Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 11 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia, secondo quanto emerge da una ricerca fatta da Sistema gioco Italia del dicembre 2014, sono 790.000 i cittadini dipendenti dal gioco d'azzardo, mentre 1 milione e 750 mila sono i giocatori a rischio patologia;
    una recente ricerca del Codacons fornisce dati ancora più allarmanti. Il 50 per cento dei disoccupati italiani presenta forme più o meno gravi di ludopatia, con il 17 per cento dei pensionati colpiti, il 25 per cento delle casalinghe e il 17 per cento dei giovanissimi. I ragazzi tra i 15 e i 18 anni aumentano con una media del 13 per cento all'anno. Sono 400.000 i bambini tra i 7 e i 9 anni che risultano contagiati dalla dipendenza per il gioco;
    nell'anno 2013 solo con le slot machine e le videolotterie gli italiani hanno speso 47,5 miliardi di euro (il 56 per cento di quanto speso complessivamente nel gioco). Le vincite incassate sono state pari a 38,5 miliardi di euro e allo Stato sono finiti 4,3 miliardi di euro. Nel 2014 la raccolta complessiva parla di 45,6 miliardi di euro, con un gettito per l'erario pari a 4,1 miliardi di euro;
    in Italia ci sono circa 400.000 slot machine, in media 1 ogni 150 abitanti;
    il «decreto Balduzzi» n. 158 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012) ha creato l'osservatorio sulle ludopatie, riconoscendo la ludopatia come una patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro;
    i costi sociali legati al gioco sfiorano 7 miliardi di euro in quanto ogni giocatore patologico costa allo Stato 38 mila euro annui;
    le nuove modalità con cui è possibile giocare d'azzardo hanno in comune alcune caratteristiche quali la velocità della giocata, la facile accessibilità dei giochi (ormai quasi tutti gli esercizi commerciali sono dotati di slot), la «normalizzazione» del gioco d'azzardo, la legalizzazione – visto che il primo promotore è lo Stato – che inculcano nel giocatore la sensazione di avere quasi il dovere di provarci che, rafforzata dal contesto, elude o minimizza la presa di coscienza del pericolo di una dipendenza che man mano si consolida;
    un'indagine della Guardia di Finanza nel maggio 2014 ha riscontrato gravissime irregolarità, tra cui la presenza dei minori e giochi clandestini, in quasi tutte le sale scommesse. Su 2.266 esercizi ispezionati in tutta Italia, il 31 per cento è risultato fuori norma. Un centro su tre;
    l'articolo 1, comma 33, della legge di stabilità per il 2015, approvata nel dicembre 2014, destina una quota pari a 50 milioni di euro all'anno alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione dei malati di ludopatia, di cui 1 milione di euro all'anno per la sperimentazione di modalità di controllo tramite specifici software che consentano al giocatore stesso di ricevere messaggi di allerta in base al monitoraggio del proprio comportamento nei confronti del gioco,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a promuovere misure restrittive, sia di ordine normativo che amministrativo, finalizzate al contrasto della diffusione del gioco d'azzardo;
   a monitorare le attività che ruotano intorno al gioco d'azzardo al fine di eliminare quelle illecite che affiancano il gioco legale;
   ad assumere tutte le iniziative opportune perché siano destinate risorse adeguate al fine di riabilitare i giocatori dipendenti e prevenire l'ulteriore aumento dei malati;
   a prevedere nelle scuole primarie e secondarie dei percorsi specifici volti ad informare ed educare i giovanissimi ai rischi connessi ai vari tipi di giochi.
(1-00759) «Di Lello, Catalano, Di Gioia, Fava, Locatelli, Pastorelli, Borghese, Labriola, Melilla, Merlo».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    il Comitato tecnico-scientifico per la promozione di iniziative di studio e ricerca sul tema del «fattore umano» nella I Guerra mondiale, insediato nello scorso novembre a seguito del decreto ministeriale 16 dicembre 2014 e presieduto da Arturo Parisi, ha recentemente concluso la sua prima istruttoria riferendo alla Ministro della difesa Pinotti alcune iniziali conclusioni, al termine di un trimestre di attività;
    riconosciuta l'ampiezza e la profondità della «dimensione umana» del primo conflitto mondiale nei suoi molteplici aspetti – si legge in una nota del Ministero della difesa –, il Comitato ha proceduto ad una ricognizione delle iniziative già programmate nell'ambito del dicastero, nel quadro delle attività celebrative promosse dal Comitato interministeriale costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e coordinato dal Presidente Franco Marini. Nel riferire al Ministro le indicazioni emerse dalla ricognizione istruttoria il Comitato ha condiviso l'opportunità che il Ministero sostenga nell'ambito delle sue competenze ogni iniziativa capace di alimentare una matura e rinnovata memoria condivisa delle passioni e delle sofferenze che segnarono la partecipazione a quell'evento di milioni di uomini e di donne appartenenti a tutte le componenti della comunità nazionale»;
    nel comunicato stampa del Ministero si legge inoltre «Il Ministro Pinotti, che aveva seguito l'attività del Comitato nel corso dello svolgimento dei suoi lavori, ha condiviso le indicazioni emerse, e ha assicurato l'impegno del Dicastero nella direzione indicata. Più specificamente ha auspicato che in questo spirito la comunità degli storici possa offrire il suo contributo per l'approfondimento dei temi emersi: dalla esperienza della trincea all'arditismo alle specialità e ai reparti di eccellenza. Dal disciplinamento alla repressione dei comportamenti devianti fino alle condanne alla pena capitale connesse col corso dei combattimenti o con azioni contro la popolazione civile. Dagli episodi di eroismo alla renitenza e alla diserzione»;
    condividendo lo spirito e la lettera delle considerazioni del Ministro della difesa e la necessità di affrontare anche le parti più controverse della Grande Guerra, nell'approssimarsi dei 100 anni dell'ingresso dell'Italia in quel tragico conflitto, è compito della Repubblica che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, celebrare nel miglior modo possibile i giovani italiani che vi persero la vita restituendo, a chi impropriamente venne sottratto, quell'onore e quel riconoscimento che meritano;
    nessuna memoria nazionale condivisa infatti può prescindere dalla necessaria ricostruzione e riconoscimento di errori ed orrori che in quel teatro vennero commessi nei confronti degli stessi coscritti. In particolare il ricorso alla esecuzioni sommarie e alla decimazione sono stati individuati come atti ignobili e ripugnanti, contrari ai principi di umanità e della stessa etica militare;
    all'inizio del ventesimo secolo la pena di morte era prevista dalla totalità delle legislazioni penali militari e da quasi tutti i codici penali comuni europei; faceva lodevole eccezione, ma solo per l'ambito non militare, proprio il codice penale italiano, che aveva abolito la pena di morte (cosiddetto Codice Zanardelli, del 1889); l'attribuzione al legislatore della facoltà di prevedere la pena di morte nelle leggi militari di guerra è rimasta molto a lungo perfino nella nostra Costituzione repubblicana, all'articolo 27, quarto comma, che è stato abrogato soltanto con la legge 2 ottobre 2007, n. 1; e risale solo al 1994 la legge (n. 589) che ha eliminato la pena di morte dai codici militari;
    l'articolo 40 del codice penale dell'esercito durante la Grande Guerra prevedeva che nel caso di reati quali lo sbandamento, la rivolta e l'ammutinamento, o la diserzione con complotto, il superiore gerarchico che non utilizzasse qualsiasi mezzo a sua disposizione, ivi comprese le armi, per impedirne la consumazione, fosse da ritenersi correo e dunque passibile delle stesse gravissime pene stabilite per detti reati. In virtù di tale norma, gli ufficiali, in particolare i comandanti di reparti o formazioni organiche, avevano non solo la facoltà, ma financo il dovere di uccidere o far uccidere immediatamente, sul posto, i soldati che si fossero resi responsabili di quei particolari reati, secondo l'inappellabile valutazione degli ufficiali stessi;
    il militare poteva essere ucciso sulla base del giudizio di un singolo superiore, senza che venisse seguita alcuna regola, senza sentire le discolpe, senza intervento di un difensore, senza assunzione di prove, senza redazione di atti e/o verbali che potessero essere oggetto di controllo (ed eventualmente di sanzione) successivo sull'operato del superiore/giudice. Nell'esecuzione sommaria sia il giudizio che l'esecuzione non solo erano sostanzialmente contestuali, ma anche si realizzavano per solito in circostanze di tempo e di luogo tali da inficiare grandemente la serenità e ponderatezza delle decisioni, sicché la morte dipendeva, nella sua tragica definitività, dall'onda emotiva corrente nei combattimenti di prima linea o in altre situazioni di forte tensione e pericolo;
    non esiste ancora un panorama completo degli episodi di esecuzione sommaria, proprio perché sovente le esecuzioni sommarie avvenivano nel corso di combattimenti o sbandamenti, senza testimoni e verosimilmente con scarso o nullo interesse da parte dell'ufficiale di rendere noto a terzi l'accadimento. La Relazione sulle fucilazioni sommarie durante la guerra, testo redatto nel 1919. dall'Avvocato Generale Militare Donato Tommasi su incarico del Capo di Stato Maggiore Armando Diaz, probabilmente in vista di un dibattito politico sul tema, venne colpevolmente lasciata cadere nell'oblio. La Relazione Tommasi stima in circa trecento i casi di esecuzioni senza processo;
    l'orrenda pratica della decimazione risulta invece purtroppo essere stata adottata solo dall'esercito italiano nella Grande Guerra. In forza dell'articolo 251 del codice penale per l'esercito, al Comandante Supremo era conferita la facoltà di emanare circolari e bandi aventi forza di legge nella zona di guerra, facoltà di cui si fece uso per legittimare la decimazione. Trattasi in particolare di due distinte circolari a firma del Capo di Stato maggiore dell'esercito, generale Cadorna, l'una del 26 maggio 1916, l'altra del 1o novembre dello stesso anno, n. 2910;
    nei meandri oscuri dello stato di eccezione, a cavallo fra il 1916 ed il 1917, si insinuò la prassi della decimazione: espressamente ordinata in via generale da Cadorna a tutti i comandanti, e accettata – sebbene non approvata – dal Governo, nonché in definitiva sopportata se non giustificata dalla stessa giustizia militare (che non risulta abbia mai incriminato gli autori di quelle fucilazioni arbitrarie);
    gli episodi di indisciplina dei reparti italiani nel corso della prima guerra mondiale non possono esser riduttivamente interpretati – come pretendeva di fare il Comando Supremo – quali fatti criminosi tout court. Molti di questi giovani, già provati dalla durezza del conflitto, dal freddo e da malattie micidiali (come la febbre Spagnola), caddero anch'essi per la Patria anche se estratti a sorte in una decimazione per «riportare ordine e ricompattare le truppe». Restituire l'onore, dignità e memoria ai soldati uccisi per fucilazione e decimazione rappresenta un atto di giustizia per il passato ed un monito per il futuro, affinché episodi del genere non abbiano più a ripetersi,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità della promulgazione di un atto di clemenza e di riabilitazione per tutti i giovani soldati della I Guerra Mondiale che persero la vita per decimazione o esecuzione sommaria;
   ad aprire agli studiosi tutti gli archivi delle forze armate, inclusi quelli dell'Arma dei carabinieri, negli anni della Grande Guerra in modo da rendere disponibili le informazioni sulle decimazioni e le esecuzioni sommarie, nonché i rapporti dei plotoni dei carabinieri con compiti di polizia militare impegnati al fronte e chiamati a mantenere la disciplina dei reparti.
(7-00620) «Basilio, Corda, Paolo Bernini, Frusone, Tofalo, Rizzo».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche o semplicemente rifiuti elettronici (talvolta citati anche semplicemente con l'acronimo RAEE), sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono;
    in Italia la materia è regolamentata dal decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49, in attuazione della direttiva 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE);
    al capo I del decreto legislativo 49 del 2014, «Sistemi di gestione dei RAEE», la formulazione attuale del comma 3 dell'articolo 9 («I sistemi individuali») e del comma 10 dell'articolo 10 («I sistemi collettivi») è poco chiara, e potrebbe quindi creare qualche dubbio interpretativo. La ratio della norma è quella di prevedere un'adeguata certificazione che garantisca la correttezza dell'operato dei sistemi: sebbene l'interpretazione corretta sia quindi quella di prevedere una sola certificazione (ISO o EMAS o altro sistema), l'attuale formulazione potrebbe determinare qualche incertezza tra i soggetti interessati; infatti, non esplicitando in maniera chiara che una certificazione esclude le altre, qualora fosse attuata in modo erroneo (nel senso cioè di imporre ai sistemi collettivi o individuali sia le certificazioni ISO 9001 e 14001 sia la registrazione EMAS), questa disposizione comporterebbe un inutile aggravio di costi e procedure, essendo ciascuno dei due sistemi di certificazione da solo, sufficiente a garantire il raggiungimento dei requisiti richiesti dal decreto;
    il marchio di identificazione del produttore, regolamentato dal comma 1 dell'articolo 28 del decreto legislativo 49 del 2014 è necessario solo per separare i RAEE derivanti dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato da quel produttore da tutti gli altri RAEE: questa operazione deve essere effettuata solo dai produttori che optano per un sistema individuale di gestione dei RAEE (come definito dall'articolo 9). Per tutti gli altri produttori, che aderiscono a un sistema collettivo, non è necessario individuare chi sia il produttore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche divenute RAEE, poiché la responsabilità del finanziamento della gestione dei RAEE è suddivisa tra i produttori in base alle rispettive quote di mercato;
    la verifica dei requisiti tecnici previsti dal decreto ministeriale di cui all'articolo 18, comma 4, del decreto legislativo 49 del 2014 affidata al Centro di coordinamento consente di assicurare a tutte le regioni e le province delegate un supporto tecnico per le attività di adeguamento delle autorizzazioni in essere fornendo una relazione che analizzi lo stato delle tecnologie e delle attività di trattamento dei RAEE da parte di tecnici specializzati senza avocare alcuna competenza né autorizzatoria né sanzionatoria al riguardo. Nel corpus del decreto attuativo sarebbero indicati i contenuti della relazione in fase di aggiornamento dell'autorizzazione, nonché nelle successive relazioni con periodicità annuale ovvero in caso di modifica. Nel decreto sarebbe altresì indicato l'obbligo del Centro di coordinamento di trasmettere tale relazione;
    ciò consentirebbe agli enti preposti di disporre di un'analisi di rispondenza ai contenuti del decreto ministeriale assicurando in tal modo il rispetto delle previsioni contenute negli allegati V, VII e VIII del decreto legislativo 49 del 2014;
    sarebbe possibile in questo modo assicurare omogeneità operativa su tutto il territorio nazionale consentendo a tutti i soggetti che effettuano operazioni di trattamento una costante verifica del rispetto delle previsioni tecniche contenute nel decreto ministeriale di cui all'articolo 18 comma 4 del decreto legislativo 49 del 2014. Ciò consentirebbe inoltre agli enti preposti di svolgere i propri compiti potendo contare su una verifica dei requisiti tecnici previsti dal decreto ministeriale di cui all'articolo 18 comma 4 del decreto legislativo 49 del 2014 svolta in maniera indipendente e terza da tecnici specializzati e opportunamente qualificati senza alcun aggravio per la finanza pubblica,

impegna il Governo:

   ad intervenire sul quadro normativo al fine di chiarire che è sufficiente possedere una delle certificazioni previste ai sensi del dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 49 del 2014, in modo da superare l'ambiguità della norma attuale;
   a mettere in atto misure utili affinché, al fine di valutare l'istanza di adeguamento dell'autorizzazione la regione o la provincia delegata si possano avvalere del supporto del Centro di coordinamento, assicurando così lo svolgimento di verifiche di carattere tecnico da eseguirsi sulla base delle disposizioni del decreto di cui al precedente comma 4 dell'articolo 18 del decreto legislativo 49 del 2014, che definisce anche i contenuti della relazione tecnica conclusiva.
(7-00621) «De Rosa, Busto, Daga, Micillo, Mannino, Segoni, Terzoni, Zolezzi».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il Consiglio dei ministri, nella riunione del 3 marzo 2015, ha approvato la strategia per la crescita digitale e la strategia per la banda ultralarga;
    questi documenti segnalano l'importanza strategica, per la vita nazionale nel suo complesso, di una moderna infrastrutturazione delle reti di comunicazione;
    in particolare la strategia per la crescita digitale prevede una roadmap per la digitalizzazione del Paese capace di determinare il progressivo switch off dell'opzione analogica per la fruizione dei servizi pubblici, progettando la digitalizzazione della pubblica amministrazione, e di garantire crescita economica e sociale, attraverso lo sviluppo di competenze nelle imprese e di diffusione di cultura digitale fra i cittadini che generi nuova offerta capace di competere sui mercati globali;
    la strategia italiana per la banda ultralarga prevede la suddivisione del territorio nazionale in quattro tipologie di cluster con costi e complessità di infrastrutturazione crescenti, prevedendo, attraverso una sinergia di interventi pubblici e privati, per le aree dei cluster A e per la maggioranza delle aree del cluster B l'infrastrutturazione con reti di banda ultralarga a 100 Mbps, mentre per le aree dei cluster C e D è prevista un'infrastrutturazione con reti di banda larga veloce ad almeno 30 Mbps;
    come emerso anche nell'indagine conoscitiva sui media audiovisivi svolta dalla IX Commissione, risulta importante stimolare una domanda qualificata di servizi;
    a tal fine risulta pertanto auspicabile indirizzare l'offerta di connettività veloce nei settori in cui tale connettività può generare un notevole valore aggiunto in termini di contributo al radicamento di una cultura digitale nel Paese, quali la scuola, la sanità e il turismo;
    una spinta alla digitalizzazione dei servizi nel settore scolastico e in quello sanitario potrebbe inoltre contribuire alla razionalizzazione dei servizi alla cittadinanza;
    il piano strategico per la digitalizzazione del turismo italiano, prodotto dal TDLAB del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, individua tra le azioni atte a favorire il turismo anche la diffusione del WiFi;
    in questi anni sono state rese disponibili ai cittadini varie reti di WiFi libero da regioni ed enti locali, ma ognuna di queste reti ha un sistema di autenticazione diverso che obbliga a registrarsi più volte e limita l'utilità per i turisti che viaggiano nelle varie città italiane;
   il Sistema pubblico d'identità digitale è un sistema federato di identità che si presta a semplificare l'accesso ai servizi della pubblica amministrazione eliminando la necessità di dover memorizzare una moltitudine di credenziali d'accesso,

impegna il Governo

ad attribuire carattere prioritario, nei bandi per accedere ai finanziamenti pubblici per la realizzazione della strategia italiana per la banda ultralarga, all'infrastrutturazione con reti a banda ultralarga nei settori scolastico, sanitario e turistico, agevolando in quest'ultimo settore la realizzazione di un'unica rete WiFi ad accesso libero, con autenticazione tramite sistema pubblico d'identità digitale, presente in tutti i luoghi di particolare interesse turistico, prevedendo la possibilità di estendere il servizio anche ai non residenti in Italia.
(7-00623) «Coppola, Bonaccorsi, Bruno Bossio, Boccadutri, Dallai, Malpezzi, Quintarelli, Tentori, Scuvera, Ascani, Vargiu, Bonomo, Capua, Peluffo, Bargero, Basso, Gribaudo, Gadda».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la direttiva 2009/128/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, recepita con il decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari;
    in applicazione dell'articolo 6 del predetto decreto legislativo è stato predisposto il Piano di azione nazionale, PAN, per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Il Piano è stato adottato in data 22 gennaio 2014 a seguito dell'emanazione del decreto interministeriale;
    il PAN si propone di ridurre i rischi associati all'uso dei prodotti fitosanitari, promuovendo un processo di cambiamento delle tecniche di utilizzo dei prodotti verso forme più compatibili e sostenibili in termini ambientali e sanitari;
    sebbene con l'adozione del PAN vi sia una rinnovata attrazione sull'utilizzo ed i controlli dei prodotti fitosanitari, l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione dell'ambiente, ISPRA, lancia l'allarme con il «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati – 2011-2012. – Edizione 2014», nel quale si rileva che, nonostante la vendita di pesticidi sia diminuita, nelle acque sono state registrate 175 diverse sostanze e in alcune rilevazioni fino a 36 sostanze contemporaneamente: un miscuglio chimico di cui, ad oggi, ancora non si conoscono precisamente gli effetti. In merito alla nostra non adeguata conoscenza degli effetti, che un miscuglio di numerose sostanze può avere sugli ecosistemi, si legge dal dossier dell'ISPRA che: «...nei campioni sono spesso presenti miscele di sostanze diverse: ne sono state trovate fino a 36 contemporaneamente. L'Uomo, gli altri organismi e l'ambiente sono, pertanto, esposti a un “cocktail” di sostanze chimiche di cui non si conoscono adeguatamente gli effetti, per l'assenza di dati sperimentali... »;
    le modalità operative previste nel PAN, per perseguire l'ottenimento degli obiettivi dati dall'Unione Europea in tema di corretto utilizzo dei prodotti fitosanitari, sono:
     a) la formazione obbligatoria dei venditori, dei consulenti e degli operatori;
     b) informazione e sensibilizzazione per la popolazione;
     c) controlli funzionali sulle macchine per la distribuzione;
     d) adozione di misure specifiche per la tutela delle acque;
     e) misure specifiche per la riduzione dell'uso dei fitofarmaci;
     f) buone pratiche di manipolazione ed uso dei fitofarmaci durante tutto il loro «ciclo di vita»;
    nonostante le linee guida contenute nel PAN, la normativa sui prodotti fitosanitari è molto stringente riguardo alla loro immissione in commercio, alle modalità di vendita e di stoccaggio dei prodotti, ai residui negli alimenti, al divieto di trattamenti durante la fioritura per non causare danni alle api, ma dice poco o niente sulla esecuzione dei trattamenti. Sono esplicitamente vietati solo i trattamenti in prossimità dei pozzi, mentre per i trattamenti in prossimità di abitazioni e giardini esistono alcuni regolamenti comunali e delibere che valgono naturalmente solo sul territorio del comune che li ha emanati, nonché le disposizioni del codice civile e del codice di procedura penale, in riferimento a danni a persone o cose determinati da modalità operative sconsiderate o comunque da negligenza nell'uso. Esistono, poi, le disposizioni sulla sicurezza sul lavoro decreto legislativo n. 81 del 2008 e decreto legislativo n. 106 del 2009, che prevedono anche di evitare danni a persone terze, ad esempio vietando l'ingresso nell'area di un cantiere o, come nel nostro caso in esame, evitando di disperdere nell'ambiente sostanze potenzialmente tossiche. Queste procedure possono variare da azienda ad azienda e possono essere sottoposte a verifica da parte degli uffici competenti delle aziende sanitari locali, ASL;
    visto il vuoto normativo, si è cercato anche nel PAN di risolvere il problema in via «amicale» con l'agricoltore, chiedendogli di adottare alcune attenzioni: evitare i trattamenti quando c’è vento; controllare che la nuvola dei trattamenti non raggiunga le zone abitate; avvisare prima dei trattamenti in modo che i residenti possano chiudere porte e finestre; raccogliere i panni stesi, coprire l'orto con teli e non sostare nelle vicinanze dell'appezzamento da trattare. Tuttavia non vi è esplicito divieto o una normativa nazionale uguale per tutti i comuni, né una reale campagna di sensibilizzazione, informazione e formazione dell'agricoltore per espletare, idoneamente, i trattamenti e non recare danno alla popolazione immediatamente prossima ai terreni agricoli. La problematica si acuisce quando alcuni comuni sono soliti autorizzare trattamenti e irrorazioni con diserbanti nei parchi cittadini e nelle vicinanze di molte abitazioni;
    quando si esegue un trattamento fitosanitario soltanto una parte esigua della miscela contenente la sostanza attiva raggiunge il bersaglio, mentre il resto viene disperso nell'ambiente;
    nel merito della domanda relativa alle distanze di sicurezza per il rischio di contaminazione, va precisato che qualcosa in merito lo si ritrova solo nel Regolamento (CE) n. 889/2008 inerente la produzione biologica, che fra l'altro, non indica una distanza specifica di sicurezza;
    l'articolo 63 — Regime di controllo e impegno dell'operatore – del Titolo IV – Controlli – Capo I – requisiti minimi di controllo – fa, infatti, riferimento alle misure precauzionali da prendere per ridurre il rischio di contaminazione da parte di prodotti o sostanze non autorizzati e misure di pulizia da prendere nei luoghi di magazzinaggio e lungo tutta la filiera di produzione dell'operatore;
    in concreto, nel caso in cui gli appezzamenti coltivati secondo il metodo biologico siano contigui a coltivazioni convenzionali (possibili fonti di inquinamento per fenomeni di deriva) spetta all'agricoltore che produce in biologico adottare misure precauzionali (quali la predisposizione di barriere sui confini a rischio e/o fasce di rispetto) per ridurre il rischio di contaminazione da parte di prodotti o sostanze non autorizzate dai disciplinari tecnici. Dunque una normativa che si presenta alquanto debole per quel che concerne il biologico sul fronte dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari è del tutto assente la previsione di una distanza di sicurezza ben definita;
    il Regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente i livelli massimi di residui, LMR, di fitofarmaci nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale o animali e che modifica la direttiva n. 91/414/CEE del Consiglio, applica i nuovi limiti di residui di antiparassitari negli alimenti. Ai sensi della legislazione comunitaria vigente l'utilizzo di prodotti fitosanitari in agricoltura deve sottostare a parametri e limitazioni d'uso che escludano, nei limiti delle conoscenze disponibili, la presenza di rischi per la salute del consumatore. In particolare, la direttiva del Consiglio n. 414/91/CEE, relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, stabilisce che possono essere usate solo sostanze di cui sono valutati i rischi possibili per i consumatori attraverso un insieme di studi tossicologici a breve-lungo termine,

impegna il Governo:

   ad assumere una iniziativa normativa sull'utilizzo dei prodotti fitosanitari più stringente, rispetto a quella oggi in vigore, che iniziative introduca, a livello nazionale, divieti ed eventuali sanzioni, superando la logica delle raccomandazioni, ma sancendo distanze certe e determinate tra i luoghi oggetto di irrorazione con fitofarmaci e i centri abitati e le coltivazioni biologiche e biodinamiche, al fine di garantire il diritto alla salute;
   ad assumere iniziative normative per introdurre il divieto esplicito di utilizzo dei prodotti fitosanitari nei parchi pubblici come già avviene in altri Paesi dell'Unione europea;
   ad adottare una campagna informativa più efficace, attraverso una cartellonistica chiara e leggibile, in grado di avvertire la popolazione circa il luogo di dove è stato fatto uso di pesticidi, indicando, tra l'altro, le eventuali malattie che essi comportano e il periodo di carenza al fine di evitare di cagionare danni alla salute umana, con il partenariato del Ministero della salute, sulla base di altre campagne messe già in atto come quella contro il fumo, avvalendosi anche del servizio pubblico radiotelevisivo e delle maggiori testate giornalistiche nazionali;
   ad assumere iniziative normative per introdurre le specifiche distanze di sicurezza, fra campi coltivati dove sono utilizzati i prodotti fitosanitari e i campi dove non se ne fa utilizzo, che al momento non sono disciplinate a livello nazionale;
   ad effettuare, avvalendosi di enti pubblici e della collaborazione dei centri di ricerca e studi indipendenti, un monitoraggio sugli effetti a lungo termine di determinati prodotti impiegati con particolare riguardo al «cocktail di fitosanitari», così come descritto nel dossier dell'ISPRA;
   ad assumere un apposita iniziativa normativa al fine di obbligare gli agricoltori che praticano l'agricoltura convenzionale e, quindi, che utilizzano i fitofarmaci, al rispetto delle distanze di sicurezza fra le colture, al fine di evitare che le produzioni biologiche e biodinamiche vengano contaminate.
(7-00622) «Zaccagnini, Franco Bordo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   ultimo episodio frutto del binomio consolidato gioco-racket si è avuto nella città di Altamura, in provincia di Bari, in largo Nitti, dove in una sala giochi, con slot machine e altri giochi elettronici e non, è esplosa una bomba;
   il fatto è avvenuto il 5 marzo 2015, nell'esplosione sono stati gravemente feriti alcuni ragazzi che si trovavano all'interno del locale, di età compresa tra i 22 e i 26 anni, vittime innocenti di un sistema indifferente ai propri cittadini, interessato solo alle lobby e ai loro fatturati;
   ovviamente al momento sono in corso le indagini seguite dalla Direzione investigativa antimafia e varie sono le piste da seguire, ma ciò non toglie, come riportato da alcuni articoli di stampa locali, che si tratti dell'ennesima esplosione ad Altamura quale atto intimidatorio provocato dalle organizzazioni che gestiscono il racket delle estorsioni;
   ormai pare essere assolutamente consolidato che il settore delle slot machine sia ad alto pericolo di infiltrazione mafiosa;
   due fattori che insieme devastano famiglie intere, centri abitati, e possono rendono qualsiasi città un inferno dove diventa impossibile viverci e realizzarsi;
   eppure continuano ad aprirsi sale gioco, continua l'indifferenza di tanti, troppi comuni, di troppe amministrazione che adottano poco, se non per niente, provvedimenti sul gioco d'azzardo patologico contro l'apertura continua di sale gioco e l'inserimento di svariate slot-machine nei tabaccai;
   poco fanno anche le prefetture e il Ministero competente che dovrebbero aumentare il numero forze dell'ordine allo scopo di una più efficace azione di contrasto al gioco d'azzardo patologico;
   è noto che il gioco d'azzardo patologico (GAP) sia una patologia psichica gravissima che ha devastanti conseguenze su persone e famiglie;
   sarebbe opportuno diffondere tra i cittadini cosa realmente rappresenta il gioco d'azzardo, quali sono i collegamenti con il gioco che si vengono inevitabilmente a creare:
    il fenomeno del gioco d'azzardo patologico riguarda le fasce della popolazione più deboli quali i disoccupati, i giovani, i pensionati e gli indigenti, come dimostrano i dati forniti dall'Eurispes;
    con la liberalizzazione del mercato portata avanti dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non si è avuto alcun reale beneficio per le casse pubbliche;
    infatti, dalla documentazione consegnata dal direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli alla VI Commissione parlamentare (Finanze) della Camera dei deputati nel giugno del 2013, si rileva come negli ultimi anni, a fronte dell'aumento esponenziale del fatturato delle società attive nel settore, viene rilevato: la diminuzione delle entrate erariali, il mancato gettito d'iva conseguente alla diminuzione dei consumi, i costi indiretti necessari per la cura delle vittime da gioco d'azzardo patologico e non ultimi i costi sociali per il sostegno alle famiglie per lo più a carico dei comuni;
    le stime riguardanti il gioco d'azzardo in Italia indicano la sua progressiva diffusione sul territorio nazionale;
    per l'anno 2012, nel nostro Paese, nel business dell'azzardo sono stati spesi circa 88 miliardi di euro, oltre 6 volte rispetto ai 14 miliardi di euro spesi nel 2000, questo ne fa la terza industria nazionale con il 4 per cento del prodotto interno lordo prodotto;
    tali cifre rendono l'Italia il terzo Paese al mondo per quote di denaro speso nel gioco d'azzardo e il primo nell'Unione europea;
    nel nostro Paese, sono circa un milione i giocatori patologici e altri tre milioni di persone si trovano in una situazione di rischio e necessitano cure;
    nonostante il notevole impatto sociale e sanitario, continuano ad essere autorizzati e pubblicizzati nuovi giochi che attentano allo stato di crisi in cui molte famiglie sono costrette a vivere;
    la Direzione Nazionale Antimafia nella sua ultima ricerca ha segnalato cifre allarmanti per quanto riguarda il coinvolgimento delle mafie e il gioco illegale: infatti, secondo una ricerca, ammonterebbe a 15 miliardi di euro il fatturato, stimato, del gioco illegale nel 2012;
    l'infiltrazione della mafia è confermata, oltre che dalle indagini giudiziarie e dalle notizie di cronaca, anche da studi e ricerche compiuti da associazioni e da esperti nel settore, dalle relazioni pubblicate dalle medesime forze dell'ordine, tra le quali anche la Direzione Nazionale Antimafia, e dal lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, soprattutto nei settori più redditizi del sistema, quali gli apparecchi da intrattenimento (new slot e videolottery di cui circa 200 mila sarebbero illegali), le scommesse sportive e il gioco on-line;
    la criminalità organizzata utilizza il gioco d'azzardo attraverso diversi canali: sia come business, gestendo direttamente sale gioco, sia utilizzando gli strumenti per loro tradizionali e, dunque, costringendo gli esercenti – con la forza dell'intimidazione – a noleggiare gli apparecchi dalle ditte vicine al clan; ma la criminalità ha anche fatto ricorso, per aumentare gli introiti, alla gestione di apparecchi irregolari;
    uno dei modi utilizzati per il riciclo di denaro riguarda l'utilizzo delle videolottery, macchinette che accettando banconote, anche di grosso taglio, e, rilasciando ticket, non distinguono tra vincite e denaro immesso, consentendo al giocatore di ritirare il denaro anche senza aver giocato effettivamente, ottenendo, quindi, di fatto, denaro ripulito;
   inoltre, poiché il comune di Altamura (Bari) è piuttosto ampio, costituito da oltre 70.000 abitanti, seppur in tale area gli indici di criminalità sono stati sempre piuttosto bassi, da alcuni anni, non solo ad Altamura, ma in tutto il territorio della provincia di Bari, nonostante il lavoro svolto dalle forze dell'ordine, dal 2014 si registra un costante aumento di fenomeni delinquenziali che minacciano la sicurezza dei cittadini, che potrebbero essere legati come nel caso in questione anche al fenomeno del gioco;
   poiché, come disciplinato dalla normativa nazionale, il prefetto concorre, insieme alle diverse componenti del Servizio nazionale di protezione civile e in raccordo con il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, ad assicurare la tutela della integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali;
   nel momento in cui si verifica un evento, più o meno grave, il prefetto deve garantire il tempestivo avvio dei primi soccorsi, adottando i provvedimenti urgenti ed assicurando l'impiego delle forze operative per la gestione dell'emergenza, con particolare riguardo ai vigili del fuoco e alle forze dell'ordine;
   la prefettura UTG esercita anche funzioni in materia di difesa civile, che con la difesa militare, è parte integrante della difesa nazionale e consiste nell'insieme delle attività civili svolte dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti, istituzioni e organizzazioni anche private, ed è preposto all'attuazione delle direttive ministeriali ed al coordinamento delle forze di polizia, nonché responsabile provinciale dell'ordine e della sicurezza pubblica;
   lo stesso prefetto si avvale, altresì del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, organo consultivo del quale fanno parte il questore, il comandante provinciale dei carabinieri ed il comandante del Gruppo guardia di finanza e il sindaco;
   sarebbe necessario che fosse introdotta una normativa che preveda, prima di autorizzare l'apertura di sale giochi, che la prefettura abbia interloquito con la questura in ordine alle comunicazioni antimafia relative agli imprenditori titolari dell'iniziativa, che la questura chieda il parere vincolante del comune, che l'amministrazione comunale preveda una serie di limiti circa le distanze e di controlli più severi all'ingresso dei giocatori;
   i residenti di Altamura e dintorni sono perfettamente consapevoli che la gran parte dei fatti illegali non è posta in essere dagli abitanti dell'area, ma derivi da fenomeni di pendolarismo criminale e racket mafioso –:
   se siano a conoscenza dei fatti enunciati in premessa e cosa risulti abbia fatto la prefettura di Bari in ordine alla vicenda descritta;
   se non ritengano di dover intervenire fornendo un ulteriore supporto alle forze dell'ordine, promuovendo un maggiore coordinamento tra esse e un rafforzamento delle attività di controllo e prevenzione per l'esame della situazione dell'ordine e della sicurezza nel comune di Altamura con particolare riferimento alla crescita di atti di estorsione e di micro e macro criminalità organizzata nei locali commerciali ed in particolare nelle sale da gioco, dei furti in abitazione e nelle più grosse imprese locali che ancora riescono ad offrire lavoro, dei danneggiamenti e degli episodi di aggressioni in generale che si verificano;
   se non si ritenga opportuno intervenire incrementando la dotazione di uomini e mezzi sul territorio e prevedere un maggior controllo sulle strade sia all'interno della città sia di collegamento con le città limitrofe;
   se non ritengano opportuno assumere un'iniziativa normativa che vieti l'apertura delle sale da gioco ovvero di locali commerciali con slot o l'inserimento di slot nei tabaccai, stabilendo un minimo di 500 metri di distanza, per combattere il proliferare delle slot;
   se intendano assumere iniziative per obbligare i gestori di sale a chiedere un documento d'identità, per impedire il gioco ai minori;
   se intendano aprire un tavolo, in sede di Conferenza unificata, per valutare la possibilità di ridurre i locali del gioco d'azzardo in città, in base al numero degli abitanti;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato non intendano promuovere al più presto un'iniziativa normativa, più complessiva in merito e nel senso auspicato in premessa.
(2-00890) «Mantero, Grillo, Di Vita, Lorefice, Silvia Giordano, Baroni, Cariello, Brescia, De Lorenzis, D'Ambrosio».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 2001 la competenza sul servizio ferroviario pendolare è delle regioni, che definiscono contratti di servizio con i concessionari, soprattutto Trenitalia, mentre le risorse per il funzionamento del servizio ferroviario regionale sono garantite da finanziamenti statali e regionali;
   tra il 2010 e il 2012 il numero dei treni per le tratte degli Intercity è sceso di oltre il 24 per cento, stando al rapporto «Pendolaria 2013», di Legambiente;
   in 13 regioni tra il 2011 e il 2012 si è assistito ad un taglio di treni e corse in media del 5 per cento ogni anno, per quanto ancora dedotto da Legambiente;
   a settembre del 2013 in Calabria furono soppressi 14 treni locali;
   il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 10 settembre 2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 settembre, tagliò del 15 per cento le tariffe di pedaggio per l'Alta velocità pagate da Trenitalia e Ntv al gestore dell'infrastruttura, Rete ferroviaria Italiana;
   detto sconto fu proposto da Rete ferroviaria italiana con la motivazione che gli utili del biennio precedente erano stati più alti del previsto e i conti dell'azienda «devono presentare un tendenziale equilibrio tra i ricavi da riscossione dei canoni, le eccedenze provenienti da altre attività, i contributi pubblici» da un lato, e «i costi di gestione» dall'altro;
   a tale riguardo, Vincenzo Ceccarelli, assessore alle infrastrutture e alla mobilità della regione Toscana, rilevò che da un lato si tagliavano i servizi essenziali per i cittadini e dall'altro si emanava un decreto per fare sconti agli operatori dell'alta velocità, con minori introiti per 70 milioni a Rete ferroviaria italiana e con risparmi per 50 e 20 milioni a Trenitalia e al gestore privato;
   per contro, il 21 novembre 2013 il governatore della Toscana Enrico Rossi ricordò un sovrapprezzo di legge «al canone dovuto per l'esercizio dei servizi di trasporto di passeggeri» dell'alta velocità da destinare al sistema ferroviario regionale;
   dal 2011 al 2013, i servizi ferroviari della Calabria sono stati tagliati complessivamente del 16,3 per cento, secondo il rapporto «Pendolaria 2013», mentre le risorse statali per il trasporto regionale su gomma e ferro si sono ridotte del 25 per cento a partire dal 2009;
   circa 100 chilometri di linea ferroviaria interna, anche turistica, sono stati completamente chiusi in Calabria, con riferimento alle tratte Pedace-San Giovanni in Fiore (Cosenza) e Gioia Tauro-Cinquefrondi (Reggio Calabria);
   a livello statale c’è stata una costante riduzione dei finanziamenti, con una diminuzione delle risorse nel triennio 2010-2012 del 22 per cento rispetto al triennio 2007-2009;
   nella legge finanziaria del 2010, i tagli nei trasferimenti alle Regioni per il trasporto ferroviario operati d'allora Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti hanno prodotto una riduzione «strutturale» del 50,7 per cento delle risorse, secondo la stima di «Pendolaria 2013»;
   complessivamente le risorse per il trasporto su gomma e ferro sono inferiori di un quarto rispetto al 2009, dato che il totale disponibile in quell'anno corrispondeva a circa 6,1 miliardi di euro e nel 2013 a poco più di 4,9 miliardi;
   con l'introduzione del Fondo unico per il trasporto pubblico locale desta ancora più preoccupazione il confronto del dato attuale con la cifra per il funzionamento del servizio, che nello studio di «Pendolaria 2013» ammonta a 6,5 miliardi di euro;
   per quanto concerne la regione Calabria, la tabella relativa alla spesa del 2013 per il servizio ferroviario pendolare riporta il valore 0 (zero) sotto la voce «stanziamenti per il servizio» e 30 milioni di euro sotto la voce «materiale rotabile», pari allo 0,29 per cento degli stanziamenti sul bilancio regionale, contro il corrispondente dato della regione Lombardia, superiore di quasi un punto percentuale benché la rete viaria e il trasporto su gomma lombardi siano diffusi in modo capillare;
   in due distinti decreti-legge, il n. 201 del 2011 (all'articolo 37) e il n. 1 del 2012 (all'articolo 36 di modificazione del precedente succitato), il governo ha configurato l'istituzione di una specifica autorità indipendente di regolazione dei trasporti, a completamento della rapida liberalizzazione del trasporto ferroviario, decisa ex abrupto, senza però prevedere un organismo di tutela dei diritti dei passeggeri;
   il 20 novembre 2013 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione perché lo Stato, a 4 anni dal regolamento che avrebbe dovuto essere attuato entro il 3 dicembre 2009, non ha ancora istituito un'agenzia nazionale permanente per vigilare sulla corretta applicazione dei diritti dei passeggeri nelle ferrovie, né stabilito norme per sanzionare le violazioni della legislazione comunitaria;
   in un recente comunicato stampa di Filt-Cgil Calabria, si legge che «dopo la delibera della giunta regionale dell'8 aprile scorso – 2014 – con la quale, tra l'altro, si tagliano risorse per il trasporto ferroviario regionale per i treni a bassa frequenza, già contestata dalle organizzazioni sindacali, Trenitalia si prepara a produrre soppressioni invece di treni su cui c’è una forte domanda»;
   nello stesso comunicato, Filt-Cgil Calabria aggiunge che «i treni che scompariranno dal primo luglio sono il 3740 con partenza alle 5 da Reggio Calabria fino a Crotone, il 3751 con partenza da Catanzaro Lido alle 18,05 fino a Reggio Calabria, il 3752 da Reggio Calabria ore 16,05 fino a Catanzaro Lido, il 12712 da Reggio Calabria ore 7,05 a Roccella, il 12713 da Roccella ore 9,50 a Reggio Calabria, il 3696 da Cosenza alle 9,50 a Sapri, il 3697 da Sapri alle 5,30 a Cosenza»;
   Filt-Cgil evidenzia, poi, che «verranno eliminate quattro corse su Tropea e saranno di fatto eliminati i treni sulla Catanzaro Lamezia e quelli da Villa San Giovanni a Rosarno»;
   per finire, nel succitato comunicato, Filt-Cgil esprime la preoccupazione che venga «ulteriormente smantellato il trasporto pubblico ferroviario regionale con la colpevole responsabilità della giunta regionale che taglia le risorse e Trenitalia che, a sua volta, elimina il servizio ferroviario calabrese a più alta frequenza con colpi drammatici per i pendolari, i cittadini ed i lavoratori»;
   per quanto riguarda il contratto di servizio della regione Calabria, nonostante una media di 230 soppressioni di treni al mese non sono affatto previste penali, il che appare paradossale, inspiegabile e finanche incredibile;
   in Calabria un'ulteriore cancellazione di treni e una marcata diminuzione del servizio ferroviario per i pendolari si prevede, secondo la stampa, a partire dall'entrata in vigore dell'orario estivo, che sarà effettivo dal prossimo 15 giugno;
   il risultato dei tagli e delle politiche del trasporto ferroviario è che esiste un Paese a due marce, con i pendolari costretti a viaggiare, per le tratte locali, in treni lenti, sporchi e sovraffollati, mentre i passeggeri del Tav hanno standard di qualità elevati e servizi in crescita;
   a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
   a parere dell'interrogante, il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente i diritti previsti dalla Costituzione;
   l'emissione della moneta è connessa al signoraggio, che è l'insieme dei redditi che ne derivano;
   il premio Nobel per l'Economia Paul Robin Krugman, in un suo testo scritto con Maurice Obstfeld, definisce il signoraggio come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;
   «il signoraggio moderno – rilevò il deputato Renato Cambursano, nella sua interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-05147 del 20 luglio 2011 – è eclissato nella contabilità dall'azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota», cioè essa dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);
   le banche centrali sono le istituzioni che raccolgono la ricchezza e il profitto da signoraggio, che dovrebbero essere trasferiti, coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;
   tale signoraggio, definito primario, deriva dall'abilità che possiede la singola banca centrale di emettere moneta, stampandola e immettendola nel mercato;
   il signoraggio secondario, invece, è – per come riassunto con chiarezza nel succitato atto parlamentare dal menzionato deputato Cambursano – «il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l'offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l'introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio, i derivati»;
   l'articolo 1 della Costituzione repubblicana sancisce che «la sovranità appartiene al popolo», sicché del popolo è anche la sovranità monetaria;
   poiché il popolo produce, consuma e lavora, la moneta, sin dall'emissione della singola banca centrale, dovrebbe diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
   la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata studiata dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini, che ha condensato le sue conclusioni nel volume «La banca, la moneta e l'usura», edizione Controcorrente, Napoli, 2001;
   secondo Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi della sovranità monetaria, che avrebbe permesso di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne e, soprattutto, al di fuori di qualsivoglia indebitamento;
   anche il professor Giacinto Auriti, accademico fondatore della facoltà di giurisprudenza dell'università di Teramo, compì diversi studi sulla sovranità monetaria e sul signoraggio, sostenendo che remissione di moneta senza riserve e titoli di Stato quali garanzie per la realizzazione di opere pubbliche non produrrebbe inflazione, in quanto sarebbe compensata da eguale aumento della ricchezza reale;
   Auriti sostenne pure che le banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, così originando il debito pubblico;
   lo stesso studioso denunciò l'assenza di una norma giuridica sulla proprietà dell'euro all'atto dell'emissione;
   il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto «fiscal compact», il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
   con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
   il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, come più sopra visto, tuttavia in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita di servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
   l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
   l'approvazione del «fiscal compact» e degli atti collegati è opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento Cinque Stelle e di Sinistra, Ecologia e Libertà, che non erano in parlamento nella XVI legislatura;
   il 9 maggio 2010 fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (articolo 136);
   le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
   il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di organizzazione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
   l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità di 125.395.900.000 di euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del riunione del 30 marzo 2012 dell'Eurogruppo, dovrà essere versato entro la metà del 2014;
   alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e presto disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolte all'intera popolazione degli Stati membri, in larga parte esclusa dalla conoscenza di trattati e dispositivi che nella pratica ne limitano in misura non più controllabile la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
   è recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti il 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pii, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria»;
   nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
   la riforma delle pensioni cosiddetta «Fornero», dal nome del Ministro responsabile, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la quale – arrivata in un contesto di crisi economica su cui, a parere dell'interrogante, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause – ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono il lavoro nero e il lavoro mafioso, dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pii), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
   a parere dell'interrogante, i diritti fondamentali e inviolabili previsti nella Costituzione repubblicana sono seriamente in pericolo, sulla base di quanto qui detto sulla sovranità monetaria, di fatto secondo gli interroganti sottratta al popolo costituzionalmente sovrano, di quanto poi significato sulle cause reali del debito pubblico, di quanto; accennato sulla sostanziale perdita di rappresentatività democratica – visto che i processi decisionali decisivi sono rimessi, per l'Europa, a organismi non elettivi – e infine di quanto articolato in materia di strumenti che si assumono di stabilizzazione delle finanze pubbliche;
   oltre a quanto appena opinato, a parere dell'interrogante è in pericolo l'intera tenuta del sistema, che – con riferimento alla delicata questione dei trasporti ferroviari, oggetto della presente interrogazione – non riesce più a reggersi per causa di un continuo e progressivo taglio della spesa pubblica, cui – anche per le liberalizzazioni avvenute – corrisponde, come visto, un vantaggio esclusivo per i gestori privati di servizi di minore necessità;
   la Calabria è una regione ad alto tasso di criminalità organizzata, in cui la ’ndrangheta ha avuto modo di espandersi anche per causa dell'emigrazione e di una corrispondente cultura della subordinazione favorita dall'isolamento delle singole realtà territoriali;
   a parere dell'interrogante, occorrono prontamente risposte univoche sulle risorse disponibili per il trasporto ferroviario –:
   se non ritengono di dover intervenire, nell'ambito delle rispettive competenze, per assicurare alle regioni i fondi necessari al buon funzionamento del servizio ferroviario regionale;
   quali misure – in particolare per il Sud dell'Italia e per la Calabria, i cui collegamenti interni e con il resto dell'Italia risultano molto problematici – possono adottare perché all'aumento generale delle tasse corrispondano servizi adeguati e non attempati, nella fattispecie del trasporto ferroviario pubblico. (5-04974)


   CANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Regione Sardegna con legge regionale n. 4 del 1997 concernente il «Riassetto generale delle province e procedure ordinarie per l'istituzione di nuove province e la modificazione delle circoscrizioni provinciali», ha provveduto a ridefinire l'ordinamento provinciale nel suo territorio, in attuazione dell'articolo 3, lettera b), del proprio statuto;
   l'articolo 1, comma 2, della citata legge prevede che «l'istituzione di nuove province e la modifica delle circoscrizioni provinciali sono stabilite con Legge regionale (...)»;
   in base a tale principio, con la legge regionale n. 9 del 2001, sono state istituite quattro nuove circoscrizioni provinciali: Olbia-Tempio, Carbonia-Iglesias, Medio-Campidano, Ogliastra;
   con le elezioni provinciali del maggio 2005 le nuove province hanno acquisito piena capacità giuridica e l'assetto provinciale nella nuova configurazione di otto province;
   all'indomani dell'esito dei referendum del 6 maggio 2012 con i quali sono state abrogate le leggi istitutive delle province di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia Tempio, al fine di scongiurare un vuoto normativo, il consiglio regionale ha approvato la legge 25 maggio 2012, n. 11;
   con la legge regionale n. 15 del 28 giugno 2013, recante «Disposizioni transitorie in materia di riordino delle province» è stato disposto che:
    a) il consiglio regionale entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge approva una proposta di legge costituzionale di modifica dell'articolo 43 dello Statuto;
    b) entro lo stesso termine il consiglio regionale approva una legge di riforma organica dell'ordinamento degli enti locali. In detta legge, in attesa della modifica dell'articolo 43 dello Statuto, è disciplinato il trasferimento delle funzioni svolte dalle province, ad eccezione di quelle relative a: raccolta e coordinamento delle proposte dei comuni relativamente alla programmazione economica, territoriale e ambientale del territorio regionale di loro competenza e l'adozione di atti di programmazione territoriale a livello provinciale;
    c) nelle more dell'approvazione della riforma organica, al fine di assicurare la continuità delle funzioni già svolte dalle province oggetto dei referendum abrogativi sono stati nominati i commissari straordinari i quali, sono stati chiamati a predisporre gli atti contabili, finanziari, patrimoniali, ricognitivi e liquidatori necessari;
   con delibera di giunta regionale della regione autonoma della Sardegna, n. 53/17 del 29 dicembre 2014, è stato approvato il disegno di legge concernente il «Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna» che ridisegna il sistema delle autonomie locali e delle province in particolare prevedendo la soppressione delle quattro province (Carbonia-Iglesias, Medio-Campidano, Olbia-Tempio e Ogliastra) in esecuzione di quanto previsto dal referendum abrogativo regionale del 16 maggio 2012;
   con la legge di stabilità per il 2015, le province subiscono un taglio dei trasferimenti statali pari a 1 miliardo di euro nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017, ridimensionamenti di spesa che rischiano di creare non pochi problemi anche per il pagamento delle spettanze ai dipendenti provinciali;
   in considerazione della specialità e della autonomia riconosciuta alla regione Sardegna occorre che il Governo chiarisca in maniera inequivocabile l'applicabilità delle disposizioni già previste dalla legge n. 190 del 23 dicembre 2014 nonché dalla successiva circolare di applicazione, la n. 1 del 30 gennaio 2015 predisposta dal dipartimento della funzione pubblica anche per il personale delle otto province sarde al fine di evitare discriminanti penalizzazioni per il personale dipendente –:
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere affinché, anche per i dipendenti delle otto province della Regione Sardegna, qualora ne esistano i presupposti possa trovare applicazione quanto previsto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015) ed in particolare ai commi 424 e 425 dell'articolo 1, nonché quanto disposto dalla circolare n. 1 del 30 gennaio 2015 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie concernente le «Linee guida in materia di attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane. Articolo 1, commi da 418 a 430 legge n. 190 del 2014» al fine di evitare gravi ed ingiustificate discriminazioni ai danni degli stessi dipendenti provinciali. (5-04987)


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della significativa ondata di maltempo che nel corso della settimana compresa tra il 3 e l'8 marzo 2015 in diversi comuni della Basilicata si è registrato un disservizio prolungato nella erogazione dell'energia elettrica;
   il 6 marzo 2015 risultavano senza luce ben 20 mila utenze e nel corso del giorno seguente le utenze ancora senza corrente risultavano essere ben settemila;
   tali disservizi hanno riguardato interi comuni, come Vaglio Basilicata, Abriola, Anzi, Calvello, Baragiano, Bella, Avigliano, Pietragalla, per citarne alcuni;
   si sono registrate situazioni di vera e propria emergenza per persone anziane e anche malate affrontate con grande professionalità dalle squadre di emergenza dei vigili del fuoco;
   notevoli sono i danni il cui censimento è in corso per utenze private ed attività economiche a seguito della prolungata interruzione di energia elettrica;
   per quanto intensa, nel 2015, è impensabile che una ondata di maltempo possa determinare simili disservizi ad una rete gestita da una delle società del settore più importanti al mondo come l'Enel –:
   se al Governo, azionista di Enel, siano note le ragioni dei disservizi verificatisi e se sia a conoscenza del livello di sicurezza delle reti e dei tralicci anche al fine di valutare il rischio che tali situazioni possano ripetersi. (5-04990)


   CHIMIENTI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, TRIPIEDI e LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati della Lsdi (Libertà di Stampa e Diritto d'Informazione) in Italia i giornalisti sarebbero più di 112 mila, cifra nettamente più alta rispetto ad altre realtà europee ma che se esaminata attentamente ci dice che solo il 47,1 per cento di questi è ufficialmente attivo e dato ancor più emblematico, solo 1 su 5 ha un contratto di lavoro dipendente;
   negli ultimi tre anni le assunzioni in campo giornalistico sono state in totale di 360 unità, mentre i contratti a tempo pieno sono scesi del 12,9 per cento e, come ha rilevato il 3 novembre 2014 il dottor Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale stampa italiana (FNSI) «nei soli primi sei mesi del 2014 sono stati persi ben 64 posti di lavoro senza che ne sia stato creato nessuno»;
   una situazione allarmante che parla da sé, alla quale però si va ad aggiungere la problematica delle retribuzioni inique assolutamente non rispondenti a criteri di giustizia e di equità, nonostante l'approvazione della legge n. 233 del 31 dicembre 2012 istituente «L'equo compenso nel settore giornalistico»;
   un equo compenso che dovrebbe garantire ai cittadini un'informazione corretta ma che nella realtà vede la maggioranza dei giornalisti costretti a lavorare in nero o come precari quasi gratuitamente, obbligati ad accettare collaborazioni sottopagate o contratti capestro con retribuzioni che vanno dai 2,5 euro ad articolo, lasciando sulle spalle del lavoratore il costo della stesura dell'articolo, le spese per i trasporti, come contenuto nella tabella pubblicata dal sito della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per l'editoria e l'informazione, con dati aggiornati al 7 maggio 2010;
   la legge sull'equo compenso viene elusa anche mediante clausole che non prevedono, ad esempio, il pagamento di video, delle foto e delle dirette web, o erogando compensi irrisori per articoli che superano il minimo concordato;
   come se non bastassero la mancata introduzione del salario d'ingresso anche per i contratti a tempo determinato, l'apprendistato professionalizzante senza garanzie e senza impegni formativi e l'assenza di compensi dignitosi e all'altezza delle nuove competenze richieste a collaboratori e freelance, spesso per intraprendere il praticantato di due anni alcuni datori di lavoro richiedono l'iscrizione mediante una tessera ed il pagamento di una quota mensile per la durata biennale della collaborazione, per una cifra complessiva che può raggiungere anche i 2.500 euro o più –:
   se il Governo intenda istituire una commissione governativa per il controllo dell'applicazione dell'equo compenso come da legge in premessa;
   quali urgenti provvedimenti si intendano adottare per combattere in modo definitivo la precarizzazione della professione giornalistica con il conseguente abbassamento del livello informativo;
   se il Governo intenda prendere in considerazione la possibilità di assumere iniziative per eliminare i contributi statali a quegli editori che non applichino regole certe sull'equo compenso nel settore giornalistico di cui in premessa. (5-04991)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Pineto, in provincia di Teramo, il 6 marzo alle 7,30 del mattino si è verificata una esplosione del gasdotto Snam che ha provocato la distruzione di diverse abitazioni e il ferimento di alcune persone;
   l'esplosione ha provocato una colonna di fuoco alta più di 50 metri e visibile a chilometri di distanza. Fortunatamente il forte vento presente quella mattina ha direzionato le fiamme verso una zona in cui non erano presenti abitazioni;
   le prime notizie riportate dai media attribuivano le cause dell'esplosione ad una frana e all'interazione con l'elettrodotto;
   è attualmente in corso l'indagine della magistratura per accertare le cause dell'incidente;
   quanto accaduto dimostra la fragilità del territorio in cui è presente il gasdotto, che in generale è la caratteristica di tutta la dorsale appenninica; infatti, il territorio è caratterizzato dalla presenza di zone a forte dissesto idrogeologico, che in caso di abbondanti precipitazioni diventa altamente instabile, nonché dalla presenza di numerose faglie attive in zone altamente sismiche, come dimostra il terremoto aquilano;
   nel territorio italiano sono diverse le opere legate agli idrocarburi, come i gasdotti, gli oleodotti, i metanodotti, le centrali di compressione e di stoccaggio gas, talvolta ben più pericolosi di quello esploso a Pineto in quanto di dimensioni maggiori;
   nella zona di Sulmona (L'Aquila), si sta progettando un metanodotto Rete adriatica e per il segmento Sulmona-Foligno, ben più grande rispetto al gasdotto esploso, in zone altamente sismiche (terremoto aquilano del 2009 e della val di Chienti del 1997) e con numerose faglie attive;
   a San Martino sulla Marrucina (Chieti) è stata emessa positivamente, con prescrizioni, la valutazione di impatto ambientale di un progetto di impianto di stoccaggio di gas in una zona franosa, in cui si sono già verificate esplosioni in passato, in zona sismica 1 e in presenza di un elettrodotto, un metanodotto e in cui è in fase di realizzazione un elettrodotto Terna (tratto Villanova Gissi) in alta tensione a poche decine di metri dall'impianto di stoccaggio;
   ciò che è accaduto a Pineto è la prova inconfutabile che questi impianti sono altamente pericolosi, a tal punto che non è possibile garantire l'assenza di incidenti;
   è necessario rivedere l'intera strategia energetica nazionale, troppo legata agli idrocarburi e che espone, quindi, a rischi e a numerose attività (ad esempio, gli impianti di estrazione di idrocarburi) che compromettono l'ambiente –:
   quali siano gli interventi di manutenzione effettuati negli ultimi anni sulla rete Snam;
   come sia garantita la sicurezza della rete Snam in un territorio fragile ovvero ad alto rischio sismico, con presenza di forte dissesto idrogeologico sia in condizioni normali che in presenza di eventi eccezionali;
   sulla base di quali presupposti il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia adottato provvedimenti di valutazione di impatto ambientale, a giudizio degli interroganti ignorando, di fatto, il principio di precauzione nei confronti della salute umana, animale e per la protezione dell'ambiente;
   se esistano interazioni che hanno provocato l'incidente tra la rete elettrica il gasdotto Snam. (4-08358)


   COCCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da alcuni organi d'informazione che un ragazzo è stato allontanato dai corsi di arti marziali che si svolgono in una palestra di Roma a causa della sua condizione di disabilità; sul grave episodio che mina profondamente i principi su cui si fondano integrazione e inclusione è intervenuto il presidente dell'Unione Sportiva Acli di Roma, Luca Sarangeli, che, oltre a censurare l'accaduto, ha messo a disposizione del bambino uno dei centri sportivi affiliati US Acli per far svolgere al ragazzo attività sportiva gratuita;
   appare inaccettabile che una struttura professionistica non sia in grado di accogliere un ragazzo con disabilità, soprattutto, quando è proprio l'attività sportiva che può aiutare ad abbattere i pregiudizi, offrendo importanti strumenti per includere con successo le diversità;
   questo è un episodio che non solo danneggia un ragazzo e la sua famiglia ma anche la cultura del rispetto dell'altro e le politiche che si svolgono sul territorio a sostegno dell'integrazione; impedire a un ragazzo di stare con gli altri ragazzi si traduce in un atto di discriminazione basata sul suo stato di persona con disabilità, che viola l'articolo 5, l'articolo 7 e l'articolo 9 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 18 del 2009 –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga doveroso intervenire predisponendo, ogni iniziativa di competenza, anche normativa, volta a far sì che fatti analoghi a quello descritto in premessa non si ripetano.
(4-08359)


   GELMINI e CENTEMERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istruzione tecnica ha contribuito al boom economico dell'Italia, dotando il sistema produttivo di competenze qualificate attraverso periti industriali, geometri e ragionieri;
   l'Italia è il secondo Paese manifatturiero dopo la Germania, anche grazie all'iniziativa imprenditoriale e alle competenze dei nostri diplomati nel sistema dell'istruzione tecnica;
   secondo un'elaborazione di Confindustria, dal 1990 ad oggi, gli iscritti agli istituti tecnici sono passati dal 45 per cento all'attuale 33,5 per cento, un trend confermato anche dalle iscrizioni per l'anno scolastico 2015/16, in cui gli Istituti Tecnici hanno raccolto il 30,5 per cento degli iscritti ovvero meno 0,3 per cento rispetto agli iscritti alle classi prime dello scorso anno che erano pari al 30,8 per cento;
   secondo i dati del sistema informativo Excelsior, è in atto una «emergenza tecnica» perché le imprese non riescono a trovare sul mercato i tecnici di cui hanno bisogno: da un punto di vista quantitativo, sono sempre più rari i tecnici che è possibile reperire sul mercato, ma anche da un punto di vista qualitativo le imprese non trovano le competenze tecniche di cui hanno bisogno;
   sempre secondo il rapporto Excelsior, nell'ambito delle assunzioni previste per il 2014, 62.830 erano rappresentate da professioni tecniche e nel primo trimestre del 2015 si stima una richiesta di 20.080 unità della categoria «professioni tecniche»;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 emanato ai sensi del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha disciplinato il riordino degli istituti tecnici per potenziarli e innovarli rispetto alle mutate esigenze del contesto economico e produttivo;
   con la predetta riorganizzazione sono stati potenziati gli istituti tecnici a partire dalle classi prime dell'anno scolastico 2010-2011 in relazione al profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione dei percorsi del secondo ciclo di istruzione e formazione;
   l'identità degli istituti tecnici si caratterizza per una solida base culturale di carattere scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni dell'Unione europea, costruita attraverso lo studio, l'approfondimento e l'applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico;
   l'organizzazione degli istituti tecnici prevede l'articolazione in indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese, con l'obiettivo di far acquisire agli studenti, saperi e competenze necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro e per l'accesso all'università e all'istruzione e formazione tecnica superiore;
   si rischia un depauperamento del patrimonio tecnico italiano, con conseguenze sul primato italiano nel settore produttivo e manifatturiero;
   nell'atto di indirizzo concernente le priorità politiche per l'anno 2015 del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la priorità politica n. 7 si propone di «Aumentare il numero di studenti della scuola secondaria che – a partire dall'istruzione tecnica — hanno accesso ad esperienze significative di alternanza tra scuola e lavoro»;
   i percorsi di istruzione tecnica hanno dimostrato di essere in grado di garantire percorsi di alternanza scuola/lavoro di qualità;
   nelle intenzioni dello stesso Ministero si riconosce un ruolo fondamentale all'istruzione tecnica anche con riferimento alla realizzazione dell'alternanza scuola/lavoro. Infatti, nel predetto atto si dice: «Il Ministero sosterrà con grande convinzione l'apprendistato, i tirocini formativi presso le aziende e l'alternanza scuola-lavoro con durata significativa per ciascun anno scolastico in istituti tecnici e professionali»;
   nel predetto atto di indirizzo, tra le 24 priorità individuate dal Ministro, non si fa alcun riferimento al potenziamento della qualità e della reputazione dell'istruzione tecnica;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 98 dell'11 febbraio 2014, di riorganizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha previsto la soppressione della direzione generale all'istruzione tecnica superiore e per i rapporti con i sistemi formativi delle regioni, che prima aveva un'organizzazione autonoma, facendo confluire le funzioni in materia di ordinamenti dei percorsi degli istituti tecnici superiori (ITS) e indirizzi per i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) e per i poli tecnico-professionali, nella direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione;
   la materia della istruzione tecnica viene assimilata alle altre, venendo così a mancare un ufficio dirigenziale di livello generale preposto alla gestione e organizzazione dell'istruzione tecnica;
   l'individuazione di una struttura dedicata è necessaria per le peculiarità del sistema di istruzione tecnica, con precipue caratteristiche non assimilabili a quelle degli altri ordinamenti;
   in Paesi quali la Spagna, la Francia, la Germania, la Svezia e la Finlandia, percorsi di istruzione tecnica assimilabili agli istituti tecnici fanno registrare significativi risultati in termini formativi e occupazionali, viene prevista una struttura centrale dedicata con funzioni di «cabina di regia» per il potenziamento dell'offerta formativa degli istituti tecnici e la loro valorizzazione;
   nelle comunicazioni alla Commissione VII del Senato sulle linee programmatiche del dicastero, il Ministro, il 27 marzo 2014, ha preannunciato l'istituzione di una struttura interdipartimentale in grado di lavorare con le scuole e in sinergia con le principali associazioni degli imprenditori per arrivare a una profonda revisione degli istituti tecnici e a una ulteriore valorizzazione degli istituti tecnici superiori (ITS), migliorandone attrattiva e qualità anche attraverso la creazione di poli tecnico-professionali;
   ad oggi non è stata ancora istituita la struttura interdipartimentale;
   l'articolo 7, comma 3, del su richiamato decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 che ha modificato l'ordinamento degli istituti tecnici ha previsto che ogni tre anni il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca trasmetta al Parlamento un rapporto dal quale emergano i risultati dei percorsi IT;
   fino ad oggi il predetto rapporto non è mai stato presentato al Parlamento;
   non sono stati quindi resi noti i risultati del monitoraggio e della valutazione dei percorsi degli IT, previsti dalla normativa –:
   se non ritengano opportuno valorizzare il patrimonio tecnico che ha consentito l'espansione economica del nostro Paese;
   se non ritengano necessario potenziare le attività di orientamento al termine del primo ciclo di istruzione in modo tale da incentivare l'iscrizione verso l'istruzione tecnica, tenuto soprattutto conto delle maggiori, immediate possibilità occupazionali che tale indirizzo di studi può consentire;
   se non ritengano necessario investire sul sistema degli istituti tecnici al fine di ridurre il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, in un momento di crisi economica e occupazionale quale quello attuale;
   se non reputino strategici i percorsi degli istituti tecnici al fine di rispondere alle esigenze del mondo imprenditoriale che lamenta una penuria di tecnici da inserire nelle aziende;
   quali risultati abbia dato l'alternanza scuola-lavoro, così come concepita finora, in termini di inserimento nel modo del lavoro;
   quali iniziative intendano assumere per rafforzare il sistema degli istituti tecnici, anche ai fini dell'alternanza scuola/lavoro individuata tra le priorità delle azioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dell'Esecutivo;
   quali siano le ragioni per le quali a distanza di quasi un anno dalla presentazione al Parlamento delle linee programmatiche del dicastero, la struttura interdipartimentale dedicata all'istruzione tecnica non sia ancora stata costituita privando il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di una «cabina di regia» per la transizione scuola-lavoro, la cultura tecnica e il rapporto con le imprese e le regioni;
   quali iniziative intendano intraprendere per ottemperare agli obblighi di legge, e fornire una risultanza delle valutazioni effettuate sui percorsi degli istituti tecnici, che vedranno quest'anno i primi diplomati;
   quali iniziative intendano promuovere al fine di garantire una maggiore efficacia degli interventi relativi agli istituti tecnici, anche in riferimento all'articolazione funzionale del Ministero. (4-08366)


   LOREFICE, COLONNESE, BRESCIA, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO, LUPO, MANNINO, NUTI, RIZZO, CANCELLERI, D'UVA e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ANAC (Autorità nazionale anti corruzione) ha inviato presso la procura della Repubblica di Catania e Caltagirone il proprio parere sulla controversia relativa alla procedura di gara aperta per l'affidamento triennale della gestione del CARA di Mineo, indetta dal Consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza», rilevando una gestione illegittima e una scelta procedurale in contrasto «con i principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento e trasparenza», ma anche con la normativa che prevede la suddivisione dei singoli appalti in lotti funzionali ove conveniente. Il Consorzio, infatti, aveva deciso di appaltare servizi con attività eterogenee e diverse tra loro con un'unica procedura e ad un unico operatore economico, senza valutare una procedura di suddivisione dei servizi;
   l'ANAC avrebbe, altresì, rilevato un'altra grave anomalia, quella dell'indicazione cumulativa dell'importo, attraverso la quale non venivano indicati i prezzi per singoli servizi e le forniture, creando, pertanto, difficoltà nel compiere un'adeguata valutazione delle offerte economiche. Secondo le dichiarazioni rilasciate da Cantone, i servizi avrebbero dovuto essere messi a gara in «lotti autonomi»;
   sembrerebbe, secondo fonti giornalistiche, che nemmeno l'unico criterio applicato per l'aggiudicazione di una gara milionaria, cioè quello dell'offerta più vantaggiosa, sarebbe stato rispettato. Risulterebbe, infatti, che delle due ditte partecipanti, una, la C.O.T., sarebbe stata subito esclusa per mancanza dei requisiti, mentre l'altra, una costituente composta dalle stesse aziende che gestivano il precedente appalto, si sarebbe aggiudica l'appalto con un ribasso ridotto, pari a 1.00671 per cento sul prezzo. Un'offerta che la stessa ANAC avrebbe definito molto ridotta e per nulla conveniente;
   l'intervento dell'ANAC si colloca subito dopo le intercettazioni dell'operazione Mondo di Mezzo che aveva gettato ombre sull'appalto da 97 milioni di euro per il servizio di accoglienza dei migranti e che aveva visto coinvolti una molteplicità di attori, istituzionali e non. Uno degli aspetti più rilevanti è quello relativo al conferimento di incarichi e appalti, punto sul quale Cantone precisa: «Stiamo provando anche ad individuare una regolamentazione di tipo amministrativo in questo senso, proprio per quello che riguarda le società del terzo settore alle cooperative di tipo A e B». «Un atto generale che – secondo Cantone – metterà dei paletti molto significativi alle modalità di conferimento degli appalti alle cooperative»;
   SiciliaJournal, nel servizio del 6 giugno 2014 dal titolo: «Mineo, il “Cara”: soldi pubblici e affari privati», raccontava già nei minimi particolari il grande business dell'accoglienza nel CARA di Mineo. Subito dopo la pubblicazione di quel servizio, il 9 giugno 2014, arrivava all'Autorità nazionale anticorruzione, guidata dal pubblico ministero Raffaele Cantone, una segnalazione su una importante gara di quasi cento milioni di euro per la gestione dei servizi al Cara di Mineo, che sembrava disegnata su misura. La segnalazione era stata inviata dalla C.O.T., impresa palermitana del settore della ristorazione che facendo riferimento ai requisiti della gara sosteneva che gli stessi favorivano il gestore uscente violando i principi comunitari in materia. Dal parere dell'ANAC risulta che la C.O.T. avrebbe contestato la procedura di gara che non sarebbe soggetta alle norme del Codice degli appalti pubblici, per quanto queste ultime risultassero poi in parte richiamate. L'istante avrebbe sollevato diverse censure di illegittimità avverso la disciplina di gara con riferimento ai requisiti di partecipazione e all'oggetto dell'appalto, evidenziando l'impossibilità di partecipare alla procedura e la lesione alla concorrenza. Sarebbe stata contestata la violazione degli articoli 2 e 27 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e di favor partecipationis, con riferimento alle clausole del bando. Ad avviso dell'istante le clausole del bando relative ai requisiti di partecipazione, oltre ad essere in contrasto, con le norme e i principi indicati, favorirebbero il gestore uscente. Si contesterebbe, altresì, la violazione dell'articolo 2, comma 1-bis, decreto legislativo 163 del 2006. Il bando sarebbe, quindi, illegittimo avendo messo a gara servizi e lavori di diversa natura che avrebbero richiesto una suddivisione in lotti per garantire la più ampia partecipazione di concorrenti alla procedura nell'ottica di tutela della concorrenza. Si contesterebbe ancora la violazione dell'articolo 41 del decreto legislativo n. 163 del 2006 in quanto il bando richiederebbe ai concorrenti un fatturato relativo alle prestazioni oggetto di gara non inferiore a euro 47.000.000,00 senza chiarire se il fatturato si riferisca alla gestione complessiva di centri di accoglienza oppure consenta di tenere in considerazione il fatturato maturato per le singole attività messe a gara. In particolare, sarebbe violata la previsione contenuta al comma 2 secondo cui «sono illegittimi i criteri che fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale». Ad avviso dell'istante, la previsione relativa al fatturato, insieme alle altre clausole di partecipazione contestate, lede la concorrenza riducendo la platea dei concorrenti che potrebbero partecipare alla procedura di gara. Sarebbe stata violata e falsata l'applicazione dell'articolo 2, decreto legislativo n. 163 del 2006 e dei principi di diritto comunitario espressi dal Trattato UE. Risulterebbe violato l'articolo 29 del decreto legislativo n. 163 del 2006 ai sensi del quale il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici deve essere effettuato in base all'importo totale pagabile al netto dell'iva poiché la differente forma giuridica dell'operatore economico potrebbe determinare l'applicazione di una diversa aliquota;
   l'impresa o il raggruppamento d'imprese che vi potevano partecipare dovevano avere esperienze molto specifiche e particolari, requisiti dalla ristorazione alla manutenzione degli alloggi della Pizzarotti, l'azienda di Parma proprietaria degli immobili del Cara di Mineo che faceva già parte della cordata che ha poi vinto la gara. Insomma, pare essersi trattato di un appalto blindato, con l'azienda vincitrice «La Cascina Ristorazione», che avrebbe pagato al componente della commissione aggiudicatrice un compenso di 10 mila euro al mese, stando a quanto sostiene lo stesso Odevaine che, nelle intercettazioni, parlando del bando aggiungeva: «Sarà difficile che se lo possa aggiudicare qualcun altro»;
   una delegazione di consiglieri comunali, Pietro Catania di Mineo, Lorena Grazia Mileti di Castel di Iudica, Giuseppe Lanzafame e Fabio Cusumano di Ramacca e Vito Amore di Vizzini, hanno incontrato il prefetto della provincia di Catania, Maria Guia Federico. Pare si sarebbero soffermati proprio sugli aspetti poco chiari della gestione amministrativa del Cara di Mineo: l'inopportuno rapporto tra il coordinatore della lista di maggioranza «Uniti per Mineo» nonché soggetto che eroga una parte dei servizi al centro, Paolo Ragusa, ed il presidente del Consorzio «Calatino Terra di Accoglienza» e sindaco di Mineo Anna Aloisi che avrebbe dato vita a una gestione amministrativa poco trasparente in pieno conflitto dei rispettivi ruoli di controllore e controllato. Avrebbero, inoltre, sottosposto all'attenzione del Prefetto i tanti casi di consiglieri comunali del calatino che si sarebbero prestati ai soliti politicanti ed affaristi di turno beneficiando di posti di lavoro al Cara tramite assunzioni clientelari e poco trasparenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei profili di conflitto di interesse e di inopportunità dei ruoli di alcune figure apicali tra gestori e amministratori del CARA e quali iniziative di competenza, compreso l'eventuale invio di ispettori ministeriali, intenda intraprendere;
   se non intenda fare chiarezza sulla gestione amministrativa del Cara di Mineo e in merito alle gare d'appalto per l'affidamento dei servizi, sull'operato del Consorzio che gestisce il Cara e sul ruolo di Luca Odevaine nella commissione di gara, verificando, altresì, il profilo delle cooperative coinvolte, a livello di gestione e di personale assunto;
   se non intenda operare verifiche amministrative sui soggetti vincitori degli appalti e sull'utilizzo dei fondi o dar conto parlamento di eventuali verifiche già effettuate;
   se, come sottolineato dall'Autorità nazionale anticorruzione non ritenga urgente assumere iniziative per una regolamentazione, per ciò che concerne le società del terzo settore e le cooperative di tipo A e B, così da mettere «paletti» significativi alle modalità di conferimento degli appalti. (4-08368)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con una sentenza, a giudizio dell'interrogante, a dir poco sorprendente, la Corte dei conti, Sez. I centrale di appello, in data 4 febbraio 2015 ha ritenuto esente da responsabilità erariale per avere corrisposto a diversi membri della sua segreteria personale, provenienti dall'esterno e privi di laurea, il trattamento economico previsto per il personale laureato l'allora presidente della provincia di Firenze Matteo Renzi;
   il professore di diritto amministrativo Giovanni Virga, dal sito Lexitalia.it, ha scritto un articolo illuminante e chiarificatore, a giudizio dell'interrogante, sulla merito della sentenza;
   una sentenza questa che, nonostante la notorietà del personaggio politico in questione e le molteplici cariche ricoperte, forse sarebbe passata sotto silenzio, se non fosse stato per il fatto che il diretto interessato, in una newsletter del 6 febbraio 2015, non l'avesse citata quale esempio del fatto che, alla fine la giustizia trionfa;
   ma anche tale notizia è stata riportata solo dalle edizioni locali dei quotidiani nazionali. Inoltre, per quel che più rileva, nessuno sembra abbia letto la (per la verità scarna) motivazione della sentenza;
   una sentenza, a giudizio dell'interrogante e del professore Virga, sorprendente non tanto per l'esito, quanto per iter argomentativo utilizzato, che finisce addirittura per definire l'attuale Presidente del Consiglio un «non addetto ai lavori», non in grado di percepire le illegittimità del proprio operato (di qui l'assoluzione per mancanza dell'elemento psicologico, essendo stata esclusa invece la cosiddetta «esimente politica»);
   per una migliore comprensione della sentenza è bene riassumere i fatti, quali risultano dal testo della sentenza stessa;
   il giudizio di responsabilità era stato intrapreso nei confronti dell'allora presidente della provincia di Firenze Matteo Renzi e diversi altri soggetti per un presunto danno subito dall'amministrazione provinciale di Firenze, quantificato in euro 2.155.038,88, in relazione a rapporti di lavoro a tempo determinato illegittimamente incardinati con estranei all'amministrazione medesima;
   il presidente Renzi era stato condannato in primo grado per aver concorso con colpa grave alla formazione di talune delibere giuntali attributive di un trattamento economico superiore al dovuto (personale privo di laurea e asseritamente sfornito di un valido percorso sostitutivo che sarebbe stato retribuito con il trattamento normalmente previsto per il personale laureato), per un danno computato complessivamente in euro 14.535,12. La sentenza non spiega perché, da un danno iniziale di oltre 2 milioni di euro, per Renzi si era arrivati ad una condanna per 14 mila euro e rotti;
   sostanzialmente l'imputazione risiedeva nella circostanza che il Renzi «non avrebbe applicato e rispettato i criteri generali dell'azione amministrativa ed aveva consentito, malgrado l'evidente irrazionalità, che venisse retribuito con il trattamento normalmente previsto per il personale laureato, personale non solo privo di laurea ma anche sfornito di un valido percorso sostitutivo»;
   la sentenza in parola ha preliminarmente ricordato che i provvedimenti di che trattasi erano stati assunti anche sulla scorta di quattro pareri di regolarità tecnica e amministrativa rinvenibile nella nota del Segretario generale del 23 luglio 2004, nella proposta del responsabile dell'ufficio risorse umane del 26 luglio 2004, nel parere di regolarità tecnica e nel parere di regolarità contabile. Successivamente gli inquadramenti ed i relativi trattamenti retributivi di che trattasi erano stati ritenuti legittimi dalla responsabile dell'ufficio selezione del personale con la determina del 29 luglio 2004 e i contratti relativi erano stati stipulati dal dirigente dell'area gestione risorse umane. Da notare le date: in nemmeno 7 giorni sono stati acquisiti ben quattro pareri, si è ottenuto il nulla osta del dirigente dell'area risorse umane e sono stati stipulati i contratti di lavoro;
   ammette lealmente la sentenza in parola che è vero che il presidente Renzi aveva indicato nominativamente i componenti della propria segreteria, cosa del resto assai naturale tenuto conto del rapporto fiduciario intercorrente tra il personale di tale ufficio ed il presidente della provincia; è inoltre pur vero che il presidente Renzi ha preso visione dei relativi curricula, rendendolo ciò consapevole del livello culturale degli interessati; è vero infine che i provvedimenti erano a firma del presidente della provincia;
   ciò nonostante, secondo i giudici contabili di appello, non può non considerarsi il fatto che l'istruttoria amministrativa, i pareri (ben quattro) resi nell'ambito dei procedimenti interessati e i relativi contratti erano stati curati dall’entourage amministrativo e dalla struttura amministrativa provinciale che avevano sottoposto all'organo politico una documentazione corredata da sufficienti, apparenti garanzie tanto da indurre ad una valutazione generale di legittimità dei provvedimenti in fase di perfezionamento;
   nella specie quindi, pur non ricorrendo gli estremi della cosiddetta «esimente politica», il collegio ha ritenuto di poter rilevare l'assenza dell'elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un «non addetto ai lavori» (sic) quale sarebbe il presidente Renzi;
   insomma, secondo la sentenza, il Renzi, in perfetta buona fede, sarebbe stato «raggirato» dal suo entourage amministrativo. Si apprende inoltre, tramite la sentenza, che l'attuale Presidente del Consiglio, pur essendo in possesso di una laurea in giurisprudenza, sarebbe un «non addetto ai lavori» che si fida ciecamente degli apparati burocratici (che quindi sono stati giustamente condannati in primo grado) e che non è in grado nemmeno di rilevare che al personale privo di laurea da lui assunto in via fiduciaria non può essere corrisposto il trattamento economico previsto per i laureati;
   sulla base di queste motivazioni, il collegio ha ritenuto dunque di poter escludere la sussistenza della responsabilità amministrativa in capo al presidente Matteo Renzi per insussistenza dell'elemento psicologico, ritenendo assorbita in tale valutazione ogni altra eccezione e contestazione contenuta nell'atto di appello. Pertanto, il Collegio stesso, in riforma delle pronunce impugnate, ha dichiarato assolto Matteo Renzi dagli addebiti contestatigli;
   alla luce delle motivazioni della sentenza si comprende meglio la portata del principio di separazione tra politica ed amministrazione. Questo principio serve anche a mandare assolti nei giudizi di responsabilità i politici di vertice i quali, essendo «non addetti ai lavori» (e cioè non facendo parte dell'apparato burocratico che tende talvolta tranelli ed imboscate), non possono essere ritenuti responsabili degli atti da loro adottati;
   se la Corte dei conti definisce il Presidente del Consiglio dei ministri un «non addetto ai lavori» a dispetto della laurea in giurisprudenza, opportunità politica vorrebbe che lo stesso ne prendesse atto, piuttosto che felicitarsene su twitter o su qualche altro social network, per non dire su tutti i social network;
   incidentalmente va ricordato che il presidente del collegio che ha emesso la sentenza di assoluzione del Presidente del Consiglio è stato indicato come procuratore generale della Corte dei conti sei giorni dopo la pubblicazione della stessa;
   la diversità e la disparità di trattamento nei riguardi di ben altri e meno potenti amministratori locali da parte dei giudici della Corte dei conti, ad avviso dell'interrogante, è evidente;
   il caso Renzi, secondo quanto consta all'interrogante, è assolutamente peculiare. Di norma gli altri amministratori pubblici sono stati, giustamente, condannati per danno erariale e ne hanno pagato le conseguenze con l'esclusione dai pubblici uffici, oltre che con le altre conseguenze previste dall'ordinamento giuridico –:
   se non intenda adottare iniziative normative per definire in modo più chiaro ed univoco la responsabilità degli organi politici di vertice degli enti territoriali per gli atti compiuti in tale veste, anche rispetto a quella dei soggetti amministrativi che hanno compiuto la relativa istruttoria. (4-08375)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI, VACCA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si è appreso che lunedì 2 marzo 2015 due pescatori italiani, Sandro De Simone, 52 anni, e Massimo Liberati, cinquantenne, sono finiti in carcere in Gambia, dopo una decina di giorni in stato di fermo, per la presunta violazione delle dimensioni delle maglie di una rete del loro peschereccio «Idra Q.», finito sotto sequestro;
   Massimo Sabati, responsabile della società armatrice Italfish ha denunciato la mancanza di cibo in carcere e le precarie condizioni fisiche e mentali dei due pescatori. Ha poi raccontato così l'accaduto: «La nostra compagnia pesca da tanti anni lungo le coste atlantiche, ma una cosa del genere non ci è mai capitata. In Gambia lavoriamo da poco più di un mese, ma abbiamo tutti i permessi e operiamo con a bordo un osservatore incaricato dalle autorità locali. Quando la loro motovedetta ci ha fermato e i militari sono saliti a bordo sembrava tutto a posto. Il pescato nelle stive era di dimensioni regolari e le autorizzazioni per l'attività all'interno delle acque territoriali erano assolutamente a posto. Per fermare la barca e obbligare il nostro equipaggio a seguirli nel porto di Banjul, la capitale si sono appigliati ad una rete appesa in coperta. Era lì da un mese al sole, ma loro l'hanno misurata con un righello e hanno segnato a verbale una larghezza delle maglie di soli 68 millimetri contro i 70 consentiti. Insomma per due millimetri di differenza di una rete non utilizzata e probabilmente ristrettasi stando al sole ci ritroviamo con il peschereccio sequestrato, il comandante e il suo vice incarcerati, e Vincenzino Mora, un terzo italiano sottufficiale della provincia di Teramo, guardato a vista dai sei militari saliti sulla nave»;
   la moglie di Sandro De Simone ha chiesto l'intervento da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro degli affari esteri preoccupata per le sorti del marito, ritenuto in pericolo di vita;
   risulta che proprio il 10 marzo sia stato liberato solo il macchinista del peschereccio –:
   se il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali azioni diplomatiche intenda intraprendere per riportare i due pescatori in Italia;
   se il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale non intenda ripensare le eventuali donazioni bilaterali verso il Gambia, sino alla definitiva liberazione dei membri dell'equipaggio;
   se il Governo non intenda porre il problema degli eventuali aiuti al Governo del Gambia anche a livello di Unione europea. (5-04976)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto il fiume Piave si snoda per un percorso di circa 220 chilometri all'interno della regione Veneto, toccando importanti centri urbani per una popolazione complessiva residente di circa 500.000 abitanti;
   l'utilizzo delle acque del fiume per la produzione di energia elettrica ha fortemente inciso non solo sulla fisionomia dello stesso (ad esempio il suo alveo, passando da 600 metri di media a 260 metri), ma anche sulla sua fisiologia (con improvvise e forti piene o al contrario con magre);
   la portata media annua del fiume è al momento di 160 metri cubi/secondo, ma nella piena del 1966 si arrivò a 5000 metri cubi/secondo: è evidente, dunque, la possibilità che si possano verificare eventi calamitosi ai danni della popolazione e del tessuto produttivo dei territori attraversati dal fiume;
   le previsioni, allo stato attuale, indicano che eventuali piene sono destinate ad esondare sia a monte che a valle di Ponte di Piave, interessando in modo massiccio i territori limitrofi;
   a ciò si aggiunga che nel tratto compreso tra Ponte di Piave e San Donà sono presenti ben cinque attraversamenti stradali e ferroviari, con archi posti ad una quota inferiore a quella massima raggiunta dalla piena del 1966, ostruendo così ulteriormente le piene;
   sebbene la regione Veneto abbia interessato tecnici di rinomata competenza per studiare soluzioni idonee a prevenire o ridurre i danni derivanti da possibili piene del Piave, nulla è stato ancora fatto;
   pare evidente che occorra agire con la massima sollecitudine per fornire risposte concrete rispetto ad un quadro idrogeologico del territorio assai grave, il quale peraltro rischia di degenerare ulteriormente in caso di eventi calamitosi;
   si è, dunque, ancora in tempo per agire prima che i danni derivanti da una gestione miope del territorio possano manifestarsi –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato disponga in merito ai fatti riferiti in premessa avvalendosi quindi anche della collaborazione della competente autorità di bacino e se non reputi necessario attivarsi, per quanto di competenza, al fine di reperire le risorse necessarie per far fronte alle opere per mettere in sicurezza i territori attraversati dal fiume Piave.
(5-04994)


   ZARDINI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della campagna di misurazioni effettuata dal Centro nazionale delle ricerche in accordo con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è emerso che le acque superficiali di 13 comuni della provincia di Verona (Arcole, Veronella, Zimella, Albaredo d'Adige, Cologna Veneta, Bonavigo, Minerbe, Pressana, Roveredo di Guà, Legnago, Boschi Sant'Anna, Bevilacqua e Terrazzo), come pure di altre realtà limitrofe delle province di Vicenza e Padova (in tutto 30 comuni), sono interessate da livelli di inquinamento di diversa entità da sostanze perfluoro-alchiliche (Pfoa), composti utilizzati principalmente per rendere resistenti ai grassi e all'acqua vari materiali come tessuti, tappeti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti, utilizzati nell'industria conciaria diffusissima in quella realtà territoriale;
   oltre ai controlli del caso, la regione Veneto, che ha anche istituito una specifica commissione tecnica interdisciplinare, attraverso il dipartimento regionale prevenzione ha richiesto un parere all'Istituto superiore di sanità sulle possibilità di rischio per la popolazione;
   la situazione è monitorata dalle Ulss coinvolte (5 Ovest Vicentino, 6 di Vicenza, 17 di Este, 20 di Verona e 21 di Legnago) con il coordinamento regionale ed un supporto a live o centrale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'Istituto superiore di sanità;
   nonostante il pericolo, pare che non sia chiaro quale sia il livello di nocività dell'acqua ovvero sembrerebbe che in Italia non esista ancora una normativa che stabilisce un limite ad hoc in questi casi. Nel dettaglio, come si legge dalla stampa locale, nel bacino idrografico Agno-Fratta la concentrazione delle sostanze in questione superava i 1.000 o addirittura i 2.000 nanogrammi per litro (ng/l), quando l'Istituto superiore di sanità individua in 300 nanogrammi per litro la concentrazione tollerabile, considerando un'esposizione per tutta la vita a queste sostanze;
   l'unica precauzione suggerita dall'Istituto superiore di sanità, dopo la rassicurazione sull'assenza di un pericolo immediato per la popolazione, è stata quella di trattare le acque, in quanto non è possibile escludere un rischio potenziale per la salute assumendo la sostanza in concentrazioni per lunghi periodi;
   pertanto, a scopo cautelativo la regione Veneto ha dato indicazione agli enti gestori di installare sistemi di trattamento/impianto di filtraggio a carboni attivi delle acque per l'abbattimento sostanziale delle concentrazioni degli inquinanti presenti. Per la falda di Almisano di Lonigo (Vicenza), da dove i comuni interessano pescano l'acqua, a ciò ha provveduto la società «Acque Veronesi», ente gestore. Ciò ha comportato la riduzione (con alterni risultati) delle concentrazioni delle sostanze in questione;
   sembrerebbe che la fonte dell'inquinamento sia stata individuata: si tratta della ditta chimica «Miteni spa» di Trissino, Vicenza, che scarica nel depuratore del comune vicentino e, quindi, nel più grande depuratore di Montebello Vicentino gestito dal Consorzio Arica;
   tutto questo sta creando diffusi timori, tanto che a Legnago (Verona), la decisione da parte dell'amministrazione comunale di sostituire le bottigliette di acqua minerale con acqua naturale cosiddetta «del sindaco» dell'acquedotto nelle mense scolastiche è stata avversata dai genitori ed è stata, per questo, successivamente riesaminata e cancellata;
   il 12 agosto 2013 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato la direttiva 2013/39/UE che modifica le direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque;
   tale direttiva inserisce nella tabella degli standard di qualità ambientale (SQA) al numero 35, l'acido perfiuorottanosolforico e derivati (PFOS) tra le sostanze identificate a pericolosità prioritaria e fissa un limite di concentrazione massima pari a 65 μg da raggiungere negli Stati membri entro il 2027;
   sarebbe auspicabile un coinvolgimento del Governo nel monitoraggio in corso –:
   se non ritenga urgente e improcrastinabile ogni possibile azione positiva, di stimolo e di condivisione con la regione del Veneto e l'Istituto superiore di sanità, affinché si giunga ad una soluzione in tempi brevi della vicenda che sta creando diffusi timori tra la popolazione residente nelle zone interessate e se quindi intenda adottare ogni iniziativa di competenza al fine di colmare al più presto il vuoto normativo fissando i limiti di potabilità nei casi della specie. (5-04995)


   DAGA, DE ROSA, VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, BUSTO, MANNINO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 6 marzo 2015, in provincia di Teramo si è verificato quello che è definito dalla legge «effetto domino»; il gasdotto Cellino-Bussi, facente parte della rete nazionale dei gasdotti, è stato danneggiato da uno smottamento del terreno e il gas fuoriuscito si è incendiato a seguito di contatto con i fili di un vicino elettrodotto in località Mutignano;
   le piogge incessanti dei giorni precedenti l'incidente avrebbero, infatti, causato uno smottamento del terreno che avrebbe generato una incrinatura del metanodotto. In tal modo si sarebbe generata una piccola dispersione di gas che in sé non avrebbe tuttavia causato l'esplosione, prodotta invece da un innesco dovuto a cause che sono in corso di accertamento anche da parte della magistratura;
   è grave riscontrare che la Rete nazionale dei gasdotti e le relative modifiche non siano stati sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS), come invece avviene negli altri Paesi europei, in osservanza dei precisi obblighi stabiliti dall'articolo 3 comma 2, lettera a) della direttiva 42/2001 sulla valutazione ambientale strategica;
   l'area di Mutignano ove si è verificato il drammatico incendio era, inoltre, già conosciuta per il rischio di frane come evidenziato dalle mappe ufficiali della pericolosità idrogeologica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, in un Paese come il nostro, teatro costante di gravi incidenti per il territorio e per le vite dei cittadini causati dal dissesto idrogeologico e sismico, assoggettare a valutazione ambientale strategica la rete nazionale dei gasdotti, contestualmente riesaminando, per quanto di competenza, le autorizzazioni, nonché ogni atto o parere favorevole per le opere citate rilasciati – all'evidenza – senza adeguata valutazione dell'effetto domino e dell'effetto cumulo, con particolare riferimento all'attuazione delle prescrizioni delle opere sottoposte a valutazione di impatto ambientale, anche in ragione dell'assenza dei dati dei monitoraggi ambientali delle opere sottoposte a valutazione di impatto ambientale sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. (5-04996)


   PELLEGRINO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il termovalorizzatore di Acerra (Napoli), il più grande inceneritore europeo, è al centro di conflitti sociali e contenziosi giuridici da ancor prima della sua inaugurazione, avvenuta nel marzo del 2009;
   la cittadinanza locale, per mezzo delle istituzioni locali ma anche di comitati, movimenti e associazioni si è sempre fortemente opposta al progetto dell'inceneritore e alla conseguente militarizzazione del territorio individuato come area di localizzazione dell'impianto; nell'agosto del 2004, la mobilitazione contro l'inceneritore portò oltre trentamila cittadini a riunirsi in corteo contro l'avvio dei lavori; la risposta del Governo si materializzò in una pesante repressione da parte delle forze dell'ordine;
   cittadini e movimenti richiedono l'elaborazione di un nuovo piano di gestione dei rifiuti che, partendo dalla gerarchia contenuta nella direttiva 2008/98/CE (prevenzione; preparazione per il riutilizzo; riciclaggio; recupero di altro tipo; smaltimento), conduca alla strategia conosciuta come «rifiuti zero», oggetto di una proposta di legge di iniziativa popolare presentata in data 30 settembre 2013 e dal 28 gennaio 2015 in corso di esame in Commissione ambiente, A.C. 1647;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha, con sentenza del 4 marzo 2010, condannato l'Italia per non aver garantito, in Campania, uno smaltimento dei rifiuti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente, violando la direttiva sui rifiuti;
   l'Unione europea, in primis, tende a marginalizzare il ruolo degli inceneritori nel processo di gestione dei rifiuti, contestando in tal senso anche la normativa italiana relativa all'attribuzione dei CIP/6, incentivi alla produzione di energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili;
   la perseveranza nelle scelte a favore dell'incenerimento dei rifiuti è data, in primo luogo, proprio dall'incentivazione tariffaria dell'energia prodotta da tale tipo di impianti prevista dalla normativa italiana, che include i termovalorizzatori tra i beneficiari dei CIP/6, senza alcuna distinzione tra fonti organiche e fonti non biodegradabili;
   il termovalorizzatore di Acerra brucia rifiuti per 600.000/650.000 tonnellate annue, con pesanti ricadute sul livello di inquinamento e la salute dei cittadini in un territorio già gravemente contaminato da una molteplicità di fonti: discariche abusive, siti di interramento e sversamento di rifiuti pericolosi derivanti da lavorazioni industriali, fino al noto, tragico, fenomeno dei roghi tossici, che caratterizza la zona come uno dei territori principali della «Terra dei fuochi»;
   Sinistra Ecologia e Libertà, i comitati, i movimenti, oltre a un nuovo approccio nella gestione dei rifiuti, richiedono da anni la completa bonifica dell'area;
   il provvedimento ministeriale autorizzatorio dell'impianto di incenerimento, la valutazione di impatto ambientale approvata nel febbraio del 2005, aveva disposto 27 prescrizioni di adeguamento progettuale e tecnologico dell'impianto, nonché di risanamento e monitoraggio delle molteplici matrici ambientali del territorio di Acerra per poter proseguire la costruzione dell'impianto, stabilendo, infine, che in tale impianto potesse essere bruciato solo il combustibile derivato dai rifiuti ovvero quello a norma del Decreto Ministeriale 5 febbraio 1998: a cinque anni dalla messa in esercizio dell'inceneritore, non risulta tuttavia avviata alcuna effettiva bonifica del territorio, né alcuna attività di mitigazione dell'impatto sull'ambiente e sulla salute dei cittadini;
   in relazione alla situazione emergenziale legata alla gestione dei rifiuti del territorio campano è stato autorizzato, con decreto-legge del 23 maggio 2008, n. 90, convertito dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, «presso il termovalorizzatore di Acerra, il conferimento ed il trattamento dei rifiuti aventi i codici CER 19.05.01; 19.05.03; 19.12.12; 19.12.10; 20.03.01; 20.03.99, per un quantitativo massimo complessivo annuo pari a 600.000 tonnellate», ossia, anche rifiuto tal quale tritovagliato, senza alcun adeguamento dell'impianto;
   sull'impianto non viene esercitata alcuna attività di controllo da parte della cittadinanza, con una forte compromissione della necessaria trasparenza in materia ambientale;
   in data 26 novembre 2014, in sede di conferenza di servizi, è stata rinnovata l'autorizzazione integrata ambientale per il suddetto impianto, nonostante l'opposizione e il parere fermamente contrario delle comunità e delle istituzioni locali, tra cui il comune di Acerra;
   la giunta comunale di Acerra ha, dunque, approvato una delibera per l'impugnazione dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla regione presso il TAR Campania; 
   l'attività di monitoraggio dell'ARPA Campania, l'agenzia regionale ambientale, si è risolta in valori a giudizio degli interroganti inattendibili dal punto di vista scientifico-statistico; dopo un primo periodo di rilevamento dati, in seguito all'installazione di 4 centraline di monitoraggio dell'aria di cui una a ridosso dell'inceneritore, le suddette centraline sono state disattivate per più di un anno in quanto non funzionanti: per l'anno 2014 i dati relativi al PM10 sono per il 41 per cento non pervenuti;
   nel periodo di funzionamento, le centraline avevano rilevato uno sforamento del limite massimo di PM10 di oltre 50 g/m3 per un numero di giorni all'anno superiore a 35, contravvenendo alle disposizioni del decreto-legge n. 155 del 2010;
   i rapporti delle autorità scientifiche mostrano una grave compromissione del diritto alla salute nel territorio campano conosciuto come Terra dei Fuochi: l'ultimo aggiornamento dello studio Sentieri dell'Istituto superiore di sanità ha riportato dati inquietanti circa lo stato di salute dei cittadini residenti nella Terra dei Fuochi; sono stati rilevati, infatti, eccessi della mortalità e dell'ospedalizzazione per diverse patologie a eziologia multifattoriale in entrambi i generi, nell'insieme dei comuni della provincia di Napoli (32 comuni) e della provincia di Caserta (23 comuni); un rapporto Oms+Cnr aveva già mostrato nel 2007 la maggiore esposizione dei cittadini di Acerra a tali patologie;
   la corte di appello di Napoli, il 29 gennaio 2015, ha emesso una sentenza di condanna a 7 anni di reclusione a carico dei Signori Giovanni Cuono e Salvatore Pellini per gravissimi delitti contro l'ambiente, fra i quali «il disastro ambientale aggravato» legato allo smaltimento di rifiuti tossici ai danni del territorio di Acerra –:
   quali iniziative siano state intraprese e quali intenda intraprendere il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, in relazione a quanto esposto in premessa con riferimento al più grande inceneritore d'Europa nel territorio di Acerra e all'opportunità del rinnovo del contributo relativo ai CIP/6, la cui scadenza è prevista per il 2017. (5-04997)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   CIM S.p.A. (Centro interportuale merci) nasce nel 1987 per volontà di Finpiemonte e del comune di Novara;
   l'interporto è inserito dal PRGC del Comune di Novara all'interno di un'area regolata dal Piano particolareggiato esecutivo (P.P.E.) approvato il 18 maggio 1987 dallo stesso comune di Novara;
   nell'anno 1989 viene costituita l'apposita Società mista a capitale pubblico-privato, Centro Intermodale Merci S.p.A. (C.I.M. S.p.A.);
   la realizzazione del primo lotto funzionale dell'opera è stata resa possibile dalla concessione di finanziamenti a valere sul Fondo Investimenti Occupazione (FIO) relativo al 1989;
   la prosecuzione dell'iniziativa è assicurata dall'accesso ai fondi della legge n. 240 del 1990 che individua il Centro merci quale struttura interportuale di primo livello;
   nell'anno 1998, con delibera del Consiglio comunale di Novara, viene definitivamente approvato il P.P.E.;
   la variante relativa all'area del Centro viene adottata definitivamente con delibera del consiglio comunale in data 27 settembre 1999;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare formula parere positivo, con una serie di prescrizioni, sul complessivo progetto di completamento del terminale ovest con decreto di valutazione impatto ambientale (VIA) n. 5658 del 12 dicembre 2000;
   il decreto di valutazione impatto ambientale sopracitato sottolinea come le aree interessate dall'insediamento del centro intermodale ricadano nella fascia di rispetto dei corsi d'acqua ai sensi della legge n. 431 del 1985;
   ad oggi l'area interportuale è inserita nella fascia «B» del Piano stralcio dell'autorità di bacino;
   l'area presenta forte criticità di ordine idrogeologico legata all'immediata vicinanza del fiume Terdoppio, suscettibile di esondazioni nell'eventualità di piene eccezionali;
   importanti criticità riguardano altresì le aree insediate poste di poco a valle rispetto all'area dell'interporto;
   si evidenzia poi come la vicina presenza dell'area industriale del quartiere S. Agabio ponga potenziali problemi in termini di presenza di sostanze pericolose e rischi incidentali;
   come cita il decreto VIA, un ulteriore ingombro sulle aree esondabili potrebbe peggiorare l'assetto idrogeologico della zona, considerando l'assenza di una contestuale opera idrogeologica relativa alle sponde del fiume;
   all'interno del decreto di VIA n. 5658 del 12 dicembre 2000 erano quindi specificate, tra le altre, le seguenti prescrizioni:
    c) «sia previsto un ampliamento della fascia di vegetazione naturale posta tra l'interporto esistente ed il fiume Terdoppio»;
    g) «dovranno essere ottemperate tutte le prescrizioni individuate dalla Regione Piemonte»;
   in merito al punto g), la regione Piemonte con nota del 30 marzo 2000 prescrive di subordinare in ogni caso la realizzazione dell'opera all'adozione di specifiche condizioni quali:
    1) «che la fascia fluviale per l'ampiezza di 150 metri sia sistemata a verde con essenze arbustive e arboree tipiche del paesaggio fluviale»;
    2) «dovrà essere ripristinato ed infoltito il corridoio ecologico a lato della sponda sinistra del Terdoppio»;
    3) «è indispensabile per la fattibilità dell'opera, al fine delle necessarie garanzie di sicurezza per gli abitati limitrofi, la risoluzione delle problematiche idrauliche ambientali del torrente Terdoppio»;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si esprime riguardo le verifiche di sua competenza di ottemperanza alle prescrizioni aventi per oggetto la difesa del territorio in merito alle esondazioni del Terdoppio con nota del 5 giugno 2001 nella quale si fa presente che non sono ancora state adottate le diverse soluzioni previste dal Piano assetto idrogeologico in quanto ancora assente un accordo di programma (che verrà stipulato solo nel 2005);
   l'autorità di bacino del fiume Po comunica il parere nel quale non si ritiene compatibile la presenza di pile interne all'alveo del torrente, mentre si sollecita un pronto adeguamento del ponte esistente;
   solo nel 2012, dopo alcune osservazioni prodotte dal comitato locale, è stata installata una serranda, spesso non completamente chiusa;
   tale condizione consente ad oggi il passaggio delle acque direttamente nell'alveo senza passare per le vasche, fattore dimostrerebbe quindi la noncuranza rispetto allo stato degli impianti di raccolta;
   in caso di pioggia le acque, quindi, corrono direttamente nello scarico del Terdoppio anziché nelle vasche di recupero;
   la poca acqua raccolta nelle stesse presenterebbe sostanze oleose provenienti dai piazzali;
   i terreni agricoli adiacenti risultano tuttora a livello dell'alveo, mentre i lavori di innalzamento e di rinforzo spondale avrebbero dovuto proseguire fino alla derivazione della Roggia Mora, qualche centinaio di metri più a sud;
   in caso di eventuale esondazione le acque non incontrerebbero ostacoli fino alla frazione di Pernate, incontrando per di più due fontanili;
   si fa presente che l'ultima ed unica visita ispettiva ministeriale risalirebbe al 2001;
   in tale anno le aree erano tutte un unico piano campagna ma dopo 12 anni l'assetto idrogeologico risulta profondamente mutato considerando che da allora il CIM ha raddoppiato le sue superfici;
   nel rispetto del Piano assetto idrogeologico (PAI) gli adeguamenti di allargamento e rinforzo dovevano proseguire fino alla diga della Roggia Mora. Erano inoltre previste paratie mobili e l'adeguamento del ponte di corso Trieste che ad oggi non ha sufficiente portata;
   il piano regolatore sostiene che le aree in questione non sono idonee a ricevere nuove strutture;
   all'interno della relazione della dottoressa Vallaro al servizio della Programmazione e Pianificazione Urbanistica del Comune di Novara – del 26 gennaio 2011 prot. 5993 R.I. 00/1425, si specifica come CIM nell'anno 2001 abbia ottenuto giudizio positivo condizionato da prescrizione del decreto di valutazione dell'impatto ambientale 5658/2000 in merito all'assetto idraulico complessivo della zona viste le notevoli criticità in caso di piogge intense, criticità che erano già emerse durante l'alluvione che ha colpito la provincia di Novara nel 2002;
   come specificato nella relazione, anche in virtù della regolamentazione del Piano assetto idrogeologico era stato previsto per il tratto nord e sud la realizzazione di un diversivo di piena del Terdoppio che rientra nel quadro complessivo di regolamentazione del piano stralcio per l'assetto idrogeologico;
   nell'ambito dei tavoli tecnici intercorsi con le direzioni regionali competenti nel corso dell'approvazione al PRGC è stato formalmente approvato dall'autorità di bacino del Po di delimitare le aree alluvionali e conseguentemente realizzare le opere previste per la mitigazione del rischio;
   il tracciato di massima del diversivo è stato poi inserito nel nuovo piano regolatore di Novara;
   il 13 luglio 2005 regione Piemonte, comune di Novara, RFI S.p.a. e Ferrovie Nord Milano hanno sottoscritto un accordo di programma dove per opere di mitigazione si prevedeva la progettazione (a cura di comune e regione) l'approvazione (a cura del comune) e la realizzazione (a cura del comune) di un diversivo di piena denominato «scolmatore del Terdoppio»;
   in merito a questo intervento il comune di Novara dichiarò che per la fase progettuale e per la realizzazione dell'opera si sarebbe appoggiato ad una convenzione da stipulare con la partecipata CIM spa. La regione Piemonte avrebbe cofinanziato la spesa prevista all'80 per cento;
   la progettazione dovette tener conto delle prescrizioni previste nel PAI;
   la progettazione CIM ha quindi previsto la realizzazione dello scolmatore in due fasi, di cui per la prima esiste un progetto preliminare, mentre la seconda di completamento era vincolata alla realizzazione di interventi di adeguamento del Terdoppio a valle di Novara;
   il tracciato previsto si svilupperebbe lungo un corridoio libero da edifici nella zona ad est del corso naturale del Terdoppio tagliando corso Trieste a circa 500 metri dall'attuale ponte verso Pennate, in un'area frequentemente soggetta ad allagamenti, per una lunghezza di circa 1330 metri;
   l'insieme di tali opere (variazioni urbane, diversivo, rialzi spondali, riempimenti), come citato nella relazione, dovrebbero essere considerati come interventi parziali rispetto agli attuali rischi di allagamento dell'intera area che verrebbe definitivamente posta in sicurezza solo a seguito di interventi complessivi sull'asta fluviale;
   la relazione conclude affermando che «considerata la frequenza statistica delle esondazioni, i costi del comune abbastanza contenuti (contributi finanziari regionali e CIM) per la realizzazione della prima fase del diversivo, il blocco di ogni attività edilizia in zona in attesa dell'intervento AIPO e le modifiche sostanziali apportate ai piani, programmi e studi approvati e condivisi fino ad ora, si evidenzia in questa eventuale decisione (il blocco di ogni attività edilizia in zona) una contraddittorietà da ben valutare e giustificare. In questa ipotesi diventa ancor più fondamentale approntare delle efficaci azioni di protezione civile» –:
   considerando la mancata realizzazione di buona parte della prescrizione prevista dalla regione Piemonte secondo cui si sarebbe dovuta subordinare l'opera CIM alla risoluzione delle problematiche idrauliche ambientali del torrente Terdoppio, e considerando che da decreto del Ministero dell'ambiente n. 5658 del 12 dicembre 2000 si sarebbero dovute ottemperate tutte le prescrizioni individuate dalla regione Piemonte, se i Ministri interrogati se siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia nel corso degli anni svolto verifiche presso il Centro intermodale merci di Novara e quante ne siano state fatte;
   nel caso di risposta affermativa, da chi siano state effettuate;
   se risulti agli atti se siano state fatte verifiche o ispezioni nella fase di realizzazione dell'opera;
   quali azioni, nel pieno della propria competenza, i Ministri interrogati ritengano di mettere in atto al fine di fare in modo che si realizzino quanto prima tutte quelle opere necessarie al fine di mettere in sicurezza il territorio su cui sorge il CIM e quelli limitrofi. (5-05005)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1996 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 settembre 1996, n. 215, istituisce l'ente parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, «Legge quadro sulle aree protette»;
   l'ente parco ha personalità di diritto pubblico, è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ne sono organi: il presidente, il consiglio direttivo, la giunta esecutiva, il collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco;
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 73, «Regolamento recante riordino degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a norma dell'articolo 26, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133» ha modificato la normativa in materia dettata dalla succitata legge quadro n. 394 del 1991 e ha ridotto il numero dei componenti del consiglio direttivo da dodici a otto (articolo 1, comma 1);
   l'articolo 1 dello statuto dell'ente parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena – secondo quanto disposto dall'articolo 9, comma 8-bis e seguenti della legge n. 394 1991 – assegna alla comunità del parco un ruolo consultivo e propositivo ed attribuisce alla stessa il compito di deliberarne il piano pluriennale economico e sociale;
   la comunità del Parco è a sua volta costituita da tre enti: la regione autonoma della Sardegna, la provincia di Olbia Tempio ed il comune di La Maddalena;
   ogni cinque anni, la RAS nomina i quattro componenti della comunità del Parco (uno in quota alla stessa regione, uno in quota alla provincia di Olbia Tempio e due in quota al comune di La Maddalena) e li trasmette al Ministro in interrogato per la ratifica del decreto di nomina;
   in seguito alle consultazioni per l'elezione del presidente della regione e del consiglio regionale della Sardegna del 16 febbraio 2014, l'attuale giunta regionale non ha confermato i quattro componenti della comunità del parco nominati dalla precedente giunta, poiché ritenuti interpreti non coerenti della progettualità del nuovo governo regionale ed ha conseguentemente provveduto a designarne altri quattro, secondo le quote sopra richiamate;
   il comune di La Maddalena è tra i 169 comuni sardi interessati alla prossima tornata elettorale amministrativa di maggio 2015. Il sindaco uscente, nonostante l'imminenza della scadenza del proprio mandato, ha ritenuto in questi giorni di procedere alla designazione dei due componenti della comunità del parco in quota al comune stesso, rischiando in tal modo di alterare per i prossimi cinque anni la rappresentanza della comunità maddalenina e di non rispettare la volontà popolare che emergerà dalle consultazioni di maggio;
   se la regola della coerenza progettuale dei componenti designati è stata ritenuta importante e virtuosa in occasione del cambio di governo regionale, non si comprende perché non dovrebbe essere adottata in modo ancora più rigoroso in occasione del rinnovo dell'amministrazione comunale di La Maddalena, anche in considerazione del ruolo strategico che l'ente parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena riveste nella complessiva azione di sviluppo economico dell'isola, attraverso un'attività di promozione turistica e di salvaguardia ambientale che dovrebbe rispondere unicamente alle esigenze della collettività e del territorio di riferimento, nel rispetto della volontà popolare –:
   se non ritenga istituzionalmente corretto, oltre che politicamente opportuno, di attendere l'espletamento delle prossime elezioni amministrative di maggio 2015 prima di procedere alla ratifica del decreto di nomina della comunità del parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena, in modo tale che, secondo quanto disposto dalla normativa nazionale richiamata in premessa e, in particolare, dall'articolo 9, comma 4, della legge quadro n. 394 del 1991 come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013, la comunità locale sia legittimamente rappresentata dai due componenti in quota all'amministrazione comunale che si insedierà dopo le elezioni di maggio. (4-08365)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15, comma 1, lettera c), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, ha introdotto nuove disposizioni in merito all'applicazione della normativa di verifica all'assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale dei progetti, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cosiddetto screening, al fine di superare le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione 2009/2086, avviata, principalmente, per la non conformità delle norme nazionali che disciplinano la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale con l'articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva medesima;
   la Commissione europea aveva infatti aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia contestando che, in contrasto con la direttiva 92 del 2011, la taglia di un impianto non doveva essere l'unica discriminante in base alla quale viene decisa la procedura autorizzativa. Per tale motivo, il decreto-legge competitività, n. 91 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 116 del 2014, ha modificato con l'articolo 15, comma 1, lettera c) la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale, sopprimendo, temporaneamente, le soglie dimensionali previste per l'assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale dei progetti dell'allegato IV del decreto legislativo 152 del 2006, contestate dall'Unione europea, nelle more dell'emanazione di un apposito decreto ministeriale. La norma citata ha quindi eliminato le soglie dimensionali di potenza per l'assoggettamento a valutazione di impatto ambientale anche degli impianti energetici prevedendo l'esame caso per caso dei progetti ai fini dell'applicazione o meno della valutazione di impatto ambientale;
   con atto di Governo n. 137 è stato sottoposto al Parlamento, e approvato con osservazioni e condizioni, lo schema di decreto ministeriale previsto dall'articolo 15 del decreto-legge 91 del 2014 che stabilisce nuove modalità di applicazione della disciplina dello screening da parte delle regioni;
   nell'ambito dell'intesa della Conferenza Stato-regioni, espressa il 18 dicembre 2014, è stata peraltro recepita una richiesta delle regioni presentata nella riunione tecnica del 20 novembre 2014, ed è stata emanata in accordo tra il Governo e la Conferenza una «nota esplicativa sul regime transitorio in materia di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, introdotto dall'articolo 15 del decreto-legge n. 91 del 2014» da applicare nel periodo transitorio fino all'entrata in vigore del citato nuovo decreto ministeriale;
   secondo tale nota, nel corso del regime transitorio, la procedura dello screening di cui all'articolo 20 del codice è effettuata caso per caso, sulla base dei criteri stabiliti all'allegato V del codice dell'ambiente, indipendentemente dalle eventuali soglie dimensionali già fissate dalla normativa regionale che limitano il campo di applicazione della disciplina di verifica di assoggettabilità;
   la citata nota esplicativa, per poter determinare in quali casi non sia necessario procedere né alla procedura di valutazione di impatto ambientale né allo screening e poter sostenere motivatamente l'assenza o la scarsa significatività di effetti sull'ambiente connessi alla realizzazione di determinati progetti, propone come strumento metodologico di riferimento la Guida della Commissione europea «Guidance on EIA-Screening» (2001) predisposta per fornire indirizzi operativi per affrontare la procedura di screening in accordo con i requisiti della direttiva valutazione di impatto ambientale;
   in particolare, la sezione B.4 della Guida indica come affrontare lo screening «caso per caso», attraverso l'utilizzo di checklist che supportano il processo decisionale e consentono giungere, motivatamente, sulla base dei criteri dell'Allegato III della direttiva valutazione di impatto ambientale, ad una valutazione conclusiva in merito alla sussistenza o meno di effetti ambientali potenzialmente significativi e negativi connessi ad uno specifico progetto;
   secondo il Governo, quindi, gli strumenti proposti dalla Guida della Commissione europea rappresentano un utile riferimento metodologico ed operativo per applicare correttamente, «caso per caso», la normativa transitoria di cui all'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge 91 del 2014 con particolare riferimento ai casi in cui, pur in presenza di progetti di modesta entità, sussistano dubbi e incertezze in merito alla presenza potenziali impatti ambientali significativi;
   c’è da segnalare che in questo periodo transitorio, come anche in altre circostanze simili, è avvenuta una eccessiva frammentazione del quadro regolatorio sul territorio nazionale. E infatti molte regioni hanno proseguito con la propria normativa regionale e altre si sono attivate per ridefinire detto quadro regolatorio in misura restrittiva attivando lo screening ambientale su tutti i progetti;
   un caso concreto è quello della società Suvenergy Sarl, che ha avanzato richiesta di autorizzazione per la costruzione e la conseguente messa in esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile di tipo «biogas» di potenzialità pari a chilowatt elettrici 600 e 618 chilowatt termici, sito nel comune di Forlimpopoli (Forlì-Cesena), località San Pietro ai Prati;
   gli impianti a biogas, e pertanto anche l'impianto di Forlimpopoli, nonostante classificati tra quelli che producono energia rinnovabile, incidono sull'inquinamento ambientale e sulla qualità di aria ambiente di cui al decreto legislativo 155 del 2012, in quanto emanano inquinanti, nocivi per la salute pubblica, come polveri ultrasottili e diossine e rifiuti di origine animale da smaltire mediante spandimento e interramento dei sottoprodotti in terreni agricoli;
   nella conferenza i servizi svoltasi in data 12 novembre 2015 per l'approvazione dell'impianto di Forlimpopoli sono stati prodotti ben quattro pareri, da parte di USL, ARPA, comune di Forlimpopoli ed HERA, ove tali enti, a quanto consta all'interrogante, esprimono dubbi e perplessità circa l'idoneità dell'ambiente in cui dovrebbe sorgere l'impianto, rilevando possibili conseguenze per la cittadinanza;
   gli enti interpellati hanno manifestato criticità in ragione della preesistenza di nuclei abitativi (centro storico di Forlimpopoli da un lato e zona residenziale di San Pietro ai Prati dall'altro) e della previsione di sviluppo urbanistico locale, adducendo perplessità in relazione alle emissioni odorigene e sonore, alla gestione dei reflui e agli scarichi in fognatura che andrebbero quindi a «contaminare» l'area abitativa circostante;
   non per ultimo si sono manifestate preoccupazioni, alla luce anche degli ultimi avvenimenti meteorologici, sulla capacità del sistema fognario di gestire, nelle attuali condizioni, una portata notevolmente aumentata di scarichi reflui;
   nonostante la evidente situazione critica dell'impianto di Forlimpopoli e nonostante la modificata normativa nazionale, su tale impianto si applicherebbe la circolare della direzione generale ambiente e difesa del suolo e della costa della regione Emilia Romagna, avente per oggetto «Indirizzi sull'applicazione dell'articolo 15 del decreto-legge n. 91 del 2014 convertito in legge n. 116 dell'11 agosto 2014» che appare in via generale difforme a quanto disposto con la nota esplicativa del Governo per il periodo transitorio, in quanto afferma che non vada eseguito lo screening per alcuni progetti sotto soglia (pagina 10, paragrafo secondo);
   tale circolare della direzione generale ambiente e difesa del suolo e della costa della regione Emilia Romagna appare in via specifica ancora meno applicabile su impianti energetici come il caso dell'impianto a biogas di Forlimpopoli, viste le condizioni di forte e grave impatto sull'ambiente circostante e sulla cittadinanza che possono provocare gli impatti a biogas, peraltro già dichiarati dal USL, ARPA, Comune e HIERA;
   il mancato assoggettamento a procedura di screening priverebbe i cittadini del diritto sancito dalle leggi vigenti in materia di valutazione di impatto ambientale di partecipazione al processo decisionale, di valutazione di siti alternativi e di valutazione del danno economico conseguente la perdita di valore degli immobili limitrofi all'impianto, quest'ultimo aspetto potendo essere oggetto di richiesta di rivalsa in sede di procedimento civile –:
   se in relazione alle descritte modifiche normative in materia di verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale delle opere elencate nell'allegato IV, alla parte seconda, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nelle more dell'emanazione dei nuovi criteri contenuti nel decreto ministeriale di cui in premessa, non siano più applicabili le soglie già previste dal citato Allegato IV, e, conseguentemente, tutte le categorie progettuali ivi previste, indipendentemente dalla taglia degli impianti, debbano essere sottoposte alla procedura di verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale. (4-08374)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, GIANCARLO GIORDANO, NICCHI, ZARATTI e PANNARALE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero dei beni e attività culturali del 20 novembre 2007 relativo ai «Criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività circensi e di spettacolo viaggiante, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo Unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n.163» stabilisce all'articolo 7 le fattispecie nelle quali si applica la decadenza immediata dai contributi, ed in particolare al comma 2 recita «Per i contributi al settore circense, la decadenza è disposta anche nel caso di condanna definitiva per i delitti di cui al titolo IX-bis del libro II del codice penale, o di altre violazioni di disposizioni normative statali e della Unione europea in materia di protezione degli animali»;
   il decreto del Ministro dei beni e attività culturali del 1o luglio 2014 relativo ai «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n.163, al comma 3 dell'articolo 33, prevede, a pena inammissibilità, che la domanda di contributo sia corredata dalla dichiarazione, resa ai sensi dell'articolo 46 del citato decreto n.445 del 2000, di non aver riportato condanne definitive per i delitti di cui al Titolo IX-bis del Libro II del Codice Penale, e di non aver commesso ogni altra violazione di disposizioni normative statali e della Unione europea in materia di protezione, detenzione e utilizzo degli animali»;
   come si apprende da diversi organi di stampa, nonché dal sito della Lega AntiVivisezione che ha presentato un dossier a riguardo, i circhi condannati per sevizie, lesioni e crudeltà contro gli animali continuano a chiedere, e ad ottenere, soldi pubblici dal «Fondo unico per lo spettacolo»;
   negli ultimi cinque anni i finanziamenti elargiti alle strutture circensi che organizzano spettacoli con animali ammontano a circa 30 milioni di euro;
   fra i beneficiari risultano dieci circhi condannati oppure ancora sotto processo per maltrattamento. Il circo «Aldo Martini», condannato dal Tribunale di Bologna per sevizie su di una giraffa a ricevuto 92 mila euro, mentre il «Circo di Roma», condannato in via definitiva per detenzione di elefanti in condizione di quasi immobilità ha ricevuto circa 300 mila euro;
   risultano quasi inesistenti i fondi destinati dallo Stato ai «Centri di recupero per la riabilitazione degli animali», con la conseguenza che spesso gli animali posti legalmente sotto sequestro preventivo vengono affidati dalle procure agli stessi circhi indagati per maltrattamento;
   la mozione n. 1-00573 a prima firma On. Nicchi del 24 settembre 2014 ed accolta dal Governo, prevede tra gli impegni approvati quello di «promuovere una normativa comune volta al superamento dell'utilizzo degli animali nei circhi e negli spettacoli viaggianti» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   quali iniziative intendano intraprendere affinché sia rispettata la normativa vigente, sia in riferimento alla interruzione prevista dei finanziamenti ai circhi condannati che in riferimento alla dotazione di fondi per i centri di recupero;
   se non intendano utilizzare le risorse attualmente destinate ai circhi condannati per destinarle al rafforzamento dei centri di recupero;
   se non intendano predisporre una normativa volta al superamento dell'utilizzo degli animali nei circhi e negli spettacoli viaggianti, così come previsto dal dispositivo della mozione citata in premessa ed accolta dal Governo. (5-04979)

Interrogazione a risposta scritta:


   BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la norma che rende sempre obbligatoria la compilazione del programma musicale (borderò) è l'articolo 51 del regio decreto n. 1369 del 1942;
   tale articolo fa parte di un regolamento attuativo (norma secondaria) e più precisamente è la norma di attuazione dell'articolo 175 della legge n. 633 del 1941 (norma primaria);
   l'articolo 175 della legge n. 633 del 1941 (norma primaria) è stato abrogato definitivamente dal decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669;
   questo, secondo la teoria generale del diritto, rende abrogato in via implicita anche l'articolo 51, in quanto viene a mancare il fondamento legislativo su cui poggia l'unica norma dell'ordinamento ad occuparsi della redazione del programma musicale (borderò);
   ne consegue, a giudizio dell'interrogante, che non vi è alcun obbligo di legge di fare comunicazioni a Siae o ad altri enti in merito agli utilizzi di musica (sia protetta che non protetta) in eventi pubblici e spettacoli;
   le uniche altre norme relative alla compilazione del borderò sono contenute nello statuto e nel regolamento generale Siae, che però non sono norme dello Stato e quindi si rivolgono unicamente agli associati Siae;
   ciò pone comunque un problema di metodo, in quanto la compilazione del borderò e la riscossione variano nelle diverse sedi Siae –:
   se sia fondata l'interpretazione normativa sopra esposta;
   se il Ministro non ritenga di assumere iniziative, anche normative, affinché la Siae adotti delle linee unitarie e uniformi per la compilazione dei cosiddetti borderò e la relativa riscossione dei diritti d'autore. (4-08350)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   VALERIA VALENTE. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si apprende, da notizie informali, che il Comando generale della Guardia di finanza si sia determinato alla soppressione della locale brigata di Procida e al conseguente accorpamento della stessa alla compagnia di Pozzuoli, cui dovrebbe essere, perciò, trasferito il personale attualmente in servizio sull'isola di Procida;
   la notizia sta suscitando giustificato allarme e vivissima preoccupazione presso la comunità e gli enti territoriali locali, che, a quanto è dato sapere, si apprestano ad assumere ogni opportuna iniziativa per evitare si realizzi la soppressione della brigata della Guardia di finanza di stanza a Procida;
   la detta soppressione, laddove effettivamente realizzata, infatti, priverebbe l'isola di Procida di un comando di polizia giudiziaria, depotenziando ulteriormente i pochi presidi di cui l'isola ha necessità di disporre, per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, anche in ragione della struttura portuale ivi esistente, nell'ambito della quale si svolgono attività economiche, turistiche e di navigazione da diporto;
   con la soppressione della brigata della Guardia di finanza di Procida, considerato che non è presente alcun presidio della polizia di Stato, l'isola di Procida rimarrebbe presidiata dalla sola arma dei Carabinieri, con le poche unità di cui dispone, che risulterebbe gravata di oneri di tutela decisamente insostenibili in relazione alla popolazione dei circa 12.000 residenti, cui vanno ad aggiungersi ulteriori presenze nella stagione estiva –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti esposti in premessa;
   se esista un piano operativo che abbia rimodulato le concrete modalità di mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica sull'isola, consentendo, altresì, la erogazione delle prestazioni sin qui svolte dalla brigata di Procida della Guardia di finanza laddove essa venisse effettivamente soppressa;
   se sia stato effettuato, e quali risultati abbia eventualmente prodotto, il raffronto tra le spese occorrenti al mantenimento in loco della brigata di Procida e quelle da sostenere, per espletare le funzioni attualmente svolte dalla detta brigata, dovendole rendere dalla terraferma verso l'isola, laddove la brigata venisse soppressa;
   se sia stata effettuata una comparazione tra la possibile chiusura del presidio della Guardia di finanza presente a Procida e la chiusura della brigata di Baia, atteso che quest'ultima risulta insediata ad appena tre chilometri dalla compagnia di Pozzuoli, alla quale si sovrappone, potendone, perciò, essere agevolmente accorpata;
   se sia stata valutata la possibilità di soprassedere alla assunzione di provvedimenti riguardanti la brigata di stanza a Procida in vista del previsto generale riordino della Guardia di finanza, all'esito del quale il personale attualmente in servizio a Procida potrebbe utilmente rafforzare le esigue dotazioni della locale stazione dei carabinieri;
   quali iniziative, di rispettiva competenza, intendano adottare per ovviare alle criticità e alle carenze, anche sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica, che la soppressione della brigata della Guardia di finanza di Procida comporterebbe per l'isola e i suoi abitanti.
(4-08354)


   PALESE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il commissariato della polizia di Stato del comune di Taurisano, in provincia di Lecce, è stato istituito con l'intento di ristabilire l'ordine e la sicurezza nella parte del «Basso Salento» (l'area geografica delimitata a nord dalla linea di congiungimento dei comuni di Racale, Melissano, Taurisano, Ruffano e Montesano Salentino, quindi, l'area del Capo di Leuca) compromessa dall'attività delittuosa posta in essere dalla criminalità comune ed organizzata e resa ancor più complessa dalla vastità dell'area interessata;
   il commissariato di polizia di Taurisano esercita la propria competenza sul territorio dei comuni di Taurisano, Casarano, Ugento e marine, Acquarica del Capo, Presicce, Miggiano, Specchia, Tricase, Ruffano, Salve, Morciano di Leuca, Patù, Castrignano del Capo, Gagliano del Capo, Alessano, Corsano e Tiggiano e da pochi anni, esclusivamente per questioni di natura amministrativa, nei comuni di Supersano e Montesano Salentino;
   specialmente nella zona del «Basso Salento» la criminalità organizzata ha conosciuto un rapido ed allarmante sviluppo. Nello specifico si fa riferimento all'associazione di tipo mafioso, denominata «Sacra Corona Unita», organizzata e gestita dal capo storico Scarlino Giuseppe (Pippi Calamita) al quale erano affiliati numerosi altri gruppi dei comuni limitrofi a Taurisano;
   nonostante negli anni 1994 e 1995, da parte degli agenti del commissariato di Taurisano, ci siano state numerose operazioni volte a contrastare tale organizzazione mafiosa e, nonostante, il capo Scarlino Giuseppe ed i suoi stretti collaboratori siano ancora detenuti, tutt'oggi tale organizzazione mafiosa gestisce i traffici illeciti nella zona del «Basso Salento», controllando, specialmente, il traffico-detenzione-spaccio di sostanze stupefacenti. A questo si aggiunge l'esistenza di alcuni gruppi (cosiddetti «cani sciolti») slegati da ogni contesto di criminalità organizzata, ma non per questo meno pericolosi;
   negli anni 2004 e 2005 il commissariato di Taurisano ha espletato una complessa attività che ha portato all'arresto di numerosi pregiudicati legati da forti vincoli al clan mafioso dei Tornese di Monteroni. Inoltre, negli anni 2008 e 2009 è stata espletata una ulteriore attività di indagine nei confronti di un gruppo di giovani emergenti, capeggiati da un noto personaggio appartenente al clan di «Pippi Calamita», legato da vincoli al clan operante in Acquarica del Capo, dedito alla detenzione-spaccio di sostanze stupefacenti nei paesi di Taurisano, Ugento, Ruffano, Presicce e Acquarica;
   nel 2013, nonostante le limitatissime risorse umane legate alla squadra di polizia giudiziaria del commissariato di Taurisano, hanno avuto termine le indagini, avviate l'anno precedente a seguito di un fatto delittuoso avvenuto a Supersano, basate su una capillare attività di intercettazione telefonica ed ambientale, supportata da una serie di riscontri investigativi, che hanno scoperchiato un mondo sommerso di violenze ed illegalità, mai venute all'attenzione degli investigatori ed hanno, altresì, permesso di delineare la personalità estremamente violenta di alcuni giovani personaggi di Taurisano e Supersano che hanno consumato violenze e minacce in pregiudizio di svariate persone, anche per i motivi più futili, spesso adoperando armi, anche clandestine;
   sono stati intensificati i controlli, specialmente nel corso delle ore notturne, lungo il litorale delle marine di competenza del commissariato di Taurisano, per arginare il fenomeno dello sbarco di clandestini, ai quali si si aggiungono i controlli nei confronti di numerosi pregiudicati agli arresti domiciliari, ovvero sottoposti ad altri obblighi processuali. Infine, numerosi sono i controlli amministrativi effettuati presso gli esercizi pubblici e le attività relative al rilascio di autorizzazioni amministrative e/o di passaporti;
   il commissariato di Taurisano svolge la sua attività pur considerando che la pianta organica ha subito, nel corso degli ultimi anni, un forte ridimensionamento. Infatti, dal 2003 sono andati in pensione quasi 25 componenti del commissariato, rimpiazzati soltanto da 6 unità, una delle quali appartenente alla polizia scientifica. Attualmente la squadra della polizia giudiziaria è composta soltanto da due unità, mentre nel 2003 poteva contare su otto agenti. Purtroppo, alla mancanza di personale, si sommano una serie di furti e rapine che comportano notevoli disagi per lo svolgimento dell'attività del commissariato stesso. Le autovetture sono quasi inutilizzabili e i computer a disposizione sono inefficienti ed insufficienti;
   nell'ultimo periodo si sono registrate rapine in supermercati, abitazioni ed istituti di credito, furti in abitazioni e di autovetture. A seguito di ciò, sarebbe stato opportuno e necessario intensificare i servizi di controllo sul territorio, ma sorgono degli evidenti problemi per raggiungere il numero necessario per formare il turno di volante. Per sopperire alla mancanza di personale e per garantire in ogni caso il controllo del territorio, viene impiegato sui turni delle volanti personale degli uffici, creando, però, di conseguenza, disagio per l'espletamento delle pratiche e notevoli ritardi nell'eseguire provvedimenti e deleghe dell'autorità giudiziaria;
   nel corso del 2014, alla luce di numerosi episodi criminali, rapine, sparatorie, e limitate risorse non solo del commissariato di Taurisano, ma anche dei comuni limitrofi, il prefetto della provincia di Lecce, Giuliana Perrotta, chiese al Ministero dell'interno di inviare rinforzi per le forze dell'ordine. A seguito di tale richiesta, il Vice Ministro dell'interno, Filippo Bubbico, garantì che la situazione del Salento era stata posta all'attenzione del Ministero competente e che nel mese di novembre 2014 sarebbe stato inviato un supporto per i reparti operativi delle forze dell'ordine di Lecce e provincia. Nel frattempo il commissariato di Taurisano cerca di svolgere la sua attività con limitate risorse, aspettando che le promesse fatte dal Vice Ministro dell'interno vengano rispettate –:
   quali misure il Governo intenda intraprendere per ovviare alle carenze strumentali nonché del personale assegnato al presidio della polizia di Stato nel comune di Taurisano. (4-08363)


   ROSTELLATO, ARTINI, BARBANTI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 26 febbraio 2015 il viceministro Filippo Bubbico risponde all'interrogazione n. 5-03865 della sottoscritta onorevole Rostellato sulla realizzazione di un poligono di tiro denominato «Alpha 22 Shooting Club» all'interno di un comune in provincia di Vicenza;
   nello specifico la sottoscritta depositava l'interrogazione per evidenziare le preoccupazioni diffuse nella zona, a causa delle esplosioni notturne che provenivano dal poligono in questione, attribuite dalla cittadinanza ad esercitazioni di tiro con armi da guerra o comunque illegali;
   nella risposta del viceministro si apprende che l'ente oggetto dell'interrogazione persegue finalità di promozione sportiva, senza scopo di lucro, esercitando e gestendo le proprie attività nel poligono, dove organizza corsi di tiro e di addestramento all'uso delle armi e lezioni di autodifesa a mani nude, che il regolamento interno consente l'uso sia di armi lunghe a ripetizione manuale e semiautomatiche dal calibro 22 al calibro 50 escluso, sia di armi corte con calibro dal 9 a 45, escluso il 357 magnum e che in ogni caso è vietato l'impiego di munizioni con pallottole perforanti, esplosive, incendiarie e traccianti;
   con tali limiti di impiego – si apprende dalla risposta del viceministro – il poligono ha ospitato anche attività di formazione e addestramento di reparti speciali dell'Esercito italiano;
   da ultimo, nello scorso mese di settembre, è stato utilizzato dal centro di eccellenza per le unità di polizia di stabilità con sede a Vicenza, per lo svolgimento di alcune esercitazioni a guida italiana, nell'ambito di un progetto di cooperazione internazionale tra varie polizie a ordinamento civile e militare –:
   quante volte l'esercito italiano sia stato ospite del poligono per attività di formazione e addestramento e in quali periodi specifici;
   quali siano stati i corpi speciali che hanno utilizzato il poligono ai fini dell'addestramento e formazione;
   per quali addestramenti specifici sia stato utilizzato il poligono e ai fini di quali missioni;
   quali armi e munizioni siano state utilizzate dall'esercito italiano nel corso delle esercitazioni;
   quale sia stato il costo sostenuto dallo Stato italiano nei confronti del poligono per ogni singolo addestramento;
   se l'esercito italiano non abbia un proprio poligono di tiro e se sì perché non viene utilizzato lo stesso. (4-08364)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   FREGOLENT e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per Statuto, spetta all'Agenzia dell'entrate l'effettuazione dei rimborsi ai contribuenti;
   è emerso da organi di informazione che un contribuente di Torino, a cui nel 1989 fu indebitamente notificata, dall'allora ufficio delle imposte, una cartella esattoriale di alcuni milioni di lire, ha ottenuto all'inizio dello scorso anno il relativo rimborso, non comprensivo, tuttavia, dei relativi interessi;
   la causa di tale mancata erogazione, dopo 24 anni di contenzioso, sarebbe attribuibile alla mancanza di un software per calcolare in automatico gli interessi;
   appare evidente che, qualora fossero confermate le notizie apparse sulla stampa, si tratterebbe di una lesione dei diritti del contribuente –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e se sussistano in Italia altri casi similari e, in tal caso, quali iniziative intenda assumere affinché venga risolta con tempestività ed efficacia tale problematica. (5-04998)


   GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante la legge europea 2013-bis, ha apportato modifiche alla disciplina dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni, di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, in primo luogo equiparando gli enti pubblici, le associazioni e le fondazioni istituite in uno stato europeo o appartenente all'Accordo sullo spazio economico europeo a quelli italiani, ai fini del godimento del regime fiscale agevolato; inoltre ha esentato dall'imposta sulle successioni i titoli del debito pubblico e gli altri titoli similari emessi dai medesimi Stati europei o aderenti all'Accordo sullo SEE;
   in sintesi, non concorrono a formare l'attivo ereditario, dunque non sono colpiti da imposta: i titoli del debito pubblico, anche quelli emessi dagli Stati appartenenti all'Unione europea e dagli Stati aderenti all'accordo sullo spazio economico europeo, gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati, nonché ogni altro bene o diritto, dichiarati esenti dall'imposta dalla legge, compresi anche i titoli di Stato e gli altri titoli ad essi equiparati emessi dagli Stati appartenenti all'Unione europea e dagli Stati aderenti all'accordo sullo spazio economico europeo;
   tali esenzioni operano però a condizione di reciprocità per gli enti pubblici esteri e per le fondazioni e associazioni costituite all'estero, si estendono dunque in automatico per gli enti pubblici, le fondazioni e le associazioni istituiti negli Stati appartenenti all'Unione europea e negli Stati aderenti all'accordo sullo spazio economico europeo, mentre resta ferma la condizione di reciprocità per gli enti pubblici, le fondazioni e le associazioni istituiti in tutti gli altri Stati;
   l'intervento si è reso necessario per sanare due procedure di infrazione (2012/2156 e 2012/2157) per la violazione del principio di libera circolazione dei capitali previsto dall'articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE), relative a taluni regimi di esenzione dalle imposte sulle successioni e sulle donazioni, per le quali la Commissione europea aveva inviato all'Italia una lettera di messa in mora;
   sulla questione dell'equiparazione dei titoli di Stato, è opportuno segnalare le risoluzioni n. 321639/1975 e n. 115/1999, in combinato disposto con la circolare 11/E del 28 marzo 2012, in particolare il punto 2.1, dell'Agenzia delle entrate –:
   se ritenga che anche le obbligazioni emesse dal Fondo Salva Stati europeo (European Financial Stability Facility) possano rientrare nel regime agevolato di cui all'articolo 12, comma 1, lettere h) e i) del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, come da ultimo modificato dalla legge europea 2013-bis, e quindi che tali obbligazioni non concorrano alla formazione dell'attivo ereditario in quanto essi sono da considerare o titoli garantiti dallo Stato (nel caso in esame dagli Stati appartenenti all'Unione Europea) o equiparati.
(5-04999)


   PAGLIA e NICCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'assoggettabilità all'IRAP dei medici di base è stata nel tempo oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali caratterizzate da una profonda contraddittorietà esclusivamente legata alla definizione del presupposto che giustifica il tributo, consistente, ex articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997; «...nell'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi»;
   con riferimento all'elemento organizzativo la Corte Costituzionale, con una sentenza che ha fatto scuola (n. 156 del 26 maggio 2001), ha inteso chiarire che mentre lo stesso è connaturato alla nozione d'impresa, altrettanto non può dirsi per l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, poiché essa può svolgersi anche in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui. È pertanto evidente, secondo la suprema Corte, che un'attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione risulterà mancante del presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, rappresentato dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata;
   alla luce del suddetto pronunciamento l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, in assenza del requisito dell'autonoma organizzazione non risulta quindi assoggettabile ad IRAP per mancanza dei presupposti applicativi del tributo;
   la Corte di Cassazione con sentenza n. 22020 del 25 settembre 2013 ha affermato che il medico di medicina generale ha diritto al rimborso del tributo IRAP in quanto la presenza presso lo studio dove esercita la professione di un dipendente non prova la sussistenza di una propria abituale «autonoma organizzazione», presupposto, come si è visto, essenziale per individuare i soggetti passivi del tributo ai sensi, oltre che del sopra citato articolo 2 del decreto legislativo n. 446 del 1997, delle circolari dell'Agenzia delle entrate n. 141/E del 4 giugno 1998 e n. 45/E del 13 giugno 2008;
   in conformità della suddetta sentenza della Corte di Cassazione, la 27a Commissione tributaria della Lombardia, con la sentenza n. 78/27/13, ha definito il medico di base «lavoratore parasubordinato pubblico» in quanto inserito in un sistema sanitario collettivo, e quindi privo di organizzazione autonoma e non assoggettabile al tributo IRAP;
   inoltre ai sensi dell'ACN 23 marzo 2005 il medico di medicina generale convenzionato col SSN, svolge nell'ambito della «pubblica organizzazione aziendale dell'ASS» un servizio pubblico, in forma di collaborazione coordinata e continuativa, con compiti, (vedi articolo 45), e compensi predeterminati, (vedi articolo 59), dallo Stato in uno locale, lo studio medico, che è definito presidio del SSN (articolo 36), come già affermato dal precedente decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000 (Regolamento di esecuzione dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale);
   come afferma anche la sentenza della Cassazione n. 22020/2013, strumenti e collaboratori di studio, non hanno di per sé un valore aggiunto per incrementare la produttività economica dello studio la cui attività si fonda sulla prestazione d'opera intellettuale del medico in assenza della quale lo studio non potrebbe operare;
   la stessa Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 32 del 31 gennaio 2002, ha affermato che sono esenti dall'IRAP tutte «le collaborazioni coordinate e continuative», mentre successivamente il Consiglio di Stato, sezione IV, con la decisione n. 5176 del 2004, ha affermato che il rapporto di lavoro del medico convenzionato con l'ASL si inquadra come lavoro parasubordinato, giuridicamente caratterizzato proprio da una collaborazione coordinata e continuativa, come affermato dall'articolo 21 sopracitato del decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000. Successivamente, la Cassazione sezione tributaria con sentenza n. 29134 dell'8 ottobre 2008 e n. 23068 del 9 settembre 2008, ha riconosciuto che il medico di medicina generale svolge l'attività nell'ambito dell'organizzazione dell'azienda sanitaria;
   d'altra parte l'attività dei medici di medicina generale operanti nel loro studio da soli è già stata distinta sul piano amministrativo dall'attività avente propria organizzazione autonoma tipica invece dei poliambulatori medici dallo stesso Ministero delle finanze con decreto del Presidente della Repubblica n. 121 del 1o marzo 1961, in cui si afferma testualmente che: «sono ambulatori gli istituti aventi organizzazione propria e autonoma e che quindi non costituiscono lo studio privato in cui il medico esercita la professione»;
   successivamente la sentenza n. 1488 del 6 luglio 1995 della Cassazione Penale sezione III e la circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 14 dicembre 1999 avevano stabilito i criteri per distinguere lo «studio medico» nel quale il singolo esercita come unico professionista l'attività (articolo 2229 del codice civile) dal «poliambulatorio medico» inteso, invece, come struttura aziendale con più professionisti, autonoma organizzazione di personale e di beni strumentali (articoli 2082 e 2555 del codice civile);
   poiché senza la figura del medico l'organizzazione di studio convenzionato non può operare e quindi produrre reddito, anche alla luce di alcuni dei suddetti pronunciamenti la Corte di Cassazione Civile sezione V, con l'ordinanza n. 18472 del 4 luglio 2008, ha stabilito che il medico convenzionato non è assoggettabile all'IRAP neppure se dispone di un dipendente e pertanto ha diritto al rimborso dell'IRAP indebitamente versata;
   da quanto fin qui esposto deriva che: al medico di base manca una capacità autonoma che ne influenzi il suo reddito, preordinato in funzione stabilita dalla convenzione; il personale di segreteria è fornito dal Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 36 della convenzione; non gli è consentito delegare la propria attività. Queste evidenze escludono una autonoma organizzazione, condizione essenziale, come si è visto, per l'applicazione dell'imposta. Inoltre una «attività pubblica per definizione» non potrà mai essere autonomamente organizzata dal medico che perciò rimane un «lavoratore parasubordinato» a cui spetta il rimborso di quanto eventualmente ed indebitamente corrisposto a titolo di IRAP;
   inoltre, come rammenta la stessa Agenzia delle entrate con circolare n. 28/E del 2010, la prova della «autonoma organizzazione» non può essere offerta dal semplice utilizzo di quelle apparecchiature obbligatoriamente previste dalla convenzione con il Servizio sanitario nazionale;
   a fronte dei suddetti principi di portata generale fissati nel tempo da una diffusa e consolidata giurisprudenza che ha stabilito una linea interpretativa di diritto che, escludendo aprioristicamente che in capo al medico di base si configuri l'autonoma organizzazione, ha aperto la strada a numerose richieste di rimborso da parte di quei medici che avevano indebitamento pagato l'imposta, si è assistito negli anni ad un orientamento contrario da parte di alcune commissioni tributarie che, invece, ritengono sufficiente ad integrare il requisito dell'autonoma organizzazione la presenza di una segretaria addetta alla ricezione degli appuntamenti. Tale ambiguità ha portato l'amministrazione finanziaria a volte a soccombere ed altre volte, alternativamente, a vincere i ricorsi –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative normative per chiarire che i medici di base non possono essere considerati assoggettabili ai presupposti impositivi dell'IRAP, anche al fine di superare definitivamente ed in maniera uniforme tutti i contenziosi attualmente in corso. (5-05000)


   CANCELLERI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 192 del 2014, come convertito dalla legge n. 11 del 2015, cosiddetto milleproroghe, ha nuovamente aperto i termini per la richiesta di un nuovo piano di rateazione, fino a un massimo di 72 rate, a condizione che la decadenza sia intervenuta entro il 31 dicembre 2014 e che la relativa richiesta sia presentata non oltre il 31 luglio 2015;
   la norma ripropone, nella sostanza, quanto già sperimentato con il decreto-legge n. 66 del 2014 (articolo 11-bis), che aveva consentito ai debitori decaduti entro il 22 giugno 2013 di presentare domanda di concessione di un nuovo piano di rateazione entro il 31 luglio 2014;
   così come per la precedente riapertura di termini, il nuovo piano di rateazione non è prorogabile, essendone altresì prevista la decadenza con il mancato pagamento di sole due rate, anche non consecutive. Ciò diversamente da quanto previsto dalla disciplina ordinaria, in virtù della quale la decadenza si verifica con il mancato pagamento di otto rate complessive;
   la facoltà è concessa per le dilazioni di pagamento (articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973), relative a tutte le somme iscritte a ruolo e in carico presso l'agente della riscossione;
   la nuova possibilità sancita dal milleproroghe si ritiene sia applicabile alle precedenti dilazioni straordinarie, richieste in applicazione del decreto-legge n. 66 del 2014;
   sul punto, però sarebbe auspicabile un chiarimento ufficiale. Infatti, sembrerebbe che Equitalia intenda interpretare in maniera restrittiva la disposizione di cui al milleproroghe, negando la rateazione per i contribuenti già decaduti da precedenti dilazioni straordinarie richieste in applicazione dell'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014;
   se così fosse, la portata applicativa e la stessa utilità della disposizione verrebbe gravemente compromessa dal momento che la misura di cui al milleproroghe era diretta, per l'appunto, a favorire soprattutto la rimessione in termini dei contribuenti decaduti dalla dilazione straordinaria di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 –:
   se confermi l'orientamento restrittivo del concessionario Equitalia e se non ritenga opportuno, in ogni caso, intervenire con una circolare ministeriale interpretativa al fine di chiarire che il beneficio di cui all'articolo 10, comma 12-quinquies, del decreto-legge n. 192 del 2014 si intende esteso anche ai contribuenti già decaduti dalle dilazioni straordinarie concesse in applicazione dell'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014, in attuazione e armonia con la ratio legis della disposizione di cui al decreto-legge n. 192 del 2014. (5-05001)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge Finanziaria 2008 ha stabilito che la fatturazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni debba avvenire esclusivamente in forma elettronica;
   l'articolo 1 commi da 209 a 214, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, al fine di semplificare il procedimento di fatturazione e registrazione delle operazioni imponibili, introduce infatti l'obbligo della emissione, della trasmissione, della conservazione e della archiviazione esclusivamente in forma elettronica delle fatture emesse nei rapporti con le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e con gli enti pubblici nazionali, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili;
   ne consegue che l'introduzione dell'obbligo della fatturazione elettronica, introdotta nell'ambito del nostro ordinamento dal decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 52, in materia di semplificazione e armonizzazione delle modalità di fatturazione in materia di IVA, consente la completa sostituzione dei titoli cartacei con documenti informatici secondo standard comuni che permettono l'automatizzazione del flusso di informazioni tra fornitori e amministrazione, nonché la semplificazione e la maggiore economicità dei processi di fatturazione;
   tale intervento si colloca nell'ambito delle linee di azione richieste dall'Unione europea relativamente alla digitalizzazione dei processi amministrativi tra cui, in particolare, l'iniziativa «i2010» che incoraggia gli Stati membri a dotarsi di un adeguato quadro normativo, organizzativo e tecnologico per gestire in forma elettronica l'intero ciclo degli acquisti;
   ai commi 211 e 212 del citato articolo 1 della legge n. 244 del 2007 è disposto che la trasmissione delle fatture elettroniche avviene esclusivamente attraverso il sistema di interscambio istituito dal Ministero dell'economia e delle finanze e da questo gestito anche avvalendosi delle proprie strutture societarie e che il gestore di detto sistema è individuato entro il 31 marzo 2008 con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze con il quale sono altresì definite le competenze ed attribuzioni;
   con decreto ministeriale 7 marzo 2008 è attribuita all'Agenzia delle entrate la titolarità della gestione del sistema di interscambio che si avvale di SOGEI – Società generale d'informatica – spa società interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, per lo sviluppo, la gestione e la conduzione dell'infrastruttura tecnologica e dei servizi informatici del sistema medesimo;
   il sistema di interscambio, gestito dall'Agenzia delle entrate, è un sistema informatico in grado di ricevere le fatture sotto forma di file con le caratteristiche della FatturaPA, effettuare controlli sui file ricevuti, inoltrare le fatture alle Amministrazioni destinatarie: il sistema di interscambio garantisce la gestione unificata del sistema di identificazione delle amministrazioni cui sono indirizzate le fatture, monitora i flussi informativi, effettua le opportune verifiche dell'integrità e presidia la distribuzione dei documenti digitali alle amministrazioni previa protocollazione;
   con decreto ministeriale 3 aprile 2013, n. 55, entrato in vigore il 6 giugno 2013, e stato emanato il regolamento recante disposizioni e linee guida in materia di emissione, trasmissione e ricevimento della fattura elettronica, attraverso il sistema di interscambio;
   il citato decreto ministeriale n. 55, all'articolo 6, modificato dall'articolo 25 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, ha fissato anche la decorrenza degli obblighi di utilizzo della fatturazione elettronica nei rapporti economici con la Pubblica Amministrazione: 6 giugno 2014 per Ministeri, Agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza, 31 marzo 2015 per gli altri enti nazionali e per le amministrazioni locali: in ogni caso, già dal 6 dicembre 2013, le pubbliche amministrazioni possono cominciare volontariamente a ricevere le fatture elettroniche, loro destinate, attraverso il Sistema di Interscambio;
   in ottemperanza a tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni, a decorrere da tali date, non può più accettare fatture che non siano trasmesse in forma elettronica secondo il formato di cui all'allegato A «Formato della fattura elettronica» del citato decreto ministeriale n. 55 del 2013; inoltre, trascorsi tre mesi dalle suddette date, le PA non potranno procedere ad alcun pagamento, nemmeno parziale, sino alla ricezione della fattura in formato elettronico;
   il contenuto informativo della FatturaPA prevede le informazioni da riportare obbligatoriamente in fattura in quanto rilevanti ai fini fiscali secondo la normativa vigente; in aggiunta a queste il formato prevede l'indicazione obbligatoria delle informazioni indispensabili ai fini di una corretta trasmissione della fattura al soggetto destinatario attraverso il Sistema di Interscambio: l'autenticità dell'origine e l'integrità del contenuto sono garantite tramite l'apposizione della firma elettronica qualificata di chi emette la fattura, la trasmissione è vincolata alla presenza del codice identificativo univoco che consente al Sistema di Interscambio di recapitare correttamente la fattura elettronica all'Ufficio destinatario per favorire l'automazione informatica del processo di fatturazione, a integrazione delle informazioni obbligatorie, il formato prevede anche la possibilità di inserire nella fattura ulteriori dati;
   ai sensi del citato articolo 25 del decreto-legge n. 66 del 2014, al fine di garantire l'effettiva tracciabilità dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, le fatture elettroniche emesse verso le pubbliche amministrazioni devono riportare il codice identificativo di gara (CIG) e il codice unico di progetto (CUP), altrimenti le pubbliche amministrazioni non possono procedere al pagamento delle fatture medesime;
   l'introduzione dell'obbligo della fatturazione elettronica rischia di danneggiare le associazioni non profit, le onlus e le fondazioni che non svolgono attività commerciale e non hanno partita IVA, e pertanto non emettono fattura;
   tali enti emettono solo delle note spese all'ente pubblico (comuni, ASL, ordini professionali, scuole, e altro) per l'incasso delle somme che ricevono a seguito di convenzioni;
   il problema tecnico esiste perché il Sistema di interscambio non potendo identificare la partita IVA dell'ente non profit (in quanto inesistente) e non potendo accettare la documentazione che non è assimilabile a fattura, non può ricevere il file inviato e non può trasmetterlo all'ente pubblico destinatario;
   tale problema sta comportando difformità nella ricezione da parte delle pubbliche amministrazioni della documentazione inviata dagli enti non profit con conseguente difficoltà nell'erogazione dei pagamenti –:
   quali iniziative intenda adottare per porre rimedio a questo problema che si è creato nei confronti degli enti non profit con l'introduzione dell'obbligo della fatturazione elettronica e se non ritenga opportuno assumere iniziative per consentire a tali enti di continuare ad emettere ed inviare alla pubblica amministrazione la relativa documentazione in formato cartaceo, al fine di assicurare loro la certezza nell'erogazione dei pagamenti a fronte delle convenzioni attive. (5-05002)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROMANINI e MAESTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni è attivo a Fidenza (PR) l'Ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate. L'ufficio permette a cittadini, imprese e professionisti dei comuni di Fidenza, Bore, Busseto, Fontevivo, Noceto, Polesine Parmense, Salsomaggiore Terme, Soragna e Zibello (circa 79 mila abitanti complessivi) di usufruire dei servizi dell'Agenzia delle entrate senza dovere rivolgersi agli uffici di Parma, distanti oltre 30 chilometri, con notevole risparmio di tempo, di costi di trasporto e riducendo la congestione del traffico lungo la direttrice della via Emilia. La presenza dell'ufficio si traduce anche in un elemento di presidio contro l'evasione fiscale e di sostegno alla tax compliance;
   questa zona dell'Emilia occidentale compresa fra le città di Parma e Piacenza, nonostante rappresenti un polo di notevole importanza economica a livello nazionale sta sperimentando una progressiva dismissione dei servizi statali: ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate e Ospedale a Fiorenzuola d'Arda (PC), uffici postali nelle zone montuose del territorio, sedi di Equitalia, Inps e Tribunale sezione distaccata di Parma;
   da quanto si è appreso dalla Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate, a fare data dal primo gennaio 2016 Fidenza perderà anche il summenzionato Ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate. La notizia ha provocato malumori tra cittadini, imprenditori e professionisti della zona, nonché tra i lavoratori (venti) in servizio presso l'Ufficio che, una volta chiuso il servizio, si troverebbero costretti a gravosi spostamenti verso l'Ufficio del capoluogo di provincia per registrare un atto (l'ufficio di Fidenza nel 2014 ha registrato sei mila atti pubblici, privati e giudiziari), fare una dichiarazione di successione (500 nel 2014), ottenere un rimborso delle imposte dirette o indirette (circa 1.000 rimborsi erogati nel 2014), richiedere informazioni di ordine fiscale (2.000 accessi annui presso l'ufficio) o per trattare pratiche di controllo che richiedono l'interazione con il contribuente, quali controlli formali 36-ter e accertamenti parziali automatizzati (circa 1500);
   fra l'altro l'ufficio di Parma, oltre a presentare delle forti criticità legate al sovraffollamento degli sportelli (criticità che nel 2012 sono giunte alla richiesta di intervento delle forze dell'ordine da parte dell'utenza), risulta difficilmente raggiungibile con i mezzi pubblici da parte dei cittadini residenti nella parte occidentale della provincia di Parma;
   attualmente l'ufficio territoriale di Fidenza è sito in uno stabile un tempo di proprietà del demanio, dal 2005 – per effetto delle cartolarizzazioni – ceduto al Fondo Patrimonio Uno, gestito da BNP Paribas REIM SGR S.p.a. Al fine di adeguare gli standard funzionali dell'ufficio e di efficientare il rapporto tra superficie e personale, nel 2013 l'Ufficio è stato ristretto da circa 1.900 mq a 1.164, con un costo complessivo di restauro, a carico dell'Agenzia delle entrate, di 450.000 euro. La restrizione degli spazi in dotazione all'Agenzia e l'occupazione della parte rimanente dell'immobile alla Tenenza della Guardia di finanza di Salsomaggiore Terme (PR) hanno consentito allo Stato un uso efficiente degli spazi a disposizione e, per l'Agenzia delle entrate, un inevitabile risparmio solo sul canone di affitto e sulle utenze;
   per quanto sopra il contributo alla spending review da parte dell'Agenzia delle entrate di Fidenza è stato rilevante. Al contrario, l'investimento pubblico di 450 mila euro effettuato nel 2013 in forza di un contratto di locazione «9+9» con scadenza nel 2023 si concretizzerebbe in uno spreco di risorse nel caso l'Ufficio fosse realmente chiuso –:
   se corrisponda al vero quanto lamentato dai cittadini, ordini e associazioni di categoria circa la possibile chiusura dell'ufficio territoriale e sulla base di quali motivazioni di ordine economico si giustifichi la chiusura dell'ufficio benché abbia beneficiato di recente di ingenti investimenti di ristrutturazione;
   quali motivazioni legate all'efficienza nell'erogazione dei servizi giustifichino la chiusura di un servizio pubblico di rilevanza sociale ed economica come quello dell'Agenzia delle entrate nel comune di Fidenza. (5-04975)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la lettera b) del comma 666 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha abrogato i commi 1 e 2 dell'articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, ed ha cancellato l'esenzione del bollo per gli autoveicoli e per i motoveicoli ultraventennali di particolare interesse storico e collezionistico, mantenendola solo per i mezzi ultratrentennali;
   non è stato ancora dato seguito agli ordini del giorno accolti dal Governo alla Camera 9/02679-bis-A/288 Sottanelli – 9/02803-A/128 Sottanelli e al Senato G/1698/15/5 Tosato, Comaroli e G/1698/2/8 (testo 2) Gibiino, Filippi;
   la previsione di maggiori entrate della legge di stabilità conseguenti alla cancellazione dell'esenzione sembra inoltre non considerare che molte regioni, titolari della tassa automobilistica, hanno già legiferato sulla materia in maniera autonoma;
   sebbene il tributo doveva essere versato entro il 31 gennaio 2015 per gli autoveicoli ed entro il 28 febbraio 2015 per i motoveicoli, le regioni – titolari della tassa automobilistica – hanno sino ad ora legiferato in ordine sparso, discostandosi spesso dal novellato articolo 63 della legge n. 342 del 2000 e provocando caos e generale confusione tra i proprietari;
   molte regioni hanno mantenuto le esenzioni o le tariffe previste in passato per i veicoli di interesse storico e collezionistico, in particolare Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna, mentre ve ne sono altre quali Toscana e Veneto che stanno provvedendo all'emanazione dei testi di conferma dei benefici e altre ancora che hanno accolto le disposizioni che hanno cancellato l'esenzione del bollo per gli autoveicoli e per i motoveicoli ultraventennali creando in questo modo disparità tra i cittadini e un danno per il settore e per tutto l'indotto;
   solo pochi proprietari potranno permettersi infatti di pagare il bollo e l'assicurazione e la previsione più attendibile è che circa l'80 per cento dei veicoli d'epoca sarà demolito o radiato per l'espatrio, portando alla scomparsa un patrimonio di veicoli che mobilita un significativo volume di affari, sia in termini di raduni nazionali e regionali, che in termini di indotto per artigiani e restauratori –:
   se non intenda fare chiarezza sulla normativa al fine di consentire alle regioni di dare una interpretazione ed una applicazione univoca e quali iniziative intenda adottare per ridefinire la materia tenendo conto delle aspettative e del futuro del settore e del suo indotto. (5-04984)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AMATO e AMODDIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dopo la riorganizzazione dipartimentale in regione Abruzzo, dal giugno 2013 sono stati trasferiti dalla casa lavoro di Sulmona all'istituto penitenziario di Vasto circa 180 internati sottoposti alla misura di sicurezza detentiva della paga di lavoro;
   presso la sede di Sulmona gli internati lavoravano in un laboratorio di sartoria e nella locale falegnameria;
   la programmata installazione di un laboratorio di sartoria nella sede di Vasto, ad oltre due anni di distanza, non viene ancora avviata per ritardi ed incertezze nella alternativa fra la conversione del locale magazzino in capannone industriale, con conseguenti lavori di adeguamento, o nella costruzione di un nuovo edificio;
   tutto questo avviene nonostante lo stanziamento, fin dall'esercizio finanziario 2013, di circa 330.000 euro;
   per l'utilizzo di detto fondo si registrano rallentamenti ormai ingiustificabili tra DAP e ufficio tecnico del provveditorato del dipartimento regionale per l'amministrazione penitenziaria;
   di conseguenza lo spostamento degli internati da Sulmona a Vasto si è risolto in un peggioramento delle loro condizioni detentive, dal momento che le opportunità di lavoro si sono drasticamente ridotte, essendo allo stato attive solo alcune occasioni di collaborazione con il comune (manutenzione del verde, stradale, e altro) e della piccola azienda agricola (in tutto circa una ventina) oltre a quelle cosiddette domestiche;
   oltre al mandato istituzionale di un istituto formalmente denominato casa di lavoro l'esigenza di attività lavorative è ancor più ineludibile per le scarsissime risorse economiche dei singoli internati, notoriamente classificabili fra i soggetti più indigenti nelle generale popolazione detenuta;
   anche altri progetti collaterali a quello della sartoria, che dovrebbe rappresentare la spina dorsale dell'insieme delle attività lavorative nell'istituto vastese stanno incontrando non poche difficoltà di carattere burocratico;
   senza il cambiamento vero dei tempi delle procedure burocratiche le riforme sul sistema carcerario saranno monche e produrranno incompleti effetti sulla umanizzazione e nel recupero del ruolo sociale dei detenuti e della centralità della dignità della persona –:
   quali iniziative intenda adottare perché gli internati della casa di lavoro di Vasto ritornino alle condizioni lavorative almeno paragonabili a quelle di cui fruivano nell'istituto di Sulmona, e perché i progetti a tal fine elaborati possano essere portati ad uno stadio di realizzazione.
(5-04973)


   VACCA, DEL GROSSO, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS, DELL'ORCO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, SCAGLIUSI, GRANDE, SPADONI, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, PETRAROLI, NESCI, CARINELLI, BATTELLI, VIGNAROLI, COZZOLINO, FERRARESI, SIBILIA, SORIAL, BONAFEDE, SARTI e AGOSTINELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio disciplina della direzione generale del personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comminato, nel 2013, una sospensione di sei mesi dal servizio del provveditore Donato Carlea interregionale alle opere pubbliche di Lazio Abruzzo Sardegna;
   il provvedimento disciplinare è conseguenza della vicenda riguardante la ristrutturazione, mai avvenuta, di un immobile destinato ai servizi segreti italiani, sede della Guardia di finanza, in cui era coinvolto anche Angelo Balducci, al tempo direttore del servizio integrato infrastrutture e trasporti per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna. In tale vicenda l'impresa di costruzione Carchella ha incassato 18,3 milioni di euro per una ristrutturazione mai eseguita, in seguito a numerose vicende di ricorsi, lodi, arbitrati e transazioni;
   tale vicenda è stata denunciata dall'ingegner Carlea alla Corte dei conti di Roma e alla procura della Repubblica di Roma;
   in seguito al provvedimento disciplinare l'ingegner Donato Carlea presentava ricorso al giudice del lavoro contro le sanzioni disciplinari e la sospensione di sei mesi dall'incarico decise dal servizio dall'ufficio disciplina della direzione generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   il giudice del lavoro del tribunale di Roma, Giuseppina Leo, ha accolto il ricorso dell'ex provveditore Donato Carlea in merito alla sospensione, disponendone il reintegro;
   da una notizia di stampa pubblicata su Il Fatto Quotidiano l'11 febbraio 2015, si apprende che il procuratore della Repubblica di Roma Francesco Dall'Olio ha acquisito agli atti dell'inchiesta che faceva capo ad Angelo Balducci, una lettera dell'avvocato Fabio Lorenzoni destinata al suo cliente, Donato Carlea;
   secondo le notizie riportate sul quotidiano, l'avvocato Lorenzoni mette per iscritto che il giudice di Roma Giuseppina Leo gli avrebbe confidato, a margine di un'udienza, che la decisione di reintegro presa secondo coscienza, quindi contro i voleri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le avrebbe procurato un pesante intralcio di carriera;
   in seguito, con decreto prot. 449 del 27 ottobre 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha disposto la sospensione cautelare dell'ingegner Donato Carlea, dirigente di prima fascia, dal servizio e dall'incarico per un'altra vicenda legata alla attività di provveditore interregionale alle opere pubbliche di Campania e Molise;
   ciò che appare rilevante, a giudizio degli interroganti, è che in un Ministero in cui i reati contestati, di norma, sono dell'ordine della turbativa d'asta e corruzione appare sproporzionata la sospensione per un tempo illimitato per vicende ancora da accertare, in quanto si è di fronte ad un rinvio a giudizio, e di entità molto minori;
   tali circostanze sembrerebbe palesare un eccezionale ed immotivato accanimento sanzionatorio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nei confronti dell'ingegner Carlea, alla luce di due sospensioni, senza soluzione di continuità, che lo estromettono dal servizio e dalla retribuzione a tempo indeterminato fino alla definizione del procedimento penale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati e, di conseguenza, intendano verificare, negli ambiti di propria competenza, se all'interno delle strutture ministeriali vi siano state iniziative volte a condizionare l'esito della sentenza del giudice Giuseppina Leo.
(5-04978)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TARTAGLIONE, ERMINI, SGAMBATO, MANFREDI, ROSTAN, BOSSA e SALVATORE PICCOLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 138, al fine di realizzare risparmi spesa ed incrementi di efficienza, ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
   il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 nel riorganizzare i tribunali ordinari ha soppresso le sezioni distaccate;
   il decreto legislativo nel ridefinire l'assetto territoriale degli uffici giudiziari doveva tener conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   come evidenziato in una petizione dell'Associazione forense A.C.C.A., i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano non ricadono più nel circondario del tribunale di Napoli, ma in quello dei nuovo tribunale di Napoli nord con sede in Aversa;
   il trasferimento, dei suddetti quattro comuni, da sempre appartenenti al circondario del tribunale di Napoli, ha determinato notevoli problemi alla cittadinanza, per la lontananza dal tribunale di Napoli nord — Aversa e per l'assenza di idonei mezzi di trasporto pubblici;
   i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano sono confinanti con la città di Napoli o distano dalla stessa pochi chilometri;
   la costituzione di un ufficio del giudice di Pace comprendente i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano, da far ricadere nel circondario del tribunale di Napoli, sarebbe giustificata dal fatto che nel relativo mandamento si trovano la compagnia dei carabinieri, l'Agenzia delle entrate, un'azienda ospedaliera, collegamenti stradali importanti, con direttamente collegati con la stazione ferroviaria centrale di Napoli e l'aeroporto di Napoli;
   i cittadini costretti a ricorrere alla volontaria giurisdizione, spesso minori e disabili, vedono particolarmente penalizzati i propri diritti;
   il tribunale di Napoli nord — Aversa, ospitato in un'antica struttura adattata all'odierno utilizzo, raggruppa nel suo circondario ben 38 comuni delle province di Napoli e Caserta, con una popolazione complessiva di circa 923.000 abitanti residenti, presenta notevoli carenze di personale amministrativo e di magistrati, per cui non è in grado di assicurare un regolare svolgimento dell'attività giudiziaria;
   la popolazione dei comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano è di circa 190.000 abitanti, l'alleggerimento del bacino di utenza del suddetto tribunale di Napoli nord — Aversa rappresenterebbe un beneficio funzionale, rendendo più efficiente il funzionamento della giustizia;
   l'accorpamento dei suddetti comuni con il tribunale di Napoli nord — Aversa comporta notevoli difficoltà in ambito giudiziario penale, basti considerare che le forze di polizia presenti sul territorio, per ogni attività connessa alla loro funzione devono trasmettere tutti gli atti al distante e poco raggiungibile tribunale di Napoli nord — Aversa, con notevole aggravio di costi e di indennità agli enti di competenza;
   ricollocare i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore, Arzano nel circondario del Tribunale di Napoli non comporta alcun onere di spesa in quanto occorrerebbero solo pochi locali per la cancelleria e per le udienze, che sono ampiamente disponibili nella ampia struttura del tribunale di Napoli –:
   se il Governo sia intenzionato e con quale tempi e modalità a rispondere alle urgenti necessità degli operatori del diritto e delle popolazioni e dei comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano;
   se il Governo sia intenzionato ad assumere iniziative per riportare i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore e Arzano nel circondario del tribunale di Napoli;
   se il Governo sia intenzionato a costituire un ufficio del giudice di pace, nel circondario del tribunale di Napoli, comprendente i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore e Arzano. (4-08352)


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 aprile 2013 la giunta comunale di Torre del Greco (Napoli) deliberava di confermare la volontà del comune di Torre del Greco al mantenimento dell'ufficio del giudice di pace sul proprio territorio e ad impegnarsi a mettere a disposizione il proprio personale e tutte le risorse necessarie a questo scopo (delibera n. 240/13);
   a quanto risulta l'immobile di viale Campania, utilizzato fino al 5 dicembre 2014 come sede della sezione distaccata del tribunale di Torre Annunziata, non necessita dei costosi lavori che giustificarono lo spostamento dell'ufficio del giudice di pace. Infatti lo stesso immobile dovrebbe ospitare un plesso scolastico dell'Istituto superiore di primo grado «Sasso»;
   presso l'ufficio del giudice di pace di Torre del Greco (Napoli) risultavano iscritti a ruolo per il solo anno 2014 n. 440 ricorsi per decreto ingiuntivo, n. 216 procedimenti penali e n. 3266 cause civili;
   i cittadini di Torrie del Greco (Napoli), come le associazioni di categoria, hanno più volte lamentato profondi disagi per lo spostamento della sede dell'ufficio del giudice di pace a Torre Annunziata –:
   se sia intenzione del Ministro mantenere la sede del giudice di pace di Torre del Greco (Napoli) e, in alternativa, quali siano gli strumenti che il Ministero abbia intenzione di intraprendere a tutela dei cittadini e degli operatori del diritto del comune di Torre del Greco (Napoli).
(4-08356)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CULOTTA e RIBAUDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ultima ondata di maltempo nel sud del Paese ha provocato danni ingenti in tutta la provincia di Palermo, dove a causa di inondazioni, frane e smottamenti intere famiglie sono state evacuate dalle loro case e alcune località delle Madonie sono rimaste isolate;
   le piogge incessanti degli ultimi giorni oltre alla strada provinciale 54 – nel tratto che collega Isnello, Collesano e le località delle alte Madonie – chiusa per giorni causa di un grosso movimento franoso, che ha parzialmente isolato la stazione sciistica di Piano Battaglia, hanno messo in ginocchio per una frana anche la viabilità del comune di Scillato, nella strada provinciale 9-bis (creando disagi anche al gasdotto, con la conseguente creazione di un allaccio provvisorio);
   numerose frane anche a Castelbuono, una frana sulla linea ferroviaria, in contrada Causo a Caccamo, e il blocco del transito dei treni sui binari del tratto ferroviario Palermo-Agrigento-Catania, dove la caduta di detriti e pietrisco ha bloccato la circolazione dei treni;
   nel Termitano poi, è esondato il fiume San Leonardo, che ha portato allo sgombero immediato di otto famiglie dalle proprie abitazioni. Molti i disagi che hanno interessato, nei giorni scorsi, anche alcune strade statali come la strada statale 121 nei pressi di Leonforte, due tratti della statale 120, in direzione Gangi e altre importanti arterie che collegano i comuni madoniti tra di loro;
   essendo in corso la riforma delle province, le risorse per la manutenzione delle strade provinciali sono sempre più scarse se non addirittura assenti e non può essere tollerabile che il normale alternarsi delle stagioni metta in ginocchio la viabilità di una regione e la sicurezza di intere famiglie –:
   se il Governo sia a conoscenza dello stato di totale abbandono e degrado in cui versano oggi le strade provinciali e se e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere anche al fine di garantire l'incolumità delle migliaia di cittadini che giornalmente le percorrono. (5-04992)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'opera «Completamento schema idrico Basento Bradano-Attrezzamento settore G» riguarda le iniziative necessarie per l'adduzione e la distribuzione irrigua del distretto G, che si estende per circa 13.050 ettari, nel piano di utilizzazione dello schema idrico Basento-Bradano. Tale impianto è stato progettato per garantire un più efficace ed efficiente utilizzo delle risorse idriche, contribuendo notevolmente allo sviluppo del comparto agroindustriale locale;
   anche se il progetto generale è stato approvato dalla Delegazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici presso la Cassa per il Mezzogiorno con voto n. 56 del 5 gennaio 1987, i primi passi verso la realizzazione dell'opera si sono avviati nel 2006, sino ad arrivare al 2011 in cui c’è stato il completo blocco dei lavori;
   nel 2006, l'ANAS e le province di Matera e Potenza, quali enti interferiti, formularono parere favorevole alla costruzione dell'infrastruttura in questione, ma con prescrizioni. Poco dopo, anche il comitato tecnico sulla valutazione di impatto ambientale e all'autorizzazione paesaggistica ha dato il parere favorevole alla costruzione dell'infrastruttura a cui è seguito quello del dipartimento delle infrastrutture della regione Basilicata, con osservazioni, in linea tecnica ed economica;
   nel 2006 il Ministero dei trasporti ha poi trasmesso la relazione al CIPE proponendo l'approvazione del progetto per 85,7 milioni di euro da prelevare dai fondi Fas (fondo per le aree sottoutilizzate). Subito dopo, il Ministero delle politiche agricole e quello dei beni culturali hanno dato il loro parere favorevole alla costruzione dell'opera;
   nello stesso anno, il CIPE ha approvato il progetto con la delibera 197 e ha definito l'importo di 85,7 milioni di euro come limite di spesa, precisando che tali fondi non potevano essere prelevati dai Fas. Con la stessa delibera è stato assegnato un contributo di 6,3 milioni di euro per 15 anni, ma è stato sottolineato che la concessione definitiva del contributo restava subordinata alla presentazione da parte del soggetto aggiudicatore, entro 2 mesi dalla pubblicazione della delibera, di un piano economico-finanziario aggiornato;
   il Ministero dell'interno, con nota del 27 ottobre 2006, trasmette al CIPE la relazione integrativa con il piano economico aggiornato in cui propone la conferma del finanziamento già assegnato in via programmatica e la copertura della quota residua di fabbisogno, pari a 15,7 milioni di euro, con i ribassi di gara relativi ad opere idriche di cui alla «legge obiettivo», e che soggetto aggiudicatore sia la medesima regione Basilicata;
   la regione Basilicata, con nota dell'8 novembre, ha quantificato in complessivi 8,8 milioni di euro le risorse disponibili, e ha dichiarato di impegnarsi a farsi carico della restante somma di 6,9 milioni di euro, chiedendo di poter trattenere le eventuali economie dei ribassi d'asta nell'aggiudicazione dell'opera, sino alla concorrenza dell'importo di 6,9 milioni di euro. Con un'altra nota del 16 novembre 2006, la regione ha poi precisato che la copertura dell'onere sarebbe derivata dalla «compartecipazione nell'aliquota del prodotto di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi estratti nella regione» (cosiddetto royalty petrolifere);
   il CIPE con delibera 146 del 2006 ha autorizzato la regione ad utilizzare le «economie» conseguenti ai ribassi d'asta relativi ad altri interventi per un totale di 8,8 milioni di euro. La regione, nel 2008, ha contratto il mutuo con la Cassa depositi e prestiti che nel 2009, con nota del 7 agosto 2009, ha poi dichiarato la propria indisponibilità a mantenere l'offerta formulata in sede di gara, alle condizioni poste dal decreto interministeriale n. 5279 del 2003;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa col Ministero dell'economia e delle finanze, con nota del 18 maggio 2010 ha comunicato che, vista l'indisponibilità dell'aggiudicatario, era necessario procedere a nuova gara. Ad aprile del 2011 la regione Basilicata ha iniziato a predisporre un nuovo bando per contrarre un mutuo, ma a causa della improvvisa indisponibilità al finanziamento da parte della Cassa depositi e prestiti, la regione Basilicata non è poi riuscita a presentare un secondo bando per accendere un mutuo;
   in sintesi, si tratta di un contributo quindicennale di 6,258 milioni di euro, finanziato direttamente dal parte del CIPE. Da questo contributo risultano utilizzabili, secondo quanto riportato nella relazione tecnica, dieci annualità, pari ad un totale di 62,580 milioni di euro;
   tale somma stava per essere dirottata all'Expo di Milano, fino a quando con il decreto «sblocca Italia», e proprio grazie ad una iniziativa fortemente voluta da Forza Italia, sono state adottate delle misure volte a salvaguardare la costruzione dello schema idrico Basento-Bradano. Nello specifico, l'articolo 3, comma 2, lettera a), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 («Sblocca Italia»), convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha fissato al 31 dicembre 2014 la data entro cui l'intervento in questione avrebbe dovuto essere «cantierabile»;
   con successiva lettera del 1o ottobre 2014, l'ente appaltante (il «Consorzio di Bonifica Vulture Alto Bradano») fissava per il 6 ottobre 2014 l'inizio dei lavori, in seduta pubblica, per l'esame della documentazione amministrativa riguardante le operazioni di gara, mai iniziate e sospese per oltre ventisette mesi;
   il 17 novembre 2014, l'ente appaltante statuiva quale primo classificato l'impresa «D'Agostino Angelo Antonio costruzioni generali s.r.l.» con punteggio complessivo di 88,65. Con lettera del 21 novembre 2014, il responsabile unico del procedimento informava l'impresa aggiudicataria D'Agostino che, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, del decreto legislativo n. 163 del 2006, occorreva procedere alla verifica delle giustificazioni, essendo l'offerta considerata «anomala» (per eccesso di ribasso) ai sensi del suddetto decreto legislativo n. 163 del 2006;
   il 29 dicembre 2014 la commissione aggiudicatrice, con seduta pubblica, dichiarava l'aggiudicazione provvisoria all'impresa «D'Agostino Angelo Antonio costruzioni generali s.r.l.», considerato che l'offerta poteva ritenersi «nel complesso, congrua, ammissibile e affidabile»;
   pur essendo trascorsi due mesi dalla aggiudicazione dell'impresa D'Agostino, i lavori dello schema idrico sono tuttora bloccati e sia i cittadini che le forze sindacali si chiedono quando si darà avvio ad un'opera così importante che, una volta realizzata, consentirà di dare un impulso all'economia agricola del Vulture-Alto Bradano, producendo notevoli riflessi anche sul fronte occupazionale –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto descritto in premessa e se sussistano i presupposti per assumere iniziative che consentano di non perdere il finanziamento fino ad ora riconosciuto per lo schema idrico Basento-Bradano. (4-08369)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Piana degli Albanesi è un comune con poco più di 6.200 abitanti in provincia di Palermo, è tra le più note e popolose comunità storiche arbëreshe ed è il centro più importante delle colonie albanesi di Sicilia. Dista dal capoluogo di provincia 24 chilometri;
   il comune di Piana degli Albanesi è collegata con Palermo attraverso due strade provinciali, la strada provinciale 18 e la strada provinciale 34 che si trovano oggi in pessime condizioni e necessarie di urgenti interventi di manutenzione;
   la strada provinciale 18 è chiusa al traffico ormai da mesi proprio a causa dei lavori di manutenzione che però non sono ancora stati completati mentre la strada provinciale 34, è già interessata da altri cedimenti e smottamenti;
   la chiusura della strada provinciale 18 e la pericolosità della strada provinciale 34, che è rimasto l'unico percorso alternativo per raggiungere il capoluogo di provincia, rischiano di determinare non solo una situazione di isolamento del comune di Piana degli Albanesi per assenza di collegamenti, ma anche di pericolosità visti i cedimenti e smottamenti che hanno interessato la strada provinciale 34 in cui, ogni giorno, viaggiano sia i mezzi pubblici con studenti e pendolari che studiano e lavorano a Palermo, che i mezzi di pronto soccorso – come le ambulanze – oltre a tutti i mezzi pesanti legati ai servizi delle attività produttive e commerciali e a tutti i veicoli privati, con un serio rischio per l'incolumità dei cittadini e delle cittadine di Piana degli Albanesi;
   la competenza sulla manutenzione delle strade in oggetto è della provincia di Palermo, l'interrogante intende denunciare al Governo nazionale lo stato di abbandono e la condizione di estrema precarietà in cui versano le strade provinciali evidenziando come i continui tagli dello Stato centrale alle risorse da destinare agli enti locali, contribuiscano a rendere impossibile a questi ultimi la programmazione di qualsiasi intervento di prevenzione e di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative per stanziare le risorse necessarie perché sia consentita ai soggetti titolari delle competenze in materia l'esecuzione degli interventi più urgenti di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade, come ad esempio quelle descritte in premessa e che interessano il comune di Piana degli Albanesi in provincia di Palermo;
   se il Governo intenda utilizzare, almeno in parte, le risorse della programmazione europea 2014/2020 per consentire agli enti locali di avere gli strumenti finanziari necessari per effettuare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade e in particolare di quelle extraurbane che, specialmente in Sicilia, si trovano oggi in pessime condizioni, sono interessate da cedimenti e smottamenti, rappresentando un serio rischio per l'incolumità dei cittadini e delle cittadine. (4-08370)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIORIO e GRIBAUDO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire), istituita con la legge n. 470 del 1988, contiene i dati dei cittadini italiani che risiedono all'estero per un periodo superiore ai dodici mesi. L'anagrafe è gestita dai comuni sulla base dei dati e delle informazioni provenienti dalle rappresentanze consolari all'estero;
   l'iscrizione all'Aire è un diritto – dovere del cittadino (come sancisce l'articolo 6 della legge n. 470 del 1988) e costituisce il presupposto per usufruire di una serie di servizi forniti dalle rappresentanze consolari all'estero, nonché per l'esercizio di importanti diritti, quali per esempio la possibilità di votare per elezioni politiche e referendum per corrispondenza nel Paese di residenza, e per l'elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo nei seggi istituiti dalla rete diplomatico – consolare nei Paesi appartenenti all'Unione europea;
   i cittadini italiani residenti all'estero e regolarmente iscritti all'Aire possono esercitare il diritto di voto all'estero nel luogo di residenza per le elezioni politiche nazionali, per i referendum abrogativi e costituzionali ex articoli 75 e 138 della Costituzione e per le elezioni del Parlamento europeo;
   il voto all'estero per le elezioni politiche nazionali e i referendum è regolato dalla legge n. 459 del 2001 e dal relativo regolamento attuativo (decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104), in attuazione degli articoli 48, 56 e 57 della Costituzione, che hanno istituito la circoscrizione estero;
   il voto all'estero per l'elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo è invece regolato dalla legge n. 18 del 1979 e dalla legge n. 483 del 1994;
   per quando riguarda le elezioni di carattere locale (amministrative comunali, e circoscrizionali ed elezioni regionali) i cittadini italiani residenti all'estero e regolarmente iscritti all'Aire possono votare solo tornando in Italia;
   da quanto esposto si evince quindi come il numero delle iscrizioni all'Aire incidano sull'individuazione del quorum elettorale: un parametro che riveste una valenza fondamentale per la validità dei risultati del referendum abrogativo e nelle elezioni del sindaco e del consiglio comunale nei comuni fino a 15.000 abitanti –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario monitorare gli effetti della legge n. 470 del 1988, ed in particolare le variazioni delle iscrizioni all'Aire registrate negli ultimi anni e le sua ricadute sulle legislazione nazionale per la partecipazione al voto dei cittadini italiani residenti all'estero, al fine di valutare se tali variazioni legate ad un non effettivo esercizio del diritto di voto possano inevitabilmente invalidare i parametri dei quorum richiesti per il referendum abrogativo e nelle elezioni del sindaco e del consiglio comunale nei comuni fino a 15.000 abitanti. (5-04971)


   ANZALDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con internet negli ultimi tempi si registra un incremento del fenomeno relativo alle adozioni illegali di cani;
   sulla rete proliferano infatti una serie di siti che, agendo sul profilo emotivo degli internauti, assicurano la possibilità di adottare cani provenienti dalle più disparate situazioni di disagio;
   cani che nonostante la presenza nei canili italiani di milioni di cani adottabili, provengono dall'estero;
   ovviamente la diffusione di tale fenomeno pone una serie di domande con riferimento a quali garanzie sanitarie siano offerte dalla miriade di associazioni che sono presenti in rete, a quali rischi va incontro l'emotivo adottante rispetto a cani che possono essere malati anche affetti da patologie potenzialmente pericolose quali la leishmaniosi, e come vengono gestiti gli scambi internazionali in caso di animali che dovrebbero essere identificati, soggetti alle dovute cure e profilassi e ricadere sotto la responsabilità di soggetti ben identificati;
   altre domande nascono in riferimento al suddetto fenomeno, per quanto riguarda gli aspetti fiscali ed economici di questi operatori che agiscono attraverso la rete non essendo chiaro chi controlla, se siano attività soggette ad imposte a favore della collettività, regolarmente censite o dietro queste attività tanto frequenti si nascondano interessi che distorcono il mercato penalizzando chi invece opera in ossequio alle regole e nel rispetto delle normative vigenti;
   le istituzioni competenti devono attivarsi per comprendere quali siano i reali confini del fenomeno anche perché questo tipo di adozioni fa sì che i nostri canili continuino ad essere pieni di cani magari con le stesse storie di sofferenze ma senza alcuna prospettiva di adottabilità;
   nel nostro Paese i cani randagi sono circa 700 mila e circa 200 mila sono i cani censiti ospitati presso regolari canili visitati a carico delle pubbliche amministrazioni, che dovremmo ritenere sicuri dal punto di vista sanitario;
   se il Governo sia a conoscenza del fenomeno di cui in premessa e quali iniziative intenda attivare, per quanto di competenza, anche in sede comunitaria ed internazionale per evitare il proliferare di siti che trattano l'adottabilità di cani in assenza di qualsiasi controllo, certificazione e assicurazione sulla salute degli animali e degli stessi spesso ignari soggetti che li richiedono in adozione al fine di costruire una rete trasparente di informazioni e per regolamentare un settore che nasconde anche evidenti profili di elusione ed evasione fiscale. (5-04985)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCO DI MAIO, LATTUCA e MOLEA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo un recente studio del Censis, negli ultimi dieci anni, tra il 2004 e il 2013, il numero dei furti in abitazione nella provincia di Forlì-Cesena è aumentato del 312,9 per cento risultando la prima provincia italiana;
   da una parte continuano ad incrementarsi i tagli alle risorse e dall'altra le emergenze continuano ad aumentare, in questo modo, si rischia di provocare il blocco del sistema che deve garantire la sicurezza a tutti i cittadini;
   il numero dei poliziotti operanti sul territorio della provincia di Forlì-Cesena si è drasticamente ridotto, negli ultimi cinque anni si è avuto un decremento vicino al 10 per cento. Inoltre l'età media del personale è prossima ai 50 anni e nei prossimi 2/3 anni sono previsti ulteriori pensionamenti;
   a ciò si aggiunga la cronica mancanza di mezzi e dotazioni per le forze di polizia e per i Carabinieri, mezzi ad oggi insufficienti per garantire la continuità dei servizi istituzionali della specialità;
   le forze dell'ordine oltre ad essere impiegate in funzioni di ordine pubblico, si occupano anche di varie attività istituzionali: porto d'armi, licenze, vigilanza e con l'aumento delle misure alternative alla detenzione sono aumentati anche i casi di attività investigativa;
   questi atti di microcriminalità a lungo andare possono avere un effetto pernicioso per quanto riguarda la percezione della sicurezza sia privata che cittadina –:
   se siano previste misure per prevenire e contrastare in maniera più efficace tali atti di criminalità che stanno investendo il nostro Paese, anche attraverso iniziative normative;
   se non ritenga di procedere al più presto all'incremento della dotazione organica del presidio provinciale, d'intesa anche con il Ministero della difesa per i corpi di propria competenza. (4-08360)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COCCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni la stampa ha segnalato ennesimi episodi di grave discriminazione a danno di bambini disabili;
   in particolare, in una scuola di Valmontone un bambino autistico svolge l'attività didattica in condizioni assolutamente non adeguate;
   a quanto pare, infatti, da due anni trascorre l'intera giornata scolastica in una stanzetta, da solo con l'insegnante di sostegno e l'educatore, perché in classe «disturberebbe troppo»;
   accogliere e integrare gli alunni in difficoltà nel miglior modo possibile è un preciso dovere delle nostre scuole;
   il diritto allo studio è un principio garantito costituzionalmente. L'articolo 34 della Costituzione dispone infatti che la scuola sia aperta a tutti. In tal senso il Costituente ha voluto coniugare il diritto allo studio con il principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione;
   la legge 118 del 1971, articolo 28, ha disposto che l'istruzione dell'obbligo dovesse avvenire nelle classi normali della scuola pubblica;
   con la legge 517 del 1977, che a differenza della legge 118 del 1971, limitata all'affermazione del principio dell'inserimento, si stabiliscono con chiarezza presupposti e condizioni, strumenti e finalità per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, da attuarsi mediante la presa in carico del progetto di integrazione da parte dell'intero consiglio di classe e attraverso l'introduzione dell'insegnante specializzato per le attività di sostegno;
   la Corte Costituzionale, a partire dalla sentenza n. 215 del 1987, ha costantemente dichiarato il diritto pieno e incondizionato di tutti gli alunni con disabilità, qualunque ne sia la minorazione o il grado di complessità della stessa, alla frequenza nelle scuole di ogni ordine e grado e alle attività che in esse si svolgono;
   la legge del 5 febbraio 1992, n. 104 «Legge Quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» raccoglie ed integra tali interventi legislativi divenendo il punto di riferimento normativo dell'integrazione scolastica e sociale delle persone con disabilità; tale legge ribadisce ed amplia il principio dell'integrazione sociale e scolastica come momento fondamentale per la tutela della dignità umana della persona con disabilità, impegnando lo Stato a rimuovere le condizioni invalidanti che ne impediscono lo sviluppo, sia sul piano della partecipazione sociale sia su quello dei deficit sensoriali e psico-motori per i quali prevede interventi riabilitativi;
   il profilo dinamico funzionale e il piano educativo individualizzato (Ph) sono dunque per la legge in questione i momenti concreti in cui si esercita il diritto all'istruzione e all'educazione dell'alunno con disabilità. Da ciò il rilievo che ha la realizzazione di tali documenti, attraverso il coinvolgimento dell'amministrazione scolastica, degli organi pubblici che hanno le finalità della cura della persona e della gestione dei servizi sociali ed anche delle famiglie. Da ciò, inoltre, consegue l'importante previsione della loro verifica in itinere, affinché risultino sempre adeguati ai bisogni effettivi dell'alunno;
   sulla base del piano educativo individualizzato, i professionisti delle singole agenzie, ASL, enti locali e le istituzioni scolastiche formulano, ciascuna per proprio conto, i rispettivi progetti personalizzati:
    il progetto riabilitativo, a cura dell'ASL (legge n. 833 del 1978 articolo 26);
    il progetto di socializzazione, a cura degli enti locali (legge n. 328 del 2000 articolo 14);
    il piano degli studi personalizzato, a cura della scuola (decreto ministeriale 141 del 1999, come modificato dall'articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009);
   inoltre, il decentramento avvenuto nell'ultimo decennio e la conseguente assunzione di responsabilità da parte degli organi decentrati — nell'ambito delle materie ad essi attribuite — fa assumere agli uffici scolastici regionali un ruolo strategico ai fini della pianificazione/programmazione «governo» delle risorse e delle azioni a favore dell'inclusione scolastica degli alunni disabili;
   nelle linee guida per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, gli ambiti territoriali diventano il luogo privilegiato per realizzare il sistema integrato di interventi e servizi e lo snodo di tutte le azioni, tramite la costituzione di tavoli di concertazione/coordinamento — all'interno dei quali c’è la «rete» di scuole — composti dai rappresentanti designati da ciascun soggetto (istituzionale o meno) che concorre all'attuazione del progetto di vita costruito per ciascun alunno disabile;
   è, infatti, proprio nella definizione del progetto di vita che si realizza l'effettiva integrazione delle risorse, delle competenze e delle esperienze funzionali all'inclusione scolastica e sociale;
   i prioritari ambiti di intervento sono riconducibili a:
    a) formazione (poli specializzati sulle diverse tematiche connesse a specifiche disabilità/banche dati/anagrafe professionale/consulenze esperte);
    b) distribuzione/allocazione/dotazione risorse professionali (insegnanti specializzati, assistenti ad personam, operatori, educatori e altro);
    c) distribuzione/ottimizzazione delle risorse economiche e strumentali (fondi finalizzati all'integrazione scolastic, sussidi e attrezzature, tecnologie, e altro);
    d) adozione di iniziative per l'accompagnamento dell'alunno alla vita adulta mediante esperienze di alternanza scuola-lavoro, stage, collaborazione con le aziende del territorio;
   con l'autonomia funzionale di cui alla legge n. 59 del 1997, le istituzioni scolastiche hanno acquisito la personalità giuridica e dunque è stato loro attribuito, nei limiti stabiliti dalla norma, il potere discrezionale tipico delle pubbliche amministrazioni. Ne consegue che la discrezionalità in parola, relativa alle componenti scolastiche limitatamente alle competenze loro attribuite dalle norme vigenti, ed in particolare nell'ambito dell'autonomia organizzativa e didattica, dovrà essere esercitata tenendo debitamente conto dei principi inerenti alle previsioni di legge concernenti gli alunni con disabilità. La citata discrezionalità dovrà altresì tenere conto del principio di logicità-congruità, il cui giudizio andrà effettuato in considerazione dell'interesse primario da conseguire, ma naturalmente anche degli interessi secondari e delle situazioni di fatto;
   si ribadisce, inoltre, che le pratiche scolastiche in attuazione dell'integrazione degli alunni con disabilità, pur nella considerazione dei citati interessi secondari e delle citate situazioni di fatto, nel caso in cui non si conformassero immotivatamente all'interesse primario del diritto allo studio degli alunni in questione, potrebbero essere considerati atti caratterizzati da disparità di trattamento;
   tale violazione è inquadrabile in primo luogo nella mancata partecipazione di tutte le componenti scolastiche al processo di integrazione, il cui obiettivo fondamentale è lo sviluppo delle competenze dell'alunno negli apprendimenti, nella comunicazione e nella relazione, nonché nella socializzazione, obiettivi raggiungibili attraverso la collaborazione e il coordinamento di tutte le componenti in questione nonché nella presenza di una pianificazione puntuale e logica degli interventi educativi, formativi, riabilitativi come previsto dal piano educativo individuale;
   in assenza di tale collaborazione e coordinamento, mancanza che si esplica in ordine ad atti determinati da una concezione distorta dell'integrazione, verrebbe a mancare il menzionato corretto esercizio della discrezionalità;
   compito del dirigente scolastico è indirizzare l'operato dei singoli consigli di classe/interclasse affinché promuovano e sviluppino le occasioni di apprendimento, favoriscano la partecipazione alle attività scolastiche, collaborino alla stesura del piano educativo individuale;
    a) coinvolgere attivamente le famiglie e garantire la loro partecipazione durante l'elaborazione del PEI;
    b) curare il raccordo con le diverse realtà territoriali (enti locali, enti di formazione, cooperative, scuole, servizi socio-sanitari, e altro);
    c) attivare specifiche azioni di orientamento per assicurare continuità nella presa in carico del soggetto da parte della scuola successiva o del percorso post-scolastico prescelto;
    d) intraprendere le iniziative necessarie per individuare e rimuovere eventuali barriere architettoniche e/o senso-percettive;
   in ultima istanza, al fine dell'inclusione scolastica degli alunni con disabilità è indispensabile ricordare che l'obiettivo fondamentale della legge n. 104 del 1992, articolo 12, comma 3, è lo sviluppo degli apprendimenti mediante la comunicazione, la socializzazione e la relazione interpersonale. A questo riguardo, infatti, la legge in questione recita: «L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione»; il comma 4 stabilisce inoltre che «l'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap». La progettazione educativa per gli alunni con disabilità deve, dunque, essere costruita tenendo ben presente questa priorità –:
   come intenda intervenire per garantire la piena inclusione degli alunni con disabilità che rappresenta a tutti gli effetti un obiettivo che la scuola dell'autonomia dovrebbe perseguire attraverso una intensa e articolata progettualità, valorizzando le professionalità interne e le risorse offerte dal territorio e nel pieno rispetto della normativa vigente in materia. (5-04977)


   SGAMBATO, CARLONI, CAPOZZOLO, FAMIGLIETTI, MANFREDI, PALMA, PETRENGA e VALERIA VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la seconda università degli Studi di Napoli, nota con l'acronimo SUN, è stata istituita con decreto MURST del 25 marzo 1991 e decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1992, per scorporo dall'università degli studi di Napoli «Federico II» e con l'obiettivo di decongestionare il primo Ateneo napoletano;
   la SUN ha sedi nei comuni di Caserta (anche sede legale), Aversa, Capua, Santa Maria Capua Vetere e Napoli;
   nel corso dei suoi primi venti anni di attività, fino all'attuazione della legge 30 dicembre 2010, n. 240 «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», la SUN ha progressivamente attivato dieci Facoltà (medicina e chirurgia, giurisprudenza, economia, lettere, ingegneria, architettura, scienze matematiche fisiche e naturali, scienze ambientali, psicologia e scienze politiche) le cui sedi sono state dislocate nella provincia di Caserta, ad eccezione della sola facoltà di medicina con sede a Napoli;
   a seguito dell'attuazione della legge n. 240 del 2010, la riorganizzazione dell'Ateneo ha visto, nelle stesse aree scientifiche precedentemente coperte dalle Facoltà, l'istituzione di 19 Dipartimenti universitari di cui 9 di area medica con sede a Napoli e 10 nelle altre aree con sede nella provincia di Caserta dove attualmente prestano servizio circa il 60 per cento del personale docente e frequentano oltre il 70 per cento degli studenti dell'Ateneo;
   il 24 febbraio 2015 il rettore della SUN ha presentato la proposta di cambiamento del nome dell'università, e il senato Accademico ha approvato la proposta invitando i Dipartimenti universitari a esprimere il proprio parere;
   le proposte su cui dovranno esprimersi i dipartimenti sono:
    università della Campania «Luigi Vanvitelli»;
    università «Luigi Vanvitelli»;
    università di Caserta;
   la prima denominazione fa riferimento al più ampio e generico territorio regionale, e rischia per questo di creare confusione nei rapporti con le altre Università della Campania e le rispettive aree di operatività;
   la seconda denominazione costituirebbe un'eccezione tra gli Atenei nazionali che, ad eccezione delle università telematiche, mantengono sempre un riferimento geografico nella propria denominazione;
   la Seconda Università degli Studi di Napoli e il suo acronimo SUN sono, di fatto, un brand attraverso il quale le attività didattiche e scientifiche dell'ateneo casertano sono noti e apprezzati nel contesto internazionale, grazie anche alla storia e alla fama culturale, artistica, scientifica e cosmopolita della città partenopea;
   la legge 9 maggio 1989, n. 168 «Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica all'articolo 6 commi 9 e 10 prevede tra l'altro che «Gli statuti e i regolamenti di ateneo sono deliberati dagli organi competenti dell'università a maggioranza assoluta dei competenti. Essi sono trasmessi al Ministro che, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi essi sono emanati dal rettore. Inoltre che, Il Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti e i regolamenti all'università, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se al momento della ricezione della modifica allo statuto, ai sensi dell'articolo 6 commi 9 e 10, intenda tenere conto dell'importanza di garantire il collegamento dell'immagine e dell'azione della SUN rispetto alla provincia di Caserta. (5-04982)


   CHIMIENTI, BRESCIA, DI BENEDETTO, VACCA, MARZANA, LUIGI GALLO e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 477 del 30 luglio 1973 recante la «Delega al Governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato», all'articolo 16 sancisce che «ai docenti per il cui insegnamento è richiesto o consentito il diploma d'istruzione secondaria di secondo grado e che siano attualmente inquadrati nel ruolo B (ad oggi denominata Tabella C), ed a quelli che per gli stessi insegnamenti siano iscritti nelle graduatorie ad esaurimento ai sensi delle leggi 28 luglio 1961, n. 831, 25 luglio 1966, n. 603, e successive modificazioni e integrazioni, e 2 aprile 1968, n. 468, è riconosciuto il diritto all'inquadramento nel ruolo dei docenti di materie per il cui insegnamento è richiesto il diploma di laurea o il diploma di istituto superiore»;
   nel 1976 il decreto-legge n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 marzo 1976, n. 88, aveva previsto all'articolo 17 che fossero inquadrati nel ruolo dei docenti laureati i docenti titolari di istituti e scuole di istruzione secondaria di secondo grado ed artistica, e i docenti di materie per il cui insegnamento era richiesto o consentito il diploma di istruzione secondaria di secondo grado, e che uguale diritto fosse riconosciuto a coloro che, per gli stessi insegnamenti fossero iscritti nelle graduatorie ad esaurimento;
   alcuni docenti che rientrano negli articoli delle succitate leggi sono appartenenti alle classi di concorso A075 e A076, materie definite originariamente «stenografia e dattilografia», ma che dal 1994 con la riforma degli istituti tecnici commerciali e degli istituti professionali per il commercio sono state definite «disciplina trattamento testi e dati»;
   le due classi di concorso sono state accorpate mediante appositi corsi di riconversione professionale per i docenti, specializzandoli nell'insegnamento delle tecnologie informatiche, sistemi operativi e software applicativi (competenze chiave digitali);
   nel 2010, con la cosiddetta «Riforma Gelmini», la docenza di questa materia, che attualmente conta 916 iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, ha subito un'ulteriore modifica andando a confluire nella disciplina di informatica, insegnata anche dagli iscritti nella classe di concorso A042, e diventando di fatto la definizione di classe atipica, che si ottiene quando si consente l'insegnamento di una stessa disciplina a docenti titolari su classi di concorso differenti;
   la scelta di destinazione dei titolari di classi di concorso atipiche è oggi lasciata alle singole scuole, che dovranno decidere a quale classe di concorso specifica, fra quelle indicate nelle tabelle della nota ministeriale 3119 del 1o aprile 2014, vada assegnato un dato insegnamento, fermo restando l'obbligo ad assegnare queste ore al personale attualmente in servizio presso quella istituzione scolastica mediante graduatorie interne d'Istituto volte a rispettare l'anzianità di servizio;
   nonostante tutti i docenti appartenenti alle classi di concorso atipiche svolgano da anni lezioni basate sui programmi ministeriali depositati presso le segreterie didattiche di tutti gli istituti tecnici e professionali statali e abbiano già passivamente subito la notevole diminuzione delle cattedre a seguito del riordino dei cicli della scuola italiana operata dalla cosiddetta Riforma Gelmini, oggi si vedono esclusi dal piano di assunzioni voluto dall'attuale Governo tramite il decreto «La Buona Scuola» –:
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di effettuare al più presto una revisione delle classi di concorso, in particolare della classe A075/A076 di cui in premessa, facendola confluire direttamente nella classe di concorso A042 o in una sottoclasse, al fine di rendere equa la distribuzione delle ore;
   se il Ministro interrogato abbia preso in considerazione la possibilità di ampliare l'insegnamento delle materie in premessa anche nel triennio degli istituti tecnici e professionali statali. (5-04988)


   FRATOIANNI e PANNARALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le modalità di fruizione del dottorato di ricerca, degli assegni di ricerca e delle borse di studio e connessi diritti alle assenze ed alla retribuzione sono stabilite e normate da numerose fonti legislative valide per tutti i lavoratori pubblici e, per il personale scolastico, contrattuali;
   negli anni, poi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il dipartimento della funzione pubblica e gli uffici scolastici periferici hanno emanato circolari applicative e note esplicative per meglio definire i parametri e le caratteristiche di fruizione. Tali disposizioni riguardanti, nello specifico, il personale scolastico evidenziano gli effetti che la conseguente assenza dal servizio, causa dottorato, produce sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato (personale di ruolo) ed a tempo determinato (personale supplente);
   tuttavia, per il personale docente assunto a tempo determinato si sono susseguite, nel corso degli anni, interpretazioni e condotte difformi sia da parte dei dirigenti scolastici che di alcuni uffici. In particolare, l'ufficio scolastico regionale Puglia e, di conseguenza, l'ambito territoriale (ex USP) di Bari, ritengono che il periodo della frequenza del dottorato, del post dottorato e dell'assegno di ricerca da parte del personale supplente non sia computabile ai fini giuridici: coloro che usufruiscono di congedo o aspettativa non si sono visti riconoscere il punteggio di servizio utile ai fini delle graduatorie. Su tale discussa questione sono intervenute diverse sentenze dei tribunali, aditi dai docenti supplenti in sede di contenzioso;
   di fatto l'ufficio scolastico regionale Puglia – ambito territoriale di Bari – ha operato la cancellazione del punteggio di servizio dalle graduatorie ad esaurimento per coloro, dottorandi, borsisti ed assegnisti di ricerca, che hanno chiesto in questi anni l'aspettativa dalle supplenze annuali, supportati da sentenze favorevoli di primo grado (sentenza n. 4254/2014 pubbl. il 5 maggio 2014 R.G. n. 8300/2013 del tribunale di Bari; sentenza controversia n. 14381/2011 tribunale di Bari, dell'8 luglio 2013, sentenza depositata il 12 giugno 2013 R.G. n. 5010/2013 del tribunale di Bari sezione lavoro);
   l'ufficio scolastico regionale Puglia- ambito territoriale di Bari ha fatto della discutibile nota di chiarimento inviata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca all'ufficio scolastico provinciale di Pisa (prot. n. 215 del 19 gennaio 2009), nella quale si sostiene, a giudizio dell'interrogante, senza alcun fondato presupposto giuridico, «che il periodo di congedo per dottorato senza retribuzione non è valutabile nell'ambito sia delle graduatorie ad esaurimento che in quelle d'istituto», un fondamentale riferimento normativo, su cui basa le sue ultime decisioni, che scaturiscono dalla nota regionale prot. 7163 del 9 agosto 2011 e negano il riconoscimento del punteggio di servizio ai docenti in congedo. La situazione e il punto di vista dell'ufficio scolastico regionale Puglia non risultano minimamente cambiati, nonostante lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sia nuovamente intervenuto sulla questione in una recentissima nota: con la nota prot. 2545 del 6 agosto 2014 inviata all'ufficio scolastico regionale Puglia e all'ufficio scolastico provinciale di Bari, il Ministero, di fatto, ribadisce che «il riconoscimento giuridico deve essere pieno, non solo ai fini della ricostruzione di carriera come sostenuto dall'ufficio scolastico regionale per la Puglia ma anche come attribuzione di punteggio nelle graduatorie ad esaurimento, attesa l'assenza di espresse limitazioni (riferite solo al profilo economico) al riconoscimento giuridico dell'attività di ricerca»;
   tuttavia, al di là delle note secondo l'interrogante contraddittorie inviate negli ultimi anni dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ci sarebbero sufficienti fonti normative per ritenere che il periodo di dottorato di ricerca sia valutabile ai fini dell'aggiornamento del punteggio nelle graduatorie ad esaurimento e nelle graduatorie di istituto, anche per i docenti con contratto a tempo determinato: la legge n. 476 del 13 agosto 1984 stabilisce che il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato, a domanda, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. La legge 28 dicembre 2001, n. 448, articolo 52 - comma 57, integra la precedente norma, aggiungendo che «in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell'Amministrazione Pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro». La legge 30 novembre 1989, n. 398 (Norme in materia di borse di studio universitarie), ha esteso quanto disposto dalla legge n. 476 anche ai titolari di borse di studio post-dottorato ed ai beneficiari di borse per i corsi di perfezionamento/scuole di specializzazione universitaria;
   il decreto legislativo n. 297 del 1994, all'articolo 453, comma 6, precisa che «il periodo trascorso nello svolgimento delle attività previste dal presente articolo è valido, a tutti gli effetti, come servizio d'istituto nella scuola»;
   un'ulteriore categoria di beneficiari di aspettativa è costituita dagli assegnisti di ricerca. Infatti, l'articolo 51 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997 prevede esplicitamente la possibilità dell'aspettativa senza assegni per tutti i pubblici dipendenti vincitori di un assegno di ricerca;
   il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola vigente, all'articolo 19 («Ferie, permessi ed assenze del personale assunto a tempo determinato»), include nel diritto alla fruizione del congedo per dottorato il personale a tempo determinato, purché destinatario di contratto di durata annuale o fino al 30 giugno. Ne consegue che anche a tale tipologia di personale debbano essere applicate, nei limiti previsti dalla richiamata norma, le disposizioni riguardanti dottorandi e assegnisti di ricerca. Pertanto, anche al personale a tempo determinato vanno applicate le disposizioni suddette, relative al trattamento giuridico, previdenziale ed economico;
   nel 2003 lo stesso l'ufficio scolastico regionale Puglia, in risposta a numerosi quesiti posti dagli istituti scolastici della regione, ha emanato la nota prot. n. 8225 del 29 settembre 2003, in cui cita proprio la legge n. 448 del 2001 e ribadisce che il personale a tempo determinato ha gli stessi diritti in materia e che «in caso di ammissione ai corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza. Affinché il contratto possa produrre gli effetti economici è quindi necessario che il rapporto di lavoro sia instaurato con l'assunzione in servizio. In mancanza di questa, il dipendente avrà diritto al solo riconoscimento giuridico» –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra esposta;
   se il Ministro non ritenga doveroso e urgente intervenire e dirimere definitivamente la questione, affinché si ponga fine ad un'incertezza che molti giovani precari ricercatori (dottorandi, borsisti, assegnisti) stanno pagando sulla loro pelle in termini di mancato riconoscimento del punteggio nelle graduatorie ad esaurimento e di istituto, con notevoli danni personali e professionali. (5-05003)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONETTI e RONDINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   un giudice del lavoro di Milano, il dottore Tullio Perrillo, ha stabilito che è discriminatorio il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria per la formazione delle graduatorie triennali di circolo e di istituto per le supplenze di insegnamento e ha ordinato la riapertura dei termini per proporre domanda e la conseguente riformulazione della graduatoria;
   a seguito di questa pronuncia giurisdizionale potrebbero saltare e richiedere un immediato aggiornamento tutte le graduatorie nazionali per le supplenze nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, se gli insegnanti di nazionalità straniera, ma con carta di soggiorno volessero fare ricorso;
   il ricorso era stato presentato da due professori immigrati, ma regolarmente residenti nel nostro Paese da molti anni, esclusi dai bandi per le supplenze nelle scuole con la motivazione della mancanza della cittadinanza italiana, per il tramite dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione, dall'associazione Avvocati per niente onlus (vicina alla Caritas) e dal sindacato autonomo Cub Sur Scuola università ricerca;
   nella sentenza si legge che è «discriminatorio» pretendere il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria per ammettere i professori che superano i concorsi alla formazione delle graduatorie triennali di circolo e di istituto per le supplenze di insegnamento. Il tribunale, fra l'altro, ha bocciato anche la clausola di priorità nell'insegnamento delle lingue straniere assegnata agli insegnanti italiani;
   le associazioni e il sindacato nel loro ricorso avevano segnalato che ai bandi per le supplenze, essendo concorsi pubblici, devono poter concorrere gli stranieri, come prevedono disposizioni di legge, anche quelle dell'Unione europea;
   i casi non sono numerosi, perché non sono molti i cittadini stranieri che hanno i titoli necessari e che aspirano all'insegnamento. Ma tutte le graduatorie già formate potrebbero essere riviste, se si inserissero altri aspiranti docenti sulla scia dei due professori che hanno fatto ricorso in questo caso;
   a seguito di questa sentenza le graduatorie dovranno essere riaperte non solo con l'inserimento dei due esclusi, ma anche di quanti dopo di loro vorranno fare causa –:
   vista l'esiguità numerica degli stranieri in possesso dei titoli necessari per fare ricorso, quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro interrogato per evitare che una problematica inerente a pochi casi, possa avere pesanti ricadute su una moltitudine di professori in attesa di supplenza e di conseguenza sugli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado che potrebbero vedere pesantemente pregiudicato il loro diritto allo studio per mancanza di supplenti. (4-08351)


   CATANIA, MOLEA, CAPUA, ANTIMO CESARO, VEZZALI e GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 24 della legge n. 240 del 2010 (legge Gelmini) si stabilisce che le università ai fini della ricerca possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato di due tipologie, definite in base alle disposizioni di cui alle lettere a) e b);
   tali lettere prevedono che i contratti debbano essere così definiti: a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni; b) contratti triennali non rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri;
   ad oggi i requisiti necessari ad accedere ai contratti di cui alla lettera b) risultano ambigui e interpretati in maniera discordante dai diversi atenei, dai diversi TAR e dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il TAR per la Toscana (Prima Sezione) con la sentenza n. 1208/2013 si è pronunciato a favore di una interpretazione letterale della norma in questione permettendo l'accesso alle procedure di selezione per i contratti di cui alla lettera b) solamente a coloro che abbiano usufruito degli assegni di ricerca conferiti ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997 reputando che l'espressione «e successive modificazioni» non includa le modifiche dell'istituto degli assegni di ricerca introdotte dall'articolo 2 della legge n. 240 del 2010 e di conseguenza escludendo coloro che hanno usufruito degli assegni di ricerca istituiti ai sensi della legge Gelmini;
   lo stesso ha fatto l'università degli studi di Firenze nel bando per selezioni pubbliche per il reclutamento di 19 ricercatori a tempo determinato di tipologia b) pubblicato in Gazzetta Ufficiale – IV Serie Speciale n. 100 del 23 dicembre 2014 affermando che: «Non possono partecipare coloro i quali, alla data di scadenza del bando abbiano avuto contratti in qualità di assegnista di ricerca e di ricercatore a tempo determinato, ai sensi degli articoli 22 e 24 della legge n. 240 del 2010»;
   tuttavia il medesimo ateneo, durante le procedure di valutazione dei requisiti per accedere alle suddette selezioni, ha ammesso i candidati che non avevano concluso il contratto di cui alla lettera a) della legge n. 240 del 2010 interpretando la legge in maniera flessibile, nonostante nel bando avesse interpretato la norma in senso restrittivo, escludendo i candidati in possesso degli assegni di ricerca conferiti ai sensi della stessa legge;
   in contrapposizione ai precedenti orientamenti si è espresso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in una nota del 6 agosto 2014, Prot. n. 0021700, a firma del capo dipartimento del dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca, professor Marco Mancini, nella quale si ritiene che ai fini della partecipazione alle procedure per il conferimento di contratti di cui alla lettera b) possano essere inclusi anche coloro, che abbiano usufruito degli assegni di ricerca conferiti ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 240 del 2010 e non soltanto di quelli conferiti ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997, reputando che l'espressione «e successive modificazioni» includa anche le modifiche dell'istituto degli assegni di ricerca introdotte dall'articolo 22 della legge n. 240 del 2010 –:
   se ai fini dell'accesso ai contratti di cui alla lettera b), per «successive modificazioni» degli assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si possano intendere anche gli assegni di ricerca istituiti ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 240 del 2010 così come interpretato dalla nota del 6 agosto 2014 a firma del direttore generale del dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professor Marco Mancini (prot. n. 0021700);
   se per «usufruito dei contratti di cui alla lettera a)» si intenda che tali contratti siano conclusi e pertanto il candidato debba aver usufruito di tutti i 36 mesi previsti dal contratto;
   se i contratti di cui alla lettera a), qualora non conclusi, possano essere sommati alle altre tipologie contrattuali previste per l'accesso ai contratti di cui alla lettera b): agli assegni di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, alle borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, o agli analoghi contratti, agli assegni o alle borse in atenei stranieri;
   se «gli analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri» debbano essere iniziati e conclusi prima dell'entrata in vigore della legge n. 240 del 2010 così come interpretato dalla sentenza n.  01208/2013 del TAR per la Toscana (sezione prima);
   se non ritenga opportuno emanare una nota che chiarisca e renda equi per tutti i candidati i criteri di accesso alle procedure selettive per il reclutamento dei ricercatori interpretandoli alla luce del principio del favor partecipationis così come già espresso dal Ministero. (4-08357)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il «Gioco del rispetto – Pari e dispari», progetto al quale ha aderito il comune di Trieste, è stato finora proposto ai bambini di 45 scuole dell'infanzia di Trieste e mira, come si legge sull'opuscolo informativo, «a verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale»;
   molti genitori non condividono affatto l'iniziativa e hanno denunciato in particolare la metodologia usata e le «istruzioni» riportate nelle schede di gioco, contenute nel kit distribuito per fornire alle insegnanti indicazioni su come svolgere i giochi stessi. Uno di questi ad esempio prevede che la maestra, dopo aver fatto fare ai piccoli alunni un po’ di attività fisica, faccia notare che le sensazioni e le percezioni provate dai piccini sono uguali. «Per rinforzare questa sensazione – si legge nel manuale a disposizione delle insegnanti – i bambini/e possono esplorare i corpi dei loro compagni, ascoltare il battito del cuore a vicenda o il respiro». «Ovviamente – si legge ancora – i bambini possono riconoscere che ci sono differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell'area genitale»;
   tra i giochi proposti c’è pure quello del «Se fossi» durante il quale i bambini utilizzando dei costumi si travestono. «I bambini e le bambine – scrivono le schede informative – potranno indossare dei vestiti diversi dal loro genere di appartenenza e giocare così abbigliati»;
   il progetto viene presentato con finta trasparenza ai genitori mediante generici avvisi affissi nelle bacheche che introducono il tutto parlando di mera «sensibilizzazione contro la violenza sulle donne»;
   il progetto in questione non era stato inserito nel Pof, il piano di offerta formativa, di cui i genitori prendono visione all'atto dell'iscrizione del proprio figlio in una determinata scuola;
   ognuno di noi ha scoperto da bambino a modo suo, a piccoli passi e in modo naturale, la differenza tra uomo e donna. Non si capisce per quale motivo e senza l'assenso dei genitori, si necessario intervenire con dei giochi ad hoc e addirittura all'asilo;
   vista la delicatezza dei temi, che dovrebbero essere affrontati solo da persone altamente qualificate, non appaiono esserci sufficienti garanzie su chi interagisce in questo progetto con i bambini, sul sistema non verbale di questi giochi, perché i più piccoli colgono tutto: toni di voce, atteggiamenti, sguardi, e ogni sfumatura seppur minima –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questo progetto e se ne condivida il merito, posto che al di là dell'intento di facciata sembra all'interrogante che ci sia il tentativo, non tanto di insegnare il rispetto tra le persone, ma d'istillare la nota «ideologia del gender», fin dalla più tenera età, che prevede l'assoluta libertà di scegliersi il sesso a cui appartenere;
   quali iniziative intenda assumere al fine di scoraggiare il proseguimento di questo tipo di offerta scolastica, non condivisa da molti genitori. (4-08371)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   Italia Lavoro è una società per azioni totalmente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, ente strumentale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si occupa di promozione e gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell'occupazione e dell'inclusione sociale;
   Italia Lavoro opera, per conto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nella promozione e nella gestione di azioni nel campo delle politiche attive del lavoro e dell'assistenza tecnica ai servizi per l'impiego ed agli enti locali, nella connessione tra i diversi livelli di governo e le strutture operative delle politiche del lavoro, per migliorare la transizione scuola-lavoro, così come sostiene il potenziamento dei servizi pubblici per l'impiego;
   Italia Lavoro spa impiega attualmente 1.200 professionisti, di cui oltre 800 collaboratori tutti in scadenza il prossimo 31 marzo 2015, in corrispondenza con il termine del finanziamento PON – FSE 2007-2013;
   la legge delega di riforma del mercato del lavoro introduce, fra le altre cose, un'agenzia nazionale per l'occupazione «allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale»;
   lo «schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali» (in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183) prevede il sostanziale e condivisibile superamento dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto «al fine di promuovere la stabilizzazione dell'occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato»;
   il cosiddetto Jobs Act indica la necessità di una estensione/implementazione delle politiche attive per il lavoro nei confronti di una platea di soggetti beneficiari sempre più ampia, nonostante attualmente il nostro Paese – contrariamente a quanto suggerito dalla dell'Unione europea – abbia ridotto in questi anni di crisi il supporto ai servizi per l'impiego, sia in termini di risorse finanziarie che umane, come rilevato dall'ISFOL nel recente studio «Lo stato dei Servizi pubblici per l'impiego in Europa» –:
   se il Ministro interpellato abbia individuato le risorse per consentire la prosecuzione delle importanti attività in capo ad Italia Lavoro e per garantire la continuità lavorativa del personale (sia dipendenti che collaboratori) attualmente impiegato;
   se il Ministro interpellato consideri necessario non disperdere le competenze ed il know-how accumulato, con anni di esperienza, dai dipendenti e dai collaboratori di Italia Lavoro, anche in vista della futura costituzione della Agenzia nazionale per l'occupazione prevista dal cosiddetto Jobs Act, e quali iniziative intenda eventualmente adottare in tal senso;
   se il Ministro interpellato abbia valutato l'opportunità di procedere al superamento dei contratti di collaborazione a cominciare proprio da Italia Lavoro, agenzia tecnica del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e se, quindi, il Ministro ritenga opportuno avviare un percorso di stabilizzazione per i circa 800 collaboratori attualmente in servizio presso Italia Lavoro.
(2-00889) «Giancarlo Giordano».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Key For Up, con sede legale ed operativa in Terni, e la Overing, con una sede operativa anch'essa in Temi, sono aziende che offrono servizi di  call & contact center;
   secondo il sito web della Key For Up, l'azienda dispone di una infrastruttura produttiva tra le più rilevanti in Umbria: oltre 130 postazioni telefoniche completamente informatizzate e distribuite in un'area dedicata di oltre 500 metri quadri, personale altamente specializzato: più di 250 operatori effettivi, ripartiti in due turni giornalieri, 650 ore lorde attuali, con incrementi quadrimestrali del 15 per cento previsti ormai puntualmente nei piani di sviluppo di lungo termine, orario di servizio flessibile: dalle 11,30 alle 16,30 alle 21,30;
   dalla stampa on line si apprende che le lavoratrici e i lavoratori dei call center K4UP e Overing di Terni, che gestiscono rispettivamente le commesse di Telecom e Eni luce e gas, impiegando circa 150 operatrici e operatori (le donne sono circa il 90 per cento), sono in sciopero dal 27 febbraio 2015: «La protesta è iniziata venerdì 27 febbraio a seguito della comunicazione verbale da parte del direttore generale, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali, del licenziamento di tutte le operatrici del call center Overing (circa 25) a causa – questa la motivazione addotta dall'azienda – del venir meno della commessa. (...) Ma le ragioni dello sciopero, al quale sta partecipando la quasi totalità dei lavoratori e delle lavoratrici dei due Call center, compresi i pochi dipendenti a tempo indeterminato, sono molteplici: «Non abbiamo ricevuto metà dello stipendio di gennaio – spiega una operatrice di K4up – né i conguagli che per noi sono fondamentali, e la cosa ancora peggiore è che il nostro estratto contributivo all'Inps è a zero, visto che non ci sono mai stati versati i contributi». Quest'ultimo aspetto è drammaticamente pesante soprattutto per le lavoratrici incinte, alle quali non viene riconosciuto il sostegno economico della maternità»;
   secondo l'atto di indirizzo presentato al sindaco del comune di Terni, circa 20 lavoratori della società Overing sarebbero stati licenziati in modo unilaterale senza preavviso e possibilità di concertazione con l'azienda e altri 100 lavoratori del call center Key For up hanno visto decurtata l'ultima busta paga della metà dello stipendio, senza una motivazione giustificabile e previa concertazione con i lavoratori; da anni è aperta una causa tra Inps e Key for up in merito alla denuncia dei lavoratori per il mancato pagamento dei contributi e molti lavoratori (tra i quali molte donne) sono inquadrati con un contratto a progetti;
   i dipendenti inoltre lamentano anche la presunta scarsa trasparenza delle scelte aziendali dovuta alla imprevedibilità delle decisioni assunte dal direttore generale e forte rimane la conflittualità tra le rappresentanze sindacali aziendali interne e la dirigenza;
   il settore dei call center evidenzia una richiesta in aumento, ma, al suo interno è, purtroppo, ad avviso degli interroganti, diffuso il ricorso ad espedienti per aggirare le normative nazionali, al fine di consentire alle aziende di presentare offerte al massimo ribasso, penalizzando i lavoratori: i lavoratori rischiano di essere travolti da un mercato sregolato e spesso accade che è forte la tentazione di proporre agli stessi una riassunzione a orario lavorativo e livelli salariali ulteriormente ridotti e a condizioni peggiori;
   forte rimane la preoccupazione tra i lavoratori e le lavoratrici in merito al proprio futuro lavorativo e in ordine alle inesistenti tutele previdenziali soprattutto in un territorio come quello ternano già gravato dalle ricadute sociali della crisi dell'Acciaieria speciale Terni –:
   se il Ministro sia informato dei fatti esposti in premessa;
   se trovi conferma che non sono state pagate alcune mensilità retributive spettanti ai lavoratori e che manca la copertura contributiva presso l'Inps e se le aziende in questione abbiano un regolare documento unico di regolarità contributiva;
   quale iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo, anche con riferimento ad una più attenta attività di controllo sul rispetto delle tipologie contrattuali scelte, sui contratti vigenti nelle due aziende per i collaboratori più anziani e per i neoassunti e sul versamento delle retribuzioni e dei contributi;
   se intenda convocare le parti e favorire l'apertura di un tavolo istituzionale tra l'azienda e le organizzazioni dei lavoratori per chiarire la vicenda anche i committenti nazionali Telecom e Eni luce e gas dei due call center. (5-04981)


   RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che ragazzine tra gli 11 e i 17 anni ospiti di una comunità a Berzo Demo, in Vallecamonica, nel Bresciano, erano sottoposte ad una sorta di rito di iniziazione a sfondo sessuale per far parte della struttura. La procura di Brescia, che ha indagato sugli episodi, ha rinviato a giudizio i due figli del titolare della casa famiglia. A denunciare il primo caso di abusi raccontando quella sorta di iniziazione sarebbe stata una bambina di 11 anni;
   imputati dei reati sono finiti due giovani, figli del titolare della casa famiglia, che devono rispondere di violenza sessuale. I due compariranno davanti alla prima sezione penale del tribunale di Brescia dopo il rinvio a giudizio disposto per loro dal Gup del tribunale di Brescia Maria Chiara Minazzato;
   i fatti contestati vanno dal 2006 al 2013, periodo in cui la casa famiglia della Vallecamonica ospitava solamente ragazze. Oggi invece, per la struttura non sono mai scattati provvedimenti, gli ospiti sono maschi e femmine. Si tratta di ragazzi tolti alle famiglie d'origine e inseriti in un progetto di riabilitazione sociale;
   dagli atti risulta come siano almeno otto le ragazzine che hanno raccontato agli inquirenti di essere state costrette al rito di iniziazione. Secondo il loro racconto venivano portate in una cantina e costrette ad atti sessuali. Le ragazzine, nel periodo di permanenza nella casa famiglia, si sarebbero confidate tra loro, ma non avrebbero mai avuto il coraggio di denunciare quanto era accaduto. Chi delle giovani avrebbe provato a raccontare del rito di iniziazione non sarebbe stata creduta;
   a far scattare l'indagine era stata la confidenza di una delle vittime (una bimba di 11 anni) che, scrivendo una lettera alla madre residente lontano da Brescia, aveva raccontato di quanto sarebbe stata obbligata a fare. Sarebbero state determinanti poi le ricostruzioni, dei fatti da parte di alcune presunte vittime che nel frattempo, raggiunta la maggiore età, hanno lasciato la casa famiglia e si sono trovate in condizioni di poter raccontare meglio senza il timore di essere punite. Alcune delle presunte vittime sarebbero invece ancora ospiti della struttura;
   appare importantissimo ricordare che le case famiglia si occupano di diverse realtà sociali che riguardano sia i disabili, sia i tossicodipendenti, sia gli anziani, sia i minori. Proprio con riferimento a questi ultimi, la recente chiusura degli orfanotrofi ha portato alla ribalta tali strutture, dal momento che alle stesse è stata riservata l'accoglienza dei minori, finalizzata a interventi socio-assistenziali e integrativi o sostitutivi della famiglia, svolgendo nella stragrande maggioranza dei casi un servizio di assoluta eccellenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e abbia dati circa eventi simili, o che fanno riferimento ad altre problematiche come i ritardi negli inserimenti dei minori nelle famiglie adottive; se non intenda attivarsi per l'istituzione di un Osservatorio nazionale sulle case famiglia, con lo scopo di sanare le carenze che, per diversi motivi, impediscono alle case famiglia di operare, sia reperendo maggiori risorse finanziarie per il funzionamento delle stesse, sia monitorando il loro stato di salute e di operatività; se in tale ambito intenda assumere iniziative per definire le priorità di intervento e le opportune azioni da intraprendere, anche sul piano del corretto funzionamento di tali strutture, per fare in modo che i minori che vi soggiornano debbano risiedervi il tempo strettamente indispensabile e che ogni pratica che li riguardi si svolga nel rispetto dei diritti degli stessi e delle norme di legge e per evitare le lentezze burocratiche che impediscono ai minori medesimi il diritto ad avere una famiglia. (5-04986)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di giustizia europea, con la sentenza del 10 giugno 2010, ha stabilito che la direttiva 98/81/CE, in vigore dal 1997, verrebbe violata dalla normativa italiana sul part-time di tipo verticale in quanto esclude i periodi non lavorati dei lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico dal calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione;
   l'anzianità contributiva maturata è un parametro esclusivo per l'acquisizione del diritto alla pensione da parte del lavoratore;
   la suddetta anzianità deve corrispondere alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso del rapporto stesso;
   l'Italia sembra aver recepito la direttiva comunitaria con il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, prevedendo all'articolo 4 il divieto di discriminazione;
   ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sarebbe riconosciuto per intero ai fini pensionistici, ai lavoratori del pubblico impiego passati all'INPS dall'ex INPDAP, anche il part-time di tipo verticale ciclico, lo stesso non accade per i lavoratori del settore privato;
   le suddette criticità fanno emergere una disparità di trattamento tra i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico e i lavoratori che hanno optato per quello di tipo orizzontale, i quali sarebbero posti in una situazione più vantaggiosa per una medesima durata del lavoro;
   numerosi sono i lavoratori a cui sarebbe applicato la tipologia di contratto quale il tempo indeterminato a tempo parziale di tipo verticale e conseguentemente si troverebbero nella condizione di non maturare alcun diritto normativo e retributivo né tantomeno per ciò che riguarda l'anzianità di servizio;
   a parere dell'interrogante sarebbe opportuno sbloccare questa situazione discriminatoria e porre in essere ogni azione di tipo normativo al fine di stabilire che l'anzianità corrisponda alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso del rapporto stesso –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere le iniziative di propria competenza al fine di dare attuazione alla sentenza della Corte di giustizia europea del 10 giugno 2010, chiarendo altresì che l'articolo 8, comma 2, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, deve applicarsi a tutti i lavoratori, e conseguentemente fare in modo che l'INPS adotti i necessari provvedimenti. (4-08353)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. – per sapere – premesso che:
   il quotidiano La Repubblica nella sua edizione siciliana ha fatto riferimento all'emergere di una nota «riservata» del 2010, dell'allora Guardasigilli Alfano, con la quale il capo della sua segreteria comunicava al deputato regionale Innocenzo Leontini il conferimento dell'incarico di medico legale dell'INPS a un professionista di Ragusa;
   nel corso della trasmissione televisiva Presadiretta è stata mandata in onda ben evidente la medesima nota firmata da Baldassarre Di Giovanni, allora capo della segreteria dell'allora Ministro della giustizia Alfano;
   a parere dell'interrogante la trasmissione Presadiretta su Rai3 ha messo in luce un episodio da chiarire in quanto, qualora non opportunamente giustificato, evidenzierebbe un improprio ruolo della politica in una vicenda, quella di un contratto di medico legale all'INPS, che con questa non dovrebbe avere nulla a che vedere, visto che trattasi d'incarichi professionali;
   di certo c’è che, come riportato dal quotidiano La Repubblica, esisterebbero intercettazioni di un colloquio del 25 maggio 2010 tra il medico R.S. e il segretario di Leontini, Giuseppe Ferlisi, per ottenere «informazioni e rassicurazioni sul proprio figlio Giorgio cercando di capire le motivazioni del “perché tutti mi stanno passando avanti per i contratti di medico legale all'INPS”» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti su esposti ed, eventualmente, se risulti, anche sulla base degli atti depositati, a quale titolo il personale del Ministero della giustizia, nella specie il capo della segreteria del Ministro pro tempore, abbia comunicato ad un deputato regionale l'avvenuta contrattualizzazione presso l'INPS di un professionista. (4-08373)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   MARIANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la zona di produzione della IGP il cosiddetto «Carciofo Brindisino» comprende l'intero territorio amministrativo dei seguenti comuni: Brindisi, Cellino San Marco, Mesagne, San Donaci, San Pietro Vernotico, Torchiarolo, San Vito dei Normanni e Carovigno;
   la Puglia si attesta come la maggiore produttrice italiana di carciofi. Si parla, infatti, di circa 160.000 tonnellate che rappresentano il 94 per cento della produzione del Mezzogiorno ed il 33 per cento di quella nazionale;
   come sottolineano molti dati portati alla luce anche dai media locali la produzione lorda vendibile per ettaro presenta un ragguardevole valore economico. Va detto che però si riscontra nel settore in questione una notevole incidenza delle spese per la manodopera, si parla del 42 per cento delle spese totali ed il reddito risulta eccessivamente condizionato dalle fluttuazioni di mercato;
   il territorio pugliese, e quello del brindisino in particolare hanno già subìto pesanti gelate con neve nel mese di dicembre. Come dichiarato dai rappresentanti della Coldiretti Puglia, questa situazione climatica d'eccezione nel recente passato ha compromesso la coltura. A questa situazione non certo semplice, si aggiungono le incessanti piogge, accompagnate da grandine e forte vento degli ultimi giorni, che non giovano assolutamente ai pregiati carciofi brindisini che, peraltro, hanno ottenuto anche il riconoscimento comunitario IGP;
   come già denunciato da Coldiretti il persistere di una situazione climatica sfavorevole ritarda la stessa verifica e la conta dei danni in campagna. Le campagne sono letteralmente invase dalle acque e sono le carciofaie in provincia di Brindisi ad avere la peggio;
   inoltre, le previsioni meteo sembrerebbero non rassicurare affatto. Le province pugliesi, in particolare Brindisi e Bari pare continueranno ad essere colpite da piogge insistenti e da forti raffiche di vento. In queste condizioni il settore agricolo e, il consistente comparto lavorativo ad esso correlato, rischia di pagare un prezzo altissimo –:
   quali misure il Ministro interrogato intenda adottare per tutelare e scongiurare non solo la penalizzazione di un prodotto, oggi eccellenza della Puglia e d'Italia, ma anche un intero indotto lavorativo connesso alla produzione e valorizzazione del carciofo brindisino. (3-01356)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la sicurezza alimentare e l'informazione volta alla protezione del consumatore sono diritti sanciti dall'articolo II-98 della Costituzione europea;
   anche la legislazione nazionale ne riconosce l'importanza fondamentale;
   il regolamento europeo 178/02 ha istituito nell'articolo 50 il sistema di allerta rapido per gli alimenti ed i mangimi (RASFF) che ogni Stato membro è tenuto ad attivare. Il RASFF è aggiornato e permette di segnalare eventuali problemi di sicurezza alimentare in tempo reale. In accordo all'articolo 52 dello stesso regolamento, le segnalazioni sono raccolte in un database che è consultabile da ogni cittadino ed impresa dell'Unione. Ogni anno la Commissione europea pubblica un rapporto annuale che elenca il numero di segnalazioni, la loro provenienza e l'esito;
   l'agricoltura biologica rappresenta in Europa uno dei settori in più forte espansione a tal punto che la capacità di produzione agricola e zootecnica non soddisfa la richiesta dell'industria di trasformazione e della distribuzione, determinando che gran parte dei prodotti di agricoltura biologica provengono quindi da Paesi extra europei;
   nel 2012, secondo i dati SINAB (sistema d'informazione nazionale sull'agricoltura biologica) le colture industriali importate in Italia sono state 7.783,59 tonnellate, i cereali sono stati 13.340,68 tonnellate, la frutta fresca e secca 10.002,48 tonnellate, gli ortaggi 5.609,99 tonnellate e i prodotti trasformati ben 14.324,42 tonnellate;
   il volume d'affari in Italia si aggira intorno ai 1,7 miliardi di valore del mercato interno (3,1 se si considera anche l’export) con un peso sul fatturato europeo dell'8 per cento;
   in Europa il giro d'affari più rilevante è quello della Germania con un valore del mercato nazionale pari a 6,6 miliardi di euro, seguita dalla Francia 3,8 miliardi e dal Regno Unito 1,9 miliardi;
   l'attuale legislazione europea prevede che gli Stati membri, in considerazione delle particolari caratteristiche dei loro territori, concedano deroghe all'applicazione delle norme di produzione europee, con la conseguenza che non esiste un vero biologico europeo, ma molteplici biologici nazionali o addirittura regionali;
   per le norme del commercio internazionale la Unione europea può chiedere l'importazione in conformità solo in presenza di regole certe, differentemente dal caso dell'agricoltura biologica europea a causa, come detto in precedenza, delle numerose deroghe nazionali;
   l'importazione dei prodotti biologici dai Paesi extra europei può avvenire in due modi:
    a) importazioni da Paesi terzi in regime di conformità (le produzioni devono essere state prodotte con le stesse regole europee);
    b) importazioni da Paesi terzi, in regime di equivalenza (le produzioni sono prodotte con regole di produzione e di controllo dei Paesi terzi riconosciute e giudicate «equivalenti»);
   in Europa possono entrare alimenti certificati biologici, ma prodotti con regole di produzione differenti rispetto a quelle italiane creando un danno economico notevole all'agricoltura biologica europea ed italiana e grave incertezza ai consumatori, che si nutrono di prodotti non conformi, ma solamente equivalenti alle norme europee;
   gli articoli 30 e 31 del regolamento (UE) n. 834/07 sull'agricoltura biologica impongono agli Stati membri di informare in via elettronica gli altri Stati della Unione europea in caso si riscontrino irregolarità negli alimenti biologici prodotti nelle Unione europea e extra Unione europea con sistema elettronico denominato OFIS (Organic Farming Information System);
   l'articolo 94, punto 1, lettera c), del Regolamento dell'Unione europea n. 889/08 specifica altresì che le informazioni debbano essere trasmesse anche alla Commissione europea;
   il database OFIS, a differenza di quello RASFF, non è pubblico né la Commissione o alcuno Stato membro pubblica alcuna nota di sintesi dei dati in esso presenti;
   le irregolarità che compongono i database OFIS non riguardano la sicurezza alimentare, ma per le motivazioni sopra riportate, sono elementi che garantiscono la trasparenza e l'informazione dei consumatori –:
   se, nei limiti delle sue competenze, intenda intraprendere iniziative nei confronti della Commissione europea affinché i dati OFIS siano resi pubblici come quelli del sistema di allerta rapido per gli alimenti ed i mangimi;
   se non reputi doveroso chiedere alla Commissione di pubblicare annualmente una relazione sulla base dei dati OFIS;
   se intenda assumere iniziative affinché possa essere posta all'ordine del giorno del prossimo Consiglio europeo la necessità che i dati OFIS siano resi pubblici come quelli del sistema di allerta rapido per gli alimenti ed i mangimi;
   se il Ministro non possa, di sua iniziativa, rendere pubblici ed aggiornare, con le stesse modalità del sistema di allerta rapido per gli alimenti ed i mangimi, i dati presenti nel database nazionale OFIS che invia alla Commissione e agli altri Stati membri in attuazione dei Regolamenti dell'Unione europea n. 834/07 e n. 889/08. (5-04972)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un mese fa nella notte tra l'11 e il 12 febbraio 2015 moriva la piccola Nicole la bambina di Mascalucia partorita dalla madre, in una clinica di Catania e deceduta a seguito delle presunte complicazioni subentrate dopo il parto;
   oltre al grande dolore che ha colpito l'intera comunità nazionale si è registrata una grande attenzione mediatica e anche istituzionale;
   come spesso avviene in questi casi, trascorsi alcuni giorni, dopo l'emozione iniziale subentra l'oblio;
   nel corso della risposta ad una interrogazione a risposta immediata presentata dal sottoscritto con altri colleghi il Ministro ha risposto che era necessario intervenire per evitare che casi come quello della piccola Nicole possano ripetersi;
   nella circostanza il Ministro ha annunciato la creazione di una unità di crisi proprio per fare ispezioni nei casi di malasanità diverse da quelle effettuate fino ad oggi nonché un approfondimento su tutto il territorio nazionale e in particolare in Sicilia sui posti letto nelle unità di terapia intensiva neonatale nelle strutture pubbliche e in quelle accreditate –:
   quali siano stati gli esiti degli approfondimenti sulla vicenda della piccola Nicole, se vi siano delle conclusioni in merito all'attività ispettiva messa in atto dal Ministero e quali iniziative siano state adottate o si intendano adottare in merito alle unità di terapia intensiva neonatale presenti in Sicilia e sul territorio nazionale per ridurre i rischi di mortalità. (5-04980)


   VENITTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   considerata la crescente attenzione degli organi di informazione del Molise, si sarebbe a pochi giorni dalla pubblicazione del regolamento di definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, in attuazione dell'articolo 1, comma 169 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dall'articolo 15, comma 13, lettera c) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
   tale provvedimento prende altresì spunto dai contenuti del patto per la salute 2014-2016, approvato in data 5 agosto 2014, il quale, tra l'altro, prevede il termine del 31 dicembre 2014 per l'adozione da parte delle regioni del «provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati... garantendo il progressivo adeguamento agli standard ospedalieri»;
   in base ai suddetti atti, i presidi ospedalieri si distinguono in base al bacino di utenza che vanno a servire: dagli 80.000 ai 150.000 abitanti si avranno i presidi di base, dai 150.000 ai 300.000 si parla di ospedali di I livello, arrivando ai presidi di II livello per un bacino di utenza compreso tra i 600.000 e 1.200.000 abitanti;
   queste tre categorie si differenziano per i servizi che andranno ad offrire: i presidi di base devono essere dotati, solo, di pronto soccorso e di un numero limitato di specialità ospedaliere; i presidi di I livello devono avere un numero notevole di specialità oltre a essere muniti degli strumenti adatti per effettuare Tac, ecografie, servizi di laboratorio e immunotrasfusionali; i presidi di II livello, invece, devono essere capaci di offrire tutto ciò che viene garantito dai presidi di I livello, ma devono anche essere capaci di affrontare tutte le discipline e le patologie più complesse;
   alla luce della consistenza demografica delle tre aree di riferimento della regione molisana, Molise Centrale (Campobasso) 128.000 abitanti; Alto Molise (Isernia-Venafro-Agnone) 89.000 abitanti; Basso Molise (Termoli-Larino) 103.000 abitanti, e in base alla richiamata classificazione dei presidi ospedalieri prevista dal nuovo regolamento, per le tre aree sarà possibile prevedere solo un presidio ospedaliero di I livello presso il capoluogo di regione, mentre gli ospedali di Termoli ed Isernia sarebbero declassati a presidi di base;
   molti altri ospedali, come quelli di Venafro e Larino, rischiano di essere completamente smantellati, mentre il presidio ospedaliero di Agnone potrebbe non rientrare più tra gli ospedali di area disagiata;
   il regolamento non terrebbe conto delle peculiari condizioni demografiche, territoriali e infrastrutturali di tale territorio, come la mancanza di autostrade, di superstrade con doppie carreggiate, di linee ferroviarie elettrificate, della viabilità inefficiente che rischierebbe di pregiudicare il diritto alla salute per i cittadini del territorio molisano, caratterizzato da un consistente invecchiamento della popolazione –:
   se non ritenga necessario, anche alla luce degli elementi sommariamente esposti in premessa, assumere iniziative per riconsiderare i suddetti criteri di autorizzazione e classificazione dei presidi ospedalieri, e di riconversione dell'intera rete ospedaliera prevedendo specifiche e circostanziate deroghe, per quei territori che presentano peculiarità demografiche, orografiche e infrastrutturali, come il Molise, privo di una valida rete di viabilità e infrastrutturale, non sacrificando così, sull'altare delle economie di bilancio, il diritto alla salute delle popolazioni ivi residenti, a tal fine autorizzando, anche in mancanza dei criteri sanciti dal «decreto Balduzzi» la possibilità per la stessa regione Molise di dotarsi di un presidio ospedaliero di II livello, non solo permettendo ai molisani di curarsi nella regione di appartenenza invece di costringerli a recarsi nelle regioni limitrofe, ma anche riconoscendo la giusta autonomia e dignità allo stesso Molise. (5-04983)


   DI VITA, MANTERO, SILVIA GIORDANO, GRILLO e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le malattie rare, proprio per le loro peculiarità, sono state identificate dalla Unione europea come uno dei settori della sanità pubblica per i quali è fondamentale la collaborazione tra gli Stati Membri; per questa ragione, le malattie rare sono state oggetto di decisioni, regolamenti e raccomandazioni comunitarie volte a incentivare sia le iniziative regionali e nazionali, sia le collaborazioni transnazionali;
   ed infatti, il 25 settembre 2014, è stato pubblicato sul sito del Ministero della salute, un messaggio del Ministro Lorenzin la quale è intervenuta affermando che: «il Dicastero della Salute ha sempre mostrato un'attenzione altissima verso le malattie rare, nella consapevolezza che esse necessitano di politiche specificamente indirizzate. Frutto di questa speciale sensibilità è stato il Piano nazionale delle malattie rare che, a breve, sarà messo all'ordine del giorno della Conferenza Stato-Regioni»;
   altresì, si legge che: «Con il Piano nazionale si è cercato di dare organicità al tema delle malattie rare, realizzando una sorta di provvedimento “cornice” in grado di dare unitarietà all'insieme delle azioni intraprese. Il documento analizza, in particolare, gli aspetti della diagnosi e dell'assistenza ai malati rari, focalizzando l'attenzione sull'organizzazione della rete nazionale dei Presidi e sulle azioni di coordinamento delle attività regionali, aspetti che, insieme al sistema nazionale di sorveglianza e monitoraggio, sono maggiormente in grado di incidere sullo scambio di esperienze e competenze, sulla circolazione delle informazioni e sulla gestione condivisa dei pazienti affetti da malattia rara»;
   inoltre: «Il documento descrive il percorso diagnostico e assistenziale e si sofferma sugli strumenti per l'innovazione terapeutica, tra cui i farmaci, le norme che regolano la loro erogazione e le misure che possono essere intraprese per migliorare la loro disponibilità. Soprattutto, un'attenzione particolare è riservata alla prevenzione e alla diagnosi precoce, proprio perché riuscire ad ottenere una diagnosi tempestiva della malattia dà la possibilità di ricevere un trattamento appropriato nella fase iniziale, cioè quando è ancora possibile determinare un sensibile miglioramento della qualità della vita degli ammalati»;
   anche la dottoressa Domenica Taruscio, direttore del Centro nazionale per le malattie rare dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss) afferma che: «Le malattie rare in pediatria – spiega, – sono una realtà consistente, considerato anche lo speciale carico che rappresentano per le famiglie. La prevenzione, la diagnosi precoce e le terapie innovative sono le sfide più importanti che ci attendono. Il 20 per cento delle malattie rare colpisce i bambini. Il 45 per cento di esse sono malformazioni congenite per le quali esistono efficaci interventi di prevenzione primaria. Il 20 per cento sono invece malattie metaboliche ereditarie, molte delle quali possono essere diagnosticate precocemente attraverso gli screening neonatali allargati ed essere curate con successo attraverso terapie mirate. Si tratta di azioni entrambe necessarie da cui non possiamo prescindere»:
   il Piano nazionale delle malattie rare 2013-2016 approvato il 16 ottobre 2014, illustra quindi una serie di: «politiche di sviluppo dell'assistenza per le malattie rare, le strategie, gli obiettivi e le azioni, che hanno individuato nelle malattie rare un'area di priorità nella sanità pubblica e hanno confermato l'interesse per questo settore, secondo linee di attività condivise e concertate con le Regioni. Il Piano, quindi, si propone di costruire un quadro d'insieme e fornire indicazioni utili ad affrontare il problema delle malattie rare in maniera organica, nell'ambito di una governance da attuarsi ai diversi livelli istituzionali e nelle diverse aree assistenziali, come le cure primarie, palliative, di riabilitazione e l'assistenza domiciliare ... Il SSN deve assicurare, in tutti i settori dell'assistenza, standard quantitativi e, soprattutto, qualitativi nell'erogazione dei servizi e delle prestazioni, in particolare per quanto riguarda gli strumenti del governo clinico, la dotazione di personale e di tecnologie, l'accessibilità e i tempi di attesa, nel rispetto del principio della sostenibilità»;
   presso l'ISS un gruppo di lavoro multidisciplinare afferente al RNMR (Registro nazionale malattie rare) istituito nel 2001, acquisisce i dati, effettua appropriati controlli di qualità ed esegue le opportune analisi;
   sempre nella relazione di approvazione del Piano si legge che: «la condivisione di processi e progetti ha portato alla creazione di convenzioni e accordi interregionali che hanno creato nel Paese due aree territoriali interregionali per il monitoraggio delle malattie rare, la prima composta da Piemonte e Valle d'Aosta, la seconda da Veneto, Province Autonome di Trento e Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Liguria, Puglia e Campania, Umbria e Sardegna. Nel 2011, l'ISS ha pubblicato il primo Report “Registro nazionale e registri regionali e interregionali delle malattie rare” (Rapporti ISTISAN 11/20) che illustra le attività del RNMR e dei Registri regionali/interregionali»; tra queste non compare la Sicilia;
   infine è stato previsto che: «Nel caso delle malattie rare a esordio durante l'età pediatrica che consentono di sopravvivere nell'età adulta, deve essere gestita con la massima attenzione la fase di transizione, in modo da assicurare la continuità assistenziale da una fase all'altra della vita del paziente. Questo passaggio dovrà essere specificamente previsto nei sopracitati percorsi assistenziali e potrà giovarsi di diverse innovazioni organizzative e gestionali, tendenti a facilitare il lavoro congiunto degli specialisti afferenti alle diverse unità operative e a presidi diversi. Per le fasi terminali del decorso clinico si dovrà prevedere uno specifico collegamento con le reti delle cure palliative. Qualora il malato bisognoso di un'assistenza continuativa di grande impatto sia trattato per lunghi periodi in famiglia, si dovranno prevedere brevi ricoveri di sollievo presso strutture di degenza non ospedaliere, appositamente competenti per questo tipo di assistenza. Analogamente, nei casi che richiedono assistenza continuativa che non può essere garantita al domicilio del paziente per problemi inerenti le caratteristiche familiari oppure per decisione del paziente o del suo tutore, l'assistenza deve essere garantita in luoghi residenziali competenti per la specifica assistenza richiesta»;
   tutto quanto innanzi assolutamente non avviene nel IV Maggiore dell'Ospedale pediatrico Di Cristina di Palermo e i piccoli pazienti e i loro familiari assolutamente non giovano di tutte le garanzie previste dalla Raccomandazione europea né dal Piano Nazionale di malattie Rare istituito dal Ministero;
   nell'ospedale in questione, che dovrebbe essere centro regionale di riferimento per malattie rare della Sicilia, efficiente su tutti fronti, non vi è un reparto dedicato a quei bambini con una «vita a tempo» che soffrono di patologie rare, genetiche e metaboliche e che richiedono un'assistenza particolare e semi-intensiva;
   a causa di una disorganizzazione, forse e quasi sicuramente dovuta al poco personale a causa dei tagli del Governo sulla sanità regionale, vi sono bambini che non possono godere di un reparto ad hoc e che per di più sono costretti a condividere la degenza con ricoveri «tradizionali», poiché l'ospedale è sia reparto di pediatria generale sia centro regionale di riferimento per malattie rare;
   i genitori di questi bambini sono costretti a vedere curare i propri figli in un ospedale strapieno che supporta ricoveri che non potrebbe accogliere per mancanza di spazi, tanto che molti pazienti sostano addirittura nelle corsie su delle brandine;
   proprio a causa della mancanza di fondi e del mancato coinvolgimento negli accordi interregionali, per il monitoraggio delle malattie rare; quanto al personale medico, vi sono soltanto due infermieri i quali si dedicano ai quattro bambini metabolici attualmente ricoverati; aiutati nella loro attività dalle stesse mamme dei bambini costretti a degenze di lunghi periodi, sottoposti a terapie complesse spesso infusionali – e, a causa della patologia di base, sono ancora più suscettibili a infezioni; quanto alle attrezzature: non vi sono attrezzature e strumenti idonei per medicare e curare queste piccole vittime: «mancano gli aghi per i prelievi; esiste un solo aspiratore, uno strumento che serve a risucchiare le secrezioni prodotte durante la malattia e condiviso da più bambini, a dispetto delle norme di asepsi. Sono attaccati ad un saturimetro che monitora l'attività respiratoria e a una pompa d'infusione per la sacca dei liquidi, necessaria per sopravvivere. Tutti strumenti che vanno tenuti sotto controllo e che i genitori hanno imparato a monitorare, dovendosi sostituire all'attività degli infermieri, sono loro che aspirano, cambiano le flebo, disinfettano, somministrano le terapie, ed ancor più poiché non vi è un personale addetto all'igiene, sono gli stessi genitori a fare le pulizie e a rendere l'ambiente asettico», come riportato da alcuni articoli di stampa;
   si è giunti dunque ad uno stato di totale emergenza, dove vane sono risultate le proteste dei genitori e dell'associazione IRIS (Associazione siciliana malattie ereditarie metaboliche rare) che sostiene queste famiglie, il tutto senza alcun riscontro da parte della direzione sanitaria e della stessa regione siciliana per migliorare e rendere pienamente operativo il centro;
   senza contare inoltre, che nel piano ministeriale sui LEA entrano gli screening neonatali allargati per le malattie rare, la procreazione medicalmente assistita (sia omologa che eterologa), l'epidurale le vaccinazioni per varicella, pneumococco e meningococco e il vaccino contro l’hpv –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e della situazione nella quale verte l'ospedale in oggetto;
   quale sia il motivo per cui la regione Sicilia non sia compresa tra le regioni che hanno concluso convenzioni e accordi per il monitoraggio delle malattie rare come previsto dal Piano nazionale delle malattie rare;
   se le problematiche descritte in premessa possano derivare dall'attivazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario e quali eventuali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare; se il Ministro intenda verificare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza con riferimento al trattamento delle malattie rare in Sicilia. (5-04993)


   VILLAROSA e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto legislativo n. 106 del 28 giugno 2012 sulla riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della salute si provvedeva a riorganizzare anche gli Istituti zooprofilattici sperimentali (II.ZZ.SS.);
   il decreto legislativo n. 106 del 2012 all'articolo 16 (Abrogazioni), comma 2, dispone che fino alla data di entrata in vigore dello statuto e dei regolamenti, rimangono in vigore le attuali norme sul funzionamento e sull'organizzazione degli IZS nei limiti della loro compatibilità con le disposizioni del decreto legislativo stesso; talché la disciplina sugli organi introdotta con decreto legislativo 106 del 2012, innovando rispetto a quanto previsto dalla disciplina precedente, ha determinato l'abrogazione delle disposizioni relative alla nomina degli organi degli istituti zooprofilattici con particolare riguardo alla figura del direttore generale. Il quadro normativo derivato dall'introduzione della nuova disciplina consentiva e consente per la sua immediata applicabilità la nomina dei nuovi organi degli istituti senza dover attendere l'emanazione degli statuti e dei regolamenti;
   con una nota del 9 settembre 2013, firmata dal capo dipartimento, dottor Marabelli Romano, avente come oggetto decreto legislativo n. 106 del 2012, il Ministero della salute si esprimeva in maniera nettamente contrastante col disposto dell'articolo 16 del decreto legislativo in questione, imponendo alla regione siciliana una interpretazione che escludeva, in contrasto con il quadro normativo innovato dal decreto legislativo n. 106 del 2012, la possibilità di nominare i nuovi organi alla luce delle nuove disposizioni in materia di organi;
   anche il Ministro interrogato in una nota inviata al presidente Crocetta ribadiva l'interpretazione a giudizio degli interroganti non condivisibile dell'articolo 16 e dell'intero impianto normativo del decreto legislativo n. 106 del 2012, ritenendo che solo una legge regionale di adeguamento e l'emanazione dei successivi statuti e regolamenti avrebbe consentito la nomina dei nuovi organi, sebbene le norme relative a quest'ultimi avevano ed hanno immediata applicabilità trattandosi di norme espressione di competenza esclusiva dello Stato in quanto regolanti gli organi di apparati statali o comunque di derivazione statale in quanto gli Istituti zooprofilattici sperimentali fanno parte dell'amministrazione statale e non certo di quella regionale da cui sono solamente vigilati e non anche finanziati ad istituiti –:
   quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministro ed il suo Capo dipartimento all'emissione delle due note interpretative, esposte in premessa, e quali sia la corretta e definitiva interpretazione dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 106 del 2012 tenendo presente quanto statuito in materia di proroga degli organi da parte della Consulta con sentenza n. 208 del 4 maggio 1992 nonché alla luce della sentenza n. 199 del 16 luglio 2014 della Corte costituzionale. (5-05004)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il centro studi microcitemie di Roma dell'Associazione nazionale per la lotta contro le microcitemie in Italia (ANMI) è una onlus che, l'anno scorso, ha compiuto 60 anni di attività. Fondato dai professori Silvestroni e Bianco, gli scienziati che nel 1943 individuarono la «microcitemia» scoprendo la natura genetica delle Talassemie, il centro è, da sempre, un punto di riferimento per l'analisi epidemiologica, la diagnostica di laboratorio, il controllo clinico dei pazienti talassemici ed il progresso delle conoscenze sulle patologie emoglobiniche;
   da oltre 40 anni e su mandato dell'assessorato alla salute della regione Lazio, ha reso operativo un piano di prevenzione integrato ed articolato per aree di intervento, mediante il quale si è ottenuto un graduale abbattimento dell'incidenza di talassemia nel Lazio fino al sostanziale azzeramento nella popolazione autoctona consapevole a partire dal 1993;
   negli ultimi 20 anni, a causa delle allarmanti segnalazioni di nuovi casi nella popolazione di recente immigrazione, il Piano generale è stato riadattato per rendere maggiormente inclusiva quest'area demografica a rischio per patologie emoglobiniche ed i risultati in termini preventivi sono già documentabili e noti alle istituzioni;
   la copertura economica dei programmi è stata garantita, fino al 2010, mediante finanziamento regionale per convenzione a far data dal 1987. Dal 2011, a causa della richiesta regionale di presentazione annuale della progettazione, i contributi regionali sono stati erogati con colpevole ritardo comportando notevoli difficoltà gestionali;
   il progetto 2014, approvato con decreto commissariale U00309 del 3 ottobre 2014, ha visto ridursi l'ammontare del finanziamento di 103 mila euro;
   l'Anmi Onlus-Centro studi microcitemie di Roma svolge la propria attività nella più totale gratuità per tutti gli utenti e per tutte le prestazioni, collocandosi in un'area di azione sanitaria fortemente improntata al sociale, non percependo alcun emolumento per la funzione delle prestazioni erogate ai cittadini in ambito diagnostico, clinico e preventivo;
   è facilmente immaginabile che l'eventuale ed ulteriore riduzione di risorse impegnate dalla regione Lazio per l'opera di diagnostica e di prevenzione non consentirebbe la prosecuzione per intero del programma di prevenzione finora effettuato dalla Onlus;
   il Piano di prevenzione della Anmi Onlus ha ottenuto i successi descritti in quanto strutturato su piani diversi in termini di popolazione (adolescenti/giovani, adulti/famiglie/autoctoni e immigrati) e di azione (diagnostica di screening, di primo e di secondo livello/consulenza medica e consulenza genetica/prevenzione pre-concezionale e pre-natale) con una integrazione strettissima tra i vari interventi per ottenere informazione completa e tempestiva dei portatori di patologie emoglobiniche in funzione delle varie opzioni procreative;
   la validità del programma dipende direttamente dalla messa in opera complessiva di tutte le linee di intervento e, quindi, dall'integrità del piano stesso;
   riguardo all'indiscutibile vantaggio in termini costi/benefici si sottolineano i due principali risultati: in termini di spesa corrente, considerati i costi a DRG delle singole voci incluse nei vari interventi del Piano regionale, si calcola un risparmio annuo di circa il 19 per cento rispetto al pagamento delle quote in tabella (decreto del Ministero della salute 18 ottobre 2012 — Gazzetta Ufficiale 28 gennaio 2013). Sul medio-lungo termine, l'azione preventiva documentata anno per anno, ha messo in evidenza che mancano all'appello nel Lazio, in base ai dati documentali ed anche di statistica epidemiologica, circa 330 pazienti talassemici ed emoglobinopatici che oggi sarebbero in carico al Servizio sanitario regionale e che, in base ai dati di economia sanitaria pubblicati da Koren nel 2014 (Mediterr J Hematol Infect Dis. 2014 Feb 17), sarebbero costati l'anno scorso, di sola spesa sanitaria (quella sociale esclusa) oltre 10.500.000 euro. Considerando che il finanziamento 2014 è pari a 1.651.000, il risparmio per le casse regionali corrisponderebbe a 8.849.000 di euro per ogni anno di convenzione;
   se poi considerassimo le necessità trasfusionali, per questi talassemici sarebbe necessario approvvigionare altre 10.560 unità di emazie per anno;
   il progetto di prevenzione 2015 è stato regolarmente presentato l'anno scorso alla regione Lazio ma, ad oggi, dopo ben quattro mesi la regione non ha risposto in alcuna maniera ai rappresentanti dell'Anmi Onlus; nel frattempo si stanno esaurendo le ultime risorse disponibili per rendere ancora operativi per i cittadini i vari servizi diagnostici ed ambulatoriali del centro;
   a giudizio dell'interrogante, il silenzio della regione Lazio potrebbe nascondere la volontà di non voler proseguire il rapporto con l'ANMI Onlus sopprimendo di fatto il piano regionale di diagnostica e prevenzione delle talassemie e di non volersi assumere le responsabilità di tale decisione dovendo risponderne ai microcitemici del Lazio –:
   quali iniziative intenda adottare, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario che ha peraltro, approvato la riduzione di altri centomila euro dal finanziamento alla citata Onlus, per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-08355)


   POLIDORI. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'accertamento dello stato di invalidità civile e/o di handicap dà diritto a prestazioni socio-economiche, che dipendono dal grado di invalidità riconosciuto, dall'età e dal reddito;
   al riconoscimento dell'invalidità civile totale e permanente del 100 per cento può far seguito il diritto all'indennità di accompagnamento. Questa forma di sostegno è stata concessa «nell'esigenza di incentivare l'assistenza domiciliare dell'invalido, evitandone il ricovero in ospedale e, nel contempo, sollevando lo Stato da un onere ben più gravoso di quello derivante dalla corresponsione dell'indennità», ma al contempo anche per «sostenere il nucleo familiare onde incoraggiarlo a farsi carico [della persona malata], evitando così il ricovero in istituti di cura e assistenza con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale»;
   il diritto a percepire detta indennità può essere collegato alla patologia oncologica, ma non ne è conseguenza necessaria. Infatti, il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento deriva dalla sussistenza di problemi di deambulazione o di autonomia nello svolgimento delle normali attività della vita quotidiana (alimentazione, igiene personale, vestizione) che possono affliggere anche un malato di cancro. Pertanto, solo nel caso in cui la persona malata si venisse a trovare in condizioni di grave difficoltà di deambulazione o di autonomia, anche se solo per un periodo di tempo limitato, avrebbe diritto di vedersi riconosciuta l'indennità di accompagnamento;
   l'importo dell'assegno di indennità di accompagnamento è pari a 508,55 (anno 2015) per 12 mensilità; è cumulabile con la pensione di inabilità, non è vincolato da limiti di reddito e di età e non è reversibile agli eredi;
   per l'indennità di accompagnamento l'effettiva erogazione dell'assegno, che è di competenza dell'INPS, spesso avviene diversi mesi dopo la presentazione della domanda, anche se il diritto alla prestazione economica matura dal mese successivo alla presentazione di detta domanda;
   i ritardi dell'erogazione dell'indennità di accompagnamento sono, oltre che inspiegabili, umilianti per gli aventi diritto e spesso inutili per i malati oncologici, a maggior ragione se in fase terminale. In merito alla procedura per ottenere il riconoscimento dell'invalidità, si ricorda peraltro che la legge n. 80 del 2006 prevede che sia applicata una procedura accelerata in caso di patologia oncologica. E questo perché, tristemente, il malato oncologico spesso non può attendere le lentezze burocratiche di erogazione;
   ciò è quanto ad esempio avviene presso la sede territoriale dell'INPS di Perugia, presso la quale i malati – oncologici – aspettano oltre sei mesi per iniziare a percepire l'indennità di accompagnamento. Poiché per legge il tempo non dovrebbe superare i 120 giorni, l'INPS, per i suoi ritardi, ci costringe a sborsare gli interessi legali sulle provvidenze erogate in ritardo;
   tuttavia, la Cassazione Civile, con la sentenza del 1o marzo 1999, n. 1705, ha riconosciuto che, trattandosi di indennità e non di pensione, possa essere concesso tale trattamento anche per periodi circoscritti nel tempo, durante i quali il soggetto si trovi nelle condizioni sanitarie richieste dalle legge;
   più recentemente, la Suprema Corte, con la sentenza del 27 maggio 2004. n. 10212, è tornata sull'argomento confermando che al malato che si deve sottoporre a chemioterapia e in condizioni di difficoltà spetta l'indennità di accompagnamento per il periodo delle cure «poiché nessuna norma vieta il riconoscimento del diritto ad indennità di accompagnamento anche per periodi molto brevi, addirittura inferiori al mese»;
   quindi, per la gravità della patologia da cui è affetto, il ricorrente ha diritto al riconoscimento della invalidità nella misura del 100 per cento con indennità di accompagnamento, quanto meno per i detti periodi di trattamento oncologico, con la conseguente erogazione delle provvidenze economiche correlate allo status invalidante;
   grazie alla legge n. 102 del 09 si è prevista l'informatizzazione della procedura di richiesta, con il sostanziale obiettivo di concludere l’iter entro 120 giorni;
   un quinto delle cause civili dibattute in Italia vede l'INPS come controparte. Nel 2011 sono stati definiti 349.595 giudizi: INPS ha avuto sentenza favorevole in 144.402 casi. E le cause, naturalmente, costano: basti calcolare un costo prudenziale di 10.000 euro a causa (che qualcuno paga) e sia ha la dimensione del giro di affari;
   se ciascun malato oncologico al quale spetta l'erogazione dell'indennità di accompagnamento decidesse poi di fare ricorso nei confronti dell'INPS, ed in subordine nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, per la tardiva erogazione, potrebbe veder riconosciuto, oltre al proprio diritto, anche il pagamento degli interessi maturati dal 121o giorno successivo a quello della presentazione dell'istanza amministrativa fino al giorno dell'effettivo soddisfo, oltre al risarcimento del danno per la svalutazione monetaria da calcolarsi in base agli indici ISTAT, in conformità all'orientamento della Corte Costituzionale (cfr. n. 156/91 e 196/93). Con conseguente aggravio delle casse dell'erario –:
   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano porre in essere, per ciascuna parte di competenza, per fare in modo che siano erogate secondo i termini di legge le indennità di accompagnamento, al fine di alleviare almeno in parte il disagio delle persone interessate che nella maggior parte dei casi non possono permettersi un'adeguata e dignitosa assistenza nelle more dell'indennità, e altresì al fine di evitare un serio danno alle casse dello Stato dettato dalla tardiva risposta dell'INPS e dai conseguenti possibili ricorsi degli interessati. (4-08362)


   VEZZALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio 2015 il tribunale di Brescia ha emesso la sentenza di condanna per i reati di maltrattamento e uccisione nei confronti di co-gestore, direttore e veterinario dell'allevamento di cani beagle destinati a fini sperimentali «Green Hill» di Montichiari (Brescia);
   il maltrattamento di animali è consistito in lesioni fisiche e psicofisiche sui cani beagle allevati, che venivano comunque destinati alla vendita per la sperimentazione animale;
   durante l'istruttoria e il seguente dibattimento è emersa la corrispondenza fra la società e svariate industrie farmaceutiche acquirenti dei cani che si lamentavano delle condizioni di salute degli animali spediti ai propri stabulari di sperimentazione;
   in particolare, vengono lamentate otiti bilaterali con secrezioni purulenti nerastre o biancastre che colano dai condotti uditivi, epifore bilaterali, cifre dei tatuaggi illeggibili e altre patologie che rendono gli animali inadatti alla sperimentazione, tanto da portare un colosso farmaceutico quale la Sanofi (Francia) a richiedere alla MarshallBio, casa madre di Green Hill, di inviarle esclusivamente cani provenienti dagli allevamenti americani, a causa delle condizioni di salute dei cani acquistati da Green Hill –:
   se ritenga opportuno assumere iniziative per rintracciare le molecole e i farmaci testati su tali animali, per controllare la sicurezza dei dati ottenuti;
   se ritenga di assumere iniziative per modificare, vista l'evidente non accuratezza del dato sperimentale ottenuto, il sistema di messa in commercio di medicinali che seguono le farmacopee internazionali, in modo da eliminare l'obbligo di test pre-clinici su modelli in vivo, aprendo il mercato del settore alla libera ricerca tramite sperimentazioni vitro e test clinici che garantiscano la sicurezza ed efficacia del prodotto. (4-08372)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ALIA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 21 del 27 gennaio 2014 è stato pubblicato il decreto ministeriale di nomina della Commissione per la garanzia della qualità dell'informazione statistica;
   come è noto, la predetta Commissione ha il compito di «a) vigilare sull'imparzialità, sulla completezza e sulla qualità dell'informazione statistica, nonché sulla sua conformità con i regolamenti, le direttive e le raccomandazioni degli organismi internazionali e comunitari, prodotta dal Sistema statistico nazionale; b) contribuire ad assicurare il rispetto della normativa in materia di segreto statistico e di protezione dei dati personali, garantendo al Presidente dell'Istat e al Garante per la protezione dei dati personali la più ampia collaborazione, ove richiesta; c) esprimere un parere sul Programma statistico nazionale predisposto ai sensi dell'articolo 13; d) redigere un rapporto annuale, che si allega alla relazione di cui all'articolo 24.» (articolo 12, decreto legislativo n. 322 del 1989).
   i membri svolgono la propria funzione per la durata di cinque anni, a titolo gratuito;
   nonostante la Commissione debba svolgere funzioni importantissime è inspiegabilmente ancora sprovvista di qualsivoglia struttura amministrativa e di supporto per svolgere l'attività ad essa demandata;
   tale carenza pone, di fatto, in una situazione di stasi i lavori del predetto organo collegiale con grave nocumento per il controllo di qualità della rilevazione statistica nazionale, in un particolare contesto socio-economico di delicatezza estrema com’è quello che vive l'Italia;
   in particolare, proprio in questo periodo, la Commissione dovrà esaminare l'aggiornamento relativo al 2016 del Programma statistico nazionale 2014/2016;
   pertanto, tale grave carenza organizzativa e strutturale rischia di far venire meno la fase di controllo, verifica e valutazione, minando di conseguenza la qualità dell'informazione statistica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione sopradescritta che non consente alla Commissione per la garanzia della qualità della informazione statistica di svolgere i compiti attribuitigli dalla legislazione vigente e quali siano i provvedimenti che intenda assumere al riguardo per garantire il regolare funzionamento del Sistema statistico nazionale. (4-08367)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la interrogazione a risposta orale n. 3-01313 il firmatario del presente atto aveva già posto la questione relativa alla esclusione da parte del Governo di Fiere meridionali e in particolare della Fiera del Levante dal piano di sostegno pari a 48 milioni di euro per il sistema fieristico italiano nell'ambito del più ampio piano di promozione del made in Italy;
   il viceministro Calenda ha ribadito tale decisione e ha sostenuto che i finanziamenti sono finalizzati a sostenere quelle fiere italiane che hanno presentato progetti, che sono sui mercati internazionali e hanno una visione strategica e globale;
   lo stesso viceministro ha inoltre decretato la «morte» delle fiere campionarie e che per queste «fierette», questo è stato il termine utilizzato, non vi saranno finanziamenti;
   la definizione di «fieretta» mal si addice alla Fiera del Levante che vanta centinaia di migliaia di visitatori in grado di coinvolgere anche i Paesi del bacino del Mediterraneo che ha un fatturato significativo e storicamente ha rappresentato anche un appuntamento importante anche per le istituzioni tant’è che è quasi sempre il Presidente del Consiglio dei ministri ad inaugurarla come ha fatto lo stesso Presidente Renzi in occasione della 78ma edizione di settembre 2014;
   l'interrogante non ritiene che il Presidente Renzi abbia inaugurato una «fieretta» come definita dal viceministro Calenda;
   le risorse a sostegno del sistema fieristico risultano inoltre allocate sulla base dei criteri stabiliti da un advisor, la Boston Consulting e non in base ad un preciso impianto normativo con condizioni e scadenze anche progettuali, visto che sono state richiamante anche le idee per la promozione fieristica;
   è evidente che la terminologia adottata dal viceministro risulta essere fortemente lesiva nei confronti della Fiera del Levante e, a giudizio dell'interrogante, può comportare danni di immagine e conseguentemente economici molto rilevanti;
   se un esponente del Governo si esprime in quei termini molti espositori potrebbero essere indotti a trascurare la Fiera del Levante creando un meccanismo penalizzante per comparti, operatori economici e le stesse strutture della Fiera –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle dichiarazioni del viceministro e se le condivida e, in caso contrario, quali iniziative intenda assumere al fine di attivare un tavolo di confronto istituzionale per valorizzare il ruolo strategico della Fiera del Levante e le sue enormi potenzialità, anche in vista dell'evento espositivo mondiale di Expo 2015. (3-01357)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo è il terzo in ordine di tempo a partire dallo scorso mese di febbraio che riguarda l'ufficio postale di Pisticci Scalo;
   nella notte tra il 5 e 6 marzo 2015 il suddetto ufficio postale è stato oggetto di un tentativo di furto sventato dall'Arma dei carabinieri;
   a quanto si apprende i rapinatori avevano disattivato la rete telefonica per disattivare il sistema di allarme;
   l'ufficio postale ha già subito una serie di furti e tentativi di furti nel corso degli ultimi anni alcuni denunciati dal sottoscritto con atti di sindacato ispettivo volti a richiedere una maggiore sicurezza;
   l'ufficio postale di Pisticci Scalo secondo Poste italiane dovrebbe chiudere entro il prossimo mese di aprile e tra le motivazioni della chiusura vi sarebbe quello della scarsità di movimenti e di operazioni;
   tali motivazioni sembrano essere contraddette dalla appetibilità dell'ufficio postale da parte dei rapinatori che da anni continuano sistematicamente a puntarlo;
   ad aggravare il recente tentativo di furto vi sarebbe anche il fatto che nel disattivare la rete telefonica oltre all'ufficio postale sono state tagliate fuori da telefonia e connessione anche utenze private di molti cittadini e di diverse imprese, come ad esempio la Meba, che opera nel settore infissi e porte blindate anch'essa nel recente passato oggetto di furti, un tabacchi anch'esso oggetto di furti e tentativi di furti, un'agenzia di autotrasporto molto importante, la Consaba, un bar ristorante, ma anche una scuola primaria, un centro per l'impiego, una farmacia ed altri esercizi commerciali;
   sempre con atto di sindacato ispettivo rivolto al Ministero dell'interno e con una sistematica corrispondenza con la prefettura di Matera l'interrogante aveva già posto la questione di installare un sistema di videosorveglianza proprio a tutela di chi vive e lavora in questo comprensorio misura che non si è ancora concretizzata nonostante una ribadita volontà da parte dei soggetti preposti;
   vi è da aggiungere che per 5 giorni tali uffici sono rimasti privi di collegamento telefonico nel cuore di un'area industriale;
   tutto questo mentre si parla di banda larga e di investimenti per la modernizzazione del Paese non si riesce a ripristinare una linea telefonica in cinque giorni –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto accaduto e quali iniziative intenda intraprendere al fine di verificare quanto riportato in premessa e conseguentemente di intervenire affinché Poste Italiane riconsideri la chiusura del citato ufficio postale anzi rafforzandone i sistemi di sicurezza. (5-04989)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo un'indagine di Unioncamere Liguria l'imprenditoria femminile nella regione ligure conta 36.170 imprese a fine 2014 e il suo peso sull'intero tessuto imprenditoriale è pari al 22,1 per cento superiore di mezzo punto percentuale al valore medio nazionale;
   si tratta di un fenomeno che sta crescendo soprattutto negli ultimi anni, tanto che nella regione quasi 3 imprese femminili su cinque hanno meno di quindici anni: le aziende guidate da donne iscritte nel registro delle imprese dal 2000 al 2009 sono 12.464 e incidono per il 21,9 per cento sul totale delle imprese, mentre le 10.342 nate negli ultimi quattro anni vedono aumentare al 25,6 per cento il loro peso sul complesso delle aziende loro coetanee;
   il tasso di femminilizzazione, ossia l'incidenza delle imprenditrici nel tessuto produttivo, raggiunge punte molto più elevate rispetto alla media in alcuni specifici settori quali i servizi alla persona (55,7 per cento), la sanità e l'assistenza sociale (38,3 per cento), le attività agricole (36,4 per cento) e la filiera turistica (30,7 per cento);
   la maggioranza di donne imprenditrici sceglie la forma giuridica individuale, che costituisce il 64,7 per cento delle imprese rosa contro il 54,1 per cento della base imprenditoriale complessiva; seguono le forme organizzative più complesse: le società di capitale rappresentano il 12,8 per cento delle imprese femminili (18,8 per cento per il totale delle imprese) e le società di persone il 20,6 per cento contro il 24,2 per cento del totale;
   quasi una imprenditrice ligure su dieci è straniera: complessivamente sono 3.385, di cui il 73 per cento di nazionalità extraeuropea, e rappresentano il 2,8 per cento del totale delle imprese femminili straniere in Italia;
   numericamente le imprese femminili sono maggiormente presenti in provincia di Genova, dove rappresentano il 47,5 per cento del totale regionale, ma se si considera l'incidenza delle imprenditrici sul totale delle imprese al primo posto si trova La Spezia con più di un'impresa femminile su quattro (25,3 per cento), seguita da Savona (24,8 per cento), Imperia (23,9 per cento) e infine Genova (19,9 per cento);
   nella graduatoria nazionale per tasso di femminilizzazione, al primo posto figura Benevento con il 30,5 per cento e all'ultimo Milano con il 16,5 per cento La Spezia si posiziona al 19o posto, Savona al 22o, Imperia al 31o e Genova all'87o posto –:
   considerato il trend positivo sopra descritto, quali iniziative intenda intraprendere per sostenere e promuovere la creazione e lo sviluppo di nuove imprese femminili nella regione ligure e, in generale, su tutto il territorio italiano, nonché quali ulteriori incentivi intenda introdurre, oltre a quelli già previsti dalla normativa vigente, per favorire e valorizzare l'imprenditoria femminile. (4-08361)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Terzoni e altri n. 7-00596, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vacca.

Apposizione di una firma ad una interpellanza urgente e indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interpellanza urgente Silvia Giordano e altri n. 2-00884, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sarti, e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Silvia Giordano, Pisano, Tofalo, Colonnese, Luigi Di Maio, Luigi Gallo, Micillo, Sibilia, Sarti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Brescia, Brugnerotto, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Crippa, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, D'Incà, Fantinati, Fraccaro».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Busin n. 5-04480, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Allasia.

  L'interrogazione a risposta scritta Agostinelli n. 4-08169, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ferraresi.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Galgano n. 3-01348, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 10 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vargiu.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Zardini n. 5-01875 del 15 gennaio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Fedriga n. 5-04719 dell'11 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-08263 del 4 marzo 2015;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-05181 del 18 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04974;
   interrogazione a risposta scritta Fratoianni n. 4-06975 del 21 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05003;
   interrogazione a risposta scritta Vacca ed altri n. 4-07935 dell'11 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04978.