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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 27 febbraio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    si esprime profonda preoccupazione per il continuo aggravarsi della crisi che avvolge tutta la regione mediorientale e nordafricana, che nell'ultimo anno ha segnato un significativo arretramento delle prospettive di un'intesa capace di mettere fine alle storiche ostilità israelo-palestinesi;
    quello scoppiato a luglio 2014 è solo l'ultimo conflitto in 27 anni tra Israele e Hamas, organizzazione politica e paramilitare palestinese creata nel 1987;
    tale ennesima guerra, nella tradizione di ogni evento bellico, ha finito per rafforzare le ragioni delle parti più estremiste dei due contendenti, allontanando automaticamente la possibilità di una pace duratura, vera premessa per il riconoscimento dello Stato palestinese;
    le elezioni anticipate indette in Israele per il 17 marzo 2015 hanno di fatto nuovamente congelato la prospettiva di nuove iniziative negoziali e determinato ulteriori tensioni;
    la recente decisione svedese di riconoscere uno Stato palestinese e l'adozione nei parlamenti britannico, irlandese, spagnolo, francese, portoghese ed europeo di mozioni non vincolanti che impegnano in tal senso, rappresentano una novità che ha rilanciato il dibattito parlamentare anche in Italia;
    la situazione geopolitica mediorientale appare estremamente delicata e occorre spazzare il campo da tentativi di strumentalizzazione tesi a far prevalere un obiettivo di parte sul conseguimento della pace e della stabilità nella regione, interesse condiviso dalla maggioranza della comunità internazionale e certamente dall'Europa mediterranea;
    il Governo palestinese in carica, che ha assunto le proprie funzioni il 2 giugno 2014, è il frutto della riconciliazione tra Fatah e Hamas, ma sulla tenuta dell'accordo e sui suoi esiti pesano il conflitto tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza della scorsa estate, conclusosi con la tregua del 26 agosto 2014 e le continue frizioni tra Hamas e Fatah;
    riconoscere unilateralmente uno Stato che si fondi nel Movimento di Resistenza islamica Hamas che, ad oggi, appare nella lista delle organizzazioni terroristiche, significherebbe riconoscere che il Processo di Oslo e il principio del negoziato tra israeliani e palestinesi sulle questioni Gerusalemme, sicurezza, confini e rifugiati – basi per la creazione di un effettivo Stato della Palestina – sono sottratti alla cornice negoziale bilaterale, per divenire oggetto di «pronunciamenti» da parte di attori esterni;
    così come ignorare tali risoluzioni può significare la vanificazione di iniziative politiche utili a indurre le parti a riaprire il negoziato e a rendere concreta la possibilità di riconoscere non solo due popoli, ma anche due stati nazionali distinti, chiedendo l'immediata sospensione della requisizione di nuove terre e della costruzione di nuovi insediamenti coloniali;
    si ritiene pertanto necessario che la causa del processo di pace avanzi concretamente e non si accontenti di meri proclami attraverso la ripresa urgente del dialogo tra le parti coinvolte, senza il quale è impensabile costruire una struttura statuale anche per la Palestina;
    prima di qualunque obiettivo politico occorre garantire la sicurezza a entrambe le comunità, specialmente alle persone indifese, bambini, donne e anziani su tutti, unitamente al rispetto di una convivenza civile pacifica, di un'integrazione solidale ed economicamente vantaggiosa per i due popoli e il diritto dei cittadini a una stabilità regionale che consenta di programmare il futuro delle nuove generazioni,

impegna il Governo

a sostenere la causa del dialogo diretto tra le parti coinvolte, anche promuovendo un più deciso intervento dell'Onu e dell'Unione europea, per giungere in tempi rapidi all'obiettivo del riconoscimento dello Stato palestinese nella condizione di reciprocità con Israele, quindi in accordo bilaterale, al fine di garantire la concreta realizzazione della pace, della sicurezza, della cooperazione e della prosperità sociale ed economica.
(1-00747) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il distretto di Civita Castellana è una delle più rilevanti realtà italiane nel settore della ceramica sia di uso domestico e ornamentale che igienico-sanitario. Acquisita la forma industriale negli anni Cinquanta, è stato ufficialmente riconosciuto dalla Regione con delibera di giunta n. 135 del 2002;
    si configura come «monosettorialità produttiva» per l'elevata concentrazione di aziende nonché per la quantità e la qualità dei prodotti. Comprende otto comuni, di cui sette della provincia di Viterbo: Castel Sant'Elia, Civita Castellana, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Nepi e uno della provincia di Roma, Sant'Oreste;
    il Distretto produce circa il 52 per cento della produzione di ceramica sanitaria Nazionale e rappresenta circa il 2,5 per cento del mercato mondiale;
    per lungo tempo l'attività del distretto di Civita Castellana si è concentrata sulla produzione di stoviglierie e sanitari;
    a partire dalla seconda metà degli anni Novanta il settore delle stoviglierie è entrato in crisi a causa della competizione dei Paesi emergenti, in particolar modo della Cina;
    nel giro di alcuni anni il settore è sostanzialmente scomparso con la chiusura di numerose aziende e con la perdita di circa 1.500 unità di lavoro, costituite prevalentemente da manodopera femminile;
    a partire dal 2008 è entrato in sofferenza anche il settore degli articoli sanitari e di arredo bagno fondamentalmente per la contrazione del mercato a causa della crisi del settore immobiliare e del comparto edilizio a livello nazionale e internazionale;
    basti pensare che la riduzione dell’export ha registrato un calo medio dell'8 per cento e nel 2009 addirittura del 30 per cento;
    durante questo ulteriore periodo hanno cessato la loro attività circa 30 aziende e i livelli occupazionale si sono dimezzati passando dai 5.000 addetti del 2008 a 2.500 unità;
    in questi ultimi 2 anni hanno chiuso più di 10 imprese e perso il lavoro oltre 1.000 persone. Il tasso di disoccupazione femminile supera di quasi 10 punti percentuali quello maschile;
    secondo i dati della Filctem-Cgil aggiornati al dicembre 2014, sono stati licenziati o pensionati 2.022 lavoratori, dichiarati 243 esuberi, 266 lavoratori sono sottoposti a cassa integrazione guadagni ordinaria, 30 a cassa integrazione guadagni straordinaria, 45 a cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, 416 a mobilità in deroga, 257 a contratto di solidarietà. Su 74 aziende e sono state chiuse 30 e altre rischiano di chiudere nei primi mesi del 2015;
    le cause di questa condizione di peggioramento in termini di fatturato e di occupazione sono, tra le altre, la saturazione di mercato (specie dei due principali Paesi di destinazione dell’export del distretto/industriale: Spagna e Stati Uniti) la pressione fiscale elevata, gli alti costi di produzione e di acquisto delle materie prime e dell'energia e la mancanza di rete tra le imprese;
    i dati emersi dagli studi di economia e finanza realizzati e pubblicati negli ultimi mesi del 2014 e i primi del 2015 confermano che i distretti costituiscono un punto di forza dell'industria italiana. Si tratta in realtà di una delle leve principali del nostro Paese per riprendere una via di crescita, sviluppo e nuova occupazione. Sono stati premiati per la loro capacità di esportare, di effettuare investimenti diretti esteri, di registrare brevetti e marchi e per l'attività innovativa e di branding, intensificata ulteriormente negli ultimi anni;
    i principali fattori che differenziano le strategie delle imprese distrettuali rispetto alle altre imprese riguardano il piano dell'internazionalizzazione commerciale e produttiva, l'innovazione, la certificazione di qualità ambientale e dei marchi registrati a livello internazionale;
    si rende quindi necessaria l'attuazione di strategie differenti da parte delle imprese distrettuali, al fine di affrontare le sfide del cambiamento tecnologico e del mutato contesto competitivo. Il processo di selezione ha purtroppo penalizzato le imprese di piccola dimensione che non sono state in grado di elaborare un mix di strategie atte a garantire la sopravvivenza durante l'acuirsi della crisi;
    nel corso di questi anni le istituzioni locali, regionali e nazionali, d'intesa con le forze sociali hanno realizzato alcuni tentativi per dare una risposta alla gravità della situazione economica e alle difficoltà delle aziende del distretto;
    già nel 2007 è stato siglato un protocollo d'intesa fra regione Lazio, gli otto comuni del distretto, il Ministero dello sviluppo economico e la provincia, finalizzato a riqualificare la produzione distrettuale e nel contempo a riconvertire l'area con nuove iniziative industriali. Molte delle azioni individuate dal protocollo del 2007 non risultano essere mai state attuate a causa della conclusione anticipata della legislatura nazionale;
    più di recente regione Lazio si è impegnata ad attivare ogni utile strumento per favorire la partecipazione del Distretto alle opportunità di finanziamento con l'ausilio dei POR 2014/2020 dei Fondi Europei F.S.E. e FESR, e a promuovere azioni formative inerenti le professionalità ad esso legate;
    il piano prevede l'attuazione di azioni integrate volte a rafforzare l'internazionalizzazione dei comparti produttivi, la possibilità di promuovere progetti interregionali, nonché la partecipazione delle imprese a Fiere internazionali;
    nell'ambito della valorizzazione del Made in Italy una buona parte delle aziende del distretto, insieme all'università della Tuscia, hanno avviato le procedure di riconoscimento di qualità per i prodotti attraverso la definizione di un marchio identificativo del Distretto industriale di Civita Castellana. E in questi mesi è in corso l’iter di approvazione da parte della camera di commercio di Viterbo;
    il marchio, oltre a rappresentare un valore aggiunto per l'immagine del distretto, può sintetizzare tradizione, qualità, creatività e innovazione;
    le funzioni del marchio non sono solo di «garanzia» ma anche «evocative», capaci cioè di richiamare uno status symbol del prodotto e dello stile;
    le imprese hanno la possibilità, di formulare strategie di marketing proprio attraverso il marchio che permette al consumatore di identificare l'impresa e di ricollegare al prodotto determinate caratteristiche qualitative. Inoltre, il marchio rappresenta un forte incentivo nel mantenimento di elevati standard qualitativi dei prodotti offerti, stimolandole a investire nel continuo miglioramento dei prodotti/servizi;
    un'ulteriore contributo al settore ceramico è arrivato, in questi mesi, dalle misure di incentivazione per le ristrutturazioni edilizie e sostituzione di elementi di arredamento. Ciò che servirebbe è la definizione di incentivi all'installazione di apparecchi sanitari a elevata efficienza idrica. Dato che il 30 per cento di consumo di acqua è relativo all'uso di apparecchi sanitari e condizionato esclusivamente dalle caratteristiche fisiche degli stessi, sono stati proposti incentivi fiscali del 65 per cento per chi sostituisce i vecchi sanitari con quelli a elevato risparmio idrico, brevettati dalle aziende che rientrano nel distretto ceramico di Civita Castellana;
    la crisi del distretto risulta aggravata anche da specifici mancati interventi tecnici, da carenze infrastrutturali e dall'impianto di depurazione fermo nella zona industriale di Civita Castellana;
    accanto ai citati problemi legati alla fisionomia del distretto, più in generale, esiste la difficoltà delle piccole e medie imprese di dotarsi di un'efficiente e strutturata rete commerciale;
    in questo senso occorre un'iniziativa pubblica capace di sostenere un reale processo di internazionalizzazione del sistema imprenditoriale italiano, attivando innanzitutto i canali già esistenti e rendendoli efficaci per mettere in collegamento l'offerta delle imprese italiane e i mercati esteri, anche attraverso l'innovazione delle politiche di marketing e il potenziamento del web, quale strumento per la diffusione internazionale della produzione locale;
    è importante richiamare, inoltre, che nel territorio viterbese della Media Valle del Tevere, dove ricade gran parte della produzione ceramica del distretto industriale, nel 2013 è nato il biodistretto della via Amerina e delle Forre, un'area omogenea e integrata nelle sue diverse componenti naturali, economiche e culturali, e, insieme, un'organizzazione sociale costituita dai comuni di Civita Castellana, Corchiano, Gallese, Faleria, Calcata, Castel Sant'Elia, Nepi, Fabrica di Roma, Orte e Vasanello, dagli agricoltori biologici e dai portatori di interessi collettivi, il cui obiettivo è quello di diffondere, attraverso buone pratiche rurali, ambientali e sociali, un modello di sviluppo territoriale sostenibile, partecipato e condiviso. Frutto di un'intesa tra pubblico e privato, la nuova esperienza di governance territoriale del biodistretto, parte integrante della rete nazionale dei biodistretti Aiab e della rete internazionale delle eco-regioni e dei biodistretti (International Network of Eco Regions), intende promuovere, oltre al metodo biologico di produzione e consumo, criteri di sostenibilità e innovazione organizzativa e tecnologica nell'intero settore delle attività produttive;
    il 7 febbraio 2014, il Ministero dello sviluppo economico – in risposta all'interrogazione 4-03005 presentata da Mazzoli Alessandro il 19 dicembre 2013 – ha assicurato la propria volontà di intervenire per la riorganizzazione dell'industria della ceramica viterbese e di individuare gli obiettivi e le risorse necessarie per arrestare la tendenza negativa in cui versano le imprese del settore,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative per ridurre i costi di acquisto dell'energia anche mediante interventi di efficienza energetica per le imprese;
   ad assumere iniziative per provvedere a una dotazione adeguata di risorse per finanziare il sistema degli ammortizzatori sociali;
   ad intraprendere un percorso di riduzione della pressione fiscale sulle piccole e medie imprese;
   a promuovere eventuali strategie di riconversione produttiva, quali fusioni, anche con imprese fuori del distretto, soprattutto per accogliere nuove attività nel campo della green economy, della decostruzione e dell'economia circolare, che consentano ulteriori traguardi di innovazione per il settore delle ceramiche che deve restare il tratto identitario della produzione del distretto, senza escludere la possibilità di investimenti in altri settori produttivi, come quello della trasformazione agroalimentare, valore aggiunto per l'intero territorio;
   a sostenere il marchio di qualità delle produzioni ceramiche del distretto di Civita Castellana, formulando strategie di marketing che mirino alla valorizzazione dell'immagine delle aziende e del territorio;
   ad incentivare e facilitare l'accesso ai fondi [nazionali] ed europei;
   ad adottare iniziative al fine di sostenere le attività delle piccole e medie imprese all'estero;
   a promuovere l'installazione di sanitari efficienti a ridotto consumo di acqua assicurando l'incentivo del 65 per cento;
   a sostenere le attività di ricerca, sviluppo ed innovazione tecnologica d'interesse del settore mediante la collaborazione con le università e con enti di ricerca, anche per produrre ceramica di altissima qualità e low carbon, a basso contenuto di carbonio, al fine di mitigare gli effetti del cambiamento climatico;
   ad assumere iniziative per erogare servizi ad alto contenuto innovativo di formazione e di informazione;
   ad assumere iniziative per la definizione di un accordo di programma capace di fissare precisi impegni dei diversi livelli istituzionali come dell'insieme delle aziende del distretto.
(1-00748) «Mazzoli, Terrosi, Bonaccorsi, Martella, Ginefra, Miccoli, Folino, Ferro, Giuliani, Bargero».

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    come pubblicamente comunicato dal Governo, nel corso dell'incontro, promosso dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan e dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, con la partecipazione dei vertici di Ferrovie dello Stato italiane e degli staff dei Ministeri e uffici competenti, tenutosi il 19 novembre 2014, si sono predisposte le misure necessarie alla parziale privatizzazione del gruppo;
    alla luce delle dichiarazioni pubbliche degli attori coinvolti e delle notizie di stampa, il Governo pare intenzionato a procedere alla parziale privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato italiane tramite vendita di quote azionarie dello stesso, in misura del 40 per cento;
    non sembra tuttavia che, prima di tale operazione, il Governo intenda procedere allo scorporo integrale della rete ferroviaria;
    in particolare, si è ipotizzato il solo scorporo della rete convenzionale, ma non di quella ad alta velocità, la quale sarebbe così coinvolta nel processo di privatizzazione;
    la rete infrastrutturale ferroviaria, sia convenzionale sia alta velocità, è un monopolio naturale; la sua gestione porta inoltre con sé un rilevante patrimonio di informazioni di rilevante interesse pubblico e privato, anche in un'ottica di ottimizzazione e razionalizzazione del trasporto;
    in presenza di un monopolio naturale, stante l'impossibilità di sviluppare un mercato concorrenziale, risulta opportuno, anche secondo le teorie economiche classiche, che lo stesso sia gestito dal pubblico, così prevenendo l'affermarsi di un più dannoso monopolio privato;
    nel caso dei servizi a rete, ove quest'ultima abbia i caratteri del monopolio naturale, un controllo pubblico, terzo e imparziale della stessa rappresenta addirittura la precondizione, affinché possa svilupparsi una sana concorrenza tra gli operatori economici che, attraverso tale rete, forniscono i propri servizi;
    la privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato, senza preventivo scorporo della rete, darebbe vita a giudizio dei firmatari del presente atto a un monolitico blocco pubblico-privato, tale da ostacolare la concorrenza e ingessare il mercato italiano per decenni, in contraddizione con qualsiasi teoria economica moderna e con i princìpi fondamentali dell'integrazione economica europea;
    una simile ipotesi avrebbe evidentemente conseguenze molto negative in termini di efficienza del servizio di trasporto ferroviario e di costi a carico degli utenti;
    una impostazione del processo di privatizzazione che tenga conto dell'esigenza di creare le condizioni per un miglioramento della qualità dei servizi dovrebbe pertanto mantenere la rete sotto il controllo di un soggetto terzo di natura pubblica;
    tale impostazione dovrebbe altresì considerare prioritaria la privatizzazione dei servizi di trasporto ferroviario di merci, al fine di assicurare la piena apertura e concorrenzialità di tale mercato,

impegna il Governo:

   a valutare forme di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato tali da mantenere la rete infrastrutturale sotto un pieno, terzo e imparziale controllo pubblico;
   a elaborare uno schema di privatizzazione che, anziché coinvolgere l'intero gruppo, preveda un progressivo unbundling;
   a prevedere, prioritariamente, la privatizzazione dei servizi di cargo ferroviario.
(7-00610) «Catalano, Oliaro, Bruno, Tacconi, Cristian Iannuzzi, Plangger, Schullian, Labriola, Prodani, Baldassarre, Mucci, Bechis, Rostellato, Barbanti, Segoni, Zaccagnini, Quaranta, Vecchio, Furnari, Pastorelli, Artini, Ottobre, Alfreider, Locatelli».


   La X Commissione,
   premesso che:
    negli scorsi giorni si è concretizzata la cessione di Ansaldo Sts e Ansaldo Breda da parte di Finmeccanica alla Hitachi, gruppo giapponese;
    si tratta di un'operazione da circa 800 milioni di euro che ha avuto il benestare del Governo italiano, che ha scelto di abbandonare la partecipazione statale;
    con tale scelta il nostro Paese si è privato di un settore importante come quello dei trasporti e del segnalamento ferroviario;
    oggetto della vendita di Ansaldo Breda sono stati gli stabilimenti di Napoli, Pistoia, Reggio Calabria, mentre per Ansaldo STS le sedi di Genova, Napoli, Piossasco e Tito;
    l'Hitachi, tra l'altro, ha garantito il mantenimento dei livelli occupazionali solo per i primi tre anni, ma ancora non ha reso noto un serio piano industriale;
    in attesa di conoscere i dettagli del piano industriale da parte dell'acquirente Hitachi, qualsiasi ipotesi futura di chiusura, ridimensionamento o addirittura di delocalizzazione all'estero anche di una sola delle sedi citate rappresenterebbe un grave danno all'occupazione e alla tenuta sociale dei territori interessati;
    in particolare, le due aziende rappresentano l'ultimo avamposto industriale nel territorio napoletano, ed in una fase di desertificazione industriale del Mezzogiorno, con tassi di disoccupazione (specie giovanile e femminile) a livelli altissimi, questa cessione può rappresentare il colpo di grazia per la Campania;
    Finmeccanica, e dunque il Governo in quanto azionista di maggioranza, aveva tutte le possibilità di rilanciare Ansaldo Breda ed Ansaldo Sts puntando su innovazione e sviluppo,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per garantire il mantenimento in Italia di tutti i siti industriali e degli attuali livelli occupazionali;
   ad assumere iniziative per assicurare che chi acquista nel nostro Paese si impegni a garantire investimenti e lavoro in Italia, ed a maggior ragione in aree gravemente colpite dalla crisi come il Mezzogiorno;
   a verificare che il gruppo Hitachi abbia pronto un serio piano industriale in grado di garantire i livelli occupazionali e la continuità reddituale dei lavoratori di Ansaldo Sts e Ansaldo Breda.
(7-00609) «Ferrara, Scotto, Ricciatti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'ingegner Raniero Fabrizi, dirigente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è stato nominato capo dell'ufficio speciale per la ricostruzione dell'Aquila;
   ha lavorato per anni con persone finite sotto inchiesta giudiziaria per il sistema costruito intorno ai grandi eventi della protezione civile;
   è stato ed è ancora componente del Consiglio superiore dei lavori pubblici per anni presieduto da Angelo Balducci, figura centrale del sistema smantellato dalle note inchieste della magistratura;
   non è stato indagato, ma la sua nomina suscita seri interrogativi, su cui oggi il Corriere della Sera riflette con un articolo circostanziato e ricco di particolari, visto che avrà un ruolo centrale nella gestione dei fondi ingenti che lo Stato ha destinato alla ricostruzione dell'Aquila e dei 56 comuni del cratere sismico: 2,2 miliardi di euro nei prossimi 3 anni;
   le inchieste varie che hanno già riguardato le fasi dell'emergenza e della ricostruzione dell'Aquila hanno spinto il gruppo parlamentare di SEL a chiedere la istituzione di una commissione di inchiesta monocamerale sulla gestione dei fondi pubblici destinati alla ricostruzione, che, alla luce di questa nomina, assume una importanza significativa –:
   con quali criteri si sia decisa questa nomina e se non ritenga utile una valutazione ulteriore al fine di fugare dubbi e perplessità sulla opportunità della nomina medesima. (3-01318)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CENSORE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sindaci e amministratori comunali per attività poste in essere nell'esercizio delle proprie funzioni, sono stati soggetti a vari procedimenti giudiziari, a seguito di denunce, sulla realizzazione di opere pubbliche di grande importanza per le loro comunità;
   secondo principi di ragionevolezza ed equità, i soggetti che agiscono nell'interesse pubblico devono essere tutelati, qualora siano coinvolti, in maniera ingiusta, in procedimenti penali, per fatti connessi all'espletamento del proprio mandato;
   il quadro normativo di riferimento che riguarda le spese legali sostenute dagli amministratori locali, che sono stati eventualmente coinvolti in procedimenti giurisdizionali a loro carico anche se con esito assolutorio, non contempla disposizioni che obblighino espressamente il comune al pagamento delle spese processuali sostenute dai medesimi, disposizioni al contrario esistenti solo per i dipendenti comunali (si veda l'articolo 28 CCNL Comparto Regioni Autonomie locali 14 settembre 2000, trasposizione norma originariamente prevista dall'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica n. 268/1987);
   vi sono, tuttavia, orientamenti giurisprudenziali contrastanti in alcuni casi consentono l'estensione dell'articolo 28 del citato CCNL anche all'operato degli amministratori e non solo ai dipendenti pubblici (Consiglio di Stato – Sez. VI – sentenza n. 5367/2004), in altro emergono pronunce che si discostano dal suddetto indirizzo ritenendo applicabile per analogia quanto previsto dall'articolo 1720 del codice civile, ovvero del rapporto fondamentale esistente tra mandante e mandatario e l'obbligo del primo di risarcire le spese e i danni subiti dal secondo per l'espletamento dell'incarico ricevuto (Consiglio di Stato – Sez. V – sentenza n. 2242/2000 e Consiglio di Stato — Sez. III — parere n. 792/2004, in cui sindaco e assessori sono stati assimilati al mandatario in mancanza di una disposizione specifica che regoli i rapporti patrimoniali con l'ente rappresentato);
   secondo la Corte dei conti, sezione giurisprudenziale della Basilicata (sentenza n. 165/2012), non è possibile rimborsare agli amministratori locali le spese sostenute per giudizi instaurati per attività poste in essere nell'esercizio delle proprie funzioni, mentre per la sezione giurisdizionale regionale della Puglia (sentenza n. 787/2012) le spese legali per un procedimento penale subito ingiustamente, a causa delle funzioni per legge esercitate, devono essere necessariamente indennizzabili;
   dello stesso avviso è la sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia (deliberazione n. 86/2012/Par) che ritiene che chi agisce in forza di un mandato elettorale debba essere tenuto indenne dalle conseguenze economiche subite per la corretta e legittima esecuzione dell'incarico ricevuto;
   l'articolo 3 del decreto-legge n. 543 del 1996, convertito dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, comma 2-bis, ammette il rimborso delle spese legali in favore di coloro i quali, sottoposti al giudizio della Corte dei conti, fossero prosciolti;
   la sentenza n. 478/06 della Cassazione civile, sez. unite, si è pronunciata in maniera netta in favore della tesi della consistenza di un diritto perfetto del beneficio al rimborso, introducendo, per quanto riguarda gli amministratori pubblici, il concetto di «funzionari onorari del Comune», ossia persone fisiche che prestano la propria opera per conto dell'ente pubblico non a titolo di lavoro subordinato, stabilendo che «in mancanza di specifica disposizione che regoli i rapporti patrimoniali con l'ente rappresentato, la pretesa di rimborso delle spese processuali, ammesso che esista una lacuna normativa, non può che assumere la consistenza del diritto soggettivo perfetto, da esercitare davanti al giudice ordinario, in base ad una disposizione di legge, l'articolo 1720 codice civile, da applicare in via analogica ai sensi dell'articolo 12, comma 2, disposizioni preliminari al codice civile» secondo parte della giurisprudenza il rimborso delle spese spetta in forza dei principi generali del diritto civile dettati dall'articolo 1720, comma II, codice civile (in tal senso: Corte di Cassazione, sent. n. 10052/2010, n. 25690/2011; Consiglio di Stato n. 2242/2000);
   secondo altro orientamento (ex plurimis, Corte dei conti, Sez. Giur. Puglia, sent. 14 giugno 2012, n. 787; Sez. II Appello, n. 522/2010; Sez. Giur. Lombardia, 19 ottobre 2005, n. 641, Sez. giur. Liguria, 636/2008, nonché, Cons. Stato, sez. V. 14 aprile 2000, n. 2242; 17 luglio 2001, n. 3946; n. 949/2001; Cass. civ., Sez. I, 16 aprile 2008, n. 10052) si poteva ricorrere alla normativa dettata per i dipendenti degli enti pubblici dall'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica n. 268 del 1987, che recita «1. L'Ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura del procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio o all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. 2: In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o con colpa grave l'Ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni grado di giudizio»;
   dello stesso orientamento era anche il Ministero dell'interno (nota 12 luglio 2002 prot. 15900/10/B/l/A) per il quale sarebbe «praticabile la rifusione delle spese legali sostenute dagli amministratori se gli atti o i fatti dedotti in giudizio siano stati posti in essere nell'espletamento del mandato o del servizio ed a condizione che, riconosciuta l'assenza dei dolo o colpa grave, il procedimento si sia concluso con una sentenza di assoluzione con formula piena, passata in giudicato» –:
   quali iniziative anche normative intendano adottare, ciascuno per le proprie competenze, il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato, al fine di tutelare, secondo principi di ragionevolezza ed equità, i soggetti che agiscono nell'interesse pubblico, qualora siano coinvolti, in maniera ingiusta, in procedimenti per fatti connessi all'espletamento del proprio mandato. (4-08180)


   COCCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie apparse sulla stampa nel 2008, Carlo Tavecchio acquistò un appartamento nel centro di Roma per la Lega nazionale dilettanti di cui era presidente: un immobile di 46 vani in piazzale Flaminio, di fronte a Piazza del Popolo;
   tale appartamento fu, secondo fonti di stampa, acquistato per quasi 20 milioni di euro. Tuttavia, appena tre settimane prima, lo stesso stabile era stato acquistato dai venditori (l'immobiliare Vispa07) per poco più della metà: 11 milioni;
   il 20 aprile 2012 Carlo Tavecchio ha firmato il contratto di acquisto di un appartamento di circa 170 metri quadri in via Cassiodoro 14, zona Prati, elegante quartiere residenziale e di uffici nel centro di Roma. Lo ha fatto, anche stavolta, in veste di presidente della Lega nazionale dilettanti: oggi la palazzina ospita la sede della Commissione impianti in erba artificiale;
   il costo dell'operazione è stato di 1 milione e 100 mila euro più Iva: importo coperto con un assegno circolare da 100 mila euro, altri due assegni circolari da 300 mila euro ciascuno e un mutuo da 400 mila euro concesso dal Banco popolare società cooperativa di Verona;
   l'anomalia risiede nel fatto che due settimane prima che Tavecchio concludesse l'operazione, lo stesso appartamento di via Cassiodoro 14 risultava in vendita a una cifra nettamente inferiore;
   sul sito dello studio immobiliare Bonfiglio, il 4 aprile – 16 giorni prima della firma del contratto di vendita – il prezzo era fissato a 970 mila euro; circa 350 mila euro in meno (inclusa l'Iva) di quanto pagato;
   la casa di via Cassiodoro 14 è stata ceduta a Tavecchio dalla Edil Mbg, società in liquidazione dal 2009 (con sede ancora a Prati). Uno dei due soci della Edil Mbg è Paolo Costa, oggi amministratore unico della srl. Costa è stato un dirigente sportivo italiano, vicedirettore generale dell'Istituto per il credito sportivo dai 2002 al 2006;
   l'Istituto è la banca pubblica dello sport italiano, partecipata all'80 per cento dal Ministero dell'economia, al 6 per cento dal Coni e in percentuali inferiori da numerose banche private; ed è necessario per l'accesso al credito delle società che vogliono rifare i campi (anche in erba sintetica) o lo stadio;
   nel 2006, Tavecchio nominò Costa presidente della Commissione per i campi sportivi della Lega nazionale dilettanti;
   tale organo si sarebbe dovuto occupare di reperire risorse europee (e dello stesso Istituto per il credito sportivo) per finanziare il passaggio delle società della Lnd ai campi in sintetico;
   in realtà sembra che la Commissione non si sia riunita praticamente mai, tuttavia Costa e Tavecchio hanno avuto modo di concludere un affare con la compravendita dell'immobile di via Cassiodoro che è diventato l'ufficio della Commissione impianti in erba artificiale –:
   se non ritenga opportuno chiedere un chiarimento circa questi fatti al CONI al fine di capire le ragioni per cui il Presidente della Lega dilettanti sembra aver speso una cifra superiore a quella che avrebbe potuto e dovuto ragionevolmente spendere per l'acquisto di tali immobili e se, in questo senso, non si ravvisino irregolarità o anomalie. (4-08184)


   GNECCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 21 gennaio 2015, a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 dicembre 2014 relativo al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali all'Agenzia per la coesione territoriale, dieci persone fino a quella data componenti del nucleo tecnico di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, hanno ricevuto una lettera della Presidenza del Consiglio di chiusura immediata del rapporto di lavoro per sopravvenuta scadenza dell'incarico. Per essere più precisi, il nucleo è stato svuotato completamente delle sue funzioni, del personale, degli esperti e del capitale di conoscenze accumulato in sedici anni di attività;
   questa è la prima volta che alla scadenza di un incarico per alti livelli di qualificazione richiesti dallo Stato, il rapporto di lavoro del dipendente pubblico a tempo determinato viene interrotto con modalità oggettivamente senza precedenti nei confronti di esperti che hanno prestato servizio allo Stato con merito e in taluni casi sono al servizio dello Stato da oltre dodici anni;
   la chiusura del nucleo e la sua trasformazione in due nuove strutture di consulenza non propriamente assimilabili a vere e proprie strutture indipendenti di valutazione e di verifica «toglie» al Paese anche l'ultima speranza di potersi avvalere, in questo periodo in cui sarebbe altamente desiderabile, di un organismo tecnico qualificato nella selezione degli investimenti pubblici e nel controllo della loro attuazione;
   è certamente singolare che il cambiamento del nucleo di valutazione sia avvenuto attraverso l'azzeramento di tutti i suoi componenti, e che tale misura venga descritta come una misura di «trasparenza». È difficile credere che «spaccare» il nucleo in due e porre le due parti sotto differenti direzioni generali (una sotto la Presidenza del Consiglio l'altra sotto l'Agenzia per la coesione) ne possa migliorare l'efficienza. È ancora più difficile capire perché e con quale motivazione i due nuclei avranno un percorso di selezione del personale differente, con bandi, commissioni e procedure duplicati, e comprendere come mai, in un caso, la nomina dei nuovi componenti avverrà per decreto del Ministro delegato, mentre per l'altro nucleo la nomina sarà appannaggio del direttore generale dell'Agenzia per la coesione –:
   se non ritenga il Presidente del Consiglio, a fronte della «riorganizzazione» drastica, che di fatto azzera il nucleo tecnico di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, lo svuota delle sue funzioni istituzionali, degli esperti e del capitale di conoscenze accumulato in sedici anni di attività, riesaminare la situazione, utilizzando criteri di assoluta trasparenza nella riallocazione del personale, valutandone parimenti la lunga esperienza accumulata nel corso degli anni. (4-08194)


   GAROFALO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 aprile 2013, firmato dal premier uscente Monti, è stata deliberata la liquidazione della società Stretto di Messina, ai sensi dell'articolo 34-decies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;
   il medesimo decreto, a tal fine, ha nominato il dottor Vincenzo Fortunato, commissario liquidatore, entrato in carica il 14 maggio 2013, per lo svolgimento delle operazioni liquidatorie, con l'incarico di definire, entro un anno, ogni adempimento connesso alle procedure previste dalla legge fallimentare;
   tali adempimenti non sembrano attualmente essersi conclusi, né tantomeno si ha conoscenza dello «stato dell'arte» delle operazioni definite dal medesimo commissario liquidatore, connesse ai criteri di liquidazione e alla definitiva fase di estinzione della società;
   la vicenda concernente l'opera infrastrutturale del «Ponte dello Stretto» di Messina, come è noto, è stata per decenni oggetto di profonde e animate controversie e implicazioni, sull'effettiva esigenza della realizzazione, culminate nel novembre 2012 con il recesso del contratto firmato nel 2005, con la società Stretto di Messina  S.p.a., general contractor Eurolink S.p.a, capeggiata da Impregilo, alla quale era stata affidata la progettazione definitiva ed esecutiva del Ponte, nonché la sua realizzazione;
   a giudizio dell'interrogante, a tal fine, risulta necessario rendere noti gli eventuali sviluppi connessi al piano di liquidazione della società, disposti dal suindicato commissario liquidatore, in considerazione delle complessità e dei molteplici aspetti connessi agli ingenti oneri finanziari e dei costi di liquidazione derivanti dallo svolgimento delle operazioni terminali della società –:
   quali orientamenti intenda esprimere il Governo con riferimento a quanto esposto in premessa e nell'ambito delle proprie competenze e quale sia lo stato di avanzamento delle operazioni liquidatorie da parte del commissario liquidatore nominato il 15 aprile 2013 con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sopra indicato. (4-08198)


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 37 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, cosiddetto «Sblocca Italia», al comma 1, ha stabilito che «al fine di aumentare la sicurezza delle forniture di gas al sistema italiano ed europeo del gas naturale [...] gli stoccaggi di gas naturale [...] rivestono carattere di interesse strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale e sono di pubblica utilità», mentre il successivo articolo 38, al comma 1 ha stabilito che «Al fine di [...] garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attività [...] di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili»;
   a dispetto di tali previsioni, le previsioni relative alla sicurezza dei cittadini in relazione alle attività di stoccaggio di gas naturale risultano essere totalmente disattese, in aperta e continua violazione della normativa vigente, per diretta responsabilità dei Ministeri a cui la presente interrogazione è indirizzata;
   si fa riferimento alle previsioni di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, che attua la direttiva europea nota come «Seveso II» (Direttiva 96/82/CE), ovvero la norma europea tesa alla prevenzione e al controllo dei rischi di accadimento di incidenti rilevanti, connessi con determinate sostanze classificate pericolose;
   l'articolo 20 di tale decreto al comma 1 specifica che «Per gli stabilimenti di cui all'articolo 8, al fine di limitare gli effetti dannosi derivanti da incidenti rilevanti, sulla scorta delle informazioni fornite dal gestore ai sensi degli articoli 11 e 12, delle conclusioni dell'istruttoria, ove disponibili, delle linee guida previste dal comma 4, nonché delle eventuali valutazioni formulate dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, il prefetto, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, previa consultazione della popolazione e nell'ambito delle disponibilità finanziarie previste dalla legislazione vigente, predispone il piano di emergenza esterno allo stabilimento e ne coordina l'attuazione [...]»;
   il successivo articolo 21 di tale decreto, al comma 2 specifica che: «Per gli stabilimenti esistenti il Comitato, ricevuto il rapporto di sicurezza, avvia l'istruttoria e, esaminato il rapporto di sicurezza, esprime le valutazioni di propria competenza entro il termine di quattro mesi dall'avvio dell'istruttoria, termine comprensivo dei necessari sopralluoghi ed ispezioni, fatte salve le sospensioni necessarie all'acquisizione di informazioni supplementari, che non possono essere comunque superiori a due mesi [...]»;
   il 21 ottobre 2009 i Ministeri dell'interno, dello sviluppo economico e dell'ambiente hanno emanato una circolare interministeriale, recante «Indirizzi per l'applicazione del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, in materia di controllo dei pericoli di incidenti rilevanti, agli stoccaggi sotterranei di gas naturale in giacimenti o unità geologiche profonde fuoco» con la quale sono stati forniti gli indirizzi per la corretta applicazione del decreto legislativo n. 334 del 1999, esteso anche agli stoccaggi sotterranei di gas naturale, fino a quel momento esclusi dalla Legge Seveso;
   la stampa specializzata (Stoccaggi gas, che fine ha fatto il rischio industriale?, su Altraeconomia, 13 gennaio 2015, articolo a firma di Pietro Dommarco) riporta che «dalla lettura dei verbali dei Comitati tecnici delle regioni Lombardia, Emilia-Romagna ed Abruzzo – ospitanti i principali impianti operativi in Italia, intorno ai quali ruota la capacità nazionale di stoccaggio e l'approvvigionamento strategico europeo – non risulta alcun atto conclusivo di tutte le istruttorie tecniche. In sostanza, a 4 anni abbondanti dall'entrata in vigore della Seveso per gli stoccaggi italiani – quindi ben oltre i termini imposti – i Comitati tecnici regionali non hanno rispettato la legge comunitaria, esponendo l'Italia al rischio di una nuova infrazione, come avvenne nel 2003, proprio per la Seveso»;
   i piani di emergenza esterni previsti dalla legge Seveso risultano non essere stati adottati né attuati per i principali impianti di stoccaggio italiani, ovvero per gli impianti di «“Fiume Treste» in Abruzzo, “Brugherio”, “Settala”, “Sergnano”, “Ripalta” e “Bordolano” in Lombardia (solo per quest'ultimo il piano di emergenza è disponibile parzialmente, per una parte degli impianti), tutti della Stogit (Stoccaggi gas Italia), ovvero il maggiore operatore italiano, e tra i principali in Europa, che arriva a stoccare quasi 12 miliardi di metri cubi di gas all'anno, oltre ai 4,5 miliardi di metri cubi di riserva strategica», mentre per il sito di Cornegliano Laudense l'assenza del piano di emergenza esterno insieme ad altre presunte violazioni della normativa in materia ambientale è stata oggetto di un esposto indirizzato alla competente Procura della Repubblica;
   i Ministri interrogati, nonché il dipartimento per la protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sono responsabili, a diverso titolo, per la mancata adozione dei piani di emergenza esterni, essendo la relativa competenza in capo agli uffici territoriali del Governo – dal momento che, secondo la previsione summenzionata, «il prefetto [...] predispone il piano di emergenza esterno allo stabilimento e ne coordina l'attuazione» – ed essendo i diversi Ministeri e il Dipartimento per la protezione civile direttamente coinvolti nel procedimento per l'applicazione del decreto legislativo n. 344 del 1999; l'inerzia prolungata per oltre quattro anni degli stessi risulta del tutto incomprensibile se si considera che la stessa legge al comma 3 dell'articolo 20 stabilisce che ogni piano di emergenza esterno «deve essere riesaminato, sperimentato e, se necessario, riveduto ed aggiornato nei limiti delle risorse previste dalla legislazione vigente, dal prefetto ad intervalli appropriati e, comunque, non superiori a tre anni»; che l'Italia è già stata oggetto di procedura d'infrazione 2003/2014 per recepimento non conforme della direttiva 96/82/CE; che oggetto della legge è la tutela del bene primario della sicurezza dei cittadini e delle popolazioni dei territori interessati –:
   quale sia lo stato di attuazione delle prescrizioni normative relative all'adozione e all'attuazione dei piani di emergenza esterni relativi al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti, agli stoccaggi sotterranei di gas naturale in giacimenti o unità geologiche profonde, particolare per ciò che concerne i siti «Fiume Treste» nella regione Abruzzo, «Brugherio», «Settala», «Sergnano», «Ripalta», «Bordolano» e «Cornegliano Laudense» nella regione Lombardia;
   quali siano le ragioni della mancata attuazione dei suddetti piani di emergenza esterni;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per l'attuazione delle previsioni relative ai suddetti piani di emergenza esterni. (4-08199)


   DAGA, BUSTO, TERZONI, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 dispone che la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, denominati ATO, delimitati dal piano regionale di cui all'articolo 199 del medesimo decreto, nel rispetto delle linee guida statali di cui all'articolo 195 del citato decreto;
   al fine dell'organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, era, altresì, previsto che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, disciplinassero le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo a tal fine che gli stessi costituissero le autorità d'ambito (AATO); tale autorità d'ambito veniva definita come una struttura dotata di personalità giuridica costituita in Ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente;
   la Legge 244 del 2007 (finanziaria 2008) con il dichiarato intento di coordinare la finanza pubblica secondo criteri di efficienza e per ridurre i centri di spesa ha disposto la soppressione delle Autorità di ambito territoriale ottimale (AATO), come definite dagli articoli 148 e 201 del citato Decreto legislativo 152 del 2006;
   essendo rimasta tale legge sostanzialmente inattuata, il legislatore con l'articolo 2 comma 186-bis della legge finanziaria per il 2010 (Legge 191 del 2009), ha riproposto, entro un anno dall'entrata in vigore della legge, la soppressione delle autorità d'ambito, stabilendo altresì che «decorso detto termine, ogni atto compiuto dalle Autorità d'ambito territoriale è da considerarsi nullo» e che «le Regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità nel rispetto dei principi di sussidiarietà differenziazione e adeguatezza». Il termine per la soppressione degli Aato è stato poi prorogato fino al 31 dicembre 2012;
   la citata legge 191 del 2009 all'articolo 2 comma 186, lettera l) disponeva, altresì, «la soppressione dei Consorzi di funzioni tra gli enti locali a decorrere dal 2011»;
   in tale contesto è poi intervenuto l'articolo 19, comma 1, lett. f) del decreto-legge 95 del 2012, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha collocato «l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi» tra le funzioni fondamentali dei comuni;
   la volontà del legislatore è apparsa, dunque, quella di eliminare tutti gli organismi che duplicassero le funzioni e che avessero creato, secondo il legislatore, maggiori costi e maggiore burocrazia, come le AATO e i consorzi di funzioni tra enti locali al fine di semplificare e ridurre la spesa pubblica;
   tale duplice e contestuale intervento normativo, rispettivamente finalizzato alla soppressione delle AATO e alla espressa volontà di affidare ai comuni e non a un soggetto terzo le funzioni essenziali connesse alla gestione dei rifiuti ha prodotto parecchi dubbi di carattere interpretativo;
   infatti, talune regioni italiane, soppresse le AATO, hanno provveduto ad istituire enti molto simili, a volte identici, alle precedenti autorità, compiendo una scelta che solo formalmente risulta essere in linea con le determinazioni del legislatore, ma che sicuramente non ne persegue i fini che, come più volte affermato dallo stesso legislatore, andavano ricercati nella volontà di semplificazione e riduzione della spesa pubblica;
   a titolo esemplificativo di un elenco particolarmente abbondante di tale casistica, si riporta il caso della regione Toscana che, pur avendo dato atto che «a decorrere dal 1o gennaio 2012 le funzioni già esercitate, secondo la normativa statale e regionale, dall'autorità di ambito territoriale ottimale di cui all'articolo 201 del d.lgs. 152/2006, sono trasferite ai comuni», ha di fatto sostituito la preesistente autorità di ambito territoriale, istituita dalla Legge regione Toscana n. 6 del 2007, con altro ente del tutto analogo al precedente denominato Autorità per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, dotato di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile ed avente personalità giuridica di diritto pubblico; tale Autorità non erogando direttamente il servizio ma essendo chiamata a svolgere unicamente funzioni amministrative, si configura al pari delle precedenti AATO, quali consorzi di funzioni tra Enti locali, configgendo pertanto anche con il richiamato articolo 2 co.-186, lettera 1) legge 191 del 2009;
   ulteriori casi emblematici si possono rinvenire anche nelle regioni Marche, Abruzzo e Puglia che hanno individuato soggetti a svolgere le funzioni di servizio integrato per acque e rifiuti sostanzialmente analoghi alla situazione antecedente alla soppressione delle AATO potenzialmente in grado di provocare sprechi ed inefficienze;
   deve infatti ritenersi accettato il principio per cui, nel settore dei rifiuti, la titolarità delle funzioni è prerogativa propria dei Comuni che devono procedere congiuntamente al suo esercizio;
   pertanto l'unico modulo organizzativo conforme alle scelte legislative ed ai principi costituzionali non può che risultare essere la convenzione obbligatoria tra enti locali ex articolo 30 TUEL;
   i principi qui sopra esposti sono stati ribaditi anche nelle linee guida per gli affidamenti dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (Presidenza del Consiglio dei ministri aprile 2013) –:
   se, considerato che nel dare applicazione all'articolo 2 comma 186-bis della legge 191 del 2009 (Finanziaria 2010) talune regioni hanno approvato leggi regionali che sembrerebbero discostarsi dai principi richiamati nella normativa statale ed europea assunta a fondamento della disposta soppressione delle AATO di cui agli articoli 148 e 201 del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, finalizzata a ridurre sprechi e duplicazioni di enti, non ritenga necessario assumere iniziative normative integrative oppure interpretative, che individuino con esattezza le specifiche caratteristiche dei soggetti che possano essere i destinatari delle funzioni già esercitate dalle autorità d'ambito;
   se intenda assumere iniziative per intervenire sugli articoli 202 e seguenti del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 per confermare che la titolarità, nonché la responsabilità per i servizi legati alla gestione dei rifiuti, a seguito dell'articolo 19, comma 1, lett. f) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, è in capo ai comuni. (4-08201)


   AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 giugno 2014 il comune di Castelfidardo in provincia di Ancona ha stipulato un contratto di appalto in forma pubblica amministrativa (Rep. n. 6254, registrato in Ancona in data 1o luglio 2014 al n. 719/Serie I) con la ditta Corbo Group spa, avente sede in Sessa Aurunca (Caserta), per l'affidamento dei lavori di costruzione della nuova scuola media in via Montessori;
   i lavori sono regolarmente iniziati sotto la direzione dell'ingegner Tiziano Baldassarri di Castelfidardo in data 24 settembre 2014;
   l'ufficio tecnico dello stesso comune in data 30 ottobre 2013, con due distinte istanze inoltrate alla prefettura di Ancona, ha chiesto il rilascio della certificazione antimafia, sia per la ditta Corbo Group spa, sia per la ditta Nuova Manufatti Racco srl, ausiliaria della ditta appaltatrice sulla base di contratto di avvalimento;
   la prefettura di Ancona rispondeva solo per la posizione dell'aggiudicataria, ditta Corbo Group spa, dando il nulla osta alla stipula del contratto; tuttavia, in data 13 novembre 2014, sopravveniva una nota della stessa prefettura (prot. n. 68492, pervenuta via pec in data 17 novembre 2014/prot. n. 16333 del 18 novembre 2014) con cui la stessa segnalava che «l'impresa La Nuova Manufatti Racco s.r.l. con sede a Siderno RC, impresa ausiliaria della citata Corbo Group s.p.a. nel contratto di appalto di cui alla superiore premessa, è destinataria di una “interdittiva antimafia” emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria il 14 novembre 2012»; la notizia veniva riportata anche sulle cronache locali;
   la predetta informativa della prefettura del 13 novembre 2014, ha quindi posto oggettivamente un problema di legittimità della prosecuzione del contratto di appalto per la costruzione della nuova scuola media in via Montessori;
   sulla questione il comune di Castelfidardo ha chiesto un parere legale all'avvocato Fabrizio Colagiacomi, con studio in Macerata, esperto in appalti e nella contrattualistica pubblica, il quale si esprimeva in tal senso: «... tra le varie ipotesi ermeneutiche ammissibili si ritiene preferibile, anche sulla base dei principi dell'azione amministrativa rivolti al perseguimento dell'interesse pubblico, dell'efficacia, efficienza e tempestività, quella secondo la quale il contratto di appalto può continuare con il solo appaltatore il quale si farà carico delle prestazioni dell'ausiliario oppure si avvarrà di altra impresa»;
   sulla base di questi elementi, in data 26 novembre 2014, il responsabile unico del procedimento, Geom Raso, con propria dettagliata nota, chiedeva alla giunta del comune di Castelfidardo un apposito atto di indirizzo, con particolare riferimento alla sussistenza o meno dell'interesse pubblico al mantenimento del contratto di appalto de quo;
   la giunta comunale, con delibera n. 134 del 27 novembre 2014, ha quindi ritenuto «sussistere l'interesse pubblico alla realizzazione della nuova scuola» e deliberato sia «il mantenimento del vigente contratto di appalto stipulato con la ditta Corbo Group Spa» di Sessa Aurunca (Caserta) che il «diniego a proseguire il rapporto di avvalimento con la ditta La Nuova Manufatti Racco srl (di Siderno, provincia di Reggio Calabria) in ragione della citata comunicazione della Prefettura»;
   l'orientamento espresso dalla giunta comunale del comune di Castelfiderno secondo l'interrogante si pone in contrasto con gli orientamenti ermeneutici di una parte della giurisprudenza amministrativa secondo i quali «l'articolo 49 del decreto legislativo n. 163/2006 al comma 5 stabilisce espressamente che gli obblighi previsti dalla normativa antimafia a carico del concorrente si applicano anche nei confronti del soggetto ausiliario, in ragione dell'importo dell'appalto posto a base di gara;
   l'assunta e discutibile posizione di terzietà dell'impresa ausiliaria rispetto alla stazione appaltante non può costituire in nessun caso valido motivo a sostegno della inapplicabilità, nei confronti della medesima, della normativa di rango superiore e di ordine pubblico, posta a presidio della affidabilità morale e professionale degli operatori economici operanti nell'ambito dei rapporti di evidenza pubblica;
   non può sostenersi che la mancanza del possesso di uno dei requisiti generali di cui all'articolo 38 da parte della impresa ausiliaria non riverberi i suoi effetti altresì nei confronti della impresa aggiudicataria, dal momento che il comma 3 dell'articolo 49 citato, nel sanzionare le dichiarazioni rese dall'ausiliaria, sancisce espressamente l'esclusione del “concorrente” nel caso di dichiarazione mendaci;
   a sua volta l'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 252 ... ... riferisce l'esito delle verifiche prefettizie alle imprese cosiddette “interessate” così ampliando la platea dei possibili destinatari delle informative antimafia preclusive della stipula del contratto, anche oltre l'ambito dei soggetti risultati aggiudicatari» (TAR Campania n. 05712/2011, sez. Ottava del 7 dicembre 2011) –:
   se non ritenga di chiarire definitivamente i contenuti della normativa antimafia, nel senso indicato dalla giurisprudenza citata in premessa, al fine di evitare casi come quello verificatosi nel comune di Castelfidardo. (4-08206)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 1o luglio 2014 il sindaco di Rimini Andrea Gnassi ha autorizzato la riapertura del delfinario della città sulla base di una licenza che lo stesso detiene dal 1968 di «spettacolo viaggiante»; è stato così, a giudizio degli interroganti, disatteso il decreto di chiusura della struttura emanato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel giugno 2014 per violazione della normativa sui giardini zoologici e della normativa europea in materia (direttiva 1999/22/CE) e il relativo decreto legislativo di attuazione n. 73 del 2005;
   da diverse fonti stampa si apprende l'intenzione, anche per la stagione estiva alle porte, ripetere una tale autorizzazione per la riapertura del delfinario, che al momento ospita tre leoni marini arrivati in prestito dalla Spagna, e che è a tutti gli effetti una struttura permanente la cui autorizzazione deve essere concessa esclusivamente e direttamente dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in Italia ci sono meno di 20 strutture permanenti che espongono animali al pubblico che posseggono una regolare licenza di giardino zoologico da parte del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e, da una stima provvisoria, ben 100 strutture non hanno tale licenza in violazione della normativa vigente;
   il delfinario di Rimini non ha mai ottenuto una licenza di giardino zoologico ed ha potuto operare con delfini al di fuori del quadro normativo fino al settembre del 2013, quando i delfini a seguito di un procedimento penale, sono stati sequestrati in via preventiva per maltrattamenti su ordine della procura della Repubblica di Rimini, provvedimento poi confermato dalla Corte di Cassazione nel marzo 2014;
   molti Paesi fra cui India, Slovenia, Croazia, hanno bandito circhi acquatici e delfinari dal loro territorio, e molti altri stanno approvando normative atte a proibire l'attendamento di circhi con animali, come Grecia, Danimarca, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca;
   nell'estate 2014 il comune di Rimini non decise di concedere la licenza, ma rilevò l'esistenza del documento stesso e attenendosi alle norme esistenti, visto che le otarie non sono specie protette dal Cites a differenza dei delfini precedentemente ospitati e che l'acquario in base alla legge n. 337 del 1968 è equiparato ai circhi e agli spettacoli viaggianti, precisò che il via libera definitivo era stato concesso dopo il parere positivo dell'Asl e della commissione comunale pubblico spettacolo;
   quest'anno la situazione rischia di ripetersi e il comune rischia di non avere – come dimostrato lo scorso anno – la forza di opporsi ad un tale evidente escamotage; per questo è stata lanciata poche settimane fa una iniziativa online lalorocasaèilmare, contro tutti i delfinari e le strutture che imprigionano gli animali –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere per evitare che anche nel 2015 il decreto di chiusura della struttura del delfinario di Rimini emanato lo scorso anno, sia di fatto disatteso da un atto amministrativo locale ad avviso degli interroganti anacronistico e lesivo del benessere degli animali;
   quali iniziative intenda porre in essere affinché la direttiva dell'Unione europea sui giardini zoologici (1999/22/CE) e il relativo decreto legislativo di attuazione n. 73 del 2005 trovino finalmente una corretta applicazione in Italia. (4-08182)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 17 luglio del 2009 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Stefania Prestigiacomo rilasciava parere favorevole alla valutazione d'impatto ambientale (Via) sul progetto presentato dalla multinazionale spagnola Gas Natural, attraverso la società Gas Natural Rigassificazione Italia s.p.a., con sede a Trieste, per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste;
   nel mese di dicembre 2012 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, disponeva un supplemento di istruttoria sulla via in base a una nota della presidente dell'autorità portuale di Trieste, Marina Monassi, su possibili conflitti tra l'impianto di Zaule, il traffico marittimo e lo sviluppo delle attività portuali. Il supplemento di istruttoria doveva tenere conto anche della valutazione ambientale strategica (Vas) del piano regolatore portuale di Trieste, all'epoca ancora in via di definizione e delle limitazioni al traffico marittimo e alle attività portuali imposte dal progetto;
   in seguito al citato supplemento di istruttoria, il ministro pro tempore Clini, nell'aprile 2013 firmava un decreto con cui si stabiliva una sospensione di sei mesi dell'efficacia della via sul progetto, contestualmente rinviando alla Gas Natural e all'autorità portuale, la decisione di provvedere entro sei mesi a individuare, per l'impianto, un sito alternativo, compatibile con il piano regolatore portuale, oppure a modificare il piano regolatore in modo da renderlo compatibile con il progetto del terminale;
   il decreto recepiva integralmente quanto disposto dal parere espresso dalla Commissione via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a conclusione dell'istruttoria aggiuntiva, effettuata sulla base del rapporto dell'autorità portuale di Trieste del dicembre 2012, sui programmi di sviluppo dello scalo;
   nel corso dell'istruttoria, la Commissione via aveva anche acquisito i pareri contrari al progetto presentati dal comitato portuale e dalla regione Friuli Venezia Giulia;
   in sostanza il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 2013 prendeva atto delle mutate condizioni del traffico marittimo a Trieste e delle prospettive di potenziamento delle attività previste dal piano regolatore portuale. Il rigassificatore, se realizzato in base al progetto originario della Gas Natural, non appariva compatibile con il volume del traffico portuale e soprattutto con gli sviluppi futuri attesi;
   a ottobre 2013, il periodo di sei mesi di sospensione dell'efficacia della valutazione d'impatto ambientale sul progetto del rigassificatore di Zaule, stabilito dal decreto ministeriale, era ormai trascorso senza alcuna proposta circa una localizzazione alternativa dell'impianto da parte della società spagnola; a questo riguardo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con una nota alla società Gas Natural concedeva dieci giorni di tempo per presentare le proprie osservazioni al fine di evitare la revoca della via;
   per quanto di sua competenza, anche l'autorità portuale di Trieste non aveva modificato al ribasso le stime di traffico portuale, confermando in tal modo la valutazione circa l'incompatibilità fra il progetto di realizzazione dell'infrastruttura e le prospettive di sviluppo dello scalo portuale di Trieste;
   nel mese di giugno 2014, nel rispondere ad un'altra interrogazione sul tema, il sottosegretario allo sviluppo economico Claudio De Vincenti dichiarava: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di sua competenza, ha precisato che lo schema di decreto di revoca in questione, già firmato dal Ministro pro tempore, Andrea Orlando, era stato inoltrato per la firma del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, in data 13 febbraio 2014, ma, essendo nel frattempo mutata la compagine governativa, lo stesso decreto è stato restituito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini dell'acquisizione della firma dei Ministri ora in carica. Lo schema di decreto è attualmente al vaglio del nuovo Gabinetto, in quanto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare appena insediato sta procedendo ai controlli e agli approfondimenti procedurali e amministrativi di rito sulla questione prima della firma»;
   dalla risposta dal sottosegretario De Vincenti, sono trascorsi ulteriori otto mesi, senza che il competente Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia ancora emanato il decreto di revoca della via, in relazione all'unica area di sviluppo industriale della provincia di Trieste. La decisione, che a norma di legge il Governo è tenuto ad assumere è ormai improcrastinabile, anche alla luce di possibili azioni legali di richiesta per risarcimento danni, già annunciate dalla multinazionale spagnola, a fronte di un procedimento che si protrae da oltre dieci anni –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno procedere, senza ulteriori attese, all'emanazione del decreto di revoca della valutazione di impatto ambientale, relativa al progetto del rigassificatore del metano liquido a Zaule, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti, anche alla luce del parere negativo a suo tempo espresso dall'autorità portuale di Trieste;
   se il Governo per quanto di competenza, non ritenga di dover comunicare in tempi brevi se e quale sito sia stato individuato per la realizzazione del progetto in questione. (4-08188)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERZONI, CECCONI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, MANNINO e ZOLEZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 novembre 2014 a Corridonia in provincia di Macerata sulla collina che ospita il monastero degli Zoccolanti e a poca distanza dallo stesso è stato eretto un palo dell'altezza di 36 metri che accoglie un ripetitore di telefonia;
   la struttura sorge su una collina a trecento metri dal centro abitato di Corridonia;
   il luogo è caratterizzato da un elevatissimo grado di impatto ambientale e la sua posizione, sul versante sovrastato dal monumento, lo rende determinante nella configurazione del paesaggio di Corridonia. L'eccezionalità del sito lo rende luogo di permanenza significativa della stratigrafia storica del territorio comunale e significativo simbolo di cui la collettività si identifica;
   l'area degli Zoccolanti è soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge n. 1497 del 29 giugno 1939, imposto con decreto ministeriale 23 luglio 1964 e pubblicato sulla G.U. n. 209 del 27 agosto 1964. Il monastero degli Zoccolanti rientra nel Piano regionale degli interventi di ripristino, recupero e restauro del patrimonio culturale danneggiato dalla crisi sismica del 1997 in attuazione della legge n. 61 del 30 marzo 1998. Dal luglio 2006 al settembre 2007 l'immobile è stato oggetto di messa in sicurezza con finanziamento della Regione Marche ai sensi della D.G.R. n. 961 del 1o agosto 2005 del Monastero degli Zoccolanti rientra nelle disposizioni del decreto legislativo n. 42 del 2004 Articolo 12 comma 1;
   il monastero è risultato al 28o posto in Italia e primo nella regione Marche nella classifica Fai dei luoghi del Cuore 2014;
   l'antenna è stata innalzata dopo un lungo e travagliato iter burocratico durante il quale la soprintendenza ha espresso più volte parere negativo al progetto arrivando a definire il sito di interesse nazionale e dichiarando che «Ogni tipo di edificazione e/o trasformazione dello stato di fatto è da ritenersi incompatibile per l'eccezionalità del sito»;
   nella conferenza di servizi decisoria dell'8 gennaio 2010 la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche ha confermato il parere contrario al progetto per l'installazione dell'impianto di telefonia cellulare in località Monastero Zoccolanti rimettendo la decisione al Consiglio dei Ministri in base al decreto legislativo n. 259 del 2003 articolo 87 comma 8;
   il 6 dicembre 2010 in soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche in merito all'installazione dell'antenna SRB sugli Zoccolanti» alla presenza del Soprintendente Arch. Giorgio Cozzolino, dell'Arch. Alberto Mazzoni e i rappresentanti del Comune di Corridonia, si è giunti ad un accordo con la Soprintendenza che esprime parere favorevole all'installazione dell'antenna alle seguenti condizioni:
    mitigazione paesaggistica da ottenersi mediante schermatura dell'antenna medesima con idonea piantumazione;
    andrà verificata la possibilità di rendere l'antenna meno visibile e di minor altezza;
    si esclude la possibilità di realizzare il finto albero per antenna;
    come misura di compensazione l'amministrazione comunale si impegna ad accantonare il canone del gestore dell'impianto per finalizzarlo alla redazione di progetti e lavori di restauro dei beni di interesse storico-artistico di proprietà del Comune di Corridonia;
   con il raggiunto accordo la Presidenza del Consiglio dei ministri ha preso atto della nuova situazione senza procedere all'esame della questione (Nota n. 0023211-3.13.16 del 28 dicembre 2010);
   successivamente a questo la Telecom ha redatto un progetto che prevede un palo antenna non mimetizzato di 36 metri (il Monastero misura una altezza massima di 25 metri) respingendo la richiesta pervenuta dalla soprintendenza di limitarne l'altezza a 23 metri;
   l'11 luglio 2013 il comune di Corridonia fa «Richiesta alla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche di parere preventivo su proposta progettuale alternativa» della Telecom. Il 22 luglio 2013 la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, delle Marche, di fatto smentendo se stessa fa presente preventivamente che nulla osta a quanto prospettato dalla Telecom mantenendo l'antenna ad una altezza di 36 m. Al nuovo progetto architettonico parzialmente modificato, con Prot. n. 16609 del 22 ottobre 2013, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche dà parere definitivo favorevole;
   il responsabile del settore VII, Arch. M. Luisa Deminicis in data 21 marzo 2014 ha emesso l'autorizzazione paesaggistica n. 5 per la «Pratica Edilizia n. 3766» autorizzando la «realizzazione ed esercizio di impianto tecnologico a servizio della rete di telefonia mobile cellulare nell'area ex convento Zoccolanti (e cessazione/dismissione dell'attuale impianto sito in via Cappuccini Vecchi, n. 14 del comune di Corridonia), in quanto l'intervento di che trattasi risulta compatibile con il contesto ambientale interessato»;
   oltre a tutto questo risulta che la relazione geologica della Telecom redatta nel dicembre 2013 è in contrasto con una relazione geologica del 2000 che prevedeva la messa in sicurezza dell'area. Questa relazione del 2000 prevedeva l'arretramento di 13-14 metri dello sperone della collina proprio in prossimità dell'area di sedime dell'antenna;
   in data 3 maggio la collina che ospita la struttura ha subito cedimenti ed è stata interessata da cospicui movimenti franosi che hanno coinvolto una porzione della scarpata che si trova a soli 3 metri dalla platea che accoglie l'antenna;
   l'articolo 9 della Costituzione come noto inserisce il paesaggio tra i beni tutelati dalla Repubblica italiana;
   nell'articolo 117 alla nozione di paesaggio sono state affiancate quelle di ambiente e di ecosistema. Inserendo questi concetti non si sono solo specificate le competenze dello Stato, ma si è dato un nuovo significato ai contenuti dell'articolo 9 che, essendo inserito nella prima parte della Costituzione, detta i princìpi primari che prevaricano e mettono in secondo piano altri interessi pubblici pur essi meritevoli;
   la Corte Costituzionale si è espressa più volte affermando che quello dell'ambiente, e quindi quello del paesaggio, è un valore primario e assoluto;
   tale antenna secondo gli interroganti confligge con gli interessi legati al piano regionale degli interventi di ripristino, recupero e restauro del patrimonio culturale danneggiato dalla crisi sismica del 1997 in attuazione della legge n. 61 del 30 marzo 1998, all'interno del quale lo stesso monastero è inserito –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa;
   non intenda acquisire le opportune informazioni per accertare che le procedure messe in atto siano conformi alla normativa vigente in tema di tutela del paesaggio in particolare;
   se si ritenga compatibile con la tutela del paesaggio e dei beni culturali previsti dalla Costituzione la realizzazione di un'antenna alta 36 metri a pochi metri da un monastero cinquecentesco vincolato e all'interno di un paesaggio di elevatissimo valore identitario;
   se, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, considerato che il sito è stato dichiarato di importante interesse culturale attraverso l'apposizione di un vincolo di tutela diretta e indiretta, il Ministro interrogato, per le proprie competenze, non ritenga opportuno, sentiti gli enti coinvolti, accertare l'ottemperanza alle prescrizioni di tutela indiretta, al fine di evitare che sia compromessa l'integrità del bene e «ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro» (articolo 45 del decreto legislativo n. 42 del 2004), avviare il procedimento per la reintegrazione del bene monumentale nel sito tutelato paesaggisticamente ed il ripristino dei luoghi (articolo 160 del decreto legislativo n. 42 del 2004) al fine di attenuare la gravità del danno e ricondurre l'assetto dell'area alla situazione originaria, compatibile con la tutela e la valorizzazione del monastero. (5-04872)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Automobile Due snc, con sede a Rovereto, è stata oggetto di accertamenti da parte della guardia di finanza, iniziati il 6 novembre 2006 e conclusi con il processo verbale di constatazione del 3 luglio 2008, approvato dall'Agenzia delle entrate di Trento che, con diversi avvisi di accertamento, per gli anni di imposta 2003,2004, 2005, 2006, ha intimato alla società ed ai suoi due soci, Stefano Nucida e Rolando Gerola, il pagamento di 6.215.432,00 euro ai fini Iva ed Irap;
   la società Automobile Due snc opera prevalentemente a Rovereto, con attività fra l'altro di acquisto intracomunitario di automobili;
   per alcune di queste automobili acquistate, 127 su 1332, sei anni fa da rivenditori italiani ed importate in Italia dalla società Auroconf srl, la Guardia di finanza ha accusato i soci della società di evasione dell'iva, nella presunzione che alcuni dei fornitori nazionali fossero soggetti inesistenti, sostenendo che portata in deduzione dalla Automobile Due fosse un elemento passivo fittizio, e così i costi di acquisto, in assenza del quale vi sarebbe un aumento di reddito soggetto ad Irpef;
   analoga accusa ha interessato altri commercianti di automobili operanti sul territorio della provincia di Trento, alcuni dei quali a seguito di tali accertamenti sono falliti o sono a rischio di chiusura, nonostante la procura della Repubblica di Trento abbia archiviato i casi per insussistenza di reato;
   Nucida e Gerola sono stati condannati in sede penale alla pena di due anni perché dichiarati colpevoli del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
   la sentenza è stata confermata dalla corte di appello di Trento il 23 novembre 2011 e con sentenza della Commissione Tributaria di I grado del 20 settembre 2010;
   i soci della Automobile Due hanno da sempre contestato le accuse della Guardia di finanza e faranno appello alla Corte di Cassazione per l'annullamento della condanna, mentre sono in attesa, da oltre otto mesi, della sentenza del processo di appello del giudice tributario di II grado, anche in ragione del fatto che il servizio motorizzazione civile della provincia autonoma di Trento abbia provveduto alla immatricolazione dei veicoli, a seguito di verifica positiva della richiesta di nazionalizzazione di veicoli provenienti da acquisto intracomunitario, ed abbia inviato all'Agenzia delle entrate le relative dichiarazioni di assolvimento dell'Iva;
   che non vi siano responsabilità dei soci della Automobile Due in ordine al non pagamento dell'Iva per le automobili acquistate è dimostrato fra l'altro da una lettera dell'Agenzia delle entrate, direzione regionale dell'Umbria, settore accertamento Ufficio analisi e controlli fiscali, in data 14 dicembre 2007, in cui si scrive che a seguito di attività istruttoria «è emerso che la Auroconf srl ha svolto nel periodo che va da settembre 2004 ad agosto 2005 attività di compravendita di autovetture acquistate da fornitori comunitari, omettendo di versare l'Iva addebitata in rivalsa ai propri clienti, soggetti passivi di imposta»;
   è evidente, dunque, come l'Agenzia delle entrate fosse a conoscenza, sulla base dei propri accertamenti, che l'Iva non pagata fosse dovuta ad irregolarità e violazioni di legge compiuti non dalla Automobile Due ma dalla società importatrice dei veicoli, la Auroconf srl;
   è sconcertante che la lettera della Agenzia delle entrate, di cui sopra, non sia stata presentata dalla medesima Agenzia ai giudici tributari, omettendo in tal modo una prova decisiva a favore dell'innocenza Stefano Nucida e Rolando Gerola, visto che la lettera è antecedente di un anno (2007) al verbale della Guardia di finanza che è del 2008;
   il Ministero dei trasporti, con le circolari n. B/59/2000 del 20 settembre 2000 e n.5981/M352 del 2 dicembre 2005 ha stabilito precise disposizioni in ragione delle quali, in sede di immatricolazione delle automobili provenienti dagli Stati Membri dell'Unione Europea, «deve essere comprovato l'assolvimento degli obblighi Iva sull'acquisto intracomunitario mediante l'acquisizione di apposita documentazione cartacea destinata ad essere trasmessa alle locali Agenzie delle entrate per i controlli di merito»;
   non è ammissibile che l'immatricolazione dei veicoli da parte del servizio Motorizzazione della provincia di Trento, possibile solo ad esito positivo dei controlli effettuati, sia contestato ex post ed, elemento ancor più grave, è sconcertante che l'Agenzia delle entrate, che ha la responsabilità del controllo delle verifiche fiscali delle automobili importate e soggette al regime dell'iva intracomunitario, abbia sollevato obiezioni non all'atto dei propri accertamenti ma soltanto dopo che l'indagine della Guardia di finanza fosse stata avviata;
   del caso della Automobile Due, come altri relativi ad esempio alle società Spazio Auto srl, RPL srl e Trento Car srl, si è interessata la provincia autonoma di Trento, con il presidente della provincia e l'avvocatura della Provincia stessa;
   i soci della Automobile Due hanno sempre rivendicato di aver adempiuto ai loro obblighi tributari relativi alle loro attività, che sono state oggetto di controlli incrociati della Agenzia delle entrate e della motorizzazione civile della provincia di Trento che non ha mai sollevato obiezioni o contestato irregolarità a seguito della richiesta di controllo preliminare della documentazione di nazionalizzazione dei veicoli;
   «è sufficiente ribadire – affermano Stefano Nucida e Rolando Gerola – che chi, nel nostro caso fornitore nazionale, regolarmente iscritto alla Camera di Commercio territorialmente competente, fornisce le autovetture (il cui prezzo è quello di mercato), rilascia regolare fattura con Iva (operazione attiva in regime Iva), mentre a sua volta la snc Automobile Due incassa il ricavo della vendita dell'autovettura, emette regolare fattura con Iva (operazione passiva in regime Iva) che incassa dal cliente finale a cui l'automobile, munita del libretto di circolazione, e del certificato di proprietà, è ceduta e regolarmente immatricolata presso il Servizio Motorizzazione Civile della Provincia autonoma di Trento che ha accertata l'assoluta esistenza delle auto contestate»;
   «infatti – ricordano i soci della Automobile Due – è la Provincia autonoma di Trento – Servizio Motorizzazione Civile – che provvede all'immatricolazione delle automobili, mediante acquisizione della dichiarazione dell'importatore circa l'assolvimento degli obblighi Iva e circa la condizione fiscale del veicolo (fiscalmente nuovo, ovvero fiscalmente usato) e solo successivamente inviate all'Agenzia delle entrate per le verifiche fiscali»;
   l'Associazione per la Difesa dei cittadini, «Lo Scudo» è intervenuta più volte a difesa dei soci della Automobile Due e da ultimo nel 2012 – con una lettera del presidente Claudio Taverna, inviata al garante del contribuente, alla motorizzazione provinciale e all'avvocato provinciale della Pat – sollevando il caso presso tutte le autorità preposte, gli organi di stampa, la provincia autonoma di Trento;
   il caso della Automobile Due, a giudizio dell'interrogante, evidenzia profonde contraddizioni, omissioni da parte delle autorità e degli organi dei quali è stata la responsabilità dei controlli, Guardia di finanza e Agenzia delle entrate, e evidenzia motivazioni inconsistenti sotto il profilo processuale e tributario, che hanno determinato una condizione insostenibile per le attività e per la posizione penale e tributaria dei soci coinvolti, da ultimo con una comunicazione di Equitalia che il 30 gennaio 2013 impone a Stefano Nucida il pagamento di 1.220.976,30 –:
   quale sia l'orientamento del Ministro in ordine alla posizione della società Automobile Due con riferimento agli atti relativi ai controlli operati da parte della Agenzia delle entrate;
   se non ritenga urgente disporre una verifica delle attività di controllo effettuate, delle procedure adottate e delle motivazioni di merito che hanno portato alla contestazione delle attività della Automobile Due di Rovereto come attività inesistenti relativamente ai veicoli in oggetto della inchiesta quando precedentemente tali veicoli sono stati regolarmente immatricolati;
   se non ritenga che in attesa di sentenze definitive e in ragione dei principi di autotutela, che sono stati introdotti a favore del cittadino in caso di contenzioso, sia urgente sospendere ogni effetto dovuto alla comunicazione di Equitalia;
   se non ritenga definire criteri e procedure più obiettive e sostanzialmente motivate in ordine alle verifiche della posizione fiscale e tributaria delle imprese che operano nel settore dell'acquisto e della vendita di auto nuove ed usate, con riferimento in particolare al regime di acquisto intracomunitario. (5-04864)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stampa (Il contratto dei paradossi: ecco come Trenord incoraggia i ritardi, La Gazzetta di Mantova, 25 febbraio 2015; «Pagati di più se il treno ritarda» Il caso dei macchinisti lumaca, su Il Corriere della Sera, edizione di Milano, 26 febbraio 2015; Trenord, paradosso nel contratto: se il treno ritarda, il macchinista guadagna di più su La Repubblica, edizione di Milano, 26 febbraio 2015) ha riportato la notizia secondo cui si sarebbe diffusa la prassi, all'interno della Trenord s.r.l., per la quale i macchinisti in servizio opererebbero in modo da far viaggiare i treni da loro condotti in ritardo rispetto agli orari stabiliti e indicati, al fine di ottenere i benefici economici legati agli incentivi derivanti dalla remunerazione variabile dell'attività di condotta di cui all'articolo 54 del contratto di lavoro aziendale;
   occorre tener conto della partecipazione del Ministero dell'economia e delle finanze, in Ferrovie dello Stato Italiane s.p.a., di cui fa parte Trenitalia s.p.a., che a sua volta partecipa al 50 per cento a Trenord s.r.l. (il cui restante 50 per cento è detenuto da FNM s.p.a. a sua volta in parte partecipata da Ferrovie dello Stato italiane s.p.a.) e dunque del danno che si configurerebbe in capo ai detentori delle partecipazioni nonché dell'essenzialità, per i cittadini, dell'efficienza del servizio offerto dalla società in questione –:
   se il Governo sia a conoscenza della questione e, nel caso in cui le notizie riportate siano fondate, quali iniziative per quanto di competenza, intenda adottare in proposito. (5-04871)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati del Ssr-Sico, ovvero il sistema conoscitivo del personale delle amministrazioni pubbliche presso il Ministero dell'economia e delle finanze, la Campania è ultima nel rapporto tra il numero dei dipendenti servizio sanitario regionale e la popolazione residente;
   stando a detti dati, incrociati con quelli Istat, tale rapporto evidenzia per la Campania una percentuale dello 0,84 per cento, cioè meno di un dipendente del Servizio sanitario regionale ogni 100 abitanti;
   che con i conti finalmente in ordine, come certificato dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze, alla regione Campania toccherebbe una deroga del 15 per cento per lo sblocco del turn over;
   il regime di blocco del turn over imposto alla regione Campania per gli anni passati ha già prodotto «gravi conseguenze sulla capacità del Servizio sanitario regionale di erogare adeguatamente i livelli essenziali di assistenza», come ampiamente dimostrato sia dalle associazioni di categoria;
   in conseguenza di ciò, il sistema sanitario della Campania si trova ad operare con 10 mila addetti in meno rispetto al 2007;
   le prestazioni in regime di lavoro straordinario e le prestazioni professionali da privati incidono per un costo superiore al costo del personale indispensabile aggiuntivo attraverso nuove assunzioni;
   l'attuale situazione di emergenza per carenza di organico determina il rischio imminente di chiusura di molti reparti negli ospedali della Campania;
   come ha denunciato il Governatore della Campania, nell'attuale situazione «il Servizio regionale sanitario, non potrà non solo erogare l'ordinario livello di assistenza ai propri cittadini, ma nemmeno evitare il rischio di episodi di danno alla salute e alla vita delle persone come quelli verificatisi in altre regioni, e non potrà non considerare il Governo responsabile di tale situazione»;
   il depauperamento di professionalità in atto, conseguente ai pensionamenti ed al mancato ricambio a causa del blocco del turn over sta mettendo a serio rischio il livello di eccellenza raggiunto da tante strutture sanitarie della Campania con gravissime, conseguenti diseconomie e ricadute negative di immagine –:
   quali urgenti e concrete iniziative intenda assumere, e in quali tempi, per lo sblocco del turn over in misura adeguata alle oggettive esigenze degli ospedali della Campania e in linea con gli standard dei livelli essenziali di assistenza, garantendo le relative coperture finanziarie.
(4-08185)


   SANDRA SAVINO e CENTEMERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 259 del 2012 ha stabilito nuovi principi contabili per la stesura del bilancio tecnico attuariale al quale devono uniformarsi i fondi pensione a far data dal 31 dicembre 2013; eventuali disavanzi devono essere oggetto di apposito piano di riequilibrio al fine di dotare il patrimonio di adeguate risorse nel tempo;
   secondo tale normativa, le riserve tecniche devono essere calcolate sulla base del principio del «gruppo chiuso», ovvero prevedendo il patrimonio necessario per adempiere alle promesse pensionistiche degli aderenti al fondo pensione, senza tenere in considerazione contribuzioni derivanti da generazioni future;
   il fondo pensione agenti professionisti di assicurazione (FPA), nato nel 1975 per volontà e accordo delle parti sociali interessate (Associazione nazionale imprese assicuratrici – Ania e il Sindacato nazionale agenti di assicurazione – Sna) è soggetto al regime giuridico previsto per i «fondi preesistenti», nell'ambito del quale si applicano principi mutualistici e solidaristici, con contribuzione ordinaria e integrativa di base paritetica (50 per cento a carico delle imprese e 50 per cento a carico degli agenti di assicurazione aderenti);
   dalla sua nascita e fino all'entrata in vigore del richiamato decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 259 del 2012, nei suoi 40 anni di attività il fondo in questione ha stilato i propri bilanci tecnici a «gruppo aperto» senza mai registrare disavanzi di gestione;
   il consiglio di amministrazione, nella stesura del bilancio attuariale prospettico sulla base dei nuovi princìpi contabili, ha registrato un disavanzo al 31 dicembre 2012 di 786 milioni di euro, laddove per lo stesso anno secondo i previgenti principi contabili il medesimo bilancio tecnico ha chiuso con un avanzo pari a 36 milioni di euro;
   a quanto consta agli interroganti lo stesso consiglio di amministrazione, in armonia con le disposizioni legislative e regolamentari vigenti e con quelle previste dallo statuto del fondo, ha invitato le parti sociali a ricercare un accordo al fine di recuperare il disavanzo del bilancio attuariale prospettico emerso al 31 dicembre 2013 pari a 706 milioni di euro (-80 milioni di euro rispetto al bilancio retrospettivo 2012);
   in data 6 ottobre 2014 l'Associazione nazionale delle imprese di assicurazione ha comunicato alle rappresentanze degli agenti di assicurazione la disponibilità delle imprese di assicurazione a far fronte al disavanzo prospettico con una dotazione massima di 16 milioni di euro una tantum, dichiarandosi pertanto disponibile a contribuire per circa il 2 per cento delle risorse necessarie, lasciando alla categoria degli agenti di assicurazione – prevalentemente piccoli imprenditori – il carico di far fronte al riequilibrio del fondo per il restante 98 per cento;
   il Sindacato nazionale agenti di assicurazione (SNA) ha dichiarato formalmente che tale offerta è irricevibile in quanto insufficiente a garantire il riequilibrio prospettico del fondo; da alcuni anni il settore dell'industria assicurativa registra in Italia utili di elevata consistenza, tali da permettere una compartecipazione equa alla patrimonializzazione del fondo in parola (dati ANIA: utile netto nell'anno 2013: euro 5,2 miliardi; per l'anno 2014 previsto in ulteriore aumento);
   la situazione di stallo sopra descritta potrebbe portare al commissariamento del fondo pensione agenti professionisti di assicurazione – i cui dati di bilancio noti alla COVIP evidenziano al contrario un'eccellente capacità gestionale – con ricadute drammatiche non sui pensionati (circa undicimila) e sui contribuenti (quindicimila) del fondo medesimo –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se i Ministri non reputino necessario convocare un tavolo tecnico con le parti sociali – in primis ANIA (Associazione nazionale imprese assicuratrici) e SNA (Sindacato nazionale agenti di assicurazione) – al fine di trovare una composizione tra le diverse posizioni ed evitare così il commissariamento del fondo pensione in questione. (4-08187)


   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2013, la legge di Stabilità 2014 era intervenuta a modificare sensibilmente la disciplina dell'anatocismo bancario (introdotto dall'articolo 25, comma 2 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342), quella invisa pratica degli istituti di credito di applicare interessi su interessi ogni tre mesi, con ripercussioni di non poco peso su chi, nell'ultimo periodo, aveva avuto il «coraggio» di contrarre un finanziamento per effettuare investimenti e, quindi, per rilanciare l'economia nazionale;
   tale norma aveva, poi, lasciato al Cicr (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) il compito di adottare una delibera che attuasse il provvedimento, ma i criteri e le modalità non sono mai state emanate;
   nel frattempo è arrivato il decreto legge n. 91 del 2014 con il quale il Governo – all'articolo 31 – ha, di fatto, reintrodotto l'anatocismo, modificando il Testo unico bancario e affidando al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) il compito di determinare «modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore ad un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni in conto corrente o di pagamento;
   nell'agosto 2014, l'Assemblea del Senato, con il voto di fiducia, ha dato il via libera definitivo al Decreto competitività», contenente anche l'abrogazione dell'articolo 31;
   già le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418, dopo aver riaffermato l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi (articolo 1283 C.C.), avevano stabilito che né la banca, né il giudice possono applicare una capitalizzazione con una diversa periodicità: dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito, gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna. In questo modo è stata dichiarata illegittima anche la capitalizzazione annuale del servizio del credito;
   anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 78 del 2012, aveva dichiarato costituzionalmente illegittima la norma sui tempi di prescrizione per presentare ricorso contro gli istituti di credito che hanno applicato l'anatocismo, ossia il calcolo degli interessi sugli interessi a svantaggio del correntista creditore;
   notizie assunte dall'interrogante riferiscono che, nonostante le nuove disposizioni, gli istituti di credito continuano a praticare l'anatocismo sui contratti in essere, alimentando le iniziative giudiziarie dei clienti che chiedono la restituzione (o i riaccrediti) degli interessi anatocistici addebitati sul conto corrente –:
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di chiarire gli effetti dell'applicazione della norma contenuta del decreto-legge competitività, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 116. (4-08191)


   PASTORELLI, LOCATELLI, FURNARI, CURRÒ e CATALANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa, è una società di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze che gestisce il servizio postale italiano, ma si occupa anche di raccogliere il risparmio dei privati e di offrire servizi assicurativi. Con circa 145 mila dipendenti e 24 miliardi di euro l'anno di fatturato, Poste Italiane è tra i principali operatori postali internazionali;
   il nuovo piano industriale di Poste Italiane spa, approvato dal consiglio di amministrazione, sembra comportare diverse misure di razionalizzazione del servizio postale in particolare nei piccoli comuni, con il rischio di numerose soppressioni e riduzione dell'orario di servizio. Il piano prevede sia la chiusura di 455 uffici postali periferici, sia la riduzione dell'orario di apertura per altri 610 uffici, che in molti casi resteranno aperti soltanto tre giorni a settimana invece di sei;
   la rimodulazione degli orari e degli uffici postali a bassa frequenza di utenti deve comunque ottemperare sia alle disposizioni contenute nel decreto ministeriale 7 ottobre 2008, sia alla direttiva dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 29 giugno 2014;
   il nuovo piano dovrebbe almeno rispettare le disposizioni normative che stabiliscono il divieto di chiudere gli uffici postali, presidio unico di un comune, di salvaguardare le aree definite rurali, montane, le piccole isole e le aree marginali;
   la rimodulazione, oltre a penalizzare la fornitura di un servizio universale, non tiene conto delle esigenze e abitudini di migliaia di correntisti e risparmiatori, da sempre abituati a servirsi dell'ufficio postale di zona;
   le decisioni unilaterali assunte da Poste Italiane spa, una volta rese operative, arrecheranno gravi disagi ai cittadini/utenti i quali non vedranno più garantita l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra Poste Italiane e lo Stato e nel rispetto delle indicazioni dell'Autorità garante per le comunicazioni –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano di avviare tutte le procedure necessarie per favorire una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa, l'Anci e le amministrazioni locali, al fine sia di scongiurare la possibile chiusura degli uffici postali nei comuni marginali, sia di far rispettare le disposizioni normative vigenti nonché le indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. (4-08195)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la legge 26 febbraio 1992, n. 211, e successive modificazioni e integrazioni, ha stanziato risorse per la realizzazione di interventi nel settore dei trasporti rapidi di massa, al fine di migliorare la mobilità e le condizioni ambientali nei centri urbani;
   il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», all'articolo 63, comma 12, per promuovere lo sviluppo economico e rimuovere gli squilibri economico-sociali, ha, in particolare, disposto che, per le finalità di cui all'articolo 9 della legge 26 febbraio 1992, n. 211, l'ammontare delle risorse stanziate dal decreto-legge n. 112 del 2008 per il triennio 2008/2010 per il finanziamento di nuovi interventi sia pari a 141.200.000 euro;
   il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 16 febbraio 2009, n. 99, ha indicato le direttive in merito all'allocazione delle risorse di cui ai commi 12 e 13 dell'articolo 63 del decreto-legge n. 112 del 2008;
   il protocollo d'intesa tra regione Lombardia, provincia di Milano, comune di Milano, comune di Cormano, comune di Paderno Dugnano, comune di Senago, comune di Varedo e comune di Limbiate per la progettazione definitiva da Milano Comasina a Limbiate, sottoscritto in data 26 maggio 2006, ha affidato alla provincia di Milano l'elaborazione del progetto definitivo mediante esperimento di asta pubblica; il protocollo d'intesa del 31 luglio 2007 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Lombardia, la provincia di Milano e il comune di Milano «per la realizzazione della rete metropolitana dell'area milanese» e l'atto integrativo al protocollo d'intesa sopra citato, sottoscritto il 5 novembre 2007 da Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia, provincia di Milano e comune di Milano, considerano prioritario l'intervento di riqualificazione funzionale della tranvia Milano-Limbiate; l'intervento infrastrutturale è inserito in un'area a elevata domanda di mobilità e rientra nel programma di potenziamento del complessivo sistema di trasporto pubblico locale in sede protetta (metropolitane, tranvia o mezzi che viaggiano su corsie dedicate);
   l'area in questione, nell'ambito del potenziamento del sopradetto trasporto pubblico, è stata interessata dal prolungamento della linea metropolitana M3 sino a Comasina, inaugurato nel mese di marzo 2011, che permette un celere, frequente e regolare collegamento dell'asta dei Giovi con i principali poli di destinazione milanesi;
   alcuni comuni, attraversati dalla linea oggetto del presente accordo, sono interessati da ulteriori opere sia di trasporto in sede protetta, sia di carattere viabilistico per le quali diventa necessaria una visione coordinata;
   il costo dell'intervento della riqualificazione della linea Milano-Limbiate, sulla base del progetto definitivo, risulta pari a 167.927.290,41 euro, di cui 30.000.000,00 euro per l'acquisto del materiale rotabile;
   conformemente alle direttive previste dal decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 99 del 2009 sopra richiamato, è stato individuato un primo lotto funzionale, costituito dalla tratta tra Milano Comasina e il deposito di Varedo compreso (escluso il materiale rotabile), per un costo di 98.224.972,01 euro;
   la provincia di Milano il 29 settembre 2009 ha trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il progetto definitivo, con la richiesta di finanziamento per la realizzazione del sopradetto 1o lotto funzionale;
   la regione Lombardia, con delibera della giunta regionale VIII/10274 del 7 ottobre 2009, si è espressa favorevolmente, ai sensi dell'articolo 5 del decreto ministeriale del febbraio 2009;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 1o febbraio 2011 ha comunicato alla provincia di Milano che, con decreto 28 dicembre 2010, n. 4107, è stato assunto l'impegno statale per un importo di 58.934.983,20 euro (il 60 per cento dell'importo di 98.224.972,01 euro) quale cofinanziamento per la riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale Milano Comasina-Varedo deposito;
   il Cipe, nella seduta del 6 dicembre 2011, con delibera pubblicata sul supplemento n. 120 della Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 2012, ha confermato il finanziamento statale di 58.934.983,20 euro, corrispondente alla quota del 60 per cento del costo dell'opera prevista dalla legge n. 211 del 1992, relativamente al lotto funzionale Milano Comasina-Varedo deposito;
   la restante quota di cofinanziamento di 39.289.988,80 euro, pari al 40 per cento dell'importo complessivo, pari a 98.224.972 euro, è a carico del territorio;
   l'accordo tra comune di Milano, comune di Cormano, comune di Paderno Dugnano, comune di Senago, comune di Varedo e comune di Limbiate per la realizzazione della metro tranvia Milano Comasina-Limbiate Ospedale è stato siglato in data 3 agosto 2012;
   l'11 marzo 2013 la provincia di Milano, nel confermare l'attualità del progetto definitivo a suo tempo presentato, nel 2009, per la selezione di cui alla legge n. 133 del 2008, ha presentato il programma temporale relativo agli adempimenti di competenza, ha confermato la validità della delibera della giunta provinciale n. 684 del 2009 inerente alla copertura finanziaria dell'opera e ha trasmesso la deliberazione del consiglio provinciale 13 dicembre 2012, n. 104, relativa all'approvazione dello schema di atto interistituzionale tra gli enti interessati al fine, tra l'altro, della ripartizione a livello locale del costo dell'opera, prevedendone la sottoscrizione entro il mese di giugno 2013;
   rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-00136 del 19 luglio 2013, presentata dalla prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, il Sottosegretario di Stato pro tempore Rocco Girlanda, dopo aver ripercorso l’iter burocratico e legislativo dell'opera, aveva assicurato, in merito alla tranvia extraurbana Milano-Limbiate, tratta Comasina-deposito Varedo, che «presso i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è in corso di predisposizione la convenzione tra lo stesso Ministero e la provincia di Milano tesa a definire le modalità per l'erogazione dei contributi statali, previa approvazione del progetto e verifica della sussistenza del cofinanziamento»;
   il 19 dicembre 2013 la provincia di Milano approvava un ordine del giorno richiedente al Governo e alla regione Lombardia di farsi garanti del mantenimento in essere dei finanziamenti statali per l'opera;
   l'articolo 1, comma 88, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014 – pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2013, n. 302 – supplemento ordinario n. 87), a seguito di un emendamento presentato dalla prima firmataria del presente atto e da altri deputati del Partito Democratico lombardo, prevede che: «Al fine di accelerare gli interventi in aree urbane per la realizzazione di linee tranviarie e metropolitane il CIPE, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, individua, con apposita delibera, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, gli interventi da revocare ai sensi dell'articolo 32, commi da 2 a 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché quelli finanziati dalla legge 26 febbraio 1992, n. 211, sul sistema metropolitano che, alla data di entrata in vigore della presente legge, non siano stati affidati con apposito bando di gara. Le risorse rivenienti dalle revoche di cui al periodo precedente confluiscono in apposita sezione del Fondo istituito ai sensi dell'articolo 32, comma 6, del citato decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, e sono finalizzate dal CIPE con priorità per la metrotranvia di Milano-Limbiate (..)»;
   la legge 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (legge Delrio – pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, 7 aprile 2014, n. 81), con la quale viene istituita la città metropolitana di Milano, abroga, di fatto, la provincia di Milano, la quale non si trova più nella condizione di svolgere il previsto ruolo di soggetto aggiudicatore e di quella connessa in qualità di responsabile per la realizzazione dell'intervento di ammodernamento in metrotranvia della tranvia Milano Comasina-Limbiate Ospedale;
   il 30 giugno 2014, termine previsto all'articolo 7 dell'accordo interistituzionale del 3 agosto 2012, passò senza che venisse bandita la gara d'appalto per l'affidamento dei lavori;
   con la nota della provincia di Milano protocollo n. 154222 del 15 luglio 2014, a firma dell'assessore alle infrastrutture, viabilità e trasporti, dottor Franco De Angelis, veniva comunicato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il mancato perfezionamento dell'accordo interistituzionale a livello locale per la copertura economica della quota parte di stanziamento non coperto da fondi statali, con riferimento particolare alla provincia di Monza e Brianza e al comune di Varedo; rimettendo pertanto al detto Ministero ogni valutazione e provvedimento del caso sull'opera. Il successivo 22 luglio 2014, i competenti uffici ministeriali, prendendo di ciò atto, comunicavano quindi la sospensione dell'istruttoria sul progetto;
   rispondendo a una seconda interpellanza urgente sul caso (n. 2-00696), presentata il 24 ottobre 2014 sempre dalla prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, il Sottosegretario di Stato Umberto Del Basso De Caro vincolava la conferma del finanziamento per l'opera al completamento dell’iter procedimentale;
   l'assessorato alle infrastrutture e mobilità di regione Lombardia ha recentemente manifestato la propria disponibilità nel farsi carico della quota spettante al comune di Varedo;
   con lettera del 5 febbraio 2015, la provincia di Monza e Brianza ha comunicato l'acquisizione, a seguito di alienazioni immobiliari, delle risorse necessarie all'assunzione degli impegni finanziari di competenza;
   nella seduta del Comitato interministeriale per la programmazione economica del 20 febbraio 2015, si sono individuati «gli interventi della ex provincia di Milano (ora città metropolitana) [...] da revocare ai sensi dell'articolo 1, comma 88, della legge n. 147/2013; con quota parte delle risorse liberate il Comitato ha altresì assegnato un importo di circa 58,9 milioni di euro, alla «Riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale. Milano Comasina-deposito Varedo», in quanto intervento prioritario ai sensi dello stesso articolo 1, comma 88, della legge n. 147 del 2013» –:
   se sia quindi confermato l'impegno da parte del Governo nell'assicurare la realizzazione dell'opera, rilevato che si sono ristabilite le condizioni per addivenire ad un accordo interistituzionale definitivo e completo della destinazione delle quote parte essendo necessaria, secondo gli interpellanti, una scelta ragionevole e ponderata a favore di queste infrastrutture, fondamentali per quel che riguarda i flussi di visitatori verso le aree dell'Esposizione universale milanese e che rimarranno, a EXPO concluso, come stabile patrimonio del territorio;
   se si intenda organizzare un incontro con gli enti interessati per approdare quanto prima alla definizione dell’iter procedurale per garantire la partenza dei lavori;
   se, nel caso in cui il Governo non intenda procedere alla realizzazione della tranvia, le risorse economiche, di cui al decreto 28 dicembre 2010, n. 4107, siano state distratte dall'opera in modo definitivo, o solo temporaneamente;
   quali debbano essere, nel caso di distrazione solo temporanea, le prossime fasi dell’iter progettuale da portare a compimento, ed entro quale data.
(2-00866) «Cimbro, Casati, Preziosi, Franco Cassano, Laforgia, Colaninno, Coppola, Crimì, Rampi, Melilla, Piras, Daniele Farina, Sannicandro, Censore, Zan, Piazzoni, Scuvera, Sbrollini, Manfredi, Manzi, Morani, Patriarca, Monaco, Quaranta, Ricciatti, Gianni Farina, Stumpo, Marazziti, Rabino, Pollastrini, Marantelli, Cuperlo».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il  collegamento ferroviario della città di Matera alla rete Ferrovie dello Stato è da molti anni al centro di numerosi interventi ed iniziative dell'opinione pubblica, essendo Matera, città dei Sassi e patrimonio dell'umanità riconosciuto dall'UNESCO dal 1993, l'unico capoluogo di provincia a permanere in uno stato di isolamento ferroviario che condiziona in termini negativi crescita e sviluppo;
   il dramma ferroviario di Matera inizia tra il 1972 ed il 1974, quando viene chiusa a causa del mancato ammodernamento e per l'eccessivo degrado degli impianti la linea tra Matera, Ferrandina, Pisticci e Montalbano Jonico, la quale collegava fin dal 1930 la città alla linea principale delle Ferrovie dello Stato;
   i lavori di realizzazione di una nuova tratta ferroviaria Ferrandina-Matera (La Martella) iniziarono nel 1986 ma a tutt'oggi, dopo 29 anni, non sono ancora terminati. Nel frattempo però è stata costruita una stazione: la famosa Stazione «Fantasma» delle Ferrovie dello Stato a Matera, un'opera mai conclusa e costata oltre 500 miliardi delle vecchie lire;
   i Sassi di Matera sono patrimonio dell'umanità dal 1993 e sono stati il primo sito dell'Italia meridionale ad essere iscritto nella lista dell'UNESCO. Per un Paese come l'Italia che potenzialmente potrebbe vivere soltanto di turismo investire in collegamenti ferroviari è un obbligo;
   il sistema dei trasporti in Basilicata è caratterizzato da condizioni di grave disagio e deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo che producono non solo una bassa qualità del servizio offerto ma costituiscono un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico;
   Matera è dotata di una linea a scartamento ridotto interregionale, la Ferrovia Appulo Lucana, che la collega a Bari ma con tempi che non sono quelli che si addicono ad una mobilità efficiente e rapida. Il trenino interregionale impiega 1 ora e 35 minuti per coprire 62 chilometri con le corse ordinarie e più di un'ora con le corse rapide che attraversano l'area murgiana;
   gli organi di stampa e televisivi hanno espresso forti dubbi in ordine al completamento dei lavori della tratta Ferrandina-Matera, paventando l'ipotesi di un'altra «opera incompiuta» a causa della mancanza di fondi;
   Matera, designata per l'anno 2019 Capitale della Cultura europea per l'inestimabile patrimonio storico riconosciuto dall'UNESCO, va necessariamente inserita nei circuiti internazionali turistici di cultura accessibile all'umanità e rende ancora più indispensabile il controllo della rete viaria regionale, in considerazione del previsto aumento dei flussi turistici;
   in vista dell'appuntamento di Capitale della Cultura 2019 anche Trenitalia e RFI dovrebbero essere chiamate, proprio per questo evento, a dare il loro contributo in termini di servizi che interessano un comprensorio, che diventa strategico per l'intero Mezzogiorno –:
   in considerazione di quanto esposto in premessa, quali iniziative il Ministro intenda assumere per farsi promotore di un tavolo tecnico in cui coinvolgere Trenitalia, le istituzioni e gli enti locali interessati;
   quali iniziative intenda attivare nei confronti di Trenitalia per migliorare i collegamenti con il terminale dell'alta velocità rappresentato da Salerno;
   quali iniziative siano possibili dal punto di vista infrastrutturale per completare o per utilizzare i lavori effettuati per la tratta Ferrandina-Matera. (5-04869)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO, D'INCÀ e COZZOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la minicar sta diventando sempre più uno status symbol per le nuove generazioni; essa è facile da usare tuttavia i giovani per guidarla devono solo conseguire l'attestato di idoneità, previsto per i ciclomotori;
   le minicar sono altresì divenute mezzo sostitutivo utilizzato anche dagli adulti sprovvisti di patente, talora anche da coloro i quali ne siano sprovvisti a seguito di misure preventive o sanzionatorie da parte dell'autorità giudiziaria;
   dati diffusi dalla motorizzazione civile informano che in Italia circolano oltre 26.000 minicar, un vero e proprio boom rispetto al resto d'Europa;
   la sola città di Roma assorbe circa il 17 per cento del mercato nazionale; la maggior parte delle minicar, circa 5.000, si sposta, infatti, tra le strade di Roma;
   queste macchine in miniatura biposto sono curate nei particolari, dal design, agli interni, allo stereo, all’airbag, piacciono molto ai ragazzi e vengono considerate dai genitori meno pericolose dei motorini;
   i motori bicilindrici, possono essere facilmente truccati rendendo possibile l'aumento della velocità e trasformando le minicar in un potenziale pericolo;
   appare in crescita il numero di incidenti, anche con esiti gravi; a tutt'oggi occorrono vari incidenti mortali che vedono coinvolte le cosiddette minicar –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno avviare iniziative, per quanto di competenza, per migliorare la sicurezza relativa all'utilizzo delle minicar, ad esempio prevedendo il possesso di una patente di categoria superiore;
   se ritenga necessario intensificare i controlli sulle minicar e sugli scooter al fine di evitare modifiche meccaniche che ne aumentino la velocità. (4-08197)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere, premesso che:
   in data 21 febbraio 2015 a Cremona, nei locali di via Geromini 30, dove si trova la sede di Casapound Cremona si è dato avvio al tesseramento 2015 alla suddetta organizzazione neofascista;
   la riapertura al pubblico di questa sede avviene dopo che ne era stata annunciata la chiusura, con ampio risalto a mezzo stampa, a seguito dell'aggressione squadrista di domenica 18 gennaio 2015 nei pressi dei CSA Dordoni, alla quale parteciparono noti esponenti della locale sezione di Casapound, tra cui il coordinatore provinciale Gianluca Galli;
   durante questa aggressione veniva gravemente ferito un militante del suddetto centro sociale, Emilio Visigalli, tuttora ricoverato presso l'ospedale di Cremona;
   in occasione della riapertura finalizzata a permettere il tesseramento ad un'organizzazione che si autodefinisce di «fascisti del terzo millennio» vi è stato un consistente dispiegamento di forze dell'ordine, tra cui unità del Secondo battaglione mobile fatte pervenire appositamente da Padova;
   con riferimento ad attività di movimento neofascista l'interrogante ha presentato un'interrogazione a cui, in data 9 luglio 2013, rispose il Sottosegretario per l'interno, che non ravvisava la necessità di impedire l'apertura di tale struttura;
   di pari passo con l'insediamento di Casapound è cresciuta la tensione in città ed in tutta la provincia di Cremona con un aumento degli episodi di intimidazione e di violenza politica correlati alla presenza di questo movimento eversivo;
   questa situazione sta comportando una distrazione di risorse umane, materiali e finanziarie sempre maggiori da parte delle Forze dell'ordine a tutela dell'ordine pubblico e a tutela delle attività di Casapound Cremona;
   il sindaco di Cremona ha dichiarato in consiglio comunale che «Casapound non è gradita in una città come Cremona»;
   la legge n. 645 del 1952 (legge Scelba) che riguarda le norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione così recita all'articolo 4 riguardo il reato di apologia di fascismo: «Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell'articolo 1 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 400.000 a lire 1.000.000 (1). Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni (4). La pena è della reclusione da due a cinque anni e della multa da 1.000.000 a 4.000.000 di lire se alcuno dei fatti previsti nei commi precedenti è commesso con il mezzo della stampa (1). La condanna comporta la privazione dei diritti previsti nell'articolo 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale, per un periodo di cinque anni (5). (1) La misura della multa è stata così elevata dall'articolo 113, quarto comma, legge 24 novembre 1981, n. 689. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù dell'articolo 32, secondo comma, della legge sopracitata. (4) Comma così sostituito dall'articolo 4, decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122. (5) Così sostituito dall'articolo 10, legge 22 maggio 1975, n. 152.»;
   in materia è stata emessa la sentenza n. 37577 del 12 settembre 2014 dalla prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito alla necessità di assicurare anche a Cremona il rispetto della legalità e l'applicazione dei valori e dei princìpi affermati nella Costituzione, in special modo dalla XII disposizione transitoria e finale che afferma: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»;
   se intenda assumere le iniziative di competenza al fine di valutare se sussistano i presupposti per la chiusura della sede di Casapound Cremona, in quanto organizzazione che si ispira al disciolto partito fascista, che viola i disposti della legge Mancino e i cui esponenti sono stati protagonisti dell'aggressione squadrista del 18 gennaio 2015;
   se intenda limitare l'utilizzo di uomini e risorse delle forze dell'ordine attinente le attività di Casapound Cremona, attività che ad avviso dell'interrogante con il rispetto delle suddette leggi, non dovrebbero aver luogo. (3-01319)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COCCIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa pare che il 26 febbraio 83 tifosi della Roma in trasferta a Rotterdam per seguire l'incontro di Europa League tra la propria squadra e il Feyenoord siano stati ufficialmente «fermati» per una «misura cautelativa» e non avendo compiuto nessun gesto che confermasse la necessità del fermo;
   sono stati prelevati alle 11 della mattina direttamente allo sbarco dell'aereo charter che li aveva portati ad Amsterdam Schipoe tradotti su un autobus e portati in aperta campagna dove sono stati schedati, perquisiti e fotografati due volte: una in primo piano e l'altra con il documento d'identità in mano;
   a questi tifosi è stato dunque impedito di raggiungere la fan zone come tutti gli altri nonostante avessero acquistato un regolare pacchetto riservato al tifo organizzato e non si fossero resi responsabili di gesti violenti;
   se tale notizia fosse confermata si tratterebbe di un caso di gravità inaudita e rappresenterebbe un secondo oltraggio per Roma e per gli italiani dopo i fatti avvenuti in Piazza di Spagna, con il grave danneggiamento della «Barcaccia» avvenuto una settimana prima ad opera dei tifosi del Feyenoord –:
   se non ritenga opportuno verificare se le notizie giunte dall'Olanda siano vere e nel caso fossero confermate quali iniziative urgenti intenda adottare a tutela dei cittadini italiani fermati senza alcuna giustificazione. (4-08181)


   CAON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il massiccio incremento dei reati contro il patrimonio in tutta la Provincia di Padova, già oggetto di un precedente atto di sindacato ispettivo ancora privo di risposta, prosegue;
   si tratta di una vera e propria ondata che interessa in particolare i Comuni di Cadoneghe, Rubano, Selvazzano e Vigonza;
   la stampa locale segnala, in effetti, come in una sola notte, quella tra il 17 ed il 18 febbraio 2015, proprio nella zona di Vigonza siano stati colpiti da ladri non identificati un negozio di attrezzature sportive e tre abitazioni private;
   dal negozio, nel quale i ladri sono penetrati dopo aver spaccato la vetrina, sono spariti capi ed accessori per un valore di 10 mila euro;
   da uno degli appartamenti, invece, sono stati sottratti monili in oro ed un fucile di marca Benelli;
   gli abitanti di Vigonza chiedono apertamente ed insistentemente da tempo agli esponenti delle forze dell'ordine di conoscere i limiti della legittima autodifesa nei confronti di chi entra a rubare negli appartamenti;
   il livello crescente di allarme sociale attestato da quanto precede pare incompatibile con qualsiasi ipotesi di riduzione delle unità assegnate ai presidi territoriali delle forze dell'ordine, consigliandone invece il potenziamento –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare la legalità nel territorio comunale di Vigonza e nelle immediate adiacenze e se in particolare non ritenga opportuno rinforzare i locali presidi delle forze dell'ordine. (4-08183)


   RICCIATTI, MELILLA, PELLEGRINO e ZACCAGNINI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Censis nell'11o numero del rapporto «Diario della transizione» ha diffuso il dato del numero dei furti in abitazione relativo all'anno 2014;
   dai dati forniti, rilanciati dai maggiori organi di stampa nazionali, emerge in particolare come «negli ultimi dieci anni i furti in casa sono più che raddoppiati, passando dai 110.887 denunciati nel 2004 ai 251.422 del 2013, con una crescita del 126,7 per cento. Solo nell'ultimo anno l'incremento è stato del 5,9 per cento. È un aumento molto più accentuato rispetto all'andamento del numero totale dei reati (+19,6 per cento nel periodo 2004-2013) e dei furti nel complesso (+6 per cento), e in controtendenza rispetto all'andamento dei furti di autoveicoli (-32,2 per cento) e degli omicidi (-29,7 per cento) (da Quotidiano Nazionale del 21 febbraio 2015);
   il dato che può essere agevolmente sintetizzato con il numero di 689 furti al giorno, 29 ogni ora, uno ogni due minuti, è solo la conferma di quanto è possibile riscontrare nell'esperienza quotidiana, sia diretta, sia mediata dagli organi di stampa;
   nel corso degli ultimi anni, infatti, anche con l'incedere della crisi economica, si sono moltiplicati gli episodi di furti nelle abitazioni private. Questo, per una serie di ragioni che vanno dalle maggiori difficoltà, per i malviventi, a commettere furti in banche, uffici postali e esercizi commerciali, grazie anche a sistemi di sicurezza e sorveglianza più evoluti, da un lato; e dall'altro perché la crisi economica e le incertezze che da questa conseguono spingono gli italiani a ridurre i consumi e tenere (spesso) in casa i propri risparmi;
   il fenomeno descritto è particolarmente odioso in quanto, oltre a colpire le vittime sul piano patrimoniale, mina in modo diretto la percezione di sicurezza;
   parallelamente all'aumento dei furti, si segnala l'aumento allarmante delle rapine in abitazione, con violenza o minaccia ai proprietari. Nel 2013 sono state 3.619, con una crescita significativa nel decennio 2004-2014 (+195,4 per cento) e con un incremento del 3,7 per cento solo nell'ultimo anno. A differenza dei furti in abitazione, le rapine sono commesse principalmente al Sud (1.380 nel 2013, pari al 38,1 per cento del totale);
   altro dato di estremo rilievo è quello del «turismo criminale»: soggetti che si spostano da una regione d'Italia all'altra, ma anche da Paesi esteri (secondo il Censis i dati testimoniano una presenza consistente di stranieri: nell'ultimo anno tra i denunciati a piede libero gli stranieri sono il 54,2 per cento – 8.627 persone –, tra gli arrestati il 62 per cento – 4.112: +31,4 per cento solo nell'ultimo anno –, tra i detenuti il 42,3 – 1.493) per commettere reati;
   a fronte di questi fenomeni in crescita esponenziale, la situazione delle piante organiche delle forze di polizia e le risorse destinate al contrasto della criminalità sono lontane dall'essere adeguate alla situazione segnalata;
   il prolungato blocco del turn over, la sospensione della leva obbligatoria – a seguito della legge 226/2004 – e la necessità della ferma nell'esercito – come requisito preliminare per accedere al concorso nelle forze di polizia, hanno elevato sensibilmente l'età media degli agenti, con conseguenti maggiori difficoltà nelle azioni di contrasto «in strada». La circostanza è stata confermata in modo pressoché unanime in una serie di incontri che l'interrogante ha promosso con diversi dirigenti delle forze di polizia nelle Marche, in particolare ai livelli di commissariato e comando stazione, in prima linea nel contrasto ai fenomeni criminali descritti;
   le polizie locali, inoltre, che potrebbero contribuire in modo più strutturato ad attività di sorveglianza e comunque di supporto alle forze di polizia, sono sforniti di strumenti di tutela contro i rischi professionali;
   con il decreto legge n. 201 del 2011, denominato «decreto Salva Italia», convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata sul supplemento ordinario n. 276 della Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2011, n. 300, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», sono stati «abrogati gli istituti dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata» per le forze di polizia locale –:
   quali misure di competenza intenda adottare il Ministro per contrastare in modo significativo i fenomeni criminali descritti in premessa;
   se non ritenga opportuno destinare maggiori risorse alle forze di polizia, sia sul piano del personale che delle strumentazioni;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare per abbassare l'età media degli agenti delle forze di polizia;
   se il Ministro non ritenga, con apposite iniziative di natura normativa, modificare l'articolo 6 del decreto legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge, ripristinando l'istituto della causa di servizio per il personale della polizia locale. (4-08192)


   RICCIATTI, VEZZALI, ROBERTA AGOSTINI, LODOLINI e MARCHETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la relazione 2014 della direzione nazionale antimafia segnala diverse indagini sulle attività economiche legate ad ambienti criminali di stampo mafioso condotte nelle Marche dalla direzione distrettuale antimafia di Ancona;
   dalla relazione emerge come sia avanzato il fenomeno delle infiltrazioni criminali in attività economiche di diversa natura. Vengono citati esempi di imprese edili dirette da soggetti siciliani in provincia di Macerata in contiguità con clan mafiosi, di reimpiego di capitali illeciti ad Ancona connessi al clan della ’ndrangheta Alvaro – sul quale indagano carabinieri e guardia di finanza –, di acquisto di alberghi da parte di soggetti del napoletano sospettati di riciclare denaro sporco;
   a queste attività si aggiungono quelle legate ai vari traffici nel porto di Ancona, punto di snodo per il passaggio di droga, contrabbando e immigrazione clandestina, nonché il fiorente mercato della prostituzione;
   secondo quanto si apprende dai dati della direzione investigativa antimafia e della direzione nazionale antimafia, aggiornati agli anni 2000-2011, nelle Marche i gruppi criminali sarebbero così ripartiti: il 54,8 per cento legati alla ’ndrangheta, il 21,5 per cento alla camorra, il 16,7 per cento alla criminalità pugliese e il 7 per cento a Cosa Nostra;
   come riporta l'agenzia Ansa del 25 febbraio 2015, il consigliere di Cassazione Antonio Laudati ha dichiarato in merito: «anche se l'attività economica regionale ha registrato lenti segnali di ripresa per tutte le province ad eccezione di Ancona, penalizzata dall'andamento negativo di alcuni settori, è di tutta evidenza come la stessa sia ancora esposta al potenziale rischio di infiltrazione del crimine organizzato, che potrebbe acquisire la gestione diretta o indiretta, con l'impiego di capitali illecitamente accumulati, di alcune realtà economiche regionali», aggiungendo che sul territorio sono presenti «personaggi legati ad associazioni di tipo mafioso, condannati per questo in via definitiva, anche colpiti da provvedimenti di soggiorno obbligato e/o interessati da altre misure dettate dalla normativa antimafia, che costituiscono un vero e proprio pericolo per il tessuto socioeconomico della regione»; tale circostanza è stata ribadita più volte negli ultimi anni da autorevoli magistrati e segnalata costantemente dagli interroganti –:
   quali iniziative di competenza stia adottando, o intenda adottare, il Ministro per limitare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose nel tessuto economico delle Marche;
   se non ritenga di dover intervenire per aumentare risorse umane e dotazioni per le forze di polizia impegnate sul territorio. (4-08193)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PICCIONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno le Ferrovie dello Stato italiane con altri gruppi industriali, quali Bombardier, Almaviva, Roma Metropolitane, Ansaldobreda e Ansaldo STS del Gruppo Finmeccanica, organizzano un master, in collaborazione con le università degli studi La Sapienza di Roma, da cui, spesso, procedono a selezionare e assumere giovani professionisti ingegneri;
   il master offre una formazione multidisciplinare, specialistica nelle diverse aree tecniche – programmazione, progettazione, esercizio, manutenzione, commercializzazione – e trasversale, integrando aspetti ingegneristici, giuridici ed economici;
   i destinatari di tale opportunità sono giovani laureati di II livello ingegneria, con titolo preferenziale per le competenze nell'ingegneria elettrica, elettronica, meccanica, trasporti e civile strutture-geotecnica;
   le classi previste dal bando riguardano, infatti, i laureati in ingegneria aerospaziale e astronautica, in ingegneria chimica, ingegneria civile, in ingegneria dell'automazione, in ingegneria della sicurezza, delle telecomunicazioni, nonché elettrica, elettronica, energetica nucleare, gestionale, informatica, meccanica, navale e per l'ambiente e il territorio;
   dal citato elenco, per l'accesso al master, risultano non esservi, inspiegabilmente ad avviso dell'interrogante, la laurea in ingegneria edile e la laurea in ingegneria edile-architettura;
   in questo modo viene preclusa la possibilità di partecipazione a tanti giovani laureati in discipline assolutamente attinenti al profilo del master universitario di II livello in ingegneria delle infrastrutture e dei sistemi ferroviari e con essa anche la possibilità di un eventuale sbocco occupazionale –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per verificare quanto riportato in premessa e se non intenda, attivarsi, per quanto di competenza, affinché tra i titoli richiesti, per la partecipazione al master universitario di II livello in ingegneria delle infrastrutture e dei sistemi ferroviari, possano essere ricomprese anche la laurea in ingegneria edile e la laurea in ingegneria edile – architettura, in considerazione della loro assoluta attinenza con i profili richiesti ed in presenza di una loro, già normata, equiparazione. (5-04865)


   VACCA, BRESCIA, SIMONE VALENTE, MARZANA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, stabilisce che a decorrere dall'anno scolastico 2012-2013, le iscrizioni alle istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado per gli anni scolastici successivi avvengono esclusivamente in modalità on line attraverso un apposito applicativo che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca mette a disposizione delle scuole e delle famiglie;
   per l'anno scolastico 2015/2016 le iscrizioni alle scuola primaria, scuola secondaria di primo grado e di secondo grado potevano essere effettuate dal 15 gennaio al 15 febbraio 2015;
   per effettuare l'iscrizione on line era necessario effettuare una registrazione sul portale del Ministero dell'istruzione, dell'università e, della ricerca;
   in applicazione della legge, Il Miur ha realizzato due distinte applicazioni software: una a disposizione delle scuole e una per le famiglie;
   le scuole predispongono e pubblicano su internet il modulo d'iscrizione attraverso un modello base fornito dal Miur che può essere personalizzato dalle scuole stesse aggiungendo eventuali altre richieste di informazioni alle famiglie, sia attingendo da cataloghi già predisposti che aggiungendo ulteriori informazioni secondo le necessità conoscitive ai fini delle iscrizioni;
   le scuole e l'amministrazione sono tenute a predisporre e pubblicare un modello rispondente alle esigenze informative della scuola nel rispetto della normativa in materia di privacy e tenendo presente che le informazioni aggiuntive devono essere strettamente pertinenti e non eccedenti rispetto a ciascuno specifico obiettivo che si intende perseguire e che sia inserito nel piano dell'offerta normativa;
   ogni informazione aggiuntiva richiesta alle famiglie extra catalogo deve contenere una nota per le famiglie in cui sono forniti eventuali chiarimenti sull'informazione richiesta e il motivo della richiesta;
   in diverse guide all'iscrizione on line delle istituzioni scolastiche si riscontra, nella voce «Informazioni Sulla Famiglia» la richiesta della professione dei genitori e i titoli di studio;
   a giudizio degli interroganti tale informazione non solo è eccedente e non pertinente ai fini dell'iscrizione e rispetto a qualsiasi specifico obiettivo che può essere inserito nel piano dell'offerta formativa, ma può essere motivo discriminante per lo studente nel caso in cui tali informazioni possano essere utilizzate dalle istituzioni scolastiche per formare, volontariamente, classi di élite e classi di «serie b»;
   l'11 settembre 2013 il Garante per la privacy ricordava alle scuole di ogni ordine e grado così come ai comuni, la necessità di predisporre con cura i moduli di iscrizione di bambini e studenti a scuole e asili, così da non chiedere alle famiglie informazioni personali eccedenti e non rilevanti;
   come riportato sulla Smart Guide del Ministero per l'anno 2014 (pagina 9, punto 6), il modulo base di iscrizione, che contiene la nota informativa valida per tutte le scuole sul trattamento dei dati personali – definita dal Miur ed immodificabile da parte della scuola –, è stato rivisto nel 2014, alla luce delle osservazioni del Garante della privacy per la protezione dei dati personali: tra le varie modifiche, è stata effettuata la cancellazione dal catalogo delle informazioni da richiedere alla famiglia inerenti il titolo di studio e la professione dei genitori, in quanto non pertinenti alla procedura d'iscrizione –:
   se sia pertinente ai fini dell'iscrizione, rispetto a qualsiasi specifico obiettivo che può essere inserito nel piano dell'offerta formativa, la richiesta della professione e del titolo di studio del genitore dello studente;
   se, in previsione delle iscrizioni del prossimo anno scolastico, il Ministro interrogato non ritenga opportuno predisporre specifiche indicazioni per evitare la richiesta di informazioni di questo genere. (5-04875)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il corso di laurea infermieristica afferente all'Università degli studi di Brescia ha attualmente quattro sezioni: Brescia, Chiari, Desenzano ed Esile;
   ad Esine, in provincia di Brescia, sede dell'ospedale, il corso di laurea in infermieristica, già corso per infermieri professionali dall'anno 1976/77, è stato attivato con deliberazione regionale n. V/64295 del 25 febbraio 1995;
   l'evoluzione formativa infermieristica in questi ultimi decenni ha visto la sezione di Esine laureare ben 375 infermieri, permettendo così alle realtà sanitarie e socio sanitarie della Valle Camonica di attingere a personale formato presso la sede camuna, ovviando così alla difficoltà di reclutamento dello stesso, correlate alle condizioni logistiche del territorio;
   la Direzione dell'Asl Vallecamonica-Sebino segnala che, a causa dei recenti decreti ministeriali del MIUR che impongono all'università degli Studi di Brescia di modificare l'attuale organizzazione del corso di laurea in questione, la sede di Esine potrebbe chiudere;
   da parte dell'università è in corso di valutazione l'ipotesi di garantire agli studenti camuni la possibilità di eseguire in loco solamente il tirocinio ed eventualmente di partecipare in video didattica ad alcuni work shop, su argomenti affrontati da centri di eccellenza. La classica didattica frontale verrebbe quindi sostituita dalla teledidattica;
   si sottolinea che la sede di Esine, che è la più decentrata rispetto a Brescia, in base a quanto informalmente comunicato dall'amministrazione universitaria, potrebbe essere l'unica delle quattro attuali a subire il taglio;
   ci si trova di fronte all'ennesima penalizzazione del territorio camuno, che vedrà costretti gli aspiranti infermieri a doversi recare a Brescia per raggiungere la loro specializzazione con conseguenti costi e disagi per le famiglie. Inoltre, verrà ulteriormente incentivato il distacco dei giovani dai luoghi di nascita con conseguente maggiore abbandono dei territori montani;
   si chiede di intervenire al fine di porre il cittadino della Valle Camonica nelle stesse condizioni di scelta degli altri cittadini bresciani; se università per via digitale deve essere, questo valga per tutte le sedi, non solo per quella camuna. L'università deve organizzarsi da subito per avviare i nuovi corsi con le stesse identiche modalità in tutte le attuali sedi; se ciò non è possibile, la sede di Esine deve essere garantita nel suo funzionamento attuale;
   la proposta di chiusura delle sede di Esine e il mantenimento delle sedi di Chiari e Desenzano, oltre che a quella di Brescia, è stata respinta dal consiglio di facoltà riunitosi il 23 febbraio 2015;
   è circolata sulla stampa la notizia secondo la quale il Ministro interrogato avrebbe manifestato disponibilità a valutare se sia possibile salvare questa esperienza –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere, per quanto di competenza, in relazione alla vicenda di cui in premessa, affinché siano salvaguardate le esigenze del territorio camuno. (4-08200)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi i vertici aziendali della Dialifluids hanno fatto recapitare delle lettere di sospensione per cinque operai che avevano scioperato;
   i 5 operai si erano resi protagonisti del blocco dell'ingresso dell'azienda;
   in una nota i sindacati sottolineano come con questo gesto sia gravissimo e metta in discussione un principio democratico come il diritto allo sciopero. Se gli operai non possono più manifestare per difendere il proprio posto di lavoro, vuol dire che si è arrivati ad un punto di non ritorno;
   lo sciopero è un diritto costituzionale. Così l'azienda sta creando una situazione di ulteriore tensione contro lavoratori che stanno cercando solo di difendere il loro posto di lavoro –:
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per approfondire le ragioni di questa vertenza al fine di svolgere un'azione di mediazione volta a tutelare l'occupazione e ad evitare odiose discriminazioni che sarebbero in contrasto con i principi costituzionali. (4-08189)


   CRIMÌ. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale Governo sta operando per ridare centralità al lavoro e in particolare ai rapporti a tempo indeterminato;
   secondo gli ultimi dati Istat la disoccupazione in Italia a dicembre ha raggiunto un tasso pari al 12,9 per cento, 42 per cento nella fascia d'età compresa tra i 15 e 24 anni;
   ci sono cittadini che versano in una condizione disagiata che rende loro molto difficoltoso, quasi impossibile, l'accesso al mondo del lavoro. Si tratta di chi è detenuto, soggetto a pene alternative, immigrato, di giovani e studenti, di disoccupati vari e da lungo tempo;
   una tipologia contrattuale che consenta di entrare nel mondo del lavoro con più facilità permetterebbe di migliorare la situazione occupazionale delle condizioni più svantaggiate;
   la nuova tipologia contrattuale, compatibile con l'iscrizione alle liste di chi cerca diversa occupazione:
    si dovrebbe fondare sul rapporto a tempo indeterminato da cui però entrambe le parti possano recedere liberamente;
    dovrebbe consentire l'applicazione di una retribuzione minima oraria di un euro, che può crescere liberamente in base ad accordi tra le parti, fino ad un massimo stipendiale di 500 euro mensili esenti da ogni imposta e contributo previdenziale;
    dovrebbe poter essere adottata da chiunque per l'assunzione di un lavoratore socialmente disagiato ogni 10 dipendenti, eccezion fatta per le onlus e le associazioni di volontariato da lasciare libere dal vincolo;
    dovrebbe prevedere una forma premiale per i detenuti, applicando loro uno sconto di pena di un giorno ogni 8 ore lavorate escludendo ogni ambito familiare;
    dovrebbe prevedere l'iscrizione assicurativa all'INAIL e solo dopo 6 mesi all'INPS –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di favorire l'inserimento nel mondo del lavoro dei più disagiati valutando la possibilità di creare una forma contrattuale dedicata come illustrata nelle premesse. (4-08196)


   PAGLIA, ZACCAGNINI, PANNARALE e MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 e 22 gennaio 2015 è svolto il referendum fra le lavoratrici e i lavoratori sull'ipotesi di accordo del Caring Service di Telecom Italia, firmato in data 18 dicembre 2014 dalla maggioranza delle Rsu del Coordinamento nazionale Telecom e dalla Segreteria nazionale SLC CGIL;
   tale accordo era relativo al nuovo modello produttivo e organizzativo e prevedeva, fra l'altro, la visualizzazione e il controllo del dato individuale da parte dell'azienda, da ottenersi attraverso «una continua attività di analisi in action ai bisogni formativi, la realizzazione di un sistema strutturato di coaching e monitoring»;
   i dati prodotti dai sistemi sarebbero quindi stati «finalizzati anche a consentire l'elaborazione del report dei dati personalizzati utili all'aggiornamento continuo degli skill posseduti e di sviluppo permanente delle competenze e capacità che sono alla base del Caring Performance Management» e quindi «oggetto di appositi incontri formali» a cadenza al massimo mensile «tra la persona e la propria linea gerarchica per la predisposizione congiunta – con il coinvolgimento della funzione People Value competente — di piani di informazione, formazione e affiancamento oltre che per l'aggiornamento degli skill posseduti»;
   si sarebbe trattato, quindi, della introduzione di un sistema di generalizzato controllo a distanza, anche in tempo reale, attraverso l'utilizzo di strumenti informatici, della efficacia dell'attività svolta dal singolo lavoratore, in contrasto evidente con quanto storicamente previsto dall'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che prescrive un divieto assoluto di impiego di impianti audiovisivi ed «altri apparecchi» al solo ed esclusivo fine di vigilare a distanza sull'altrui attività lavorativa;
   il referendum ha visto la partecipazione dell'87,18 per cento degli aventi diritto e la prevalenza del no con il 55,68 per cento dei voti, con conseguente rigetto dell'ipotesi di accordo;
   a seguito di tale esito, Telecom Italia ha comunicato alle organizzazioni sindacali l'intenzione di ritornare a quanto previsto da un accordo del 27 marzo 2013, che prevedeva «una razionalizzazione delle sedi territoriali di Caring Services, con la chiusura di alcuni presidi e la costituzione di una distinta società per l'erogazione dei servizi di caring alla clientela», in cui trasferire in tutto o in parte le lavoratrici e i lavoratori attualmente impegnati nel servizio;
   non appare accettabile tale atteggiamento che gli interroganti giudicano sostanzialmente una reazione dell'azienda, che a seguito di un voto liberamente espresso dai dipendenti anziché tornare al tavolo di trattativa per individuare una soluzione più avanzata, scelga la via del disimpegno –:
   se si ritenga compatibile con le nuove previsioni del Jobs Act quanto originalmente previsto dall'accordo in termini di controllo a distanza;
   se sia possibile che lo spin off annunciato da Telecom Italia per le attività di Care Service, che coinvolgono oltre 8.000 addetti, rientri fra le ipotesi per cui la legge di stabilità preveda la possibilità di richiedere un triennio di sgravio sui contributi;
   qualora questo sia possibile, se non si ritenga utile intervenire immediatamente anche attraverso apposite iniziative normative per evitare che operazioni a saldo zero sul piano occupazionale, originate dalla volontà di rottura di ordinate relazioni industriali, possano essere incentivate da ingenti contributi pubblici.
(4-08203)


   BERNARDO. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi 8 anni la presenza occupazionale della Alenia Aermacchi – società del gruppo Finmeccanica, sul territorio pugliese è cresciuta di 600 addetti del 2006 agli attuali 2.000 negli stabilimenti produttivi di Foggia e Grottaglie; l'indotto è valutabile in circa 1.000 ulteriori posti di lavoro;
   nell'ambito del piano di ristrutturazione e rilancio aziendale, sono stati assunti negli stabilimenti pugliesi circa 500 giovani del territorio, per garantire l'incremento delle consegne alla Boeing di sezioni di fusoliera; ulteriori sviluppi occupazionali sono previsti per il 2015;
   di particolare rilievo gli strumenti contrattuali adottati, in funzione dell'età e dell'esperienza professionale eventualmente già maturata dai candidati selezionati, e cioè il contratto di apprendistato professionalizzante ed il tirocinio formativo, tipologie contrattuali che lasciano presagire stabilizzazioni a tempo indeterminato;
   il piano industriale nel triennio 2012-2014 ha consentito un investimento nei citati stabilimenti di circa 300 milioni di euro per impianti fissi, macchinari, attrezzature;
   per la copertura congiunturale di picchi di produzione Alenia Aermacchi è ricorsa a operatori aeronautici provenienti dalla Romania, sia pure adottando a partire dal 2014 un piano di sostituzione dei lavoratori rumeni con operatori italiani, senza procedere ad una ricognizione delle competenze disponibili sul territorio nazionale;
   viceversa in Campania il piano industriale Alenia-Aermacchi ha previsto un processo di graduale uscita dall'azienda e di collocamento in mobilità di accompagnamento alla pensione di circa i 300 lavoratori. Nella medesima regione peraltro non sono state realizzate nuove assunzioni –:
   quali iniziative intendano adottare, ciascuno per quanto di competenza, al fine di garantire, anche nel quadro dell'annunciata riorganizzazione di Finmeccanica, un maggiore intervento industriale ed occupazionale di Alenia-Aermacchi nella regione Campania;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire sulla società pubblica, chiedendo, nel rispetto dei princìpi della normativa europea, ad Alenia-Aermacchi che le necessità occupazionali il derivanti dai picchi di produzioni siano coperte utilizzando manodopera reperita sul territorio nazionale. (4-08205)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 381 della legge 23 dicembre 2014 n. 190, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità per l'anno 2015) prevede l'incorporazione dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), che assume la denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, subentrando nei rapporti giuridici attivi e passivi dell'INEA, ivi inclusi i compiti e le funzioni ad esso attribuiti;
   l'incorporazione è finalizzata alla razionalizzazione del settore della ricerca e al contenimento della spesa, attraverso un piano di efficientamento organizzativo ed economico la cui stesura è stata delegata al Commissario straordinario come previsto dal sesto periodo del sopracitato articolo 1, comma 381;
   nelle more dell'adozione del piano riorganizzativo la legge di stabilità, oltre alla riduzione di 3 milioni di euro a decorrere dal 2015 (comma 383), opera, al comma 252 (allegato 6), una ulteriore riduzione dei contributi al CRA pari a 1 milione a decorrere dall'anno 2015, riducendo come ulteriore misura di risparmio, i contributi agli enti ed organismi vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di cui all'articolo 1, comma 43 della legge n. 549 del 1999, di 50 mila euro, sempre a decorrere dall'anno 2015;
   il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con decreto n. 12 del 2 gennaio 2015 ha provveduto alla nomina del dottor Salvatore Parlato quale commissario straordinario del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria;
   in ottemperanza all'articolo 1, comma 381, della citata legge n. 190 del 2014, il commissario straordinario ha il compito di predisporre, entro centoventi giorni dalla data della sua nomina, un piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura, lo statuto del Consiglio e gli interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica, finalizzati all'accorpamento, alla riduzione e alla razionalizzazione delle strutture e delle attività degli enti, prevedendo un numero limitato di centri per la ricerca e la sperimentazione, a livello almeno interregionale, su cui concentrare le risorse della ricerca e l'attivazione di convenzioni e collaborazioni strutturali con altre pubbliche amministrazioni, regioni e privati, con riduzione delle attuali articolazioni territoriali pari ad almeno il 50 per cento e riduzione delle spese correnti pari ad almeno il 10 per cento, rispetto ai livelli attuali;
   il commissario straordinario, con decreto n. 3 del 21 gennaio 2015 al fine di assicurare la continuità dell'azione amministrativa e scientifica facente capo all'ente incorporato, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 2003, n. 97, ha invece istituito, il «centro di responsabilità amministrativa Inea» (CRAI), fino alla definitiva organizzazione ai sensi della legge n. 190 del 23 dicembre 2014;
   quanto alle necessarie risorse finanziare, secondo il predetto decreto «il CRAI è centro di spesa dotato di autonomia di bilancio nell'ambito delle risorse assegnate a legislazione vigente all'ente incorporato e gestisce un apposito conto corrente di bilancio aperto presso l'istituto di credito incaricato del servizio di cassa del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, in sostituzione di ogni altro rapporto bancario esistente»;
   quanto all'organizzazione del centro di responsabilità amministrativa il decreto nomina la dottoressa Laura Proietti titolare del CRAI in ragione delle competenze e dell'esperienza professionale possedute, sostenendo che l'incarico non determina maggiori oneri rispetto a quelli attualmente sostenuti dall'ente incorporato per le funzioni di direttore generale;
   il trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie dell'INEA, secondo il comma 381, dovrebbe essere definito da un decreto interministeriale da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità, anche sulla base del bilancio di chiusura dell'Ente, che dovrà essere approvato entro 60 giorni dalla data di chiusura dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2014;
   il già direttore generale pro tempore dell'INEA ha fatto presente al consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria la mancanza di disponibilità finanziaria in capo all'Ente incorporato per assicurare la continuità dell'azione amministrativa e scientifica facente capo all'ente stesso –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei motivi che hanno portato il commissario straordinario del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria a procedere all'istituzione del centro di responsabilità amministrativa Inea (CRAI), ricostituendo, di fatto, la precedente separazione tra INEA e CRAI seppure all'interno del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria posto che questa decisione appare in contraddizione con le finalità di risparmio e di revisione della spesa che hanno ispirato la disciplina di cui in premessa;
   se il decreto n. 3 del 21 gennaio 2015 sia o meno in linea con le procedure individuate dalla legge di stabilità per la riorganizzazione del Consiglio che prevedono l'emanazione di un decreto interministeriale entro i primi giorni di aprile per il trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie dell'INEA e l'approvazione del bilancio di chiusura dell'INEA entro i primi di marzo;
   a che punto sia il piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura che il commissario dovrebbe predisporre. (5-04870)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PICCIONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la normativa attualmente vigente in tema di criteri relativi ai titoli in possesso di medici operanti nelle strutture private convenzionate sul territorio risulta complessivamente lacunosa e poco chiara;
   partendo dal presupposto dell'equiparazione tra strutture pubbliche e private convenzionate con il servizio sanitario nazionale, si sono verificati casi di adozione di provvedimenti di sospensione nei confronti di professionisti – anche con carriere professionali più che decennali – poiché essendosi costoro laureati in medicina e chirurgia e abilitati all'esercizio della professione in epoca antecedente al 1997 – anno in cui veniva istituito l'obbligo della specializzazione – sono stati ritenuti inidonei alla prosecuzione della propria attività presso le case di cura a causa della mancanza del suddetto titolo di specializzazione;
   la maggior parte dei medici operanti in strutture private accreditate con il servizio sanitario nazionale, ha svolto la propria professione a rapporto libero-professionale, sebbene la tipologia del rapporto di lavoro avesse tutti i caratteri della continuità, coordinazione ed anche subordinazione con turni di lavoro organizzati con presenze stabilite e continuative anche nei festivi e notturni e con un monte ore solitamente non inferiore alle 30 ore settimanali;
   desta dunque preoccupazione la situazione di tutti quei professionisti che essendosi laureati in medicina e chirurgia e abilitati all'esercizio della professione in epoca antecedente all'obbligo della specializzazione rischiano oggi di essere discriminati nei propri diritti rispetto ai medici specializzati, pur avendo nel frattempo esercitato la professione con modalità di tipo libero professionale presso case di cura private accreditate con il servizio sanitario nazionale, per un periodo non inferiore alla durata di un corso di specializzazione, ovvero qualora, per una durata di tempo equivalente, abbiano effettuato un percorso di formazione a titolo di volontariato in una qualsiasi struttura sanitaria;
   in data 31 luglio 2014 nella seduta n. 276 in sede di approvazione dell'AC 2486 finalizzato alla conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/2486 a prima firma dell'interrogante ove si chiedeva un impegno a valutare l'opportunità di prevedere l'esenzione dall'obbligo della specializzazione, ai fini dello svolgimento della professione nelle strutture accreditate col servizio sanitario nazionale, per tutti i laureati in medicina e chirurgia abilitati all'esercizio della professione in epoca antecedente al 1997 – anno in cui veniva istituito l'obbligo della specializzazione – qualora abbiano operato con modalità di tipo libero professionale, coordinata e/o continuativa presso case di cura private accreditate con il servizio sanitario nazionale, per un periodo non inferiore alla durata della corrispondente specializzazione;
   ormai sono passati più di sei mesi dall'approvazione dell'ordine del giorno in questione e non risulta che il Governo abbia dato seguito all'impegno preso –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di risolvere questa annosa questione che ormai si trascina da anni.
(5-04866)


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRILLO, COLONNESE, PISANO, LOREFICE e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ad agosto 2014, il Ministero della salute ha pubblicato le coperture vaccinali a 24 mesi d'età, relative all'anno 2013 (coorte di nascita 2011) e riguardano la maggior parte delle vaccinazioni offerte attivamente e gratuitamente alla popolazione, secondo il Piano nazionale della prevenzione vaccinale (Pnpv) 2012-2014, ovvero poliomielite, tetano, difterite, epatite B, pertosse, Haemophilus influenzae b, morbillo, parotite e rosolia. Tra queste, le prime 4 sono considerate vaccinazioni obbligatorie;
   dai dati pubblicati sul sito dell'Istituto superiore di sanità risulta che la copertura vaccinale dei bambini entro i 24 mesi è in netto calo. Infatti l'Istituto superiore di sanità afferma che emergerebbe un quadro preoccupante, dal confronto tra le coperture attuali con quelle degli anni precedenti, registrando una flessione delle coperture medie nazionali per quasi tutte le vaccinazioni, con valori che raggiungono il livello più basso degli ultimi 10 anni;
   in un articolo, del 2 febbraio 2015 su il quotidiano on line repubblica.it, sono riportate le dichiarazioni del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, la quale ha definito il calo della copertura vaccinale un serio problema di sanità pubblica. In diminuzione è anche la vaccinazione, consigliata, contro il morbillo, tanto che gli esperti dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno richiesto un incontro urgente al Ministro della salute;
   l'Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (Waidid), denuncia il ritardo dell'Italia, rilevando che i nostri dati risultano ancora incompleti e per questo l'Oms, ha chiesto un incontro urgente con il Ministro della salute a marzo;
   il reparto di epidemiologia delle malattie infettive, Cnesps-Iss afferma che «L'andamento in netta diminuzione delle coperture a 24 mesi non può essere ignorato, anche alla luce delle recenti recrudescenze di malattie ritenute sotto controllo o eliminate. È fondamentale quindi indagare a fondo i motivi di questo fenomeno (errata percezione nella popolazione dell'importanza delle vaccinazioni, effetto della incessante campagna mediatica in atto contro le vaccinazioni da parte dei cosiddetti anti-vaccinatori ?), analizzando i dati anche a livello micro (Asl, distretto) per identificare situazioni di maggior rischio, capirne le ragioni e mettere in atto interventi in grado di contrastare questa tendenza. In particolare, la constatazione che la copertura per il vaccino Mpr (Morbillo – parotite – rosolia) è diminuita in maniera più consistente rispetto agli altri vaccini, rende indispensabile interventi urgenti»;
   a parere dell'interrogante l'informazione sui vaccini risulta un elemento fondamentale per una scelta consapevole, i timori sulle controindicazioni si stanno espandendo, e probabilmente causando la riduzione della copertura vaccinale;
   le paure dei genitori sugli effetti ed i rischi di contrarre malattie perfino più gravi e irreversibili di quelle da cui ci si vuole proteggere con le vaccinazioni, non sembra siano irrazionali, infatti ci sono state due sentenze che provano la sussistenza del nesso causale tra il vaccino e l'insorgenza dell'autismo. Nello specifico:
    il tribunale di Rimini, sezione lavoro, con la Sentenza n. 148/2012 del 15 marzo 2012, accertato che il minore Valentino Bocca è stato danneggiato da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazione (profilassi trivalente morbillo – parotite – rosolia) con diritto all'indennizzo di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 210 del 1992, (assegno vitalizio reversibile per 15 anni), condanna il Ministero della salute in persona del ministro in carica a corrispondere l'indennizzo previsto dagli articoli 1 e 2 della legge 210/1992;
    il 23 settembre 2014 il tribunale del lavoro di Milano ha condannato il Ministero della salute a versare un a versare per tutta la vita un assegno bimestrale al bambino affetto da autismo a cui nel 2006 fu iniettato il vaccino esavalente, a seguito dell'esistenza di «un nesso causale» tra l'iniezione del vaccino esavalente Infanrix Hexa Sk e l'autismo. Citando la perizia del medico legale Alberto Tornatore, nominato dal Tribunale, «è probabile, in misura certamente superiore al contrario che il disturbo autistico del piccolo sia stato causato, o almeno concausato, sulla base di un polimorfismo che lo ha reso suscettibile alla tossicità di uno o più ingredienti (o inquinanti) dal vaccino Infrarix Hexa Sk». Il perito fa notare anche il criterio cronologico, ovvero «la stretta successione temporale tra la presenza della malattia e le iniezioni del vaccino»;
   numerosi sono i siti in cui sono presenti presunte prove sul nesso tra l'autismo e i vaccini esavalenti ma non sembra sia presenti informazioni prontamente accessibili sui siti istituzionali del Ministero della salute o dell'Istituto superiore di sanità circa gli effetti indesiderati dei suddetti vaccini;
   il sito del Ministero della salute informa che come tutti i farmaci anche i vaccini possono causare effetti indesiderati, ma questi sono, nella maggior parte dei casi, di lieve entità e transitori, consistendo per lo più in febbre e reazione infiammatoria nel punto di inoculazione: tali effetti collaterali possono essere agevolmente trattati e prevenuti con antinfiammatori ed antipiretici. Eventi avversi più seri si manifestano solo molto raramente (un caso ogni migliaia o milioni di dosi somministrate). Alcuni eventi segnalati in associazione con le vaccinazioni sono così rari che è impossibile valutare la dimensione del rischio e provare l'esistenza di un effettivo rapporto di causalità con queste. Un reale rapporto causa-effetto tra lesioni invalidanti e vaccinazioni è stato dimostrato soltanto nel caso dell'associazione tra vaccinazione antipoliomielitica orale (OPV) e polio paralitica associata a vaccino –:
   se e quali misure il Ministro intenda assumere affinché una completa informazione istituzionale generi una scelta consapevole e serena da parte dei genitori;
   quali sono gli eventi avversi anche rari che si sono manifestati a seguito dei vaccini esavalenti;
   se sia stata eseguita un'attività di monitoraggio da parte del Ministero degli effetti avversi in seguito alla vaccinazione esavalente e qualora fossero stati rilevati tali dati di renderne noto il resoconto;
   date le sentenze menzionate in premessa, del tribunale del lavoro di Rimini e di Milano che provano il nesso causale tra il vaccino esavalente o MPR (morbillo — parotite — rosolia) alla sindrome autismo, se non ritenga corretto informare che potrebbe esistere anche una minima percentuale di rischio di contrarre autismo a seguito di vaccini;
   visto la confusione causata dalla poca chiarezza, se non ritenga preferibile sostituire le campagne pubblicitarie in atto con campagne informative sui possibili rischi e benefici dei vaccini;
   cosa intenda riferire il Ministro della salute all'organizzazione mondiale della sanità in merito alla riduzione della copertura vaccinale in Italia. (5-04867)


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la peste suina Africana (PSA) è una malattia altamente contagiosa dei suini domestici e selvatici, non trasmissibile all'uomo, causata da un virus a DNA, genere asfavirus, appartenente alla famiglia degli asfaviridae;
   la direttiva 2002/99/CE del Consiglio del 16 dicembre 2002 stabilisce che, relativamente alla peste suina africana, un trattamento di fermentazione e di stagionatura naturali di almeno 190 giorni per i prosciutti sia sufficiente per eliminare qualsiasi rischio specifico derivante dalla malattia;
   la direttiva in oggetto, dunque, consente che prosciutti così trattati possano essere prodotti, trasformati e distribuiti anche se provenienti da un territorio, come attualmente è quello della Sardegna, soggetto a restrizioni per motivi di polizia sanitaria;
   successivamente, la decisione 2005/363/CE del 2 maggio 2005 e le modifiche apportatevi dalla decisione 2011/852/UE del 15 dicembre 2011 hanno cambiato la situazione, con un inasprimento non giustificato da chiare evidenze scientifiche;
   a causa di queste modifiche in Sardegna non è attualmente possibile in nessun caso lavorare e esportare prosciutti di carne suina proveniente da allevamenti sardi, anche se sottoposti a un trattamento di fermentazione e di stagionatura naturali di almeno 190 giorni, il che causa ingenti danni economici ai singoli operatori e all'economia della regione;
   la regione Sardegna sta affrontando con determinazione la situazione, attivandosi per pervenire finalmente all'eradicamento della peste suina africana in Sardegna;
   è apprezzabile la collaborazione che si è venuta a creare di recente tra la regione Sardegna ed il Ministero della salute;
   non ancora risolta, però, la questione della commercializzazione al di fuori della Sardegna di carni suine trattate termicamente (cosiddetti «porcetti termizzati»), che non presentano rischi correlati alla peste suina africana;
   si comprende bene la prudenza del Ministero al riguardo, ma non si può non rilevare l'importanza per la Sardegna della questione, anche in vista dell'Expo di Milano;
   in proposito si apprende che per quell'occasione sarà possibile importare, in accordo con le specifiche procedure che verranno messe in atto dall'Italia, alimenti di origine animale provenienti da Paesi extra-Ue, anche se non conformi con i requisiti sanitari europei, a condizione che quegli alimenti siano destinati ad essere consumati esclusivamente nell'ambito dell'Expo;
   in tal modo molti Paesi che si vedono normalmente precluse le esportazioni di alimenti di origine animale potranno far conoscere i loro prodotti a milioni di visitatori, ed a operatori commerciali di tutto il mondo –:
   se il Ministro interrogato non intenda, per quanto di sua competenza, attivare procedure simili a quelle previste per i prodotti alimentari dei Paesi extra-Unione europea, in modo da assicurare che i prodotti a base di carni suine sarde, trattati termicamente, vengano introdotti e consumati nell'ambito dell'Expo, utilizzando lo stesso sistema di canalizzazione sopra ricordato, tenendo anche conto che non esistono ostacoli dal punto di vista politico e tecnico. (5-04868)


   SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, LUIGI GALLO, MICILLO, COLONNESE, PISANO, LOREFICE, DI VITA e TOFALO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012, l'Asl Napoli 3 Sud ha acquistato, tramite convenzione Consip, due T.A.C. «Brightspeed Élite» fornite dalla ditta «GE» – da installate presso i presidi ospedalieri di Castellammare di Stabia e di Boscotrecase;
   attualmente, presso l'ospedale «San Leonardo» di Castellammare di Stabia viene utilizzata una TAC (marca «Siemens» – modello «Somaton Emotion Duo») di vecchia tecnologia, che, su disposizione della direzione aziendale, dovrà essere trasferita presso l'ospedale di Vico Equense;
   nel 2013 è stata autorizzata dal direttore generale, dottor Maurizio D'Amora (determinazioni dirigenziali n. 079/GTO, n. 087/GTO, 176/GTO), la redazione di specifici progetti per l'allestimento dei locali, sia dal punto di vista strutturale che impiantistico, necessari per il corretto funzionamento delle due T.A.C. «Brightspeed Élite» destinate ai presidi di Castellammare di Stabia e di Boscotrecase, nonché per quella da trasferire all'ospedale di Vico Equense, per un importo complessivo di euro 1.000.000 come da autorizzazione di spesa n. 322/2013 sul conto n. 101020210;
   la spesa necessaria per l'adeguamento funzionale della sala TAC al piano rialzato dell'ospedale di Boscotrecase è stata di euro 411.442,54, mentre per l'esecuzione del progetto di allestimento della sala TAC all'ospedale di Vico Equense è stata impegnata la somma di euro 241.057,55 e ulteriori euro 343.445,21 per lavori di manutenzione straordinaria per la trasformazione funzionale della TAC all'ospedale di Castellammare;
   il quotidiano Metropolis, in un articolo pubblicato il 19 febbraio 2015, riferisce che «è stato speso circa un milione di euro e per acquistare le due T.A.C. attualmente parcheggiate presso un deposito della Siemens, azienda che ha prodotto questi due macchinari di ultimissima generazione e molto al di sopra delle normali TAC»;
   la T.A.C. attualmente a disposizione all'ospedale di Castellammare di Stabia è soggetta a continui guasti, l'ultimo si è verificato i primi di febbraio 2015, l'apparecchio è stato riparato in dieci giorni e il 13 febbraio è stato rimesso in funzione, ma dopo mezz'ora e si è bloccato di nuovo;
   secondo quanto riportato dal giornale on line www.positanonews.it il 14 febbraio 2015 l'Asl si è ritrovata di fronte a una situazione di emergenza che comporta un ulteriore esborso di denaro pubblico per la riparazione;
   sul sito positanonews.it si continua a leggere: «Castellammare resta in una situazione critica, in quanto c’è da registrare un boom di trasferimenti in altri ospedali per sottoporre i pazienti a esami con la conseguenza che anche le ambulanze sono spesso e volentieri occupate per i trasbordi»;
   il trasferimento obbligato degli utenti dal presidio di Castellammare all'ospedale di Boscotrecase è previsto dal provvedimento del 17 febbraio 2015 (numero di protocollo 0019964) a firma del commissario straordinario dell'Asl Na 3 Sud, Salvatore Panaro, che ha avviato la procedura di mobilità d'urgenza per 5 tecnici di radiologia da Castellammare a Boscotrecase dal 1o marzo 2015 per la durata di 30 giorni;
   inoltre sembra che nessun trasferimento della TAC dall'ospedale di Castellammare al presidio di Vico Equense sia stato ancora effettuato –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere, per quanto di competenza e anche per il tramite il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, al fine di garantire il diritto alle cure gratuite per gli indigenti ex articolo 32 della Costituzione, tutelare i livelli essenziali di assistenza e ridurre le liste di attesa, anche alla luce delle criticità derivanti dal trasferimento degli utenti di Castellammare nel presidio di Boscotrecase;
   se, anche in considerazione delle esigenze di razionalizzazione della spesa imposte dal piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, le spese per l'allestimento della sala Tac nell'ospedale Vico Equense destinate ad accogliere la tomografia assiale computerizzata modello «Somaton Emotion Duo» della Siemens, siano state effettuate secondo principi di economicità ed efficienza, tenendo conto del mancato trasferimento di un apparecchio tra l'altro anche obsoleto. (5-04873)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, ZOLEZZI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, TERZONI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, SPESSOTTO, SORIAL, GAGNARLI, BENEDETTI, CECCONI, NICOLA BIANCHI, FANTINATI, MANLIO DI STEFANO, COLLETTI, COMINARDI, AGOSTINELLI, SIMONE VALENTE, PESCO, COLONNESE, CASO, BRUGNEROTTO, PAOLO BERNINI, CARIELLO, SARTI, BONAFEDE, FERRARESI, BUSINAROLO, CASTELLI, CHIMIENTI, LOMBARDI, SIBILIA, NESCI, CARINELLI, BATTELLI, CIPRINI, DELLA VALLE, VALLASCAS, PISANO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRANDE, SCAGLIUSI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il coroner britannico Stanhope Payne, che secondo la legge britannica e americana indaga sulle morti non dovute a cause naturali, stabilisce che la morte a 43 anni del pilota Richard Westgate della British Airways possa essere stata causata dall'aria contaminata respirata in cabina nel corso di anni di lavoro;
   il coroner Payne invia un dettagliato rapporto alla compagnia di bandiera e alla Caa, l'Autorità dell'aviazione civile, affinché siano presi provvedimenti;
   numerosi sono gli studi scientifici effettuati dalla fine degli anni settanta che cercano di stabilire se un abitacolo contaminato possa determinare problemi cronici di salute;
   questi studi dimostrano che la «sindrome aerotossica» porta molti passeggeri di voli civili ad ammalarsi, ad essere colpiti da una serie di sintomi a breve e a lungo termine quali affaticamento, visione offuscata, perdita dell'equilibrio, convulsioni, disturbi della memoria, mal di testa, «formicolii», confusione, nausea, diarrea, difficoltà respiratorie, irritazione degli occhi, del naso e delle vie aeree superiori;
   un numero crescente di esperti avvertono che «anche la costante e» prolungata «micro» esposizione è pericolosa e può portare a problemi neurologici a lungo termine, tumori cerebrali e alle vie respiratorie;
   l'autopsia e il rapporto del coroner hanno dimostrato che la morte di Westgate, avvenuta nel 2012, sia «stata» causata dell'inalazione prolungata di «mix chimici» nocivi e di neurotossine come il fosfato tricresile;
   la contaminazione della qualità dell'aria nelle cabine degli aerei commerciali deriva infatti prevalentemente dalla decomposizione, provocata dal calore (Pirolisi), di alcune specifiche sostanze organiche presenti nei lubrificanti, che gocciolando sulle parti bollenti dei motori (>650 gradi centigradi) si trasformano diventando altamente tossiche ed entrano, senza barriere filtranti, nelle cabine e nel cockpit degli aerei attraverso l'impianto di condizionamento (bleed air) dell'aereo;
   «non» si è mai palesata da parte dei Governi la volontà di affrontare seriamente la questione, la ricerca scientifica non viene incoraggiata e non esistono orientamenti nazionali per le procedure «preventive, di segnalazione eventi specifici, né di diagnostiche» –:
   quali interventi intraprenderanno i Ministri interrogati al fine di «prevenire, eliminare o controllare» i rischi alla salute associati all'aria contaminata nei velivoli, visto il crescente numero di prove a dimostrazione del problema;
   quali saranno gli orientamenti della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro prevista dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, noto come testo unico di salute e sicurezza sul lavoro, per far fronte a questa problematica;
   quali azioni saranno intraprese dal Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro nell'ambito degli interventi previsti dai Piani regionali di attuazione del Piano nazionale di prevenzione;
   se gli organismi preposti non intendano porre l'attenzione sulla sindrome aerotossica e inserirla come nuova tipologia nell'elenco delle malattie professionali. (4-08179)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   al deputato interrogante sono giunte numerosissime segnalazioni di alcuni cittadini affetti da epatite C, 200 mila per la sola regione Campania e circa un milione e mezzo in Italia, concernenti la distribuzione dei farmaci anti epatite di nuova generazione;
   da circa un anno sarebbe arrivata la tanto attesa approvazione dei farmaci anti epatite: Simeprevir (prodotto dalla Janssen, Gruppo Johnson & Johnson, nello stabilimento di Latina), diventato disponibile in Italia solo da qualche giorno e il Sofosbuvir (prodotto dalla statunitense Gilead) diventato disponibile in Italia ad ottobre;
   i due farmaci assunti in combinazione tra loro, garantiscono la cura dell'epatite C in oltre il 90 per cento dei casi, anche in stadi della malattia molto elevati;
   per garantire una cura completa con i predetti medicinali la spesa medica è di circa 45 mila euro per Simeprevir e di 40-60 mila euro per il Sofosbuvir, per un totale di oltre 80.000 di spesa per ogni paziente;
   lo stanziamento specifico di fondi che garantisce questo acquisto è contenuto nella legge di stabilità per il 2015 (commi da 593 a 598 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190) e consiste in un miliardo di euro nei prossimi tre anni, che dovrebbe consentire di trattare, con spesa a carico della sanità pubblica, un numero molto esiguo di pazienti;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante; nelle more di queste lunghe attese e complice la disperazione di una soluzione esistente, ma inaccessibile ai più, già da tempo diversi malati ricorrono all'acquisto privato dei farmaci presso la Repubblica di San Marino oppure presso la Città del Vaticano, dove tali farmaci sono disponibili ai prezzi di mercato, mentre ai meno fortunati economicamente tocca la morte;
   nella regione Campania, ad esempio, risulta al deputato interrogante che con decreto del presidente della regione Stefano Caldoro, commissario di governo per la sanità, è stato approvato soltanto nei giorni scorsi l'elenco dei centri autorizzati a prescrivere il farmaco «Sovaldi» (sofosbuvir) per la cura dell'epatite cronica C e che le strutture autorizzate sono complessivamente 25, di cui 3 ad Avellino, 1 a Benevento, 4 a Caserta, 12 a Napoli e 5 a Salerno. Il farmaco antiepatite è soggetto a prescrizione medica limitativa ed è vendibile al pubblico su prescrizione dei centri ospedalieri o di specialisti, ovvero internista, infettivologo, gastroenterologo;
   sempre secondo quanto segnalato al deputato interrogante, è stata assegnata alla regione Campania una quota provvisoria di soli 15 trattamenti completi, cioè solo 15 malati potranno accedere al trattamento che consente la guarigione e la regione stessa subordina i trattamenti ai residenti in altre regioni all'acquisizione dell'autorizzazione rilasciata dalla regione di provenienza;
   in particolare, è stato segnalato al deputato interrogante un caso esemplare, ovvero quello di una signora, affetta da epatite C a causa di una trasfusione di sangue infetto, intollerante all'interferone, inizialmente inclusa nella liste per le cure compassionevoli, che è in attesa perché i farmaci di cui sopra sono al momento disponibili in Lombardia, Toscana, Abruzzo e Veneto, ma non nelle altre regioni;
   trascorsi diversi mesi in una situazione terribile in cui le condizioni generali della paziente si sarebbero potute deteriorare da un momento all'altro, viene comunicato alla signora che non le potrà essere somministrato il farmaco nella struttura romana presso la quale è in cura in quanto non residente nel Lazio e che dovrà fare apposita richiesta presso un centro prescrittore autorizzato dalla regione di appartenenza, prospettandole, in alternativa, la possibilità di modificare la propria residenza;
   si tratta di una situazione evidentemente paradossale, soprattutto se si considera che è in ballo la vita di persone che sanno che esiste la cura per la loro patologia, ma non riescono ad accedervi per questioni di tipo economico;
   peraltro, ci si trova dinnanzi ad una violazione dei diritti che rischia di comportare il proliferare di contenziosi nei confronti del Ministero della salute e delle amministrazioni pubbliche con una spesa che rischierebbe, beffardamente, di essere più onerosa di quella necessaria per garantire la cura a tutti i pazienti –:
   se il Ministro della salute sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga doveroso intervenire con gli strumenti a sua disposizione – con particolare riferimento alla determinazione dei livelli essenziali di assistenza, di cui alla lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione – per ripristinare una situazione che consenta una adeguata tutela della salute senza creare discriminazione tra regioni e tra soggetti e che elimini le possibilità di un alternativo mercato nero, di liste di accesso per privilegiati che potrebbero incentivare la corruzione e la speculazione a danno della salute, scongiurando anche il rischio del contenzioso delineato in premessa;
   se il Ministro della salute non ritenga di attivarsi con la massima urgenza per:
    avviare le opportune trattative con le case farmaceutiche produttrici di questo innovativo farmaco salvavita per ottenere una convenzione e/o uno sconto sul prezzo di vendita;
    ottenere, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, un significativo aumento delle risorse a disposizione, anche in considerazione del risparmio prodotto in capo al servizio sanitario nazionale dalla guarigione di un numero così elevato di malati;
    più in generale, rimuovere tutti gli ostacoli che attualmente impediscono l'immediato accesso ai nuovi farmaci per la cura epatite C, affinché il trattamento possa essere accessibile a tutti i malati consentendo così di procedere immediatamente alla somministrazione dei farmaci per tutti i casi conclamati di epatite C. (4-08186)


   CASTELLI, D'UVA, MANNINO, DI VITA, RIZZO, CANCELLERI, LOREFICE e MARZANA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il TAR Palermo, con la Sentenza n. 461/2015 ha accolto i ricorsi presentati da Legambiente, del coordinamento regionale dei Comitati No MUOS e dal Movimento No MUOS Sicilia contro il provvedimento della regione Siciliana del 24 luglio 2013, la cosiddetta «revoca delle revoche» che aveva ridato via libera ai lavori per il completamento del MUOS. Ha inoltre rigettato i due ricorsi del Ministero della difesa contro i provvedimenti di «revoca» emessi in data 29 marzo 2013 dalla Regione siciliana, che i lavori per il MUOS avevano bloccato;
   il TAR – organo che delibera su questioni amministrative – ha accolto i ricorsi basandosi sui vizi delle autorizzazioni originarie (emesse in data 1 e 11 giugno 2011 dalla Regione Siciliana, presidente allora Raffaele Lombardo) perché:
    1) carenti di validi studi sui rischi per la popolazione e l'ambiente;
    2) prive totalmente di studi riguardo i rischi per il traffico aereo;
   inoltre, l'autorizzazione paesaggistica, necessaria per la realizzazione dell'opera all'interno di un sito protetto (in zona A della riserva naturale orientata Sughereta di Niscemi ed all'interno di un SIC – Sito di interesse comunitario), era frattanto scaduta e non rinnovata;
   il TAR rileva per tutti questi motivi che i lavori sono iniziati e proseguiti in assenza di valido titolo autorizzativo e si devono qualificare, quindi, come abusivi;
   i giudici del TAR concludono che la «revoca delle revoche», intervenuta il 24 luglio 2013 non consentiva comunque la ripresa dei lavori, in quanto l'annullamento intervenuto il 29 marzo 2013 richiedeva in ogni caso un nuovo iter autorizzativo e, in particolare, l'acquisizione di una nuova valutazione di incidenza ambientale e di un nuovo nullaosta paesaggistico, oltre tutti i pareri e nullaosta da acquisirsi in conferenza dei servizi: la ripresa dei lavori avvenuta a partire dal luglio 2013 era pertanto avvenuta in condizioni di abusivismo;
   il TAR si pronuncia anche sugli aspetti tecnici, in particolare, afferma che la regione siciliana, nella redazione della «revoca delle revoche» ha utilizzato soltanto parzialmente lo studio dell'ISS (Istituto superiore della sanità), perché:
    a) non ha tenuto in conto degli aspetti critici contenuti nello stesso Rapporto dell'Istituto superiore di sanità;
    b) ha omesso di valutare il parere discordante dei tecnici incaricati dalla Regione, Mario Palermo e Massimo Zucchetti, partecipanti al tavolo di lavoro con l'Istituto superiore di sanità. I due tecnici avevano redatto una loro Relazione che esprimeva forti perplessità sugli aspetti di carattere ambientale, legati principalmente ma non solo all'emissione di radiazioni elettromagnetiche. La Relazione faceva parte integrante della documentazione che ISS aveva correttamente trasmesso alla regione siciliana nel luglio 2013;
    c) l'ENAV (Ente nazionale aviazione civile) non ha dato alcuna esaustiva risposta riguardo ai rischi per il traffico aereo, né in corso autorizzativo e neppure durante il procedimento;
   da queste premesse gli interroganti traggono le seguenti conclusioni:
    a) i lavori del MUOS sono da considerare integralmente abusivi perché le autorizzazioni sono annullate con provvedimenti della regione del 29 marzo 2013, il MUOS insiste ora in zona A della RNO Sughereta di Niscemi sicché simili opere sarebbero vietate dal regolamento e conseguentemente è da escludere che possa provvedersene ora all'autorizzazione;
    b) ad oggi non esistono valide valutazioni dell'impatto sul traffico aereo. Fino all'ultimo atto depositato al TAR l'ENAV ha chiarito che il MUOS interferirebbe con 12 rotte fra gli aeroporti di Comiso, Sigonella e Catania, ma di non poter rispondere sul quesito se questo possa danneggiare le strutture e le strumentazioni o essere pericoloso per i passeggeri. Il verificatore del TAR, professor Marcello D'Amore, ha affermato che non è provato che tale rischio sia scongiurato restando Sigonella nel campo vicino del MUOS (67 chilometri);
    c) come evidenziato anche dall'Istituto superiore di sanità non esistono studi sull'esposizione ai campi elettromagnetici nel lungo periodo. Le Relazioni di Palermo e Zucchetti, integrate anche dai più ampi studi redatti da un gruppo di 10 tecnici indipendenti — consulenti dei comuni e della Associazioni nel ricorso al TAR e relazionate da Zucchetti in audizioni in Commissione Sanità del Senato della Repubblica (24 marzo 2014) e Commissione Difesa della Camera dei deputati (14 maggio 2014) mettono in evidenza i gravi rischi per la salute delle popolazioni inerenti ad esposizioni acute in seguito ad incidente ed esposizioni prolungate in seguito a normale funzionamento. Inoltre, le relazioni mettono in evidenza che non sono state considerate le possibili interazioni con altre fonti inquinanti quale può essere il vicino petrolchimico di Gela. La gran parte delle obiezioni tecniche nelle Relazioni sopra citate — e depositate anche durante il procedimento al TAR dai ricorrenti — sono state confermate nelle due relazioni di verificazione del professor D'Amore;
    d) il MUOS non ha alcun interesse per la difesa nazionale: esso non è ancora in funzione non essendo in orbita tutti i satelliti necessari per il suo funzionamento, e il programma MUOS è in grave ritardo e richiede ancora tempi piuttosto lunghi. Inoltre non se ne conoscono bene né le modalità di funzionamento né gli scopi. Poi, si tratta di installazione ad uso esclusivo del Governo degli Stati Uniti d'America, e non dell'Italia né della NATO;
    e) poiché il Governo italiano non ha sul MUOS alcun potere di controllo né possibilità di accedere all'utilizzazione, la sua realizzazione è avvenuta in forza di accordi non approvati dal Parlamento e, per questo, secondo gli interroganti illegittimi a seguito del disposto degli articoli 80 e 87 della Costituzione e non sorretti da quel regime di reciprocità che legittima le cessioni di sovranità secondo l'articolo 11 della Costituzione stessa;
    f) sebbene la sentenza sarà probabilmente oggetto di appello, essa è in immediata applicazione. Nei prossimi giorni il «legal team» che ha promosso il procedimento al TAR diffiderà tutte le amministrazioni interessate: Ministero della difesa, regione siciliana, soprintendenza di Caltanissetta, Agenzia delle foreste demaniali a far osservare la sentenza pervenendo all'immediato spegnimento dell'impianto in vista della sua demolizione –:
   se il Governo intenda porre in essere ogni azione utile e scrupolosa di competenza al fine di rimuovere il danno già determinatosi, nonché per conseguire il blocco dei lavori del Muos e lo spegnimento delle antenne NRTF esistenti, richiedendo il monitoraggio costante e continuo del sito sui limiti delle emissioni elettromagnetiche;
   se il Governo intenda promuovere l'effettuazione di uno studio scientifico per dare contezza dell'avvenuto impatto sulla salute della popolazione fin dal 1991, assicurando un costante coinvolgimento informativo degli enti locali e dei Comitati NO MUOS;
   se il Governo intenda assumere iniziative per ridurre drasticamente l'inquinamento delle matrici ambientali derivante dal Petrolchimico di Gela;
   se il Governo intenda sostenere la nascita di un progetto per lo studio e l'approfondimento delle problematiche legate agli effetti dell'elettromagnetismo in un Centro di ricerca di eccellenza a Niscemi, sotto l'egida del CNR, ovvero in un centro già esistente, posto che il territorio di Niscemi e il suo ecosistema hanno comunque ricevuto nocumento per l'impatto determinato dalla presenza di questi impianti, e che questa, non sarebbe una semplice proposta compensativa per il danno subito fin dal 1991, ma il riconoscimento ad un territorio martoriato di un'opportunità anche di creazione di posti di lavoro e di collocazione di tante intelligenze locali, oggi costrette ad emigrare. (4-08204)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA, BASILIO, BONAFEDE, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, BUSTO, CANCELLERI, CASO, CASTELLI, CHIMIENTI, CIPRINI, COLLETTI, COLONNESE, COMINARDI, COZZOLINO, D'AMBROSIO, D'INCÀ, DA VILLA, DADONE, DALL'OSSO, DE LORENZIS, DELLA VALLE, DE ROSA, DI BENEDETTO, MANLIO DI STEFANO, FERRARESI, FRACCARO, SILVIA GIORDANO, L'ABBATE, LOMBARDI, LUPO, NUTI, PESCO, PETRAROLI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SIBILIA, SORIAL, SPADONI, SPESSOTTO, TERZONI, TOFALO e TRIPIEDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Mercatone Uno, gruppo emiliano delle famiglie Cenni e Valentini e leader nel settore di mobili, complementi d'arredo e prodotti per la casa con circa 3.700 dipendenti in totale è controllato dalla holding M. Estate spa in cui la accomandita per azioni Cenni Holding mantiene il 63 per cento, Valfina il 27 per cento e Bernasconi il 10 per cento;
   la catena bolognese, composta da 79 punti vendita in tutta Italia, il cui amministratore delegato è il dottor Bernasconi (fondatore e amministratore delegato di Mediamarket, catena di elettronica che in Italia opera con i brand Media World, Saturn e Media World compra on line), ha presentato al tribunale di Bologna domanda prenotativa di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
   come si può leggere all'interno dell'articolo del 20 gennaio 2015 pubblicato sul sito della testata Il Sole 24 Ore a firma Emanuele Scarci, nel luglio 2014 l'azienda emiliana ha sottoscritto un accordo con un pool di banche nazionali e locali che riscadenza il debito finanziario di 250 milioni;
   l'operazione non prevedeva rimborso debito 2014/2015 e consentiva, a detta dell'amministratore delegato, di completare il piano industriale che contemplava, il restyling di una ventina di punti vendita l'anno a fronte di una decina già chiusi nel 2013;
   già nel 2012, come si può leggere dall'articolo pubblicato in data 7 gennaio 2012 sulla testata Italia Oggi, il gruppo, sebbene fatturasse 220 milioni di euro con 90 punti vendita e con un giro d'affari di 800 milioni di euro, aveva posto in cassa integrazione più di 200 dipendenti, oltre alla lettera di disdetta unilaterale del contratto integrativo aziendale e la trasformazione del premio di produttività (2.000 euro l'anno) da fisso a variabile;
   come riportato dal post pubblicato in data 21 febbraio 2015 sul sito della Federazione italiana sindacati addetti Servizi commerciali affini turismo (FISASCAT) il 5 febbraio 2015 si sarebbe tenuto un incontro in cui sarebbero state elencate le motivazioni che avrebbero portato l'azienda a chiedere l'istanza di concordato in bianco che al momento coinvolgerebbe una parte delle aziende del gruppo;
   sarebbero, sulla base di informazioni non comprovate, al momento in corso trattative con potenziali investitori interessati al brand del settore dell'arredamento, con i quali si sta discutendo il nuovo piano industriale elaborato da AlixPartners;
   sempre dal post sopracitato si apprende come è stato pubblicato un bando sul Sole 24 Ore per la ricerca di investitori che, entro la fine del mese di febbraio, potrebbero esprimere formalmente manifestazioni di interesse;
   sarebbe quindi in atto una verifica sul numero di punti vendita, circa la metà dell'intero gruppo, da inserire in un unico progetto di investimento sulla base del fatturato, mentre per i restanti si è alla ricerca di singoli investitori che vogliano acquisirli;
   sarebbe poi il tribunale competente a valutare le singole offerte sulla base della sostenibilità del concordato preventivo;
   sempre i sindacati di categoria affermano, attraverso il post già citato, che il gruppo avrebbe dichiarato di non essere più in grado di sostenere l'anticipo degli ammortizzatori sociali (Cds, Cigs, CIGD) e che vi sarebbe l'intenzione di chiedere l'autorizzazione per il pagamento diretto dell'Inps, prima al Tribunale e successivamente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   resta congelata la retribuzione dal 1o al 18 gennaio 2015 per i lavoratori coinvolti nelle aziende che hanno presentato istanza di concordato in bianco, come previsto dalla legge, così come tutti gli altri crediti;
   le parti sociali hanno richiesto all'azienda di sollecitare tempestivamente presso il tribunale l'autorizzazione al pagamento dell'intera mensilità di gennaio;
   come si apprende dal comunicato pubblicato sul sito della Federazione italiana lavoratori commercio e turismo (FILCAMS CGIL), il 17 febbraio 2015 si è svolto un incontro a Bologna per proseguire il confronto a partire dalle priorità indicate;
   dall'incontro sarebbero emerse ulteriori problematiche che dovranno trovare soluzione condivisa, come ad esempio il mancato rispetto dell'accordo sulle ricollocazioni che, sebbene quest'ultimo sia stato sottoscritto alcuni mesi fa, vede ad oggi i lavoratori interessati ancora in missione, mentre ad alcuni è stata revocata la missione e sono stati posti Cigs;
   gli interroganti esprimono grande preoccupazione per le sorti e il futuro dei circa 3.700 addetti coinvolti –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della situazione;
   se e quali urgenti iniziative intendano attivare i Ministri interrogati al fine di valutare tutte le soluzioni percorribili per contribuire alla salvaguardia dei livelli occupazionali, con il coinvolgimento degli enti locali e delle regioni in cui l'azienda è presente;
   se siano a conoscenza di un piano industriale del gruppo e delle aziende satelliti. (5-04874)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO, D'INCÀ, COZZOLINO, BUSINAROLO e PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società per azioni il cui capitale sociale è attualmente posseduto per il 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze; la società in base al contratto di programma stipulato con lo Stato, è tenuta a garantire il servizio universale fino al 2026 attraverso la sua rete di uffici distribuiti su tutto il territorio nazionale;
   con il piano industriale strategico 2015-2020 il consiglio di amministrazione di Poste si prefigge l'ambizioso obiettivo di arrivare ad un fatturato di 30 miliardi di euro nel 2020, prevedendo 3 miliardi di investimenti in 5 anni nelle tre aree principali indicate sulle quali agire: logistica e servizi postali, pagamenti e transazioni, risparmio e assicurazioni;
   sul piano occupazionale e del personale, sono previste 8 mila nuove assunzioni e la riqualificazione di 7 mila persone; non ci sarebbero licenziamenti, ma il proseguimento del programma di uscite agevolate già iniziato nel 2010;
   in quest'ambito, si apprende da fonti sindacali che sono in atto numerose trasformazioni di rapporti di lavoro da part-time in full time senza nessuna intesa e nessuna consultazione delle rappresentanze di settore. Le organizzazioni hanno richiesto un incontro specifico di approfondimento in merito, con particolare riferimento al numero complessivo dell'anno 2014, alla previsione 2015, alla dislocazione territoriale delle risorse, onde evitare l'utilizzo delle stesse spesso lontano dal domicilio di residenza, con conseguenti disagi logistici ed economici, e soprattutto in merito ai criteri adottati in mancanza di specifici accordi con le rappresentanze dei lavoratori –:
   se intendano, ciascuno per le proprie competenze, rendere noti i criteri adottati per tali modifiche contrattuali e i dati ufficiali relativi alle trasformazioni avvenute per l'anno 2014 nonché di quelle previste per il 2015, anche in considerazione della loro dislocazione territoriale;
   se sia in programma da parte di Poste Italiane un piano specifico che preveda l'ottimizzazione delle risorse di personale, anche in riferimento all'allocazione del medesimo, presso sedi il più possibile prossime a quella di residenza. (4-08190)


   LOMBARDI, CIPRINI, COMINARDI, CHIMIENTI, TRIPIEDI, DA VILLA e DALL'OSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Almaviva, fondato nel 1983, con 37.000 dipendenti e più di 50 sedi operative si colloca:
    all'undicesimo posto nella graduatoria dei gruppi industriali italiani nel mondo per numero di addetti;
    al sesto posto, nella medesima graduatoria, tra i gruppi privati;
   in ambito CRM, il gruppo Almaviva opera attraverso la società Almaviva Contact, ed è tra i leader di mercato con circa 10.000 collaboratori tra cui 8.500 assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con sede operative in Roma, Milano, Napoli, Rende, Catania, Palermo, con ricavi annui di circa 200 milioni di euro;
   soffermandosi sui dati inerenti al personale:
    a) il 90 per cento sono assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
    b) quasi il 70 per cento sono localizzati nelle regioni meridionali;
    c) il 68 per cento sono donne;
    d) l'età media è di 38 anni – oltre 3.000 persone hanno superato i 40 anni;
    e) l'anzianità aziendale media è di oltre 8 anni – oltre 3.000 persone vantano una presenza in azienda di oltre 10 anni;
    f) i familiari fiscalmente a carico sono oltre 4.000;
   con riferimento al periodo 2000-2013, il gruppo Almaviva è di gran lunga il gruppo italiano – di qualunque comparto industriale – che ha creato più posti di lavoro in Italia: circa 15.000. E si tratta di lavoro «buono» perché stabile e generato prevalentemente nelle aree economicamente più svantaggiate del Paese;
   nonostante le indubbie competenze vantate dalle società di Almaviva, negli specifici settori di competenza di ciascuna, negli ultimi mesi il gruppo sta attraversando una fase di crisi economica le cui conseguenze si stanno ripercuotendo sulle migliaia di dipendenti che rischiano il posto di lavoro;
   Almaviva prevede nel proprio statuto, caso unico in Italia, il divieto di delocalizzare attività italiane. E si batte da tempo perché venga fermato il fenomeno della delocalizzazione selvaggia chiedendo con forza il rispetto della normativa esistente finora inattuata;
   l'attività svolta dai call center collocati al di fuori dell'Unione europea è oggetto delle disposizioni introdotte dall'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012), rubricato «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nelle attività svolte da call center»;
   in particolare, la norma prevede al comma 4 che «quando un cittadino effettua una chiamata ad un call center deve essere informato preliminarmente sul Paese estero in cui l'operatore con cui parla è fisicamente collocato e deve, al fine di poter essere garantito rispetto alla protezione dei suoi dati personali, poter scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato nel territorio nazionale»;
   il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto in materia con la delibera n. 444 del 10 ottobre 2013, recante «Provvedimento prescrittivo in materia di trattamento dei dati personali effettuato mediante l'utilizzo di call center collocati in paesi al di fuori dell'Unione europea» e, successivamente, con delibera n. 582 del 18 dicembre 2013;
   in data 2 dicembre 2014, a conclusione del tavolo Almaviva Contact, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, viene annunciato l'avvio immediato dei controlli sul rispetto da parte dei call center di quanto previsto dal richiamato articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012;
   successivamente, in data 15 gennaio 2015, in occasione della riunione del tavolo governativo sul settore dei call center, ed in relazione alla annunciata attività di verifica, il Ministero dello sviluppo economico ha ufficialmente reso noto che «i controlli a campione e quelli a tappeto effettuati da dicembre ad oggi dicono che sono eccessivamente diffuse nei call center le violazioni relative al trattamento dei dati personali. Il Ministero dello sviluppo economico, dunque, fa scattare le previste sanzioni pecuniarie nei confronti dei committenti, responsabili del mancato rispetto dell'articolo 24-bis del decreto n. 83 del 2012»;
   in più, sempre l'articolo 24-bis del decreto legge n. 83 del 2012 prevede che gli incentivi all'occupazione previsti dalla legge 29 dicembre 1990, n. 407, non possano essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri –:
   se il Ministro interrogato abbia completato quel pacchetto di interventi già in cantiere, con verifiche ex post sull'assegnazione di servizi e commesse nel settore dell’outsourcing tlc, potenzialmente suscettibili di aiuti economici in deroga alle leggi vigenti e attraverso l'irrogazione delle sanzioni conseguenti alla violazione sulla disciplina dei dati personali contenuta nell'articolo 24-bis del decreto-legge «Cresci Italia». (4-08202)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Brunetta e Capezzone n. 1-00738, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palmizio.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00745, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bruno Bossio, Tidei.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Palazzotto n. 1-00675, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 339 del 26 novembre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    i popoli israeliano e palestinese hanno diritto alla pace e alla sicurezza e ciò può essere garantito solo attraverso una forte azione da parte della comunità internazionale che porti ad una pace giusta e duratura basata sul rispetto del diritto internazionale e la piena applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
    il 29 novembre del 2012, con la risoluzione n. 67/19, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con una larghissima maggioranza, ha concesso lo status di osservatore permanente allo Stato di Palestina;
    attualmente sono 135 i Paesi che hanno deciso di riconoscere unilateralmente lo Stato di Palestina, tra questi diversi membri dell'Unione europea: Svezia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Cipro, Slovacchia, Ungheria, Malta, Polonia e Romania;
    in particolare, il giorno 30 ottobre 2014, Margot Wallstrom, Ministro degli esteri, ha annunciato che la Svezia ha riconosciuto lo Stato di Palestina attraverso il seguente annuncio: «Il Governo svedese considera che i criteri del diritto internazionale per un riconoscimento dello Stato di Palestina sono rispettati: un territorio – sebbene senza frontiere fisse – una popolazione e un Governo (...). Il riconoscimento è un contributo ad un futuro migliore per una regione che per troppo a lungo è stata caratterizzata da negoziati congelati, distruzione e frustrazione»;
    il 3 ottobre 2014 il primo Ministro svedese Stefan Lofven, durante il suo discorso di insediamento in Parlamento, aveva detto che: «Il conflitto tra Israele e Palestina può essere risolto solo con la soluzione a due Stati, negoziata secondo i dettami del diritto internazionale. Una soluzione a due Stati richiede il riconoscimento reciproco e la volontà di una convivenza pacifica. Per questo la Svezia riconosce lo Stato di Palestina»;
    il giorno 13 ottobre 2014 la Camera dei Comuni inglese ha approvato a larghissima maggioranza la seguente mozione per riconoscere lo Stato di Palestina: «Questa Camera crede che il Governo dovrebbe riconoscere lo Stato di Palestina oltre allo Stato di Israele, come contributo ad assicurare una soluzione negoziata dei due Stati»;
    analoghe iniziative a quelle della Camera dei comuni britannica sono state prese dai Parlamenti di Irlanda, Spagna e Belgio, mentre il Parlamento francese ha votato il 28 novembre 2014 una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina;
    l'Italia ha votato a favore della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che riconosce la Palestina come Stato osservatore delle Nazioni Unite e si è espressa da sempre sulla posizione «due Popoli due Stati», così come fa l'Unione europea fin dal 1980,

impegna il Governo

a riconoscere lo Stato di Palestina nei confini del 1967 con Gerusalemme est capitale secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite, così come è stato riconosciuto lo Stato di Israele, quale azione di politica estera che imprima una svolta positiva al necessario negoziato tra le parti per giungere alla soluzione «due popoli due Stati» e a garantire la coesistenza nella libertà, nella pace e nella democrazia dei due popoli.
(1-00675)
«Palazzotto, Airaudo, Bruno Bossio, Franco Bordo, Capodicasa, Cenni, Cimbro, Cominelli, Costantino, D'Ottavio, Duranti, Ferrara, Fratoianni, Gandolfi, Giancarlo Giordano, Iori, La Marca, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Mattiello, Melilla, Migliore, Misiani, Mognato, Nicchi, Daniele Farina, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Prina, Quaranta, Ricciatti, Romanini, Rossi, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zanín, Zaratti, Bossa».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Rostellato  n. 7-00606, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 378 del 19 febbraio 2015.

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    dall'inizio della crisi economica in corso in Italia è stata chiusa una stalla su cinque, con la perdita silenziosa di 32 mila posti di lavoro e il rischio concreto della scomparsa del latte e dei prestigiosi formaggi italiani con effetti drammatici anche sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale;
    gli allevatori italiani si sentono giustamente sotto attacco a causa della riduzione del valore di scambio del latte e degli altri prodotti senza alcun beneficio per i consumatori, e del perdurante fenomeno del commercio di latte e formaggi provenienti da altre realtà produttive contrabbandati per prodotti italiani;
    in Italia le poco più di 36.000 stalle sopravvissute hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte mentre si sono importati circa 86 milioni di quintali di latte (per ogni milione di quintale di latte importato in più scompaiono 17 mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura in Italia), e la situazione rischia di precipitare nel 2015 con un prezzo riconosciuto agli allevatori che non copre neanche i costi di produzione e spinge verso la chiusura altre migliaia di allevamenti;
    oltre a questa concorrenza sleale alla quale sono soggetti, gli allevatori italiani, vedono ulteriormente ridotti i propri ricavi per il fatto che l'Italia è il Paese dell'Unione europea in cui l'energia elettrica, il gasolio, le imposte e le tasse, gli alimenti e i medicinali hanno il costo più elevato a livello europeo (dati Istat e Università di Agraria di Bologna 2014) oltre agli oneri burocratici e ad una pedissequa applicazione della normativa di settore, spesso imposta senza una particolare attenzione verso gli operatori del settore e i consumatori tanto che e sembra abbia il mero fine di rendere ogni giorno più difficile;
    vi è un impatto negativo anche con riferimento alla sicurezza alimentare, visto che nell'ultimo anno le cosiddette cagliate importate dall'estero hanno addirittura superato il milione di quintali, rappresentando ora circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte pari, al 10 per cento dell'intera produzione italiana, situazione che sta diventando sempre più seria e pericolosa; pericolosa dal punto di vista salutare, poiché la disciplina ed i controlli che incombono sui produttori esteri non sono assimilabili a quelli italiani (Romania, Ungheria, Lettonia hanno regolamentazioni simili a quelle italiane dei primi anni 2,50) ed è inoltre pericolosa anche perché economicamente permette di importare latte per qualsiasi uso a costi nettamente inferiori;
    si rileva la costante presenza di prelavorati industriali provenienti soprattutto dall'Est Europa, che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità, che, dall'inizio della crisi nel 2007 ad oggi sono aumentati in valore del 23 per cento (dati del commercio estero nei primi dieci mesi del 2014);
    altro tasto dolente è la problematica delle quote latte e relative multe che lo Stato italiano ha pagato in questi anni, creando una forte disparità fra aziende che le hanno regolarmente pagate, e aziende che invece, hanno continuato a vendere senza versare un euro;
    da aprile 2015 il regime delle «quote latte» verrà superato: un fatto che viene da più parti considerato rivoluzionario per un settore caratterizzato da oltre un trentennio da una forte regolamentazione produttiva; con esso le quote, decise in origine per mantenere una politica di sostegno al settore evitando sovrapproduzioni, hanno cristallizzato, dalla fine degli anni ’80, le produzioni nazionali provocando forti squilibri tra i diversi Paesi; in Italia questa regolamentazione ha prodotto errori di gestione, conseguenti indagini della magistratura, multe salatissime da pagare alle casse comunitarie e problemi non ancora del tutto superati;
    l'eliminazione del regime delle quote giunge in un momento difficile per il settore, con una tendenziale crescita dei consumi, soprattutto di formaggi e prodotti caseari, specie nei nuovi mercati, accompagnata da una sensibile volatilità dei prezzi;
    in Europa si prevede una crescita delle produzioni (poco meno del 2 per cento all'anno), che toccheranno nel 2020 i 150 milioni di tonnellate di latte, ma con forti squilibri tra i Paesi produttori e con il rischio di un forte aumento della competitività e una crescita concentrata principalmente nel Nord Europa;
    l'Italia è stata multata negli anni per non aver rispettato i contingenti di produzione e che le sanzioni non sono state mai saldate dagli allevatori come, invece, è richiesto dall'Unione europea, che ha utilizzato un meccanismo che più volte ha penalizzato gli allevatori virtuosi che hanno sempre rispettato la quota di produzione, favorendo chi ha venduto di più;
    ad ottobre del 2014 dovevano essere inviati i bollettini per le multe, avendo l'Unione europea in estate deciso di andare avanti con la procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, chiedendo di recuperare dai produttori di latte «splafonatori» multe per 1,395 miliardi, per superamento delle quote di produzione assegnate tra il 1995 e il 2009 e che a fine agosto l'Agenzia delle entrate ha approvato il «modulo» per le cartelle di pagamento da consegnare a ogni allevatore multato, stabilendo che la notifica e la riscossione coattiva spettasse all'Agea avvalendosi della Guardia di finanza mentre ad oggi il recupero non risulta attuato nonostante sia necessario operare affinché questa situazione sia regolarizzata in modo che tutti gli allevatori operino in condizione di pari competitività;
    difendere la produzione del latte italiano significa difendere un sistema che garantisce non solo 180 mila posti di lavoro, ma anche una ricchezza economica di 28 miliardi di euro, pari al 10 per cento dell'agroalimentare italiano;
    la chiusura di una stalla non significa solo perdita di lavoro e di reddito, ma anche un danno al 53 per cento degli allevamenti italiani che si trova in zone montane e svantaggiate e svolge un ruolo insostituibile di presidio del territorio dove la manutenzione è assicurata proprio dal lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali,

impegna il Governo:

   ad agire affinché sia espressamente prevista in etichetta l'origine del latte (anche Uht), dei formaggi e di tutti gli altri prodotti a base di latte e a garantire che venga chiamato «formaggio» solo ciò che deriva dal latte e non da prodotti diversi;
   a promuovere a livello nazionale iniziative per il consumo e dei formaggi italiani di qualità soprattutto nelle scuole e nelle mense pubbliche;
   ad assumere iniziative normative affinché vengano semplificate le procedure burocratiche a carico delle aziende agroalimentari nei confronti delle ASL;
   a prevedere meccanismi di tutela o salvaguardia verso gli allevatori onesti, che finora hanno rispettato i limiti imposti dalle quote latte ed ad agire verso chi non ha rispettato i limiti imposti dalla legislazione corrente;
   a promuovere iniziative affinché alle imprese agricole siano garantiti prezzi di favore per l'acquisto del gas, dell'energia elettrica, del gasolio e dei mangimi per l'allevamento degli animali nonché dei medicinali;
   a prevedere maggiori controlli sanitari sul latte importato e maggiori controlli soprattutto per i paesi extra Unione europea nonché interventi a livello europeo per prevedere che i controlli sanitari minimi siano portati al nostro livello in tutti i Paesi dell'Unione europea;
   a prevedere, ove ne ricorrano i presupposti di diritto, dazi in ingresso per latte importato da Paesi extra Unione europea;
   ad intervenire a livello comunitario e nazionale per preparare con strumenti adeguati un piano per l'uscita del sistema delle quote, prevedendo meccanismi attraverso i quali venga definito il prezzo del latte con contratto semestrale o quadrimestrale per consentire agli allevatori una programmazione a medio termine;
   ad agire a livello comunitario e nazionale per rendere possibile un aumento della produzione del latte italiano.
(7-00606)
«Rostellato, Rizzetto, Bechis, Segoni, Artini, Barbanti, Baldassarre, Mucci, Tancredi, Prodani».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Polidori n. 4-08151, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 382 del 26 febbraio 2015.

   POLIDORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 13 aprile 2015, un numero di 15 uffici postali cesseranno il servizio e altri 18 funzioneranno ad orario ridotto nei territori delle province di Perugia e Terni, con inevitabili ripercussioni nei confronti degli utenti in particolare i pensionati e gli invalidi;
   sebbene i servizi offerti dalla società Poste italiane siano sempre più moderni e al passo con i tempi della tecnologia, così com’è emerso dai recenti incontri svolti a Perugia e successivamente a Roma, tra le regioni ed i vertici aziendali, occorre tutelare, a giudizio dell'interrogante, una fascia d'utenza come quella in precedenza esposta e le comunità locali, che vivono nelle aree rurali e montane, che registrano un alto tasso di presenza di cittadini anziani;
   il paventato ridimensionamento degli uffici postali rischia di accrescere le difficoltà organizzative per gli spostamenti dei medesimi obbligati a recarsi in località più servite dai medesimi servizi;
   l'interrogante, a tal fine, evidenzia che il processo di razionalizzazione messo in atto da Poste italiane nel corso dei precedenti anni ha già determinato nel 2012 in Umbria la chiusura di 32 uffici, mentre altri 44 sono stati coinvolti nel processo di razionalizzazione degli orari;
   a tal fine, le decisioni in precedenza riportate, relative ad un ulteriore ridimensionamento dei servizi postali annunciato nel territorio delle province di Perugia e Terni, se non accompagnate in maniera adeguata da un processo volto ad informare circa i nuovi servizi telematici offerti all'utenza, che richiede un periodo di tempo congruo di apprendimento per le persone anziane, rischiano, a parere dell'interrogante, di determinare gravi conseguenze per gli stessi utenti umbri, compromettendo una delle funzioni proprie della società e il concetto stesso del servizio universale, per il quale lo Stato riconosce contributi proprio per assicurare la capillarità e la qualità del recapito postale –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito alle iniziative annunciate dalla società Poste italiane, in materia di ridimensionamento dei servizi offerti agli utenti delle province di Perugia e Terni, attraverso la soppressione, a partire dal 13 aprile 2015, di 15 uffici postali e la riduzione dell'orario per 18 sedi postali, posto che tale decisione appare estremamente negativa e penalizzante per la comunità locale interessata, oltre che in netto contrasto con gli obiettivi del contratto di programma e con il principio dell'universalità del servizio;
   quali iniziative concrete, per quanto di competenza, intenda mettere in atto nei confronti di Poste italiane S.p.A. affinché venga scongiurato il rischio che gli uffici postali richiamati in premessa siano interessati da chiusure totali o parziali nel prossimo periodo primaverile-estivo e affinché sia, comunque, assicurato a tutti i cittadini delle province di Perugia e Terni il diritto di usufruire del servizio universale postale, con particolare riguardo a quelle zone rurali e montane le cui comunità sono, proprio per motivi logistici, fortemente penalizzate. (4-08151)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Ottobre n. 4-00502 del 17 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04864.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Di Battista e altri n. 4-08177 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 382 del 26 febbraio 2015. Alla pagina 22062, prima colonna, alla riga quarantesima deve leggersi: «attualmente titolare Giulio Napolitano nonché gli importi di» e non come stampato.