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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 25 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la crescita economica, sociale e culturale del Mezzogiorno è la vera sfida sulla quale si gioca il futuro dell'Italia;
    gli ultimi dati Istat e Svimez sono a questo proposito allarmanti: aumenta il divario con il Centro-Nord, mancano investimenti pubblici e privati, si assiste ad un impoverimento del capitale umano. In questo quadro sarà difficile che il Sud possa agganciare la ripresa e la sua lentezza potrebbe rivelarsi un deterrente per lo sviluppo di tutto il Paese;
    l'Italia sconta gli effetti negativi di un grande divario territoriale: un dualismo economico che si sta ampliando e che minaccia di essere una palla al piede di qualsiasi ipotesi di ripresa nazionale;
    di questo il rapporto Svimez 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato nel mese di ottobre 2014, aveva già lanciato un avvertimento, delineando uno scenario preoccupante: l'aumento dell'emigrazione (+116 mila abitanti nel 2013), un basso indice di natalità (continuano nel 2013 a esserci più morti che nati), l'aumento della povertà (+40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno) perché manca il lavoro (al Sud si è perso l'80 per cento dei posti di lavoro nazionali tra il primo trimestre del 2013 e del 2014); l'industria continua a soffrire di più (-53 per cento degli investimenti in cinque anni di crisi, -20 per cento degli addetti); i consumi delle famiglie crollano di quasi il 13 per cento in cinque anni; gli occupati arrivano a 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977 e il dato corretto sulla disoccupazione sarebbe il 31,5 per cento invece che il 19,7 per cento;
    uno scenario che secondo Svimez rischia di divenire strutturale: anche quando, dopo l'inizio della crisi nel 2008, il Centro-Nord aveva fatto segnare una limitata ripresa, con un aumento del prodotto interno lordo dal 2011 al 2012 del 3,8 per cento, il Sud aveva continuato a perdere prodotto, con una diminuzione dello 0,9 per cento. In totale, nonostante la crisi, il prodotto interno lordo del Centro-Nord dal 2001 al 2013 è aumentato del 2 per cento, mentre quello del Sud è sceso del 7,2 per cento;
    i conti economici territoriali dell'Istat, riferiti al periodo 2011-2013 e pubblicati il 9 gennaio 2015, confermano il quadro sopra descritto: il prodotto interno lordo per abitante nel 2013 risulta pari a 33,5 mila euro nel Nord-ovest, a 31,4 mila euro nel Nord-est e a 29,4 mila euro nel Centro. Il Mezzogiorno, con un livello di prodotto interno lordo pro capite di 17,2 mila euro, presenta un gap molto ampio con il Centro-Nord, dove si registra un livello di prodotto interno lordo pro capite di 31,7 mila euro; il valore registrato nel Mezzogiorno è quindi inferiore del 45,8 per cento rispetto a quello del Centro-Nord;
    i dati sopra evidenziati si traducono in un impoverimento dell'apparato produttivo a causa del calo degli investimenti: dal 2008 al 2013, gli investimenti in agricoltura sono calati del 44,6 per cento nel Mezzogiorno e del 14,5 per cento nel Centro-Nord; quelli nell'industria del 49,4 per cento nel Mezzogiorno e del 26,6 per cento nel Centro-Nord. Al tempo stesso gli investimenti in opere pubbliche sono scesi a un quinto di quelli di 20 anni fa, mentre nel Centro-Nord sono rimasti sostanzialmente invariati;
    dal punto di vista demografico, la fotografia dell'Istat è impietosa. I dati riferiti all'anno 2014, pubblicati il 12 febbraio 2015, dicono che nel Sud si fanno sempre meno figli e si assiste a un forte esodo di migranti verso le altre regioni del Paese e verso l'estero. Il Nord ha assorbito (al netto delle ripartenze) 2,4 migranti ogni mille residenti tra esteri e italiani da altre regioni; il Mezzogiorno, a causa della minore attrattività per l'immigrazione e dei flussi verso le regioni settentrionali e l'estero, ha perso 2,1 abitanti ogni mille. Dal 2001 al 2013 se ne sono andati, al netto dei rientri, 708 mila emigranti, di cui 494 mila giovani tra i 15 e i 34 anni e 188 mila laureati: una perdita enorme per lo sviluppo futuro del Mezzogiorno, a totale beneficio di altri territori. Di questo passo, conferma il rapporto Svimez, nei prossimi cinquant'anni il Sud scenderà dal 34,3 per cento della popolazione italiana al 27,3 per cento, perdendo quattro milioni di abitanti;
    è significativo, altresì, quello che accade in sanità, dove il rapporto annuale Istat 2014 evidenzia – se mai ce ne fosse bisogno – che per quanto il Servizio sanitario nazionale abbia migliorato il suo livello di accountability, attraverso la riduzione del debito accumulato, e i suoi standard di appropriatezza, si registrano aspetti ancora problematici sul fronte dell'equità, per la quale gli indicatori segnalano persistenti divari di genere, sociali e territoriali sia in termini di esiti di salute sia di accessibilità alle cure;
    nel Mezzogiorno, infatti, la speranza di vita è più bassa (79 anni per gli uomini e 83,7 per le donne, contro rispettivamente il 79,9 e l'84,8 del Nord), la prevalenza di patologie croniche gravi si attesta al 16,1 per cento contro il 14,2 per cento registrato al Nord, e aumenta, infine, la disabilità: non si può parlare, in generale, di un peggioramento delle condizioni di salute bensì di un incremento della popolazione esposta al rischio di ammalarsi con il conseguente aumento per il futuro della pressione sul Servizio sanitario nazionale a causa dell'incremento delle persone bisognose di cure e assistenza;
    il Servizio sanitario nazionale è nel Mezzogiorno anche meno equo che nel resto del Paese come testimonia la percentuale di persone che, pur in presenza di un bisogno di salute, rinunciano alla prestazione sanitaria: a questo riguardo, nel 2012, se a livello nazionale la quota di cittadini che ha rinunciato alle cure si attesta all'11,1 per cento (in prevalenza le donne sono il 13,2 per cento, mentre gli uomini sono il 9,0 per cento), nel Mezzogiorno la percentuale è del 14,4 per cento (anche in questo caso le donne sono il 16,5 per cento, mentre gli uomini il 12,2 per cento). La motivazione addotta è prevalentemente quella economica (50,4 per cento, in media);
    la sanità nel Mezzogiorno risulta penalizzata sotto più aspetti. Alla minore speranza di vita alla nascita si accompagna una maggiore mortalità, rispetto al resto del Paese, per malattie cardiovascolari, che costituiscono la prima causa di morte. Per quanto riguarda la mortalità per tumori, alcune regioni del Sud, anche in presenza di un'incidenza della malattia inferiore rispetto alle regioni del Nord, registrano tassi di mortalità analoghi; questo a testimoniare che coloro che si ammalano di tumore nel Mezzogiorno hanno una probabilità di sopravvivere sensibilmente inferiore rispetto ad un cittadino del Nord. Sul versante delle dotazioni finanziarie, negli ultimi anni, il settore sanitario si è caratterizzato per una diminuzione della spesa per investimenti, un dato che rischia di diventare allarmante nel Sud dove le strutture e la strumentistica medico-ospedaliera risultano in molti casi vecchie ed obsolete. Di conseguenza, risultano insufficienti i servizi per la prevenzione, come pure molti servizi specialistici. Carenze importanti riguardano i servizi territoriali per la medicina di base, per la salute della donna, per la salute mentale, per l'assistenza domiciliare agli anziani e alle persone non autosufficienti. Un settore caratterizzato da una situazione di particolare emergenza è quello oncologico, nel quale manca circa la metà degli strumenti di radioterapia necessari a servire la popolazione locale;
    le insufficienze strutturali e, soprattutto, la carenza di tecnologie avanzate e di divisioni specialistiche di eccellenza costringono i cittadini residenti nel Mezzogiorno a spostarsi per ricevere cure adeguate: le statistiche la definiscono mobilità sanitaria (ovvero il diritto del cittadino di ottenere cure, a carico del proprio sistema sanitario, anche in un luogo diverso da quello di residenza), ma in questo specifico caso – in cui la decisione di curarsi fuori dalla propria regione non è la conseguenza di una scelta ma di una necessità – è più corretto parlare di migrazione sanitaria: non è un caso, infatti, che – come certifica la settima edizione di «Noi Italia 2015. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo» a cura dell'Istat, la maggior parte delle regioni del Mezzogiorno abbiano un alto indice di emigrazione ospedaliera. Le regioni del Sud mostrano, altresì, un basso indice di attrazione (inferiore ad uno), ovvero un deficit tra i flussi di entrata e di uscita rispetto ai ricoveri dei propri residenti. L'indice di attrazione conferma il dualismo tra alcune regioni del Centro-Nord, che registrano un valore significativamente più elevato di uno e quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, con un indice pari o inferiore a 0,7;
    un quadro problematico, quello appena descritto, dal quale si discosta l'approccio alla tematica ambientale. Secondo i dati Istat – relativi al triennio 2010-2012 e pubblicati il 21 gennaio 2015 – la spesa per interventi di protezione dell'ambiente e di uso e gestione delle risorse naturali erogata complessivamente dalle amministrazioni regionali italiane nel 2012 ammonta a 3.825 milioni di euro, pari a 64,2 euro per abitante, con un'incidenza sul prodotto interno lordo dello 0,23 per cento;
    dallo scorporo dei dati, emerge che le amministrazioni regionali del Nord-ovest, del Nord-est e del Centro presentano una spesa ambientale per abitante inferiore alla media nazionale (rispettivamente 26, 54, e 40 euro per abitante), mentre quelle del Mezzogiorno dedicano risorse pari a 113 euro per abitante: un dato incoraggiante, anche se l'Istat precisa che esso riflette la maggior presenza nel meridione di spese realizzate a valere sui fondi strutturali, nonché quelle connesse ad accordi di programma quadro in materia di servizi e infrastrutture ambientali. In ogni caso, rispetto al 2011, solo nel Mezzogiorno la spesa ambientale è aumentata (+0,6 per cento), mentre, rispetto al 2010, la spesa ambientale segna una diminuzione molto marcata nel Nord-ovest, Centro e Nord-est (-33 per cento, -24,9 per cento, -18,6 per cento rispettivamente) e un calo contenuto nel complesso delle amministrazioni regionali del Mezzogiorno (-2,9 per cento);
    in relazione alla tipologia, nel 2012 la quota prevalente della spesa ambientale (circa 3.825 milioni di euro) erogata nel triennio di riferimento è assorbita da attività e interventi finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente (65 per cento del totale della spesa ambientale, circa 2.491 milioni di euro) e da interventi di uso e gestione delle risorse naturali (1.334 milioni di euro, 35 per cento del totale). Le amministrazioni regionali del Nord-ovest e del Nord-est riservano la quota maggiore della spesa ambientale a interventi per la protezione della biodiversità e del paesaggio (rispettivamente il 23,5 per cento e 24,7 per cento del totale nel 2012). Nel Centro una parte significativa della spesa ambientale è destinata a interventi di protezione e risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e delle acque di superficie (21,3 per cento del totale). Nel Mezzogiorno il 41,4 per cento del totale della spesa ambientale si ripartisce quasi in uguale misura tra interventi di protezione e risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e delle acque di superficie (21,5 per cento) e interventi di gestione delle risorse idriche (19,9 per cento);
    altro segnale in controtendenza: secondo la Coldiretti, che ha rielaborato i dati Istat relativi all'andamento economico ed occupazionale nel Mezzogiorno d'Italia nel 2013, l'agricoltura è l'unica attività economica che nel Mezzogiorno resiste alla crisi con una sostanziale stabilità sia del valore aggiunto (-0,3 per cento) che nel numero di occupati (-0,9 per cento) rispetto al crollo generalizzato: Coldiretti, infatti, sottolinea che nello stesso periodo la performance dell'agricoltura nel Centro-nord è peggiore (-2,4 per cento del numero di occupati) che al Sud, dove – è bene ricordarlo – il settore primario, pur in presenza di grandi potenzialità (due terzi delle coltivazioni biologiche nazionali con quasi la metà delle imprese agricole nazionali, il 10 per cento del territorio coperto da parchi e aree protette) sconta difficoltà infrastrutturali e di mercato;
    i segnali positivi sull'economia italiana si rafforzano e per il primo trimestre 2015 è previsto il ritorno alla crescita del prodotto interno lordo: questo è quanto certificato dall'Istat nella nota mensile pubblicata il 27 febbraio 2015;
    in questo quadro – reiterando quanto già detto all'inizio – è indiscutibile che la prossima ripresa economica sociale e culturale dell'Italia sarà tanto più immediata e strutturale quanto più efficaci saranno le politiche messe in campo affinché anche il Mezzogiorno agganci – questa volta davvero – la ripresa;
    un obiettivo fondamentale per il raggiungimento del quale – è bene sottolinearlo – non si parte da zero. Al di là della freddezza oggettiva dei numeri, infatti, si sa che nel Mezzogiorno d'Italia, pur con le difficoltà sopradescritte, sono presenti realtà produttive solide e – purtroppo – semisconosciute, o peggio ignorate, dalle istituzioni nazionali;
    si parla di realtà economiche che si fanno strada come fiori attraverso il manto di cemento dell'indifferenza politica: non si devono definirle «isole felici», perché non costituiscono «monadi» in un deserto. Sono il volano, o i driver se si preferisce, del riscatto del Mezzogiorno e della ripresa del Paese intero;
    la regione Puglia può essere considerata il paradigma di questa vivacità produttiva ed economica, a dispetto delle condizioni generali: già il rapporto Svimez 2012 sull'economia del Mezzogiorno (dati 2011), in un focus dedicato alla regione aveva certificato – in uno scenario di declino da brivido per la macro area – una sua modesta ma significativa ripresa pur in presenza di importanti punti di debolezza (calo dei consumi, basso reddito pro capite, alto livello di disoccupazione, in particolare femminile e giovanile, arretramento del prodotto interno lordo previsto per il 2012);
    il rapporto finale 2014 dell'Osservatorio Mezzogiorno di «The European House – Ambrosetti», dopo aver rilevato come la Puglia abbia perso nell'ultimo quinquennio ben il 10 per cento del prodotto interno lordo, colloca la regione in un quadro economico e produttivo caratterizzato dalla contestuale presenza di una perdurante situazione di crisi e di deboli segnali di ripresa da verificare, in particolare, nel biennio 2013-2014;
    la valutazione è confermata anche nel rapporto «Economie regionali – L'economia della Puglia» della Banca d'Italia, secondo il quale nei primi mesi del 2014 in Puglia si è attenuata la fase recessiva, anche se l'attività industriale rimane debole, con un fatturato ulteriormente ridotto per il calo della domanda interna. Il mercato del lavoro risente ancora della debole congiuntura e il numero degli occupati continua a diminuire. Dalla fine del 2012 il tasso di disoccupazione in regione è progressivamente cresciuto, raggiungendo il 21 per cento, oltre otto punti percentuali in più rispetto alla media nazionale;
    secondo il citato rapporto dell'Osservatorio Mezzogiorno di «The European House – Ambrosetti» – l'Osservatorio nasce nel 2006 proprio come «Osservatorio Puglia» – la regione Puglia deve anche essere pronta ad afferrare l'occasione che le si presenta in relazione al nuovo ciclo di programmazione dei fondi comunitari 2014-2020;
    nel nuovo ciclo della politica di coesione l'Europa investirà 351,8 miliardi di euro e l'Italia riceverà complessivamente 32,2 miliardi di euro, ovvero il 9,3 per cento del totale delle risorse europee;
    il 70 per cento delle risorse assegnate all'Italia è allocato a favore delle regioni dell'Obiettivo convergenza (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia): circa 22,2 miliardi di euro;
    sono 5,12 i miliardi di euro provenienti dall'Europa, in aggiunta alla quota di cofinanziamento nazionale, che la Puglia sarà chiamata ad impegnare in progetti per tradurre l'obiettivo europeo per il 2020 di uno sviluppo sostenibile, inclusivo e intelligente;
    tali risorse aggiunte, come si diceva, a quelle nazionali, possono realmente imprimere una svolta positiva all'economia della Puglia;
    nonostante le criticità che hanno continuato ad interessare il sistema economico pugliese, il citato rapporto 2014 dell'Osservatorio Mezzogiorno di «The European House – Ambrosetti» rileva come il sistema produttivo regionale sia caratterizzato da una particolare dinamicità con aziende dotate di importanti capacità di resilienza alla crisi in termini di fatturato e di redditività;
    emblematico a questo proposito è il caso della provincia di Taranto e del comune capoluogo, in particolare, in cui – pur in presenza di un quadro economico caratterizzato da indicatori economici e produttivi negativi – si possono iniziare a percepire i segnali di una ripresa certamente non immediata ma possibile;
    nella relazione previsionale e programmatica 2015 redatta dalla camera di commercio di Taranto, infatti, si rileva come, tenuto conto della gravità dello scenario economico generale e locale e le difficoltà quotidianamente vissute dalle aziende, risulta interessante la capacità di sopravvivenza del sistema produttivo locale nel suo complesso. Tuttavia, precisa il documento, tutto ciò sembrerebbe il risultato di pesanti e spesso dolorosi aggiustamenti nell'utilizzo delle risorse (economico – finanziarie, umane ed altro), con la conseguenza di un decremento della redditività e dell'occupazione e, in ultima analisi, un effettivo depauperamento del tessuto imprenditoriale, non tanto e non solo in termini numerici quanto sostanziali;
    una conferma con riguardo all'occupazione arriva dal sistema informativo Excelsior Unioncamere relativo ai programmi occupazionali delle imprese per il primo trimestre 2015. A differenza di quanto accade in Italia, nei primi mesi del 2015 in Puglia è prevista una variazione negativa dell'occupazione: il «saldo» occupazionale atteso in regione è pari, infatti, a -1.140 unità, in miglioramento, comunque, rispetto alle -1.700 di un anno prima. Dal punto di vista territoriale, considerando sempre sia il lavoro dipendente che quello atipico, saldi occupazionali positivi si prevedono soltanto nella province di Foggia (+290) e Lecce (+50), mentre a Taranto (-330), Brindisi (-490)e Bari (-660) si registrano decrementi significativi;
    in una situazione occupazionale già difficile, dunque, il territorio tarantino è interessato attualmente da numerose vertenze lavorative tra le quali spicca quella relativa al call center di Teleperformance, la seconda realtà produttiva della provincia di Taranto dopo l'Ilva. A fronte degli undicimila posti dello stabilimento siderurgico, infatti, Teleperformance garantisce occupazione a circa duemila dipendenti ai quali si aggiungono circa mille contratti a progetto. I lavoratori coinvolti sono per lo più donne sole, con figli. A giugno 2015 scadranno gli ammortizzatori sociali garantiti dall'accordo firmato nel gennaio 2013, che ha permesso di scongiurare temporaneamente i licenziamenti e a quel punto, senza una strategia che permetta di evitare contraccolpi lavorativi, il futuro occupazionale dei lavori del call center si presenta piuttosto cupo;
    mentre nel 2013 la citata relazione previsionale e programmatica della camera di commercio di Taranto sottolinea che il saldo tra imprese nuove iscritte e cessazioni, pur restando in area negativa, registra nella provincia performance migliori rispetto alla media regionale e delle singole province pugliesi; nel 2014 lo stesso dato risulta negativo: -0,09 per cento. Dal confronto dei dati a disposizione di Movimprese sulla natimortalità delle aziende, emergono le forti criticità territoriali. La camera di commercio sottolinea, altresì, come Taranto sconti la vicenda Ilva nel suo complesso e il previsto e temuto effetto domino; tuttavia, tutti i comparti produttivi sono in sofferenza: in agricoltura, il saldo tra nuove imprese e chiusure è di -259 unità, nelle attività manifatturiere -103 unità, nelle costruzioni -131 unità e nel commercio -324 unità;
    proprio la presenza dell'Ilva fa sì che il territorio tarantino presenti un quadro abbastanza complesso anche dal punto di vista sanitario ed ambientale strettamente connesso. Il comune di Taranto a partire dal 1987, insieme ai comuni di Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola, è inserito in un'area definita dall'Organizzazione mondiale della sanità «ad elevato rischio ambientale» ed è ormai da tempo oggetto di studio per la stima del rischio di salute conseguente all'esposizione dell'area abitata del comune alle emissioni provenienti dall'adiacente area insidiata dal più grande stabilimento siderurgico a ciclo integrato d'Europa. Nell'area di Taranto indagini ambientali ed epidemiologiche hanno documentato una compromissione dell'ambiente e dello stato di salute dei residenti. Sono stati osservati eccessi di mortalità, a livello comunale, per malattie dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e per diverse sedi tumorali. Nella coorte dei residenti, nei quartieri più vicini alla zona industriale, anche al netto dei differenziali sociali, sono stati misurati eccessi della mortalità e delle ospedalizzazioni per malattie dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e per tumori. Questi dati – elaborati all'interno del progetto «Indagine epidemiologica nel sito inquinato di Taranto» (IESIT), finanziato dalla provincia – sono stati successivamente confermati nella loro gravità dallo studio Sentieri curato dall'Istituto superiore di sanità, il quale ha, altresì, evidenziato come la problematica riguardi anche la fascia pediatrica (0-14 anni): a questo proposito è stato osservato un eccesso di mortalità per tutte le cause e di ospedalizzazione per le malattie respiratorie acute, ed un eccesso di incidenza per tutti i tumori (54 per cento). Nel corso del primo anno di vita è stato rilevato un eccesso di mortalità per tutte le cause (20 per cento) ascrivibile all'eccesso di mortalità per alcune condizioni morbose di origine perinatale (45 per cento), mentre per questa stessa causa si osserva un eccesso di ospedalizzazione;
    dal punto di vista ambientale, lo stato di emergenza ormai acclarata nell'area di Taranto ha portato il Governo ad emanare nel breve arco di due anni (a partire dal 2012) ben sette provvedimenti urgenti al fine di fronteggiare e risolvere la situazione, in un'ottica di salvaguardia della salute dei cittadini e della rinascita della città;
    sono provvedimenti in cui – in massima parte – è mancata una visione di insieme sia delle problematiche che gravano sulla città di Taranto e sull'area ad essa circostante, sia delle soluzioni da adottare e nei quali, soprattutto, si è voluto pervicacemente continuare a legare il destino della città a quello dell'Ilva;
    solo di recente, con il decreto-legge 5 gennaio 2015, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 4 marzo 2015, n. 20, sembra si sia avviata una nuova fase per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto;
    lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, in occasione dell'approvazione definitiva presso la Camera dei deputati del citato decreto-legge n. 1 del 2015, ha, infatti, parlato di un «progetto Taranto», con particolare riferimento alla cultura, al porto, alle bonifiche e alla salute e non più solo all'Ilva;
    il porto di Taranto situato nel cuore del Mediterraneo è la struttura ideale per il traffico commerciale tra l'Europa ed il resto del mondo e per il traffico a corto raggio nazionale ed europeo. Non si deve tuttavia considerare il porto solo per la sua tradizionale vocazione commerciale, bensì anche in un'ottica di integrazione con la città e di maggiore apertura ai traffici turistici;
    il nuovo piano regolatore del porto, adottato di recente, prevede, infatti, da un lato, di incrementare le aree destinate alle attività commerciali per consentire l'acquisizione di nuovi traffici e, dall'altro, di migliorare il rapporto con la città, aprendo ad essa nuove aree dell'ambito portuale. A questo proposito sono stati avviati i seguenti progetti: la piastra logistica, il consolidamento/adeguamento banchina terminal contenitori, dragaggi, nuova diga foranea, collegamenti ferroviari adattamento/riqualificazione del molo S. Cataldo e Calata 1; realizzazione di un nuovo terminal contenitori al 5o sporgente, il Distripark;
    nel 2012, l'autorità portuale di Taranto ha – altresì – avviato una programmazione mirata allo sviluppo della piena operatività del porto dal punto di vista turistico, in particolare per quanto riguarda il traffico crocieristico, alimentato dal bacino territoriale lucano (destinato ad assumere una dimensione internazionale e mondiale in seguito alla designazione di Matera capitale della cultura 2019) diretto in Nord Africa, in Medio ed Estremo Oriente e in tutti i porti del Mediterraneo. Sempre al fine di promuovere la competitività dello scalo tarantino nel settore turistico e del traffico passeggeri si segnalano le seguenti iniziative: la partecipazione ad eventi fieristici di settore, quale la fiera Seatrade Cruise and Shipping di Miami, memorandum of understanding con la regione Basilicata e il successivo memorandum of understanding con la provincia di Matera, la formulazione nel 2012 della domanda di acquisizione da parte dell'autorità portuale della banchina «ex Torpediniere», per l'utilizzazione della stessa ai fini della nautica da diporto e trasporto passeggeri, la realizzazione di un port exhibition center, da realizzare in ambito portuale con l'intento di valorizzare la vocazione tipicamente portuale di Taranto attraverso l'utilizzo di container marittimi per allestire un centro espositivo multimediale, la realizzazione, infine, del centro servizi polivalente, un edificio polifunzionale finalizzato alla riqualificazione del waterfront portuale;
    al fine di adeguare lo standard competitivo del porto di Taranto rispetto a quello dell'area mediterranea, l'autorità portuale sta puntando sulla diversificazione delle attività del porto. A questo proposito sono stati avviati cantieri per 377 milioni di euro destinati ad aumentare per progetti non legati alla monocultura industriale. Fra questi il progetto «Fresh Port», che mira ad individuare un percorso teso a valorizzare, in forma consorziata, l'intera catena produttiva e logistica del settore agroalimentare di alcune regioni del Sud Italia (Puglia, Basilicata, Calabria) e del Nord Africa, attraverso l'utilizzazione delle aree e dei servizi portuali e retroportuali di Taranto, e il riconoscimento nel maggio 2014 dell'area portuale di Taranto quale zona franca doganale non interclusa, gestita dalla stessa autorità portuale;
    Taranto ha anche l'arsenale militare marittimo, una struttura di grande potenzialità per la quantità e la qualità del personale impiegato (circa duemila e quattrocento dipendenti), per la consistenza e la funzionalità delle infrastrutture, degli impianti e dei mezzi ed attrezzature di lavoro in dotazione. I suoi compiti consistono principalmente nell'assicurare il supporto e l'efficienza delle unità navali, costituendo una struttura tecnico-logistica di grande rilievo. In aggiunta ai compiti istituzionali, l'arsenale è chiamato a svolgere, nei limiti e con le modalità previste dai regolamenti e dalle leggi in vigore, attività che, seppure di carattere secondario, sono altrettanto importanti e significative: assistenza alla protezione civile, interventi nelle calamità naturali, supporto alle unità navali appartenenti ad altre Forze armate ed alla Marina mercantile, assistenza ai barotraumatizzati;
    la struttura dell'arsenale deve essere messa al servizio della riqualificazione della città, non solo in un'ottica di sviluppo turistico e culturale – come previsto nel citato decreto-legge n. 1 del 2015 – ma anche sociale,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità, compatibilmente con i vincoli di bilancio, di predisporre interventi di rilancio del sistema economico e produttivo del Mezzogiorno, incentivando lo sviluppo più completo delle potenzialità presenti nei relativi territori, attraverso interventi finalizzati:
    a) all'avvio di tempestive iniziative volte a salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, con particolare attenzione all'occupazione giovanile e femminile;
    b) alla soluzione di tutte le vertenze lavorative aperte e con specifico riguardo alla vertenza Teleperformance e, più in generale, al personale impiegato nei call center, e a pervenire alla definizione, anche attraverso disposizioni di legge che rimandino a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, di precise regole procedurali di confronto sindacale per la gestione delle crisi conseguenti a cambi di appalto, che possa condurre a configurare clausole sociali volte a salvaguardare la posizione dei lavoratori della società appaltatrice uscente, attraverso la configurazione di obblighi in capo all'appaltatore subentrante;
    c) a potenziare le strutture ospedaliere territoriali colmando le insufficienze strutturali e, soprattutto, la carenza di tecnologie avanzate, nell'ottica di un ammodernamento della strumentistica medica e dello sblocco del turnover del personale, con particolare attenzione per quelle zone in cui le evidenze epidemiologiche e scientifiche testimoniano un'elevata presenza di patologie oncologiche;
    d) a fronteggiare in maniera realistica ed incisiva l'emergenza ambientale, con particolare riguardo per quelle zone in cui tale allarme sia diretta conseguenza della presenza di realtà produttive di grandi dimensioni, valutando, in riferimento all'area di Taranto e alla presenza dell'Ilva, l'opportunità di assumere iniziative di carattere legislativo volte ad assicurare un aggiornamento quantomeno trimestrale della valutazione del danno sanitario prevista dall'articolo 1-bis, del decreto-legge n. 207 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, in modo da avere stime puntuali e dati precisi a fronte di medie annuali;
    e) a valorizzare e a potenziare i sistemi logistico-intermodali del Mezzogiorno, in particolare quelli portuali, che, in virtù della centralità dell'Italia nei traffici marittimi intra-mediterranei e non solo, sono destinati ad avere un ruolo strategico nel rilancio dell'economia nazionale e del Mezzogiorno, valutando altresì l'opportunità di supportare con particolare attenzione i progetti finalizzati a diversificare le funzionalità delle strutture portuali, quali, ad esempio, quelli già avviati dall'autorità portuale di Taranto, dei quali si è dato conto nelle premesse del presente atto di indirizzo;
    f) a valutare l'opportunità di favorire intese, anche fra le diverse amministrazioni pubbliche, per mettere al servizio del territorio le strutture presenti e attualmente adibite a compiti istituzionali, sviluppandone le potenzialità al fine di promuovere il recupero e la riqualificazione sociale dei centri urbani, in particolare quelli soggetti ad un pesante degrado, con particolare riferimento all'uso per tale scopo dell'arsenale marittimo di Taranto.
(1-00766) «Labriola, Pisicchio, Catalano, Pinna, Furnari».


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 98 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ha disposto che per «gli enti del servizio sanitario nazionale, sono fissati criteri e limiti per le assunzioni per il triennio 2005-2007, previa attivazione delle procedure di mobilità e fatte salve le assunzioni del personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale»;
    il comma 173 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 ha disposto alla lettera d) il rispetto degli obblighi di programmazione a livello regionale, al fine di garantire l'effettività del processo di razionalizzazione delle reti strutturali dell'offerta ospedaliera e della domanda ospedaliera, con particolare riguardo al riequilibrio dell'offerta di posti letto per acuti e per lungodegenza e riabilitazione, alla promozione del passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno, nonché alla realizzazione degli interventi previsti dal piano nazionale della prevenzione e dal piano nazionale dell'aggiornamento del personale sanitario, coerentemente con il piano sanitario nazionale;
    il comma 198 dell'articolo 1 della legge del 30 dicembre 2005, n. 266, prevede che «gli enti del servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento»;
    il comma 565 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2006, n. 296 ha disposto alla lettera a) che gli enti del servizio sanitario nazionale, fermo restando quanto previsto per gli anni 2005 e 2006 dall'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e, per l'anno 2006, dall'articolo 1, comma 198, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese del personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1,4 per cento;
    il comma 583 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, riduce i termini temporali del blocco del turn over;
    il comma 584 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, estende al periodo 2016-2020 i vigenti parametri di contenimento della spesa per il personale degli enti ed aziende del servizio sanitario nazionale;
    il comma 72 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, prevede che «Gli enti destinatari delle disposizioni di cui al comma 71, nell'ambito degli indirizzi fissati dalle regioni, anche in connessione con i processi di riorganizzazione, ivi compresi quelli di razionalizzazione ed efficientamento della rete ospedaliera, per il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa previsti dal medesimo comma:
     a) predispongono un programma annuale di revisione delle consistenze di personale dipendente a tempo indeterminato, determinato, che presta servizio con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di lavoro flessibile o con convenzioni, finalizzato alla riduzione della spesa complessiva per il personale, con conseguente ridimensionamento dei pertinenti fondi della contrattazione integrativa per la cui costituzione fanno riferimento anche alle disposizioni indicate nell'articolo 1, commi 189, 191 e 194, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni;
     b) fissano parametri standard per l'individuazione delle strutture semplici e complesse, nonché delle posizioni organizzative e di coordinamento, rispettivamente, delle aree della dirigenza e del personale del comparto del servizio sanitario nazionale, nel rispetto comunque delle disponibilità dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa così come rideterminati ai sensi del presente comma»;
    l'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge n. 125 del 5 agosto 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 163 del 1o ottobre 2010 ha disposto, nelle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari il blocco automatico del turn-over del personale dipendente e del personale convenzionato e il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nel caso in cui i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino, entro il 31 ottobre 2010, il venire meno parziale delle condizioni che hanno determinato l'applicazione delle citate misure, nel limite del 10 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
    l'ultimo capoverso del comma 2-bis dell'articolo 2 del citato decreto, n. 125 prevede che la disapplicazione delle stesse norme sopra citate è disposta con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale;
    il punto 3 dell'allegato A dell'atto di rettifica dell'atto repertorio n. 98/CSR 2014 prevede una serie di standard minimi e massimi di strutture per singole discipline, un determinato numero di posti letto (3,7/1.000) nonché un tasso di ospedalizzazione (160/1.000 abitanti) legati ad un indice di occupazione del posto letto che deve attestarsi sui valori del 90 per cento) e sulla durata media di degenza, per ricoveri ordinari, che deve essere inferiore mediamente a giorni;
    il punto 6.2 dell'allegato A dell'atto di rettifica dell'atto repertorio n. 98/CSR 2014 prevede che nei presidi ospedalieri il rapporto percentuale tra il numero di personale del ruolo amministrativo e il numero totale del personale non può superare il valore del 7 per cento;
    il recente documento pubblicato dall'AGENAS dal titolo «Andamento della spesa sanitaria nelle Regioni anni 2008-2013» indica come «La dinamica del livello di spesa mostra che dal 2010 si registra una contrazione della spesa a dimostrazione che la sanità è stata interessata da politiche di contenimento dei costi, e soprattutto dalla particolare attenzione alle situazioni di squilibrio, si rileva, infatti la variazione media annua 2010-2013 risulta pari a –0,28 per cento»;
    recentemente il Ministro della salute ha presentato la proposta relativa ai nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) dalla quale si evince una maggiore spesa rispetto alla situazione attuale; già attualmente numerose aziende sanitarie e ospedaliere, al fine di garantire gli attuali LEA, sono costrette a ricorrere a convenzionamenti interni e/o a prestazioni lavorative che vengono tuttavia contabilizzate in bilancio sotto la voce di «acquisti di beni e servizi», eludendo di fatto le norme precedentemente riportate e attuando soluzioni spesso più onerose di eventuali contratti, quali ad esempio quelli a tempo determinato,

impegna il Governo:

   ad istituire, in sede di Conferenza Stato-regioni, un tavolo di confronto al fine di individuare le modalità di rivisitazione, nel rispetto della programmazione come stabilito dalle normative vigenti, delle norme di gestione del personale degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, facendo si che i risultati del tavolo di lavoro sopra indicato siano presentati entro e non oltre il 30 aprile 2015, data di scadenza per la presentazione dei costi e dei fabbisogni standard (comma 602 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190);
   al fine di assicurare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, ad assumere iniziative per una deroga al blocco del turn over del personale del servizio sanitario nazionale, applicandola anche alle regioni sottoposte ai piani di rientro;
   ad assumere le iniziative di competenza, anche di concerto con la Conferenza delle regioni, al fine di semplificare ed attuare le procedure di mobilità interregionale del personale sanitario in relazione alle piante organiche e alla garanzia di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
(1-00767) «Grillo, Baroni, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero, Cecconi, Dall'Osso, Tripiedi, Ciprini».

Risoluzione in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il disegno di legge del Governo sulla «Buona scuola», pur ampiamente annunciato e pubblicizzato da tempo sui media, sarà probabilmente trasmesso al Parlamento nei prossimi giorni;
    il Consiglio dei ministri ne aveva approvato le linee guida il 3 marzo 2015, mentre il disegno di legge è stato licenziato dal Consiglio dei ministri il 12 marzo. Il testo risulta essere stato successivamente ancora riscritto;
    in gioco c’è l'assunzione di 100.701 precari mentre non sembra che gli altri 50 mila precari della scuola siano stati presi in considerazione al fine della loro stabilizzazione;
    i tempi sono però decisivi: se il disegno di legge non diventerà legge entro la fine di maggio, a causa dei tempi amministrativi, le assunzioni per il prossimo anno scolastico non saranno possibili;
    per completare l’iter parlamentare dell'annunciato disegno di legge sulla «Buona scuola», un provvedimento importante e complesso, serve un tempo non ristretto, considerando anche l'esigenza di ascoltare le molteplici realtà coinvolte ed interessate alla riforma della scuola. Peraltro nelle prossime settimane si festeggia la Pasqua, il 25 aprile ed il 1o maggio. Inoltre, ad avviso dei firmatari del presente atto, i parlamentari saranno anche impegnati nella campagna elettorale per il rinnovo di diversi consigli regionali;
    pur in presenza di un utilizzo debordante della decretazione d'urgenza, sussistono, nel caso in specie ad avviso dei firmatari del presente atto i requisiti di necessità ed urgenza di cui all'articolo 77 della Costituzione per quanto concerne un piano assunzionale straordinario per l'anno scolastico 2015/2016 del personale della scuola,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative urgenti per definire un piano assunzionale straordinario per l'anno scolastico 2015/2016 del personale della scuola, e contemporaneamente, ad inserire nel disegno di legge sulla «Buona scuola» un piano pluriennale di assunzioni di docenti e ATA per risolvere definitivamente il problema del precariato del personale della scuola.
(7-00638) «Giancarlo Giordano, Pannarale».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio nazionale degli utenti (CNU) da anni si occupa istituzionalmente di tutela dei minori, ed ha ricevuto numerose proteste e allarmanti segnalazioni da parte di molti genitori e di associazioni che svolgono un'intensa attività di monitoraggio dei videogiochi violenti e inadatti ai minori studiando l'impatto emotivo e psicologico che possono avere sull'evoluzione della personalità;
   a parere del CNU, la mera indicazione di gioco idoneo ai maggiori di 18 anni, segnalata dal codice PEGI attraverso il numero 18 inscritto in un riquadro rosso riportato sulla confezione, non costituisce deterrente sufficiente per inibire l'acquisto di un prodotto inadatto ai minori a causa della errata percezione da parte del pubblico che spesso lo scambia per un livello di difficoltà e non impedisce la vendita ai minori da parte dei negozianti non trattandosi di un divieto;
   il n. 18 in un riquadro rosso riportato sulla confezione del videogioco infatti, significa letteralmente, secondo lo stesso PEGI (Pan European Game Information), che il gioco è «adatto alla maggiore età e implica la descrizione di scene di violenza molto realistiche, a volte così pesanti da indurre sentimenti di disgusto e repulsione. Per violenza si intende non solo la presenza di ferite, mutilazioni e morte di personaggi assolutamente realistici, ma anche l'eventuale presenza di immagini o rumori che possano alterare il normale stato psicologico della persona, provocando sensazioni di paura, angoscia o stress»;
   il linguaggio può essere estremamente volgare, le scene di sesso possono avere connotazioni esplicite, così come l'uso di sostanze stupefacenti;
   davanti a questa situazione estremamente dannosa per i minori, il CNU auspica un pronto intervento normativo che porti a sanzioni efficaci per chi vende ai minori videogiochi inadatti ed una campagna informativa sui media per sensibilizzare i genitori sui pericoli legati all'utilizzo da parte dei minori di videogiochi adatti agli adulti –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per rendere più visibile ed esplicito il divieto di vendere tali videogiochi ai minori e se intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre adeguate sanzioni nei confronti di coloro che vendono tali videogiochi anche ai minori. (3-01393)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, D'INCÀ, CASO, BRUGNEROTTO, CARIELLO, CASTELLI e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il piano strategico degli investimenti predisposto dal presidente della Commissione europea Junker, che dovrebbe rispondere alla crisi dell'eurozona con investimenti per ben 315 miliardi di euro, coniugando la spesa anche pubblica e la flessibilità sui conti, sembrava promettete ai governi che decidono di contribuire al Fondo strategico (EFSI), di poterlo fare senza che quelle risorse venissero conteggiate nel deficit;
   sembrerebbe quindi possibile sottrarre dal deficit i cosiddetti investimenti pubblici produttivi (quelli che generano crescita) a condizioni più sostenibili rispetto a quelle che in passato erano sottoposte all'ortodossia rigorista che in questi anni ha regnato a Bruxelles, e anche grazie a questo alcuni Paesi hanno annunciato il loro contributo all'EFSI: Germania, con 10 miliardi, Francia, con 8 miliardi, Italia, con 8 miliardi e Spagna con 1,5 miliardi;
   l'intenzione dell'Italia sarebbe quella di versare il contributo attraverso la Cassa depositi e prestiti come propria National promotional bank (Npb), la quale, risultando esterna al perimetro pubblico, dovrebbe poter spendere i suoi 8 miliardi senza conseguenze per i conti italiani e senza rischiare altresì di versare il contributo nel calderone europeo senza avere poi la certezza di recuperarli tramite il finanziamento di progetti di interesse nazionale;
   come si evince in una nota del «Manual on quarterly non-financial accounts for general government», Cassa depositi prestiti (CDDPP) è una realtà del Governo centrale extra-budget; da dicembre 2003 Cassa depositi e prestiti è classificata fuori dal settore S.13 (settore dove vengono inseriti i dati governativi);
   nel paragrafo 4 dell'Annex 1 della comunicazione sulle regole in tema di patto di stabilità e crescita della Commissione europea «Making the best use of the flexibility within the existing rules of the stability and growth pact» (Strasbourg, 13 gennaio 2015 – COM(2015) 12 final provisional) viene indicato che «L'impatto sui conti dei contributi tramite Npb dipenderà dal fatto se questa sia classificata dentro o fuori dal perimetro pubblico. Se interna, l'impatto sarà esattamente lo stesso che se fosse direttamente il Governo a procedere a fare gli investimenti. Se sarà esterna, impatterà lo stesso sui conti se la Npb farà l'investimento a nome del governo», lasciando dunque ampio margine di interpretazione alla regola, con tutti i rischi che questo può determinare, come sottolineato anche dall'articolo «Piano Juncker, nella postilla c’è l'insidia per il deficit» della rivista Affari e Finanza de La Repubblica del 16 marzo 2015 –:
   se il Governo sia al corrente della questione descritta in premessa e se non consideri necessario ed urgente fare chiarezza in merito;
   se il Governo non intenda attivarsi affinché non vi sia alcuna discrezionalità e per rendere possibile e certo l'utilizzo della Cassa depositi e prestiti, senza che le risorse impiegate vengano conteggiate nel deficit, affinché il Piano Junker possa costituire davvero una risposta positiva alla crisi in atto nel nostro Paese.
   (4-08550)


   CATANOSO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da numerosi organi di stampa, la multinazionale del fast-food McDonald's è diventata «Official sponsor» di Expo 2015;
   secondo quanto aveva inteso l'interrogante, Expo 2015 doveva essere un evento «educativo» sotto l'aspetto della nutrizione e dell'alimentazione;
   non è intenzione dell'interrogante giudicare l'azienda McDonald's che peraltro, in Italia, ben figura tra le migliori aziende sia dal punto di vista dei lavoratori (più del 90 per cento sono assunti a tempo indeterminato) che dei fornitori (più dell'85 per cento sono italiani);
   sempre a giudizio dell'interrogante, però, una multinazionale del cibo «veloce» come la McDonald's, per quanto di alto livello dal punto di vista organizzativo, della qualità degli ingredienti, della formazione e della qualificazione del personale non può rappresentare l'eccellenza italiana dell'agroalimentare e non dovrebbe figurare come Official sponsor del Padiglione italiano in una manifestazione che come tema ha la volontà di «nutrire il Pianeta, Energia per la Vita» e che, da quando esiste, non è altro che la vetrina del Paese ospitante come di tutti quelli che vi aderiscono;
   vi sono sicuramente nomi e marchi nazionali prestigiosi e qualificati da evidenziare in questa vetrina mondiale dell'agroalimentare italiano e su costoro il Governo italiano dovrebbe puntare ed investire risorse –:
   quali iniziative intenda adottare il Presidente del Consiglio dei ministri per una maggiore e migliore tutela dell'agroalimentare italiano e dell'immagine del nostro Paese nel mondo in occasione di Expo 2015. (4-08554)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, DAGA, MANNINO, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la fascia costiera del Piceno nelle Marche è inserita tra le aree marine di reperimento da destinarsi, qualora ne ricorrano le condizioni, ad aree marine protette così come previsto dalla legge n. 394 del 1991, articolo 36 comma 1 lettera «t»;
   l'area presa in esame è compresa tra le foci dei fiumi Chienti e Salinello e si estende verso il largo fino a tre miglia dalla costa (attuale limite per l'attività della pesca a strascico), con una superficie complessiva di circa 300 chilometri quadrati;
   in questo contesto l'Area marina protetta del Piceno si inserisce in una idea moderna di «parco», ovvero nella concezione di una gestione integrata, per lo sviluppo sostenibile della fascia costiera; gestione integrata nei senso più ampio dei termine, tendente a recuperare in una prima fase l'ambiente costiero e contestualmente a farlo convivere con le attività umane; che rappresenta un'alternativa al parco «santuario» classico, cui si ricorreva per «congelare» un ambiente naturale ancora in massima parte integro, impedendo in sostanza qualsiasi attività e suscitando anche opposizioni molto forti da parte dei residenti;
   la proposta dell'Area marina del Piceno ha come obiettivi:
    la conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità biologiche, di valori scenici, di processi naturali di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri economici;
    l'applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo ed ambiente naturale anche tramite la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici ed architettonici e delle attività umane;
    la promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;
    la difesa e ricostruzione degli equilibri idraulici e idrogeologici;
    la promozione della valorizzazione e della sperimentazione di attività produttive compatibili;
   il 6 luglio 1998, quattordici enti locali: le province di Ascoli Piceno e Teramo, i comuni di Fermo, Porto Sant'Elpidio, Porto San Giorgio, Altidona, Pedaso, Campofilone, Massignano, Cupramarittima, Grottammare, San Benedetto del Tronto, Martinsicuro, Alba Adriatica, costituitisi in comitato istituzionale promotore, con la provincia di Ascoli Piceno come capofila, hanno siglato un accordo di programma per l'attuazione e la promozione di programmi ed iniziative volte alla realizzazione dell’«Area Marina Protetta del Piceno»;
   il 23 marzo del 2006 venne firmata la proroga dell'accordo di programma tra gli stessi enti promotori;
   nell'aprile del 2010 la conferenza unificata Stato-Regioni ha espresso parere favorevole al decreto istitutivo del «Parco marino del Piceno» e al relativo regolamento di gestione;
   lo scoglio di San Nicola e l’habitat che lo accoglie sono in attesa di essere identificati come sito di importanza comunitaria. La proposta di riconoscimento è stata ufficializzata e sottoposta al Servizio ambiente e agricoltura – PF Aree protette della regione Marche per l'avvio della procedura di costituzione del SIC Costa del Piceno-San Nicola a Mare;
   il sito in esame corrisponde al tratto identificato nel piano del parco Marino del Piceno come zona di tutela integrale (tipo A);
   per completare l'iter di istituzione del Parco marino del Piceno mancherebbe solo la firma del Ministro dell'ambiente, alla quale sono legati anche i primi finanziamenti pari ad euro 250.000,00;
   nella stessa situazione di stallo del Parco Marino del Piceno versano quasi tutte le altre riserve o parchi marini indicati all'articolo 36 della legge quadro sulle aree protette 394 del 1991 –:
   se il Ministro intenda procedere con l'istituzione del Parco Marino del Piceno;
   se sia in grado di illustrare quali siano ad oggi le situazioni rispetto agli iter autorizzativi per l'istituzione dei parchi marini elencati all'articolo 36 della legge 394 del 1991 e in che modo intenda procedere rispetto ai medesimi. (3-01394)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   BORGHI, CASTRICONE, BRAGA e BRATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel sito di Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara, ed in particolare nell'area cosiddetta Tre Monti, si trova una discarica abusiva di rifiuti chimici, con due milioni di metri cubi di terreno contaminato e le acque di falda compromesse e non più utilizzabili a fini potabili e alimentari;
   del disastro ambientale sono responsabili Montecatini, Montedison, Monteflus e Ausimont fino al 2002, per aver nascosto in un terreno di proprietà dell'ex colosso della chimica italiana, oltre 500 mila tonnellate di veleni e rifiuti industriali e per aver gestito lo stabilimento in modo ambientalmente discutibile;
   l’iter processuale è stato lunghissimo e si è risolto in primo grado con la sentenza del 19 dicembre 2014, con la quale la corte d'assise di Chieti ha mandato assolti tutti i diciannove imputati, ex amministratori e vertici della Montedison, dal reato di avvelenamento delle acque e, per quanto riguarda l'altro capo d'imputazione, il disastro ambientale, ha derubricato il reato in disastro colposo, assolvendo gli imputati per sopraggiunta prescrizione;
   il 2 febbraio 2015 sono state depositate le motivazioni della sentenza secondo la quale non ci sarebbe stato pericolo per la salute pubblica e le condotte poste in essere dagli imputati non denoterebbero una «comune e precostituita volontà criminosa, frutto della volontà di occultare lo stato di contaminazione della falda, potendosi al più ritenere che vi sia stata la volontà di rappresentare un quadro della contaminazione del sito dello stabilimento tale da limitare le doverose attività di messa in sicurezza e bonifica»;
   a sua volta il Consiglio di Stato, il 9 marzo 2015, ha accolto il ricorso in appello di Edison Spa avverso il provvedimento di diffida, adottato il 9 settembre 2013 dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che obbligava la società a rimuovere i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle discariche realizzate in località Tremonti e nelle aree a monte dello stabilimento industriale, ripristinare integralmente lo stato dei luoghi mediante la rimozione delle discariche ed eventuali altre fonti di contaminazione ancora attive, procedere alla bonifica delle matrici ambientali che dovessero risultare contaminate;
   il Consiglio di Stato ha censurato, in particolare, la scelta del Ministero di basare il provvedimento di diffida su una norma del 1995, peraltro già abrogata, relativa a un tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi e recante una sanzione pecuniaria per l'esercizio di discariche abusive o l'abbandono di rifiuti, anziché fare riferimento al Testo unico sull'ambiente, che dal 2006 regola il procedimento di messa in sicurezza e bonifica dei siti inquinati;
   sono passati 11 anni dalla presentazione del Piano di caratterizzazione di Solvay che già nel 2004 aveva evidenziato il gravissimo stato di contaminazione dell'area; 8 anni dal sequestro, delle discariche Tremonti e 2A e 2B; 7 anni dal decreto di perimetrazione del Sito nazionale di bonifica, ma attualmente non un metro quadro di terreno delle discariche è stato riqualificato;
   il piano di bonifica e messa in sicurezza delle aree esterne e interne del sito di Bussi non è stato ancora predisposto e tale situazione impedisce la realizzazione di un accordo di programma finalizzato a stabilire le modalità di insediamento di nuovi investitori nei siti interessati per consentirne la reindustrializzazione –:
   quali misure intenda assumere per superare il grave rallentamento determinato dalla sentenza del Consiglio di Stato del 9 marzo 2015, al fine di garantire il raggiungimento dell'obiettivo di rimozione dei rifiuti, attuazione del piano di bonifica e di messa in sicurezza delle aree, valutando l'opportunità di rinnovare il provvedimento di diffida ai sensi delle vigenti norme del TU delle norme in materia ambientale. (5-05154)


   ZOLEZZI, DE ROSA, DAGA, TERZONI, BUSTO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Mantova sorge un ponte a scavalco del fiume Po tra i comuni di San Benedetto Po (in sponda destra) e Bagnolo San Vito (sponda sinistra) che collega le province di Mantova e Modena e costituisce uno dei manufatti più importanti dell'intero patrimonio dell'asta del Po, soprattutto in considerazione della sua collocazione strategica, rappresentando un punto di passaggio nevralgico perché posizionato centralmente al tratto navigabile del Po, immediatamente a monte della foce del Mincio e della conca di San Leone, connessione con il Fissero – Tartaro – Idrovia Padano – Veneta;
   dal punto di vista viabilistico l'arteria stradale (S.P. ex S.S. n. 413 «Romana»), alla quale il ponte appartiene, collega il Destra Secchia con il capoluogo di Mantova e con il casello autostradale di Mantova Sud della A22 ed è interessata da un ingente flusso veicolare, con un'alta percentuale di traffico pesante. Il ponte risulta realizzato negli anni compresi tra il 1964 e il 1966, su progetto e incarico del Compartimento ANAS della Lombardia;
   il ponte ha una lunghezza di 613 metri, suddivisa su 8 campate regolari, con luce teorica di 67 metri a cui si sommano due campate terminali di luce pari a 38,50 metri ciascuna. L'opera, di notevoli dimensioni, è stata danneggiata in maniera considerevole dal sisma del maggio 2012 e dagli eventi alluvionali del 1993-1994 e 2000 ed anche interessata, nei mesi di novembre e dicembre del 2014, dal ragguardevole innalzamento del livello delle acque che ha prodotto una piena, senza, però, portare ad esondazioni sulle aree esterne alle golene, come avvenne nel 2000;
   sulla sponda destra del fiume, adiacente al ponte, a valle dello stesso, in via Argine Po Nord 73 nel comune di San Benedetto, è presente l'azienda «Rondelli Arrigo srl», che svolge dagli anni ‘50 attività di escavazione e commercializzazione di inerti in un'area compresa nell'alveo del fiume Po, riparata da un argine molto elevato, di altezza maggiore rispetto all'attuale argine maestro del Po, che ha consentito di proseguire le attività aziendali anche durante la recente piena del novembre 2014. Attualmente tale azienda occupa a valle ben 3 arcate del ponte sul Po, per oltre 150 metri, restringendo l'alveo, deviando verso la sponda sinistra (che viene sottoposta a pressione anomala) le acque del fiume durante le piene e impedendo eventuali esondazioni controllate in golena, dunque creando un potenziale rischio idrogeologico;
   con esposto al procuratore della Repubblica di Mantova del 9 luglio 2007 dell'associazione Copagri (Confederazione produttori agricoli) veniva segnalato che il deposito di materiale in quell'area (350.000 metri cubi nel 2007, ora risultano essere circa 450.000) ostruiva 2 campate del ponte (ora sono 3) con un'evidente strozzatura (evidenziabile nei mappali) e possibili rischi per il deflusso delle acque in un punto già ristretto del fiume; a tale circostanza veniva ricondotto l'allagamento del comprensorio doganale Digagnola Po Morto (circa mille ettari, da sempre abitati) nel mese di ottobre dell'anno 2000, quando fu rilevato fra l'altro un dislivello fra monte e valle del fiume di oltre 50 centimetri, dovuto probabilmente alla strozzatura creata dall'ostacolo citato. Con tale esposto si voleva mettere a conoscenza l'autorità giudiziaria del grave rischio a cui gli abitanti di San Benedetto Po e Bagnolo San Vito risultavano sottoposti. Situazione che si è ulteriormente aggravata nel corso degli anni. A monte del ponte, sempre in sponda destra si trovano alcune abitazioni in area golenale;
   nel mese di novembre 2014 la piena del Po ha messo nuovamente a concreto rischio tutta l'area in questione; nel Po mantovano (dal Viadanese fino a Felonica) le ordinanze di sgombero hanno riguardato 320 cittadini in particolare residenti nelle golene, per un evento che potenzialmente sarebbe stato il secondo del secolo in base ai calcoli dell'Agenzia interregionale per il Po (AIPO), se non si considera la piena del 1951;
   secondo quando riportato dalla «Gazzetta di Mantova» del 21 novembre 2014 il responsabile della sicurezza idraulica e direttore della sede mantovana dell'AIPO ingegnere Marcello Moretti, definisce l'avvenimento della piena del 2014 come eccezionale; difatti tutte «le quote raggiunte in tutta l'asta e nel Mantovano sono fra le più alte registrate dopo il 2000. Se non si considera l'evento del 1951, quando il Po era un altro fiume, completamente diverso da quello che abbiamo ora, siamo al terzo evento. In termini di centimetri, più bassi del 2000 e del 1994 (rispettivamente 9 metri e 96 e 9 metri e 28 a Borgoforte ndr) e più alti del 2002 (8 metri e 64 ndr). Ma stiamo facendo calcoli per ricostruire la portata che ha superato i 10 mila metri cubi al secondo e potrebbe essere più importante di quella del ‘94. Nella piena in atto, in sostanza, il Po alla fine si è allargato, anziché crescere». Interrogato sul ruolo giocato dalle golene, se rompendosi e allagandosi hanno salvato Mantova: «Direi che più che salvare, hanno contribuito in modo importante a tenere basso il colmo, «laminare» come diciamo noi in termine tecnico. In termini teorici è chiaro che più alto è il fiume e più critica è la situazione, ma le golene ci sono proprio per questo. Per noi è fiume»;
   il livello delle precipitazioni degli ultimi anni e la frequenza degli eventi alluvionali suggerisce l'incremento del rischio di fenomeni del genere e dovrebbe imporre una particolare attenzione per la sicurezza idrogeologica soprattutto nelle aree fortemente antropizzate, e in presenza di attività, come quella citata, che, eliminando di fatto l'area golenale, vitale per la sicurezza del fiume, compromettono la sicurezza idraulica del territorio del mantovano;
   il progetto attuale di ricostruzione del ponte, oggetto in questi mesi di conferenza di servizi provinciale, che prevede un ponte a due campate (rispetto alle 8 attuali), non appare agli interroganti, sufficientemente mirato a mettere in sicurezza idrogeologica l'area, né a garantire la sicurezza del traffico stradale, ma a tamponare la situazione e a garantire la navigazione per le «chiatte di tipo 5», imbarcazioni voluminose per il traffico merci, progetto che nella sua globalità potrebbe dare origine a potenziali e notevoli sconvolgimenti delle pregevoli aree in questione, con peggioramento del cuneo salino e impedimento dell'irrigazione in molte aree. Considerata la riduzione della movimentazione merci (dimezzata dal 2007) nell'area in esame, non si riconoscono le reali motivazioni che spingono a realizzare un traffico merci fluviale ex novo aggravando ulteriormente l'impatto ambientale in un territorio già esposto ad emergenze e criticità ambientali. La variazione dell'assetto fluviale, in caso di reale passaggio di tali imbarcazioni, necessiterebbe anche di dragaggio dei fondali con le conseguenti modifiche dell'alveo proprio in corrispondenza del ponte, dati gli evidenti accumuli di sabbie a monte di questo. Dal 1985 circa non avvengono più dragaggi in alveo, e questo dato andrebbe considerato in merito alla messa in sicurezza della zona e alla progettazione del nuovo ponte. Una sola pila in alveo risulterebbe rischiosa anche per questo motivo;
   il progetto del nuovo ponte prevede il raccordo della seconda arcata con l'attuale tratto di Ponte esistente sulle 3 campate, ostruite dalla cava stessa (per un costo iniziale di 30 milioni di euro per il lotto 1 e 10 milioni di euro per eventuale lotto 2); inoltre, prevede una luce totale (fra prima e seconda campata) di 330 metri, circa metà della lunghezza del ponte originario, e si basa sul pericoloso presupposto che le fondazioni riutilizzate del vecchio ponte siano in grado di sopportare i carichi della nuova struttura. Per raccordare il nuovo ponte alla seconda metà del ponte già esistente si prevede la costruzione della seconda arcata con una curva sfalsata, dettaglio progettuale possibile causa di ulteriore debolezza strutturale; senza considerare che l'alveo è invece rimasto, per caratteristiche dinamiche del fiume, lo stesso del 1964, come testimonia la recente piena del novembre 2014, con il rischio che si determini una riduzione della resistenza del nuovo ponte alle sollecitazioni, anche per l'utilizzo di materiali diversi e di differente vetustà nelle due strutture;
   inoltre, alla luce delle circostanze segnalate, a fronte del rischio che il fiume Po riprenda il suo naturale decorso, occupando la cava Rondelli, si avrebbe un ponte nuovo ma appoggiato ad una struttura decisamente instabile, quale è la rimanenza del vecchio ponte se venisse interessata dal passaggio del fiume;
   si presume che a causa del peso del materiale contenuto nella cava, della movimentazione terra in essa eseguito nel corso degli anni e del terremoto del 2012, l'attuale ponte possa aver subito un cedimento strutturale tale da modificare l'originale inclinazione del piano viario, mettendo a rischio la circolazione veicolare;
   il progetto presentato, al vaglio della conferenza di servizi provinciale, non risulta agli interroganti essere stato preceduto da una fase di relazione analitica sullo stato attuale del ponte e delle problematiche idrogeologiche sopravvenute, né dalla valutazione di soluzioni alternative in grado di garantire una trasformazione sostenibile del territorio –:
   se, in virtù delle gravi criticità segnalate, il Ministro interrogato intenda adottare le opportune iniziative di competenza al fine di affrontare la situazione di grave rischio idrogeologico e sismico dell'area in questione, e di salvaguardare l'incolumità pubblica, garantire la viabilità in condizioni di sicurezza e adottare soluzioni progettuali che minimizzino l'impatto ambientale e siano compatibili con le peculiarità paesaggistiche della zona. (5-05155)


   GRIMOLDI e GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15, comma 1, lettera c), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, ha introdotto nuove disposizioni in merito all'applicazione della normativa di verifica all'assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale dei progetti, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cosiddetto screening, al fine di superare le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione 2009/2086, avviata, principalmente, per la non conformità delle norme nazionali che disciplinano la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale con l'articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva medesima;
   la Commissione europea aveva infatti aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia contestando che, in contrasto con la direttiva 92 del 2011, la taglia di un impianto non doveva essere l'unica discriminante in base alla quale viene decisa la procedura autorizzativa. Per tale motivo, il decreto-legge competitività, n. 91 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 116 del 2014, ha modificato con l'articolo 15, comma 1, lettera c) la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale, sopprimendo, temporaneamente, le soglie dimensionali previste per l'assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale dei progetti dell'allegato IV del decreto legislativo 152 del 2006, contestate dall'Unione europea, nelle more dell'emanazione di un apposito decreto ministeriale. La norma citata ha quindi eliminato le soglie dimensionali di potenza per l'assoggettamento a valutazione di impatto ambientale anche degli impianti energetici prevedendo l'esame caso per caso dei progetti ai fini dell'applicazione o meno della valutazione di impatto ambientale;
   con atto di Governo n. 137 è stato sottoposto al Parlamento, e approvato con osservazioni e condizioni, lo schema di decreto ministeriale previsto dall'articolo 15 del decreto-legge 91 del 2014 che stabilisce nuove modalità di applicazione della disciplina dello screening da parte delle regioni;
   nell'ambito dell'intesa della Conferenza Stato-regioni, espressa il 18 dicembre 2014, è stata peraltro recepita una richiesta delle regioni presentata nella riunione tecnica del 20 novembre 2014, ed è stata emanata in accordo tra il Governo e la Conferenza una «nota esplicativa sul regime transitorio in materia di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, introdotto dall'articolo 15 del decreto-legge n. 91 del 2014» da applicare nel periodo transitorio fino all'entrata in vigore del citato nuovo decreto ministeriale;
   secondo tale nota, nel corso del regime transitorio, la procedura dello screening di cui all'articolo 20 del codice è effettuata caso per caso, sulla base dei criteri stabiliti all'allegato V del codice dell'ambiente, indipendentemente dalle eventuali soglie dimensionali già fissate dalla normativa regionale che limitano il campo di applicazione della disciplina di verifica di assoggettabilità;
   la citata nota esplicativa, per poter determinare in quali casi non sia necessario procedere né alla procedura di valutazione di impatto ambientale né allo screening e poter sostenere motivatamente l'assenza o la scarsa significatività di effetti sull'ambiente connessi alla realizzazione di determinati progetti, propone come strumento metodologico di riferimento la Guida della Commissione europea «Guidance on EIA-Screening» (2001) predisposta per fornire indirizzi operativi per affrontare la procedura di screening in accordo con i requisiti della direttiva valutazione di impatto ambientale;
   in particolare, la sezione B.4 della Guida indica come affrontare lo screening «caso per caso», attraverso l'utilizzo di checklist che supportano il processo decisionale e consentono giungere, motivatamente, sulla base dei criteri dell'Allegato III della direttiva valutazione di impatto ambientale, ad una valutazione conclusiva in merito alla sussistenza o meno di effetti ambientali potenzialmente significativi e negativi connessi ad uno specifico progetto;
   secondo il Governo, quindi, gli strumenti proposti dalla Guida della Commissione europea rappresentano un utile riferimento metodologico ed operativo per applicare correttamente, «caso per caso», la normativa transitoria di cui all'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge 91 del 2014 con particolare riferimento ai casi in cui, pur in presenza di progetti di modesta entità, sussistano dubbi e incertezze in merito alla presenza potenziali impatti ambientali significativi;
   c’è da segnalare che in questo periodo transitorio, come anche in altre circostanze simili, è avvenuta una eccessiva frammentazione del quadro regolatorio sul territorio nazionale. E infatti molte regioni hanno proseguito con la propria normativa regionale e altre si sono attivate per ridefinire detto quadro regolatorio in misura restrittiva attivando lo screening ambientale su tutti i progetti;
   un caso concreto è quello della società Suvenergy Sarl, che ha avanzato richiesta di autorizzazione per la costruzione e la conseguente messa in esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile di tipo «biogas» di potenzialità pari a chilowatt elettrici 600 e 618 chilowatt termici, sito nel comune di Forlimpopoli (Forlì-Cesena), località San Pietro ai Prati;
   gli impianti a biogas, e pertanto anche l'impianto di Forlimpopoli, nonostante classificati tra quelli che producono energia rinnovabile, incidono sull'inquinamento ambientale e sulla qualità di aria ambiente di cui al decreto legislativo 155 del 2012, in quanto emanano inquinanti, nocivi per la salute pubblica, come polveri ultrasottili e diossine e rifiuti di origine animale da smaltire mediante spandimento e interramento dei sottoprodotti in terreni agricoli;
   nella conferenza i servizi svoltasi in data 12 novembre 2015 per l'approvazione dell'impianto di Forlimpopoli sono stati prodotti ben quattro pareri, da parte di USL, ARPA, comune di Forlimpopoli ed HERA, ove tali enti, a quanto consta all'interrogante, esprimono dubbi e perplessità circa l'idoneità dell'ambiente in cui dovrebbe sorgere l'impianto, rilevando possibili conseguenze per la cittadinanza;
   gli enti interpellati hanno manifestato criticità in ragione della preesistenza di nuclei abitativi (centro storico di Forlimpopoli da un lato e zona residenziale di San Pietro ai Prati dall'altro) e della previsione di sviluppo urbanistico locale, adducendo perplessità in relazione alle emissioni odorigene e sonore, alla gestione dei reflui e agli scarichi in fognatura che andrebbero quindi a «contaminare» l'area abitativa circostante;
   non per ultimo si sono manifestate preoccupazioni, alla luce anche degli ultimi avvenimenti meteorologici, sulla capacità del sistema fognario di gestire, nelle attuali condizioni, una portata notevolmente aumentata di scarichi reflui;
   nonostante la evidente situazione critica dell'impianto di Forlimpopoli e nonostante la modificata normativa nazionale, su tale impianto si applicherebbe la circolare della direzione generale ambiente e difesa del suolo e della costa della regione Emilia Romagna, avente per oggetto «Indirizzi sull'applicazione dell'articolo 15 del decreto-legge n. 91 del 2014 convertito in legge n. 116 dell'11 agosto 2014» che appare in via generale difforme a quanto disposto con la nota esplicativa del Governo per il periodo transitorio, in quanto afferma che non vada eseguito lo screening per alcuni progetti sotto soglia (pagina 10, paragrafo secondo);
   tale circolare della direzione generale ambiente e difesa del suolo e della costa della regione Emilia Romagna appare in via specifica ancora meno applicabile su impianti energetici come il caso dell'impianto a biogas di Forlimpopoli, viste le condizioni di forte e grave impatto sull'ambiente circostante e sulla cittadinanza che possono provocare gli impatti a biogas, peraltro già dichiarati dal USL, ARPA, comune e HERA;
   il mancato assoggettamento a procedura di screening priverebbe i cittadini del diritto sancito dalle leggi vigenti in materia di valutazione di impatto ambientale di partecipazione al processo decisionale, di valutazione di siti alternativi e di valutazione del danno economico conseguente la perdita di valore degli immobili limitrofi all'impianto, quest'ultimo aspetto potendo essere oggetto di richiesta di rivalsa in sede di procedimento civile –:
   se in relazione alle descritte modifiche normative in materia di verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale delle opere elencate nell'allegato IV, alla parte seconda, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nelle more dell'emanazione dei nuovi criteri contenuti nel decreto ministeriale di cui in premessa, non siano più applicabili le soglie già previste dal citato Allegato IV, e, conseguentemente, tutte le categorie progettuali ivi previste, indipendentemente dalla taglia degli impianti, debbano essere sottoposte alla procedura di verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale. (5-05156)


   MATARRESE e D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono ormai numerosi gli articoli di stampa che denunciano la presenza sempre più frequente in diverse zone della regione Puglia di discariche abusive nelle quali sono stati interrati rifiuti tossici di varia natura;
   i ritrovamenti avvenuti nel tempo lasciano presupporre un quadro di inquinamento del territorio pugliese allarmante poiché sembrerebbe che, in più punti e da anni, siano stati sotterrati rifiuti tossici che sono causa di conseguenze disastrose per il sottosuolo, per l'ambiente e soprattutto per la salute della popolazione residente;
   dal 2006 ad oggi, infatti, sono molteplici le inchieste sullo smaltimento illegale di rifiuti in Puglia: le operazioni «Rabbit, Veleno, Black River, sulla megadiscarica che ha deviato il percorso del fiume Cervaro, Black Wear, sui rifiuti tessili bruciati e sotterrati» sono solo alcune delle più note e recenti;
   l'ultimo grave ritrovamento risale al 6 marzo 2015 e riguarda un'area probabilmente superiore ai due ettari a Bari, in località Santa Fara, sotto la quale sembrerebbe sia stata interrata una notevole quantità di rifiuti speciali e di amianto frantumato. La zona individuata e sequestrata dalla procura di Bari è vicina all'Ipercoop di Santa Caterina, al ripetitore Rai, al centro sportivo Angiulli;
   secondo quanto si evince dalle cronache e in base alle prime verifiche effettuate nel corso delle indagini, i rifiuti e l'amianto frantumato potrebbero essere stati sotterrati nella zona di Santa Fara circa dieci anni fa e in un periodo di tempo così lungo potrebbero aver causato non solo l'inquinamento dei terreni ma probabilmente anche delle falde acquifere e la contaminazione potrebbe essersi estesa anche ai terreni adiacenti;
   un recente rinvenimento di rifiuti tossici di vario genere in provincia di Bari è stato portato a termine dal Corpo forestale dello Stato (comando di Cassano delle Murge) a gennaio scorso. Nell'ambito delle indagini della direzione distrettuale antimafia di Bari sul fenomeno di interramento di rifiuti, gli uomini della forestale hanno rinvenuto amianto in uno dei versanti del torrente Picone in territorio di Sannicandro;
   già nel maggio del 2014, furono rinvenute circa cinquecentomila tonnellate di rifiuti di vario genere sotterrati nelle campagne di Ordona, in Provincia di Foggia e secondo le notizie di stampa le stesse indagini portarono alla individuazione di altri rifiuti illegalmente sotterrati anche nelle province della BAT –:
   se non intenda, per quanto di competenza, effettuare un monitoraggio dell'area ed una mappatura delle zone potenzialmente inquinate, anche attraverso le analisi delle falde acquifere interessate e se la rilevante presenza di amianto nell'area sia stata oggetto di interventi al fine di evitare rischi per la salute e per l'ambiente. (5-05157)


   SEGONI e PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce che le regioni nel rispetto dei principi e delle finalità di cui agli articoli 177, 178, 179, 180, 181 e 182 ed in conformità ai criteri generali stabiliti dall'articolo 195, comma 1, lettera m), ed a quelli previsti dallo stesso articolo 199, predispongono piani regionali di gestione dei rifiuti assicurando adeguata pubblicità e la massima partecipazione dei cittadini, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241;
   tali piani regionali prevedono misure tese alla riduzione delle quantità, dei volumi e della pericolosità dei rifiuti, e nello specifico contengono fra l'altro l'articolo 199, comma 3, lettere f) e h): le prescrizioni contro l'inquinamento del suolo ed il versamento nel terreno di discariche di rifiuti civili ed industriali che comunque possano incidere sulla qualità dei corpi idrici superficiali e sotterranei, nel rispetto delle prescrizioni dettate dal piano di bacino distrettuale ai sensi dell'articolo 65, comma 3, lettera f), e i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali di cui all'articolo 195, comma 1, lettera p);
   il piano regionale dei rifiuti toscano in via di approvazione prescrive nei criteri di localizzazione per le discariche che esse non siano realizzate in aree carsiche comprensive di grotte e doline, nonché in aree a pericolosità idraulica elevata e molto elevata (pagina 9 allegato di piano IV del PRB). In conseguenza a ciò il piano interprovinciale per i rifiuti (PIR) di Firenze, Prato e Pistoia riconosce espressamente (vol. 1, pag. 149) che le «aree carsiche» sono «non idonee» alla localizzazione di discariche di qualsiasi genere;
   nella ex cava di Paterno (Vaglia), confinante con un'area di pregio ambientale, ovvero il sito d'interesse comunitario SIC Monte Morello, è stata realizzata una discarica abusiva di terre e residui di lavorazioni industriali, contenente sostanze inquinanti per l'ambiente e pericolose per la salute umana, per la quale sono in corso indagini presso la procura della Repubblica di Firenze ed indagini epidemiologiche dell'Asl;
   la roccia su cui è stata abusivamente realizzata la discarica, che si trova in prossimità della frazione di Paterno e dei torrenti Carzola e Cerretana, è di natura calcarea, caratterizzata da profonda fratturazione e da fenomeni carsici, altamente permeabile, collegata alla falda idrica sotterranea da inghiottitoi quali doline, in zona sismica di categoria 2, la più alta della Toscana, in presenza di faglie attive insistenti proprio sul fronte di cava;
   le polveri contenute nella discarica si diffondono nell'ambiente e nell'aria; in caso di piogge s'infiltrano nel sottosuolo nella galleria dell'alta velocità e si riversano nel torrente Carzola, afferente nella Carza e affluente di destra della Sieve, inquinando le fonti sotterranee di approvvigionamento dell'acqua potabile dei comuni di Sesto, del Mugello a valle del comune di Vaglia e di Firenze, nonché le acque superficiali;
   il piano interprovinciale per i rifiuti di Firenze, Prato e Pistoia, recependo la disponibilità espressa dall'ex sindaco di Vaglia Fabio Pieri con nota dell'11 ottobre 2010, prot. n. 11239, ha deliberato che «È prevista la realizzazione nel comune di Vaglia, loc. ex cava Calce Paterno, di una discarica destinata a rifiuti contenenti amianto» (vol. 1, pag. 165);
   il consiglio comunale di Vaglia, all'unanimità, nella seduta del 26 febbraio 2014, ha revocato la disponibilità manifesta dall'ex sindaco Pieri, non essendone mai stato informato, e nella seduta del 29 settembre 2014, ha approvato una mozione con cui ha chiesto alla regione Toscana la «cancellazione di qualsiasi riferimento al sito ex cava di Paterno dal Piano Interprovinciale dei rifiuti e suoi allegati» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione quanto esposto in premessa e se intenda assumere iniziative volte a promuovere una verifica del comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente in ordine allo stato dei luoghi e al livello d'inquinamento dell'area in cui sorge la discarica. (5-05158)


   PELLEGRINO, ZARATTI, RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 9 marzo 2015 è stato reso pubblico un appello da parte di alcuni Enti e Istituti di ricerca (Ispra, Ingv, Cnr, Infn, ecc.) che hanno evidenziato come la tecnica dell’air gun per l'ispezione dei fondali marini (spari fortissimi e continui di aria compressa) è una tecnica utilizzata da anni per analizzare la struttura del sottosuolo tramite la tecnica della sismica a riflessione, e più in generale per fini scientifici. Secondo questo appello un eventuale divieto nell'utilizzo della tecnica dell’air gun, anche qualora limitato alle ispezioni dei fondali marini volte alla coltivazione di idrocarburi, significherebbe limitare la ricerca scientifica, con effetti negativi anche nei confronti delle stesse attività minerarie in Italia;
   la tecnica dell’air gun ha peraltro effetti negativi molto pesanti nei confronti dei pesci e della fauna marina circostante;
   sul sito dell'associazione ambientalista Greenpeace viene ripresa la notizia di questi giorni, che in America settantacinque scienziati hanno scritto al Presidente Obama per chiedere al governo statunitense di non accettare l'introduzione di test sismici per l'esplorazione di gas e petrolio lungo le coste del medio e sud Atlantico;
   in particolare l'appello dei professori, oceanografi, biologi e altri esperti del mare americani chiede che siano vietati gli air gun per la ricerca di idrocarburi in mare. Nella lettera gli scienziati hanno ricordato che gli air gun scoppiano a intermittenza, e una campagna di prospezioni comporta di solito qualche migliaio di esplosioni, con effetti potenzialmente devastanti per la vita del mare, a cominciare dai mammiferi marini. Questi test possono causare stress comportamentali e psicologici cronici per le balene e altri cetacei (fra cui il pericolo di separare i piccoli dalle madri), provocare la mortalità dei pesci e danneggiare le attività di pesca e interferire nei processi riproduttivi. Dette tecniche sono «un rischio inaccettabile di danni seri alla vita del mare a livello di specie e di popolazioni, la cui piena entità sarà pienamente compresa solo molto dopo che il danno sarà stato fatto». Gli air gun – continuano gli scienziati americani – possono causare anche mortalità nelle uova e nelle larve di pesce, possono causare perdita dell'udito, interferire con i richiami riproduttivi degli adulti e rendere meno efficaci le risposte contro i predatori: tutto ciò solleva la preoccupazione per impatti notevoli sulle popolazioni ittiche;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Galletti ha recentemente dichiarato la sua contrarietà all'introduzione del divieto dell'utilizzo dell’air gun –:
   quali siano le valutazioni del Governo in merito all'utilizzo della tecnica dell’air gun, volta a consentire le ispezioni dei fondali marini per la coltivazione di idrocarburi. (5-05159)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERZONI, ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la risoluzione n. 8-00039 «Iniziative del Governo nazionale per la verifica dei procedimenti autorizzatori regionali relativi alla realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili» la Commissione ambiente, in data 19 marzo 2014, ha impegnato il Governo ad acquisire elementi sull'attività autorizzativa esperita dalle regioni e dalle province relativa agli impianti che producono energia da fonti rinnovabili quali biogas, biomassa ed eolico, in osservanza del principio contenuto nel decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 «linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili» che espressamente richiede allo Stato, così come alle regioni e agli enti locali, di aggiornare le richiamate «linee guida» anche sulla scorta dei risultati del monitoraggio e sulla loro concreta attuazione, affinché tale azione concorra prioritariamente alla mitigazione degli impatti degli impianti sull'ambiente;
   il Governo è stato altresì impegnato a presentare entro 180 giorni alle Commissioni VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici) e X (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei deputati un dossier recante le relazioni riferite all'anno 2013, redatte dalle regioni e trasmesse al Governo, ai sensi del paragrafo 7.1 dell'Allegato recante «Linee guida per il procedimento di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi», con una valutazione sul rispetto delle linee guida di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010 e con un quadro sinottico degli impianti autorizzati e di quelli in esercizio –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire elementi rispetto a quanto riportato in premessa relativamente all'impegno assunto dal Governo a seguito dell'approvazione della risoluzione sopra indicata. (5-05139)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   l'entrata in vigore della legge Delrio (legge n. 56 del 7 aprile 2014 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni»), che rinnova l'assetto istituzionale degli enti locali italiani ridefinendone confini e competenze, rischia di compromettere la sopravvivenza di decine di musei, biblioteche e archivi di enti locali presenti sul territorio italiano e in particolare nella regione Campania;
   in base alle nuove disposizioni legislative, infatti, tutti i beni e i servizi culturali, fino ad ora di competenza provinciale, dovranno essere amministrati e finanziati da altri enti che non sono stati ancora individuati;
   le sezioni nazionali delle principali associazioni di musei, archivi e biblioteche (ICOM, ANAI, AIB), hanno aderito e promosso una campagna di mobilitazione nazionale (A chi compete la cultura?) per portare in luce i problemi introdotti dalla «riforma Delrio» sulla gestione del patrimonio culturale delle province, segnalando la necessità di scongiurare il pericolo che un'assegnazione non oculata delle competenze comprometta definitivamente la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale dei territori;
   costituiscono doveri istituzionali improrogabili:
    a) tutelare il funzionamento di centinaia di musei, biblioteche, archivi, istituti e sistemi culturali in tutta Italia, fino a oggi di competenza delle province e la salvaguardia del patrimonio da loro conservato e valorizzato;
    b) garantire l'apertura, la continuità, la qualità dei servizi culturali dei suddetti istituti e il funzionamento delle tante reti e sistemi che gravitano attorno ad essi;
    c) salvaguardare le competenze di centinaia di operatori culturali;
    d) garantire continuità ai progetti europei e agli accordi nazionali e internazionali che questi istituti Culturali hanno in essere;
    e) garantire che gli enti e le istituzioni chiamati a decidere in merito alla gestione dei beni culturali delle province riformate effettuino scelte gestionali che non depotenzino o dequalifichino gli istituti culturali coinvolti;
   in data 9 marzo 2015 durante l'esame del disegno di legge di riforma costituzionale presso la Camera dei deputati è stato accolto l'ordine del giorno n. 44 a prima firma Onorevole Rampi che impegna il Governo «a valutare l'opportunità di adottare utili iniziative, in un quadro di competenza condivisa con le Autonomie, in cui la tutela dell'interesse pubblico, soddisfatto da queste istituzioni, trovi nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il riferimento per definirne il futuro» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in merito alle problematiche suesposte. (3-01396)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i musei, le biblioteche, gli archivi, gli edifici storici e gli istituti culturali sono parte fondamentale del patrimonio culturale italiano;
   l'esecutivo ha più volte sottolineato come la crescita economica del nostro Paese passi anche dal rilancio del nostro straordinario patrimonio culturale;
   con l'entrata in vigore della legge n. 56 del 7 aprile 2014, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni», tutte le strutture e i servizi culturali – ovvero musei, biblioteche, archivi, istituti e sistemi culturali in tutta Italia – dal 1o gennaio 2015 sono passati dalla competenza provinciale a quella di altri enti, regioni e comuni, che hanno responsabilità amministrativa riguardo i finanziamenti, la gestione delle attività e del personale;
   alla data odierna pochissime amministrazioni pubbliche hanno deliberato facendosi carico delle strutture e dei servizi culturali precedentemente di competenza delle loro province;
   per sensibilizzare la pubblica, amministrazione su un tema così urgente per i nostri beni culturali, molte importanti associazioni del settore, tra le quali l’International Council of Museum – UNESCO Italia, l'Associazione italiana biblioteche, l'Associazione nazionale archivistica italiana, il MAB (Coordinamento permanente di musei, archivi e biblioteche), hanno lanciato il 17 gennaio 2015 sul web e alcuni social network la petizione pubblica «A chi compete la Cultura» indirizzata alle principali istituzioni coinvolte, che ha già raccolto migliaia di firme e che chiede la salvaguardia delle centinaia di musei, biblioteche, archivi diffusi su tutto il territorio nazionale;
   le organizzazioni fondatrici del coordinamento MAB, nella lettera inviata il 5 marzo 2015 alle autorità competenti, sollecitando una risposta sulla sorte dei servizi culturali svolti dalle province in materia di musei, biblioteche e archivi, a seguito dell'applicazione della succitata legge, hanno sottolineato che: «si riconoscono nelle posizioni assunte da ANCI e UPI là dove esse prevedono che la gestione dei beni e delle attività culturali debba essere “di norma attribuito ai Comuni”, e ritengono altrettanto «essenziale ed imprescindibile sviluppare – e non smantellare – le azioni di sistema che le Province e Città metropolitane svolgono a supporto degli istituti culturali locali, in particolare per quelli situati nei Comuni più piccoli», elaborando  «formule gestionali e modalità di sostegno al Comune capoluogo interessato affinché il servizio bibliotecario o museale possa essere garantito»;
   sarebbe opportuno concertare con le associazioni degli enti locali soluzioni gestionali dei beni culturali valide per l'intero territorio nazionale nel quadro dei nuovi scenari istituzionali in corso di definizione; scongiurare il rischio di interrompere servizi pubblici di reti bibliotecarie, di sistemi bibliotecari, di sistemi museali e di reti archivistiche; predisporre soluzioni organiche alla loro gestione;
   il rischio concreto è che per molti dei beni culturali, delle reti di collaborazione e dei progetti nati attorno ad essi, l'applicazione della legge n. 56 del 7 aprile 2014 si traduca in una drammatica chiusura o in un drastico ridimensionamento dei servizi essenziali offerti al pubblico;
   gli organi di stampa nazionale già da tempo danno ampia informazione sulle difficoltà dei beni culturali ex provinciali: 4 biblioteche ex provinciali della Puglia rischiano la chiusura e già da qualche giorno hanno dovuto ridimensionare i servizi e gli orari di apertura nonostante siano frequentate da 270.000 utenti ogni anno, posseggano 685.000 documenti fra libri e carte d'archivio; la rete delle biblioteche bellunesi, così come anche alcune delle biblioteche presenti in Cadore, rischiano di chiudere o fortemente ridimensionare un servizio che nel 2014 ha garantito a 17 mila utenti di ottenere 151 mila prestiti di libri, dvd o cd musicali, realizzando un risparmio per la collettività di quasi 3 milioni di euro; la biblioteca provinciale «M. Delfico» di Teramo, la più antica e duratura istituzione culturale del territorio, che nel 2014 ha celebrato il duecentesimo anniversario della propria esistenza, rischia di scomparire per inadempienze della propria amministrazione di competenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e, in tal caso, quali iniziative intenda avviare al fine di scongiurare l'interruzione delle attività di tutela e valorizzazione dei beni culturali nonché dei servizi per la pubblica fruizione di musei, archivi e biblioteche. (5-05136)


   SANI e DALLAI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 della legge numero 106 del 2014, al fine di sostenere la competitività del sistema del turismo nazionale, concede un credito d'imposta a favore degli esercizi ricettivi singoli o aggregati con servizi extra – ricettivi o ancillari, nella misura del trenta per cento dei costi sostenuti, per investimenti ed attività di sviluppo per la digitalizzazione;
   nel dettaglio il credito di imposta è riconosciuto per gli impianti wi-fi; per i siti web ottimizzati per il sistema mobile; per i programmi e sistemi informatici per la vendita diretta di servizi e pernottamenti; per gli spazi e pubblicità per la promozione e commercializzazione di servizi e pernottamenti turistici sui siti e piattaforme informatiche specializzate; per servizi di consulenza per la comunicazione e il marketing digitale; per gli strumenti per la promozione digitale di proposte e offerte innovative in tema di inclusione e di ospitalità per persone con disabilità; per i servizi relativi alla formazione del titolare o del personale dipendente;
   oltre agli esercizi ricettivi tradizionali sono diffusi uniformemente, nel nostro paese, gli agriturismi. Secondo gli ultimi dati Istat nel 2013 il numero delle aziende agrituristiche (aziende agricole autorizzate all'esercizio dell'agriturismo) è pari a 20.897,423 in più rispetto all'anno precedente (+2,1 per cento);
   l'agriturismo si conferma quindi una realtà ricettiva in sensibile aumento; si tratta di una attività tipicamente italiana, diversa dal turismo rurale, regolamentato negli altri Paesi europei. Lo stretto legame fra l'attività agrituristica e la gestione complessiva dell'azienda agricola qualifica il settore come una risorsa fondamentale della multifunzionalità aziendale e della realtà agricola nazionale. L'evoluzione degli agriturismi nel decennio 2003 – 2013 mette in luce la consistente crescita del comparto: le aziende agrituristiche aumentano del 60,5 per cento (da 13.019 a 20.897), quelle che offrono alloggio del 58,8 per cento (da 10.767 a 17.102) e gli «agriristori» del 69,8 per cento (da 6.193 a 10.514). Sempre fra il 2003 e 2013, sono in crescita anche i posti letto (+ 94.738);
   è inoltre universalmente riconosciuto come l'agriturismo abbia il merito di aver contribuito a promuovere l'attenzione sul settore agricolo e sul made in Italy rivitalizzando territori marginali e promuovendo produzioni di nicchia. Negli ultimi anni sono infatti notevolmente cresciute anche le aziende con degustazione e quelle con altre attività dirette a qualificare l'attività agrituristica rispetto al territorio in cui viene esercitata: 7.628 aziende svolgono contemporaneamente alloggio e ristorazione, mentre 10.184 aziende uniscono all'alloggio le altre attività agrituristiche (come ad esempio equitazione, escursionismo, osservazioni naturalistiche, trekking, mountain bike, fattorie didattiche, corsi di varia natura, attività sportive);
   l'attività agrituristica è disciplinata a livello nazionale dalla legge n. 96 del 2006, che ne definisce gli aspetti, le tipologie, e le finalità per la valorizzazione del patrimonio rurale e del territorio nazionale, demandando alle regioni e alle province autonome il compito di definire e caratterizzare l'attività agrituristica locale mediante l'emanazione di appositi provvedimenti legislativi;
   nonostante l'importanza del settore agrituristico per lo sviluppo sociale, economico ed occupazionale di territori, soprattutto marginali, ed il contributo dell'intero comparto alla valorizzazione delle ricchezze storiche, paesaggistiche, ambientali, enogastronomiche territoriali, le imprese agrituristiche sono escluse dai beneficiari di cui all'articolo 9 della legge n. 106 del 2014 –:
   se non ritenga necessario, al fine di sostenere la competitività dell'intero sistema del turismo nazionale, promuovere ogni iniziativa urgente utile al fine di ampliare la platea di beneficiari dell'articolo 9 della legge n. 106 del 2014 anche alle imprese agrituristiche, la cui attività è riconosciuta e disciplinata dalla legge n. 96 del 2006. (5-05138)

Interrogazione a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'archivio di Stato, come previsto dalla legge 22 dicembre 1939, n. 2006, venne istituito a Perugia nel 1941 sotto le dipendenze della soprintendenza archivistica per il Lazio, l'Umbria e le Marche, per assumere, poi, nel 1963 uno status autonomo. Alla fine degli anni ’50, vennero istituite le Sottosezioni di Archivio di Stato di Spoleto, Foligno e Gubbio, divenute poi Sezioni in seguito al decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, a cui poi, nel 1984 si è aggiunta la sezione di Assisi. L'archivio di Stato di Perugia dispone oggi di una rete di ben quattro sezioni, che non ha riscontro in nessuna altra provincia italiana;
   l'archivio di Stato di Perugia si compone di oltre 300.000 pezzi, tra membranacei e cartacei, con estremi cronologici compresi tra il 996 e il 1974. La documentazione, che occupa complessivamente circa 55.000 metri lineari di scaffalatura, è integrata da un consistente patrimonio librario che, tra volumi e opuscoli, oltrepassa il numero di 10.000 pezzi;
   tutte le sedi dell'istituto sono dotate di attrezzature e strumentazioni, apparati informatici e spazi che consentono il pieno svolgimento delle attività istituzionali: sale di studio, sale per la consultazione di atti amministrativi, biblioteche, aule didattiche e un laboratorio di restauro e fotoriproduzione presso la sede di Perugia. Le cinque sedi sono ospitate presso edifici monumentali delle varie città;
   complessivamente sono 59 gli operatori che prestano il loro servizio presso l'Istituto archivistico perugino. Inoltre, secondo i dati statistici elaborati dal servizio interno dell'Istituto, che trovano riscontro nelle relazioni annuali presentate al Ministero, si contano più di 20.000 presenze annue;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171 e, in seguito, con il DM 27 novembre 2014 gli istituti archivistici umbri sono stati fortemente penalizzati. Infatti, la riforma varata dal Ministro interrogato, priva l'archivio di Perugia del livello di istituto dirigenziale, declassandolo e disponendo il suo accorpamento con la soprintendenza archivistica delle Marche con sede ad Ancona;
   data l'importanza dei documenti presenti all'interno dell'istituto archivistico perugino, la mancanza della figura dirigenziale limiterà fortemente il campo d'azione, le possibilità di intervento, nonché le capacità propositive e operative che caratterizzano oggi l'istituto. A questo va aggiunto che l'istituto archivistico non rappresenta soltanto un servizio per i cittadini, ma anche una necessità imprescindibile per una regione che si caratterizza tra l'altra come universitaria avendo sul proprio territorio addirittura due Atenei, ossia altrettanti ampi bacini di utenza (stage, tirocini, ricerche, tesi di laurea, partecipazione ai Corsi di archivistica, paleografia e diplomatica) e che deve poter offrire agli studenti spazi e orari adeguati agli standard europei;
   il 24 febbraio 2015 è altresì intervenuto il Consiglio regionale dell'Umbria che ha approvato all'unanimità una mozione urgente, firmata da tutti i gruppi consiliari, contro il declassamento del sistema archivistico perugino, salvaguardandone il ruolo, la funzione e i relativi servizi;
   i sindaci delle città umbre coinvolte hanno sottoscritto un appello in tal senso, lanciato dalla presidenza del consiglio comunale di Spoleto –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere affinché sia salvaguardato l'archivio di Stato di Perugia con le sue sezioni, bene prezioso in cui è conservata la straordinaria memoria storica di un territorio, da valorizzare e tutelare e non da depauperare. (4-08544)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIBILIA, COLONNESE, PETRAROLI e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Sorgenia spa, nata nel 1999, è uno dei principali operatori del mercato libero dell'energia elettrica e del gas naturale, con circa 400.000 clienti su tutto il territorio nazionale, concentrati in particolare nel segmento dei professionisti e delle piccole e medie aziende. Dispone di impianti di generazione per circa 5.000 megawatt di potenza installata;
   Sorgenia spa, da gruppo Compagnie industriali riunite della famiglia De Benedetti (53 per cento) e dall'austriaca Verbund (46 per cento), in circa 10 anni di attività, ha accumulato un debito societario pari a 1,8 miliardi di euro per il quale si è reso necessario giungere ad un accordo di ristrutturazione con le banche creditrici a norma dell'articolo 182-bis della legge fallimentare che disciplina in forma negoziale i risanamenti di aziende;
   le principali banche creditrici della società erano Monte dei Paschi (600 milioni), Intesa-Sanpaolo (371 milioni), Unicredit (180 milioni), Ubi (180 milioni), Bpm (177 milioni), Banco popolare (157 milioni); il piano dei creditori ha dato vita ad un nuovo veicolo controllante, che ha quale primo azionista Mps con il 22 per cento, seguito da Ubi con il 18 per cento, Banco popolare con l'11,5 per cento, Unicredit con il 9,8 per cento, Intesa Sanpaolo con il 9,7 per cento, Bpm con il 9 per cento. Cir, Sorgenia Holding e Verbund non detengono più azioni di Sorgenia;
   il processo di ristrutturazione dell'indebitamento di Sorgenia attuato nell'autunno 2014, ha previsto, tra l'altro, un aumento di capitale da 400 milioni di euro interamente sottoscritto dalle banche finanziatrici – e dunque anche MPS – attraverso la conversione di crediti nel capitale della società;
   a parere degli interroganti è inaccettabile che la Mps sia diventata la principale azionista di Sorgenia;
   nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano nella prospettiva della vigilanza europea, il 26 febbraio 2015 presso la VI Commissione finanze e tesoro del Senato della Repubblica si è tenuta l'audizione dei rappresentanti di Mps;
   in quella sede, il Presidente Alessandro Profumo e l'Amministratore Delegato Fabrizio Viola hanno rappresentato che «il Gruppo Mps ha superato l'AQR (Asses Quality Risk) confermando la solidità della struttura patrimoniale della Banca» e che «il Common Equity Tier 1 (CET1) post AQR è stato del 9,5 per cento (al 31 dicembre 2013), sopra la soglia minima prevista (8 per cento)»;
   gli interroganti contestano queste affermazioni che non rispondono in alcun modo al vero poiché dal rapporto stilato dalla BCE su Monte dei Paschi di Siena (pagina 2, cella B8) risulta che la banca abbia evidenziato un deficit di capitale per l'AQR pari a 845,37 milioni di euro, a fronte di un livello di capitale (CET1) di 6,99 per cento ovvero 101 punti base sotto la soglia dell'8 per cento. A questo risultato negativo sull'AQR si aggiunge per il deficit generato dagli stress test per un importo cumulato di ben euro 4,2 miliardi incluso l'AQR;
   nonostante la banca sia stata salvata grazie allo Stato italiano, cioè ai 4 miliardi di euro di prestiti (cosiddetti Monti Bond) di cui oltre un miliardo ancora da restituire ed il successivo aumento di capitale di 5 miliardi nel giugno 2014, il 26 ottobre 2014 la Banca centrale europea ha stabilito che mancano ancora 2,5 miliardi di capitale per mettersi in regola;
   Monte dei Paschi di Siena, dal 2011 ad oggi, ha registrato perdite per circa quindici miliardi di euro, di cui circa dieci miliardi nel corso della gestione degli attuali vertici (presidente Profumo, amministratore Delegato Viola);
   sempre dal rapporto della BCE del 27 ottobre 2014 è emerso che la vigilanza europea ha trattato come derivati una gigantesca operazione riportata da MPS come investimenti in titoli di Stato (la cosiddetta operazione Nomura) con questo potendosi prefigurare secondo gli interroganti possibili profili di responsabilità sui bilanci;
   i 5 miliardi di aumento di capitale versato dagli azionisti, la cui maggioranza è oggi costituita da migliaia di piccoli azionisti, sono andati letteralmente in fumo in meno di sei mesi (più di quanto abbia perso la capitalizzazione di Parmalat nei mesi che hanno preceduto il fallimento) e i vertici attuali della banca, a fronte di nuove perdite per oltre 5 miliardi appena annunciate per l'esercizio 2014, si apprestano a chiedere ai risparmiatori di versare altri 3 miliardi in un nuovo aumento di capitale che si intende varare a maggio-giugno 2015;
   di fatto gli aiuti di Stato pagati con i soldi dei contribuenti e le risorse raccolte con l'aumento di capitale (5 miliardi) eseguito a giugno 2014 e quelli che ancora si vuole raccogliere sono serviti anche per convertire il debito di Sorgenia in azioni, evitando il fallimento della società di De Benedetti;
   sull'Mps ed in particolare sul mancato commissariamento da parte della Banca d'Italia in virtù degli articoli 70 e seguenti del Testo unico bancario è stata presentata dal MoVimento 5 Stelle, in data 11 febbraio 2015; un'interrogazione a risposta in VI Commissione finanze della Camera dei deputati, ad oggi rimasta priva di risposta –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se sia mai giunta al Ministro interrogato la proposta di cui all'articolo 70 del TUB a seguito delle ingenti perdite (15 miliardi in 4 anni);
   se il Ministro condivida la riconferma del vertice di MPS (presidente Profumo e amministratore delegato Viola) proposta dalla fondazione MPS su cui il Ministro delle economia e delle finanze ha funzioni di controllo;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, se del caso normative, al fine di evitare che le banche che hanno ricevuto rilevanti risorse pubbliche, ad esempio per il tramite dei cosiddetti Monti bond, possono porre in essere operazioni commerciali come quelle descritte in premessa che, finendo per aumentare la passività delle banche, potrebbero mettere a repentaglio l'integrale restituzione di quanto assegnato dallo Stato. (5-05147)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI, CIPRINI, TRIPIEDI e BUSINAROLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione sindacale di base (USB), in seguito al nuovo assetto dell'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, e dopo alcune riunioni svolte insieme ai lavoratori di Roma e quelli di Foggia, ha ritenuto opportuno sviluppare un proprio documento di analisi sul lavoro possibile e sul futuro indirizzo produttivo dell'IPZS, al fine di avviare un confronto con il nuovo management aziendale, che riguardi il Piano Industriale 2015-2017;
   l'istituto dovrà affrontare una nuova stagione che – a detta delle organizzazioni sindacali – scioglierà tutte le contraddizioni sugli obbiettivi fissati quando l'IPZS diventò SPA, controllata al 100 per cento e dal Ministero dell'economia e delle finanze; i continui cambi di indirizzo, dovuti ai periodici cambiamenti del management aziendale e i forti ritardi del legislatore, si sarebbero sviluppati nel tempo, svilendo il ruolo che dovrà avere il Poligrafico nel nuovo scenario del sistema Italia;
   stando al documento redatto da USB, l'abbassamento e lo svuotamento del fatturato, causato dal grosso calo delle commesse tradizionali e dalla de-materializzazione dei lavori prodotti dall'Istituto, sarebbe indicativo del lavoro svolto all'interno dell'azienda; chi ha governato l'IPZS in passato, avrebbe fatto perdere la capacità all'Istituto di adattarsi al cambiamento tecnologico e alla trasformazione dell'amministrazione Pubblica, lasciandosi sfuggire quel ruolo di proattività, auspicato e mai realizzato, con lo Stato Italiano;
   l'articolo 17-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (cosiddetto «decreto del fare»), ha modificato la legge istitutiva dell'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato (legge 13 luglio 1966, n. 559) demandando a un decreto ministeriale di natura non regolamentare la stesura delle carte valori da produrre;
   la norma prevede che: «sono considerati carte valori i prodotti, individuati con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, aventi almeno uno dei seguenti requisiti: sono destinati ad attestare il rilascio, da parte dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni, di autorizzazioni, certificazioni, abilitazioni, documenti di identità e riconoscimento, ricevute di introiti, ovvero ad assumere un valore fiduciario e di tutela della fede pubblica in seguito alla loro emissione o alle scritturazioni su di essi effettuate; sono realizzati con tecniche di sicurezza o con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali di sicurezza ovvero con elementi o sistemi magnetici ed elettronici in grado, unitamente alle relative infrastrutture, di assicurare un'idonea protezione dalle contraffazioni e dalle falsificazioni»;
   in data 23 dicembre 2013 è stato emesso il decreto ministeriale di natura non regolamentare, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
   tale decreto aggiorna l'elenco riportato dal decreto ministeriale del 5 marzo 2004, introducendo ulteriori prodotti individuati in base alla succitata norma, che sono: le marche consolari, lo scontrino Gioco Lotto, le etichette prodotti agricoli e alimentari, la Carta elettronica multi servizi, Giustizia (CMG), Carabinieri (CMCC), la Carta di qualificazione del conducente, la Patente card, quella europea per macchinisti ferrovieri, le Etichette Visa Schengen, i documenti di viaggio per apolidi, per stranieri, per rifugiati e altri;
   ad oggi, tale decreto ministeriale risulta del tutto inattuato;
   a questo punto le organizzazioni sindacali reputano necessario che il legislatore avvii una vera e profonda riforma della legge istitutiva dell'Istituto, la n. 559 del 1966, al fine di riconoscere l'Istituto come soggetto la cui missione produttiva sia la salvaguardia degli interessi generali di tutela della pubblica fede, della sicurezza dello Stato, dell'ordine pubblico e della salute pubblica, attraverso la realizzazione di prodotti protetti dalle contraffazioni e dalle falsificazioni;
   una legge primaria così riformata consentirebbe all'Istituto di realizzare prodotti di alto valore aggiunto, oltre che creare vere e proprie strategie di mercato, passando così da soggetto attendista (che produce esclusivamente su commessa) a soggetto proattivo;
   l'esempio sono i «ricettari medici», il cui passaggio da prodotto cartaceo a prodotto elettronico, vede l'Istituto non protagonista nella trasformazione di un suo prodotto; come se la gestione di circa 640 milioni di transazioni che i cittadini fanno con le «ricette mediche» non siano «interessi generali di tutela della pubblica fede, della sicurezza dello Stato, dell'ordine pubblico e della salute pubblica»;
   in tal senso USB condivide che l'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato rimanga un soggetto pubblico a controllo del Ministero dell'economia e delle finanze, attraverso la realizzazione di una società in house providing; questo anche in considerazione del fatto che i principali operatori a livello europeo che presidiano gli stessi mercati del poligrafico sono pubblici e sono punti di riferimento istituzionali indiscussi all'interno del Paese di appartenenza, oltre ad essere strumenti essenziali nella realizzazione di strategie a livello Paese;
   in questo quadro di riferimento, nebuloso, il piano sindacale pone la sfida «dell'ottimizzazione dei processi esistenti»;
   anche su questo punto, il sindacato prende come riferimento i principali operatori europei, con i quali ha messo a confronto i macro-dati, quali fatturato e risorse umane occupate: i numeri dicono che i fatturati vanno dai 350 milioni a 450 milioni di euro per un'occupazione che va dai 1600 a 1700 dipendenti;
   il sindacato si dichiara altresì d'accordo al rientro della produzione dei «bollini farmaceutici» e della «carta materiale elettorale»; auspicando che le procedure che tendono ad esternalizzare le produzioni dell'Istituto, in modo particolare quella delle carte valori (vedi il caso Ungheria), non vengano ripetute anche dall'attuale management;
   il sindacato auspica anche la riorganizzazione del lavoro, superando il concetto di area di «Prestampa», «Stampa» e «Allestimento», introducendo il concetto di «Linea di Prodotto», attuando su questo nuovo tipo di organizzazione i livelli di flessibilità necessari per garantire la continuità di prodotto e la professionalità di chi opera;
   da quando l'Istituto è stato trasformato in spa nel 2002, le aree produttive sono state interessate da un crescente calo occupazionale, mentre paradossalmente le funzioni centrali hanno aumentato le risorse;
   in data 16 dicembre 2014, l'IPZS ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale ex articoli 24 e 4 della legge n. 223 del 1991, con conseguente collocazione in mobilità di 190 lavoratori e il timore è che anche questa volta le fuoriuscite di personale interesseranno maggiormente i lavoratori delle aree produttive che quelli delle funzioni centrali, a discapito del ruolo proattivo che l'Istituto dovrebbe avere;
   infatti si corre il rischio di creare buchi di professionalità importanti, che possono generare mancanze sulla produzione e abbassare la qualità del prodotto stesso –:
   quali azioni il Governo intenda intraprendere per dare esecuzione a quanto previsto dal decreto ministeriale 23 dicembre 2013 che ripristina l'unica legittima produzione in capo all'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, quale garante della tutela della pubblica fede, della sicurezza dello Stato, dell'ordine pubblico e della salute pubblica;
   quali misure i Ministri interrogati intendano adottare affinché vengano garantiti gli attuali livelli occupazionali di produzione. (4-08542)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la stragrande maggioranza degli enti locali sta affrontando con grave difficoltà la messa a punto dei bilanci di previsione degli enti;
   molte sono le cause che impediscono agli amministratori di programmare un bilancio equilibrato, riconducibili in massima parte alle scelte del legislatore statale di operare tagli di risorse al fondo di solidarietà comunque in maniera non compatibile con le finalità del fondo bensì calcolate al solo fine di ripianare o coprire misure legislative nell'ambito di provvedimenti non inerenti l'attività dei comuni;
   in una situazione generale di difficoltà finanziarie dei comuni, alcuni enti scontano penalizzazioni ancora superiori, a causa della mera scelta di criteri contabili, operate ancora una volta dal legislatore nazionale: ciò avviene tra le altre per quei comuni che gestiscono alcuni servizi sociali essenziali, come ad esempio le RSA;
   la gestione delle residenze per anziani, scelta positiva di comuni che intendono offrire un servizio importante per le famiglie, costituisce attività significativa in termini economici e, soprattutto per i comuni più piccoli, incide percentualmente in maniera consistente sul bilancio comunale, fino a rappresentarne il 50 per cento o più;
   i parametri di riduzione di spesa imposti dai provvedimenti di spending-review sono stati imposti in maniera lineare senza tenere conto che alcune voci, come la gestione delle RSA, hanno caratteristiche non comprimibili o perlomeno non con gli stessi criteri delle altre spese dell'ente –:
   se il Governo intenda prevedere iniziative, anche normative, specifiche riguardo agli enti locali specificati in premessa, affinché sia riconosciuta la specificità della gestione di alcuni servizi e ne consegua una adeguata rimodulazione dei tagli per i comuni che si facciano carico di tali servizi. (4-08543)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Prysmian Group nel contratto di sviluppo 2014, presentato dall'agenzia Invitalia, ha presentato un progetto di investimento di 48 milioni di euro nei tre stabilimenti di Arco Felice (NA), Battipaglia (SA), Pignataro Maggiore (CE), che prevede il miglioramento dell'efficienza della filiera produttiva dei cavi sottomarini, tramite utilizzo di nuove tecnologie e impianti innovativi, con agevolazioni pari a 32 milioni di euro circa, di cui 13 milioni di euro circa a fondo perduto e 19 milioni di euro circa in finanziamento agevolato con il fine di salvaguardare ed incrementare l'occupazione;
   l'agenzia di sviluppo Invitalia, società di diritto privato, vede come azionista unico il Ministero dell'economia e delle finanze;
   il gruppo Prysmian il 27 febbraio 2015 ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Ascoli Piceno lasciando circa 120 famiglie e le società dell'indotto senza una occupazione ed un futuro;
   il sito produttivo di Ascoli Piceno è il più efficiente del gruppo e da 15 anni circa registra il raggiungimento di tutti gli obiettivi di produzione;
   il territorio piceno ha visto negli ultimi sei anni una continua delocalizzazione delle multinazionali con la chiusura di importanti stabilimenti industriali, una perdita considerevole di posti di lavoro e l'incremento della disoccupazione;
   il 17 novembre 2014 a Sidney, Australia, sede centrale della Prysmian, lo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha elogiato il medesimo gruppo affermando: «Un'azienda italiana può essere leader nel mondo se noi coinvolgiamo la gente a lavorare giorno dopo giorno in un grande progetto, grazie del vostro lavoro, grazie della vostra qualità»;
   il 16 settembre 2014 a Bruxelles la Commissione europea ha approvato la nuova Carta di aiuti di Stato 2014-2020 determinando l'intervento finanziabile alle regioni già previste e in favore di altri comuni, tra i quali anche Ascoli Piceno dove è localizzato il sito produttivo che il gruppo Prysmian ha annunciato di dismettere –:
   in base a quali criteri l'Agenzia Invitalia ed il Ministero dell'economia e delle finanze erogano e monitorino i reali effetti di questi importanti finanziamenti;
   se non ritengano utile vincolare tale finanziamento se non all'incremento almeno al mantenimento dei livelli occupazionali 2014 del gruppo Prysmian, e se non ritengano di prevedere un finanziamento anche in favore del sito produttivo di Ascoli Piceno, che sinora si è contraddistinto per la sua efficienza;
   come sia possibile conciliare l'erogazione di finanziamenti pubblici in favore di un gruppo produttivo, con la finalità di salvaguardia ed incremento dell'occupazione, con la contestuale dismissione, da parte dello stesso gruppo, di un sito efficiente localizzato in altro territorio.
(4-08551)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2013 – dopo anni di formazione presso gli enti locali – la legge di stabilità n. 228 del 2012, all'articolo 1, comma 25, ha previsto un finanziamento di 7.500.000 euro per il «completamento del percorso formativo» di circa 3.000 lavoratori cosiddetti «tirocinanti» presso il Ministero della giustizia all'interno degli uffici giudiziari;
   la formazione era prevista per circa sei mesi, con relativa copertura finanziaria, per 230 ore totali;
   nell'anno 2014, nella legge di stabilità n. 147 del 2013, all'articolo 1, comma 344, il finanziamento è stato raddoppiato, con lo stanziamento di circa 15.000.000 di euro, dando vita al «perfezionamento del percorso formativo» che contemplava, entro il 31 dicembre 2014 un impegno di 460 ore per 2.924 unità;
   per l'anno 2015, nella legge di stabilità non sono state inserite previsioni normative inerenti i lavoratori in questione;
   il decreto-legge cosiddetto «Milleproroghe» del 31 dicembre 2014, n. 192 («Proroga di termini previsti da disposizioni legislative»), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2015, all'articolo 1, comma 12, ha previsto che «All'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, le parole: »31 dicembre 2014« sono sostituite dalle seguenti: «30 aprile 2015»; al relativo onere si provvede mediante l'utilizzo delle risorse del Fondo Unico Giustizia di cui all'articolo 2, comma 7, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181.»;
   in sostanza è stato previsto un impegno formativo è di circa 110-120 ore per un circa 2.650 unità di lavoratori da completare entro il 30 aprile 2015;
   forti dubbi restano sulla prosecuzione dei rapporti per il periodo successivo a tale data;
   il personale interessato più che svolgere un tirocinio o comunque una volta acquisita sufficiente professionalità è stato inserito nel ciclo lavorativo ed ha affiancato a tutti gli effetti i dipendenti interni, come più volte riconosciuto dal primo presidente della Corte di Cassazione, dal procuratore generale, dai presidenti dei tribunali e dai procuratori percependo però solo il rimborso spese per il tirocinio formativo;
   in numerosi incontri con rappresentanti del Ministero della giustizia ed i rappresentanti dei lavoratori è stato più volte ipotizzato un impegno per garantire il passaggio dallo status di «tirocinante» a quello di «lavoratore», prevedendo una forma di contratto, per tutti i 2.650 interessati, nel rispetto delle norme sul pubblico impiego, attraverso procedure pubbliche –:
   se il Ministro interrogato intenda prevedere modalità di inserimento lavorativo ed in quali forme e modalità per il personale che ha svolto in questi anni il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari del Ministero della giustizia. (5-05133)

Interrogazione a risposta scritta:


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del giudice di pace di Napoli nord ha accorpato il soppresso ufficio del giudice di pace di Trentola Ducenta e il soppresso ufficio del giudice di pace di Frattamaggiore;
   presso l'ufficio del giudice di pace di Napoli nord risultano in servizio diciotto giudici di pace;
   al 16 marzo 2015 risultano in servizio il seguente personale amministrativo; n. 1 direttore amministrativo; n. 2 cancellieri, di cui uno in comando proveniente dal comune di Trentola Ducenta fino al 16 novembre 2015; n. 2 assistenti, giudiziari; n. 1 operatore giudiziario; n. 1 ausiliario;
   uno dei due cancellieri, da quanto risulta, è stato trasferito al tribunale di Napoli nord con l'interpello del 2 luglio 2014 e si è in attesa del provvedimento;
   uno dei due assistenti giudiziari, da quanto risulta, è stato trasferito alla procura della Repubblica di Napoli nord con interpello del 2 luglio 2014 e si è in attesa del provvedimento;
   a seguito dei detti trasferimenti resteranno in servizio presso l'ufficio del giudice di pace di Napoli nord solo cinque unità, di cui una in comando fino al 16 novembre 2015;
   l'ufficio è impossibilitato per motivi di spazio e di carenza di personale amministrativo ad attivare l'ufficio del GIP;
   l'ufficio copie è aperto un solo giorno della settimana;
   l'ufficio soppresso di Frattamaggiore, ha numerose attività da normalizzare, tra cui anche il recupero crediti dall'anno 2009 –:
   quali siano le iniziative che il Ministero abbia intenzione di intraprendere per poter garantire il regolare svolgimento delle attività presso l'ufficio del giudice di pace di Napoli nord, in particolare circa l'adeguata implementazione del personali addetto. (4-08559)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUNO BOSSIO e CENSORE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 57 del 10 marzo 2015 è stata pubblicata la delibera 1o agosto 2014 del CIPE – Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001). «Variante di Cannitello»: modifica soggetto aggiudicatore (CUP J11H03000170000) (delibera n. 28/2014). (15A01742);
   in seduta di comitato Pre-Cipe del 18 luglio 2014 si era pervenuti alla deliberazione con la quale si modificava il soggetto aggiudicatore dell'opera denominata «variante di Cannitello» indicato prima in «Stretto di Messina spa, e successivamente in RFI spa, previo riscontro alle osservazioni del DIPE;
   nella citata seduta del 1o agosto 2014, il CIPE effettivamente prendeva atto della modifica del soggetto aggiudicatore della «variante di Cannitello» della linea ferroviaria Salerno Reggio Calabria, che, da quella seduta risulta essere RFI spa;
   i fondi relativi alla realizzazione della variante facevano capo per 19 milioni di euro alla Legge Obiettivo e per 7 milioni di euro al FSC (Fondo sviluppo e coesione – opere indifferibili);
   ultimamente, nell'anagrafe delle revoche e delle riassegnazioni – infrastrutture del (DIPE) i fondi relativi all'FSC (7 milioni di euro), risultano in tabella — revoche ex lege — come «successivamente rifinanziato», nota questa che, purtroppo, trova riscontro anche nello schema di decreto ministeriale contratto di programma 2012-2016 — parte investimenti sottoscritto la data 8 agosto 2014 tra la società RFI spa il, MIT, alla voce «altri definanziamenti ed accantonamenti» – «Studi e progettazioni Ponte sullo Stretto di Messina sponda Calabro/Siciliana per 7 milioni di euro»;
   nel caso in cui i citati fondi FSC non venissero rifinanziati o ripristinati potrebbero risultare insufficienti a completare quanto previsto nella originaria delibera CIPE n. 77/2009 in relazione agli interventi di «mascheramento della galleria artificiale e riqualificazione del lungomare di Cannitello» per la realizzazione dei quali era appunto previsto il finanziamento dei 7 milioni di euro di cui alla delibera n. 6/2012;

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 10 marzo 2015 della delibera CIPE del 1o agosto 2014 si dà finalmente il via alla fase attuativa, in particolare nelle modalità temporali, per cui: entro quindici giorni dalla data di pubblicazione, la società «Stretto di Messina S.p.a.», o in sua vece il commissario liquidatore previsto dal decreto-legge n. 179/2012) è tenuta a consegnare gli elaborati del progetto preliminare riguardante gli interventi di «mascheramento della galleria artificiale», già condiviso con la competente soprintendenza dei beni culturali, e il relativo quadro economico, a «RFI S.p.a.», che, entro ulteriori quindici giorni, ne redigerà un aggiornamento e lo comunicherà al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   attualmente sul luogo dell'intervento è presente soltanto un cantiere dismesso da tempo da parte del «Contraente Generale Eurolink» e da uno «scatolare» in cemento armato che, come è stato definito, rappresenta «un manufatto esteticamente deteriore e paesaggisticamente deturpante» –:
   quali iniziative il Ministero intende, assumere affinché sia scongiurato il rischio che l'opera, per mere ragioni di carattere burocratico-amministrativo, non possa essere completata in ogni sua parte a causa di una possibile insufficienza dei fondi necessari alla sua realizzazione per difetto di rassegnazione di risorse già, peraltro, disponibili;
   quali ulteriori iniziative il Ministro interrogato intenda assumere affinché i lavori per la realizzazione dell'opera siano rapidamente riavviati anche al fine di rimuovere una situazione di grave degrado ambientale e paesaggistico in quell'area. (4-08541)


   BONAFEDE e SIBILIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo 2007, per un valore complessivo dei lavori di 710 milioni di euro – ad oggi, 770 per varianti intervenute – Coopsette, in qualità di general contractor dalla stazione appaltante e committente (RFI – Rete ferroviaria italiana, interamente controllata da Ferrovie dello Stato italiane, le cui quote azionarie sono detenute dal Ministero dell'economia e delle finanze) si aggiudicò l'affidamento delle attività di progettazione esecutiva, direzione dei lavori, realizzazione del passante ferroviario alta velocità del nodo di Firenze, della nuova stazione alta velocità, delle opere infrastrutturali connesse alla fluidificazione del traffico ferroviario (Scavalco), nonché le opere propedeutiche, funzionali ai due lotti in cui è articolata l'opera;
   per la realizzazione delle attività menzionate, l'affidataria costituì, nel maggio 2007, NODAVIA società consortile per azioni, partecipata al 70 per cento dalla stessa Coopsette;
   come emerso nel settembre 2013 sulla stampa locale e nazionale, relativamente alla realizzazione delle predette opere, la procura di Firenze svolse un'inchiesta con relative indagini penali sui reati di associazione a delinquere, truffa, corruzione, abuso d'ufficio, traffico illecito di rifiuti, frode in pubbliche forniture, e violazione delle norme paesaggistiche, nei confronti dei vertici della società affidataria, della committente, e funzionari pubblici, che determinarono l'emissione a loro carico di provvedimenti cautelari, nonché, il sostanziale fermo dei lavori;
   anche in ragione degli sviluppi di tale inchiesta, in base al più recente bilancio 2013, riferito all'anno 2014, della società Nodavia, soggetto attuatore dei lavori per il «passante» e lo «scavalco» dell'alta velocità ferroviaria fiorentina, si poteva evincere non solo un andamento dei costi in sensibile aumento al valore delle opere, ma si elencavano criticità tali da compromettere, a detta della stessa società, la fattibilità stessa dell'opera, evocando eventuali consistenti penali per RFI in caso di revoca dell'affidamento;
   le principali opere oggi realizzate sarebbero sostanzialmente le piazzole di stoccaggio delle terre a Santa Barbara e i pali di ancoraggio della stazione alta velocità ai Macelli, questi ultimi, secondo molti tecnici, sovradimensionati alle necessità; vi sarebbe poi un'imminente fase di scavo per la nuova stazione con l'abbassamento di cinque metri della stessa e la rimozione di circa tremila metri cubi di terra da conferire in discarica;
   nel documento di Nodavia si precisava che al 31 dicembre 2013 lo stato di avanzamento dei lavori era pari a euro 209.179.654;
   nel citato documento, al capitolo sulle «riserve», corrispondenti alla richiesta da parte del costruttore di maggiori prestazioni economiche dovute ad aumenti dei costi, ovvero quanto viene preteso in più rispetto agli accordi fatti, Nodavia rivendicava un notevole aumento di costi, attribuendone la responsabilità al committente (RFI), a causa del procedere rallentato dei lavori, quali la sotto-utilizzazione del cantiere, l'impossibilità di smaltire le terre di scavo come previsto, la mancanza di autorizzazione paesaggistica, la mancata definizione di alcune varianti economiche e progettuali, il tutto aggravato dal mancato «stop» richiesto ai lavori, individuando pertanto «riserve» ammontanti a euro 421.384.866 (quattrocento milioni) al 31 ottobre 2013, euro 528.184.977 (cinquecentoventotto milioni) al 30 aprile 2014;
   conti che dimostravano come i costi dei lavori del passante stavano comportando un aumento di oltre il 500 per cento, laddove, in 6 mesi, le «riserve» erano aumentate di euro 106.800.111;
   allorquando si individuano «riserve» nell'esecuzione di un'opera, di solito è il direttore dei lavori che stabilisce la congruità della richiesta e tale figura sarebbe a garanzia degli interessi del committente e da questo pagato, mentre, nel caso in questione, il direttore dei lavori risultava alle dipendenze dello stesso costruttore, generando – anche al di là delle evidenze emerse dalle seguenti indagini sul caso specifico – fondati dubbi sulla pienezza della tutela degli interessi (pubblici e privati) concorrenti;
   il 19 marzo 2014, nell'ambito di una seconda inchiesta coordinata dalla procura di Firenze denominata «Sistema» – relativa alla gestione illecita degli appalti delle cosiddette Grandi Opere, inclusa su tutte l'opera del passante fiorentino dell'alta velocità, sono effettuate oltre cento perquisizioni anche presso RFI –, iscritte cinquantuno persone nel registro degli indagati e spiccate quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, per i reati di corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti ed altri delitti contro la pubblica amministrazione;
   nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Firenze, si delinea come emblematica per il sistema corruttivo disegnato dall'accusa proprio la vicenda del nodo dell'alta velocità di Firenze in cui il presunto socio occulto, Stefano Perotti, del più alto dirigente della struttura tecnica di missione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Ercole Incalza, avrebbe assunto la direzione dei lavori dell'opera al solo fine di favorire i più altri profitti privati alle imprese appaltatrici, facendo lievitare tempi e costi per la realizzazione delle opere, a scapito dell'interesse economico pubblico e girando pertanto parte di tali profitti, mediante consulenze, allo stesso dirigente ministeriale;
   all'interno di detta ordinanza, per delineare il predetto illecito sodalizio corruttivo a carico degli indagati destinatari di misure di custodia cautelare, queste sono autorizzate «in relazione all'acquisizione, da parte di Perotti Stefano, della direzione lavori per la realizzazione del “Nodo Tav” di Firenze per il sottoattraversamento della città, “grande opera” di cui Incalza Ercole ha la responsabilità procedimentale quale capo della Struttura Tecnica di Missione del Ministero delle infrastrutture; avendo Incalza garantito un favorevole iter delle procedure amministrative relative al finanziamento dell'opera ed all'avvio ed allo svolgimento dei lavori, e comunque assicurato un trattamento di favore al general contractor “Nodavia”, in violazione dei doveri di trasparenza ed imparzialità e in contrasto con il perseguimento degli interessi pubblici così assicurando il proprio contributo al superamento di ogni ostacolo procedurale e amministrativo ed appoggiando le iniziative del contraente generale per ottenere la lievitazione dei costi dell'appalto, a fronte dell'affidamento a “Dilan.Fi società consortile a r.l.” (riferibile a Perotti Stefano), da parte di “Nodavia”, dell'incarico di direzione dei lavori per un importo di euro 21.750.000,00, ed avendo coerentemente il Perotti ed i suoi collaboratori nel consorzio “Dilan.Fi”, una volta ricevuto l'incarico, assicurato il massimo vantaggio economico a “Nodavia”, omettendo reali ed efficaci controlli e ratificando la necessità di applicare nuovi prezzi a fronte di lavorazioni in realtà già comprese nel contratto (quale, ad esempio, lo smaltimento di rifiuti in discariche di inerti) o assecondando le richieste e riserve economiche formulate dall'esecutore dell'opera per l'asserito ritardo nell'iniziare i lavori addebitabile alla stazione appaltante; avendo, dunque, Incalza Ercole agito in violazione dei propri doveri di ufficio ed in particolare del dovere, sancito dall'articolo 97 Cost., di fedeltà verso la pubblica amministrazione e di imparzialità nell'esercizio delle proprie funzioni»;
   nonostante le riportate preoccupazioni espresse da Nodavia in merito all'andamento ritardato dei lavori, dalla medesima ordinanza, risulta invero che il già presidente del consiglio di amministrazione della società consortile per azioni «Nodavia», era coinvolto — sempre secondo l'accusa in concorso con l'azienda cui era stata affidata la direzione e la progettazione dei lavori – in una «frode nell'esecuzione del contratto stipulato in data 28.5.2007 con “Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.”, in quanto fornivano una prestazione di direzione lavori del valore di euro 21.750.000,00, notevolmente inferiore a quello prestabilito di euro 42.724.066,25, così concordando che solo la metà dell'importo che “Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.” si era obbligata a versare fosse destinato a remunerare i servizi di direzione lavori, destinando la residua somma al pagamento di prestazioni o servizi non dovuti, occulti o illeciti, e che, in ogni caso, non potevano essere riconosciuti nel contratto come autonome voci di costa», rendendo inoltre possibile alla società Dilan.FI di fornire, in qualità di incaricata alla progettazione esecutiva, di direzione dei lavori di fornire prestazioni scadenti ed inadeguate, facevano mancare in parte il servizio di direzione dei lavori necessario per la realizzazione della «grande opera»;
   l'illustrato andamento dei lavori, i quali, a giudizio degli interpellanti, appaiono sin dall'iniziale affidamento viziati da insuperabili interessi privati e consorterie di affari presiedute da burocrati infedeli, ha subito peraltro ritardi notevolissimi altresì causati dalla stessa natura dell'opera pubblica il cui fine era sarebbe stato quello di garantire stipendi ed appalti e non più la realizzazione di una infrastruttura, tal che ormai – già dal 2011 – l'attività di direzione lavori per il nodo alta velocità di Firenze — si legge sempre nell'ordinanza – è definita uno «stipendificio» con importi gonfiati per attività quasi o del tutto inesistenti;
   alla luce dell'inchiesta riportata, sono da considerarsi ancor più fondate le preoccupazioni espresse nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-07118, presentato dal primo firmatario del presente atto il 2 dicembre 2014, cui non è ancora seguita una risposta, ove si stigmatizzava l'aumento dei costi stimato da Nodavia per l'eventuale completamento dell'opera, il quale avrebbe disegnato «un quadro di straordinario esborso a parte del committente RFI/Ferrovie dello Stato in ragione di un'opera che, oltre a diffusi rischi ambientali, non solamente rappresenta un rischio oggettivo per l'integrità di intere aree di una città classificata dall'Unesco “patrimonio dell'unanimità” come Firenze, ma che, ad oggi, non è stata neanche iniziata, laddove la stessa Nodavia indica l'inizio dei lavori di scavo veri e propri tra gennaio e giugno 2015»; nella stessa interrogazione si chiedeva, inter alia, allo stesso Ministro se il Governo non reputasse «di dover intervenire in qualità di azionista unico di RFI spa tramite Ferrovie dello Stato spa, per verificare presso il consiglio di amministrazione di tale società la sostenibilità economico-finanziaria di un'operazione come quella del sottoattraversamento fiorentino dell'alta velocità, i cui costi appaiono fuori controllo»;
   il compito della direzione dei lavori dovrebbe essere quello di impedire spese anomale e inoltre di esercitare un'adeguata sorveglianza affinché l'azienda controllata non gonfi le spese e non pretenda più denaro dalla parte pubblica, laddove, secondo quel che emerge dall'inchiesta della procura di Firenze, le finalità della direzione lavori per il passante alta velocità fiorentino sarebbero state di tutt'altra natura, ovvero improntate ad effettuare scarsi controlli, erogare alti compensi e garantire grandi vantaggi per i soci occulti delle società incaricate e determinare rilevanti corrispondenti perdite per la collettività;
   studi dell'università di Firenze, in luogo del rischioso, dispendioso ed inutile – considerando il risparmio netto in tempi di percorrenza ferroviaria di soli 4 minuti – programma di sottoattraversamento della città di Firenze per 7,5 chilometri, hanno da tempo prospettato un progetto alternativo, di superficie, dai costi complessivi entro 400 milioni di euro in grado di garantire un minore impatto urbanistico, ambientale, economico e sociale e di potenziare tutto il nodo ferroviario fiorentino quale straordinaria opportunità per la mobilità sostenibile dell'area metropolitana fiorentina –:
   se non ritengano non più rimandabile, sulla base di una precisa valutazione economica ed ambientale connessa agli aspetti giudiziari più o meno recenti che ne hanno segnato la mancata – sin qui – realizzazione, dar luogo ad un sostanziale ripensamento dell'opera stabilendo sia un piano finanziario sostenibile per l'abbandono della stessa che la conversione dell'attuale progetto in uno alternativo che preveda il passaggio «in superficie» dell'alta velocità ferroviaria da Firenze, al fine di evitare un incontrollato impiego di risorse pubbliche e di interrompere i lavori di scavo, dagli imprevedibili esiti geo- strutturali, del tratto in sottoattraversamento della città. (4-08548)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 12 marzo 2015 emerge la grave situazione di degrado e isolamento dovuto essenzialmente al totale abbandono in cui versa da tempo la stazione ferroviaria di Vibo-Pizzo, in provincia di Vibo Valentia;
   biglietteria ad orario ridotto, erba sui binari, sporcizia nei sottopassi, strade d'accesso impraticabili stanno preoccupando la popolazione locale che risulta angosciata a causa di questo evidente stato di abbandono e dell'incapacità degli organi preposti a mantenere la pulizia e il decoro di questa infrastruttura;
   tale situazione di incuria della stazione è stata denunciata dai pendolari di quel territorio, i quali sono costretti ad usufruire del trasporto pubblico per recarsi a scuola e a lavoro;
   l'afflusso di persone che utilizzano questa stazione e i servizi che essa offre risulta sempre maggiore e i passeggeri sono obbligati a viaggiare utilizzando i treni regionali notturni anch'essi oggetto di drastiche sforbiciate;
   il sovraffollamento, dovuto ai tagli che hanno interessato le corse regionali, specie quelle dirette da Vibo-Pizzo a Reggio Calabria e viceversa, operati indiscriminatamente da Trenitalia, ha posto la stazione vibonese in una posizione di fanalino di coda di una realtà destinata al degrado;
   a nulla sono valse le proteste dei cittadini che a tutt'oggi non hanno avuto nessuna risposta dalle Istituzioni e dalle autorità locali e che li vede costretti ad utilizzare i mezzi propri per raggiungere le principali città del litorale tirrenico;
   questo stato di abbandono si affianca al conclamato gap infrastrutturale calabrese, determinato da una crescente marginalizzazione del trasporto ferroviario regionale, caratterizzato solo da tagli, mentre sarebbe necessario e urgente un intervento finalizzato a sollecitare Trenitalia al fine di individuare soluzioni per il superamento delle suddette criticità;
   a parere dell'interrogante sarebbe opportuno nell'immediato promuovere un serio programma di risanamento e di bonifica della stazione e del territorio circostante –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione di degrado in cui versa la stazione ferroviaria di Vibo-Pizzo e quali iniziative intenda assumere per far fronte tempestivamente alle inefficienze e ai disservizi descritti in premessa. (4-08552)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 12 marzo 2015, si apprende che a Gimigliano, in provincia di Catanzaro, la strada provinciale 34, che collega Catanzaro con la statale 109, sta provocando grave disagio alla viabilità a causa della scarsa manutenzione a cui è sottoposta;
   la strada interessata dalla problematica risulta chiusa al transito nei pressi della frazione Cavorà, a causa della caduta di un muro dovuta ad una serie di smottamenti, legati alle recenti alluvioni che hanno imperversato costantemente nella zona;
   tale situazione è stata segnalata dalla popolazione, la quale si è riunita in un apposito comitato per chiedere aiuto alle autorità interessate per l'adozione delle opportune in iniziative;
   i lavori iniziati sulla strada vanno particolarmente a rilento e le zone critiche interessate dagli smottamenti della montagna sovrastante la strada non sono ancora stati risanati;
   senza questa strada, che rappresenta l'unica via di collegamento con il capoluogo di regione, considerato che la provinciale 32 risulta ancora in fase di ultimazione, i territori interessati dalla problematica sono costretti a vivere un forte isolamento che condiziona la vita degli abitanti che si vedono sempre più abbandonati;
   ancora permane inoltre il rischio di pericolo dovuto essenzialmente all'assenza del tratto che collega Gimigliano con Porto; e ciò mette a repentaglio l'incolumità degli automobilisti che quotidianamente la percorrono;
   risulta, pertanto, urgente che i programmati di interventi vengano completati nei tempi più urgenti, procedendo con la messa in sicurezza dei tratti mancanti;
   quanto premesso risulta particolarmente urgente anche in considerazione dell'inizio della stagione dei pellegrinaggi presso la Basilica di Porto, che consentirebbe ai visitatori una ordinaria viabilità;
   una delle principali risorse per la regione è rappresentata dal turismo religioso, che non può svilupparsi senza i necessari interventi in ordine alla viabilità e, più in generale, alle infrastrutture;
   i fatti esposti in premessa sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica e un urgente intervento al fine di creare le condizioni per una reale mobilità dei cittadini e per consentire la ripresa ordinaria delle attività di quella popolazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle notizie riportate in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per far fronte ai fenomeni di dissesto idrogeologico e contrastare i rischi derivanti da frane e smottamenti nell'area sopra indicata, promuovendo, se possibile, un tavolo di concertazione con le amministrazioni comunali interessate e con la provincia di Catanzaro per la messa in sicurezza della viabilità e delle infrastrutture e per la risoluzione delle descritte criticità. (4-08557)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE e SIBILIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Fondi è un comune italiano di circa 38.000 abitanti della provincia di Latina ed è noto per ospitare il secondo mercato ortofrutticolo più grande d'Europa con oltre un milione di tonnellate di prodotti ortofrutticoli l'anno. Un grande giro d'affari che ha sempre interessato la criminalità organizzata;
   l'8 settembre 2008, dopo una lunga serie di indagini e l'intervento di una commissione di accesso agli atti, viene presentata ufficialmente al Ministro dell'interno, una relazione di 507 pagine del prefetto di Latina, Bruno Frattasi, in cui si chiede di sciogliere il consiglio comunale di Fondi e si afferma espressamente, secondo quanto riferito sulla stampa locale, che «l'accesso, con evidenza documentale, ha consentito insomma di accertare che le diverse situazioni venute ad emergere, di per sé costituenti gravi, quando non gravissime, violazioni dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, non corrispondono ad episodici quanto deprecabili casi di cattiva amministrazione, ma presentano, anche per il fatto di riguardare ogni settore della vita amministrativa, il carattere della sistematicità. La qual cosa, unita all'oggettiva agevolazione di interessi economici di elementi contigui alla criminalità organizzata o da considerare ad essa affiliati, conferisce al quadro di insieme una pericolosità tale da dover essere fronteggiata con gli strumenti di rigore previsti dall'articolo 143 del testo unico»;
   nell'ottobre 2009 le dimissioni del sindaco di Fondi e dei componenti della giunta e della maggioranza del consiglio comunale portarono allo scioglimento dell'amministrazione ed al ritorno alle elezioni;
   il 26 aprile 2012, Andrea Palladino sul fattoquotidiano.it, nell'articolo «CITATO NELLA RICHIESTA DI SCIOGLIMENTO DI FONDI, IL PDL LO CANDIDA SINDACO DI GAETA» scrive: «Cosmo Mitrano era stato chiamato nel 2004 nel comune di Fondi come dirigente del settore mense scolastiche. La commissione di accesso inviata dal prefetto nel 2008 gli contestò formalmente la gestione di alcuni servizi: «Ha consentito alla società Vivenda con contratto scaduto nel 2007 di proseguire di fatto il servizio» per un periodo di sei mesi; una mancanza aggravata dal fatto che «il comune di Fondi non ha mai richiesto il rilascio della dovuta certificazione antimafia» alla società Vivenda. Una dimenticanza ? Forse, ma che non stupiva il candidato sindaco del Pdl al comune di Gaeta: «Il dottor Mitrano — spiegano gli ufficiali — ha fornito una dichiarazione nella quale afferma di non aver mai richiesto le certificazioni antimafia per gare o servizi da lui affidati per importi superiori alla soglia comunitaria» [...]Le osservazioni non finiscono qui. Il candidato sindaco del PdL a Gaeta avrebbe poi affidato alla società interinale Ge.vi — che ha attirato l'attenzione degli ufficiali di polizia inviati dal prefetto a Fondi — la fornitura di personale per il comune; e ancora, avrebbe stanziato alcuni finanziamenti a una società sportiva di un consigliere comunale, nonostante questa fosse in debito con l'amministrazione. Peccati senza rilevanza penale, visto che nessun fascicolo è stato mai aperto nei suoi confronti; ma di certo una serie di fatti che mostrano il ritratto di un funzionario ben inserito nella macchina amministrativa del comune di Fondi, contestata poi dalla commissione di accesso voluta dall'ex prefetto Frattasi. Funzionario che oggi fa il salto verso la politica attiva, pronto a governare una delle città chiave del sud pontino, con grandi progetti di espansione del porto e un territorio che fa gola alle cosche ormai radicate nel Lazio»;
   la società Vivenda è una delle controllate della cooperativa La Cascina che secondo fonti giornalistiche si trova al centro della vicenda di «Mafia Capitale» e presente nelle inchieste giudiziarie della procura Fiorentina;
   il 13 maggio 2012, Andrea Cinquegrani su lavocedellevoci.it, nell'articolo «GAETA: IERI, OGGI E MITRANO» scrive «Ecco l'irresistibile ascesa di Mitrano: dirigente supplente del primo settore al comune di Fondi per il biennio 2004-2005, poi salto alla poltrona di dirigente del terzo settore, grazie ad un concorso. Organizzato e preparato da chi ? Ma da uno dei concorrenti (per tre posti) in persona, ossia lo stesso ubiquo Mitrano. Che quel concorso se lo taglia su misura, tanto da far rilevare agli sbigottiti componenti della commissione d'accesso che «ragioni di opportunità avrebbero potuto suggerire al sindaco Parisella di affidare l'incarico ad altri», considerato il fatto che Mitrano era lui stesso «interessato alla partecipazione agli eventuali concorsi per cui la contrattazione era stata avviata». Siamo solo all'inizio, perché a completare la frittata ci mettono in parecchi lo zampino: come il dirigente del primo settore e presidente della commissione per il concorso Tommasina Biondino e il segretario generale del comune, Celestina Labbadia, già al vertice dello stesso primo settore. Alle due dirigenti – ma anche ad altri – sfugge la circostanza che Mitrano ha bluffato sul «requisito dei 4 anni di servizio in posizione apicale», essenziale per aggiudicarsi quell'incarico. Disattenzione, superficialità o cosa ? Fatto sta che, in soldoni, nessuno si è premurato di verificare alcunché di quanto autocertificato da Mitrano. Possibile mai ? Secondo i membri della commissione d'accesso sì, in un comune popolato da gente che non vede, non sente, non parla. E poi eccoci agli appalti, alle gare bandite dal comune. Tra i superfortunati nel registro dei mandati di pagamento spicca una sigla, la cooperativa Oescmi (Osservatorio economico per lo sviluppo della cultura manageriale d'impresa) che tra il 2003 e il 2007 ha provveduto a rastrellare ben 11 mandati per circa 60 mila euro (cui si aggiungono i pingui fondi europei e regionali erogati attraverso la Provincia per corsi di formazione professionale, e sui quali ha acceso i riflettori la magistratura). Fondata da Mitrano dodici anni fa, la cooperativa è oggi gestita dalla sorella, Maria Mitrano. Ma le sigle non finiscono certo qui e altre ne spuntano tra le pagine del ponderoso (e pesantissimo) dossier. Pensate sia mai possibile che una ditta indebitata con un comune, in tempi di vacche magre, possa addirittura ricevere dei soldi ? Sì, succede proprio a Fondi. La miracolata si chiama Olimpica 92 che, pur vantando debiti col comune per dei fitti non pagati (visto che svolgeva la sua attività di polisportiva in locali di proprietà comunale) nel giro di pochi anni – sotto due sindacature di Parisella ottiene ben 26 mandati per un totale che sfiora i 50 mila euro. La società fa capo a Pasquale Rega, più volte consigliere comunale. Fondi erogati dall'allegro terzo settore, che spesso e volentieri opera in sinergia con alcune commissioni di cui fa parte un altro ubiquo della story, proprio Rega (il quale, dal canto suo, è in ottimi rapporti con Carmelo Tripodo). E a proposito di rapporti a rischio, fanno capolino quelli con i titolari della società Vivenda, che per anni s’è vista aggiudicare l'appalto per la gestione delle mense scolastiche senza che il comune si sia mai preoccupato di chiederle il certificato antimafia. Infine, siamo alla Ge.Vi., che ha messo a segno – grazie alle magie di Mitrano – un colpo da record: aggiudicarsi gare ufficiose (e per più volte) per la fornitura di personale interinale. «Ma cosa volete – ha spiegato Parisella ai commissari – era l'unica che mi presentava delle offerte vantaggiose...»;
   Celestina Labbadia, prima segretario generale del comune di Fondi, ha rivestito fino a poco tempo fa l'incarico di segretario generale del comune di Gaeta;
   di recente la società ECOCAR, che gestisce il servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti per conto del comune di Gaeta il cui sindaco è, appunto, il dottor Mitrano, è stata gravata da interdittiva antimafia emessa dalle prefetture di Caserta e di Roma;
   il Consiglio di Stato, sezione III, nella sentenza 6 marzo 2012 no 1266, in riferimento agli articoli 143 e ss, decreto legislativo n. 267 del 2000 ribadisce, che «Lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non esige né la prova della commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l'amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili; sono sufficienti, invece, semplici «elementi» (e quindi circostanze di fatto anche non assurgenti al rango di prova piena) di un collegamento e/o influenza tra l'amministrazione e i sodalizi criminali, ovvero è sufficiente che gli elementi raccolti e valutati siano «indicativi» di un condizionamento dell'attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all'influenza e all'ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   per quale motivo la relazione del prefetto Frattasi sia ancora coperta da segreto;
   se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, valutare se sussistano i presupposti per l'invio di una commissione di accesso agli atti, per valutare, qualora, ci siano le condizioni, lo scioglimento del consiglio comunale di Gaeta di cui l'articolo 143, del Testo unico enti locali. (5-05150)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane in provincia di Ancona si è assistito a numerosi atti di microcriminalità che a lungo andare possono avere un effetto pernicioso per quanto riguarda la percezione della sicurezza sia privata che cittadina;
   le forze dell'ordine oltre ad essere impiegate in funzioni di ordine pubblico, si occupano anche di varie attività istituzionali: porto d'armi, licenze, vigilanza e con l'aumento delle misure alternative alla detenzione sono aumentati anche i casi di attività investigativa;
   a ciò si aggiunga la cronica mancanza di mezzi e dotazioni per le forze di polizia e per i Carabinieri, mezzi ad oggi insufficienti per garantire la continuità dei servizi istituzionali della specialità –:
   se siano previste misure per prevenire e contrastare in maniera più efficace tali atti di criminalità che stanno investendo il nostro Paese, anche attraverso iniziative normative;
   se non ritenga di procedere al più presto all'incremento della dotazione organica del presidio provinciale, d'intesa anche con il Ministero della difesa per i corpi di propria competenza. (4-08545)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   tra sabato 21 marzo, domenica 22 e lunedì 23 marzo si è tenuta a Brescia una serie di manifestazioni di protesta dell'associazione Diritti per tutti in unione con il coordinamento immigrati Cgil, Associazione dei senegalesi di Brescia e provincia e Associazione culturale islamica Muhammadiah per la lentezza con la quale l'ufficio immigrazione rilascia i permessi di soggiorno;
   ci sono stati diversi scontri, gli agenti della polizia in tenuta antisommossa sono dovuti intervenire per garantire la sicurezza dei cittadini contro le violenze dei manifestanti;
   in via San Faustino due cassonetti sono stati posti in mezzo alla strada e uno è stato dato alle fiamme; i manifestanti hanno tentato di sfondare le transenne, ma le loro cariche sono state respinte dai cordoni di polizia che impedivano l'accesso a piazza della Loggia;
   il Quadriportico in piazza della Vittoria è stato occupato illecitamente dai manifestanti e gli agenti hanno operato un intervento di sgombero;
   nella manifestazione di lunedì pomeriggio in piazza Rovetta si sono verificati nuovi scontri, con la polizia che ha caricato due volte una settantina di manifestanti, giunti sul posto con un furgone con la targa coperta;
   ci sono stati diversi fermi e alcuni responsabili di tali atti vandalici sono stati identificati, alcuni di loro sono cittadini extracomunitari senza permesso di soggiorno, che dovrebbero finire in un centro di prima accoglienza per il rimpatrio –:
   come sia possibile che decine di clandestini siano liberi di agire indisturbati sul territorio, scatenando violenze e compiendo atti vandalici, mettendo in serio pericolo la sicurezza dei cittadini e quella delle forze dell'ordine;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, visto il susseguirsi di episodi di una tale gravità che nulla hanno a che vedere con la libertà di manifestazione. (4-08546)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Salvatore Belforte è il fondatore, insieme al fratello Domenico di una delle più importanti costole del clan camorristico dei casalesi;
   tale gruppo camorristico aveva la sua roccaforte a Marcianise, importante centro urbano della provincia casertana;
   Belforte, coinvolto in decine di indagini legate alle sue attività criminose, ha proprio in questi giorni deciso di diventare collaboratore di giustizia;
   Salvatore Belforte ha già cominciato a raccontare di appalti, di collegamenti con la criminalità organizzata e di come i casalesi gestivano un rilevante pezzo della sanità campana;
   in particolare, dichiarazioni del collaboratore di giustizia in questione dovrebbero riguardare soprattutto gli appalti truccati all'ospedale di Caserta;
   si tratta di una vicenda in cui furono coinvolti medici, funzionari della asl, l'ex consigliere dell'allora PDL Angelo Polverino ed anche tre imprenditori ritenuti vicini al clan Belforte;
   nelle prossime ore si conosceranno una parte delle rivelazioni di Salvatore Belforte;
   negli scorsi mesi Sinistra Ecologia Libertà aveva già segnalato al presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone l'imperversare di corruttela e malaffare nella sanità campana –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per contrastare il malaffare che sta devastando la sanità pubblica in Campania. (4-08558)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, nel comune di Bologna, in un evento organizzato dall'associazione arcigay, nel noto locale frequentato dalla comunità omosessuale cittadina, si messa in scena una turpe e vergognosa rappresentazione sacrilega (tre uomini travestiti da Gesù mimano pratiche sessuali con una grossa croce). Le gesta blasfeme sono state immortalate in fotografie e da giorni sono visibili sulle pagine dei più noti social network;
   la comunità arcigay di Bologna beneficia di finanziamenti pubblici concessi dall'amministrazione comunale. Lo stesso evento che tanta indignazione sta suscitando, sempre stando alle notizie riportate dai media, sembra che sia stato sostenuto economicamente dall'amministrazione di Bologna;
   l'ideologia gender assume ad avviso dell'interrogante sempre più posizioni fanatiche e con dimostrazioni violente e offensive aggredisce il sentimento comune diffuso e ampiamente riconosciuto nel nostro Paese;
   questi movimenti ideologici tentano di imporsi con una strategia articolata volta alla negazione della verità che passa attraverso formule subdole come la cancellazione dai documenti pubblici dei riferimenti naturali al padre e alla madre sostituendoli con fantasiose definizioni quali genitore 1 e genitore 2; alla volontà di condizionare le coscienze delle nuove generazioni introducendo nei programmi scolastici l'insegnamento di una pseudo cultura gender; alla radicalizzazione dello scontro bocciando come omofoba qualsiasi posizione differente. Fino ad arrivare alla rivendicazione violenta con aggressioni fisiche verso chi si oppone al raggiungimento dei loro obiettivi e reiterati vilipendi alla religione cattolica, ritenuta ostacolo principale per l'affermazione del loro pensiero;
   profanare i simboli della identità, collante indiscusso di una comunità, in nome di una ideologica visione relativista e laicista, significa unicamente svuotare di significato i principi su cui si fonda la nostra società;
   se da un lato la libertà religiosa, di credenza e di coscienza, è un diritto inviolabile consolidato nella cultura del popolo italiano e riconosciuto in modo inequivocabile dal combinato disposto degli articoli 3, 8, 19 e 20 della Costituzione italiana, è innegabile dall'altro lato che il patrimonio storico culturale del nostro Paese affonda le proprie radici nella civiltà e nella tradizione cristiana;
   va inoltre ricordato che la religione cattolica, rispetto alle altre fedi, gode di una maggiore protezione anche in sede penale nell'ipotesi di «delitti contro il sentimento religioso» e che, per quanto consta agli interroganti, la Corte Costituzionale, più volte adita in materia, ha rigettato le istanze volte a mettere in luce una violazione del principio di uguaglianza e di libertà, considerata la maggiore intensità delle reazioni sociali che suscitano le offese alla fede cattolica dato l'inscindibile legame tradizionale con il popolo italiano;
   un'Europa che rinuncia alla propria anima è destinata a morire, come del resto ogni realtà umana, non può sopravvivere senza radici. Relegare la religione alla sfera privata escludendo la tradizione religiosa dell'Europa dal dialogo pubblico è un grave errore che rischia di far precipitare le nuove generazioni in un vuoto valoriale che comprometterà la convivenza pacifica degli stessi popoli europei;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se risultino avviate indagini –:
   se si intendano assumere iniziative normative volte, da un lato, a inasprire il sistema sanzionatorio in relazione ai delitti contro il sentimento religioso, dall'altro a rendere più stringenti i criteri per il finanziamento di manifestazioni da parte di enti pubblici, al fine di tutelare il patrimonio storico, culturale e religioso della tradizione cristiana ed evitare che episodi come quello descritto in premessa possano ripetersi. (4-08561)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto di istruzione superiore «S. Benedetto» di Cassino è costituito da quattro importanti indirizzi di studio: l'istituto professionale alberghiero, l'istituto tecnico agrario, l'istituto professionale chimico-biologico, e la sezione carceraria annessa alla casa circondariale di Cassino; gli studenti dell'istituto alberghiero di Cassino costituiscono approssimativamente il 90 per cento della popolazione complessiva della scuola;
   la qualità didattico-formativa dell'istituto è ampiamente conosciuta nella zona ed è tanto apprezzata che nel tempo il numero degli studenti iscritti al corso alberghiero professionale è cresciuto al punto che negli ultimi tre anni scolastici le classi quarte e quinte sono state ospitate nell'istituto tecnico per geometri e ragionieri; in questo modo però è diventato più difficile per gli studenti frequentare i laboratori in cui si svolge l'insegnamento pratico, nonostante sia stato attivato un servizio di trasporto tra le due scuole, che non sempre facilita la vita di studenti e docenti;
   l'istituto negli ultimi 20 anni è stato ubicato in un edificio di proprietà privata, non pienamente soddisfacente: mancavano infatti alcune strutture essenziali, come la palestra e gli spogliatoi, mentre i bagni erano insufficienti e mal areati; negli anni la struttura non è stata oggetto di significativi interventi di manutenzione ordinaria e di adeguamento alle normative in materia di sicurezza degli edifici scolastici, per cui le certificazioni necessarie relative alla struttura e all'impiantistica (CPI) non sono state ancora acquisite dagli uffici;
   il 27 febbraio 2015 a causa del crollo di un tramezzo e tenuto conto della condizione generale dell'immobile, in via precauzionale, è stata disposta la sospensione delle lezioni ed è stato richiesto un intervento urgente di sopralluogo e di ripristino alla provincia e alla ditta proprietaria; il 2 marzo il consiglio d'istituto, al fine di garantire la validità dell'anno scolastico, ha deliberato la ripresa delle lezioni con l'articolazione dell'orario su doppi turni e un'ulteriore riduzione dell'unità oraria a quaranta minuti; il 3 marzo 2015 l'incontro in provincia tra tecnici, rappresentanti della provincia e il dirigente scolastico dell'istituto tecnico per geometri non ha dato esiti certi e immediati; i Vigili del fuoco hanno rilevato criticità tali da disporre il divieto di svolgere nell'edificio attività didattica e amministrativa;
   gli studenti sono stati impegnati in attività educative alternative per ridurre al massimo i disagi provocati dai cambiamenti logistici e dai doppi turni, ma soprattutto dall'assenza dei mezzi di trasporto negli orari di entrata e di uscita pomeridiana; nel frattempo, studenti e genitori hanno manifestato le proprie difficoltà con assemblee straordinarie e cortei, fino a interessare il procuratore della Repubblica di Cassino;
   da giovedì 19 marzo anche le classi terze sono state distaccate presso la sede della Folcara insieme alle classi quarte e quinte, ma mancano ancora i locali scolastici per le classi prime e seconde; finalmente il comune di Cassino il 20 marzo ha dato la disponibilità a ospitare tutte le 10 classi rimanenti, improrogabilmente fino al 30 giugno 2015;
   al momento la situazione che si presenta è la seguente: parte delle classi (n. 16 relative alle classi terze, quarte e quinte) sono ospitate nella sede di via Folcara, parte delle classi (n. 10 relative alle classi prime e seconde) saranno ospitate fino al 30 giugno 2015 presso la scuola media «Diamare» di Cassino, già utilizzati dal centro di formazione professionale; gli studenti del corso serale sono stati trasferiti provvisoriamente e, comunque, fino all'inizio dei lavori di ristrutturazione, nei locali dell'Istituto agrario;
   gli studenti dei corsi ordinari svolgono i tirocini e le esercitazioni pratiche di cucina, sala e accoglienza secondo criteri di rotazione e con un numero ridotto di ore settimanali presso una struttura alberghiera e ristorativa contattata dalla provincia; gli studenti del corso serale svolgono le loro esercitazioni in misura ulteriormente ridotta e in forma solo simulata;
   non sono stati ancora individuati i locali in cui trasferire, sia pure in via provvisoria, gli uffici amministrativi e di direzione, mentre si ipotizza un trasloco verso sedi con spazi insufficienti per il personale, privi di tutti servizi tecnologici, come la rete internet di connessione per la trasmissione/ricevimento dati, senza poter disporre del supporto dell'archivio; in questo modo diventa impossibile svolgere correttamente e nei tempi indicati l'ordinaria attività amministrativa;
   è chiaro che qualsiasi soluzione adottata in questa fase è una soluzione temporanea e provvisoria, ma deve in ogni caso assicurare le condizioni minime di funzionalità ed efficienza e non può protrarsi oltre il corrente anno scolastico; in questa situazione c’è un ulteriore fatto paradossale: l'esistenza – probabilmente smarrita nei meandri del Ministero dell'interno – della somma di euro 200.000 relativa alla compravendita di un terreno dell'azienda agraria ai vigili del fuoco, avvenuta alcuni anni fa. La somma potrebbe essere utilizzata per la ristrutturazione e l'adeguamento della casa colonica e delle relative pertinenze dell'azienda o, se si preferisce, per la realizzazione della palestra, ma anche per ospitare gli uffici amministrativi o altre strutture utili alla attività didattica;
   appare veramente sorprendente che tutto ciò accada nell'anno dell'EXPO, dal titolo «Nutrire il pianeta». Sorprende che non si riesca a valorizzare le competenze degli studenti del settore turistico ed agricolo anche alla luce dei modelli di integrazione studio-lavoro proposti dalla recente legge sulla buona scuola. Una scuola senza laboratori non aiuta a sviluppare le abilità necessarie a soddisfare le esigenze del mondo del lavoro professionale e quindi non aiuta a ridurre la disoccupazione giovanile neppure in quei settori in cui il lavoro sarebbe coerente con gli studi fatti dagli studenti e potrebbe essere davvero soddisfacente per loro, per le loro famiglie, per i docenti e per le imprese –:
   in che modo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intende sostenere l'istituto alberghiero di Cassino, l'unico a garantire la formazione di tutti gli operatori turistici della zona, anche alla luce del fatto che questo tipo di scuola, a Cassino come nel resto d'Italia, vede la propria popolazione studentesca in continuo aumento, anche per le prospettive occupazionali che offre;
   come intenda valorizzare l'istituto agrario, tenendo conto delle risorse di cui dispone dalla rete di imprese agricole della zona con la promozione dei prodotti tipici del territorio agli accordi con network anglofoni, vero volano per la promozione dello sviluppo culturale ed economico del territorio di Cassino e del Basso Lazio nel settore dell'agroalimentare;
   come intenda risolvere i problemi logistici dell'istituto non solo da qui alla fine di giugno, ma anche a settembre, a conclusione dei lavori di ristrutturazione, perché la sede attuale dell'istituto tecnico agrario potrà ospitare solo la metà delle classi dell'alberghiero e dei relativi laboratori di esercitazione, mentre le rimanenti classi dovrebbero essere ubicate altrove senza poter svolgere le esercitazioni pratiche nella misura e con la qualità richieste dal loro piano di studi. (5-05134)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dopo mesi di propaganda in tutta Italia per presentare la tanto attesa e improcrastinabile riforma della scuola, che avrebbe dovuto «sanare una ferita di 20 anni di promesse verso il corpo docente», lo scorso 10 marzo il Governo ha licenziato il testo del provvedimento;
   disattendendo le aspettative di tutti, però, all'indomani dall'approvazione in Consiglio dei ministri della riforma della scuola il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi annunciava: «Saranno assunti i vincitori del concorso del 2012 e gli iscritti in Gae, nel limite dei posti disponibili. Quelli che sono in esubero verranno declassati in degli albi provinciali senza diritto di ruolo»;
   se l'annuncio fa ben sperare per i docenti delle graduatorie a esaurimento (Gae) e per quanti rientrano nelle graduatorie di merito del concorso del 2012, non altrettanto sembra profilarsi per gli idonei del medesimo concorso, ovvero per coloro che, pur avendo superato le prove selettive, si sono collocati oltre il numero di posti disponibili;
   con un colpo di spugna e in maniera del tutto inaspettata il Governo ha secondo l'interrogante tradito le aspettative e le speranze dei tanti giovani docenti che, dopo anni di studio, hanno meritatamente superato prove durissime e oggi si vedono inspiegabilmente ignorati dal progetto di stabilizzazione;
   la speranza dell'assunzione era stata fomentata proprio dal Governo Renzi che più volte aveva parlato della stabilizzazione di «tutti i precari storici, tutti i vincitori e gli idonei dell'ultimo concorso», come si legge anche a pagina 15 del programma della Buona Scuola. Ma durante la conferenza stampa di presentazione della riforma, lo stesso Renzi li ha rimandati al prossimo concorso: «Gli idonei non sono vincitori, altrimenti si chiamerebbero vincitori. Ci dispiace, ma loro dovranno fare il concorso»;
   solo nel mese di febbraio lo stesso Ministro interrogato, rispondendo a un'interrogazione alla Camera dei deputati, rispondeva rassicurando che gli idonei del concorso 2012 erano parte del piano assunzionale straordinario che il Governo stava approntando;
   tra gli esclusi rientrerebbero anche 23 mila docenti della scuola dell'infanzia e i docenti iscritti alle graduatorie d'istituto, gli abilitati dei Percorsi abilitanti speciali (Pas) e quelli del Tirocinio formativo attivo (Tfa) e anche i collaboratori Ata, per i quali non è stata spesa nemmeno una parola;
   il motivo della loro esclusione dal piano di Governo sulla Buona Scuola rimane un mistero;
   i fatti lascerebbero pensare che, nella migliore delle ipotesi, la fretta e la strategia della «rottamazione» renziana si siano andate a scontrare con tutte queste contraddizioni, ma il rischio che rimane è sempre quello della precarietà, per chi l'ha già vissuta e ha anche sperato in una stabilizzazione;
   come se ciò non bastasse, il Governo Renzi ha introdotto un'altra novità che l'interrogante giudica addirittura aberrante presentata enfaticamente come grande innovazione: la chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici, liberi di attingere da «albi regionali» non tenendo conto delle graduatorie di merito;
   in particolare, così facendo, si affiderebbe ad un solo dirigente scolastico un potere di scelta, assolutamente discrezionale, che invece dovrebbe spettare ad una apposita commissione esaminatrice, la quale formula una graduatoria di merito sulla base di titoli ed esami;
   se confermato, tale meccanismo, oltre a calpestare il merito del nostro corpo docente, andrà ad alimentare l'attuale, già grave, situazione di precariato perché i docenti, arbitrariamente scelti dai dirigenti scolastici, dovranno essere riconfermati triennalmente, con evidenti negative ripercussioni sulla continuità didattica e sulla qualità dell'insegnamento;
   il progetto «La buona scuola» del Governo, così come formulato, è una minaccia, non solo per la stabilizzazione del nostro corpo docente, ma per l'intero sistema scolastico italiano e, in particolare, per la sua capacità di essere davvero motore di cambiamento e di evoluzione intellettuale, culturale, civica e umana, per il nostro Paese;
   il Progetto del governo Renzi dice: «Mai più precari nella Scuola», ma, tra un tweet e un annuncio di riforma, stanno trascorrendo gli anni più bui della scuola italiana –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano le motivazioni alla base dell'esclusione degli idonei del concorso a cattedra bandito con Decreto del Direttore generale n. 82 del 24 settembre 2012 dal piano straordinario di immissione in ruolo previsto per settembre 2015, nonché quali urgenti provvedimenti intenda adottare per sanare tale evidente ingiustizia e garantire la stabilizzazione di quanti siano rimasti fuori dal progetto «la buona scuola» del Governo;
   sulla base di quali criteri oggettivi i dirigenti scolastici potranno attingere dagli «albi regionali». (4-08553)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   DI VITA, GRILLO, BARONI, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 159/2013, recante il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 2014 ed entrato in vigore l'8 febbraio 2014;
   l'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) è una disposizione che riguarda milioni di cittadini italiani: questi, infatti, valuta e confronta la situazione economica dei nuclei familiari per regolare l'accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie erogate dai diversi livelli di governo;
   come era previsto dal decreto stesso, dalla data di entra in vigore, dovevano decorrono i 120 giorni di tempo per completare il percorso di attuazione;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, su proposta dell'Inps e sentiti l'Agenzia delle entrate e il Garante per la protezione dei dati personali, doveva pubblicare un provvedimento con il quale definire il nuovo formato della dichiarazione unica sostitutiva (Dsu), cioè il documento centrale dell'Isee, che il richiedente deve compilare e consegnare per ottenere l'indicatore;
   tra gli elementi che attendono di essere definiti con il provvedimento ministeriale c’è anche la modalità dell'utilizzo dei dati al fine di calcolare l'Isee da condividere tra i vari soggetti coinvolti;
   completato questo passaggio, gli enti erogatori delle prestazioni sociali agevolate avrebbero avuto 30 giorni per adeguarsi alle nuove disposizioni, a partire dall'8 giugno, quindi, il nuovo indicatore della situazione economica equivalente doveva essere già pienamente operativo, se fossero state rispettate le scadenze previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dallo scorso anno;
   si è verificato un totale empasse tra Caf e Ministero, o meglio tra Inps e Caf, che il Governo non ha ancora provveduto a risolvere;
   nonostante la determinazione n. 1 del 22 gennaio 2015, restano comunque bloccati per sei mesi i compensi per i Caf che collaboreranno con l'Inps nella raccolta e nella trasmissione delle dichiarazioni relative all'Isee;
   Inps e Caf stanno ancora contrattando circa la definizione della parte economica, in quanto i centri di assistenza fiscale chiedono un aumento dell'onorario su ogni pratica del 50 per cento in ragione del fatto che i nuovi modelli Isee sarebbero più articolati e, dunque, richiederebbero una maggiore «lavorazione»;
   nell'accordo stipulato, tra Caf e Inps, è previsto che a luglio 2015 il testo della convenzione sarà rivisto e i compensi potranno essere eventualmente adeguati; per ora resta il fatto che l'Inps riconoscerà ai Caf i compensi già definiti nel 2012;
   inutile dire che le responsabilità del Governo sono di primo piano, in quanto il nuovo Isee sarebbe dovuto entrare in vigore già nel giugno 2014 ed invece ci sono ben nove mesi di ritardo e per di più persistono i problemi tecnici rispetto ai quali, in Parlamento, sia il Ministro Poletti sia il Sottosegretario Biondelli avevano rassicurato sulla risoluzione in tempi brevi;
   questa maggiore complessità inevitabilmente si contrappone alla campagna informativa avviata dal Ministero, attraverso spot televisivi e manifesti, il cui messaggio verte anche sulla semplicità del nuovo Isee;
   oltre questi fattori la critica principale rivolta all'impostazione del nuovo Isee, riguarda l'introduzione tra le voci di reddito anche delle provvidenze assistenziali;
   in merito gli interroganti hanno già chiesto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di rendere note le simulazioni sull'applicazione del nuovo ISEE, per capire se e quante famiglie potrebbero venire penalizzate, nonostante abbiano tutte i requisiti necessari per accedere a quei benefici, sia con una interpellanza sia con una missiva del 13 gennaio 2015, alla quale ha fatto seguito una nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 20 febbraio 2015, in cui si afferma che «la struttura tecnica di supporto all'allora Vice Ministro Guerra aveva provveduto a sviluppare modelli di simulazione degli effetti della riforma, ma che i risultati, elaborati in quanto materiale di lavoro ad uso interno, non sono stati acquisiti dall'Ufficio e non possono essere pertanto trasmessi», altresì, si rileva che la Direzione competente «si sta dotando di strumenti propri di simulazione degli effetti della riforma i cui risultati saranno divulgati»;
   pertanto persiste l'assurdo ritardo da parte del Ministero;
   inoltre, come già detto, il nuovo ISEE 2015 non è assolutamente condivisibile nella formulazione dell'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 perché, a detta degli interroganti, è di dubbia legittimità e deve essere modificato, perlomeno nella parte in cui prevede che nel reddito complessivo siano conteggiate anche le indennità e le pensioni percepite dai soggetti disabili;
   la questione, come è noto, è stata sollevata anche dalle associazioni delle persone disabili, che erano ricorse nel mese di aprile 2014 al TAR Lazio contro la presidenza del Consiglio dei ministri, il quale ha riconosciuto con le sentenze numero 2454/15 – 2458/15 – 2459/15, le loro ragioni per la parte relativa all'illegittimità del regolamento dell'Indicatore in cui considera come «reddito disponibile» anche quei proventi «che l'ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie»;
   in sede di espressione del previsto parere parlamentare sullo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione, gli unici a dare parere contrario sono stati i deputati del Movimento 5 Stelle presentando addirittura un parere alternativo di minoranza;
   a sollevare la protesta contro la riforma ISEE è stata anche la Federazione Fish che ha chiesto al Governo di rimodulare lo strumento ISEE, accogliendo le indicazioni del TAR;
   a ciò si aggiunge la protesta da parte degli studenti, secondo i quali, con questi parametri previsti nel nuovo Isee, sarà più difficile l'accesso alle borse di studio, tanto che le associazioni studentesche sono pronte «ad azioni legali» in difesa del diritto allo studio;
   se le citate sentenze del Tar, prevedono l'esclusione dal calcolo ISEE di «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti, da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo» e annullano le differenze tra disabili minorenni e maggiorenni, questo significa che non sono reddito neanche le borse di studio;
   dopo il caos prodotto dalle sentenze del Tar del Lazio, attualmente, sembrerebbe che siano a rischio i servizi legati all'Isee socio-sanitario;
   ogni giorno è prezioso, soprattutto per le famiglie alle prese con i Caf, dove regna l'incertezza in assenza di regole certe;
   alcune regioni e comuni sono in pieno caos per l'applicazione della nuova normativa e hanno intrapreso o sono in procinto di farlo, iniziative autonome e quindi disomogenee, per tamponare la situazione in attesa di un intervento risolutivo del Governo che però finora tace;
   ad oggi non sono state prodotte ancora le promesse simulazioni di applicazione che avrebbero dovuto dissipare le preoccupazioni per il nuovo calcolo dell'ISEE, nonostante il nuovo ISEE sia già in vigore dal primo gennaio 2015;
   anche l'Associazione comuni bresciani ha ribadito la forte preoccupazione circa le pesantissime ripercussioni per i bilanci comunali, che l'applicazione di alcune disposizioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 in tema di calcolo di ISEE potrebbe comportare;
   i sindacati «Cgil, Cisl e Uil hanno scritto una lettera al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ed al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, per sollecitare un intervento “urgente” da parte del Governo e l'apertura di un confronto sul nuovo Isee (...) Altrimenti “avvieremo iniziative di mobilitazione con presidi e proteste”»;
   le nuove regole fissate a livello nazionale per la dichiarazione, pur dettate da condivisibili esigenze di equità, stanno raddoppiando i tempi di lavorazione per i Caf, che attualmente elaborano circa l'80-90 per cento degli Isee, poiché ci si trova con scadenze sovrapposte alla campagna fiscale;
   dalla Uil Pensionati della Basilicata arriva un ulteriore monito al Governo, poiché, le nuove regole dell'Isee, secondo quanto affermato dal sindacato, oltre a causare problemi e disagi per i pensionati e le famiglie monoreddito, potrebbero ridurre agli attuali beneficiari dei contributi pubblici per le politiche socio-assistenziali, in particolare alle persone anziane –:
   se non ritenga necessario intraprendere iniziative, anche di carattere normativo, per affrontare con urgenza e in maniera adeguata le problematiche citate in premessa recependo le indicazioni recate dalle tre sentenze del Tar del Lazio e risolvendo le innumerevoli difficoltà riscontrate da Caf e cittadini, a causa del nuovo Isee in termini, addirittura, di garanzia del diritto allo studio e di equità sociale. (5-05151)


   CAPELLI e SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 24 dicembre 2014 recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) all'articolo 1, comma 130, ha riconosciuto, al fine di contribuire alle spese per il mantenimento dei figli per l'anno 2015, alle famiglie con un numero di figli minori pari o superiore a 4 in possesso di una situazione economica corrispondente a un valore isee non superiore a 8.500 euro annui, buoni per l'acquisto di beni e servizi;
   le disposizioni attuative della misura di cui sopra e la definizione dell'ammontare complessivo del beneficio sono state demandate ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   non sono tuttavia stati indicati termini per l'attuazione della disposizione che, a tutt'oggi, risulta ancora inattuata, eludendo così le attese delle famiglie, maggiormente bisognose di aiuti per il mantenimento dei figli, che sulla ricezione di quel contributo avevano contato in tempi brevi –:
   a che punto sia l'effettivo stato di attuazione della misura suddetta. (5-05152)


   LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   risulta da organi d'informazione che il presidente dell'INPS Tito Boeri e il sindaco di Roma Ignazio Marino abbiano siglato una convenzione «a titolo gratuito» per il controllo dello stato di salute dei lavoratori in malattia: dal primo aprile sarà responsabilità dell'INPS, non più dell'ASL, fare i controlli medici ai dipendenti del comune capitolino assenti per malattia;
   questo accordo va valutato positivamente in quanto rientra nelle indicazioni date dalla Commissione XII nel documento conclusivo approvato alla fine dell'indagine conoscitiva svolta sul tema della medicina fiscale ad inizio legislatura. Tali indicazioni prevedevano fra l'altro la concentrazione su un solo soggetto, l'Inps, delle visite fiscali per tutti i lavoratori dipendenti pubblici e privati;
   secondo i dati dell'Inps, nel 2013 sono state perse per malattia oltre 100 milioni di giornate di lavoro. Nel confronto internazionale, l'Italia è uno dei Paesi caratterizzati dai più bassi livelli di assenza per malattia; tuttavia, vi è un forte differenziale tra i dipendenti pubblici e quelli privati;
   rielaborando i dati dell'Inps per il 2013, si può calcolare che i dipendenti del settore pubblico si sono assentati per malattia per quasi dieci giorni, circa quattro in più rispetto ai colleghi del privato;
   ciò che suscita preoccupazione secondo il presidente della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG) è la stipula della convenzione senza alcun onere per il comune di Roma, in quanto non si comprende con quali risorse umane verrà effettuato il servizio;
   la stessa Federazione italiana medici di famiglia rileva che non sia pensabile che i medici di controllo dell'INPS, già mortificati dai tagli imposti dalla spending review, possano svolgere tale delicato compito a costo zero, così come sembrerebbe dalla stipula della convenzione e non come disciplinato dal decreto ministeriale dell'8 maggio 2008 che regola i compensi che ciascun medico fiscale dell'INPS riceve a seguito dell'effettuazione della visita;
   la sola ipotesi di far svolgere tali controlli ad altri medici privi della professionalità e degli strumenti costituirebbe un grave precedente aggravando per altro la generale precarietà dei medici coinvolti, precarietà che mal si concilia con le funzioni ispettive. Sempre l'indagine conoscitiva effettuata aveva denunciato le condizioni anomale dei contratti di collaborazione effettuati dall'istituto non rientranti in nessuna delle fattispecie previste;
   il Ministro Madia ha dichiarato di recente il proposito di pervenire al passaggio all'INPS della gestione delle visite fiscali per tutto il settore pubblico a livello nazionale, con una previsione di netto risparmio della spesa pubblica –:
   se il Ministro sia a conoscenza della convenzione in questione e quali siano i costi e chi effettuerà i controlli e sulla base di quali rapporti contrattuali. (5-05153)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO, CANCELLERI e BARONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, recante il titolo «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 2014 ed entrato in vigore l'8 febbraio 2014;
   già a partire dalla fase del dibattito antecedente la sua emanazione, il nuovo Isee 2015 è stato criticato fortemente da più parti poiché considerato assolutamente non condivisibile in particolare nella formulazione dell'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013; tale norma, infatti, è stata ritenuta illegittima e certamente passibile di modifica, perlomeno nella parte in cui prevede che nel reddito complessivo siano conteggiate anche le indennità e le pensioni percepite dai soggetti disabili;
   la questione in causa è stata sollevata anche dalle associazioni rappresentanti che erano ricorse lo scorso aprile 2014 al Tar Lazio contro la presidenza del Consiglio dei ministri, il quale ha riconosciuto con le sentenze nn. 2454/15-2458/15-2459/15, le loro ragioni;
   le associazioni in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t. avevano proposto determinate tesi con il ricorso contro il decreto del Presidente dei Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013 n. 159 «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE)» pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 2014 n. 19;
   ricorsi che il Tar ha accolto per la parte relativa all'illegittimità del regolamento dell'Indicatore in cui considera come «reddito disponibile» anche quei proventi «che l'ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie»;
   ed infatti, a sostegno di quanto innanzi detto, nelle sentenze succitate emesse dal tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima), ai ricorsi presentati da associazioni di categoria e dai familiari dei disabili conviventi, si legge: «Un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 5 decreto-legge citato rispetto agli articoli 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “...adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale... valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero...” debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione Irpef»;
   pertanto «Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva «ricchezza». Con la disposizione di cui all'articolo 4, comma 2, lettera t), decreto del Presidente del Consiglio dei ministri cit., invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che «Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti... f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);»; vale a dire nel reddito complessivo Irpef. Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti «assistenziali, previdenziali e indennitari» comporta indubbiamente che nella definizione di «reddito disponibile» di cui all'articolo 5 decreto-legge citato sono stati considerati tutti i proventi che l'ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie;
   ebbene, continua la sentenza: «Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”; che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”; quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex II. nn. 210/92 e 229/05. Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all'articolo 5 decreto-legge cit., che proprio ai fini di revisione dell'ISEF e della tutela della “disabilità”; è stato adottato. Né può convenirsi con l'osservazione secondo cui tale estensione della nozione di “reddito disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall'introduzione nello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l'indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina»;
   pertanto conclude il Tar: «Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso articolo 4 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano idonee a mitigare l'ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”. Alla luce di quanto detto, quindi, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato articolo 4, comma 2, lettera f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell'articolo 5 decreto-legge cit.. L'Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell'esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione Irpef»;
   si ricorda quanto occorso in sede di approvazione in Parlamento dello schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri questione, ove il partito di maggioranza chiede impulso ai lavori attraverso l'approvazione in commissione con parere favorevole dello schema del nuovo Isee;
   in quella sede si mostrava contrario, invece, il Movimento 5 Stelle, presentando addirittura un parere alternativo di minoranza, com’è dimostrato dai resoconti di seduta;
   ed ancora, a sollevare la protesta contro la riforma Isee vi è anche la Federazione Fish secondo la quale: Al di là del merito delle Sentenze – che ci siamo presi il giusto tempo di valutare – in questi giorni raccogliamo un disorientamento generale da parte di molte famiglie ma anche degli altri attori coinvolti: Caf, enti locali, sportelli informativi, associazioni. È fuor di dubbio che il sistema generale (informatico e di calcolo) non si sia adeguato alle Sentenze. Al contempo ci chiediamo se il mero adeguamento sia negli intenti del Governo e, in particolare, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   ciò che la FISH chiede al Ministero del lavoro è quali siano le reali intenzioni: «Se il Governo intende impugnare le Sentenze del Tar di fronte al Consiglio di Stato e chiederne la sospensiva ne informi tempestivamente tutti i potenziali interessati poiché ciò significa che, al momento, si continueranno ad elaborare le DSU ISEE con i criteri antecedenti alle Sentenze. Ma se, al contrario, il Ministero intende rimodulare lo strumento Isee accogliendo le indicazioni del Tar, allora ciò deve rappresentare l'occasione per rivalutare anche altri aspetti a suo tempo accantonati o ritenuti residuali: dalla considerazione del costo della disabilita, alle spese per l'assistenza personale, ai costi indiretti sopportati in termini di lavoro di cura dai caregiver familiari. In ogni caso ci si aspetta un segnale netto e chiaro che ricomponga il disorientamento diffuso;
   a ciò si aggiunge la protesta da parte degli studenti, secondo i quali, con questi parametri previsti nel nuovo Isee, sarà più difficile l'accesso alle borse di studio, tanto che le associazioni studentesche sono pronte «ad azioni legali» in difesa del diritto allo studio;
   ebbene, se le sentenze prevedono l'esclusione dal calcolo Isee di «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo» e annullano le differenze tra disabili minorenni e maggiorenni, dunque, se gli assegni di invalidità non sono reddito, allora non sono reddito neanche le borse di studio;
   infatti, se si considerano reddito gli assegni di invalidità, questi perdono la propria funzione sociale basata proprio su l'aiutare persone in difficoltà anche economiche. Ciò può essere esteso anche alle borse di studio ed è per questo che anche gli studenti potrebbero fare giustamente ricorso;
   dopo il caos prodotto dalle sentenze del Tar attualmente, pare saranno a rischio i servizi per i che temono per i servizi legati all'Isee socio-sanitario;
   i comuni hanno lanciato un forte appello al governo, affinché si risolva al più presto la confusione generata dalle sentenze del Tar del Lazio che mettono in discussione i criteri di calcolo del nuovo Isee riferito alle persone con disabilità, in vigore da quest'anno. In attesa di risolvere questa controversia, è necessaria una norma transitoria che consenta di provvedere nell'immediato all'erogazione delle prestazioni sociali agevolate da parte dei comuni, perché questi non sono più in grado di gestire l'assistenza ai cittadini secondo le regole di una norma messa in discussione dal Tar. Un fatto decisamente grave, perché l'Isee consente l'accesso e l'assistenza per servizi che vanno dagli asili nido e le mense scolastiche fino alle agevolazioni e agli aiuti per chi non riesce a pagare l'affitto, o le bollette, o per l'inserimento nelle strutture residenziali di anziani non autosufficienti e disabili. Tanto che il presidente dell'ANCI ha scritto al Sottosegretario Delrio e al Ministro Poletti chiedendo con urgenza un quadro certo e stabile di regole da adottare;
   purtroppo, le ultime informazioni del Governo su una riforma annunciata a gran voce ma in pratica ancora non esistente, risalgono allo scorso luglio 2014, quando Governo e maggioranza si sono rifiutati in più di una occasione di eliminare dal calcolo dell'Isee le provvidenze assistenziali riconosciute dallo Stato e che non possono essere considerate come voci di reddito;
   inoltre, secondo quanto aveva detto il sottosegretario Franca Biondelli, in risposta alla interpellanza urgente richiamata, dovevano ancora reperire le risorse umane e finanziarie per riprendere il lavoro, dunque, pare, fossero risultate erronee le dichiarazioni di Cottarelli riguardanti una riduzione dell'indennità di accompagnamento;
   inoltre, sempre in considerazione delle sentenze del Tar, ulteriori atti sono stati presentati in altri comune e regioni, quali la mozione urgente presentata nel consiglio comunale di Trieste, con la quale i consiglieri del M5S impegnano il sindaco e l'assessore alle politiche sociali, di apportare le dovute modifiche alla delibera della giunta n. 585 del 30 dicembre 2014, in modo tale da non includere nella richiesta per prestazioni sociali, l'indennità di accompagnamento e le rendite non imponibili fiscalmente –:
   se il Ministro interrogato, intenda prendere provvedimenti adeguati alla luce delle tre sentenze del Tar indicate nelle premesse;
   se intenda davvero impugnare le sentenze del Tar piuttosto che provvedere a correggere l'indicatore come invece previsto anche dalla proposta di legge presentata a firma della sottoscritta;
   nel caso in cui l'Isee e non venga modificato per cui alcune famiglie non potranno ingiustamente accedere più ai benefici che gli spettano, ed in futuro si riconosca, invece, l'errore (come previsto nelle sentenze del Tar), come intenda il Ministero far fronte agli eventuali rimborsi spettanti a tutte le famiglie e sia già stato quantificato l'eventuale che danno;
   se nel tempo che intercorrerà tra la sentenza del Tar ed eventuale azione del Governo, vi sia l'intenzione di rimettere in vigore temporaneamente il vecchio Isee o vi siano altre possibilità;
   se, alla luce delle sentenze del Tar, le dichiarazioni siano valide, ovvero, se non ritenga opportuno riformularle, onde evitare che, qualora non si prenda subito una decisione, molti cittadini si possano trovare senza una dichiarazione Isee valida, perdendo quindi le dovute agevolazioni;
   se intenda assicurare sin d'ora applicativi del nuovo impianto Isee, alla luce della mancata revisione dell'articolo 5 del decreto «Salva Italia» che vede determinate provvidenze assistenziali, peraltro costituzionalmente garantite, ingiustamente assimilate a voci di reddito;
   se non ritenga doveroso chiarire in che termini specifici intenda inasprire la cosiddetta lotta ai falsi invalidi tramite l'applicazione dell'Isee, considerata, anzitutto, l'attuale indisponibilità e la mancanza della documentazione necessaria per asserire che lo stesso indicatore economico possa considerarsi uno strumento certamente adatto allo scopo suddetto a fronte dell'insuccesso della campagna di contrasto ai falsi invalidi, tutt'ora in atto, che fornisce un quadro di migliaia di revoche disposte per via delle normali cessazioni dello stato temporaneo di invalidità dei beneficiari;
   se non sia il caso di assumere iniziative dirette alla modifica dell'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, escludendo le provvidenze assistenziali di qualsiasi natura. (5-05140)


   GIACOBBE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina del documento unico di regolarità contributiva è stata recentemente modificata dal decreto-legge n. 34 del 2014, convertito dalla legge n. 78 del 2014, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese;
   l'articolo 4, del provvedimento, prevede nuove disposizioni per la «smaterializzazione» del DURC, attraverso una semplificazione dell'attuale sistema di adempimenti richiesti alle imprese per la sua acquisizione;
   un passaggio significativo per tutti i datori di lavoro ai quali sarà consentito accedere ed acquisire il documento di regolarità contributiva con modalità esclusivamente telematiche che consentiranno di ridurre i tempi di consultazione e di rilascio;
   il comma 2, del medesimo articolo 4, ha previsto che le modalità per l'avvio della nuova procedura siano definite con apposito decreto interministeriale, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge;
   tuttavia, a quasi un anno dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 34 del 2014, non risulta ancora emanato il sopra citato decreto ministeriale, peraltro, taluni enti locali hanno segnalato il problema che sarebbero ancora in circolazione DURC falsificati –:
   quale sia il motivo della mancata emanazione del decreto ministeriale di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 34 del 2014 e se non ritenga opportuno porvi rimedio il prima possibile, al fine di garantire l'obiettivo della semplificazione delle procedure e, al tempo stesso, la reale validità di detto certificato. (5-05141)


   COCCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da circa 15 anni l'INAIL organizza il servizio di contact center SUPERABILE, che garantisce ogni tipo di informazione sui tanti aspetti del fenomeno disabilità e sulle più diverse problematiche ad esso connesse: salute, assistenza, accessibilità, protesica, turismo, sport, formazione;
   SUPERABILE nasce per iniziativa del Ministero degli affari sociali, su proposta del mondo della disabilità nell'ambito della prima conferenza nazionale sull’handicap del dicembre 1999, nel corso degli anni ha saputo garantire prestazioni di elevata qualità e molto apprezzate tanto dalle persone disabili e dalle loro famiglie, quanto dagli operatori del settore e dagli amministratori pubblici;
   il servizio occupa oltre 60 addetti e fin dalla sua nascita è stato affidato attraverso procedure di gara europea con cadenza quadriennale a cooperative sociali di tipo B che garantiscono occupazione per almeno il 40 per cento degli addetti a lavoratori con medie e gravi disabilità;
   il 19 dicembre  2014 l'importante servizio è stato inopportunamente sospeso dall'INAIL per l'interdittiva prefettizia nei confronti del Consorzio di cooperative sociali COIN, totalmente estraneo ai fatti di Mafia Capitale, per una presenza marginale e risalente alla costituzione dello stesso consorzio nel lontano 1995, di Salvatore Buzzi, ciò anche in apparente contrasto con le chiare direttive emanate in materia dall'Autorità anticorruzione che avrebbero comunque dovuto garantire la continuità del lavoro per gli addetti al servizio;
   il nuovo bando di gara europeo indetto dall'INAIL per il riaffidamento del servizio introduce inopportune varianti rispetto al passato che di fatto penalizzano le imprese sociali del mondo della disabilità e sembrano favorire ditte multinazionali che godono già di posizioni di forza per la gestione di altri servizi dello stesso ente, marginalizza nei criteri di valutazione esperienza e competenze nel settore della disabilità, ma soprattutto non contiene alcuna clausola di salvaguardia per gli attuali occupati, in particolare per i tanti lavoratori con disabilità, tradendo palesemente l'impostazione e lo spirito di un servizio che ha sempre puntato sulla partecipazione ed il protagonismo delle persone con disabilità –:
   se non ritenga urgente un intervento sulla direzione generale dell'INAIL per l'immediata sospensione del bando ed un riesame delle procedure anche al fine di garantire protagonismo nella gestione ai lavoratori disabili, non solo in continuità con la storia e lo spirito di SUPERABILE, ma anche nel rispetto della direttiva europea 2012/24/UE in materia di clausole sociali negli appalti pubblici. (5-05142)


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, BARONI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CANCELLERI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, recante il titolo «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 2014 ed entrato in vigore l'8 febbraio 2014;
   una disposizione che riguarda milioni di cittadini italiani: l'indicatore di situazione economica equivalente, infatti, valuta e confronta la situazione economica dei nuclei familiari per regolare l'accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie erogate dai diversi livelli di governo;
   l'ISEE esiste già nella normativa italiana dal 1998, ma la sua applicazione è unanimemente ritenuta carente, inefficace e causa di un notevole numero di contenziosi. Da alcuni è, inoltre, ritenuto uno strumento scarsamente efficace nel contrasto di elusioni o abusi;
   forte anche di questi presupposti, dunque, il Parlamento, su proposta del Governo Monti, nel 2011 ha stabilito una revisione dell'ISEE che solo a fine 2013 è stato definitivamente approvato;
   come era previsto dal decreto stesso, da tale data, dovevano decorrere i 120 giorni di tempo per completare il percorso di attuazione;
   in particolare, per rispettare le scadenze, il primo passaggio doveva essere completato entro il 9 maggio 2014 (90 giorni dall'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri);
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, su proposta dell'Inps e sentiti l'Agenzia delle entrate e il garante per la protezione dei dati personali, doveva pubblicare un provvedimento con cui verrà definito il nuovo formato della dichiarazione unica sostitutiva (Dsu), cioè il documento centrale dell'Isee, che il richiedente dovrà compilare e consegnare per ottenere l'indicatore;
   tra gli elementi che attendono di essere definiti con il provvedimento ministeriale c’è anche la modalità con cui i dati utilizzati per calcolare l'Isee saranno condivisi tra i vari soggetti coinvolti;
   completato questo passaggio, gli enti erogatori delle prestazioni sociali agevolate hanno 30 giorni per adeguarsi alle nuove disposizioni, a partire dall'8 giugno 2014, quindi, il nuovo indicatore della situazione economica equivalente doveva essere pienamente operativo, se fossero state rispettate le scadenze previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri già dallo scorso anno;
   ed invece, si verificato una totale empasse tra Caf e Ministero, o meglio tra lnps e Caf che il Governo non ha ancora provveduto a risolvere;
   invero, nonostante la determinazione n. 1 del 22 gennaio 2015, con la quale è stata stipulata la nuova convenzione tra l'Istituto nazionale previdenza sociale e i centri di assistenza fiscale (CAF) per l'attività relativa alla certificazione ISEE per l'anno 2015, che dovrebbe sbloccare lo stallo nell'operatività dei Caf sul nuovo lsee, restano comunque bloccati per sei mesi i compensi per i Caf che collaboreranno con l'Inps nella raccolta e nella trasmissione delle dichiarazioni relative all'Isee;
   una convenzione che ha tardato perché Inps e Caf stanno contrattando circa la definizione della parte economica, perché i centri di assistenza fiscale chiedono un aumento dell'onorario su ogni pratica del 50 per cento in ragione del fatto che i nuovi modelli Isee sarebbero più articolati e, dunque, richiederebbero una maggiore «lavorazione»;
   infatti, nell'accordo stipulato è previsto che a luglio il testo della convenzione sarà rivisto e i compensi potranno essere eventualmente adeguati, per ora resta il fatto che l'Inps riconoscerà ai Caf i compensi già definiti nel 2012;
   inutile dire che le responsabilità del Governo sono a giudizio degli interroganti di primo piano, in quanto il nuovo Isee sarebbe dovuto entrare in vigore già nel giugno 2014 ed invece ci sono ben sei mesi di ritardo e per di più persistono i problemi tecnici rispetto ai quali, in Parlamento, sia il Ministro Poletti sia il sottosegretario Biondelli avevano rassicurato sulla risoluzione in tempi brevi;
   questa maggiore complessità inevitabilmente si contrappone alla campagna informativa avviata dal Ministero, attraverso spot televisivi e manifesti, il cui messaggio verte anche sulla semplicità del nuovo Isee;
   sta di fatto che ogni caso, ogni giorno è prezioso, soprattutto per le famiglie alle prese con i Caf, dove regna l'incertezza in assenza di regole certe;
   intanto alcune regioni e comuni sono in pieno caos per l'applicazione della nuova normativa:
    in Liguria pare sia pronta una delibera della giunta regionale che decreterà una «zona franca Isee» che durerà, almeno, fino a giugno; è previsto un periodo transitorio di sei mesi, per andare a regime con l'applicazione del nuovo Isee, mantenendo inalterato l'accesso ai servizi per i cittadini, in attesa dell'entrata a regime della procedura, ad oggi troppo complessa che richiede una quantità di documenti;
    in Toscana invece, sono stati previsti un tavolo tecnico e un osservatorio per tutelare le fasce deboli e garantire l'equità; infatti in data 16 febbraio 2015 è stato firmato «l'accordo tra il comune di Prato e le Confederazioni Cgil, Cisl e Uil della Provincia di Prato per la definizione del regolamento Isee. Il tavolo tematico di lavoro dovrà definire le prestazioni da erogare, le soglie di esenzione e le fasce di valori dell'Isee in cui è prevista la compartecipazione agevolata, a cui saranno chiamate a partecipare anche le categorie economiche che hanno un Caaf, e l'attivazione dell'osservatorio che monitori la fase di transizione tra vecchio e nuovo sistema ed eserciti una verifica degli effetti del nuovo Isee, garantendo che l'indicatore mantenga la natura di livello essenziale per regolare la partecipazione alla spesa;
   nel comune di Dicomano in provincia di Firenze, da parte di una commissione interna appositamente istituita dal comune, in accordo con la guardia di finanza, sono in corso le prime verifiche relative ai modelli ISEE consegnati dai cittadini per usufruire di agevolazioni e detrazioni; si ricorda che chi ha compilato una dichiarazione mendace può anche incorrere in sanzioni penali;
   anche dall'ACB (Associazione comuni bresciani) si ribadisce, anche a mezzo missiva inviata agli enti territoriali regionali e provinciali, la forte preoccupazione circa le pesantissime ripercussioni per i bilanci comunali che l'applicazione di alcune disposizioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 in tema di calcolo di ISEE potrebbe comportare, tanto che si chieda una sospensione e revisione della normativa in attesa di effettuare simulazioni più realistiche, prevedendo di aggiornare altresì in modo regolare la quota di fondo sanitario da riconoscere alle strutture residenziali e semiresidenziali;
   in Friuli Venezia Giulia, il consigliere M5S ha presentato un'interrogazione alla giunta della presidente Serracchiani, facendo presente come il «rilascio dei certificati Isee si sta rivelando più complesso e articolato rispetto al passato con conseguente dilatazione dei tempi di rilascio e di smaltimento delle richieste. Come hanno denunciato alcuni sindacati, se la situazione non cambierà i Caf non solo non potranno elaborare nuove pratiche ma non riusciranno nemmeno a dare risposta a tutti gli utenti dell'anno scorso»;
   ancora solo qualche giorno fa, come riportano alcuni articoli di stampa, i sindacati «Cgil, Cisl e Uil hanno scritto una lettera al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ed al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, per sollecitare un intervento «urgente» da parte del governo e l'apertura di un confronto sul nuovo Isee (...)» Altrimenti «avvieremo iniziative di mobilitazione con presidi e proteste»;
   purtroppo, le nuove regole fissate a livello nazionale per la dichiarazione, pur dettate da condivisibili esigenze di equità, stanno raddoppiando i tempi di elaborazione per i Caf, che attualmente elaborano circa l'80-90 per cento degli Isee elaborati nelle regioni, poiché ci si trova con scadenze sovrapposte alla campagna fiscale;
   infine, dalla Uil pensionati della Basilicata arriva un ulteriore monito al Governo, poiché le nuove regole dell'Isee oltre a causare problemi e disagi per i pensionati e le famiglie monoreddito potrebbero ridurre il reddito al 20 per cento degli attuali beneficiari dei contributi pubblici per le politiche socio-assistenziali e di conseguenza alle persone anziane; sarebbe necessario invece definire standard minimi a livello nazionale, e definire per gli utenti procedure chiare ed il più possibile omogenee sul territorio –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative adeguate alla luce di tutti i problemi elencati in premessa e delle innumerevoli difficoltà riscontrate da Caf e cittadini a causa del nuovo Isee in termini addirittura di diritto allo studio e di equità sociale;
   se e quale attività di monitoraggio stia portando avanti il Ministro e con quali risultati, in considerazione di quanto affermato dal sottosegretario Biondelli all'interpellanza di giugno 2014, ovvero che: «se si dovessero riscontrare problemi di particolare entità sin dai primi esiti del nuovo ISEE, occorre considerare che l'articolo 12, comma 6, del regolamento, concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente, istituisce, come proposto dalle Commissioni parlamentari, ai fini del monitoraggio sull'attuazione della disciplina dell'ISEE e dell'eventuale proposta di correttivi, un comitato consultivo (senza oneri per la finanza pubblica) del quale fanno parte rappresentanti dei Ministeri interessati, dell'INPS, delle regioni e delle province autonome, dell'ANCI, delle parti sociali e delle associazioni nazionali portatrici di interessi»;
   se e come intenda controllare che il nuovo Isee venga applicato in maniera omogenea senza creare disparità di trattamento tra cittadini di regioni diverse;
   a chi siano imputabili le responsabilità della totale inefficienza organizzativa riscontrata dai Caf che smaltiscono le pratiche con maggiore difficoltà ed, in tal caso, quali siano i provvedimenti che intenda assumere al riguardo;
   se sul fronte delle «frodi» il Ministro stia ottenendo risultati dal nuovo Isee;
   perché nonostante le notizie sul caos creato dal nuovo Isee il Ministro non abbia provveduto a fare chiarezza pubblicamente per spiegare ai cittadini la situazione in cui ci si trova e se intenda chiarire pubblicamente la situazione ai cittadini italiani;
   se abbia intrapreso o stia per adottare misure che consentano di superare, in tempi brevissimi questa empasse;
   come sia possibile che le pratiche siano più articolate e complesse rispetto al passato, tanto da spingere i Caf a chiedere un aumento delle tariffe, quando il Governo indicava tra i punti di forza della riforma dell'Isee proprio la semplificazione delle procedure. (5-05144)


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO, CANCELLERI e BARONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, recante il titolo «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 2014 ed entrato in vigore l'8 febbraio 2014;
   la critica principale rivolta da più parti all'impostazione del nuovo Isee riguarda l'introduzione tra le voci di reddito anche delle provvidenze assistenziali (articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri);
   in merito l'interrogante ha già chiesto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di rendere note le simulazioni sull'applicazione del nuovo ISEE, per capire se e quante famiglie potrebbero venire penalizzate, nonostante abbiano tutti i requisiti necessari per accedere a quei benefici, sia con una interpellanza sia con una missiva del 13 gennaio scorso di richiesta di informazioni sulle simulazioni applicate dal nuovo ISEE alla quale ha fatto seguito una nota del Ministero del 20 febbraio, in cui si afferma che «la struttura tecnica di supporto all'allora vice Ministro Guerra aveva provveduto a sviluppare modelli di simulazione degli effetti della riforma, ma che i risultati,  elaborati come materiale di lavoro ad uso interno, non sono stati acquisiti dall'Ufficio e non possono essere pertanto trasmessi, altresì, si rileva che la Direzione competente si sta dotando di strumenti propri di simulazione degli effetti della riforma i cui risultati saranno divulgati»;
   persiste pertanto un assurdo ritardo da parte del Ministero in merito;
   fatto sta che ad oggi non sono state prodotte ancora le promesse simulazioni di applicazione che avrebbero dovuto dissipare le preoccupazioni per il nuovo calcolo dell'ISEE, nonostante il nuovo ISEE sia già in vigore dal primo gennaio 2015 –:
   se le simulazioni siano pronte, ed in mancanza, come sia possibile che in ben otto mesi il Ministero non sia stato in grado di produrle nonostante sia dotato di risorse adeguate;
   se il Ministro intenda provvedere alla divulgazione, previa pubblicazione, delle simulazioni applicative del nuovo ISEE.
(5-05145)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OCCHIUTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Getek Ict Srl, azienda del gruppo Gepin, con sede operativa in Crotone e facente parte del consorzio Poste Link scrl di Poste Italiane spa, ha svolto servizio di help desk (803164) fino al 2010 per l'Istituto nazionale di previdenza sociale e per l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni;
   la suddetta società, ha impiegato nel corso delle sue attività, risorse umane altamente qualificate, formate nel campo della previdenza sociale direttamente dai funzionari di INPS/INAIL;
   nell'anno 2010, la gara relativa al servizio precedentemente svolto da Getek Ict Srl è stata aggiudicata dalla società RTI Transcom Worldwide Spa/Visiant Contact srl;
   gli operatori degli altri siti sono stati assorbiti nella nuova commessa ad esclusione di quelli della Getek Ict Srl di Crotone, nonostante non fosse prevista la clausola di salvaguardia dei posti di lavoro nella nuova gara;
   nel mese di settembre dell'anno 2010, i 73 operatori della Getek Ict Srl sono stati posti in cassa integrazione guadagni ordinaria e dal mese di ottobre 2011 in cassa integrazione guadagni straordinaria;
   dal mese di ottobre 2012 ad oggi i lavoratori della suddetta società sono stati posti in mobilità ordinaria;
   nonostante diversi attori istituzionali siano stati interessati della vicenda dagli organi di stampa e da numerosi atti di controllo presentati in sede parlamentare ed i vertici di Inps/Inail fossero al corrente della vertenza, negli altri siti assorbiti dall'azienda subentrante, il servizio di help desk Inps è stato implementato con circa 2500 unità lavorative, trascurando la posizione dei 73 operatori in mobilità –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare affinché, tramite la costituzione di un tavolo tecnico per la risoluzione della vertenza, le capacità professionali dei lavoratori ex Getek Ict Srl non vadano disperse arrecando danni ulteriori al precario tessuto economico-sociale calabrese. (4-08547)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di una serie di incontri con le rappresentanze sindacali, nel luglio 2014, Alitalia CAI dichiarava 2251 esuberi, in vista della futura acquisizione da parte di Etihad del 49 per cento del suo capitale azionario e della conseguente costituzione della nuova Alitalia SAI;
   a seguito della riqualificazione interna di parte del personale in esubero ed alla esternalizzazione di alcune attività, nel mese di ottobre 2014 il numero di esuberi conclamati scendeva a poco più di 1000 unità e tra il 31 ottobre ed il 15 dicembre dello scorso anno si procedeva alla loro messa in mobilità; tuttavia, secondo quanto segnalato all'interrogante, contrariamente a quanto concordato con i sindacati in fase di sottoscrizione degli accordi, l'Azienda starebbe assumendo personale neolaureato;
   come sottoscritto negli accordi sindacali, le risorse messe in mobilità avrebbero ricevuto l'assegno di mobilità integrato dal fondo straordinario del trasporto aereo (FSTA), fino ad un ammontare pari all'80 per cento dell'ultima retribuzione. Detto fondo avrebbe garantito peraltro un sostegno al reddito oltre i due anni di mobilità previsti per legge, per un periodo pari ad 1, 2 o 3 anni, a seconda della fascia di età della risorsa licenziata;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, a tutt'oggi nessuno dei lavoratori interessati starebbe ricevendo l'integrazione del fondo e si ravvisano gravi incertezze circa la futura sussistenza dello stesso. Ciò è stato denunciato anche da alcune organizzazioni sindacali, in particolare dalla FILT-CGIL (unico sindacato confederato non firmatario dell'accordo) la quale evidenzia come l'INPS, per contratto tenuto alla sola gestione del fondo, non stia procedendo alla sua erogazione;
   il 31 marzo 2015 la Regione Lazio incontrerà i mobilitati Alitalia 2014 per illustrare il progetto realizzato per la loro ricollocazione. L'accantonamento di 8,5 milioni di euro previsto servirà a finanziare le agenzie di collocamento che, contattate dai mobilitati su base volontaria, riceveranno un assegno di circa 3000 euro per ogni risorsa ricollocata sul territorio, con un contratto a tempo determinato di minimo sei mesi, o a tutele crescenti. È di tutta evidenza come il buon esito di questo tipo di iniziativa, meritoria nella misura in cui consentirebbe ai lavoratori interessati di rientrare nel ciclo produttivo in tempi rapidi, è indissolubilmente legato all'individuazione di aziende datoriali solide, capaci di garantire alle risorse mobilitate un piano di reinserimento duraturo ed efficace: qualora, infatti, la risorsa ricollocata venisse assunta con un contratto a tutele crescenti e si trovasse ad essere successivamente nuovamente licenziata dalla nuova azienda datoriale, perderebbe anche il sussidio di mobilità accordatogli come «licenziata» Alitalia e al danno si aggiungerebbe anche la beffa;
   peraltro, occorre inoltre segnalare che alla luce della discutibile applicazione dei criteri di individuazione delle risorse da mettere in mobilità, molti lavoratori hanno impugnato il licenziamento ed intrapreso le necessarie misure legali. A questo riguardo all'interrogante è stata peraltro segnalata la preoccupazione dei ricorrenti a causa di alcuni «sfavorevoli» precedenti –:
   quali siano le informazioni in possesso del Ministro interrogato e se non ritenga di dover intervenire, nell'ambito delle sue competenze, al fine di risolvere le problematiche enunciate in premessa;
   per ciò che concerne il fondo straordinario del trasporto aereo se il Ministro interrogato non ritenga, per quanto di competenza, di agevolare le operazioni condotte in sede negoziale, affinché quanto pattuito trovi presto applicazione e si possa altresì contrastare il battage mediatico con il quale viceversa si sta trasmettendo l'immagine poco veritiera dei «privilegiati cassa integrati Alitalia», facenti peraltro parte dei circa 8000 esuberi della precedente operazione 2008. (4-08560)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   due fatti avvenuti recentemente dimostrano come in Sicilia tra taluni operatori del servizio sanitario nazionale non sia talvolta ben chiaro quale sia l'ordine delle priorità nelle modalità con cui affrontare le emergenze sanitarie;
   da un servizio mandato in onda nella trasmissione televisiva Piazza Pulita, si apprende che il 15 gennaio 2015 il direttore della centrale operativa del 118 di Palermo Gaetano Marchese, colto da malore ad Alghero, ha rifiutato di farsi curare nel locale ospedale come pure nei reparti specializzati sia di Sassari sia di Cagliari e ha chiesto l'intervento dell'elicottero per essere trasferito nella sua regione; i colleghi di Palermo hanno deciso quindi di inviare l'elicottero, con a bordo il personale specializzato, che è giunto ad Alghero intorno alle 6 del mattino; il mezzo e il personale sono stati quindi impegnati per oltre 10 ore e hanno percorso più di 1000 chilometri; l'uomo ai microfoni di NewsMediaset ha sostenuto che «ad Alghero non c'erano le strutture adeguate per curarmi, l'intervento da Palermo è stato indispensabile per salvarmi la vita»;
   il 12 febbraio 2015, a Catania una bimba nata la notte prima è morta in un'ambulanza privata, nel cuore della notte, prima di poter raggiungere l'ospedale. La piccola è deceduta durante il tragitto verso il nosocomio di Ragusa, a un'ora e trenta minuti di distanza da Catania. La clinica aveva chiesto più volte ma inutilmente l'intervento del 118. Il 118 che ha avviato un monitoraggio nei tre ospedali catanesi dove è presente la terapia intensiva pediatrica: il Garibaldi, il Santo Bambino e il Cannizzaro. Ma in nessuno dei tre centri c'era un letto libero. L'unico ospedale della Sicilia orientale che ha risposto all'appello è stato quello di Ragusa;
   la procura di Ragusa ha aperto un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità mediche e sulla disponibilità di strutture cliniche non adeguate a Catania; la regione siciliana ha sospeso per 90 giorni l'autorizzazione sanitaria e l'accreditamento, limitatamente ai ricoveri finalizzati al parto, alla casa di cure Gibiino di Catania. Ma la stessa regione siciliana è inadempiente dal 2012 nel percorso nascita, avendo seguito soltanto parzialmente la messa in sicurezza del piano, che ha rinviato nel tempo, nonostante finanziamenti specifici avuti dal 2009;
   il Ministro interrogato ha dichiarato che a «Catania non sono state rispettate le norme previste per il trasporto dei neonati, e se non si interviene una vicenda come quella della piccola Nicole può ripetersi»; ha inoltre chiarito che la piccola si sarebbe salvata se fosse stata portata subito al pronto soccorso di un ospedale, che per legge ha l'obbligo di accogliere un codice rosso al di là della disponibilità di posti letto». Ha inoltre chiesto alla regione di chiudere i punti parto sotto i 500 parti Panno che sono inaccettabili in ogni punto del territorio nazionale, perché sotto quei livelli i punti nascita sono pericolosi. In relazione alle inadempienze della regione il Ministro ha minacciato il commissariamento –:
   quali ulteriori iniziative stia adottando il Ministro interrogato in relazione al ripetersi di casi di malasanità, in particolare nelle regioni meridionali. (3-01395)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il simeprevir è un farmaco antivirale di nuova generazione per il trattamento dell'epatite C, in terapia combinata con il sofosbuvir, ottiene il più alto successo terapeutico mai raggiunto fino ad oggi, dopo 12 settimane, attraverso una terapia senza interferone;
   l'arrivo in Italia del simeprevir, secondo tutti gli osservatori sanitari, rappresenta una tappa fondamentale per poter ottimizzare la terapia per alcuni tipologie di pazienti con epatite C e salvare la vita a migliaia di pazienti;
   la regione siciliana con suo decreto assessorile del 12 febbraio 2015 ha varato, nell'ambito della rete regionale per la gestione delle epatiti da virus C, un piano per la gestione delle epatiti da virus «C», con il quale è stato definito ed approvato il documento tecnico «Organizzazione della prescrizione ed erogazione dei farmaci ad azione antivirale diretta per il trattamento dell'epatite cronica, della cirrosi e della recidiva post-trapianto da HCV», indicando, altresì anche un elenco di centri nell'isola per la prescrizione ed erogazione del nuovo farmaco per il trattamento dell'HCV «Olysio» (simeprevir);
   la legge di Stabilità 2015, legge 190 del 2014, ha stanziato un miliardo di euro per gli anni 2015-2016 finalizzato al finanziamento delle regioni per l'acquisto di farmaci innovativi nella cura dell'epatite C, tra cui anche simeprevir, già autorizzati dall'AIFA;
   secondo notizie in possesso dell'interrogante in Sicilia risulta non disponibile la somministrazione del farmaco simeprevir, perché la regione siciliana non avrebbe né provveduto ad acquistare il medicinale, né a distribuito alle farmacie autorizzate) –:
   se sia a conoscenza dei fatti;
   se sia a conoscenza di eventuali difficoltà nell'erogazione del simeprevir in altre regioni del Paese; 
   quali provvedimenti intenda intraprendere, per quanto di competenza, per rendere disponibile il simeprevir in tutto il territorio nazionale ed anche in Sicilia. (5-05143)


   VALIANTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2014 il sottoscritto, con l'interrogazione n. 4/07123, ancora senza risposta, denunciava un ennesimo caso di disservizio diagnostico riguardante l'ospedale di Vallo della Lucania «San Luca»: un infartuato era stato trasferito presso l'ospedale di Salerno «Ruggi» poiché l'angiografo in dotazione, ormai anche obsoleto, risultava guasto. Negli ultimi mesi la stessa apparecchiatura aveva funzionato a singhiozzo andando spesso in blocco. Analoghi problemi si erano verificati all'apparecchiatura per la t.a.c.. Si sottolineava particolarmente la primaria importanza del corretto e tempestivo utilizzo di macchinari diagnostici per intervenire su pazienti in condizioni critiche. Con un angiografo, attraverso l'esame della coronografia, si può diagnosticare infarto e procedere ad un angioplastica per liberare l'arteria e salvare il paziente. Nella giornata del 23 marzo 2015, purtroppo, si registrava il decesso di una settantasettenne infartuata proveniente da Sapri che, per sottoporsi ad un angioplastica, essendo impossibile effettuare l'esame presso il nosocomio di Vallo della Lucania ove l'apparecchiatura funziona solo un giorno alla settimana il mercoledì, stava raggiungendo l'ospedale alternativo più vicino di Eboli a ben oltre un'ora di tragitto. È inaccettabile che l'esito terapeutico sia legato alla casualità del giorno in cui si manifesta un malore. Giova ribadire che, in seguito alla chiusura del nosocomio di Agropoli, l'Ospedale «San Luca» di Vallo della Lucania ha subito un considerevole aumento di utenza e che, essendo classificato come D.E.A. di III livello, deve assicurare le funzioni di più alta qualificazione legate al soccorso delle emergenze tra cui la cardiochirurgia, la neurochirurgia, la terapia intensiva neonatale, la chirurgia vascolare, la chirurgia toracica continuativamente. Come già sottolineato precedentemente la a.s.l. di Salerno aveva garantito la fornitura di macchinari nuovi per angiografia e t.a.c. all'ospedale «San Luca» ma, l'attesa, continuando ingiustificatamente a protrarsi, sta determinando disservizi con gravissime conseguenze –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro dai disavanzi sanitari regionali, per assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza ed evitare così ulteriori eventi gravissimi. (5-05146)


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, DALL'OSSO, GRILLO, MANTERO, BARONI, MANNINO, LUPO e CANCELLERI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 14 gennaio 2015, «Riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera-territoriale della Regione Sicilia», l'assessorato alla salute siciliano ha stabilito la chiusura, tra gli altri, del punto nascite presso il comune di Cefalù, poiché non raggiungente la soglia minima di 500 parti all'anno fissata dal decreto Balduzzi del 2012;
   in base a quanto previsto dai successivi decreti attuativi assessoriali la ginecologia del San Raffaele Giglio dovrà quindi esser chiusa con urgenza entro il 30 aprile;
   sulla questione del punto nascite di Cefalù si era già pronunciato nel recente passato il Tar di Palermo;
   nel 2011, infatti, i giudici amministrativi avevano disposto la sospensiva della chiusura del punto nascite, nonostante il piano di riordino dell'allora assessore regionale alla salute Massimo Russo, ritenendo che le motivazioni dei tagli erano inconsistenti e ribadendo che l'ospedale San Raffaele Giglio, gestito da una fondazione, manteneva un carattere pubblico, oltre la qualità dei servizi di una struttura di «terzo livello» con una presenza di specialisti e personale sanitario 24 ore su 24 ore. Lo standard di assistenza venne ritenuto perfino superiore a quello offerto dall'ospedale di Termini Imerese al quale il punto nascite doveva essere accorpato. Il Tar aveva quindi ordinato all'assessore di rimodulare il piano;
   nel 2013, però, dopo un periodo di congelamento del piano di riordino assessoriale nel 2012, il Tar, ribaltando l'esito della precedente pronuncia, confermava la chiusura del punto nascita di Cefalù, salvando invece quello di Termini Imerese, respingendo così il nuovo ricorso presentato dal comune di Cefalù. Nel caso vennero considerate decisive la breve distanza da Termini Imerese e il carattere della struttura dell'ospedale San Raffaele Giglio che essendo gestito da una fondazione – sostenne il Tar – «non può essere totalmente assimilato a una struttura pubblica in senso stretto qual è il presidio ospedaliero di Termini Imprese»;
   a distanza di due anni da allora la questione del punto nascita di Cefalù torna dunque a far capolino nel panorama, invero già critico, della sanità regionale siciliana;
   contro l'ufficializzazione della chiusura della struttura disposta in base al piano dell'assessore regionale per la salute, Lucia Borsellino, si è svolta la scorsa settimana nel pieno centro di Cefalù una manifestazione di alcune centinaia di persone, tra cui donne e bambini, che in corteo sono arrivate in piazza Duomo sfilando dietro uno striscione che spiegava il senso della protesta: «Chi chiude il centro nascite dice no alla vita»;
   in merito il sindaco di Cefalù, Rosario Lapunzina, ha annunciato che presenterà un nuovo ricorso amministrativo, certo dell'esito – si dice – alla luce della nuova composizione interamente pubblica della fondazione «Giglio»: «Se nel luglio 2013 i giudici del Tar giustificavano la scelta della Regione di mantenere Termini e chiudere Cefalù, entrambi sotto la soglia dei 500 parti l'anno, in virtù della natura pubblica del primo, – ha dichiarato Lapunzina – oggi questo elemento di motivazione può venir meno, privilegiando di contro il più giusto criterio della territorialità e della sicurezza, che vede il centro di Cefalù decisamente più distante dagli ospedali palermitani, rispetto a quello termitano»;
   secondo il primo cittadino di Cefalù la decisione regionale di chiudere il centro sarebbe stata assunta sulla base delle pressioni del Ministro Beatrice Lorenzin dopo la morte della piccola Nicole tra Catania e Ragusa. «Malgrado le pressioni del ministro – ha aggiunto Lapunzina – la Regione avrebbe potuto esercitare la sua autonomia e trovare una soluzione diversa, come è stato fatto per esempio per gli ospedali di Corleone e di Petralia Sottana»;
   l'ospedale di Cefalù è una struttura che, nel settore, ha dimostrato invece di saper crescere in qualità e nel numero di parti; che è una struttura pubblica a servizio di un territorio molto vasto, non di certo inferiore, per numero di parti, per efficienza, pulizia e professionalità, ad altri centri nascita che sono rimasti inspiegabilmente aperti;
   nel 2014 il totale dei parti è stato di 420 con un incremento, rispetto al 2013, di circa il 15 per cento; dal 1o gennaio 2015 ad oggi la struttura ha avuto un incremento di 20 parti rispetto allo stesso periodo del 2014; se dovesse continuare questo trend positivo per il resto dell'anno nel 2015 si stima che verrà certamente superata la soglia dei 500 parti;
   l'ospedale di Cefalù, rispetto ad altri punti nascita con più di 500 parti l'anno, possiede invero un considerevole livello di efficienza, disponendo attualmente di ginecologo di guardia 24/h, pediatra neonatologo di guardia 24/h, ostetrica di guardia 24/h, anestesista di guardia 24/h, laboratorio d'analisi, centro trasfusionale e radiologia con TAC e RM attivi 24/h, per una U.O. composta complessivamente da 8 medici ginecologi, 4 medici pediatri, 6 ostetriche, 6 infermiere professionali e 3 operatrici socio sanitarie;
   si aggiunga, infine, che ad oggi il punto nascite di Cefalù ha la peculiarità di poter servire utilmente, riducendo così i disagi consequenziali, quei comuni delle Madonie che per difficoltà di collegamenti stradali arrivano a distare, come nel caso di Isnello (PA), tra i 55 e i 60 minuti di tortuoso percorso stradale, soprattutto montano, dal punto nascite più vicino, che dal 30 aprile diverrà quello di Termini Imerese, oltretutto non considerando il caso delle condizioni climatiche avverse, con le grandinate e nevicate interessanti non di rado il territorio di cui si discute –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto illustrato in premessa;
   se sia vero che il Ministro abbia fatto pressioni perché si giungesse alla chiusura del punto nascita di Cefalù e, se così fosse, se non ritenga, alla luce delle considerazioni fatte in premessa, di intervenire al fine di correggere quello che appare agli interroganti un chiaro errore di valutazione da parte del Ministro, considerata l'importanza di mantenere quantomeno un'unità operativa di ginecologia-ostetricia per le emergenze. (5-05148)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Roma il 16 marzo 2015 i medici dell'Ifo hanno proclamato lo stato di agitazione. È una decisione presa al termine di un'assemblea svoltasi il 12 marzo 2015, a cui hanno partecipato i rappresentanti sindacali di quasi tutte le sigle – fatta eccezione per la CISL – e hanno sottoscritto un documento in cui denunciano le problematiche in atto sulla fusione con lo Spallanzani e l'eliminazione delle specificità dei due istituti;
   il documento concretamente afferma che: «La direzione strategica dell'Istituto ha recepito passivamente le disposizioni date dalla Regione Lazio, e non si è fatta promotrice presso quella sede delle iniziative necessarie a tutelare le eccellenze e le specificità di queste strutture ospedaliere, nonostante i rappresentanti dei medici lo abbiano più volte richiesto. L'atto aziendale prodotto, di fatto, sancisce la definitiva eliminazione della specificità clinica e di ricerca dell'Istituto nazionale tumori Regina Elena e dell'Istituto dermatologico San Gallicano. Per non parlare poi della confusione che la fusione con l'Istituto Spallanzani sta creando a operatori e pazienti. Così è impensabile andare avanti (...)»;
   il personale dell'Ifo chiede con urgenza che i rappresentanti dei medici siano convocati per stabilire un accordo sugli eventuali cambiamenti organizzativi, compreso l'orario di lavoro; in caso contrario si atterranno strettamente e inderogabilmente a quanto previsto dall'attuale Contratto nazionale di lavoro in termini di orari, ferie e recuperi;
   al commissario ed all'intero vertice aziendale viene mosso il rilievo di non aver affatto compreso l'evoluzione clinico-scientifica nella lotta al cancro registrata negli ultimi 15 anni, sottovalutando quindi le esigenze degli ammalati e dei lavoratori. Il Regina Elena e il San Gallicano rappresentano, ciascuno nel proprio ambito specifico, un vero e proprio polo di eccellenza ed alta specialità oncologica e dermatologica. È sotto accusa la decisione di azzerare la ricerca sperimentale e traslazionale che in tutti gli altri Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico viene invece stimolata e implementata perché fondamentale per garantire il progresso nelle terapie e assistere al meglio il paziente nella pratica clinica;
   tra le altre critiche c’è quella di declassare l'onco-ematologia che assicura ogni anno una assistenza di qualità a molte centinaia di pazienti affetti da Linfomi, mielomi e leucemie, di depotenziare la medicina nucleare che è attualmente la prima a Roma e nel Lazio per numero e qualità delle prestazioni, di azzerare la psiconcologia che ha finora aiutato migliaia di pazienti a superare i gravissimi problemi familiari, sociali, relazionali e lavorativi provocati dalla grave malattia oncologica; il piano proposto dal commissario in definitiva non prevede la nascita di nuove strutture, per esempio quella che si potrebbe occupare di sviluppo dei nuovi farmaci, di terapie palliative, dei tumori ereditari e della riabilitazione oncologica che sono ritenute indispensabili in ogni Istituto di oncologia di eccellenza;
   i medici denunziano all'interno dell'Ifo il vistoso e costoso apparato di governo, per cui in un ospedale che ha solo 280 posti letto ci sono 3 direzioni sanitarie, e numerose strutture amministrative e di staff al vertice aziendale; qualche mese fa inoltre la dirigenza degli istituti ha deciso di aumentarsi gli stipendi, con un esborso per l'ente di oltre un milione di euro. È la delibera 714 del 9 ottobre 2014. In un momento di grave crisi economica e di continui tagli, l'adeguamento dei compensi di circa il 20 per cento è stato percepito come un ulteriore, insopportabile atteggiamento di poca sensibilità politica;
   nei due istituti c’è una grande preoccupazione che rischia di influire sulla qualità del servizio prestato, nonostante l'impegno e l'abnegazione di tutto il personale: medico ed infermieristico che si prodiga per far fronte, a carenze che ogni giorno si aggravano sempre più. Sussiste nel personale l'idea che i vertici aziendali non siano sufficientemente attenti al progressivo degrado gestionale degli Istituti anche per una scarsa attenzione alle attività di ogni giorno; ritengono di non essere e di non sentirsi sufficientemente coinvolti nei processi decisionali che riguardano i cambiamenti dell'Ifo;
   temono che si possa incorrere in scelte sbagliate, come quelle di un eventuale accorpamento con lo Spallanzani. In cambio l'Istituto dermatologico San Gallicano, storico ed unico Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblico e riferimento clinico e culturale della cura delle patologie dermatologiche, risulta fortemente ridotto nel piano proposto e mantiene soltanto due Strutture complesse superstiti. Il mega-polo di ricerca e cura sarebbe la risultante di un accorpamento di laboratori di ricerca, che potrebbero anche condividere almeno in parte strumenti e metodologie, ma in realtà avrebbero tre tipologie di pazienti ben diversi, che richiedono anche sul piano clinico approcci diversi, protocolli diversi, profili culturali diversi –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attivazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, circa il processo di riorganizzazione dell'Ifo, che rappresenta, non solo a Roma e provincia ma in tutto il Centro-sud, un polo di eccellenza oncologica e dermatologica, sia sul piano dell'assistenza che della ricerca;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, coinvolgendo il personale medico e infermieristico, per garantire una corretta amministrazione di queste realtà cliniche complesse, in cui spesso la riorganizzazione e gli accorpamenti, invece di introdurre misure di semplificazione e di trasparenza, finiscono con moltiplicare l'apparato burocratico-amministrativo con rilevanti effetti nella spesa sanitaria. (5-05149)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARBANTI, RIZZETTO, ROSTELLATO e BALDASSARRE. ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO, BECHIS e MUCCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 29 gennaio 2015, la procura ha chiesto il fallimento della fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella», nell'ambito dell'inchiesta che vede indagate 10 persone per false comunicazioni sociali. Nella richiesta della procura si ipotizza che, dal 2008 al 2011, sarebbe stata alterata la situazione economica e finanziaria della fondazione, provocando così un dissesto economico;
   successivamente, 23 febbraio 2015, con il decreto n. 17254, la prefettura di Catanzaro ha notificato, al presidente del tribunale, al presidente della fondazione, al presidente della regione Calabria e al Rettore della Magna Graecia l'atto: «con il quale questa Prefettura ha accertato l'impossibilità, per la Fondazione, di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito». Causa questa – si legge ancora – «di estinzione della personalità giuridica disciplinata dal codice civile all'articolo 27»;
   il 12 marzo 2015, il presidente della fondazione Campanella, ha notificato ai 245 dipendenti un provvedimento di licenziamento determinato – a detta di quest'ultimo – dall'inadempimento degli obblighi, da parte della regione Calabria e dalle conseguenze derivanti dal decreto prefettizio di estinzione della fondazione;
   il 20 marzo 2015, il provvedimento di licenziamento è stato impugnato dal legale dei 245 dipendenti, il quale con gli atti già notificati ed altri notificandi, ha dedotto che gli argomenti sostenuti nell'impugnato atto di licenziamento sono manifestamente infondati e irrilevanti e non possono assurgere né a giusta causa né a giustificato motivo. «Se, infatti, la regione Calabria non ha adempiuto i propri obblighi – si fa notare – la Fondazione avrebbe dovuto attivare i necessari meccanismi, anche giudiziari, al fine di ottenere l'adempimento degli impegni da parte della regione stessa»;
   stesso discorso, sostengono i legali, per l'estinzione della fondazione, dichiarata dal prefetto (atto immediatamente ricollegabile all'inadempimento della regione), dichiarazione che la fondazione avrebbe dovuto impugnare dinanzi all'autorità giudiziaria. A tutto ciò è stato aggiunto, nell'atto di impugnazione, «che il licenziamento si pone in violazione dell'accordo sindacale del 5 febbraio 2015, con cui era stato assunto l'impegno a mantenere in piedi la Fondazione, nonché dell'accordo del 1 ottobre 2013 intervenuto dinanzi al prefetto di Catanzaro.». Infine si sottolinea che, i lavoratori, essendo la fondazione un ente pubblico, non avrebbe potuto licenziarli ma avrebbe dovuto attivare i meccanismi relativi all'esubero del personale pubblico con assorbimento da parte delle pubbliche amministrazioni;
   il Ministero della salute ha più volte ribadito che la rete oncologica nazionale è una priorità da incentivare con forza. In Calabria la situazione sanitaria regionale è per certi aspetti deficitaria ma, nell'ambito di un sistema di per sé compromesso, la fondazione Campanella ha certamente rappresentato il fiore all'occhiello della sanità calabrese, contribuendo alla cura e alla ricerca oncologica anche a livello nazionale e soprattutto impedendo ai cittadini calabresi di spostarsi in altre regioni per ricevere le opportune cure. Tale sistema ora però rischia di essere definitivamente compromesso;
   questa situazione potrebbe determinare un aumento notevole dell'emigrazione sanitaria oncologica sia per quanto riguarda i ricoveri sia per ciò che concerne il regime ambulatoriale, aumentando vertiginosamente i costi del servizio sanitario che la regione si dovrebbe assumere per rimborsare le altre regioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti menzionati in premessa;
   quali iniziative il Ministro della salute, per la parte di competenza, abbia intenzione di porre in essere al fine di garantire a tutti i cittadini residenti sul territorio nazionale un'adeguata tutela della salute così come previsto dall'articolo 32 della Costituzione;
   quali iniziative, per le parti di competenza, i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere per salvaguardare l'eccellenza in campo oncologico che la fondazione Campanella rappresenta per la Calabria e tutto il territorio nazionale sia dal punto di vista sanitario sia in materia di tutela di professionalità e posti di lavoro garantendo in tal modo la presenza, nel Sud del Paese, di un presidio sanitario all'avanguardia cui possono rivolgersi tanti cittadini con gravi problemi di salute. (4-08555)


   OCCHIUTO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria risulta essere soggetta a piano di rientro per la sanità e, in quanto tale, è stato nominato un commissario ad acta ai sensi e per gli effetti della legge del 23 dicembre 2009, n. 191;
   ai sensi del comma 1, articolo 21, legge regionale 7 agosto 2002 n. 29, la giunta regionale della Calabria, è stata autorizzata ad assumere ogni iniziativa volta ad istituire il «Centro Oncologico previsto in Catanzaro, anche d'intesa con l'Università Magna Graecia»;
   ai sensi del comma 2, articolo 21, legge regionale 7 agosto 2002 n. 29, le risorse necessarie per l'istituzione del Centro oncologico sono state individuate nei fondi trasferiti alla regione Calabria dallo Stato ai sensi dell'articolo 20, legge finanziaria 11 marzo 1988, n. 67 e successive modificazioni, che autorizza l'esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario e dell'articolo 71, legge finanziaria 23 dicembre 1998, n. 488 che promuovono un piano straordinario di interventi per la riqualificazione dell'assistenza sanitaria nei grandi centri urbani;
   con delibera n. 798 del 25 ottobre 2004, la giunta regionale in accordo con l'università Magna Graecia di Catanzaro, ha approvato lo statuto, rep. n. 50912, registrato a Soverato il 19 novembre 2004 al n. 101391, con il quale è stata costituita la fondazione denominata «T. Campanella» con il fine di svolgere attività di ricerca in maniera strettamente funzionale all'attività di assistenza sanitaria;
   il protocollo d'intesa tra l'università «Magna Graecia» di Catanzaro e la regione Calabria, recepito con delibera di giunta regionale n. 799 del 25 ottobre 2004, ha stabilito il trasferimento di numerose (17) unità operative a direzione universitaria dall'Azienda «Mater Domini» alla Fondazione «T. Campanella»;
   con successiva delibera di  giunta n. 822 del 23 settembre 2005, esplicativa, modificativa ed integrativa delle deliberazioni giunta regionale n. 798 e n. 799 del 25 ottobre 2004 e dei connessi atti consequenziali, è stato stabilito che la regione debba assicurare le risorse finanziarie (pari ad euro 50.000.000,00) per il funzionamento della fondazione «T. Campanella» ed ha impegnato la stessa nel reperimento di idonei finanziamenti per far fronte ai costi di acquisizione delle apparecchiature presenti in Germaneto, assicurando adeguata copertura in un arco temporale non superiore ai tre anni a decorrere dal 2005;
   la mancata corresponsione dei contributi statutari è oggetto di contenzioso che attualmente ha portato all'emanazione di un'ordinanza che riconosce pienamente la validità delle pretese della fondazione ed alla predisposizione di uno schema di accordo di transazione mai sottoscritto dalla regione Calabria;
   alla fondazione successivamente alla sua costituzione è stata assegnata una dotazione organica composta complessivamente da 270 operatori sanitari;
   nel piano di rientro del servizio sanitario, adottato con delibera n. 845 16 dicembre, al punto 4 la giunta regionale si è impegnata a definire «un percorso che, in base alla normativa vigente e alla compatibilità del piano, conduca alla ridefinizione a regime dell'assetto giuridico della Fondazione Campanella»;
   in data 13 dicembre 2013, alla presenza del prefetto di Catanzaro dottor Cannizzaro, è stata stipulata un'intesa sottoscritta dal presidente della regione della Calabria, dal rettore dell'università della Magna Graecia, dai subcommissari per l'attuazione del piano di rientro, dal dirigente generale del dipartimento tutela della salute, dal presidente della fondazione, dal direttore generale dell'azienda «Mater Domini», dal direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale e dal sindaco di Catanzaro, per la costituzione – da parte della azienda ospedaliera «Mater Domini», della azienda ospedaliera «Pugliese Ciaccio», dell'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, della regione Calabria e dell'università Magna Graecia – di una società a capitale interamente pubblico retta secondo l'istituto dell’inhouse providing e che fornisca servizi di natura strumentale agli enti soci, al fine di salvaguardare il personale dipendente della fondazione non afferente alle unità oncologiche;
   in data 19 febbraio 2015, il presidente della fondazione Campanella, professor Paolo Falzea ed il direttore generale della fondazione Campanella dottor Mario Martina, hanno emanato un decreto che ha stabilito sospensione a decorrere dal 2 marzo 2015 di tutte le attività assistenziali inerenti ricoveri e prestazioni ambulatoriali per la ricerca e la cura dei tumori a causa dell'assenza di risorse necessarie a garantire i servizi e salvaguardare i livelli occupazionali;
   il prefetto di Catanzaro con decreto n. 17254 del 23 febbraio 2015 ha disposto l'estinzione della personalità giuridica della Fondazione disciplinata dall'articolo 27 del codice civile, per impossibilità di raggiungimento dello scopo sociale;
   in data 11 marzo 2015 sono state avviate le procedure di licenziamento dei dipendenti della Fondazione Campanella di Catanzaro;
   in data 13 marzo 2015 il professor Paolo Falzea ha rassegnato le dimissioni da presidente della Fondazione Campanella;
   sebbene la vicenda della fondazione Campanella rappresenti un esempio emblematico dei limiti organizzativi dei Commissari per la Sanità nominati dal Governo, dei manager scelti per guidare la fondazione stessa e della capacità di indirizzo politico e gestionale della regione Calabria nel corso degli ultimi anni, tali limiti non possono riverberarsi sugli ammalati e sui lavoratori della fondazione –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare: a) per tutelare concretamente la condizione dei malati (circa 500) di tumore in trattamento chemioterapico e radioterapico e dei 1000 pazienti sottoposti a monitoraggio continuo post intervento e per cicli antitumorali; b) per salvaguardare la posizione lavorativa delle centinaia di unità lavorative, difficilmente ricollocabili a causa del blocco del turn-over in ambito sanitario, la cui esclusione dal mercato del lavoro costituirebbe un duro colpo per il tessuto economico-sociale della Calabria; c) per attivare ogni utile azione al fine di consentire, nel caso, l'accesso alla cassa integrazione in deroga per i dipendenti eventualmente in esubero. (4-08556)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERZONI e CECCONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il distretto della meccanica nella regione Marche trova una delle sue migliori espressioni in termini di sviluppo, occupazione, innovazione e competitività internazionale nel settore delle cappe aspiranti;
   le imprese che si dedicano a questa produzione, tra le quali sono presenti alcuni dei principali gruppi a livello mondiale, sono concentrate nel territorio fabrianese dove le prime cappe sono state costruite nel 1958 da Abramo Galassi, fondatore del marchio Faber proprietà della svizzera Franke dal 2005;
   proprio nei primi anni del 2000 il panorama ha iniziato una fase di accelerata trasformazione le cui cause possono ritrovarsi soprattutto nelle numerose operazioni di acquisizione alle quali hanno partecipato, appunto, anche capitali stranieri;
   i dati comunicati nel 2013 e raccolti da «Quieconomia» parlano di un export, destinato soprattutto ai Paesi europei, per il periodo 1994-2004 pari a 1,2 miliardi di euro; dati nettamente superiori a quello delle importazioni pari a solo 300 milioni di euro con un saldo commerciale in costante miglioramento;
   nonostante questi dati la progressiva trasformazione del settore incide in maniera preoccupante anche nell'evoluzione dell'occupazione nel distretto dove si registrano già particolari e gravi dati di disoccupazione;
   molte aziende stanno da anni delocalizzando la produzione all'estero con conseguente diminuzione dei livelli occupazionali nel nostro Paese e in particolare nel distretto fabrianese;
   il 15 marzo Il Sole 24 Ore pubblicando un articolo sull'andamento sul mercato del gruppo Elica ha allegato un grafico nel quale viene riportato il trend della dislocazione di produzione. In base a questo grafico dal 2013 al 2014 la produzione si è spostata di una quota pari al 5 per cento dai Paesi dell'ovest Europa, tra i quali l'Italia, ai Paesi con più basso costo e questo processo è destinato a ripetersi nei prossimi anni con un ulteriore spostamento dell'8 per cento verso questi ultimi. In questo modo si passerà da un rapporto pari al 52 per cento nei Paesi a basso costo e 48 per cento nei Paesi dell'ovest Europa a un rapporto pari al 65 per cento di produzione nei Paesi a basso costo e 35 per cento nei Paesi dell'ovest Europa;
   negli stabilimenti italiani del gruppo Elica sono attivi e sono stati attivati in passato i sistemi di ammortizzatori sociali quali cassa integrazione guadagni straordinaria e contratti di solidarietà –:
   quali interventi il Ministro interrogato intenda porre in essere per cercare di bloccare e invertire il trend descritto in premessa;
   se non ritenga necessario instaurare sin da subito un tavolo di confronto con le aziende del distretto meccanico dedicato alla produzione delle cappe aspiranti per avviare un processo di collaborazione che possa rafforzare l'attività produttiva nel territorio nazionale. (5-05135)


   VICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fondata nel 1872 e quotata alla Borsa di Milano dal 1922, Pirelli è tra i principali produttori mondiali di pneumatici (6,15 miliardi di euro i ricavi 2013) con un posizionamento distintivo sulla gamma alta, ossia pneumatici Premium ad elevato contenuto tecnologico;
   con 19 stabilimenti in 13 paesi, Pirelli ha una presenza produttiva in 4 continenti ed una capacità a fine 2013 di 69 milioni di pezzi Consumer (Car e Moto) e 6.2 milioni Industrial (Truck e Agro);
   in Italia sono presenti due stabilimenti produttivi, Bollate e Settimo Torinese e il quartier generale di Milano che ospita il centro ricerche e sviluppo;
   l'analisi dei risultati del gruppo per il 2014 evidenzia il miglioramento dei principali indicatori economici, il rafforzamento del posizionamento sul segmento Premium in tutte le aree geografiche ed una generazione di cassa superiore alle attese, con ricavi consolidati a 6.018 milioni di euro, con una crescita organica del 5,9 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2013 (-0,7 per cento includendo l'impatto negativo dei cambi), ed una posizione finanziaria netta consolidata passiva per circa 980 milioni di euro, in deciso miglioramento rispetto ai 1.322,4 milioni di euro di fine 2013 e rispetto ai 2.003,9 milioni di euro al 30 settembre 2014;
   il 51,197 per cento del capitale Pirelli è nelle mani del mercato, il 26,19 per cento di Camfin (i cui soci sono Nuove Partecipazioni, Unicredit, Intesa San Paolo e Rosneft) ed il restante è ripartito tra soci minori;
   il 22 marzo è stato dato l'annuncio da parte del consiglio d'amministrazione di Camfin della firma dell'accordo vincolante che permetterà alla China National Chemical, attraverso la controllata China National Tire & Rubber (CNRC) di assumere il controllo del gruppo con la nascita di una nuova società, Bidco, che comprerà il 26,2 per cento di Pirelli dall'attuale Holding e poi lancerà un'Opa obbligatoria sul resto del capitale a 15 euro per azione ed un'Opa volontaria sulle azioni di risparmio condizionata al raggiungimento di almeno il 30 per cento dei capitale, sempre a 15 euro ad azione;
   secondo il CEO di Pirelli, Marco Tronchetti Provera questo accordo rappresenta una grande opportunità in quanto l'approccio al business e la visione strategica di Cnrc garantirebbero lo sviluppo e la stabilità necessarie a Pirelli e non avrebbe alcun impatto sull'occupazione, verrebbe inoltre difesa la specificità della tecnologia (il Centro ricerca e sviluppo e l'Headquarters di Pirelli continueranno ad essere situati in Italia) e non si correrebbe il pericolo di delocalizzare la produzione poiché, per lo spostamento della sede, come il trasferimento a terzi della proprietà intellettuale di Pirelli sarebbero previste maggioranze rafforzate pari al 90 per cento;
   pur essendo in presenza, come dichiarato da Tronchetti Provera, di accordi di tutela per il mantenimento in Italia dell'occupazione e delle sedi operative, a parere dell'interrogante queste clausole potrebbero non essere blindate, in quanto dipendenti in futuro dall'evoluzione dell'azionariato e dai mercati;
   sono inoltre da valutare gli effetti industriali, perché da indiscrezioni sembrerebbe che le attività premium, quindi le gomme di automobili di una certa levatura e di una certa classe, verranno incentivate, mentre le ruote dei camion, quelle che si producono a Bollate a Milano, dovranno rientrare in un'altra azienda del gruppo ChemChina;
   una tutela reale, della manodopera e della manifattura italiana, dovrebbe configurare un intervento per rendere il sistema industriale italiano in grado di reggere le sfide della competizione internazionale attraverso una politica industriale capace di coinvolgere e indirizzare le energie produttive presenti in Italia penalizzando la competizione sui costi, che colpisce i diritti e i redditi dei lavoratori, e potenziando la capacità di sfidare il mondo in termini di know how, innovazione di prodotto e di processo, buona occupazione –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito ai fatti esposti in premessa;
   quali siano le prospettive industriali ed occupazionali del gruppo Pirelli conseguenti alla scelta di Camfin. (5-05137)

Interrogazione a risposta scritta:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Gruppo Prysmian è leader mondiale nel settore dei cavi e dei sistemi ad alta tecnologia per l'energia e le telecomunicazioni, con ricavi pari a circa 7 miliardi di euro solo nel 2014 ed una presenza in ben 50 Paesi, con 89 stabilimenti, 17 centri di ricerca e sviluppo e circa 19.000 dipendenti;
   del Gruppo Prysmian fa parte Prysmian spa, con sede a Milano, specializzata nella produzione di cavi per applicazioni nel settore dell'energia e delle telecomunicazioni e di fibre ottiche. In Italia la Prysmian ha i suoi stabilimenti a Merlino, Giovinazzo, Pignataro Maggiore, Ascoli Piceno, Quattordio, Livorno, Livorno Ferraris, Arco Felice e Battipaglia;
   dal 27 febbraio 2015 i 120 operai di Ascoli Piceno sono in sciopero, in seguito alla notizia del progetto di chiusura dello stabilimento;
   nonostante lo stabilimento di Ascoli sia uno degli stabilimenti più produttivi, la scelta di chiudere la sede marchigiana è stata voluta dalla dirigenza dell'azienda, in quanto – come hanno riferito gli stessi componenti della rappresentanza sindacale unitaria – «...è stato previsto un ingente finanziamento pubblico per lo stabilimento della Campania»;
   si tratta di una notizia confermata anche dal vice presidente della regione Marche, Antonio Canzian, che, in una dichiarazione rilasciata alla stampa, ha riferito di aver appreso da fonti ministeriali che «la Prysmian è risultata nei primi posti della speciale graduatoria del bando di 430 milioni per efficienza e innovazione alle imprese del sud Italia. L'azienda avrebbe così ottenuto un finanziamento di circa 32 milioni di euro per tre suoi stabilimenti campani in parte a fondo perduto e in parte come finanziamento agevolato»;
   altre fonti stampa parlano anche di «un contributo destinato alle imprese del Sud Italia che avrebbe portato nelle casse della multinazionale un finanziamento di 40 milioni per l'ampliamento dello stabilimento di Giovinazzo, in Puglia»;
   ove le predette indiscrezioni venissero confermate, si potrebbe prospettare una violazione della legislazione in materia di aiuti di Stato ed, in particolare, una possibile violazione del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 13 febbraio 2014 recante i termini, le modalità e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore di programmi di investimento finalizzati al rilancio industriale delle aree di crisi della Campania ed alla riqualificazione del suo sistema produttivo, così come modificato dal decreto ministeriale del 24 dicembre 2014 per l'adeguamento alle nuove norme in materia di aiuti di Stato di cui al regolamento dell'Unione europea n. 651 del 17 giugno 2014;
   in particolare l'articolo 4, comma 1, del citato decreto ministeriale 13 febbraio 2014, così come modificato, nell'individuare i soggetti beneficiari, dispone che «sono ammissibili alle agevolazioni di cui al presente decreto le imprese costituite in forma di società che, alla data di presentazione della domanda di agevolazioni, siano in possesso dei seguenti requisiti: ... lettera i) non rientrare tra coloro che nei due anni precedenti la domanda abbiano chiuso la stessa o analoga attività nello spazio economico europeo o che abbiano concretamente in programma di cessare l'attività entro due anni dal completamento dell'investimento oggetto della domanda di agevolazione» –:
   alla luce di quanto esposto se non ritenga che la chiusura dello stabilimento di Ascoli Piceno possa porsi in contrasto con l'articolo 4, comma 1, lettera i), del citato decreto del Ministero dello sviluppo economico del 13 febbraio 2014 e quali iniziative intenda adottare per evitare la possibile violazione. (4-08549)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Matarrese e altri n. 1-00765, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Piepoli, Vezzali.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Maestri e altri n. 5-05055, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tentori.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fedriga n. 5-05116, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Grimoldi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tinagli ed altri n. 5-05126, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scuvera.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Parentela n. 5-05086, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 395 del 19 marzo 2015.

   PARENTELA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa, l'interrogante ha appreso che la società Idroelettrica Piazza srl vorrebbe realizzare una centrale idroelettrica con collegamento attraverso una condotta forzata, nel tratto dell'alta valle del Torrente Piazza, compresa tra la cascata della Tiglia e l'abitato storico di Panetti, frazione di Platania (CZ), adiacente al Monte Reventino;
   i lavori previsti ricadono a ridosso di un corso d'acqua di proprietà demaniale tutelato dalla legge numero 431 del 1985;
   lo scrittore-ambientalista Francesco Bevilacqua in merito alla vicenda ha affermato: «l'abitato di Panetti conserva architetture rurali di notevole importanza e, nel suo insieme, costituisce un borgo con alto valore architettonico e l'area, nel suo complesso, ha notevole valenza paesaggistica»;
   la zona è interessata da fenomeni franosi e da frequenti piene del fiume che storicamente hanno prodotto alluvioni disastrose;
   la produzione di energia elettrica prevista per la centralina (potenza nominale media kw 38,56) è risibile ai fini del bilancio energetico regionale, dato che la Calabria produce molta più energia (anche da fonti rinnovabili) di quanto non ne consumi;
   le modificazioni ambientali che si produrrebbero nella zona a seguito della realizzazione della centrale non avrebbero come contraltare alcun beneficio per la comunità locale;
   l'interrogante ha presentato, in data 14 gennaio 2015, atto di sindacato ispettivo n. 4-07519, denunciando la svendita del territorio ed il deturpamento di luoghi incontaminati considerando che, allo stato attuale, sul Monte Reventino sono stati già autorizzati sette parchi eolici –:
   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di salvaguardare le aree di elevato valore paesaggistico del massiccio del monte Reventino interessate dalla paventata realizzazione della centrale idroelettrica descritta nelle premesse. (5-05086)
.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Segoni n. 5-04320 del 18 dicembre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Zolezzi n. 5-04503 del 19 gennaio 2015.

ERRATA CORRIGE

  L'interpellanza urgente Roccella e altri n. 2-00897 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 393 del 17 marzo 2015, alla pagina 22881, seconda colonna, alla riga trentesima deve leggersi «Fauttilli, Fucci, Alli, Piccone» e non come stampato.

  L'interpellanza urgente Pesco n. 2-00910 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 398 del 24 marzo 2015. Alla pagina 23127, seconda colonna, alla riga sedicesima deve leggersi: (2-00910) «Pesco, Ruocco, Villarosa, Cancelleri, Alberti, Pisano, L'Abbate». e non come stampato.