedere al trattamento pensionistico –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda porre in essere con urgenza per scongiurare la chiusura definitiva della sede di Cinisello Balsamo;
   se non ritenga opportuno istituire al più presto un tavolo istituzionale con la proprietà della Call&Call e le rappresentanze sindacali affinché siano valutati percorsi alternativi al licenziamento collettivo o comunque eventuali ipotesi di salvaguardia dei livelli occupazionali delle centinaia di lavoratori coinvolti;
   se non convenga sull'urgenza di intervenire in maniera strutturale – e non invia transitoria come fatto finora – per l'abbattimento del costo del lavoro e la riduzione del cuneo fiscale, causa principale oggigiorno di licenziamenti collettivi come nel caso esposto in premessa.
(4-08922)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRANCO BORDO e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella strategia per la crescita digitale 2014-2020 sono evidenziati i provvedimenti che danno attuazione all'agenda digitale per il settore agricolo;
   tali norme intervengono «parallelamente» a quelle monitorate nel dossier sull'Agenda digitale, nel senso che non ne costituisco un attuazione in senso tecnico, bensì un completamento, intervenendo infatti in ragione di basi normative diverse e per motivazioni in parte connesse all'attuazione della politica agricola comune 2014-2020, PAC;
   gli interventi normativi sono: la legge del 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), che prevede l'inserimento dell'anagrafe delle aziende agricole tra le banche dati di interesse nazionale individuate dal codice dell'amministrazione digitale (nuova lettera f-ter dell'articolo 60, comma 3-bis, del codice dell'amministrazione digitale) e il decreto ministeriale del 12 gennaio 2015, n. 162, relativo alla semplificazione della gestione della PAC 2014-2020 approvato d'intesa Stato-regioni, il quale stabilisce che «il fascicolo aziendale e l'insieme delle informazioni relative ai soggetti tenuti all'iscrizione all'Anagrafe, controllate e certificate dagli Organismi pagatori con le informazioni residenti nelle banche dati della pubblica amministrazione in particolare del SIAN-Sistema Informativo Agricolo Nazionale»;
   il decreto ministeriale di fatto costituisce la base normativa che sostiene il «Piano Agricoltura 2.0 – Amministrazione digitale, innovare per semplificare» a decorrere dalla corrente campagna 2014-2015. Il decreto dà attuazione alle seguenti norme:
    a) articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1999 che istituisce l'anagrafe delle aziende agricole;
    b) decreto legislativo 29 marzo 2004 n. 99 che ha trasferito ad AGEA le funzioni di coordinamento e gestione del sistema informativo Agricolo Nazionale, SIAN;
    c) decreto-legge del 9 febbraio 2012, n. 5, in particolare, l'articolo 25 che prevede misure di semplificazione per le imprese agricole;
   il «Piano Agricoltura 2.0 – Amministrazione digitale, innovare per semplificare» presentato il 18 novembre 2014, prevede interventi miranti all'innovazione tecnologica, alla semplificazione amministrativa e di processo, finalizzati ad eliminare il carico burocratico per gli agricoltori ed il ricorso a processi non informatizzati;
   il 23 marzo 2015 è stato presentato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali l'avvio del «piano», annunciando della disponibilità on line sul sito dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, AGEA, e degli organismi pagatori regionali del sistema con il quale gli agricoltori (autonomamente o assistiti dal centro autorizzato nazionale, CAA) potranno dare semplice conferma della domanda PAC precompilata con un click o integrare e completare le informazioni;
   è evidente che l'informatizzazione del sistema di impresa delle aziende agricole sia una necessità socio-produttiva non più procrastinabile, anche a fronte del fatto che i fondi comunitari – pari a circa 7 miliardi di euro/anno – rappresentano la più consistente fonte di finanziamento per le imprese agricole e per circa l'80 per cento di esse che è rappresentato dai «piccoli agricoltori»;
   il processo di ammodernamento tecnologico e le misure di semplificazione per le imprese del settore, costituiscono, quindi, una sfida non più rinviabile per il Paese per poter misurare, realmente, la capacità di spesa certificata dei fondi strutturali, che sottragga l'Italia dal rischio del disimpegno automatico, e per cogliere al pieno tutte le possibilità socio-economiche che la «Riforma della PAC» relativa al periodo 2014-2020 offre. Si tratta, di una riforma che modifica il sistema di norme a carico degli agricoltori: le nuove regole stabilite dalla Commissione europea per l'erogazione dei fondi comunitari (Fondo europeo agricolo di garanzia, FEAGA, e il Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale, FEASR) introducono nuovi adempimenti sia per l'amministrazione e sia per le imprese le quali rischierebbero d'incrementare il carico burocratico se il processo non venisse revisionato dal profondo attraverso il ricorso alla digitalizzazione;
   l'obiettivo del «Piano» è quello di «intervenire in modo radicale per semplificare le procedure amministrative per oltre 1,5 di milioni di imprese agricole», di «eliminare la burocrazia inutile», di mettere la «Amministrazione al servizio degli agricoltori», di «portare a zero la carta sprecata» e «innovare per semplificare». Unitamente al sistema delle regioni, il Governo ha deciso di sfruttare l'occasione dell'attuazione della nuova, politica agricola comune per fare il «salto di qualità»;
   sono 6 gli strumenti pensati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per semplificare gli oneri burocratici di oltre 1,5 milioni di imprese agricole:
    a) anagrafe unica delle aziende agricole;
    b) un solo fascicolo aziendale;
    c) domanda PAC precompilata da marzo 2015;
    d) introduzione del pagamento anticipato a giugno 2015;
    e) banca dati unica dei certificati;
    f) domanda unificata;
   lo scopo è quello di giungere alla realizzazione di un «sistema informativo agricolo federato» basato sulle best practice di settore e su tecnologie/piattaforme open source;
   la tabella di marcia prevede la «semplificazione normativa/amministrativa che secondo le slide illustrate dal Governo, contempla la costituzione di un gruppo di lavoro (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e rappresentati delle regioni) operativo dal novembre, 2014, mentre il percorso tecnico prevede la costituzione di un gruppo di lavoro costituito dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, da Agea, dai rappresentati degli organismi pagatori regionali e da Ismea; il completamento-dei lavori è stato previsto per febbraio 2015;
   la tempistica di realizzazione di una «agricoltura digitale», sempre secondo il Governo, dovrebbe realizzarsi nel triennio 2015-2017; il monitoraggio della iniziativa è affidato all'Agenzia per l'Italia digitale attualmente diretta da un direttore generale dimissionario a fine marzo, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ismea e Agea;
   a seguito della creazione di un contesto adeguato allo sviluppo della trasformazione digitale, mediante l'implementazione di infrastrutture e architetture trasversali e piattaforme digitali i «piani di accelerazione» sono definiti quali fattore chiave, secondo il Governo, per il maggior impatto, in termini di ricadute socio-economiche e di diffusione della cultura digitale i «piani di accelerazione» hanno come obiettivi cardine:
    a) innovare il rapporto cittadini/imprese con la pubblica amministrazione, migliorando l'accesso ai servizi pubblici, attraverso una piattaforma unica, usabile e accessibile in un'ottica user-centred e fruibile anche in mobilità;
    b) promuovere la trasformazione delle città e dei territori e il loro uso sostenibile ed innovativo da parte di cittadini e imprese;
    c) rafforzare il «sistema delle competenze» del Paese per favorire la diffusione della cultura digitale, migliorare il benessere sociale e l'inclusione dei cittadini, la competitività delle imprese e lo sviluppo di un contesto favorevole all'imprenditoria innovativa;
   l'impatto atteso è quello di un «cambiamento profondo» che genera sia nuova domanda da parte dei cittadini e imprese, sia maggiore sviluppo dell'offerta, tramite il driver pubblico e le applicazioni relative sviluppate da soggetti privati;
   il ritardo digitale, secondo la Digital Agenda Scoreboard che misura lo stato di digitalizzazione dei Paesi europei, fa scontare all'Italia un gap pesantissimo rispetto alla media dell'Unione europea, in particolare sullo sviluppo di e-commerce e utilizzo di internet (-19 per cento rispetto alla Svezia, prima in classifica), e-government (-17 per cento) e disponibilità dei servizi internet (16 per cento). Questo si riflette sulla competitività dell'economia visto che i Paesi con migliori performance nella Digital Agenda Scoreboard sono anche primi nella classifica Doing Business della Banca mondiale che misura la capacità di fare impresa;
   secondo uno studio Censis fra l'incapacità di produrre servizi informatici, di usare e-commerce e moneta elettronica, di razionalizzare le banche dati della pubblica amministrazione si perdono 3,6 miliardi di euro l'anno. Quasi dieci milioni al giorno buttati via che potrebbero essere investiti in innovazione;
   il Governo ha messo sul tavolo un piano da 6 miliardi di euro per recuperare il gap «di almeno tre anni» (parole del premier) che l'Italia ha sulla media europea di velocità d'accesso. Si conta sull'effetto moltiplicatore, anche perché secondo Confindustria digitale (l'associazione delle imprese nata per promuovere il «salto» tecnologico), il gap di mancati investimenti rispetto alla media dell'Unione europea è di 25 miliardi di euro. Ma il problema non sta solo nella mancanza di infrastrutture e nella lentezza della banda, sta anche nella testa delle imprese;
   le aree rurali del Paese sono connesse al 17 per cento (banda larga) e secondo i dati emersi dal Censimento dell'agricoltura del 2010, solo il 3,76 per cento delle aziende agricole è dotato di computer (60.945), l'1,79 per cento ha un sito internet (29.043) e lo 1,19 per cento usa internet; tramite l’e-commerce lo 0,95 per cento acquista beni e servizi per l'impresa e lo 0,67 per cento vende i propri prodotti e servizi;
   rispetto al Censimento del 2000 i diversi indicatori dell'informatizzazione agricola sono cresciuti notevolmente e certamente un'ulteriore crescita si è registrata fra il 2011 e il 2013, ma in termini assoluti il settore primario è notevolmente indietro, anche rispetto alle microimprese di altri comparti. Basti pensare (Istat — Censimento industria e servizi, 2011) che le piccole imprese artigiane (da 3 a 9 addetti) collegate a internet sono il 77 per cento e il 33 per cento ha un proprio sito di presentazione; il 23 per cento utilizza l’e-commerce per acquistare beni e servizi per l'impresa e il 5 per cento per vendere i propri prodotti;
   il 14 ottobre 2010 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha emanato delle linee guida per l'attuazione del progetto di intervento pubblico «Banda larga nelle aree rurali d'Italia» nell'ambito dei PSR 2007-2013. Le linee guida rappresentano uno strumento operativo che il Ministero mette a disposizione delle autorità di gestione che intendono attuare gli interventi relativi alla banda larga, previsti nell'ambito della misura 321 dei PSR 2007-2013, avvalendosi del regime di aiuto n. 646 del 2009, approvato con decisione C(2010) 2956 del 30 aprile 2010;
   desta preoccupazione il campanello d'allarme lanciato dal Centro autorizzato nazionale, CAA, in cui si evidenzia che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in una comunicazione inviata al CAA a febbraio 2015, si impegnava a far erogare entro il mese i sostegni della Politica agricola comune all'organismo pagatore Agea, ma, in realtà, ci sono stati solo piccoli, irrisori pagamenti e le aziende in attesa di saldi consistenti stanno ancora aspettando. Con l'onda lunga della crisi economica, questa situazione sta creando grossissimi problemi al settore primario, per esempio non vi è ancora il saldo degli aiuti riferiti alle domande di pagamento unico 2014. Il mancato saldo può condizionare l'accesso delle aziende agricole alle risorse economiche previste nella nuova Politica agricola comune, oltre a determinare una notevole sofferenza economica per le imprese –:
   quali interventi reali e concreti sono stati posti in essere dal Governo per dare piena e reale attuazione all'agenda digitale per il settore agricolo anche a fronte del fatto che la direzione generale è vacante dopo le dimissioni, di marzo 2015 – a fini elettorali – della Direttrice generale dell'Agenzia per l'Italia digitale, dottoressa Alessandra Poggiani, fortemente voluta dal premier Renzi per dare un'accelerazione «propulsiva» alla digitalizzazione per ridurre il digital divide di tre anni accumulato rispetto agli altri partner europei;
   quali siano stati i risultati conseguiti nell'ultimo mese dalla domanda Politica agricola comune precompilata on line;
   se i «piani di accelerazione» siano stati già elaborati e redatti, in caso affermativo come siano strutturati e come saranno applicati operativamente;
   a che punto sia l'attuazione del progetto di intervento pubblico «Banda larga nelle aree rurali d'Italia», finanziato nell'ambito della misura 321 dei PSR 2007-2013, e quali siano, ad oggi, i risultati ottenuti in riferimento alla realizzazione nelle aree rurali delle infrastrutture di trasmissione dati, con i relativi servizi, realizzate per l'accesso a internet tramite la banda larga;
   quali interventi siano stati posti in essere in merito al campanello d'allarme lanciato dal Centro autorizzato nazionale, CAA, del mancato saldo delle domande di pagamento unico 2014 e della mancata erogazione dei sostegni PAC entro febbraio, come comunicato e promesso dallo stesso Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al CAA per il tramite di AGEA, che, ad oggi, tardano ad arrivare, anche per evitare di condizionare negativamente le aziende agricole nell'accesso alle nuove misure previste dalla PAC 2014-2020;
   quale sarà la tabella di marcia e la strategia operativa del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nei prossimi mesi al fine di ridurre il digital divide del settore primario tra l'Italia e gli altri partner europei. (5-05426)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo numero della rivista «The Lancet Oncology» l'agenzia dell'Organizzazione mondiale della sanità, ha annunciato di aver classificato tre pesticidi nella categoria 2A, cioè «probabilmente cancerogeni», l'ultimo livello, prima di «sicuramente cancerogeni»;
   fra le molecole prese in considerazione dallo IARC ci sono due insetticidi, il diazinon e il malathion, ma a suscitare scalpore è stato il parere dello IARC sulla terza sostanza, il glifosato;
   il glifosato è stato sintetizzato dalla Monsanto negli anni settanta, è il principio attivo del diserbante Roundup, ed è di fatto l'erbicida più usato al mondo oltre a essere quello che si ritrova più spesso nell'ambiente; è presente in più di 750 prodotti destinati all'agricoltura, silvicoltura, usi urbani e domestici;
   il suo impiego è decisamente aumentato con lo sviluppo delle colture transgeniche resistenti al glifosato;
   l'Italia, secondo un rapporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, è il maggiore consumatore tra quelli dell'Europa occidentale di pesticidi per unità di superficie coltivata, con valori doppi rispetto a quelli della Francia e della Germania. Molto alto anche il numero delle sostanze di cui si trovano importanti tracce nelle acque: 175 tipologie di pesticidi nel 2012 a fronte dei 166 del 2010 e di 118 del biennio 2007-2008. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono il glifosato e i suoi metaboliti, il metolaclor, il triciclazolo, l'oxadiazon e la terbutilazina;
   uno studio pubblicato nel 2011 dallo «US geological survey» ha rivelato che in alcune regioni degli Stati Uniti il glifosato era presente a livelli misurabili in tre quarti dei campioni di aria e di acqua piovana analizzati;
   in Francia è il pesticida di sintesi più diffuso. Nel 2011 ne sono state impiegate più di ottomila tonnellate, molte di più delle circa 2.700 della seconda sostanza più usata, il mancozeb (un fungicida). Secondo il rapporto del 2010 dell'Agenzia di sicurezza sanitaria dell'alimentazione, dell'ambiente e del lavoro, ANSES, in Francia «... il glifosato è il principale responsabile del degrado della qualità dell'acqua...»;
   va precisato che gli studi esaminati dallo IARC segnalano un aumento del rischio di tumore tra i giardinieri e agricoltori, non nella popolazione generale. Secondo l'Agenzia, «... gli studi caso-controllo di esposizione professionale condotti in Svezia, Stati Uniti e Canada hanno rivelato un aumento del rischio del linfoma di non Hodgkin...»;
   alcuni esperimenti sugli animali hanno mostrato che il diserbante provocava danni cromosomici, un maggiore rischio di tumore alla pelle e al tubolo renale e di adenomi delle cellule pancreatiche;
   tuttavia lo IARC ritiene che l'insieme della letteratura scientifica esaminata non permetterebbe di concludere con assoluta certezza che il glifosato sia cancerogeno;
   in un comunicato pubblicato il 23 marzo 2015 la Monsanto ha reagito duramente, sostenendo che lo IARC si è basato su «scienza spazzatura» e ne ha rifiutato categoricamente le conclusioni. In una lettera del 20 marzo scorso, la Monsanto ha intimato alla direttrice generale dell'OMS, Margaret Chan, di far «rettificare» la valutazione dello IARC;
   la valutazione dello IARC è il frutto di un processo immutabile da quarant'anni: una ventina di scienziati di diverse discipline (tossicologia, epidemiologia, e altro) sono selezionati dall'Agenzia in base alle loro competenze e all'assenza di conflitti di interesse con l'industria. All'Agenzia viene chiesto un parere sulla base della letteratura scientifica pubblicata: per vari giorni i ricercatori discutono dell'argomento in presenza di osservatori dell'industria, rappresentanti di agenzie di sicurezza sanitaria e portatori di interesse di altre realtà socio-economiche. A seguito di una conclusione condivisa degli esperti, lo step successivo è l'adozione di un parere. I pareri dello IARC – che hanno carattere puramente informativo e non normativo - godono nella comunità scientifica internazionale del massimo riconoscimento, ma spessissimo sono oggetto di contestazioni, prive di controprove empiriche, da parte dell'industria;
   l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare, EFSA, ha incaricato il Bundesinstitut fur Risikobewertung, BfR, tedesco di valutare nuovamente il glifosato. Fatto singolare, però, è che un terzo dei ricercatori del gruppo di esperti di pesticidi dell'agenzia tedesca è alle dirette dipendenze di giganti del settore agrochimico e/o biotecnologico –:
   se il Governo non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative per mettere al bando il glifosato dal territorio nazionale, al fine di applicare il «principio di precauzione» per salvaguardare le condizioni di vita e di lavoro degli operatori del settore, oltre alla salute dei consumatori e dell'ambiente, avendo quale punto di valutazione scientifica il parere dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e i numerosi studi di cancerogenicità fin ora esperiti;
   se il Governo intenda promuovere in sede europea uno studio scientifico elaborato da organismi indipendenti, contrariamente a quanto fatto dall'EFSA che ha incaricato il Bundesinstitut fur Risikobertun di valutare nuovamente il glifosato da parte di esperti di pesticidi molti dei quali sono alle dirette dipendenze di giganti del settore agrochimico e/o biotecnologico.
(5-05427)

Interrogazione a risposta scritta:


   COVA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi anni il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, attraverso AGEA, ha trattenuto i contributi della politica agricola comunitaria (PAC) alle aziende agricole che avevano ancora contenziosi in atto con lo Stato italiano per il pagamento delle multe per il superamento delle «quote latte»;
   questi fondi sono stati trattenuti a copertura delle multe che queste aziende dovrebbero pagare allo Stato italiano;
   il TAR del Piemonte II sezione l'8 maggio 2012 con sentenza n. 500 ha sentenziato che ritiene illegittimi le comunicazioni AGEA che prevedono la compensazione ed il presupposto provvedimento d'intesa tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e le regioni, laddove dispongono il recupero del cosiddetto «prelievo supplementare» nel settore lattiero-caseario mediante compensazione con gli aiuti comunitari, per violazione del principio di legalità e di riserva di legge, in quanto la mera intesa Stato-regioni (così come i successivi atti di AGEA) non trovava copertura alcuna – al momento della relativa adozione – in norme primarie – europee o interne – (copertura che, come sottolinea il Collegio, è intervenuta soltanto dopo l'emanazione degli atti impugnati). Inoltre per violazione dell'articolo 2, decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1974, n. 727, che dichiara impignorabili le somme dovute agli aventi diritto in attuazione di disposizioni dell'ordinamento comunitario relative a provvidenze finanziarie, in relazione all'articolo 1246 del codice civile, che esclude espressamente la possibilità di operare la compensazione qualora vi sia un credito dichiarato impignorabile;
   la Corte dei conti nella sua relazione 11/2013G sul pagamento delle multe per le «Quote latte» ha dichiarato a pagina 4 che «... Come già rilevato dalla Corte dei conti nel 2002, questo modo di procedere consente di mantenere sommerso un debito a carico del bilancio statale...» –:
   in quale capitolo del bilancio dello Stato siano allocati questi Fondi, quale Ministero ne abbia la disponibilità e a quale somma ammontano queste trattenute dei contributi PAC;
   se il Ministero ritenga possibile continuare a trattenere contributi comunitari dichiarati impignorabili dall'articolo 2, decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1974, n. 727. (4-08912)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE e FICO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il presidio ospedaliero Capilupi di Capri dispone di circa ventitré posti letto per circa quattordicimila abitanti residenti ed è l'unica struttura sanitaria dell'isola il cui bacino di utenza aumenta notevolmente nei mesi estivi;
   l'ospedale è dotato di sette unità operative complesse: ostetricia e ginecologia, nido, pediatria, medicina, chirurgia e pronto soccorso; inoltre dispone di un servizio di radiologia, un laboratorio di patologia clinica e un centro dialisi;
   nel reparto di ostetricia e ginecologia attualmente sono impiegati solo due medici che coprono turni di ventiquattro ore a giorni alterni;
   il 28 febbraio 2015 è morta una donna che per l'intera giornata ha atteso all'Ospedale Capilupi il trattamento di dialisi, che non è stato mai eseguito per mancanza di personale infermieristico specializzato;
   la Tac è fuori uso da quasi un anno impedendo una diagnosi tempestiva in caso di incidenti e traumi, secondo quanto riportato dal quotidiano on line positanonews.it «ora è possibile soltanto effettuare le radiografie a Capri, ma quando i referti vengono inviati ai nosocomi napoletani, la risposta che perviene è sempre la stessa: non è possibile fare diagnosi perché le immagini inviate non sono chiare»;
   in caso di emergenza, i pazienti sono soccorsi dall'eliambulanza per essere trasferiti ai presidi ospedalieri di Napoli, ma a causa del vento spesso gli elicotteri non possono decollare, e le carenze della struttura Capilupi impediscono la tutela del diritto alla salute;
   l'unica assistenza ai malati mentali è erogata da uno psichiatra e un infermiere ogni quindici giorni, senza alcun supporto di psicologi e assistenti sociali, a condizione che l'asl Napoli 1 eroghi i biglietti per i mezzi di trasporto necessari al raggiungimento dell'isola e se le condizioni meteo marine lo permettono;
   in una nota spedita ai vertici della asl Napoli 1 Francesco Blasi, psichiatra territorialmente competente per l'isola di Capri, ha segnalato che alcuni pazienti sarebbero a rischio-suicidio, e almeno 7-8 sono state le potenziali vittime di mancata assistenza;
   la Campania, secondo gli ultimi dati Istat, risulta la regione con il più basso tasso di suicidi in Italia, ma sull'isola di Capri si registrano dati in controtendenza, con picchi di suicidi; la mancanza di un adeguato supporto potrebbe favorire l'incremento di tali dati, anche in considerazione del fatto che non esiste sull'isola un presidio contro alcolismo, tossicodipendenze e ludopatie –:
   se e quali iniziative intenda intraprendere, per la parte di competenza, date le condizioni di isolamento e di grave disagio di residenti e turisti dell'isola di Capri, specie nel periodo estivo, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza e la tutela del diritto alla salute garantito dall'articolo 32 della Costituzione;
   se non si ritenga necessario, anche attraverso il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in relazione al servizio di coordinamento di salute mentale nell'isola di Capri, ponendo rimedio all'abbandono dei numerosi pazienti psichiatrici e dei loro familiari, che nel contesto isolano sono particolarmente emarginati e privati dei più elementari presidi terapeutici psicofarmacologici e psicoterapeutici. (5-05431)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUNETTA, BERGAMINI, BIANCONI, FAENZI e PARISI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in appena due mesi si sono registrati in Toscana, in particolare nella zona dell'Empolese Valdelsa, tre decessi di persone colpite da meningite da meningococco di tipo C (il tredicenne Giovanni Locci, di Cerreto Guidi, il 7 febbraio, Mattia Brendaglia, 17 anni, di Montelupo Fiorentino, il 20 marzo e Marta Corti, 34 anni di Vitolini di Vinci, il 29 marzo). Un'altra ragazza, una studentessa empolese è invece guarita dopo alcuni giorni di ricovero;
   un nuovo caso di meningite meningococco si è registrato solo pochi giorni fa a Empoli, colpendo una donna di 57 anni del comune di Cerreto Guidi (Firenze) che è stata ricoverata, fortunatamente in via di miglioramento, nel reparto malattie infettive dell'ospedale fiorentino Ponte a Niccheri;
   le asl competenti hanno attivato le procedure di profilassi previste per i casi di questo tipo per le persone entrate in contatto con le vittime o con i ricoverati;
   la regione Toscana ha avviato uno studio epidemiologico in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, ma si rischia però di dover attendere mesi prima di poter avere un risultato che consenta di comprendere fino in fondo se i casi verificatisi in un arco temporale e spaziale così ristretto siano frutto di casualità o se all'origine ci siano altre ragioni;
   dall'inizio del 2015 si sono complessivamente verificati in Toscana sedici casi di malattia meningococcica dovuta al meningococco di tipo C, sia in forma di meningite che nella più grave forma di sepsi (setticemia); oltre ai cinque casi di cui tre decessi nel territorio dell'Asi 11 di Empoli, si sono verificati altri undici casi nelle province di Firenze, Pistoia, Lucca, Pisa, Prato;
   la regione Toscana ha previsto, per l'area empolese, alcune misure come la vaccinazione o il richiamo per i minorenni e la vaccinazione volontaria per le persone tra i 19 e i 45 anni, «che sono entrati in contatto e hanno frequentato gli stessi ambienti di vita delle persone che si sono ammalate di meningite da meningococco C». Tale definizione risulta piuttosto vaga, nel senso che potrebbe riferirsi ad un numero di pazienti di poco superiore a quelli di una profilassi antibiotica, con alcune centinaia di persone coinvolte, oppure, al contrario, potrebbe interessare molti più cittadini;
   l'interrogante ha raccolto le forti preoccupazioni della popolazione interessata che segue con grande apprensione le notizie di queste settimane –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali interventi urgenti di propria competenza intenda porre in essere al fine di ampliare le misure di prevenzione riducendo in tal modo il rischio di infezioni da meningite di tipo C;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per dare concreto supporto all'azione della regione Toscana al fine di ridurre il rischio di meningite da meningococco di tipo C, attraverso adeguata e capillare azione di profilassi. (4-08905)


   SIBILIA e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con atto deliberativo n. 2125 del 12/12/2014 l'ASL Avellino disponeva il trasferimento del dr. Pietro De Luca, medico pediatra di libera scelta, dall'ambito territoriale di Baronia (Distretto sanitario di Ariano Irpino) a quello di Monteforte Irpino (distretto sanitario di Monteforte Irpino);
   di conseguenza l'assistenza pediatrica relativa all'ambito n. 3, comprendente i comuni di Carife, Castel Baronia, Flumeri, Frigento, Gesualdo, S. Nicola Baronia, Scampitella, Sturno, Trevico, Vallata e Vallesaccarda tutti facenti parte della Provincia di Avellino, risultava garantita solo da 2 medici pediatri, risultandone sprovvisti diversi assistiti in età pediatrica in carico al sanitario de quo;
   nella seduta del 3 febbraio 2015, il Comitato aziendale per la pediatria di libera scelta ha espresso parere favorevole al conferimento di un incarico provvisorio, per la durata massima di undici mesi, per l'ambito pediatrico di Vallata da conferire ai sensi dell'articolo 37 del vigente ACN di categoria che recita testualmente: «Qualora in un ambito territoriale si determini una carenza alla assistenza pediatrica, l'Azienda, sentito il Comitato di cui all'articolo 23, può conferire un incarico temporaneo ad un pediatra, scelto nel rispetto della graduatoria regionale, con priorità per i pediatri residenti nell'ambito territoriale carente. Tale incarico, di durata comunque inferiore a dodici mesi, cessa alla sua scadenza o nel momento in cui viene individuato il pediatra avente diritto all'inserimento»;
   come comunicato dal distretto sanitario di Ariano I e pubblicizzato dai media locali, nei Comuni di Vallata e Castel Baronia dal 19 gennaio 2014 è garantita la presenza del pediatra di libera scelta solo 2 giorni su 5 a settimana con tutti i disagi che ne conseguono specialmente nel periodo invernale, nel quale solitamente si registra il picco dei malanni di stagione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, intenda porre in essere per garantire i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, costituzionalmente previsto, soprattutto per una fascia di età così delicata quale quella infantile.
(4-08924)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   il 30 marzo 2015 la dottoressa Alessandra Poggiani a neanche un anno dalla nomina del luglio 2014 ha rassegnato le proprie dimissioni da direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale (AGID) al fine di candidarsi, come si legge da organi di stampa, come consigliere regionale nella lista del Partito Democratico a sostegno della candidata presidente della giunta regionale del Veneto Alessandra Moretti;
   quanto alla nomina della dottoressa Poggiani, il MoVimento 5 Stelle con l'interpellanza Luigi Di Maio n. 2-00685 di lunedì 22 settembre 2014 (alla quale non è stata data ancora risposta nonostante quanto, previsto dall'articolo 137 del Regolamento della Camera) ha già segnalato come il Ministro interpellato sia stato oggetto di una denuncia al procuratore generale presso la Corte dei conti e alla procura della Repubblica in quanto il Ministro stesso avrebbe svolto la precedente procedura di selezione senza il rispetto dei principi dell'evidenza pubblica, così come previsto dalla normativa vigente; nominando peraltro, in assenza di una graduatoria formale, un candidato privo dei requisiti di cui all'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
   lo stesso 30 marzo 2015 il Ministro interpellato ha pubblicato un avviso pubblico per la selezione del nuovo direttore generale dell'Agid;
   per la selezione del miglior candidato a direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale, il secondo comma dell'articolo 21 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 richiede che venga espletata una procedura di selezione che rispetti i principi dell'evidenza pubblica, al fine di garantire il buon andamento e l'imparzialità della amministrazione ed il rispetto, quindi, dell'articolo 97 della Costituzione della Repubblica italiana;
   tuttavia, a parere degli interpellanti, l'avviso pubblico per la selezione del nuovo direttore generale dell'AGID, è privo di molti degli elementi che garantirebbero il predetto buon andamento. Inoltre, presenta vizi di forma evidenti essendo, a quanto consta agli interpellanti in difetto almeno delle seguenti informazioni: requisiti per l'ammissione; griglia contenente i criteri oggettivi ed i relativi punteggi per la valutazione dei titoli, l'esperienza dei candidati e la sintetica descrizione delle linee programmatiche (elaborato richiesto dall'avviso pubblico); informazioni in merito alla formazione e approvazione della graduatoria di merito; forma che l'elaborato richiesto dall'avviso pubblico dovrebbe possedere (come, per esempio, il numero di cartelle, il numero delle battute, il formato della pagina, e altro); cause di esclusione dalla selezione; informazioni circa la Commissione esaminatrice; informazioni relative al trattamento dei dati personali forniti; informazioni relative al Responsabile del procedimento; informazioni sulle pari opportunità e su eventuali ricorsi avverso il provvedimento relativo alla procedura selettiva; le modalità richieste per la presentazione per via telematica delle istanze di partecipazione non risultano conformi al dettato dell'articolo 65 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
   detto avviso non contiene, altresì, i criteri individuati dal Ministro interpellato per compiere la valutazione delle candidature, né l'indicazione di strumenti adeguati, anche telematici, al fine di garantire la trasparenza di tale selezione se non un generico richiamo alla circostanza che «(...) l'elenco di coloro che avranno presentato la propria candidatura e che avranno autorizzato alla pubblicazione del proprio nome, sarà consultabile sul sito del Dipartimento della funzione pubblica»;
   è pertanto evidente l'assenza della richiesta delle varie dichiarazioni ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;
   il predetto avviso contiene viceversa solo: un richiamo alle finalità istituzionali di AGID; richiami generici alla procedura ad evidenza pubblica che dovrebbe essere seguita nell'individuazione del nuovo direttore generale, nonché i riferimenti per inoltrare le candidature entro le ore 13 del 13 aprile 2015;
   sull'assenza di strumenti idonei ad assicurare la trasparenza della selezione, anche alla luce della fugace esperienza del direttore generale dimissionario, si è accesso un vivo dibattito tra i commentatori anche in conseguenza del lancio di una petizione online sul sito change.org con la quale si chiede al Ministro interpellato di «(...) prevedere colloqui in streaming con i soggetti che presenteranno la propria candidatura (e) pubblica(re) una graduatoria di merito»;
   in relazione all'ormai imminente nomina il Ministro interpellato ha dichiarato, di recente, alla stampa che l'operato del nuovo direttore generale proseguirà un «percorso su quanto avviato da Poggiani ma anche da Francesco Caio mantenendo le tre priorità: fatturazione elettronica, anagrafe unica e identità digitale» senza chiarire i criteri che saranno adottati per la selezione e gli altri elementi non considerati dall'avviso pubblico citato;
   frattanto il 13 aprile scorso è stata pubblicata la lista dei nomi dei 189 soggetti candidati, lista poi aggiornata il 17 aprile 2015 a seguito della ricezione di nuove comunicazioni relative all'assenso alla pubblicazione dei nominativi dei candidati;
   ai sensi del disposto di cui al comma 2 dell'articolo 21 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134: «Il Presidente del Consiglio dei ministri, o il ministro delegato, nomina il direttore generale dell'Agenzia, tramite procedura di selezione ad evidenza pubblica, tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione»;
   allo stato attuale il Ministro interpellato, ad avviso degli interpellanti, non ha adottato strumenti idonei per assicurare l'evidenza pubblica della procedura di selezione come richiesto dalla legge, né sono stati adottati o programmati strumenti idonei ad assicurare un'adeguata trasparenza di tale procedura –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro interpellato al fine di assicurare l'evidenza pubblica della procedura di selezione del nuovo direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale anche attraverso l'adozione di idonei strumenti per garantire la piena trasparenza della suddetta procedura.
(2-00945) «Liuzzi, De Lorenzis».

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI e DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le associazioni a tutela dei consumatori stanno ricevendo in questi giorni numerose segnalazioni da parte degli utenti di telefonia fissa di Telecom Italia in merito al cambio unilaterale delle tariffe applicate ai contratti, all'unificazione del marchio Telecom Italia in TIM ed alla nuova modalità di fatturazione che, a decorrere dal 1o maggio 2015, da bimestrale diventerà mensile;
   a detta delle associazioni a tutela dei consumatori queste modifiche unilaterali, che comporteranno un aumento della bolletta telefonica, sono state comunicate da Telecom Italia a giudizio degli interroganti in apparente contrasto con l'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, codice delle comunicazioni elettroniche, che dispone che «il contraente, qualora non accetti le modifiche delle condizioni contrattuali a parte delle imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, ha diritto di recedere dal contratto senza penali né costi di disattivazione. Le modifiche sono comunicate al contraente con adeguato preavviso, non inferiore a trenta giorni, e contengono le informazioni complete circa l'esercizio del diritto di recesso. L'Autorità può specificare la forma di tali comunicazioni.»;
   nel caso sopramenzionato, le associazioni contestano il mancato «adeguato preavviso», poiché le modalità di comunicazione di tale cambio unilaterale delle condizioni contrattuali è avvenuta in bolletta, a mezzo quindi di una semplice busta non raccomandata, che non è un mezzo adeguato a garantire che tutti gli interessati abbiano ricevuto o ricevano compiuta notizia della nuova tariffazione e, quindi, non assicura che tutti siano stati sostanzialmente messi in grado di poter esercitare, nella tempistica di 30 giorni, il diritto di recesso. Inoltre, sempre in base alla soprarichiamata norma, il recesso deve avvenire «senza penali né costi di disattivazione» che viceversa ci saranno, in quanto, come da condizione contrattuale, il diritto di recedere dovrà avvenire mediante lettera raccomandata a.r. ovvero posta elettronica certificata ovvero fax, sempre che non trascorrano i 30 giorni allorquando scatteranno eventuali penali rescissorie. Da non sottovalutare, inoltre, gli oneri diretti (commissioni bollettini) ed indiretti (recarsi ogni mese allo sportello) per la fatturazione mensile della tariffa;
   il servizio di Rete telefonica, generale (RTG) è un servizio universale che tocca il diritto alla comunicazione di milioni di cittadini, molti dei quali (per età, istruzione e salute) non sono in grado di mantenersi informati costantemente e di inviare comunicazioni per iscritto nei tempi prescritti, non escludendosi a questo punto che moltissimi di loro possano «aderire» alle nuove condizioni contrattuali loro malgrado involontariamente trovandosi pertanto a sostenere oneri impropri con il rischio, inoltre, dell'apertura di numerosi contenziosi come tra l'altro si sta paventando con le iniziative messe in atto dalle associazioni a tutela dei consumatori già in prima linea per denunciare l'ennesima scorrettezza a danno degli ignari cittadini. Infatti, Confconsumatori, la Confederazione generale dei consumatori, ha già inviato in data 25 febbraio 2015, un esposto all'AGCOM e all’Antitrust affinché intervengano immediatamente per inibire l'iniziativa di Telecom Italia così da scongiurare il proliferare del contenziosi fra utenti e la principale compagnia telefonica del Paese;
   l'AGCOM, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, è l’Authority a cui è affidata la piena tutela degli utenti nello specifico settore delle comunicazioni elettroniche, con il potere ai sensi della legge n. 249 del 1997, recante Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo, di:
    a) intervenire (articolo 1, comma 6, lettera a, punto 14) «nelle controversie tra l'ente gestore del servizio di telecomunicazioni e gli utenti privati»;
    b) vigilare (articolo 1, comma 6, lettera b, punto 3) «sulle modalità di distribuzione dei servizi e dei prodotti, inclusa la pubblicità in qualunque forma diffusa, fatte salve le competenze attribuite dalla legge a diverse autorità, e può emanare regolamenti, nel rispetto delle norme dell'Unione europea, per la disciplina delle relazioni tra gestori di reti fisse e mobili e operatori che svolgono attività di rivendita di servizi di telecomunicazioni»;
    c) regolare, (articolo 1, comma 6, lettera b, punto 5)«l'interazione organizzata tra il fornitore del prodotto o servizio o il gestore di rete e l'utente, che comporti acquisizione di informazioni dall'utente, nonché l'utilizzazione delle informazioni relative agli utenti»;
   in base alla soprarichiamata normativa rientrano tra le competenze dell'AGCOM sia la vigilanza sulle modalità di distribuzione dei servizi e dei prodotti, «inclusa la pubblicità in qualunque forma diffusa» (con la sola esclusione della pubblicità ingannevole che istituzionalmente compete all'AGCM, sempre previo parere dell'AGCOM) sia la regolazione dell'interazione tra il fornitore/gestore di servizi e l'utente finale volta ad assicurare la chiara acquisizione di informazioni da parte di quest'ultimo, nonché la vigilanza sull'utilizzazione delle informazioni relative ai consumatori;
   ad AGCOM si applicano anche le disposizioni contenute nella legge n. 481 del 1995, «Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità», che autorizza ciascuna delle Autorità a proporre modifiche delle condizioni di svolgimento dei servizi, ove vi siano ragionevoli esigenze degli utenti, e ad esercitare poteri sia di ispezione che di accesso che di acquisizione di tutte le notizie utili per accertare il mancato rispetto, da parte dell'operatore, delle clausole contrattuali. Inoltre, la legge le consente di attivarsi per assicurare la più ampia pubblicità delle condizioni dei servizi nel pieno rispetto della trasparenza e della concorrenza verificando che le misure adottate dai soggetti esercenti il servizio siano proporzionate ed adeguate alle esigenze della clientela;
   Telecom Italia, ha subito condanne dall’Antitrust per pubblicità ingannevole, oltre che per abuso di posizione dominante;
   la crisi economica di questi anni ha eroso il potere di acquisto delle famiglie che con grande difficoltà continuano ad utilizzare il servizio di telefonia fissa e pertanto va scongiurato qualsiasi aumento delle tariffe in particolare per le fasce sociali meno abbienti che rappresentano la stragrande maggioranza degli abbonati Telecom Italia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa e se non ritenga urgente, nei limiti delle proprie competenze, assumere iniziative normative per restringere nel futuro la discrezionalità delle società di telefonia nel modificare unilateralmente i contratti con gli abbonati. (3-01462)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale americana Whirlpool ha reso note le proprie strategie ai sindacati con la presentazione al Ministero dello sviluppo economico del piano industriale, che prevede un taglio di circa 1.350 posti di lavoro, di cui 1.200 nelle fabbriche e 150 nei centri di ricerca, e la chiusura degli stabilimenti di Caserta e di Albacina, oltre all'abbandono del centro ricerche di None nel torinese;
   la notizia messo in stato di forte agitazione i lavoratori che hanno dato vita a diverse manifestazioni di protesta in tutti i siti produttivi del gruppo, in quanto vedono assolutamente incerto il loro futuro;
   il piano, che ridisegna la mappa della presenza del gruppo in Italia dopo l'acquisizione della ex Indesit, smentisce l'accordo del 2013, stretto dal Governo con il gruppo Indesit e la famiglia Merloni, nel quale si era concordato di escludere la chiusura degli stabilimenti in Italia e gli esuberi fino al 2018;
   l'azienda ha annunciato investimenti per un valore di 500 milioni di euro e il trasferimento in Italia di alcune produzioni dalla Turchia, ma, al contempo, sembrerebbe molto, probabile la scelta di trasferire in Polonia le attività di ricerca dello stabilimento di None con il conseguente licenziamento di 90 dipendenti;
   simili strategie rappresentano un duro colpo alla tenuta del sistema industriale italiano, quest'ultimo da tempo attraversato da una lunga fase di crisi, la quale ha portato alla chiusura di numerose aziende, contribuendo alla desertificazione industriale di vaste aree del territorio –:
   se il Ministro interrogato intenda rendersi parte attiva nelle trattative in corso affinché le stesse vadano a buon fine, garantendo la continuità dell'attività produttiva e di ricerca in tutti gli stabilimenti del gruppo ubicati in Italia e la connessa tutela dei livelli occupazionali. (4-08909)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Binetti, Terrosi, Braga, Mariani.

  La mozione Marchi e altri n. 1-00825, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fabbri, Scuvera, Ginato.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Pannarale e altri n. 2-00907, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palazzotto.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fedriga n. 5-03231, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Simonetti.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Gebhard n. 5-05349, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Alfreider.

  L'interrogazione a risposta scritta Ruocco Carla n. 4-08847, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Spadoni.

Pubblicazione di un testo
ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Speranza n. 1-00769, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 402 del 31 marzo 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    la Carta di Milano vuole essere un «patto sul cibo» da consegnare al pianeta per vincere la sfida alimentare globale. Una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati e dei cittadini del mondo per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti;
    la Carta nasce dalla sintesi di un percorso di ricerca, di confronto, di idee e di culture sul tema di Expo 2015 «Nutrire il Pianeta, energie per la vita», avviato da Laboratorio Expo fin dal 2013 e proseguito in vari incontri, fino all'evento organizzato il 7 febbraio 2015 a Milano «Expo delle idee» articolato in 42 tavoli di lavoro suddivisi in quattro percorsi di studio: le dimensioni dello sviluppo tra equità e sostenibilità, la cultura del cibo, l'agricoltura, gli alimenti e la salute per un futuro sostenibile, la città umana e i futuri possibili tra smart e slow city;
    la versione finale della Carta verrà presentata al pubblico il 28 aprile 2015; il testo sarà, poi, condiviso il 4 giugno 2015 con i Ministri dell'agricoltura dei 147 Paesi partecipanti ad Expo 2015 e, infine, il 16 ottobre 2015 il documento verrà consegnato al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, in occasione della sua visita all'Expo;
    la Carta rappresenta un percorso bottom-up, ovvero dal basso verso l'alto: essa, infatti, vedrà protagonisti i cittadini, la società civile e le imprese che saranno chiamate, dal 1o maggio 2015, a sottoscrivere la Carta assumendosi la responsabilità di dare attuazione a precisi impegni. La Carta, infatti, conterrà una serie di impegni per cittadini, società civile e imprese contro lo spreco alimentare, per l'alimentazione sostenibile, per il diritto alla nutrizione, contro l'uso scorretto del suolo e delle risorse naturali. Saranno poi i cittadini, la società civile e le imprese a chiedere ai Governi e ai Parlamenti di tutto il mondo di assumere ulteriori impegni, giuridici e politici, puntualmente indicati dalla Carta;
    in questo senso la Carta rappresenta un modello del tutto innovativo di «protocollo» per il cibo: non sono i Governi a imporre dall'alto gli impegni, ma sono cittadini, società civile e imprese a impegnarsi in prima persona e a chiedere ai Governi di impegnarsi per raggiungere gli obiettivi del millennio;
    sostenendo la Carta di Milano, il Governo italiano fa propria la sfida di un sistema alimentare globale sostenibile attraverso azioni mirate a combattere lo spreco di cibo, favorire l'agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità. La strada da percorrere è indicata dalle parole di Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali con delega a Expo 2015: «La principale eredità di Expo è di contenuto e l'Italia darà anima al grande tema “Nutrire il Pianeta, energie per la vita”, con la Carta di Milano, un protocollo per tutti i Paesi che decideranno di aderirvi e che in autunno arriverà a New York nella sede Onu per la definizione dei nuovi obiettivi del millennio». Un'eredità, dunque, di contenuto e di sostanza: immateriale nella sua definizione ma concreta, operativa e tangibile nella sua attuazione;
    secondo la Commissione europea la produzione e il consumo di cibo generano il 20-30 per cento di tutti gli impatti ambientali dell'Europa, il 17 per cento delle emissioni di gas serra, il 28 per cento di consumo di risorse materiali e altri impatti come consumo di suolo, perdita di biodiversità, deforestazione. Negli ultimi anni, inoltre, il settore agroalimentare è divenuto terreno di numerose illegalità gestite anche dalla criminalità organizzata. Ma l'agricoltura può in realtà divenire un'importante prospettiva di futuro per il nostro pianeta, sul piano economico e ambientale, ma anche culturale e sociale. Questo è possibile se si riscopre e si coltiva una relazione stretta fra cibo e produzione, se sono valorizzate e privilegiate le numerose pratiche agricole sostenibili, che da anni dimostrano di essere efficaci e di rappresentare una valida alternativa, se si favorisce la diffusione di un modello di agricoltura multifunzionale;
    sarebbe opportuno rilanciare la filiera corta di produzione creando una relazione diretta tra il produttore e il consumatore, che significa prima di tutto prodotti sempre freschi, genuini e di maggiore qualità, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente. Essendo prodotti provenienti dal territorio le merci compiono meno passaggi, non devono essere imballate più volte e consentono una sensibile riduzione delle emissioni di anidride carbonica derivate dal trasporto; si incentiverebbe, altresì, anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    il consumo di prodotti tipici e del territorio concorre al mantenimento di un buon stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini di una corretta educazione alimentare. Il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre, altresì, al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela ed allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    il cibo che si mangia, il modo in cui lo si produce, gli effetti sul nostro pianeta. Questi sono i temi di Expo 2015 e su questi temi tutto il mondo è chiamato a dare un contributo. Expo è un incrocio di culture. Fin dalla prima edizione londinese del 1851, le Expo servono soprattutto a questo: fare incontrare culture, etnie e comunità nazionali. A Milano ci saranno rappresentanti di 147 Pesi e turisti da tutto il mondo;
    per la prima volta nella storia delle Esposizioni universali, i Paesi partecipanti verranno raggruppati, anziché per criteri geografici, secondo identità tematiche e filiere alimentari. Sono nove i cluster telematici presenti a Expo Milano 2015: riso, cacao, caffè, frutta e legumi, spezie, cereali e tuberi, bio-Mediterraneo, isole, mare e cibo, zone aride. Al loro interno saranno visitabili aree comuni – mercato, mostra, eventi, degustazioni – e spazi espositivi individuali, in cui ciascun Paese interpreterà a modo proprio i temi dell'Esposizione;
    se si guarda al sistema alimentare globale ci si accorge di tre grandi paradossi del nostro tempo riguardanti il cibo: a fronte di un numero elevatissimo di persone che non vi hanno accesso, un terzo della produzione nel mondo è destinato ad alimentare gli animali e una quota crescente dei terreni agricoli è dedicata alla produzione di biocarburanti per alimentare le auto. E, a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, aumentando il rischio di diabete, tumori e patologie cardiovascolari. Ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo, 144 milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso. Infine, ogni anno viene sprecato un terzo della produzione alimentare globale, per un totale di circa 1,3 milioni di tonnellate all'anno, una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone che soffrono la fame o sono malnutrite. Nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima parte della filiera agroalimentare, soprattutto a causa dei limiti nelle tecniche di coltivazione, raccolta e conservazione o per la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento. Nei Paesi industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare (consumo domestico e ristorazione, in particolare);
    compito di Expo è fornire una valida risposta alla domanda se la crescita esponenziale dell'accaparramento delle terre (land grabbing), l'intensificazione dell'agricoltura mediante un eccessivo input di fertilizzanti e pesticidi, l'introduzione di organismi geneticamente modificati siano gli unici strumenti che si hanno per sfamare il mondo oppure se sia nostro dovere, in primo luogo, rendere l'intera filiera del cibo, dalla produzione alla trasformazione e consumo, inclusi stili di vita alimentari, più efficiente e sostenibile;
    il modello degli organismi geneticamente modificati è del tutto contrario e controproducente per gli interessi del settore agroalimentare del nostro Paese, che si basa sulla tipicità e sulla qualità. Per l'Italia, gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del made in Italy;
    di «ritorno alla terra» in Italia si parla ormai da diversi anni. La crisi e la disoccupazione spingono i più giovani a cercare nuove strade: anche in professioni, quelle agricole, che fino a qualche anno fa erano snobbate e considerate un retaggio del passato. È un fenomeno ancora marginale da un punto di vista numerico, ma che porta nuova linfa – e nuove competenze – nell'agricoltura italiana e che va seguito con attenzione;
    in tale contesto si segnala l'importanza del progetto, We-women for Expo, che parla di nutrimento mettendo al centro la cultura femminile, con la convinzione che la sostenibilità del pianeta passa attraverso una nuova alleanza tra cibo e cultura e che le artefici di questo nuovo sguardo e nuovo patto per il futuro debbano essere le donne;
    l'acqua è destinata a diventare una risorsa strategica quanto il petrolio, se non di più. Già oggi la scarsità d'acqua colpisce circa 1,2 miliardi di persone in ogni continente e altre 500 milioni di persone si troveranno presto a fare i conti con la siccità a causa del cambiamento climatico. Il consumo d'acqua potabile è cresciuto a velocità doppia rispetto alla crescita della popolazione nell'ultimo secolo. La produzione di cibo è in assoluto uno dei fattori che incidono di più sul consumo d'acqua potabile e ridurre l'impronta idrica degli alimenti è una priorità strategica;
    senza ricerca non c’è futuro, anche nel settore agroalimentare. La Carta di Milano è l'occasione per definire strategie di sviluppo scientifico dalla pesca sostenibile al consumo di suolo, dalle biotecnologie all'agricoltura di precisione, dagli organismi geneticamente modificati alla gestione degli scarti alimentari, dal food packaging al food-print;
    a fine ’800 esistevano circa 8.000 varietà di frutta. Oggi ce ne sono meno di 2.000. Le motivazioni sono diverse: l'industrializzazione dei processi produttivi, il cambiamento climatico e quello delle abitudini alimentari. Le varietà sopravvissute sono quelle più convenienti da produrre e più adatte al trasporto. È necessario sostenere tutti quei processi che favoriscono il ritorno ad un maggiore biodiversità. La biodiversità comprende la vita in tutte le sue forme e implica la centralità della tutela di tutte le specie viventi sulla terra. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha sancito il valore di tale patrimonio nel 1992 – a Rio De Janeiro – siglando la Convenzione sulla diversità biologica. Quando si rinuncia alla biodiversità in agricoltura si corrono gravi rischi, perché si rende facile la vita dei parassiti e si mettono a repentaglio intere filiere produttive;
    la sicurezza alimentare è una questione complessa che coinvolge l'intera filiera agroalimentare. Attiene ai rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi a cibi, mangimi e materiali a contatto; ma anche alle contraffazioni, alla tracciabilità, alle etichettature. Nonostante i piani nazionali integrati e gli accordi comunitari, le sfide da affrontare sono ancora difficili e richiedono soluzioni globali;
    le frodi e le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
    l'educazione alimentare è senza dubbio un investimento importante per il futuro. Tutti gli studi dimostrano come un'alimentazione corretta sia il principale alleato nella prevenzione di malattie cardiovascolari e tumori, le malattie da cui deriva la maggior parte della spesa sanitaria;
    in tale contesto la dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, è un vero e proprio stile di vita che incorpora saperi, sapori, elaborazioni, prodotti alimentari, coltivazioni e spazi sociali legati ai territori. Proprio per valorizzare i valori legati alla dieta mediterranea e rivendicare una sorta di «orgoglio mediterraneo», l'Expo, su proposta del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, dedicherà una settimana di incontri, dibattiti, sperimentazioni alla «Dieta mediterranea patrimonio dell'umanità Unesco» dal 14 al 20 settembre 2015;
    le indicazioni geografiche DOP (denominazione di origina protetta) e IGP (indicazione geografica protetta) sono strumenti fondamentali per tutelare il made in Italy. I prodotti DOP e IGP italiani, infatti, rappresentano il 40 per cento dell'intera produzione a denominazione comunitaria, con un fatturato complessiva alla produzione di circa 7 miliardi di euro;
    dal falso olio extravergine di oliva ai prodotti Italian sounding che abbondano sui mercati internazionali: la contraffazione dei prodotti alimentari è una minaccia per la sicurezza dei consumatori e un danno per le imprese del settore, in particolare quelle che operano sui prodotti di alta qualità;
    la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari Italian sounding a livello internazionale hanno anche un rilevante impatto in termini di perdita di posti di lavoro che si potrebbero creare nel Paese con un'azione di contrasto a livello nazionale ed internazionale;
    dalle mozzarelle ai terreni agricoli, dai ristoranti all'autotrasporto, il business dell'agromafia fattura in Italia circa 14 miliardi di euro, trovando terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi e offrendo alla criminalità organizzata un appetibile strumento per riciclare denaro frutto di attività criminose;
    la creazione di un modello di allevamento, consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta ed è importante che la Carta di Milano sia il luogo d'assunzione di impegni di buone pratiche e modelli sostenibili in termini di politiche agricole;
    occorre evidenziare, anche in occasione di Expo 2015, il primato dell'agroalimentare e della sicurezza dei prodotti made in Italy; considerando, a tal fine, la possibilità di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo non solo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori, ma anche di permettere loro di scegliere un alimento rispetto a un altro, anche in base al Paese o alla regione dove questo è prodotto, per la tutela anche del made in Italy,

impegna il Governo:

   ad assumere il diritto al cibo come un diritto fondamentale anche valutando l'opportunità di adottare iniziative per inserirlo nella Costituzione;
   ad adoperarsi affinché la Carta di Milano sancisca un «patto per il cibo» che sia una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti, prevedendo, in particolare, i seguenti impegni:
    a) individuazione di un meccanismo che permetta ai Governi e ai sistemi di produzione, trasformazione e commercializzazione della filiera agroalimentare il raggiungimento di risultati dichiarati in modo esplicito e trasparente, prevedendo, ad esempio, che ogni singolo Paese sia tenuto a comunicare le finalità che intende raggiungere e gli obiettivi realizzati nell'ambito dei rapporti Ocse in modo che possano essere monitorati e giudicati dai cittadini;
    b) contenimento e riduzione del consumo di suolo in modo da limitarne l'impermeabilizzazione ed incremento delle food policies in modo da concentrare l'attenzione sulle funzioni ambientali ed agricole del suolo piuttosto che sugli usi urbanistici, per il contrasto al dissesto idrogeologico e per la produzione di cibo di qualità;
    c) incremento delle risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, al fine di sviluppare modelli di adattamento delle colture ai cambiamenti climatici e di migliorare la produttività agricola nell'ambito della biodiversità, con particolare riguardo alle principali colture euro-mediterranee;
    d) predisposizione di politiche agricole a sostegno dell'agricoltura contadina familiare, dei modelli di aziende biologiche, degli agricoltori che lavorano in modo ecosostenibile e dei piccoli agricoltori locali, consentendo il recupero e la coltivazione dei prodotti tradizionali, la migliore preservazione della biodiversità agraria con la conservazione e la valorizzazione delle varietà delle sementi, lo sviluppo di reti di acquisto di prodotti a chilometro zero, nonché il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
    e) promozione dell'agricoltura urbana attraverso la creazione di orti urbani e di spazi destinati alla coltivazione, previa assegnazione in comodato ai cittadini da parte dei comuni;
    f) implementazione delle esperienze di agricoltura sociale e degli aspetti connessi alla multifunzionalità agricola e delle politiche connesse al ricambio generazionale e al sostegno delle donne in agricoltura, anche attraverso l'introduzione di apposite misure agevolative, nel rispetto dei vincoli di bilancio, e l'istituzione di banche dati nazionali delle terre incolte e abbandonate;
    g) promozione di azioni educative nella scuola finalizzate a rendere noti i cibi che figurano nella dieta, cosa e quanto si spreca sia come consumatori finali che nell'ambito del processo produttivo, le modalità di produzione del cibo, con particolare riferimento all'impatto sull'ambiente e sulla salute, valorizzando in particolare, a tal fine, le istituzioni scolastiche ubicate nelle aree marginali montane e soggette a spopolamento;
   in considerazione delle dimensioni assunte dal fenomeno dello spreco alimentare e, soprattutto, dalla portata dei suoi impatti, a sostenere le azioni necessarie a contrastare il fenomeno ed in particolare:
    a) a dare un significato univoco ai termini food losses e food waste e ad armonizzare a livello internazionale la raccolta dei dati statistici;
    b) a comprendere le ragioni degli sprechi alimentari nelle varie filiere agroalimentari e a valutarne meglio gli impatti;
    c) ad investire prima nella riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e poi sul loro recupero;
    d) ad avviare iniziative di recupero degli sprechi non ancora eliminati attraverso la distribuzione a persone svantaggiate e l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, per la produzione di bioenergia;
    e) a favorire lo sviluppo di accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare, anche al fine di prevedere condizioni adeguate, data l'importanza che riveste Expo 2015, affinché i produttori italiani di filiera corta siano in grado di presentarsi nel modo migliore al pubblico internazionale e dare, quindi, l'occasione alle qualità italiane di arrivare sui mercati esteri;
    f) a rendere il consumatore consapevole dello spreco e a insegnargli, a partire dalla scuola, come rendere più sostenibili l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale del cibo;
   ad istituire la «settimana della dieta mediterranea» coinvolgendo scuole, enti di ricerca, soggetti pubblici e privati, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica, diffondere, e far conoscere la cultura del mangiare mediterraneo e i suoi effetti benefici non solo sulla salute ma anche sui territori, sul paesaggio, sulla biodiversità agricola;
   ad individuare le possibili modifiche, nell'ambito dell'Unione europea e a livello nazionale, alla normativa in materia di appalti pubblici, prevedendo misure premiali nell'affidamento dei servizi di ristorazione scolastica e collettiva a favore delle aziende agricole che adottino metodi di produzione eco-compatibili o che svolgano una funzione di particolare rilevanza sociale;
   ad assumere le possibili iniziative al fine di contrastare il fenomeno del land grabbing, adottando modelli di sviluppo sostenibili che non incidano negativamente sui Paesi più poveri e sulla loro sicurezza alimentare e preservando il patrimonio legato alla terra e alle tradizioni locali, in modo da permettere lo sviluppo di economie rispettose della storia di ciascun popolo e del loro patrimonio agricolo;
   a razionalizzare l'utilizzo di agroenergie al fine di evitare che esse confliggano con la produzione di cibo e siano concentrate in aree marginali;
   a rafforzare controlli e strumenti per combattere le fitopatie alloctone;
   a favorire un modello agricolo compatibile con l'ambiente e con il benessere animale, capace di preservare le aree più ricche di biodiversità del pianeta e di contrastare il fenomeno della deforestazione, contribuendo, così, alla mitigazione dei cambiamenti climatici;
   a promuovere il made in Italy, sia attraverso un modello innovativo di rete territoriale (dato che Expo è già oggi un metodo di lavoro fondato su progetti che mettono in dialogo le eccellenze italiane con i protagonisti della vita economica, sociale, culturale delle aree del mondo coinvolte), sia con un impegno forte e concreto, soprattutto in ambito europeo, per proteggere e valorizzare il made in attraverso norme chiare e adeguate, assumendo ogni iniziativa utile in tal senso anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano;
   a mettere in evidenza nella Carta di Milano l'esigenza di tutelare i prodotti di qualità attraverso le denominazioni di origine protette, parte rilevante delle economie di molti Paesi partecipanti ad Expo, a partire da quella italiana, anche al fine di adottare scelte che possano valorizzare davvero il made in Italy, affinché Expo sia una importante occasione per indicare impegni precisi da parte dei Paesi partecipanti atti a contrastare il dilagante fenomeno della contraffazione e delle sofisticazioni in campo agroalimentare;
   a promuovere il modello Expo 2015 nella solidarietà e nella cooperazione internazionale, valorizzando i progetti di sviluppo avviati in tutti i continenti, con decine di accordi stretti con le maggiori organizzazioni internazionali, come Fao, Onu, Millennium campaign, World food programme;
   ad adoperarsi, nell'ambito dei lavori concernenti l'elaborazione della Carta di Milano, affinché prosegua l'impegno nato con Expo Milano 2015 per il trasferimento tecnologico e di conoscenza ai Paesi in via di sviluppo con riferimento alle più recenti innovazioni, per garantire, a costi contenuti, un approvvigionamento più sicuro di cibo e acqua per la popolazione;
   a sostenere un impegno preciso all'interno delle Nazioni Unite e di tutte le organizzazioni internazionali affinché anche la Carta di Milano e i sei mesi di Expo diventino un'occasione planetaria per condannare lo sfruttamento che alcune realtà locali fanno dei minori in stato di indigenza;
   a sensibilizzare i cittadini in una più consapevole attenzione ai modelli nutrizionali, adoperandosi affinché, anche alla luce degli obiettivi della Carta di Milano, possa essere sviluppata un'incisiva educazione nei confronti dei consumatori in modo che aumenti sensibilmente la coscienza individuale e collettiva in relazione al valore primario del cibo;
   a favorire l'orientamento a modelli nutrizionali più sani attraverso il potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica e la predisposizione di una campagna di comunicazione e di informazione ai cittadini al fine di adottare stili di vita sani;
   a contrastare con misure adeguate il fenomeno dell'infiltrazione nei processi produttivi agricoli di qualsiasi forma di criminalità organizzata, un pericoloso fenomeno che si sta sempre più diffondendo nel settore primario;
   ad assumere le opportune iniziative al fine di continuare, anche dopo Expo 2015, a prevedere il divieto dell'uso di organismi geneticamente modificati nelle produzioni agroalimentari e forestali in campo aperto, poiché il valore aggiunto delle produzioni italiane è dato dalla loro specificità ed una contaminazione da organismi geneticamente modificati porterebbe alla distruzione del sistema agroalimentare italiano e della biodiversità presente in Italia così come lo si conosce oggi, con le sue eccellenze, le sue varietà e le sue tipicità.
(1-00769)
(Ulteriore nuova formulazione) «Speranza, Dellai, Gelmini, De Girolamo, Scotto, Guidesi, Catania, Rostellato, Schullian, Pastorelli, Oliverio, Sani, Fauttilli, Fregolent, Martella, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Gadda, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Mucci, Palma, Prina, Prodani, Rizzetto, Romanini, Segoni, Taricco, Tentori, Turco, Venittelli, Zanin, Amoddio, Zaccagnini, Franco Bordo, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Fratoianni, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Palese, Occhiuto, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti, Dorina Bianchi, Vignali, Alli, Tancredi, Binetti, Terrosi, Braga, Mariani».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Santerini n. 2-00917 dell'8 aprile 2015.