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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 3 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, nel nostro Paese, si parla di zone franche urbane. La zona franca urbana può essere definita come una frazione di territorio urbano caratterizzato da un significativo disagio sociale, economico e occupazionale e spesso degrado ambientale nella quale vengono garantiti regimi di esenzione fiscale e contributiva per obiettivi preminentemente legati alla promozione e alla coesione sociale. Le aree interessate presentano, però, anche forti potenzialità di sviluppo che, per essere concretizzate, necessitano di programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e medie imprese. Obiettivo degli interventi è, infatti, la riqualificazione di queste aree, tramite l'incentivazione, il rafforzamento e la regolarizzazione delle attività imprenditoriali localizzate al loro interno;
    i territori che nel tempo si sono avvalsi di tale speciale condizione hanno riscontrato una notevole crescita trainata dalla stimolazione dei commerci e degli investimenti in attività produttive superando le condizioni iniziali di difficile accessibilità e, inoltre, sono spesso riusciti a perseguire altri obiettivi di carattere economico funzionali agli interessi del proprio Paese (ad esempio la Francia): infatti, dove sono state create zone franche urbane, queste hanno attirato investimenti esteri, creato posti di lavoro e sviluppato l'industria nazionale e le infrastrutture;
    le zone franche urbane, previste dall'articolo 1, comma 340 della legge 24 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) sono, come detto precedentemente, aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese. Obiettivo prioritario delle zone franche urbane è favorire lo sviluppo economico e sociale dei quartieri di aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale e con potenzialità di sviluppo inespresse;
    le zone franche urbane appaiono in grado di contribuire ad un'attuazione concreta e consapevole della coesione economica e sociale prevista dalla Costituzione (articolo 119, comma 5, della Costituzione) che recita: «Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni»;
    la recessione internazionale che ha colpito l'economia mondiale investendo anche il nostro Paese ha reso ancora più difficili le condizioni socio-economiche in cui si trovano moltissime delle cosiddette «zone di frontiera», ovvero quei territori situati presso il confine tra due Stati e che, soprattutto, a causa di una peculiare collocazione geografica, soffrono enormi disagi;
    il processo di delocalizzazione industriale in corso lungo la fascia di confine della regione autonoma Friuli Venezia Giulia con la Slovenia e con l'Austria, a causa delle condizioni fiscali più vantaggiose, previste dai medesimi Paesi di frontiera, ha determinato e sta determinando un progressivo ridimensionamento delle attività produttive della Regione italiana, con evidenti e forti ripercussioni negative sull'economia locale e sui livelli occupazionali;
    l'istituzione delle zone franche urbane può determinare il rilancio dell'economia del territorio della regione Friuli Venezia Giulia evitando, in questo modo, che i cittadini della regione siano costretti ad attraversare il confine, attirati da prezzi e condizioni economiche più vantaggiose che, di fatto, arrecano un danno agli esercizi commerciali italiani e alle entrate tributarie nazionali;
    in particolare, si rileva che la complessiva imposizione fiscale più favorevole in Stati come l'Austria e la Slovenia determina, come sopra detto, un trasferimento delle attività delle imprese del Friuli Venezia Giulia verso quei Paesi con innegabili benefici di natura economica per le popolazioni residenti;
    pertanto, l'introduzione di misure che possano rappresentare un efficace strumento di politica economica e fiscale per la regione Friuli Venezia Giulia costituisce un atto fondamentale per favorire lo sviluppo del territorio e delle popolazioni che vi abitano destinate, oggi, a sopportare oneri gravosi,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità, compatibilmente con le risorse di bilancio disponibili ed i vincoli di finanza pubblica, di istituire, nei territori compresi nei comuni di Trieste, Gorizia, Cividale, Tarvisio e Brennero, in via sperimentale e per tre anni, zone franche urbane finalizzate a favorire le attività industriali, commerciali, industriali, artigianali e turistiche al fine di favorire la promozione e lo sviluppo dell'economia locale nonché dell'occupazione;
   ad assumere iniziative per introdurre misure di agevolazione fiscale nei riguardi del settore marittimo al fine di agevolare l'attività portuale di Trieste;
   ad assumere le iniziative necessarie a prevedere, sempre in via sperimentale e temporanea, per i territori dei distretti industriali del Friuli Venezia Giulia lo status di zona franca.
(1-00749) «Dorina Bianchi, Causin».

(Presentata il 2 marzo 2015)


   La Camera,
   premesso che:
    il settore energetico ricopre un ruolo fondamentale per la vita economica e lo sviluppo del nostro Paese. Il tema dell'energia coinvolge diversi fattori: innanzitutto i costi (in Italia l'energia si paga il 20-30 per cento in più rispetto agli altri Paesi), la qualità del servizio alle persone ed alle imprese, le influenze sul clima, sull'ambiente e sulla vita delle persone;
    le analisi condotte da diverse istituzioni internazionali di ricerca nel settore dell'energia, tra queste, in particolare, l'Agenzia internazionale per l'energia (Iea), individuano alcune tendenze nel settore energetico che dovrebbero caratterizzare lo scenario globale in un arco di tempo di 20-25 anni;
    in particolare, tra le fonti di energia, il gas e le fonti rinnovabili ad oggi sono quelle maggiormente in espansione a scapito invece del petrolio. Quanto al carbone si stima un forte calo di domanda dei Paesi dell'Ocse, dal 20 al 15 per cento;
    l'energia è al centro delle politiche della stessa Unione europea che dopo aver varato il piano energetico europeo, con il regolamento (UE) n. 347 approvato il 17 aprile 2013, ha dettato linee per lo sviluppo integrato e l'interoperabilità delle infrastrutture energetiche a livello europeo, con l'obiettivo di rendere il sistema di erogazione e trasporto dell'energia più competitivo, sostenibile e sicuro, con il fine ultimo di creare il mercato interno dell'energia e garantire la diversificazione e la modernizzazione dell'approvvigionamento;
    è necessario attivare tutti i possibili controlli a livello nazionale, per comprendere il reale impatto delle centrali a carbone sulla salute dei cittadini e sull'ecosistema, al fine di dare delle risposte ai cittadini e, nel contempo, creare un deterrente per speculazioni inutili che potrebbero solo creare allarme ed emergenza sociale;
    il 22 gennaio 2014, la Commissione europea ha presentato il quadro per le politiche dell'energia e del clima per il periodo dal 2010 al 2030 contenente un pacchetto di proposte in materia di politica energetica ambientale. Le misure proposte riguardano: la riduzione, entro il 2030, delle emissioni di gas ad effetto serra del 40 per cento rispetto ai dati del 1990; l'aumento della quota di energie rinnovabili del 27 per cento; il raggiungimento di politiche maggiormente ambiziose in tema di efficienza energetica, un nuovo sistema di governance che assicuri una maggiore competitività e sicurezza al sistema energetico;
    è necessario, per il nostro Paese, l'adozione di una politica nazionale volta a garantire prezzi accessibili all'energia, competitività, sicurezza nell'approvvigionamento ed il conseguimento degli obiettivi climatici e ambientali in materia delle emissioni di gas a effetto serra, energie rinnovabili ed efficienza energetica;
    è, opportuno, altresì, attivare un'indagine epidemiologica nazionale nelle aree esposte al rischio di inquinamento e procedere alle opportune iniziative normative in materia ambientale e sanitaria, relativamente alle attività di monitoraggio e di controllo con particolare riferimento agli impianti industriali altamente inquinanti;
    è necessario avviare un aggiornamento della strategia energetica nazionale con l'obiettivo di una graduale diminuzione dell'utilizzo dei combustibili fossili e della valorizzazione di un sistema energetico distributivo, fondato sul risparmio energetico e sull'efficienza;
    occorre sottolineare come la normativa italiana in materia di valutazione di impatto ambientale sia sufficientemente stringente in merito alla tutela del rispetto dei valori ambientali, al fine di garantire che le procedure autorizzative di qualsivoglia progetto di infrastruttura siano principalmente mirate a prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente;
    l'area di Civitavecchia è da decenni interessata da una complessa realtà industriale che ha comportato un aggravio della situazione sanitaria locale, coinvolgendo con particolare riferimento i lavoratori dell'area portuale, degli impianti delle centrali e dell'ex cementificio Italcementi;
    per quanto riguarda la produzione di energia elettrica da carbone ed, in particolare, l'impianto di Torrevaldaliga, nell'area di Civitavecchia, occorre un approfondimento soprattutto per quanto riguarda la portata del suo impatto sulla popolazione e sul territorio. Infatti, l'area di Civitavecchia è interessata da diversi decenni da un quadro ambientale complesso per la presenza di insediamenti energetici ed industriali. Il dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario della regione Lazio nel suo rapporto pubblicato nel febbraio 2012 ha rilevato un quadro di mortalità per cause naturali e per i tumori maligni in eccesso di circa il 10 per cento rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo;
    il collegio peritale del tribunale di Civitavecchia, che ha preso in esame le indagini tecniche sull'impianto Torrevaldaliga nord nell'ambito del procedimento n. 501/04, ha accertato come la situazione sanitaria di Civitavecchia appare «compromessa» e come: «Gli elementi disponibili per la valutazione dell'impatto del progetto sulla qualità dell'aria e della salute della popolazione non sono sufficienti per un giudizio di non nocività date le carenze riscontrate nella procedura d'impatto ambientale»;
    gli studi clinico-statistici condotti da équipe private nei primi anni Duemila, quali la Conti Curzia di Civitavecchia e gli epidemiologi del Policlinico Gemelli di Roma, nonché strutture pubbliche come l'osservatorio epidemiologico della regione Lazio, evidenziarono una morbilità specifica respiratoria, tumorale e degenerativa, in aumento nell’hinterland;
    attualmente non sono noti ricerche e studi di fattibilità che siano in grado di sostenere come l'elevato impatto ambientale e sanitario sull'area di Civitavecchia e su territorio limitrofo sia riconducibile alle attuali emissioni derivanti dall'impianto di Torrevaldaliga nord,

impegna il Governo:

   ad attivare un'indagine epidemiologica nell'area di Civitavecchia con riferimento alle zone esposte al rischio di inquinamento;
   a riesaminare l'autorizzazione integrata ambientale concessa alla centrale Torrevaldaliga nord, al fine di adeguare le emissioni ai riferimenti suggeriti dalle nuove migliori tecniche disponibili (Bat), alla luce dei contenuti del Documento di riferimento europeo (Bref) in corso di pubblicazione da parte della Commissione europea.
(1-00750) «Piso, Dorina Bianchi, Cera».

(Presentata il 2 marzo 2015)


   La Camera,
   premesso che:
    gli studi di settore, introdotti nell'ordinamento nazionale con l'articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, costituiscono uno strumento che il fisco italiano utilizza per stimare il volume d'affari che può essere attribuito al contribuente;
    attraverso un metodo informatizzato e l'utilizzo di analisi economiche e tecniche statistico-matematiche, tali studi consentono di stimare i ricavi o i compensi presunti dell'attività di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese; il procedimento statistico viene verificato prima dell'entrata in vigore, dalla commissione degli esperti (articolo 10, comma 7, della legge n. 146 del 1998), un organismo formato da rappresentanti dell'Agenzia delle entrate, del Ministero dell'economia e delle finanze, della Guardia di finanza, dell'Anci e delle organizzazioni di categoria;
    le stime, che individuano le relazioni esistenti tra le variabili strutturali e contabili delle imprese e dei lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all'organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell'attività, alla localizzazione geografica e agli altri elementi significativi, risultano utili sia per l'amministrazione finanziaria, sia per il contribuente;
    il contribuente può, infatti, utilizzare gli studi di settore per verificare, in sede dichiarativa, il proprio posizionamento rispetto ai criteri di congruità e coerenza, rilevando rispettivamente: se i ricavi o i compensi dichiarati sono congrui rispetto a quelli stimati dallo studio, tenuto conto delle risultanze derivanti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica, e se il suo comportamento risulta coerente rispetto ai valori di indicatori economici predeterminati per ciascuna attività;
    lo studio di settore è, quindi, da considerarsi uno strumento di ausilio per il contribuente in fase dichiarativa; egli può infatti decidere, in caso di incongruità, di uniformarsi al risultato dello studio di settore, oppure di discostarsene, avvalendosi di comprovate ragioni che ne legittimano la disapplicazione;
    l'amministrazione finanziaria utilizza gli studi di settore come strumento di supporto per compiere le attività di controllo e accertamento della regolarità delle dichiarazioni, attraverso la comparazione tra i ricavi o i compensi dichiarati e quelli direttamente desumibili dall'applicazione dei citati criteri; in particolare, fra gli indirizzi operativi individuati dall'Agenzia delle entrate nella circolare dell'agosto del 2014, rientra la necessità che i dati presenti negli studi di settore vengano sempre maggiormente impiegati quale strumento di selezione per l'ulteriore attività di controllo, piuttosto che quale mero strumento accertativo diretto;
    gli studi di settore costituiscono inoltre un'efficace forma di contrasto ai fenomeni di infedeltà dichiarativa nella fase di presentazione della dichiarazione dei redditi, poiché hanno indotto un prevedibile incremento dei comportamenti dichiarativi corretti e, indirettamente, quindi, della base imponibile e del relativo gettito fiscale;
    pur restando uno strumento utile in tema di prevenzione e contrasto dell'evasione, negli ultimi anni è stata tuttavia rilevata una perdita di efficacia degli studi di settore; in particolare, si è osservata una minore adeguatezza nella rappresentatività delle trasformazioni strutturali dell'economia italiana, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese;
    per migliorare il grado di attendibilità degli studi nella stima delle situazioni reddituali dei contribuenti, minimizzando gli effetti distorsivi in particolare determinati dalla congiuntura economica negativa che ha caratterizzato gli ultimi anni, il Ministero dell'economia e delle finanze è quindi intervenuto apportando correttivi «anticrisi», da ultimo con il decreto ministeriale del 2 maggio 2014;
    va altresì ricordato che, al fine di ridurre gli adempimenti fiscali e favorire i contribuenti di minore dimensione, nella legge di stabilità per il 2015 è prevista l'esenzione dagli studi di settore, nonché dalla presentazione della dichiarazione Irap, per gli esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale che aderiscono al nuovo regime forfetario di determinazione del reddito;
    inoltre, per perseguire una maggiore efficacia in termini di compliance, dal 2015 è prevista una serie di norme volte al rafforzamento dei flussi informativi tra i contribuenti stessi e l'Agenzia delle entrate e alla modifica delle modalità, dei termini e delle agevolazioni connesse all'istituto del ravvedimento operoso,

impegna il Governo:

   a continuare nel percorso di rafforzamento della collaborazione tra fisco e contribuente, di semplificazione delle procedure e riduzione degli adempimenti, al fine di conseguire il massimo adempimento spontaneo, a tal fine dotando l'amministrazione finanziaria di strumenti conoscitivi adeguati a favorire l'emersione dell'effettiva capacità fiscale di ciascun contribuente già nel momento dell'adempimento tributario, come avviene nei sistemi tributari europei più evoluti;
   a valutare l'opportunità di procedere ad una revisione degli studi di settore per semplificarli, prevedendo la riduzione del loro numero, e per renderli più efficaci, attraverso una continua verifica ed eventuale modifica delle modalità di calcolo, che persegua la massimizzazione dell'attendibilità delle stime e, al contempo, garantisca la fedeltà dei dati dichiarati dai contribuenti.
(1-00751) «Scuvera, Benamati, Causi, Martella, Folino, Ginefra, Bargero, Montroni, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pastorino, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Senaldi, Arlotti, Amoddio, Antezza».

(Presentata il 2 marzo 2015)


   La Camera,
   premesso che:
    la legge sul federalismo fiscale, che prevedeva anche misure di fiscalità di vantaggio e di sviluppo sul territorio italiano, non è ancora compiutamente attuata;
    le zone di frontiera del Friuli Venezia Giulia hanno rappresentato per anni lo snodo dei traffici via terra verso il nord e verso l'est Europa, con evidenti benefici di natura economica ed occupazionale per le popolazioni residenti, ma successivamente l'allargamento progressivo dell'Unione europea e l'adozione della moneta unica hanno provocato la perdita di tutta una serie di opportunità commerciali e di servizi, con evidenti ricadute negative sull'economia del territorio;
    di conseguenza, negli ultimi anni in queste zone sta crescendo vertiginosamente il fenomeno della fuga di aziende e imprese nei vicini Stati esteri, ove i vantaggi collegati alla fiscalità più favorevole, alla burocrazia meno asfissiante e al costo del lavoro molto meno oneroso rispetto al nostro Paese rappresentano un forte elemento di attrazione;
    per dinamiche parallele, sono anche sempre più numerosi i cittadini italiani residenti in Italia a ridosso del confine con gli altri Paesi comunitari che scelgono di trasferirsi in quei Paesi a causa dei differenziali più favorevoli dei costi della vita e dei servizi, oltre alle maggiori opportunità occupazionali offerte dai Paesi vicini all'Italia;
    sia la fuga di aziende italiane nei Paesi confinanti o comunitari, sia l'emigrazione di cittadini italiani nelle località limitrofe oltre confine, depauperano la ricchezza del Paese e non contribuiscono certo ad incrementare la crescita economica e del prodotto interno lordo locale e nazionale;
    la regione Friuli Venezia Giulia, sia in virtù della propria collocazione geografica, sia in virtù del proprio statuto di specialità, necessiterebbe dell'introduzione di forme di fiscalità di vantaggio come, per esempio, una più ampia libertà di detassazione per le nuove imprese e per le imprese dei giovani, senza peraltro gravare sulle casse dell'erario perché, se anche dovessero verificarsene, le eventuali iniziali minori entrate sarebbero a carico del bilancio regionale;
    con riferimento alla medesima regione, inoltre, in diverse occasioni, e anche a livello di amministrazione centrale con i competenti Ministeri, è già stata discussa l'ipotesi che siano istituite delle zone franche nelle aree di confine del Friuli Venezia Giulia;
    le zone franche urbane sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita nelle quali trovano applicazione programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, il cui obiettivo prioritario è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse;
    le norme istitutive delle zone franche urbane hanno attribuito al Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), su proposta del Ministero dello sviluppo economico, il compito di provvedere alla definizione dei criteri per l'allocazione delle risorse e per l'individuazione delle zone franche urbane sulla base di parametri socio-economici;
    con la delibera n. 5/2008 il Cipe ha recepito e approvato la proposta del Ministero dello sviluppo economico su «Criteri e indicatori per l'individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane»;
    ad oggi le zone franche urbane istituite nel nostro territorio nazionale insistono prevalentemente nelle regioni dell'Italia centrale e meridionale;
    le caratteristiche delle zone franche urbane, così come delineate, possono costituire una valida risposta alla crisi delle aree confinarie della regione, perché intervengono su quegli aspetti che rendono «il fare impresa» più gravoso rispetto a quanto accade in Austria e Slovenia;
    nell'ambito dell'Unione europea esistono già numerose zone franche che, grazie ai benefici fiscali presenti, rappresentano un'ottima opportunità di sviluppo per i territori in cui sono istituite e per le popolazioni interessate e, parallelamente, consentono anche un aumento delle entrate fiscali per i rispettivi Stati;
    nel mese di maggio 2014 il Gruppo di Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale ha presentato un atto di sindacato ispettivo al Governo chiedendo quali iniziative intendesse assumere al fine di favorire il rilancio economico ed imprenditoriale della regione Friuli Venezia Giulia, anche attraverso la possibilità dell'istituzione di zone franche urbane nel suo territorio, ma la risposta non è mai arrivata;
    con riferimento al porto di Trieste, configurato come porto franco in base ad una lunga tradizione storica mantenendo tale assetto anche con l'approvazione del Trattato di Osimo, la nuova normativa in materia portuale, di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, al comma 12 dell'articolo 6 ha espressamente fatto salva «la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste»;
    la disposizione di cui al comma 12 costituisce una norma di salvaguardia del sistema di organizzazione dei porti stabilito dalla legge n. 84 del 1994, perché, mantenendo questa speciale apertura di intervento ministeriale sul porto di Trieste, lascia sempre aperta la possibilità di un intervento modificativo della legge stessa con riferimento esclusivo al porto di Trieste, posto che il Governo italiano con riferimento ad esso ha assunto precisi obblighi internazionali;
    il citato comma 12 prevede, altresì, che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con proprio decreto stabilisca l'organizzazione amministrativa per la gestione di detti punti franchi, decreto ad oggi non ancora emanato;
    tuttavia, è pacifico che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, qualora dovesse ritenere necessario intervenire con una propria attività regolatoria, potrebbe solo ed esclusivamente disciplinare il campo di organizzazione amministrativa del porto e della zona franca, senza alcuna potestà relativa agli oneri fiscali e doganali che disciplinano il traffico merci attraverso di esso;
    il sistema portuale triestino vive una crisi di concorrenzialità che dipende anch'essa da alcuni fattori di disparità tra l'Italia e le vicine repubbliche di Slovenia e Croazia, vale a dire un eccessivo costo del lavoro, la rigidità burocratica e l'elevata pressione fiscale,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione di iniziative per apportare modifiche normative nella materia delle zone franche urbane al fine di estenderne l'accessibilità anche ai comuni del Friuli Venezia Giulia maggiormente colpiti dalle criticità di cui in premessa, ovvero ad individuare strumenti normativi analoghi da applicare alle medesime zone;
   a garantire la specificità del porto franco di Trieste, valutando l'adozione di ulteriori misure di defiscalizzazione in favore dei punti franchi in esso compresi;
   ad individuare strumenti idonei a realizzare il rilancio sociale, occupazionale e imprenditoriale del Friuli Venezia Giulia, considerato il fatto alcune regioni italiane subiscono maggiormente la concorrenza dei Paesi esteri in ragione della loro collocazione geografica.
(1-00752) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il 42 per cento dell'energia elettrica nel mondo è prodotta dal carbone, con valori attestati nel 2013 a poco più di sette miliardi di tonnellate, mentre in Europa la produzione di energia elettrica da carbone ammonta al 33 per cento, seguita dal nucleare con un peso del 28 per cento;
    l'Italia è l'unico Paese in Europa che, pur non facendo ricorso al nucleare, ha una quota di utilizzo di carbone estremamente bassa, mentre ha una quota elevata di produzione di energia elettrica da gas naturale, con rilevanti implicazioni sulla sicurezza e la competitività delle fonti di approvvigionamento;
    per garantire la sicurezza e la competitività dell'approvvigionamento energetico l'Europa prevede di non produrre più del 25-30 per cento della propria energia elettrica dal gas naturale e di mantenere almeno il 45-50 per cento a nucleare e carbone anche nel 2020, perché, secondo le stime dell'Unione europea, senza un'attiva politica energetica nei prossimi venti o trent'anni si rischia di importare oltre il 70 per cento dei consumi energetici europei da aree ad alta instabilità politica;
    il sistema elettrico italiano è costretto ad accettare i prezzi del gas fissati dal «duopolio» Algeria e Russia, non essendoci, a causa della lontananza e quindi di un eccessivo eventuale costo di trasporto, fornitori alternativi;
    la domanda di energia italiana non sembra rilevare segnali di recupero e, anche nel 2013, ha segnato una flessione di quasi il quattro per cento, attestandosi su un valore analogo a quello della metà degli anni novanta che ci riporta quindi indietro di venti anni;
    la netta flessione dei prezzi del petrolio e la crisi economica hanno contribuito ad alleggerire la bolletta energetica degli italiani, che tuttavia rimane ancora troppo elevata rispetto al Pil, con un peso del 2,7 per cento, valore molto più alto rispetto agli altri Paesi europei;
    le conseguenze sono particolarmente sentite soprattutto da parte delle utenze industriali: secondo l'Autorità per l'energia le imprese italiane sono costantemente costrette a fronteggiare prezzi al di sopra della media europea, con pesanti ripercussioni sulla competitività soprattutto in quei settori caratterizzati da forti consumi energetici, quali ad esempio la carta, l'acciaio e altri;
    la tendenza mondiale manifestata è quella di un aumento relativo della produzione termoelettrica da carbone, in considerazione della sua maggiore economicità e stabilità del prezzo rispetto alle altre fonti e del notevole abbattimento delle emissioni rispetto alle tecnologie dello scorso secolo;
    in Italia ci sono attualmente 13 centrali a carbone, che trasformano oltre 4,6 milioni di tonnellate, importate per circa il 90 per cento via mare;
    nel comune di Civitavecchia è operativa dal 2009 la nuova centrale di Torrevaldaliga Nord di proprietà dell'ENEL, composta da tre sezioni riconvertite a carbone, che con quattromila occupati impiega circa il venti per cento della popolazione attiva della zona;
    dai «consuntivi di centrale» di Torrevaldaliga appare che il «rispetto dei limiti delle emissioni in aria, sia come valori in concentrazione che in massa annua, stabiliti dall'AIA 2013, risulta essere assicurato indipendentemente dai parametri di esercizio», e che «l'esercizio della centrale assicura non solo il rispetto dei limiti imposti dall'AIA attuale, ma anche quello dei limiti fissati dal decreto legislativo 46 del 2014 di recepimento della Direttiva europea IED, che entreranno in vigore dal gennaio 2016»;
    la nuova AIA 2013, approvata con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, prevede l'introduzione di una serie di nuove prescrizioni e controlli nei vari aspetti trattati che aggiungono ulteriori elementi di tutela ambientale nel controllo dei processi rispetto all'autorizzazione unica precedente, di cui al decreto del 2003, prevedendo, in particolare, dal punto di vista delle prescrizioni in tema di emissioni in aria, la riduzione dei valori limite in concentrazione;
    inoltre, con riferimento alle problematiche relative a eventuali scostamenti dei parametri operativi di esercizio rispetto a quanto previsto nel decreto di compatibilità ambientale DEC/VIA 680/2003, quali ad esempio la produzione di energia, il numero di ore di funzionamento ed il consumo di combustibile, si è già pronunciato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che con una nota del 17 luglio 2014 ha concluso che «pur avendo rilevato alcuni discostamenti dei parametri sopra riportati, ciò non comporta modifica delle valutazione ambientale espressa con DEC/VIA 680/2003 in quanto tali discostamenti non generano sforamenti rispetto ai limiti imposti ai parametri di pressione ambientali associati al funzionamento della centrale e segnatamente ai limiti imposti per i flussi di massa delle sostanze inquinanti»;
    lo stesso decreto di compatibilità ambientale 680/2003, relativo alla riconversione a carbone dell'impianto di produzione di energia elettrica di Torrevaldaliga Nord, ha previsto la creazione di un osservatorio ambientale nell'area di Civitavecchia, costituito nel giugno 2009 in seguito alla stipula della convenzione tra i comuni di Civitavecchia, Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia, per la gestione associata di attività di monitoraggio ambientale e sanitario da svolgersi sul territorio dei comuni aderenti;
    l'osservatorio ambientale ha il compito di procedere ai monitoraggi ambientali e sanitari nell'area interessata dalle emissioni del polo energetico sulla base degli indirizzi forniti dal «Tavolo della Salute e dell'Ambiente», organo presieduto dalla regione Lazio e composto da rappresentanti della provincia di Roma e Viterbo, dei comuni del territorio interessato, di Laziosanità ASP, dell'Istituto superiore di sanità e di ARPA Lazio;
    nel rapporto 2013 dell'Osservatorio si legge: «In conclusione, la qualità dell'aria nel territorio del Consorzio non evidenzia condizioni allarmanti ma mostra problemi analoghi alla maggioranza delle aree urbane o rurali italiane ed europee e che possono trovare soluzione soltanto in un contesto più ampio di quello locale. Naturalmente ciò non esclude rischi per la salute dei residenti e non implica l'impossibilità delle autorità locali di intervenire con successo... Relativamente alle sorgenti di emissione, le rilevazioni hanno evidenziato la sovrapposizione di più sorgenti e non hanno consentito di attribuire un ruolo alla centrale di Torrevaldaliga Nord ed al porto, che in termini quantitativi restano le più rilevanti. Indicazioni di impatti che meritano di essere approfonditi sono emerse per le attività portuali, su tutta la fascia costiera retrostante il porto, e per la centrale di Torrevaldaliga Nord, sull'estremità a sud-ovest dell'abitato di Civitavecchia e sulle alture poste ad ovest della centrale»;
    dal giugno 2013 è in atto un monitoraggio epidemiologico sulla popolazione, denominato «Progetto ABC» (ambiente e biomonitoraggio nell'area di Civitavecchia), a cura del dipartimento epidemiologico del servizio sanitario regionale della regione Lazio, che coinvolgerà oltre mille persone residenti nei comuni di Civitavecchia, Santa Marinella, Allumiere, Tolfa e Tarquinia, al fine di studiare gli effetti dell'inquinamento atmosferico sulla salute del residenti nell'area di Civitavecchia attraverso l'uso di indicatori biologici;
    lo studio sarà, inoltre, accompagnato da una valutazione delle ricadute al suolo delle emissioni atmosferiche degli impianti industriali e civili presenti nell'area;
    il progetto ABC prende le mosse dalle denunce di numerose associazioni circa la cattiva qualità dell'aria della zona che avrebbe determinato un aumento dei tumori nella popolazione residente;
    già nel 2010 il dipartimento epidemiologico aveva effettuato una valutazione dello stato di salute della popolazione residente nei comuni di Civitavecchia, Santa Marinella, Allumiere, Tolfa, e Tarquinia, attraverso i tassi di mortalità e di ricoveri ospedalieri rispetto alla popolazione generale residente nella regione Lazio;
    da tale valutazione è emerso che «la popolazione residente nel comune di Civitavecchia e nel comprensorio costituito dai comuni di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella presenta un quadro di mortalità generale sovrapponibile a quello della popolazione della regione Lazio; un maggior ricorso all'ospedalizzazione si osserva solo per le persone residenti nel comune di Civitavecchia... Dalla lettura integrata dei dati di mortalità e dei ricoveri delle persone residenti in questo territorio si evidenzia un sostanziale difetto, rispetto alla popolazione residente nel Lazio, dell'occorrenza di patologie a carico dell'apparato cardiovascolare e, al contrario, un eccesso di patologie croniche dell'apparato respiratorio»;
    risulta evidente, quindi, come l'esposizione della popolazione di Civitavecchia all'inquinamento prodotto dalla centrale di Torrevaldaliga abbia avuto e continua ad avere gravi ripercussioni sulla sua salute;
    la riduzione continua dell'esposizione umana agli inquinanti atmosferici costituisce la strategia più efficace di tutela della salute pubblica e va perseguita con impegno da parte di tutte le istituzioni e delle società coinvolte nei processi di produzione;
    il rilancio economico della zona di Civitavecchia, nella quale attualmente la centrale di Torrevaldaliga costituisce l'unico importante polo produttivo e occupazionale, deve peraltro passare anche attraverso un efficace rilancio della sua portualità, con la realizzazione di una piattaforma logistica che consenta ad uno dei porti italiani di essere il punta d'attracco dei cargo in arrivo dall'Asia;
    con la sottoscrizione in data 24 aprile 2013 del Protocollo di intesa «Per il completamento del Piano strategico dell’hub portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, e del sistema di rete e della logistica», presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, si è preso atto del carattere di rilevanza strategica nazionale del progetto di potenziamento e sviluppo del network laziale, peraltro già inserito come hub portuale di Civitavecchia nella cosiddetta legge obiettivo del 2001 (unico porto a livello nazionale inserito in detta legge);
    in tale documento è definito il Piano strategico che individua in maniera specifica le attività necessarie per rendere il progetto del sistema portuale di Civitavecchia e Fiumicino una «piastra logistica» a servizio delle esigenze produttive di un ambito territoriale di alto valore strategico dal punto di vista economico e con forti prospettive di sviluppo, per l'intero territorio nazionale,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, al fine della regolarità e pubblicità dei monitoraggi effettuati sia dalla società proprietaria della centrale di Torrevaldaliga sia dal citato osservatorio ambientale;
   a vigilare sul conseguente rispetto delle norme volte al contrasto dell'inquinamento atmosferico e delle procedure e dei protocolli di sicurezza con riferimento alla centrate di Torrevaldaliga;
   a valutare iniziative dirette alla corresponsione di un indennizzo economico per il territorio di Civitavecchia e comuni limitrofi e l'avvio di opere compensative.
(1-00753) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il tema dello sviluppo energetico e della ricerca nel relativo settore sono fondamentali per quanto riguarda la ripresa dell'economia italiana oggi in forte crisi e rappresentano una delle reali occasioni di sviluppo economico del nostro Paese;
    sviluppo e ricerca di questo settore sono però subordinati al soddisfacimento di una serie di importanti prescrizioni e di esigenze che non fanno solo riferimento alla qualità del servizio reso e ai costi praticati all'utente finale ma anche e soprattutto agli impatti che si generano sul clima e sull'ambiente naturale, sulla salute e sulla vita stessa della popolazione;
    il quadro normativo italiano in materia di tutela dell'ambiente e di valutazione di impatto ambientale è noto per essere vincolante e puntuale e le sue procedure sono volte a prevenire potenziali rischi per la salute della popolazione, per la sicurezza e per l'ambiente;
    in questo contesto, sarebbe da analizzare ed evidenziare il quadro ambientale dell'area di Civitavecchia che da tempo pare sia oggetto di una serie di criticità dal punto di vista ambientale che sembra siano determinate non solo dalla presenza di un polo energetico costituito da due centrali termoelettriche, una delle quali, la Centrale Termoelettrica di Civitavecchia Torrevaldaliga Nord, alimentata a carbone, ma anche da uno dei porti più attivi nel Mediterraneo con relativo traffico crocieristico e di trasporto, da un'importante struttura di depositi costieri, con una capacità di movimentazione di prodotti petroliferi di oltre un milione di tonnellate all'anno nonché da un cementificio e da un centro chimico;
    secondo le analisi contenute nel rapporto 2012 del Dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario della regione Lazio «...la popolazione residente nel comune di Civitavecchia nel periodo 2006-2010 presenta un quadro di mortalità per cause naturali (tutte le cause eccetto i traumatismi) e per tumori maligni in eccesso di circa il 10 per cento rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo. Tale eccesso si conferma tra gli uomini residenti nell'area allargata ai comuni di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella ma non tra le donne. In riferimento alla mortalità per cause tumorali, si osserva tra gli uomini residenti a Civitavecchia un forte eccesso di rischio per tumore polmonare e della pleura. L'analisi allargata ai comuni del comprensorio conferma l'eccesso di rischio per tumore polmonare...»;
    il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del territorio e del mare, con decreto del 5 aprile 2013, ha rilasciato il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale alla centrale Torrevaldaliga Nord introducendo una serie di disposizioni che tendono già a ridurre gli impatti negativi sull'ambiente ovvero:
     introduce la concentrazione giornaliera in chiave più restrittiva per tutti i macroinquinanti, ad eccezione del monossido di carbonio che resta inalterato;
     lascia inalterati i limiti orari degli ossidi di azoto e del biossido di zolfo, ma impone a quello delle polveri una riduzione quantificabile tra il 30 per cento ed il 50 per cento circa;
     interviene sui limiti inerenti le emissioni massiche, riducendo quelli delle polveri e del biossido di zolfo del 60 per cento e del 50 cento rispettivamente;
     introduce un limite massimo all'emissione del monossido di carbonio che non consentirebbe alla centrale di operare al massimo livello delle emissioni di questo inquinante per più di 10 mesi all'anno circa;
     fissa alle emissioni di diossine e furani, che non sono trattate nelle migliori tecniche disponibili (Bat), limiti 10000 volte più bassi di quelli previsti per gli impianti di combustione dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (Codice dell'ambiente);
     la prescrizione alla centrale Torrevaldaliga Nord di un limite alle emissioni del monossido di carbonio (130 mg/m3) significativamente maggiore delle concentrazioni indicate nel Documento di riferimento europeo sulle migliori tecniche disponibili nell'intervallo 30-50 mg/m3,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di un riesame dell'autorizzazione integrata ambientale della centrale di Torrevaldaliga Nord previa verifica degli effettivi dati di impatto e di inquinamento ambientale della stessa centrale nello stato attuale di produzione in cui si trova, per adeguare le emissioni ai parametri indicati dalle migliori tecniche disponibili anche con riferimento al documento europeo Bref di prossima pubblicazione da parte della Commissione Europea;
   a porre in atto tutte le iniziative di propria competenza al fine di salvaguardare la salute della popolazione residente nel comune di Civitavecchia.
(1-00754) «Matarrese, Mazziotti Di Celso, D'Agostino, Dambruoso, Vargiu, Vecchio, Molea».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa, ha presentato il 16 dicembre 2015 il nuovo Piano strategico 2015-2019 in cui si prevede la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico: previsione più che preoccupante vista la missione di società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato;
    nei fatti, stando a quanto riferito da fonti sindacali e dagli organi di stampa, la società, che si impegna nel contratto di servizio a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, ha previsto, a partire dai prossimi mesi, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici»;
    questa decisione unilaterale di Poste italiane conferma l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni che insegue una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene non redditizi, senza considerare la loro importanza dal punto di vista sociale e rinnegando la ratio propria del servizio universale, che – a tutela delle esigenze essenziali degli utenti – impone la fornitura del servizio anche in situazioni di fallimento di mercato, caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, tali da rendere l'erogazione delle prestazioni strutturalmente non redditiva ed antieconomica;
    si legge nel rapporto della Consob che «Le verifiche condotte hanno evidenziato che la società si avvale, nello svolgimento dei servizi di investimento, di meccanismi di pianificazione commerciale e di incentivazione del personale fondati sul perseguimento di specifici interessi “di business” (prevalentemente declinati in termini di redditività) che, affiancati da rilevanti pressioni gerarchiche a tutti i livelli della struttura organizzativa, hanno determinato, a valle del processo distributivo, significative distorsioni nella relazione con la clientela»;
    Consob evidenzia criticità nel rapporto con i risparmiatori: 330 mila clienti su 900 mila hanno un profilo di rischio Mifid (gli altri hanno rapporti avviati prima dell'entrata in vigore della norma, replica l'azienda). Ma il 74,5 per cento dei clienti del BancoPosta si classifica sui tre livelli più elevati di «esperienza e conoscenza», soltanto il 5 per cento ha conoscenze minime. I dubbi sono di una profilazione troppo alta che permette di vendere prodotti ad alta complessità e ad alto rischio. Addirittura, l'80 per cento dei clienti sopra i 70 anni che hanno comprato una polizza index-linked (una forma di investimento che garantisce il capitale e ha un rendimento legato all'andamento di un indice) hanno un orizzonte di investimento superiore ai 7 anni. La società, «a fronte di una specifica richiesta del team ispettivo, non è stata in grado di estrapolare i dati» relativi alla situazione finanziaria effettiva del cliente. E non considera l'età anagrafica per garantire un periodo di investimento adeguato;
    la delibera n. 342/14/Cons dell'Agcom, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese: in particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, inoltre, impone a Poste di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    con riguardo specifico all'esigenza di assicurare un'adeguata copertura del territorio nazionale, «incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane», la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, recante «Regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio», come modificata, da ultimo, dalla direttiva n. 2008/6/CE; sottolinea che «le reti postali rurali, in particolare nelle regioni montuose e insulari, svolgono un ruolo importante al fine di integrare gli operatori economici nell'economia nazionale/globale, e al fine di mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'occupazione» e si riconosce che «i punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote possono inoltre costituire un'importante rete infrastrutturale ai fini dell'accesso universale ai nuovi servizi di comunicazione elettronica». Nel successivo considerando si afferma, poi, che «gli Stati membri dovrebbero adottare le misure regolamentari appropriate, per garantire che l'accessibilità ai servizi postali continui a soddisfare le esigenze degli utenti, garantendo, se del caso, un numero minimo di servizi allo stesso punto di accesso e, in particolare, una densità appropriata dei punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote». Inoltre, nel considerando n. 22, nel sottolineare il contributo significativo che un servizio postale di alta qualità può apportare al conseguimento degli obiettivi di coesione sociale e territoriale, si fa presente che «il commercio elettronico, in particolare, offre alle regioni remote e alle regioni scarsamente popolate nuove possibilità di partecipare alla vita economica»;
    pochi giorni fa Poste italiane, nella persona dell'amministratore delegato Francesco Caio, si è ufficialmente impegnata con il Sottosegretario alle comunicazioni Antonello Giacomelli e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani a coinvolgere regioni ed enti locali nella fase precedente a quella di razionalizzazione per spiegare come verrà assicurata la tutela del servizio universale per i cittadini, eppure sembra che la chiusura degli uffici sia prevista a partire dal 13 aprile senza che le amministrazioni locali dei comuni interessati siano state debitamente coinvolte ed informate;
    i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. La chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura pone quindi in serie difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale;
    questa operazione di razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti. Gli utenti della fascia più debole, quelli di età avanzata, ai quali è già stata negata la possibilità da febbraio 2012 di riscuotere la pensione in contanti e si sono quindi visti costretti a lasciare i propri risparmi sui libretti postali, ora si vedono nuovamente danneggiati, non potendo usufruire dei servizi resi dagli uffici periferici, nonostante il regime di servizio universale debba essere finalizzato alla promozione di inclusione sociale di categorie deboli di consumatori;
    l'Agcom con la delibera 728/13/Cons ha manifestato evidenti perplessità sul mantenimento di alcuni servizi all'interno del perimetro del servizio universale, ritenendo che alcuni servizi come la posta assicurata degli invii singoli, la corrispondenza ordinaria degli invii multipli, gli invii di atti giudiziari non dovrebbero essere offerti in regime di esclusiva;
    attualmente, nel nostro Paese a differenza di quanto accade negli altri Paesi europei, questi prodotti rientrano nel perimetro del Servizio universale, godendo dell'esenzione Iva qualora forniti da Poste Italiane, e sono, invece, «ivati» se forniti da operatori diversi, con tutte le conseguenze in termini di limiti alla concorrenza ed alla equa competizione tra gli operatori del mercato;
    nel Contratto di programma (articolo 2, comma 8), con riguardo all'apertura minima settimanale degli uffici nei Comuni con un unico presidio postale è specificato che «l'apertura deve intendersi effettuata a giorni alterni per un minimo di 18 ore settimanali», che comprendono sia il tempo di accesso del pubblico ai locali, sia quello immediatamente precedente e successivo all'accesso al pubblico (pari ad un massimo di un'ora al giorno), durante il quale vengono espletate attività necessarie a rendere operativo l'ufficio;
    gli uffici postali nelle piccole realtà, soprattutto montane, che vivono spesso condizioni generali di servizio già di per sé disagiate, rappresentano un punto di riferimento e la loro chiusura diventa un problema per tutta la comunità contribuendo al depotenziamento del territorio e allo spopolamento dei piccoli comuni. Da un'elaborazione dell'Agcom sui dati di Poste italiane si evince che il 60 per cento dei 288 comuni privi di un ufficio postale appartiene proprio alla categoria dei comuni rurali e totalmente montani;
    il criterio guida per la distribuzione degli uffici postali stabilito dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 è costituito, in base alla normativa vigente, dalla distanza massima di accessibilità al servizio, espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al presidio più vicino. In particolare, «il fornitore del servizio universale assicura un punto di accesso entro la distanza massima di 3 km dal luogo di residenza per il 75 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di 5 km dal luogo di residenza per il 92,5 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di 6 km dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione»,

impegna il Governo:

   ad assumere le necessarie iniziative presso Poste italiane per fornire una lista dettagliata degli uffici postali coinvolti nella razionalizzazione, specificando per ognuno il rapporto costi/benefici, spread del territorio suddiviso per Nord, Sud e Centro, costi delle locazioni, depositi medi, numero della popolazione servita;
   ad assumere per quanto di competenza, iniziative conoscitive in merito alla razionalizzazione della rete di uffici postali (chiusura o rimodulazione oraria) da parte di Poste italiane, al fine di valutare di volta in volta, in relazione al caso concreto, la portata dei disagi eventualmente arrecati all'utenza, anche in relazione all'età anagrafica della popolazione servita e alle condizioni del trasporto pubblico che collega gli uffici postali, nonché i corrispondenti benefici in termini di miglioramento dell'efficienza complessiva della rete e di riduzione dei costi del servizio universale ricadenti sulla collettività;
    a pubblicare sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze l'ammontare complessivo dei contributi statali erogati negli ultimi cinque anni a Poste italiane per l'espletamento del servizio pubblico universale;
    a rivedere, valutato il ridimensionamento del servizio pubblico offerto, l'ammontare dei contributi statali e il persistere delle convenzioni in essere;
    a rendere noti i dati relativi all'ammontare dei depositi postali suddivisi per Regione;
    a valutare la possibilità che alcuni servizi, non ritenuti strettamente connessi all'espletamento del servizio universale, vengano offerti non in regime di esclusiva da Poste italiane;
    a  promuovere un rinvio dell'entrata in vigore del nuovo piano di razionalizzazione di Poste italiane previsto per il 13 aprile 2015, in attesa di una concertazione fra la società e le amministrazioni locali coinvolte, finalizzata a valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e la possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, così come previsto dalla delibera dell'Agcom, che siano in grado di coniugare le esigenze di equilibrio economico con quelle di tutela dell'utenza.
(1-00755) «Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».

Risoluzione in Commissione:


   La Commissione XIII,
   premesso che:
    in Italia il tonno rosso viene pescato con diversi sistemi di pesca (circuizione, palangaro, tonnara fissa), la quota italiana è stata assegnata all'Italia intorno agli anni 70 con riferimento alle catture effettuate prevalentemente con il metodo della circuizione ed in base a criteri consolidati nel tempo;
    a seguito dell'azione svolta dalla Presidenza italiana del Consiglio, prendendo atto degli esiti positivi del piano pluriennale di ricostituzione degli stock di tonno nell'Atlantico e nel Mediterraneo l'organismo di gestione internazionale della pesca dei tonnidi (I.C.C.A.T. – International Commission for the Conservation, of Tunas) ha deciso di rideterminare, aumentandola, la quota pescabile di tonno rosso nel triennio 2015-2017 per tutti i Paesi aderenti alla Convenzione, tra cui l'Unione europea;
    nello specifico, il totale ammissibile di cattura (Tac) per l'Italia è stato incrementato di circa 400 tonnellate, passando dalle attuali 1.950,00 a 2.302,80 su una quota totale europea che da 7.938,65 passa a 9.302,92 tonnellate;
    l'incremento di circa 20 per cento con una previsione di un ulteriore aumento del 70 per cento nel 2017, salvo revisioni annuali del comitato scientifico Iccat, ha determinato una legittima aspettativa di crescita e redditività nel settore, in considerazione dei forti limiti e dei numerosi vincoli cui è stato sottoposto il comparto negli ultimi anni;
    l'aumento di quota attribuito dall'ICCAT all'Unione europea sarà, come ogni anno, distribuito tra i Paesi membri dell'Unione che praticano la pesca del tonno rosso tra cui l'Italia, secondo uno schema di ripartizione storica noto come principio di «stabilità relativa» e attraverso un apposito Regolamento (esattamente come negli anni passati furono distribuite le riduzioni delle quote di pesca);
    le possibilità di pesca per il 2015 si inquadrano per la prima volta nell'ambito della nuova politica comune della pesca (PCP), applicando uno dei principali strumenti di gestione: la definizione di possibilità di pesca conformi all'obiettivo del rendimento massimo sostenibile (rendimento massimo sostenibile – MSY), onde garantire la sostenibilità ambientale a lungo termine delle attività di pesca e una gestione di tali attività in grado di conseguire vantaggi a livello socioeconomico e occupazionale, e di contribuire alla disponibilità dell'approvvigionamento alimentare;
    con riferimento alla pesca del tonno rosso e al piano europeo pluriennale di ricostituzione dello stock nel Mediterraneo, merita sottolineare i sostanziali miglioramenti conseguiti sotto il profilo biologico, come indicato dagli esperti scientifici dell'ICCAT;
    nel corso degli anni, dall'introduzione della Tac, sono state rilevate diverse difficoltà da parte degli operatori nello svolgimento dell'attività di pesca del tonno, nonché alcune incongruenze che potrebbero essere rimosse in occasione della suddivisione del nuovo contingente;
    sarà il Governo italiano a ripartire la nuova disponibilità di quote che, attualmente è così distribuita tra i diversi sistemi consentiti di cattura: circuizione con 1.451,23 tonnellate (pari al – 74,406 per cento), palangaro con 265,00 tonnellate (pari al 13,587 per cento), tonnara fissa con 165,00 tonnellate (pari all'8,460 per cento), pesca non professionale con 69,19 tonnellate pari al 3,547 per cento;
    è di tutta evidenza che la distribuzione storica delle quote tra i diversi sistemi di cattura presenta sproporzioni e squilibri che il richiamato incremento delle disponibilità offre l'occasione, se non di sanare, di ridurre e limitare;
    nella nuova assegnazione delle quote è opportuno inoltre che si tenga conto della necessità di estendere le quote a regioni che ne sono prive e di garantire il criterio comunitario dell'adeguatezza economica della quota in rapporto alla specificità del sistema di cattura e di conseguenza della precisa attribuzione di quota ad ogni impianto di pesca, comprese le tonnare fisse;
    la ripartizione della quota incrementale consentita da ICATT dovrà privilegiare, si ribadisce, le regioni che ne sono prive ed i sistemi palangaro e tonnara fissa, ai quali sarebbe sostanzialmente destinata la maggior parte dell'aumento del contingente di cattura destinato all'Italia – valutato in 351 tonnellate per il solo 2015 – salvo per equazione/compensazione dei successivi aumenti nel 2016 e 2017 tra tutti i sistemi, per garantire appunto a fine triennio lo stesso aumento percentuale per tutti;
    la tonnara fissa e il palangaro sono metodi di pesca decisamente meno distruttivi dei metodi quali sciabica o circuizione e utilizzano più forza lavoro nelle varie fasi della pesca, pertanto diventa opportuno procedere, con sollecitudine, a stabilire il riparto tra i vari sistemi di pesca delle quote di cattura del tonno rosso assegnate annualmente premiando i sistemi più sostenibili;
    vanno inoltre incentivate tutte le migliori pratiche che coniughino sostenibilità ambientale a lungo termine collegate alle attività di pesca e gestione di tali attività in grado di conseguire vantaggi a livello socioeconomico e occupazionale;
    appare pertanto urgente modificare le modalità di attribuzione delle quote, con particolare riguardo a quella indivisa, al fine di superare i gravi inconvenienti riscontrati in questi anni dagli operatori della pesca di quelle regioni italiane escluse dall'attribuzione delle quote finora stabilite;
    in tale contesto appare importante attuare un approccio improntato all'attuazione progressiva, rispetto al raggiungimento di un equilibrio tra capacità di pesca e possibilità di pesca, ponendo attenzione anche ad interventi sul versante dell'ammodernamento e del nuovo dimensionamento delle flotte e a misure mirate e selettive rispetto alle specie ittiche, tenendo presente l'impatto socio-economico,

impegna il Governo:

   a fare in modo che l'incremento del massimale di cattura, aumentato per il 2015 del 20 per cento rispetto al 2014 dalla Commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell'Atlantico (ICCAT), sia attribuito anche alle regioni oggi escluse e che sia implementata, in ogni caso, la quota di riparto destinata ai sistemi sostenibili per la pesca del tonno mediante palangaro e tonnara fissa;
   a rafforzare l'impegno sul piano della ricerca scientifica connessa alla biologia ittica e all'ecosistema marino, coinvolgendo gli enti e le strutture preposte a livello nazionale;
   ad assumere iniziative volte a limitare, per la pesca non professionale, la cattura a un singolo esemplare per imbarcazione.
(7-00611) «Venittelli, Oliverio, Francesco Sanna, Cani».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il comma 421 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha l'obiettivo di ridurre ex lege in dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario. In relazione ai processi di riordino delle funzioni delle province, secondo la previsione della legge 7 aprile 2015, n. 56 (legge Delrio), il legislatore ha rapportato le dotazioni organiche delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario al fabbisogno connesso con lo svolgimento delle funzioni fondamentali attribuite dalla predetta legge n. 56 del 2014;
   nello specifico la previsione dispone che, a decorrere dal 1o gennaio 2015, la dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario è ridotta in misura rispettivamente pari al 30 e al 50 per cento della spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2015, n. 56, senza fare alcun tipo di riferimento alle funzioni fondamentali. Si precisa, inoltre, che a decorrere dal 1o gennaio 2015 il valore della spesa della dotazione organica è ridotto ex lege nelle percentuali indicate e che, entro 30 giorni (31 gennaio 2015), gli enti di area vasta possono effettuare una riduzione maggiore laddove ritengano che il loro fabbisogno complessivo di personale, necessario a consentire lo svolgimento delle funzioni fondamentali, possa essere inferiore;
   la legge di stabilità, inoltre, prevede che:
    a) entro 60 giorni vanno definite le procedure di mobilità del personale interessato, con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa consultazione con le confederazioni sindacali rappresentative e previa intesa in sede di Conferenza unificata, che dovrà fissare i criteri per realizzare i processi di mobilità, anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico;
    b) entro 90 giorni, tenuto conto del riordino delle funzioni di cui alla legge n. 56 del 2014, secondo modalità e criteri definiti nell'ambito delle procedure e degli osservatori regionali, va individuato il personale che rimane assegnato alle province e quello da destinare alle procedure di mobilità, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale previste dalla normativa vigente;
    c) le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data del 1o gennaio 2015 e alla ricollocazione nei propri ruoli delle uniti soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilia. Esclusivamente per le finalità di ricollocazione del personale in mobilità le regioni e gli esiti locali destinano, altresì, la restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo cessato negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricollocazione del personale soprannumerario. Le assunzioni effettuate in violazione di tali disposizioni sono nulle;
    d) il dipartimento della funzione pubblica avvia, presso le amministrazioni dello Stato, una ricognizione dei posti da destinare alla ricollocazione del personale delle province interessato ai processi di mobilità. Le amministrazioni statali comunicano un numero di posti, soprattutto riferiti alle sedi periferiche, corrispondente, sul piano finanziario, alla disponibilità delle risorse destinate, per gli anni 2015 e 2016, alle assunzioni di personale a tempo indeterminato. Le procedure di mobilità si svolgono procedendo in via prioritaria alla ricollocazione presso gli uffici giudiziari; le assunzioni effettuate in violazione di tali disposizioni sono nulle;
    e) fino alla conclusione delle procedure di mobilità, il personale rimane in servizio presso le città metropolitane e le province con possibilità di avvalimento da parte delle regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente utilizzatore;
    f) a conclusione del processo di ricollocazione, le regioni e i comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni alle province, dispongono contestualmente l'assegnazione del relativo personale con oneri a carico dell'ente delegante o affidante, previa convenzione con gli enti destinatari;
    g) al 31 dicembre 2016, nel caso in cui il personale interessato ai processi di mobilità non sia completamente ricollocato, presso ogni ente di area vasta, ivi comprese le città metropolitane, si procede, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali che deve comunque concludersi entro trenta giorni dalla relativa comunicazione, a definire criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale del personale non dirigenziale con maggiore anzianità contribuiva;
    h) nel caso di mancato completo assorbimento dei soprannumeri e a conclusione del processo di mobilità tra gli enti, si applicano le disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
   il 20 gennaio 2015, sulla Gazzetta Ufficiale (4a serie speciale – concorsi ed esami n. 5) è stato pubblicato il bando di mobilità volontaria esterna per la copertura di complessivi 1.031 posti vacanti di personale amministrativo destinato agli uffici giudiziari, ad avviso degli interpellanti, non tenendo conto delle previsioni della legge di stabilità che sanziona con la nullità le assunzioni effettuate in violazione della suddetta procedura;
   inoltre, il bando del Ministero della giustizia a giudizio degli interpellanti ignora e viola il comma 425 della legge di stabilità in quanto non prevede alcuna priorità del personale in sovrannumero delle province e addirittura stabilisce, all'articolo 4 punto 4, che il personale appartenente ad amministrazione diversa dai Ministeri dovrà allegare alla domanda una dichiarazione della propria amministrazione, con la quale la stessa si impegna «a procedere al versamento delle risorse corrispondenti al 50 per cento del trattamento economico spettante al personale interessato al trasferimento»;
   è dunque evidente che tale previsione impedisce la partecipazione del personale delle province, in quanto queste ultime non posso assicurare l'impegno espresso all'articolo 4 punto 4 del bando sopra indicato, proprio perché l'effetto combinato dei tagli previsti dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e dalla Legge di stabilità 2015 non consentono l'esercizio neanche delle funzioni fondamentali riconosciute alle province e città metropolitane dalla legge n. 56 del 2014, con conseguente disavanzo di parte corrente, interruzione dei servizi e premessa per il dissesto finanziario;
   in aggiunta il bando risulta agli interpellanti, espressamente in contrasto con il comma 425 della legge di stabilità allorché prevede, con riferimento al personale in sovrannumero delle province, che «Le procedure di mobilità di cui al presente comma si svolgono secondo le modalità e le priorità di cui al comma 423, procedendo in via prioritaria alla ricollocazione presso gli uffici giudiziari e facendo in tal caso ricorso al fondo di cui all'articolo 30, comma 2.3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, prescindendo dall'acquisizione al medesimo fondo del 50 per cento del trattamento economico spettante al personale trasferito facente capo all'amministrazione cedente»;
   è, dunque, evidente che la pubblicazione del bando del Ministero della giustizia rappresenti un comportamento che contraddice in particolare le dichiarazioni di alcuni esponenti del Governo che più volte hanno affermato che, sebbene la legge di stabilità abbia bloccato qualsiasi processo di assunzione da parte degli altri enti, dalle regioni alle prefetture, agli impiegati delle province spetta, comunque, la priorità insieme ai vincitori di concorso;
   invece di rendere agevole il passaggio in mobilità del personale delle province al Ministero della giustizia, affinché possa trovare collocazione là dove ve ne è necessità ed in particolare nei tribunali che soffrono di cronica carenza di organico, lo rende infatti sostanzialmente inattuabile;
   si tratta dunque di una previsione illogica che non tiene in alcun modo conto dei pesanti tagli di bilancio cui sono state sottoposte le province negli ultimi anni e che quindi rischia di vanificare un percorso virtuoso di valorizzazione del personale oggi non più necessario a seguito del ridimensionamento del ruolo delle amministrazioni provinciali;
   la previsione del bando del Ministero della giustizia ha senz'altro confermato che il risultato finale di tutta questa operazione di riordino regna nell'incertezza sulle funzioni, sui servizi e ancor più sul personale e che, ad oggi, non ha comportato alcun risparmio né alcuna razionalizzazione del servizi –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per evitare di porre in essere misure incoerenti con gli obiettivi di razionalizzazione ed efficientamento della pubblica amministrazione, e comunque contrarie a quanto prescritto dalla legge di stabilità 2015, ingenerando assoluto discredito nei confronti delle pubbliche amministrazioni, e per garantire che la norma valga uniformemente per tutti i Ministeri, le amministrazioni periferiche dello Stato, per le regioni e gli enti locali;
   se intenda ritirare autotutela il bando, sospenderne i termini o in alternativa procedere a rettifica con una nuova pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che consenta la mobilità e specifichi che, in ottemperanza al comma 425 della legge di stabilità 2015; per il personale delle province si prescinde all'acquisizione del 50 per cento del trattamento economico spettante al personale trasferito facente capo all'amministrazione cedente.
(2-00870) «Russo, Palese».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 17 febbraio 2015 il consiglio regionale dell'Umbria ha approvato una nuova legge elettorale;
   il testo, che pare, agli interpellanti, confezionato su misura a garanzia dello status quo, manifesta evidenti profili di illegittimità costituzionale, soprattutto nella parte che prevede l'assegnazione del premio di maggioranza del 60 per cento (62 per cento, se si considera anche il seggio riservato al presidente) alla coalizione che consegue un solo voto in più rispetto alle altre, senza fissare alcuna soglia minima di voti;
   nello specifico, l'articolo 15, comma quinto, lettera d), della legge n. 108 del 1968, come modificato dall'articolo 14 della nuova legge umbra, stabilisce che l'ufficio unico circoscrizionale, entro ventiquattro ore dal ricevimento degli atti delle sezioni elettorali, «verifica se il totale dei seggi complessivamente conseguiti dalla coalizione di liste, o lista non unita in coalizione, collegata al candidato alla presidenza della Giunta risultato eletto, sia pari o superiore a 12 seggi. Assegna, quindi, alla coalizione di liste, o lista non unita in coalizione, collegata al candidato alla presidenza della Giunta regionale risultato eletto, 12 seggi»;
   l'attribuzione del premio di maggioranza, a prescindere dal raggiungimento di una certa soglia di consensi da parte delle liste collegate al presidente eletto, costituisce una palese alterazione del circuito democratico e una pericolosa compromissione del principio di uguaglianza del voto;
   la Corte costituzionale, nella sentenza n. 1 del 2014, ha rilevato che sul cosiddetto «Porcellum» «Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, in quanto combinato con l'assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all'assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (articolo 48, secondo comma, Costituzione). Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961). Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del Governo del Paese e dell'efficienza dei processi decisionali nell'ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli articoli 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Costituzione. In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell'assemblea, nonché dell'eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente»;
   il premio di maggioranza, previsto dalla legge umbra, non solo non è soggetto a soglia minima, ma non risponde neppure a criteri di proporzionalità e ragionevolezza (richiamati dalla sentenza della Corte sul porcellum), dal momento che assegna sempre e comunque 12 seggi (+1): paradossalmente è ingiusto anche nel caso che si vinca con l'80 per cento dei voti, perché poi vengono assegnati solo il 60 per cento dei seggi;
   costituiscono ulteriori elementi di criticità della legge (in quanto creano ulteriore distorsione tra espressione del voto e attribuzione dei seggi) il conferimento di un premio di minoranza pari ad un seggio riservato per il candidato presidente miglior perdente e scorporato dall'assegnazione dei residui sette seggi spettanti alla minoranza; la disparità di trattamento tra le liste che compongono la coalizione vincente rispetto a tutte le altre (sia che siano in coalizioni di minoranza, sia che si presentino da sole); l'attribuzione dei seggi in base ai voti ottenuti dai candidati a Presidente, anziché a quelli ottenuti dalle coalizioni e liste –:
   in ragione degli elementi riportati in premessa, se il Governo abbia intenzione di assumere iniziative per impugnare innanzi la Corte costituzionale la nuova legge regionale umbra, nel rispetto dell'uguale diritto di voto di ciascun elettore e del carattere rappresentativo dell'assemblea legislativa regionale, conformemente ai principi dettati dalla Consulta.
(2-00872) «Galgano, Mazziotti Di Celso».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia nella seduta del 17 febbraio 2015 ha indetto un referendum consultivo concernente l'attribuzione di ulteriori forme di autonomia ai sensi dell'articolo 116 terzo comma della Costituzione;
   già la regione Lombardia aveva approvato il 3 aprile 2007 la deliberazione n. VIII/367 (pubblicata sul bollettino della regione Lombardia n. 17, serie ordinaria del 23 aprile 2007) che impegnava il presidente della regione ad avviare il confronto con il Governo per definire e sottoscrivere un'intesa, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con riferimenti ad ambiti relativi a dodici materie;
   il 30 ottobre 2007 il Consiglio dei ministri del Governo Prodi aveva avviato l'esame preliminare del disegno di legge per l'attuazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione ed era stata firmata una intesa tra Governo e regione Lombardia con la quale si avviava il negoziato per verificare «le condizioni di trasferibilità delle competenze dallo Stato nazionale al governo regionale»;
   con la caduta del Governo Prodi e le elezioni della primavera del 2008 entrato in carica il IV Governo dell'onorevole Berlusconi, il tavolo per l'attuazione delle attribuzioni di condizioni speciali di autonomia non fu più convocato. Il Ministro dell'interno pro tempore era Roberto Maroni, quello alle riforme per il federalismo Umberto Bossi, quello alla semplificazione amministrativa Roberto Calderoli;
   la stessa regione Lombardia aveva già chiesto l'avvio dell'intesa, senza procedere a referendum, in quanto non obbligatorio per legge;
   la legge finanziaria del 2014 (articolo 1, comma 571, legge n. 143 del 2013) ha previsto una procedura per tutte le regioni a statuto ordinano finalizzato all'attuazione della disposizione costituzionale. La procedura in questione si articola sulla previsione di un termine di 60 giorni entro il quale il Governo è tenuto ad attivarsi sulle iniziative regionali al fine dell'intesa prevista dalla Costituzione;
   i cittadini lombardi sono stati fatti partecipi della richiesta di cui la delibera regionale del 17 febbraio 2015 in quanto, nel programma di Governo la regione Lombardia ha individuato tra le priorità la richiesta al Governo e al Parlamento di una maggiore autonomia;
   la delibera consiliare non indica le funzioni che si intendono ottenere dal Governo, quindi il referendum consultivo così formulato non permette ai cittadini di condividere la responsabilità della scelta delle funzioni che dal Governo passerebbero alla regione, modificando così il rapporto dei cittadini e le imprese con la regione stessa e il Governo;
   il quesito referendario non chiarisce le materie che il consiglio regionale intende proporre al Governo per l'intesa, lasciandole vaghe e indeterminate, e riservandosi una autonomia di scelta in contrasto con lo stesso articolo 52 dello statuto regionale che regola l'indizione dei referendum consultivi. Lo statuto regionale infatti, regola la possibilità di indire referendum consultivi, se vertono «su questioni di interesse regionale, o su provvedimenti interessanti popolazioni determinate». Così come stato formulato il quesito, non emergono le questioni di interesse regionale per cui chiedere l'intesa, sottraendo così ai cittadini chiamati ad esprimersi di valutare il merito della proposta;
   in questa fase di crisi economica è inopportuno spendere 30 milioni di euro di denaro dei cittadini lombardi per avviare procedura prevista dalla Costituzione;
   si è in una fase di modifica della Costituzione, e Senato e Camera hanno approvato la modifica dell'articolo 116 della Costituzione. L’iter previsto per l'approvazione delle modifiche alla Costituzione prevede una seconda lettura di Camera e Senato e infine la proposta verrà sottoposta al vaglio dei cittadini attraverso referendum;
   per poter procedere fin da subito alla definizione di una bozza d'intesa occorre prendere come riferimento la regola della «doppia conformità» che nella fase di passaggio da una legge ad un altra permette di utilizzare le norme previste in entrambi i testi e comunque quelle più restrittive. Con questa logica le materie che possono essere oggetto di una intesa sono:
    a) Organizzazione della giustizia di pace;
    b) Istruzione, ordinamento scolastico, ricerca scientifica e tecnologica;
    c) Tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; attività culturali;
    d) Governo del territorio;
    e) politiche attive del lavoro e all'istruzione e formazione professionale;
    f) istruzione universitaria;
    g) turismo –:
   se si intenda prendere in considerazione l'urgenza di avviare un confronto con la regione Lombardia per individuare particolari forme di autonomia, in coerenza con l'articolo 116 della Costituzione;
   se non ritenga che non spetti all'autonomia delle regioni a statuto ordinario che la possibilità di avviare un referendum consultivo senza che, prima siano stati sentiti i comuni (comma terzo articolo 116) e sia stato definito il possibile contenuto di una intesa con il Governo per chiamare (nel caso) i cittadini ad esprimersi su un questito chiaro e definito e non su una procedura, e quali iniziative di competenza intenda adottare al riguardo.
(2-00874) «Gasparini, Fiano, Rampi, Braga, Gadda, Peluffo, Pollastrini, Mauri, Tentori, Casati, Giuseppe Guerini, Senaldi, Marantelli, Galperti, Prina, Malpezzi, Bazoli, Dell'Aringa, Cinzia Maria Fontana, Quartapelle Procopio, Rossi, Fragomeli, Carnevali, Cominelli, Scuvera, Guerra, Carra, Berlinghieri, Ferrari, Misiani».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   i nuovi atti depositati dalla procura di Trani nell'ambito dell'inchiesta sul declassamento dell'Italia (da A a BBB+) il 13 gennaio 2012 da parte di Standard & Poor's, mettono in luce ulteriori aspetti che non possono lasciare indifferenti il Governo italiano, e, in particolare, il Ministero dell'economia e delle finanze che, fino ad ora, non si è ancora costituito parte civile nel processo in corso;
   negli ultimi giorni è emerso un nuovo forte «elemento indiziario» contro Standard & Poor's e Fitch, ovvero il pagamento, secondo la procura, di 2,6 miliardi di euro disposto «senza battere ciglio» dal Ministero dell'economia e delle finanze italiano a Morgan Stanley dopo il declassamento del rating italiano deciso «illegittimamente e dolosamente» da Standard & Poor's «al solo fine di danneggiare l'Italia». Il pagamento era previsto da una clausola del contratto di finanziamento tra il Ministero dell'economia e delle finanze e la banca d'affari americana: una clausola su cui pesa e assume particolare rilievo l'informazione che la Consob ha comunicato alla Procura di Trani: Morgan Stanley è tra gli azionisti di McGraw Hill, il colosso che controlla Standard & Poor's;
   dalle carte emerge che, a partire dagli anni Novanta, ci furono contratti di finanziamento tra il Ministero dell'economia e delle finanze e le banche d'affari statunitensi, con clausole bilaterali che prevedevano che in qualsiasi momento i contratti potevano essere chiusi, e sarebbe stato liquidato l'attivo alla parte cui spettava; per motivi mai spiegati, con Morgan Stanley la clausola era unilaterale, e poteva essere esercitata dalla banca al verificarsi di due condizioni: il declassamento dell'Italia, e se vi fosse stata un'esposizione elevata verso il nostro Paese (se la banca cioè avesse avuto in portafoglio una quantità di titoli italiani che superasse una certa soglia);
   e fu così che nel 2012, a seguito del declassamento del debito italiano, grazie a quella clausola, Morgan Stanley (azionista di McGraw Hill, che controlla proprio Standard & Poor's) decise di chiudere il contratto, e ottenne dunque dal Governo Monti, che era subentrato a novembre all'esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, ben 2,6 miliardi di euro;
   ed è qui che assumono particolare rilevanza i nuovi particolari che emergono dalle indagini integrative svolte dal pubblico ministero Michele Ruggiero dopo la conclusione dell'inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio per «manipolazione del mercato» di Standard & Poor's e di Fitch e sei tra manager e analisti delle stesse agenzie di rating. Gli imputati sono accusati dalla procura di Trani di manipolazione del mercato, aggravata dalla «rilevante offensività» (perché il reato è commesso ai danni dello Stato sovrano italiano) e dalla rilevantissima gravità del danno patrimoniale provocato;
   gli atti sono stati depositati al tribunale dinanzi al quale il 5 marzo 2015 riprenderà il processo al quale hanno chiesto di costituirsi parte civile le associazioni dei consumatori, e partecipano come parti offese Banca d'Italia e Consob. Assente invece il Governo e il Ministero dell'economia e delle finanze;
   la mancata costituzione al processo di Palazzo Chigi e del Ministero dell'economia e delle finanze, stigmatizzata anche dallo stesso pubblico ministero di Trani (che l'ha definita «una scelta che rispetto, ma che francamente mi sorprende»), dinnanzi ad una mossa che, come definisce la stessa accusa, avrebbe provocato «una destabilizzazione dell'immagine, del prestigio e degli affidamenti creditizi dell'Italia sui mercati finanziari nazionali ed internazionali», un deprezzamento dei titoli di Stato e un indebolimento dell'euro, suscita ben più di una perplessità;
   inoltre, la scelta del Governo si presenta alquanto dubbia anche perché sussisterebbe la possibilità, in caso di condanna delle agenzie di rating, di una rivalsa dei risparmiatori sulle casse dello Stato, che, tramite vigilanza di Banca d'Italia e Consob, avrebbe dovuto impedire tali ipotetici atti fraudolenti, tutto ciò comportando un ulteriore danno e un esborso notevole da parte dello Stato;
   per di più non si comprende come sia possibile che l'Italia abbia pagato 2,6 miliardi di euro «senza battere ciglio»; ed appare discutibile che quantomeno non ci si potesse difendere in qualche modo da questa clausola; a tal proposito, nel corso di un'audizione svolta in Commissione Finanze alla Camera nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati, la dottoressa Maria Cannata, che da quindici anni è dirigente generale e capo della direzione del debito pubblico, ha avuto modo di argomentare come fosse impossibile «ribellarsi» a tale clausola: secondo la dottoressa Cannata, se il Tesoro non avesse pagato, «il danno reputazionale che ne sarebbe derivato sarebbe stato enorme con conseguenze assolutamente insostenibili», nei confronti dei mercati. La dottoressa Cannata ha altresì affermato che oggi quel tipo di clausole non esistono più, ma «ciò non vuol dire che, su singole posizioni, non ci sia qualche clausola di chiusura anticipata, ma si tratta sempre di clausole mutual ovvero esercitabili da entrambe le parti»;
   dal 2011 ad oggi, il numero di operazioni con clausole di questo tipo sarebbe stato ridotto (da 35 a 13), e solo in due casi è avvenuto l'esercizio da parte della controparte, nel giugno e nel dicembre 2014; la dottoressa Cannata non ha però specificato chi ha chiuso i due derivati e quanto ci è costato; né si conoscono contenuti dei contratti di derivati dello Stato italiano ancora in essere; chi siano le controparti e per quali importi; quando siano stati stipulati e da chi; con quali clausole. Inoltre, non si ha evidenza pubblica della Relazione semestrale che il Ministero dell'economia e delle finanze dovrebbe inviare alla Corte dei conti sulla gestione del debito, prevista dal decreto del Ministero del tesoro del 10 novembre 1995, che fornisca un resoconto dettagliato dell'operatività in derivati, esplicativo delle strategie ed obiettivi perseguiti, nonché di come vi si siano inquadrate le singole operazioni realizzate;
   in ogni caso, quello dei titoli derivati stipulati dal Tesoro italiano per ridurre l'incertezza sul servizio del debito pubblico è un tema carsico di cui si discute da tempo (sono numerose le interrogazioni e interpellanze parlamentari e le indagini conoscitive che si sono susseguite negli anni), ma la verità è ancora lontana dall'essere svelata. Ciò di cui oggi si è, a fatica, al corrente è soltanto che il totale di titoli derivati sottoscritti dallo Stato italiano ammonta a circa 160 miliardi di euro (di cui il 72 per cento sono «interest rate swap»; il 12 per cento sono «swaptions»; 14 per cento sono «cross currency swap»; il 2 per cento altri titoli derivati legati ad operazioni specifiche), pari a un decimo del Pil del nostro Paese; che le controparti sono le stesse banche che acquistano sul mercato primario i nostri titoli di Stato; che nel 2012 il Governo Monti ha «chiuso» un contratto in essere con Morgan Stanley realizzando perdite per 2,6 miliardi; e che, sull'intero ammontare, si rischiano perdite superiori a 40 miliardi di euro;
   in un articolo pubblicato sul Corriere della sera del 23 dicembre 2014 da Milena Gabanelli, si chiedeva l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta, con gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, per chiarire la posizione finanziaria dell'Italia in relazione a questi pericolosi, e costosi, titoli in portafoglio. Quella stessa commissione d'inchiesta che Forza Italia chiede da tempo per chiarire le vicende, le cause e le responsabilità, anche internazionali, che nell'estate-autunno del 2011 portarono alla speculazione finanziaria sul debito sovrano del nostro Paese e alle successive dimissioni del governo Berlusconi, l'ultimo legittimamente eletto dai cittadini;
   il tema dei derivati, infatti, è strettamente collegato a quanto avvenuto in quei mesi del 2011; il downgrade anomalo del debito pubblico dell'Italia da parte delle agenzie di rating innescò la corsa al rialzo dello spread tra i rendimenti dei titoli decennali del debito pubblico italiano e i corrispondenti titoli del debito pubblico tedesco. E la corsa a rialzo dello spread aumentò il potere contrattuale delle banche con cui lo Stato aveva in essere contratti derivati, ai fini della loro rinegoziazione; o, come è avvenuto nel 2012, proprio con il presidente Monti, per «chiuderli», alla cifra di 2,6 miliardi;
   durante il più tecnico dei governi (quello di Monti), in soli sei mesi si ristrutturarono contratti per 30 miliardi di euro, consolidando 8 miliardi di perdite; si pagarono 2,6 miliardi a Morgan Stanley (dove lavora un ex Ministro del tesoro) e si impose una tassa sulla casa ed un'imposta di bollo a milioni d'italiani;
   downgrade e spread sono stati, infatti, utilizzati, da un lato, a livello politico, per portare alle dimissioni del governo Berlusconi; dall'altro, a livello finanziario, dai mercati, per speculare sui titoli del nostro debito pubblico, e dalle banche, per aumentare il proprio guadagno nel rinegoziare i titoli derivati stipulati con lo Stato italiano;
   i soggetti che sono dietro tutte e tre queste operazioni sono gli stessi o sono fortissimamente collegati tra loro: nel panorama di quell'autunno del 2011 gli investitori-speculatori, che con le loro azioni concordate e concertate potevano far scendere a loro piacimento i prezzi dei titoli del debito sovrano dei Paesi e aumentare i rendimenti, erano anche gli stessi soggetti (banche, fondi di investimento e altro) che controllavano le agenzie di rating, che giudicavano la credibilità e il merito di credito degli emittenti dei titoli che loro stessi scambiavano sui mercati;
   e sono sempre gli stessi soggetti investitori (banche, fondi e altro) che sono passati all'incasso quando gli Stati, gli enti. pubblici o le imprese con cui avevano sottoscritto contratti derivati, stremati dall'aumento degli spread, e quindi dei rendimenti dei titoli con il collasso dei relativi valori e il downgrade del loro rating, rischiavano di non essere solvibili;
   sono circa 20 grandi banche o fondi di investimento che giocano sui mercati finanziari internazionali, orientandone l'andamento a loro piacimento e speculando, al solo fine di ottenere ingenti guadagni. Il tutto sulla pelle degli ignari cittadini, su cui queste operazioni si ripercuotono come anello finale della catena;
   in tutto ciò, il Governo italiano, se non si costituirà parte civile nel corso del processo di Trani, nonostante il grosso danno causato all'erario e la destabilizzazione totale dell'immagine dell'Italia, rischia di ammettere implicitamente di aver fatto parte di questa macchina perversa di speculazione ai danni del nostro stesso Paese;
   nel corso del question time alla Camera dei deputati di mercoledì 11 febbraio 2015, dinnanzi alla richiesta avanzata dal MoVimento 5 Stelle in merito ai motivi per cui lo Stato non si fosse costituito parte civile al processo di Trani, il Ministro per le riforme, onorevole Maria Elena Boschi, ha dichiarato che «nel caso specifico non si sono rilevate prove evidenti di una connessione tra l'annuncio pubblico del declassamento della Repubblica italiana e, quindi, del downgrading operato da queste società di rating a mercati aperti e l'andamento dei titoli, sia perché l'andamento dei titoli è determinato da molteplici fattori sul mercato e, quindi, non c'era una stretta evidenza, sia perché nei giorni immediatamente successivi non ci sono state collocazioni di titoli di Stato, quindi, non si è potuto verificare un impatto negativo né un particolare andamento negativo conclamato dei titoli italiani, del sistema bancario e, quindi, del debito pubblico in generale». Ebbene, sarebbe da chiarire se il Governo intende confermare questa «non-spiegazione» anche alla luce delle ulteriori rivelazioni del processo in corso;
   inoltre, dinnanzi ad un sistema in cui il rapporto tra finanziatori/banche/speculatori è appeso ad un filo sottile, e, alla luce di un sistema di incompatibilità che vede, ad esempio, per i dirigenti delle Autorità indipendenti l'impossibilità di intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con le imprese operanti nel settore di competenza, per almeno due anni dalla cessazione dell'incarico, è necessaria una riflessione in merito alla compatibilità degli alti dirigenti di un dipartimento come quello del tesoro, con un contratto per una posizione apicale all'interno di quelle stesse banche con cui lo stesso tesoro ha stipulato contratti;
   di seguito infatti alcuni esempi, con tutto il rispetto, che giustificherebbero da soli un intervento normativo in tal senso; Mario Draghi a Goldman Sachs, Domenico Siniscalco a Morgan Stanley, Vittorio Grilli a Credit Suisse, Giuliano Amato consulente Deutsche Bank, Linda Lanzillotta a Jp Morgan: tutti dirigenti (o addirittura Ministri) del tesoro per cui il passo verso il «partner» con cui erano stati stipulati accordi è stato a dir poco breve –:
   se, non solo a causa della partecipazione azionaria di Morgan Stanley nella società che controlla Standard & Poor's, ma anche, più in generale, per la straordinaria gravità delle accuse di destabilizzazione dell'immagine, del prestigio e degli affidamenti creditizi dell'Italia sui mercati finanziari nazionali ed internazionali, nonché di deprezzamento dei titoli di Stato e di indebolimento dell'euro, il Governo e il Ministero dell'economia e delle finanze non intendano costituirsi parte civile nei processi in corso presso il tribunale di Trani;
   se il Governo non intenda garantire la piena attuazione del principio di total disclosure che deve governare tutta l'attività dell'amministrazione pubblica, ai sensi di quanto stabilito sin dal decreto legislativo n. 150 del 2009, pubblicando in integrale tutti i contratti derivati in essere dello Stato italiano, al fine di rendere note a tutti tutte le informazioni in merito ai contenuti degli stessi; chi siano le controparti e per quali importi; quando siano stati stipulati e da chi; con quali clausole;
   se il Governo non intenda intervenire, nell'ambito della propria competenza, per una revisione del sistema delle incompatibilità dei dirigenti del Tesoro, in particolare nei riguardi delle società che hanno effettuato accordi con il Ministero dell'economia e delle finanze nel corso del loro incarico.
(2-00875) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta orale:


   FRANCO BORDO e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i Regolamenti comunitari n. 804/68, n. 856/84 e n. 1234/2007 (regolamento unico OCM) assegnano, a ciascuno Stato membro, dei massimali di produzione del latte e di prodotti lattieri che non possono essere superati. All'interno di ciascuno Stato membro, poi, la quota viene divisa fra i vari produttori lattieri, ciascuno dei quali, pertanto, non può superare una soglia specifica;
   lo sforamento di tale tetto massimo, da parte del singolo produttore, impone al medesimo di pagare, sulla produzione in eccedenza e in favore dello Stato cui appartiene, un importo di denaro qualificato come «prelievo supplementare»;
   l'articolo 66 del Regolamento (CE) n. 1234/2007 del 22 ottobre 2007, ha prorogato il sistema delle «quote latte» fino alla campagna lattiera del 2014/2015. Il regime delle quote cesserà il 31 marzo 2015;
   il mancato pagamento dei «prelievi», da parte delle imprese italiane, ha costituito oggetto di una serie di procedure di infrazione già promosse dalla Commissione Europea fra il 1994 e il 1998, poi archiviate a seguito del ripetuto intervento del legislatore italiano, con una serie di provvedimenti ritenuti dalla Commissione adeguati a soddisfare le proprie richieste;
   con Decisione 2003/530/CE del 16 luglio 2003, la Commissione europea ha concesso la rateizzazione dei pagamenti dovuti da quelle aziende che, avendo già contestato in sede giudiziale le ingiunzioni delle Amministrazioni italiane al pagamento dei prelievi, si fossero ritirate dal contenzioso. Un certo numero di produttori aderì a detti piani di rateizzazione;
   la Commissione europea in data 20 giugno 2013 ha inviato all'Italia la messa in mora. Di fatto, la Commissione europea ha posto l'Italia sotto procedura di infrazione (n. 2013/2092 – articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) per il mancato recupero alle casse dello Stato, a tutt'oggi, di prelievi per un importo di 1,423 miliardi di euro. Questa cifra corrisponde al debito, fino ad oggi e per le campagne dal 1995/1996 al 2008/2009, dei produttori lattieri che non hanno aderito ai programmi di rateizzazione (per scelta o in quanto esclusi dalla «copertura» di cui alla citata Decisione), calcolato al netto di 158 milioni di euro non più recuperabili;
   a seguito della notifica della messa in mora, la Commissione europea ha emesso in data 10 luglio 2014 un parere motivato, che rappresenta la seconda tappa della procedura di infrazione. Nel parere si chiedeva all'Italia di trasmettere una risposta soddisfacente in merito all'attività di recupero delle multe arretrate non ancora pagate da quei appena 2000 produttori di cui 600 di loro devono pagare somme superiori a 300.000 euro, a fronte di oltre 35.000 allevatori in regola;
   la Corte dei conti nel 2012 aveva denunciato, con una relazione circostanziata, il rischio dell'apertura di una falla nel bilancio dello Stato e, precisamente, «...questo modo di procedere consente di mantenere sommerso un debito a carico del bilancio statale...» sottolineando la «...pericolosità finanziaria delle ingenti anticipazioni di tesoreria...»;
   lo Stato italiano per far fronte agli impegni con la Commissione europea, che altrimenti si sarebbe rivalsa sui contributi agli agricoltori (PAC), è ricorso alle anticipazioni di tesoreria statale, il tutto per sanare un buco di complessivi 4,4 miliardi di euro;
   con la deliberazione n. 12/2014/G del 9 ottobre 2014, la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti ha ricostruito la vicenda del mancato recupero delle «quote latte». Nel paragrafo «Valutazioni conclusive sui mancati recuperi» si legge che: «...la Corte dei conti ha svolto, nell'anno 2012, un'indagine su «Quote latte: la gestione degli interventi di recupero delle somme pagate dallo Stato in luogo degli allevatori per eccesso di produzione (delib. n. 20/2012/G) e, nel 2013, una successiva sugli esiti della prima, Quote latte: la gestione delle misure consequenziali finalizzate alla rimozione delle disfunzioni rilevate nel recupero del prelievo a carico degli allevatori (delib. n. 11/2013/G). Le relazioni hanno riscontrato notevoli criticità sulle modalità di gestione degli interventi, individuando, altresì, le cause dei ritardi nei recuperi e le responsabilità dei molteplici soggetti istituzionali operanti nel settore. La conseguenza finanziaria della cattiva gestione trentennale delle quote latte – caratterizzata dalla confusione della normativa, delle procedure, delle competenze e delle responsabilità dei soggetti investiti e dall'incertezza sui dati di produzione – si è tradotta in un esborso complessivo nei confronti dell'Unione europea, ad oggi, di oltre 4,4 miliardi di euro. Per il periodo precedente la campagna lattiera 1995/96, l'onere si è scaricato interamente sull'erario, mentre le somme teoricamente recuperabili nei confronti degli allevatori – e già anticipate all'Unione a carico della fiscalità generale – superano l'importo di 2.537 milioni. Tuttavia, risultava imputabile ai produttori, secondo l'Ag.e.a., nel mese di dicembre 2012, il minor ammontare di 2.263 milioni, ridotto a 2.260 nel settembre 2013, ed ulteriormente diminuito a 2.207 milioni, secondo la comunicazione del luglio 2014. Di esso, il recuperato effettivo è trascurabile. L'accollo da parte dello Stato dell'onere del prelievo si configura come violazione non solo della regolamentazione dell'Unione europea ma, altresì, degli obiettivi della sua politica economica, indirizzati all'efficiente organizzazione del mercato lattiero-caseario, al suo assetto strutturale in linea con la necessità di contenere le produzioni ed alla tutela della libera concorrenza tra i produttori del settore ... »;
   la Commissione europea in data 26 febbraio 2015 ha deferito l'Italia alla Corte di Giustizia europea per il mancato recupero, su un totale di 2,265 miliardi di euro, di 1,395 miliardi di multe dovuti dai produttori di latte che nelle campagne dal 1995 al 2009 avevano superato le rispettive quote di produzione assegnata all'Italia dall'Unione;
   la Commissione europea nelle sue comunicazioni inviate più volte al Governo italiano ha stigmatizzato che: «...risulta evidente che le autorità italiane non hanno preso le misure opportune per recuperare il prelievo dai singoli produttori e caseifici...». Dell'importo complessivo di 2.305 miliardi, circa 1.752 miliardi non sono stati ancora recuperati. Parte di questo importo sembra considerato perso o rientra in un piano a tappe di 14 anni, ma la Commissione stima che siano tuttora dovute sanzioni per un importo pari a 1,343 miliardi di euro;
   il deferimento alla Corte di Giustizia europea è la terza tappa della procedura di infrazione che consentirà alla Corte di constatare l'inadempienza che, successivamente, si tradurrà in una maxi sanzione pecuniaria;
   nell'ultimo anno di attuazione delle «quote latte» c’è il rischio concreto dell'arrivo di nuove multe a causa del superamento da parte dell'Italia del proprio livello quantitativo di produzione assegnata dall'Unione europea;
   secondo l'ultimo aggiornamento dei dati dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, AGEA, si evidenzia un aumento della produzione del 3,24 per cento rispetto all'anno scorso, con un incremento in valori assoluti di 2,561 milioni di quintali, sulla base dei primi nove mesi della campagna relativa al periodo che va dal 1o aprile 2014 al 31 marzo 2015;
   si prevede il primo splafonamento dopo l'introduzione della legge 33 del 2009 la quale prevede la possibilità di compensazione solo agli allevamenti di montagna e delle zone svantaggiate, a quegli allevamenti che non hanno superato il livello produttivo 2007-2008 e ultimi, in ordine prioritario, a quegli allevamenti che producono entro e non oltre il 6 per cento della quota loro assegnata;
   il Commissario europeo all'agricoltura, Phil Hogan, ha annunciato un provvedimento per consentire di rateizzare le multe di quest'anno a carico degli allevatori per un massimo di tre anni e senza interessi;
   la legge di stabilità 2015 con l'articolo 1 comma 214, istituisce presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il «Fondo per gli investimenti nel settore lattiero caseario» dotato di 8 milioni di euro nel 2015 e 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
   la finalità indicata nella norma è quella di contribuire alla ristrutturazione del settore lattiero-caseario anche in ragione del superamento del regime europeo delle «quote latte», nonché di contribuire al miglioramento della qualità del latte bovino;
   i criteri e le modalità di accesso ai contributi saranno definite con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni;
   sono esclusi dai contributi i produttori che non risultano in regola con il pagamento delle multe legate all'eccesso di produzione di latte rispetto alle quote assegnate in sede europea e quelli che hanno aderito al programma di rateizzazione, ma non hanno adempiuto nei tempi ai previsti pagamenti;
   in considerazione del fatto che le «quote latte» termineranno il 31 marzo 2015, ad oggi manca ancora il decreto per rendere operativo il predetto Fondo che opererà attraverso il «Piano latte qualità» che agirà quale sostegno alla produzione –:
   a quanto ammonti la composizione del debito, tra sanzioni e interessi, sulle «quote latte» che lo Stato deve recuperare da quei soggetti inadempienti;
   per quali ragioni il Governo non abbia provveduto per tempo nel rispondere nei fatti alle continue sollecitazioni della Commissione europea, che hanno portato, conseguentemente, il nostro Paese ad essere deferito alla Corte di giustizia europea con la reale possibilità che venga comminata all'Italia una maxi sanzione pecuniaria;
   quali azioni il Governo abbia assunto, o intenda assumere, al fine di individuare, al di là delle evidenti responsabilità politiche, i soggetti responsabili, individuali e non, delle mancate attività di vigilanza e controllo e per non aver attivato nei tempi dovuti le opportune misure finalizzate al recupero delle somme dovute;
   in che tempi il Governo intenda approvare il decreto con cui rendere operativo il «fondo per gli investimenti nel settore lattiero caseario» e il «Piano latte qualità» alla luce della cessazione del regime delle quote al 31 marzo 2015, oltre a rivedere la dotazione finanziaria dei 108 milioni di euro che, in verità, risultano essere insufficienti e inadeguati rispetto allo scopo che vuole realizzare. (3-01322)


   COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 2 marzo 2015 alle ore 8,45 circa un elicottero del trentunesimo stormo dell'aeronautica militare è stato costretto ad un atterraggio di fortuna all'interno di un campo sportivo sito nel comune di Civitella della Chiana, in provincia di Arezzo. Uno dei passeggeri di quell'elicottero era il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi;
   l'imprevisto, sembra causato da avverse condizioni atmosferiche, fortunatamente conclusosi nel migliore dei modi per i piloti dell'elicottero e i trasportati, ha reso noto all'opinione pubblica che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, per recarsi dalla sua residenza privata a Roma utilizza come mezzo di trasporto l'elicottero di Stato. Notizia che ha colpito l'opinione pubblica e ha sorpreso gli stessi interroganti perché fino al giorno 2 marzo, seppure era noto che per motivi di sicurezza il Presidente del Consiglio insieme a tutta la famiglia avesse utilizzato un aereo di Stato per recarsi in vacanza a Courmayeur, nulla si sapeva in merito al fatto che il Presidente del Consiglio, sempre per motivi di sicurezza, utilizzasse l'elicottero per spostarsi tra la sua sede di lavoro istituzionale e la propria abitazione in Toscana;
   sulla vicenda non vi sono state prese di posizioni ufficiali né da parte del Presidente del Consiglio, né da parte della Presidenza del Consiglio, come dimostra l'assenza di note ufficiali sul sito istituzionale di Palazzo Chigi;
   forse per rispondere alle polemiche che nel corso del tardo pomeriggio sono state mosse da diversi esponenti politici, dalla Presidenza del Consiglio è stato fatto filtrare in maniera informale alle agenzie di stampa, con la formula di rito «fonti di Palazzo Chigi» che «è frequente che Renzi si sposti in aereo ed elicottero, oltre che in macchina» aggiungendo che la ciò avviene per motivi di sicurezza;
   poiché l'interrogante ritiene, alla luce delle prese di posizione pubbliche fortemente critiche contro i cosiddetti costi della politica che il dottor Matteo Renzi aveva assunto prima di divenire Presidente del Consiglio, che lo stesso si veda costretto solo per i motivi di sicurezza ad utilizzare frequentemente i voli di Stato secondo la disciplina di cui alla legge n. 111 del 2011; articolo 3, comma 1, e considerato che i voli del Presidente del Consiglio non sono annotati sul sito della Presidenza del Consiglio, Presidente del Consiglio stesso non avrà alcun problema a rendere noto numero delle volte che ha effettuato spostamenti tra Roma e la sua abitazione in elicottero e i relativi costi –:
   in quante altre occasioni, prima del 2 marzo 2015, il Presidente del Consiglio si sia servito di un elicottero di Stato per effettuare trasferimenti tra la sua residenza privata in provincia di Firenze e Roma e nella direzione opposta. (3-01325)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, CHIMIENTI, CIPRINI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, DADONE e COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella notte fra il 22 e 23 febbraio 2010, ignoti sabotatori ancora oggi non identificati, entrarono nella Lombarda Petroli, raffineria in disuso dagli anni ottanta situata a Villasanta (MB), e svuotarono dolosamente 2,5 milioni di litri circa di petrolio per abitazioni e diversi tipi di idrocarburi contenuti in sette silos. La fuoriuscita di tali materiali si riversò, in breve, nell'attiguo fiume Lambro. Oltre alla drammatica contaminazione delle acque del fiume, considerata la peggiore di ogni tempo per un fiume lombardo, fu contaminato in minore entità anche l'emissario Po e, in parti considerate non rilevanti, il Mare Adriatico;
   nella notte del 22 febbraio 2010, gli idrocarburi rilasciati dolosamente, defluirono nei terreni attigui alla ex raffineria, finendo poi nel condotto fognario. Da lì, in breve, defluirono in una vasca del depuratore di San Rocco sito nella città di Monza (MB). A causa dell'enorme quantità, in pochi minuti gli idrocarburi debordarono dalla vasca finendo nel fiume Lambro e furono trasportati dalla forte corrente del fiume. Dopo l'allarme lanciato verso le 5 del mattino del 23 febbraio da un operatore del depuratore di Monza insospettito dal mal funzionamento dell'impianto, in pochi minuti fu istituito un piano d'emergenza e una task force formata da vigili del fuoco, volontari dalla protezione civile e tecnici dell'ARPA. Con l'aiuto del Corpo forestale dello Stato, vennero installate delle dighe galleggianti lungo tutto il corso del fiume nel tentativo di fermare la «marea nera», ma nel primo pomeriggio del 23 febbraio, gli idrocarburi superarono il primo sbarramento. A Melegnano (MI), fu creata una seconda diga ma, vista la rilevante quantità degli idrocarburi, anche questa cedette. Intorno alle 20, giunse a San Zenone al Lambro (MI), dove fu allestito il terzo sbarramento utilizzando una diga di Enel Energia e dove vigili del fuoco, volontari della Protezione civile e Corpo forestale, lavorarono tutta la notte per impedire l'avanzare degli inquinanti. Gli sforzi risultarono vani e il petrolio proseguì la sua corsa verso Lodi (LO), dove fu creato un quarto sbarramento, ma anch'esso cedette e il petrolio proseguì la sua corsa. Verso le 6 del mattino del 24 febbraio, gli idrocarburi arrivarono a Sant'Angelo Lodigiano (LO), dove superarono anche il quinto sbarramento prima di confluire, verso le 11 dello stesso giorno, nel fiume Po. Da qui in poi, le operazioni per fermare il petrolio passarono alla regione Emilia-Romagna e alla protezione civile nazionale;
   con l'aiuto dell'esercito italiano, a Piacenza venne organizzata una seconda task force prima che la «marea nera» potesse raggiungere Ferrara, dove normalmente i cittadini bevono acqua del Po depurata. Sul luogo giunsero anche l'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Stefania Prestigiacomo e l'allora responsabile della protezione civile Guido Bertolaso. Ad Isola Serafini (PC), furono abbassate le paratoie della diga della centrale idroelettrica dell'Enel al fine di consentire all'acqua pulita sul fondo di defluire e contemporaneamente fermare il petrolio galleggiante in superficie che sarebbe stato poi aspirato con delle idrovore. L'operazione riuscì in parte, dato che una parte di idrocarburi riuscirono comunque a superare la diga e continuarono il loro viaggio verso il delta del Po. Il 26 febbraio 2010, la «marea nera» raggiunse le province di Cremona e Reggio Emilia, per poi arrivare in provincia di Ferrara il 27 febbraio. Il petrolio raggiunse ugualmente il mare Adriatico ma, grazie ad altri interventi attuati rapidamente lungo il restante corso del fiume, la sua quantità fu estremamente limitata tanto da non essere considerata pericolosa per il tratto di mare ove era confluita;
   successivamente al disastro, il 28 febbraio 2010, da un'azienda rimasta ignota che approfittò della situazione in cui si trovava il Lambro, furono scaricati effluenti tossici nelle acque del fiume al fine di evitare i costi di smaltimento; ad agosto 2010, fu rilevato un altro sversamento di inquinanti all'altezza di Briosco (MB); a gennaio 2011, furono scaricati nuovi idrocarburi provenienti dalla zona industriale di Villasanta;
   rispetto all'ecosistema del delta del Po e al Mare Adriatico, moltissimi sono stati i danni all'ecosistema del Lambro, con conseguente morìa delle specie animali e vegetali. Gravissimi furono i danni rilevati nell'oasi del Bosco di Montorfano a Melegnano, sede di numerose specie di piante, diverse delle quali rare. Della fauna recuperata nelle prime ore dopo il disastro e ricoverata presso la stessa Oasi, non è sopravvissuto un solo animale;
   in data 8 maggio 2010, a emergenza terminata, il responsabile del programma acque del WWF, Andrea Agabito, evidenziò la necessità di ulteriori analisi sui sedimenti delle sponde del fiume per capire il reale livello di inquinanti e dichiarò che, anche se non era più presente la chiazza di petrolio, «di fatto gli sversamenti di sostanze inquinanti sono durati fino a pochi giorni fa. Solo da poco infatti è rientrato in funzione il depuratore di Monza, messo fuori uso dal gasolio uscito dalle cisterne della Lombarda Petroli. Questo significa che per due mesi i liquami della Brianza sono finiti nelle acque del Po e di qui nell'Adriatico». Lo stesso Agabito denunciò l'insufficienza delle risorse economiche messe a disposizione per il dopo disastro;
   agli enormi danni rilevati dell'inquinamento dei fiumi indicati, di tutto l'ecosistema interessato e della morìa di centinaia di specie animali e vegetali, vanno aggiunti quelli ai canali artificiali di irrigazione dei terreni coltivati con perdite economiche dirette degli operatori agricoli e delle economie delle zone colpite;
   in data 23 febbraio 2015, sul quotidiano online «Corriere.it», veniva pubblicato un articolo sulla promessa bonifica dell'area colpita dal disastro della Lombarda Petroli, che a distanza di 5 anni dall'evento catastrofico è stata effettuata solo in piccola parte;
   nell'articolo viene citato il costo stimato dell'opera di bonifica del solo sito di Villasanta corrispondente a circa 10 milioni euro. Viene ricordato che subito dopo il disastro, furono stanziati 3 milioni di euro dal Governo italiano per risarcire i territori colpiti delle regioni Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Regione Lombardia, da parte sua, annunciò l'investimento di 120 milioni di euro, di cui 20 stanziati nell'immediato per opere di bonifica quinquennali;
   non è stato inserito nel piano delle bonifiche l'area della raffineria colpita dal disastro sopracitato, dato che il piano è risalente al 2008, anno in cui la Lombarda Petroli era ancora in attività;
   vi è un progetto previsto nel piano integrato di intervento del comune di Villasanta risalente al 2004 e denominato «Eco City», che prevede la trasformazione del sito intorno alla Lombarda Petroli, in un nuovo quartiere con case, uffici, servizi ed un grande parco cittadino;
   a giudizio degli interroganti, avrebbe più valore riqualificare tutte le zone colpite, compresa quella ove vi è ancora la Lombarda Petroli, con aree esclusivamente destinate a verde, in considerazione del fatto che l'ambiente e l'ecosistema sui corsi fluviali di Lambro e Po, è quello che più di tutti è stato danneggiato e che proprio per questo motivo meriterebbe una riqualificazione «dedicata». A questo fattore, va aggiunto che la cittadina di Villasanta, centro del disastro, fa parte della provincia di Monza e Brianza che, nell'attualità, risulta essere la provincia con la più alta percentuale di edificato d'Italia –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopracitati e non ritenga, per quanto nelle loro competenze, di poter istituire azioni di accurate ispezioni coordinate dal Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, in tutti i siti toccati dal disastro della Lombarda Petroli, al fine di poter stabilire quali siano, ad oggi, i livelli di inquinamento e di degrado degli ecosistemi degli stessi e di prendere, nell'eventualità siano stati rilevati elevati livelli di inquinamento, le adeguate precauzioni a riguardo;
   se, sempre a seguito dell'eventualità di rilevamento di elevati livelli di inquinamento del sito più colpito dal disastro, ossia quello della Lombarda Petroli di Villasanta, non intendano valutare se sussistano i presupposti per inserire l'area tra i SIN (siti di interesse nazionale). (5-04887)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le avversità atmosferiche di eccezionale intensità, che hanno colpito la Sicilia, per tutta la settimana in corso, in particolare nell'agrigentino e nel palermitano, provocando fenomeni franosi, esondazioni di corsi d'acqua con conseguenti allagamenti, danneggiamenti ad edifici pubblici e privati e alle opere di difesa idraulica, hanno seriamente compromesso le colture e le strutture delle attività produttive agricole;
   secondo la Coldiretti Sicilia infatti, i danni nelle suesposte aree regionali, stimati per milioni di euro, sono stati provocati anche a causa della mancata manutenzione degli argini lungo il fiume Platani, tra Ribera e Cattolica Eraclea, che ha comportato l'esondazione e che determinerà ulteriori costi per la pulizia considerato che con l'acqua, arrivano spazzatura e detriti di tutti i tipi;
   l'interrogante evidenzia che oltre alla pioggia, l'apertura della paratia della diga ha determinato danni ingenti all'agrumicoltura della zona di Ribera, la cui produzione si trova nel pieno della sua attività e che a seguito dell'allagamento, la perdita del raccolto ha causato milioni di euro di danni;
   gli agricoltori della provincia di Agrigento segnalano inoltre, che una esondazione di siffatta gravità mai verificatasi nel passato, in un lasso di tempo così ristretto, ha inevitabilmente coinvolto oltre alle piantagioni anche numerose strutture aziendali quali: gli impianti di irrigazione, fabbricati, mezzi ed attrezzi, coinvolgendo anche le infrastrutture viarie, come il ponte provvisorio sul fiume Verdura (strada statale 115) indispensabile per tutte le attività produttive;
   la stessa Coldiretti inoltre, rileva come l'intensità delle forti piogge lungo il fiume Naro che ha spazzato via tutte le colture pregiate del territori nell'agrigentino causando, danni ai terreni limitrofi al fiume Carboj tra i territori di Menfi e Sciacca e il fiume Basso Belice nei comuni di Menfi e Castelvetrano, ha distrutto completamente le strutture dei vigneti e agrumeti mentre i seminativi e le ortive sono state tutte sommerse dall'acqua;
   a tal fine prosegue l'associazione agricola, anche in considerazione delle numerose sollecitazioni provenienti dagli operatori agricoli locali della provincia di Agrigento, a seguito dei gravissimi danni provocati all'economia agricola del territorio, occorrono urgenti e indispensabili interventi di natura emergenziale, finalizzati a sostenere le imprese del medesimo comparto, che hanno subito ingenti danni alla loro attività;
   a giudizio dell'interrogante l'analisi della Coldiretti Sicilia, risulta condivisibile anche con riferimento alle richieste rivolte al Governo, ed in particolare al Ministro interrogato, il quale si è secondo l'interrogante contraddistinto negativamente nel corso del suo mandato, per l'assenza di significative misure, in particolare per l'agricoltura del Mezzogiorno, volte a rilanciare un comparto sul quale grava un sistema di tassazione iniquo ed esorbitante sui bilanci aziendali –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, a seguito delle avversità atmosferiche avvenute nella regione siciliana, nelle giornate del 24, 25 e 26 febbraio 2015 che hanno compromesso, in maniera gravissima, numerose piantagioni agricole e l'intera filiera legata all'attività produttiva connessa al raccolto e alla commercializzazioni dei prodotti, nonché ai danni derivanti alle infrastrutture viarie e al territorio interessato, non ritengano urgente ed opportuno decretare lo stato di emergenza e di calamità naturale;
   in caso contrario, quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere, per le parti di competenza, al fine di sostenere le imprese agricole locali e fronteggiare la gravissima situazione economica venutasi a determinare a seguito dell'ondata di maltempo che ha interessato il territorio siciliano (in particolare quello agrigentino e palermitano), che ha determinato ingenti danni al settore agricolo e agroalimentare, ed evitare ripercussioni anche sui livelli occupazionali. (4-08207)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   a metà febbraio 2015 il Governo avrebbe annunciato un ulteriore passo avanti nello smaltimento dei debiti scaduti delle pubbliche amministrazioni, comunicando di aver erogato ai creditori 36,5 miliardi, al 30 gennaio 2015, con un incremento di 4 miliardi rispetto all'ultimo monitoraggio effettuato a fine ottobre, ma secondo ImpresaLavoro, che si è basata su dati Eurostat e Intrum Justitia, non si può fare a meno di rilevare che è stato pagato meno della metà di quanto dovuto;
   come evidenziato già con una interrogazione a risposta scritta presentata dall'interrogante a metà novembre 2014 e rimasta a tutt'oggi senza alcuna risposta, la vicenda dei pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese ha una rilevanza non solo economica, ma anche istituzionale: individua alcune delle principali disfunzioni del sistema amministrativo e sollecita una riflessione sull'efficacia dell'azione dello Stato centrale, che troppo spesso si trasforma in una macchina lenta, appesantita dalla burocrazia, costantemente in ritardo;
   i debiti commerciali maturati dalla pubblica amministrazione nel 2013 ammontano a 74,2 miliardi di euro, rimarrebbero quindi fuori dall'intervento del Governo altri 37,7 miliardi per i soli debiti già esistenti alla fine del 2013; inoltre, tali pagamenti si riferiscono ai debiti maturati fino al 31 dicembre 2013 e non ai ritardi che la pubblica amministrazione ha accumulato in tutto il 2014;
   vi è inoltre lo stock dei debiti commerciali relativi alle società che vedono nel proprio capitale sociale la partecipazione di amministrazioni pubbliche locali e centrali, che è di difficile stima e che, secondo uno studio condotto da Cerved (2013) sulle imprese partecipate da regioni e autonomie locali, registrerebbero delle pessime performance in termini di fatture non pagate sullo scaduto; senza contare che, oltretutto, queste società registrano delle performance reddituali spesso negative;
   secondo Cerved a giugno 2013 le partecipate regionali non avrebbero pagato addirittura l'82,2 per cento delle fatture scadute, registrando un forte peggioramento rispetto agli anni precedenti;
   liquidare i debiti pregressi di per sé non riduce lo stock complessivo dei debiti commerciali: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultano inferiori a quelli oggetto di liquidazione, condizione che non potrà crearsi fino a quando il livello di spesa della pubblica amministrazione e i suoi tempi medi di pagamento, che al momento sono purtroppo di 170 giorni, non subiranno una drastica diminuzione;
   nessun indicatore oggi a disposizione sembrerebbe evidenziare che vi è una diminuzione dei tempi di pagamento, questo significa che l'intervento del Governo è servito soltanto ad impedire che lo stock del debito pregresso aumentasse ulteriormente;
   si stima che nel 2014 siano già stati consegnati alla pubblica amministrazione italiana beni e servizi per un valore di circa 158 miliardi di euro e che, in forza dei tempi medi di pagamento della pubblica amministrazione, lo stock complessivo del debito della pubblica amministrazione rimane fermo a circa 75 miliardi di euro;
   secondo il presidente del Centro Studi ImpresaLavoro, Massimo Blasoni «sono gli stessi dati che il Governo comunica a certificare che Renzi non ha mantenuto la promessa di saldare tutti i debiti della pubblica amministrazione entro il 21 settembre dello scorso anno. Il Presidente del Consiglio aveva garantito di saldare tutto il pregresso entro San Matteo: siamo a San Valentino, 146 giorni dopo, e siamo anche a meno di metà del percorso. La pubblica amministrazione onora i propri impegni in tempi lunghissimi, 170 giorni: il Governo, per non essere da meno, sembra adeguarsi a questi tempi nel mantenere le sue promesse. Le imprese, però, non possono più permettersi di aspettare»;
   a inizio marzo 2014, come riportato dal Sole24ore, durante un Consiglio dei ministri il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva assicurato uno sblocco «immediato e totale dei debiti della Pa», aggiungendo: «i debiti della Pa sono 68 miliardi. Entro luglio li sblocchiamo tutti»;
   il 13 marzo 2014 nel salotto di Porta a Porta, il Presidente del Consiglio Renzi aveva scommesso di saldare i debiti della pubblica amministrazione «entro il 21 settembre, giorno di San Matteo», promessa poi disattesa dai fatti, anche se il premier ha rivendicato di aver «messo a disposizione» tutte le risorse necessarie per soddisfare i creditori;
   sui 32,5 miliardi di euro effettivamente saldati alle aziende, ben 22,4 di esborso risalirebbero a quando era in carica il suo predecessore, Enrico Letta;
   come affermato di recente dal segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, «lo Stato italiano rimane il peggiore pagatore d'Europa», infatti sebbene esista una direttiva europea che impone pagamenti in 30 giorni, salvo alcune limitate eccezioni a 60 giorni, nel 2014, secondo Intrum Justitia, la media in Italia è di 165 giorni, a riprova che in questo ambito anche le pubbliche amministrazioni di Grecia, Cipro, Serbia e Bosnia sono più efficienti di quella italiana;
   il ritardo nel pagamento alle imprese è ancora più grave nel contesto dell'attuale crisi economica con cui il tessuto produttivo italiano si trova a dover fare i conti, e sta falcidiando il mondo delle piccole e medie imprese su cui poggia da sempre l'economia del nostro Paese: la drammatica caduta della profittabilità delle imprese dall'inizio della crisi nel 2007 in poi ha origine da un contesto pieno di difficoltà tra cui emergono come problemi fondamentali il credit crunch da parte del sistema bancario e la difficoltà di incasso dei crediti;
   come osservato dal Cerved, la situazione del tessuto produttivo italiano è talmente grave che oltre ai fallimenti delle imprese in difficoltà, sta emergendo con evidenza anche il numero in costante crescita delle aziende sane che scelgono la via della liquidazione volontaria, fenomeno che dipende dalla mancanza di prospettive future –:
   se il Governo non intenda chiarire i motivi di questo ritardo, che pesa in maniera molto grave sull'economia italiana, e se non intenda attivarsi con massima urgenza e in che modo per ottemperare alla promessa fatta di estinguere al più presto i debiti delle pubbliche amministrazioni, per garantire alle imprese ciò che spetta loro di diritto e permettendo in questo modo al tessuti produttivo italiano di avere un margine di liquidità, vitale per le attività commerciali ancora in piedi e per l'economia del Paese nel suo complesso. (4-08208)


   VACCA, DEL GROSSO, SIMONE VALENTE e COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   Sabatino Aracu attualmente è il Presidente della federazione italiana hockey e pattinaggio (FIHP), una delle federazioni sportive aderenti al CONI, carica che ricopre da circa 20 anni. La natura e lo statuto delle federazioni sportive è regolamentato dal decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242;
   il presidente della Federazione italiana hockey e pattinaggio è membro di diritto del Consiglio nazionale del CONI, e la Federazione italiana hockey e pattinaggio, per lo svolgimento delle attività internazionali, aderisce alla Federation International de Roller Sports (FIRS). Per effetto di, questa adesione Sabatino Aracu è membro della Federation International de Roller Sports e ne è anche presidente;
   il tribunale di Pescara, in data 22 luglio 2013, ha condannato in primo grado Sabatino Aracu alla pena di anni 4 di reclusione oltre alla interdizione per anni 5 dai pubblici uffici, comminando, inoltre, l'incapacità di contrattare con le pubbliche amministrazioni per la stessa durata della pena principale. Alla luce di ciò, può risultare quantomeno inopportuno che un condannato in primo grado a 4 anni di reclusione per tangenti, rappresenti l'Italia in ambienti e organismi sportivi nazionali e internazionali;
   l'articolo 11 del Codice di Comportamento Sportivo riguardante «Tutela dell'onorabilità degli organismi sportivi», deliberato dal Consiglio Nazionale in data 30 ottobre 2012, prevede la sospensione in via cautelare dei tesserati in caso di condanna anche non definitiva e per i delitti indicati nell'allegato A del codice sportivo. L'allegato A del codice, però, non è stato mai aggiornato dopo la delibera dell'ottobre del 2012, tant’è che le novelle inserite dalle leggi successive all'approvazione del codice stesso, non sono prese in considerazione. In particolare il reato contro la pubblica amministrazione per cui è stato condannato Sabatino Aracu, ovvero l'articolo 319-quater del codice penale introdotto con la legge del 6 novembre 2012, n. 190, non esisteva quando è stata adottata la delibera di approvazione del Codice di Comportamento Sportivo;
   il reato dell'articolo 319-quater è assimilabile, nella tipologia, a quello che era allora codificato nell'articolo 317 del codice penale. Dall'altra parte anche l'articolo 317 del codice penale è stato novellato dalla legge del 6 novembre 2012, n. 190;
   in data 9 maggio 2014 si è svolto un consiglio federale della FIHP; dal comunicato seguito a tale consiglio, pubblicato sul portale internet della stessa FIHP, si può leggere che «È stata inoltre comunicata l'importante notizia dell'affidamento alla CAF (Commissione Appello Federale) il ruolo di Commissione Etica, che svolgerà il compito previsto all'articolo 11 del Codice Etico del CONI». Alla luce di ciò non si comprende per quale motivo la CAF non abbia ancora applicato quanto previsto dall'articolo 11 del Codice Etico del CONI;
   in data 26 giugno e 25 luglio 2013, la Procura Federale e il CONI sono stati informati della condanna penale a carico del presidente della FIHP, attraverso una richiesta di avvio di procedimento disciplinare nei confronti del signor Sabatino Aracu inoltrata dall'Associazione Codici per conto delle associazioni ASD Castrum, Jolly Pescara e ACSI Victoria skate –:
   se il Governo intenda assumere iniziative nell'ambito delle sue competenze per chiedere al CONI di applicare l'articolo 11 del Codice di Comportamento Sportivo, in considerazione delle novità normative sopraggiunte nei giorni successivi alla deliberazione del codice stesso, o in alternativa per commissariare la Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio (FIHP), al fine di salvaguardare l'onorabilità, la lealtà, la rettitudine, l'immagine e il prestigio della FHIP anche alla luce della condanna in primo grado di Sabatino Aracu. (4-08214)


   VACCA, DEL GROSSO, SIMONE VALENTE e COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 del codice di comportamento sportivo riguardante «Tutela dell'onorabilità degli organismi sportivi», deliberato dal Consiglio nazionale in data 30 ottobre 2012, prevede la sospensione in via cautelare dei tesserati in caso di condanna anche non definitiva e per i delitti indicati nell'allegato A del codice sportivo. L'allegato A del codice, però, non è stato mai aggiornato dopo la delibera dell'ottobre del 2012, tant’è che le novelle inserite dalle leggi successive all'approvazione del codice stesso, non sono tenute in considerazione;
   il reato contro la pubblica amministrazione previsto dall'articolo 317 del codice penale, ad esempio, è stato novellato dalla legge del 6 novembre 2012, n. 190;
   l'articolo 319-quater del codice penale introdotto con la legge del 6 novembre 2012, n. 190, non esisteva quando è stata adottata la delibera di approvazione del codice di comportamento sportivo;
   oltre alle novità introdotte, appena sei giorni dopo l'approvazione del codice di comportamento sportivo, nel codice penale dalla legge del 6 novembre 2012, n. 190, il codice stesso è stato aggiornato di nuovo con le modifiche apportate dalla legge del 15 dicembre 2014, n. 186 e dal decreto-legge del 18 febbraio 2015, n. 7;
   a giudizio dell'interrogante è doveroso aggiornare nel più breve tempo possibile il codice di comportamento sportivo secondo le novità normative che si susseguono nel tempo –:
   se il Governo intenda assumere iniziative nell'ambito delle sue competenze, per chiedere al CONI di aggiornare il codice di comportamento sportivo secondo le novità normative, successive all'ultima revisione ed in particolare l'articolo 11 del citato codice e l'allegato A del medesimo. (4-08215)


   CASO, ALBERTI, DE ROSA, COMINARDI, CARINELLI, SORIAL e MANLIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di febbraio 2015, i principali organi di stampa nazionale hanno portato alla luce le numerose accuse di interpreti, insegnanti di lingue e traduttori, mosse nei confronti delle versioni straniere (solo due lingue in alternativa a quella italiana) del sito internet ufficiale di Expo (http://www.expo2015.org/): «Consecutio temporum sballate; costruzioni di frasi arrovellate, accenti gravi invece che acuti (e viceversa), e poi italianismi, refusi, strafalcioni»;
   Antoine Boissier (cittadino francese che vive a Milano da 15 anni), insegnante all'Institute Français, intervistato dal Corriere della Sera, ha commentato così la vicenda: «È questo il biglietto da visita della città ai milioni di visitatori di Expo ? Dovrebbero essere testi curati ed impeccabili. Speriamo non accada lo stesso alle conferenze in programma durante l'evento. Gli interpreti saranno all'altezza ? Altrimenti è una presa in giro»;
   il 7 febbraio 2015, all'Hangar Bicocca, oltre 500 esperti (rappresentanti nazionali e internazionali) si sono incontrati per gettare le basi della Carta di Milano, protocollo sulla sicurezza alimentare che sarà «la prima grande eredità di Expo Milano 2015», come ha spiegato il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina, promotore con Expo 2015 dell'iniziativa «Idee di Expo»;
   Rezina Ahmed, console generale del Bangladesh e vicecommissario per Expo del suo Paese, ha espresso il suo stupore, in un'intervista al Corriere della Sera, nel constatare che durante la giornata pre-Expo non è stato previsto alcun tipo di servizio di interpretariato (per nessuno degli ospiti della convention), neppure la traduzione in inglese del programma;
   il sito internet ufficiale di Expo 2015 (www.expo2015.org) è attualmente disponibile, a tre mesi dall'inaugurazione dell'evento, in sole due lingue straniere: l'inglese e il francese;
   è opinione degli interroganti che non basti «coprire» solo due o tre lingue quando l'evento in questione è di portata planetaria (gli organizzatori prevedono un afflusso turistico eccezionale – 20 milioni di persone proveniente da più di 140 Paesi diversi) e le attuali politiche di penetrazione e conoscenza dei mercati richiedono sempre più l'uso delle lingue autoctone piuttosto che di una lingua omnicomprensiva –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se siano stati individuati i responsabili del cospicuo danno di immagine causato al nostro Paese e se siano state prese iniziative in merito;
   se si intendano rendere noti, anche fornendo la relativa documentazione, i costi effettivi sostenuti dalla EXPO spa per servizi di traduzione e interpretariato (compresi quelli relativi al team che si occupa della traduzione dei contenuti del sito ufficiale), l'elenco dei rispettivi fornitori e la descrizione dell'attività svolta.
(4-08219)


   VARGIU. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 21 maggio 2014 è stato siglato a Palazzo Chigi il protocollo tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, la regione autonoma della Sardegna e la Qatar Foundation Endowment, relativo al completamento e rilancio dell'Ospedale Bambino Gesù di Olbia, l’ex San Raffaele, poi rinominato Mater Olbia, come Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico;
   tale intesa, firmata dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dal presidente della regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru e dal dottor Lucio Rispo, investment project manager della Qatar Foundation Endowment, ha preso origine dalla manifestazione di interesse della Qatar Foundation Endowment a sostenere in Italia e in particolare in Sardegna progetti nel campo della medicina e della ricerca applicata e di base, con particolare riferimento a quelli della pediatria e della medicina dello sport;
   nel protocollo la Presidenza del Consiglio si è impegnata a sostenere l'iniziativa della regione autonoma della Sardegna nella realizzazione del progetto con la Qatar Foundation Endowment in Italia, in piena armonizzazione con la rete ospedaliera regionale; il Governo ha mantenuto di fatto il proprio impegno, modificando la normativa vigente in materia di posti letto e di tetti di spesa sanitaria pur di renderlo possibile, intervenendo nel decreto «legge Sblocca Italia» con una deroga emendata poi alla Camera dei deputati secondo il parere espresso dalla Commissione affari sociali (articolo 16, legge 12 settembre 2014, n. 133);
   la XII Commissione affari sociali della Camera dei deputati si è recata in Sardegna il 3 e il 4 luglio 2014 in missione con lo scopo di acquisire – attraverso il coinvolgimento sul territorio di tutte le istituzioni a vario titolo interessate – elementi informativi sullo stato di avanzamento del progetto;
   la missione ha permesso di accertare che l'investimento della Qatar Foundation è pari a duecento milioni di euro per l'acquisizione e il completamento, mentre sono previsti altri cento milioni in dieci anni per la ricerca. I restanti settecento milioni di euro sono per la gestione annua dell'ospedale (70 milioni per dieci anni) che, per 560 milioni, saranno pagati dalla regione Sardegna per prestazioni erogate, mentre i restanti 140 milioni dovranno derivare dai ricavi dei 50 posti letto solventi;
   la delegazione ha dunque compreso che la straordinarietà dell'investimento non risiede tanto nell'entità dell'investimento medesimo, quanto nella sfida culturale del cambiamento dello sviluppo economico della regione Sardegna e, in prospettiva, nella capacità di attrarre nuovi investimenti e di creare nuove opportunità in molteplici filiere dell'economia regionale;
   la Commissione affari sociali di Montecitorio ha poi audito il 22 luglio 2014 il Ministro Lorenzin che ha spiegato la natura del progetto e dell'intervento normativo oggetto di impegno del Governo a seguito del protocollo;
   nel giorno della firma del protocollo il project manager della Qatar Foundation Endowment, Lucio Rispo, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, ha dichiarato alla presenza del Premier Renzi: «Il 1o marzo 2015 deve aprire l'ospedale. Può cambiare tutto tranne la data di apertura. Noi siamo una monarchia assoluta e gli ordini si eseguono»;
   tale data è stata inoltre confermata il 13 dicembre 2014 dallo stesso Rispo alla stampa a poche ore dalla firma risolutiva dell'accordo tra i vertici della Qatar Foundation e i rappresentanti della procedura fallimentare della fondazione Monte Tabor. In questa occasione l'avvio dei primi servizi è stato circostanziato in strutture concordate con il comune di Olbia e la regione;
   non risulta invece nessuna imminente attività di apertura di servizi sanitari relativi all’ex San Raffaele di Olbia, per cui sembrerebbe totalmente disatteso il termine inderogabile del 1o marzo 2015, più volte sottolineato dalla regione Sardegna e dalla Qatar Foundation;
   l'urgenza con cui hanno operato sia la regione Sardegna nella sua azione di autorizzazione, che il Parlamento italiano nella sua attività legislativa specifica è stata sempre giustificata anche dall'esigenza di rispettare il termine del 1o marzo per l'inizio delle attività sanitarie nell’ex San Raffaele –:
   di quali elementi informativi disponga il Governo in modo da spiegare il mancato rispetto della data del 1o marzo per l'apertura dell’ex ospedale San Raffaele di Olbia e da annunciare i nuovi tempi previsti. (4-08220)


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie pubblicate da diversi organi di stampa, il Governo sarebbe intenzionato a nominare, quale consulente sugli investimenti esteri e per la promozione del made in Italy, Luca Cordero di Montezemolo, fondatore e azionista di maggioranza di Nuovo trasporto viaggiatori (Ntv, presidente di Alitalia Sai, vicepresidente di Unicredit, già presidente di Fiat e Ferrari, nonché presidente di Confindustria dal 2004 al 2008;
   l'incarico dovrebbe riguardare le attività di relazione con gli ambienti dell'imprenditoria e della finanza nazionale e internazionale al fine di attrarre investimenti stranieri in Italia e promuovere il made in Italy;
   la nomina, il ruolo e gli ambiti di intervento potrebbero essere dettagliati a seguito del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, che prevede «Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti», tra cui si rilevano alcuni interventi volti ad attrarre investitori stranieri in Italia;
   la promozione del made in Italy nonché l'attrazione nel nostro Paese di investitori da tutto il mondo sono temi strategici per l'economia italiana, il cui tessuto produttivo risulta fortemente indebolito per l'assenza di risorse finanziarie e per le difficoltà riscontrate nell'attività di promozione del made in Italy nel mondo;
   affidare a un'imprenditore privato il compito di svolgere attività di consulenza in questi ambiti dell'economia del nostro Paese, potrebbe significare portare nel cuore delle attività del Governo un soggetto privato le cui attività di grande rilevanza in settori strategici, come i trasporti, sono soggette a norme, a regolamenti e a particolari meccanismi di incentivazione che dipendono dallo Stato;
   si delinerebbe secondo l'interrogante una situazione di inaccettabile conflitto d'interessi in cui incorrerebbe un imprenditore privato chiamato a suggerire e a orientare le politiche economiche di un Governo che, a sua volta, orienta e condiziona l'attività del soggetto privato stesso attraverso una molteplicità di norme, regolamenti e meccanismi di accesso a incentivi;
   in tale senso si segnala che Nuovo trasporto viaggiatori (Ntv) ha avuto accesso di recente al meccanismo dei certificati bianchi, per un valore pari a 2 milioni di euro, e che l'azienda usufruirà anche dei benefici derivanti dal taglio del 37 per cento delle tariffe sul pedaggio dovute a Rfi –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali saranno ruolo, ambiti di competenza e funzioni del consulente sugli investimenti esteri e per la promozione del made in Italy;
   se affidare a un imprenditore operante in ambiti soggetti a una vasta attività di regolamentazione, controllo, incentivi e agevolazioni da parte dello Stato, delinei o meno una situazione di conflitto d'interessi da parte del soggetto incaricato. (4-08226)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   gli edifici del G8 mancato di La Maddalena stanno cadendo a pezzi in un degrado e abbandono totale dell'area dell'ex Arsenale;
   l'interrogante ha svolto nell'ambito delle sue funzioni un sopralluogo all'interno dell'area al fine di valutare e documentare la gravità della situazione;
   l'edificio ritenuto il più importante si sta frantumando a terra come un gigante di cristallo legato a fil di ferro e colla scadente;
   lo scenario che si presenta a chi entra dentro l'arsenale di La Maddalena è quello della devastazione e dell'abbandono;
   centinaia di milioni di euro buttati al vento senza il ben che minimo intervento di manutenzione e tutela;
   in tutti gli stabili che dovevano, ospitare l'incontro dei grandi della Terra, in ogni area e in ogni edificio sta emergendo in tutta la sua evidenza una realizzazione approssimativa, e tutto sta miseramente crollando, dai tetti alle facciate, dalle vetrate agli infissi;
   un disastro inaudito che si sta consumando nel silenzio più totale senza che nessuno risponda di questo scandalo a cielo aperto;
   nella vicenda appaiono evidenti risvolti di natura contabile, penale, erariale e progettuale;
   appare evidente la responsabilità degli operatori, dai progettisti ai direttori dei lavori, dai responsabili del procedimento amministrativo ai collaudatori;
   lo Stato deve obbligatoriamente proporre un'azione di risarcimento per opere, che oltre all'assenza totale di manutenzione, risultano realizzate male e progettate peggio;
   il caso più evidente e la costosissima facciata del Main Conference Hall;
   una facciata stellare da mille e una notte, realizzata con un reticolo in vetro/cristallo costato un vero e proprio capitale pubblico e ora divelto e distrutto dall'inconsistenza della sua realizzazione;
   si evidenzia l'utilizzo di colla posticcia e fil di ferro costato come oro e adesso disteso per terra davanti a questo colosso che si affaccia sul mare dell'isola di La Maddalena;
   crollano miseramente le facciate simbolo dell'edificio principale e si schiantano a terra ovunque i tetti;
   si registra uno scenario spettrale, di abbandono e incuria per un albergo 5 stelle lusso da 16.000 metri quadri di coperto, e altri 19.000 metri quadri di edifici vari sotto attacco della distruzione e dell'ignavia;
   tutto questo è inaccettabile e appare obbligato da parte dello Stato il ricorso alla magistratura contabile;
   va valutato puntualmente il lavoro di progettisti, direttori dei lavori, esecutori ed infine i responsabili di scelte gestionali errate e in alcuni casi del tutto inesistenti;
   il tutto si configura come un danno alle finanze pubbliche e di immagine che qualcuno deve risarcire;
   si pone con forza l'esigenza di porre un argine immediato a tutto questo degrado con la rifunzionalizzazione di quelle aree e di quegli edifici perché diventino strumento di sviluppo e occupazione reale;
   il disastro è compiuto, va perseguito, ma questo non significa che non ci si debba porre rimedio, anche urgente;
   le immagini fotografiche e video fanno emergere un quadro impressionante dell'abbandono che sta portando alla completa distruzione di un investimento rilevantissimo oggi totalmente inutilizzato;
   si tratta di un disastro senza precedenti, 400 milioni buttati al vento e danni per decine e decine di milioni di euro;
   dall'albergo dell'ex Arsenale agli edifici Main Conference Hall, Area Delegati e. Area ristorazione i danni sono ingentissimi e il mancato intervento manutentivo e gestionale, oltre alla scandalosa fase realizzativa, stanno rischiando di compromettere per sempre quell'area;
   si tratta di un danno evidentissimo sotto un duplice profilo: sostanziale e processuale;
   si tratta di una chiarissima lesione patrimoniale frutto non solo della sua evidente diminuzione dei valore patrimoniale ma, anche e soprattutto, perché il danno è frutto e sintesi di un comportamento quanto meno gravemente colposo o doloso da parte di chi, rappresentando una parte pubblica, ha consentito tutto questo;
   Stato e regione sono responsabili di questa situazione e occorre individuare i responsabili perché tutto questo non resti un'indistinta ipotesi a carico di ignoti;
   chi ha provocato questo danno deve pagare, alla pari di chi non assume iniziative per attivare la piena e corretta gestione di questo patrimonio finalizzandolo allo sviluppo e all'occupazione –:
   se non ritenga di dover segnalare la reale situazione dell'ex arsenale, valutando l'entità del danno, alle autorità competenti;
   se non ritenga di dover intervenire per arginare il degrado e la devastazione del patrimonio di concerto con la regione autonoma della Sardegna;
   se non ritenga di dover valutare iniziative tese a valorizzare quel sito e  la sua piena utilizzazione;
   se non ritenga di dover definire procedure e atti per la totale e definitiva cessione del patrimonio alla regione Sardegna. (4-08231)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione di crisi del settore dei call center risente di diversi fattori specifici: a) la continua delocalizzazione delle attività di assistenza telefonica agli utenti telefonici, a dispetto della normativa di cui all'articolo 24-bis del cosiddetto decreto sviluppo n. 83 del 2012 sta aumentando a dismisura senza alcun controllo ed alcuna sanzione per chi non rispetta la legge (ricordiamo che la normativa prevede che l'utente finale possa decidere di fare gestire i propri dati sensibili e personali da aziende site in Italia che applicano le leggi sul trattamento dei dati personali ed aziende situate all'estero che non sono vincolate al rispetto delle stesse); b) le gare di appalto si giocano al massimo ribasso del costo del lavoro a discapito della qualità del servizio prestato; c) il mancato recepimento da parte dell'Italia della circolare europea 23/2001, in combinato disposto con l'articolo 2112 del codice civile, (a tutela dei lavoratori nei cambi di appalto) determina la perdita di migliaia posti di lavoro, in quanto dietro il paravento delle cessioni di ramo di azienda, spesso si celano delle riduzioni di personale; d) gli incentivi alle assunzioni di cui alla legge 407 del 1990, erogati di volta in volta dalle diverse regioni d'Italia, nati come un meccanismo virtuoso, hanno invece determinato una concorrenza tra territori che si gioca sul costo del lavoro, a causa dello sciacallaggio di aziende che fondano il loro giro d'affari sul dumping salariale senza radicarsi sul territorio; e) la concorrenza sleale tra le aziende, che ormai grava sulla retribuzione dei lavoratori, determina il progressivo livellamento verso il basso delle tariffe e tale fattore incide, altresì, sul mancato adeguamento salariale dei lavoratori a progetto di cui all'accordo collettivo del 1o agosto 2013; f) la mancanza di una uniformità contrattuale del settore e diverso utilizzo del CCNL in base alla convenienza economica, che si ripercuote anche sull'utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga e non;
   la concomitanza dei fattori sopra elencati unite a problematiche specifiche delle singole aziende è all'origine delle tre più importanti vertenze attualmente presenti sul territorio siciliano: Accenture Outsourcing, 4U Servizi e Almaviva Contact spa;
   per la 4U Servizi, a seguito dell'avvio ad agosto 2014 delle procedure di licenziamento collettivo per esuberi strutturali di 146 dipendenti a tempo indeterminato, le organizzazioni sindacali e i competenti uffici regionali hanno attivato la Cassa integrazione guadagni in deroga a rotazione per i mesi di novembre e dicembre 2014 ed il perdurare della crisi aziendale porterà, quasi certamente, ad un ulteriore ricorso agli ammortizzatori sociali in deroga anche per il 2015;
   l'incertezza del finanziamento degli ammortizzatori sociali per il 2015 potrebbe mettere a rischio l'assetto occupazionale complessivo dei 382 lavoratori, aggravando ulteriormente la situazione del settore e del territorio palermitano. Si tratta quindi di una «crisi strutturale» che, se non supportata da nuovo lavoro, rischia di degenerare;
   in tal senso risulta preoccupante lo spostamento dell'attività di Customer service per 300 full time equivalent da parte di Wind spa verso altre regioni;
   la società AlmavivA contact spa, dal mese di aprile del 2012 ed in seguito alla dichiarazione di esuberi temporanei sul territorio nazionale, ha attivato su tutte le sedi del gruppo i contratti di solidarietà di tipo difensivo. Tale ammortizzatore sociale, in scadenza a maggio del 2015, ha finora tamponato la situazione complessiva. In particolare i siti di Palermo, Cordova e Marcellini, sono in sofferenza anche a causa della mancanza di una sede lavorativa unica per la quale il 29 gennaio 2014, in seguito alla mobilitazione di tutti i lavoratori, sono state interessate le istituzioni locali, la presidenza delle regione siciliana, l'assessorato comunale al lavoro, l'assessorato regionale alle attività produttive ed il Prefetto di Palermo. L'aggravarsi della situazione del gruppo rischia di fare precipitare l'attuale perimetro occupazionale con conseguenze disastrose a livello nazionale ed in particolare sul territorio regionale dove è collocato ben oltre il 60 per cento del personale impiegato nel proprio settore di Customer relationship management;
   il Presidente Crocetta dovrebbe prendere posizione pubblicamente a difesa del lavoro a tempo indeterminato prodotto nei call center in Sicilia;
   per tutto quanto già esposto si richiede, pertanto, l'istituzione di un tavolo istituzionale locale permanente sul settore delle telecomunicazioni e dei servizi;
   le recenti evoluzioni in merito alla vertenza Almaviva stanno assumendo in questi giorni dei contorni dai risvolti seriamente preoccupanti per la Sicilia. Almaviva Contact è la più grande realtà lavorativa che insiste sul territorio siciliano con una base occupazionale di circa 6000 lavoratori di call center, di cui 4500 dipendenti e 1500 a progetto;
   nei prossimi giorni verrà reso noto l'esito della gara per l'assegnazione del traffico telefonico di un importante operatore telefonico, Wind, che allo stato attuale occupa circa 1500 lavoratori impiegati, principalmente, nel territorio della regione siciliana. La mancata assegnazione di tali volumi, comporterebbe, inevitabilmente, un ulteriore aggravio delle condizioni in cui versa l'azienda, con pesanti ricadute occupazionali per migliaia di famiglie siciliane. Almaviva contact, infatti, allo stato attuale ha ricorso ai contratti di solidarietà per fronteggiare circa 2000 esuberi, a causa della delocalizzazione del traffico telefonico, che ha portato un sostanziale decremento dei volumi, sia per le attività inbound che outbound. A ciò si aggiungono gare effettuate al massimo ribasso e senza regole che garantiscano la territorialità dei servizi erogati, con la conseguente perdita di commesse quali, ad esempio, 060606, comune di Roma e 020202 comune di Milano. A quanto sopra espresso, si aggiunge la notizia, appresa il 6 febbraio 2015 da parte dell'amministratore delegato Antonelli, della richiesta di rilasciare i locali di una delle due sedi palermitane in cui è presente Almaviva, ovvero i locali di via Cordova, ove sono impiegati circa 1500 lavoratori. Ciò comporterebbe, senza dubbio, l'inizio di una deriva occupazionale senza precedenti per la Sicilia e l'ulteriore impoverimento di un territorio già martoriato dalla crisi e dalla fuga di imprenditori e attività industriali;
   a dispetto di questo stato di crisi, la direzione aziendale di Almaviva, nel mese di settembre dello scorso anno, ha provveduto, con un'inversione di tendenza, a trasferire la propria sede legale da Roma a Palermo, anche in funzione dell'intenzione di radicarsi maggiormente nel territorio siciliano;
   le organizzazioni sindacali di categoria ed i lavoratori hanno manifestato numerose volte per le strade del capoluogo siciliano e «sfilato» nei pressi del palazzo del Presidente della regione siciliana, che non è stato in grado di produrre nessuna iniziativa, come a nulla sono servite gli incontri con i deputati siciliani delle commissioni parlamentari dell'Assemblea regionale siciliana; 
   quello dei «Call Center», è un settore, che seppur stia vivendo una profonda crisi per l'assenza di regole o per la mancata applicazione di esse, ha un notevole margine di sviluppo che potrebbe, se affrontato con adeguati investimenti e attraverso percorsi di formazione e riqualificazione del personale atti a recuperare pezzi di mercato, portare a creare una vera e propria industria di servizi in un comparto, che in Sicilia, con il tasso di disoccupazione più alto d'Italia vede impiegati circa 20 mila addetti di cui la metà solo a Palermo. Lo smantellando dell'attuale perimetro aziendale, che deriverebbe dalle ricadute sui singoli territori degli esuberi derivanti dalle circostanze su esposte, metterebbe definitivamente in ginocchio un intero tessuto sociale;
   Almaviva contact è una società che ha creato lavoro buono e stabile, tant’è che anche nel suo statuto c’è il divieto di de-localizzare e trasferire lavoro all'estero ed il premio che riceve dallo Stato per una così meritoria decisione è di affidare l'incarico dei propri call center e di quelli delle proprie «aziende pubbliche» ad aziende che stracciano i prezzi in quanto localizzate in Paesi extra-Ue;
   i circa 4 mila esuberi paventati sono uno scenario «occupazionale» che la Sicilia si appresta ad affrontare e che, a giudizio dell'odierno interrogante, si deve scongiurare. Bisogna mettere in campo tutte le iniziative necessarie per impedire la chiusura di uno qualunque dei siti produttivi di Almaviva a Palermo come di qualunque altra città italiana, o finanche la perdita di un singolo posto di lavoro, cui né la città di Palermo, né tanto meno la Sicilia può permettersi il lusso di rinunciare;
   a giudizio dell'interrogante e delle organizzazioni sindacali, v’è la necessità di un intervento deciso del Governo nazionale al fine di tutelare e mantenere i livelli occupazionali, evitando il pericoloso depauperamento del territorio siciliano già gravato da lavori precari e bassi salari;
   è necessaria, inoltre, una decisa presa di posizione da parte delle istituzioni locali a difesa dei lavoratori e cittadini siciliani che porti ad una inversione di tendenza per lo sviluppo e gli investimenti sul territorio, anche attraverso azioni formative di riconversione professionale, nonché un intervento di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, anche in deroga, per le aziende in sofferenza;
   a giudizio dell'interrogante, il Governo, nella sua collegialità, dovrebbe avocare a sé l'intera problematica dei call center italiani ed impedire, con norme legislative e regolamentari tali comportamenti; 
   tutti gli operatori del settore devono essere richiamati alle proprie responsabilità. Non si possono «risparmiare» milioni di euro in mancati pagamenti di contribuzione previdenziali e scaricare sui lavoratori impiegati la fine degli ammortizzatori sociali e dei benefici all'assunzione –:
   se intende rendere noti, gli esiti sui controlli e le eventuali sanzioni adottate al fine di garantire il rispetto dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-08238)


   SAMMARCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una persistente crisi economico-produttiva sta colpendo il settore agricolo a livello nazionale, con particolare riferimento al territorio della provincia di Viterbo, che ha recentemente visto un abbattimento della produzione prossima al 90 per cento;
   le avverse condizioni climatiche delle scorse settimane hanno duramente colpito il territorio della provincia di Viterbo, danneggiando irreparabilmente i raccolti, gli stessi terreni agricoli e le semine;
   le straordinarie alluvioni che hanno colpito i territori citati hanno compromesso soprattutto i raccolti dei prodotti trainanti e peculiari del viterbese, quali le nocciole, i castagni e le olive;
   il perdurante maltempo ha causato l'allagamento di diverse arterie viarie e l'interruzione della ferrovia Roma-Viterbo –:
   se non ritengano di verificare se non vi siano le condizioni per dichiarare lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Viterbo;
   se non ritengano altresì opportuno, anche attraverso la sospensione delle imposte a carico degli agricoltori, fornire sostegno concreto al settore agricolo, che è volano produttivo imprescindibile del territorio della Tuscia e che necessita di interventi di aiuto straordinario, anche in considerazione della difficile contingenza economica. (4-08233)


   COSTANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   Cirò Marina è un comune di circa 15 mila abitanti in provincia di Crotone;
   nel mese di febbraio si sono verificati, presso la scuola media Don Bosco, due casi di scabbia su due bambini di nazionalità italiana. La scabbia è una patologia legata all'acqua, causata da un minuscolo parassita, trasmessa dal contatto pelle-pelle in seguito a un contatto prolungato ed è una delle tre malattie della pelle che colpiscono i bambini;
   in seguito alla pubblicità dell'episodio, il sindaco di Cirò Marina, Roberto Siciliani, ha emesso una circolare in cui emergerebbe il nesso tra la presenza del centro di accoglienza per minori non accompagnati nel territorio del comune e i due casi di scabbia, nonché tra la presenza del passaggio di migranti adulti (richiedenti asilo) provenienti dai centri di accoglienza limitrofi a Cirò Marina e la possibilità che si crei un contagio presso la popolazione, ordinando alle autorità della polizia municipale di allontanare gli extracomunitari dalla zona degli esercizi commerciali del comune;
   l'ordinanza recita testualmente: «Nei giorni scorsi, presso un Istituto scolastico della città si legge nel documento a firma del sindaco di Cirò Marina – sono stati riscontrati due isolati episodi di scabbia che hanno comunque determinato una sorta di allarmismo tra la popolazione. Considerato che a Cirò Marina è stato attivato un centro di accoglienza per minori extracomunitari non accompagnati e verosimilmente non assistiti da medico di famiglia, si ritiene indispensabile che tutti i presenti vengano periodicamente sottoposti ad adeguati controlli medici da parte dell'ASP competente» e «poiché anche nel territorio limitrofo sono stati accertati casi di tal genere, in particolare tra gli extracomunitari giunti in seguito ai continui sbarchi», il sindaco invita «il Comando Polizia Municipale, nel pieno rispetto della persona umana, a scopo precauzionale, a voler porre in essere tutti gli accorgimenti necessari al fine di evitare che extracomunitari possano avvicinarsi in prossimità di esercizi commerciali o girovagare liberamente per le strade per chiedere questue o altro»;
   immediate sono state le reazioni di numerose associazioni e dei sindacati del territorio: Arci, le cooperative sociali Agorà Kroton, Kroton Community e Baobab, Intersos, Legacoop Calabria e Libera Crotone hanno immediatamente sottolineato la deriva razzista dell'ordinanza, Amnesty International ha emanato una nota in cui invita a ritirare al più presto l'ordinanza, visto il rischio di deriva razzista e di allarmismo che può generare presso l'intera cittadinanza. Illegale e responsabile della circoscrizione calabrese di Amnesty International, Eugenio Naccarato, ha dichiarato: «le autorità hanno il dovere di proteggere la salute di tutti coloro che si trovano sul loro territorio e di prendere misure a tale scopo, ma queste non devono avere contenuti discriminatori né indicare un intero gruppo di persone fuggite dalla guerra e dalla persecuzione come portatore di una minaccia alla salute pubblica, confinandolo socialmente o, ancora peggio, auspicando una compressione della libertà personale e di movimento» –:
   se il Governo al corrente dei fatti citati in premessa se non ritenga di interessare l'Unar al fine di valutare se sussistano i presupposti di un intervento dell'ufficio con riferimento alla deprecabile vicenda descritta. (4-08234)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il parco Geominerario storico ambientale della Sardegna, previsto dall'articolo 114, comma 10 della legge n. 388 del 2000 è istituito con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle attività produttive e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 16 ottobre 2001, è stato commissariato il 7 febbraio 2007 con l'obiettivo di procedere al riordino del consorzio di gestione del parco per rimuovere gli ostacoli che ne avevano impedito il regolare funzionamento nei primi sei anni di gestione;
   a distanza di oltre otto anni dal suo commissariamento nessun piano di riordino del consorzio del parco è stato attuato nonostante sia stata presentata con l'approvazione unanime della comunità del parco una proposta di riordino sin dal mese di luglio del 2007;
   il perdurare oltre ogni ragionevole limite della gestione commissariale ha portato il consorzio del parco all'inconcludenza e al degrado gestionale con il programma dell'esercizio 2014 rimasto sostanzialmente inattuato;
   con la sottoscrizione del protocollo di intesa per l'attuazione del «Piano Sulcis», avvenuta in data 13 novembre 2012, il Governo si era impegnato a «dare piena operatività in tempi stretti al Parco Geominerario»;
   il TAR Lazio, con sentenza del 6 novembre 2013, ha annullato l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013 n. 73 con il quale il Governo intendeva procedere unilateralmente e senza il rispetto della procedura prevista dalla norma istitutiva al riordino del consiglio direttivo del consorzio del parco;
   il Governo, piuttosto che prendere atto delle evidenti e incontrovertibili motivazioni evidenziate nella richiamata sentenza del TAR Lazio, ha presentato in data 16 gennaio 2014 ricorso in appello al Consiglio di Stato per l'annullamento della medesima sentenza;
   a distanza di quasi 14 anni dall'istituzione del parco geominerario, anche per il mancato e regolare esercizio delle funzioni assegnate all'organo di vigilanza, le istituzioni competenti non sono state in grado di far funzionare lo strumento che il Parlamento e il Governo avevano voluto istituire e finanziare, nel rispetto degli impegni assunti con l'UNESCO e con la regione sarda, per promuovere la rinascita culturale, sociale ed economica delle aree minerarie dismesse della Sardegna come sta avvenendo con ottimi risultati negli altri grandi bacini minerari europei –:
   quali provvedimenti intenda assumere il Ministro per porre fine alla dannosa gestione commissariale e alla ricostituzione degli organi collegiali del consorzio del parco disposta con il decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013;
   quali azioni intenda mettere in atto il Ministro per dare attuazione alla più complessiva proposta di riordino del consorzio del parco al fine di rendere finalmente operativo lo strumento che avrebbe dovuto rappresentare il più importante motore di sviluppo locale nelle aree minerarie dismesse della Sardegna nelle quali la chiusura delle miniere e la più recente crisi del settore industriale rischiano di far precipitare nel dramma la già difficile situazione di degrado sociale che caratterizza alcune delle aree più povere del nostro paese. (5-04883)


   OLIVERIO e BATTAGLIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 febbraio 2015 è stato nominato il consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale dell'Aspromonte, che rimarrà in carica per i prossimi cinque anni;
   i componenti sono Michele Zoccali sindaco di Santo Stefano di Aspromonte, Santo Casile, sindaco di Bova, Antonio Condelli, sindaco di Antonimina, Domenico Creazzo, sindaco di Sant'Eufemia di Aspromonte, su designazione della Comunità del Parco, Antonino Falcomatà, su designazione delle Associazioni di protezione ambientale, Roberto Sannino, su designazione dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Francesco Cannizzaro, su designazione del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, e Giuseppe Idà, su designazione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in particolare, per quanto concerne la nomina di Francesco Cannizzaro si segnala che si tratta di un consigliere in carica, eletto alle ultime elezioni regionali svoltesi il 23 novembre 2014 e attualmente capogruppo del gruppo consiliare denominato Casa delle Libertà;
   l'articolo 6 dello statuto prevede che «l'Ente Parco svolge la propria azione ed articola l'organizzazione amministrativa secondo i principi di imparzialità e trasparenza» e per tale ragione la citata nomina, all'interno del consiglio direttivo, lascia alquanto perplessi in considerazione dell'incarico politico svolto dal Cannizzaro nonché sulla opportunità di una nomina così marcatamente politica all'interno di un Parco nazionale;
   in molti statuti anche di enti parco regionali è spesso richiamata l'incompatibilità tra la nomina non solo a Presidente ma anche all'interno del consiglio direttivo di parlamentari, europarlamentari, consiglieri regionali in carica –:
   se i ministri interrogati fossero a conoscenza dell'incarico di consigliere regionale attualmente ricoperto da Cannizzaro e se non ritengano opportuno riesaminare tale scelta in relazione ai criteri di imparzialità e trasparenza previsti dallo statuto dell'ente parco che, in tal modo, escludono nomine di personaggi politici nel consiglio direttivo. (5-04889)


   ZOLEZZI, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, DAGA, MANNINO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Pian de Rosce, al Terminillo, in Provincia di Rieti è stata rinvenuta una discarica abusiva, denunciata al Corpo forestale del comando provinciale di Rieti il 20 gennaio 2015;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa (il Messaggero.it, articolo di Monia Angelucci del 23 gennaio 2015): «la scoperta segnalata in una lettera al sindaco, all'assessore all'Ambiente e al comandante della Municipale di Rieti, è dei Grilli parlanti Rieti e riguarda lo spazio vicino all'ex vivaio del Corpo Forestale dello Stato»;
   l'articolo prosegue precisando che già nel novembre del 2012, «Legambiente Centro Italia segnalò la discarica a cielo aperto, in cui erano presenti rifiuti di ogni genere, come confezioni di detersivo, cartacce, cassette di plastica rotte, scatolame arrugginito, bidoncini, bottiglie e buste di plastica e piastre di ferro disseminate per centinaia di metri. Questa la risposta dal settore Ambiente del Comune di Rieti: La Forestale, nel 2012 – spiega – ha segnalato al Comune il rinvenimento nella stessa località di un consistente cumulo di rifiuti. La Municipale prima e il personale dell'ufficio Ambiente poi hanno effettuato sopralluoghi: l'area interessata è accessibile da Pian di Rosce dove, percorrendo una mulattiera, si giunge al Colle Rischiara [...]. Lo stato attuale dei luoghi è conseguenza del conferimento dei rifiuti negli anni ’60/’80. Il terreno è di proprietà dell'Amministrazione Beni Civici di Vazia. Il Comune ha predisposto un progetto di bonifica del sito per un costo stimato di circa 200.000 euro, al fine di reperire i fondi regionali»;
   questa emergenza si inserisce nel complesso panorama della tutela ambientale e paesaggistica di tutta il territorio del Terminillo. L'area in questione ricade, infatti, in zona ZPS (zona di protezione speciale) identificata con il codice IT6020005 denominata «Monti Reatini» facente parte della Rete Natura 2000 istituita dalla direttiva «Habitat» (ovvero la Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche – Gazzetta Ufficiale del 22 luglio 1992). La rete comprende anche zone create ai sensi della direttiva «Uccelli» e mira a fornire una valida protezione per le zone faunistiche più importanti dell'Europa. Gli Stati membri, ai sensi dell'articolo 3 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, classificano, in particolare, come zone di protezione speciale (ZPS) i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di tali specie, tenuto conto delle necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la direttiva «Habitat»;
   questa discarica abusiva mette a serio repentaglio la tutela delle migrazione degli uccelli e delle specie selvatiche nell'ambito della zone di protezione speciale (ZPS), considerato, altresì, che nei pressi all'area in esame, gravita un sito di interesse comunitario (SIC – identificato con il codice IT6020007 – Gruppo Monte Terminillo, che contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat), che, per il pregio floro-faunistico, crea una rete di flussi migratori che sarebbe inevitabilmente compromessa dalla presenza nel sito di una discarica abusiva, venendo meno agli obiettivi perseguiti dalla direttiva citata;
   tale territorio è coperto anche da tutela paesaggistica come prevista dalla legge n. 1497 del 1939 (indicata nel portale Vincolo in Rete – http://vincoliinretegeo.beniculturali.it) ed è all'interno di un reticolo idrografico, composto dal Fosso dell'Inferno e dai Fossi di Ponte Granaro e Ranaro. Pertanto si profila il rischio di inquinamento delle falde acquifere a causa della probabile percolazione proveniente dai rifiuti urbani indifferenziati ivi presenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati e quali iniziative di competenza intenda adottare, alla luce di eventuali accertamenti tecnici effettuati sullo stato di conservazione degli ambienti naturali in relazione al rispetto dell'articolo 3 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 sul mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat delle specie migratorie;
   se il Ministro interrogato, anche alla luce del rischio di danno ambientale e di gravi ripercussioni sulla salute dei cittadini, non ritenga opportuno disporre verifiche e controlli, anche per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, sullo stato di inquinamento delle falde acquifere ivi presenti, in relazione alla presenza di sversamenti incontrollati di rifiuti. (5-04893)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio del 2012 la decima sezione del tribunale civile di Milano nella causa civile di primo grado per danno ambientale iscritta al numero registro 67662/2004, la sentenza che ha condannato la «Syndial S.p.A.», società del gruppo ENI attiva nel campo del risanamento, ambientale, a pagare alla Presidenza del Consiglio, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al Commissario delegato per l'emergenza ambientale Calabria, la somma di 56.200.000 euro come risarcimento per il danno ambientale accertato sull'ex sito industriale di Crotone;
   la richiesta di risarcimento era stata inoltrata nel 2004 dalla Regione Calabria che aveva citato in danno Syndial «per le conseguenze all'immagine e l'aumento delle spese sanitarie dovute al presunto incremento di patologie riconducibili all'attività industriale condotta presso il sito di Pertusola Sud»;
   tuttavia, nel dispositivo pronunciato dal giudice nel febbraio 2012 tale istanza è stata rigettata, riconoscendo, invece, l'indennizzo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   da notizie di stampa si apprende che i cinquantasei milioni di euro che il tribunale di Milano ha obbligato la Syndial a versare nelle casse dello Stato saranno integralmente destinati al comune di Crotone;
   in un incontro svoltosi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con tutti gli altri enti locali coinvolti nella vicenda, è stato ribadito che tale somma è da considerarsi esclusivamente a titolo di risarcimento danno, e che non comprende le risorse che la Syndial dovrà mettere in campo per le attività di bonifica del territorio, attività di competenza della società Eni, i cui progetti, tuttavia, sinora hanno incassato il parere negativo degli enti locali;
   nello stesso incontro il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe tranquillizzato delegazione circa i fondi a disposizione e destinati alla bonifica dell'area SIN, che ad oggi ammonterebbero a 19.916.860,84 euro, disponibili a valere sui fondi del Programma nazionale di bonifica e sulle risorse ordinarie del Ministero –:
   se la somma risarcitoria di cui in premessa sia effettivamente stata trasferita al comune di Crotone, e, ove così non fosse, presso quale ente siano in giacenza quale ne sia la destinazione. (4-08212)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le avversità atmosferiche che hanno provocato la violenta mareggiata abbattutasi sulla costa di Riccione lo scorso 6 febbraio, causando numerosi danni infrastrutturali e alle attività diportistiche, rischiano di compromettere in modo serio la prossima stagione turistica balneare, nei riguardi di un territorio quale la riviera romagnola, notoriamente di richiamo e di successo a livello internazionale;
   numerosi stabilimenti balneari, a seguito di quanto accaduto, risultano infatti seriamente danneggiati in maniera significativa, come constatato dalla protezione civile e dalla polizia locale, attraverso le cabine demolite, le apparecchiature elettriche e numerose strutture alcune delle quali inagibili;
   i danni maggiormente consistenti tuttavia, che si riscontrano su una estesa parte del litorale della costa di Riccione, sono causati dall'erosione di circa 150 mila metri cubi di sabbia, a cui sarà difficile rimediare, che renderà impossibile affrontare in maniera adeguata e funzionale, per la prossima stagione estiva, l'offerta turistica per numerose imprese balneari;
   la mancanza di sabbia sulle spiagge, determinerà infatti evidenti perdite economiche per gli operatori del settore, i quali non riusciranno a soddisfare le esigenze della propria clientela, né tantomeno a mantenere gli standard qualitativi, a cui il gran numero di turisti provenienti da ogni parte del mondo sono abituati da decenni;
   l'interrogante segnala inoltre, che ulteriori effetti negativi e penalizzanti derivanti dall'emergenza erosione sul litorale riccionese, si riscontrano anche, per i danni d'immagine dell'intera città di Riccione, che, come in precedenza esposto, basa la sua attrattività principale proprio sul turismo balneare, oltre che gastronomico e paesaggistico;
   l'interrogante evidenzia altresì come nell'ultimo decennio, il sistema di difesa costiero locale, costituito per un tratto da «barriere sommerse», se ha conseguito inizialmente ottimi risultati fintanto che è rimasto integro, è stato nel corso degli anni tuttavia abbandonato, anche a causa della regione Emilia-Romagna, che non ha effettuato a quanto consta all'interrogante alcuna opera di manutenzione e tutela di difesa e che si è limitata ad intervenire limitatamente tramite ingenti apporti di sabbia (maxiripascimenti);
   a tal fine, a giudizio dell'interrogante, le misure ed il sistema d'intervento della regione stessa, sono risultate fallimentari, in quanto insostenibili economicamente, poiché prima di apportare materiale sabbioso, sarebbe stato necessario garantire il più possibile la permanenza tramite una barriera sommersa adeguata;
   al primo maxi-ripascimento avvenuto nell'anno 2002 è seguito un secondo intervento realizzato in forma ridotta nel 2007, mentre un successivo terzo maxi-ripascimento, che sarebbe dovuto essere effettuato nel 2012, non è stato in realtà effettuato, determinando pertanto una situazione di grave emergenza, aggravata anche a seguito della mareggiata avvenuta agli inizi del presente mese di febbraio;
   la medesima regione avrebbe destinato su un ammontare dei finanziamenti stanziati pari a 5 milioni di euro complessivi per interventi strettamente finalizzati al superamento delle criticità in precedenza riportate, soltanto 200 mila euro, alla provincia di Rimini;
   quanto suesposto a parere dell'interrogante, in considerazione delle articolate osservazioni critiche che coinvolgono l'economia territoriale non solo di Riccione (interessata dai gravi danni alle spiagge causati dall'evento atmosferico, la cui città rappresenta un motore trainante per la crescita e lo sviluppo del prodotto interno lordo), ma per l'intera regione Emilia Romagna, richiede una serie di interventi da parte del Governo in carica, finalizzati all'introduzione di misure emergenziali, in favore della tutela e della salvaguardia del litorale interessato, nonché degli operatori turistici, al fine di ripristinare le condizioni di normalità per il litorale della riviera romagnola ed evitare gravissimi danni economici e occupazionali al settore turistico ricettivo –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle competenze proprie, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se corrisponda al vero che gli interventi di maxi-ripascimento finalizzati a migliorare i sistemi di difesa costiero locale, che la regione Emilia-Romagna, avrebbe dovuto effettuare, non sono stati effettivamente completati;
   quali iniziative nell'ambito delle competenze proprie, intendano pertanto intraprendere al fine di agevolare il ripristino il sistema di difesa costiero locale del litorale di Riccione costituito per una parte dalle «barriere sommerse», già da numerosi anni danneggiate, le cui condizioni si sono ulteriormente deteriorate a seguito della mareggiata avvenuta il 6 febbraio 2015;
   se, in conseguenza dell'evento calamitoso esposto in premessa, non ritengano opportuno infine, prevedere per le parti di propria competenza, iniziative normative ad hoc, anche attraverso agevolazioni fiscali, in favore delle imprese turistico-balneari, che hanno subito danni agli stabilimenti in relazione all'erosione di circa 150 mila metri cubi di sabbia, i cui effetti economici negativi non tarderanno a manifestarsi all'inizio della prossima stagione estiva. (4-08236)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, BRESCIA e VACCA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione Teatro Stabile della città di Napoli, i cui soci fondatori sono il Comune di Napoli, la Regione Campania, la provincia di Napoli, il Comune di Pomigliano d'Arco, l'Istituzione per la promozione della cultura del Comune di San Giorgio a Cremano, è stata riconosciuta dal Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, con proprio decreto (repertoriato al n. 1439 del 26/09/2014), «Teatro Stabile ad iniziativa pubblica» di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale 12 novembre 2007 e, come si apprende dal comunicato dal Servizio ufficio stampa del Comune di Napoli del 21 gennaio 2015, ha di recente modificato il proprio statuto in modo da prevedere l'ingresso, nel proprio Consiglio di Amministrazione, del rappresentante del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, di due componenti indicati dal Comune di Napoli, uno dalla Regione Campania ed uno della Città Metropolitana, oltre che due membri esterni;
   secondo quanto esposto nella relazione redatta e resa pubblica dallo stesso Teatro Stabile di Napoli in data 26/01/2015 indirizzata al Sindaco di Napoli conseguente alle polemiche scatenatesi sui mezzi d'informazione, di seguito definita «relazione del Teatro», accertato, in data 7 novembre 2014, lo stanziamento di circa sei milioni di euro di fondi di finanziamento del Piano azione e coesione per il biennio 2015/16 ottenuti in bozza di riprogrammazione «PAC III» e con l'obiettivo di ottenere il riconoscimento di «Teatro Nazionale», la cui candidatura, da presentare al Ministero dei Beni e delle Attività culturali del Turismo entro il 31 gennaio 2015, può essere inoltrata, in base all'articolo 10 del decreto ministeriale 1o luglio 2014, soltanto qualora «almeno il cinquanta percento del personale amministrativo e tecnico del teatro sia assunto con contratto a tempo indeterminato», il Consiglio di amministrazione del Teatro, in data 12 novembre 2014: ha preso atto del fabbisogno di personale fisso in adeguamento ai requisiti di cui al suddetto decreto ministeriale, ha fissato i primi criteri per il reclutamento e successivamente, nella seduta del 18 novembre 2014, ha approvato la dotazione organica 2015 secondo cui il personale fisso passa da 15 a 30 unità; nella stessa seduta, il Consiglio di Amministrazione ha, inoltre, stabilito: di affidare ad una agenzia specializzata una preselezione per raggiungere il risultato di minimo cinque profili di candidati selezionati per ogni figura; di istituire una Commissione, nominata dal Consiglio stesso, con l'incarico della selezione e della nomina dei partecipanti vincitori, composta di cinque membri di cui due interni, il direttore e il responsabile interno del servizio relativo alla figura da selezionare, e tre esterni, il dott. Vincenzo Galgano, il Prof. Mario Rusciano e la dott. Rosaria Marchese; tale commissione «procederà alla valutazione finale dei candidati selezionati mediante colloqui e nominerà il vincitore per ciascun profilo»;
   nella seduta del 24 novembre 2014 il Consiglio di amministrazione ha deciso di affidare la preselezione ad una società esterna dando mandato al direttore, Luca De Fusco, della scelta, ricaduta, infine, sulla Adecco Italia spa e di procedere con la pubblicazione dell'avviso per le posizioni richieste sul sito web dell'Associazione;
   il 16 dicembre 2014 avviene la pubblicazione del bando di selezione per l'assunzione a tempo indeterminato di complessive n. 15 unità per i seguenti profili professionali: un capo ufficio stampa; un addetto ufficio stampa; un responsabile gestione teatri; un addetto gestione teatri; due addetti produzione e programmazione; un addetto alla promozione; un assistente alla promozione; un addetto alla contabilità; un addetto all'amministrazione; un addetto ufficio gare; tre elettricisti teatrali; un macchinista teatrale. L'avviso recita: «I candidati sono ammessi alla selezione con riserva dell'accertamento dei requisiti prescritti»; «Ogni candidato può concorrere ad uno solo dei profili professionali richiesti»; «Gli interessati dovranno far pervenire la loro candidatura entro e non oltre le ore 12:00 del 27 dicembre 2014, esclusivamente per posta elettronica semplice all'indirizzo email: selezioneteatro.napoli@adecco.it»;
   in base al bando di selezione e alla sopracitata relazione del Teatro, l'agenzia del lavoro Adecco Italia spa ha il compito, quindi, di verificare la regolarità formale delle domande e del possesso da parte dei candidati dei requisiti professionali richiesti dal bando e di segnalare alla commissione costituita dal Teatro Stabile di Napoli un numero minimo di 5 nominativi fino ad un massimo di 11, quest'ultimo limite massimo non è però annunciato nel bando di selezione, per ciascun profilo oggetto della selezione; le domande risultate rispondenti ai requisiti di ammissione previsti dall'avviso di selezione saranno poi valutate dall'apposita Commissione che inviterà i candidati a sostenere un colloquio in base al quale formulerà la valutazione delle candidature pervenute;
   solo in data 9 gennaio, di venerdì, avviene, da parte del Teatro Stabile di Napoli, la pubblicazione dei calendari dei colloqui da sostenere dinanzi alla commissione del teatro senza nomi dei selezionati; l'avviso, recita: «I candidati che avranno superato la preselezione effettuata dall'agenzia del lavoro Adecco Italia spa, e pertanto ammessi ai colloqui, riceveranno apposita convocazione via mail da parte del Teatro»; tale calendario prevede che i colloqui si sarebbero svolti a partire dal lunedì seguente: il 12 gennaio 2015 alle ore 10:30 per i profili di Responsabile Ufficio Stampa e Addetto Ufficio stampa e alle ore 15:00 per i profili di Responsabile Gestione Teatri e Addetto Gestione Teatri; il 13 gennaio 2015 alle ore 10:00 per i profili di Addetto Produzione e Programmazione e alle ore 15:00 per i profili di Elettricisti e Macchinisti; il 14 gennaio 2015 alle ore 10:00 per i profili di Addetto alla promozione e Assistente alla promozione e alle ore 15:00 per Addetto Ufficio Gare e Addetto Amministrazione; il 15 gennaio 2015 alle ore 10:00 per i profili di Addetto contabilità;
   secondo quanto ricostruito nella relazione a cura del Teatro, l'Associazione Teatro stabile di Napoli, a fase di preselezione già avviata, avrebbe chiesto alla società Adecco Italia spa, ai fini della classificazione dei punteggi, che, in considerazione di un non meglio specificato «carattere d'urgenza», di limitarsi a verificare «le informazioni autocertificate nei curriculum vitae dai singoli candidati e la relativa documentazione allegata [...] (certificati di diploma e laurea; attestati per la conoscenza della lingua inglese e/o conoscenze informatiche; esperienze professionali nel settore teatrale)»;
   in data 12 gennaio, il giorno d'inizio dei colloqui, l'organizzazione SLC CGIL di Napoli, richiamando al principio di trasparenza, diffonde un comunicato per intimare «di rendere pubbliche, quanto prima, le liste di idonei alla preselezione del bando pubblicato dall'Associazione Teatro Stabile di Napoli»;
   sebbene la commissione di selezione avesse declinato, o, per citare la relazione del Teatro, avesse «espresso dubbi» circa tale richiesta per motivi di privacy, in seguito alle numerose polemiche rilevate anche dagli organi d'informazione, la direzione pubblica i nomi delle «cinquine» in data 13 gennaio, il giorno dopo dell'inizio dei colloqui;
   tra coloro i quali il colloquio di selezione del profilo scelto, in base al calendario senza i nomi dei convocati pubblicato in data 9 gennaio, era già stato svolto al momento della pubblicazione dei nominativi dei preselezionati ammessi vi è Flavia Varriale che, come dalla stessa dichiarato nell'edizione del quotidiano la Repubblica del 20 gennaio 2015, in diverse altre testate nei giorni successivi e nel servizio del programma televisivo Ballarò andato in onda il 10 febbraio 2015, solo in data 13 gennaio apprende che, sebbene afferma di non aver ricevuto alcuna comunicazione di convocazione, avrebbe dovuto svolgere il colloquio il giorno precedente, ovvero il 12 gennaio; malgrado le tempestive rimostranze, dalla relazione del Teatro si evince che: «Solo in un caso si contesta la mancata ricezione. Il sistema ci garantisce che la nostra mail pec è partita. Il problema è stato posto alla Commissione che ci ha indicato senza indugi di procedere, senza la possibilità di poter esaminare la candidata in altra data la candidata»; la Varriale, dunque, non viene riammessa perché la procedura per la selezione del profilo da lei scelto era già stata chiusa dalla commissione; come si apprende successivamente e come reso noto da numerose testate giornalistiche, vincitrice per tale profilo risulta essere Maria Rita Baio;
   in data 25 gennaio 2015 vengono pubblicati i nomi dei neo assunti; i candidati esclusi, gli organi d'informazione e anche talune cariche istituzionali, tra cui l'Assessore alla cultura del Comune di Napoli, Nino Daniele, sollevano un polverone mediatico e incalzano nel chiedere chiarimenti e che si rendano pubblici gli atti;
   confrontando l'elenco degli assunti pubblicato sul sito dello Stabile e gli elenchi degli staff delle ultime tre edizioni del «Napoli Teatro Festival», i cui «magazine» sono scaricabili dal sito del Festival (www.napoliteatrofestival.it), – la cui direzione artistica delle ultime quattro edizioni è affidata a Luca De Fusco, direttore dell'Associazione Teatro Stabile di Napoli, e la cui organizzazione è affidata alla fondazione «Campania dei festival», nel cui Consiglio di Amministrazione siede l'assessore regionale con delega alla promozione culturale, Caterina Miraglia – ben cinque nomi coincidono: Valeria Prestisimone (addetto all'ufficio Stampa), Francesca Matteoli (addetto produzione e programmazione), Serena Bruscolini (assistente alla promozione), Federica Chierchia (addetto alla contabilità) e Maria Rita Baio (responsabile gestione teatri) che al Festival si occupava del cerimoniale e sulla quale si accaniscono particolarmente le polemiche in quanto compagna di Raffaele Riccio (come riportato dall'edizione del 22 gennaio 2015 del quotidiano il Mattino e da numerose altre testate), portavoce dell'Assessore regionale della Campania con delega alla Promozione culturale, Caterina Miraglia, oltre che facente parte dell'ufficio di coordinamento dello stesso Napoli Teatro Festival delle ultime quattro edizioni;
   il 26 gennaio 2015, stesso giorno della pubblicazione della relazione a cura del Teatro contenente tentativi di chiarimento in risposta alle polemiche sollevate circa le modalità della selezione, il Presidente del Consiglio di Amministrazione dell'Associazione Teatro Stabile di Napoli, Adriano Giannola, in una nota al sindacato giornalisti, rinvia chi volesse contestare la regolarità della procedura, avendo un interesse diretto, alla Adecco Italia spa tramite posta elettronica e, per conoscere la propria posizione nella graduatoria generale di preselezione e il proprio punteggio individuale, al Teatro Stabile di Napoli; ad oggi non è ancora stata pubblicata una graduatoria generale con i relativi punteggi dei candidati e, secondo numerose testimonianze, non è stata fornita nessuna risposta a chi ha provato a scrivere agli indirizzi di posta elettronica indicati –:

se e in quali modalità il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo intenda tenere conto delle procedure di assunzione descritte in premessa, quantomeno torbide e superficiali tanto da incoraggiare nell'opinione pubblica sospetti circa i vincitori della selezione, in relazione alla richiesta attualmente in esame della stessa Associazione Teatro Stabile della Città di Napoli di ottenere il riconoscimento di «Teatro nazionale» di cui all'articolo 10 del decreto ministeriale 1o luglio 2014. (5-04876)

Interrogazione a risposta scritta:


   IMPEGNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la società NEW EDENLANDIA a responsabilità limitata ha sottoscritto un contratto ultranovennale per la gestione del parco (30 anni) con la MdO spa, la società ha altresì inviato anche al Ministero una lettera in cui si chiedeva al Ministro di chiarire la puntualità. del vincolo apposto sulle «cose di cui all'articolo 1 della legge 1o giugno 1939, n. 1089, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 442 del 1999, rientrante nel parco divertimenti denominato EDENLANDIA, e se l'indicazione «parco divertimenti» fatta all'epoca (1999-2000) fosse da ritenere quale vincolo archeologico, già indicato nel 1940, ovvero fosse riferita all'impianto originario e delle opere d'architettura contemporanea realizzate negli anni ‘50 e negli anni ‘60 (Cinodromo ed Edenlandia), che, in quanto realizzate in un tempo inferiore a 50 anni, non potevano essere vincolate ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 1 della stessa legge n. 1089 del 1939;
   da oltre tre settimane la soprintendenza di Napoli sta ponendo in essere nel gestire la problematica una condotta che l'interrogante giudica di dubbia legittimità che inerisce il parco divertimenti denominato EDENLANDIA (nato nel 1965 e primo storicamente in Europa) che, come noto, è allocato a Napoli nel compendio immobiliare della Mostra d'Oltremare spa;
   non è dato comprendere come sia possibile apporre il vincolo di tutela monumentale su un «Parco Divertimenti», fino a voler imporre all'imprenditore che deve investire, il rispetto della procedura di cui all'articolo 21 comma 4o del decreto legislativo n. 42 del 2004, elevando il parco e tutti i suoi contenuti, comprese le giostre, a «bene monumentale» di interesse pubblico –:
   se sia corretta l'apposizione del vincolo da parte del sovrintendente di Napoli, in quanto questa misura sta causando il ripensamento del gruppo imprenditoriale sull'iniziativa intrapresa, con grave danno alla città di Napoli, all'indotto turistico e a 55 lavoratori in cassa integrazione fino al maggio 2015 che, con la riapertura del parco, fermo da 3 anni, avrebbero ritrovato una piena e dignitosa occupazione.
(4-08225)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:


   RABINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il volontario in ferma prefissata di 1 anno, istituito dalla legge 23 agosto 2004, n. 226 («legge Martino»), è un militare delle Forze armate italiane, che presta servizio nel periodo di 1 anno, nell'Esercito, nella Marina militare o nell'Aeronautica militare e costituisce il primo livello di accesso alle Forze armate italiane in modo volontario. L'ammissione alla ferma avviene tramite concorso pubblico per titoli e previo giudizio di idoneità psicofisica al servizio militare incondizionato, entro il compimento del 25o anno di età;
   la ferma dei volontari in ferma prefissata di 1 anno è annuale, rinnovabile per due successive rafferme e il compimento di un anno effettivo di servizio consente di partecipare ai concorsi per il reclutamento dei volontari in ferma prefissata di 4 anni nelle altre Forze armate italiane, entro il compimento del 30o anno di età;
   al termine della ferma quadriennale, i volontari potranno inoltrare domanda utile a concorrere per i concorsi riservati per la nomina a volontario in servizio permanente ed il transito nella categoria dei graduati, divenendo, quindi, militare professionista a tutti gli effetti e fruendo del rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
   il passaggio in servizio permanente avviene attraverso un concorso a numero chiuso, per titoli maturati negli anni e per immissione. Nel caso di non transito, il militare in ferma prefissata di 4 anni avrà diritto ad una rafferma di due anni, durante la quale potrà nuovamente accedere al concorso per volontario in servizio permanente e, nel caso in cui, nemmeno in questi due anni riuscisse a transitare, usufruirebbe di un'ulteriore ed ultima rafferma di due anni;
   il problema reale va rintracciato nei numeri, in quanto i posti disponibili per divenire volontari in servizio permanente risultano nettamente inferiori al numero degli arruolati (intorno ad un quinto) e, sostanzialmente, moltissimi militari in ferma prefissata potrebbero, dopo un lungo periodo di servizio allo Stato italiano, ritrovarsi a 38 anni nella condizione di disoccupati, con grosse difficoltà a ricollocarsi, sia per ragioni di età che di specificità della loro esperienza lavorativa –:
   quali urgenti iniziative intenda attuare al fine di ridimensionare il precariato militare e se non ritenga opportuno rimodulare i concorsi di accesso al servizio permanente per i volontari in ferma prefissata, adattando la disponibilità degli accessi al numero degli arruolati proporzionalmente alle esigenze del Ministero della difesa. (3-01326)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCON, DURANTI, PALAZZOTTO e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   numerose fonti di stampa hanno riportato nei giorni scorsi la notizia di esercitazioni, attività e manovre di navi militari italiane ai confini delle acque territoriali della Libia;
   secondo tali fonti, e confermate da dichiarazioni di alti ufficiali della marina Militare, l'esercitazione si chiamerebbe «Mare aperto» e coinvolgerebbe la nave anfibia «San Giorgio» partita dalla base navale di La Spezia e altre navi partite dalla base di Taranto;
   il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Claudio Graziano ha affermato che queste attività addestrative possono avere «certamente anche un ruolo di sicurezza, deterrenza e dissuasione»;
   l'Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli ha affermato che queste attività non escludono «il dovere di intervenire di fronte a violazioni del diritto internazionale»;
   l'ultima esercitazione condotta poco prima dell'inizio dell'operazione «Mare Nostrum», è stata la «Brilliant Mariner – Mare Aperto» che si è svolta nel settembre 2013. In quella operazione, furono impiegati più di tre mila unità. Furono impiegate l'unità anfibia San Marco, le fregate Aliseo, Espero e Grecale, la rifornitrice Stromboli, la corvetta Fenice e i pattugliatori Foscari e Cigala Fulgosi;
   la situazione bellica e umanitaria della Libia rimane drammatica e a questa si accompagna la ricorrente partenza dalle coste libiche di imbarcazioni con a bordo profughi in cerca di rifugio e protezione sul nostro territorio –:
   quale sia la natura addestrativa delle manovre delle navi militari italiane al largo delle coste libiche;
   quante navi e per quanti giorni saranno impegnate e in quale area al largo delle coste della Libia;
   se rientri nelle attività delle forze navali italiane impedire la partenza di imbarcazioni di profughi dalle coste libiche e il loro blocco in mare con la scorta nei porti libici;
   se le forze navali italiane abbiano come mandato, ad esclusione dell'autodifesa, quello di intervenire militarmente, a quali condizioni e con quali regole d'ingaggio. (5-04890)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il ddl 2679 all'articolo 17, comma 11, prevedeva, così come le precedenti leggi di stabilità, l'autorizzazione di spesa per le finalità di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135 e, nel limite di un milione di euro per le finalità, di cui all'articolo 2, comma 552, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, di 100 milioni di euro a decorrere dal 2015;
   tale norma veniva stralciata ai sensi dell'articolo 120, comma 2 del Regolamento della Camera, comunicata all'Assemblea nella seduta del 30 ottobre 2014;
   la Commissione Bilancio ha successivamente approvato un emendamento del relatore, che prevedeva l'istituzione di un fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze per esigenze indifferibili da ripartire tra le finalità inserite alla voce dell'elenco allegato alla legge di stabilità;
   la Camera impegnava con un ordine del giorno accolto dal governo nella seduta del 30 novembre 2014 a destinare le somme previste alla voce 1 dell'elenco 1 esclusivamente per le finalità di cui all'articolo 3, comma 1, decreto-legge n. 167 del 1997;
   in particolare l'articolo 1, comma 199, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» stabilisce l'istituzione di un Fondo, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, per il finanziamento» di esigenze indifferibili con una dotazione di 100 milioni di euro annui, a partire dal 2015, da ripartire tra le finalità di cui all'elenco 1, allegato alla stessa legge. In particolare l'intervento si riferisce alla stipula di convenzioni con i comuni, nello specifico di Napoli, provincia di Napoli e comune di Palermo, per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili;
   la disposizione testè citata, entrata in vigore il 1° gennaio, non ha potuto neanche dispiegare i suoi effetti in quanto con il decreto legge 31 dicembre 2014, n. 192 all'articolo 6, comma 6-bis si prevede che agli oneri derivanti dalla proroga, per l'anno 2015, dei rapporti convenzionali, attivati dall'ufficio scolastico provinciale di Palermo con riferimento all'espletamento delle funzioni di collaboratori scolastici, si provvede mediante riduzione di un importo pari a 10 milioni di euro a valere sul fondo di cui sopra che riguarda appunto i lavoratori socialmente utili;
   nonostante le rassicurazioni di alcuni esponenti del Governo, espresse durante le fasi di approvazione della legge di stabilità, in merito alla necessità di sostenere gli Lsu di Napoli e Palermo, sottolineando che gli interventi previsti: «sono in continuità con la situazione normativa precedente atta a far fronte a una situazione occupazionale particolarmente difficile che ha colpito Sicilia e Campania», prima ancora che la norma entrasse in vigore, parte di quegli stanziamenti, sono stati distratti senza tenere in alcun conto la situazione di grave precarietà di questi lavoratori, inserita in un contesto ad alto tasso di disoccupazione, di squilibrio sociale e grave crisi economica e produttiva come quella Campania che rischia di far saltare i già tenui equilibri sociali e di ordine pubblico della regione stessa –:
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, il Ministro interpellato intenda adottare al fine di ricostituire la dotazione originaria del Fondo di cui all'articolo 1 comma 199, della legge 24 dicembre 2014, n. 190 garantendo, in tal modo, l'avvio di tutti gli interventi di carattere sociale volti alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili di Napoli e Palermo.
(2-00868) «Di Lello, Pisicchio».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in una nota, il Ministero dell'economia e delle finanze ha annunciato la cessione di 540.116.400 azioni ordinarie, una quota pari al 5,74 per cento, di Enel attraverso un Accelerated Bookbuild riservato ad investitori qualificati in Italia e ad investitori istituzionali esteri avvenuta nella notte tra giorno 25 e 26 di febbraio 2015;
   l’Accelerated Bookbuild è una procedura con cui vengono cedute ad investitori istituzionali quote societarie particolarmente rilevanti. La peculiarità di tale procedura consiste, come suggerito dal nome, nella celerità delle operazioni di cessione e senza la necessità di alcuna operazione pubblicitaria, cosa che invece accade in occasione di offerte pubbliche iniziali. Per contro, l’Accelerated Bookbuild prevede uno sconto per gli investitori istituzionali che acquistano la quota che può variare tra l'1 ed il 5 per cento. Lo sconto è il margine di guadagno degli investitori che con il tempo cederanno una parte del pacchetto ad altri investitori mentre una parte finirà sul mercato. Proprio in ragione di tale sconto, l'accoglienza dei mercati all’Accelerated Bookbuild è di norma negativa. Enel, infatti, non si configura come eccezione riportando un ribasso azionario in data 26 febbraio 2015;
   in occasione della cessione di cui sopra, il Ministero ha fissato un range di prezzo di vendita non inferiore ai 4 euro ad azione. Sempre nella nota, viene annunciato che il corrispettivo della vendita ammonta complessivamente a circa 2,2 miliardi di euro;
   un pool di quattro banche, BofA Merrill Lynch, Goldman Sachs International, Mediobanca, e UniCredit Corporate & Investment Banking, ha svolto il ruolo di joint Bookrunners. Il Tesoro si è impegnato con suddetti istituti a non smobilizzare ulteriori quote della società energetica per un arco temporale di almeno 180 giorni, senza il consenso dei joint Bookrunners stessi e salvo esenzioni come da prassi di mercato. Due ulteriori società, Equita SIM e Clifford Chance, hanno svolto per il Ministero funzioni rispettivamente di advisor finanziario ed advisor legale in occasione della cessione di quote di cui sopra;
   in occasione di un'interrogazione a risposta immediata in assemblea svolta il giorno 27 novembre 2014 presso il Senato, il Ministro dell'economia e delle finanze ha manifestato l'intenzione del Governo di ottenere risorse dalla cessione di quote pubbliche pari allo 0,7 per cento del PIL a partire dal 2015. Sempre in occasione dell'interrogazione di cui sopra, oltre ad Enel, viene citata l'intenzione di cedere quote azionarie di Poste Italiane, Ferrovie dello Stato ed Enav –:
   quale motivazione abbia spinto il Ministero ad intraprendere l'operazione di cessione delle quote Enel adoperando lo strumento dell’Accelerated Bookbuild in considerazione dell'esistenza di altre procedure disponibili;
   se, non ritenga opportuno chiarire quali provvedimenti riguarderanno l'impiego dei 2,2 miliardi di euro ottenuti dalla suddetta cessione delle quote Enel.
(2-00871) «Dorina Bianchi, Vignali, Piso».

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIAMMANCO e PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla necessità di una maggiore efficienza nei servizi, in vista di una possibile diminuzione dei loro costi e come leva per maggiori investimenti, si colloca l'avvio, sin dalla XV legislatura, di un programma straordinario di analisi, valutazione e contenimento della spesa dello Stato, comunemente denominato, sulla base di analoghe esperienze internazionali spending review. Nello specifico, a fronte delle difficoltà riscontrate nel perseguire una riduzione delle dinamiche della spesa pubblica, è emersa la necessità di potenziare il monitoraggio dei flussi della finanza pubblica e di elaborare nuovi strumenti, di carattere più strutturale e selettivo, finalizzati a consentire un più penetrante controllo;
   tra gli obiettivi sottesi a tale meccanismo vi è quello di superare la logica dei tagli lineari alle dotazioni di bilancio e il criterio della spesa storica. Nel corso della XVI legislatura, il processo di analisi e revisione della spesa è stato dapprima incorporato e reso permanente nel sistema delle decisioni di bilancio ad opera della nuova legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009), a cui poi si sono poi affiancati, a partire dall'estate del 2011, specifici interventi legislativi. Questi ultimi, oltre ad ampliarne l'ambito di operatività, hanno definito modalità applicative di carattere speciale rispetto alla disciplina generale, facendo, in particolare, leva sulla diffusione del metodo dei fabbisogni e dei costi standard utilizzato e sancito sul piano normativo, con riferimento agli enti territoriali dalla legge delega n. 42 del 2009 di attuazione del federalismo fiscale;
   un ulteriore filone di interventi in materia di spending review si è registrato nell'ultimo anno della XVI legislatura, anche a seguito della presentazione, in data 30 aprile 2012, del rapporto che ha inteso affrontare il problema della spesa pubblica dal punto di vista delle singole attività, funzioni o organizzazioni nelle quali l'offerta di beni e servizi al cittadino si organizza. Pressoché contestualmente alla presentazione del rapporto, il 3 maggio 2012 è stata adottata una direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha disciplinato l'attività di revisione della spesa delle amministrazioni centrali da realizzare nell'arco del periodo 1o giugno-31 dicembre 2012, al fine di conseguire un obiettivo di riduzione della spesa indicato in un importo pari a 4,2 miliardi di euro per l'anno 2012;
   con due appositi provvedimenti d'urgenza si è, dunque, provveduto ad avviare il nuovo ciclo di spending review. In particolare, in una prima fase, con il decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 2012, recante «Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica», è stato istituito un comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica e, in un secondo momento, con il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», si è proceduto all'adozione di una serie di misure di contenimento e riorganizzazione della spesa pubblica volte a realizzare, per quanto concerne il comparto delle amministrazioni centrali, gli obiettivi indicati nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2012, nonché, per ciò che attiene al generale settore della pubblica amministrazione, ad operare una rimozione della spesa per beni e servizi, anche sulla base delle risultanze dell'analisi svolta del commissario straordinario per la spending review;
   il Consiglio dei ministri del 4 ottobre 2013 ha poi nominato Carlo Cottarelli, già responsabile del dipartimento finanza pubblica del Fondo monetario internazionale, nuovo commissario straordinario per la spending review. L'attività del commissario straordinario ha riguardato le spese delle pubbliche amministrazioni, degli enti pubblici, nonché delle società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche che non emettono strumenti finanziari quotati in mercati regolamentari;
   nelle prime settimane del Governo Renzi, il commissario Cottarelli ha preparato un piano di tagli per 34 miliardi in tre anni. Nello specifico il piano prevedeva l'adozione di misure di razionalizzazione e revisione della spesa tali da determinare una riduzione della spesa delle amministrazioni pubbliche non inferiore a 600 milioni di euro nel 2015 e 1.310 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017. Inoltre, si prevedevano variazioni delle aliquote di imposta e riduzioni delle agevolazioni e detrazioni fiscali tali da conseguire maggiori entrate pari a 3.000 milioni di euro per il 2015, 7.000 milioni per il 2016 e 10.000 milioni a decorrere dal 2017;
   un piano ben strutturato le cui previsioni avrebbero dovuto essere contenute nel decreto «sblocca Italia», che poi sono state rimandate alla legge di stabilità, nella quale sono state inserite solo alcune indicazioni fornite dal commissario della spending review e nello specifico sul «disboscamento» della giungla delle partecipate. A seguito delle dimissioni del commissario Cottarelli non si è più avuta alcuna notizia in merito allo studio condotto dal suo team che, invece, è tornato alla ribalta proprio in questi giorni;
   infatti, in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera del 22 gennaio 2015 si evidenzia come i 25 documenti finali della spending review si siano praticamente «volatilizzati», in quanto non si trovano né presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, né presso il Ministero dell'economia e delle finanze. Nel mese di dicembre 2014 il Comitato per il Foia (Freedom of information act) ha inviato formali richieste alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze per rendere pubbliche le relazioni finali sulla revisione della spesa: il dipartimento per la programmazione e il coordinamento delle politiche economiche della Presidenza del Consiglio dei ministri ha, però, risposto che «non possiede gli atti richiesti non avendo peraltro competenza in materia e visto che il commissario straordinario si avvale delle risorse umane e strumentali del Ministero dell'Economia». In un successivo momento, il Comitato si è quindi rivolto al Ministero dell'economia e delle finanze e la risposta ricevuta dalla portavoce del Ministro interrogato è stata ancora più surreale, visto che ha spiegato che lo studio di Cottarelli non è presente nella documentazione del Ministero dell'economia e delle finanze, dato che il commissario non ha mai fatto parte del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se il Governo intenda rendere pubblici i documenti vagliati dal commissario Cottarelli, come l'Esecutivo abbia fino ad ora utilizzato i dati forniti dall'analisi svolta del commissario straordinario per la spending review, quali siano stati i tagli di spesa effettivamente conseguiti sulla base delle analisi svolte dal commissario straordinario e quali si intendano effettuare in futuro. (3-01328)


   ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER e SCHULLIAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 10 dicembre 2014 il Comando generale della Guardia di finanza, come ogni anno, ha pubblicato un concorso interno, per titoli, per l'ammissione di 420 allievi vicebrigadieri al 19o corso presso la Scuola allievi ispettori e sovrintendenti riservato agli appuntati scelti del Corpo;
   i vincitori del concorso frequentano poi un corso di formazione giuridico-professionale di durata non inferiore ai tre mesi presso la Scuola ispettori e sovrintendenti dell'Aquila, al termine del quale gli allievi dichiarati idonei conseguono la nomina a vicebrigadiere;
   l'articolo 2, comma 2, del bando, ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego», riserva 11 posti per i candidati in possesso dell'attestato di bilinguismo, così genericamente espresso da sottintendere che l'attestato di bilinguismo possa essere di qualsiasi livello da «A» a «D»;
   è utile ricordare che nella provincia autonoma di Bolzano, ai sensi dell'articolo 99 dello statuto speciale di autonomia del Trentino-Alto Adige di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e successive modificazioni, la lingua tedesca è parificata a quella italiana e i cittadini di lingua tedesca, ai sensi del successivo articolo 100 dello statuto, possono utilizzare la loro lingua nei rapporti con gli uffici pubblici e nei processi;
   l'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 752 del 1976, e successive modificazioni, prevede quattro tipi di attestato di bilinguismo riferiti al titolo di studio prescritto per l'accesso alle varie qualifiche funzionali: (A) diploma di laurea; B) diploma di istruzione secondaria di secondo grado (maturità); C) diploma di istituto di istruzione secondaria di primo grado (terza media); D) licenza di scuola elementare), nonché attribuisce al commissario del Governo la facoltà di stabilire, con propri provvedimenti, il passaggio a qualifiche superiori qualora il candidato sia in possesso di un attestato di livello corrispondente o superiore al titolo di studio richiesto per l'accesso dall'esterno alla qualifica o profilo professionale cui si aspira;
   per l'accesso dall'esterno al Corpo della Guardia di finanza, tutti i bandi di concorso prevedono una riserva di posti, commisurata al livello di istruzione richiesto per rivestire tale funzione: per il concorso di arruolamento per finanzieri, livello più basso, viene richiesto il diploma di istruzione di primo grado (terza media) ed il livello «C» di bilinguismo, per l'accesso al ruolo di ispettori ed ufficiali viene richiesto il diploma di scuola superiore ed il livello «B» di bilinguismo;
   per il concorso interno per il passaggio al ruolo sovrintendenti, invece, questa formula non viene rispettata e si procede indicando genericamente un attestato di bilinguismo, che può essere da «A» a «D», non collegando così l'avanzamento di carriera, che generalmente prevede un aumento di mansioni e responsabilità, al possesso di un maggior grado di conoscenza e padronanza della lingua tedesca proprio in funzione del maggiore grado ricoperto –:
   se il Ministro ritenga di intervenire affinché, anche nel bando per gli avanzamenti di carriera al ruolo di sovraintendenti della Guardia di finanza attraverso il concorso interno, sia garantito un maggiore e più adeguato livello di conoscenza della lingua tedesca per l'assegnazione dei posti nella provincia autonoma di Bolzano, al pari di quanto avviene per l'accesso dall'esterno, in modo da rispettare il dettato statutario in materia di uso della lingua tedesca in provincia di Bolzano, che viene invece sistematicamente disatteso con riguardo all'impiego delle forze dell'ordine in Alto Adige. (3-01329)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, si è introdotta una revisione delle modalità di determinazione e dei campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) secondo criteri che permettano di prevedere, nel calcolo dell'indicatore, una più ampia classificazione dei redditi familiari (come i redditi tassati con regimi sostitutivi e redditi non tassati), di migliorare la capacità selettiva dell'indicatore mediante una maggiore valorizzazione della componente patrimoniale, di focalizzare l'attenzione su tipologie familiari con carichi particolarmente gravosi (in merito al numero di figli o alla presenza dei figli disabili), di differenziare l'indicatore in riferimento al tipo di prestazione richiesta, di ridefinire i benefici da attribuire sulla base delle condizioni economiche, di rideterminare le soglie delle prestazioni e di rafforzare il sistema dei controlli attraverso la riduzione al minimo delle autocertificazioni. Una delle principali novità della riforma prevede, infatti, che alcune informazioni importanti relative al reddito, che prima erano auto-dichiarate, non debbano essere più inserite nel modello dal contribuente, perché l'Inps richiede le informazioni direttamente all'Agenzia delle entrate;
   prima con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2014, poi la circolare dell'Inps n. 171 del 2014, si è provveduto, quindi, all'introduzione, a partire dal 1o gennaio 2015, del nuovo modello dell'indicatore della situazione economica equivalente, con lo scopo, almeno nelle intenzioni del Governo, di migliorare l'equità sociale a favore delle famiglie più numerose e disagiate. Al fine di implementare la semplificazione e la sburocratizzazione, con lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, si è stabilito che l'Inps rendesse disponibile on line il nuovo servizio dedicato all'indicatore attraverso una piattaforma telematica da cui scaricare il nuovo modello e procedere all'acquisizione, alla gestione e alla consultazione della dichiarazione sostitutiva unica (dsu) da inviare per ottenere l'indicatore 2015;
   con la riforma aumentano considerevolmente i nuovi modelli di dichiarazione sostitutiva unica che lievitano, oggi, ad otto: due modelli base, la cosiddetta dsu-mini, che tutti i sono tenuti a compilare e che serve per la maggior parte delle prestazioni poiché si riferiscono al nucleo familiare, alla casa di abitazione, alle informazioni su reddito, patrimonio mobiliare e immobiliare; una serie di altri modelli, i restanti sei, che invece vanno compilati esclusivamente per alcune tipologie di prestazioni, i cosiddetti indicatore della situazione economica equivalente università, indicatore della situazione economica equivalente sociosanitario, indicatore della situazione economica equivalente minorenni ed altri;
   il contribuente deve, quindi, compilare i moduli di dichiarazione sostitutiva unica, consegnarli direttamente all'ente che eroga la prestazione, oppure al comune, o al centro di assistenza fiscale, o all'Inps, ed è proprio l'istituto previdenziale che alla fine calcola l'indicatore della situazione economica equivalente;
   in realtà, però, si apprende, da numerosi organi di stampa e dalle dichiarazioni dei dirigenti dei sindacati dei centri di assistenza fiscale che, con la riforma, al posto della semplificazione e della sburocratizzazione fiscale, si siano moltiplicati disagi;
   si impiega, infatti, oggi molto più tempo per concludere una pratica, che deve inoltre essere perfezionata in più riprese, poiché, oltre alle complicazioni dovute alla compresenza di diversi moduli (quindi a fronte dei 20 minuti prima necessari oggi ne occorrono fino al doppio), la nuova procedura richiesta vede un'attesa di almeno 10 giorni, che può allungarsi fino ai 20. Dopo la compilazione del modello, infatti, questo va spedito all'Inps che in 10 giorni deve controllarlo e poi rispedirlo ai centri di assistenza fiscale, che devono farlo firmare all'utente e riconsegnarlo. Nel caso però in cui ci sia qualche incongruenza dovuta alle autocertificazioni, l'Inps lo rinvia al centro di assistenza fiscale, che a sua volta deve richiamare l'utente per sistemare l'errore, poi rispedire il modello ed attendere nuovamente 10 giorni;
   al contribuente è richiesta, in luogo dell'autocertificazione, un'importante mole di documenti che non soltanto li costringe a recarsi più volte negli uffici per chiedere maggiori chiarificazioni a riguardo, ma ad ulteriori carichi fiscali, poiché sembra che alcune banche richiedano addirittura un compenso per il rilascio di documenti che invece dovrebbero essere gratuiti proprio in quanto necessari alla compilazione dell'indicatore della situazione economica equivalente;
   in questo modo si arreca un grave pregiudizio al contribuente, che sarà costretto a recarsi almeno due o tre volte presso i centri di assistenza fiscale per avere il documento, sostenere anche spese aggiuntive prima non previste ed attendere anche fino a 20 giorni, esponendolo, inoltre, al rischio di perdere qualche agevolazione a causa delle lungaggini richieste per la procedura;
   anche molti sindaci di diversi comuni hanno lanciato l'allarme poiché con le nuove procedure si allungheranno anche i tempi per la definizione delle soglie per l'accesso ai servizi essenziali forniti dalle pubbliche amministrazioni, ossia dei tempi per conoscere le somme da versare o i bonus di cui godere per servizi fondamentali, quali asili nido, servizi sanitari, servizi ad anziani e disabili;
   la semplificazione, quindi, non sembra essere arrivata, anzi le nuove regole sembrano colpire le fasce più deboli che richiedono questo indicatore, portando qualche contribuente a scoraggiarsi a tal punto tanto da rinunciarci. Recenti stime prevedono, infatti, che con la nuova riforma dell'indicatore della situazione economica equivalente si assisterà ad un calo del 20 per cento del numero di contribuenti che accederanno alle agevolazioni sociali, a causa del minore spazio lasciato all'autocertificazione e all'aumento dei controlli;
   allarmante, infine, è la denuncia di Confedilizia che ha rilevato come il nuovo indicatore rappresenti, di fatto, una nuova tassa sulla casa a danno soprattutto dei piccoli proprietari: questo include nel calcolo il valore degli immobili così come definito ai fini Imu. Di conseguenza, molti proprietari di immobili che con le vecchie regole sull'indicatore della situazione economica equivalente, basate sull'indicatore che prendeva in considerazione l'imponibile Ici, avevano diritto alle prestazioni sociali agevolate, con il nuovo indicatore della situazione economica equivalente, che tiene conto dell'imponibile Imu, verranno oggi automaticamente esclusi dalle agevolazioni;
   il nuovo indicatore della situazione economica equivalente, dunque, la cui ratio si fonda sul principio di welfare secondo cui i cittadini economicamente più svantaggiati devono avere diritto a prestazioni agevolate per i servizi pubblici essenziali, a parere degli interroganti sembra essere paradossalmente diventato uno strumento per fare nuovamente cassa sui cittadini e disperdere in maniera irrazionale le risorse statali: da un lato, la celata tassa patrimoniale sulla super-tassata proprietà – a scapito ovviamente dei piccoli proprietari possidenti della sola prima casa – e la percentuale stimata di contribuenti che rinunceranno al calcolo dell'indicatore con grave pregiudizio in termini di godimento dei servizi di cui questi non usufruiranno più. Dall'altro, la nuova richiesta dei centri di assistenza fiscale che, come già detto, a fronte di un maggior carico di lavoro, richiedono una rimodulazione di segno positivo per i compensi ricevuti dall'Inps, il cui costo, ancora una volta, sarà sempre sostenuto dai contribuenti;
   da ultimo, ma non meno importante, è quella che appare agli interroganti la speculazione che gli istituti di credito stanno operando a spese di ignari cittadini che sono costretti a richiedere alle banche la nuova mole di documenti necessari per la compilazione dei moduli. Il Governo, in questo senso, non sta prendendo le misure adeguate e sembra, ancora una volta, prendere invece le parti e fare il gioco dei potentati del Paese, lasciando indietro le classi più deboli meritevoli di maggior tutela;
   è chiaro secondo gli interroganti come il Governo abbia commesso degli errori macroscopici in questo senso; sarebbe, quindi, necessario rimodulare quantomeno il meccanismo di calcolo del valore della proprietà immobiliare, così come evitare che i contribuenti si carichino in qualsiasi modo di spese aggiuntive prima non previste ed evitare che questi rinuncino al calcolo dell'indicatore in oggetto perché ciò equivarrebbe a metterli in condizione di dover rinunciare al godimento di servizio essenziali che uno Stato di diritto sociale, quale il nostro si qualifica costituzionalmente, deve invece garantire, rimuovendo efficacemente ogni ostacolo di ordine economico e sociale suscettibile di alterare l'uguaglianza sostanziale tra i cittadini –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere al fine di rivedere le attuali norme procedurali di compilazione e rilascio dell'indicatore della situazione economica equivalente in modo da attuare effettivamente, e al più presto, una sostanziale sburocratizzazione e semplificazione a favore del contribuente, che, attualmente, è costretto ad adempimenti maggiori rispetto al precedente sistema, in quanto non soltanto è costretto ad una più lunga attesa, ma anche ad obbligazioni di certificazione e soprattutto a nuovi oneri fiscali, tra cui il calcolo del valore della proprietà immobiliare e il pagamento della documentazione bancaria, che colpiscono i contribuenti appartenenti alle fasce più disagiate, così come specificato in premessa.
(3-01330)


   TABACCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono stati appena stampati i due corposi volumi contenenti gli atti dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa svolta dalla Commissione parlamentare per la semplificazione conclusa con l'approvazione all'unanimità del documento conclusivo;
   nel corso dell'indagine il tema della semplificazione si è spesso necessariamente intrecciato con quello delle liberalizzazioni, risultando evidente che una vasta e puntuale opera di liberalizzazione può rappresentare la chiave indispensabile per attuare la semplificazione legislativa e amministrativa invocata con urgenza da parte di cittadini ed imprese;
   nel documento conclusivo, la Commissione parlamentare per la semplificazione ha assunto l'impegno ad una costante azione di indirizzo nei confronti del Governo, finalizzata, tra gli altri obiettivi, «a varare un programma di liberalizzazioni che proceda con un cronoprogramma stringente, per aree di regolazione, nei settori più rilevanti per le attività di impresa», precisando che «su questa base potrebbero essere individuati in modo tassativo i casi nei quali sono necessari ancora regole e controlli e quelli in cui vanno eliminati»;
   negli ultimi tempi sono state assunte meritorie iniziative, che vanno nella direzione indicata, fino all'approvazione, da ultimo, del primo disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza;
   sembra, però, tuttora mancare l'approccio organico ed il cronoprogramma cui si fa riferimento nel documento conclusivo dell'indagine;
   le critiche a cui sono stati sottoposti i recenti provvedimenti di liberalizzazione da parte delle categorie interessate non devono indurre ad abbassare ulteriormente l'asticella, quanto piuttosto ad alzarla intervenendo in ogni ambito per evitare poco comprensibili disparità di trattamento –:
   se il Ministro interrogato abbia valutato l'impatto e le ricadute derivanti dai provvedimenti di liberalizzazione previsti dal Governo in termini di miglioramento dei conti pubblici. (3-01331)


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo una stima dell'ex commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica Carlo Cottarelli, le società partecipate dagli enti locali in Italia risultano essere in numero superiore alle 10.000 unità;
   la stessa stima calcola una somma superiore ai 26 miliardi di euro di spesa annua tra trasferimenti statali e locali;
   secondo i dati raccolti da Cerved, 2.671 società partecipate risultano disporre di un numero maggiore di amministratori rispetto a quello dei dipendenti;
   i dati di cui sopra, inoltre, rilevano come in 1.896 aziende pubbliche non risulti impiegato alcun dipendente. Oltre la metà di esse, peraltro, risultano in perdita;
   la legge di stabilità per il 2015 impone alle regioni ed agli enti locali di presentare entro il 31 marzo 2015 un piano di razionalizzazione –:
   se non ritenga opportuno valutare con attenzione le ricadute economiche negative che potrebbero derivare al nostro Paese, illustrando quali provvedimenti intende adottare in merito al fenomeno descritto. (3-01332)


   MARCHI, CAUSI, GUERRA, MISIANI, BOCCADUTRI, BONAVITACOLA, PAOLA BRAGANTINI, CAPODICASA, CENSORE, FANUCCI, FASSINA, GIAMPAOLO GALLI, GINATO, GIULIETTI, LAFORGIA, LOSACCO, MARCHETTI, MELILLI, PARRINI, PILOZZI, PREZIOSI, RUBINATO, BONIFAZI, CAPOZZOLO, CARBONE, CARELLA, COLANINNO, DE MARIA, MARCO DI MAIO, MARCO DI STEFANO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GITTI, GUTGELD, LODOLINI, MORETTO, PASTORINO, PELILLO, PETRINI, RIBAUDO, SANGA, ZOGGIA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della complessiva azione riformatrice del Governo, l'assetto istituzionale e finanziario degli enti territoriali riveste un ruolo strategico, come testimoniato dal complesso e ampio intervento legislativo realizzato principalmente attraverso la legge n. 56 del 2014, che ha previsto l'istituzione delle città metropolitane e la ridefinizione del sistema delle province, l'armonizzazione dei sistemi contabili e l'introduzione del pareggio di bilancio per le regioni;
   riforme di questa portata richiedono una stabilità di fondo della finanza locale per evitare che situazioni di incertezza e criticità ne condizionino la delicatissima fase di avvio;
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015), e il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, recante proroga di termini, hanno previsto numerose misure in materia di finanza locale;
   in particolare, per i comuni è stata stabilita una riduzione della dotazione del fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015 e un contestuale allentamento del patto di stabilità interno, mentre per le regioni è stata dettata la disciplina del periodo transitorio per l'anno 2015 alla luce dell'introduzione del principio del pareggio di bilancio;
   restano, tuttavia, ancora indeterminati alcuni aspetti essenziali per il funzionamento del sistema finanziario degli enti territoriali, specie per quanto riguarda l'assetto tributario e, in particolare, la fiscalità immobiliare;
   la delicatezza e l'importanza del comparto territoriale richiedono interventi organici e di ampio respiro da attuare necessariamente all'interno di un percorso condiviso a tutti i livelli istituzionali;
   in questo senso vanno nella giusta direzione le recenti intese raggiunte in seno alle conferenze, ma tale esempio di leale collaborazione tra amministrazioni va finalizzato al raggiungimento di un assetto stabile della finanza locale che garantisca una corretta programmazione finanziaria e l'approvazione dei bilanci in un quadro di certezza rispetto alle risorse a disposizione –:
   quali siano i principali contenuti del confronto in atto con gli enti territoriali in merito all'assetto della finanza locale, anche con riferimento alla possibile ridefinizione e semplificazione della fiscalità immobiliare comunale. (3-01333)


   PAGLIA, MELILLA, MARCON e SCOTTO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la recente decisione del tribunale di Trani di rinviare a giudizio le agenzie di rating Standard & Poor's e Fitch, accusate di aver divulgato «intenzionalmente» ai mercati finanziari – tra il mese di maggio 2011 ed il mese di gennaio 2012 – quattro report contenenti informazioni tendenziose e distorte sull'affidabilità creditizia italiana e sulle iniziative di risanamento e di rilancio economico adottate dal Governo italiano, al fine di disincentivare l'acquisto di titoli del debito pubblico italiano e deprezzarne il valore, ha riportato alla ribalta delle cronache italiane la vicenda che portò il 16 marzo 2012 il Governo italiano a regolare con la banca d'affari newyorkese Morgan Stanley posizioni pregresse su derivati negoziati in mercati non regolamentati intorno alla metà degli anni ’90 e che comportarono perdite nell'ordine di 3 miliardi di dollari, circa 2,5 miliardi di euro;
   secondo l'impianto accusatorio della procura di Trani l'operazione di declassamento da parte Standard & Poor's, a sua volta controllata da McGraw Hill, colosso finanziario che annovera tra i suoi azionisti la banca Morgan Stanley, avrebbe indotto i vertici del colosso del credito americano a chiedere al Governo italiano il recupero della somma, ricorrendo all’additional termination event, ovvero la clausola che riconosce il diritto di risoluzione anticipata dei contratti derivati in essere al verificarsi del superamento di un limite prestabilito di esposizione della controparte nei confronti del nostro Paese;
   i suddetti contratti, sottoscritti dal Governo italiano a partire dal 1990 e che derivano il valore da altre attività finanziarie o reali, avrebbero dovuto tutelare il debito italiano dalle oscillazioni dei tassi di interesse, ma nella realtà si sono rivelati inutili, dannosi e controproducenti, avendo generato al dicembre 2014, secondo quanto riportato da una stima emersa nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui «derivati» avviata dalla Commissione finanze della Camera dei deputati, un valore di mercato negativo per 42,65 miliardi di euro, dei quali circa 2,6 miliardi di euro potrebbero essere sborsati entro il 2018, riguardando contratti con clausole di estinzione anticipata come quella esercitata dalla Morgan Stanley, anche per effetto della disposizione introdotta dal comma 387 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015, che prevede, per la gestione delle operazioni in strumenti derivati sottoscritte dal Ministero dell'economia e delle finanze, doppi margini di garanzia collaterale;
   con riferimento alla suddetta adozione di un modello di garanzia bilaterale da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, come introdotto dalla legge di stabilità per il 2015, secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio, incaricato, tra l'altro, di valutare la sostenibilità e gli effetti sui conti pubblici nel lungo periodo di tali tipi di strumenti finanziari, la finalità potrebbe essere quella «di collocare con più facilità e a prezzi più bassi titoli del debito pubblico italiano presso investitori esteri, oggi meno propensi ad acquistarli poiché la loro convenienza economica è annullata dai costi di copertura del rischio di cambio. (...) Sarebbe però utile acquisire informazioni sulla possibilità che il Dipartimento del tesoro eviti l'introduzione di clausole di questo tipo negli eventuali contratti di garanzia stipulati per il futuro. L'ipotesi ventilata dalla relazione al disegno di legge di stabilità 2015 che l'operazione possa invece dare luogo a depositi da parte delle banche presso la tesoreria dello Stato, assicurando disponibilità liquide aggiuntive, appare tutta da verificare alla luce della condizione che le garanzie siano conferite a terze parti». Inoltre, «nel caso di applicazione della norma ai contratti derivati in essere, dato il loro attuale valore di mercato, si potrebbe avere un deposito di garanzia a carico dello Stato italiano per importi significativi, con un effetto negativo sul fabbisogno e sul debito. (...) Non va inoltre trascurato l'aumento del rischio di instabilità finanziaria connesso con la crescita della quota di debito denominata in valuta e collocata presso gli investitori non residenti, vista la maggiore volatilità del mercato estero, suscettibile di riflettersi negativamente anche sul mercato nazionale» (si confronti focus dell'Ufficio parlamentare di bilancio n. 3 del 9 febbraio 2015);
   un altro effetto non trascurabile della suddetta norma è che di fatto le investment bank, come appunto Morgan Stanley, ma anche Jp Morgan, Deutsche Bank e le altre con le quali sono a tutt'oggi in essere contratti derivati, diventerebbero di fatto dei creditori privilegiati della Repubblica italiana e, in caso di default, si potrebbero rivalere sui depositi di garanzia. La stessa norma autorizza la costituzione di un privilegio che avvantaggia le banche d'affari rispetto ai semplici possessori di buoni del tesoro poliennali, gran parte dei quali sono detenuti da persone fisiche e istituzioni italiane. Da tempo, del resto, le investment bank premevano per ottenere l'inserimento della clausola double way Csa, che è piuttosto tipica nei contratti fra privati ma è insolita quando di mezzo c’è uno Stato sovrano;
   la piena valutazione dei rischi sui conti pubblici e sulla loro sostenibilità nel medio e lungo termine richiederebbero, da parte del Ministro interrogato, meno ritrosia nel fornire una dettagliata e trasparente informazione sulle operazioni già stipulate e ancora in essere relativamente al valore nozionale del contratto, all'ammontare complessivo delle risorse coinvolte, alla durata, alle controparti, al loro merito di credito e, soprattutto, al valore di mercato, e per gli strumenti di nuova stipula dovrebbero essere fornite, con maggiore sistematicità, informazioni relative al modello di pricing utilizzato dal Dipartimento del tesoro; in particolare, se lo stesso ricorra ad un unico modello o più modelli e se si avvale di personale specializzato o si appoggia a terzi;
   nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui derivati promossa presso la Commissione finanze della Camera dei deputati anche dal primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo, la dottoressa Cannata, responsabile della gestione del debito pubblico, a fronte di un'esposizione in derivati della sola amministrazione centrale stimata in 163 miliardi euro ed un controvalore negativo di mercato pari ad oltre 42 miliardi di euro per clausole di estinzione anticipata, alla richiesta di maggiori informazioni da parte del Parlamento sui contratti derivati in essere ha fornito, adducendo vincoli di riservatezza al fine di evitare effetti speculativi di mercato, risposte che potrebbero restituire l'immagine di una gestione del debito pubblico tutt'altro che indirizzata alla prudenza data l'assenza di trasparenza;
   nella relazione depositata presso la stessa Commissione finanze dalla dottoressa Cannata si specifica che attualmente solo in 13 contratti sono presenti clausole di risoluzione anticipata a valore di mercato, ma non viene rivelato quanti e quali degli stessi contratti offrano questa opzione in caso di abbassamento del rating dell'Italia, analogamente a quanto avvenuto con la banca d'affari Morgan Stanley –:
   se risulti per quali motivi il Governo pro tempore, fortemente danneggiato dal declassamento divulgato arbitrariamente dall'agenzia di rating Standard & Poor's, non ritenne necessario acquisire un parere giuridico e verificare la legittimità e la trasparenza di quel declassamento al fine di sottrarsi alla clausola risolutiva del contratto sottoscritto con la banca d'affari Morgan Stanley e se non ritenga, pertanto, necessario promuovere la costituzione di parte civile nel processo che si svolgerà innanzi al tribunale di Trani nei confronti della stessa agenzia di rating. (3-01334)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i risultati dell'indagine congiunturale relativa al trimestre gennaio-marzo 2015, realizzata da Confindustria Piemonte, su un campione di circa 1.000 aziende del comparto manifatturiero e poco meno di 300 imprese operanti nei servizi, rilevano come il clima di fiducia complessivo sia peggiorato, aggiungendo che le prospettive di ripresa rimangono un miraggio;
   per quanto riguardo il comparto manifatturiero, prosegue il documento confindustriale, il 26 per cento delle aziende piemontesi del campione, si attende, per i prossimi mesi una diminuzione dei livelli produttivi, a fronte del 16,5 per cento che prevede invece l'aumento, con un saldo negativo del 9,9 per cento (a fronte del –2,5 per cento rilevato nel trimestre precedente);
   anche gli ordinativi totali, non sembrano migliorare, rispetto allo scorso mese di settembre, con il 29,7 per cento; di imprese pessimiste contro il 17,2 per cento che si ritengono invece ottimiste sul futuro (con un saldo anch'esso negativo del 12,5 per cento (era –9,3 per cento nel IV trimestre);
   a conferma delle accresciute difficoltà, anche le previsioni sull'occupazione rimangono negative: il 15,5 per cento delle aziende del campione prevede una diminuzione della forza lavoro, mentre solo il 10,2 per cento attende un aumento, con un saldo negativo del 5,3 per cento (era –4,4 per cento nella scorsa rilevazione), le aziende del campione segnalano inoltre, un ulteriore live aumento del ricorso alla cassa integrazione guadagni a cui faranno ricorso il 28,2 per cento delle imprese (contro il 25,9 per cento dello scorso trimestre);
   il rapporto dell'associazione industriale di Confindustria Piemonte, rileva inoltre, che anche con riferimento ai tempi di pagamento, la situazione risulta tutt'altro che positiva, in quanto il periodo non diminuisce in maniera apprezzabile: circa 91 giorni, che salgono a 146 se il pagamento arriva da enti pubblici;
   a livello territoriale, le imprese delle province di Alessandria e Novara, risultano quelle territorialmente più pessimiste, rispettivamente al –4,7 per cento e –5,6 per cento evidenziando le difficoltà relative alla scarsa domanda interna, che si riflette sugli ordinativi e conseguentemente sul processo produttivo;
   il suesposto rapporto economico a giudizio dell'interrogante, conferma un quadro estremamente preoccupante e in netta controtendenza rispetto alle dichiarazioni a più riprese espresse dal ministro interrogato e dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, in merito alla ripresa economica in corso nel nostro Paese, a partire dal presente anno;
   a tal fine, l'interrogante evidenzia, come l'economia reale sia del Piemonte, che dell'intera area del Nord ovest e più in generale del Paese, permanga in uno stato di evidente debolezza, a causa di una domanda interna relativa ai consumi delle famiglie, che non riparte e da un sistema fiscale che è ulteriormente aumentato a seguito degli ultimi provvedimenti legislativi, introdotti dal Governo in carica, in primis la legge di stabilità 2015, approvata lo scorso dicembre;
   l'azione di politica economica e industriale, a parere dell'interrogante, da parte dell'Esecutivo Renzi e in particolare dei Ministri interrogati, si è dimostrata nel corso dei dodici mesi di responsabilità di Governo del Paese, debole e insufficiente nello stimolare la ripresa e i consumi, come confermano gli interventi relativi al bonus degli 80 euro in busta paga per i lavoratori dipendenti, che non hanno determinato alcun positivo effetto rimbalzo sull'economia reale;
   necessitano a giudizio dell'interrogante, misure rapide e più incisive, finalizzate a rilanciare la ripresa dei consumi delle imprese, attraverso una rilevante riduzione degli oneri fiscali che, i cui livelli attuali divenuti insostenibile per le imprese, in particolare quelle del Piemonte, come in precedenza esposto, rischiano di determinare soltanto ulteriori cessazioni di attività con inevitabili ripercussioni negative anche sul sistema occupazionale –:
   quale orientamento intendano esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione dei livelli di pessimismo espresso dalle imprese del Piemonte, come evidenziato dal rapporto trimestrale per il 2015, da Confindustria, non ritengano opportuno assumere iniziative per introdurre interventi di fiscalità di vantaggio, al fine di sostenere la ripresa della domanda e dei consumi, che stenta a risalire;
   in caso affermativo, quali iniziative, per le parti di propria competenza, intendano intraprendere, al fine di alleggerire il carico fiscale per le imprese del Piemonte e più in generale del Paese, i cui livelli anche a causa delle recenti misure introdotte, permangono estremamente alti e di estrema difficoltà per la prosecuzione delle attività imprenditoriali. (4-08216)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con una decisione repentina e del tutto gratuita è stato, chiuso il carcere di Iglesias;
   tutto questo è stato deciso nei giorni scorsi per motivi poco verosimili ad avviso dell'interrogante legati al mancato funzionamento dei riscaldamenti del penitenziario iglesiente;
   notizia destituita di ogni fondamento proprio perché l'interrogante ha personalmente verificato il corretto funzionamento degli impianti e la soddisfazione sia del personale che dei detenuti;
   una giustificazione che conferma quella che l'interrogante giudica l'incapacità totale del Dap Sardegna di governare il sistema carcerario sardo a partire dalle più elementari esigenze;
   la decisione inaccettabile, irrazionale e grave di chiudere il carcere di Iglesias è l'ennesima dimostrazione di una gestione scandalosa del sistema penitenziario in Sardegna;
   il Ministro deve fermare questa decisione che costituisce un errore tecnico sostanziale, proprio per la tipologia di reati che si scontano in quella struttura;
   si tratta di un danno pubblico gravissimo proprio perché resterebbe inutilizzata una struttura costata miliardi di lire funzionale alle esigenze del territorio e delle politiche di rieducazione dei detenuti;
   si tratta di una chiusura inaudita decisa unilateralmente dall'amministrazione con quella che all'interrogante appare una superficialità totale e con argomentazioni davvero inaccettabili;
   si è dinanzi ad una decisione che avrà gravi ripercussioni su tutto il personale in servizio a Iglesias e sulle loro famiglie e non solo, considerato che vi è tutto un indotto economico che vi ruota attorno;
   la chiusura dell'istituto di Iglesias costituisce un vero e proprio danno economico considerato che nel resto nel Paese molti altri istituti presentano un rapporto costi/benefici decisamente più sconveniente, oltre anche ad essere fatiscenti e non rispettare le norme europee;
   si tratta di una scelta del tutto discrezionale considerato che risultano inesistenti criteri chiari e trasparenti da applicare a tutti gli istituti penitenziari, criteri che devono essere condivisi con le organizzazioni sindacali e non adottati unilateralmente;
   nell'istituto erano ospitati prevalentemente detenuti protetti, a dimostrazione che nell'ambito di un progetto complessivo l'istituto di Iglesias non solo è utile ma anche indispensabile e opportuno;
   è certamente uno dei pochi istituti sardi dove ai detenuti sono garantite condizioni di vivibilità consone ad un essere umano, come previsto Consiglio d'Europa, nonostante disfunzioni manutentive facilmente superabili;
   si è nei limiti della capienza tollerabile, i detenuti sono ubicati nelle camere di detenzione in un numero non superiore a due;
   la chiusura della casa circondariale cittadina andrà ad incidere sull'economia di una zona, quella del «Sulcis Iglesiente», già di per sé provata, poiché l'indotto sicuramente risentirà gravemente dell'assenza di una struttura importante come il carcere;
   sarà duramente colpito il personale della ditta appaltatrice del servizio di mantenimento dei detenuti, nonché quello della ditta che gestisce la mensa di servizio ed altro;
   tutto questo risulta incomprensibile perché, in regime di «spending review», di gravi crisi economiche, di carenza di posti letto per i detenuti, a fronte di sanzioni da parte del Consiglio d'Europa, e di iniziative per l'amnistia e per l'indulto l'amministrazione penitenziaria dopo aver speso più di 1.000.000 di euro per la costruzione di nuovi locali quali la caserma agenti, 2 capannoni per le lavorazioni dei detenuti, la ristrutturazione dei locali destinati agli uffici e la rimessa in opera del condotto fognario, decide di chiudere l'istituto, lasciando aperti carceri vecchi e fatiscenti invivibili non solo per i detenuti ma anche per il personale –:
   se il Ministro non intenda urgentemente revocare il provvedimento di chiusura del carcere di Iglesias per evidenti incongruenze gestionali, organizzative ed economiche;
   se non intenda predisporre un nuovo piano gestionale che preveda la salvaguardia di quelle strutture efficienti e necessarie a garantire una gestione razionale del sistema carcerario sardo. (4-08223)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 21 gennaio 2015, nell'ambito dell'indagine «Croce nera», svolta dalla procura di Napoli e dalla Dia di Napoli, sono state eseguite 24 ordinanze di custodia cautelare, di cui 10 in carcere e 14 ai domiciliari per presunte gare truccate presso l'ospedale «Sant'Anna e San Sebastiano» di Caserta;
   l'azienda ospedaliera in questione è una struttura di rilievo nazionale e di alta specializzazione, dotata di 500 posti letto;
   la suddetta indagine è durata più di due anni e i reati contestati sono: associazione a delinquere di stampo mafioso ex articolo 416-bis codice penale, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio ex articolo 319, turbata libertà del procedimento ex articolo 353-bis, abuso d'ufficio ex articolo 323 codice penale;
   dall'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, Giuliana Taglialatela, n. 9/2015, si evincerebbe un desolante scenario in cui forze politiche, imprenditori e funzionari pubblici operavano all'unisono con appartenenti a uno dei più feroci sodalizi criminali di Caserta, il clan Casalesi, monopolizzando indebitamente le gare di appalto bandite dall'Azienda Ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta, in assoluta violazione delle nome sulla corretta gestione delle attività amministrative, ciascuno per un proprio tornaconto personale;
   tra i destinatari della misura cautelare ai domiciliari figurano:
    l'ex direttore generale dell'azienda ospedaliera, Francesco Bottino, indagato del delitto di cui agli articoli 110, 81, 61 e 353-bis codice penale, 7 legge 203/91, in quanto – scrive il gip di Napoli – «in totale violazione della normativa sugli appalti, si sarebbe rifiutato di indire una gara ad evidenza pubblica, procedendo all'affidamento diretto del servizio di ristoro a mezzo distributori automatici all'IVS ITALIA S.p.a., con l'aggravante di aver commesso il fatto allo scopo di favorire l'organizzazione camorristica cosiddetta dei Casalesi ed, in particolare, la fazione facente capo a Zagaria Michele, operante nel territorio di Caserta e comuni limitrofi»;
    Giuseppe Gasparin, sindaco di Caserta, ex dirigente dell'ufficio Provveditorato dell'Asl di Caserta, indagato per corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio ai sensi dell'articolo 319 codice penale; secondo gli inquirenti, avrebbe garantito l'aggiudicazione alla società IVS ITALIA S.p.a della concessione in via esclusiva del servizio di ristoro, dei distributori da installarsi all'interno dei presidi ospedalieri, dei distretti sanitari e degli uffici dell'Asl di Caserta, presumibilmente in cambio di una somma di denaro, con l'aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis codice penale e comunque al fine di agevolare l'organizzazione camorristica cosiddetta dei Casalesi da marzo a dicembre 2012;
    il consigliere regionale Pdl Angelo Polverino, con D'Amico Remo, ritenuto preposto del gruppo Zagaria, e Smarra Francesco, quale dipendente dell'Azienda Ospedaliera S. Anna e S. Sebastiano di Caserta, indagati in quanto avrebbero avuto funzioni di intermediari nell'assegnazione della gara in favore della I.V.S. Italia S.p.a. con l'aggravate mafiosa prevista dall'articolo 416-bis codice penale e comunque al fine di favorire l'organizzazione camorristica cosiddetta dei Casalesi;
   tra i destinatari dell'ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli, Giuliana Taglialatela, n. 9/2015 di custodia in carcere, figura l'ingegnere Bartolomeo Festa, direttore dell'Unità operativa complessa di Ingegneria dell'Azienda Ospedaliera S. Anna e S. Sebastiano di Caserta, a capo di un ufficio che i magistrati non esitano a definire «centro nevralgico dell'attività criminale»;
   l'ing. Festa Bartolomeo è stato assunto mediante stipula di contratto a tempo determinato ex articolo 15-septies, comma 1 decreto legislativo 502/92 e successive modificazioni con deliberazione n. 344 del 10 giugno 2006. Il suddetto incarico aveva durata triennale, ma, alla scadenza, in esecuzione della deliberazione n. 250 del 19 marzo 2009, il contratto medesimo sarebbe stato rinnovato, alle stesse condizioni, per altri 5 anni;
   con la delibera 146 del 6 agosto 2014, il contratto dell'Ing. Festa è stato ulteriormente prorogato dall'attuale direttore generale dell'Azienda Ospedaliera S. Anna e S. Sebastiano di Caserta;
   e, nonostante il susseguirsi negli anni di differenti direttori generali in suddetto ospedale, l'incarico dell'ing. Festa è stato sempre rinnovato. Inoltre, da un articolo apparso il 21 gennaio 2015 sul sito web ilfattoquotidiano.it a firma Vincenzo Iurillo, risulta che l'ing. Festa sia stato assunto «su designazione» di Francesco Zagaria, cognato di Michele Zagaria;
   nella suddetta ordinanza di custodia cautelare emergerebbe che l'ing. Festa, abusando del proprio ufficio, abbia consentito l'affidamento diretto dei lavori in somma urgenza, sempre ai medesimi imprenditori, in totale violazione della normativa sugli appalti, nonché in contrasto con i principi di rotazione, trasparenza, pubblicità e parità di trattamento ex articolo 125 decreto legislativo 163/06;
   il Gip ha ritenuto sussistere un grave quadro indiziario a carico degli indagati, in relazione alla turbata scelta del contraente e in riferimento ai seguenti appalti e affidamenti diretti indetti dall'Azienda Ospedaliera S. Anna e S. Sebastiano di Caserta: una gara d'appalto per la tinteggiatura e lavorazioni accessorie del valore di 450.000 euro (ditta favorita: ditta individuale Luigi Iannone), una gara d'appalto per l'affidamento delle manutenzioni degli immobili consistenti in lavori edili e lavori affini del valore di 150.000 euro (ditta favorita: Odeia Srl); una gara d'appalto per l'affidamento del servizio di gestione e manutenzione degli impianti elevatori del valore di 1.189.500 euro (ditta favorita Komè Srl); affidamenti diretti di lavori in mancanza dei necessari requisiti di legge sempre alle medesime ditte dal 2006 a oggi, per un valore totale di oltre 3.000.000 di euro (ditte favorite: ditta individuale Luigi Iannone, ditta individuale Salvatore Cioffi, Odeia Srl, Piccolo, DM Soffitti Sas); l'affidamento diretto della gestione del bar e delle macchine distributrici di bevande e alimenti, con danno erariale stimato per il consumo di forniture pubbliche e l'occupazione del suolo pubblico in oltre 50.000 euro dal 1o gennaio 2010 a oggi (ditte favorite: ditta individuale Mario Palombi e Ivs Italia SpA di Bergamo) –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per modificare la legislazione in materia di affidamento diretto dei lavori pubblici ed, in particolare, quanto previsto dall'articolo 125 decreto legislativo 163/06, posto che la stessa legislazione attualmente in vigore a parere degli interpellanti sembrerebbe favorire la commissione dei delitti in questione;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per modificare la legislazione in materia di assunzioni a chiamata diretta all'interno della pubblica amministrazione, per i medesimi problemi citati nella domanda di cui sopra;
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, al fine di impedire che la criminalità organizzata possa arrivare ad infiltrarsi in appalti e servizi pubblici.
(2-00867) «Silvia Giordano, Grillo, Baroni, Di Vita, Lorefice, Mantero, Colonnese, Luigi Di Maio, Luigi Gallo, Micillo, Pisano, Sibilia, Tofalo, D'Uva, Dadone, Nuti, Sarti, Cozzolino, Toninelli, Cecconi, Dieni, D'Ambrosio, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Alberti, Basilio, Battelli, Benedetti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'UVA e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 31 agosto 2011 il comune di Messina rendeva nota la definitiva aggiudicazione dell'appalto concernente l'affidamento della «Progettazione e costruzione dei lavori inerenti la piattaforma logistica intermodale di Tremestieri», così come previsto dal decreto commissariale del 22 agosto 2010, n. 26;
   l'area del nuovo bacino portuale veniva individuata nell'esistente approdo di Tremestieri (Comune di Messina), il cui progetto veniva depositato nell'anno 2002, e realizzato in una località situata a circa sette chilometri a sud del porto principale della città di Messina;
   il primo progetto dell'approdo in località Tremestieri, inaugurato in data 3 aprile 2006, prevedeva un doppio attracco in zona periferica per sole navi traghetto adibite al traffico delle merci, al fine di impedire l'attraversamento dei mezzi pesanti dal centro cittadino, e a garanzia di una maggiore sicurezza stradale;
   sin dalla prima fase di progettazione, tuttavia, forti dubbi venivano sollevati circa la decisione di posizionare un attracco portuale in una località soggetta ad intense mareggiate e a forti raffiche di vento, le quali avrebbero potuto seriamente comprometterne il regolare funzionamento senza appositi accorgimenti strutturali;
   nonostante le numerose problematiche del sito scelto per la costruzione dell'attracco delle navi traghetto bidirezionali adibite al trasporto di mezzi pesanti tra le sponde dello Stretto di Messina, le amministrazioni locali, sin dall'anno 2007, hanno ritenuto proseguire con l'ampliamento dell'approdo periferico, trasformandolo da semplice attracco navale a porto commerciale cittadino;
   il procedimento per la progettazione e costruzione della piattaforma logistica intermodale di Tremestieri, infatti, ha inizio in data 5 dicembre 2007, quando con l'ordinanza n. 3633, l'allora prefetto della città di Messina veniva nominato, commissario delegato «per l'attuazione di interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare l'emergenza ambientale determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nella città di Messina»;
   i lavori di costruzione della piattaforma logistica intermodale di Tremestieri, con annesso scalo portuale, vengono ritenuti dall'allora amministrazione comunale come assolutamente necessari, considerando la realizzazione dell'opera essenziale per l'alleggerimento del traffico pesante della viabilità pubblica della città di Messina;
   il nuovo appalto, in particolare, prevedeva la progettazione e la costruzione della piattaforma logistica per merci da realizzarsi attraverso il completamento del complesso portuale in località Tremestieri, anche «attraverso il riutilizzo dei materiali di dragaggio per finalità in tutto o in parte di recupero ambientale»;
   con l'ordinanza n. 3721, del 2008, le competenze di commissario delegato transitano al sindaco del comune di Messina, che in relazione alla limitata dotazione di risorse imputabili sull'opera, circa 80 milioni di euro a fronte di 120 milioni necessari secondo il progetto preliminare generale, decide di procedere all'appalto di un primo stralcio funzionale;
   in data 10 febbraio 2010, tramite pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 16, viene indetta la «Procedura aperta, ai sensi dell'articolo 53 comma 2 lettera c) del decreto legislativo 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, per l'affidamento della progettazione e costruzione dei lavori inerenti la piattaforma logistica intermodale di Tremestieri, con annesso scalo portuale;
   tale progetto veniva compreso nel Pian operativo triennale 2011-2013 dell'autorità portuale di Messina, secondo quanto previsto dall'articolo 9, comma 3, lettera a), della legge n. 84 del 1994, il quale prevedeva la realizzazione di opere a mare e a terra funzionali alla costruzione di una nuova infrastruttura portuale;
   nel piano operativo triennale 2011-2013 l'autorità portuale di Messina evidenziava come grazie ad «una consolidata e confermata concessione dei poteri speciali in materia di emergenza traffico al sindaco di Messina da parte del Governo (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3633/07, ribadita con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3721/08), comprendente anche la realizzazione dell'auspicato ampliamento del porto nelle more completamento del percorso approvativo del PRP, permetterà di raggiungere un risultato di portata epocale per il sistema portuale dello stretto»;
   peraltro, si sottolineava, «in tempi assolutamente interessanti, tanto da suggerire l'opportunità di concentrare energie e risorse di questa Autorità Portuale a supporto dell'azione del Commissario»;
   da quanto appreso dalla lettura del Piano, in data 17 dicembre 2008 il commissario delegato ha approvato il progetto preliminare delle opere per l'importo complessivo di 120 milioni di euro, dichiarando l'indifferibilità ed urgenza dei lavori, e avviando l'appalto di un primo stralcio funzionale, per un importo pari a 80 milioni di euro;
   tuttavia, dallo stesso piano operativo triennale si apprende come il porto di Tremestieri sia oggetto di alcuni onerosi lavori di riparazione della testata del molo di sopraflutto a seguito dei danni per le mareggiate dell'inverno 2008, evidenziando, già dai primi mesi, come il sito portuale sia stato realizzato in una località soggetta a continui fenomeni naturali di rilevante intensità, evidentemente non del tutto compatibili con la costruzione di un attracco portuale;
   «tali opere», si apprende da quanto riportato dal piano operativo triennale «si sono rese necessarie al fine di riparare la testata del molo di sopraflutto che, a causa delle violente mareggiate di scirocco abbattutesi nello scorso inverno sull'area, ha subito una rotazione che, seppur non incidente sulla funzionalità dell'opera, determina la necessità di un immediato ripristino»;
   i lavori di riparazione della testata del molo di sopraflutto a seguito dei danni per le mareggiate dell'inverno 2008-2009, si rileva dal piano, hanno avuto un costo di 3,8 milioni di euro, finanziati interamente con appositi fondi pubblici statali;
   nell'anno 2011 un altro rilevante cedimento strutturale nell'area dell'approdo, quale il crollo dell'intera diga foranea, ha comportato la chiusura dell'area per un periodo di circa tre anni, nonostante l'autorità portuale avesse inizialmente prospettato un intervento di pochi mesi per la messa in funzione del sito;
   nell'arco temporale trascorso per la ricostruzione della diga, tuttavia, il traffico dei mezzi pesanti continuava nonostante la chiusura dell'approdo in località Tremestieri, attraverso l'utilizzo delle arterie principali del centro, dal momento che le compagnie di trasporto privato continuavano i collegamenti tra le sponde dello Stretto attraverso l'utilizzo delle invasature poste nella zona Nord della città, con grave pericolo per la sicurezza dei cittadini messinesi;
   solo in data 24 agosto 2014 il quotidiano «la Gazzetta del Sud» pubblicava un articolo all'interno del quale veniva comunicato il completamento delle opere che avrebbero garantito un completo utilizzo dell'approdo di Tremestieri, dopo circa 8 anni di interventi emergenziali e di ripristino;
   lo stesso articolo, nonostante la notizia dell'avvenuto completamento, ben evidenziava le forti perplessità che sin dall'inizio avevano accompagnato la progettazione e la costruzione dell'intera opera;
   il quotidiano riportava, infatti, come sin dai primi mesi «si intuì che il nuovo e provvisorio approdo di Tremestieri non sarebbe stata una valida alternativa», anche in considerazione «delle mareggiate favorite dai venti di scirocco che hanno iniziato inesorabilmente a distruggere la barriera protettiva, e tra detriti da recuperare, sabbia da dragare l'approdo non ha mai potuto rappresentare la soluzione ad uno dei problemi più seri che da decenni attanagliano la città»;
   a sua conclusione l'articolo sottolineava come «il porto a due scivoli sia rimasto solo un ricordo legato ai primi anni della sua esistenza. Persino la ricostruzione della diga protettiva è stata un'impresa titanica. Solo ieri, dopo tre lunghissimi anni, il porto di Tremestieri è stato dichiarato agibile integralmente e per 24 ore al giorno»;
   a pochi mesi dalla sua entrata a pieno regime, il 13 novembre 2014, il quotidiano La Gazzetta del Sud annunciava una nuova chiusura dell'attracco di Tremestieri, causata dall'ennesimo insabbiamento legato ai forti venti di scirocco che insistono nella zona costiera di riferimento;
   dalla lettura dell'articolo si apprende come «la soluzione, pagata con soldi pubblici, che doveva impedire l'insabbiamento dell'approdo di emergenza di Tremestieri, è mestamente fallita alla prima mareggiata dell'anno»;
   dalle stesse pagine alcuni esponenti delle sigle sindacali locali evidenziavano come «gli eventi meteorologici di routine non bastano a giustificare una situazione che da anni si trascina con risvolti politici, economici e di gestione del potere che va oltre il «semplice» traghettamento, Tremestieri è un progetto nato male, una eterna incompiuta che ha consentito ai padroni della rada San Francesco di rafforzare il monopolio del traghettamento e proseguire il viavai di mezzi pesanti con la complicità della politica vecchia e nuova, cosciente o incosciente»;
   in data 26 novembre 2014, lo stesso quotidiano denunciava un nuovo rinvio circa lo smaltimento del materiale sabbioso dalle invasature dell'attracco, «in attesa dell'assegnazione di un appalto da 200 mila euro per il trasferimento dello stesso da località Tremestieri a località Galati»;
   in data 22 febbraio 2015 nuove raffiche di vento e un conseguente insabbiamento del sito costringono all'ennesima chiusura gli approdi del porto di Tremestieri, costringendo i mezzi per il trasporto merci al transito nel centro cittadino;
   è sempre La Gazzetta del Sud a sottolineare, con proprio articolo, come risulti ormai «uno spettacolo visto e rivisto, quello della sabbia che ricopre lo scalo portuale di Tremestieri, e che poi dovrà essere rimossa, con tempi sempre più lunghi e costi sempre meno sostenibili dalla collettività. Tempo che si perde per l'analisi e la caratterizzazione della sabbia, costo che sale alle stelle per ogni gara da espletare in riferimento alle operazioni di dragaggio»;
   a causa dei continui insabbiamenti sin qui riportati, in data 24 febbraio 2015, il comune di Messina chiede, attraverso i suoi amministratori, l'intervento della procura della Repubblica, per l'accertamento e l'individuazione di eventuali responsabilità nelle fasi di progettazione e costruzione dell'attracco;
   ad avviso degli interroganti, il porto di Tremestieri ha comportato, a oggi, spese insostenibili a fronte di benefici pressoché inesistenti, a solo vantaggio delle compagnie di trasporto merci via mare e via terra, le quali possono così godere di un più rapido raggiungimento delle arterie autostradali siciliane attraverso l'attraversamento del centro cittadino, senza alcuna tutela per la sicurezza dei cittadini messinesi;
   per tali motivi, sempre ad avviso degli interroganti, si rende necessario, anche in considerazione di una nuova fase dei lavori di ampliamento del sito, un accertamento ufficiale di carattere tecnico da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che stabilisca se, attraverso il completamento dell'opera, i problemi tecnici e strutturali sin qui riportati possano essere limitati attraverso una ordinaria e periodica manutenzione, così come necessaria a tutti gli impianti portuali, ovvero occorra una nuova riprogettazione dell'intero sito;
   si consideri, inoltre, il non trascurabile fenomeno di erosione costiera che ha interessato gran parte del litorale limitrofo, essendo l'approdo realizzato su una porzione di costa soggetta a un rilevante trasporto di sedimenti, causato da forti mareggiate e degli intensi venti di scirocco;
   a causa di tali fenomeni, quali le già citate mareggiate avvenute in data 13 novembre 2014, hanno determinato rilevanti danni a costruzioni e abitazioni presenti in località Galati (comune di Messina), causando la contestuale erosione di decine di metri quadrati di litorale costiero, con enormi volumi di sabbia che hanno sormontato il molo e invaso l'area portuale, causandone la chiusura;
   si rileva, infine, come le nuove condizioni ambientali dell'area, risultato di una valutazione dei fenomeni naturali forse non ottimale, anche in considerazione della sostanziale difformità dell'opera rispetto al progetto iniziale, richiederebbero con urgenza una nuova valutazione di impatto ambientale –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda istituire urgentemente una commissione ministeriale ad hoc, la quale, attraverso l'intervento di personale altamente qualificato, terzo e imparziale, si adoperi per accertare la sussistenza di eventuali responsabilità amministrative, nella pianificazione, progettazione e costruzione dell'approdo di Tremestieri, ovvero nei lavori di ricostruzione della diga che ne hanno sensibilmente ritardato la piena funzionalità, valutando la sussistenza delle condizioni essenziali per il previsto completamento dell'opera;
   se intenda considerare la possibilità di una riprogettazione dell'intera area di attracco di Tremestieri, al fine di assicurare la piena funzionalità dello scalo, quale approdo navale per navi bidirezionali adibite al trasporto dei mezzi pesanti, a garanzia del regolare funzionamento del traffico merci in condizioni di sicurezza per i cittadini. (5-04877)


   ANZALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ENAC (Ente nazionale aviazione civile), in relazione a quanto stabilito dal decreto istitutivo n. 250 del 1997 e dall'articolo 687 del codice della navigazione ha emanato il «Regolamento Enac “Mezzi aerei a pilotaggio remoto”» del 16 dicembre 2013 entrato in vigore il 30 aprile 2014;
   suddetto regolamento in base all'articolo 743 del codice della navigazione prevede, nella definizione di «aeromobile», anche i mezzi aerei a pilotaggio remoto (APR);
   ENAC tuttavia non ha però, tuttora, determinato il sistema sanzionatorio per le violazioni al regolamento stesso, proprio perché in base al principio delle riserva di legge prevede, infatti, che la disciplina di una determinata materia sia regolata soltanto da una legge primaria dello Stato;
   questo fa sì che attualmente i mezzi aerei a pilotaggio remoto, ricompresi, come evidenziato in precedenza, nella categoria di «aeromobili», abbiano una regolamentazione specifica ma senza un'altrettanta specifica previsione sanzionatoria, con la conseguenza che le sanzioni applicabili rimangono esclusivamente ed obbligatoriamente quelle già previste dal codice della navigazione (approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, ed aggiornato con il decreto legislativo n. 96 del 2005 e con il decreto legislativo 15 marzo 2006, n. 151);
   questa lacuna legislativa determina che ad un mezzo aereo a pilotaggio remoto dal peso di poche centinaia di grammi si possano applicare le stesse sanzioni previste per un aeromobile dell'aviazione commerciale;
   questa incongruità sta comportando, anche in relazione alla diffusione dell'uso degli APR, una serie di ricorsi a presunte violazioni e conseguenti sanzioni che hanno come risultato quello di andare ad intasare ulteriormente le aule giudiziarie;
   le stesse autorità competenti per la rilevazione di infrazioni sono in difficoltà per l'assenza di uno specifico regime sanzionatorio;
   un siffatto sistema sanzionatorio rischia inoltre di compromettere un settore, quale quello degli APR in espansione e che la stessa Commissione europea ne ha raccomandato agli Stati membri di agevolarne lo sviluppo del settore nel pieno rispetto della sicurezza delle persone e dei beni;
   la FIAPR (Federazione italiana aeromobili a pilotaggio remoto) che oggi rappresenta la più grande organizzazione della filiera degli APR ha sollecitato un intervento legislativo per la individuazione di una categoria specifica proprio per gli APR al di sotto dei 25 chilogrammi di peso, avendo come paradigma quanto avvenuto con il decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 133 «Nuovo regolamento di attuazione della legge 25 marzo 1985, n. 106 [...]» che ha regolamentato il settore del volo da ultraleggero da diporto –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di individuare al più presto un nuovo quadro legislativo per consentire l'applicazione di criteri di aeronavigabilità maggiormente rispondenti alle caratteristiche di questi mezzi, con la definizione di sanzioni specifiche per la violazione del regolamento sugli aeromobili a pilotaggio remoto. (5-04879)


   OTTOBRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (CE) n. 561/2006, nel disciplinare i periodi di guida, interruzioni e periodi di riposo per i conducenti che effettuano il trasporto di persone e di merci su strada, prescrive tra le altre cose, all'articolo 7, che il conducente effettui, dopo un periodo di guida di quattro ore e mezza, un'interruzione di almeno 45 minuti;
   il successivo articolo 13 prevede per gli Stati membri la possibilità di derogare rispetto alle prescrizioni del regolamento in materia di interruzioni dei periodi di guida per i veicoli impiegati per la raccolta del latte nelle fattorie, nonché per i veicoli utilizzati per il trasporto di animali vivi dalle fattorie ai mercati locali o viceversa, o dai mercati ai macelli locali; il medesimo articolo consente inoltre agli Stati membri, previa autorizzazione della Commissione europea, la concessione di ulteriori deroghe di importanza minore per i veicoli utilizzati in zone prestabilite con una densità di popolazione inferiore a cinque persone per chilometro quadrato;
   la circolare interpretativa del regolamento (CE) n. 561/2006, adottata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 22 luglio 2011 precisa le modalità attuative in Italia del regolamento;
   il rispetto delle prescrizioni del regolamento (CE) n. 561/2006 risulta tuttavia particolarmente gravoso anche per il settore dell'apicoltura in quanto il trasporto su strada delle arnie per l'espletamento dell'attività di nomadismo (impollinazione, bottinatura, e altro) dalle aziende agricole agli stabilimenti di produzione del miele, se effettuato nei tempi richiesti dal regolamento, rischia di pregiudicare la salute delle api trasportate;
   peraltro il trasporto di api appare riconducibile alle tipologie di deroghe ammesse dal regolamento comunitario;
   il settore dell'apicoltura rappresenta un elemento significativo dell'economia di zone importanti, specie montane, del Paese –:
   se il Governo intenda assumere iniziative al fine di consentire anche per il trasporto di strada delle api l'applicazione delle deroghe previste dal regolamento (CE) n. 561/2006. (5-04880)


   GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   diverse aree del Paese risultano penalizzate dalla mancanza di infrastrutture che permettano adeguatamente gli spostamenti di persone e merci;
   lo sviluppo integrato dei trasporti può permettere l'effettiva attuazione del diritto alla mobilità dei cittadini;
   la Sicilia presenta particolari carenze in merito, in particolare a causa della mancanza di strutture aeroportuali facilmente raggiungibili da tutti i cittadini;
   tra le province maggiormente penalizzate risulta quella di Messina, con particolare riferimento alla fascia tirrenica;
   tanto l'aeroporto di Catania quanto quello di Palermo sono raggiungibili con lunghi tempi di percorrenza;
   la fascia tirrenica necessiterebbe di una struttura aeroportuale sia per l'elevato transito di merci che per i notevoli flussi turistici;
   la fascia tirrenica, in base agli studi di due diversi comitati istituiti, potrebbe presentare due diverse aree presso cui ubicare una struttura aeroportuale, la zona della Valle del Mela e quella di Torrenova;
   al fine della realizzazione di tale opera aeroportuale sembrerebbe esservi anche l'interessamento di un soggetto privato disposto ad investire i propri capitali –:
   se sia intenzione del Ministro prevedere la realizzazione di una struttura aeroportuale nella fascia tirrenica della provincia di Messina;
   in caso di disponibilità di privati alla realizzazione della stessa e/o delle opere infrastrutturali, se si intendano concedere, per quanto di competenza, le autorizzazioni necessarie alla realizzazione dell'infrastruttura aeroportuale e predisporre la realizzazione delle infrastrutture di collegamento con tale opera. (5-04885)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il contratto di programma tra le ferrovie dello Stato e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il 2015/2016 per le ferrovie della Sardegna prevede uno stanziamento praticamente nullo;
   dopo l'incresciosa vicenda del treno veloce, fermo da 222 giorni alla stazione di Cagliari, si aggiunge l'ennesima gravissima discriminazione per la Sardegna;
   nel decreto che approva il contratto tra RFI e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è scritto esplicitamente che servono 700 milioni per le strade ferrate sarde e in modo altrettanto esplicito è scritto che non c’è nemmeno un euro;
   si tratta di una vera e propria vergogna considerato che la Sardegna secondo tutti i parametri di valutazione è l'ultima delle ferrovie europee;
   basti un dato l'indice medio infrastrutturale ferroviario nazionale è 100, in Sardegna appena 15;
   a tutto questo si aggiunge la decisione dello Stato, con la negligente gestione della Regione, di cancellare già dal 2012 stanziamenti per 97 milioni destinati alle strade ferrate sarde;
   tutto questo prevede il piano strategico messo nero su bianco nel testo del decreto interministeriale che approva il Contratto di programma 2012/2016 tra Ferrovie dello Stato e Governo;
   un provvedimento che secondo l'interrogante conferma l'atteggiamento inaccettabile dello Stato verso la Sardegna e conferma l'atteggiamento gravemente accondiscendente della regione sarda verso il Governo;
   in uno Stato normale il primo obiettivo sarebbe dovuto essere quello del riequilibrio dei gap infrastrutturali per riallineare le esigenze e le conseguenti opportunità;
   con questo Stato avviene l'esatto contrario;
   si tratta di una situazione che si colloca nel quadro nazionale ed europeo che appare all'interrogante vessatorio verso la Sardegna;
   assumono valore strategico le reiterate proposte dell'interrogante per la modifica del provvedimento e le indicazioni programmatiche per rendere il riequilibrio degli standard tra regioni l'obiettivo primario del decreto;
   si registrano in Sardegna gravissimi disagi a carico di studenti e lavoratori per la gestione irrazionale dei collegamenti nord sud dell'isola con la cancellazione di servizi che appaiono improponibili proprio per la loro totale inconsistenza;
   tutto questo è reso ancora più grave dal fatto che il rapporto dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria aveva rilevato in Sardegna il 10 per cento dei punti ritenuti a rischio nelle disastrate rotaie da Cagliari a Golfo Aranci;
   l'agenzia Ansf, nel rapporto dettagliato presentato alla Camera dei deputati e l'esame delle 44 pagine regalava un'istantanea da brivido della situazione sarda;
   allora erano 66 i punti pericolosi della piattaforma ferroviaria ma di questo passo con l'assoluta mancanza di interventi la situazione è ancora più grave;
   le strade ferrate sarde sono a rischio crolli, smottamenti e caduta massi e la società di Stato, Rete ferroviaria italiana, senza che la regione reagisca continua a togliere i soldi alla Sardegna;
   c’è un caso Sardegna, sono troppi i rischi sul territorio sardo per non intervenire in modo efficace e urgente;
   l'ennesimo «scippo» messo in atto da Stato e RFI contro la Sardegna fa emergere un gravissimo paradosso: da una parte la massima autorità sulla sicurezza denuncia una situazione gravissima delle rete sarda e dall'altra Ministero e ferrovie dello stato propongono un piano dove non risulta alcun investimento in Sardegna;
   il mancato intervento sulla rete ferroviaria costituisce un'omissione dalla quale scaturiscono ben altre responsabilità;
   tutti coloro che hanno competenza diretta sono chiamati ad intervenire sia sul piano istituzionale, sia sul rispetto delle norme in materia di sicurezza;
   la predisposizione del rinnovo del contratto di programma ha escluso la Sardegna a tal punto da cancellarla dalla cartina geografica dell'Italia è ancor più grave proprio perché Rete ferroviaria italiana era a conoscenza del rapporto dell'Agenzia della sicurezza;
   aver escluso la Sardegna è, dunque, una colpa grave e non può restare omessa;
   è indispensabile una sostanziale modifica del piano per definire interventi urgenti e soprattutto in grado di ripristinare gli stanziamenti dovuti per far restituire alla Sardegna quanto dovuto –:
   se non ritenga di dover ripristinare nell'ambito del contratto di servizio un riequilibrio teso alla coesione infrastrutturale ferroviaria tra la Sardegna e le altre regioni;
   se non ritenga di dover ripartire in modo equo le risorse previste dal contratto in funzione del ripristino di minime condizioni di sicurezza e di riequilibrio infrastrutturale;
   se non ritenga di dover ripartire dal piano infrastrutturale dell'accordo di programma quadro 2003/2004 per un piano in grado di restituire alla Sardegna condizioni pari alle altre aree del Paese. (4-08229)


   ZAN e SCUVERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 febbraio 2015 la direzione di Agitalia (www.agitalia.info), Associazione per la giustizia in Italia con sede in Milano e Roma, ha reso noto di aver presentato un ricorso al giudice di pace di Milano in rappresentanza di S. R., classe 1986, residente nel pavese, dopo che, a seguito della domanda per il primo rinnovo decennale della patente di guida civile di tipo «B», questo gli sarebbe stato negato per «inidoneità psicofisica» alla guida di autovetture, avendo il giovane dichiarato, in sede di colloquio con il medico legale, di essere omosessuale;
   nella stessa data, la notizia è stata riportata, anche dall'agenzia di stampa Adnkronos – redazione di Milano: «Nell'impugnazione Agitalia sottolinea che “il ricorrente è titolare di patente di guida civile del tipo ‘B’ conseguita a seguito di esame presso la Motorizzazione Civile di Milano in data 29 gennaio 2005. In data 11 dicembre 2014 si sottoponeva a visita medico legale presso Asl di competenza, con presentazione del certificato anamnestico rilasciato dal proprio medico di famiglia, per il primo rinnovo decennale della patente come prescritto dalla legge.” In quella sede “consapevole delle responsabilità civili e penali per le dichiarazioni false o mendaci, rendeva edotto il medico esaminatore della propria condizione personale di omosessualità che lo aveva, già in passato, portato ad essere escluso per inidoneità all'uso delle armi dal concorso di agente di polizia”. Dopo l'esame medico legale e a seguito di atto interno della Motorizzazione civile di Milano, la prefettura di Milano con il provvedimento impugnato del 29 gennaio 2015 negava il rinnovo della patente di guida sostenendo che il ricorrente non aveva più i “requisiti psicofisici richiesti” per l'idoneità alla guida. Nel ricorso l'associazione parla di “assoluta infondatezza, anche di merito, dell'asserzione avallata dalla Prefettura. Il ricorrente, infatti, pur vivendo la propria personale condizione di omosessualità e pur essendo stato ritenuto non idoneo all'uso delle armi, non risulta, al momento della visita medico legale, affetto da alcuna patologia di rilievo che possa in qualche modo interferire con la propria capacità di condurre veicoli a motore”. Per questo la difesa si riserva di chiedere una ctu medico legale “a suffragio delle considerazioni che precedono”. Non è di poco conto poi, spiega ancora l'associazione la recente sentenza della Suprema Corte che in un caso simile alla fattispecie in esame ha dichiarato illegittimo il provvedimento di diniego della patente di guida in caso di omosessualità tacciando addirittura tale provvedimento come “omofobo” e violativo dei diritti dell'uomo come sancito dalla nota Convenzione Europea»;
   se quanto denunziato corrispondesse al vero, si tratterebbe di una folle discriminazione, del tutto irragionevole e infondata sul piano sanitario e giuridico, gravemente lesiva dei diritti fondamentali della persona; l'omosessualità è stata infatti depennata il 17 maggio del 1990 dall'elenco delle malattie mentali, ed è considerata dall'Organizzazione mondiale della sanità una variante naturale del comportamento umano;
   la Corte di cassazione civile, sezione III, con la recente sentenza del 22 gennaio 2015, n. 112, ha stabilito in un caso analogo a quello oggetto della presente interrogazione che «non pare revocabile in dubbio che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che intollerabilmente reiterato) comportamento di omofobia»;
   il diritto costituzionalmente tutelato alla libera espressione della propria identità sessuale è stato espressamente ascritto dalla Suprema Corte al novero dei diritti inviolabili della persona di cui all'articolo 2 della Costituzione, quale essenziale forma di realizzazione della propria personalità (Cass. 16417/2007);
   va ricordato che il diritto al proprio orientamento sessuale, cristallizzato nelle sue tre componenti della condotta, dell'inclinazione e della comunicazione (cosiddetta coming out) è oggetto di specifica e indiscussa tutela da parte della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo fin dalla sentenza Dudgeon/Regno Unito del 1981 –:
   se i fatti enunciati in premessa corrispondano a verità;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, per quanto di competenza, avviare una verifica per accertare eventuali responsabilità amministrative;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano attuare per scongiurare il verificarsi di episodi similari e tutelare pienamente le persone omosessuali e transgender da indebite interferenze e discriminazioni da parte dei pubblici poteri come quelle enunciate in premessa.
(4-08230)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 27 febbraio 2015, come riportato dalle cronache, si è verificato un nuovo furto ai danni di una coppia di turisti nei pressi della stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia;
   quattro ragazze di origine nomade hanno intercettato le vittime, una coppia di turisti russi, fuori dalla stazione di Venezia Santa Lucia, li hanno seguiti e dopo aver notato la loro sosta all'ufficio cambi li hanno pedinati fin quando non sono saliti sul convoglio Frecciargento delle 19.25 diretto a Roma;
   il personale di Trenitalia, in servizio sul treno, si è accorto della presenza delle borseggiatrici è ha avvisato una pattuglia della Polfer che è intervenuta immediatamente bloccando le rapinatrici con 2.200 euro sottratti ai turisti;
   purtroppo i furti sono molto frequenti tra le stazioni di Mestre e Venezia Santa Lucia nonostante la stretta collaborazione tra Trenitalia e Polizia di Stato;
   tale situazione oltre al pericolo per i viaggiatori rischia di provocare contraccolpi negativi anche per l'immagine di una delle mete mondiali del turismo quale Venezia –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale criticità riportata in premessa e se non intenda altresì intervenire per potenziare gli organici delle forze dell'ordine impegnate a presidio delle stazioni e nel pattugliamento dei convogli ferroviari al fine di garantire maggiore sicurezza ai viaggiatori e a chi, presso tali stazioni, lavora.
(5-04882)


   PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le province rappresentano un ente locale previsto dalla Costituzione, il cui articolo 114 – tuttora in vigore stabilisce che la Repubblica è costituita da comuni, province, città metropolitane e regioni definiti come «enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione»;
   la provincia di Trieste ha avuto esistenza giuridica dal 1922 al 1947 quando, in forza al Trattato di pace, l'attuale capoluogo giuliano diventò «Territorio libero» con la cessione della sovranità italiana. In quell'occasione, i territori dell'ex provincia di Trieste ancora compresi nei confini italiani vennero aggregati alla vicina provincia di Gorizia, come previsto dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1485 del 26 dicembre 1947;
   nel 1954, a seguito del Memorandum di Londra, l'amministrazione civile della «Zona A» del Territorio Libero di Trieste è stata trasferita al Governo italiano senza il formale ripristino della provincia abolita nel 1947;
   anche lo Statuto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia – Legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 e successive modifiche e integrazioni – omette di fare riferimento all'esistenza della provincia di Trieste. L'articolo 2 della suddetta legge costituzionale, nell'elencare le province che costituiscono la regione fa riferimento ai «comuni di Trieste, Duino-Aurisina, Monrupino, Muggia, San Dorligo della Valle e Sgonico» anziché alla provincia di Trieste;
   il Ministro dell'interno – in una risposta, tramite lettera, del 25 giugno 2014 – a una domanda formulata dal deputato richiedente in merito all'atto giuridico sulla costituzione della provincia di Trieste, ha informato che «La Provincia di Trieste è stata sostanzialmente istituita con decreto del Commissario Generale del Governo italiano per il Territorio di Trieste del 24 marzo 1956, n. 81, il quale prevede “norme per l'elezione dei consigli provinciali”». Il suddetto atto – che ha esteso la legge per l'elezione del Consiglio provinciale (n. 122/1951) al territorio di Trieste – è successivamente stato modificato dai decreti del Commissario del Governo nella Regione Friuli-Venezia Giulia del 5 novembre 1983, del 27 gennaio 1986 e del 20 novembre 1989, prima di essere stato dichiarato parzialmente illegittimo dalla Corte Costituzionale – con sentenza n. 375 del 25 luglio 1995;
   di seguito, nella sopracitata lettera del Ministro, vengono elencati degli atti normativi – successivi al 1954 i quali avvalorerebbero l'istituzione della provincia in quanto questi fanno «esplicito riferimento» all'ente locale in questione. Per rafforzare questa ipotesi, si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 375 del 25 luglio 1995, che, nel dichiarare parzialmente illegittimo il summenzionato decreto del Commissario di governo, ha richiamato, confermandolo, «l'assunto del TAR del Friuli Venezia Giulia (ordinanza n. 801 del 14 ottobre 1994) con il quale si riconosce il carattere normativo dell'atto commissariale in argomento, in virtù dell'esplicita delega contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 1954, al Commissario predetto, ad esercitare i compiti già spettanti al cessato Governo militare alleato, fra cui era indubbiamente compresa l'emanazione di atti legislativi, sia pure con efficacia limitata al territorio amministrato, ed in particolare il potere di estendere, con o senza modificazioni, allo stesso territorio la legislazione italiana, di cui si è fatto uso nel caso in esame (conforme, anche l'Adunanza plenaria del CdS n. 24 del 20 dicembre 1961)»;
   l'interrogante ha replicato al Ministro chiedendo senza esito, con una successiva missiva del 12 novembre 2014, ulteriori delucidazioni sulla questione;
   l'istituzione «de facto» di una Provincia, desunta da meri atti normativi in cui si fa riferimento ad essa, non appare essere conforme all'articolo 133 della Costituzione secondo cui «la istituzione di nuove Province nell'ambito d'una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione»;
   l'assenza di un atto giuridico costitutivo della provincia di Trieste assume un significato particolare, oltre a destare non poche perplessità, in un momento come quello attuale in cui la riforma del Titolo V della Costituzione – promossa dal Governo — prevede l'abolizione delle province. Una soppressione — quella delle relative province – prevista già dalla proposta di legge costituzionale d'iniziativa regionale sulla modifica della Legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, approvata dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia il 30 gennaio 2014 e trasmessa alle Camere per l'approvazione in doppia lettura il 6 febbraio dello stesso anno –:
   se il Governo — alla luce di quanto rappresentato — non ritenga sia doveroso chiarire sulla base degli atti depositati in maniera definitiva la natura e l’iter normativo, giuridico e costituzionale riguardante l'ente provincia di Trieste e, ove così non fosse, fornire delle informazioni sulle conseguenze della sua mancata istituzione. (5-04888)


   FIORIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la concessione della cittadinanza italiana per i cittadini stranieri è disciplinata dalla legge numero 91 del 1992;
   tale normativa non specifica che tra i requisiti sia presente anche la conoscenza della lingua italiana. Un riferimento a tale competenza è invece presente agli articoli 17-bis e 17-ter della legge numero 124 del 2006 connessa però esclusivamente al «riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti»;
   è emerso da organi di stampa che il sindaco del comune di Cairate abbia negato ad una donna di origine indiana (di nome Rani Pushpa) di poter prestare giuramento perché «non parlava bene la lingua italiana». Sempre secondo la stampa qualora la donna (la cui istruttoria per la cittadinanza italiana ha già ricevuto il nulla osta da prefettura e Ministero dell'interno) non effettuasse il giuramento entro l'8 marzo 2015, vedrà «inesorabilmente vanificarsi la validità giuridica del conferimento in parola a causa dell'inadempienza del Primo cittadino», a causa della scadenza del termine semestrale prevista dalla legge vigente;
   non sussistono quindi norme specifiche che possano impedire il giuramento per la concessione della cittadinanza italiana. Si tratta di una prassi discrezionale esercitata in alcuni casi dai sindaci;
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali interventi urgenti intenda conseguentemente assumere affinché venga permesso alla donna indiana di poter prestare giuramento entro il termine semestrale previsto;
   se non ritenga utile emanare circolare interpretativa in materia per evitare che tali episodi si possano ripetere e che il giuramento venga quindi demandato alla discrezionalità dei sindaci. (5-04892)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa, in questi giorni a Messina, un blitz del nucleo investigativo dei Carabinieri ha scoperto e interrotto la compravendita di un minore: un bimbo di 8 anni di origini rumene stava per essere acquistato da una coppia italiana al prezzo di 30.000 euro;
   i Carabinieri sarebbero intervenuti proprio durante l'appuntamento per la consegna del piccolo e i provvedimenti della direzione distrettuale antimafia hanno riguardato sei italiani, tra i quali anche i due coniugi che volevano comprare il minore, e due romeni: a tutti viene contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù;
   l'indagine si è svolta tra la Sicilia, la Toscana, dove uno dei fermati poteva contare su appoggi, e la Romania;
   il bambino è stato preso in consegna dai Carabinieri –:
   se il Governo sia a conoscenza del grave fatto evidenziato in premessa e se non ritenga urgente, per quanto di competenza, svolgere un monitoraggio sul fenomeno in modo da chiarire se si tratti o meno di un caso isolato o se vi siano altri episodi analoghi;
   se non intenda verificare l'efficacia delle azioni di controllo e monitoraggio già attive sul territorio ed eventualmente attivarsi, per quanto di competenza, perché queste siano implementate adeguatamente per la difesa dei diritti dei minori.
(4-08209)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo del 2014 la polizia di Stato ha indetto un concorso per il reclutamento di seicentocinquanta allievi agenti, in esito al quale sono rimasti esclusi dall'assunzione 278 idonei per l'esaurimento dei posti disponibili;
   l'idoneità di questi concorrenti è valida ancora per un anno, potrebbero essere arruolati immediatamente e senza che debbano essere svolti accertamenti ulteriori in merito alla loro idoneità;
   esistono altre graduatorie ancora valide di concorsi terminati nell'anno 2012, i cui allievi dovranno sostenere visite mediche e psicologiche dato che sono trascorsi quasi tre anni dall'ottenimento dell'idoneità;
   il segretario generale della polizia di Stato ha indicato al Governo di procedere immediatamente a delle assunzioni straordinarie affinché gli agenti possano essere operativi entro il 2015 per fronteggiare il fenomeno del terrorismo e della criminalità organizzata;
   un immediato ampliamento dei posti del concorso del 2014 permetterebbe agli idonei sino ad ora non assunti di iniziare il corso da allievo agente al fine di essere operativi già entro il 2015;
   inoltre, gli idonei del concorso 2014 sarebbero gli unici a non presentare il problema ostativo della seconda aliquota interforze per cui, senza il bisogno di modificare procedure legislative, attraverso un semplice ampliamento dei posti e/o attraverso uno scorrimento totale della graduatoria, potrebbero essere tutti immediatamente assunti –:
   se non ritenga di dare immediato avvio alle procedure necessarie all'assunzione dei soggetti di cui in premessa, anche al fine di potenziare lo sforzo della nostra polizia contro delinquenza e terrorismo. (4-08213)


   MOLTENI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   un pakistano residente a Bolzano, espulso dall'Italia per aver inneggiato pubblicamente all'ISIS, si è rivolto a un avvocato italiano, e ha potuto far ricorso al TAR contro il provvedimento d'espulsione;
   il momento che si attraversa è assai difficile e la minaccia terroristica è sempre più pressante al punto che gli stessi servizi italiani non possono escludere attentati sul territorio italiano;
   sembra un paradosso che al posto dell'espulsione immediata a chi inneggia ad un'organizzazione terroristica, siano consentiti quelli che agli interroganti appaiono espedienti quali ricorsi giurisdizionali per ovviare ai provvedimenti di giustizia;
   pur riconoscendo lo Stato di diritto, e il diritto alla difesa per ogni cittadino o soggetto presente nel nostro Paese, nei casi come in quello sopra esposto, si dovrebbe prevedere una specifica norma che consenta, in ragione del rischio, l'espulsione diretta senza possibilità di appello, o ricorso alcuno –:
   se non ritengano opportuno, stante la situazione attuale, adottare un'iniziativa normativa che, in caso di inneggiamento, sostegno, o proselitismo nei confronti di organizzazioni terroristiche da parte di cittadini stranieri, preveda l'immediata espulsione senza possibilità di ricorso alcuno. (4-08218)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   un nutrito gruppo di docenti e ricercatori di ruolo dell'università di Perugia avrebbe ritirato l'istanza per concorrere al bando 1789 dell'8 ottobre 2014 che ha stabilito l'attribuzione dell'incentivo una tantum previsto dall'articolo 29, comma 19 della legge 240 del 2010 per gli anni 2011, 2012, 2013;
   tale evento sarebbe stato determinato dal fatto che una mail extra-bando avrebbe stabilito che le «assenze giustificate» dalle sedute dei consigli di dipartimento e di facoltà sono ritenute non idonee ad essere computate ai fini del possesso del requisito delle presenze, vincolante per concorrere all'assegnazione dell'incentivo, e la perseguibilità per legge in caso di dichiarazioni non veritiere;
   l'incentivo una tantum previsto dalla «legge Gelmini» (240 del 2010), dovrebbe essere riconosciuto, secondo criteri di merito accademico e scientifico, ai professori e ricercatori a tempo indeterminato che hanno maturato la progressione biennale dello stipendio per classi e scatti negli anni 2011, 2012, 2013;
   il vincolo creato sulla percentuale di presenze ai consigli di dipartimento e di facoltà (articolo 4 del bando), ritenute requisito pregiudiziale per l'assegnazione dell'incentivo, nulla ha a che vedere con la produttività di un professionista e quindi con il merito accademico e scientifico posto alla base della procedura;
   l'ulteriore vincolo sulle assenze giustificate per motivi di servizio, a mezzo di una mail extra-bando, sembra all'interrogante configurarsi come un vulnus proprio per i professionisti più orientati all'attività didattica e di ricerca e, pertanto, più meritevoli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti e se, essi trovano conferma, quali iniziative, anche normative, intenda assumere in merito all'attribuzione dell'incentivo una tantum previsto dalla legge n. 240 del 2010. (3-01324)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLONNESE, TOFALO, FICO, LUIGI DI MAIO, SIBILIA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con le delibere della giunta regionale della Campania n. 6 del 9 gennaio 2015 e della giunta provinciale di Napoli n. 592 del 22 dicembre 2014, gli enti locali decidevano l'accorpamento dell'Istituto di istruzione superiore statale «Giovanni Caselli» con sede a Napoli, nel Bosco di Capodimonte, con l'Istituto «Melissa Bassi» di Napoli. L'Istituto è unico sul territorio nazionale dal punto di vista storico culturale e rappresenta una inimitabile nicchia dell'eccellenza del made in Italy al pari dell'istituto Antonio Stradivari di Cremona. Tuttavia attualmente è minacciato dalla scure del ridimensionamento voluto dalle ultime riforme scolastiche, alla stregua di un qualsiasi istituto professionale, e rischia di perdere irrimediabilmente le sue peculiarità comportando, oltre ad un notevole danno per il settore dell'artigianato della porcellana a livello territoriale, la perdita di un inestimabile valore del patrimonio storico-culturale del mezzogiorno;
   l'istituto ha precedentemente richiesto il riconoscimento dello status di «indirizzo raro». Infatti nel giugno 2013 il Consiglio della regione Campania votò all'unanimità un provvedimento che autorizzava la Giunta ad avviare le pratiche riguardanti il riconoscimento dello status all'istituto. Tale status avrebbe liberato l'istituto dai parametri numerici del dimensionamento, decisamente inadeguati per percorsi di studio di questo tipo. Tuttavia la Giunta del Governatore Caldoro, in gennaio deliberava il dimensionamento della scuola e conseguentemente l'IISS «G. Caselli» presentava ricorso al Tar. L'accorpamento del Caselli condurrebbe inevitabilmente alla perdita di molte delle sue peculiarità che lo contraddistinguono, nonché ad una riduzione della sua autonomia gestionale e operativa;
   i più recenti progetti della giunta Caldoro prevedono di sottrarre all'istituto gli edifici storici, che oggi lo ospitano per riutilizzarli in un progetto di riqualificazione dell'intero parco di Capodimonte, che sarà finanziato con i fondi comunitari POIn, per la riqualificazione dei poli «attrattori culturali, naturali e turismo», del fondo europeo di sviluppo regionale per gli anni 2007-2013, con l'evidente dissonanza di rischiare la perdita di uno dei tesori ormai radicati funzionalmente proprio nel complesso storico-naturalistico del parco;
   per sensibilizzare l'amministrazione locale su tali problematiche il 1o febbraio 2015 è stato convocato un presidio all'ingresso della Reggia di Capodimonte: docenti, studenti, ex-studenti e associazioni protestavano contro la chiusura della scuola. Alla manifestazione è seguita una petizione rivolta a Stefano Caldoro, Presidente della regione Campania, a Caterina Miraglia, assessore all'istruzione, della regione Campania, a Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, ad Annamaria Palmieri, assessore all'istruzione e Alessandra Clemente, assessore per le politiche giovanili;
   con deliberazione n. 54 della giunta regionale della Campania il 9 febbraio 2015 si procedeva alla sospensione per l'anno scolastico 2015/2016 dell'accorpamento degli istituti IISS «Giovanni Caselli» e ISIS «Melissa-Bassi» di Napoli. Qualora non sarà individuato un percorso adeguato e utile alla scuola stessa per assicurare un dirigente scolastico titolare ed una più stabile programmazione alla scuola, il prossimo anno scolastico si dovrebbe procedere ugualmente all'accorpamento dei due istituti. In questo lasso di tempo sarebbe opportuno avviare l'iter del riconoscimento di «istituto raro» sottraendolo in tal modo, una volta per tutte, agli astringenti parametri del dimensionamento e salvando così un'eccellenza italiana;
   nel 1743 Carlo di Borbone fondava a Napoli la Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte, dando inizio ad una tradizione che grazie ai suoi profondi contenuti è riuscita, pur nell'era della tecnologia sfrenata e della globalizzazione, a rinnovarsi conservando la propria identità fino ai giorni nostri. L'assenza di caolino nelle cave del sud Italia fa sì che la porcellana ivi prodotta abbia delle caratteristiche particolari ed esclusive perché composta da un impasto derivante dalla fusione di varie argille miste al feldspato e particolarmente tenero. Ne derivano manufatti ben distinti dalla porcellana del nord Europa che costituirono i primi prodotti di una tradizione unica nella storia della porcellana. Nel 1961 con decreto del Presidente della Repubblica, allo scopo di continuare l'antica tradizione artigianale, si costituì l'Istituto di istruzione superiore statale «Giovanni Caselli», dal nome del decoratore piacentino che fu uno dei collaboratori principali di Carlo di Borbone. Tuttora ha sede nell'edificio storico della Real Fabbrica di Capodimonte ed ha lo scopo di formare personale qualificato e specializzato nel settore produttivo ceramico/chimico nonché nella promozione, nello studio e nella tutela della tradizione ceramica del territorio. L'Istituto detiene il marchio di fabbrica e per questo le opere realizzate hanno diritto di fregiarsi del giglio borbonico;
   inizialmente la scuola era articolata in tre sezioni specializzate della durata di un triennio ciascuna: quella dei foggiatori, dei verniciatori e fornaciai, dei decoratori della ceramica. Nel 1964 si aggiunse quella dei modellisti formatori e nel 1967 quella dei chimico-ceramisti, nel 1974 fu poi istituita la sezione degli operatori chimici. Successivamente si aggiunsero 3 corsi biennali di postqualifica per conseguire la maturità di tecnico delle lavorazioni ceramiche, chimico delle industrie ceramiche e tecnico delle produzioni chimiche. Il percorso di studi lo rende incomparabile ad un altro istituto essendo l'unico in Italia che prepara artigiani altamente specializzati nella produzione della porcellana, ragione per cui l'accorpamento con l'istituto Bassi implicherebbe la perdita dell'identità e l'unicità del Caselli e contestualmente un notevole danno per il settore dell'artigianato e per l'intero comparto della porcellana;
   l'istituto si colloca in un territorio non solo caratterizzato dalla tradizionale predisposizione per la produzione ceramica artistica, ma soprattutto in un polo di attrazione turistica famoso in tutto il mondo. La posizione privilegiata ha profondamente inciso sulla vita dell'Istituto, come valore aggiunto accanto alla sua originaria specificità. Persistono ancora oggi le tracce e la presenza nella sede centrale dell'istituto di testimonianze di quel passato, sotto forma di reperti e oggetti risalenti al periodo settecentesco;
   attualmente la scuola ospita, accanto al settore ceramico, un indirizzo tecnico chimico-biologico e un liceo artistico. La collocazione nel parco ha avuto sempre la sua importanza anche per l'inclinazione fortemente ecologica del percorso di studi. L'introduzione di un liceo artistico, con una specializzazione nel design, è scaturita sia dalla necessità di avere, anche nella zona nord di Napoli, un percorso artistico, sia dal bisogno di un'offerta che integrasse il tradizionale percorso professionale della ceramica e della porcellana;
   l'istituto ha vissuto e sofferto negli ultimi anni una diminuzione del numero degli alunni e di docenti, una perdita di risorse umane professionali, determinata da diverse cause quali la crisi generale del settore ceramico e del mondo del lavoro nonché la presenza nella periferia nord di Napoli di studenti che sempre più spesso si rivolgono al professionale per assolvere unicamente all'obbligo scolastico. Con il passare del tempo le riforme scolastiche hanno eliminato le discipline specifiche e revocato l'indirizzo «atipico», di cui l'istituto godeva, equiparandolo a qualsiasi altro istituto professionale. L'IISS «Giovanni Caselli» ha quindi dovuto sottostare ai parametri rigidi del numero minimo di allievi, pari a 900, e ai quadri orari insufficienti per le specificità della scuola, con la conseguente chiusura di diversi laboratori. Nonostante ciò l'istituto, oltre a vantare continui contatti con le principali manifatture europee, ha realizzato un grande pannello decorativo in grés per la metropolitana collinare di Napoli nella stazione «Policlinico». In occasione del 250o anniversario della fondazione della Real Fabbrica (1743-1993), inoltre, è stato insignito della medaglia della Presidenza della Repubblica;
   gli indirizzi «atipici», per la loro specificità, non sono suscettibili di diffusione generalizzata, vengono perciò attivati in pochissimi istituti, in collegamento con contesti locali storicamente orientati alla produzione relativa a particolari ambiti economici. La determinazione dei profili e dei quadri orari di qualifica viene effettuata in stretta correlazione con le esigenze espresse dal mondo del lavoro e con il determinante apporto degli Istituti che da numerosi anni operano nel settore;
   la presenza di un Preside «reggente» è sicuramente in contraddizione con la natura dell'IISS «G. Caselli», quale scuola unica nell'intero territorio nazionale;
   nel rispetto delle vigenti norme sulla sicurezza, non sarebbe possibile raggiungere il numero di alunni determinato dalle ultime normative, data la presenza di particolari tipi di laboratori e attrezzature –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso adoperarsi, per quanto di competenza, affinché venga avviato un indispensabile piano di valorizzazione fruibilità e razionalizzazione della spesa pubblica che tuteli un patrimonio di eccellenza quale l'IISS «Giovanni Caselli», incentivando così la formazione di giovani ceramisti, futuri imprenditori, che sappiano contribuire al mantenimento e allo sviluppo di un settore così radicato e sentito nel territorio regionale e nazionale;
   se non intenda concedere all'istituto l'originaria identità mediante l'immediato riconoscimento di «indirizzo raro», così come è già stato fatto per l'istituto Stradivari di Cremona e l'istituto dedicato al restauro del mosaico di Ravenna, la necessaria autonomia, per operare scelte finalizzate alla ricerca e al mantenimento e allo sviluppo della produzione della porcellana di Capodimonte che hanno reso l'Istituto «G. Caselli» parte integrante del patrimonio storico e artistico italiano.
(5-04881)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi due anni i fondi erogati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al Consiglio nazionale delle ricerche per il finanziamento delle spese ordinarie dei singoli istituti hanno subito un drastico taglio;
   in aggiunta a ciò sono stati tagliati i fondi per le spese di gestione delle aree di ricerca, spese che comprendono le bollette del gas, luce, portierato, mensa, tanto da spingere alcune aree; come quella di Firenze, a tassare i singoli istituti in proporzione allo spazio da loro occupato per pagare queste spese di condominio;
   come si evince dall'analisi dei dati relativi al bilancio del 2014, rispetto alle spese obbligatorie dell'ente, vale a dire quelle relative agli stipendi e al funzionamento della struttura (affitti, luce, gas, e altro), quantificate in 620 milioni, mancano all'appello ben centoventi milioni di euro;
   attualmente gli istituti hanno finito i fondi residui che avevano in cassa e quindi sono passati a tassare i fondi dei singoli gruppi di ricerca, che vengono da progetti con ditte o progetti del Ministero, per trovare i soldi per pagare la gestione dei macchinari e dei reagenti;
   l'impoverimento dei fondi non solo impedisce di assumere persone post dottorato come ricercatori a tempo determinato, unica opzione per assumere perché le borse di studio sono rinnovabili per un massimo di quattro anni, ma impedisce anche di mantenere i nostri istituti a livelli di competitività tale da metterli in condizione di sfidare i competitor stranieri nell'assegnazione dei progetti europei, quali ad esempio Horizon 2020, danneggiando l'immagine della nostra ricerca scientifica in ambito internazionale;
   il lento ma inesorabile definanziamento della nostra ricerca di fatto nega progressivamente l'indipendenza della cultura e della scienza, riducendo alle università e agli enti di ricerca il supporto finanziario pubblico necessario per la loro sopravvivenza, riduzione soltanto parzialmente compensata da finanziamenti vincolati a obiettivi governativi diversi dalla promozione della conoscenza o a contratti assegnati da entità private –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di finanziare in maniera adeguata il CNR, i suoi istituti, e tutti gli enti di ricerca, al fine di garantirne l'operatività e lo sviluppo e la possibilità di competere negli ambiti internazionali. (4-08210)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione – per sapere – premesso che:
   la pubblica amministrazione è tenuta ad assumere persone con disabilità nella quota d'obbligo prevista dalla normativa e ad osservare precisi vincoli per effettuare le assunzioni in conformità a quanto previsto dall'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001 in tema di procedure per le assunzioni presso le pubbliche amministrazioni;
   l'articolo 3 della legge n. 68 del 1999, prevede che i datori di lavoro, pubblici, come quelli privati, sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori invalidi nella seguente misura:
    a) 7 per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;
    b) 2 lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;
    c) 1 lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti, in questo caso l'obbligo si applica solo per le nuove assunzioni;
   le persone con disabilità in età lavorativa (cioè che abbiano compiuto i 18 anni e che non abbiano raggiunto l'età pensionabile) e disoccupate possono essere assunte presso i datori di lavoro pubblici (non economici) purché appartenenti ad una delle seguenti categorie:
    invalidi civili (con un riconoscimento di invalidità superiore al 45 per cento);
    invalidi del lavoro (con un riconoscimento di invalidità INAIL superiore al 33 per cento;
    non vedenti (persone colpite da cecità assoluta o che hanno un residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi);
    sordi (persone colpite da sordità alla nascita o prima dell'apprendimento della lingua parlata);
    invalidi di guerra, invalide civili di guerra, invalide per servizio (con minorazioni ascritte dalla I all'VIII categoria di cui alle tabelle annesse al T.U. in materia di pensioni di guerra);
   tra le modalità per effettuare le assunzioni vi sono i concorsi pubblici (l'articolo 3 della legge n. 127 del 1997 ha abolito il limite di età per la partecipazione ai concorsi, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni. Rimane il limite minimo fissato nel 18o anno di età dal decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957);
   i concorsi sono espletati direttamente dall'ente o amministrazione che deve assumere, per i profili professionali per i quali è previsto il possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado e/o laurea;
   l'articolo 16, comma 1, della legge n. 68 del 1999, prevede che le persone con disabilità possano partecipare a tutti i concorsi per il pubblico impiego, da qualsiasi amministrazione pubblica siano banditi e che, a tal fine «i bandi di concorso prevedono speciali modalità di svolgimento delle prove di esame per consentire ai soggetti suddetti di concorrere in effettive condizioni di parità con gli altri»;
   l'articolo 20 della legge n. 104 del 1992 (legge quadro sull’handicap) prevede che la persona con disabilità sostiene le prove d'esame nei concorsi pubblici e per l'abilitazione alle professioni con l'uso degli ausili necessari e nei tempi aggiuntivi eventualmente necessari in relazione allo specifico handicap; nella domanda di partecipazione al concorso e all'esame per l'abilitazione alle professioni il candidato specifica l'ausilio necessario in relazione al proprio handicap, nonché l'eventuale necessità di tempi aggiuntivi;
   alcune amministrazioni, in sostituzione degli ausili richiesti, prevedono l'affiancamento del candidato da parte di un tutor;
   l'articolo 25, comma 9 del decreto-legge n. 90 del 2014, (cosiddetto decreto semplificazioni) convertito con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014 ha modificato l'articolo 20 della legge n. 104 del 1992 aggiungendo il comma 2-bis in cui si prevede che una persona con invalidità uguale o superiore all'80 per cento non è tenuta a sostenere la prova preselettiva eventualmente prevista nel concorso pubblico;
   per l'accesso all'impiego pubblico della persona disabile è richiesta l'idoneità specifica per singole funzioni;
   l'articolo 16, comma 3, della legge n. 68 del 1999 prevede che «salvi i requisiti di idoneità specifica per singole funzioni, sono abrogate le norme che richiedono il requisito della sana e robusta costituzione fisica nei bandi di concorso per il pubblico impiego (articolo 16 legge n. 68 del 1999)». In alcuni concorsi pubblici riservati a persone con disabilità viene richiesto il certificato di idoneità fisica all'impiego. Ciò non può più accadere in quanto l'articolo 42, comma 1, del decreto-legge n. 69 del 2013 (cosiddetto «decreto del fare») convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 dispone che, fermi restando gli obblighi di certificazione previsti dal testo unico sulla sicurezza (decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81), per i lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria, sono soppresse alcune certificazioni sanitarie e tra queste proprio il certificato di «idoneità fisica all'impiego» previsto dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957;
   l'articolo 7 – comma 2 della legge n. 68 del 1999, relativamente all'assunzione di persone disabili attraverso il concorso pubblico, specifica che i disabili «iscritti nell'elenco di cui all'articolo 8 hanno diritto alla riserva dei posti nei limiti della complessiva quota d'obbligo e fino al cinquanta per cento dei posti messi a concorso». Da ciò si desume chiaramente ed inequivocabilmente che, l'iscrizione nelle liste speciali è un presupposto indispensabile per la partecipazione al concorso. Si rileva, però, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell'interpello n. 50 del 2011, mentre conferma che l'iscrizione nell'elenco di cui all'articolo 8 della legge n. 68 del 1999 costituisce presupposto per accedere alla riserva dei posti nelle procedure selettive e condizione per la chiamata numerica e nominativa, specifica che, in caso di concorso, l'iscrizione alle liste del collocamento non è indispensabile per la partecipazione alla procedura selettiva, ma solo al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro –:
   quante siano, ad oggi, le persone disabili assunte presso le amministrazioni centrali dello Stato e quante presso le amministrazioni locali;
   se alla luce della situazione attuale non ritenga opportuno predisporre misure urgenti volte a rendere effettivo il diritto al lavoro delle persone disabili così come prevede la normativa vigente in particolar modo, presso le pubbliche amministrazioni.
(2-00873) «Argentin, Sbrollini, Nicchi, Terrosi, Coscia, D'Incecco, Amato, Tidei, Gregori, De Maria, D'Attorre, Beni, D'Arienzo, Mongiello, Albini, Gianni Farina, Carra, Rondini, Cassano, Binetti, Melilla, Cuperlo, Marazziti, Rampelli, Carella, Mazzoli, Becattini, Polverini, Blazina, Cinzia Maria Fontana, Dall'Osso, Laforgia, Piazzoni».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la Sardegna è una delle regioni maggiormente colpite dalla crisi economica più lunga e dolorosa che la storia del Paese abbia conosciuto, crisi globale che si è abbattuta su un sistema produttivo storicamente fragile, esogeno, da sempre segnato da un pesantissimo gap infrastrutturale (trasporti interni ed esterni, servizi, energia, viabilità) e dall'intervento pubblico a sostegno del mantenimento della produzione;
   l'industria sarda ha subito – a cavallo fra gli anni ‘80 e gli anni ‘90 – un costante arretramento e nella prima decade del XXI secolo ha conosciuto un violentissimo processo di desertificazione produttiva, che ha definitivamente annichilito settori di produzione industriale ormai storici, determinando costi sociali pesantissimi ed un lascito di disoccupazione assolutamente preoccupante in una fascia di popolazione compresa fra i 35 ed i 55 anni;
   i processi di razionalizzazione della spesa pubblica ed i tagli di bilanci e servizi diventati sempre più pesanti negli ultimi decenni, hanno certamente concorso in maniera decisiva all'ulteriore impoverimento – ormai generalizzato della popolazione e ridotto ai minimi termini la capacità degli enti locali e della regione di intervenire per calmierare gli effetti della crisi e per costruire percorsi nuovi di sviluppo;
   al costo sociale si aggiunge il costo ambientale ereditato dalla produzione industriale in molti territori, piaga non sanata in alcuna maniera, nemmeno laddove operava l'industria di Stato e la mano pubblica più in generale;
   il settore tessile in Sardegna venne impiantato prevalentemente nella zona della provincia di Nuoro che ricade fra l'area industriale di Tossilo (Macomer-Borore), quella di Ottana, quella di Siniscola (nel nord della provincia) settore che – a partire dagli anni ‘70 ha diffuso un relativo benessere nel territorio e possentemente contribuito a trasformarne il tessuto sociale. Con il tessile si compie il passaggio definitivo di una molteplicità di piccoli centri urbani dalla prevalenza del comparto agropastorale a un tessuto fortemente segnato dall'industria e dai servizi;
   nel 2008 ha chiuso la Legler (Macomer, Ottana, Siniscola) ed il licenziamento di circa 1000 lavoratori è stato avviato nel gennaio 2012;
   nel gennaio del 2012 è fallito anche il calzificio Queen (Borore), la procedura di licenziamento per i 300 lavoratori circa (100 erano già stati licenziati dopo la crisi del 2007) si è avviata nel luglio 2013;
   nel gennaio 2013 ha chiuso Alsafil e a dicembre dello stesso anno FT calze, una vera e propria ecatombe in un lasso di tempo brevissimo;
   allo stato attuale, nella provincia di Nuoro il 74 per cento circa della forza lavoro risulta inattiva;
   in tutta l'isola sono circa 27 mila i lavoratori e le lavoratrici che – a vario titolo – fin qui beneficiano di una forma di ammortizzatore sociale, persone che hanno perso il lavoro e che – peraltro – da mesi non vedono corrisposto questo loro diritto;
   nella provincia di Nuoro già 300 lavoratori dell’ex comparto tessile hanno perso la copertura a decorrere dal 1o gennaio di quest'anno, altri 600 la perderanno dal 31 dicembre 2015, gli ultimi 100 lo perderanno dalla metà del 2016;
   il nuorese è una vera polveriera sociale, segnata da una preoccupante rassegnazione e da una montante rabbia, nel quale le possibilità concrete di un reimpiego duraturo sono ridotte al lumicino;
   la provincia di Nuoro si caratterizza per una molteplicità di ricchezze ambientali (anche a rilevanza turistica: mare e montagna), archeologiche, storiografiche, artigianali, cooperativistiche, identitarie, enogastronomiche, vitivinicole, tessili, agricole e pastorali, culturali e linguistiche;
   le infrastrutture dell'industria dismessa e delle aree industriali che la ospitarono costituiscono un patrimonio materiale ed immobiliare che sarebbe colpevole abbandonare ulteriormente al degrado;
   le competenze delle maestranze inattive, le intellettualità presenti sul territorio o originarie di esso, le competenze artigiane ed agricole, un tessuto associativo particolarmente sviluppato, rappresentano una potenzialità sulla quale costruire un nuovo sviluppo per il territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza della gravissima condizione nella quale versano la Sardegna centrale in generale ed i lavoratori del settore tessile in particolare;
   quali azioni intenda intraprendere per corrispondere gli arretrati degli ammortizzatori sociali dovuti;
   quali azioni intenda intraprendere per la valorizzazione di questo territorio e per ridurre il preoccupantissimo tasso di inattività e l'elevatissimo tasso di disoccupazione.
(2-00869) «Piras».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO, BARBANTI, SEGONI, ROSTELLATO, PRODANI, TURCO, MUCCI, BALDASSARRE, ARTINI e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso della dichiarazione di fallimento della Lavorazioni Inox, azienda del Gruppo Sassoli, con sede a Villotta di Chions (Pn). La chiusura dell'azienda sotto l'aspetto sociale ha delle gravissime conseguenze, poiché perdono il loro lavoro ben 214 addetti, che lo scorso 23 febbraio 2015 sono stati costretti a lasciare lo stabilimento. Altresì, accusano un duro colpo anche i clienti di Lavorazioni Inox, in particolare l'Electrolux Professional di Vallenoncello, dove sono impiegati 874 lavoratori;
   era nota la crisi finanziaria della società, ma non si temeva il fallimento, dichiarato invece dal tribunale di Milano per il mancato pagamento di un fornitore che ha presentato istanza. Sul punto, l'interrogante ritiene assurdo che si sia proceduto così repentinamente alla dichiarazione di fallimento, senza valutare l'impatto occupazionale del provvedimento;
   a quanto è dato sapere, il 25 febbraio 2015 c’è stato un incontro presso Unindustria di Pordenone tra i sindacati di categoria e il curatore del fallimento, Claudio Ferrario, con l'obiettivo di verificare le prospettive. A riguardo, sembra vi sia un gruppo economico disposto ad affittare la Lavorazioni Inox di Villotta di Chions per quattro mesi con la possibilità di subentro al termine della locazione;
   pertanto, adesso si attende l'incontro tra curatore e i referenti del nuovo gruppo economico per verificare i dettagli di un eventuale piano industriale. Intanto, i 214 addetti dello stabilimento rimarranno in cassa integrazione;
   è evidente la necessità di predisporre le dovute azioni per tutelare i numerosi lavoratori coinvolti e, di conseguenza, le loro famiglie;
   è questo l'ennesimo duro colpo per il Friuli Venezia Giulia, regione interessata ormai da una perdurante crisi economica, come l'interrogante ha più volte evidenziato con atti di sindacato ispettivo richiedendo all'esecutivo i dovuti provvedimenti –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro considerando che nella sorte della Lavorazioni Inox di Villotta di Chions sono coinvolti ben 214 lavoratori da tutelare;
   se sia intenzione del Ministro promuovere un tavolo di concertazione con le parti sociali, al fine di garantire che siano intraprese idonee trattative, anche con possibili gruppi economici subentranti nella gestione dell'impresa in questione, affinché vengano salvaguardati i lavoratori. (5-04884)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 l'INAIL, per coprire la carenza negli organici di dirigenti medici di secondo livello (ex primari), ha bandito un concorso pubblico per titoli ed esami riguardante esclusivamente alcune regioni;
   la procedura di selezione di questo concorso (pubblicato in Gazzetta Ufficiale Concorsi n. 92 del 27 novembre 2009) si è conclusa nel 2010;
   il Consiglio di Stato, con un'ordinanza dell'8 gennaio 2015, ha ritenuto le procedure attuative concorsuali messe in atto dall'INAIL non idonee in punto di diritto ed, inoltre, non conformi alle esigenze individuate dall'ente stesso, che, a tutt'oggi, pur avendo chiesto ed ottenuto dal Governo risorse economiche per assumere i suddetti dirigenti medici di secondo livello non ha provveduto in alcun modo;
   già nell'aprile del 2014 l'interrogante aveva presentato un'interrogazione a risposta scritta (4-04680) al medesimo Ministro per chiedere al Governo di censurare l'operato dell'ente nell'anomala gestione delle suddette procedure concorsuali;
   a tale interrogazione non è, ad oggi, stata data risposta alcuna;
   nel frattempo, tuttavia, le regioni che necessitavano di dirigenti medici di secondo livello ne sono ancora sprovviste e non sono, tuttora, state utilizzate le legittime graduatorie regionali come normate dallo stesso bando concorsuale (che impongono all'ente di assumere nelle regioni messe a concorso);
   la già citata ordinanza del Consiglio di Stato afferma che dagli atti del giudizio non sono emersi elementi a sostegno della legittimità della determinazione INAIL n. 77/2014 nella parte in cui, per la copertura dei nuovi posti resisi vacanti nelle regioni Lombardia, Emilia Romagna, Puglia e Sardegna non dispone lo scorrimento delle originarie distinte graduatorie regionali approvate nel 2011;
   con tale ordinanza il Consiglio di Stato ha sospeso la determinazione INAIL in questione –:
   se non si ritenga, a questo punto, doveroso ed urgente chiedere immediatamente all'INAIL le ragioni delle inspiegabili e immotivate decisioni intraprese sino a oggi che, continuando a essere poco trasparenti, rappresentano una minaccia alla realizzazione di un modello sanitario conforme alle necessità dell'ente stesso, oltre che secondo l'interrogante un esempio di pessima gestione della cosa pubblica. (4-08211)


   COSTANTINO, PLACIDO, AIRAUDO e NICCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Arpacal, Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Calabria, svolge funzioni tecniche per la tutela, il controllo, il recupero dell'ambiente, per la prevenzione e promozione della salute collettiva e per i controlli ambientali. Svolge inoltre attività di supporto e di consulenza tecnico-scientifica necessarie ad enti locali e aziende sanitarie per lo svolgimento dei compiti loro attribuiti dalla legislazione nel campo della prevenzione e della tutela ambientale;
   l'Arpacal è presente sul territorio regionale calabrese con cinque dipartimenti provinciali coordinati dalla direzione generale che ha sede a Catanzaro Lido e fa parte della Rete delle agenzie ambientali, composta dall'Ispra (Istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale) e dalle Agenzie regionali (ARPA) e provinciali (APPA);
   il decreto legislativo 78 del 2010 «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» blocca tutta la contrattazione al 2010 fissando quale parametro ultimo di riferimento proprio quello dei fondi 2010. Ciò vale anche per la contrattazione integrativa decentrata;
   a seguito della pubblicazione del decreto sopra citato, la RSU dell'Arpacal solleva la vertenza «Fondi Arpacal» sollecitando la verifica del fondo, che si rivelerà infatti errato «per difetto». La stessa amministrazione con determina n. 611 riconosce nel tempo l'errore: il blocco della contrattazione al tetto del 2010 si svela essere l'unico motivo di non incremento del Fondo. Sempre nel 2010 l'amministrazione si impegna a risolvere il problema, impegnandosi a ricalcolare il fondo stesso a seguito della Circolare 25 del Ministero dell'economia e delle finanze, del 19 luglio 2012. Nonostante lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze abbia lasciato all'ente la buona pratica della gestione del ricalcolo, e abbia invitato a trovare una soluzione per il recupero delle somme, attualmente il calcolo rimane bloccato al fondo 2010 inizialmente previsto, e affetto da errori;
   nel 2014, tramite una procedura referendaria, i lavoratori direttamente coinvolti si sono espressi per non firmare contratti a ribasso che non dessero la giusta dignità secondo regole contrattuali nazionali. Perché, essendo il Fondo 2010 affetto da errori, e la contrattazione bloccata a quello stesso anno, le conseguenze sulle successive annualità sono naturalmente gravate degli stessi errori, con grave pregiudizio sulla contrattazione integrativa aziendale;
   il contratto di riferimento dei lavoratori Arpacal è il contratto collettivo nazionale sanità;
   se non vi sono strade percorribili per la giusta rimodulazione, per un puro errore matematico, tutta la contrattazione 2010-2014 e quindi anche quella delle annualità successive, sarà gravemente compromessa e le risorse dovute per il personale saranno da considerarsi perse per sempre;
   i lavoratori dell'Arpacal sono decisi a portare all'esame di merito delle scelte compiute dall'ente presso il giudice del lavoro, caricandosi di una spesa economica ulteriore per un diritto che è dovuto loro e viene inevaso da anni –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dell'errore all'interno della circolare citata in premessa e se, alla luce delle sanatorie che vi sono state per gli enti che hanno conteggiato i fondi in eccesso (come con riferimento al cosiddetto «decreto Salva Roma» e documenti ministeriali esplicativi), come intendano agire, nell'ambito delle loro competenze, per prevedere un metodo anche per il recupero delle somme in difetto, cioè mancanti, per una corretta quantificazione, in assenza della quale si continua ad arrecare un ingente danno economico ai dipendenti dell'Agenzia. (4-08221)


   NIZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità 2015, all'articolo 1, commi 24-34, che modificano l'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, introduce la possibilità per i lavoratori del settore privato (esclusi i lavoratori domestici e quelli del settore agricolo), che abbiano un rapporto di lavoro continuativo con lo stesso datore di lavoro da almeno sei mesi, di ricevere le quote maturate del proprio TFR direttamente in busta paga;
   si tratta di un «trattamento integrativo della retribuzione», denominato Tir, istituito in maniera sperimentale, a partire dal 1o marzo 2015 fino al 30 giugno 2018, e non reversibile, in quanto il lavoratore una volta fatta la sua scelta non potrà revocare il suo consenso fino alla fine del periodo previsto per la sperimentazione;
   il Tir ha riguardo esclusivamente al TFR maturando e non anche a quello maturato negli anni precedenti, che resta accantonato. Inoltre, è assoggettato a tassazione ordinaria che, tuttavia, non viene calcolata ai fini della definizione del reddito valido per il bonus Irpef (80 euro in busta paga);
   al fine di non gravare sulla liquidità delle aziende, che spesso utilizzano il Tfr dei dipendenti come autofinanziamento, la legge di stabilità prevede per le aziende con meno di 50 dipendenti la possibilità di accedere a un finanziamento assistito da garanzia presso un istituto di credito. Tale previsione dovrà essere definita da un accordo quadro tra il Governo e l'Abi, che risulta tuttora in preparazione;
   il Tfr in busta paga sarà liquidato a partire dal mese successivo a quello della richiesta nelle aziende con più di 50 dipendenti e tre mesi dopo in quelle con meno di 50 dipendenti;
   secondo la Fondazione studi dei consulenti del lavoro la scelta del Governo di prevedere una tassazione ordinaria delle quote del TFR in busta paga anziché quella separata sarà conveniente solo per i lavoratori con un reddito fino a 15.000 euro, mentre subiranno un aggravio fiscale quelli al di sopra di questa soglia;
   secondo la succitata Fondazione, fino a 15.000 euro di reddito l'aliquota con la quale verrebbe tassato il Tfr in busta paga rispetto a quello che si ottiene alla fine del rapporto di lavoro sarebbe la stessa al 23 per cento, mentre dopo questa soglia l'imposizione arriverebbe a una soglia del 38 per cento, con un aggravio di tasse di circa 300 euro annui;
   entro la fine di gennaio 2015, stando al dettato della legge, il Governo avrebbe dovuto varare un decreto (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) per definire le modalità di adesione da parte dei lavoratori, nonché i criteri di funzionamento del fondo di garanzia di ultima istanza dello Stato presso l'Inps e il modello per la richiesta dell'attivazione della prestazione, che risulta ancora in fase di preparazione –:
   a che punto sia l’iter del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui in premessa e per quali ragioni il Governo, nonostante il periodo di sperimentazione sia già iniziato il 1o marzo 2015, non abbia ancora ottemperato a quanto previsto dalla legge;
   se questo ritardo possa inficiare il periodo della sperimentazione, specialmente in merito all'accesso ai finanziamenti bancari che, senza un accordo con l'Abi, rischiano di destabilizzare la fragile economia delle imprese, in special modo di quelle al di sotto dei cinquanta dipendenti;
   quali ragioni abbiano persuaso il Governo a prevedere la tassazione ordinaria sulle quote di Tfr, rendendo questa agevolazione in busta paga troppo onerosa dal punto di vista contributivo per i lavoratori al di sopra dei 15 mila euro di reddito annui, e se non ritenga di dover assumere iniziative correttive, al fine di rendere più equanime il ricorso al Tfr in busta paga per tutti i lavoratori;
   se non ritenga il Governo che, escludendo dal calcolo contributivo previdenziale e assistenziale, le quote di Tfr in busta paga si possa creare negli anni uno stravolgimento del sistema del calcolo contributivo vigente, determinando in futuro delle ingiustizie sociali che potrebbero alterare tutto il sistema della previdenza sociale del nostro Paese. (4-08224)


   MICCOLI, DI SALVO e PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo storico istituto di credito romano Dexia Crediop, fondato nel 1919 dall’ex Ministro del lavoro Alberto Beneduce, nasce con lo scopo di finanziare opere ed infrastrutture di interesse pubblico. Esso detiene quote rilevantissime del debito di enti pubblici locali e territoriali con attivi consistenti, finanziati anche con obbligazioni sottoscritte da risparmiatori italiani istituzionali e non istituzionali;
   l'utilità di tale istituto di credito è data anche dalla significativa importanza del patrimonio reputazionale che detiene;
   nel 1999 tale Banca fu acquisita dal gruppo franco-belga Dexia;
   l'istituto Crediop ha la sede a Roma ed ha altre tre filiali a Torino, Bologna e Napoli;
   a seguito della crisi finanziaria iniziata con «Lehman-Brothers» ed a causa di scelte manageriali errate il gruppo fu messo in liquidazione;
   attualmente il controllo sull'istituto è esercitato tramite Dexia Crédit Local, (detentore del 70 per cento). Il rimanente 30 per cento è suddiviso in quote uguali tra: Banca popolare di Milano, Banco popolare e Banca popolare dell'Emilia Romagna, esposti ai rischi propri dell'azionista;
   in data 28 dicembre 2012, a seguito del crollo del Gruppo Dexia, la Commissione europea ha approvato il piano di risoluzione ordinata del gruppo, presentato dagli Stati belga; francese e lussemburghese;
   tale piano prevedeva, essenzialmente, la gestione in ammortamento, senza nuove attività, di tutte le entità del Gruppo Dexia, ad eccezione di Dexia Crédit Local e di Dexia Crediop, soggette a una diversa e specifica disciplina. Per quanto concerne Dexia Crediop è stata prevista la possibilità di generare nuovi attivi per un importo fino a euro 200 milioni destinati alla clientela esistente sino al 28 giugno 2014, al fine di consentirne la cessione;
   la Commissione europea, in data 15 luglio 2014: visto che non si era giunti alla sottoscrizione di un'offerta vincolante di acquisto; a fronte della richiesta degli Stati azionisti di un'ulteriore estensione del termine di attività; ha confermato la gestione «run off» (gestione in estinzione) e sancito il divieto all'Istituto di accordare nuovi prestiti confermando la sola gestione dell'esistente in una sorta di liquidazione «ordinata» delle attività;
   al 30 giugno 2014 la Banca italiana Dexia Crediop ha un margine di intermediazione consolidato di euro 61 milioni, un utile netto consolidato di 25 milioni di euro e il totale delle attività consolidate pari ad oltre 37 miliardi;
   attualmente la Banca italiana Dexia Crediop ha un bilancio in ordine, con un patrimonio di Vigilanza di 1,3 miliardi di euro al 31 dicembre 2013;
   i vertici aziendali dell'istituto Crediop, a causa del minore fabbisogno di capacità operativa proveniente sia dal fermo della nuova operatività commerciale sia dall'assoluta marginalità delle nuove operazioni di funding (medio e lungo termine) avevano posto in evidenza che il nuovo riassetto avrebbe portato inevitabili ricadute sul personale;
   come preannunciato il 18 dicembre 2014, l'istituto di credito comunicava l'apertura della procedura di mobilità per 61 unità: 53 aree professionali e quadri ed 8 dirigenti;
   i citati esuberi sono trasversali a tutto l'Istituto, ma con maggiore incidenza nelle aree di front, dove le attività risultano interrotte o significativamente ridotte;
   il 10 febbraio 2015 si è concluso l'esame congiunto tra l'azienda e le organizzazioni sindacali – di cui all'articolo 4, comma 5 della legge 223/91 – senza il raggiungimento di un accordo;
   il giorno 9 marzo è stato convocato il tavolo con le parti sociali, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per l'espletamento della procedura di esame congiunto propedeutico al licenziamento collettivo di cui agli articoli 4 e 24 della legge 223 del 1991 –:
   quali misure il Ministro interpellato intenda intraprendere per evitare la fuoriuscita dal mercato del lavoro delle alte professionalità possedute dai lavoratori dichiarati in esubero, qualità che potrebbero ritenersi utili sia all'interno dello stesso Istituto che nell'ambito del comparto del credito nazionale. (4-08228)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, DAGA, ZOLEZZI, MICILLO, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   una relazione pubblicata in data 24 febbraio 2015 dalla Corte dei conti europea rivela che i fondi dell'Unione europea per la prevenzione di incendi boschivi e la ricostituzione di foreste danneggiate da calamità naturali e incendi non sono stati gestiti in modo sufficientemente adeguato;
   la Corte afferma che la Commissione europea e gli Stati membri non sono in grado di dimostrare che i risultati previsti dei fondi sono stati raggiunti in modo efficiente;
   Nikolaos Milionis, Membro della Corte responsabile della relazione ha affermato che «La Commissione e gli Stati membri non sono stati in grado di valutare adeguatamente l'impatto degli interventi preventivi, in quanto l'efficacia di questi non era stata misurata. La Corte ha formulato delle raccomandazioni su come migliorare la situazione nel corso dell'attuale periodo di finanziamento 2014-2020»;
   nella relazione si legge che «Nell'UE, le foreste e i terreni boschivi occupano una superficie totale di circa 180 milioni di ettari, che rappresenta circa il 42,4 per cento di tutta la superficie dell'UE ed eccede la superficie utilizzata a fini agricoli. Le foreste servono fini economici, sociali e ambientali, e la loro importanza socioeconomica è elevata: la produzione e la lavorazione del legno contribuiscono allo sviluppo rurale e creano milioni di posti di lavoro, spesso in imprese rurali di piccole e medie dimensioni. Nell'UE, la superficie forestale incendiata ogni anno è stata in media di 480 000 ettari negli ultimi 30 anni. Oltre il 95 per cento di questi incendi è causato da persone, volontariamente o per negligenza. Circa 1'85 per cento della superficie totale colpita da incendi boschivi si trova nella regione mediterranea e in Portogallo. Gli incendi boschivi hanno recentemente bruciato vaste aree in Portogallo nel 2003 e 2005, in Spagna nel 2006 e in Grecia nel 2007. Le foreste gravemente colpite sono messe a dura prova per ritornare alle condizioni antecedenti gli incendi, specialmente per quanto riguarda la biodiversità. Nella relazione speciale (24/2014), intitolata "Il sostegno dell'UE alla prevenzione di danni a foreste causati da incendi e calamità naturali e alla ricostituzione del potenziale forestale è gestito bene ?", la Corte valuta se il sostegno FEASR (misura 226) per la ricostituzione del potenziale forestale e la realizzazione di interventi preventivi sia stato ben gestito e se la Commissione e gli Stati membri siano in grado di dimostrare che il sostegno ha conseguito gli obiettivi previsti in maniera efficiente. L'audit ha interessato sia la Commissione che cinque Stati membri: Austria, Francia (Aquitania), Italia (Basilicata), Slovacchia e Spagna (Andalusia), che rappresentano oltre l'85 per cento della spesa totale nel quadro della misura 226. La maggior parte del sostegno (80 per cento) ha riguardato interventi preventivi, soprattutto contro gli incendi. La gestione del sostegno allo sviluppo rurale per la ricostituzione del potenziale forestale e la realizzazione di interventi preventivi è condivisa tra la Commissione e gli Stati membri. Gli Stati membri elaborano programmi di sviluppo rurale a livello nazionale o regionale e li attuano una volta che questi sono stati approvati dalla Commissione»;
   nel rapporto la Corte sottolinea inoltre che gli interventi di prevenzione, che rappresentavano oltre l'80 per cento degli 1,5 miliardi di euro di fondi disponibili per il periodo 2007-2013, non erano sufficientemente mirati e che agli obiettivi ambientali è stata attribuita scarsa priorità durante la selezione degli interventi e talvolta essi sono stati trascurati durante la fase di attuazione);
   gli auditor della Corte hanno anche rilevato casi in cui il massimale per sostegno pubblico è stato spesso modificato senza spiegazione, in cui i costi standard per interventi simili in una regione sono stati considerevolmente maggiori rispetto a quelli in un'altra, e in cui è stata data la priorità a lavori manuali piuttosto che all'uso di macchinari, con conseguente aumento dei costi;
   la Corte al termine della relazione raccomanda tra l'altro che gli Stati membri:
    a) accrescano l'impatto di tutela ambientale del sostegno dando priorità agli foreste più preziose dal punto di vista ambientale (come le aree forestali Natura 2000);
    b) facciano sì che vengano sostenuti solo gli interventi connessi a calamità naturali o incendi;
    c) riferiscano sulle riduzioni dei danni da incendi e/o calamità naturali realizzate in seguito agli interventi finanziati;
   il MoVimento 5 Stelle nel mese di novembre del 2014 ha depositato una risoluzione in XIII Commissione Agricoltura (7/00533) a prima firma Massimiliano Bernini con la quale impegna il Governo ad attivare presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un ufficio permanente di coordinamento forestale, oggi mancante, che rappresenti l'unico punto di riferimento e di indirizzo per le politiche forestali nazionali nel rispetto delle competenze e dei ruoli che la Costituzione definisce circa i rapporti fra Stato e regioni, e svolga in modo continuativo le funzioni di coordinamento istituzionale e inter-istituzionale per le amministrazioni nazionali e regionali competenti in materia di politica e programmazione forestale, nonché di raccordo per tutte le iniziative internazionali e comunitarie in materia forestale, anche al fine di assicurare la presenza costante e qualificata dell'Italia in tali sedi, facendo sì che tale ufficio, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato, possa avvalersi delle competenze e del personale presente nelle strutture interne ed esterne al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (come l'Osservatorio foreste dell'INEA, il CRA e il CFS) anche a mezzo di apposite convenzioni e accordi di programma al fine di assicurare così piena efficacia e aggiornamento alla strategia forestale nazionale definita dal Programma quadro per il settore forestale, dando in tal modo reale seguito agli impegni internazionali sottoscritti dal Governo italiano e degli obblighi e indicazioni comunitarie in materia ambientale e di sviluppo sostenibile in rapporto alle indicazioni con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e le regioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di comportamenti quali quelli riportati in premessa anche sul nostro territorio;
   attraverso quali interventi il Governo intenda riallineare le proprie politiche forestali per accogliere le raccomandazioni dettate dalla Corte;
   se il Ministro non ritenga necessario intervenire per attivare presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un ufficio permanente di coordinamento forestale nelle modalità e con le finalità riportate in premessa. (3-01323)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   GALLINELLA, CIPRINI, COZZOLINO, TONINELLI, CECCONI, DADONE, DIENI, D'AMBROSIO e NUTI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   l'Assemblea legislativa dell'Umbria, che a seguito dell'approvazione della legge statutaria umbra n. 25 del 27 settembre 2013 è andata a sostituire il Consiglio regionale dell'Umbria, in vista delle prossime e imminenti elezioni per l'elezione dell'Assemblea legislativa e del Presidente della Giunta regionale fissate per il mese di maggio 2015, ha approvato, con la deliberazione n. 399 del 17 febbraio 2015, numerose rilevanti modifiche alla legge regionale umbra n. 2 del 4 gennaio 2010, che per l'appunto disciplina l'elezione dell'Assemblea legislativa e del Presidente della Giunta regionale;
   va sottolineata l'inopportunità di cambiare i meccanismi elettorali di un organo, peraltro ad opera dei suoi stessi componenti, alla vigilia del suo rinnovo, secondo quanto stabilito anche dal codice di buona condotta in materia elettorale adottato dalla Commissione di Venezia nel corso della 52o sessione il 18 e 19 ottobre 2002;
   a parere degli interroganti il testo approvato presenta, oltre a diversi errori tecnici, numerosi profili di incostituzionalità, che, di fatto, minano alla base il pluralismo politico, muovendosi peraltro nella direzione opposta rispetto alle istanze di maggiore rappresentanza più volte avanzate dai cittadini;
   in particolare, il testo, pubblicato nel bollettino ufficiale regionale del 25 febbraio 2015 presenta alcuni aspetti che contrastano palesemente con diversi principi costituzionali e con quanto rimarcato nella sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014 relativa all'incostituzionalità del sistema elettorale nazionale e nell'ordinanza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia n. 2261 del 2013 in riferimento all'illegittimità della legge elettorale lombarda;
   pur essendo diverso il contesto nel quale le sentenze citate intervengono, molti sono gli aspetti che possono essere accomunati e che permettono, dopo un'attenta analisi, di ritenere la nuova legge elettorale umbra in evidente contrasto con gli articoli 3, 48 e 121 della Costituzione, come peraltro sottolineato anche dall'istruttoria tecnico-amministrativa dell'ufficio legislativo della regione Umbria del 19 novembre 2014, relativa appunto alla bozza della nuova legge elettorale regionale;
   gli aspetti dei nuovi meccanismi elettorali che presentano le più evidenti criticità riguardano: l'assegnazione del premio di maggioranza (60 per cento dei seggi regionali) attribuito sempre e comunque e per di più senza la necessità del raggiungimento neppure di una soglia minima di voti alla lista o coalizione che abbia ottenuto la maggioranza relativa nella tornata elettorale; il «premio di minoranza» (pari a un seggio, 5 per cento dei seggi totali) riservato al candidato alla Presidenza della Giunta regionale «miglior perdente»; l'ingiustificata disparità di trattamento tra le liste che compongono la coalizione eventualmente vincente rispetto a tutte le altre; l'attribuzione dei seggi dell'Assemblea legislativa regionale alle liste e alle coalizioni di liste, soprattutto in base ai voti ottenuti dai candidati alla Presidenza della Giunta regionale piuttosto che da quelli ottenuti dalle liste e dalle coalizioni di liste che concorrono per la composizione dell'Assemblea legislativa stessa;
   per quanto concerne l'assegnazione del premio di maggioranza – che nel caso specifico dell'Umbria consiste nell'attribuzione di 12 seggi su 20, a cui si aggiunge quello spettante al Presidente della Giunta, pari al 62 per cento dei seggi totali (21) – appare essenziale sciogliere il nodo del rapporto tra l'esigenza di avere un'assemblea legislativa realmente rappresentativa e di dare governabilità al sistema. A tal proposito è fondamentale rimarcare che la lettera a) del comma 1 dell'articolo 4 della legge n. 165 del 2004, che fissa i principi fondamentali in materia di legislazione elettorale regionale, prescrive al legislatore regionale di individuare un «sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel consiglio regionale» e non che garantisca sempre e comunque l'emersione di tali maggioranze a dispetto del principio di rappresentanza;
   in nome della governabilità non si possono sacrificare altri obiettivi considerati primari e indefettibili: la selezione degli eletti da parte dei cittadini, la possibilità per gli elettori di condizionare gli eletti durante il mandato, nonché di indirizzare le scelte politiche fondamentali attraverso l'assemblea rappresentativa. La governabilità non è del resto inconciliabile con tali obiettivi, ma è anzi dimostrato che, se realizzati, essi producono normalmente un effetto di stabilizzazione degli organi di governo e di consolidamento delle decisioni politiche assunte. Infatti, costruire un'assemblea legislativa rappresentativa e responsabile nei confronti degli elettori è il presupposto essenziale non solo della democrazia, ma anche della governabilità: non si può governare una regione senza che vi sia un'assemblea realmente rappresentativa della popolazione; solo un'assemblea realmente rappresentativa e in contatto con i cittadini può assumere decisioni condivise e sorrette dal consenso della maggioranza della comunità regionale, oltre che dalla maggioranza nell'organo rappresentativo. Un'assemblea legislativa democratica suscita dibattito dentro la società, la quale partecipa attivamente all'adozione delle leggi, con tutte le sue articolazioni sociali, economiche e culturali. Il coinvolgimento collettivo nella fase dell'assunzione delle leggi fa sì che, quando queste siano approvate, siano anche destinate a durare nel tempo. La buona governabilità, per conciliarsi con la democrazia, deve dunque procedere dal basso, attraverso un processo di progressiva aggregazione delle idee che si trasforma nella decisione finale della legge. In questo senso, esistono diversi sistemi elettorali in grado di accogliere legittimamente questo obiettivo. Quando si persegue solo la governabilità sacrificando gli elettori – ed è questa la governabilità che si ottiene con il meccanismo del premio di maggioranza, al quale le forze politiche tradizionali non vogliono rinunciare perché, si dice, l'elezione deve stabilire chi ha vinto e chi ha perso, chi vince governa per cinque anni, chi perde sta all'opposizione e si prepara a sfidare l'avversario per le successive elezioni – la governabilità è imposta dall'alto ed è dunque, innanzitutto, antidemocratica. Infatti, attraverso il premio, le elezioni sono completamente sradicate dal loro rapporto con gli elettori e le comunità territoriali. Le elezioni si trasformano, invece, in un grande plebiscito mediatico. È infatti il premio di maggioranza che determina l'esito reale delle elezioni, perché chi vince il premio prende la maggioranza. In questo modo l'elezione instaura un rapporto esclusivamente fra un capo ed il popolo, mentre i membri dell'assemblea legislativa e le forze politiche ne restano largamente esclusi. Il meccanismo del premio produce un risultato antidemocratico e autoritario. Per questo la governabilità ottenuta col premio è un imbroglio per gli elettori. Allo stesso tempo, è una governabilità totalmente artificiale e quindi, paradossalmente, «instabile» e precaria. Essa si fonda sull'illusione che investendo del potere un solo schieramento tutti i problemi saranno già risolti. Tuttavia, mentre la governabilità costruita dal basso produce decisioni stabili, la governabilità imposta dall'alto produce decisioni immediate ma precarie. Il premio è anche un meccanismo deresponsabilizzante per l'elettore, che non può instaurare alcun rapporto reale con i rappresentanti regionali. Il sistema del premio spinge, inoltre, le forze politiche a disgregarsi anziché a restare coese, anche quando facciano parte della stessa coalizione. Infatti, in questo sistema quello che conta è la vittoria del premio, anche a costo di mettere insieme le forze politiche più variegate e senza un reale progetto comune. Anzi conviene inventarne sempre di nuove per aumentare l'offerta politica di ciascuna coalizione e prendere quel voto in più che consenta di «vincere»;
   la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 ribadisce a questo proposito che «Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza (...) è pertanto tale da determinare un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (articolo 48, secondo comma, della Costituzione)», a maggior ragione ove questo non sia «combinato con l'assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all'assegnazione del premio». Il parallelismo tra le norme per l'elezione della Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica censurate dalla Corte costituzionale con quelle dei meccanismi elettorali della regione Umbria appena approvati è inequivocabile, poiché anche in tale sistema i voti della lista o coalizione di maggioranza relativa hanno un peso e un valore maggiori rispetto a quelli di tutte le altre liste e coalizioni e per di più anche in questo caso non è richiesto il raggiungimento di alcuna soglia per accedere all'attribuzione del premio di maggioranza;
   tra i principi fondamentali che la legislazione regionale deve osservare c’è, come detto, quello dell'individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze, ma è evidente che trasformando una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi si stabilisce, in violazione dell'articolo 3 della Costituzione, un meccanismo di attribuzione del premio manifestamente irragionevole, tale da determinare un'oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, lesiva della stessa eguaglianza del voto (articolo 48, secondo comma, della Costituzione);
   in riferimento al fatto che l'assegnazione dei seggi, secondo la nuova legge regionale umbra, viene effettuata in base ai voti del candidato presidente e non della lista ad esso collegata, è possibile effettuare un parallelismo anche tra la legge elettorale umbra e l'ordinanza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia n. 2261 del 2013, che rileva l'incompatibilità con i principi costituzionali e, in particolare, con l'articolo 121 della Costituzione della legge elettorale lombarda, stabilendo che un sistema elettorale in cui la formazione dell'organo assembleare, massima espressione democratica regionale, sia determinata dai risultati elettorali riguardanti un organo diverso, nel caso specifico il presidente, sia una distorsione eccessiva ed illegittima del principio democratico;
   relativamente al «premio di minoranza», è evidente che di fatto le forze politiche collegate al candidato Presidente della Giunta che ha conseguito il numero di voti immediatamente inferiore a quelli del candidato alla presidenza eletto saranno avvantaggiate rispetto alle altre perdenti, ledendosi così, oltre che anche in questo caso i principi di uguaglianza del voto e di rappresentanza, anche l'altro principio sancito dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo 4 della legge n. 165 del 2004 legato all’«individuazione di un sistema elettorale che (...) assicuri la rappresentanza delle minoranze», in quanto questa disposizione crea disparità tra le minoranze favorendone una a danno delle altre, che così verrebbero ulteriormente penalizzate rischiando di non conseguire alcun seggio anche in presenza di significative espressioni di voto;
   ugualmente irragionevole e lesivo dei principi costituzionali risulta essere quanto sancito dalla nuova legge elettorale umbra in riferimento alla circostanza in base alla quale si prevede che fino a due liste collegate alla coalizione eventualmente «vincitrice» possano vedersi comunque attribuire seggi – anche se a queste non spetterebbero secondo il normale sistema di ripartizione dei seggi previsto per le altre liste – al solo raggiungimento della modesta soglia del 2,5 per cento dei voti su base regionale, mentre un tale vantaggio non è previsto in favore delle altre liste che, pur raggiungendo il 2,5 per cento dei voti regionali, non fanno parte della coalizione di maggioranza relativa –:
   se il Governo, in base a quanto esposto in premessa, con particolare attenzione agli evidenti e gravi profili di incostituzionalità segnalati, intenda procedere all'impugnazione della legge elettorale regionale dell'Umbria entro il termine previsto di 60 giorni dalla data di pubblicazione nel bollettino ufficiale regionale dell'Umbria. (3-01335)

SALUTE

Interrogazioni a risposta orale:


   L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei primi giorni di giugno 2014, la Repubblica Ceca ha notificato attraverso il sistema di allerta rapido europeo il ritrovamento in un lotto di pomodorini ciliegina, provenienti dal Marocco ed importati dalla Francia, di tossine prodotte da escherichia coli;
   la Francia aveva già allertato i Paesi europei, nei giorni precedenti, sul possibile verificarsi di una tossinfezione alimentare legata al consumo di pomodorini provenienti dal Marocco e distribuiti, oltre che in Francia e Repubblica Ceca, anche in Germania, Slovacchia, Romania, Regno Unito ed Italia;
   già nel 2011, un altro prodotto di origine vegetale – germogli crudi di soia – venne coinvolto da un'allerta alimentare a causa della contaminazione da parte di ceppi di escherichia coli pericolosi per la salute umana. L'intossicazione fu riscontrata in maniera prevalente in Germania e Francia, causando anche alcuni decessi;
   dal Ministero della salute non è giunta, sinora, alcuna informazione volta ad informare i cittadini sulle eventuali precauzioni da adottare nel consumo di pomodorini ciliegina;
   la recente sottoscrizione dell'accordo tra Unione europea e Marocco ha, di fatto, liberalizzato lo scambio commerciale di molti prodotti agricoli e ciò, oltre a compromettere il mercato nazionale di tali produzioni potrebbe, se tali prodotti non fossero sottoposti a stringenti controlli igienico-sanitari, pregiudicarne la qualità, a possibile danno della salute dei cittadini/consumatori –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in permessa e quali azioni intendano porre in essere al fine di garantire un'adeguata e tempestiva informazione ai consumatori italiani;
   quali misure intendano adottare, in base alle proprie competenze, per evitare l'ingresso o individuare i lotti già in circolazione dei pomodorini ciliegina provenienti dal Marocco per i quali è già partito un allarme a livello internazionale, sul mercato italiano, al fine di tutelare la salute dei cittadini;
   quale sia la tipologia di controlli igienico-sanitari applicata ai prodotti alimentari e agricoli provenienti da Paesi extra Ue, con particolare riferimento al regno del Marocco, considerando la facilità d'ingresso dei prodotti agricoli marocchini nel nostro Paese garantita dalla sottoscrizione dell'accordo citato in premessa. (3-01320)
(Presentata il 2 marzo 2015).


   SORIAL, COMINARDI, ALBERTI e BASILIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dai rubinetti di Brescia scende acqua sempre più carica di cromo esavalente;
   il cromo esavalente «sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche è stato classificato dalla IARC come cancerogeno per l'uomo (classe I)» (Fact sheet: «Cromo esavalente», Ispesl, dipartimento di medicina del lavoro, Centro ricerche Parma CERT); diversi studi hanno dimostrato che è molto tossico se ingerito o se i fumi vengono respirati;
   l'aumento del cromo esavalente nell'acqua di Brescia è legato al passato industriale della zona: i bagni di cromo sono una protezione essenziale per tutte le lavorazioni metalliche (dalle posate alle armi), e fino a pochi anni fa le scorie liquide venivano scaricate semplicemente nei corsi d'acqua e nel terreno e infatti nel Mella per decenni sono finiti quintali e quintali di liquidi tossici che hanno inquinato i pozzi nella bassa valle, parte della città, fino ad arrivare nella Bassa, il granaio della provincia. Oggi non sono aumentate le fonti inquinanti, ma i veleni rilasciati nell'ambiente in passato proseguono inesorabili la loro discesa e stanno dunque percolando fino alla falda profonda;
   i dati forniti dalla ASL nell'ultimo rapporto di agosto indicano una concentrazione crescente del cromo esavalente nell'acqua di rubinetto, giunta a 10 microgrammi per litro, con picchi nelle zone ovest della città e nella bassa Valtrompia, con un aumento rispetto a febbraio anche in zona Lamarmora e Villaggio Sereno; dai rubinetti scende acqua anche con 13 microgrammi di cromo esavalente per ogni litro, un inquinamento che rimane nonostante gli accurati filtraggi a cui il gestore sottopone l'acqua e che l'organismo umano assimila con gravi rischi per la salute;
   le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità fissano il limite di cromo esavalente a 2 microgrammi per l'acqua destinata al consumo umano, mentre lo Stato della California ha recentemente abbassato il limite da 0,06 a 0,02 microgrammi per litro, quantità ben cinquecento volte inferiore alle concentrazioni medie presenti nell'acquedotto di Brescia;
   ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 31 del 2001, che dà attuazione alla direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano, «Entro il 31 gennaio di ciascun anno, la regione o la provincia autonoma comunica al Ministero della sanità e dell'ambiente le seguenti informazioni relative ai casi di non conformità — dei parametri relativi alle acque destinate al consumo umano — riscontrati nell'anno precedente» in particolare indicando: «a) il parametro interessato ed il relativo valore, i risultati dei controlli effettuati nel corso degli ultimi dodici mesi, la durata delle situazioni di non conformità; b) l'area geografica, la quantità di acqua fornita ogni giorno, la popolazione coinvolta e gli eventuali effetti sulle industrie alimentari interessate; c) una sintesi dell'eventuale piano relativo all'azione correttiva ritenuta necessaria, compreso un calendario dei lavori, una stima dei costi e la relativa copertura finanziaria nonché disposizioni in materia di riesame»;
   ai sensi dell'articolo 8 del medesimo decreto legislativo «L'azienda unità sanitaria locale comunica i punti di prelievo fissati per il controllo, le frequenze dei campionamenti e gli eventuali aggiornamenti alla competente regione o provincia autonoma ed al Ministero della sanità secondo modalità proposte dal Ministro della salute (...) e trasmette gli eventuali aggiornamenti entro trenta giorni dalle variazioni apportate»;
   infine ai sensi dell'articolo 75 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che concerne anche lo stato delle acque superficiali: «Con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattività che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, pericolo di grave pregiudizio alla salute o all'ambiente oppure inottemperanza ad obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio per materia, assegna all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere, decorso inutilmente il quale il Consiglio dei ministri, sentito il soggetto inadempiente, nomina un commissario che provvede in via sostitutiva. Gli oneri economici connessi all'attività di sostituzione sono a carico dell'ente inadempiente. Restano fermi i poteri di ordinanza previsti dall'ordinamento in caso di urgente necessità e le disposizioni in materia di poteri sostitutivi previste dalla legislazione vigente, nonché quanto disposto dall'articolo 132» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti indicati e se siano stati adottati provvedimenti anche urgenti in relazione alla situazione di cui in premessa, con particolare riferimento alla necessaria tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini delle aree interessate, per garantire la salute e la tranquillità della popolazione;
   quale sia il quadro aggiornato della situazione di cui in premessa, e, qualora lo si ritenesse necessario, se si intenda convocare un tavolo tra tutte le parti istituzionali coinvolte per trovare una soluzione condivisa a salvaguardia del territorio e delle popolazioni locali;
   se sussistano i presupposti per l'invio di un'ispezione del Comando dei carabinieri per la tutela della salute per accertare la condizione delle acque destinate al consumo umano nella città di Brescia;
   se e come sia stata informata la popolazione sullo stato del loro territorio e dei rischi per la loro salute;
   se si intenda avviare in tempi rapidi, attraverso l'Istituto superiore di sanità, un'indagine epidemiologica aggiornata sugli eventuali effetti nocivi dell'inquinamento della falda acquifera sulla salute dei cittadini;
   se sussistano i presupposti per un intervento ai sensi dell'articolo 75, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, alla luce di quanto rappresentato in premessa. (3-01321)
(Presentata il 2 marzo 2015).

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIAMMANCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ISMETT (Istituto mediterraneo per i trapianti e le terapie ad alta specializzazione) di Palermo è un centro di eccellenza nel settore dei trapianti, sede di importanti progetti di ricerca, per garantire ai pazienti le terapie più avanzate e dare una risposta adeguata alle insufficienze terminali d'organi vitali;
   nato nel 1997 dalla partnership internazionale fra la regione siciliana, attraverso le aziende ospedaliere di Palermo «Arnas Civico» e «Vincenzo Cervello», e Upmc (University of Pittsburgh Medical Center), l'istituto è un esempio di gestione sanitaria innovativa ed efficiente;
   la collaborazione con il Centro medico dell'università di Pittsburgh, leader nel settore dei trapianti, ha portato a Palermo esperienze e professionalità maturate in ospedali, centri di ricerca e università di riferimento internazionali;
   l'ISMETT è il primo ospedale del sud Italia ad aver ricevuto l'accreditamento da parte della Joint Commission International (JCI), fra i più avanzati sistemi di accreditamento per valutare la qualità delle strutture sanitarie. L'accreditamento conferma l'altissimo livello del centro trapianti palermitano nella cura e nella sicurezza dei pazienti e il suo impegno nel miglioramento continuo delle performance sul fronte dei risultati clinici, della gestione, dell'accoglienza, dei programmi di formazione, che ogni anno coinvolgono centinaia tra infermieri, medici, tecnici e amministratori;
   dal dicembre 2013, ISMETT è entrato anche a far parte del network di ospedali che riservano particolare attenzione alle specifiche esigenze delle donne, ricevendo il bollino rosa per il biennio 2014-2015;
   con decreto del 12 settembre 2014 firmato dal Ministro della salute, ISMETT ha ottenuto il riconoscimento di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) nella disciplina «Cura e ricerca delle insufficienze terminali d'organo»; tale riconoscimento è l'esito di una rigorosa analisi dei Ministeri della salute e dell'economia e delle finanze circa i risultati delle cure e delle ricerche dell'istituto;
   come riportano, in data odierna, gli organi di stampa, l'Ismett di Palermo è entrato a far parte, primo istituto europeo, del Registro internazionale della Society of Thoracic Surgeons (STS), istituito nel 1989 negli Usa per confrontare le performance dei team di cardiochirurgia; il registro è diventato con gli anni lo standard di riferimento per i registri clinici, con oltre 5 milioni di procedure di chirurgia cardiaca e più di 3000 chirurghi partecipanti;
   la convenzione tra l'Istituto e la regione siciliana è scaduta il 31 dicembre 2014, ma è stata stabilita una proroga di tre mesi, che terminerà il 31 marzo 2015; se non si procederà al rinnovo della convenzione, l'istituto, fiore all'occhiello internazionalmente riconosciuto nel campo dei trapianti, rischierà seriamente la chiusura –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga opportuno intervenire per promuovere e sostenere l'attività dell'Istituto mediterraneo per i trapianti e le terapie ad alta specializzazione, centro di eccellenza nel settore dei trapianti multi-organo, riconosciuto a livello mondiale. (5-04891)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation) è una procedura medico-chirurgica, messa a punto sull'uomo nel 2002, con la quale si interviene per sostituire, con una protesi biologica, la valvola cardiaca aortica danneggiata, evitando un intervento cardiochirurgico tradizionale con apertura dello sterno, ricorso alla circolazione extracorporea e arresto cardiaco temporaneo;
   le indicazioni cliniche per l'accesso alla procedura sono sancite dalle linee guida ufficiali delle principali società scientifiche in ambito cardiovascolare – le «Guidelines on the management of valvular heart disease», stabilite nel 2012 dalla European Society of Cardiology (ESC) e dalla European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS) e la «2014 AHA/ACC Guideline for the Management of Patients With Valvular Heart Disease» delle statunitensi American Heart Association, (AHA) e American College of Cardiology (ACC);
   la TAVI trova dunque indicazione specifica per quei pazienti non altrimenti operabili ovvero considerati a rischio eccessivamente elevato per l'intervento cardiochirurgico tradizionale;
   il primo intervento TAVI avvenuto in Italia risale dal 2007, ma nonostante siano trascorsi otto anni, tale tecnica operatoria (a differenza di quanto avviene stabilmente da anni in numerosi Paesi dell'Unione europea e extra Unione europea non gode ancora, di una codifica univoca, né di un appropriato riconoscimento da parte del servizio sanitario nazionale;
   in Italia, il ricorso alla procedura TAVI risulta inspiegabilmente meno frequente rispetto a tutti i principali e più avanzati Paesi europei (con l'eccezione della Gran Bretagna), non esistendo alcun fattore epidemiologico che possa giustificare tale situazione. Tra l'altro, ad oggi, gli unici dati ufficiali nazionali sul ricorso alla TAVI sono raccolti ed elaborati dalla Società italiana di cardiologia invasiva SICI-GISE che, dall'indagine annuale sull'attività dei centri di emodinamica, rileva come nel 2013 si siano effettuate 2.188 TAVI, pari a circa 37 impianti di valvola aortica transcatetere per milione di abitanti in 72 centri sul territorio nazionale, che le procedure siano state 1.855 nel 2011 e 2.018 nel 2012 e che il numero dei centri che le effettua è dal 2010 intorno alle settanta unità;
   la principale anomalia italiana appare dunque riconducibile all'assenza di una visione d'insieme sul problema, che riduce inevitabilmente le possibilità di accesso a tali procedure operatorie innovative ed incrementa conseguentemente il fenomeno della mobilità interregionale alla ricerca della prestazione sanitaria più appropriata e di migliore qualità;
   fatta eccezione per la regione Emilia Romagna (che ha effettuato una valutazione di impatto economico della TAVI e ha definito specifiche tariffe di rimborso) tutte le altre regioni hanno affrontato il problema in modo per lo più estemporaneo;
   l'assenza di indicazioni ministeriali chiaramente definite circa la classificazione e la codifica della procedura TAVI ed in grado di circoscrivere il perimetro entro il quale sia possibile identificare i pazienti che possano trarre beneficio dall'intervento e definire i requisiti minimi per gli operatori e per le strutture sanitarie in grado di effettuarlo sta provocando una profonda diseguaglianza sociale tra i cittadini residenti nelle diverse regioni, con esclusione di molti pazienti con specifica indicazione dalle potenzialità di questa innovativa procedura operatoria –:
   come intenda sanare, nell'ambito delle proprie competenze, la situazione sopra descritta, in modo tale da ristabilire modalità di accesso paritarie ed uniformi sull'intero territorio nazionale;
   se non valuti opportuno proporre l'adozione di codici di procedura nazionali univoci per l'identificazione della TAVI nelle SDO;
   se non ritenga utile promuovere, nelle more dei provvedimenti di cui sopra e come è avvenuto in Emilia Romagna, delle soluzioni alternative peraltro contemplate dal comma 2 dell'articolo 9 del patto per la salute, laddove sono previsti: «(...) casi specifici e circoscritti per i quali può essere riconosciuta una remunerazione aggiuntiva, limitatamente ad erogatori espressamente individuati e in relazione a quantitativi massimi espressamente indicati, per tenere conto dei costi associati all'utilizzo di dispositivi ad alto costo», ove venga definita tanto l'identificazione, seppur indiretta, della procedura TAVI, quanto una sua adeguata remunerazione. (4-08217)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con determina n. 57/2015, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del n. 30 del 6 febbraio 2015, l'Agenzia italiana del farmaco ha reso possibile l'utilizzo, in regime di rimborsabilità a carico del Servizio sanitario nazionale, del medicinale ABRAXANE in associazione con gemcitabina;
   tale farmaco ad alta innovazione tecnologica, ora disponibile per la classe di rimborsabilità H, è indicato per il trattamento di prima linea di pazienti adulti con adenocarcinoma metastatico del pancreas;
   le prescrizioni relative unicamente alle indicazioni rimborsate dal Servizio sanitario nazionale non consentono l'utilizzo del farmaco ABRAXANE ai pazienti di età superiore ai 75 anni, in accordo – sostiene AIFA – a criteri di eleggibilità e appropriatezza prescrittiva;
   secondo l'utilissimo glossario pubblicato da AIFA per appropriatezza si intende «l'adeguatezza delle misure messe in pratica per trattare una malattia» e tale concetto viene definito come «il risultato della convergenza di diversi aspetti: quelli relativi alla salute del malato e quelli concernenti un corretto impiego delle risorse»;
   nel 2012 lo stesso farmaco è stato negato in un primo momento dalla regione Veneto alle donne di età superiore ai 65 anni per ragioni apparentemente legati a criteri di natura economica, salvo poi il passo indietro dei vertici istituzionali. La monoterapia con Abraxane era indicata in questo caso nel trattamento del tumore metastatico della mammella in pazienti adulti che hanno fallito il trattamento di prima linea per la malattia metastatica e per i quali la terapia standard, contenente antraciclina, non è indicata;
   sempre più spesso si tende a confondere due piani rigorosamente separati tra loro: quello della efficacia della terapia e quello della sua sostenibilità economica;
   se, da un lato, gli aspetti relativi all'efficacia terapeutica di un farmaco afferiscono in modo chiaro ed inequivoco ai compiti dell'Agenzia regolatrice (AIFA), dall'altro sembra assai dubbio che l'Agenzia debba esprimersi su aspetti di carattere etico, relativi all'opportunità che gli stessi farmaci debbano essere utilizzati in pazienti di età avanzata, per i quali sembrerebbe sussistere «l'utilità terapeutica», ma verrebbe messa in dubbio «la convenienza economica»;
   appare del tutto evidente come una eventuale, difficilissima scelta etica di questo tipo, afferisca interamente alla sfera delle decisioni politiche e non possa che essere eventualmente presa in sede politica, dopo adeguato approfondimento delle implicazioni presenti e future di scelte simili –:
   se non ritenga di interpellare immediatamente AIFA per sapere se la specifica valutazione dell'appropriatezza prescrittiva di ABRAXAN nella terapia del tumore al pancreas, per quanto attiene all'esclusione dell'utilizzo in fascia H nei pazienti di età superiore ai 75 anni, discenda da considerazioni correlate alla differente efficacia nei pazienti over 75 o sia invece inaccettabilmente riconducibile a criteri di farmacoeconomia. (4-08222)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ASL RM G presenta una popolazione residente pari a 476.586 abitanti;
   l'indice di posti letto per acuti è passato da 1,76 a 1,49 per mille residenti;
   nel territorio della ASL RMG, peraltro molto vasto e nel quale sono ubicati i comuni di Palombara Sabina di Guidonia Montecelio, Marcellina, Monteflavio, Montelibretti, Montorio Romano, Moricone, Nerola, e Sant'Angelo Romano, non vi è alcun presidio ospedaliero per ricovero degli acuti;
   l'unica struttura sanitaria ospedaliera esistente nel distretto G2 è l'Ospedale «SS Salvatore» sito in Palombara Sabina;
   il Ministero della salute, con decreto dirigenziale del 1o luglio 2005 ha ammesso il finanziamento (ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988) di 6.918.510.00 euro, concesso per il completamento della struttura SS Salvatore e trasformazione dell'ospedale medesimo in P.I.T., e tali lavori sono stati parzialmente completati (ala nord);
   con la delibera regionale n. 1157 del 9 agosto 2006, relativa al riordino della rete ospedaliera, il nosocomio cittadino è stato trasformato in «Casa della Salute» e, successivamente, è stato attivato al suo interno un presidio territoriale di prossimità, regolato dalla D.G.R. Lazio n. 420 del 2007;
   in data 18 dicembre 2006 presso l'aula consiliare del comune di Palombara Sabina, alla presenza per dell'assessore alla sanità della regione Lazio, del direttore generale della ASL RM/G, del sindaco del comune di Palombara Sabina, è stato sottoscritto un protocollo di intesa finalizzato a tutelare il passaggio del «SS Salvatore» da Ospedale a «casa della salute»;
   nell'ambito del protocollo di intesa, l'assessorato alla sanità della regione Lazio si era impegnato a far inserire la casa della salute di Palombara Sabina nella sperimentazione nazionale relativa a questo innovativo modello assistenziale, come struttura di riferimento del Centro Italia;
   dopo l'ultimazione dei lavori riguardanti l'ala nord dell'Ospedale, i nuovi ambienti risulterebbero chiusi e pertanto privi di una destinazione, nonostante l'ingente spesa pubblica sostenuta per la loro realizzazione;
   l'abbandono della struttura ospedaliera SS Salvatore e del progetto casa della salute, unitamente alla chiusura di altri ospedali, sta rendendo estremamente gravoso il raggiungimento di ottimali livelli di tutela della salute dei cittadini dell'intera area di competenza dell'ASL RMG, e causando un generalizzato senso di abbandono nella popolazione interessata;
   attualmente, sembrerebbe che il «S.S. Salvatore» di Palombara Sabina sia stato destinato, con delibera della ASL provvedimento n. 114 del 12 febbraio 2015, con una previsione di spesa di 1.842.000.00 euro, ad essere trasformato in residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria (REMS), le strutture istituite per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   la destinazione del SS Salvatore a struttura REMS si pone in apparente contrasto con le normative vigenti per quanto attiene ai presupposti di legge per l'apertura di tali strutture, posto che, in primo luogo, all'interno dello stesso, frequentato quotidianamente da famiglie, bambini e anziani, mancano sia l'area esterna obbligatoria, sia le misure che possano circoscrivere l'area destinata agli internati, e che lo stesso sorge in prossimità di una scuola materna;
   in secondo luogo, nel territorio di competenza della ASL RMG non vi sono istituti penitenziari, come invece richiesto ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1 aprile 2008 –:

se siano informati dei fatti di cui in premessa, se il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, abbia valutato se l'intervento prospettato in premessa relativamente all'ospedale del S.S. Salvatore possa pregiudicare i livelli essenziali di assistenza nel territorio interessato, e quali siano, per quanto di competenza, orientamenti al riguardo. (4-08232)


   BARBANTI, ARTINI, BECHIS, BALDASSARRE, ROSTELLATO, PRODANI, MUCCI, TURCO, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sanità nella regione Calabria è sottoposta a commissariamento e, infatti, il Governo nazionale ha provveduto alla nomina, negli anni scorsi, del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario ai sensi e per gli effetti della legge del 23 dicembre 2009, n. 191, nella figura del Presidente della giunta regionale: il compito di assumere ed ottenere le iniziative in ambito sanitario necessarie per il superamento del disavanzo sanitario è stato attribuito alle competenze del commissario nominato dal Governo con delibera del Consiglio dei ministri;
   a seguito delle dimissioni dell'ex presidente della Giunta regionale, Giuseppe Scopelliti, che ha ricoperto il ruolo e la carica di commissario per il piano di rientro, la regione Calabria è rimasta priva del commissario alla sanità immobilizzando, di fatto, l'intero settore sanitario regionale;
   solo dopo molti mesi il Governo ha nominato, in sostituzione di Scopelliti, il generale Luciano Pezzi e, tuttavia, a seguito delle consultazioni elettorali svoltesi il 23 novembre dello scorso anno per il rinnovo del consiglio regionale, il generale Luciano Pezzi è decaduto dal ruolo di commissario;
   nonostante i mesi decorsi dall'insediamento del nuovo presidente della giunta regionale, il Governo nazionale, nonostante il fatto che, con le modifiche introdotte dal decreto legislativo 10 ottobre 2012, n. 174 (articolo 2, comma 6), convertito dalla legge n. 213 del 2012 ad integrazione del comma 83 dell'articolo 2 dell'anzidetta legge n. 191 del 2009, si è data la possibilità di nomina a commissario ad acta delle regioni in piano di rientro a soggetto diverso dal presidente della regione, purché in possesso di particolari requisiti tecnici, ha omesso – e tuttora omette – di procedere alla nomina del commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo finanziario della sanità della regione Calabria;
   tenendo conto del tempo necessario, a seguito delle dimissioni di Scopelliti per la nomina del sostituto, il generale Pezzi citato, e del tempo sinora decorso dall'elezione dell'attuale presidente della giunta regionale, la Calabria è priva da circa un anno del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del servizio sanitario;
   il settore sanitario calabrese si trova in una gravissima situazione di carenza strutturale, con particolare riferimento al personale medico e paramedico, determinata, tra l'altro, dai pesantissimi vincoli imposti dalla pregressa gestione commissariale che ha, tra l'altro, messo in atto un blocco totale del turnover che dura da oltre cinque anni, portando alla completa paralisi delle strutture ospedaliere;
   l'omessa nomina, imputabile al Governo nazionale, del commissario impedisce l'adozione di ogni atto, in ambito sanitario, che possa dettare la linea della organizzazione e dello sviluppo sanitario calabrese con la conseguenza che il settore sanitario calabrese, già compromesso, è sempre più carente e inadeguato al ruolo di custode del diritto costituzionale alla salute;
   il Governo nazionale, sta lasciando l'intera comunità calabrese in una situazione di paralisi operativa del settore sanitario;
   la «lettera aperta» al Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, del dottor Domenico Corea (direttore unità operativa di ostetricia e ginecologia di Lamezia Terme) e del dottor Pasquale Novellino (direttore patologia neo-natale di Catanzaro), con cui i due primari descrivono il quadro desolante in cui i medici si trovano costretti ad operare con la conseguente impossibilità per la comunità dei pazienti di avere risposte medico/terapeutiche tempestive ed esaustive, esprime drammaticamente il rischio quotidiano incombente nelle strutture sanitarie calabresi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti menzionati in premessa;
   se i Ministri interrogati non ritengano tutto ciò non ulteriormente tollerabile sotto il profilo umano, per i terribili riflessi su una comunità così ampia e se intendano provvedere urgentemente a porvi riparo. (4-08237)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Almaviva Italian innovation company è un gruppo italiano che riunisce nove aziende, dislocate in Italia, Tunisia, Brasile e Cina, e opera nel segmento information&communication technology;
   nel 2010 il gruppo ha dichiarato un fatturato di 1.033 milioni di euro e 22.000 impiegati;
   tra le aziende del gruppo figura Almaviva contact, specialista nella fornitura di servizi per le più importanti aziende che lavorano nei settori dell'industria, della finanza e della comunicazione, con sedi a Palermo, Catania e Milano, e che occupa attualmente circa 2.700 lavoratori, la gran parte dei quali è assunta a tempo indeterminato;
   il sito di Palermo annovera tra i suoi committenti le società Wind, Sky, Enel, Palermo calcio e altre, ma di fatto la maggior parte dei lavoratori è impegnata sulle commesse di Wind e Sky, soggette a rinnovi contrattuali a scadenza biennale e della cui prosecuzione non vi è, quindi, certezza;
   nonostante il fatto che Almaviva contact operi già dal 2012 in regime di contratto di solidarietà su scala nazionale, l'azienda nel mese di dicembre 2014 ha convocato le organizzazioni sindacali proponendo una riduzione degli stipendi di circa il 10 per cento, asseritamente al fine di permettere alla stessa azienda di recuperare competitività sul mercato e potersi aggiudicare il rinnovo delle commesse in scadenza di Wind, Tim, Sky ed altre;
   il 19 febbraio 2015 l'azienda ha nuovamente convocato le organizzazioni sindacali informandole del rischio che non sia rinnovata la commessa di Wind a causa della concorrenza di altro committente, che avrebbe presentato, per quanto consta all'interrogante, un'offerta inferiore di circa il 30 per cento rispetto a quella formulata da Almaviva contact;
   il basso costo di tale offerta a parere dell'interrogante fa nascere il sospetto che il concorrente possa essere nelle condizioni quantomeno di eludere parte degli oneri derivanti dai contratti di lavoro del personale impiegato, di fatto delocalizzando o non rispettando le prescrizioni del contratto collettivo nazionale del settore delle telecomunicazioni;
   in base alle previsioni dell'azienda il mancato rinnovo della commessa di Wind determinerà il collocamento in mobilità di circa 1.700 lavoratori, attualmente impiegati nella stragrande maggioranza nella sede palermitana ma anche nelle sedi di Milano e Catania, quindi perlopiù in zone già caratterizzate da elevati livelli di disoccupazione, con gravi ricadute sociali;
   il settore dei call center evidenzia una richiesta in aumento, ma al suo interno è, purtroppo, diffuso il ricorso ad espedienti per aggirare le normative nazionali, al fine di consentire alle aziende di presentare offerte al massimo ribasso, penalizzando i lavoratori;
   Almaviva contact è solo l'ultima azienda di call center in ordine di tempo i cui lavoratori rischiano di essere travolti da un mercato sregolato, come già è accaduto alla società Infocontact, attualmente in amministrazione straordinaria, ai cui lavoratori si sta proponendo una riassunzione a orario lavorativo e conseguenti livelli salariali ulteriormente ridotti –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere al riguardo, anche con riferimento ad una più attenta attività di monitoraggio sulle società che offrono servizi di call center in ambito nazionale. (3-01327)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI e L'ABBATE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2007 la regione Puglia ha deliberato l'accordo di programma per la realizzazione del «Polo integrato per lo sviluppo economico», utilizzando i fondi FAS per un contenitore di risorse pari a circa 50 milioni di euro; il tutto doveva essere ultimato entro la fine del 2011: ad oggi la «Cittadella dell'economia», la nuova sede della Camera di commercio di Foggia nei pressi dell'Ente Fiera cittadino, non ha ancora aperto i battenti, portando il CAT, consorziato con il CCC (consorzio edile della galassia della Lega Coop) assegnatario dei lavori impiantistici a dichiarare fallimento, trascinando con sé l'azienda di Altamura «Dema Impianti S.r.l.» costretta oggi a licenziare i propri dipendenti e arrivata sull'orlo del dissesto;
   si richiamano, a conseguenza di quanto esposto, le nuove disposizioni previste dall'articolo 72 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nonché il decreto 22 gennaio 2008, n. 37, e le disposizioni in materia di «dichiarazione di conformità degli impianti» e «certificato di agibilità»;
   sia gli stati di avanzamento lavori sia le perizie di variante sulla «Cittadella dell'Economia di Capitanata», sottoscritti dal consorzio CAT e dal committente CCIAA Foggia, evidenziano come la società «Dema Impianti S.r.l.» abbia effettuato tutti i lavori di categoria OS28 ed abbia maturato una situazione creditoria nei confronti del CAT pari a oltre euro 900.000. Medesima situazione per la società «Tecnoelettra S.r.l.» che ha realizzato parte dei lavori categoria OS30, lavorando in cantiere sino alla comunicazione del fallimento del consorzio CAT (3 aprile 2013) e incrementando la propria situazione creditoria verso CAT per circa euro 380.000;
   alla luce di questa situazione creditoria verso CAT e del fallimento del consorzio, la «Dema» in data 8 novembre 2013 e la «Tecnoelettra» in data 18 novembre 2013 avrebbero presentato, a quanto consta agli interroganti, «diffida a modificare e certificare gli impianti realizzati» di categoria OS30 e OS28;
   la società mandataria CCC di Bologna, appreso del fallimento del consorzio CAT, in data 24 giugno 2013, per quanto risulta agli interroganti, ha chiesto al CCIAA Foggia il subentro di un'altra sua ditta consorziata, il CEIF di Forlì, che dovrebbe dare continuità ed ultimare le opere impiantistiche residue e chiedendo una proroga al 31 ottobre 2013 per l'ultimazione dei lavori. In data 7 agosto 2013, la CCIAA Foggia attesta che i lavori al SAL n. 10 (19 dicembre 2012) sono giunti al 95,06 per cento ed autorizza l'ingresso in cantiere della ditta CEIF per completare le residue lavorazioni impiantistiche –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della fase di stallo creatasi dal mancato rilascio delle certificazioni delle società che hanno eseguito i lavori, come previsto dalla normativa, e come intendano adoperarsi per garantire l'apertura della «Nuova Cittadella dell'Economia» alla luce dei finanziamenti statali dedicati a tale opera. (5-04878)


   GULLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la comunicazione, è uno dei pilastri della società;
   nella storia, il principale strumento di comunicazione è la lettera;
   normalmente, per garantire l'effettiva possibilità di accesso alla comunicazione gli Stati hanno gestito direttamente il sistema postale stabilendo regole che consentano a tutti i cittadini di fruire del servizio;
   gradualmente, al servizio postale di spedizione e ricezione delle missive si sono affiancati i servizi denaro;
   dopo l'unità d'Italia le poste inglobarono le aziende di servizi postali dei regni annessi e si costituirono in ente nazionale con legge 5 maggio 1862 n. 604;
   oggi Poste Italiane spa è una società per azioni posseduta al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il servizio postale universale affidato a Poste Italiane sino al 2026 dovrebbe garantire a tutti i cittadini la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, indipendentemente da fattori come il reddito o la collocazione geografica;
   il servizio universale comprende: la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi; la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; i servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii assicurati; la «posta massiva» (comunicazioni bancarie, bollette e bollettini di pagamento, e altro);
   nel corso dei secoli il servizio postale ha subito parecchi mutamenti e riorganizzazioni tese prevalentemente ad ampliare i servizi, la loro funzionalità e l'offerta globale anche attraverso la capillarizzazione degli sportelli postali;
   il 13 aprile 2015 renderà il via una nuova razionalizzazione di Poste Italiane;
   tale operazione si sostanzia in generale per la chiusura di centinaia di uffici su tutto il territorio nazionale ed in particolare per la chiusura di 25 uffici in Sicilia;
   tale non condivisibile scelta si palesa ad avviso dell'interrogante nella sua assurdità con la chiusura di ben 19 uffici postali a Messina e provincia;
   dei 25 uffici chiusi in tutta la Sicilia, ben 19 chiuderanno definitivamente o resteranno aperti solo 3 giorni a settimana;
   a Messina città chiuderanno gli uffici di San Saba, Altolia, Cumia e Pezzolo;
   in provincia chiuderanno gli sportelli di Serro (Villafranca), Pellegrino (Monforte S. Giorgio), Valdina, Protonotaro (Castroreale), Soccorso (Gualtieri Sicaminò), Campogrande (Tripi), Cattafi (S. Filippo del Mela), Torregrotta (resta aperto lo sportello di Scala) e Fiumara (Piraino);
   altri sei uffici lavoreranno a giorni alterni, 3 volte a settimana, sono gli sportelli di San Filippo Superiore, Roccafiorita, Saponara, Alicudi, Bafia e Condrò;
   in molti casi gli uffici più vicini si trovano a parecchi chilometri di distanza rendendo non effettivamente fruibili i servizi postali da parte di soggetti anziani e svantaggiati;
   almeno 13 lavoratori delle Poste andranno ricollocati in altri uffici;
   l'operazione prelude chiaramente anche alla riduzione dei posti di lavoro a tempo indeterminato e di quelli a tempo determinato;
   tali scelte, oltre ad incidere negativamente sui livelli occupazionali, sono, a giudizio dell'interrogante, incoerenti con l'affidamento del servizio postale universale –:
   quali iniziative urgenti si intendano, assumere per quanto di competenza, per:
    a) vigilare sul corretto espletamento del servizio postale universale;
    b) consentire a tutti i cittadini l'effettiva fruizione dei servizi postali;
    c) bloccare l'inopinata soppressione degli uffici di Messina in località San Saba, Altolia, Cumia e Pezzolo e degli sportelli della provincia di Serro (Villafranca), Pellegrino (Monforte S. Giorgio), Valdina, Protonotaro (Castroreale), Soccorso (Gualtieri Sicaminò), Campogrande (Tripi), Cattafi (S. Filippo del Mela), Torregrotta (escluso lo sportello di Scala che resterà aperto) e Fiumara (Piraino);
    d) bloccare quella che l'interrogante giudica l'assurda riduzione del servizio postale nei centri di San Filippo Superiore, Roccafiorita, Saponara, Alicudi, Bafia e Condò;
    e) scongiurare i rischi di perdita di posti di lavoro connessi a tali operazioni.
(5-04886)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCOLIN. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gas rappresenta, ad oggi, una delle componenti fondamentali del mix energetico nazionale, oltre ad essere fonte primaria per il settore industriale, domestico e di trasporto;
   per garantire un'efficiente erogazione del servizio, in regime di libera concorrenza, è fondamentale che le regole siano chiare e non discriminatorie, specie in un mercato complesso e strategico come quello del gas naturale;
   dopo decenni di sostanziale monopolio nel settore dei servizi di pubblica utilità da parte delle imprese in partecipazione statale, la legge n. 481 del 14 novembre 1995, è intervenuta «al fine di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, nonché adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizione di economicità e redditività, assicurando la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti»;
   la stessa norma prevede che le Autorità «operano in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione; esse sono preposte alla regolazione al controllo del settore di propria competenza per i settori dell'energia e del gas, al fine di tutelare i clienti finali e di garantire mercati effettivamente concorrenziali, le competenze ricomprendono tutte le attività della relativa filiera»;
   il processo di liberalizzazione ha proseguito negli anni successivi, anzitutto attraverso l'impulso della legislazione europea, direttiva n. 98/30/CE del Parlamento e del Consiglio europeo del 22 giugno 1998 («Direttiva Gas»);
   la liberalizzazione del mercato interno del gas naturale è stata attuata in Italia attraverso il decreto legislativo n. 164 (Decreto Letta), che reca norme comuni in attuazione della legge n. 144 del 17 maggio 1999;
   l'Autorità per l'energia e il gas ha fissato nel 2002, attraverso la deliberazione n. 137 di quell'anno, le garanzie di libero accesso al servizio di trasporto gas;
   le condizioni per accedere alla rete di trasporto sono definite dal Codice di Rete predisposto dalle aziende di trasporto e approvato dall'Autorità per l'energia, il gas e il sistema idrico;
   il codice di rete di Snam Rete Gas spa attualmente in vigore, secondo quanto previsto dallo stesso codice, costituisce l'insieme delle regole, trasparenti e non discriminatorie, per l'accesso al servizio di trasporto, applicabili a tutto il gas in movimentato e finalizzate all'individuazione di soggetti con i quali l'impresa di trasporto provvede a stipulare il relativo contratto di trasporto (utenti), alla determinazione della capacità di trasporto conferite ed alle relative transazioni, alla definizione degli aspetti che consentono la prestazione del servizio di trasporto gas in condizioni di sicurezza, trasparenza e neutralità (programmi di trasporto, bilanciamento, acquisizione e validazione dei dati di misura, fatturazione, gestione delle emergenze, e altro;
   Snam Rete Gas spa con i suoi 32.306 chilometri di metanodotti è di gran lunga l'attore principale nel sistema di trasporto e dispacciamento del gas naturale in Italia;
   dal 1o gennaio 2012 la holding, che precedentemente portava il nome di Snam Rete Gas spa cambia nome in Snam, riduce la partecipazione di Eni e conferisce alla nuova società Snam Rete Gas, ora controllata, il ramo d'azienda che include il trasporto, il dispacciamento, telecontrollo e misura del gas, tale da configurarla teoricamente, come operatore indipendente in osservanza del decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 93, che ha recepito le direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE relative alle norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e del gas naturale;
   dagli assetti societari, riportati anche sul sito internet di Snam, si rileva che l'azionariato della holding vede come socio di maggioranza Cassa depositi e prestiti spa con il 30 per cento delle azioni; Eni spa resta tuttavia il secondo detentore di azioni Snam spa con una quota del 8,54;
   il gruppo Eni storicamente non solo ha svolto una funzione primaria nella filiera del gas, ma ha anche assicurato la quasi totalità degli approvvigionamenti, degli stoccaggi e della distribuzione primaria, determinando, nel contempo, un monopolio di fatto che si è protratto ben oltre l'avvio del percorso di liberalizzazione;
   la diminuzione delle quote nella partecipazione societaria di Snam spa ha lasciato svariati attori dubbiosi circa la reale terzietà dell'azienda trasportatrice; inoltre, alcune interpretazioni del Codice di rete di Snam rete Gas spa, giunto alla 45a revisione ha portato alcuni operatori a lamentare addirittura danni economici che sarebbero causati da un atteggiamento ostruzionistico di Snam che si troverebbe in una condizione dominante nel determinare la possibilità di un operatore di entrare o meno in rete;
   sembrerebbe addirittura che nelle consultazioni pubbliche per l'adozione delle delibere da parte dell'AIIGSI, Snam possa esprimere il proprio parere sull'accoglimento o meno delle istanze di accesso agli atti da parte di operatori terzi, su espressa richiesta dell'AEEGSI attraverso la direzione mercati – elettricità e gas;
   lo stringente sistema che consente ad un operatore di intervenire sulla rete di trasporto, definito da un complesso sistema che valuta l'Esposizione potenziale del sistema nei confronti dell'utente (Epsuk) e l'Esposizione massima del sistema nei confronti dell'utente (Mepsuk), mettendolo in relazione ad un sistema di garanzie, contiene, nel suo calcolo e nella sua attuazione, variabili che sarebbero largamente condizionabili da parte della stessa azienda di trasporto, alterando l'accessibilità ad un sistema che dovrebbe essere caratterizzato dal libero mercato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di carattere normativo abbia intenzione di apportare per garantire, per ciò che attiene l'attività di trasporto del gas naturale, che l'accesso alle reti e le attività di controllo siano realmente regolati in modo terzo e non discriminatorio e se, inoltre, non ritenga necessario un maggior coinvolgimento nei processi decisionali di tutti gli operatori del sistema. (4-08227)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   opera a Salsomaggiore Terme la società Terme di Salsomaggiore spa, partecipata da comune di Salsomaggiore (66 per cento), provincia di Parma (17 per cento), regione Emilia Romagna (17 per cento) e avente per oggetto la gestione delle locali terme di Salsomaggiore e Tabiano, comprensiva del regime delle acque, dei bagni e delle strutture ricettive;
   la società ha visto calare costantemente il proprio fatturato negli ultimi anni, passando dai 26 milioni di euro del 2007 ai 17,5 del 2013, con una perdita di esercizio di euro nel 2013;
   tale andamento ne ha compromesso parzialmente la capacità operativa, al punto di rendere necessario fin dal 2009 il ricorso alla Cassa integrazione in deroga per 81 lavoratori, e poi a ipotizzare il ricorso alla procedura ex articolo 67;
   nel luglio 2014 la società annuncia la fine della cassa in deroga e i conseguenti licenziamenti, poi scongiurati da un accordo sindacale del 28 novembre 2014, consistente nell'uscita volontaria e incentivata di 32 lavoratori;
   il piano di risanamento ex articolo 67 non avrebbe trovato il favore degli istituti di credito, che scontano un'esposizione complessiva di 29 milioni di euro, al punto da indurli secondo quanto riferito dagli amministratori della società a revocare le linee di credito;
   per evitare la liquidazione, i soci hanno quindi deliberato la possibilità di operare più affitti di ramo d'azienda, così da garantire la continuità dei segmenti più redditizi per la stagione turistica 2015 e flussi di cassa utili al pagamento di debiti finanziari e commerciali;
   per alcuni lavoratori si prospetta la possibilità di riassunzione nelle newco derivanti dagli affitti di ramo d'azienda, con perdita di diritti e termini reddituali acquisiti, mentre per altri, stimabili almeno in 100, data la rinuncia a mettere a valore le attività ricettive, la perdita del posto di lavoro;
   a questo si deve aggiungere la problematica dei numerosi stagionali, a loro volta privati della prospettiva di un reddito –:
   se non si ritenga, anche in ottemperanza alle richieste dei sindacati, di attivare un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico, considerando anche la storia è il potenziale turistico di un sito come Salsomaggiore Terme, che non merita di entrare nella sua peggiore crisi proprio nell'anno di Expo. (4-08235)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Tidei e altri n. 1-00712, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Gigli, Fauttilli e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: Tidei, Gigli, Minnucci, Carella, Ferro, Gregori, Piazzoni, Giuseppe Guerini, Laforgia, Morassut, Iori, Miccoli, Fauttilli.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Cenni e altri n. 7-00487, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Luciano Agostini.

  La risoluzione in Commissione Ciprini e altri n. 7-00590, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lorefice, Grillo.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Prodani n. 1-00047, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 20 del 21 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il porto franco di Trieste ha una lunga tradizione storica, avendo ottenuto il suddetto status dall'imperatore austriaco Carlo VI nel 1719. Tale regime è rimasto prerogativa del porto di Trieste anche in seguito al passaggio al Regno d'Italia dopo la Prima guerra mondiale;
    al termine della Seconda guerra mondiale – con il Trattato di Pace di Parigi del 1947 (allegato VIII), la risoluzione n. 16/1947 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e il Memorandum di Londra del 1954 – il porto triestino ha conservato le sue peculiarità e i vantaggi derivanti dal mantenimento della legislazione speciale sia doganale che fiscale, con cinque punti franchi che godono dell'extraterritorialità doganale;
    gli articoli dall'1 al 20 dell'allegato VIII prevedono impegni precisi per l'Italia riguardo alla natura di tale porto, come la sua accessibilità «per l'uso in condizioni di eguaglianza per tutto il commercio internazionale», la sua amministrazione e la garanzia del regime di completa libertà di transito delle merci;
    l'articolo 5 del successivo Memorandum di Londra ha riconosciuto la validità dei dettami contenuti negli articoli dall'1 al 20 del sopracitato allegato VIII al Trattato di Pace;
    il superamento del Memorandum di Londra, da parte del Trattato di Osimo (1975), in merito ai rapporti tra l'Italia e l'allora Jugoslavia, non ha modificato quanto stabilito in relazione agli obblighi dell'Italia sul porto franco di Trieste;
    le peculiarità che distinguono quest'ultimo ed i suoi punti franchi vengono fatte salve nella legge n. 84 del 1994, sul «Riordino della legislazione in materia portuale», in ottemperanza al preciso obbligo assunto dal Governo italiano con la sottoscrizione del trattati internazionali sopracitati;
    ad oggi il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ha emanato il decreto sull'organizzazione amministrativa del porto di Trieste, previsto nell'articolo 6, comma 12, della legge sopracitata;
    l'introduzione delle norme speciali per il porto di Trieste all'interno della legislazione portuale – attraverso il decreto previsto dalla legge n. 84 del 1994 e mai emanato – oltre a mettere fine alle incertezze sull'applicazione della normativa di agevolazione riservata allo speciale regime del relativo porto franco, darebbe piena attuazione alla riforma, finora incompiuta, del sistema portuale italiano e la necessaria, quanto dovuta, chiarezza normativa necessaria per il pieno sviluppo della portualità triestina;
    la mancata valorizzazione del punto franco nord, noto come porto vecchio, ed il suo progressivo declino dimostrano quanto gli impegni del Governo a mantenere il porto in perfetta efficienza siano stati disattesi. Tale problema è stato messo in evidenza quando, nel maxi emendamento alla legge di stabilità per il 2015, sono state inserite delle disposizioni riguardo alla sdemanializzazione per legge di gran parte dei 60 ettari rientranti nel perimetro del porto vecchio di Trieste nonché il trasferimento in altra area ancora da individuare, senza l'esplicito e doveroso coinvolgimento dell'autorità portuale, del punto franco;
    le disposizioni contenute nel maxiemendamento approvato – oltre a sancire per legge la fine della pubblica utilità dell'area in assenza di qualche pronunciamento precedente delle autorità competenti e senza il consenso della popolazione attraverso pronunciamenti ufficiali degli organi elettivi – destano delle preoccupazioni anche in relazione a contenuti che abbiano come oggetto una questione delicata come la trattazione dei punti franchi triestini regolati da specifici vincoli internazionali. Oltretutto, al patrimonio disponibile del comune di Trieste, la cui valutazione economica è strettamente connessa alla progettualità strategica ancora da stabilire per l'area, andrà trasferito un comprensorio decisamente superiore alle sue capacità finanziarie. Risulta evidente come l'immissione improvvisa del milione di metri cubi del porto vecchio di Trieste sul mercato immobiliare creerà delle criticità sul valore immobiliare dell'intero patrimonio cittadino pubblico e privato già interessato da un eccesso di offerta in particolare di grandi immobili storici;
    a tale situazione di prospettive tradite per il capoluogo giuliano si aggiunge la mancata attuazione della legge n. 19 del 1991 per quanto riguarda il centro off-shore del porto vecchio, in seguito a un estenuante rimpallo di responsabilità tra istituzioni italiani ed europee;
    la mancata attuazione delle disposizioni a favore del porto di Trieste risulta tra l'altro incomprensibile in seguito alla segnalazione, da parte del Governo, del progetto per un terminal off-shore del porto di Venezia quale priorità nazionale eleggibile per i finanziamenti della Banca europea per gli investimenti sotto il cosiddetto «Piano Juncker», scelta che ha scatenato la guerra tra i due scali. Si auspica, invece, che i due porti dell'Alto Adriatico possano essere inseriti in una visione strategica complessiva che permetta di competere con i grandi porti del nord Europa;
    l'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 ed il successivo decreto ministeriale 24 dicembre 2012, nell'indicare in via generale i parametri di riferimento per l'adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi in tutti i porti nazionali, ha introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato al complesso dei porti nazionali ed il porto franco di Trieste, nel quale l'aumento delle tasse e dei diritti marittimi è pari al 100 per cento del tasso d'inflazione, anziché del 75 per cento come negli altri scali;
    tale trattamento difforme e discriminante riservato allo scalo giuliano, oltre a disattendere quanto stabilito nella normativa speciale a cui è sottoposto il porto di Trieste, è foriero di rilevanti danni economici per tutti coloro che operino nell'ambito dei punti franchi ed è attualmente oggetto di un ricorso al Consiglio di Stato;
    gli avvisi esplorativi alla vendita di cui attualmente sono oggetto Adriafer srl e Porto Servizi spa – entrambe società concessionarie di servizi primari all'interno del porto, che pertanto sarebbe opportuno che restassero in capo all'Autorità portuale di Trieste – potrebbero rappresentare ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo delle violazioni degli obblighi in merito all'amministrazione del porto franco, derivanti dall'allegato VIII al Trattato di pace;
    il mandato dell'attuale presidente dell'autorità portuale di Trieste è in scadenza il 19 gennaio 2015, circostanza che rende quanto mai urgente l'immediata nomina di un nuovo presidente che goda della piena fiducia delle istituzioni locali, in modo da tutelare la continuità amministrava ed evitare un logorante periodo di commissariamento che potrebbe avere come principale obiettivo quello di far slittare la nomina fino alla più volte annunciata riforma del sistema portuale;
    vista la posizione geografica di Trieste quale importante crocevia per sistemi intermodali nave-rotaia e la specificità dei fondali di cui dispone, il ruolo del capoluogo giuliano e del suo porto potrebbe trarre un grandissimo vantaggio strategico dall'estensione fino a Trieste del progetto della joint venture OBB – Breitspur Planungsgesellschaft mbH per la costruzione di una rete ferroviaria a scartamento largo da Kosšice (Slovacchia) a Bratislava e Vienna che ha per obiettivo quello di potenziare i volumi di traffico, migliorare i collegamenti diretti e ridurre il tempo del trasporto merci tra Asia ed Europa;
    risulta evidente come l'Italia dovrebbe considerare l'eccezionalità di un porto quale quello di Trieste, sia dal punto fisico che giuridico che fiscale, quale un'importantissima risorsa da valorizzare, una risorsa che, se sostenuta in maniera dovuta e in rispetto agli obblighi internazionali assunti dall'Italia, rappresenterebbe con assoluta certezza un elemento cardine della ripartenza economica di tutto il territorio nazionale;
    il parere espresso con nota n. 1706 il 6 febbraio 2015 dalla Commissione Via/Vas del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, «previa attenta valutazione della ulteriore documentazione pervenuta, ha concluso che non si evidenziano incompatibilità ambientali tra le previsioni del Piano Regolatore Portuale di Trieste ed il progetto del Rigassificatore GNL di Zaule» modificando di fatto l'iter avviato dal Ministero stesso nel 2013 con la sospensione della valutazione di impatto ambientale per 6 mesi e il successivo avviamento del procedimento di revoca. Tutte le istituzioni territoriali ed in particolar modo l'autorità Portuale di Trieste hanno espresso un parere contrario sulla realizzazione del progetto rilevando che nel prospettato impianto una totale incompatibilità con i piani di sviluppo del Piano regolatore del porto di Trieste e dei relativi punti franchi;
    si ritiene necessario attivare politiche attive nei confronti della regione autonoma Friuli Venezia Giulia per avviare una concreta ripresa economica di tale territorio, che possa altresì favorire tessuto economico-sociale del resto del Paese;
    al riguardo, si evidenzia che, in data 11 luglio 2014, è stato approvato dalla giunta regionale il «piano di sviluppo industriale FVG Rilancimpresa» che prevede, in particolare, riforme dei distretti industriali e dei consorzi, nonché generiche linee di intervento rispetto al sistema produttivo, che non sono assolutamente idonee e sufficienti per favorire un'incisiva ripresa economica e occupazionale, in considerazione delle prioritarie e specifiche problematiche che affliggono il Friuli Venezia Giulia;
    pertanto, oltre alla concreta attuazione e potenziamento della zona franca del porto di Trieste, va adottato un più ampio progetto che preveda l'attuazione di zone franche urbane nella fascia di confine della regione autonoma in questione;
    è noto che le zone franche urbane istituite dalla legge finanziaria 2007 (legge 24 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 340) sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si attuano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, il cui intento prioritario è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo di difficile realizzazione proprio a causa di determinate peculiarità del territorio di interesse;
    la zona franca è uno status giuridico riconosciuto, dunque, sulla base di parametri socio-economici quali: essere territori ultraperiferici, a rischio spopolamento e con situazione socioeconomica di sottosviluppo. Tali condizioni danno luogo al diritto di ottenere misure eccezionali per rivitalizzare l'economia delle aree interessate, attraverso il riconoscimento di un regime fiscale di favore che vuole attivare strumenti e forme di compensazione per consentire alle aree disagiate di mettersi alla pari con il resto del territorio nazionale;
    al riguardo, il Friuli Venezia Giulia nella fascia territoriale di confine accusa notevoli disagi a livello socio-economico. La situazione di tale area è divenuta ancora più critica con l'attuale crisi economica nazionale ed internazionale, che ha determinato ulteriori e gravi difficoltà alla popolazione residente, sia a livello occupazionale sia commerciale, con un sostanziale aumento della concorrenza tra Stati con un trattamento fiscale più favorevole per una moltitudine di beni e servizi attuato oltre il confine;
    sicché, le zone di frontiera situate lungo la fascia confinaria del Friuli con la Slovenia e con l'Austria – Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio – sono gravemente penalizzate dal trattamento fiscale e contributivo più favorevole applicato oltre la linea di confine;
    sul punto, un'indagine condotta da Confartigianato nell'anno 2014 sostiene l'impossibilità di competere per le imprese regionali con le dirette concorrenti che operano oltre confine, proprio a causa della differente pressione fiscale, che può raggiungere addirittura il 65,8 per cento, indice che scende al 32,5 per cento in Slovenia e al 52,4 per cento in Austria. Inoltre, l'indagine mette in evidenza che la posizione di tali imprese viene aggravata da i maggiori costi del sistema imprenditoriale italiano sul costo del lavoro e sull'energia elettrica, nonché dalla lentezza delle procedure a causa dell'apparato burocratico italiano;
    orbene, rispetto alle aree in questione, Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio, situate lungo la fascia confinaria del Friuli con la Slovenia e con l'Austria, bisogna intervenire con provvedimenti idonei, per risollevare un'economia gravemente provata e, dunque, favorire i settori dell'industria, artigianato, commercio e turismo, richiamando persone e imprese attraverso più favorevoli condizioni fiscali;
    tali interventi consentirebbero l'incentivazione dei consumi e la promozione occupazionale impedendo l'emigrazione dei residenti e la delocalizzazione delle imprese, fenomeni che ormai da tempo risultano sempre più preoccupanti in tali zone territoriali,

impegna il Governo:

   ad emanare immediatamente il decreto attutivo – previsto dall'articolo 6, comma 12, della legge n. 84 del 1994 – per l'organizzazione amministrativa dei punti franchi del porto di Trieste, che da oltre 20 anni attendono tale atto per dare piena attuazione a una riforma – finora incompiuta – del sistema portuale italiano e a garanzia della certezza del diritto necessario per il pieno sviluppo delle attività portuali triestine;
   ad assumere iniziative per apportare – prima di procedere con la realizzazione di quanto indicato dalla legge di stabilità 2015 in relazione al porto di Trieste – le necessarie e dovute modifiche, prevedendo il necessario accordo e la necessaria pianificazione strategica delle istituzioni sul futuro del porto vecchio, nel rispetto dei vincoli internazionali che regolano i punti franchi triestini;
   a rivedere – attraverso un'iniziativa normativa urgente – i contenuti dell'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 e del successivo decreto ministeriale 24 dicembre 2012, facendo valere gli impegni assunti a livello internazionale riguardo al regime speciale dei punti franchi del porto di Trieste;
   ad assumere iniziative per sospendere immediatamente le procedure di vendita coinvolgenti le società Adriafer srl e Porto Servizi spa, ribadendo che la proprietà delle società che gestiscono servizi primari restino in capo all'autorità portuale;
   a nominare subito – alla scadenza del mandato dell'attuale presidente dell'autorità portuale di Trieste – il successore nel pieno possesso dei poteri, a garanzia di un impegno di lungo periodo, evitando l'incertezza di un periodo di commissariamento;
   a dare attuazione alla legge n. 19 del 1991 per quanto riguarda le off-shore del porto vecchio di Trieste;
   a prendere in considerazione l'inserimento di Trieste nei progetti ferroviari internazionali – in particolare della joint venture OBB – Breitspur Planungsgesellschaft mbH per la costruzione di una rete ferroviaria a scartamento largo da Kosšice a Bratislava e Vienna – in modo da rilanciare il ruolo del porto quale nodo commerciale intermodale;
   a negare l'autorizzazione all'insediamento dell'impianto di rigassificazione di Zaule (Trieste) ribadendo l'assoluta incompatibilità dello stesso con i piani di sviluppo contenuti nei Piano Regolatore del Porto di Trieste;
   a provvedere – ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296, alla costituzione di zone franche, in via sperimentale e temporanea, per un periodo non inferiore a tre anni, nei territori dei comuni di Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, al fine di contrastare la situazione di svantaggio di tali realtà territoriali dovute alla concorrenza di regimi più vantaggiosi, in particolare quelli fiscali, che vigono in Austria e Slovenia.
(1-00047)
(Ulteriore nuova formulazione) «Prodani, Pellegrino, Rizzetto, Fantinati, Da Villa, Crippa, Mucci, Businarolo, Grande, Gallinella, Rizzo, Rostellato, Currò, Barbanti, Baldassarre, Turco, Bechis, Segoni, Artini».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Valeria Valente n. 2-00857, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 380 del 24 febbraio 2015.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   Finmeccanica, sotto il profilo economico e occupazionale, costituisce, per il Paese, il gruppo di punta nel settore dell'alta tecnologia per l'industria meccanica e aerospaziale civile e militare;
   il gruppo versa da anni in una situazione di difficoltà determinata da una serie di fattori, che possono riassumersi nel forte indebitamento, nel generalizzato calo delle commesse militari, ma, soprattutto, in carenze gestionali e organizzative dei vertici manageriali, culminate, peraltro, finanche in inchieste giudiziarie, incapaci di assicurare il necessario rilancio industriale del gruppo;
   sino allo scorso anno è sembrato che il progetto di risanamento del gruppo, presentato il 4 febbraio 2015 presso la Commissione attività produttive, si incentrasse, sostanzialmente, su un piano di dismissioni e di cessioni di interi comparti produttivi, quali Ansaldo Breda, Ansaldo STS e Ansaldo Energia, orientando poi i contestuali ritorni finanziari ad interventi volti al rafforzamento dei cosiddetti «business core», declinati nell'aerospazio, difesa e sistemi elettronici;
   il progetto di risanamento del gruppo Finmeccanica, di indubbio rilievo su scala nazionale, ha un impatto di enorme portata per l'intero meridione e per la regione Campania in particolare, ove risultano allocati un settore aerospaziale, un settore della manutenzione aeronautica, un settore progettazione, realizzazione e manutenzione del trasporto ferroviario, un settore elettronico per la difesa;
   ciò nonostante, nelle strategie sin qui rese note dal precedente management del gruppo, non risultano, in realtà, perseguiti progetti di valorizzazione delle pur pregevoli realtà industriali esistenti in Campania, né tanto meno risulta previsto il rilancio di quelle attività che, pur in attuale crisi, potrebbero, non di meno, se correttamente riprogrammate, fattivamente concorrere al superamento della crisi dell'intero gruppo Finmeccanica;
   si è assistito, negli anni scorsi da parte dei precedenti management, alla metodica, quanto ingiustificata, sottrazione di tutte le direzioni centrali presenti in Campania, e più in generale al Sud, per essere assegnate ai siti allocati nel Centro-Nord, oltre che alla sostanziale delocalizzazione verso il Centro-Nord di specifiche attività e produzioni;
   non risulta né confermato, né aggiornato e implementato il percorso di risanamento/rilancio previsto per le aziende del gruppo presenti in Campania, e cioè la Selex ES, con gli stabilimenti di Giugliano e Bacoli-Fusaro, la Alenia Aermacchi con gli stabilimenti di Nola, Pomigliano e Napoli Capodichino, la Ansaldo Breda e Ansaldo STS, con lo stabilimento di Napoli;
   con riferimento alla Selex ES-Selex Electronic Systems, le attività della società hanno visto un progressiva crescita, fra il 2000 e il 2013, tanto che all'atto della fusione, nel 2013 appunto, tra le società Selex ES, Elsag e Galileo, lo stabilimento campano allocato a Giugliano contava di ben 480 unità lavorative, il settore Logistica risultava coinvolto in tutte le attività industriali di Selex-SI, con un ruolo di prime contractor con clienti istituzionali (Esercito, Aeronautica e Marina);
   lo storico impianto industriale del Fusaro (Bacoli) invece contava prima della fusione del 2013 circa 520 unità impiegate in attività che spaziavano dall'industrializzazione al collaudo di sistemi radar, di progettazione software e sistemistica per integrazione, ma piano di riassetto ha fortemente ridimensionato l'organico, con una perdita di occupazione di oltre un quarto della forza lavoro, vicino ormai alla soglia critica per il corretto funzionamento dei processi, ridotto gli investimenti e ridimensionato il ruolo dello stabilimento nell'ambito del attività di produzione e progettazione specializzandolo di fatto in attività di assemblaggio finale che da un punto di vista tecnologico hanno una minore importanza;
   data la funzione rilevante in termini di R&S nel settore dell’high tech e dei servizi ad alta conoscenza il contributo della Selex ES, e più in generale di tutte le aziende del gruppo Finmeccanica, all'economia territoriale assume valenza strategica quale strumento per le politiche di rilancio industriale dell'intera filiera presente nell'area. In ragione delle caratteristiche strutturali dell'economia dell'area il riassetto appare come l'avvio di un processo di industrializzazione piuttosto che di razionalizzazione dell'apparato industriale;
   in entrambi i detti stabilimenti di Giugliano e Fusaro (Bacoli), inoltre, risultava presente una qualificata componente ingegneristica, impegnata, fra l'altro in attività di ricerca sulle nuove tecnologie applicate, in collaborazione con il mondo universitario, anche nel settore del controllo del traffico aereo;
   la regione Campania non ha dato seguito agli impegni assunti nelle sedi istituzionali e non risulta aver approvato il contratto di programma presentato da Selex ES, incentrato su innovazione di prodotto da utilizzare come pilota per i nuovi sistemi radar per le Marine di tutto il mondo;
   nonostante le positive prestazioni ora dette, con il Piano industriale del giugno 2013 varato a seguito della fusione, sebbene la produzione dei radar PAR sia stata trasferita al Fusaro da Nerviano (Milano) e Giugliano sia diventato Centro di eccellenza per la microelettronica, non si è dato alcun impulso a ulteriori sviluppi delle attività svolte nei siti di Giugliano e Fusaro (Bacoli), ma non è stata neppure realizzata, presso il sito di Giugliano, la prevista direzione centrale logistica;
   come dimostrano le riuscite esperienze di sinergie tra Governi e aziende di altri Paesi occidentali, l'obiettivo anzidetto rimarrebbe utopia senza un forte supporto istituzionale visto che il piano di dimensionamento degli organici previsto dal citato Piano industriale è condizionato al mantenimento e sviluppo dei Programmi in corso con il sostegno del Governo italiano; il mantenimento e/o l'ampliamento dei livelli occupazionali dei due stabilimenti campani dipendono dall'attuazione di alcuni programmi del Ministero della difesa, in particolare la legge navale (FREMM) e Forza NEC (incluso Soldato Futuro), con l'obiettivo che Selex ES diventi un importante strumento di politica industriale per l'Italia;
   a quanto è dato sapere, inoltre, il nuovo piano industriale, sul presupposto di ridurre le spese, sembrerebbe addirittura prevedere la chiusura di uno dei due stabilimenti Selex in esercizio;
   con riferimento alla Alenia Aermacchi, dopo la chiusura nel corso del 2012 degli stabilimenti di Casoria in Campania e della sede di Roma, è stata affidata allo stabilimento di Venezia la manutenzione del velivolo militare AWACS; nel corso degli ultimi giorni, poi, e stata resa nota da parte del management la volontà di intervenire sul sito di Napoli/Capodichino attraverso una duplice operazione di cui la prima prevede lo spostamento verso Torino delle produzioni del velivolo C27J (aereo da trasporto militare che occupa un notevole segmento del mercato mondiale dei velivoli da trasporto militare), e la seconda consiste nella cessione di ramo d'azienda delle residuali attività ivi presenti a favore della Atitech, con la contestuale creazione di una NewCo per la creazione di un polo di manutenzioni aeronautiche i cui dettagli circa le ricadute occupazionali e i carichi prospettici di lavoro non risultano noti;
   la nuova destinazione del sito di Capodichino andrebbe, poi, nella direzione opposta rispetto a quanto fino ad ora proclamato circa il progetto di sviluppo del velivolo Atr NGTP, poiché per la realizzazione dello stesso si renderebbe indispensabile non solo la determinazione di un piano di sviluppo da sottoporre al Governo (che riepiloghi, tra gli altri, l'ammontare dei capitali necessari alla sua realizzazione, le fonti di approvvigionamento e i tempi di impiego) ma anche l'utilizzo di un campo volo e di spazi ad hoc per la linea finale di assemblaggio ad oggi auspicabile presso le strutture e il sito preesistente dell'aeroporto di Napoli-Capodichino;
   non si stanno, peraltro, realizzando i previsti ampliamenti di organici di ingegneria di progettazione nello stabilimento di Pomigliano, baricentro del progetto del nuovo velivolo;
   con riferimento ad MBDA, consorzio europeo costruttore di missili e tecnologie per la Difesa, joint venture costituita da Bae systems (37,5 per cento), Airbus Group (37,5 per cento) e Finmeccanica (25 per cento) con l'intento di valorizzare i propri centri di eccellenza e tentare di gestire un processo di concentrazione industriale in ambito transazionale, è presente in Campania attraverso Finmeccanica con lo stabilimento di produzione MBDA del Fusero (Bacoli);
   risulta preoccupante l'incertezza del Governo italiano in ordine al finanziamento di alcuni importanti programmi legati alle evoluzioni tecniche dell'Aster (BLOCK 1 NT –, BLOCK 2) in ragione sia del fatto che il finanziamento di tali programmi costituirebbe un elemento strategico per assicurare la presenza industriale italiana nel settore, sia di sostegno al ruolo che questa riveste all'interno del consorzio;
   la realizzazione di tali programmi vedono lo stabilimento di Fusaro (Bacoli) rappresentare un elemento centrale e di snodo di tutte le attività di progetto e produzione con un enorme impatto sul territorio;
   MBDA, da ultimo, ha sottoscritto, con INVITALIA, un contratto di sviluppo per il potenziamento e l'ampliamento degli stabilimenti dell'area industriale napoletana, al fine di realizzare sia progetti di sviluppo industriale, sia progetti di ricerca e sviluppo sperimentale industriale, con il coinvolgimento di Atenei campani; il che implica l'impiego di risorse pubbliche, in contraddizione, perciò, con le notizie apparse sulla stampa, mai smentite ufficialmente dalla proprietà, circa la volontà di dismissione italiana della quota di partecipazione al consorzio; con riferimento alla Ansaldo STS, che opera nel settore «Impianti e sistemi ferroviari», sembra trovare conferma il progetto di vendita della società, nel quadro della dismissione delle produzioni del settore civile di Finmeccanica;
   in Italia gli stabilimenti della società sono allocati a Napoli, Genova, Piossasco (TO), Tito (PZ) e impiegano circa 1.500 dipendenti, 600 dei quali sono impiegati nel sito di Napoli, cui vanno sommati, per valutare il peso della detta attività in Campania, le unità di personale delle numerose aziende operanti nell'indotto, la Ansaldo STS, dunque, rappresenta una realtà industriale assolutamente centrale nel contesto campano; per quel che riguarda l'Ansaldo Breda, che realizza veicoli per il trasporto ferroviario leggero, pesante, metropolitano, suburbano, regionale, alta velocità, stabilimenti sono allocati a Napoli, Pistoia, Reggio Calabria, Palermo, con circa 2.200 dipendenti, 850 dei quali impiegati a Napoli, cui vanno sommati, per valutare il peso della detta attività in Campania, le circa 2.000 unità di personale delle aziende operanti nell'indotto;
   la Ansaldo Breda presenta una situazione decisamente critica, sotto il profilo finanziario e industriale, in aperto contrasto con l'andamento del mercato mondiale dei veicoli ferrotramviari che risulta, al contrario, in continua espansione (si stima ammonti a circa 20 miliardi di euro), tanto da rendere assolutamente incomprensibile il progetto di progressivo disimpegno del gruppo da questo specifico mercato, in luogo di definire un adeguato piano industriale che valorizzi e rilanci la filiera nazionale del trasporto su ferro;
   la cessione di Ansaldo Breda e Ansaldo STS si traduce, in realtà, nella dichiarata rinuncia a un patrimonio tecnologico e industriale strategico di primaria importanza per l'intero Paese, con nefaste conseguenze in termini di prospettive occupazionali per i lavoratori tutti impiegati in dette società, e con ripercussioni particolarmente gravi per le regioni meridionali, dove sarebbe messa a rischio la stessa sopravvivenza dei pochi comparti industriali tuttora esistenti;
   per la Campania, in particolare, la rinuncia e il mancato rilancio di aziende di sicura eccellenza, talune leader del mercato mondiale, come appunto Ansaldo Breda (unico progettista e costruttore a ciclo integrato di treni ad alta velocità, treni pendolari, tram, metropolitane leggere e pesanti), unita alla sostanziale sinecura del lavoro di produzione e ricerca della Selex ES-Selex Electronic Systems, realizzato anche in stretto rapporto con le Università campane, penalizzano irrimediabilmente territori già strutturalmente deficitari di realtà produttive diversificate e efficienti, esponendo, al tempo stesso, anche per questa via, l'intero Paese alle ingerenze della speculazione finanziaria internazionale;
   il dato più allarmante del nuovo piano industriale è rappresentato, in particolare, dai progetti che riguardano Ansaldo Breda e Ansaldo STS;
   l'ufficializzazione della cessione relativa al settore trasporti avvenuta a favore del colosso giapponese Hitachi lascia forti preoccupazioni circa il futuro del settore e da sole le rassicurazioni date dalla Società Hitachi circa il mantenimento degli attuali livelli occupazionali non valgono certo a tranquillizzare circa gli assetti e i programmi industriali futuri, in particolare sotto il profilo occupazionale;
   tale vendita si traduce nella dichiarata rinuncia di Finmeccanica a un patrimonio tecnologico e industriale strategico di primaria importanza per l'intero Paese, con conseguenze negative in termini di prospettive occupazionali per i lavoratori impiegati e con gravi ripercussioni per il Sud, dove sarebbe messa a rischio la stessa sopravvivenza dei pochi comparti industriali tuttora esistenti;
   risulta incomprensibile il progetto di disimpegno del gruppo da questo specifico mercato, in luogo di definire un adeguato piano industriale destinato a valorizzare e rilanciare la filiera nazionale del trasporto su ferro;
   la dismissione di asset come Ansaldo Breda e Ansaldo STS si traduce, per la Campania in particolare ma per l'intero Paese, nella rinuncia al rilancio di aziende di sicura eccellenza, talune leader del mercato mondiale, come appunto Ansaldo Breda (unico progettista e costruttore a ciclo integrato di treni ad alta velocità, treni pendolari, tram, metropolitane leggere e pesanti), unita alla sostanziale sinecura;
   in questo quadro, si inserisce anche la chiusura e il trasferimento a Roma del centro di ricerca napoletano di Telespazio, azienda di servizi satellitari, e non si considera il trasferimento al CIRA presso la sede di via Gianturco;
   la chiusura rappresenta un ennesimo durissimo colpo per il tessuto industriale e produttivo della Campania, perché oltre alla dispersione di know how, si perde un'eredità importante. Telespazio, infatti, nel 2009 ha incorporato per fusione un centro di eccellenza, il MARS (Microgravity Advanced Research and Support Center) primo centro di ricerca italiano nel campo della fisica dei fluidi e negli esperimenti in microgravità;
   va considerato il ruolo centrale che il Governo ha espressamente assegnato alla soluzione degli squilibri economico-sociali tuttora esistenti tra il Sud e il resto del Paese, nel quadro della ripresa economica nazionale, del superamento del forte tasso di disoccupazione, della crescita delle produzioni e degli scambi nazionali e internazionali –:
   quali siano le valutazioni in merito a quanto esposto in premesse, atteso che le questioni sollevate coinvolgono importanti imprese industriali del Paese;
   se e quali azioni concrete il Governo, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, nell'ambito delle proprie competenze, intenda porre in essere affinché il piano industriale presentato dal nuovo management del gruppo vada nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti esistenti, costituenti risorsa strategica irrinunciabile per il Mezzogiorno e per l'intero Paese, se del caso attraverso precisi orientamenti di politica industriale e finanziaria, anche in ordine alla inopportunità di cessione degli asset civili di Finmeccanica;
   quali iniziative intenda adottare al fine di tutelare e incentivare la competitività economico-industriale delle società del gruppo allocate in Campania.
(2-00857)
«Valeria Valente, Cinzia Maria Fontana, Roberta Agostini, Amendola, Bonavitacola, Bossa, Carloni, Chaouki, Coccia, Di Lello, Epifani, Fassina, Famiglietti, Impegno, Tino Iannuzzi, Manfredi, Palma, Paris, Giorgio Piccolo, Salvatore Piccolo, Rostan, Sgambato, Tartaglione, Vaccaro, Valiante».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Cimbro n. 2-00866, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 383 del 27 febbraio 2015.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la legge 26 febbraio 1992, n. 211, e successive modificazioni e integrazioni, ha stanziato risorse per la realizzazione di interventi nel settore dei trasporti rapidi di massa, al fine di migliorare la mobilità e le condizioni ambientali nei centri urbani;
   il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», all'articolo 63, comma 12, per promuovere lo sviluppo economico e rimuovere gli squilibri economico-sociali, ha, in particolare, disposto che, per le finalità di cui all'articolo 9 della legge 26 febbraio 1992, n. 211, l'ammontare delle risorse stanziate dal decreto-legge n. 112 del 2008 per il triennio 2008/2010 per il finanziamento di nuovi interventi sia pari a 141.200.000 euro;
   il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 16 febbraio 2009, n. 99, ha indicato le direttive in merito all'allocazione delle risorse di cui ai commi 12 e 13 dell'articolo 63 del decreto-legge n. 112 del 2008;
   il protocollo d'intesa tra regione Lombardia, provincia di Milano, comune di Milano, comune di Cormano, comune di Paderno Dugnano, comune di Senago, comune di Varedo e comune di Limbiate per la progettazione definitiva da Milano Comasina a Limbiate, sottoscritto in data 26 maggio 2006, ha affidato alla provincia di Milano l'elaborazione del progetto definitivo mediante esperimento di asta pubblica; il protocollo d'intesa del 31 luglio 2007 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Lombardia, la provincia di Milano e il comune di Milano «per la realizzazione della rete metropolitana dell'area milanese» e l'atto integrativo al protocollo d'intesa sopra citato, sottoscritto il 5 novembre 2007 da Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia, provincia di Milano e comune di Milano, considerano prioritario l'intervento di riqualificazione funzionale della tranvia Milano-Limbiate; l'intervento infrastrutturale è inserito in un'area a elevata domanda di mobilità e rientra nel programma di potenziamento del complessivo sistema di trasporto pubblico locale in sede protetta (metropolitane, tranvia o mezzi che viaggiano su corsie dedicate);
   l'area in questione, nell'ambito del potenziamento del sopradetto trasporto pubblico, è stata interessata dal prolungamento della linea metropolitana M3 sino a Comasina, inaugurato nel mese di marzo 2011, che permette un celere, frequente e regolare collegamento dell'asta dei Giovi con i principali poli di destinazione milanesi;
   alcuni comuni, attraversati dalla linea oggetto del presente accordo, sono interessati da ulteriori opere sia di trasporto in sede protetta, sia di carattere viabilistico per le quali diventa necessaria una visione coordinata;
   il costo dell'intervento della riqualificazione della linea Milano-Limbiate, sulla base del progetto definitivo, risulta pari a 167.927.290,41 euro, di cui 30.000.000,00 euro per l'acquisto del materiale rotabile;
   conformemente alle direttive previste dal decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 99 del 2009 sopra richiamato, è stato individuato un primo lotto funzionale, costituito dalla tratta tra Milano Comasina e il deposito di Varedo compreso (escluso il materiale rotabile), per un costo di 98.224.972,01 euro;
   la provincia di Milano il 29 settembre 2009 ha trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il progetto definitivo, con la richiesta di finanziamento per la realizzazione del sopradetto 1o lotto funzionale;
   la regione Lombardia, con delibera della giunta regionale VIII/10274 del 7 ottobre 2009, si è espressa favorevolmente, ai sensi dell'articolo 5 del decreto ministeriale del febbraio 2009;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 1o febbraio 2011 ha comunicato alla provincia di Milano che, con decreto 28 dicembre 2010, n. 4107, è stato assunto l'impegno statale per un importo di 58.934.983,20 euro (il 60 per cento dell'importo di 98.224.972,01 euro) quale cofinanziamento per la riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale Milano Comasina-Varedo deposito;
   il Cipe nella seduta del 6 dicembre 2011, con delibera pubblicata sul supplemento n. 120 della Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 2012, ha confermato il finanziamento statale di 58.934.983,20 euro, corrispondente alla quota del 60 per cento del costo dell'opera prevista dalla legge n. 211 del 1992, relativamente al lotto funzionale Milano Comasina-Varedo deposito;
   la restante quota di cofinanziamento di 39.289.988,80 euro, pari al 40 per cento dell'importo complessivo, pari a 98.224.972 euro, è a carico del territorio;
   l'accordo tra comune di Milano, comune di Cormano, comune di Paderno Dugnano, comune di Senago, comune di Varedo e comune di Limbiate per la realizzazione della metro tranvia Milano Comasina-Limbiate Ospedale è stato siglato in data 3 agosto 2012;
   l'11 marzo 2013 la provincia di Milano, nel confermare l'attualità del progetto definitivo a suo tempo presentato, nel 2009, per la selezione di cui alla legge n. 133 del 2008, ha presentato il programma temporale relativo agli adempimenti di competenza, ha confermato la validità della delibera della giunta provinciale n. 684 del 2009 inerente alla copertura finanziaria dell'opera e ha trasmesso la deliberazione del consiglio provinciale 13 dicembre 2012, n. 104, relativa all'approvazione dello schema di atto interistituzionale tra gli enti interessati al fine, tra l'altro, della ripartizione a livello locale del costo dell'opera, prevedendone la sottoscrizione entro il mese di giugno 2013;
   rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-00136 del 19 luglio 2013, presentata dalla prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, il Sottosegretario di Stato pro tempore Rocco Girlanda, dopo aver ripercorso l'iter burocratico e legislativo dell'opera, aveva assicurato, in merito alla tranvia extraurbana Milano-Limbiate, tratta Comasina-deposito Varedo, che «presso i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è in corso di predisposizione la convenzione tra lo stesso Ministero e la provincia di Milano tesa a definire le modalità per l'erogazione dei contributi statali, previa approvazione del progetto e verifica della sussistenza del cofinanziamento»;
   il 19 dicembre 2013 la provincia di Milano approvava un ordine del giorno richiedente al Governo e alla regione Lombardia di farsi garanti del mantenimento in essere dei finanziamenti statali per l'opera;
   l'articolo 1, comma 88, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2013, n. 302 – supplemento ordinario n. 87), a seguito di un emendamento presentato dalla prima firmataria del presente atto e da altri deputati del Partito Democratico lombardo, prevede che: «Al fine di accelerare gli interventi in aree urbane per la realizzazione di linee tranviarie e metropolitane il CIPE, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, individua, con apposita delibera, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, gli interventi da revocare ai sensi dell'articolo 32, commi da 2 a 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché quelli finanziati dalla legge 26 febbraio 1992, n. 211, sul sistema metropolitano che, alla data di entrata in vigore della presente legge, non siano stati affidati con apposito bando di gara. Le risorse rivenienti dalle revoche di cui al periodo precedente confluiscono in apposita sezione del Fondo istituito ai sensi dell'articolo 32, comma 6, del citato decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, e sono finalizzate dal CIPE con priorità per la metrotranvia di Milano-Limbiate (...)»;
   la legge 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (legge Delrio – pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, 7 aprile 2014, n. 81), con la quale viene istituita la città metropolitana di Milano, abroga, di fatto, la provincia di Milano, la quale non si trova più nella condizione di svolgere il previsto ruolo di soggetto aggiudicatore e di quella connessa in qualità di responsabile per la realizzazione dell'intervento di ammodernamento in metrotranvia della tranvia Milano Comasina-Limbiate Ospedale;
   il 30 giugno 2014, termine previsto all'articolo 7 dell'accordo interistituzionale del 3 agosto 2012, passò senza che venisse bandita la gara d'appalto per l'affidamento dei lavori;
   con la nota della provincia di Milano protocollo n. 154222 del 15 luglio 2014, a firma dell'assessore alle infrastrutture, viabilità e trasporti, dottor Franco De Angelis, veniva comunicato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il mancato perfezionamento dell'accordo interistituzionale a livello locale per la copertura economica della quota parte di stanziamento non coperto da fondi statali, con riferimento particolare alla provincia di Monza e Brianza e al comune di Varedo; rimettendo pertanto al detto Ministero ogni valutazione e provvedimento del caso sull'opera. Il successivo 22 luglio 2014, i competenti uffici ministeriali, prendendo di ciò atto, comunicavano quindi la sospensione dell'istruttoria sul progetto;
   rispondendo a una seconda interpellanza urgente sul caso (n. 2-00696), presentata il 24 ottobre 2014 sempre dalla prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, il Sottosegretario di Stato Umberto Del Basso De Caro vincolava la conferma del finanziamento per l'opera al completamento dell’iter procedimentale;
   l'assessorato alle infrastrutture e mobilità di regione Lombardia ha recentemente manifestato la propria disponibilità nel farsi carico della quota spettante al comune di Varedo;
   con lettera del 5 febbraio 2015, la provincia di Monza e Brianza ha comunicato l'acquisizione, a seguito di alienazioni immobiliari, delle risorse necessarie all'assunzione degli impegni finanziari di competenza;
   nella seduta del Comitato interministeriale per la programmazione economica del 20 febbraio 2015, si sono individuati «gli interventi della ex provincia di Milano (ora città metropolitana) [...] da revocare ai sensi dell'articolo 1, comma 88, della legge n. 147 del 2013; con quota parte delle risorse liberate il Comitato ha altresì assegnato un importo di circa 58,9 milioni di euro, alla “Riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale. Milano Comasina-deposito Varedo”, in quanto intervento prioritario ai sensi dello stesso articolo 1, comma 88, della legge n. 147 del 2013» –:
   se sia quindi confermato l'impegno da parte del Governo nell'assicurare la realizzazione dell'opera, rilevato che si sono ristabilite le condizioni per addivenire ad un accordo interistituzionale definitivo e completo della destinazione delle quote parte essendo necessaria, secondo gli interpellanti, una scelta ragionevole e ponderata a favore di queste infrastrutture;
   se si intenda organizzare un incontro con gli enti interessati per approdare quanto prima alla definizione dell'iter procedurale per garantire la partenza dei lavori;
   se, nel caso in cui il Governo non intenda procedere alla realizzazione della tranvia, le risorse economiche, di cui al decreto 28 dicembre 2010, n. 4107, siano state distratte dall'opera in modo definitivo, o solo temporaneamente;
   quali debbano essere, nel caso di distrazione solo temporanea, le prossime fasi dell'iter progettuale da portare a compimento, ed entro quale data.
(2-00866)
«Cimbro, Casati, Preziosi, Cassano, Laforgia, Colaninno, Coppola, Crimì, Rampi, Melilla, Piras, Daniele Farina, Sannicandro, Censore, Zan, Piazzoni, Scuvera, Sbrollini, Manfredi, Manzi, Morani, Patriarca, Monaco, Quaranta, Ricciatti, Gianni Farina, Stumpo, Marazziti, Rabino, Pollastrini, Marantelli, Cuperlo».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Moretti n. 3-00643 del 20 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta orale Rabino n. 3-01051 del 25 settembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Fedriga n. 4-08116 del 25 febbraio 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Sorial n. 4-02162 del 15 ottobre 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-01321;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-05058 del 9 giugno 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01320;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-08098 del 24 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04876.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi e altri n. 5-04375 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 357 del 5 gennaio 2015. Alla pagina 20143, seconda colonna, alla riga diciottesima, deve leggersi: «il 10 dicembre 2014, la stessa testata» e non come stampato.

  Mozione Zaratti e altri n. 1-00708 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 363 del 15 gennaio 2015. Alla pagina 20502, prima colonna, dalla riga trentesima alla riga trentunesima, deve leggersi: «della regione Lazio (per quanto riguarda il limite del contenuto di zolfo dello 0,3 per cento)» e non come stampato.