Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 17 aprile 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    a fine 2015 scadranno gli impegni presi nel 2000 con il lancio da patte delle Nazioni Unite degli obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs), e partirà la muova fase degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), come deciso e contenuto nel documento approvato dai Capi di Stato e di Governo convenuti alla Conferenza di Rio +20 del 2012 «Il futuro che vogliamo»;
    è attualmente in corso il processo negoziale che porterà nel mese di settembre 2015 all'adozione finale dei nuovi SDGs nel cui ambito avranno un ruolo di rilievo i target ambientali;
    fra, gli obiettivi è ancora considerato l'accesso all'acqua, un bene comune cui ormai spesso si fa riferimento anche come diritto umano;
    per la prima volta all'interno degli obiettivi è considerata la questione delle migrazioni (nel decimo cluster di obiettivi, cluster 10, «Reduce inequality within and among countries»;
    il testo in corso di discussione contiene uno specifico cluster di obiettivi (cluster 13) direttamente connessi ai cambiamenti climatici;
    a Parigi dal 30 novembre al 11 dicembre 2015, si terrà la XXI sessione della Conferenza delle parti – COP 21 dei Paesi aderenti alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), durante la quale dovranno essere decisi gli impegni in termini di riduzione delle emissioni e di politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, nonché dei sistemi di monitoraggio e valutazione delle emissioni e degli impegni finanziari verso i Paesi più colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici;
    gli effetti dei cambiamenti climatici arrecano grave pregiudizio ai diritti umani delle popolazioni interessate, quali il diritto alla salute, all'acqua, alla terra, alle fonti di sostentamento, al cibo, ai diritti culturali, e qualsiasi iniziativa o impegno internazionale sul clima dovrà tener conto della dimensione relativa ai diritti umani;
    milioni di indigeni, donne ed uomini di ogni regione sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, ai disastri naturali ad essi connessi, agli effetti negativi di politiche di adattamento e mitigazione, alla continua dipendenza dai combustibili fossili e, allo stesso tempo, l'applicazione delle loro conoscenze tradizionali può consentire soluzioni efficaci in termini di conservazione di ecosistemi, adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici;
    nell'autunno 2015 si terrà anche la conferenza delle parti della convenzione per la lotta alla desertificazione – UNCCD, ad Ankara dal 12 al 23 ottobre, e nell'autunno del 2016 quella della convenzione sulla biodiversità – CBD, in Messico a novembre, le altre due convenzioni ambientali globali delle Nazioni Unite, le cui decisioni indirizzano le politiche globali e nazionali su terre aride e biodiversità anche in relazione agli effetti dei cambiamenti climatici e di cui dunque si dovrà tener conto;
    sempre nel 2016, a Quito, si terrà la terza Conferenza del programma delle Nazioni Unite UN Habitat che ha ufficialmente individuato i cambiamenti climatici come uno dei temi principali per la dimensione urbana, e in generale, per gli insediamenti umani;
    a fine 2014 è stato completato il quinto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici prodotto dal comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC) dal quale appare evidente la gravità della crisi climatica e l'urgenza di ridurre le emissioni di gas serra per evitare un ulteriore pericoloso riscaldamento del pianeta;
    già nel 2009, a Copenaghen, al fine di evitare «pericolose interferenze con il sistema climatico», i firmatari dell'UNFCCC hanno condiviso l'obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura media globale del pianeta al di sotto di 2oC rispetto alla temperatura media del periodo preindustriale e di prendere in considerazione la possibilità di limitare il riscaldamento a 1,5o C;
    la temperatura media globale dell'atmosfera è in chiaro aumento; tale aumento, non essendo uniforme, agisce maggiormente su alcune zone, fra le quali l'area mediterranea;
    in Italia si sta registrando un trend di aumento pari a più del doppio di quello globale: nel 2014 è stato registrato un aumento di +2,4oC rispetto alla media 1880-1909;
    secondo il comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici continuando ad emettere gas-serra senza serie politiche di riduzione ci sarà un riscaldamento globale compreso tra 2 e 4 Co entro fine secolo, con conseguenze enormi a livello globale, alcune ancora difficilmente valutabili, anche per il nostro Paese;
    l'Italia non ha raggiunto l'impegno di riduzione previsto dal protocollo di Kyoto (6,5 per cento di riduzione delle emissioni nel periodo 2008-2012 rispetto al 1990); la riduzione delle emissioni osservata in questo periodo è stata dovuta prevalentemente alla crisi economica in corso che ha ridotto consumi e produzione;
    a causa della recessione, in Italia come in molti paesi dell'Unione europea, sono state ridotte le risorse finanziarie per implementazione dei controlli ambientali e delle politiche climatiche e energetiche;
    l'Unione europea si è impegnata a nuovi e più ambiziosi obiettivi per gli anni 2020 («pacchetto clima energia»: riduzione del 20 per cento delle emissioni nel 2020 rispetto al 1990), nel 2030 («2030 climate and energy goals for a competitive, secure and low-carbon EU economy»: riduzione del 40 per cento delle emissioni nel 2030 rispetto al 1990) e nel 2050 («Roadmap for moving to a low-carbon economy in 2050»: riduzione del 80-95 per cento delle emissioni nel 2050 rispetto al 1990);
    l'Unione europea ha approvato e inviato il 6 marzo 2015 al segretariato UNFCCC i suoi «contributi programmati e definiti a livello nazionale» (INDCs) che prevedono un impegno a ridurre le emissioni europee nel 2030 di almeno il 40 per cento rispetto al 1990,

impegna il Governo:

   a favorire l'approvazione in occasione della prossima sessione della conferenza delle parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di un accordo globale vincolante per la riduzione delle emissioni con obiettivi determinati e scadenzati, in grado di far rispettare le indicazioni del comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici, e di avviare adeguate strategie nazionali di mitigazione e adattamento;
   a farsi promotore affinché l'Unione europea riveda al rialzo nei prossimi anni gli obiettivi del «Quadro al 2030 per le politiche climatiche ed energetiche», prevedendo: una riduzione delle emissioni di gas serra dell'Unione europea pari ad almeno il 45 per cento rispetto al 1990, il raggiungimento di una quota di energie rinnovabili sul totale dei consumi energetici pari ad almeno il 40 per cento, nonché un aumento dell'efficienza energetica di almeno il 35 per cento;
   a sostenere con sollecitudine l'accordo di Lima sui cambiamenti climatici approvato al termine dell'ultima sessione della conferenza delle arti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e definire in tempi brevi, attraverso un percorso democratico e partecipativo, le modalità per l'attuazione in Italia dei contributi programmati e definiti a livello nazionale europei;
   a sostenere, nell'ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, obiettivi ambiziosi per contrastare il cambiamento climatico e per avviare azioni di decarbonizzazione, anche con un adeguato supporto finanziario e tecnologico ai Paesi più poveri;
   ad assumere iniziative per implementare politiche migratorie pianificate e ben gestite, migrazioni sostenibili sulla base della libertà di mobilità e di migrazione prevista dalla dichiarazione universale dei diritti umani, e quindi per contrastare e prevenire ogni migrazione forzata per effetto ad esempio di guerre, persecuzioni, disastri e impatti dei cambiamenti climatici, favorendo il riconoscimento dello status di «climate refugees»;
   a sostenere il riconoscimento della relazione tra cambiamenti climatici e diritti umani, includendo nel documento finale di Parigi, i diritti dei popoli indigeni, la loro conoscenza tradizionale, il diritto alla terra ed all'autodeterminazione, alla partecipazione diretta ed effettiva alle politiche climatiche e all'accesso diretto alle risorse finanziarie, assicurandone il rispetto e la promozione in ogni programma o progetto di mitigazione, adattamento, trasferimento di tecnologie, riduzione delle emissioni, capacity building;
   nel quadro degli impatti previsti, a sostenere in ogni sede il principio dell'acqua come bene comune e diritto umano, da affermare nel diritto internazionale e nelle costituzioni dei singoli Stati;
   ad adottare entro l'anno, in Italia tutte le iniziative necessarie per la ratifica e l'implementazione degli impegni europei nell'ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con particolare riguardo all'emendamento approvato a Doha nel 2012 per la ratifica degli impegni relativi al secondo periodo del protocollo di Kyoto, circa gli ulteriori impegni vincolanti in materia di riduzione di gas serra;
   ad approvare entro settembre 2015 la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con la comunità scientifica nazionale, procedendo immediatamente con la definizione di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che ne recepisca le indicazioni definendone priorità, tempistiche e impegni di spesa;
   ad attivarsi in ambito nazionale e in sede di Unione europea, affinché si adottino opportune forme di fiscalità ambientale che rivedano le imposte sull'energia e sull'uso delle risorse ambientali nella direzione della sostenibilità, anche attraverso la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio (carbon tax), al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici verso modelli a emissioni basse o nulle;
   ad avviare appropriate e immediate iniziative di rimozione degli incentivi e dei sussidi diretti e indiretti all'uso di combustibili fossili, anche attraverso la riduzione degli investimenti statali nelle industrie legate all'estrazione di nuovi prodotti fossili nel territorio nazionale, spostando gli investimenti sulla ricerca e sullo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, sul risparmio energetico nonché sull'efficiente produzione e uso dell'energia, rivedendo a tal fine la strategia energetica nazionale, e definendo conseguentemente in vero piano nazionale energetico;
   ad adottare una nuova politica energetica, individuando e sostenendo misure di indirizzo della scelta delle fonti secondo criteri di riduzione e azzeramento delle emissioni e stabilendo una road map sulle varie priorità, al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici climalteranti;
   ad assumere iniziative in ambito nazionale, nonché ad attivarsi nell'ambito dell'Unione europea, al fine di contrastare la povertà energetica e la vulnerabilità dei consumatori, attraverso una tariffazione equa dell'energia elettrica e termica, in grado di garantire le fasce più deboli dei cittadini;
   ad assumere iniziative per escludere dal «patto di stabilità» le spese dello Stato, delle regioni e degli enti locali, legate a politiche e misure di riduzione delle emissioni climalteranti, con particolare riguardo alle risorse finalizzate al risparmio energetico, efficienza energetica, energie rinnovabili, nonché a interventi volti all'adattamento ai cambiamenti climatici e in particolare alla messa in sicurezza del territorio e alla protezione civile;
   a sostenere le azioni delle regioni finalizzate ad aumentare la resilienza del territorio promuovendo le opportune sinergie tra mitigazione e adattamento, anche in collegamento con le iniziative in atto a livello europeo (come l'iniziativa del «patto dei sindaci» sull'adattamento al cambiamento climatico);
   a favorire, per quanto di competenza, lo sviluppo in modo coordinato di adeguati piani regionali e locali di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, privilegiando le misure ad alto grado di sostenibilità ambientale, evitando impatti negativi sull'ambiente e sugli ecosistemi delle misure stesse;
   a istituire un qualificato ed organico servizio meteo-climatico nazionale con compito di monitorare il cambiamento in atto nei vari ambiti nazionali (atmosfera-mare-ecosistemi);
   a riconoscere concretamente la centralità delle città e delle autorità locali in materia di pianificazione urbanistica e di programmazione socio-economico-ambientale;
   ad adottare politiche, piani e programmi sia a livello nazionale che a livello internazionale, anche nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, che contribuiscano efficacemente al raggiungimento dei target previsti dagli obiettivi di sviluppo sostenibili.
(1-00815) «Pellegrino, Zaratti, Scotto, Kronbichler, Palazzotto, Franco Bordo, Zaccagnini, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro».

Risoluzione in Commissione:


   La II Commissione,
   premesso che:
    tra le molteplici, drammatiche conseguenze connesse alla radicalizzazione del conflitto siriano, la comunità internazionale ha da tempo richiamato l'attenzione sul fenomeno dei militanti islamici che dai Paesi dell'Unione europea raggiungono le aree di guerra per partecipare alle ostilità. Questi «viaggi del jihad» compiuti da cittadini europei per combattere all'estero tra le fila di organizzazioni terroristiche sono un fenomeno in costante aumento;
    già negli anni ’80 e ’90, poi ancora nello scorso decennio, i servizi antiterrorismo di mezza Europa documentarono con le loro indagini l'esistenza di un vasta attività di reclutamento, spesso effettuata all'ombra delle moschee più radicali stanziate nel vecchio continente, finalizzata a istradare giovani mujahedin verso zone caratterizzate da conflitti interetnici e religiosi;
    facendo leva sui più radicali ambienti integralisti islamici presenti nei Paesi dell'Unione Europea, la Siria ha finito per costituire un ampio canale di sfogo in cui sono confluiti non solo vecchi protagonisti della scena islamista europea – spesso già indagati, processati, condannati ed espulsi per le loro attività terroristiche – ma anche le nuovissime leve della cosiddetta inspire generation. Con questo termine si individua una specifica categoria di militanti, in genere estranei agli ordinari circuiti delle moschee, all'apparenza isolati, talvolta autoctoni, privi di connessioni evidenti con i network terroristici internazionali, la cui adesione incondizionata ad una visione jihadista dell'Islam è conseguenza diretta della propaganda radicale diffusa via internet;
    in chiave di prevenzione il fenomeno dell'afflusso verso la Siria di questa tipologia di militanti islamici ha destato forti preoccupazioni a livello internazionale ed è stato denunciato sia nel apporto sul terrorismo 2013 dell'Europol che dal coordinatore antiterrorismo dell'Unione europea Gilles De Kerchove: secondo cifre, rese note nel dicembre del 2013 dalla presidenza lituana del Consiglio dell'Unione europea, il numero dei foreign fighters che hanno lasciato l'Europa alla volta della Siria ammonterebbe a circa 2.000 militanti. Sempre il rapporto di Europol sul terrorismo 2013 evidenzia come importanti operazioni di polizia connesse alla partenza o al ritorno di militanti islamisti dal quadrante siriano siano state condotte soprattutto in Belgio, Francia, Olanda e Regno Unito;
    sulla scorta delle dimensioni che il fenomeno dei foreign fighters sta assumendo, Consiglio e Commissione europea hanno già segnalato la necessità di ampliare lo spettro delle misure preventive per il loro monitoraggio (rafforzamento dei controlli di frontiera, introduzione di un Pnr europeo e altro) e di attuare misure di dissuasione basate sul dialogo e sul contrasto della radicalizzazione. Tra queste misure si sta valutando anche la possibilità di introdurre nel quadro giuridico comunitario una fattispecie penale che punisca direttamente i viaggi effettuati con finalità di terrorismo;
    l'Italia, con l'approvazione del decreto-legge 18 febbraio 2015, ha da poco adottato importanti misure di prevenzione e contrasto delle attività terroristiche anche con riferimento al fenomeno dei foreign fighters; ma un ulteriore passo in avanti nella lotta al terrorismo internazionale si potrebbe fare con il rapido recepimento della decisione 2008/976/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 16 dicembre 2008 – relativa alla rete giudiziaria europea – e, in particolare, del suo articolo 4 che richiede l'individuazione per ciascuno Stato membro di un punto di contatto per la cooperazione giudiziaria: con l'istituzione della procura nazionale antimafia e antiterrorismo quest'attività di intermediazione giudiziaria sui temi del terrorismo non può che essere svolta per il nostro Paese dal procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di assumere iniziative per introdurre nel quadro giuridico italiano, così come previsto in altri Paesi dell'Unione europea, una fattispecie penale che punisca i viaggi effettuati con finalità di terrorismo;
   ad assumere iniziative per recepire il prima possibile la decisione 2008/976/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 16 dicembre 2008 relativa alla rete giudiziaria europea, conferendo al procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo il ruolo di corrispondente nazionale (e/o punto di contatto) – in particolare con Eurojust – nella materia del terrorismo.
(7-00664) «Dambruoso».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sembra si stia prospettando l'ipotesi di costituire una bad bank di sistema, una società che, usando denaro pubblico, si faccia carico di aiutare gli istituti di credito a sgravarsi dalle sofferenze, assumendosi la gestione dei loro crediti anomali cioè i prestiti difficili o impossibili da recuperare, che attualmente sembrerebbero ingolfare i bilanci delle banche italiane;
   il Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, in un'intervista a Repubblica, ha confermato che il Governo sta «esaminando varie opzioni, anche tenendo conto delle implicazioni sulle regole europee sugli aiuti di Stato» e riflettendo in che modo «introdurre degli strumenti che vanno sotto il nome generico d bad bank»;
   Padoan avrebbe già ricevuto dalla Commissione europea il via libera all'ipotesi di una bad bank di sistema: l'esecutivo Unione europea «sia pure con qualche perplessità», non avrebbe opposto pregiudiziali;
   secondo fonti di stampa, prima della crisi economica i crediti in sofferenza all'interno dei bilanci delle banche italiane ammontavano a circa 42 miliardi di euro, mentre oggi si conta un'ammontare di 183 miliardi; se si considera anche che molti debitori non sono ancora tecnicamente insolventi ma rischiano di diventarlo in tempi più o meno stretti, l'insieme delle sofferenze diventa una frana capace di seppellire il sistema bancario: il totale di tutti i prestiti cosiddetti «deteriorati» arriva infatti a 315 miliardi, ovvero il 16,6 per cento dei crediti concessi complessivamente dagli istituti;
   in un recentissimo paper del Fondo monetario riportato da «Il Sole – 24 Ore», si mostra che solo Irlanda, Cipro e Grecia hanno rapporti fra sofferenze e prestiti maggiori del nostro; sempre il Fondo monetario calcola che, dato il modesto ritmo di uscita dei crediti deteriorati dal bilancio delle banche italiane (nel 2013 solo il 7 per cento) il peso delle sofferenze sul portafoglio prestiti continuerà a crescere fino al 2019, frenando inevitabilmente la propensione a concedere nuovi prestiti;
   se questa operazione della bad bank andrà in porto, anche se si verificherà l'ipotesi, che già circola, appoggiata da Padoan, che il tesoro abbia una quota di minoranza, mentre della maggioranza si dovrebbero fare carico le banche interessate, un costo da pagare ci sarà comunque: se il valore dei crediti trasferiti nella bad bank è più basso dei soldi che verranno effettivamente recuperati in futuro, la perdita iniziale potrebbe ricadere anche sullo Stato; e tutto questo anche se la montagna di crediti in sofferenza è stata creata anche per scelte sbagliate delle banche che, con poche cautele, hanno prestato soldi alle loro cerchie clientelari; invece, per quanto riguarda il risultato sperato, ovvero che le banche finalmente ricomincino ad erogare credito all'economia reale, è d'obbligo sempre e comunque il condizionale, infatti anche se le banche venissero risanate completamente, la fine del credit crunch non sarebbe affatto certa;
   durante la sua audizione del 26 marzo scorso presso le commissioni finanze, bilancio e politiche Unione europea della Camera riunite, il presidente della banca centrale europea, Mario Draghi, ha detto che la Bce «guarda con molto favore a iniziative per ridurre il peso delle partite deteriorate nei bilanci delle banche in modo da liberare risorse» a beneficio delle imprese, riferendosi alla possibile nascita di una bad bank di sistema per liberare dalle sofferenze gli istituti di credito;
   sempre durante l'audizione alla Camera, il numero uno della Bce e promotore del quantitative easing, ha anche affermato che nel 2014 è stata portata a termine un'operazione di scrutinio è pulizia dei bilanci delle banche che erano «malate» per via del peso dei crediti deteriorati;
   nonostante ciò, le banche non hanno ricominciato a erogare prestiti all'economia reale, anzi, quando è stata la volta della prima operazione TLTRO, non avendo vincoli in tal senso, hanno utilizzato tutte le risorse messe a disposizione per speculazioni finanziarie, come ricordato dallo stesso Draghi;
   secondo l'economista Marco Onado «Negli Stati Uniti, il premio Nobel Joseph Stiglitz denuncia che con una distribuzione del reddito così squilibrata come quella attuale, ci vorranno almeno 13 anni per tornare al pieno impiego: figurarsi in Europa dove la ripresa è ancora più stentata. Ma nell'agenda politica questi temi non entrano, se non sotto forma di mere dichiarazioni di principio: basta guardare alle campagne presidenziali di Stati Uniti e Francia, per capire che tutti si muovono allineati e coperti dietro una strategia basata solo sull'arma monetaria e che ha come unico corollario certo il salvataggio delle banche. Il resto è solo speranza. E i banchieri centrali sono i veri signori della crisi»;
   mentre il credit crunch colpisce soprattutto le piccole imprese, una recente analisi del Centro studi Unimpresa su dati della Banca d'Italia ha mostrato che il peso delle sofferenze bancarie è legato soprattutto ai grandi prestiti che difficilmente vengono rimborsati: su tre rate non onorate, due sono relative a crediti di alto importo: il 66,1 per cento del totale dei crediti difficili da riscuotere (107 miliardi) si riferisce a finanziamenti superiori a 500 mila euro, mentre il 33,9 per cento (54,9 miliardi) fa capo a crediti compresi tra i 250 mila e i 500 mila euro. In una platea di oltre 1,2 milioni di clienti in ritardo sui pagamenti, su appena. 457 soggetti pesano sofferenze per 20,3 miliardi. Detto in altri termini, oltre il 66 per cento dei crediti dubbi si riferiscono a una piccolissima percentuale di debitori: il 3,9 per cento, del totale;
   Diego Valiante, responsabile della ricerca su mercati finanziari, Centre for European Policy Studies (CEPS) di Bruxelles, ha scritto su Il fatto quotidiano che la bad bank. «È un intervento con cui si separano gli attivi che hanno poche probabilità di recupero da quelli che hanno ancora un valore di mercato. La banca con gli asset tossici, la bad bank appunto, è mantenuta in vita di solito tramite garanzie statali, in attesa che questi attivi recuperino un valore di mercato. È la principale alternativa alla nazionalizzazione diretta delle banche durante una grave crisi finanziaria, come nell'autunno del 2008... La proposta di una bad bank in questo contesto macroeconomico ha il sapore di una minestra riscaldata, con la quale si pospone un intervento risolutivo nel breve e si salvano elegantemente un po’ tutti quelli che quell'ignoto meccanismo di autoconservazione nel nostro Paese lo conoscono molto bene. Si salvano pertanto i principali azionisti delle banche italiane, che si contano oramai sulle dita di una mano, da una pesante svalutazione di capitale scaricata in gran parte sui cittadini tramite le garanzie statali sul capitale della bad bank. Si salva il management, che ricicla se stesso mettendo in curriculum la capacità (più politica che manageriale) di aver protetto gli azionisti dalla diluizione del capitale e i creditori più importanti da perdite eccessive nella ristrutturazione della banca. Si salva il governo, che diventa paladino dell'italianità del sistema bancario limitando nell'arco della sua breve legislatura l'impatto di una ristrutturazione del sistema bancario sul costo del debito pubblico. La patata bollente passerà intanto al prossimo esecutivo. Si salva una parte della classe politica, che sulle commistioni con la governance delle banche ha costruito la sua intoccabilità»;
   il beneficio più evidente dell'operazione bad bank, su cui preme Banca d'Italia, sarebbe quello strettamente legato al credit crunch, ovvero la stretta creditizia verso famiglie e imprese: eliminare dai bilanci delle banche i crediti in sofferenza potrebbe significare ridare ossigeno alle banche e quindi liberare risorse che potrebbero andare a finanziare famiglie e imprese, soltanto che non ci sono garanzie che questo poi avverrà;
   secondo Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente alla Sda della Bocconi, una bad bank a partecipazione pubblica, in Italia, sarebbe «una cattiva idea. Anzi, pessima, in queste condizioni di contesto: non è affare dello Stato costituire banche o enti affini», perché se il Governo vuole davvero aiutare le banche a smobilizzare i crediti deteriorati, «la cosa più efficace che può fare è agire sui processi della giustizia civile, riducendo drasticamente tempi e complessità dei contenziosi» e intervenendo «sulle condizioni tecnologiche e normative che migliora, la trasparenza e l’accountability dei bilanci aziendali»; per di più, sempre secondo il professor Carnevale Maffè, «aiutare banche fragili, senza serie prospettive di competitività sostenibile a medio-lungo termine, rischia di essere accanimento terapeutico e di avere l'indesiderabile effetto di prolungare la crisi del credito all'economia reale» mentre gli istituti più grandi e solidi «sanno provvedere meglio da soli, utilizzando soluzioni di mercato e in competizione tra loro», come sta già facendo Unicredit;
   le associazioni dei consumatori sono del tutto contrarie all'ipotesi della bad-bank: il Codacons annuncia battaglia e ricorsi in sede europea parlando di «ennesimo regalo alle banche, verso cui lo Stato corre ogni volta in soccorso scaricando come al solito i costi finali sui cittadini contribuenti», «una follia», perché «l'efficiente funzionamento del sistema bancario dovrebbe essere garantito prima di tutto dalle autorità di Vigilanza cui spetta il compito di controllare le banche e il loro corretto operato»;
   secondo Adusbef e Federconsumatori «se il Governo ed il Ministro dell'economia e delle finanze Padoan non dovessero pretendere una equa retribuzione sulla garanzia statale prestata alla bad bank per cartolarizzare prestiti allegri spesso erogati ad amici e compari ai quali le banche hanno affidato prestiti incauti, lasciando scoperte proprio quelle sofferenze causate dalla crisi sistemica prodotta dai banchieri, sarebbe un vero e proprio regalo di Stato, che cercheremo di contrastare in tutte le sedi». «Sarebbe inaccettabile», prosegue la nota, «premiare gratis istituti di credito e banchieri che hanno sbagliato, in buona parte, a concedere fidi con criteri privi dei requisiti prudenziali nella corretta gestione del credito e del risparmio» –:
   se il Governo abbia valutato i problemi relativi all'operazione di costituzione della bad bank e in che modo abbia intenzione di adoperarsi per far si che, nel caso questa operazione venisse-messa in atto, la perdita finanziaria iniziale non ricada anche sullo Stato e dunque sulle tasche dei cittadini;
   se il Governo non abbia intenzione, nel caso in cui si ponesse in atto con o senza bad bank un'operazione di risanamento delle banche dai crediti «malati» da parte dello Stato, di selezionare gli istituti di credito meritori di questo intervento, in modo da premiare i comportamenti virtuosi e allo stesso tempo evitare di spendere risorse per realtà bancarie che hanno messo in atto scelte sbagliate, con poche cautele;
   in che modo il Governo voglia attivarsi per garantire, visto il precedente comportamento delle banche in tal senso, che, qualora avvenisse il risanamento degli istituti di credito per opera dello Stato, questo comporti davvero come diretta conseguenza la fine del credit crunch e dunque il ritorno al finanziamento dell'economia reale;
   se il Governo non consideri altresì importante promuovere processi di ristrutturazione finanziaria e di rafforzamento patrimoniale, necessari per una parte ampia del nostro sistema imprenditoriale, rilanciando finalmente gli investimenti produttivi.
(2-00938) «Sorial, Pesco, Villarosa, Alberti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il 12 marzo 2015, a pochi giorni dalla dead line del 31 marzo, l'Italia, insieme a Gran Bretagna, Francia e Germania, è entrata come membro fondatore nell’Asian infrastructure investment bank (Aiib), la banca di sviluppo asiatica lanciata e guidata dalla Cina, come riportato da molteplici fonti di stampa;
   secondo i dati pubblicati dal sito cinese di informazione finanziaria Caixin, l'Aiib, lanciata a ottobre 2013 dal presidente cinese Xi Jinping, avrebbe sede a Pechino e un capitale di 50 miliardi di dollari che presto arriveranno a 100 miliardi (l’Asian development bank ha 165 miliardi), ed il suo obiettivo sarebbe quello di essere una banca di sviluppo multinazionale che dà supporto ai progetti infrastrutturali nei paesi emergenti dell'Asia;
   i progetti presi in considerazione dall'Aiib dovrebbero essere ferrovie, strade, aeroporti, porti, infrastrutture di telecomunicazione, edilizia sostenibile, gestione sostenibile delle risorse idriche, e per questo l'Aiib sembrerebbe avere una missione simile a istituti come la Banca mondiale, la Banca di sviluppo asiatica Adb, la Banca africana di sviluppo, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, la Banca interamericana di sviluppo;
   per quanto riguarda le adesioni: a ottobre 2014 avevano fatto domanda di ingresso nell'Aiib 21 Paesi, tutti asiatici: oltre alla Cina, India, Bangladesh, Brunei, Cambogia, Kazakhstan, Kuwait, Laos, Malesia, Mongolia, Myanmar, Nepal, Oman, Pakistan, Filippine, Qatar, Singapore, Qatar, Singapore, Sri Lanka, Tailandia, Uzbekistan, Vietnam; a gennaio 2015 si sono uniti Nuova Zelanda, Indonesia, Maldive, Tajikistan, Arabia Saudita; a febbraio 2015 sono arrivati nel gruppo anche la Giordania e Hong Kong ha annunciato la partecipazione;
   dopo Uk, Germania, Francia e Italia, le richieste di ingresso si sono moltiplicate, con nomi di Paesi come il Brasile, la Russia, l'Australia e la Corea del Sud, che, nonostante le pressioni americane, hanno alla fine deciso di far parte di quella che molti considerano una potenziale potente rivale della Banca mondiale;
   il Ministro malese delle finanze Ahmad Husni Handadzlah ha chiarito, in nome dell’Association of Southeast Asian Nations (Asean), che il gruppo è ancora in attesa che la Cina presenti informazioni sulla «struttura e modello» dell'Aiib;
   gli Stati Uniti hanno più volte ammonito i loro alleati a guardarsi dall'entrare in un istituto, l'Aiib, che non ha ancora fornito garanzie su come sarà strutturato e sugli standard in base ai quali opererà;
   il segretario americano al Tesoro Jacob Lew avrebbe messo in dubbio la Governance del nuovo istituto: «Quello che ci preoccupa è se aderirà agli alti standard che gli istituti finanziari internazionali hanno sviluppato. Proteggerà i diritti dei lavoratori e l'ambiente, affronterà in modo adeguato il problema della corruzione ? Spero che prima che venga ratificato l'impegno finale, chiunque voglia legare il proprio nome a questa organizzazione si assicuri che questi temi siano adeguatamente affrontati»;
   il Giappone si è inizialmente allineato alla posizione americana esprimendo forti dubbi sulla credibilità della banca di sviluppo che la Cina sta creando e che minaccia di ridurre l'influenza dell’Asian Development Bank, infatti il Capo segretario di gabinetto giapponese Yoshihide Suga avrebbe avanzato molti dubbi: «Sarà in grado questa banca di assicurare una equa Governance ? Terrà conto della sostenibilità dei prestiti o finirà per infliggere perdite ad altri creditori ?»;
   anche se qualche giorno dopo il Ministro delle finanze cinese Lou Jiwei e il presidente della Adb Takehiko Nakao hanno rivelato di essersi già incontrati per discutere una possibile cooperazione, il ministro delle Finanze Taro Aso ha tuttavia ribadito che «l'Aiib non ha ancora garantito trasparenza e niente è deciso su chi sia coinvolto, quale sia il consiglio esecutivo e chi valuterà i prestiti per ciascun progetto»; il Giappone continua a nutrire dubbi anche sulla sostenibilità del debito e sulla capacità dell'Aiib di rispondere dell'impatto sociale e ambientale dei progetti di sviluppo, e questo potrebbe avere un effetto sugli esistenti prestiti di Adb, Banca mondiale e altri istituti;
   natura e obiettivi della banca di sviluppo cinese sono ancora lontani dall'essere del tutto chiariti; molti hanno letto la creazione dell'Aiib come una risposta della Cina al peso inadeguato concessole dentro il Fondo monetario internazionale, FMI, con la mancata riforma dei diritti di voto, ma secondo un editoriale del Financial times la situazione potrebbe essere più complicata di così: «La Cina ha fatto di tutto perché il suo peso nel veto nel consiglio esecutivo del Fmi restasse comunque minore di quello del Giappone», scrive il Financial times: «Pechino non voleva il ruolo di primo piano – e la responsabilità nelle azioni del Fmi – che sarebbe derivata dal diventare il secondo paese con più voti nel board»; dunque la Cina potrebbe aver pensato che era meglio non essere troppo coinvolta con gli istituti occidentali e neoliberali, perché questo poteva danneggiare la sua immagine politica nei confronti dei Paesi del mondo in via di sviluppo –:
   se il Governo non intenda chiarire la sua posizione in merito all'adesione avvenuta all'Aiib di cui in premessa, illustrandone le motivazioni soprattutto in considerazione dell'attuale mancanza di informazioni fondamentali sulla reale identità e Governance di questa banca, nonché le molte riserve espresse in merito da diversi Paesi;
   in che modo il Governo intenda attivarsi circa la mancanza di trasparenza dell'Aiib, della quale siamo ormai parte, per fare chiarezza su chi sia coinvolto, quale sia il consiglio esecutivo e chi valuterà i prestiti per ciascun progetto, e sugli standard che verranno applicati, soprattutto per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e dell'ambiente.
(2-00939) «Sorial, D'Incà, Caso, Brugnerotto, Cariello, Castelli, Colonnese».

Interrogazione a risposta orale:


   SBERNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli alimenti a fini medici speciali (cosiddetti FMS), contemplati dalla direttiva 2009/39/CE, sono prodotti la cui composizione ed elaborazione sono studiate per rispondere alle esigenze nutrizionali particolari delle persone alle quali vengono essenzialmente destinati per ragioni mediche e si distinguono perciò nettamente dagli alimenti di consumo corrente e dagli integratori alimentari;
   gli alimenti a fini medici speciali sono prodotti dietetici, specialmente processati o formulati che richiedono di essere utilizzati «sotto controllo medico» destinati all'alimentazione completa o parziale di pazienti con una limitata, diminuita o disturbata capacità di assunzione, digestione, assorbimento, metabolizzazione o escrezione degli alimenti di uso corrente o di alcuni nutrienti o metaboliti in essi contenuti; sono destinati all'alimentazione completa o parziale di pazienti il cui trattamento dietetico, inteso come dietary management, non può essere realizzato né con una modifica della normale dieta, né impiegando altri prodotti dietetici, né combinando alimenti di uso corrente con altri prodotti dietetici, rivestendo in casi specifici il ruolo di veri e propri «salvavita»;
   prima di essere commercializzati gli AFMS devono essere notificati al Ministero della salute e inseriti in un apposito registro consultabile sul portale del Ministero; per quanto possa sembrare semplificato il processo di notifica prevede un esame consultivo di un'apposita commissione (CUDN) e il vaglio definitivo dell'ufficio competente del Ministero della salute che ne certifica la conformità sia regolatoria che scientifica in relazione alla legislazione vigente e alle linee guida rilasciate dallo stesso Ministero;
   il requisito distintivo di un AFMS sta nella capacità di sopperire in tutto o in parte alle particolari esigenze nutrizionali imposte da una malattia, un disturbo o uno stato patologico (nonché dalla conseguente malnutrizione), o comunque di facilitarne il trattamento dietetico (come, ad esempio, prodotti «addensanti» destinati a facilitare l'alimentazione di soggetti affetti da disfagia);
   a causa del proporzionale aumento del numero di malati cronici e delle persone che soffrono di una patologia o si trovano in una situazione particolare a causa della quale devono alimentarsi in modo diverso dagli individui sani e, quindi, necessitano di alimenti particolari, le spese sostenute per l'acquisto di tali prodotti, costituiscono una voce crescente delle spese sanitarie sostenute dalle famiglie;
   la profonda disomogeneità dell'assistenza integrativa delegata alle regioni evidenzia che solo in alcune aree esiste una corretta appropriatezza prescrittiva e la conseguente dispensazione a carico del servizio sanitario nazionale in altre invece l'acquisto di tali prodotti rimane a totale carico del paziente, senza che possano nemmeno avere la loro detraibilità fiscale;
   il regime di detraibilità delle spese mediche, stabilito dal testo unico delle imposte sui redditi, stabilisce che il 19 per cento delle spese sostenute per cure mediche e per l'assistenza sanitaria possa essere detratto ai fini dell'Irpef. In particolare, in base all'articolo 15 sono detraibili i farmaci (quei medicinali non rimborsabili dal servizio sanitario nazionale, prodotti da banco, SOP, «classe c» in generale) e i dispositivi medici (ad esempio lenti oftalmiche correttive dei difetti visivi, apparecchi acustici, cerotti, bende, garze, siringhe, termometri e altro), mentre gli alimenti a fini medici speciali non rientrano nella categoria dei prodotti detraibili –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per modificare l'articolo 15 del TUIR, al fine di rendere detraibili le spese sostenute per l'acquisto di alimenti a fini medici speciali, così da garantire in breve tempo lo stesso vantaggio fiscale per numerosi pazienti affetti da problemi di salute, spesso cronici, che si trovano quindi a dover sostenere spese economiche rilevanti. (3-01446)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI VITA, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, CECCONI, DALL'OSSO, NUTI, MANNINO, LUPO, DI BENEDETTO, TOFALO, LIUZZI, DE LORENZIS, BASILIO, TERZONI, GAGNARLI e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   l'attività conoscitiva e la funzione di controllo sull'operato del Governo rientrano tradizionalmente tra le principali prerogative attribuite al Parlamento dalla Carta costituzionale;
   il controllo parlamentare assume rilevante carattere politico, consistendo in un insieme di attività e di procedure attraverso le quali le Camere verificano l'azione del Governo e la sua rispondenza agli obiettivi stabiliti nelle leggi o in altri atti di indirizzo, e comporta il potere di far valere la responsabilità politica dell'Esecutivo mediante l'approvazione di una mozione di sfiducia;
   ciò avviene, in special modo, attraverso le interrogazioni che deputati e senatori rivolgono ai Ministri;
   molteplici e concorrenti sono le finalità degli atti di indirizzo e controllo, tra cui: formulare orientamenti al Governo; evidenziare problemi ed esigenze che non sono affrontate nell'attività legislativa, anche al fine di auspicare un intervento normativo; in particolare, se presentati dall'opposizione, esprimere valutazioni, critiche, denunce (nel caso della mozione di sfiducia, finalità sanzionatoria); richiamare l'attenzione del dibattito parlamentare e dell'opinione pubblica su questioni ritenute rilevanti; indurre il Governo ad assumere una posizione ufficiale sulla questione sollevata;
   l'articolo 64, comma 4, della Costituzione, prevede il diritto dei Ministri, ma anche l'obbligo degli stessi su richiesta parlamentare, di assistere alle sedute e di essere sentiti su propria iniziativa;
   ai sensi dell'articolo 128, comma 2, del Regolamento della Camera, l'interrogazione consiste nella semplice domanda, rivolta per iscritto, se un fatto sia vero, se alcuna informazione sia giunta al Governo, o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla Camera documenti o notizie o abbia preso o stia per prendere alcun provvedimento su un oggetto determinato;
   il successivo articolo 129 del Regolamento stabilisce che le interrogazioni sono svolte dopo che siano trascorse due settimane dalla loro presentazione;
   l'incaricato del Governo ha la facoltà di dichiarare di non poter rispondere indicandone il motivo. Se dichiara di dover differire la risposta, precisa in quale giorno, entro il termine di un mese, è disposto a rispondere (articolo 131);
   nonostante la chiarezza e la perentorietà del dettato regolamentare, occorre segnalare che gran parte delle interrogazioni presentate spesso non ricevono risposta;
   a confermare il dato è un articolo pubblicato il 1o settembre sul sito internet openpolis.it dal titolo «Interrogazioni, quei Ministri che non rispondono mai», di carattere prettamente statistico, in cui nello specifico si evidenzia come nel corso della XVII legislatura siano oltre diecimila le interrogazioni parlamentari in attesa di risposta su un totale di quindicimila presentate alla Camera e al Senato (http://blog.openpolis.it);
   dopo un anno e mezzo di legislatura, dunque, oltre il 60 per cento delle interrogazioni restano in attesa di risposta e solo un terzo circa risulta andato buon fine;
   di un certo rilievo, inoltre, sono i dati relativi al confronto fra i diversi Ministeri e membri del Governo chiamati a rispondere: ultima in classifica la Presidenza del Consiglio dei ministri, che su un totale di 633 interrogazioni, ha risposto solamente a 102 (16,11 per cento) lasciando oltre l'80 per cento di esse cadere nel vuoto; segue il Ministero della giustizia, con una percentuale di risposta del 17,53 per cento; terzo posto a quello dell'economia e delle finanze (24,93 per cento);
   per l'espletamento della diversa funzione di indirizzo dell'azione del Governo le Camere utilizzano tre distinti strumenti: le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno di istruzione al Governo per l'attuazione delle leggi;
   interpellato il 22 ottobre 2014 su alcune statistiche relative a quest'ultima tipologia di atti, segnatamente in relazione al numero degli atti di indirizzo segnalati ai Ministeri ai fini della loro attuazione, l'ufficio «Servizio per il controllo parlamentare» della Camera forniva alla prima firmataria i seguenti dati:
    ordini del giorno: totale atti segnalati 2.450 totale atti attuati 92;
    risoluzioni in Assemblea o in Commissione: totale atti segnalati 115, totale atti attuati 15;
    mozioni: totale atti segnalati 186, totale atti attuati 18;
    totale atti di indirizzo segnalati 2751, totale atti attuati 125;
   l'ufficio «Servizio per il controllo parlamentare» forniva contestualmente le seguenti precisazioni in relazione ai dati trasmessi: 1) vengono segnalati ai Ministeri ritenuti competenti gli atti di indirizzi accolti dal Governo (nel caso degli ordini del giorno anche accolti come raccomandazione) e/o approvati dall'Assemblea o dalle Commissioni parlamentari; 2) i Ministeri cui è stato segnalato un atto di indirizzo possono dare attuazione all'impegno in esso contenuto senza che necessariamente tale attuazione venga comunicata alla Camera con nota indirizzata al servizio per il controllo parlamentare, non sussistendo alcun obbligo in tal senso;
   a fronte di questi dati che, nonostante le anzidette precisazioni, ben si potrebbero definire sconfortanti nel loro complesso, preme ricordare in questa sede che gli atti di indirizzo e controllo rappresentano uno strumento principe del confronto democratico, rivolto in particolare all'opinione pubblica, potendo riuscire soprattutto a dare forte risonanza presso i mezzi di comunicazione a questioni rimaste in ombra o, viceversa, a portare nel dibattito parlamentare avvenimenti di attualità, su cui si concentra l'attenzione dei mezzi di comunicazione;
   questo «malfunzionamento» contribuisce seriamente a depauperare e frustrare il lavoro di parlamentari che, in base alle proprie prerogative e attraverso gli strumenti forniti loro dalla legge, tentano di far emergere specifiche problematiche di rilievo nazionale attraverso appositi quesiti che però, purtroppo non di rado, restano inevasi, con conseguente alto senso di frustrazione e inutilità; ancor peggio qualora si tratti di atti di indirizzo, vincolanti per il Governo, che seppur approvati, ovvero accettati dalla maggioranza dei rappresentanti del popolo, non vengono successivamente attuati;
   in tale ottica, la valutazione o la risposta del Governo rileva non tanto nel rapporto di indirizzo e controllo tra Parlamento e Governo quanto come posizione ufficiale che può essere fatta valere pubblicamente –:
   se sia a conoscenza di quanto osservato in premessa;
   se possa indicare precisamente quali siano attualmente le cause che contribuiscono a determinare tale elevato numero di atti di indirizzo e controllo inevasi;
   quali attività governative anche di carattere normativo, siano state intraprese, o si intendano intraprendere, al fine di ottemperare alla citata normativa regolamentare e costituzionale;
   se non ritenga che la problematica sollevata col presente atto, in sintesi identificabile nel restringimento delle prerogative parlamentari, possa determinare di riflesso un danno oggettivo ai cittadini italiani, conseguente alla limitazione di fatto della rappresentanza in Parlamento delle preoccupazioni e delle istanze dei medesimi, oltre a denotare in generale uno scarso senso di responsabilità degli organi istituzionali e di governo preposti a ottemperare agli obblighi scaturenti dalla disciplina relativa all'attività parlamentare di indirizzo e controllo. (5-05373)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, COMINARDI, D'INCÀ, BRUGNEROTTO, CARIELLO, CASTELLI e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi 3 anni sarebbero più che raddoppiati i suicidi direttamente collegati alla perdurante crisi economica che investe il nostro Paese, con un preoccupante trend di crescita del fenomeno, secondo quanto riportato da uno studio del laboratorio di ricerca socio-economica dell'università degli Studi Link Campus University, Link Lab, che da oltre tre anni studia il fenomeno e che ha di recente pubblicato i dati complessivi di un'attività di monitoraggio avviata nel 2012;
   sarebbe 439 il numero complessivo delle persone che si sono tolte la vita per motivazioni economiche in Italia nel triennio 2012-2014: 89 nel 2012, 149 nel 2013 e ben 201 nel 2014;
   anche il numero dei tentati suicidi è più che raddoppiato nel 2014, rispetto al 2012: sono 115 le persone che nel 2014 hanno provato a togliersi la vita per motivazioni riconducibili alla crisi economica, a fronte dei complessivi 86 del 2013 e dei 48 del 2012, per un totale di ben 249 tentati suicidi registrati in Italia nel triennio di riferimento;
   il fenomeno non conosce più differenze di tipologia lavorativa: dal 2012 al 2014 infatti, sono stati rispettivamente 198 gli imprenditori (il 45,1 per cento del totale) e 183 i disoccupati (41,7 per cento sul totale) vittime di suicidio per crisi economica;
   quello che emerge con drammatica evidenza dallo studio di Link Lab è l'aumento del numero di coloro che hanno deciso di togliersi la vita in seguito alla perdita del posto di lavoro: i disoccupati suicidi infatti passano dal 31,5 per cento del 2012, al 38,9 per cento del 2013, fino a raggiungere addirittura il 48,3 per cento nel 2014;
   secondo il docente di sociologia della Link Campus University e direttore di Link Lab, Nicola Ferrigni, «La crisi economica continua a contare le sue vittime che negli ultimi tre anni sono cresciute in maniera esponenziale. Dopo l'impennata registrata nel 2013, infatti, i suicidi legati a difficoltà economiche hanno conosciuto un ulteriore e significativo aumento nel corso del 2014 risultando più che raddoppiati rispetto al 2012. Un’escalatión che ben rappresenta un drammatico scenario in cui debiti, fallimenti, licenziamenti, stipendi non percepiti, disoccupazione diventano il movente di stragi che si consumano quotidianamente. L'analisi complessiva dei 3 anni, evidenzia un fenomeno che sta interessando in maniera trasversale strati sempre più ampi della popolazione senza alcuna particolare caratterizzazione geografica, investendo con la stessa forza Nord, Sud ed Isole, e che sta trascinando prepotentemente verso la disperazione non più solo imprenditori e titolari di azienda ma un numero sempre più considerevole di disoccupati»;
   il fenomeno sembra non conoscere più nemmeno differenze geografiche: l'analisi complessiva dei dati relativi al triennio 2012-2014, pur confermando il triste primato del Nord-Est — che registra complessivamente il 25,3 per cento del totale dei suicidi — rileva una progressiva uniformità della distribuzione del fenomeno nelle diverse aree geografiche, infatti, dal 2012 al 2014, le regioni dell'Italia centrale contano il 22,3 per cento dei suicidi, il Sud il 20,3 per cento il Nord-Ovest il 20 per cento e le Isole l'11,84 per cento;
   molto significativo anche l'aumento del numero di suicidi nell'Italia meridionale che passa dal 14,6 per cento del 2012 al 23,44 del 2014; questo a dimostrazione del fatto che il fenomeno dei suicidi legati alla crisi economica non interessa più in maniera esclusiva il nord Italia, area a forte vocazione industriale ed imprenditoriale, ma va uniformandosi a livello territoriale travolgendo con la stessa forza anche il sud;
   quella che desta maggiore preoccupazione è la situazione dell'universo giovanile, poiché si assiste purtroppo ad un abbassamento dell'età delle vittime dal 2012 ad oggi: la classe d'età che va dai 35 ai 44 anni, infatti, avrebbe purtroppo conosciuto un notevole incremento passando dal 13,5 per cento del 2012 al 21,4 per cento del 2014; tra il 2012 e il 2014, il 5,5 per cento delle vittime ha un'età compresa tra i 25 e i 34 anni, con il 4 per cento nel 2014, mentre l'1,4 per cento ha meno di 25 anni, con ben il 2,5 per cento nel 2014 a fronte di una percentuale pari a 0 del 2012; inoltre ben il 12,«dei disoccupati che si sono tolti la vita aveva meno di 34 anni, a conferma della mancanza di prospettive e speranza che investe il mondo dei giovani»;
   un dato non inserito nelle tabelle ma che suona come ulteriore campanello d'allarme è quello relativo a 58 persone che nel 2014 hanno minacciato di uccidersi, per lo più disoccupati –:
   se il Governo sia consapevole del preoccupante fenomeno dei suicidi per motivi economici, descritto in premessa, e del suo ancora più preoccupante trend di crescita, e in che modo intenda attivarsi per rispondere a questa emergenza, soprattutto in considerazione del fatto che questo problema sta investendo sempre più il mondo dei giovani, ovvero il futuro del nostro Paese. (4-08833)


   ABRIGNANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società Marche Energia srl, domiciliata in Jesi (AN), è locataria di un impianto fotovoltaico sito in Morrovalle (MC) della potenza di 656 kilowattp e fornisce energia al gestore dei servizi energetici mediante regolare contratto;
   il 18 dicembre 2014 la Società Marche Energia srl è stata fatta oggetto di visita fiscale da parte della direzione controlli dell'ufficio provinciale di Ancona dell'Agenzia delle entrate. Il controllo è stato incentrato, sostanzialmente, sulla applicazione delle norme fiscali della legge così detta «Tremonti Ambiente», che secondo l'Agenzia delle entrate di Ancona avrebbe prodotto una «Variazione in diminuzione non spettante a Marche Energia» per un totale di 734.307,00 euro;
   per gli impianti fotovoltaici sussistono le condizioni di accesso al beneficio secondo quanto previsto dagli interventi normativi rilevanti, in attuazione della detassazione IRES in relazione agli Investimenti Ambientali, secondo quanto previsto dalla Circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. affari giuridici e contenzioso tributario 03 gennaio 2001, n. 1/E/2001/542 e dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001);
   il decreto ministeriale del 5 luglio 2012 (quinto conto energia) del Ministero dello sviluppo economico chiarisce definitivamente la possibilità di cumulare il conto energia con l'articolo 6 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Nello specifico, all'articolo 19 (cumulabilità delle tariffe di cui al decreto 19 febbraio 2007 con altri incentivi pubblici) del decreto del 5 luglio 2012 è stabilito che il limite di cumulabilità si applica anche alla detassazione per investimenti di cui all'articolo 6, commi da 13 a 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e all'articolo 5 del decreto- legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;
   il decreto del 19 febbraio 2007 del Ministero dello sviluppo economico riguardo «Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, in attuazione dell'articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387», all'articolo 9, comma 1, primo periodo stabilisce che le tariffe incentivanti di cui all'articolo 6 e il premio di cui all'articolo 7 non sono applicabili all'elettricità prodotta da impianti fotovoltaici per la cui realizzazione siano o siano stati concessi incentivi pubblici di natura nazionale, regionale, locale o comunitaria in conto capitale e/o in conto interessi con capitalizzazione anticipata, eccedenti il 20 per cento del costo dell'investimento;
   la delibera n. 372 del 11 maggio 2009 della regione Toscana, stabilisce un metodo di calcolo matematico per l'analisi dei progetti di investimento per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (tra cui anche gli impianti fotovoltaici), allo scopo di determinare i costi ammissibili al finanziamento pubblico nel rispetto della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale. La regione Veneto con la delibera n. 1713 del 16 giugno 2009 ha, altresì, proposto un metodo di calcolo matematico molto simile a quello della regione Toscana;
   inoltre, la disciplina comunitaria degli aiuti di stato per la tutela ambientale (2008/C 82/01) stabilisce che gli aiuti ambientali agli investimenti o al funzionamento a favore della produzione di energia da fonti rinnovabili saranno considerati compatibili con il mercato comune ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c) del trattato CE, purché siano soddisfatte le condizioni di cui ai punti da 102 a 111 della disciplina comunitaria in questione. Gli aiuti di stato possono essere giustificati in assenza di norme comunitarie obbligatorie che prescrivano la quota di energia da fonti rinnovabili per singola impresa. Gli aiuti agli investimenti o al funzionamento per la produzione di biocarburanti sono considerati solo nel caso dei biocarburanti sostenibili;
   è altresì stabilito che l'intensità di aiuto non deve superare il 60 per cento dei costi d'investimento ammissibili. Inoltre, qualora gli aiuti agli investimenti a favore delle fonti energetiche rinnovabili siano concessi alle PMI, l'intensità di aiuto può essere aumentata di 10 punti percentuali per le medie imprese e di 20 punti percentuali per le piccole imprese;
   dall'analisi della normativa si evince come il calcolo incrementale sia articolato in due fasi. La prima riguarda un confronto tra investimenti, poiché il beneficio può essere calcolato soltanto relativamente ai sovraccosti sostenuti per realizzare una centrale di produzione che converta in energia elettrica una fonte rinnovabile (nella fattispecie quella solare) rispetto a una centrale di tipo tradizionale. Nel definire quale sia la centrale tradizionale si è tenuto conto delle dimensioni della centrale in valutazione (campo fotovoltaico della potenza nominale di 656,64 kilowattp) e quindi si è preso come riferimento un gruppo elettrogeno alimentato a gas naturale (metano) di pari potenza. Per potenze di questo tipo non avrebbe alcun senso considerare tecnologie differenti dal gruppo elettrogeno;
   la seconda fase riguarda invece la valutazione dei profitti operativi che derivano dall'esercizio dell'impianto, qualora esso abbia avuto altre forme di incentivazione, come ad esempio le tariffe di alimentazione. L'impianto fotovoltaico, usufruisce, come è noto della cosiddetta tariffa incentivante che agevola la produzione effettiva di energia elettrica. È chiaro che questa parte di calcolo rappresenta una sezione completamente staccata dalla precedente e riguarda il conto economico;
   è evidente che tra i sovraccosti di produzione ci sono anche gli ammortamenti dell'investimento (equivalenti al costo del leasing quando si è in presenza di investimento realizzato con il leasing finanziario);
   la società Marche Energia srl ha applicato la Tremonti Ambiente nominando un perito, l'Ingegnere Umberto Pasquale Morgante, esperto in materia di impianti per la produzione di energia, a cui ha affidato il compito di redigere una perizia giurata tecnico-economica mediante la quale fosse valutato l'investimento ambientale nel rispetto della normativa vigente;
   la società ha poi provveduto, una volta avuta la perizia giurata, a convocare l'assemblea dei soci per riapprovare il bilancio di competenza (anno 2011) al fine di ottemperare agli obblighi di legge che prevedevano che l'investimento ambientale fosse rappresentato in bilancio e che all'epoca non lo era stato poiché prudenzialmente, in presenza di incertezza normativa, i soci avevano preferito non usufruire dell'agevolazione;
   una volta riapprovato il bilancio 2011, la società in questione ha provveduto ad inviare apposita comunicazione al Ministero dello sviluppo economico entro 30 giorni) sempre in ottemperanza a quanto previsto dalla legge. Infine, ha provveduto a correggere le dichiarazioni dei redditi, in particolare UNICO 2012 in cui ha inserito la variazione in diminuzione pari all'investimento ambientale nell'apposito quadro, quello RF al rigo 54 con il codice 29 che è specifico per questa agevolazione;
   durante l'attività di controllo citata precedentemente l'Agenzia delle entrate che non ha avuto nulla da eccepire riguardo il diritto dell'agevolazione, nonché le modalità operative di applicazione che sono avvenute secondo lo schema sopra indicato, è invece entrata nel merito tecnico della perizia contestando le modalità di calcolo del perito, che, sempre secondo l'Agenzia delle entrate avrebbe sovrastimato l'investimento ambientale con la conseguenza che la Marche Energia srl avrebbe usufruito di una agevolazione maggiore di quella effettivamente spettante;
   in particolare, l'oggetto del contendere è stato il criterio di determinazione dei profitti operativi che, ai fini del calcolo dei costi ammissibili, in particolare i risparmi sui costi o le produzioni accessorie aggiuntive direttamente connessi con l'investimento supplementare per la tutela ambientale ed eventuali vantaggi che derivano da altre misure di aiuto, indipendentemente dal fatto che queste costituiscano o meno aiuti di Stato (aiuti al funzionamento concessi a fronte dei medesimi costi ammissibili, tariffe di alimentazione o altre misure di sostegno), devono necessariamente essere determinati come differenza tra ricavi e costi. Nel caso specifico le «altre misure di aiuto» sono rappresentate dalla tariffa incentivante che è regolamentata da apposita convenzione con il Gestore dei servizi energetici;
   chiaramente però, per determinare i profitti operativi è stato fatto un conto economico in cui tra i ricavi sono stati inseriti quelli derivanti dalla tariffa incentivante, e tra i costi operativi sono stati inseriti i costi di esercizio tra cui ad esempio i costi dell'assicurazione, quelli di manutenzione ed il costo delle rate del leasing dell'impianto, essendo stato realizzato l'investimento in leasing;
   l'elemento che viene contestato è il fatto che tra i costi è stato inserito il costo del leasing, di cui viene riconosciuta dall'Agenzia delle entrate la natura di «costo operativo» e il suo inserimento è una duplicazione del costo di investimento iniziale. Nello specifico, essendo costituita la rata di leasing da due componenti, una parte relativa alla restituzione del capitale ed una parte relativa agli interessi, secondo l'Agenzia, la parte relativa al capitale rappresenterebbe una duplicazione del costo di investimento iniziale;
   il perito ha spiegato all'Agenzia delle entrate mediante delle memorie depositate, ed anche mediante la redazione di una seconda perizia giurata, che oltre alla normativa europea anche la delibera n. 372 del 11 maggio 2009 della regione Toscana, che poi si ispira alla normativa europea stessa ovviamente, viene proposto un metodo di calcolo matematico per l'analisi dei progetti di investimento per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (tra cui anche gli impianti fotovoltaici), allo scopo di determinare i costi ammissibili al finanziamento pubblico nel rispetto della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale inserisce tra i costi operativi anche gli ammortamenti;
   nella delibera in questione viene fatta una analisi della normativa europea relativa al calcolo incrementale e quindi vengono spiegati criteri adottati poi negli esempi di calcolo riportati. Relativamente ai costi ammissibili la delibera stabilisce che nell'ambito della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, i costi ammissibili si limitano ai sovraccosti sostenuti dal beneficiario rispetto ai costi caratteristici di una centrale elettrica tradizionale di pari capacità in termini di produzione effettiva di energia;
   tali costi vanno calcolati al netto di qualsiasi profitto operativo connesso con gli investimenti supplementari per le fonti di energia rinnovabile verificatosi durante i primi cinque anni di vita dell'investimento;
   sulla base di studi realizzati da operatori del settore quali università, Enea, Gse e World Bank, le principali voci di costo che contribuiscono a determinare il costo di produzione di energia a Kilowatt ora possono essere riassunte nei costi d'investimento ripartiti lungo la vita dell'impianto, che comprendono le voci di costo afferenti lo studio di fattibilità, lo sviluppo del progetto e relativa autorizzazione e l'impiantistica accessoria collegata funzionalmente all'impianto e nei costi di gestione e manutenzione (ordinaria e straordinaria), che comprendono le voci di costo attinenti la manodopera, la connessione alla rete di trasmissione elettrica, l'utilizzo del terreno, l'assicurazione e l'amministrazione dell'impianto. Un ulteriore aspetto da considerare è rappresentato dal tasso di interesse sul debito, il quale incide sul risultato del progetto nel suo complesso;
   il costo d'investimento ripartito lungo la vita dell'impianto, rappresenta proprio l'ammortamento degli investimenti. Infatti, per sua definizione, l'ammortamento è un procedimento con il quale un costo pluriennale (quale è appunto il costo di investimento dell'impianto fotovoltaico) viene ripartito tra gli esercizi di vita utile del bene;
   non si può comunque parlare di duplicazione, poiché per le regole convenzionali del calcolo incrementale regolamentate dalla normativa europea i profitti operativi devono essere presi in considerazione soltanto per i primi 5 anni di esercizio, periodo per altro molto più breve della durata del contratto di leasing;
   il criterio di calcolo adottato è stato estremamente prudenziale poiché non sono stati presi in considerazioni tanti costi operativi effettivamente sostenuti dalla Marche Energia srl, tanto è vero che sono stati proposti nella perizia giurata aggiuntiva anche metodi di calcolo alternativi, addirittura che non considerano gli ammortamenti tra i costi operativi e che portano a stimare comunque un investimento ambientale maggiore di quello inizialmente valutato e che ha rappresentato il valore utilizzato per inserire la variazione in diminuzione in dichiarazione dei redditi;
   inoltre, è importante evidenziare che lo schema di perizia e quindi la metodologia di calcolo utilizzato dall'Ingegnere Umberto Pasquale Morgante sono stati già oggetto di valutazione in casi similari di altre aziende;
   in un caso in particolare, l'Agenzia delle entrate sostenendo la complessità del calcolo ha chiesto alla CTP di Perugia, nell'ambito di un contenzioso, di far nominare un CTU perché valutasse la stima dell'investimento ambientale. In questo caso, come si può leggere dalla sentenza n. 613/01/14 del 24 settembre 2014 depositata in segreteria il 09 ottobre 2014, la CTP non ha ritenuto necessaria la nomina del CTU, affermando che il perito Ingegnere Morgante ha fornito un excursus ampio delle proprie conclusioni, sia sotto il profilo normativo di riferimento, per altro del tutto condivisibile, sia sotto il profilo tecnico-scientifico illustrando dettagliatamente il percorso valutativo attuato sulla scorta della normativa suddetta;
   inoltre, sempre nella sentenza la ctp stabilisce che va rimarcato il fatto che nelle premesse della perizia il perito fa specifico riferimento alle delibere 372 del 2009 e 1713 del 2009 della regione Toscana e della regione Veneto che hanno proposto metodi per il calcolo compreso per impianti fotovoltaici, delibere a cui l'Agenzia fa pure riferimento nelle proprie memorie –:
   se il metodo di calcolo detrattivo applicato dalla Società Marche Energia srl sia consono alla normativa in vigore e se l'Agenzia delle entrate sia competente a conoscere in dettaglio gli impianti di produzione di energia elettrica e le loro caratteristiche durante il loro esercizio. (4-08840)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la polemica in merito alle dichiarazioni scritte con un «post» sulla propria pagina di Facebook del poliziotto Fabio Tortosa circa l'intenzione di esplicitare il mancato pentimento o di ribadire la propria responsabilità nei fatti riguardanti gli episodi di violenza verificatisi alla scuola «Diaz» di Genova durante il G8 del 2001;
   le dichiarazioni del poliziotto Fabio Tortosa hanno scatenato, fin da subito, forti polemiche da parte dei soggetti legati al mondo dei devastatori di Genova, dagli attivisti dei centri sociali a numerosi esponenti del giornalismo «democratico», fino a numerosi esponenti politici legati alla sinistra;
   nell'immediatezza dell'accaduto, come se avesse compiuto chissà quale crimine di sangue, anche il Ministro interrogato ha dichiarato che il fatto sarebbe stato punito con la massima severità;
   la stessa severità che, ad avviso dell'interrogante, lo stesso Ministro non ha dimostrato di avere nel mantenere l'ordine pubblico in Italia ogni qual volta le bande dei teppisti dei centri sociali devastano le città o difendono le loro evidenti e pubbliche illegalità;
   v’è di peggio, se di peggio si può ancora parlare, al «linciaggio» del poliziotto Fabio Tortosa. Il dirigente del reparto mobile di Cagliari Antonio Adornato è stato rimosso dall'incarico presso la questura sarda per aver messo un «mi piace» al post di Facebook dello stesso Tortosa;
   in merito alla sospensione dal servizio di Fabio Tortosa e alla rimozione del dirigente del reparto mobile di Cagliari, anche gli Autonomi di polizia hanno preso una posizione netta concordando con le parole del Pm Zucca il quale non si scandalizza per quelle frasi rilanciando il fatto del «perché il Tortosa non dovrebbe rivendicare il suo operato, giacché non ha commesso reati?»;
   gli Autonomi di polizia e l'interrogante ritengono che in questo modo si finisce di fatto per rintrodurre una sorta di «reato» di opinione, come nei regimi comunisti; non è chiaro se i poliziotti d'ora in avanti potranno continuare ad utilizzare il proprio spazio su Facebook senza subire conseguenze, mentre invece in un'altra pagina di Facebook «Fabio Tortosa fuori dalle forze dell'Ordine», 12 mila persone inneggiano all'odio contro il Tortosa e contro tutte le forze dell'ordine impunemente proferendo minacce esplicite;
   per tale motivo gli autonomi di polizia, nei prossimi giorni, presenteranno un esposto presso gli uffici competenti al fine di perseguire in termini di legge tutti i responsabili dei post offensivi, denigratori e di incitazione all'odio;
   in un'Italia dove l'immigrazione clandestina sta facendo collassare il Paese, in un'Italia dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto il suo massimo storico di sempre, in un'Italia dove la crisi economica sta distruggendo il tessuto produttivo creato dai sacrifici dei nostri genitori, il problema attuale sembrerebbe la sospensione dal servizio del poliziotto Tortosa. Ad avviso dell'interrogante si applica la politica «forti con i deboli e deboli con i forti»;
   la sospensione dal servizio del poliziotto Fabio Tortosa, a giudizio dell'interrogante, appare a dir poco spropositata. Ancora assurda e fuori da ogni logica civile sembra all'interrogante la rimozione del dirigente della polizia di Stato di Cagliari, Antonino Adornato: così non si fa altro che contribuire alla delegittimazione delle forze dell'ordine che molti alimentano nella totale indifferenza del Governo e del Ministro interrogato;
   a giudizio dell'interrogante e del sindacato Autonomi di polizia, il Ministro interrogato sembra troppo impegnato a raccogliere consensi a «sinistra» piuttosto che a tutelare l'autorevolezza e la credibilità delle forze dell'ordine, quotidianamente impegnate tra mille difficoltà e altrettanto quotidianamente  oltraggiate da chi è solito delinquere;
   il Ministro interrogato appare più occupato a capire come individuare i poliziotti, magari attraverso i numeri sui caschi degli stessi impegnati nel mantenimento dell'ordine pubblico, piuttosto che a pensare come reperire le risorse da spendere in tecnologie per individuare i responsabili di disordini e di atti delinquenziali;
   la polizia e le altre forze dell'ordine del nostro Paese dovrebbero essere messe nelle condizioni di agire e operare per il bene della comunità;
   piuttosto che disquisire su Facebook, il Governo e il Ministro dell'interno farebbero bene ad assicurare alla polizia, ai carabinieri, alla guardia di finanza le forniture di benzina necessarie o i ricambi delle autovetture, perché possano pattugliare ogni angolo del Paese, a tutela dei cittadini –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati affinché il poliziotto Fabio Tortosa ed il funzionario di polizia Antonino Adornato siano riammessi in servizio con effetto immediato. (4-08842)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Distillerie «G. Di Lorenzo s.r.l.», con sede in Perugia, via della Distilleria n. 11, in persona del legale rappresentante Irma Di Sarno, con determinazione della, Provincia di Perugia del 4 luglio 2014, n. 5163 ha chiesto ed ottenuto l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi dell'articolo 269, commi 2, 4 e 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006 con la quale la ditta è stata assentita alle emissioni in atmosfera derivanti da un deposito di vinacce destinato ad attività di distilleria da ubicare nel comune di Marsciano (PG), zona industriale Ceno. L'autorizzazione è stata vincolata al rispetto di determinate prescrizioni;
   la realizzazione del nuovo insediamento per lo stoccaggio provvisorio di vinacce ha suscitato preoccupazioni tra i cittadini soprattutto della città di Marsciano (PG) e le associazioni locali che – a causa delle emissioni provenienti dal deposito – hanno rappresentato pericoli per l'ambiente assumendo che sarebbe stato opportuno individuare luoghi e soluzioni alternative per l'installazione del suddetto deposito che desse maggiori garanzie di compatibilità con gli insediamenti civili con l'ambiente ed il territorio;
   il comune di Marsciano in data 16 luglio 2014 proponeva ricorso al TAR dell'Umbria avverso la suddetta determinazione della provincia (www.corrieredellumbria.it del 4 luglio 2014) e con nota prot. n. 21522 del 30 luglio 2014 diffidava la ditta a non iniziare l'attività segnalata, assumendo sia la mancanza della licenza di agibilità dei manufatti e dell'area dove è ubicata l'attività sia il mancato rispetto di alcune prescrizioni previste dalla suddetta determinazione della provincia di Perugia;
   nell'ambito del suddetto ricorso al TAR veniva acquisita una relazione tecnica dell'architetto Antonio Bartolo con la quale veniva proposto ed individuato dalla distilleria «G. Di Lorenzo» s.r.l. un nuovo metodo per lo stoccaggio – che veniva autorizzato anche dal Comune di Marsciano – tramite l'utilizzo di silos bag anziché il previsto stoccaggio all'aperto con teli per evitare le emissioni di cattivi odori;
   tuttavia, come si apprende dalla stampa on line (da www.iltamtam.it del 27 novembre 2014), il Comitato salute e ambiente di Marsciano presentava un esposto lamentando la fuoriuscita di «liquidi» e sversamenti dai silos e in data 16 dicembre 2014 la procura della Repubblica di Spoleto disponeva il sequestro delle vinacce depositate all'interno dei silos bag nell'ambito del procedimento penale n. 2317/2014 RG Notizie di reato per «stoccaggio inidoneo» (da www.marsciano7.it del 17.12.2014);
   nel gennaio del 2015 la procura di Spoleto disponeva il dissequestro delle vinacce contenute nei silos bag e il progressivo conferimento delle stesse presso la distilleria sita in Ponte Valleceppi (PG) disponendo altresì «l'adozione di tutti gli accorgimenti tecnici necessari al fine di evitare ulteriori spandimenti sul terreno di liquidi prodotti dalle suddette vinacce» (decreto di dissequestro del 14 gennaio 2015).
   l'azienda ha provveduto alle operazioni di apertura e svuotamento dei silos bag per il trasferimento delle vinacce a Ponte Valleceppi (PG) dove verranno poi distillate;
   forte rimane tuttavia la preoccupazione sulla condizione dei luoghi su cui insisteva il deposito delle vinacce con particolare riguardo all'integrità del suolo e salubrità delle acque poiché i silos bag erano adagiati su un terreno erboso e nelle immediate adiacenze di un fosso affluente dopo appena 300 metri del fiume Nestore e di una strada provinciale a traffico intenso –:
   se il Ministro intenda promuovere una verifica avvalendosi del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e dello stato e dei luoghi su cui insisteva il deposito delle vinacce della distilleria «G. Di Lorenzo s.r.l.», località Cerro di Marsciano (PG). (4-08828)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   continua a rimanere innescata la «bomba ecologica» della dismessa – perché «totalmente satura e non più ulteriormente utilizzabile» – discarica di Casignana (Reggio Calabria);
   da notizie a mezzo stampa si apprende che un fiumiciattolo di percolato sversato nel vallone Rambotta, è sfociato in mare. Ad accorgersi di, quanto sta avvenendo sono stati gli ambientalisti del comitato «No discarica a Casignana» che hanno immediatamente contattato i carabinieri e la capitaneria di porto di Bovalino;
   «Non siamo più disposti a tollerare che ad ogni pioggia dalla discarica – ha affermato il presidente del comitato e di “Articolo 21 Africo”, Antonio Praticò – parta un fiume di percolato che, nonostante sia frenato dal tortuoso percorso del vallone Rambotta, puntualmente vada a finire a mare. Il fatto che la commissione straordinaria si stia adoperando per mettere in sicurezza il sito e smaltire quotidianamente 60 metri cubi di percolato non è più sufficiente a garantire che non ci siano più fuoriuscite. E questo non solo perché la discarica, come ha evidenziato la commissione, presenta molteplici problematiche derivanti da una impostazioni gestionale fortemente condizionate da irregolarità diffuse, ma anche perché ne produce almeno il 30 per cento in più di quanto i commissari riescano a smaltire. E anche perché, come noi del Comitato riteniamo, le vasche sono rotte. Non si vuole capire – continua il presidente del comitato – che senza una definitiva bonifica e messa in sicurezza del sito il pericolo di inquinamento ambientale è dietro l'angolo». Praticò sottolinea che già sabato a Locri, durante l'incontro che il governatore Mario Oliverio ha avuto con i sindaci, la problematica «è stata evidenziata al presidente cui abbiamo ricordato gli impegni assunti. Ormai il vaso della tolleranza è traboccato e non siamo più disposti a sopportare ancora che questo pericolo incomba giornalmente sulla testa nostra e dei nostri figli. E soprattutto non siamo più disponibili a farci prendere in giro da quei politici che, facendo finta di non capire, continuano a giocare, come hanno fatto finora, con la favola della bonifica attraverso il riempimento con materiali di risulta. Noi siamo pronti alla mobilitazione»;
   all'interno della discarica continuano a vedersi pascolare liberamente mucche e capre. A lanciare il preoccupante grido d'allarme, questa volta non sono stati i sindaci del luogo o il «Comitato No discarica», ma un cineoperatore di «youreporter.com» che nei giorni scorsi ha realizzato un servizio sulle odierne condizioni di sicurezza della discarica di contrada Petrosi di Casignana. Nel video, girato il pomeriggio del 13 aprile 2015, il cineoperatore, oltre a registrare la continua preoccupante fuoriuscita di percolato dalle vasche stracolme di acqua mista al pericoloso «estratto di rifiuti», ha anche immortalato la grave ed inquietante presenza in discarica di capre e di mucche mentre pascolavano liberamente, le prime sulla montagna di rifiuti, e le seconde nelle vicinanze delle vasche colme di acqua ribollente di percolato;
   le opere attivate dalla commissione straordinaria – che amministra Casignana da quando il consiglio comunale è stato sciolto per presunti condizionamenti ed infiltrazioni ‘ndranghetistiche – sugli organi liberamente eletti, con l'obiettivo di mettere in sicurezza il sito, non sembrano aver conseguito un pieno risultato se ancora si registrano criticità preoccupanti evidenziate da tempo –:
   se intenda promuovere una verifica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente nell'ottica di scongiurare il pericolo di inquinamento ambientale derivante dallo sversamento in mare del percolato prodotto dalla discarica di Casignana. (4-08838)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, SCAGLIUSI e BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   «Il Libro Possibile» è una manifestazione letteraria, giunta nel 2014 alla XII edizione, che ogni anno si tiene nel comune di Polignano a Mare (Bari) nata per volontà dell'associazione culturale «Artes» per portare il mondo del libro fuori dagli ambiti tradizionali di ricerca e diffusione per recuperare l'idea della «piazza» come agorà, luogo di incontro, di parole e di festa. Nelle quattro giornate consecutive in cui si sviluppa, il festival letterario coinvolge ben 150 tra scrittori, giornalisti, autori, economisti, artisti del mondo dello spettacolo, dando vita ad un confronto pubblico (170 incontri nell'edizione 2014) e raccogliendo nelle piazze del paesino pugliese anche 15 mila persone al giorno; 
   la peculiarità di questa manifestazione letteraria è il volontariato su cui si regge. Dai giovani che collaborano nell'organizzazione e nella gestione degli appuntamenti nelle piazze, agli autisti che accompagnano gli ospiti, agli stessi autori e moderatori degli incontri a cui non è riconosciuto alcun cachet né gettone di presenza o contributo. Tutti i contributi degli enti pubblici e dei sostenitori privati, dunque, servono solamente per coprire le spese vive della manifestazione. Gli ospiti, inoltre, donano una copia del proprio volume, con relativa dedica, presentato nel corso del festival alla locale biblioteca comunale «Raffaele Chiantera»;
   come riportato dal giornalista Onofrio Pagone, nell'articolo «A rischio il Festival del Libro perché costa troppo poco» nell'edizione del 12 aprile 2015 de «La Gazzetta del Mezzogiorno», la manifestazione rischia di chiudere i battenti perché sono venuti a mancare i fondi stanziati nelle edizioni precedenti ma anche perché costerebbe «troppo poco». Non retribuendo gli autori e i relatori ma puntando solamente sulla promozione dei libri e della lettura, infatti, il «Libro Possibile» non detiene i requisiti riconosciuti dalla Siae in virtù dei quali accedere, attraverso la regione Puglia, ai fondi europei. Altre manifestazioni analoghe organizzate in Puglia, che tuttavia movimentano molto meno pubblico e solo una trentina di autori, in totale, riescono ad incassare finanziamenti pubblici ben più consistenti e garantiti con il fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr);
   rispetto all'edizione 2014, infatti, sono venuti a mancare numerosi finanziamenti. Con la trasformazione della provincia di Bari in città metropolitana è scomparso il sostegno pari a 15.000 euro; la camera di commercio di Bari ha decurtato del 30 per cento (da 10.000 euro a 7.000 euro) il proprio contributo, in linea con i tagli impostigli dal Governo. I contributi regionali a valere sui capitoli «Piltura» e «Turismo», rispettivamente pari a 22.000 e 25.000 euro, risultano bloccati per mancanza di copertura. Il presidente della regione Puglia Nichi Vendola ha successivamente («La Gazzetta del Mezzogiorno» ed 14 aprile 2015, pagina 12) di sbloccare nelle prossime settimane il contributo regionale garantito sul capitolo «Cultura», con un finanziamento complessivo per la manifestazione pari a circa 40.000 euro, comunque inferiore al contributo destinato a «Il Libro Possibile» per l'edizione 2014;
   per il comune di Polignano a Mare (Bari), a forte vocazione turistica, ma anche per l'intera Puglia, il ritorno d'immagine ed economico dovuto al festival letterario è indiscutibile, nonché testimoniato da una copertura mediatica di levatura nazionale;
   il festival letterario «Il Libro Possibile» rappresenta, a differenza di molte altre manifestazioni, un modello virtuoso e sostenibile di promozione culturale, realizzato con esigui fondi rapportati ai risultati ottenuti anno dopo anno, e che dovrebbe essere sostenuto come emblema di una modalità differente e di successo di mettere in pratica eventi culturali e turistici, peraltro con un coinvolgimento di pubblico senza eguali in un territorio, come quello del Sud Italia, che registra dati allarmanti sul numero di lettori. Allarmanti sono, difatti, i dati Istat secondo cui il 70,8 per cento dei pugliesi non ha letto un libro nell'ultimo anno: dati che pongono la Puglia al penultimo posto della classifica tra le regioni italiane –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e con quali modalità ritenga possibile intervenire, per quanto di competenza, per garantire il futuro della manifestazione letteraria «Il Libro Possibile», punto fermo dell'offerta turistica e culturale dell'intera Puglia, alla luce degli ingenti e continui tagli sul versante «cultura» perpetrati negli anni. (4-08836)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, GIUSEPPE GUERINI, GASPARINI e MALPEZZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel quadro dei provvedimenti di riordino della Forza armata, lo Stato Maggiore dell'Esercito ha previsto lo spostamento del reggimento artiglieria a, Cavallo dalla sede storica della città di Milano nella sede della città di Vercelli;
   il reggimento artiglieria a cavallo ha sede presso la caserma S. Barbara in Milano dal 1887 e, a partire dal 2008, è l'unità di supporto di fuoco della capacità nazionale di proiezione dal mare (CNPM), uno dei progetti prioritari della Difesa;
   il reggimento artiglieria a cavallo rappresenta per la città un elemento di eccellenza e di storia unica, lo storico reggimento dell'artiglieria a cavallo con le annesse batterie «Voloire», è infatti anche «cittadino onorario» della città di Milano;
   nella Caserma «Santa Barbara» è presente anche il 1o reggimento trasmissioni (di supporto al comando NATO di Solbiate Olona) che occupa, attualmente, anche la caserma Montello sita in piazzale Firenze in Milano;
   lo spostamento del reggimento artiglieria a cavallo nella sede di Vercelli, è stato inteso allo scopo di trasferire il personale del reggimento trasmissioni dalla caserma Montello alla S. Barbara in modo da liberare l'infrastruttura per la successiva valorizzazione dismissione delle strutture secondo il piano dismissioni del Ministero della difesa;
   la Caserma Santa Barbara consente, comodamente, l'alloggiamento dei militari, le infrastrutture di comando (uffici) e di supporto (magazzini e officine) di entrambi i reggimenti;
   lo spostamento del reggimento artiglieria a cavallo rappresenterebbe, per la città di Milano, una perdita significativa, in termini di immagine e di economia complessiva del territorio, nonché di rilevanza nel tessuto sociale della città: presso il reggimento, infatti, viene svolta l'attività di ippoterapia, a favore di circa 200 famiglie, per la riabilitazione di personale diversamente abile. L'attività è iniziata 35 anni fa grazie all'intuizione di Manuela Setti Carraro, moglie del Generale Dalla Chiesa. Inoltre, il reggimento è fautore di numerose attività di beneficenza a favore di onlus quali Unicef, banco alimentare, e altro;
   inoltre, presso la caserma S. Barbara e l'Idroscalo di Milano è possibile effettuare («a costo zero») tutte le attività per l'acquisizione ed il mantenimento delle qualifiche anfibie da parte del personale destinato al bacino CNPM; cosa che a Vercelli non potrebbe avvenire in quanto non esistono le strutture idonee per poterle effettuare;
   infine è importante ricordare che al momento, il reggimento artiglieria a cavallo assicura il dispositivo per la costituzione della task force Expo che, nel periodo 15 aprile – 1o novembre, sarà impegnata per garantire il supporto all'Ente Expo e la sicurezza del Sito espositivo in concorso alle forze di Polizia e alla prefettura di Milano;
   la presenza del reggimento artiglieria a cavallo a Milano assicurerebbe il comando dell'operazione «Strade Sicure», riducendo contestualmente la problematica alloggiativa, in quanto il personale sarebbe già presente sulla piazza di Milano e non dovrebbe affluire da altre unità;
   mantenere il reggimento artiglieria a cavallo a Milano consentirebbe di preservare anche gli assetti devoluti all'impiego, in caso di pubbliche calamità, nell'ambito del territorio del comune metropolitano di Milano e delle province di Lecco, Como, Pavia e Monza/Brianza (a novembre un'unità del reggimento è intervenuta a Cremona a seguito dello straripamento del Po);
   la decisione dello spostamento del reggimento non è ancora esecutiva –:
   se, alla luce delle criticità sopra esposte, il Ministro interrogato non ritenga opportuno riconsiderare la decisione dello spostamento del reggimento artiglieria a cavallo dalla sede di Milano;
   in caso contrario, quali siano le ragioni e i tempi effettivi del trasferimento del reggimento. (5-05376)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in seguito ad un'ispezione disposta dalla Banca d'Italia, in data 8 febbraio 2013 il Ministro dell'economia e delle finanze ha decretato la collocazione in amministrazione straordinaria della Banca Popolare di Spoleto e della sua ex controllante Spoleto credito e servizi società cooperativa a responsabilità limitata, da tempo oggetto di ispezioni dell'autorità di vigilanza, che già a gennaio 2012 aveva chiesto le dimissioni dell'allora presidente dell'istituto di credito, e di una delicata inchiesta della magistratura;
   nell'ambito di tale inchiesta in data 29 maggio 2013 la procura della Repubblica di Spoleto emetteva, a firma del procuratore capo dottor Gianfranco Riggio, una nota stampa con cui si comunicava la consegna dell'avviso di conclusione indagini nei confronti di 34 persone tra cui i vertici della Banca Popolare di Spoleto (board e management) e alcuni imprenditori indagati a vario titolo per reati gravissimi quali associazione a delinquere, plurime ipotesi di appropriazione indebita aggravata, intermediazione usuraria, ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, bancarotta fraudolenta, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture e documenti per operazioni inesistenti, omessa comunicazione del conflitto di interessi, commessi nel periodo di tempo tra il settembre 2007 e l'aprile 2012;
   la delicata inchiesta portata avanti dal procuratore Riggio e dal pubblico ministero Federica Albano è stata condotta dalla polizia valutaria della guardia di finanza di Roma i cui accertamenti concordano con le risultanze cui erano addivenuti i due magistrati;
   nel mese di luglio 2013 la dottoressa Albano è stata trasferita al tribunale di Tivoli quale giudice del lavoro, e nel successivo mese di settembre ha preso servizio a Spoleto il pubblico ministero Gennaro Iannarone, magistrato con consolidata esperienza civilistica;
   nel mese di agosto 2013 a carico dell'ex presidente della Banca popolare di Spoleto Antonini sono stati disposti gli arresti domiciliari per il presunto tentativo di corruzione in atti giudiziari del magistrato del Tar Lazio Francesco Angelo De Bernardi che, per gli inquirenti, si sarebbe dovuto interessare al ricorso presentato dallo stesso e dall'ex consiglio di amministrazione Scsal Tar Lazio per veder annullato il provvedimento di commissariamento adottato dal Ministero;
   nel mese di dicembre 2013 il procuratore Riggio ha improvvisamente rassegnato le sue dimissioni, cogliendo di sorpresa tutti i colleghi del tribunale a cominciare dal presidente del palazzo di giustizia umbro, e in seguito è stato chiamato a reggere l'incarico di procuratore facente funzioni il dottor Iannarone;
   dalla data di avviso conclusione indagini del 29 maggio 2013, non è ancora intervenuta alcuna richiesta di rinvio a giudizio, e secondo notizie di stampa non smentite dall'ufficio della procura, nello scorso mese di marzo la procura avrebbe stralciato la posizione di ben venti indagati e, a quanto sembra, diversi dei più gravi reati fin lì contestati dai magistrati che si erano precedentemente occupati dell'inchiesta;
   nel frattempo il Consiglio di Stato ha parzialmente annullato i provvedimenti di commissariamento adottati dal Ministero dell'economia e delle finanze, in quanto carenti di una propria istruttoria che avrebbe dovuto integrare le relazioni della vigilanza;
   il lavoro dei commissari straordinari nominati alla Spoleto ha concluso nel luglio 2014, con il passaggio della BPS al Gruppo Banco Desio e della Brianza, l'opera di risanamento dell'istituto umbro accertando un passivo di 150 milioni di euro, e il 31 luglio è cessato il commissariamento –:
   quali azioni intenda mettere in atto il Ministero dell'economia e delle finanze alla luce della recente sentenza del Consiglio di Stato;
   se non ritenga di valutare i presupposti per un'ispezione presso la Procura della Repubblica di Spoleto alla luce di quanto rappresentato in premessa. (4-08834)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dei fatti accaduti presso il tribunale di Milano, ove sono state uccise tre persone, sono stati adottati diversi provvedimenti finalizzati a garantire maggiori livelli di tutela e sicurezza presso i tribunali Italiani;
   tali provvedimenti, seppur in astratto idonei, a Napoli si sono rivelati del tutto improvvisati e inefficaci per carenza di organizzazione e di idonei mezzi strumentali tanto che si sono verificati forti momenti di tensione provocati dalle nuove disposizioni che hanno rallentato e rallentano tutt'oggi l'accesso al tribunale da parte degli operatori di giustizia;
   episodi, questi, che la stampa nazionale e locale e testate radiotelevisive hanno riferito a giudizio dell'interrogante in modo non aderente al reale svolgersi degli accadimenti raccontati, dipingendo in maniera vergognosa il comportamento degli avvocati partenopei i quali hanno subito passivamente un provvedimento che li ha costretti a numerose e snervanti code prima di poter esercitare la loro funzione di difesa costituzionalmente garantita;
   a fronte di questa situazione gli unici dati oggettivi che vanno rilevati e sottolineati sono la carenza di strumentazione (metal detector) nonché l'insufficienza numerica dei varchi di ingresso al palazzo di giustizia di Napoli, principali cause del crearsi di code, i cui tempi di attesa si aggirano intorno alle tre ore ciò inevitabilmente compromette il regolare svolgimento delle udienze, con conseguente danno irreparabile per i cittadini i quali già sono ampiamente vessati a causa dei tempi e dei costi della giustizia –:
   se il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, urgenti e appropriate iniziative, anche di carattere normativo, al fine di:
    a) garantire i più elevati livelli di sicurezza a cittadini e operatori nei luoghi ove si amministra la giustizia;
    b) rimuovere le disfunzioni di carattere organizzativo, causa in più parti del paese di gravissime situazioni, come quella manifestatasi presso il Tribunale di Napoli, scongiurandone in futuro ogni loro possibile riproposizione. (4-08831)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   i passi carrai, ai sensi dell'articolo 22 del codice della strada, rientrano nella fattispecie degli «accessi e diramazioni» e consistono in interventi sull'infrastruttura viaria che consentono immissioni di veicoli da e verso un'area privata laterale e che, come tali, esulano dall'uso ordinario della strada, concretandone un uso eccezionale che deve, quindi, essere assentito, mediante un apposito provvedimento, dall'ente proprietario della strada interessata;
   se l'accesso o la diramazione insistono sulla rete stradale di interesse nazionale la competenza è della società ANAS spa, ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 143 del 1994, richiamato anche dall'articolo 7, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 178 del 2002;
   ai sensi della legge n. 449 del 1997, cioè a partire dal lontano 1998, sono iniziati, in base a particolari tabelle e coefficienti di calcolo, gli aumenti unilaterali da parte della società ANAS spa del canone sui passi carrai, che hanno comportato aggravi discrezionali al punto che, in alcune regioni, in particolare in Veneto, sono arrivati anche all'8.000 per cento;
   così, privati ed imprese i cui accessi insistono su strade statali si sono ritrovati a dover pagare altissimi canoni di concessione verificandosi in tal modo una disparità di trattamento non solo con chi ha accessi su strade non statali ma anche tra cittadini delle diverse regioni;
   infatti, il comma 8 del citato articolo 27 del codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992, prevedeva che nella determinazione della somma da versare all'ente rilasciante si dovesse tenere conto delle soggezioni che derivano alla strada o all'autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento e del vantaggio che il beneficiario ricava dal provvedimento stesso;
   questi criteri sono stati tradotti in una formula matematica, la cui applicazione è suscettibile di produrre canoni di diverso importo, in funzione dei fattori che la formula stessa prende in considerazione (tipologia di accesso, larghezza geometrica, importanza della strada e altro): tali criteri sono stati approvati unilateralmente dal consiglio di amministrazione della società ANAS;
   a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 133 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, l'articolo 16-bis del citato decreto-legge prevede che, per gli accessi esistenti su strade affidate alla gestione di Anas spa; a decorrere dalla 1o gennaio 2015 non è più dovuta alcuna somma fino al rinnovo dell'autorizzazione. Si stabilisce inoltre che le somme dovute e non corrisposte al 31 dicembre 2014, in base alla disciplina in vigore fino a tale data, sono ridotte nella misura del 70 per cento, a condizione che il versamento avvenga in un'unica soluzione ovvero nella misura del 40 per cento in nove rate annuali, oltre agli interessi legali;
   tale previsione, comunque, nulla può di fronte agli importi altissimi cui devono far fronte i cittadini e gli imprenditori della regione Veneto i quali entro fine aprile 2015 dovranno corrispondere gli arretrati dovuti per importi che, in alcuni casi, si aggirano anche intorno ai 150/200 mila euro. Una vera catastrofe che, in una situazione di già grave crisi economica, si sta abbattendo su famiglie ed imprese e che sarà destinata, a meno di un tempestivo intervento, non solo a compromettere definitivamente gli aspetti legati alla vita famigliare ma anche a segnare in modo definitivo le attività imprenditoriali;
   in tal senso, il difensore civico di Padova nella sentenza del 16 dicembre 2009 rilevando che «la legge n. 449 del 1997 attribuisce inevitabilmente ad ANAS un potere assoluto nell'adeguare le proprie entrate legittimando quest'ultima a pretendere dai titolari delle concessioni l'aumento dei canoni» ha affermato che: «È altresì necessario sottolineare come, se da un lato corrisponde al vero che il potere di autodeterminazione dei canoni attribuito ad ANAS trovi la propria legittimazione in una disposizione normativa statale (...), dall'altro lato è altrettanto evidente come, le situazioni sopra descritte, presentino notevoli aspetti di vessatorietà, iniquità nonché di contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico»; tale giudizio è stato poi condiviso dal difensore civico della regione Veneto –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare il Ministro interpellato al fine di evitare che cittadini ed imprese, destinatari delle cartelle di pagamento relative agli arretrati, i cui importi sono stati stabiliti in modo unilaterale dall'ANAS spa subiscano gravi pregiudizi personali ed economici;
   se non intenda assumere iniziative, nelle opportune sedi di competenza, al fine di pervenire ad una sospensione delle riscossioni in attesa di una tempestiva definizione della questione, anche alla luce delle puntuali osservazioni dei difensori civici di cui sopra con particolare riferimento ai rilievi relativi al contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.
(2-00937) «Prataviera, Matteo Bragantini, Caon, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BONAVITACOLA e TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i lavori per la terza corsia e per la messa in sicurezza dell'autostrada A 3 Salerno – Reggio Calabria, nel tratto campano che va da Salerno a Sicignano degli Alburni, sono da diversi anni ultimati in entrambe le direzioni di marcia;
   in direzione nord, però, tra gli svincoli di Contursi Terme e di Campagna e per circa un chilometro e mezzo, gli automobilisti, percorrendo una delle più importanti arterie del nostro Paese, sono ancora oggi costretti ad utilizzare solo due corsie;
   questa incresciosa e negativa situazione, che da provvisoria sembra sempre più divenire permanente, provoca il restringimento della sede stradale, idonea a consentire l'accesso alla vecchia area di servizio di Campagna est;
   tale area di servizio non si trova, come dovrebbe essere, sul lato a destra, ma su quello a sinistra dell'autostrada. Gli automobilisti, di conseguenza, per raggiungerla sono costretti ad un lungo, tortuoso e disagiato percorso;
   gli autoarticolati, del resto, in larga misura non usano più questa area per il rifornimento di carburante e per l'utilizzo dei servizi complessivi assicurati dall'Autogrill;
   per questa evidente ragione, e non solo per la obiettiva crisi dei consumi, l'attività commerciale in tale area di servizio continua costantemente a ridursi ed a calare, con gravi e pesantissime ripercussioni negative sul piano occupazionale;
   infatti, diminuiscono le attività commerciali nelle aree di servizio esistenti, sia perché le medesime non sono facilmente raggiungibili dall'autostrada e sia perché oramai sono divenute obsolete;
   inoltre, si è determinato un restringimento dannoso e permanente della carreggiata stradale, da tre a due corsie, in direzione nord per oltre un chilometro;
   la realizzazione della nuova area di servizio in direzione nord e l'ampliamento ed ammodernamento di quella in direzione sud comporterebbero sia un significativo investimento finanziario, sia un notevole ed importante incremento degli attuali livelli occupazionali –:
   se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia a conoscenza dei fatti innanzi descritti e quali iniziative intenda promuovere, anche nel rapporto istituzionale con l'ANAS, per la sollecita realizzazione dei lavori previsti senza rinvii e ritardi e per il ripristino delle ordinarie e doverose condizioni di transito sull'autostrada A3 nella zona indicata, ancor di più di vista della imminente stagione estiva e del conseguente ed ulteriore incremento dei livelli di traffico. (5-05375)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARINELLI, DE ROSA, CASO, NICOLA BIANCHI, PESCO, DELL'ORCO, SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI e DELLA VALLE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da fonti di stampa durante il week end dell'il e 12 aprile un Beechcraft King Air turboelica di fabbricazione americana, lungo 17 metri è atterrato nel piccolo scalo di Bresso;
   il bimotore proveniente dalla Germania, avrebbe fatto scalo con nove passeggeri a bordo in visita a Expo e il giorno successivo avrebbe rifatto scalo per recuperare i passeggeri;
   l'Aeroclub di Bresso, circondato dall'area verde del Parco nord di Milano è limitato al volo amatoriale e ai piccoli velivoli da turismo;
   tale scalo sarebbe stato effettuato in base ad una nota informativa dell'Enac del 24 giugno 2014 «effettuazione di servizi areotaxi su aeroporti di aviazione generale» che autorizza gli aeroporti di aviazione generale, ovvero non certificati, cioè privi di tutta una serie di dotazioni di sicurezza, all'effettuazione di servizi di aerotaxi senza limitazione al numero di posti;
   considerato che il volo in servizio aerotaxi potrebbe essere il primo di numerosi altri durante il periodo di Expo, l'aeroporto di Bresso rischia di diventare uno dei principali scali di aerotaxi per i visitatori di Expo –:
   se il Ministro intenda accertare attraverso le opportune verifiche ed azioni, anche per il tramite dell'Ente nazionale aviazione civile, quali siano le misure di sicurezza adottate nella fattispecie, se il servizio antincendio fosse consono alla tipologia di aeromobile se le compagnie di aerotaxi potenziali fruitori di tale scalo siano regolarmente certificate;
   data la vicinanza di aeroporti preposti a tale tipo di attività quali Linate e Malpensa se si ritenga opportuno, laddove verificate ed accertate carenze organizzative nei servizi al passeggero o nelle misure di sicurezza consentire lo sviluppo di attività ulteriori in netto Contrasto con la destinazione d'uso del suddetto aeroporto, considerato il contesto geografico in cui è situato l'aeroporto di Bresso. (4-08829)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il crollo del pilone al chilometro 61 dell'autostrada A19 Palermo-Catania, tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli e sul viadotto Morandi (o Akragas) ad Agrigento, importante collegamento tra Agrigento e Porto Empedocle, chiuso da oltre un mese dall'ANAS a seguito di riscontrate condizioni di precarietà in termini di sicurezza, configura a giudizio dell'interrogante, una situazione di estrema gravità nella regione siciliana, sia legata alle difficoltà della viabilità, che alle conseguenze economiche connesse al settore dell'autotrasporto;
   l'interrogante evidenzia, a tal fine, come in un territorio quale quello siciliano già fortemente penalizzato per le croniche carenze infrastrutturali, sia stradali che ferroviarie, l'ennesima chiusura di fondamentali arterie stradali e provinciali rischia di portare al collasso molte imprese dell'autotrasporto che da anni si dibattono tra i tanti problemi del settore;
   in aggiunta alle suindicate difficoltà occorre rilevare, secondo l'interrogante, che anche i percorsi stradali alternativi individuati o non sono praticabili per i mezzi pesanti o allungano le tratte di percorrenza di molti chilometri con un aggravio di costi insostenibile, evidenziando ancora una volta le inefficienze e le negligenze di un sistema che rischia di ricadere sugli operatori economici dell'isola, dai produttori agricoli, ai commercianti, agli autotrasportatori;
   non aiutano le prevedibili quanto inutili polemiche, scaturite a seguito del crollo dell'autostrada Palermo-Catania, connesse alle responsabilità politiche e tecniche dà parte del presidente della regione siciliana ed i vertici dell'ANAS, responsabili della manutenzione e sicurezza dei suindicati tratti stradali; le commissioni d'indagine istituite nel passato, a giudizio dell'interrogante, non risolvono i cronici problemi di cedimenti infrastrutturali che affliggono da decenni l'isola, ma rallentano invece, ogni tentativo di risoluzione di problematiche quali la mobilità insulare che risalgono per l'appunto a moltissimi anni, a cui pertanto occorre rimediare attraverso un'azione decisa e rapida del Governo;
   l'interrogante ricorda come l'elenco dei crolli e dei casi di scarsa manutenzione del sistema stradale siciliano risulti ampio e il cedimento, del pilone sull'autostrada A19 Palermo-Catania rappresenta l'ultimo tassello di un mosaico di cedimenti che hanno coinvolto negli ultimi due anni le strade siciliane: dal crollo di una porzione del viadotto Verdura il 2 febbraio 2013, lungo la statale 115 che collega Agrigento con Sciacca, in territorio di Ribera, a quello avvenuto il 7 luglio 2013 in contrada Petrulla, in territorio di Licata (Agrigento), sulla strada statale 626 che collega Campobello di Licata, Ravanusa, e Canicattì, in cui fu sfiorata la tragedia;
   l'interrogante evidenzia, in considerazione del quadro in precedenza richiamato di palese gravità, come occorrano urgenti interventi, sia di natura finanziaria che di agevolazione fiscale, in favore dei numerosi pendolari, degli autotrasportatori, già stremati dalla crisi economica, nonché degli operatori economici e turistici che in prossimità dell'avvio dell'imminente stagione estiva usufruiranno in maniera più frequente la rete stradale e autostradale siciliana, al fine di fronteggiare una situazione divenuta emergenziale –:
   quali orientamenti intenda esprimere il Governo con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere, per le parti di competenza, al fine di ripristinare in maniera efficiente e adeguata i collegamenti stradali in precedenza esposti, la cui viabilità, attualmente interrotta, rappresenta un crocevia fondamentale per gli spostamenti su gomma per centinaia di migliaia di cittadini siciliani;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per introdurre in via immediata misure di agevolazione fiscale, anche attraverso l'esonero del pedaggio autostradale lungo la tratta Messina-Palermo, e potenziare i collegamenti ferroviari tra Catania e il capoluogo regionale dedicato alle merci, nonché verso Agrigento, meta importante di visitatori turistici;
   quali iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di migliorare in generale il sistema della mobilità siciliana, posto che la concatenazione dei gravi eventi esposti in premessa evidenzia, a giudizio dell'interrogante, in modo inequivocabile una condizione drammatica della rete stradale e autostradale della Sicilia con conseguente sussistenza di un concreto pericolo per l'incolumità delle persone e di paralisi dell'economia dell'isola. (4-08837)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori e le lavoratrici del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Gradisca da sei mesi subiscono ritardi nell'erogazione dei salari e sul loro futuro professionale vi è assoluta incertezza viste le dichiarazioni del prefetto di Gorizia che non vorrebbe inserire nessuna clausola sociale nel futuro appalto per la gestione della struttura e vista anche la prossima scadenza della cassa integrazione in deroga;
   secondo quanto dichiarato dal prefetto, infatti, la possibilità di riassorbimento vi sarebbe solo per una ventina degli oltre sessanta dipendenti della Connecting People (e di cooperative ad essa collegate), che attualmente gestisce il centro di Gradisca e che sta per essere sostituita;
   a parere dell'interrogante, tali lavoratrici e lavoratori svolgono per conto dello Stato un lavoro logorante e complicato, operando spesso in condizioni complicate e per questo non possono pagare il prezzo della cattiva condotta da parte di chi gestisce i centri;
   vi sono diverse figure professionali che operano all'interno del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Gradisca, che vanno dagli operatori per l'assistenza alla persona, a magazzinieri, mediatori culturali, linguistici e legali, che da ottobre non percepiscono il salario e a metà aprile 2015 vedranno scadere anche la copertura della cassa integrazione ai liberi professionisti a partita Iva, medici e infermieri, molti dei quali hanno lasciato l'incarico visto che ad alcuni di loro non sono state pagate le fatture per oltre un anno;
   a parere dell'interrogante vi è un continuo «palleggio» di responsabilità fra azienda e prefettura che non consente di trovare una soluzione adeguata per questi circa sessanta lavoratori e lavoratrici;
   occorrerebbe invece prevedere tutti i più opportuni meccanismi, quali l'inserimento nel bando di gara per il nuovo affidamento del Centro di accoglienza per richiedenti asilo, di una cosiddetta clausola sociale, che possa tutelare e salvaguardare la condizione occupazionale del personale attualmente già impegnato nella delicata gestione del centro di accoglienza, avendo esso maturato un'importante esperienza in questo campo;
   da un articolo pubblicato sul quotidiano online «Il Piccolo» si apprende come i lavoratori oltre alle evidenti difficoltà economiche siano molti provati anche psicologicamente, costretti a svolgere un lavoro logorante, sempre in prima linea per neanche mille euro al mese e con la consapevolezza di non poter arrivare a fine mese;
   a due operatori, ad esempio, sarebbe stato riscontrato un esaurimento nervoso, un altro sarebbe caduto in depressione e nei mesi scorsi avrebbe tentato il suicidio, uno sarebbe stato sfrattato e non saprebbe dove andare a dormire e ci sarebbe chi non ha neppure più le risorse per la benzina e chi rischia il sequestro del mezzo perché non può permettersi la rata dell'assicurazione;
   a parere dell'interrogante, il Ministero dell'interno, da cui dipende la gestione del centro di accoglienza, non può sottrarsi alle proprie responsabilità e dovrebbe intervenire urgentemente per garantire ai lavoratori in questione il pagamento degli stipendi arretrati e un futuro occupazionale certo –:
   se il Ministro non intenda intervenire immediatamente al fine di assicurare l'immediato pagamento degli stipendi arretrati e salvaguardare la continuità del servizio di accoglienza con le stesse operatrici e gli stessi operatori che sino ad oggi hanno garantito il buon funzionamento del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Gradisca;
   se il Ministro non intenda agire d'intesa con tutte le istituzioni coinvolte e le organizzazioni sindacali per tutelare la situazione occupazionale dei lavoratori della Connecting People e delle cooperative ad essa collegate che operano all'interno del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Gradisca, prevedendo anche il coinvolgimento di questo personale nell'attuazione di progetti di accoglienza diffusa da realizzarsi in Friuli Venezia Giulia. (4-08830)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 1997 ha provveduto alla «ripartizione delle dotazioni organiche delle qualifiche dirigenziali, delle qualifiche funzionali, e dei profili professionali del personale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco»;
   la legge 30 settembre 2004, n. 252 «Delega al Governo per la disciplina in materia di rapporto di impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco» ha di fatto trasferito il corpo dei Vigili del fuoco nel computo pubblicistico;
   questa decisione ha aperto la porta alla direzione da parte dei prefetti, che da allora guidano il dipartimento dei vigili del fuoco;
   non si intende entrare qui nel merito delle cause di questa scelta, ma non si può non far notare che in un Corpo tecnico e specializzato nel soccorso tecnico urgente, quale quello dei vigili del fuoco, sarebbe preferibile una figura dirigenziale che avesse fatto parte del corpo stesso, e che, quindi, conoscesse per così dire «da di dentro» le problematiche e le dinamiche organizzative e finanziare di un ente così specifico;
   successivamente, il decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, «Ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell'articolo 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252» ha fornito gli unici dati effettivi sulla dotazione organica del corpo dei vigili del fuoco, prima della riforma prevista dal «Progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del corpo nazionale dei Vigili del fuoco», reso pubblico da Governo nell'aprile del 2014;
   confrontando i dati dei due provvedimenti sopra ricordati, si osserva che la Sardegna è, di fatto la regione più colpita dai tagli previsti dal Governo, come emerge osservando i numeri relativi alla dotazione organica complessiva;
   per la provincia di Cagliari, infatti, nel 2005 erano previsto un organico completo di 482 persone, che scendono a 451 (429 effettivi) nel documento del Governo per il 2014; lo stesso discorso vale per la provincia di Sassari, dove si passa dai 530 del 2005 ai 511 (488 effettivi) del 2014. In apparente controtendenza quanto previsto per Nuoro (che da 240 salirebbe a 258, 254 effettivi) e per Oristano (da 139 a 151 ma effettivi 141);
   il totale evidenzia il preoccupante calo di personale previsto dal progetto governativo: si scende, infatti, da un personale pari a 1391 ad uno pari a 1371 (effettivi 1344);
   questi dati escludono a priori la possibilità, tante volte annunciata e mai realizzata, dell'autonomia della colonna mobile, ossia della forza operativa del Corpo dei vigili del fuoco che si muove in caso di calamità naturale;
   detta autonomia doveva essere derivata da una dotazione organica di uomini e mezzi congrua e sovradimensionata rispetto alle omologhe del resto del Paese, visto che in caso di emergenza nessun aiuto potrebbe giungere in tempi brevi nell'isola, che sarebbe costretta a far da sola, e con mezzi insufficienti;
   al contrario, il progettato riordino del Governo rende estremamente difficoltosa per la Sardegna la gestione dell'ordinario da parte dei vigili del fuoco. È facile comprendere quale possa essere la situazione in caso di grave emergenza;
   inoltre, molta parte delle responsabilità viene scaricata sul personale volontario dei vigili del fuoco, che è in numero francamente eccessivo e che non garantisce l'efficacia degli interventi in caso di emergenza –:
   se il Ministro interrogato non intenda, per quanto di competenza, intervenire per evitare che la situazione sopra illustrata si cristallizzi, con gli evidentissimi rischi per la sicurezza delle popolazioni della regione Sardegna, intervenendo tra l'altro sulla questione molto grave dei tigli del fuoco temporanei, la cui stabilizzazione, praticabile finanziariamente con opportuni interventi di razionalizzazione della spesa, renderebbe certamente più efficiente il corpo dei vigili del fuoco che potrebbero avvalersi di professionalità di alto livello e che da molto tempo svolgono un'azione molto importante nell'ambito del Corpo. (4-08832)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VICO, PELILLO, DURANTI e CHIARELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la questione degli ex istituti musicali pareggiati (IMP) oggi istituti superiori di Studi musicali è stata oggetto di diversi atti di sindacato ispettivo negli ultimi anni e anche nell'attuale legislatura sono stati presentati numerosi disegni nonché proposte di legge recanti norme «per la statizzazione (a regime) degli istituti musicali pareggiati»: atto Senato n. 322 del 26 marzo 2013, primo firmatario senatore Granaiola; atto Camera n. 825 del 19 aprile 2013, primo firmatario onorevole Formisano; atto Camera n. 873 del 2 maggio 2013, primo firmatario onorevole Vezzali; atto Camera n. 882 del 7 maggio 201, primo firmatario onorevole Carrescia; atto Camera n. 888 del 7 maggio 2013, primo firmatario onorevole Albanella; atto Camera n. 2156 del 4 marzo 2014, primo firmatario onorevole Duranti;
   lo stesso attuale Ministro dell'istruzione, dell'università della ricerca, Stefania Giannini in data 27 giugno 2013, prima di assumere l'incarico era intervenuta in proposito nonché in merito all'esigenza di dare piena attuazione al processo di riforma dell'alta formazione artistica e musicale di cui alla legge n. 508 del 1999, con particolare riguardo al processo di statizzazione degli ex IMP argomentando che la citata legge ha dotato gli istituti superiori di studi musicali di personalità giuridica e di autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e contabile, riconoscendone il ruolo di sedi primarie di alta formazione, di specializzazione, produzione e di ricerca nel settore artistico e musicale e facendoli rientrare nel novero delle istituzioni di cui all'articolo 33, comma sesto, della Costituzione italiana (istituzioni di alta cultura, cioè università e accademie);
   nel corso degli ultimi anni, i regolamenti attuativi della legge n. 508 del 1999 hanno portato a compimento gli aspetti principali della citata riforma in materia di autonomia statutaria e didattica: in particolare, entro l'anno 2010 tutti gli ex IMP si sono dotati di nuovo statuto e di tutti gli organi di governo previsti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003, ed hanno altresì portato a compimento il processo di trasformazione dell'ordinamento didattico, regolamentato nel decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005 e, quindi, in buona sostanza oggi con l'entrata in vigore dello spazio comune europeo dell'istruzione universitaria, gli ex istituti musicali pareggiati sono a tutti gli effetti equiparati ai conservatori statali italiani, confluendo nell'unica tipologia di istituti superiori di studi musicali (ISSM), e questi ultimi, senza alcuna distinzione tra statali e non statali, sono stati riconosciuti appieno nel circuito universitario europeo;
   la normativa vigente prevede in realtà la possibilità di una statizzazione degli ex IMP senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato, ma, fino ad oggi, il processo non è pervenuto a compimento e resta di fatto disatteso quanto previsto all'articolo 2, comma 8, lettera e), della suddetta legge che disciplina la «possibilità di prevedere, contestualmente alla riorganizzazione delle strutture e dei corsi esistenti e, comunque, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato, una graduale statizzazione, su richiesta, degli attuali istituti musicali pareggiati e delle Accademie di belle arti legalmente riconosciute, nonché istituzione di nuovi musei e riordino di musei esistenti, di collezioni e biblioteche, ivi comprese quelle musicali, degli archivi sonori, nonché delle strutture necessarie alla ricerca e alle produzioni artistiche»;
   l'applicazione del «decreto Delrio» n. 56 prevede la soppressione dell'ente provincia e la sua sostituzione con l'ente area vasta e che il nuovo ente non ha la funzione sugli ISSM per cui nella fattispecie area vasta di Taranto non potrebbe finanziare l'Istituto «G. Paisiello» come fino ad oggi aveva fatto la provincia di Taranto, e con decreto n. 22 del 27 febbraio 2015 del presidente della provincia di Taranto i 58 docenti dell'Istituto Paisiello sono considerati soprannumerari e in mobilità con sospensione delle obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio per 24 mesi –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere al fine di risolvere positivamente la situazione relativa all’«Istituto G. Paisiello» di Taranto e agli altri istituti superiori di studi musicali. (5-05378)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   SARTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i giudici della Corte Costituzionale più pagati al mondo sono quelli italiani. Il loro regime di retribuzione è fissato dalla legge costituzionale n. 1 del 1953, modificata durante il governo Berlusconi dalla legge finanziaria per il 2003, 1. n. 289 del 2002, che ne prevedeva un ulteriore aumento;
   secondo la legge costituzionale n. 1 del 1953 i giudici della Corte devono avere una «retribuzione mensile che non può essere inferiore a quella del più alto magistrato della giurisdizione ordinaria ed è determinata con legge». Contestualmente dunque veniva emanata la legge ordinaria n. 87 del 1953 con cui veniva sancita la parità di trattamento tra il primo presidente della Corte di Cassazione e i giudici costituzionali prevedendo una maggiorazione per il Presidente pari a un quinto della retribuzione;
   con la legge Finanziaria per il 2003, legge 27 dicembre 2002, all'articolo 37 veniva aumentata ancor di più la retribuzione dei giudici costituzionali prevedendo che essi «hanno tutti ugualmente una retribuzione corrispondente al più elevato livello tabellare che sia stato raggiunto dal magistrato della giurisdizione ordinaria investito delle più alte funzioni, aumentato della metà.» In pratica gli stipendi dei giudici sono arrivati sino a quota 467.000 euro e quello del presidente a 561.000 euro, per attestarsi oggi a 432 mila euro per il presidente e a 360 mila euro per gli altri giudici;
   come riporta un articolo del Fatto Quotidiano del 12 aprile 2014, a queste cifre già molto elevate si sommano una indennità giornaliera, pari ad un trentesimo della retribuzione mensile di un magistrato ordinario, ed un beneficio fiscale: l'imponibile è pari solo al 70 per cento della retribuzione. Come da una ricerca dell'economista Roberto Perotti, i giudici della Corte suprema del Regno Unito ricevono un appannaggio in sterline pari a 235.000 euro, gli omologhi canadesi percepiscono l'equivalente di 216.000 euro, il Presidente della Corte suprema Usa riceve in dollari l'equivalente di 173.000 euro. La Corte costituzionale costa 61,5 milioni di euro all'anno – circa quattro volte quella britannica – e, in proporzione al numero dei membri, due volte e mezzo il Senato;
   la già citata legge n. 87 del marzo 1953 prevedeva inoltre, al secondo comma dell'articolo 12, il divieto di cumulo tra retribuzione e pensione, dichiarando espressamente: «Tale trattamento sostituisce ed assorbe quello che ciascuno, nella sua qualità di funzionario di Stato o di altro ente pubblico, in servizio o a riposo, aveva prima della nomina a giudice della Corte»;
   tuttavia, si apprende dall'articolo di Osvaldo De Paolini apparso su il Messaggero del 20 aprile 2014 e dal recente libro scritto da Corrado Giustiniani, «Dinosauri», al capitolo otto, che alcuni giudici della Corte costituzionale percepirebbero sia la retribuzione che la pensione –:
   se risulti al Governo, nell'ambito della propria competenza, che vi siano giudici della Corte costituzionale che percepiscono trattamenti pensionistici in qualità di funzionario dello Stato o di altro ente pubblico e quali iniziative, sempre di competenza, intenda adottare ai’ fini del rispetto della disposizione citata in premessa. (4-08839)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BECATTINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato è una società per azioni controllata interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   tra le varie funzioni, si occupa della stampa dei bollini farmaceutici, che garantiscono l'autenticità del farmaco, contenendo tutte le informazioni per la sua identificazione;
   secondo l'articolo di Mario Sensini del 7 aprile 2015 sul sito www.corriere.it, l'Istituto poligrafico starebbe accumulando un considerevole ritardo nella stampa dei bollini da applicarsi sui farmaci;
   il ritardo, dovuto alla mancata messa in funzione delle macchine da stampa, ad oggi risulterebbe pari a settanta milioni di contrassegni, corrispondenti ad altrettante scatole di farmaci, che di conseguenza attendono di essere immesse sul mercato;
   secondo quanto ritiene Farmindustria, a seguito delle continue segnalazioni dei produttori farmaceutici, i pazienti potrebbero avere serie difficoltà nel reperire i medicinali nelle farmacie;
   durante i primi giorni del mese di aprile 2015, l'Istituto Poligrafico si starebbe impegnando a recuperare quantomeno sulla stampa dei bollini dei farmaci urgenti (cosiddetti farmaci salvavita);
   quanto riferito parrebbe esporre i pazienti al rischio di trovare nei prossimi mesi le farmacie sprovviste dei medicinali loro occorrenti;
   quanto esposto parrebbe pregiudicare il diritto alla salute che trova il più alto riconoscimento nell'articolo 32 della Costituzione e che rappresenta il corollario del più generale diritto alla vita di cui all'articolo 2 della Carta Costituzionale –:
   se i Ministri interrogati, secondo le rispettive competenze, non ritengano urgente e doveroso verificare i fatti di cui in premessa e porre in essere iniziative per evitare il rischio del mancato reperimento dei medicinali nelle farmacie dovuto al ritardo nella stampa dei bollini farmaceutici da parte dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato. (3-01447)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CULOTTA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Piano sanitario della regione Siciliana 2011-2013, in linea con gli orientamenti programmatici nazionali e internazionali, ha inteso rimodulare la rete materno-infantile per garantire adeguati standard di qualità relativamente all'organizzazione ed alle funzioni collegate all'assistenza, con la finalità di attuare progressivamente le previsioni di cui alle «Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» di cui all'accordo della conferenza unificata Stato-regioni, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2011;
   con il decreto del 14 gennaio 2015 dell'assessorato alla salute, relativo alla «Riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera-territoriale della Regione Sicilia», pubblicato sul supplemento ordinario della GURS n. 4 del 23 gennaio 2015 è stata prevista la chiusura del punto nascita dell'Ospedale «G. Giglio» di Cefalù, per mancato raggiungimento della soglia minima di 500 parti all'anno;
   in base a quanto previsto dai successivi decreti attuativi assessoriali la ginecologia dell'ospedale «G. Giglio» di Cefalù dovrà pertanto essere chiusa entro il 30 aprile 2015;
   nel 2012 sulla questione si era già pronunciato il TAR di Palermo che aveva bocciato la chiusura del punto nascita di Cefalù. Nell'ordinanza emessa si rilevava la «carenza» di motivazioni addotte a sostegno della chiusura. D'altra parte, nel riconoscere la mancata qualificazione di struttura pubblica dell'ospedale, si riconosceva tuttavia la peculiarità gestionale mista pubblico-privato che di fatto consentiva di superare la motivazione della natura non pubblica della struttura ospedaliera. Nella sentenza, inoltre, veniva sottolineato che il centro disponeva di un'alta qualificazione sanitaria;
   nel 2013 il TAR, rispetto alla precedente pronuncia, confermava la chiusura del punto nascita di Cefalù; furono considerate decisive dal TAR la breve distanza che intercorre tra Cefalù e Termini Imerese e la natura mista della struttura dell'Ospedale. Quest'ultimo, infatti a quella data essendo ancora una fondazione pubblico/privata, non poteva essere totalmente assimilato a una struttura pubblica in senso stretto qual era ed è invece il presidio ospedaliero di Termini Imerese;
   l'Ospedale «G. Giglio» di Cefalù oggi è una struttura pubblica; la giunta regionale siciliana con deliberazione n. 409 del 24 dicembre 2013 ha preso atto del nuovo statuto dell'istituto G. Giglio e del passaggio quindi da fondazione pubblico-privata a fondazione pubblica; fra i soci: la regione Siciliana, il comune di Cefalù, l'azienda sanitaria provinciale di Palermo, l'azienda ospedaliera ospedali Riuniti Villa Sofia – Cervello di Palermo, l'azienda ospedaliera di rilievo nazionale e di alta specializzazione civico – G. Di Cristina-Benefratelli di Palermo;
   lo stesso, per la sua posizione baricentrica, al confine tra la provincia di Palermo e quella di Messina, serve un territorio molto vasto, non di certo inferiore, per numero di parti, per efficienza e per professionalità, ad altri centri nascita. Nel 2014 il totale dei parti è stato di 420 con un incremento, rispetto al 2013, di circa il 15 per cento. Si prevede un ulteriore trend di crescita nei primi mesi del 2015, con circa 20 parti in più rispetto all'anno precedente. Inoltre, non si è registrato nessun caso di mortalità neonatale e perinatale negli ultimi 5 anni; circa 10 neonati sono stati trasferiti a Palermo nel corso del 2014 nei giorni successivi al parto, durante osservazione, con dimissione nei giorni successivi al trasferimento senza nessuna complicanza imputabile al peripartum. Alla luce di questi dati si rileva che l'Istituto «G. Giglio» di Cefalù è una struttura che ha dimostrato di saper crescere in qualità e nel numero di parti;
   per quanto attiene i tagli cesarei, si evidenzia che, in controtendenza rispetto al dato regionale sul numero di interventi, la struttura di Cefalù conta già una percentuale di tagli cesarei pari a circa il 20 per cento, notevolmente inferiore quindi alla media regionale ed in linea con gli obbiettivi del Piano sanitario della regione Sicilia;
   l'ospedale «G. Giglio» di Cefalù dispone poi di un'assistenza completa nelle 24 ore, presentando tutti i requisiti indispensabili per la sicurezza delle partorienti e dei neonati quali: ginecologo di guardia, pediatra neonatologo di guardia, ostetrica di guardia, anestesista di guardia, terapia intensiva, unità di terapia intensiva cardiologica, centro trasfusionale e radiologia con TAC e RM attivi 24h/24h, laboratorio d'analisi e reparti di cardiologia, chirurgia generale e medicina interna, nonché assistenza di psicologia clinica con servizio dedicato all'ostetricia disponibile h24. L'unità operativa, con una dotazione di n. 12 posti letto e un day hospital, conta un organico di 8 ginecologi, 4 pediatri, 6 ostetriche, 6 infermiere professionali, 3 operatrici socio sanitarie e una puericultrice;
   l'ospedale «G. Giglio» di Cefalù presenta inoltre un'assistenza ostetrico-ginecologica attiva 24 ore su 24, a differenza dei punti nascita di Termini Imerese e Petralia che possono contare invece solo sulla reperibilità. Tutti questi elementi dimostrano che la dotazione organica, strumentale e strutturale del punto nascita di Cefalù risulta essere ben superiore rispetto ai minimi richiesti dalla normativa;
   in data 3 marzo 2015 la conferenza dei sindaci del distretto socio-sanitario 33, composta dai sindaci dei comuni di Cefalù, Lascari, Gratteri, Campofelice Di Roccella, Collesano, San Mauro Castelverde, Castelbuono, Isnello e Pollina, con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli comunali e dei Capigruppo consiliari, preso atto delle notizie diffuse a mezzo stampa sulla chiusura di alcuni punti nascita, fra cui quello in essere presso l'ospedale «G. Giglio» di Cefalù, interpretando la forte richiesta che si levava dal Territorio, chiedevano al presidente della regione Sicilia, Rosario Crocetta ed all'assessore alla Salute, Lucia Borsellino, di sospendere, ove già emanato, il provvedimento di chiusura del punto nascita presso l'ospedale «G. Giglio» di Cefalù; e decidevano di ricorrere contro la regione Siciliana per tale scelta;
   in data 3 aprile 2015 è stato consegnato al Ministero della salute un documento redatto dal «Comitato per il centro nascite Madonie e Nebrodi», composto da privati cittadini dei diversi comuni interessati, avente ad oggetto la richiesta di deroga per il mantenimento del punto nascita dell'ospedale di Cefalù;
   in data 15 aprile il TAR per la Sicilia (sezione terza) ha rigettato l'istanza sul ricorso (numero di registro generale 1110 del 2015), proposto dai Comuni del Distretto socio-sanitario 33, contro l'assessorato regionale alla salute relativa alle delibere della giunta di Governo della regione siciliana di approvazione del «Piano per la Riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera siciliana» e sue integrazioni;
   nonostante il rigetto dell'ultimo ricorso da parte del TAR della Sicilia, i sindaci dei comuni interessati intendono andare avanti in appello, per continuare a difendere un presidio indispensabile per il comprensorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti rappresentati;
   se il mantenimento del punto nascita dell'ospedale «G. Giglio» di Cefalù sia stato valutato dal Tavolo di monitoraggio sull'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, con riferimento ai possibili gravissimi disservizi alla popolazione del territorio e in particolare alle partorienti che dovrebbero percorrere decine e decine di chilometri prima di poter giungere a un punto che garantisca loro adeguata assistenza e pertanto all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
   se non intenda assumere un'iniziativa normativa per concedere una deroga all'attuale disciplina. (5-05377)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dagli organi di stampa a Desio in zona San Carlo sono state rivenute decine e decine di «stalle», fatte di legno e ferro, tettoie, magazzini: tutto naturalmente abusivo. E all'interno di quella stessa baraccopoli numerosi animali, tra cani, cavalli e capre, in pessime condizioni;
   le telecamere hanno ripreso e documentato la situazione con sporcizia dappertutto, animali feriti e medicati in qualche modo, pezzi di ferro arrugginiti, recinzioni e cancelli completamente abusivi. E ancora, cani malridotti con guinzagli molto corti e un semplice telo a fare da tettoia;
   le condizioni risulterebbero essere contrarie a ogni prescrizione di legge e al rispetto per il territorio e gli animali –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione e se non intenda promuovere una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela della salute, al fine di accertare la condizione degli animali e la salubrità dei luoghi. (4-08835)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, GIANCARLO GIORDANO, PLACIDO, AIRAUDO, FRATOIANNI, DURANTI, MELILLA, QUARANTA e SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 aprile 2015 si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico l'incontro tra l'azienda Whirlpool e le rappresentanze sindacali, dove è stato presentato il piano industriale dell'azienda a seguito dell'acquisizione di Indesit Company;
   gli interroganti apprendono da fonti sindacali e dagli organi di stampa che «nonostante un piano di investimenti di cinquecento milioni in quattro anni e nonostante la prospettiva di un incremento dei volumi produttivi complessivi in Italia, [Whirlpool] ha dichiarato 1.350 esuberi, di cui 1.200 nelle fabbriche e 150 nei centri ricerca, annunciando la chiusura dello stabilimento di Casella in cui lavorano più di 800 persone, la cessazione di uno dei due stabilimenti di Fabriano (Ancona), quello di Albacina, i cui 600 lavoratori secondo il progetto aziendale dovrebbero essere trasferiti nella vicina fabbrica di Metano, e la dismissione del sito di None (Torino) dove attualmente ci sono novanta addetti fra il magazzino e il centro ricerche. Il piano prevede di converso – ha spiegato il sindacalista – la crescita di alcune fabbriche, in particolare quella di Varese dove si preannuncia un incremento occupazionale di 280 persone, e quella di Melano, dove sarebbe di nuovo concentrata la produzione dei piani cottura»;
   il 27 gennaio 2015 il Ministero dello sviluppo economico affermava, in risposta ad una interrogazione parlamentare presentata dalla prima firmataria del presente atto per ottenere chiarimenti urgenti a seguito della notizia della messa in mobilità di 20 dirigenti di Indesit, di aver «chiesto ed acquisito l'impegno da parte della Whirlpool a confermare integralmente quanto è stato oggetto di intesa con Indesit, nel dicembre del 2013, sia riguardo alla produzione sia all'occupazione», vale a dire nessun licenziamento sino al 2018 ed il mantenimento di tutti gli stabilimenti, con investimenti per 83 milioni di euro in Italia da parte dell'azienda;
   al termine dell'incontro, tenutosi con Whirlpool e le rappresentanze sindacali, il Ministero dello sviluppo economico ha diffuso una nota nella quale ha espresso «forte contrarietà per gli aspetti legati agli impatti occupazionali inerenti diversi siti produttivi» presenti nel piano presentato da Whirlpool, chiedendo all'azienda di «confermare l'impegno a non procedere a licenziamenti unilaterali» –:
   se sia in grado di fornire ulteriori elementi circa i fatti richiamati in premessa;
   se non ritenga che il comportamento della multinazionale americana sia in contrasto con l'impegno assunto da Whirlpool con il Governo italiano;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per richiamare Whirlpool agli impegni assunti, rispetto alla conferma integrale dell'intesa raggiunta nel dicembre 2013 tra Indesit Company, rappresentanze sindacali e Ministero dello sviluppo economico. (5-05374)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Innse Cilindri spa è un'azienda che ricopre una posizione di primo ordine nella produzione di cilindri per la laminazione di prodotti piani in acciaio, rientrando nel ristretto gruppo delle quattro o cinque società che, a livello mondiale, assicurano standard qualitativi di produzione unici;
   grazie alle sinergie tra Innse Cilindri spa, società controllata da Ilva spa, e Riva Acciaio spa, società controllata da Riva Forni Elettrici spa, si è sviluppato in Italia un settore industriale di grande eccellenza tecnologica;
   la produzione di Innse Cilindri spa oltre ad essere destinata all'autoconsumo di Ilva spa e anche indirizzata ai più importanti produttori europei (tra cui, in primis, Arcelor Mittal), e si caratterizza, per lo specifico know-how di lavorazione meccanica della Riva Acciaio spa, presso lo stabilimento di Sellero;
   l'azienda bresciana, essendo controllata dal gruppo Ilva, rientra nella gestione commissariale relativa alla procedura di amministrazione straordinaria;
   la gestione commissariale, a detta del residente di Riva Forni Elettrici, ha inciso sulla perdita di competitività dell'azienda, con ripercussioni dirette sul sito produttivo del gruppo Riva di Sellero, rendendosi responsabile, a partire dai primi mesi del 2014, di un inadempimento sistematico agli obblighi di pagamento per le forniture di Riva Acciai spa;
   le inadempienze di Innse Cilindri spa hanno prima fatto rallentare e poi sospendere l'attività dell'unità produttiva di Sellero, a servizio della stessa Innse Cilindri, pregiudicando la possibilità di mantenere all'interno del Paese un presidio industriale strategico per l'economia e per l'occupazione;
   l'operato della gestione commissariale, oltre a comportare la chiusura dello stabilimento produttivo di Sellero, con il conseguente ricorso alla cassa integrazione guadagni per il personale, ha anche reso l'azienda inadempiente ai propri obblighi di fornitura verso i clienti terzi, in quanto la stessa non è più in grado di assicurare, senza il contributo di Riva Acciaio spa, gli standard qualitativi di un tempo, lasciando ai concorrenti ampi spazi di mercato –:
   se il Ministro interrogato intenda rendere noti i risultati della gestione commissariale di Innse Cilindri spa e quali immediate iniziative intenda adottare affinché sia garantito il diritto dei fornitori dell'azienda, e nel caso specifico di Riva Acciaio spa, di essere pagati per i lavori resi. (4-08841)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Iori e altri n. 1-00785, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Di Vita e altri n. 4-07395 del 22 dicembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05373.