Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 25 febbraio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    tutte le donne e tutti i bambini hanno diritto di vivere in un ambiente domestico che sia sano, sicuro e privo di violenza;
    nonostante l'evoluzione della legislazione in materia di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, attuata negli ultimi anni, ad oggi l'Italia è ancora molto lontana dall'obiettivo di tutelare adeguatamente le donne dalla violenza domestica e, di conseguenza, i loro figli dalla violenza assistita intrafamiliare;
    si può ascrivere a violenza domestica ogni tipo di maltrattamento fisico, psichico economico o sessuale che avviene all'interno delle relazioni di coppia, commessa prevalentemente dall'uomo nei confronti della donna, attraverso varie forme, spesso diversamente combinate ed associate fra loro, che coinvolgono madre e minori;
    conseguenza diretta, e spesso inevitabile della violenza di coppia è la violenza assistita, ossia quella subdola forma di maltrattamento, definita per la prima volta in Italia da CISMAI nel 2003, che si verifica ogni qualvolta il minorenne assista ad atti di aggressività, abuso e violenza su altri membri della famiglia, su persone a lui legate affettivamente, o su figure di riferimento e affettivamente significative;
    indipendentemente dal fatto che il minore abbia un'esperienza diretta della violenza, perché consumata in sua presenza, oppure indiretta (quando il minorenne, pur non assistendo alle scene di violenza, ne è messo al corrente o ne percepisce gli effetti negativi), tale forma di abuso costituisce un evento traumatico destinato a produrre rilevanti effetti sullo sviluppo del bambino, favorendo inoltre l'insorgenza di psicopatologie, sia a breve che a lungo termine. Già nell'immediato il bambino o l'adolescente manifestano disagio, depressione, isolamento e svalutazione di sé, tutti segnali che spesso sono non riconosciuti o trascurati. L'esposizione a situazioni di violenza genera poi nel minorenne un senso di colpa per la situazione in cui si sente impotente ed incapace di intervenire. Il messaggio distorto che viene appreso dai minorenni è che l'abuso è una normale modalità di relazione nella coppia. Ciò nel lungo periodo aumenta il rischio della riproducibilità, ossia la tendenza a sviluppare comportamenti violenti in età adulta, assumendo la violenza come legittimo strumento relazionale. Questo spiega perché i minorenni che assistono alla violenza diventano da vittime abusate nell'infanzia, degli adulti abusanti;
    il fenomeno, per quanto molto diffuso e inevitabilmente presente in ogni ambiente domestico violento, è sottostimato e difficilmente quantificabile, in quanto, ad oggi, nessuno si è fatto carico di uno specifico studio e non esiste una raccolta dati sistematica e scientifica. Gli unici dati di tipo quantitativo sui minorenni vittime di violenza assistita si ricavano dunque indirettamente dalle ricerche esistenti sulla violenza contro le donne o sui maltrattamenti generici nei confronti dei minorenni;
    nel 2011 Save The children, nell'abito del progetto Dhapne finanziato dalla Commissione europea, stimava in Italia oltre 400.000 minori vittime di violenza assistita, evidenziando altresì la povertà di dati rilevati e resi noti sul fenomeno nel nostro Paese a livello centrale e locale;
    CISMAI, nel VI Congresso «Stati generali 2013 sul maltrattamento all'infanzia in Italia» denunciava la presenza di ben 100.000 bambini a carico dei servizi sociali per maltrattamenti, evidenziando che, secondo le stime prudenziali dell'OMS Europa, i casi reali sono almeno nove volte maggiori di quelli segnalati;
    la gravità della situazione ha determinato un intervento nel gennaio 2010 del Consiglio d'Europa, il quale ha emanato la raccomandazione n. 1905 e la risoluzione n. 1714) e una risposta circostanziata del Comitato dei ministri nel gennaio 2011. In tali documenti si nota una progressiva presa di consapevolezza della gravità del fenomeno e vengono stabilite alcune questioni essenziali come il fatto che «per un minore assistere alla violenza contro la propria madre è sempre una forma di abuso psicologico dalle conseguenze particolarmente drammatiche» e che gli stati membri debbano promuovere «la ricerca sugli approcci innovativi e le metodologie di lavoro in merito al lavoro con i minori vittime di violenza assistita» nonché lavorare «per la sensibilizzazione sulla condizione dei minori vittime di violenza assistita e prenderla in considerazione nell'ambito della legislazione nazionale e delle politiche in un approccio interdisciplinare di gender mainstreaming, per la protezione dei minori innanzitutto, la punizione dei reati di violenza domestica o la previsione di risarcimenti finanziari per i testimoni come vittime di conseguenze psicologiche» e «rafforzare una speciale considerazione dei minori vittime di violenza assistita nelle procedure legali e amministrative»;
    i documenti citati hanno determinato l'inserimento del tema dei bambini vittime di violenza assistita nella «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica». In tale scritto assume particolare rilievo l'articolo 26, il quale prevede l'obbligo per le Parti di adottare «le misure legislative, e di ogni altro tipo, necessarie per garantire che siano debitamente presi in considerazione, nell'ambito dei servizi di protezione e di supporto alle vittime, i diritti e i bisogni dei minori testimoni di ogni forma di violenza...». Il medesimo articolo precisa poi che le misure adottate «comprendono le consulenze psico-sociali adatte all'età dei minori testimoni di ogni forma di violenza»;
    è indubbio che, in Italia, progressi nel contrasto al fenomeno sono conseguiti alla ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011 e alla successiva realizzazione della legge n. 119 del 15 ottobre 2013, di conversione del decreto-legge sul «femminicidio» con la quale il legislatore ha istituito incisivi strumenti di contrasto e repressione dei fenomeni di violenza domestica, fra i quali l'aggravante generica per il reato doloso contro la vita, l'incolumità individuale, la libertà personale o il maltrattamento in famiglia commesso in presenza del minore di anni 18 o in suo danno. Detta legge prevede inoltre l'elaborazione di un anno straordinario contro la violenza sessuale e di genere, per il quale è stata realizzata fra il 10 dicembre 2014 e il 10 gennaio 2015 una consultazione pubblica;
    ad oggi, nell'ordinamento giuridico italiano non esiste però una fattispecie autonoma di reato rispetto al fenomeno della violenza assistita. È necessario ed improcrastinabile che le istituzioni e i tribunali prendano piena coscienza del fenomeno, affermando l'esistenza e la gravità del danno subito dai bambini spettatori di aggressioni fisiche e molestie, riconoscendo la necessità di piena tutela e di un supporto sociale globale;
    il comportamento del maltrattante stravolge la vita della madre limitandone la libertà e l'autorevolezza, modificando il modo in cui la stessa accudisce i figli e si rapporta con loro. Una madre maltrattata è una madre ferita e spesso l'esigenza di autoproteggersi e la necessità di sopravvivere non le permette di ascoltare i segnali di sofferenza dei bambini. La percezione da parte delle donne del danno prodotto dalla violenza assistita sui bambini avviene solo con il tempo e dopo un percorso riabilitativo;
    l'educazione, l'informazione e il sostegno alla genitorialità assumono un ruolo determinante, sia nella fase preventiva che in quella successiva di uscita dalla violenza, di recupero e di elaborazione del trauma subito. È dunque indispensabile rafforzare i sistemi di prevenzione della violenza di genere, per tutelare le donne e i loro bambini;
   ciò deve essere attuato sia tramite l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, sfruttando l'enorme potere comunicativo di cui dispongono i media, sia tramite percorsi preventivi e di educazione alla genitorialità connessi ai percorsi nascita, al fine di coinvolgere il maggior numero possibile di donne-madri. La precoce rilevazione del pericolo di violenza è per la donna stessa e per i suoi figli la miglior forma di tutela. È importante dunque che la donna/madre sia ben conscia dei suoi diritti e sappia distinguere le situazioni conflittuali (senza comunque negare i danni che queste possono provocare a bambine e bambini) dal maltrattamento vero e proprio ed evitare letture minimizzanti di comportamenti violenti, anche gravi e reiterati. A tal fine, la presenza capillare sul territorio di luoghi di ascolto e sostegno, può essere determinante nel fornire in tempi brevissimi informazioni e supporto a chi sta vivendo il dramma della violenza domestica;
    l'attività preventiva deve essere poi rafforzata con il coinvolgimento delle figure chiave nell'attività normativa ed educativa dei minorenni. Il personale con ruoli educativi, scolastico e non, rapportandosi con i genitori e con i bambini, deve essere consapevole delle conseguenze che la violenza domestica comporta in danno a questi ultimi,

impegna il Governo:

   a riconoscere pienamente e ad assumere iniziative per definire una specifica normativa per il danno subito dai bambini spettatori di aggressioni fisiche e molestie, nonché la conseguente necessità di piena tutela e di un supporto sociale globale, attribuendo autonoma rilevanza giuridica alla violenza assistita, conformemente a quanto già previsto dal Consiglio d'Europa;
   a predisporre, nel minor tempo possibile, il «Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere» previsto dalla legge n. 119 del 15 ottobre 2013 che in linea con la citata legge preveda:
   a) misure volte alla prevenzione del fenomeno tramite la sensibilizzazione pubblica e la formazione delle professionalità a contatto con i minorenni, anche al fine di poter rilevare e segnalare precocemente il problema;
   b) l'istituzione di programmi educativi alla genitorialità inseriti in tutti i percorsi nascita, al fine di formare la madre e la coppia sul danno che la violenza domestica provoca ai figli;
   c) la diffusione sul territorio di luoghi di ascolto e d'indirizzo sulla violenza di genere e assistita, in coordinamento con i servizi socio-educativi presenti sul territorio;
   d) il potenziamento delle forme di assistenza alle donne vittime di violenza domestica e ai loro bambini, garantendo una presenza di personale qualificato per affrontare l'emergenza, nonché di educatori, pedagogisti e psicologi al fine di predisporre programmi per le madri e i loro figli per l'elaborazione del trauma e il sostegno alla genitorialità;
   e) la celere realizzazione di una prima raccolta dati sul fenomeno della violenza assistita e servizi antiviolenza per madri e figli presenti sul territorio.
(1-00743) «Iori, Roberta Agostini, Albanella, Amato, Amoddio, Antezza, Bazoli, Bergonzi, Bini, Bonaccorsi, Capone, Carocci, Casati, Cenni, Censore, Cimbro, D'Incecco, De Menech, Marco Di Maio, Donati, Ferranti, Fregolent, Gadda, Carlo Galli, Ghizzoni, Giuliani, Iacono, Incerti, Lodolini, Malpezzi, Manfredi, Marchi, Patriarca, Pes, Piccione, Romanini, Paolo Rossi, Rubinato, Schirò, Scuvera, Senaldi, Tidei, Zan, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che il Presidente del Consiglio sarebbe intenzionato a proporre la nomina a consigliere di Stato della dottoressa Antonella Manzione;
   a tal proposito di si sottolinea che, ai sensi dell'articolo 19 della legge 27 aprile 1982, n. 186, i posti di consigliere di Stato che si rendano vacanti sono conferiti, in ragione di un quarto, a professori universitari ordinari di materie giuridiche o ad avvocati che abbiano almeno quindici anni di esercizio professionale e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, o a dirigenti generali od equiparati dei Ministeri, degli organi costituzionali e delle altre amministrazioni pubbliche nonché a magistrati con qualifica non inferiore a quella di magistrato di Corte d'appello o equiparata; si provvede alla nomina, in questo caso, con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di presidenza, contenente valutazioni di piena idoneità all'esercizio delle funzioni di consigliere di Stato sulla base dell'attività e degli studi giuridico-amministrativi compiuti e delle doti attitudinali e di carattere;
   già la nomina della dottoressa Manzione, all'epoca capo del Corpo della polizia municipale di Firenze, al vertice del DAGL aveva destato molte perplessità sulla base delle quali il deputato interpellante, in data giovedì 10 aprile 2014, ha depositato l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04470, alla quale non è stata ancora data risposta nonostante il fatto che l'articolo 134 del Regolamento della Camera preveda che la risposta debba pervenire entro 20 giorni e che tale risposta sia stata sollecitata, per il tramite del Presidente della Camera, ben tre volte (il 9 ottobre, l'11 dicembre 2014 e, da ultimo, lo scorso 18 febbraio);
   a parere del deputato interpellante seguitano a permanere serissimi dubbi circa l'illegittimità di tale nomina, dal momento che il settimo comma dell'articolo 23 della legge 23 agosto 1988, n. 400, prevede che a capo dell'Ufficio centrale per il coordinamento dell'iniziativa legislativa e dell'attività normativa del Governo (ora dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, DAGL) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sia preposto «un magistrato delle giurisdizioni superiori ordinaria o amministrativa, ovvero un dirigente generale dello Stato o un avvocato dello Stato, o un professore universitario di ruolo di discipline giuridiche»;
   la dottoressa Manzione, infatti, al momento della sua nomina al vertice del DAGL era in possesso della «Qualifica unica dirigenziale come da CCNL Regione EELL Area Dirigenza», che non pare essere paragonabile a quello di dirigente generale dello Stato;
   ora tutti i dubbi precedenti permangono, anzi probabilmente si aggravano, per quanto riguarda la legittimità e l'opportunità della nomina della dottoressa Manzione a Consigliere di Stato, stante la delicatezza del ruolo;
   peraltro, sempre secondo fonti di stampa, la nomina sarebbe dettata dal «desiderio» della dottoressa Manzione di godere di uno status che le consenta di aumentare la sua autorevolezza nei rapporti interni al Governo;
   a parere del deputato interpellante, si tratta di nomine che denotano da parte del Presidente del Consiglio Matteo Renzi una concezione personalistica dell'esercizio del potere. È infatti fisiologico e pienamente legittimo circondarsi di collaboratori di propria fiducia, mentre si sconfina in un esercizio personalistico (ed abusivo) del potere laddove si forzano norme, procedure e prassi per nominare tali collaboratori — privi dei titoli necessari — in ruoli destinati a soggetti in possesso degli idonei requisiti;
   interrogato a questo proposito nel corso di una recente trasmissione televisiva, il Presidente Renzi non avrebbe confermato, né tuttavia smentito la notizia, di fatto alimentando le preoccupazioni di chi ha a cuore il bene comune prima che quello dei propri amici e collaboratori –:
   se corrisponda al vero che il Presidente del Consiglio sia intenzionato a nominare la dottoressa Antonella Manzione come giudice del Consiglio di Stato e, in caso positivo, se ritenga che ciò corrisponda a criteri di legittimità e di opportunità politica e, in particolare, se la dottoressa Manzione sia in possesso dei titoli di cui all'articolo 19 della legge 27 aprile 1982, n. 186.
(2-00863) «Luigi Di Maio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta in commissione 5-03595 presentata in data 18 settembre 2014, sono stati chiesti chiarimenti al Governo in merito alla gestione delle società di capitali FIBS ACADEMY S.r.l. e TEAMMATE S.r.l., partecipate dalla Federazione Italiana Baseball e Softball (F.I.B.S.), evidenziando la necessità di un riordino della normativa in merito alle società in house;
   con risposta scritta pubblicata il 13 novembre 2014, il Sottosegretario di Stato Istruzione, Università e Ricerca Senatore Angela D'Onghia ha fornito i richiesti chiarimenti, «a seguito degli elementi forniti dal CONI ... nell'ambito delle attività di vigilanza sulle Federazioni Sportive Nazionali (FSN), il CONI nella sua qualità di ente vigilante sulle Federazioni»;
   in conclusione, «Il Governo ritiene, comunque, prioritaria la trasparenza nell'azione amministrativa di tutti gli enti che beneficiano di risorse pubbliche perché è l'unico modo per garantire la riduzione dei costi e nello stesso tempo evitare posizioni di prevalenza e di non corretta gestione. A tale riguardo inviterà il Coni a svolgere periodici controlli sulle federazioni in modo da avere la corretta conoscenza delle spese sostenute suggerendo anche la pubblicazione, laddove è possibile, delle risorse pubbliche ricevute e di come tali risorse sono impegnate ad esempio per manifestazioni sportive, consulenze, procedure per l'acquisto di beni e servizi eccetera. Sul tema del riordino della normativa delle società in house si ritiene condivisibile che le stesse siano il più possibile omogenee con le norme europee»;
   dopo aver invitato il Governo al rigoroso rispetto dell'azione di vigilanza svolta dal CONI sull'assetto e sulle funzioni delle Federazioni sportive nazionali, mediante periodici controlli che assicurino, tra l'altro, la trasparenza nell'azione amministrativa di tutti gli enti che beneficiano di risorse pubbliche, i Deputati interroganti hanno evidenziato quanto segue;
   il CONI non può non conoscere l'inquadramento professionale e, soprattutto, il livello retributivo di una dipendente della CONI SERVIZI S.p.A., «partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'Economia, è la società operativa delle attività del Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Svolge questa funzione attraverso un contratto di servizio con il CONI»;
   prescindendo dalle conseguenze giuridiche derivanti dalla suddetta risposta, demandate alla competente autorità giudiziaria, l'impiego della dipendente Marinella Mojoli presso le strutture dell'Accademia del Baseball e del Softball del Centro di Preparazione Olimpica CONI di Tirrenia (PI), gestito dalla società di capitali controllata FIBS ACADEMY S.r.l. a parere dell'interrogante viola «i principi ai quali devono uniformarsi le FSN in ordine alla eventuale costituzione di società di capitali, cui affidare compiti ed attività di supporto e strumentali affini istituzionali federali sono stati definiti dal Coni in data 25 febbraio 2008» le società di capitali «così costituite non possono in alcun modo costituire un veicolo strumentale per il trasferimento del personale delle Federazioni costituenti, neppure a titolo temporaneo», richiamati dalla risposta del Governo;
   quanto alla «indennità» che un Accademista di Tirrenia ha l'obbligo versare alla FIBS alla firma di un contratto da professionista, il Governo ha precisato che la Federazione ha ritenuto necessario individuare una «indennità di preparazione» come parziale ristoro del consistente investimento economico fatto dalla stessa presso il Centro di Preparazione Olimpica CONI per i tecnici, i preparatori atletici e medici/paramedici, eccetera. Tale quota è oggi pari al 7 per cento dell'importo del primo contratto dell'atleta a favore della Federazione (e che permette l'ammissione di altri atleti italiani in Accademia), e al 3 per cento a favore del club italiano di appartenenza;
   per il Governo, anche a seguito degli elementi forniti dal CONI, tale «indennità di preparazione, viene considerata pienamente legittima sia dal legislatore italiano, ai sensi della legge n. 91 del 1981 sul professionismo sportivo, sia dalla normativa comunitaria che in più decisioni ne ha confermato la piena conformità alle norme dei trattati europei, è richiesta solamente quando l'atleta firma per organizzazioni straniere e non riguarda i rapporti con le squadre italiane;
   l'indennità non ha pertanto carattere speculativo, ma è un mero riconoscimento dei costi di preparazione, che sono molto maggiori e a totale carico della federazione;
   il CONI ha certificato che la FIBS, Federazione sportiva nazionale che esclude ex lege lo scopo di lucro (ex articolo 15 decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242 e 1.1 dello Statuto FIBS), e la FIBS ACADEMY S.r.l., che dovrebbe escludere lo scopo di lucro (come specificato anche nella suddetta risposta in Commissione e come ribadito dalle direttive del Coni del 25 febbraio 2008), opera in conformità della legislazione nazionale legge n. 91 del 1981, ed europea che tuttavia regola i Rapporti tra le Società e gli Sportivi Professionisti, ovvero i rapporti relativi allo Sport Professionistico: legge 23 marzo 1981, n. 91 (in Gazzetta Ufficiale, 27 marzo, n. 86). – Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti. (Sport – Rapporti Società – Sportivi Professionisti);
   il CONI non ha tenuto conto che la FIBS non riconosce, né disciplina, l'attività professionistica, ma solo quella dilettantistica, senza fini di lucro; la FIBS, infatti, non regolamenta lo sport professionistico, né ha mai emanato alcuna norma sul «premio di addestramento e formazione tecnica», che, ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 91 del 1981, è stabilito dalla Federazione in favore della società o associazione sportiva presso la quale l'atleta ha svolto la sua ultima attività dilettantistica o giovanile, non in favore della Federazione stessa, come nel caso sottoposto all'attenzione del Governo;
   in ogni caso, anche il premio di addestramento e formazione tecnica disciplinato dall'articolo 6 legge n. 91 del 1981 è costituito da un parametro pre-determinato, indissolubilmente legato alle spese (costi) di formazione e istruzione dell'atleta;
   la «indennità di formazione» imposta dalla FIBS per l'ammissione di un'atleta dilettante presso l'Accademia nazionale del baseball e del softball del Centro di preparazione olimpica di Tirrenia si pone secondo l'interrogante in contrasto con l'articolo 6, legge n. 91 del 1981, nonché con la normativa e con giurisprudenza comunitarie, e lede il principio della libera circolazione dei lavoratori in ambito sportivo, ex articolo 39 Trattato CE;
   si pensi, inoltre, a quali rischi e possibili danni, anche erariali, si sono esposti (e si esporranno) la FIBS, e il CONI, nell'applicare allo sport dilettantistico (39 delle 45 Federazioni affiliate) la normativa sullo sport professionistico, con le tutele tipiche connesse ai contratti di lavoro subordinato, regolato dalla legge n. 91 del 1981;
   la FIBS e il CONI hanno non hanno chiarito che un giocatore ammesso all'Accademia italiana del baseball di Tirrenia, sulla base di un apposito bando predisposto per ciascun anno accademico, è contrattualmente tenuto a corrispondere un cospicuo contributo spese per la propria attività presso l'Accademia stessa; in sintesi, l'atleta, (lavoratore sportivo professionista, secondo quanto appreso dal CONI) dovrà pagare la FIBS per la propria formazione/addestramento presso l'Accademia, e la Federazione pretenderà pure un contributo del 7 per cento del valore totale del suo (eventuale) primo contratto da professionista;
   quanto, infine, alla costituzione della società TEAMMATE Srl, la stessa, secondo il Governo, è consentita dallo statuto della controllata FIBS ACADEMY Srl, ma, anche in questo caso, non risulta agli interroganti che ciò corrisponda all'articolo 4 dello statuto della FIBS ACADEMY Srl, il quale prevede la facoltà di assumere «partecipazioni in altre società di capitali aventi oggetto analogo, affine o connesso al proprio», ma non anche quella di costituire «altre società di capitali aventi oggetto analogo, affine o connesso al proprio», come invece è stato fatto il 9 novembre 2011 con la costituzione della TEAMMATE Srl, mediante impiego di denaro pubblico;
   la costituzione della TEAMMATE Srl (partecipata al 70 per cento, riservando la restante quota societaria del 30 per cento a soggetti privati, in difformità dalle vigenti disposizioni del CONI, e non solo) sembra essere stata «ritenuta necessaria» dalla FIBS ACADEMY Srl, per la «commercializzazione di materiale tecnico/sportivo e di attrezzature per la pratica del baseball e del softball da offrire a tutto il movimento nazionale, arrivando in alcuni casi a garantire importanti economie di scala, come nel caso di acquisto delle palle ufficiali dei campionati nazionali»;
   le palle ufficiali dei campionati nazionali di baseball e di softball debbono necessariamente essere acquistate dalla TEAMMATE Srl; ciò, in virtù di normativa federale che appare in contrasto con le norme anticoncorrenziali (monopolio), in danno dei consumatori, senza considerare la probabile elusione delle procedure di evidenza pubblica della forniture, attuate, nel caso di specie, per il tramite di una Srl partecipata, a sua volta costituita da una Srl controllata;
   l'unica «palla ufficiale» per tutti i campionati di baseball e softball è distribuita esclusivamente dalla TEAMMATE Srl, che decide autonomamente il prezzo da praticare per la pallina stessa;
   la situazione sopra descritta è stata anche oggetto di un articolo pubblicato da ilFattoQuotidiano.it in data 17 gennaio 2015;  
   il MoVimento 5 Stelle ha già da tempo avanzato la richiesta di avvio di un'indagine conoscitiva sulla gestione dei finanziamenti attribuiti al CONI e alle federazioni sportive –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, se tutto quanto sopra esposto corrisponda a verità e, in caso affermativo, quale sia l'orientamento del Presidente del Consiglio dei ministri in merito;
   se il Governo sia a conoscenza della condotta del CONI con riferimento alla vigilanza esercitata rispetto alla FIBS, che partecipa a società che svolgono attività esclusivamente commerciali (i cui utili, nella misura del 30 per cento, saranno distribuiti a privati), posto che tale attività appare in contrasto con i «principi ai quali devono uniformarsi le FSN in ordine alla eventuale costituzione di società di capitali, cui affidare compiti ed attività di supporto e strumentali ai fini istituzionali federali sono stati definiti dal Coni in data 25 febbraio 2008»;
   se, in considerazione del gravi irregolarità sopra esposte, il Governo non intenda approfondire e chiarire le motivazioni sottese alle suddette condotte omissive, da parte del CONI, che continua a consentire la gestione della FIBS, e delle società partecipate, come descritto nelle premesse;
   se il Governo abbia intenzione di intervenire con iniziative normative, che rideterminino con chiarezza l'assetto e le funzioni del CONI, anche in virtù dell'evolversi del contesto sociale, sportivo, economico e normativo. (5-04839)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONE VALENTE, MANTERO e BATTELLI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società Santa Benessere & Social spa, che ha richiesto al comune di Santa Margherita una concessione demaniale cinquantennale in cambio del progetto di riqualificazione del porto di Santa Margherita, è riconducibile al signor Gabriele Volpi;
   il signor Volpi è un uomo d'affari molto ricco, grazie alla sua attività nel mondo del petrolio in Nigeria. È inoltre presidente dello Spezia Calcio e della squadra di pallanuoto della Pro Recco;
   da un articolo del Sole 24 Ore, recuperabile online, del 1o agosto 2012 a firma Claudio Gatti, si evince che il signor Volpi detiene il monopolio della logistica petrolifera in Nigeria, grazie alla sua società, Intels, con un giro d'affari di 1,5 miliardi di dollari l'anno;
   sempre a detta di questo articolo risulterebbe che un trust di diritto inglese detenga la proprietà della già citata Santa Benessere & Social spa;
   il Permanent sub-committee on investigations, la commissione permanente di inchiesta del Senato Usa che per oltre un anno ha investigato il fenomeno della corruzione della leadership politica nigeriana, ha cercato di ricostruire gli intrecci economici del signor Volpi, ricostruzione descritta sempre nello stesso articolo citato poc'anzi;
   tale ricostruzione evidenzierebbe l'attività del signor Volpi, come caratterizzata da intrecci poco chiari tra fiduciarie e rapporti con l'ex vicepresidente della Nigeria, Atiku Abubakar suo ex socio;
   tali intrecci finanziari rendono poco chiaro ricostruire l'effettiva natura della Santa Benessere & Social e richiedono ulteriori accertamenti, sia da parte del comune, sia da parte degli uffici ministeriali preposti al contrasto al riciclaggio ed elusione fiscale;
   infatti, a quanto risulta all'interrogante, la Santa Benessere & Social spa, dalle notizie apparse sul Fatto Quotidiano (Ferruccio Sansa) e Repubblica (Marco Preve), è posseduta:
    al 60 per cento dalla Rochester Holding (società anonima lussemburghese), a sua volta posseduta da una società con sede alla Isole Vergini e a Panama;
    la Agma di Cristina Pagani;
    la Skyfun di Milano, controllata dalla UBS (banca svizzera);
   il comune di Santa Margherita non può in alcun modo intrattenere rapporti di alcun tipo con società che, anche indirettamente, abbiano sede in paradisi fiscali o la cui legislazione statale impedisca un'adeguata trasparenza (articolo 12 del decreto-legge 78 del 2009, che definisce operazioni in tali nazioni illegali e articolo 35 del decreto-legge 90 del 2014, che vieta alla amministrazioni pubbliche di intrattenere rapporti economici con queste società);
   sebbene il divieto non fosse espresso, il decreto del 2009 vietava di fatto già questo tipo di rapporti, in quanto avrebbe reso l'amministrazione «complice» di un'evasione fiscale;
   con il decreto sulla pubblica amministrazione di giugno, il Governo ha rafforzato tale divieto, esplicitandolo concretamente;
   anche le direttive europee stanno mettendo «fuori legge» tali società: infatti sempre più Stati stanno adeguando la loro legislazione a principi di trasparenza al fine di operare in Unione europea –:
   se gli uffici preposti al contrasto al riciclaggio e alla trasparenza della Pubblica Amministrazione abbiano svolto le opportune verifiche o, in caso negativo, se abbiano intenzione di approfondire la proprietà e la natura della Santa Benessere & Social spa, al fine di evitare di incorrere in potenziali rapporti con società che la normativa vigente esclude possano avere rapporti con la pubblica amministrazione. (4-08130)


   ATTAGUILE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'eventualità che i flussi dei migranti clandestini in arrivo nel nostro Paese attraverso mezzi di fortuna possano essere infiltrati in vario modo dai jihadisti simpatizzanti o membri attivi dell'ISIS è considerata realistica da un numero sempre crescente di analisti ed esperti;
   in particolare, l'ipotesi che dei barconi possano servirsi anche degli aspiranti terroristi per raggiungere il nostro Paese e commettervi attentati è stata adombrata recentemente dai servizi di sicurezza britannici, mentre il Governo italiano nonostante non abbia escluso tale possibilità non sembra essersi adeguatamente attivato per far fronte a tale rischio;
   l'ISIS ed i suoi esponenti si starebbero inoltre aggiudicando la gestione del lucrativo business del trasporto via mare dei clandestini diretti in Europa, allo scopo di finanziare anche attraverso questa attività il potenziamento delle proprie milizie;
   la situazione è stata più volte denunciata da diverse organizzazioni sindacali del personale della polizia ed alle denunce dei sindacati di polizia si è infine aggiunta l'apertura di un'inchiesta da parte della procura della Repubblica di Palermo –:
   se, alla luce di quanto sta avvenendo e soprattutto dell'allarme lanciato dall'intelligence britannica e quindi dalla procura della Repubblica di Palermo, il Governo non ritenga opportuno modificare radicalmente l'atteggiamento adottato dalle nostre Forze armate e dell'ordine nei confronti del fenomeno dell'immigrazione clandestina via mare, privilegiando la logica del respingimento dei natanti in arrivo al limite delle acque costiere degli Stati sorgente, rispetto a quella esclusivamente umanitaria attualmente prevalente, che privilegia il soccorso nelle acque internazionali o in quelle nazionali del nostro Paese, seguito dall'accompagnamento nei porti della Sicilia o della penisola. (4-08135)


   TOFALO, DE LORENZIS, COLONNESE, SILVIA GIORDANO e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con atto scritto alle forze dell'ordine datato 5 gennaio 2015, un ex tesserato del PD denuncia l'attuale Presidente del Consiglio del ministri fornendo tale dichiarazione: «Nel dicembre 2013, all'epoca delle primarie del PD tra Matteo Renzi, Giuseppe Civati e Gianni Cuperlo, fui contattato da un cliente che abitualmente frequentava la rosticceria in cui lavoravo e mi venne proposto un accordo: votare Renzi alle primarie per far sì che le potesse vincere. Tutto questo era pagato con un compenso di 50 euro + 15 per la tessera del PD che mi sarebbe stata fatta al circolo Vie Nuove (...) prima della votazione»;
   il PD, dopo le elezioni del 2013, dispone di un numero di parlamentari tale da condizionare la maggioranza e di incidere sulla fiducia al Governo;
   il voto del nuovo segretario ha comportato un «impasto» al Governo, sostituendo l'ex-Premier Letta, con l'attuale segretario del Partito Democratico: Matteo Renzi;
   al di là degli eventuali profili penali l'episodio pone quesiti che chiamano anche in causa direttamente la persona del Presidente del Consiglio –:
   di quali elementi il Presidente del Consiglio dei ministri disponga sulla vicenda. (4-08142)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   considerando complessivamente le esistenti fonti di approvvigionamento del gas, i progetti degli impianti di rigassificazione in itinere autorizzativo sul territorio italiano presentano una capacità produttiva complessiva di gran lunga superiore a quella della domanda specifica di prodotto, che è diminuita negli ultimi anni a causa della ridotta domanda da parte dell'industria;
   la diminuita richiesta di prodotto sul mercato non giustifica economicamente la loro costruzione;
   tutti, indistintamente, i progetti di impianti di rigassificazione costituiscono attività a rischio di incidente rilevante, i cui esiti, in caso di avaria, possono avere effetti molto pesanti sull'ambiente e gli insediamenti antropici;
   contro l'impianto di rigassificazione proposto a Trieste, nella zona di Zaule, dalla società spagnola Gas natural Fenosa, tramite la Gas natural rigassificazione Italia spa, oltre alle forti proteste delle comunità locali sono da segnalare i numerosi ricorsi e petizioni presentate:
   a) ricorso del comune di Muggia al tribunale amministrativo regionale del Lazio contro il decreto VIA del 2009, al quale, ad adiuvandum, si sono aggiunti il comune di Trieste, il comune di Koper (Slovenia) e la Repubblica di Slovenia, con nuove motivazioni aggiunte;
   b) ricorso del comune di S. Dorligo della Valle al tribunale amministrativo regionale del Lazio contro il decreto VIA del 2009;
   c) ricorso dell'associazione ambientalista Wwf al tribunale amministrativo regionale del Lazio contro il decreto VIA del 2009;
   d) ricorso dell'associazione ambientalista Greenaction trasnational al tribunale amministrativo regionale del Lazio contro il decreto VIA del 2009;
   e) ricorso del comune Trieste al tribunale amministrativo regionale del Lazio contro il parere AIA del 2012;
   f) ricorso della provincia di Trieste al tribunale amministrativo regionale del Lazio contro il parere AIA del 2012;
   g) petizione 483/2007 dell'associazione ambientalista Greenaction trasnational alla Commissione petizioni del Parlamento europeo per violazione della «direttiva Seveso»;
   h) petizione 1147/2008 dell'associazione ambientalista Greenaction trasnational alla Commissione petizioni del Parlamento europeo per violazione della procedura VIA; petizione 1472/2009 dell'associazione ambientalista Alpe Adria Green alla Commissione petizioni del Parlamento europeo per violazione della procedura VIA;
   con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emanato, nell'aprile 2013, veniva sospesa per sei mesi valutazione di impatto ambientale (VIA) riconosciuta il 17 luglio 2009. Detto decreto sospensivo firmato dall'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini prevede due possibili alternative: individuare un sito alternativo o consultare nuovamente l'autorità portuale per rideterminare le previsioni di sviluppo rendendole compatibili con l'impianto;
   come ha recentemente dichiarato il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, riguardo alla realizzazione del rigassificatore: «Il nostro esecutivo regionale non lo vuole (...)»;
   la Via, la valutazione d'impatto ambientale positiva non risulta revocata, nonostante il parere negativo spedito a suo tempo a Roma dall'autorità portuale;
   sempre il Governatore Serracchiani, come riporta un articolo de Il Piccolo del 23 febbraio 2015, ha dichiarato: «Abbiamo ereditato – una situazione pesante dal punto di vista dell'autorizzazione di Via nazionale sul rigassificatore, in considerazione del fatto che il precedente esecutivo regionale non aveva espresso fin dall'inizio una sua posizione di contrarietà all'impianto. All'atto del nostro insediamento abbiamo cercato di far rivedere la posizione al ministero dell'Ambiente». «L'Autorità portuale di Trieste avrebbe dovuto presentare al Comitato tecnico ministeriale tutta una serie di analisi e di dati sugli andamenti dei traffici e sulle prospettive di investimenti che, a nostro avviso, avrebbe senza ombra di dubbio indicato l'incompatibilità tra attività portuali e rigassificatore, portando lo stesso dicastero dell'Ambiente a revocare il precedente parere favorevole. Quei dati non sono stati ritenuti sufficienti per far cambiare posizione al Comitato» –:
   se il Ministro interrogato non intenda emanare un decreto di revoca della Via. (5-04841)


   ZOLEZZI, TERZONI, MANNINO, MICILLO, DE ROSA, DAGA e BUSTO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'amianto è una sostanza cancerogena e fibrosante, che sta procurando ancora circa cinquemila decessi all'anno in Italia (dati Osservatorio nazionale amianto) nonostante sia stata messa al bando con la legge n. 257 del 1992;
   esistono in Italia oltre 30 milioni di tonnellate di materiale contenente amianto (MCA) da mettere in sicurezza. La gestione di questo materiale è complessa, per la facile dispersione delle fibre cancerogene e per natura strutturale;
   ad oggi in molte regioni italiane non esistono discariche adeguate e l'amianto viene troppo spesso trasportato all'estero o smaltito in maniera illecita e pericolosa per l'ambiente e le persone;
   sono stati proposti oltre cento brevetti per trattare l'amianto con metodi di inertizzazione. Ad oggi nessun metodo ha raggiunto adeguati livelli di sicurezza nelle varie fasi del trattamento e tantomeno è stato raggiunto un accettabile rapporto fra costi e benefici. La gestione dell'amianto in fase friabile potrebbe beneficiare di tali trattamenti, ma i dati sperimentali dei vari metodi al momento non rispondono ai criteri minimi di sicurezza. Risulta condivisibile e prioritario procedere con la ricerca nel settore;
   dal punto di visita normativo si registra l'attuale carenza della legislazione nazionale; infatti, in relazione all'efficacia dei «trattamenti che modificano completamente la struttura cristallo-chimica dell'amianto» e che quindi ne annullano la pericolosità, di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2004, n. 248, devono ancora essere emanati i relativi decreti applicativi e non esistono al momento sul territorio nazionale impianti del genere operativi;
   la società Chemical Center srl ha depositato un brevetto, EP2428254B1, in cui viene descritto un processo biotecnologico di distruzione dei manufatti in cemento amianto (lastre eternit) utilizzando il siero esausto di latte;
   dalle note stampa aziendali si apprende che con questo processo si ottiene prima la rimozione della componente cementizia mediante l'acidità dei metaboliti del lactobacillus casei presente nel siero di latte e la completa liberazione delle fibre di asbesto, che vengono poi distrutte completamente con un processo idrotermale a 180o C. sempre in siero di latte. I due stadi del processo, consistenti nella solubilizzazione della componente cementizia e nella denaturazione completa delle fibre di amianto, avvengono con processi chimici completamente in immersione nel siero di latte, senza alcuna possibilità di immissione di fibre di amianto in aria;
   il processo brevettato utilizza due rifiuti pericolosi, cemento-amianto e siero esausto di latte, per ottenere prodotti commercialmente validi come idropittura, idrossido di calcio, carbonato di calcio, concimi e soprattutto metalli (Mg, Ni, Mn, Fe, ecc.), che vengono depositati elettrochimicamente, ed avere come unico scarto acqua scaricabile in fogna;
   la Chemical Center Srl, (azienda certificata TUV, accreditata alla Rete Innovazione dell'Emilia Romagna e premiata dalla camera di commercio di Bologna per il «Premio Ricerca e Innovazione 2011» per il predetto processo), ha recentemente ceduto in licenza il proprio brevetto per la costruzione dei primi prototipi dell'impianto industriale. La Società Friulana Costruzioni a responsabilità limitata ha acquistato la licenza del brevetto per le regioni dell'Italia del nord, con l'esclusione dell'Emilia Romagna. Project Resource Asbestos Srl (PRA Srl) ha invece acquistato la licenza per le regioni Puglia, Molise e Campania, mentre altre aziende operanti nel settore dei rifiuti stanno contrattando l'acquisizione della licenza del brevetto per le rimanenti regioni italiane e alcuni Paesi europei. Questi impianti pilota saranno dimensionati in modo da smaltire al massimo 10 tonnellate di eternit al giorno e si differenzieranno utilizzando rifiuti alimentari acidi diversi e tipici della regione in cui sorge l'impianto; così, a fianco del siero di latte esausto, potranno essere utilizzati i rifiuti acidi della viticoltura, della spremitura delle olive, della lavorazione dei pomodori e della produzione di birra. Il LEBSC, recentemente costituito in srl da alcuni ricercatori del Chemical Center autori del brevetto, affiancherà le aziende impegnate nella costruzione dei prototipi sviluppando con esse modifiche del processo brevettato per adeguarlo all'utilizzo dei diversi rifiuti alimentari acidi abbondanti e facilmente reperibili sul territorio. Si segnala in particolare l'impianto che dovrebbe sorgere nel comune di Melpignano, apparentemente in fase-avanzata di progettazione. L'area scelta per l'impianto sorge a pochi passi dal centro abitato di Scorrano, e di quelli di Maglie, Corigliano d'Otranto e Cutrofiano;
   nelle presentazioni aziendali balza all'occhio il business plan che prevede guadagni di circa 10 milioni di euro all'anno ad impianto, dati dalla produzione di svariati materiali fra cui ammendanti agricoli. In effetti il brevetto prevede lo smaltimento di numerosi rifiuti, non solo l'amianto ma anche il siero di latte stesso o in alternativa reflui oleari e altri materiali;
   nella descrizione del processo si fa riferimento ai punti più criticati nei vari brevetti di inertizzazione, in particolare: la necessità di frantumazione dei materiali che determina la dispersione delle fibre (nulla si crea e nulla si distrugge) che andranno nei filtri (che dovranno essere smaltiti in discarica adeguata) e nell'ambiente circostante (risulta che i filtri verranno aerati e svuotati dalla fibre); le reazioni chimiche e termiche che presentano caratteri di reversibilità per la struttura chimica dell'amianto con tendenza alla riformazione del crisotilo dopo l'eventuale frammentazione (in pratica l'amianto aggredito strutturalmente da agenti chimici e fisici tende a ricostituire la sua struttura). Si evidenzia come l'aggressione chimica interessi solo la superficie dei MCA e che sia necessaria una successiva aggressione idrotermica, a una temperatura considerata insufficiente a determinare una stabile variazione strutturale in altri brevetti. Nella nota commerciale, completa di tariffe previste per la vendita, sono elencati i sottoprodotti del processo idropittura 2400 litri (600,00 euro), fertilizzanti a base di fosfati 50 chilogrammi (12,50 euro), magnesio 30 chilogrammi (90,00 euro), CO2 350 chilogrammi (700,00 euro);
   la presenza di sottoprodotti/rifiuti impone un'ulteriore attenzione per questo brevetto. In particolare i fertilizzanti andrebbero a portare sul terreno (con possibili rischi per gli operatori e per i residenti) i sottoprodotti/rifiuti e lo stesso vale per le idropitture e per gli altri prodotti citati con possibili rischi per gli utilizzatori/residenti in caso di reazioni incomplete o imperfette di inertizzazione. Dalla descrizione dei processi si configura l'esistenza di una centrale che sarà raccordata con un impianto a biogas, tutto a partire dall'amianto, in apparenza con produzione finale di un rifiuto contenente amianto ancora più difficile da smaltire;
   nel brevetto si legge che nei diversi esperimenti eseguiti l'amianto in realtà non è scomparso al termine dei complessi trattamenti, bensì si è solo ridotto, anche se in maniera considerevole (esempio 1: dalla concentrazione del 12 per cento a quella del 2 per cento); tuttavia, non si comprende come venga trattato l'amianto residuo e se possa entrare nella composizione dei sottoprodotti/rifiuti speciali. È necessario ricordare come non esista una dose soglia di cancerogenicità dell'amianto per cui anche una sola fibra dispersa nell'ambiente potrebbe causare problemi. Non si comprende il bilancio emissivo (emissioni complessive in atmosfera in particolare modo per quanto concerne i precursori delle polveri sottili) e come verrà evitata la liberazione di fibre di amianto nell'ambiente, data la sua facile volatilizzazione, durante la movimentazione, il trasporto, il momentaneo inevitabile stoccaggio, il pretrattamento e durante il trattamento, né il bilancio di massa. Tantomeno si comprende la sostenibilità economica del progetto, visto che la quantità di siero di latte o altro agente acido dovrebbe essere davvero importante per trattare i quantitativi di amianto previsti (da 5 a 100 volte il peso dell'amianto trattato, quindi da 50 a 1000 tonnellate al giorno di siero di latte per l'impianto base da 10 t di amianto trattate al giorno). Né si comprende la riproducibilità della reazione chimica descritta nel brevetto (siero di latte) con l'utilizzo di altro agente acido (reflui oleari o vegetali vari) nelle realtà (come quella di Melpignano in Puglia) dove il siero di latte non è presente in quantità adeguata. In particolare, quindi, non si comprende se il bilancio fra rischi e benefici di un impianto del genere sia accettabile;
   si segnala il forte allarme sociale nei comuni di Melpignano e limitrofi, dove recentemente il progetto di costruzione di una centrale a biomasse è stato bocciato per le caratteristiche ambientali del territorio –:
   se il Ministro interrogato sia informato dell'attuazione del nuovo processo di denaturazione delle fibre di amianto mediante l'uso di siero esausto di latte e rifiuti alimentari acidi e quindi se, per quanto di propria competenza, abbia svolto o intenda svolgere un'approfondita valutazione sulla sostenibilità ambientale del processo di cui al brevetto. (5-04842)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel rilascio delle autorizzazioni di cui all'articolo 21 della legge n. 179 del 2002 ed all'articolo 109 del decreto legislativo n. 152 del 2006 le regioni impiegano come norma tecnica di riferimento il decreto ministeriale 24 gennaio 1996 e, non prevedendo tale decreto specifici valori di riferimento per i parametri da indagare, ai fini della classificazione dei materiali e dell'individuazione della migliore opzione di gestione successiva all'escavo, utilizzano di norma il manuale ICRAM-APAT;
   il riferimento alle norme e ai documenti tecnici sopra citati comporta che la caratterizzazione dei sedimenti portuali avvenga mediante la determinazione dei parametri fisici, chimici e microbiologici di cui alla tabella 2.1 a) del manuale e che la successiva classificazione avvenga mediante la combinazione dell'esito delle analisi fisiche, chimiche e microbiologiche con l'esito delle analisi ecotossicologiche di cui al pf. 2.2.2. del manuale medesimo;
   tale prassi appare conforme: a quanto indicato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota protocollo PNM – 2012 – 0007433 dell'11 aprile 2012 «Entrata in vigore del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 — Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo — articolo 24, Modifiche alle norme in materia ambientale di cui al Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»;
   a quanto previsto nello schema di decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per le politiche agricole e forestali e il Ministro dello sviluppo economico, recante modalità per il rilascio dell'autorizzazione all'immersione in mare di materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, ai sensi dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, trasmesso, con nota della Presidenza del Consiglio dei ministri protocollo CSR 0004036 P-4.23.2.14 dell'8 ottobre 2014, per l'esame in sede tecnica della Conferenza Stato-regioni, ai fini dell'espressione dell'intesa;
   l'articolo 184-quater, al comma 1, prevede però che: «1. I materiali dragati sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati ai sensi della normativa vigente, cessano di essere rifiuti se, all'esito delle operazioni di recupero, che possono consistere anche in operazioni di cernita e selezione, soddisfano e sono utilizzati rispettando i seguenti requisiti e condizioni:
    a) non superano i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5 al titolo V della parte quarta, con riferimento alla destinazione urbanistica del sito di utilizzo, o, in caso di utilizzo diretto in un ciclo produttivo, rispondono ai requisiti tecnici di cui alla lettera b), secondo periodo;
    b) è certo il sito di destinazione e sono utilizzati direttamente, anche a fini del riuso o rimodellamento ambientale, senza rischi per le matrici ambientali interessate e in particolare senza determinare contaminazione delle acque sotterranee e superficiali. In caso di utilizzo diretto in un ciclo produttivo, devono, invece, rispettare i requisiti tecnici per gli scopi specifici individuati, la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti e alle materie prime, e in particolare non devono determinare emissioni nell'ambiente superiori o diverse qualitativamente da quelle che derivano dall'uso di prodotti e di materie prime per i quali è stata rilasciata l'autorizzazione all'esercizio dell'impianto»;
   la previsione dell'articolo 184-quater ipotizza quindi che i materiali dragati siano geneticamente rifiuti e che solo all'esito di operazioni di recupero e dopo la verifica dei requisiti e delle condizioni dal medesimo puntualmente definiti possono cessare tale qualifica;
   le operazioni di recupero che possono determinare l’end of waste, per altro, sono chiaramente indicate dall'articolo 184-ter del decreto n. 152 del 2006;
   in sostanza, contrariamente a quanto indicato dalla rubrica e dall’incipit dell'articolo 184-quater si presuppone per i sedimenti provenienti dall'escavo dei fondali marini la natura di rifiuto e non di materiale (come indicato);
   ciò sta ponendo agli operatori del settore ed agli organi di controllo problemi di interpretazione della norma e soprattutto di applicazione in quanto a fronte della legge che ab origine classifica come rifiuti i materiali di dragaggio ai fini del successivo end of waste, nella «Relazione introduttiva alla proposta di decreto attuativo di cui all'articolo 109, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152», si evidenzia che il sedimento marino una volta che si decida di sottoporlo a operazioni di movimentazione, non deve essere considerato rifiuto a priori ma deve essere assoggettato a un procedimento di caratterizzazione, a seguito dei risultati della quale potrà essere predisposto un progetto di gestione che preveda la destinazione dei materiali di diverse caratteristiche fisiche e qualità a diversi usi più o meno a breve termine sulla base di criteri prestabiliti, peraltro molti dei quali sono già indicati nel citato Manuale ISPRA. Solo l'aliquota di materiali non altrimenti riutilizzati secondo i citati criteri e di cui il detentore abbia definitivamente deciso di disfarsi potrà essere considerata rifiuto da gestire sulla base della relativa normativa  –:
   se la verifica della sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, lettera a), dell'articolo 184-quater del decreto legislativo n. 152 del 2006 debba avvenire rispetto a tutti i parametri chimici della tabella 1 dell'allegato 5 al titolo V della parte quarta del medesimo decreto, ovvero rispetto ai soli parametri chimici di cui alla tabella 2.1 a del manuale APAT — ICRAM, selezionati in funzione delle sostanze normalmente presenti in ambito portuale e, per altro, riproposti nella Tabella 1.2. dell'Allegato 1 dello schema di decreto recante modalità per il rilascio dell'autorizzazione all'immersione in mare di cui all'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e come sia perciò conciliabile l'articolo 184-ter nella parte in cui prevede che i sedimenti-rifiuti siano sottoposti ad operazioni di recupero, soggette come tali ad autorizzazione ai sensi degli articoli 208 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006, con le disposizioni che richiedono solo un «procedimento di caratterizzazione» dell'emanando decreto attuativo ex articolo 109 del decreto legislativo n. 152 del 2006 trasmesso con nota della Presidenza del Consiglio dei ministri protocollo CSR 0004036 P-4.23.2.14 dell'8 ottobre 2014, per l'esame in sede tecnica della Conferenza Stato regioni, ai fini dell'espressione dell'intesa. (5-04843)


   SEGONI, RIZZETTO, MUCCI, ROSTELLATO, ARTINI, PRODANI, PASTORELLI, CRISTIAN IANNUZZI, BARBANTI, BECHIS, TURCO e BALDASSARRE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel rapporto pubblicato dall'osservatorio ambientale di Civitavecchia (Roma) per l'anno 2013 si riscontrano forti criticità rispetto ad alcuni fattori monitorati;
   il testo specifica che: «le principali variazioni rilevate dal confronto del quadriennio riguardano l'arsenico, per tutti e tre gli organismi (sentinella), helix aspersa, aphanius fasciatus e paracentrotus lividus, ed il cromo principalmente per aphanius fasciatus. Nella campagna 2013 inoltre, è stato registrato un notevole incremento dei livelli di piombo per tutti gli organismi sentinella e sono state rilevate, per la prima volta, tracce di mercurio»;
   lo stesso documento afferma che: «per l'arsenico si registra un sensibile incremento focalizzato in modo particolare negli ultimi due anni di indagine 2012 e 2013 — generalizzato su tutti gli organismi sentinella»;
   nelle conclusioni si legge che: «le maggiori alterazioni hanno riguardato i livelli di cromo, di arsenico e per l'anno 2013 di piombo», e si «suggerisce di prestare attenzione anche ai materiali particellari (PM 10 e PM 2,5)»;
   il materiale particellare: «...è anche direttamente emesso da impianti industriali, traffico veicolare, riscaldamento domestico e altro, ne consegue che l'attivazione d'interventi di riduzione dell'inquinamento richieda la conoscenza delle condizioni meteorologiche, della concentrazione in aria dei precursori e, per il materiale particellare, delle sorgenti che lo immettono direttamente nell'aria»;
   l'osservatorio ambientale ammette che: «in mancanza di una rilevazione dei microinquinanti da parte dell'osservatorio, il rapporto fa indicativamente riferimento ad una rilevazione che l'ENEL produce annualmente in ottemperanza di una prescrizione del decreto di autorizzazione della riconversione a carbone della centrale termoelettrica di Torrevaldaliga nord» e che «le rilevazioni del 2013 evidenziano il contributo dell'attività portuale e del riscaldamento domestico (...) ma non riescono a quantificare o ad escludere quelli della centrale Torrevaldaliga nord, dell'area portuale e del traffico veicolare sulle concentrazioni di PM 10 e PM 2.5 rilevate a San Gordiano ed a Faro» –:
   se il Ministro interrogato ritenga sussistenti i presupposti per assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a sviluppare un monitoraggio più ampio ed esaustivo degli agenti inquinanti sull'intero territorio di Civitavecchia, monitoraggio che faccia riferimento anche a dati raccolti da soggetti terzi e indipendenti, posto che Enel, in qualità di soggetto monitorato, appare agli interroganti in palese conflitto di interessi rispetto alla produzione dei rapporti dell'osservatorio.
(5-04844)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   molte imprese e professionisti del settore rifiuti riscontrano difficoltà nell'affrontare le attività connesse alla bonifica di siti inquinati a causa del quadro normativo di riferimento che presenta criticità e difformità interpretative da parte degli enti preposti al rilascio dei provvedimenti autorizzatori e da parte degli organi preposti ai controlli ambientali;
   il 14 maggio 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con propria circolare ha fornito indicazioni in merito all'applicazione della normativa sulle terre e rocce da scavo; restano però ancora incertezze su taluni aspetti come, ad esempio, sui criteri per classificare e gestire i riporti di materiali da scavo eterogenei;
   una delle maggiori criticità riguarda la classificazione dei rifiuti in quanto se i rifiuti misti a terreno sono classificati pericolosi, tutte le terre dell'area da bonificare devono essere ritenute pericolose e rimosse, indipendentemente dalla percentuale in cui le sostanze pericolose sono presenti; ciò impone una inutile ed onerosa rimozione anche di materiali che non superano i valori che rendono pericoloso un rifiuto;
   a ciò si aggiunga che il 18 febbraio 2015 è entrata in vigore la modifica alla normativa sulla classificazione dei rifiuti – con particolare, riferimento alla distinzione fra quelli pericolosi e quelli non pericolosi – prevista dall'articolo 13 comma 5-bis della legge 11 agosto 2014 n. 116, che ha convertito il decreto legislativo 24 giugno 2014, n. 91 (lettera b-bis);
   il 1o giugno 2015 sono poi previsti ulteriori cambiamenti, perché le norme sui CER verranno superate con l'applicazione del Regolamento 1272/2008/Ce su classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze chimiche ma soprattutto dal Regolamento 1357/2014/UE sulle caratteristiche di pericolo dei rifiuti e dalla decisione 2014/995/UE recante il nuovo elenco europeo dei rifiuti (Eer);
   le difficoltà interpretative ed applicative della normativa sulle terre e rocce da scavo, nonostante l'atto del Ministero dell'aprile 2014, sono state colte dallo stesso legislatore il quale all'articolo 8 del decreto legge n. 133 del 2014 (cosiddetto «Sblocca Italia»), convertito con modificazione dalla legge 11 novembre 1014 n. 164, ha previsto che «... al fine di rendere più agevole la realizzazione degli interventi che comportano la gestione delle terre e rocce da scavo, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Ambiente... saranno adottate entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, le disposizioni di riordino e di semplificazione della materia...»;
   in questo complesso quadro normativo, se non si provvede a fare quella chiarezza che il Parlamento ha demandato al Governo e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il cosiddetto «Sblocca Italia», si rischia la paralisi degli interventi di bonifica fin dalle fasi di caratterizzazione dei materiali presenti nei siti –:
   se ed entro quando il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Governo intendono rispettare il mandato conferito loro con lo Sblocca Italia e assumere gli atti necessari per consentire l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica recante disposizioni di riordino e di semplificazione della disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo con presenza di materiali di riporto e delle procedure di modifica di aree con presenza di tali materiali.
(5-04831)


   MANTERO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE, SIMONE VALENTE e BATTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è noto a molti, che le gravi problematiche legate alle centrali a carbone da tempo emerse a livello scientifico internazionale, evidenziate da studiosi di altissimo livello e confermate anche da recenti studi e indagini della magistratura, provocano non pochi incontrovertibili e gravi danni alla salute ed alla vita dei cittadini;
   insostenibili sono, inoltre, gli oneri economici dovuti alle spese sanitarie e ai danni ambientali che l'esercizio di queste centrali comporta per la collettività e il bilancio dello Stato;
   la centrale Tirreno Power di Vado Ligure è tra le principali fonti di emissione di molti inquinanti atmosferici della provincia di Savona tra cui: particolato, biossido di zolfo, ossidi di azoto, biossido di carbonio (CO2), mercurio, arsenico, cromo, nickel, altri metalli pesanti, gas acidi, idrocarburi policiclici aromatici, e uranio e torio radioattivi;
   nel marzo 2014 è intervenuta l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, Fiorenza Giorgi, la quale ha disposto il sequestro dei gruppi a carbone della medesima centrale prevedendone lo spegnimento;
   nella stessa ordinanza si legge testualmente «appare dimostrato che il gestore, in tutti questi anni e fino alla data odierna, ha sempre fatto quello che gli tornava più vantaggioso, il tutto nella neghittosità degli organi pubblici chiamati a svolgere attività di controllo, e che, lungi dal sanzionare le dette inottemperanze, hanno ritardato in modo abnorme l'emissione dei dovuti provvedimenti ed emesso alla fine una AIA estremamente vantaggiosa...»;
   il 18 febbraio 2015 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Galletti, come si legge in vari articoli di stampa, ha incontrato i rappresentanti dei Ministeri, gli enti locali e l'azienda Tirreno Power di Vado Ligure;
   nel suddetto incontro il Ministro Galletti avrebbe manifestato disponibilità ad affrontare, in relazione all'AIA, le eccezioni sollevate dalla Tirreno Power;
   l'AIA, approvata mesi fa presenta livelli più «rigorosi», in virtù della particolare situazione della centrale di Vado Ligure, un'area ormai completamente inquinata, come risulta anche dalle perizie della procura;
   il 25 febbraio 2015 sarà previsto un tavolo tecnico di confronto in cui il Ministero dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute con l'azienda e la regione effettueranno una sorta di «verifica interna» anche in base alle prescrizioni dell'AIA e alle migliori tecnologie disponibili, ed il cui obiettivo sarebbe conciliare l'attività della centrale con l'ambiente e la salute, rispettivamente alle possibilità di investimento e di ripresa produttiva della centrale –:
   quali siano le motivazioni che hanno portato il Ministro interrogato a tenere l'incontro del 18 febbraio 2015 e a programmarne un secondo il 25 febbraio 2015, quando ormai la procedura di AIA era stata già conclusa;
   se le indiscrezioni trapelate dalla stampa in merito all'esito dell'incontro tenutosi a Palazzo Chigi siano veritiere;
   quali iniziative intenda prendere il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per evitare di perpetuare il «disastro ambientale», per tutelare la salute dei cittadini della provincia di Savona visto «l'ingente danno alla salute provocato dal dimostrato aumento dei ricoveri ospedalieri e del numero dei decessi riconducibile direttamente alla presenza della centrale», come si legge nell'ordinanza di sequestro quale ipotesi sicuramente più grave del reato contestato. (5-04845)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la centrale elettronucleare del Garigliano, situata nel comune di Sessa Aurunca, provincia di Caserta, in estrema prossimità del fiume Garigliano, entrò in esercizio nel giugno 1964 e venne disattivata nel 1978 per l'esecuzione di interventi di adeguamento, a causa di un guasto ad un generatore dovuto all'esondazione del suddetto fiume; la centrale venne definitivamente chiusa con delibera CIPE del 4 marzo 1982 per gli alti costi derivanti dalle operazioni di adeguamento;
   la proprietà della centrale, assunta nel 1964 da ENEL, è passata dal 1999 a Sogin spa, con l'obiettivo di realizzarne il decommissioning (dismissione e bonifica del sito);
   nel dicembre 2001 è stata presentata presso l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale un'istanza di autorizzazione per le operazioni di disattivazione, ex articolo 55 del decreto-legge n. 230 del 1995; conclusa l'istruttoria, l'Ispra ha emesso il proprio parere tecnico nel 2006 e, su istanza del Ministero dello sviluppo economico, ha richiesto alla Sogin l'aggiornamento del piano di disattivazione, soprattutto per ciò che concerneva la strategia di deposito in sito dei rifiuti radioattivi;
   soltanto il 28 settembre 2012, a distanza di 6 anni dalla richiesta di aggiornamento alla Sogin da parte di Ispra, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato il decreto di autorizzazione delle operazioni di decommissioning-disattivazione accelerata per il rilascio incondizionato del sito, dopo la ricezione del parere aggiornato dell'Ispra e l'approvazione del decreto di compatibilità ambientale (VIA) del 2010;
   nel 2012, in seguito alla diffusione di alcuni articoli di stampa che riportavano notizie allarmanti circa il tasso di mortalità per insorgenze tumorali degli abitanti di Sessa Aurunca, è stato aperto presso il tribunale di Santa Maria Capua Venere il procedimento penale come riportato dal sostituto procuratore della Repubblica Giuliana Giuliano in occasione della sua audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, del 14 gennaio 2015; a seguito di un sopralluogo della Guardia di Finanza presso gli impianti della centrale sono state riscontrate numerose violazioni al decreto-legge n. 230 del 1995;
   in particolar modo, il registro di carico e scarico liquidi e aeriformi risultava essere stato compilato a matita, destando significative preoccupazioni in merito alle modalità di gestione delle attività all'interno della centrale;
   non risultavano essere stati effettuati controlli negli ultimi 7 anni da parte dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della regione Campania (ARPAC), che avrebbe dovuto invece eseguirli con cadenza semestrale, come riportato dagli articoli delle testate online dei quotidiani La Repubblica (Garigliano, la centrale disattivata. Da sette anni niente controlli del 10 dicembre 2012) e Il Fatto quotidiano (Disastro ambientale: c’è l'indagine sulla centrale nucleare di Garigliano dell'8 dicembre 2012);
   sono stati, inoltre, rintracciati valori anomali all'interno di una trincea, un'area, ossia, ove negli anni sono stati interrati rifiuti a bassa radioattività senza alcuna protezione, quali tute da lavoro degli operai che lavoravano all'interno della centrale, una pratica allora consentita dalla normativa; il rischio maggiore è quello relativo alle possibili oscillazioni future delle falda;
   ulteriore preoccupazione emergeva dai controlli nella vasca di accumulo, ove confluiscono gli scarichi della centrale e che, attraverso un collettore, si riversano nel fiume Garigliano; i valori di cobalto 60 e cesio 137 risultavano infatti più elevati della norma, soprattutto se si considera, come riportato dal sostituto procuratore Giuliana Giuliano, che tali sostanze hanno tempi di dimezzamento relativamente rapidi;
   la procura di Santa Maria Capua Venere ha successivamente nominato alcuni consulenti per valutare i livelli di radioattività e la loro possibile connessione con insorgenze tumorali; in particolare, ai consulenti è stato chiesto di effettuare prelievi di matrice ambientale all'interno e all'esterno della centrale, prelievi sulle matrici alimentari, e di verificare i valori della vasche di accumulo, nonché di effettuare campioni di rifiuti radioattivi all'interno delle installazioni e nella suddetta trincea, posta sotto sequestro;
   i risultati delle consulenze risultano, tuttavia, secretati, a causa del procedimento penale in corso che coinvolge anche esponenti della Sogin, un elemento che desta significative preoccupazioni;
   durante l'ultima riunione del tavolo della trasparenza, il principale strumento di informazione e partecipazione tra il livello centrale e locale nel corso della procedura di decommissioning della centrale, è stato chiesto all'assessore della regione Campania all'ambiente di informarsi presso la procura in merito allo stato delle indagini; a seguito di un incontro con il procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere Raffaella Capasso, avvenuto nel dicembre 2014, dall'assessore sono giunte tuttavia soltanto alcune, generiche, rassicurazioni;
   dal giugno 2013 al gennaio 2014 Ispra ha avviato una campagna di monitoraggio indipendente della radioattività ambientale del sito della centrale nucleare, con lo scopo di disporre un preventivo «punto zero» di riferimento e di vigilare sulle modalità di effettuazione della sorveglianza della radioattività ambientale che la Sogin deve effettuare, ai sensi dell'articolo 54 del decreto-legge n. 230 del 1995;
   tale misurazione costituisce la prima valutazione della radioattività ambientale indipendente rispetto a quelle effettuate annualmente dalla Sogin; dalle conclusioni della relazione Ispra non sembrano emergere particolari anomalie e la variabilità dei valori rientrerebbe nell'ambito di quella riscontrabile su scala regionale o nazionale;
   a partire dagli anni Ottanta si sono verificati numerosi fenomeni di esondazione del fiume Garigliano, che hanno in alcuni casi invaso il perimetro della suddetta centrale; l'ultima esondazione ha avuto luogo nel marzo del 2011;
   i dati emersi dalle prime rilevazioni sui livelli di radioattività, effettuate nel corso del procedimento penale, appaiono in contrasto con le rassicurazioni provenienti dall'Ispra;
   l'accesso alle informazioni ambientali è un diritto riconosciuto a livello internazionale dalla Convenzione di Aarhus sul diritto di accesso alle informazioni, la partecipazione ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale del 1998, ratificata in Italia con la legge n. 108 del 16 marzo 2001, e dal diritto comunitario attraverso la Direttiva 2003/4/CE;
   il percorso di decommissioning degli impianti, iniziato nel 2000, si prospetta ancora lungo: la Sogin, dopo una prima, ottimistica, previsione circa una possibile fine dei lavori nel 2016, valuta invece oggi che le attività dovrebbero terminare tra il 2024 e il 2028 e, solo successivamente, i rifiuti radioattivi condizionati e stoccati nei depositi temporanei del sito potranno essere trasferiti al futuro Deposito Nazionale –:
   quali interventi intendano mettere in atto al fine di circoscrivere i rischi ancora presenti, quali la contaminazione delle falde acquifere da parte di materiale radioattivo o una possibile ulteriore esondazione del fiume Garigliano nel territorio della centrale, promuovendo in tal senso una accessibile e completa informazione dei cittadini circa lo stato di contaminazione ambientale del sito e dei terreni contigui, in tutte le fasi di decommissioning ad opera della Sogin. (4-08129)


   MARZANA, LOREFICE, D'UVA, DI VITA, LUPO, DI BENEDETTO, GRILLO, CANCELLERI, MANNINO, RIZZO, NUTI e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il piano regolatore generale, approvato con D.A.R.S. n. 135 del 2 agosto 1979 del comune di Ispica, provincia di Ragusa, nel foglio catastale n. 32 particelle n. 188, 189, 191 e 262, individua la zona E1 (articolo 11.1) «Usi agricoli indifferenziati», denominata contrada Graffetta;
   nella zona sopracitata insistono due discariche di rifiuti solidi urbani dello stesso comune e la discarica n. 3 del comune di Pozzallo;
   la discarica n. 1 del comune di Ispica è stata realizzata nel 1983 ed ha smesso di accogliere rifiuti nel 1993, anno in cui è stata attivata la discarica n. 2;
   la discarica n. 1, in possesso dell'autorizzazione regionale protocollo n. 16513 del 1o settembre 1983, non rientrando tra le discariche previste dal «piano regionale» di cui all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 915/821, ha seguito l’iter per eventuali discariche «del tutto provvisorie» ai sensi dell'articolo 12 che dispone: «Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, il Presidente della Giunta regionale ovvero il Sindaco, nell'ambito delle rispettive competenze, può ordinare ricorso temporaneo a speciali forme di smaltimento di rifiuti anche in deroga alle disposizioni vigenti, informandone tempestivamente il Ministro della sanità. (...) Restano salvi i poteri degli organi dello Stato preposti, in base alle leggi vigenti, alla tutela della sicurezza pubblica»;
   i lavori di preparazione alla costruzione della discarica n. 1 iniziano nel settembre del 1983 e consistono solamente nella recinzione del lotto con paletti e rete metallica. Non è stata effettuata nessuna impermeabilizzazione e preparazione del sottofondo della discarica e nessun sistema di raccolta di percolato e biogas;
   solo dopo la realizzazione della discarica, a seguito di segnalazione al pretore, vista la mancata realizzazione del muro di cinta attorno alla discarica, tra la fine del 1983 e l'inizio del 1984, viene realizzato un muro di recinzione in blocchi di cemento alto 1 metro attorno a tutta la discarica;
   nonostante la presenza nel lotto prescelto per l'ubicazione della discarica di una faglia geologica, di una falda acquifera e del torrente che costeggia l'area, non è stata adottata nessuna protezione contro lo scolo di percolato;
   si aggiunga che nella discarica n. 1 è stato smaltito amianto, copertoni e plastica di ogni genere che non rientrano tra i rifiuti solidi urbani;
   ad oggi la discarica è in disuso e nessuna opera di messa in sicurezza e nessun piano di gestione è stato messo in atto;
   a seguito di ispezione del 19 aprile 1993, i tecnici del comune di Ispica assieme ai tecnici dell'assessorato regionale territorio e ambiente, scelgono il sito per la discarica n. 2 accanto a quello della discarica n. 1, «previa realizzazione delle indispensabili infrastrutture tecniche e di tutte quelle opere necessarie per rendere impermeabile il sito, canalizzare e raccogliere il percolato, coltivare la nuova discarica da realizzare adiacente a quella esistente mediante terrazzamenti e sottoporre a bonifica il sito dell'attuale discarica nel terreno di proprietà Agesp»;
   in sostanza i tecnici scelgono la particella n. 189 accanto alla discarica n. 1 per l'ubicazione della seconda discarica in modo da facilitare le operazioni di bonifica della prima discarica, già esistente all'epoca. Eppure queste operazioni di bonifica sulla prima discarica non sono mai state realizzate;
   con delibera del consiglio comunale n. 65 del 31 agosto 1993 viene disposto: «...da adibire a discarica provvisoria per rifiuti solidi urbani per la durata di anni sei...»; la discarica ha smesso di ricevere rifiuti nel 2001;
   in realtà, anche per questa seconda discarica, i rifiuti non sono stati ricoperti giornalmente e non risulterebbero a norma l'impianto di depurazione e il sistema di raccolta del percolato verso le canalette, così come il sistema di captazione e trattamento del biogas;
   il 23 giugno 2001 il Prefetto di Ragusa, con ordinanza 3782/27 Gab, intima al Comune di Ispica di attivare in via urgente le procedure per la bonifica e messa in sicurezza della ex discarica in C.da Graffetta (discarica n. 1 e n. 2), ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e secondo le circolari del commissario delegato per l'emergenza rifiuti, richiedendo comunicazioni con cadenza quindicinale sulle attività avviate. Non risulta, ad oggi, che sia stata avviata alcuna attività di bonifica nell'area;
   intanto a seguito dell'adozione della rielaborazione parziale del piano regolatore generale di cui alla delibera del C.C. n. 27 del 28 aprile 2011, accolta dalla regione, la destinazione urbanistica dell'area in questione è stata modificata per una parte come «zona agricola produttiva» e per il resto come «aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport»;
   si aggiunga che i lotti menzionati sono sottoposti ai seguenti vincoli: vincolo paesaggistico per la presenza di un torrente relativamente alla fascia dei 150 m dalle rive ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 42 del 2004 e vincolo geologico dovuto alla presenza di una faglia ai sensi della legge n. 394 del 6 dicembre 1991;
   eppure, con delibera del consiglio comunale n. 12 del 29 febbraio 2000 viene aggiornato il programma triennale delle opere pubbliche 2000/2002 e tra le opere viene inserita una discarica per materiale inerte (discarica del comune di Ispica) da realizzare in C.da Graffetta al confine con la discarica per rifiuti solidi urbani, al foglio n. 32, particella 189 del comune di Ispica: la discarica servirà a raccogliere i materiali provenienti dalle demolizioni di fabbricati, di scavi di rocce e di tutto il materiale non classificabile come rifiuti solidi urbani;
   tale opera è stata confermata nel successivo programma triennale delle opere pubbliche 2011/2013 –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda promuovere una verifica, tramite il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, per accertare lo stato dei luoghi e il livello di inquinamento;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo alla luce dei vincoli paesaggistici che interessano l'area coinvolta. (4-08134)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della VII edizione de «I Luoghi del Cuore», promosso dal FAI in collaborazione con Intesa Sanpaolo è stata registrata una significativa adesione di cittadini;
   ben 1.658.701 italiani hanno partecipato al suddetto censimento, con una mobilitazione spontanea che parte dal basso e che sempre di più si avvale dei social network;
   tra i luoghi censiti è possibile scoprire il valore culturale della cosiddetta Italia minore quella dei circuiti meno conosciuti e che al contrario custodisce importanti realtà culturali;
   in particolare si segnalano alcuni luoghi della collina materana compresi tra i comuni di Tricarico, Pomarico e Grottole;
   al 60o posto, con 5.947 segnalazioni, si è classificato il «sistema» degli Orti saraceni a Tricarico, costituito da superfici terrazzate a ridosso delle mura dell'abitato medievale, irrigati con tecniche di canalizzazione di origine araba;
   il luogo è stato segnalato al censimento per la situazione di abbandono in cui versa e chi si è prodigato a segnalarlo lancia un appello di tutela e valorizzazione di un sistema di coltivazione che andrebbe recuperato;
   Al 66o posto, con 5.536 segnalazioni, si è classificato il palazzo Marchesale Donnaperna a Pomarico, costruito nel 1773, una imponente struttura, di proprietà pubblico/privata recuperata dal punto di vista della sua sicurezza statica ma che necessita di ulteriori importanti interventi di restauro e che potrebbe essere destinata ad una importante valorizzazione culturale;
   al 134o posto si è piazzata infine la chiesa Diruta di Grottole, intitolata ai santi Luca e Giuliano oggi un imponente rudere che per la sua imponenza e bellezza meriterebbe interventi di seria messa in sicurezza;
   si tratta di tre luoghi che hanno mobilitato le comunità di appartenenza e anche tanti emigranti;
   il comprensorio che racchiude queste realtà è molto vicino a Matera che nell'ottobre scorso è stata nominata capitale Europea della Cultura nel 2019 e sarebbe un bel segnale che si investisse anche in riferimento ad opere e manufatti che possono restituire significativi patrimoni culturali e richiamare tanti visitatori –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per intervenire in una azione di recupero dei siti citati in premessa al fine di consentirne un recupero e di avviare una importante azione di promozione e valorizzazione anche in chiave turistica. (5-04826)


   CAROCCI, TULLO, BASSO, BIASOTTI, GIACOBBE, PASTORINO, MARIANI, VAZIO, OLIARO e QUARANTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha reso noto che la commissione consultiva per la prosa, nominata a seguito di un bando pubblico, presieduta dal Professor Luciano Argano e composta da Oliviero Ponte di Pino, Roberta Ferraresi, Ilaria Fabbri e Massimo Cecconi, ha esaminato le dieci domande pervenute per il riconoscimento della qualifica di Teatro Nazionale;
   la commissione ha unanimemente deciso di riconoscere quali teatri nazionali per il triennio 2015-2017 le seguenti istituzioni: Associazione Teatro di Roma; Associazione Teatro Stabile della Città di Napoli; Fondazione Emilia Romagna Teatro; Fondazione Piccolo Teatro di Milano — Teatro d'Europa; Fondazione Teatro Stabile di Torino; Teatro della Toscana; Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni;
   la commissione ha inoltre riconosciuto quali teatri di interesse culturale le seguenti istituzioni: Associazione Teatro Biondo Stabile di Palermo; Ente Teatro di Sicilia — Stabile della Città di Catania; Teatro Stabile di Genova;
   appare assai difficile comprendere le ragioni per cui il Teatro Stabile di Genova è stato escluso da tale lista pur continuando a produrre molto di più di alcuni teatri che, tuttavia, hanno avuto l'opportunità di rientrare nelle suddetta categoria;
   tale riconoscimento appare importante per molti motivi: come è noto la città di Genova sta vivendo momenti non facili anche dal punto di vista culturale: le condizioni del Carlo Felice, le recenti alluvioni che hanno rallentato inevitabilmente anche il rapporto dei genovesi e dei turisti con i teatri, i cinema, il Palazzo della cultura, ma che con tenacia si stanno positivamente riprendendo e consolidando;
   il Teatro Stabile di Genova è in questo panorama un'eccellenza che dura nel tempo, da ben 65 anni. Sarebbe davvero grave che Genova non vedesse riconosciuta al meglio la strada virtuosa che questo Teatro ha compiuto;
   dalla direzione di Ivo Chiesa a quella di Carlo Repetti, dalle regie di Luigi Squarzina a quelle di Marco Sciaccaluga, da attori quali Alberto Lionello, Lina Volonghi, Mariangela Melato e ancora oggi Eros Pagni e Tullio Solenghi, il Teatro Stabile di Genova è sempre stato un punto di riferimento importante per la cultura italiana ed europea: non è un caso che con questo Teatro abbiano collaborato o ancora collaborino registi quali Otomar Krejca, Benno Besson, Peter Stein, Matthias Langhoff e molti altri;
   dunque, sia per la sua storia sia per la qualità del lavoro presente (il Teatro Stabile di Genova vanta una scuola per attori considerata fra le migliori in Italia e dal punto di vista amministrativo ha chiuso tutti i suoi bilanci dal 2000 ad oggi in pareggio) si ritiene che il Teatro di Genova abbia tutte le caratteristiche per essere considerato fra i teatri che possano rientrare nella categoria dei teatri nazionali;
   laddove questo non accadesse, si creerebbe un'ingiustizia culturale grave e incomprensibile per chi segue e per chi ama la cultura teatrale;
   sembra dunque, siano state privilegiate valutazioni discrezionali e non i parametri storici, strutturali, qualitativi ed economici rispettati da un teatro dal valore universalmente riconosciuto e da una scuola teatrale che ha formato negli anni i principali grandi attori e registi attivi sulla scena nazionale e internazionale –:
   se non ritenga opportuno rendere note le motivazioni di tale decisione e valutare nel merito l'opportunità che il Teatro Stabile di Genova venga inserito nella categoria dei teatri nazionali valorizzando in questo modo una parte importante del patrimonio culturale del nostro Paese. (5-04837)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ, LAFFRANCO, MARTI, LATRONICO, PELLEGRINO, D'OTTAVIO, ALTIERI, FUCCI e DISTASO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione, ai sensi dell'articolo 9, dispone che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico e la Nazione» e in ottemperanza all'articolo 117 s) Cost. lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»;
   la legge 29 marzo 2001, n. 135 in materia di Riforma della legislazione nazionale del turismo, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 92 del 20 aprile 2001 dispone all'articolo 2 a) che la Repubblica «riconosce il ruolo strategico del turismo per lo sviluppo economico e occupazionale del Paese nel contesto internazionale e dell'Unione europea, per la crescita culturale e sociale della persona e della collettività e per favorire le relazioni tra popoli diversi»;
   il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 legge 6 luglio 2002, n. 1372. dispone che «la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura» e che «i privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantirne la conservazione»;
   uno dei simboli più importanti dell'arte italiana e della storia pugliese, nonché attrazione turistica di notevole spessore, è la trecentesca Chiesa della Madonna della Grotta, che insiste nel territorio della città di Ceglie Messapica (Br), costruita nel XIV secolo, su una cripta basiliana dell'VIII secolo dall'architetto Domenico de Juliano, in principio di proprietà del Capitolo della Collegiata cegliese, poi venduta dal demanio a privati nel 1871 a tutt'oggi difficilmente identificabili, che attualmente versa in uno stato di pietoso abbandono per l'incuria e il disinteresse degli organi preposti alla sua tutela, rischiando pertanto di essere cancellata dal panorama storico e artistico della nazione;
   da anni il grido di allarme lanciato da studiosi italiani e stranieri, da studenti che intendono svolgere tesi di laurea e da semplici cittadini che, a più riprese, hanno raccolto migliaia di firme, per salvare almeno quello che resta di questa splendida chiese del Trecento pugliese, non è stato ascoltato;
   il decreto ministeriale 3 novembre 1993 del Ministero dei beni culturali ha sottoposto la Chiesa a tutela «stante il rilevante interesse storico e culturale nonché l'abbandono in cui versa»; ma nessun atto concreto e consequenziale è stato posto in essere per salvare questo monumento e gli antichi affreschi ornamentali, ormai irrimediabilmente perduti;
   il Codice dei beni Culturale e del Paesaggio prevede pene severe e poteri sostitutivi contro chi, come in questo caso, sistematicamente distrugge un patrimonio che appartiene alla cultura nazionale (proprietà che vieta anche alle autorità l'ingresso al monumento);
   risulta necessario e urgente che gli organi competenti attivino tutte le procedure previste dalla legge poiché ogni ulteriore silenzio o mancanza di adeguati interventi di tutela porteranno alla sicura distruzione di questa splendida chiesa e questa perdita sarà addebitata all'incuria e alla responsabilità di coloro che sono preposti alla sua tutela e conservazione –:
   se sia a conoscenza dei fatti e se ritenga che possano sussistere i presupposti per l'esproprio del bene al fine di garantire il restauro e la conservazione dell'intero corpo di fabbrica per salvaguardare uno dei simboli religiosi e artistici più significativi del Sud Italia, in nome di un esclusivo interesse per la cultura e per il rilancio turistico della zona. (4-08126)


   SIMONE VALENTE, MANTERO e BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il piano territoriale di coordinamento paesistico della regione Liguria (dcr n. 6/90) classifica l'area del porto di Santa Margherita come area urbana di «mantenimento» e prescrive di evitare che vadano perdute quelle testimonianze dell'assetto preesistente che contribuiscono a determinare la qualità ambientale della struttura urbana attuale;
   il suddetto porto è sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, con decreto ministeriale 11 giugno 1954 che ne protegge, oltre alle vedute panoramiche, la ricca vegetazione arborea e le singolarità geologiche, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
   come confermato dalla stessa recente variante di aggiornamento al piano territoriale di coordinamento paesistico della COSTA, approvata con Dgr n. 936 del 29 luglio 2011, il porto di Santa Margherita Ligure è tuttora classificato quale «porto rifugio» che deve «garantire l'accessibilità in sicurezza in ogni condizione di mare»;
   il piano della costa vigente, approvato nel dicembre 2000, prevede una sistemazione del porto con un limitato allungamento della diga esistente funzionale alle opere di difesa a mare;
   nel 2009, la Santa Benessere e Social spa, riconducibile tra gli altri a Gabriele Volpi, propose all'Amministrazione di Santa Margherita Ligure un progetto di riqualificazione del porto della città;
   nel settembre 2011, i concessionari operanti nel porto di Santa Margherita, non convinti del progetto di Volpi, si costituiscono in un ATI denominata porto Cavour;
   in cambio del progetto, le società chiedono una concessione demaniale cinquantennale;
   in definitiva, la Santa Benessere & Social spa chiede 179.288 metri quadrati (di cui 145.209 di specchio acqueo e 33.079 di aree terra); 180.219 i metri quadrati invece per l'ATI Porto Cavour (di cui 156.832 di specchio acqueo e 23.387 di aree a terra);
   va segnalata la risposta scritta dell'allora Ministro per i beni e le attività culturali, Giancarlo Galan, pubblicata mercoledì 3 agosto 2011 nell'allegato B della seduta della Camera dei deputati n. 512, all'interrogazione n. 4-11156 presentata lunedì 7 marzo 2011, seduta n. 444, dagli onorevoli Elisabetta Zamparutti, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci e Maurizio Turco, relativa al progetto di ampliamento del porto di Santa Margherita Ligure. Dal testo si legge: «La competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria ha evidenziato la contrarietà dell'ufficio ad ogni intervento di trasformazione dello storico porto di Santa Margherita Ligure. Va, altresì, segnalato che non più di due anni fa la stessa Soprintendenza aveva reso parere negativo su di un altro progetto, che prevedeva un maggiore prolungamento del molo di sopraflutto e la formazione di un altro molo, ad esso perpendicolare leggermente emergente e la realizzazione di diversi pontili. Già allora si era avuto modo di evidenziare come l'intervento avrebbe chiuso ed intasato lo specchio acqueo originale che da sempre caratterizza lo storico porto rifugio di Santa Margherita. Si era riscontrato, infatti, che oltre a venire stravolta la conformazione tipica di un porto da sempre connotato al ricovero delle imbarcazioni di passaggio, privandolo quindi della sua configurazione storica, si sarebbero alterate e danneggiate le visuali panoramiche che si percepiscono dai numerosi punti di belvedere pubblici oggetto dei decreti ministeriali con cui il territorio è stato sottoposto a tutela paesaggistica ex lege n. 1497 del 1939, oggi decreto legislativo n. 42 del 2004, parte III. Pertanto, pur non avendo ancora reso alcun parere su di un progetto definitivo, si ribadisce fermamente l'intenzione e la volontà di mantenere intatta ed inalterata la conformazione storica del porto e, dunque, di evitare la modifica di quegli elementi che rendono unica nel suo genere la costa del Tigullio»;
   a detta dell'associazione «Tuteliamo Santa» i progetti presentati sono una copia pressoché identica dei progetti già rigettati in passato, con, anzi, un incremento dei metri cubi di cemento sulla spiaggia e nel retroporto;
   nel maggio 2012 si riunisce la conferenza dei servizi, che boccia di fatto i due progetti, almeno nella loro versione originale, richiedendone però l'adeguamento al PUC e al Piano della costa regionale –:
   se il Ministro, sentiti gli uffici distaccati sul territorio, ritenga che i due progetti siano in contrasto con il decreto legislativo n. 42 del 2004. (4-08131)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è ormai sotto gli occhi di tutti l'assurda vicenda di un carabiniere in servizio alla compagnia di Lucca condannato dal Tribunale a risarcire un tunisino con l'accusa di «arresto troppo violento»;
   secondo quanto riportato dai quotidiani, il carabiniere sarebbe finito a giudizio con l'accusa di lesioni a seguito dell'arresto in flagranza di reato di un tunisino che stava rubando dentro un'azienda;
   in particolare, nel corso di una perlustrazione, una pattuglia decideva di effettuare un controllo nello stabilimento nel quale si erano verificati diversi furti di rame e nel primo dei due capannoni i militari notavano a terra numerose bobine di rame accatastate e, in un angolo, un individuo intento a sfilacciare con un trincetto i fili del prezioso metallo;
   l'uomo, un tunisino, tentava di fuggire, ma veniva bloccato e immobilizzato con le manette;
   secondo la diversa versione dell'arrestato, invece, che sostiene di essersi già impossessato nei giorni precedenti dei cavi, addirittura in concorrenza con un gruppo di rumeni, al momento della cattura da parte dei carabinieri, uno di questi gli avrebbe provocato ferite trascinandolo in malo modo;
   il carabiniere è andato addirittura a giudizio per il reato di lesioni personali con l'aggravante di cui all'articolo 61, numero 9, del codice penale, per aver commesso il fatto in violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o di pubblico servizio e condannato a 6 mesi di reclusione (pena sospesa) nonché al risarcimento danni per 7500 euro e alla rifusione delle spese, 1750 euro più Iva, con pagamento in favore della parte civile di una provvisionale di 3500 euro;
   pur essendo dell'idea che le sentenze vadano accettate, perché frutto di indagini e quindi del lavoro di inquirenti e magistrati che hanno esaminato l'accaduto, in questo caso, non è accettabile la condanna di un militare dell'Arma «reo» di aver svolto il suo dovere contro la criminalità e a difesa della legalità;
   questa assurda, quanto vergognosa vicenda, dimostra quanto ormai sia sempre più complicato per tutte le nostre forze dell'ordine garantire la sicurezza in Italia e assicurare alla giustizia i malviventi, tra l'altro, per pochi spiccioli al mese e magari rischiando la vita;
   una tale sentenza potrebbe altresì rappresentare un pericoloso precedente, svilente per l'attività delle forze dell'ordine e che mina la sicurezza dei cittadini –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, se non ritengano necessario intervenire per chiarire la portata e la corretta interpretazione delle norme previste dal codice penale in materia di «cause di giustificazione», e, in particolare, dell'articolo 51 recante «esercizio di un diritto o adempimento di un dovere» al fine di garantire alle nostre forze dell'Ordine di adempiere correttamente al loro dovere e intervenire per combattere la microcriminalità. (4-08122)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MUCCI, BARBANTI, ARTINI, SEGONI, RIZZETTO, ROSTELLATO, TURCO, BALDASSARRE, BECHIS e PRODANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il termine per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime è stato più volte prorogato, da ultimo al 15 ottobre 2014 con il comma 732 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), come modificato dall'articolo 12-bis del decreto-legge n. 66 del 2014;
   al momento agli interroganti non risulta l'esistenza di note ufficiali dell'Esecutivo sull'argomento per effetto dell'articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012 e dell'articolo 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012 che ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015;
   le problematiche del comparto demaniale marittimo interessano un largo numero di imprese turistiche nel nostro Paese;
   l'aumento spropositato dei canoni ha prodotto un effetto domino, fra cui l'aumento relativo all'importo dell'imposta regionale che varia dal 10 per cento al 35 per cento del canone e difficoltà crescenti nel reperire le fideiussioni richieste e nel disporre della propria azienda, considerando la necessità di essere in regola con i pagamenti;
   il 28 ottobre 2014, a Roma, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, si è svolto un tavolo di confronto fra le associazioni sindacali degli imprenditori balneari e il Governo, rappresentato dai sottosegretari agli affari europei – Sandro Gozi – e al turismo, Francesca Baracciu;
   sembra che il confronto sia servito a constatare da una parte «la disponibilità e la determinazione del Governo a trovare una soluzione condivisa», dall'altra «le proposte unitarie» delle associazioni che raccolgono gli imprenditori balneari «segnano un importante passo in avanti per semplificare il confronto con il Governo»;
   fonti stampa riportano che «per quanto riguarda la tempistica – sottolineano i balneari – è emerso chiaramente che occorre arrivare quanto prima ad una soluzione definitiva del problema, tempi necessari ad elaborare una soluzione adeguata e soprattutto condivisa, che consenta al nostro Paese di conservare la tipicità del nostro sistema balneare, che con 30.000 imprese e 100.000 addetti diretti contribuisce a realizzare il 65 per cento del prodotto turistico» –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative normative che consentano la sospensione amministrativa della decadenza delle concessioni e una proroga dei pagamenti dei canoni demaniali marittimi per le imprese;
   se il Ministro interrogato intenda chiarire urgentemente le iniziative risolutive e le tempistiche prospettate in merito alla definizione della nuova disciplina di regolamentazione delle concessioni demaniali marittime e garantire che questi interventi siano non solo in sintonia con i contenuti previsti dalla direttiva «servizi» (123/2006/CE) nota come Bolkestein ma che siano anche a tutela delle imprese, dell'economia e del turismo balneare.
(5-04835)


   MUCCI, BARBANTI, ARTINI, SEGONI, RIZZETTO, ROSTELLATO, TURCO, BALDASSARRE, BECHIS e PRODANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 marzo 2014, n. 23 che conferisce la «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» prevede espressamente una generale revisione delle funzioni svolte dai sostituti di imposta nell'ottica degli adempimenti;
   nonostante l'introduzione della trasmissione all'Agenzia delle entrate della certificazione unica con scadenza il 9 marzo 2015 istituita con l'articolo 2 comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n.175 in materia di «Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata», si apprende, attraverso l'audizione dello scorso 14 gennaio del Direttore Rossella Orlandi, presso la commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria, che l'Agenzia delle entrate ha ritenuto opportuno non prevedere l'eliminazione della presentazione del modello 770 semplificato, sostenendo che eventuali interventi in merito avrebbero comportato il rischio di creare complicazioni;
   in relazione ad alcune notizie di stampa diffuse negli ultimi giorni, l'Agenzia delle entrate, in data 12 febbraio 2015 precisa di aver pubblicato la versione definitiva della Certificazione unica (CU) il 15 gennaio 2015, nel pieno rispetto dei tempi previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998. Inoltre, nella stessa data, ha reso disponibili le specifiche tecniche per l'invio telematico dei dati, con largo anticipo rispetto al termine ultimo del 15 febbraio 2015;
   per il primo anno gli operatori potranno scegliere se compilare la sezione dedicata ai dati assicurativi relativi all'Inail e se inviare o meno le certificazioni contenenti esclusivamente redditi esenti; inoltre, sempre limitatamente al primo anno, fermo restando che tutte le certificazioni uniche che contengono dati da utilizzare per la dichiarazione precompilata devono essere inviate entro il 9 marzo 2015, quelle contenenti esclusivamente redditi non dichiarabili mediante il modello 730 (come i redditi di lavoro autonomo non occasionale) possono essere inviate anche dopo questa data, senza applicazione di sanzioni;
   secondo l'Associazione nazionale commercialisti, l'introduzione del modello di comunicazione unica, il cui numero di dati contenuti è senza dubbio ampliato, non solo rende di fatto superfluo, l'obbligo di presentazione del 770 semplificato ma soprattutto introduce adempimenti nuovi con scadenze eccessivamente ravvicinate, generando conseguenze preoccupanti ai danni dei contribuenti e del lavoro dei professionisti;
   l'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n.190 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» introduce il cosiddetto Split payment, meccanismo attraverso il quale la pubblica amministrazione non dovrà versare più l'Iva alle imprese, le quali, invece sono comunque tenute a pagarla ai loro fornitori e a chiedere il rimborso, penalizzando ancora una volta la fortissima riduzione della liquidità delle imprese già fortemente provata dalla crisi oltre a creare uno squilibrio finanziario non indifferente;
   la necessità della soppressione o dell'accorpamento degli adempimenti fiscali è da tempo denunciata da cittadini, imprese e associazioni di categoria e pertanto le politiche di semplificazione rappresentano un fattore cruciale per la competitività e lo sviluppo del Paese, in ogni suo settore produttivo e commerciale, nonché per il pieno godimento dei diritti di cittadinanza –:
   se il Ministro interrogato, a fronte della difficile situazione in cui versa il Paese, ritenga opportuno assumere iniziative che possano realmente contribuire, all'atteso processo verso la semplificazione fiscale, attraverso una sostanziale unificazione degli adempimenti e dei modelli fiscali nonché una riorganizzazione del calendario fiscale e del sistema impositivo. (5-04836)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, si è introdotta una revisione delle modalità di determinazione e dei campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) secondo criteri che permettano di prevedere, nel calcolo dell'indicatore, una più ampia classificazione dei redditi familiari (come i redditi tassati con regimi sostitutivi e redditi non tassati), di migliorare la capacità selettiva dell'indicatore mediante una maggiore valorizzazione della componente patrimoniale, di focalizzare l'attenzione su tipologie familiari con carichi particolarmente gravosi (in merito al numero di figli o alla presenza dei figli disabili), di differenziare l'indicatore in riferimento al tipo di prestazione richiesta, di ridefinire i benefici da attribuire sulla base delle condizioni economiche, di rideterminare le soglie delle prestazioni e di rafforzare il sistema dei controlli attraverso la riduzione al minimo delle autocertificazioni. Una delle principali novità della riforma prevede, infatti, che alcune informazioni importanti relative al reddito, che prima erano auto-dichiarate, non debbano essere più inserite nel modello dal contribuente, perché l'INPS richiede le informazioni direttamente all'Agenzia delle entrate;
   prima con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2014, poi la circolare dell'INPS n. 171/2014, si è provveduto, quindi, all'introduzione, a partire dal 1o gennaio 2015, del nuovo modello ISEE, con lo scopo, almeno nelle intenzione del Governo, di migliorare l'equità sociale a favore delle famiglie più numerose e disagiate. Al fine di implementare la semplificazione e la sburocratizzazione, con lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si è stabilito che l'INPS rendesse disponibile online il nuovo servizio dedicato all'indicatore attraverso una piattaforma telematica da cui scaricare il nuovo modello e procedere all'acquisizione, alla gestione e alla consultazione della Dichiarazione sostitutiva unica (DSU) da inviare per ottenere l'indicatore 2015;
   con la riforma aumentano considerevolmente i nuovi modelli DSU che lievitano, oggi, ad otto: due modelli base, la cosiddetta DSU-mini, che tutti i sono tenuti a compilare e che serve per la maggior parte delle prestazioni poiché si riferiscono al nucleo familiare, alla casa di abitazione, alle informazioni su reddito, patrimonio mobiliare e immobiliare; una serie di altri modelli, i restanti sei, che invece vanno compilati esclusivamente per alcune tipologie di prestazioni, i cosiddetti ISEE Università, ISEE Sociosanitario, ISEE minorenni, e altri;
   il contribuente deve quindi compilare i moduli DSU, consegnarli direttamente all'ente che eroga la prestazione, oppure al comune, o al CAF, o all'INPS, ed è proprio l'istituto previdenziale che alla fine calcola l'Indicatore della situazione economica equivalente;
   in realtà, però, si apprende, da numerosi organi di stampa e dalle dichiarazioni dei dirigenti dei sindacati CAF che, con la riforma, al posto della semplificazione e della sburocratizzazione fiscale, si siano moltiplicati disagi non soltanto per i contribuenti, ma anche per i Centri di assistenza fiscale;
   i CAF, infatti, impiegano oggi molto più tempo per concludere una pratica, che deve inoltre essere perfezionata in più riprese, poiché, oltre alle complicazioni dovute alla compresenza di diversi moduli (quindi a fronte dei 20 minuti prima necessari oggi ne occorrono fino al doppio), la nuova procedura richiesta vede un'attesa di almeno 10 giorni, che può allungarsi fino ai 20. Dopo la compilazione del modello, infatti, questo va spedito all'INPS che in 10 giorni deve controllarlo e poi rispedirlo ai CAF, che devono farlo firmare all'utente e riconsegnarlo. Nel caso però in cui ci sia qualche incongruenza dovuta alle autocertificazioni, l'INPS lo rinvia al CAF, che a sua volta deve richiamare l'utente per sistemare l'errore, poi rispedire il modello ed attendere nuovamente 10 giorni;
   i CAF, quindi, si trovano a dover svolgere un carico di lavoro maggiore senza aver ancora ricevuto un'adeguata rimodulazione dei compensi da parte dell'INPS. Di conseguenze, attualmente, questi non stanno procedendo con gli indicatori, ma soltanto con la raccolta dei nominativi degli utenti e rischiano seriamente di cadere nel caos più completo quando si avvicineranno le scadenze;
   tutto ciò si aggiunge l'onere aggiuntivo a carico del contribuente a cui è richiesta, in luogo dell'autocertificazione, un'importante mole di documenti che non soltanto li costringe a recarsi più volte negli uffici per chiedere maggiori chiarificazioni a riguardo, ma ad ulteriori carichi fiscali, poiché sembra che alcune banche richiedano addirittura un compenso per il rilascio di documenti che invece dovrebbero essere gratuiti proprio in quanto necessari alla compilazione dell'ISEE;
   in questo modo, da un lato, dall'altro si stanno ingolfando i Centri di assistenza fiscale ma dall'altro, si sta soprattutto arrecando un grave pregiudizio al contribuente, che sarà costretto a recarsi almeno due o tre volte presso i centri di assistenza fiscale per avere il documento, sostenere anche spese aggiuntive prima non previste ed attendere anche fino a 20 giorni, esponendolo inoltre al rischio di perdere qualche agevolazione a causa delle lungaggini richieste per la procedura;
   anche molti sindaci di diversi comuni hanno lanciato l'allarme poiché con le nuove procedure si allungheranno anche i tempi per la definizione delle soglie per l'accesso ai servizi essenziali forniti dalle pubbliche amministrazioni, ossia dei tempi per conoscere le somme da versare o i bonus di cui godere per servizi fondamentali quali asili nido, servizi sanitari, servizi ad anziani e disabili;
   la semplificazione, quindi, non sembra essere arrivata, anzi le nuove regole sembrano colpire le fasce più deboli che richiedono questo indicatore, portando qualche contribuente a scoraggiarsi a tal punto tanto da rinunciarci. Recenti stime prevedono infatti che con la nuova riforma dell'ISEE si assisterà ad un calo del 20 per cento del numero di contribuenti che accederanno alle agevolazioni sociali, a causa del minore spazio lasciato all'autocertificazione e all'aumento dei controlli;
   allarmante, infine, è la denuncia di Confedilizia che ha rilevato come il nuovo indicatore rappresenti di fatto una nuova tassa sulla casa a danno soprattutto dei piccoli proprietari: questo include nel calcolo il valore degli immobili così come definito ai fini IMU. Di conseguenza, molti proprietari di immobili che con le vecchie regole ISEE, basate sull'indicatore che prendeva in considerazione l'imponibile ICI, avevano diritto alle prestazioni sociali agevolate, con il nuovo ISEE, che tiene conto dell'imponibile IMU, verranno oggi automaticamente esclusi dalle agevolazioni –:
   quali misure il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere al fine di rivedere le attuali norme procedurali di compilazione e rilascio dell'indicatore della situazione economica equivalente in modo da attuare effettivamente una sostanziale sburocratizzazione e semplificazione a favore del contribuente che, attualmente, è costretto ad adempimenti maggiori rispetto al precedente sistema, essendo costretto non soltanto ad una più lunga attesa, ma sopratutto ad obbligazioni di certificazione e oneri fiscali prima non previsti, come specificato in premessa. (4-08116)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA e GRILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella puntata del 26 novembre 2014 il programma televisivo Le Iene ha mandato in onda un servizio dal titolo «Rovinati dallo Stato e dimenticati» in cui si raccontava l'odissea umana degli emodanneggiati che, per ottenere un risarcimento iniziano una causa civile in tribunale e, una volta vinta, non trovano ristoro per inerzia nei pagamenti da parte del Ministero della salute;
   sul punto è stato intervistato il dottor Giuseppe Viggiano, direttore generale della vigilanza sugli enti e della sicurezza delle cure presso il Ministero della salute con assegnazione dell'incarico nel settore indennizzi per danni da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati, trapianti d'organi e biotecnologie e relativo contenzioso, persona quindi autorevole e qualificata, il quale così si è espresso nel merito della questione «Nel fondo per il pagamento delle sentenze vi sono 20.000 euro» a fronte di «14.000 sentenze e decreti ingiuntivi notificati». Concludeva l'intervista affermando che «l'impegno del Ministero è di pagare tutti entro 2 anni»;
   dietro ogni sentenza vi sono persone gravemente malate, invalide, impossibilitate a lavorare e condannate ad una vita non vita, alcune già decedute, persone stremate dalle epatiti, dall'HIV e prostrate psicologicamente da uno Stato che dopo averle fatte ammalare (la responsabilità civile del Ministero della Salute è infatti acclarata da sentenze di ogni ordine e grado) non liquida loro il risarcimento proveniente da una condanna emessa dagli organi giurisdizionali;
   tale situazione causa al malato un ulteriore stress psicologico generato dal vedersi non riconosciuti i propri diritti –:
   se i Ministri interrogati concordino con quanto dichiarato dal dottor Viggiano, e se sia già stato predisposto un piano per trovare la liquidità necessaria per far sì che il Ministero della salute ottemperi al pagamento dei titoli esecutivi emessi a favore degli emodanneggiati. (4-08118)


   COCCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il legislatore tributario italiano, analogamente a quanto avviene negli altri Paesi OCSE, ha previsto un principio in base al quale le transazioni tra soggetti residenti e non residenti appartenenti ad un medesimo gruppo societario devono avvenire alle medesime condizioni che sarebbero state applicate qualora la transazione fosse avvenuta tra parti indipendenti. Nello specifico, l'articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (cosiddetto Testo Unico delle Imposte sui Redditi — TUIR) statuisce che «I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito [...]»;
   al fine di evitare che vi siano contestazioni da parte delle amministrazioni finanziare dei singoli Stati in cui operano, i Gruppi di imprese mettono in atto una politica di prezzi di trasferimento volta garantire che — in capo a ciascuna entità coinvolta — i costi ed i ricavi e, quindi, la redditività derivante dalle transazioni infragruppo sia in linea con il valore normale. In conformità con le linee guida dell'OCSE, i gruppi di imprese, nell'ambito della propria politica dei prezzi di trasferimento, possono decidere di adeguare i prezzi di trasferimento al valore normale secondo le seguenti metodologie:
    a) attraverso l'adeguamento dei prezzi di vendita applicati dal cedente;
    b) nel caso di produttori che utilizzano la tecnologia, i disegni, i brevetti di un altro soggetto appartenente al medesimo Gruppo per i quali è previsto il pagamento di un canone per lo sfruttamento dei suddetti beni immateriali, attraverso l'adeguamento dell'ammontare delle royalties corrisposte al detentore dei beni;
   in linea generale, salvo casi particolari di esenzione previsti dall'articolo 26-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, la corresponsione delle royalties ad un soggetto non residente comporta l'applicazione di una ritenuta a titolo d'imposta al momento del pagamento di dette somme da parte del soggetto residente che agisce in qualità di sostituto d'imposta;
   nello specifico, ai sensi dell'articolo 25, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973, i compensi (cosiddetto royalties) per l'utilizzazione di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di marchi d'impresa nonché di processi, formule e informazioni relative ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico, corrisposti a non residenti sono soggetti ad una ritenuta del trenta per cento a titolo d'imposta sulla parte imponibile del loro ammontare;
   tuttavia, nel caso in cui l'Italia abbia stipulato con lo Stato estero di residenza del percipiente una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, ricorrendone i presupposti, è possibile assoggettare le royalties ad una ritenuta in misura ridotta;
   la maggior parte delle convezioni stipulate dall'Italia prevedono l'applicazione di un'aliquota pari al cinque per cento. Le medesime convenzioni prevedono altresì che qualora l'ammontare delle royalties ecceda il cosiddetto valore normale, l'aliquota ridotta può essere applicata esclusivamente all'ammontare non eccedente il valore di mercato. In tal caso, la parte eccedente è imponibile secondo le regole previste dalla normativa interna e, pertanto, è assoggettata ad una ritenuta pari al trenta per cento;
   in ambito OCSE ed in ambito comunitario sono previste apposite disposizioni volte ad individuare le regole che devono essere seguite dai Gruppi di imprese per determinare la propria politica dei prezzi di trasferimento nonché per documentare le stesse in caso di verifica da parte delle amministrazioni finanziarie dei singoli Stati;
   in Italia, l'articolo 26 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto misure finalizzate all'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni emanate dall'OCSE ed a Codice di condotta Unione europea in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento, nonché ai principi di collaborazione e buona fede tra contribuenti ed Amministrazione finanziaria fissati nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente;
   in particolare, l'articolo 26 introduce dopo il comma 2-bis dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997, il comma 2-ter con il quale viene esclusa l'applicazione della sanzione prevista dal comma 2 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997, in materia di dichiarazione infedele ai fini delle imposte dirette, qualora le imprese consegnino all'amministrazione finanziaria, in sede di verifica, apposita documentazione redatta in conformità con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate (prot. n. 2010/137654);
   la predisposizione e consegna di tale documentazione all'amministrazione finanziaria consente di riscontrare la conformità dei prezzi di trasferimento applicati dall'impresa al principio del valore normale sancito dalle disposizioni tributarie. Conseguentemente, la predisposizione di tale documentazione evidenzia la volontà del contribuente di offrire la propria collaborazione al fine di consentire all'amministrazione finanziaria di determinare la loro effettiva capacità contributiva;
   pertanto, nel caso in cui la suddetta documentazione sia considerata dall'amministrazione finanziaria conforme con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate, le eventuali contestazioni in merito alle politiche di prezzi di trasferimento volte a disconoscere parte dei costi ovvero a rideterminare l'ammontare dei ricavi — per espressa previsione normativa — non comportano l'applicazione del regime sanzionatorio ai fini delle imposte dirette. In altre parole, nei casi in cui l'amministrazione finanziaria rettifichi il valore dei prezzi applicati dal cedente ovvero l'ammontare delle royalties corrisposte dall'utilizzatore dei beni immateriali, in presenza di idonea documentazione, non trovano applicazione le sanzioni in materia di imposte sui redditi;
   qualora il meccanismo di adeguamento dei prezzi di trasferimento avvenga attraverso la modifica del valore delle royalties corrisposte a soggetti non residenti, nel caso di contestazione della congruità del loro ammontare, oltre ad una rettifica dell'ammontare dei costi, si potrebbe generare una contestazione in capo all'impresa italiana che ha agito in qualità di sostituto d'imposta in relazione all'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta;
   infatti, come sopra illustrato, nel caso di applicazione della ritenuta convenzionale, l'eventuale disconoscimento di parte del valore delle royalties corrisposte al soggetto non residente, in quanto ritenuta non in linea con il valore normale, potrebbe comportare la rideterminazione dell'ammontare della ritenuta a titolo d'imposta su tali pagamenti mediante l'applicazione dell'aliquota interna (trenta per cento) in luogo di quella convenzionale (cinque per cento). In conseguenza di ciò, l'amministrazione finanziaria potrebbe irrogare al contribuente le sanzioni previste in materia di sostituto d'imposta per omesso versamento parziale della ritenuta, omessa certificazione dei redditi soggetti a ritenuta alla fonte e per infedele dichiarazione in materia di sostituti d'imposta;
   tale comportamento sarebbe giustificato dalla circostanza che la disposizione volta a disapplicare le sanzioni amministrative in caso di possesso della documentazione in materia dei prezzi di trasferimento è stata inserita all'interno dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997 che regolamenta esclusivamente la fattispecie dichiarazione infedele ai fini delle imposte dirette. Quindi, a stretto rigore, il regime disapplicativo delle sanzioni amministrative non sarebbe applicabile alle sanzioni in materia di violazioni relative agli obblighi di sostituto d'imposta ancorché conseguenti ad una rettifica relativa ai prezzi di trasferimento;
   l'applicazione delle sanzioni per le violazioni in materia di sostituto d'imposta, sebbene pienamente giustificabile se ci si limita a considerare il tenore letterale della disposizione e la collocazione dell'esimente all'interno della disposizione che regola le sanzioni per infedele dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi, sarebbe contraria alla ratio dell'articolo 26 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha introdotto un esonero del regime sanzionatorio «A fini di adeguamento alle direttive emanate dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento ed ai principi di collaborazione tra contribuenti ed amministrazione finanziaria»;
   nella fattispecie in esame, infatti, il contribuente ha determinato la misura delle royalties in conformità con quanto risultante dalla documentazione redatta in conformità con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate (prot. n. 2010/137654) e, di conseguenza, la misura delle stesse è stata determinata in conformità al valore normale così come calcolato e documentato dal contribuente. Pertanto, l'eventuale rideterminazione da parte dell'amministrazione finanziaria del valore normale delle royalties – rientrando a pieno nella disciplina dei prezzi di trasferimento – dovrebbe comportare l'applicazione dei medesimi benefici, in termini di disapplicazione delle sanzioni, non solo ai fini delle imposte sui redditi ma anche in relazione alle, sanzioni in materia di sostituto d'imposta derivanti dalla rideterminazione della misura della ritenuta;
   tale conclusione sarebbe conforme alle finalità della norma in quanto estenderebbe l'esimente delle sanzioni a tutte le fattispecie scaturenti da rettifiche dei prezzi di trasferimento che sono stati adeguatamente documentati dal contribuente in base a quanto previsto dal provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate (prot. n. 2010/137654);
   in caso contrario, infatti, si creerebbe una disparità di trattamento tra i contribuenti in possesso della documentazione di cui al citato Provvedimento che hanno utilizzato due criteri differenti per l'adeguamento dei prezzi di trasferimento al valore normale (adeguamento dei prezzi di vendita ovvero adeguamento dell'ammontare delle royalties corrisposte). Conseguentemente, si genererebbe una violazione del principio di buona fede tra contribuenti ed amministrazione finanziaria fissati nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente espressamente richiamato dall'articolo 26 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazione dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 –:
   se, in caso di contestazione da parte dell'amministrazione del valore normale delle royalties applicate nell'ambito della politica dei prezzi di trasferimento dalle imprese in possesso della documentazione redatta in conformità con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate (prot. n. 2010/137654), l'esimente delle sanzioni amministrative sia estensibile anche alle eventuali violazioni commesse in qualità di sostituto d'imposta in conformità con le finalità dell'articolo 26 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazione dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 nonché dell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che sancisce il principio di collaborazione e buona fede tra contribuenti ed amministrazione finanziaria. (4-08121)


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sui giornali è stata pubblicata la notizia che in 8 anni la RAI, azienda di proprietà dello Stato, ha fatto regali di rappresentanza per 2,5 milioni di euro;
   si tratta di orologi, quadri, anelli, argenteria, gadget di ogni tipo che sono stati regalati a vip dello spettacolo e delle istituzioni –:
   se tale notizia sia vera e nel caso se non intenda assumere iniziative volte ad assicurare un uso oculato dei soldi dei cittadini, che pagano il canone, e dello Stato. (4-08137)


   CARRESCIA, MORANI e MANZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da quanto appreso dagli Organi di stampa il Piano di riorganizzazione delle sedi della Banca d'Italia prevederebbe la promozione da «unità al servizio dell'utenza» a «filiali ad ampia operatività» (e quindi con maggiori compiti) di alcune filiali e la chiusura di una ventina di sedi; nel Piano non sarebbe indicato il calendario delle chiusure ma solo una soglia minima di personale (7 addetti) che una volta raggiunta porterebbe alla chiusura automatica della sede anche in anticipo rispetto alla scadenza ultima del 2018;
   non è dato sapere con certezza se fra le sedi sia o meno ricompresa anche quella di Pesaro, una decisione che sottrarrebbe al territorio pesarese una presenza quanto mai importante per il sistema bancario ed economico ancor più ingiustificata se si fa riferimento al livello occupazionale attuale (15 unità) che dimostra la piena operatività della Sede di Pesaro –:
   di quali elementi disponga il Ministro in merito a quanto riportato in premessa e se, nell'ambito delle sue competenze e nel rispetto dell'autonomia organizzativa della Banca d'Italia, il Ministro interrogato non ritenga di mettere in atto tutte le iniziative per evitare, qualora ipotizzata nel piano, la chiusura della sede di Pesaro. (4-08139)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ex articolo 1, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, entrato in vigore il 13 settembre 2014 e convertito con modificazioni dalla legge il 6 novembre 2014, le cause civili di primo e secondo grado pendenti (alla data di entrata in vigore del decreto) possono su istanza congiunta delle parti essere trasferite in sede arbitrale;
   obbligatoriamente, quando una delle parti è la pubblica amministrazione e l'altra (privata) formuli apposita istanza, passeranno al procedimento arbitrale anche le controversie di valore non superiore a 50.000 euro, in materia di responsabilità extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro. Il consenso della pubblica amministrazione, infatti, si intende in ogni caso prestato, salvo che la stessa non abbia espresso il proprio dissenso scritto entro 30 giorni dalla richiesta della controparte;
   l'obiettivo del trasferimento arbitrale dei procedimenti civili pendenti avrebbe dovuto essere quello di favorire lo smaltimento dell'arretrato della giustizia civile italiana –:
   se il Ministro della giustizia sia a conoscenza del numero di cause civili trasferite in sede arbitrale su richiesta delle parti dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 132 del 2014 ad oggi. (4-08111)


   COLLETTI e GRILLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che il dottor Camillo Greco, 27 anni, laureato in giurisprudenza, ha organizzato un sit-in davanti al palazzo di giustizia per protestare contro l'obbligo di frequentare il corso di preparazione all'esame di abilitazione alla professione forense. Difatti, secondo la legge n. 247 del 2012 relativa alla riforma della professione forense, il praticantato, oltre ai 18 mesi presso lo studio di un avvocato, comporta anche la frequentazione di un corso obbligatorio di preparazione all'esame di abilitazione alla professione forense. Tuttavia, nella predetta legge, si fa riferimento alla necessità di un regolamento attuativo da parte del Ministero della giustizia che ad oggi non è ancora pervenuto;
   l'ordine degli avvocati di Catania, pur in assenza del regolamento attuativo, ha istituito un corso obbligatorio di 1.100 euro, con una forte discriminazione rispetto ad altre città dove questo tipo di corso costa molto meno, fra cui ad esempio Cosenza dove il costo è di 100 euro. Nel caso in cui i praticanti avvocati si rifiutino di pagare detto corso, l'ordine di Catania ha già minacciato di non rilasciare il certificato del praticantato, impedendo così ai praticanti avvocati di partecipare all'esame di abilitazione;
   il regolamento attuativo da parte del Ministero della giustizia avrebbe potuto evitare situazioni molto diverse fra loro come quelle di Catania e Cosenza grazie ad una visione d'insieme che avrebbe dovuto garantire un'unitarietà di disciplina –:
   se il Ministro della giustizia sia a conoscenza dei fatti in premessa ed entro quale data emanerà il regolamento attuativo di cui alla legge n. 247 del 2012, la cui mancanza rischia di danneggiare economicamente migliaia di giovani praticanti avvocati;
   se sia o meno conforme alla legge l'obbligo, in capo a praticanti avvocati, di frequentare un corso a pagamento per poter accedere all'esame di abilitazione forense. (4-08112)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ENAC (Ente nazionale aviazione civile), in relazione a quanto stabilito dal decreto istitutivo n. 250 del 1997 e dell'articolo 687 del codice della navigazione ha emanato il Regolamento Enac «Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto» del 16 dicembre 2013 entrato in vigore il 30 aprile 2014;
   il suddetto regolamento in base all'articolo 743 del Codice della navigazione prevede, nella definizione di «aeromobile», anche i mezzi aerei a pilotaggio remoto (APR);
   ENAC tuttavia non ha però, tuttora, determinato il sistema sanzionatorio per le violazioni al Regolamento stesso, proprio perché in base al principio delle riserva di legge prevede, infatti, che la disciplina di una determinata materia sia regolata soltanto da una legge primaria dello Stato;
   questo fa sì che attualmente gli APR, ricompresi, come evidenziato in precedenza, nella categoria di «aeromobili», abbiano una regolamentazione specifica ma senza un'altrettanto specifica previsione sanzionatoria, con la conseguenza che le sanzioni applicabili rimangono esclusivamente ed obbligatoriamente quelle già previste dal codice della navigazione (approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, ed aggiornato con il decreto legislativo n. 96 del 2005 e con il decreto legislativo 15 marzo 2006, n. 151);
   questa lacuna legislativa determina che ad un APR dal peso di poche centinaia di grammi si possano applicare le stesse sanzioni previste per un aeromobile dell'aviazione commerciale;
   questa incongruità sta comportando, anche in relazione alla diffusione dell'uso degli APR, una serie di ricorsi a presunte violazioni e conseguenti sanzioni che hanno come risultato quello di andare ad intasare ulteriormente le aule giudiziarie;
   le stesse autorità competenti per la rilevazione di infrazioni sono in difficoltà per l'assenza di uno specifico regime sanzionatorio;
   un siffatto sistema sanzionatorio rischia inoltre di compromettere un settore, quale quello degli APR in espansione e che la stessa Commissione europea ne ha raccomandato agli Stati membri di agevolarne lo sviluppo del settore nel pieno rispetto della sicurezza delle persone e dei beni;
   la FIAPR (Federazione italiana aeromobili a pilotaggio remoto) che oggi rappresenta la più grande organizzazione della filiera degli APR ha sollecitato un intervento legislativo per la individuazione di una categoria specifica proprio per gli APR al di sotto dei 25 chilogrammi di peso, avendo come paradigma quanto avvenuto con il decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 133 «Nuovo regolamento di attuazione della legge 25 marzo 1985, n. 106 [...]» che ha regolamentato il settore del volo da ultraleggero da diporto –:
   se e quali iniziative normative il Governo intenda adottare al fine di individuare al più presto un nuovo quadro legislativo per consentire l'applicazione di criteri di aeronavigabilità maggiormente rispondenti alle caratteristiche di questi mezzi, con la definizione di sanzioni specifiche per le violazioni del regolamento sugli aeromobili a pilotaggio remoto.
(5-04833)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE LORENZIS, PETRAROLI, LIUZZI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che, in data 24 ottobre, l'Usb, l'Unione sindacale di base, ha indetto uno sciopero generale che ha coinvolto per 24 ore ogni settore dei trasporti. Nel suddetto sciopero, era ricompreso a pieno titolo il trasporto aereo e dunque per tali motivi interessava Enav spa;
   Enav spa, secondo l'interrogante, ha replicato in occasione di tale giornata, lo stesso comportamento tenutosi nello sciopero proclamato dal personale Sacta-Fata-Cisal, il 5 luglio 2014, decidendo di non contingentare il personale;
   dalle medesime fonti stampa, sembrerebbe evincersi come la linea della policy aziendale assunta da Enav spa sia di evitare, anche implicitamente, atti che favoriscano l'ingresso di un sindacato come Usb;
   nella giornata del 24 ottobre 2014, il personale di Enav spa e in particolare i controllori della torre di Fiumicino (ad esclusione dei capisala e dei facenti funzione) aderiscono allo sciopero, in quanto la legittimità dello stesso risulta dal fatto che la Commissione di garanzia non esclude Enav spa dallo sciopero generale;
   il personale di Enav che decide di aderire allo sciopero, in mancanza di un atto di contingentamento, è obbligato a lavorare dalle 7 alle 10 per il turno di mattina (6 unità su 11) e dalle 18 alle 21 per il turno di pomeriggio (7 unità su 11), garantendo le prestazioni minime nel servizi assistenza al volo –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure organizzative siano state poste in essere da ENAV nel corso della giornata del 24 ottobre 2014 al fine di garantire il servizio operativo e di sicurezza, considerato che l'adesione allo sciopero avrebbe dovuto rendere, ad avviso dell'interrogante, pressoché impossibile il citato servizio. (4-08115)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il CENSIS, Centro studi investimenti sociali, istituto di ricerca socio-economica, ha reso noti di recente i risultati di una ricerca sull'allarmante fenomeno della microcriminalità; si registra un notevole aumento dei furti nelle abitazioni, che sono più che raddoppiati negli ultimi dieci anni passando dai 110.887 denunciati nel 2004 ai 251.422 del 2013;
   è crescente anche l'attenzione delle Forze dell'Ordine nei confronti di questo reato: nel 2013 sono state denunciate a piede libero per furti in abitazione 15.263 persone e sono state arrestate 6.628 persone; i detenuti per furto in abitazione e furto con scippo sono stati 3.530; dai dati emerge una presenza consistente di stranieri sulla «scena del crimine». Nell'ultimo anno tra i denunciati a piede libero gli stranieri sono stati infatti il 54,2 per cento (8.627 persone), tra gli arrestati il 62 per cento (4.112: +31,4 per cento solo nell'ultimo anno);
   parallelamente all'aumento dei furti è in aumento anche un altro reato ancora più allarmante: le rapine in casa con violenza o minaccia ai proprietari. Nel 2013 sono state 3.619, con una crescita vertiginosa nel decennio (+195,4 per cento);
   si tratta di reati che creano forte allarme sociale;
   il vice Ministro alla giustizia, Enrico Costa, ha annunciato che sono allo studio norme per garantire «una pena effettiva per gli autori ed un prolungato percorso riabilitativo con il costante monitoraggio dell'autorità pubblica»;
   anche nelle Marche, regione finora considerata un «isola felice» e marginale rispetto ad una criminalità diffusa, si avverte, come segnalato anche nell'interrogazione n. 5/04342, presentata in Commissione affari costituzionali il 19 dicembre 2014, ancora senza risposta, una recrudescenza del fenomeno con fatti che destano forte preoccupazione nell'opinione pubblica alimentata anche da eclatanti fatti di cronaca;
   nel comune di Ostra Vetere domenica 1o febbraio i carabinieri hanno scoperto i responsabili di furti di rame avvenuti in cimiteri della zona, rintracciato i ricettatori di oro rubato in diverse abitazioni del luogo, stroncato l'attività di una banda che stava imperversando con furti nelle case;
   quest'ultimo episodio di contrasto alla criminalità ha avuto come epilogo la morte di uno dei delinquenti colpito da un proiettile mentre tentava di travolgere due carabinieri a un posto di blocco;
   l'encomiabile attività delle Forze dell'ordine alle quali va espressa piena solidarietà per le difficili situazioni in cui svolgono il proprio compito istituzionale contro una criminalità sempre più aggressiva va tutelata sia potenziando gli strumenti tecnici ed i mezzi in dotazione sia chiarendo la normativa in materia di legittima difesa allo scopo di evitare che interpretazioni differenti della legge portino a conseguenze giudiziarie, in sede penale e civile, in capo ai militari coinvolti in simili circostanze –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza ritengano necessario implementare l'organico delle forze dell'ordine anche con nuove assunzioni per il Corpo di polizia e l'Arma dei carabinieri che attingano alle graduatorie ancora aperte;
   se ritengano, in particolare necessario potenziare la presenza di Polizia e Carabinieri nei Comuni della Provincia di Ancona;
   se abbiano dato o intendano dare disposizioni per intensificare con urgenza specifici servizi esterni di pattuglia e perlustrazione delle forze dell'ordine con compiti di prevenzione e repressione;
   se è stato concluso lo studio di norme «per garantire una pena effettiva per gli autori ed un prolungato percorso riabilitativo con il costante monitoraggio dell'autorità pubblica», annunciato dal vice ministro alla Giustizia e quali provvedimenti conseguenti il Governo intende perciò adottare. (5-04832)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 142 del Codice della strada comma 12-bis prevede che i proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità, attraverso l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità, sono attribuiti, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento e all'ente da cui dipende l'organo accertatore;
   in particolare per quanto riguarda le strade provinciali l'assenza di un regolamento attuativo specifico determina l'impossibilità di stornare all'ente proprietario della strada gli importi delle contravvenzioni, anche quando correttamente accantonati, che restano così nella sola disponibilità dell'accertatore;
   gli importi non versati alle amministrazioni provinciali sono particolarmente considerevoli, si stima oltre un milione di euro per la sola provincia di Bergamo, e che tali risorse potrebbero essere destinate alle opere manutentive e migliorative della viabilità –:
    quali siano le ragioni ostative a causa delle quali il Governo non ha ancora provveduto all'emanazione di un decreto attuativo, che determini le modalità di versamento dei proventi delle sanzioni all'ente proprietario della strada, e se e con quale tempistica il Governo intenda procedere all'emanazione di tale decreto attuativo. (4-08114)


   BRESCIA, DE LORENZIS, PETRAROLI, LOREFICE, COLONNESE, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 novembre 2013 una delegazione di parlamentari del Movimento 5 Stelle ha visitato i centri CARA e CIE di Bari-Palese;
   nel corso di tale visita la delegazione riscontrò una evidente problematica di sovraffollamento nella struttura del CARA. Una struttura che poteva ospitare circa 800 persone ne ospitava, al momento della visita, circa 1.400, quasi il doppio;
   ritenuto opportuno acquisire una maggiore e più completa cognizione degli atti relativi alle entrate ed alle uscite finanziarie ed alle movimentazioni di cassa operate dalle cooperative appaltanti nei suddetti centri, a dicembre 2013 venne inoltrato dai deputati facenti parte della delegazione al prefetto di Bari una richiesta di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni, relativi alle rendicontazioni consuntive e/o agli atti giustificativi dell'offerta in sede di gara delle cooperative appaltanti i centri CARA e CIE di Bari-Palese. A tale richiesta non è stata mai data replica alcuna;
   le recenti vicende legate al CARA di Mineo hanno messo in luce preoccupanti problematiche che vedono pesantemente coinvolta la malavita organizzata in un vero e proprio business che caratterizza la gestione dei centri di detenzione dei migranti;
   anche il Cara di Mineo pur avendo ufficialmente 2.000 posti, alloggia circa 4.000 persone, cioè il doppio –:
   se e quali iniziative programmatiche il Ministro intenda attuare affinché la gestione dei flussi migratori cessi di essere trattata come una emergenza e si prendano provvedimenti solo nei casi particolarmente critici o quando purtroppo si verificano decessi tra i migranti, bensì come un vero e proprio fenomeno storico da affrontare con provvedimenti strutturali;
   se e quali iniziative il Ministro stia attuando per verificare ed assicurare al Paese che episodi di mala-gestione come quello del CARA di Mineo non siano in realtà problematiche che interessano anche altri centri di detenzione dei migranti sul territorio italiano;
   se e quali iniziative il Ministero stia attuando o intenda attuare per promuovere una maggiore partecipazione dell'Europa nell'accoglienza dei migranti;
   al fine di acquisire una maggiore e più completa cognizione degli atti relativi alle entrate ed alle uscite finanziarie ed alle movimentazioni di cassa operate dalle cooperative appaltanti nei suddetti centri, a dicembre 2013 se intenda comunicare tutti gli elementi relativi alle rendicontazioni consuntive e/o agli atti giustificativi dell'offerta in sede di gara delle cooperative appaltanti i centri CARA e CIE di Bari-Palese, anche fornendo la relativa documentazione. (4-08117)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la prefettura di Lodi ha promosso un incontro con i rappresentanti delle Amministrazioni comunali del proprio territorio di competenza, il 19 febbraio 2015, aperto agli esponenti delle associazioni del cosiddetto «terzo settore» ed avente ad oggetto la gestione degli immigrati extracomunitari assistiti in attesa di pronuncia sulle rispettive domande di asilo;
   di tale incontro esiste un resoconto concernente contenuti e conclusioni, elaborato e diffuso dalla stessa prefettura di Lodi;
   stando a quanto si legge sul predetto resoconto, la riunione aveva ad oggetto la definizione di iniziative di assistenza agli immigrati extracomunitari sopracitati nel corso del 2015;
   il documento accenna altresì alla previsione di un accrescimento del flusso degli immigrati extracomunitari da assistere;
   la prefettura ha consultato i convenuti circa l'opportunità dell'adozione da parte propria di eventuali «misure non convenzionali», peraltro non meglio precisate, ma di ultima istanza, per gestire l'accoglienza che prevedibilmente genererà sfide ulteriori;
   la prefettura ha altresì prospettato la possibilità che i comuni del Lodigiano si facciano carico dell'accoglienza di ulteriori cinque/sei extracomunitari ciascuno, con costi a carico dello Stato –:
   se la prefettura di Lodi abbia agito d'iniziativa o su indicazione del Governo;
   cosa debba intendersi per «misure non convenzionali» che la prefettura di Lodi adotterebbe in ultima istanza;
   se esistano ulteriori raccomandazioni governative alla prefettura di Lodi che concernano invece l'assunzione di iniziative volte all'assistenza dei cittadini italiani in difficoltà;
   se, in caso di contrasto, le ordinanze del prefetto, in materia prevalgono sempre e comunque sulle deliberazioni delle autorità elettive locali. (4-08124)


   CHIARELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Taranto risulta una tra le realtà più complesse d'Italia;
   a mero titolo di esempio, infatti, il suo porto risulta tra i primi nella nazione sia dal punto di vista del traffico merci (oltre 40 milioni di merci movimentiate), sia da quello strategico/militare (il porto ospita il deposito sotterraneo dell'Aeronautica militare più grande del Sud Italia e ben tre basi navali; dal 2002 è comando NATO; inoltre vi è una intensa presenza di sottomarini a propulsione nucleare);
   a questi fattori di rischio occorre aggiungere una estesa e complessa zona industriale, che comprende anche l'ILVA e la raffineria, quest'ultima alimentata da un impianto di trasporto del greggio attraverso condotte sottomarine e navi cisterna fino a 300.000 T.S.L.;
   dal punto di vista della sicurezza, i rischi correlati ad una simile complessa realtà hanno visto un primo cenno di riscontro nella decisione di rendere il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Taranto sede di dirigente superiore, ma la necessità di potenziare le direzioni regionali dei vigili del fuoco di Lombardia e Sicilia, ha visto penalizzato il comando di Taranto, che ha dovuto rinunciare ad ogni aspettativa di potenziamento;
   il 24 novembre 2014, viene elaborata una prima bozza di schema di decreto recante la ripartizione territoriale delle dotazioni organiche del Corpo Nazionale Vigili del fuoco, che riconosceva ai distaccamenti vigili del fuoco di Manduria e Castellaneta la categoria SD3 (un potenziamento di 4 unità per distaccamento);
   nella bozza del 5 dicembre 2014 i distaccamenti in oggetto venivano nuovamente retrocessi alla categoria SD2. Al fine di meglio comprendere la penalizzazione subita dal comando di Taranto basti pensare che ai distaccamenti di Manduria e Castellaneta, i quali hanno all'attivo una media di interventi tra il 2008 ed il 2012 rispettivamente di 995 e 1296, viene riconosciuta la stessa categoria di altri distaccamenti della Puglia, con una media di interventi inferiore ai 200 annui;
   successivamente, il Ministero dell'interno ha inteso compensare parzialmente, riconoscendo al comando di Taranto 4 unità in più, lasciando comunque i distaccamenti di Manduria e Castellaneta, in categoria SD2;
   oltre a tutti i fattori di rischio fin qui evidenziati, non si è tenuto conto di un altro aspetto di rilevante importanza, ovvero che entrambi i distaccamenti distino più di 40 chilometri dalla sede centrale, con collegamenti stradali tali da non consentire ad eventuali mezzi in supporto inviati dalla sede centrale di raggiungerli prima di 90 minuti, ipotesi tutt'altro che remota se si considera il fatto che i territori di competenza di entrambi i distaccamenti, particolarmente estesi, sono presidiati da una sola squadra di intervento composta da 5 unità e quindi senza mezzi di supporto (es. autobotte ed autoscala) che devono necessariamente essere inviati dal comando di Taranto;
   tale aspetto assume maggiore rilevanza se si considera il fatto che altre realtà sul territorio nazionale sono state invece potenziate, nonostante avessero storicamente un minor numero di interventi di soccorso e la distanza tra le sedi di servizio sia di poche decine di chilometri e, di conseguenza, con tempi di percorrenza e di intervento di gran lunga inferiori;
   in alcune realtà, addirittura, soprattutto al centro nord, si può contare sul supporto rapido di altri comandi provinciali essendo dette province stesse a distanze ravvicinate, come ad esempio in Veneto, Emilia Romagna, Toscana, e altri –:
   quali misure il Ministro interrogato intenda adottare affinché al territorio di Taranto siano garantiti i livelli di sicurezza che per la sua stessa complessità, necessita;
   quali interventi intenda adottare per riportare i distaccamenti di Castellaneta e Manduria alla categoria SD3, inizialmente assegnata. (4-08125)


   LOMBARDI, CIPRINI, COMINARDI, NESCI, COZZOLINO, LUIGI DI MAIO e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo gli attentati di Parigi, il Viminale ha varato un decreto che conterrebbe nuove misure per combattere il terrorismo e garantire maggiore sicurezza alle frontiere cominciando dagli scali aeroportuali;
   le misure vanno fino a una parziale revisione degli accordi di Schengen, per la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione europea;
   ma, al di là delle circolari, la sicurezza negli aeroporti la si fa con uomini e mezzi e la situazione attuale non promette niente di buono, basti pensare che dal 1985, data dell'ultimo attentato, fino ad oggi, nulla è cambiato, anzi oggi il personale in servizio è del tutto insufficiente per presidiare i luoghi sensibili;
   i poliziotti del reparto sicurezza dell'aeroporto di Roma Fiumicino, lo scalo più importante d'Italia al cui interno sono transitati, solo nel 2014, 38 milioni di passeggeri, denunciano di disporre di tecnologie e di equipaggiamenti assolutamente inadeguati: armi degli anni ’70, giubbotti antiproiettile scaduti, esercitazioni solo una volta l'anno, nessun'auto in dotazione a meno di 200 km ed i 30 chilometri del perimetro aeroportuale sono scarsamente vigilati, a causa di videocamere e sistemi anti-intrusione obsoleti;
   gli stessi poliziotti dichiarano che arrivano almeno due segnalazioni al giorno, dal Ministero dell'interno o dai servizi segreti, di soggetti o situazioni potenzialmente associabili al rischio terrorismo nel nostro Paese;
   i poliziotti di frontiera contestano che la notte spesso gira solo una volante per tutto l'aeroporto; oltre ai mezzi anche gli uomini sono insufficienti e male distribuiti; ci sono funzionari che hanno finanche 10 uomini nella propria segreteria, che invece servirebbero sul campo;
   una situazione che oltre a mettere a rischio la sicurezza dei cittadini mette in pericolo la vita stessa dei poliziotti;
   oltre alle circolari, bisogna investire anche risorse e controllare che i finanziamenti previsti per la sicurezza vengano effettivamente spesi per tale scopo;
   tutte le norme nazionali ed europee puntano al coordinamento, mentre nel nostro Paese manca un canale unico che governi e controlli una situazione di emergenza, coordinando tutte le forze in campo;
   gli agenti che segnalano le gravi irregolarità che incidono sulla sicurezza propria e dei cittadini, spesso lo devono fare travisati per paura delle ritorsioni, che purtroppo non si fanno attendere, come è di recente accaduto a Filippo Bertolami, vicequestore aggiunto della polizia di Stato e dirigente nazionale del sindacato Pnfd, polizia nuova forza democratica, sospeso dal servizio a seguito delle dichiarazioni rilasciate in occasione di un'intervista andata in onda nella puntata del 12 gennaio 2015, a Piazzapulita, su La7;
   al di là della vicenda personale del vicequestore, che sarà decisa nella sedi opportune, è necessario prendere in considerazione le notizie allarmanti emerse da quell'intervista: Bertolami, infatti, ha rivelato, con dovizia di particolari, gravissime criticità relative alla tutela di obiettivi di estrema sensibilità ubicati a Roma, quali la stazione Termini, il Vaticano e Palazzo Chigi;
   a Termini sarebbero in servizio 4 o 5 pattuglie di due persone a turno e la gran parte delle telecamere di video-sorveglianza sarebbero scollegate e non funzionanti e, quelle in servizio, oltre a non registrare, avrebbero una risoluzione che non consentirebbe di identificare persone sospette o che abbiano compiuto un reato;
   è stata inoltre evidenziata la totale mancanza di coordinamento tra Polizia, Carabinieri e altri apparati di sicurezza presenti presso Palazzo Chigi;
   inoltre, a piazza San Pietro, l'assenza di personale specializzato renderebbe inutilizzabili le tecnologie pur presenti sul posto, poste a presidio del Vaticano e soprattutto delle migliaia di cittadini che transitano nel luogo di culto –:
   se le gravissime lacune dei sistemi di sicurezza denunciate dal vicequestore Bertolami e dagli agenti della Polizia dell'aeroporto di Fiumicino e della Polizia di frontiera siano corrispondenti alla realtà dei fatti che, se così fosse, si rivelerebbe allarmante e seriamente preoccupante;
   se il Ministro reputi efficiente il complessivo apparato di sicurezza di cui il nostro Paese dispone, in ordine alla prevenzione e alla lotta al terrorismo;
   quali misure concrete intenda predisporre al più presto per rendere effettiva la tutela di tutti i cittadini, siano essi i poliziotti impegnati in prima linea per la difesa dell'incolumità pubblica, ma anche di tutti i cittadini che vivono sul territorio italiano. (4-08128)


   D'ARIENZO, ROTTA e ZARDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra giovedì 19 e venerdì 20 febbraio 2015 si è verificato un incendio che ha colpito e distrutto cinque autocarri all'interno di un piazzale privato in via Bassona a Verona, dove gli automezzi pesanti erano parcheggiati;
   l'episodio ricalca un analogo fatto avvenuto il 12 settembre 2012 presso l'azienda commerciale Brendolan con sede in Belfiore, Verona. Anche in quell'occasione sono risultati incendiati sette autoarticolati;
   nel febbraio 2011, il deposito di Caldiero (Verona), della medesima azienda Brendolan viene quasi interamente distrutto da un incendio;
   il 6 luglio 2012 un evento simile interessa l'azienda veronese OSA. Nel cortile retrostante all'ingresso, parcheggio di tre camion frigo oltre che ricovero di cassette di plastica e cartoni, scoppia un incendio che distrugge le cassette in plastica bancali in legno e due capannoni dell'azienda;
   la sera dell'8 luglio 2012 ancora fiamme nel Veronese. Questa volta a bruciare è un'azienda di Ronco all'Adige, «l'Adige Agricoltura» specializzata nello stoccaggio di plastica frammentata. A bruciare sono soprattutto bancali e cesti pieni di plastica. Contemporaneamente, un altro incendio divampa a Prova di San Bonifacio: va a fuoco un camion che si trovava in un capannone di un'azienda. Il 20 luglio, un secondo incendio colpisce la medesima azienda di Ronco All'Adige;
   nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2014 le fiamme devastano un capannone adibito a deposito attrezzi nel grande centro florovivaistico Flover di Bussolengo Verona;
   l'8 dicembre 2014 un violento incendio si sviluppa a Nogara (Verona) in un'azienda di produzione di mobili, la Veronambienti. L'incendio distrugge il deposito dei prodotti finiti, interessando anche la struttura del tetto. L'intera attività viene dichiarata inagibile;
   si segnala l'anomalo incendio che il 15 febbraio 2015 nel Comune di Isola della Scala, località Canovetta, ha investito una villetta (in passato sede di un agriturismo) con vicina, ma non annessa, una stalla per cavalli;
   pur senza alcuna intenzione di creare allarme, non si può non rilevare che si tratta di accadimenti anomali, alcuni dei quali difficilmente catalogabili in fatti casuali a causa di modalità che richiamano le dinamiche tipiche delle azioni intimidatorie messe in atto dalla criminalità organizzata;
   i fatti giocoforza destano forti preoccupazioni nella comunità locale e allarme presso la cittadinanza proprio per le modalità degli episodi;
   a Verona nel prossimo futuro vi saranno rilevanti investimenti economici a supporto delle infrastrutture locali;
   anche per questo, il territorio può divenire appetibile per interessi illeciti che inquinerebbero l'economia locale;
   sono in essere indagini sui presunti rapporti con elementi legati alla criminalità organizzata che coinvolgono/interessano anche amministratori locali;
   non appare condivisibile alcuna azione che miri a depotenziare la portata dei fatti posto che la trasparenza certamente favorisce la reazione pubblica della comunità e il contrasto di eventuali episodi delittuosi o condotte illecite –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
   quali concrete iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda porre in essere per fare luce sulla natura e sui collegamenti tra i fatti descritti e per prevenire il ripetersi di tali episodi;
   se non sia il caso di favorire la convocazione e presenziare ad un comitato provinciale ordine e sicurezza pubblica appositamente dedicato al rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nel territorio veronese. (4-08133)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Valmontone in provincia di Roma un ragazzo autistico che frequenta la scuola elementare statale sarebbe stato confinato in una stanza con la sua insegnante di sostegno in quanto la sua presenza nella classe sarebbe ritenuta «pericolosa» dai suoi insegnanti;
   nella scuola di Ostia che in precedenza quel ragazzo frequentava, invece stava normalmente nella classe a cui era iscritto;
   il suddetto ragazzo fa sport e non risulta avere creato problemi agli altri ragazzi;
   naturalmente se ciò fosse vero, sarebbe reso vano qualsiasi progetto di integrazione scolastica come invece prevede la legge per gli studenti disabili –:
   se tale notizia riportata dai giornali sia vera e nel caso quali iniziative intenda assumere per far rispettare la legge in quella scuola ed assicurare il diritto allo studio e alla integrazione scolastica anche a quel ragazzo autistico. (3-01316)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO e MARZANA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il libro di testo è attualmente lo strumento didattico più utilizzato per garantire agli studenti un adeguato percorso di conoscenza e di apprendimento, essendo il canale preferenziale su cui attivare la comunicazione didattica; esso quindi rappresenta il punto in cui convergono competenze del docente ed aspettative dello studente. Ritenuto valido strumento nell'organizzazione dei percorsi didattici concepiti dalla scuola dell'autonomia, il libro di testo deve adeguarsi alle diverse esigenze, integrarsi e arricchirsi con altri testi e pubblicazioni ed eventualmente con strumenti didattici alternativi;
   allo stato attuale in Italia l'utilizzo di strumenti didattici alternativi conta livelli molto bassi e non in linea con il resto d'Europa in quanto solo il 10 per cento delle scuole primarie italiane e il 23 per cento delle scuole secondarie è connesso ad internet con rete veloce e i restanti istituti scolastici risultano collegati ad una velocità medio-bassa e spesso a malapena sufficienti a mettere in rete l'ufficio di segreteria o il laboratorio tecnologico; quasi in una scuola su due la connessione non raggiunge le classi non permettendo quindi quell'innovazione didattica che la rete può abilitare;
   una tendenziale crescita nell'introduzione dei testi digitali comporterebbe senza dubbio un duplice risultato: un forte risparmio in termini economici per le famiglie e un aggiornamento in chiave tecnologica per il sistema didattico;
   la questione della legiferazione in materia digitale è stata affrontata in diverse occasioni attraverso decreti-legge governativi, decreti ministeriali e altre normative di carattere secondario oltre ad essere stata oggetto di esame a livello sovranazionale; infatti il Rapporto elaborato nel 2013 dall'Ocse, l'organizzazione dei Paesi industrializzati, ha bocciato la lenta progressione della scuola digitale italiana segnalando come in Inghilterra l'80 per cento delle classi è attrezzata per il digitale; in Italia, sul piano dei libri digitali (non solo quelli scolastici) a fine giugno 2013 è stato certificato che il mercato era in rapida crescita e che rispetto al 2012 il numero dei lettori in digitale era aumentato esponenzialmente: i titoli in formato digitale erano 60.598, ovvero l'8,3 per cento dei titoli in commercio e il 44,6 per cento delle novità italiane erano pubblicate anche in e-book. Tuttavia questa importante tendenza a superare il digital divide non includeva la realtà scolastica;
   con decreto ministeriale n. 209 del 26 marzo 2013 in materia di adozioni dei testi scolastici venivano gettate le prime basi per una diffusione dei libri digitali o misti negli istituti scolastici italiani, sancendo l'adozione dei libri di testo in sola chiave digitale o mista;
   sulla stessa linea il decreto ministeriale n. 781 del 27 settembre 2013, emesso con la duplice funzione di introdurre gradualmente a partire dall'anno scolastico 2014-2015 i libri digitali, sancendo tempi e modi del passaggio dalla carta all’e-book e riducendo nel contempo i tetti di spesa; il provvedimento individuava le caratteristiche specifiche degli e-book e prevedeva anche le linee guida e le modalità di fruizione su tutti i supporti digitali quali tablet, pc e lavagne interattive. In particolare, il decreto stabiliva che i libri di testo anche in versione non cartacea dovessero essere conformi ai piani di studio di cui alle indicazioni nazionali con software aperti e con piattaforme di fruizione gestite secondo le normative sulla privacy;
   la legge 8 novembre 2013 n. 128 (testo coordinato del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104) all'articolo 6 prevede lo sviluppo della cultura digitale nonché la realizzazione diretta di materiale didattico digitale; il disposto normativo intende promuovere lo sviluppo della cultura digitale e l'alfabetizzazione informatica attraverso politiche di incentivo alla domanda di servizi digitali anche tramite la definizione di nuove generazioni di testi scolastici; inoltre conferisce la possibilità in capo al collegio dei docenti di adottare libri di testo ovvero strumenti alternativi in coerenza con il piano dell'offerta formativa, con l'ordinamento scolastico e con il limite di spesa stabilito per ciascuna classe di corso; la norma prevede, in particolare, che nel termine di un triennio, a decorrere dall'anno scolastico 2014-2015, gli istituti scolastici possono elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo e affida l'elaborazione di ogni prodotto ad un docente supervisore tenuto a garantire la qualità dell'opera sul piano scientifico e didattico;
   come si legge nella circolare ministeriale del 9 aprile 2014 (nota prot. 2581 del 9 aprile 2014) inviata ai direttori generali degli uffici scolastici regionali sono state fornite alle scuole indicazioni in merito alle modalità di adozione dei libri di testo per l'anno scolastico 2014-2015; viene eliminata l'obbligatorietà di adozione di testi tradizionali degli editori ma non vi è nessuna indicazione in merito all'autoproduzione del materiale didattico digitale;
   appare, pertanto, evidente un intervento più incisivo in tale direzione che rispetti soprattutto l'assunto contenuto nell'articolo 6 della legge n. 128 del 2013 che prevedeva l'adozione delle linee guida sui materiali digitali entro la fine dell'anno scolastico 2013-2014 –:
   a cosa sia dovuto il ritardo nell'emanazione delle linee guida previste dalla suindicata legge n. 128 del 2013 in materia di produzione da parte degli istituti scolastici di materiale didattico multimediale per piattaforme open source;
   in che modo debba avvenire la formazione del corpo docenti per prepararlo a gestire le nuove modalità di insegnamento;
   a quanto ammonti la quantificazione delle risorse per realizzare il piano e come intenda il Ministero reperire le risorse finanziarie necessarie;
   come il Ministro interrogato intenda colmare questi ritardi e conciliarli con il programma di riforma scolastica denominato «Buona Scuola». (5-04825)


   GELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, come riportato ampiamente anche dai media nazionali, è emersa una vicenda dai profili inquietanti che ha visto coinvolto un dipendente del Cnr di Pisa sui quali sta indagando la magistratura;
   secondo quanto emerso dall'inchiesta l'ex dipendente in questione, Marco Borbotti, avrebbe prelevato denaro, illegalmente, dai conti correnti dell'Istituto di Fisiologia del Cnr di Pisa;
   il citato dipendente inoltre è risultato non avere i titoli richiesti per ricoprire la funzione svolta evidenziando una enorme falla nel sistema di sicurezza, aggravata anche dal fatto che lo stesso era stato coinvolto in procedimenti penali e avesse evidenti disturbi psichici;
   è una notizia che lascia stupefatti e perplessi sui quali è indispensabile e urgente fare chiarezza;
   l'ammanco stimato per i prelievi illegali ammonterebbe a quasi 3 miliardi di euro;
   verificare come questo sia stato possibile non è solo compito della magistratura in considerazione della gravità dell'accaduto e della rilevanza dell'istituto e dell'Ente coinvolto –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare con la massima urgenza per approfondire l'intera vicenda e fare luce su un episodio davvero inquietante individuando le responsabilità di chi ha consentito che il sistema di controllo del Cnr di Pisa fosse affidato a tale soggetto e reso così vulnerabile e privo di vigilanza.
(5-04834)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, PAGLIA, NICCHI e MATARRELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2014, il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, ha annunciato per il 2015 un taglio ai servizi da parte del comune di Parma di circa 20 milioni di euro, che vanno sommati ai 10 del 2014 e 10 del 2013, a causa dei tagli previsti ai comuni previsti dalla legge di stabilità;
   a causa dei tagli il comune ha annullato il bando per l'affidamento del servizio integrativo di sostegno ai disabili nelle scuole, a cui erano stati destinati fondi per 4,5 milioni di euro per gli anni 2015 e 2016;
   alle sollecitazioni e alle manifestazioni di presidi, genitori e sindacati di settore il sindaco ha proposto una mediazione prorogando il servizio per altri 6 mesi e, al posto della soppressione del servizio, un ridimensionamento del monte orario fissato all'11,8 per cento rispetto a quello iniziale, con 50 ore settimanali aggiuntive per le emergenze;
   nonostante le numerose mobilitazioni, allo stato attuale le famiglie dei giovani studenti disabili non hanno la certezza che il servizio verrà garantito;
   in questa dimensione in cui il sindaco scarica le responsabilità sul Governo e non rispondere nel merito di scegliere tagli al welfare, a pagarne le conseguenze, in servizi, efficienza e diritto allo studio, diritto che verrebbe chiaramente violato, sono le fasce più deboli della popolazione;
   se i Ministeri interrogati siano al corrente dei fatti esposti in premessa, che iniziative intendano intraprendere nell'ambito delle proprie competenze per garantire il diritto allo studio degli studenti disabili nella città di Parma e se, visti i numerosi casi di tagli ai servizi disposti dai comuni segnalati su tutto il territorio nazionale, soprattutto nei confronti della fascia di popolazione più debole, come quella dei portatori di disabilità, non ritengano di dover avviare iniziative normative per la creazione di un fondo unico per la stabilità. (4-08110)


   COSTANTINO, GIANCARLO GIORDANO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il liceo «Fermi» di Cosenza continua ad essere al centro di attenzione per la situazione ormai insostenibile causata dal comportamento anomalo dalla dirigente scolastica, che si sostanzia in continui tentativi di privatizzazione di segmenti dell'insegnamento e di continui atteggiamenti vessatori verso il personale e le famiglie, come dimostrano le continue segnalazioni presentate dalle organizzazioni sindacali di categoria, fino alla proclamazione dello stato di agitazione a metà ottobre 2014;
   il 2, 3 e 4 settembre 2014 si è svolta nel suddetto istituto un'ispezione collegiale, con ben tre ispettori inviati dal Ministero (fatto rarissimo in una scuola) per verificare quanto denunciato in un corposo e dettagliato dossier presentato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prima dell'estate dalle sigle sindacali FLC-CGIL, CISL scuola e UIL scuola provinciali e regionali;
   da tempo è stata depositata la relazione di questa visita ispettiva, della quale non si conoscono i contenuti;
   un'altra ispezione è stata avviata a novembre 2014 su alcuni aspetti amministrativi dell'istituto, della quale non si conoscono gli esiti;
   la dirigente ha ricevuto nel mese di febbraio 2015 il provvedimento disciplinare di sospensione per quindici giorni, parrebbe solo per alcuni dei tanti pesanti addebiti che le sono stati contestati;
   durante questi quindici giorni si sono verificati episodi gravissimi determinati dalla mancata delega da parte della dirigente ai suoi collaboratori per sostituirla in caso di sua assenza, come la mancata concessione di permessi ai lavoratori. Particolarmente significativa la non autorizzazione di un giorno di ferie ad un lavoratore richiesto per motivi di famiglia, che lo ha costretto a spostare la precedentemente fissata visita ospedaliera del figlio, determinando una violazione delle norme contrattuali ed una lesione al diritto costituzionalmente previsto alla salute –:
   se il Ministro sia aggiornato sulla situazione del liceo «Fermi» e se abbia valutato completamente o parzialmente l'esito delle visite ispettive e quali iniziative intenda assumere in merito. (4-08141)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MAESTRI, ROMANINI, TERROSI, CARLO GALLI, MARCO DI MAIO, BERGONZI, GIACOBBE, D'INCECCO, MONTRONI, VERINI, MARIANI, MARANTELLI, MAGORNO, GRIBAUDO, COVA e CARLONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 29 gennaio 2015 il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno sottoscritto un atto di indirizzo concernente l'individuazione dei criteri per l'elaborazione di un piano di ristrutturazione della rete delle aree di servizio presenti sui sedimi autostradali;
   pur senza citarla direttamente, pare evidente che tale documento prendi le mosse da una richiesta delle concessionarie autostradali di elaborare un piano di ristrutturazione delle proprie aree di servizio per far fronte ai cali di fatturato registrati negli ultimi anni;
   i criteri indicati nell'atto di indirizzo per l'elaborazione dei piani di razionalizzazione delle strutture presenti sulla rete non paiono sufficienti a garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali;
   attualmente sarebbero oltre 15 mila gli addetti nei punti di ristorazione sulla rete autostradale con un'alta incidenza del part time ed un inquadramento contrattuale e previdenziale che non consentirebbe la copertura tramite cassa integrazione guadagni straordinaria per far fronte alla paventata ristrutturazione –:
   quali siano le intenzioni dei concessionari della rete delle aree di servizio autostradale circa la possibile predisposizione di un piano di ristrutturazione e quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere al fine di evitare che tali piani abbiano ricadute negative sull'occupazione. (5-04828)


   ARLOTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il documento unico di regolarità contributiva (Durc) è un certificato unico che attesta la regolarità di un'impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente nei confronti di Inps, Inail e casse edili, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento;
   il documento unico di regolarità contributiva è previsto per lavori, servizi e forniture pubblici, servizi/attività in convenzione o concessione, lavori privati in edilizia, agevolazioni, finanziamenti e sovvenzioni; dal 1o gennaio 2006 è stata estesa a livello nazionale l'operatività dello Sportello unico previdenziale per l'attestazione della regolarità contributiva del richiedente;
   l'Inps, secondo le vigenti disposizioni di legge, è tenuto a comunicare alle aziende l'eventualità di un debito che occorre sanare per ottenere il documento unico di regolarità contributiva;
   in caso di DURC negativo, attestante delle irregolarità contributive, l'impresa perderà l'aggiudicazione dell'appalto e non potrà stipularne altri, non avrà diritto al pagamento dei diversi stati di avanzamento dei lavori o delle liquidazioni finali, mentre nei lavori privati avrà la sospensione del titolo abilitativo connesso alla concessione edilizia o alle DIA (dichiarazione inizio lavori) e non avrà l'attestazione da parte delle SOA (società organismi di attestazione);
   nei giorni scorsi è salito alle cronache il caso di un artigiano che in provincia di Rimini si era visto notificare dall'Inps lo stop all'istruttoria per ottenere il documento unico di regolarità contributiva come conseguenza di un debito contributivo di 55 centesimi di euro e di un ritardo di un giorno nel pagamento delle 3 rate contributive versate nel 2014, per un totale di 29,28 euro compresa la mora;
   appare evidente la sproporzione fra il debito e le conseguenze del mancato rilascio del documento unico di regolarità contributiva da parte dell'Inps, dato che l'artigiano ha rischiato di non potersi presentare in cantiere a prestare la propria opera;
   l'Inps ha comunicato l'esito positivo dell'istruttoria dopo il pagamento del debito e della sanzione da parte dell'artigiano ma resta il senso di una burocrazia cieca che, soprattutto in questa difficile congiuntura economica, non aiuta chi tenta di svolgere ogni giorno il proprio lavoro –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda;
   quali misure di propria competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per alleggerire il peso della burocrazia e per sveltirne i tempi troppo lenti per le piccole e medie imprese artigiane e i liberi professionisti, consentendo alle aziende e agli artigiani di andare avanti e di non essere fermati da farraginose lungaggini burocratiche. (5-04829)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COMINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il comma 429 dell'articolo 1 della legge di stabilità riguarda il personale provinciale dei centri per l'impiego. Per quanto concerne il capitolo finanziamento nel comma si legge che «Allo scopo di consentire il temporaneo finanziamento dei rapporti di lavoro di cui al primo periodo del presente comma, in attesa della successiva imputazione ai programmi operativi regionali, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è autorizzato, nei limiti di 60 milioni di euro a valere sul Fondo di rotazione per la formazione professionale e l'accesso al fondo sociale europeo di cui all'articolo 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, a concedere anticipazioni delle quote europee e di cofinanziamento nazionale dei programmi a titolarità delle regioni cofinanziati dall'Unione europea con i fondi strutturali»;
   allo stato attuale lo stanziamento previsto di 60 milioni di euro appare del tutto insufficiente per far fronte alle spese del personale dei centri per l'impiego: rappresenta, infatti, circa un quinto dei 400 milioni necessari a coprire le retribuzioni degli 8.000 lavoratori attualmente in forza alle province;
   inoltre il comma richiama anche il ruolo delle regioni, ma non risulta che ancora nessuna indicazione sia pervenuta ad alcuna regione in tal senso. Ne consegue che il personale dei centri per l'impiego, ad oggi, rimane totalmente in carico alle province –:
   se questa interpretazione della norma sia da considerarsi esatta e se così fosse quali azioni intenda mettere in atto per coprire i costi dei centri per l'impiego visto che le risorse stanziate non sono sufficienti. (4-08109)


   OLIARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati Istat elaborati dall'Ufficio studi Confartigianato, solo il 14,5 per cento dei ragazzi liguri tra i 15 e i 24 anni ha un'occupazione (sono al dodicesimo posto nella classifica nazionale), contro il 27,6 per cento dei trentini, il 23,5 per cento dei friulani e il 21,4 per cento dei veneti;
   i giovani disoccupati liguri sono il 47,5 per cento, contro il 43,9 per cento della media italiana: ancora una volta ai primi posti si trovano le regioni del Nord (in primis Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto), mentre agli ultimi posti sono le regioni meridionali (Abruzzo e Sicilia toccano addirittura punte del 68 per cento di giovani disoccupati);
   in base ai dati del 2013 sulla disoccupazione giovanile in Liguria, a livello provinciale la situazione peggiore riguarda la provincia di La Spezia (47,8 per cento), seguita da Savona (42,5 per cento), Imperia (41,5 per cento) e Genova (39,9 per cento);
   questo quadro sconfortante per i giovani liguri è aggravato da una scarsa integrazione tra scuola e lavoro, doppio binario che andrebbe invece incentivato anche attraverso percorsi obbligatori di alternanza;
   la formazione è fondamentale, soprattutto nelle micro e piccole imprese, per avvicinare i giovani al mestiere e aiutarli a crescere professionalmente, inquadrandoli anche all'interno di un percorso di tirocinio o di apprendistato;
   in Italia il grado di integrazione tra il mondo del lavoro e la formazione risulta ancora di gran lunga inferiore al 13 per cento della media dell'Unione europea: basti pensare che se in Italia su 100 giovani in formazione solo il 3,5 per cento è occupato, in Germania il rapporto sale al 36,2 per cento, al 33,5 per cento nel Regno Unito e al 17,8 per cento in Francia;
   secondo gli ultimi dati Eurostat e Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in Italia i giovani under 25 impegnati in un percorso formativo scolastico o lavorativo sono il 63,7 per cento della popolazione di riferimento, ma solo il 2,2 per cento è in formazione e nello stesso tempo occupato –:
   quali iniziative si intendano adottare per incentivare l'integrazione tra il mondo del lavoro e la formazione, al fine di agevolare l'inserimento dei giovani, in particolare di quelli liguri, nel mondo del lavoro e, in generale, avvicinare l'Italia ai livelli dell'Unione europea. (4-08113)


   BALDASSARRE, RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da articoli di stampa «Finmeccanica vende a Hitachi Ansaldo Sts e Breda»;
   dagli articoli suddetti Finmeccanica avrebbe raggiunto un accordo con Hitachi per la vendita dell'intera partecipazione in Ansaldo Sts e di Ansaldo Breda;
   tale vendita è prevista nel corso del 2015 e sarà soggetta a specifiche condizioni, quali autorizzazioni regolamentari ed antitrust;
   la nota diramata da Finmeccanica, al termine della procedura di selezione definisce Hitachi «quale migliore partner industriale per assicurare al proprio business dei trasporti un posizionamento di successo nel lungo termine»;
   dagli articoli di stampa Hitachi avrebbe espresso la volontà di mantenere i livelli occupazionali e impianti invariati dopo l'acquisto di Ansaldo Breda e Ansaldo Sts –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti su esposti;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei termini specifici con cui verranno effettivamente garantiti i livelli occupazionali e i relativi impianti;
   se il Ministro sia a conoscenza — e se possa renderli pubblici – dei piani di ristrutturazione aziendale di Finmeccanica. (4-08119)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il prosciuttificio Crudi d'Italia di Colledara nel dicembre 2013 ha chiuso i battenti mettendo tutti gli 82 dipendenti in cassa integrazione straordinaria;
   il prosciuttificio ha riaperto qualche mese dopo, ad opera della Potenza srl, che ha prima riassunto una quindicina di lavoratori a tempo determinato, e da quest'anno occupa 45 dipendenti, buona parte a tempo indeterminato);
   sono più di 30 gli ex dipendenti della Crudi d'Italia non riassunti che hanno deciso di presentare ricorso al giudice del lavoro;
   in una nota sindacati ribadiscono come hanno nel corso dei 2014 chiesto l'intervento dell'ispettorato del lavoro per accertare se l'operazione era stata fatta nel rispetto delle leggi perché a loro avviso si è verificato un trasferimento di ramo d'azienda, che prevede una continuità nel rapporto di lavoro professionale. E proprio su questo si basano i ricorsi che vengono depositati in questi giorni in tribunale;
   in sostanza i sindacati vedono una continuità fra Crudi d'Italia (che è in concordato preventivo) e la Potenza che dunque avrebbe dovuto scegliere per le assunzioni il personale dello stabilimento, secondo regole stabilite per legge. Potenza srl ha assunto diversi operai da quel bacino, ma senza seguire i criteri di legge;
   gli ex operai sottolineano che le denunce sulla mancata applicazione del trasferimento d'azienda di alcuni mesi fa non hanno ottenuto risposte;
   chi è rimasto fuori, peraltro, da mesi non percepisce la cassa integrazione guadagni straordinaria. I lavoratori hanno scelto di non firmare l'accordo per ottenere l'ammortizzatore sociale legato al concordato preventivo appunto perché nutrono dubbi sul passaggio di attività fra le due aziende –:
   se non intenda verificare se effettivamente le assunzioni effettuate per il nuovo personale dello stabilimento siano state effettuate nel rispetto delle leggi vigenti. (4-08127)


   LOMBARDI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI e DALL'OSSO. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   36 piloti di Alitalia in cassa integrazione, dopo aver iniziato a prestare servizio presso alcune importanti linee aeree estere, non avevano reso noto all'Inps di aver trovato una nuova occupazione, omettendo le dovute dichiarazioni o trasmettendone di false;
   con questa condotta, i 36 piloti hanno intascato illecitamente le integrazioni previste dal Fondo volo dell'Inps, per un ammontare – stando ai calcoli della Guardia di finanza – di circa 7,5 milioni di euro;
   sono in corso indagini che stando alle notizie diffuse dalla stampa degli ultimi giorni, riguarderebbe altri cento piloti sospettati di aver frodato l'ente previdenziale nazionale;
   pare che tre anni fa l'Inps si fosse rivolta ad alcune ambasciate, attraverso il Ministero degli affari esteri, per verificare che i piloti in silenzio non lavorassero all'estero, poiché l'integrazione versata nelle tasche di ciascuno di essi a titolo di cassa integrazione oscillava tra i 3.000 e gli 11.000 euro al mese;
   dunque i piloti, oltre a spolpare le casse dell'Inps, percepivano stipendi pari a 12.000 euro al mese da parte delle compagnie aeree per cui lavoravano, estero su estero, senza fare scalo in Italia; per questa ragione la frode è stata scoperta proprio grazie alla collaborazione dei nuovi datori di lavoro;
   non solo, i piloti, oltre al doppio stipendio, godevano anche di altri «fringe benefit» consistenti nelle spese alloggiative e nelle rette di iscrizione dei figli a scuola;
   ora, i soggetti che avrebbero illecitamente percepito gli ammortizzatori sociali – particolarmente vantaggiosi dato che durano 7 anni e coprono l'80 per cento, dell'ultimo stipendio – sono indagati per il reato di truffa ai danni dello Stato;
   ad essere beffati sono stati, peraltro, tutti i cittadini, in quanto l'assegno di solidarietà per i piloti è finanziato con un'addizionale sui biglietti aerei di 3 euro per ogni viaggio;
   gli interroganti ritengono che il Ministro sia responsabile per la mancata vigilanza sulla situazione già segnalata dall'Istituto previdenziale nazionale tre anni fa –:
   se non intenda inoltre intraprendere urgenti interventi, anche di carattere normativo, volti a rendere più stringenti i controlli per tutti coloro che godono di qualsiasi forma di sostegno al reddito, evitando il ripetersi di fenomeni truffaldini come quelli descritti in premessa;
   se non si ritenga opportuno valutare le modalità di funzionamento del Fondo speciale trasporto aereo finanziato da azienda e dipendenti solo in minima parte, essendo quasi totalmente pagato attraverso apposite addizionali sui biglietti aerei che vanno a gravare su tutti i cittadini;
   come siano state suddivise le somme introitate in questi anni, pari ad oltre un miliardo e quattrocento milioni di euro, quanto sia stato utilizzato per la riconversione e reimpiego del personale posto a carico e quali somme siano state utilizzate per pagare ammortizzatori sociali che non hanno pari in Italia. (4-08132)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il signor Ennio Savino è dipendente del distretto 32 dell'ASL NA1 Centro con la qualifica di collaboratore professionale sanitario esperto infermiere coordinatore;
   in data 17 marzo 2014, ricevuti i necessari nulla osta, il dottor Ennio Savino nel marzo 2014 richiese il trasferimento dall'unità operativa medicina legale (UOML) all'unità operativa assistenza riabilitativa (UOAR) del distretto 32;
   il direttore sanitario del distretto, nell'autorizzare tale trasferimento con decorrenza 1o aprile 2014, specificava che il dottor Ennio Savino dovesse essere utilizzato, anche nel nuovo incarico, nell'ambito della qualifica rivestita, che dal 1o ottobre 1989 è quella di «caposala» e poi «collaboratore professionale sanitario esperto infermiere coordinatore»;
   il direttore responsabile dell'UOAR, tuttavia, non ha adibito il dottor Savino ad una adeguata mansione, utilizzando la sua figura professionale in attività puramente amministrative;
   nonostante le rimostranze, le denunce e le istanze formulate in via gerarchica al Direttore Sanitario del Distretto 32 dal dottor Savino (che è stato anche audito dalla Commissione del UOC Nucleo ispettivo dell'ASL NA 1 Centro), ad oggi la situazione non risulta essere stata risolta;
   tale demansionamento comporta anche la perdita dell'indennità variabile, in precedenza percepita dal dottor Savino, prevista dal comma 4 dell'articolo 10 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – comparto sanità, creando all'interessato un notevole, nonché ingiusto, danno economico; non è da escludersi che l'estromissione del dottor Savino dalle sue mansioni integri la fattispecie del reato di abuso d'ufficio di cui all'articolo 323 del codice penale;
   in data 4 novembre 2014 il dottor Savino ha inoltre inoltrato all'UOC Nucleo ispettivo – ASL Napoli 1 Centro una richiesta di accesso agli atti e contestuale invito a provvedere che tuttavia non ha avuto risposta; avverso il silenzio dell'amministrazione il dottor Savino ha infine proposto un ricorso al TAR Campania depositato lo scorso 8 gennaio 2015;
   da ultimo, come se quanto descritto fin ora non fosse sufficiente, lo scorso 21 gennaio 2015 il dottor Ennio Savino ha subito un trasferimento dal chiaro sapore intimidatorio al dipartimento di salute mentale del distretto sanitario di base n. 29 dell'ASL di Napoli Centro. Peraltro, la disposizione di servizio con la quale si portava il trasferimento a conoscenza dell'interessato conteneva una serie di errori formali tali da consentire al dottor Savino di impugnare la disposizione in questione;
   dai fatti descritti in premessa viene delineato – a parere del deputato interrogante – in maniera piuttosto evidente un atteggiamento gravemente lesivo della dignità di un lavoratore con decenni di onorata esperienza come il dottor Ennio Savino –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di doversi attivare, per quanto di loro competenza e anche mediante l'esercizio dell'iniziativa legislativa, affinché vicende lesive della dignità umana come quella descritta in premessa non abbiano più a ripetersi. (4-08136)


   CARRESCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 ha fatto sorgere il fenomeno degli «esodati», lavoratori che si sono trovati senza lavoro e senza possibilità di fruire del trattamento pensionistico;
   l'articolo 24, comma 14, del suddetto decreto-legge ha previsto deroghe in base alle quali, si sono applicati i previgenti requisiti pensionistici a circa 65.000 soggetti (prima salvaguardia);
   successivamente sono stati approvati altri quattro provvedimenti relativi alle cosiddette salvaguardie;
   dalla 4a salvaguardia, sono rimasti esclusi, per superamento del plafond disponibile, circa 2.500 posizioni e cioè tutti coloro i quali avevano raggiunto i requisiti previdenziali tra il 1o novembre 2012 e il 31 dicembre 2013;
   nell'ottobre 2014 quando i numeri degli aventi diritto sono stati resi noti, gli interessati hanno chiesto, in varie sedi, il motivo dell'errata considerazione numerica all'interno della 4a salvaguardia;
   l'ipotesi solutiva era stata individuata nell'applicazione del principio dei «vasi comunicanti» (legge 147 del 2013, articolo 1 comma 193), come avvenuto già in altre salvaguardie;
   è stata poi approvata la 6a salvaguardia, recuperando i 4.000 posti eccedenti all'interno della 4a senza però di fatto tener fede all'obiettivo di non escludere nessuno dalla salvaguardia;
   a molti del 2.344 interessati rimasti esclusi era stata ventilata l'ipotesi che sarebbero stati in testa alla graduatoria degli aventi diritto della 6a salvaguardia e che le relative certificazioni sarebbero state inviate dopo il 5 gennaio 2015;
   in realtà sono arrivate le prime certificazioni per gli esclusi della 4a salvaguardia ma con una dilatazione dei tempi tale che ormai diversi interessati sono prossimi alla maturazione dei requisiti della legge Fornero;
   alle giuste rimostranze ancora una volta hanno fatto riscontro dichiarazioni di esponenti del Governo che sarebbe stata data piena tutela a tutti;
   da più parti si paventa però che coloro che hanno maturato il diritto prima degli esclusi della 4a salvaguardia li precederanno in graduatoria;
   non vi sarebbero certezze sui tempi di inoltro delle certificazioni;
   non sarebbe confermato che coloro che hanno rinunciato alla salvaguardia, per raggiunti limiti pensionistici, saranno eliminati dalla graduatoria della 6a salvaguardia;
   resta incomprensibile come si riescano a coprire i 2.344 posti degli esclusi della 4a salvaguardia con i soli 1.800 posti della 6a Salvaguardia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e come e in che tempi intenda dare soluzione al problema segnalato evitando, anche con una circolare esplicativa, il ripetersi per gli interessati alla 6a salvaguardia di quanto accaduto con la 4a salvaguardia. (4-08138)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO, PALAZZOTTO e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia è stata flagellata da una settimana di intenso maltempo specialmente nella parte centro-meridionale, dopo il passaggio di un ciclone mediterraneo e del fronte atlantico che hanno portato le piogge a cadere anche sulla Penisola. I rovesci torrenziali, che nel weekend si sono abbattuti sull'isola, hanno fatto ingrossare ancor di più i fiumi portandoli a superare i livelli di guardia;
   si contano milioni di euro di danni alle coltivazioni e alle strutture agricole con frane e smottamenti che hanno compromesso la viabilità interna. I danni provocati dal maltempo in Sicilia hanno compromesso drammaticamente le produzioni più tipiche come gli agrumeti della zona di Ribera che, nel pieno della produzione, sono stati allagati con la conseguente perdita del raccolto;
   nei comuni di Menfi e Castelvetrano (Trapani) le forti piogge hanno fatto straripare i fiumi con detriti che hanno colpito le strutture dei vigneti e degli agrumeti mentre i seminativi e le ortive sono sommersi dall'acqua;
   nel palermitano si contano i danni gravissimi soprattutto nella zona di Chiusa Sclafani, Giuliana, Bisacquino e Contessa Entellina, dove l'acqua ha letteralmente portato via agrumeti, oliveti, ortaggi. I campi seminati sono completamente allagati e in futuro anche il grano potrebbe subire ulteriori danni, così come si temono conseguenze devastanti anche per le ciliege;
   nell'agrigentino i danni causati dal maltempo hanno prodotto smottamenti con molte fogne non in grado di smaltire i flussi. A preoccupare maggiormente sono stati i fiumi in piena che hanno interrotto importanti arterie di comunicazione e causato gravi danni all'agricoltura come nel caso del fiume Naro che poco prima dell'altezza di Cannatello ha letteralmente invaso la vallata circostante distruggendo ortaggi ed uliveti;
   nell'agrigentino a rischio esondazione vi sono anche i fiumi Akragas ed il Sant'Anna;
   sono stati numerosi gli smottamenti anche lungo la strada tra Gangi e San Mauro Castelverde e la statale tra Alimena e Resuttano: la zona più colpita è l'area sotto l'autostrada Palermo-Catania invasa dall'acqua e trasformata in un enorme lago;
   nei comuni di Corleone, Bisacquino e Chiusa Sclafani si sono registrate frane, smottamenti, allagamenti e la circolazione stradale e ferroviaria si è bloccata, a ciò si aggiunge l'evacuazione di 40 abitazioni;
   le violente precipitazioni hanno causato gravi danni sulle linee ferroviarie Palermo-Catania e Palermo-Agrigento;
   sono andati distrutti anche interi pezzi di manto stradale per cui, se non verranno ripristinati rapidamente, gli imprenditori non potranno nemmeno accedere ai propri fondi per salvare il salvabile;
   a Mussomeli (Caltanissetta) un ampio movimento franoso sta portando a valle un'intera azienda agricola zootecnica;
   negli ultimi quindici anni in Sicilia si sono verificate 78 frane o alluvioni che hanno provocato 58 vittime e danni stimati in almeno 3,3 miliardi di euro. E inoltre – secondo quanto si evince dal rapporto preliminare sul rischio idraulico in Sicilia redatto dalla Regione – «...ci sono nella nostra regione quasi ottomila nodi...» – e cioè luoghi in cui è presente una situazione di rischio idrogeologico dovuto a «interferenze» tra corsi d'acqua e insediamenti umani. Per mettere in sicurezza questi luoghi servirebbero almeno quattro miliardi di euro;
   negli ultimi quindici anni, peraltro, i danni – materiali e in termini di vite umane – sono stati mediamente maggiori rispetto al ventennio precedente (1980-1999) quando si sono verificate 70 tra frane e alluvioni, con 69 vittime e danni (con un valore attualizzato ad oggi) per «soli» 681 milioni di euro. Una situazione di allarme che fa il paio con la stima del rapporto sull'Ecorischio 2013 di Legambiente, secondo cui 7 comuni su 10 in Sicilia sono a rischio idrogeologico –:
   quali interventi urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere per far fronte ai danni economici che hanno subìto gli agricoltori a seguito degli eventi climatici descritti in premessa;
   se non si ritenga attivare con urgenza le misure previste dal decreto legislativo n. 102 del 2004, attinente gli interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera i), della legge 7 marzo 2003, n. 38, al fine di dichiarare lo stato di calamità naturale nelle zone colpite. (4-08123)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRAGOMELI, MIOTTO e CASATI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono in corso in tutte le regioni le iniziative per riordinare e razionalizzare i punti nascita operanti in ciascun territorio, in attuazione degli accordi intervenuti fra Stato e regioni, allo scopo di garantire parti più sicuri nel rispetto degli standard di qualità e sicurezza, validati anche dalle società scientifiche;
   conseguente all'attività di riordino ed alla chiusura di alcuni reparti, si rende necessario ricollocare il personale in esubero tenendo in considerazione la circostanza che talvolta presso le strutture sanitarie ove sono chiusi i punti nascita, permangono altre attività ginecologiche, comprese attività chirurgiche su utero, ovaio, e altro;
   la ricollocazione del personale in esubero è demandata alla trattativa tra i soggetti istituzionali interessati, le rappresentanze sindacali e, nel caso di strutture private accreditate, la proprietà;
   il reimpiego/trasferimento del personale – connesso alla predetta riorganizzazione – in particolare attinente al profilo professionale di ostetrica è attuato nel rispetto di quanto previsto dal decreto ministeriale 14 settembre 1994, n. 740;
   da una lettura del sopracitato decreto ministeriale n. 740 non si esclude la possibilità che, nel profilo professionale di ostetrica, possano essere contemplate attività di natura ginecologica (in particolare quelle relative all'apparato genitale femminile, alla mammella, nonché a quelli uroginecologici) tra le quali: prevenzione e accertamento dei tumori della sfera genitale femminile (partecipazione ai pap-test, percorsi ambulatoriali e di ricovero diagnostici per neoplasie di utero, ovaio e mammella) prericoveri, somministrazione di farmaci su indicazione medica, gestione terapie endovenose, attività medicale, rilevazione bisogni assistenziali emergenti, ivi compresi interventi di BLS. Inoltre l'ostetrica contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca –:
   se non ritenga opportuno, confermare che rientrino nelle competenze e funzioni attribuibili alle ostetriche tutte quelle elencate in premessa, contenute nel decreto ministeriale n. 740 del 1994, e che possono essere esercitate anche nei reparti di ginecologia riconoscendo alle ostetriche una funzione di supporto. (5-04830)

Interrogazione a risposta scritta:


   FERRO, GREGORI, TIDEI, MINNUCCI, PIAZZONI e CARELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della Asl Roma G, che presenta una popolazione di 476.586 abitanti, è molto vasto e diviso in 6 distretti;
   nel distretto G2, che comprende i comuni di Guidonia, Marcellina, Monteflavio, Montelibretti, Montorio Romano, Moricone, Nerola, Palombara Sabina e Sant'Angelo Romano, non vi è alcun presidio ospedaliero;
   con delibera regionale n. 1157 del 9 agosto 2006 l'ospedale SS. Salvatore di Palombara Sabina è stato riconvertito in «Casa della Salute» e, successivamente, al suo interno è stato attivato un P.T.P. (presidio territoriale di prossimità);
   ad oggi la casa della salute non è utilizzata come sede degli studi dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, non è garantita la presenza in H24 dei medici di famiglia e della continuità assistenziale (ospedale di comunità) e non è stata realizzata l'istituzione di servizi e attività di grande valenza assistenziale;
   nel dicembre 2006 è stato sottoscritto un Protocollo di Intesa tra la regione Lazio, la Asl RmG e il comune di Palombara Sabina, che prevedeva, tra l'altro, l'impegno da parte dell'assessorato regionale alla Sanità di far inserire la casa della salute di Palombara Sabina nella sperimentazione nazionale relativa a questo innovativo modello assistenziale, come struttura di riferimento del centro Italia;
   tale adempimento non è stato rispettato;
   la Asl RmG, con provvedimento n. 114 del 12 febbraio 2015, è intenzionata a ubicare, seppur in via provvisoria, una struttura REMS (per il superamento degli OPG) nella struttura del SS. Salvatore di Palombara Sabina;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 maggio 2008, n. 126 recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria» prevede che le Regioni assicurino l'espletamento delle funzioni trasferite attraverso le Asl nel cui ambito di competenza sono ubicati i servizi penitenziari;
   nella Asl RmG non è presente alcun istituto penitenziario;
   l'abbandono del progetto della casa della salute, unitamente alla chiusura di altri ospedali, sta rendendo gravoso il raggiungimento dei livelli essenziali di assistenza per i cittadini dell'intera area di competenza della Asl RmG;
   è intenzione dei comuni della Sabina (Palombara Sabina, Marcellina, Moricone, Montelibretti, Montorio, Nerola, Sant'Angelo Romano e Monteflavio) deliberare un atto di indirizzo alla regione Lazio, per tutelare la struttura sanitaria del SS. Salvatore e favorire l'ottimizzazione delle risorse che lo caratterizzano, scongiurando un ulteriore declassamento della struttura;
   la struttura, non avendo una base di partenza per aprire un REMS, deve essere sottoposta ad adeguamenti che comporterebbero un costo incomprensibile per una situazione dichiarata come transitoria –:
   se il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, abbia valutato se la realizzazione dell'intervento descritto in premessa presso l'ospedale di Palombara Sabina comprometta l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza sul territorio nonché quali effetti si verificherebbero qualora venisse realmente dato seguito al progetto di trasferimento dei pazienti degli ospedali psichiatrici giudiziari presso la struttura citata posto che, secondo gli interroganti, si rischierebbe di peggiorare ulteriormente l'erogazione delle prestazioni sanitarie sul territorio. (4-08140)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del piano di razionalizzazione e riorganizzazione degli uffici postali sul territorio nazionale Poste italiane avrebbero deciso di sopprimere l'ufficio presso Granieri frazione del comune di Caltagirone in provincia di Catania;
   suddetta decisione lascia molto perplessi in considerazione della rilevanza che tale servizio riveste per la comunità locale;
   Granieri è una frazione molto popolosa del comune di Caltagirone con circa 400 abitanti «e verrebbe eccessivamente penalizzata da questa decisione poiché caratterizzata da un vivace tessuto di aziende agricole»;
   in data 20 febbraio 2015 si è svolta una partecipata manifestazione di protesta che ha visto impegnati amministratori, sindacati, operatori economici cittadini per scongiurare la chiusura dell'ufficio postale;
   in relazione al contratto di servizio che Poste italiane ha siglato con il Ministero dello sviluppo economico vanno tenute in debita considerazione alcuni elementi che ne caratterizzano la gestione di un servizio pubblico fondamentale che vanno al di là dei criteri adottati dall'azienda –:
   se e quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intenda adottare nei confronti di Poste italiane al fine di svitare la chiusura definitiva dell'ufficio postale di Granieri di Caltagirone e consentirne il mantenimento di un servizio fondamentale per i cittadini e le imprese. (5-04827)


   MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le principali associazioni canapicole sostengono la modifica della normativa vigente in materia di coltivazione e rilancio della filiera agroindustriale della canapa per la produzione di farina ed oli essenziali;
   già a partire dagli anni novanta, la Comunità europea aveva riconosciuto la possibilità di coltivazione della canapa ad uso industriale ed alimentare «con tenore di tetraidrocannabinolo non superiore a 0,2 per cento», principio ribadito dal regolamento CE n. 953/2006, che all'articolo 2 modificava in tal senso l'articolo 52 del Regolamento (CE) n. 1782/2003;
   in Italia, con C.M. del Ministero della salute del 22 maggio 2009, si è riconosciuta l'opportunità dell'utilizzo della canapa anche ad uso alimentare, ricordando tuttavia la permanenza del divieto di pubblicità stabilito dall'articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (legge sugli stupefacenti), quindi di fatto i coltivatori di canapa non possono pubblicizzare la loro attività, né tanto meno i loro prodotti;
   quanto riportato nel punto precedente appare una aperta violazione dell'articolo 41 della Costituzione che sancisce: «l'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità; sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali»;
   l'attività economica dei canapicoltori è soggetta a varie restrizioni, sia per quanto riguarda la scelta delle varietà del seme sia per quanto riguarda il metodo di produzione e lavorazione e persino al momento del trasporto del prodotto finito, a causa della mancanza di una normativa chiara che sancisca in modo inequivocabile il diritto al pieno svolgimento di quell'iniziativa economica privata di cui all'articolo 41 della Costituzione;
   resta inoltre da chiarire quale sia la percentuale di tetraidrocannabinolo consentita dalla legislazione vigente visto che la legge italiana sugli stupefacenti vieta in modo indiscriminato i tetraidrocannabinoli, a prescindere dalla quantità di principio attivo contenuta;
   tale normativa appare in contrasto con quanto previsto dalla normativa comunitaria che ormai da anni ammette la coltivazione della canapa «con tenore di tetraidrocannabinolo non superiore a 0,2 per cento»;
   la mancata armonizzazione della normativa in tale materia crea grandi difficoltà ai canapicoltori che si vedono spesso contestare il tasso di THC contenuto nelle infiorescenze, anche perché non è sempre possibile, con i semi in vendita nelle sementiere, garantire lo 0 per cento previsto;
   non è dato capire da parte degli interroganti, quale contrasto con l'utilità sociale di cui al succitato articolo 41 della Costituzione, possa ravvisarsi nell'armonizzare la normativa nazionale con quella europea che stabilisce un tenore di tetraidrocannabinolo non superiore a 0,2 per cento e non allo zero come previsto dall'attuale normativa italiana, rispetto alla quale la Corte Costituzionale, con sentenza del 12 febbraio 2014 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articolo 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge n. 272 del 2005 di fatto provocando la reviviscenza delle disposizioni precedenti all'approvazione della legge n. 49 del 2006 –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di consentire la produzione della canapa industriale ed alimentare con una prassi applicativa non vessatoria per i produttori;
   quali siano le azioni normative volte ad armonizzare la disciplina nazionale a quella europea, nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 41 della Costituzione nonché dall'articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. (5-04838)


   AMODDIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 18 giugno 2010 il Ministro dello sviluppo economico ha disposto l'amministrazione straordinaria della Tributi Italia Spa ed ha nominato il dottor Voglino Luca commissario straordinario;
   la Tributi Italia S.p.a. ha licenziato per motivi disciplinari nel mese di settembre 2006 un dipendente della sede di Augusta, comune per il quale svolgeva il servizio di concessionaria per la riscossione dei tributi comunali;
   la corte di appello di Catania sezione lavoro con la sentenza depositata il 7 febbraio 2012 – che si allega – ha statuito l'illegittimità del licenziamento del dipendente e disposto la reintegra nel posto di lavoro;
   in data 14 marzo 2014 la Tributi Italia Spa ha risolto il rapporto di lavoro del dipendente nell'ambito di un procedimento di licenziamento collettivo;
   in data 14 novembre 2014 la Tributi Italia Spa ha effettuato la comunicazione (modello IG15) all'Inps della risoluzione del rapporto di lavoro a decorrere dal 14 marzo 2014 (licenziamento collettivo);
   nella comunicazione del 14 novembre 2014 la Tributi Italia S.p.a., ha erroneamente dichiarato quale data di inizio del rapporto di lavoro il 1o ottobre 2012 e ciò nonostante la sentenza della Corte di appello abbia accertato l'illegittimità del licenziamento del 13-18 settembre 2006 e disposto la reintegrazione nel posto di lavoro;
   l'errore commesso dalla Tributi Italia S.p.a. in A.S. impedisce al dipendente di accedere alla C.I.G.S. (cassa integrazione guadagni) con grave nocumento e pregiudizio economico per lo stesso;
   l'avvocato difensore del dipendente con email del 20 novembre 2014, indirizzata alla casella pec del commissario straordinario ha sollecitato lo stesso a provvedere alla rettifica del modello Unilav con apposita nuova comunicazione, rappresentando la grave situazione finanziaria dell'assistito;
   ad oggi nessuna risposta è pervenuta da parte del commissario –:
   se il Ministro intenda accertare quanto sopra esposto al fine di verificare responsabilità nella condotta sopra esposta;
   quale atto consequenziale intenda adottare nei confronti del commissario straordinario che dal 20 novembre 2014 non risponde alla pec. (5-04840)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2015 l'assemblea di Sace – posseduta al 100 per cento da Cassa depositi e prestiti – ha deciso l'erogazione di un dividendo di quasi 800 milioni di euro (798,9 per l'esattezza) al suo unico socio: la Cdp, appunto. Il capitale sociale di Sace viene di conseguenza ridotto da 4,3 a 3,5 miliardi di euro. Per mantenere i razionali patrimoniali, la società di assicurazione del credito emetterà un prestito obbligazionario straordinario che «dovrebbe essere» pari a circa 500 milioni di euro;
   il 20 gennaio il Consiglio dei ministri ha autorizzato Sace a costituirsi come banca e a esercitare dunque l'attività di credito diretto, previa autorizzazione della Banca d'Italia. La misura viene adottata «al fine di rafforzare l'attività di Sace a supporto dell’export e dell'internazionalizzazione dell'economia italiana», ma ad avviso dell'interrogante è invece evidente l'intento di utilizzare a leva il capitale della società a sostegno delle attività d'investimento di Cdp;
   le due decisioni segnano l'inizio del depauperamento di una società che dal 2004 ad oggi ha garantito prima al Tesoro, e poi alla Cdp, dividendi per oltre 8 miliardi di euro. Sace è una delle poche realtà italiane di sostegno alle imprese esportatrici, le quali hanno a loro volta garantito e garantiscono ancora la tenuta dell'economia nazionale negli anni bui della crisi;
   il 30 luglio 2014 Cdp aveva ceduto alla State Grid Corporation of China il 35 per cento di Cdp Reti; che a sua volta controlla Snam e Terna. Con quell'operazione la Cassa presieduta da Franco Bassanini ha incassato 2,1 miliardi di euro, cedendo però il controllo di fatto della rete gas e della rete elettrica nazionali a un operatore monopolista pubblico. La società cinese ha infatti due amministratori su 5 di Cdp Reti, uno su tre di Snam e Terna, e ha il diritto d'indicare le terne all'interno delle quali vanno scelti gli amministratori delle tre società;
   la costituzione come banca di Sace potrebbe essere funzionale al progetto di costituzione della «società delle reti» perseguito dal presidente di Cdp Bassanini in quanto molto sta cambiando nell'assetto societario del monopolista italiano della rete fissa Telecom Italia che alcuni vorrebbero controllata da Vincet Bolloré – con il sostegno di Mediobanca (di cui è secondo azionista al 7,5 per cento, con possibilità di salire all'8 per cento), Berlusconi e Generali, il cui primo azionista è appunto Mediobanca con ancora il 13 per cento. Bolloré sta per diventare uno dei più importanti azionisti di Telecom Italia a seguito dell'accordo con Telefonica;
   da fonti di stampa infatti confermate le voci sulla creazione di un veicolo societario (che verrebbe creato ad hoc). Una newco con un capitale di 800 milioni sottoscritti da Metroweb holding e Telecom Italia;
   la Camera dei deputati ha recentemente discusso ed in parte approvato le mozioni Paolo Nicolò Romano ed altri n. 1-00515, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00657 e Caparini ed altri n. 1-00658, Bergamini ed altri n. 1-00663, Quaranta ed altri n. 1-00664, Bruno Bossio ed altri n. 1-00678, Galgano ed altri n. 1-00681 e Rampelli ed altri n. 1-00682 concernenti iniziative volte alla separazione societaria della infrastruttura della rete di telecomunicazione e alla definizione del relativo modello di governance in virtù delle quali il Governo risulta impegnato, tra l'altro: «a promuovere la realizzazione di reti di accesso di nuova generazione aperte, efficienti, neutrali, economiche e pronte per evoluzioni future, garantendo il rispetto delle regole di libero mercato e concorrenza, anche attraverso azioni di coordinamento e di governance; a favorire e sostenere gli investimenti delle imprese di telecomunicazioni, degli investitori istituzionali, delle utility in un'infrastruttura di accesso di nuova generazione aperta, efficiente e pro competitiva, anche favorendo amministrativamente la posa di reti di comunicazione, assumendo iniziative per ridurre i tempi per il rilascio dei relativi permessi ed escludendo il pagamento di oneri o indennizzi, fermo restando il solo obbligo di ripristino dello stato dei luoghi»;
   il Governo risulta poi impegnato «a incrementare, in un'ottica di efficienza della governance, il catasto di ogni infrastruttura, del sotto e sopra suolo, funzionale alla realizzazione di reti di banda ultra larga, siano esse in titolarità di operatori di comunicazione elettronica o di organismi pubblici e di concessionari pubblici; a prevedere nelle cosiddette zone a fallimento di mercato e nelle quali non saranno previsti investimenti con fondi pubblici la possibilità i incentivare l'utilizzo di tecnologie alternative ai fini di ridurre il digital divide; a favorire la diffusione dell'utilizzo della rete e l'alfabetizzazione digitale anche attraverso una pianificazione dello switch-off dei servizi analogici della pubblica amministrazione verso servizi esclusivamente digitali, accompagnando cittadini e imprese nel processo di transizione con interventi coordinati di sviluppo delle competenze digitali in grado di stimolare anche la domanda di servizi e la capacità di integrarli nel cambiamento del Paese ed infine di realizzarli»;
   nei giorni scorsi Repubblica ha rivelato l'interesse di un non meglio precisato fondo cinese per Telecom Italia Sparkle, società che possiede 400 mila chilometri di cavi ad alta velocità che collegano l'Europa all'Asia ed alle Americhe. Attraverso i suoi cavi passa inoltre tutto il traffico voce e dati tra Medio Oriente e Nord Africa da una parte, Europa e Nord America dall'altra. L'ingresso dei cinesi significherebbe consegnare a Pechino le chiavi d'accesso ad informazioni d'interesse strategico per tutto il mondo occidentale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   se, anche alla luce degli impegni presi, le ipotesi riportate in premessa relativamente ai rapporti tra Metroweb e Telecom Italia trovino conferma se sia fondata l'ipotesi di un successivo scorporo della rete fissa e se la trasformazione in banca di Sace sia in qualche forma collegata a tale operazione. (5-04846)

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 del decreto-legge n. 145 del 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014 definiva nuove misure in materia di nuove imprese e di riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale e fondo di investimento nel capitale di rischio delle PMI;
   la normativa suddetta modifica le norme che regolano la concessione delle agevolazioni di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000 Titolo I;
   dal sito di «Invitalia» – l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa — alla sezione «Autoimprenditorialità» si legge che: «(...) per concedere le suddette agevolazioni, è necessario attendere l'emanazione del Regolamento di Attuazione, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, che indicherà anche le modalità di presentazione della domanda di ammissione alle agevolazioni. Con l'avvenuta emanazione del Regolamento, sarà pubblicata, sul portale di Invitalia, la modulistica per la presentazione della domanda.» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti su esposti;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle tempistiche di emanazione da parte del Ministero del regolamento di attuazione suddetto;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno procedere con maggiore celerità nell'emanazione del suddetto regolamento accelerando così la creazione di nuove società o l'ampliamento di società già esistenti attraverso le suddette agevolazioni previste dal decreto-legge n. 145 del 2013. (4-08120)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Segoni e altri n. 7-00514, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Baldassarre.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Scotto n. 5-03963, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pellegrino, Zaratti.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis e altri n. 5-04046 del 14 novembre 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08115.