Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 20 febbraio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 4 del Trattato di Osimo, stipulato nel 1975 fra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federative di Jugoslavia, prevedeva conclusione, al più presto possibile, di un accordo relativo a un indennizzo globale e forfettario che fosse equo ed accettabile dalle due Parti, riguardo i beni, diritti ed interessi delle persone fisiche e giuridiche italiane, situati nella parte del territorio indicata all'articolo 21 del Trattato di Pace con l'Italia del 10 febbraio 1947, compresa nelle frontiere della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, che sono stati oggetto di misure di nazionalizzazione o di esproprio o di altri provvedimenti restrittivi da parte delle autorità militari, civili o locali jugoslave, a partire dalla data dell'ingresso delle Forze armate jugoslave nel suddetto territorio;
    l'accordo di Roma del 1983 prevedeva per l'Italia un indennizzo da parte della Jugoslavia di 110 milioni di dollari ripartito su 13 rate annuali di eguale importo dal gennaio 1990 al gennaio 2002;
    la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia si è dissolta nel 1991, onorando quindi solo due rate dell'indennizzo stabilito dall'accordo di Roma; in seguito la Slovenia e la Croazia hanno deciso di subentrare alla Jugoslavia nel pagamento dell'indennizzo all'Italia e hanno depositato su un conto estero i restanti 90 milioni di dollari del debito da saldare;
    il Governo italiano ha deciso di riaprire il tavolo di coordinamento con le associazioni degli esuli sul nodo degli indennizzi previsti dall'accordo di Roma del 1983, specificando che la scelta dell'Italia di incassare tale importo non preclude in alcun modo la rinuncia all'equo indennizzo per i beni abbandonati, pericolo paventato dagli esuli non senza qualche fondamento;
    è necessario costituire un sistema aggiuntivo di solidarietà in considerazione dell'attuale momento di crisi e del fatto che, proprio chi in passato ha dovuto lasciare i propri averi, oggi può essere più penalizzato di altri nel trovarsi in una condizione economica profondamente critica,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, nel caso in cui il Governo decidesse di incassare i 90 milioni di dollari di cui in premessa, affinché questa somma sia vincolata all'istituzione di un fondo per finanziare forme di sostegno al reddito per i protagonisti dell'esodo che si trovino in determinate condizioni di difficoltà economiche, con pensioni minime o a ridosso della soglia di povertà, persone che persero tutto, furono private di ogni forma di risarcimento e che adesso, in età avanzata, subiscono le conseguenze di un mancato indennizzo.
(1-00740) «Sandra Savino, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni i Governi centrali che si sono succeduti, nell'operare tagli per contenere la spesa pubblica, hanno di fatto strangolato l'economia degli enti locali;
    in un momento di difficoltà come quello che ha vissuto il nostro Paese negli ultimi anni è giusto che ognuno faccia la sua parte, nessuno escluso; inoltre, tale operazione ha provocato – in un primo momento ed entro certi limiti – un virtuoso contenimento delle spese inutili ed un taglio degli sprechi purtroppo molto presenti nella spesa pubblica del nostro Paese;
    tuttavia negli anni, e segnatamente con l'ultima legge di stabilità per il 2015 del Governo Renzi, si è giunti ad un livello di insostenibilità tale da pregiudicare seriamente le ormai già esigue spese dei bilanci comunali destinate al welfare, con particolare riferimento al sostegno delle fasce sociali più deboli;
    è chiaramente molto facile e demagogico vantarsi di ridurre la pressione fiscale tagliando i trasferimenti agli enti territoriali;
    occorre considerare che il comune è percepito da larghe fasce della popolazione come l'ente più vicino ai cittadini e il sindaco rappresenta una figura di riferimento, in quanto rappresentante dello Stato. Il sindaco è, soprattutto, l'ultimo baluardo in difesa dei diritti dei più deboli;
   i servizi sociali, infatti, da sempre assorbono la maggior parte delle risorse di cui dispongono in comuni: minori senza famiglia, anziani, disabili, emergenza casa. Sono tutte realtà alle quali i comuni cercano di dare una risposta;
    l'ammontare dei tagli significa una riduzione dei servizi che si ripercuote inevitabilmente sui più deboli; in una prima fase, infatti, gli amministratori hanno tagliato ciò che era importante, ma non fondamentale per la tenuta sociale: cultura, commercio, sport, viabilità, turismo e così via (si fa un gran parlare di cultura e turismo, ma quasi nulle sono ormai le risorse che i comuni riescono a destinare ogni anno agli assessorati competenti);
    negli ultimi 5 anni i comuni hanno visto ridursi le proprie risorse disponibili per la spesa corrente di oltre il 20 per cento: l'emergenza ora riguarda i servizi sociali ed educativi. Ormai i comuni non sono in grado neppure di garantire i servizi primari;
    un ulteriore elemento di difficoltà per i comuni è l'incertezza nella quale vengono costretti a lavorare, dal momento che ogni anno viene cambiata la fiscalità locale e le informazioni definitive sulle risorse di cui i comuni potranno disporre arrivano sempre ad anno ampiamente iniziato. Ciò rende del tutto aleatorio, se non impossibile, strutturare una programmazione seria e pluriennale e chiudere il bilancio preventivo entro la data prevista dalla legge, ovvero il 31 dicembre;
    i sindaci si sono ritrovati soli e hanno provato a protestare come potevano, per cercare di far capire ai cittadini cosa stava accadendo, così come accaduto;
    solo per fare tre piccoli esempi, il comune di Isola Rizza, 3.300 abitanti in provincia di Verona, ha deciso di chiudere per tre giorni, in segno di protesta, le porte del municipio. Il sindaco vuole fare capire come la misura sia ormai colma;
    l'ANCI Sicilia ha organizzato una serie di dimostrazioni di protesta: il 29 gennaio 2015 oltre 390 comuni hanno spento le luci dalle 19 alle 19.05, mentre il 9 febbraio 2015, oltre 200 consigli comunali della regione siciliana hanno approvato – tutti nella medesima data – una risoluzione nella quale si chiedeva al Governo centrale di: costituire un tavolo permanente di concertazione tra Stato, regione siciliana e comuni dell'isola per affrontare la grave crisi finanziaria; modificare la norma che ha rivisto il regime di esenzioni dall'IMU terreni agricoli, con particolare riferimento all'imposta relativa al 2014; contenere i tagli a valere sul fondo di solidarietà nazionale; rendere più flessibili le regole relative al patto di stabilità anche al fine di favorire, laddove possibile, le spese per investimenti; prevedere misure che, anche in relazione all'attuazione dell'armonizzazione contabile dei bilanci, possano far fronte al crescente fenomeno di comuni che dichiarano il dissesto finanziario; rivedere la norma che ha previsto il definanziamento dei Fondi PAC;
    nella legge di stabilità per l'anno 2015 dei 16,6 miliardi di euro di tagli di spesa, ben il 49 per cento ovvero 8,1 miliardi sono a carico di comuni, province e regioni: si tratta di una quota decisamente superiore al peso che le amministrazioni locali hanno sul totale della spesa pubblica (29 per cento). Volendo fare un confronto, i tagli alle amministrazioni locali è pari al quadruplo di quanto tagliato ai Ministeri (2 miliardi nel 2015);
    il contributo maggiore è quello richiesto alle regioni (4 miliardi), laddove 1,2 miliardi è il taglio del fondo di solidarietà comunale e 1 miliardo (che salirà a 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi dal 2017) è il contributo richiesto alle province e città metropolitane; nella valutazione occorre considerare anche i tagli decisi dal 2015 con il decreto-legge n. 66 del 2014;
    gli enti locali in questa fase debbono anche far fronte all'avvio del fondo per i crediti di dubbia esigibilità, previsto dall'armonizzazione contabile, che equivale ad un taglio di spesa 1,9 miliardi annui a partire dal 2015 e rientra nel calcolo del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità;
    secondo quanto si legge a pagina VII della relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio 2013, depositata il 29 dicembre 2014, tali tagli «riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli Enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal Titolo V della Costituzione, rendendo necessaria l'adozione di strumenti idonei affinché i futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali (...) Senza un più deciso e convinto sostegno alle politiche redistributive e di intervento compensativo volte a rimuovere le cause strutturali dei divari regionali che si frappongono allo sviluppo ed all'integrazione economica delle aree più marginalizzate del Meridione, i problemi di ritardo nella infrastrutturazione territoriale non potranno che aggravarsi e gli ostacoli ad una maggiore crescita economica saranno più difficilmente contrastabili di fronte all'emergere di fattori di crisi prodotti dall'attuale fase recessiva e dalle inevitabili tensioni che ad essi si accompagnano»;
    e ancora, alle pagine 14 e 15 di detta relazione si legge: «Dal quadro delle misure complessivamente adottate, deve dunque ritenersi che il patto di stabilità interno abbia costituito, in questi anni, lo strumento principe non solo per realizzare le finalità di finanziamento del debito pubblico e di consolidamento dei conti pubblici, ma anche per attuare un percorso di progressivo ridimensionamento delle funzioni di spesa delle Autonomie territoriali e di quelle regionali in particolare. Attraverso l'imposizione di tetti di spesa e vincoli ai saldi di bilancio, il patto di stabilità interno ha realizzato, a valere sulle finanze degli enti territoriali, economie per complessivi 33,4 miliardi di euro, parte delle quali si sono tradotte in corrispondenti tagli ai trasferimenti statali, con relative economie di spesa e benefico impatto sul saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato. L'entità di tali misure di contenimento della finanza territoriale è rapportabile al complessivo effetto di contenimento della spesa realizzato dal 2009 a carico delle Amministrazioni centrali e degli Enti previdenziali messi insieme (pari a circa 35 miliardi di euro). Tuttavia, poiché la spesa primaria annua degli enti territoriali (esclusa la componente sanitaria) corrispondeva, nel 2009, a circa 112 miliardi di euro, a fronte di un'omologa spesa primaria di Amministrazioni centrali ed Enti previdenziali pari a circa 506 miliardi di euro, appare evidente la misura del sovradimensionamento del contributo della finanza territoriale al riequilibrio dei conti pubblici. In altri termini, lo sforzo di risanamento richiesto alle Amministrazioni territoriali con i vincoli disposti dal patto di stabilità interno risulta non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche»; ciò è confermato anche dallo studio IFEL-Fondazione ANCI dal titolo «La finanza comunale in sintesi» dell'ottobre 2014. Nell'introduzione a tale documento (pagine 5 e 6) si legge che «anche per effetto della persistente crisi finanziaria che attraversa il Paese ormai da qualche anno, i Comuni vivono una stagione di profondo malessere. Le difficoltà assumono certamente una dimensione finanziaria, con risorse sempre più scarse disponibili in bilancio, ma sono dovute anche ad un quadro normativo incerto, confuso e in definitiva restio nel valorizzare compiutamente l'autonomia degli Enti locali. Ne deriva una condizione di crescente difficoltà, sia sul piano programmatico che in fase gestionale, resa ancor più delicata dal ruolo di “gabelliere dello Stato” affidato negli ultimi anni dal Governo centrale a Comuni, di fatto obbligati ad aumentare in misura significativa le imposte locali senza però estere nelle condizioni di poter offrire maggiori servizi ed investimenti alle comunità di riferimento. (...) Esclusi alcuni fattori intervenuti sul piano contabile e la componente inflazionistica, infatti, negli ultimi anni il trend della spesa corrente comunale evidenzia una crescita pressoché nulla, accompagnata da una drastica contrazione degli investimenti, soprattutto a causa dei vincoli sempre più stringenti imposti dal Patto di Stabilità Interno»;
    tale situazione si rivela ogni giorno sempre più insostenibile per la tenuta del patto sociale che tiene insieme i cittadini italiani,

impegna Governo:

   ad assumere iniziative per ripristinare integralmente i trasferimenti tagliati con la legge di stabilità per l'anno 2015;
   a non effettuare e ulteriori riduzioni, negli anni futuri, fino a quando lo sforzo richiesto in termini percentuali agli enti locali non sia stato sostenuto anche dalle istituzioni centrali;
   a garantire in ogni caso, anche agli enti locali in dissesto, i trasferimenti necessari all'espletamento dei servizi sociali essenziali, come l'assistenza ai cittadini disabili;
   a garantire agli enti locali i tempi necessari per una programmazione seria, assumendo iniziative per definire norme certe sull'ammontare delle risorse di cui potranno disporre nell'anno seguente entro la fine del mese di ottobre 2015 in modo da permettere di approvare i bilanci previsionali entro il 31 dicembre di ogni anno;
   a non ridurre i trasferimenti a disposizione degli enti locali nell'esercizio in corso e a non assumere iniziative per la modifica delle norme sulla fiscalità locale.
(1-00741) «Luigi Di Maio, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore delle telecomunicazioni in Italia vive una situazione di grande difficoltà e rischia di essere smantellato a causa di una serie di fattori, tra i quali la delocalizzazione delle aziende, la contrazione dei ricavi, il ricorso alle gare al massimo ribasso e i cambi di appalto;
   il fatturato del settore è di circa 30 miliardi di euro, mentre i lavoratori impiegati sono circa 150 mila;
   nel 2013 del settore delle telecomunicazioni ha rappresentato il 2,2 per cento del prodotto interno lordo italiano, il 2,05 per cento della spesa delle famiglie e il 5,8 per cento degli investimenti complessivi. Nello stesso anno la perdita complessiva in termini di fatturato delle aziende che operano nel comparto delle telecomunicazioni è stato di 5,4 miliardi di euro rispetto al 2012, pari ad un calo del 9 per cento;
   in particolare, i comparti che compongono il settore della comunicazione hanno registrato una riduzione nel valore pari nelle telecomunicazioni a –11 per cento con un calo dei ricavi nella rete fissa del 7,43 per cento e nella rete mobile del 13,87 per cento;
   i dati del 2014 non sono ancora disponibili, ma le previsioni indicano una tendenza negativa che preoccupa gli analisti;
   a questa situazione fa eco un'immancabile flessione dell'occupazione nel settore: molti servizi delle telecomunicazioni, infatti, sono stati delocalizzati all'estero e hanno causato, come evidenziano numerosi rapporti, un alto numero di licenziamenti nel nostro Paese;
   altro effetto della delocalizzazione è la messa a rischio della sicurezza dei dati, poiché il loro trattamento all'estero impedisce l'applicazione della legge italiana in materia di protezione dei dati sensibili;
   la cessione dei servizi, se non addirittura del controllo, di aziende italiane che operano nel settore delle telecomunicazioni pone seri problemi di sicurezza nazionale: attraverso le reti passano infatti tutte le comunicazioni dei cittadini italiani e anche quelle più riservate;
   il cosiddetto «decreto sviluppo» prevede la tutela dei dati sensibili dei clienti e il Governo è impegnato affinché la sicurezza dei cittadini e degli utenti non venga pregiudicata da ristrutturazioni aziendali che potrebbero rendere vulnerabili le proprie reti e i propri dati;
   l'autorità garante per la protezione dei dati personali ha più volte raccomandato alle società telefoniche e internet provider di assicurare la massima protezione dei dati personali, dettando regole stringenti per impedire che le violazioni dei database possano comportare la perdita, distruzione o diffusione indebita di dati;
   l'Italia continua a perdere competitività nel computo delle telecomunicazioni: sulla banda larga, ad esempio, avanza a un ritmo inferiore a quello della media Unione europea;
   l'Italia è infatti ultima nell'Unione europea per quanto riguarda la diffusione di quella da 30Mps e della copertura delle reti d'accesso di nuova generazione: il loro progresso è più lento di quello del resto del continente europeo –:
   quali iniziative azioni intendano adottare per rilanciare il settore delle telecomunicazioni che rischia di essere smantellato a causa di una serie di fattori, tra i quali la delocalizzazione delle aziende, la contrazione dei ricavi, la mancanza di investimenti e la scarsa innovazione tecnologica;
   quali iniziative intendano assumere per frenare l'eccessiva delocalizzazione dei servizi delle telecomunicazioni che hanno determinato un vero e proprio collasso nel settore occupazionale, con molti lavoratori licenziati, in cassa integrazione o sotto contratto di solidarietà;
   quali iniziative urgenti, anche normative, intendano adottare per assicurare la protezione dei dati personali dei clienti italiani, trattati all'estero a seguito dei processi di ristrutturazione e delocalizzazione aziendale;
   se non ritengano opportuno promuovere nuove regole per impedire che le eventuali violazioni dei database all'estero possano comportare perdita, distruzione o diffusione indebita di dati;
   quali iniziative urgenti intendano adottare nel settore della banda larga, visto che l'Italia è ultima nell'Unione europea nella diffusione della banda da 30Mps e nella copertura delle reti d'accesso di nuova generazione. (5-04789)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il settore delle telecomunicazioni in Italia vive una situazione di grande difficoltà e rischia di essere smantellato, anche a causa della mancanza di competitività delle aziende che ha portato a una riduzione del traffico telefonico;
   sono oltre 1000 i lavoratori del settore che in Sardegna rischiano il posto;
   particolarmente grave è la situazione in cui si trova l'azienda Telecom Italia, che conta circa 10 mila occupati in tutto il territorio nazionale, circa un centinaio in Sardegna;
   Telecom perde ogni anno circa 1 miliardo di euro: le ricadute si riflettono sui minori investimenti e nella condizione dei lavoratori;
   la società ha previsto una razionalizzazione delle sedi territoriali del caring services servizi di assistenza alla clientela, con la chiusura di alcuni presidi e la costituzione di una nuova società;
   una società nuova che fa attività di caring deve produrre risultati economici che, al momento, non è in condizioni di garantire. La mancanza di garanzie sui risultati economici rischia di mettere in discussione il livello occupazionale oggi garantito da Telecom Italia –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare per impedire che la razionalizzazione da parte di Telecom delle sedi territoriali dei caring services, servizi di assistenza alla clientela, con la chiusura di alcuni presidi, produca effetti negativi sulle garanzie dei lavoratori;
   quali iniziative intendano assumere per impedire che il piano di delocalizzazione delle attività e dei servizi, dell'azienda Telecom, come molte altre che operano sul territorio nazionale, possa ripercuotersi negativamente su territori già gravemente colpiti dalla crisi economiche, con pesanti effetti sotto il profilo sociale e occupazionale. (5-04793)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto Noi Italia dell'Istat, sulla situazione nel 2013, il 23,4 per cento delle famiglie vive in una situazione di disagio economico, per un totale di 14,6 milioni di individui e che circa la metà, il 12,4 per cento dei nuclei, si trova in grave difficoltà;
   in Italia sono oltre 10 milioni le persone in condizioni di povertà relativa, che presentano una spesa per consumi inferiore alla soglia di riferimento. Si tratta del 16,6 per cento della popolazione;
   la povertà assoluta, che non consente di avere standard di vita accettabili, coinvolge invece il 7,9 per cento delle famiglie, per un totale di circa 6 milioni di cittadini;
   secondo l'Istat, nel nostro Paese lavorano meno di sei persone su dieci in età compresa tra i 20 e i 64 anni. Nel 2013, infatti, il tasso di occupazione per questa fascia d'età è calato, scendendo sotto quota 60 per cento si è fermato al 59,8 per cento;
   nella graduatoria europea, solamente Grecia, Croazia e Spagna presentano valori inferiori all'Italia per quanto riguarda l'occupazione;
   l'Istat ha lanciato un allarme anche per i giovani tra 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano, i cosiddetti Neet, che hanno raggiunto la cifra di due milioni e mezzo. Dati del 2013 alla mano, si tratta del 26 per cento degli under 30, più di 1 su 4. Nella Unione europea peggio fa solo la Grecia (28,9 per cento). L'Italia ne ha il triplo della Germania (8,7 per cento), e quasi il doppio della Francia (13,8 per cento);
   le statistiche si basano sull'indicatore di deprivazione, che scatta quando si presentano almeno tre sintomi (dopo i quattro si parla di seria deprivazione) su un set di nove. La lista del fattori di rischio va dal non poter sostenere spese impreviste, ad accumulare arretrati nei pagamenti (mutui, affitti, bollette);
   nel 2013 il 23,4 per cento delle famiglie residenti in Italia presenta almeno tre delle difficoltà considerate (il 12,4 per cento nel caso di quattro o più) con differenze marcate tra i diversi indicatori;
   nel  Mezzogiorno, le famiglie deprivate sono il 40,8 per cento di quelle residenti, contro il 15,4 per cento  del Nord-ovest, il 13,1 per cento del Nord-est e il 17,3 per cento del Centro. Le situazioni più gravi si registrano in Sicilia (50,2 per cento) Puglia (43 per cento), Calabria e Campania (38,8 per cento). I valori più bassi invece si ritrovano nella provincia autonoma di Trento (10,6 per cento), nel Veneto (12,1 per cento), in Piemonte (12,2 per cento), in Toscana (12,5 per cento) in Emilia-Romagna (14,1 per cento);
   il Governo ha avviato una serie di riforme che incidono positivamente sul mercato del lavoro e, in particolare, in quello giovanile e femminile;
   il Parlamento è impegnato nell'approvazione di importanti provvedimenti legislativi tesi a risolvere la preoccupante situazione economica in cui si trova una parte della popolazione che oggi è costretta a vivere in una condizione di povertà, spesso assoluta;
   ancora una volta, stando a quanto indicato dall'ultimo rapporto dell'Istat, si accentua il divario tra il Nord e il Sud del Paese –:
   quali ulteriori iniziative urgenti intendano adottare, per alleviare il disagio economico delle famiglie italiane, per un totale di quasi 15 milioni di individui che oggi si trova in grave difficoltà;
   quali iniziative intendano assumere per contrastare il disagio economico delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno, e in particolare in Sicilia, Puglia e Calabria dove il livello di povertà e di disoccupazione ha raggiunto livelli oramai insopportabili. (4-08058)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo del 2012 l'Italia ha sospeso l'attività della propria ambasciata a Damasco e rimpatriato lo staff della sede diplomatica nella capitale della Repubblica araba siriana;
   a maggio 2012 l'ambasciatore della Repubblica araba siriana a Roma, Khaddour Hasan, è stato convocato alla Farnesina e dichiarato «persona non gradita». A tale dichiarazione nel febbraio 2013 è seguita la chiusura della rappresentanza diplomatica della Siria in Italia;
   da allora le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono state interrotte, mentre prosegue incessante l'azione diplomatica delle Nazioni Unite tesa a trovare una soluzione pacifica e politica a un conflitto che dal 2011 ha provocato centinaia di migliaia tra morti e feriti e milioni di profughi, che vivono in condizioni di estremo disagio e povertà;
   il pericolo rappresentato dal terrorismo di matrice islamica, a partire dall'ISIS, ha imposto alla comunità internazionale di mutare atteggiamento nei confronti del Governo siriano;
   l'inviato delle Nazioni Unite per la pace in Siria, Staffan de Mistura, ha affermato che «qualsiasi soluzione della crisi siriana deve coinvolgere il presidente Bashar al-Assad»;
   il diplomatico dell'Onu ha affermato che continuerà ad avere «colloqui molto importanti con lui» e che «la soluzione» della crisi siriana «può solo essere politica»;
   l'inviato delle Nazioni Unite per la pace in Siria ha riconosciuto la disponibilità del Governo siriano nella ricerca di una soluzione pacifica, tanto da affermare che «se non verrà trovata una soluzione» alla crisi «l'unico che ne trarrà vantaggio è lo Stato Islamico»;
   il gruppo jihadista è stato definito dal diplomatico come un «mostro che sta aspettando di ottenere vantaggi da questo conflitto»;
   l'Italia può svolgere un importante ruolo diplomatico nella soluzione della crisi, anche perché tutte le parti in conflitto (Governo siriano e opposizioni moderate e non armate), riconoscono al nostro Paese grande capacità di mediazione, in virtù di antichi rapporti di amicizia che rendono la diplomazia italiana la più adatta a risolvere controversie nell'area Mediterranea e, in particolare, in Medio Oriente;
   l'avanzare dello Stato Islamica (e dei gruppi armati jihadista) in Siria, in Iraq e in Paesi come la Libia, a poche centinaia di miglia dal nostro Paese, richiama l'Italia e l'Europa a un deciso cambio di rotta nella lotta al terrorismo internazionale (come ampiamente argomentato anche dal Ministro interrogato in occasione della informativa resa alla Camera qualche giorno fa), eventualmente, anche rivedendo le posizioni, come ha fatto l'ONU, nei confronti di quei Governi che hanno dimostrato di combattere contro organizzazioni che sono una minaccia, come hanno dimostrato gli attacchi in Belgio, Francia e Danimarca, per la sicurezza dell'Europa e la convivenza civile tra i popoli –:
   se non ritengano, alla luce delle recenti dichiarazioni dell'inviato delle Nazioni Unite per la pace in Siria, Staffan de Mistura, considerare la possibilità di riaprire l'ambasciata italiana a Damasco;
   se non ritengano, visto il ruolo che l'Italia ha sempre svolto in Medio Oriente, e in particolare in Siria, di inviare una rappresentanza diplomatica italiana nella capitale della Repubblica araba siriana con lo scopo di verificare le condizioni per un accordo tra le parti e trovare una soluzione pacifica a una crisi che si protrae dal 2011;
   quali iniziative intendano adottare per sostenere l'azione diplomatica dell'inviato delle Nazioni Unite per la pace in Siria, Staffan de Mistura, secondo il quale «qualsiasi soluzione della crisi siriana deve coinvolgere il presidente Bashar al-Assad», visto che il nemico da sconfiggere è lo Stato Islamico, oramai alle porte dell'Italia. (4-08061)


   PAGANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   tutti gli editori senza fini di lucro (associazioni in generale, culturali, sociali, rappresentative di interessi e studi di nicchia, territoriali, sindacali, di categoria, politiche), che hanno goduto delle agevolazioni tariffarie postali eliminate dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 30 marzo 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 2010, si sono visti recapitare da parte di Poste italiane spa lettere in cui si richiedevano i conguagli tra le tariffe ROC e quelle di cui al regime libero dal 22 maggio 2010;
   se le suddette associazioni editrici fossero state al corrente di essere escluse dalle agevolazioni e che le tariffe applicate per la spedizione dei periodici sarebbero aumentate in maniera così considerevole, probabilmente non avrebbero effettuato le spedizioni, non potendo il bilancio delle stesse fronteggiare aumenti di spese non previste;
   nel protocollo «d'intesa sugli interventi a sostegno dell'editoria» del 6 agosto 2013, firmato dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri insieme agli editori, si prospettava l'impegno del Governo «a favorire, per il prossimo triennio, la prosecuzione dell'attuale regime tariffario concordato con Poste Italiane nella misura stabilita dal vigente decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, anche contemplando ulteriori alleggerimenti delle tariffe per le imprese editoriali minori e no profit» –:
   se sia intenzione del Governo convocare un tavolo di trattativa con Poste Italiane per concordare specifiche tariffe per questo settore e far sì che a Poste Italiane non richieda i pretesi conguagli e sospenda ogni iniziativa modificativa delle tariffe, fino alla definizione della questione affinché si arrivi ad una regolamentazione definitiva delle tariffe, senza discriminazione alcuna, e tale da non colpire un comparto già in grandi difficoltà economiche, salvaguardando non solo il pluralismo informativo, ma anche l'occupazione che produce. (4-08067)


   NUTI, CECCONI, COZZOLINO, D'AMBROSIO, DADONE, DIENI, FRACCARO e TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 16 febbraio 2015 sul blog «Info data» de «ilsole24ore.com» è stato pubblicato un post relativo ai siti web governativi creati a partire dal 2002 ad oggi;
   l'articolo contiene un elenco che non pretende di essere esaustivo ma «vuole essere una selezione rappresentativa, che restituisce la fotografia della presenza online delle istituzioni governative dal 2002 a oggi», e non include, ad esempio, siti web tematici «associati a campagne di comunicazione oppure altri enti»;
   in questa lista rappresentativa vi sono più di 240 siti web governativi, in gran parte riconducibili alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai suoi dipartimenti, di cui 64, pari a più di un quarto del totale, risultano essere inattivi, mentre tra quelli funzionanti alcuni vengono aggiornati solo sporadicamente;
   buona parte di questi siti risultano essere tra loro dai contenuti, e dal nome, molto simili, creati troppo spesso per finalità comunicative e propagandistiche; ad esempio: sono stati creati appositamente circa una decina di siti web al fine di comunicare lo stato di avanzamento delle riforme annunciate dai vari Governi; oppure ancora il sito dedicato alla raccolta delle segnalazioni da parte dei cittadini è stato sostituito poco dopo la sua creazione da uno nuovo che risulta essere ancora in fase di aggiornamento;
   recentemente, un sito web governativo creato appositamente per l'evento EXPO 2015, verybello.it, ha destato non poco scalpore, per i numerosi errori tecnici, i vistosi errori di traduzione, le violazioni del diritto d'autore;
   in precedenza, un altro sito web, inizialmente ideato nel 2004 dal III Governo Berlusconi e realizzato dal Governo Prodi per promuovere il turismo nel nostro Paese, Italia.it, è stato tristemente famoso per gli spropositati finanziamenti pubblici utilizzati nel corso degli anni, ammontanti a svariate decine di milioni di euro, e il contestuale malfunzionamento del sito medesimo;
   all'Agenzia per l'Italia digitale spetta il compito di accreditare le amministrazioni pubbliche per il rilascio dei siti web registrati con il dominio «gov.it», nel rispetto di stringenti requisiti di accessibilità, previsti dalla legge 9 gennaio 2004, n. 4, in materia di accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici e, più in generale, dal decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 20 marzo 2013;
   spetta all'Autorità nazionale anti-corruzione il compito di vigilare sul rispetto delle norme relative alla trasparenza dei siti web, norme che non sempre vengono rispettate e che comporterebbero sanzioni da 500 euro a 10 mila euro;
   secondo l'interrogante, è assolutamente imperativo che, in un periodo di forte crisi economica e finanziaria, vengano evitate spese inutili, come la duplicazione di siti web governativi, che necessitano, oltre che di rilevanti investimenti iniziali, anche di continui aggiornamenti, di monitoraggio e di un adeguato numero di personale preposto a tali funzioni –:
   se si intenda procedere alla riduzione dei siti web governativi, in particolare dismettendo i siti attualmente inutilizzati e quelli aventi tra loro contenuti identici o similari;
   a quanto ammontino attualmente i siti web che fanno capo al Governo;
   se disponga di dati sull'ammontare dei fondi pubblici impiegati per la creazione dei web dal 2002 ad oggi e quanti fondi siano stati destinati per coprire le spese legate alla loro gestione;
   se, in futuro, non si intendano utilizzare siti web già esistenti per promuovere un tipo di contenuti ivi già presenti. (4-08070)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ospedale di Praia a Mare (Cosenza) era punto di riferimento di oltre 15 comuni per un bacino di utenza di circa 60 mila abitanti;
   il DPGR n. 34 del 6 maggio 2011 prima e, definitivamente, il DPGR n. 90 del 18 giugno 2012 prevedeva la riconversione della struttura di Praia a Mare in centro di assistenza territoriale primaria e la conseguente «disattivazione presidio ospedaliero di Praia a Mare dell'ASP di Cosenza»;
   con l'atto deliberativo n. 826 del 28 Marzo 2012, rettificato parzialmente con atto n. 1064 del 16 aprile 2012, il direttore generale dell'ASP di Cosenza ha deliberato di riconvertire il presidio ospedaliero di Praia a Mare in C.A.P.T. con attivazione al suo interno della casa della salute a far data dal primo aprile 2012;
   da allora il centro di assistenza territoriale primaria è stato oggetto di discussioni, tanto che nell'ottobre 2013 il Comitato Civico a difesa del locale ospedale ha lanciato un appello affinché l'associazione umanitaria «Emergency» aprisse una struttura nel territorio praiese;
   come si legge su Repubblica.it, «iniziata nel 2010, la dismissione di ogni attività ospedaliera a Praia a Mare ha determinato anche lo smantellamento del pronto soccorso, ridotto a Punto di Primo Intervento privo del personale e delle attrezzature per l'urgenza. Niente rianimazione, niente defribillatore, nessun anestesista. L'ospedale calabrese più vicino oggi è a Cetraro, che dista 53 chilometri, tempo di percorrenza un'ora. Poi c’è quello di Paola a 71 chilometri, tempo di percorrenza un'ora e un quarto. Con l'aggravante di un'unica arteria di collegamento tristemente famosa: la statale 18, da sempre dissestata, trafficata, pericolosa. Risultato: una serie di morti che forse un intervento tempestivo avrebbe potuto evitare e una comunità condannata a convivere col pericolo e con la paura»;
   a ottobre 2012 una ragazza di 24 anni di Acquappesa (Cosenza) rimasta ferita in un incidente stradale morì a Cosenza dopo sei giorni di coma, dopo essere stata trasferita prima a Cetraro dopo l'incidente, poi a Paola, infine nel capoluogo di provincia a distanza di cinque ore. Un mese prima a morire fu un imprenditore 59 enne di Praia a Mare, punto da un insetto e colto da shock anafilattico: in assenza di strutture ospedaliere in loco, i familiari furono costretti a caricarlo in auto e dirigersi verso Lagonegro, trenta chilometri di curve in salita in territorio lucano, dove giunse senza vita. Tra giugno e luglio dello stesso anno, ancora, due sessantenni di Tortora vennero colpiti da infarto ed entrambi morirono prima di poter arrivare all'ospedale di Cetraro;
   non è un caso allora che a dicembre 2013 il dottor Mimmo Risica, referente della Medical Division di «Emergency» con Daniela Porcu, responsabile amministrativa del Programma Italia dell'organizzazione, effettuò un sopralluogo a Praia a Mare in seguito al quale affermò: «L'emergenza è reale. Quel territorio è devastato. Stiamo ragionando su un possibile intervento, credo che entro la prossima settimana completeremo la nostra analisi e chiederemo un incontro per discuterne con l'Azienda Provinciale di Cosenza»;
   a distanza di anni la situazione non è cambiata, tanto che si sono succeduti diversi cortei di protesta e manifestazioni sostenute dall'associazione Sos Praia finalizzate appunto alla riapertura della struttura ospedaliera;
   secondo infatti quanto denunciato dalla presidente dell'associazione Francesca Lagatta in un'intervista rilasciata al giornale online «Fanpage.it», sarebbe proprio tale riconversione la causa di tali disservizi e casi di malasanità: «Quando l'ospedale venne chiuso e riconvertito — ha dichiarato la giornalista Lagatta — tutte le attrezzature che non sarebbero più servite, furono chiaramente trasportate negli altri ospedali, per lo più al Iannelli di Cetraro. Ma questo pare essere il problema minore. Il direttore dello spoke Cetraro-Paola, il dott. Vincenzo Cesareo, garantì che il giorno in cui le attrezzature fossero dovute tornare indietro, non sarebbero sorti problemi. La popolazione, ma non tutta per fortuna, è informata poco e male, per cui a volte esprime giudizi fuori luogo e concetti decisamente astratti. Molti non sanno ancora cos’è una casa della salute, cosa dovrebbe essere e cosa invece è, quello che dovrebbero pretendere dal presidio attuale e quello a cui dovrebbero appellarsi. Non sanno neppure come e quali patologie è possibile curare nella struttura. Ad esempio, ancora molta gente arriva nel capt di Praia a Mare con la pretesa di essere assistita quando vi giunge in condizioni di emergenza/urgenza. Una casa della salute ha l'obbligo di stabilizzare la salute di un paziente, di diagnosticare la patologia e la sua gravità, e soprattutto di indirizzare il paziente nella struttura adeguata. Pertanto un infarto, un'emorragia cerebrale, un ictus, tanto per fare degli esempi, non possono essere trattati all'interno dell'ex nosocomio, nella quale mancano sia il reparto chirurgia che quello di medicina. Questo stato di cose può risultare fatale, in virtù dei tempi troppo lunghi che occorrono per intervenire chirurgicamente su un codice rosso»;
   secondo quanto denunciato ancora da Lagatta in un articolo pubblicato sul blog «Alganews», dopo un esposto da lei stessa presentata a causa di un mammografo malfunzionante, «si mobilitarono le forze dell'ordine, i medici, i dirigenti, scoppiò una bufera, grazie alla quale qualcuno decise di fare un controllo generale. Quello che ne uscì fuori aveva dell'incredibile. Il mammografo, usato a intermittenza, emanava radiazioni oltre il limite consentito. La tac, che non funzionava dal mese di maggio, cioè da cinque mesi e mezzo, non era stata sostituita nonostante le segnalazioni del personale sanitario. La risonanza magnetica di ultimissima generazione, che secondo i documenti doveva essere stata messa già in funzione, nella realtà non c'era. Si scoprì che il medico radiologo, unico e solo per l'intero reparto, non veniva sostituito quando questi si assentava, e che ciò creava ritardi e disagi nelle prenotazioni e nell'espletamento degli esami ecografici»;
   anomalie si riscontrano anche per la prenotazione degli esami. Sempre secondo quanto denunciato da Francesca Lagatta in un articolo sul giornale online «Notia.it» del 17 febbraio 2015, «né mammografie, né tac. Presso la Casa della Salute di Praia a Mare la prenotazione di questi esami non può avvenire tramite cup, ma direttamente nel reparto di radiologia. Niente di strano se non fosse che l'articolo 21 del regolamento vigente per il Cup cosentino imporrebbe che tale procedura venga attuata «solo ed esclusivamente in caso di mancato funzionamento del sistema informatico». E invece, pur avendo i sistemi informatici perfettamente funzionanti si continua, nonostante le ripetute segnalazioni ai responsabili, ad escludere il servizio dal centro unico di prenotazione, attivo, invece, per tutte le altre prestazioni sanitarie»;
   il 20 maggio 2014 il Consiglio di Stato sezione terza, con sentenza n. 2576, «nel merito accoglie l'appello nei sensi e limiti di cui in motivazione e per l'effetto, ai fini di una nova determinazione, annulla in parte qua il Decreto commissario SSR Calabria n. 18/2010, quanto alla trasformazione del P.O. di Praia a mare in ospedale distrettuale/CAPT, con il conseguente travolgimento delle ulteriori successive determinazioni legate da vincolo di presupposizione»;
   nelle motivazioni della decisione si sottolineava «con riguardo alle Urgenze va rilevato che il Piano di riordino della Rete di Emergenza-Urgenza, pur riconvertendo il Presidio di Praia in Ospedale distrettuale, tuttavia, in corrispondenza al numero degli accessi, ha ritenuto necessario collocarvi un PPI (Punto di Primo Intervento, nda) operativo h. 24/24, non ritenendo sufficiente una postazione con operatività ridotta ad h. 12/24. Inoltre, quanto a distanze ed a tempi di percorrenza, al punto 2 della nota inviata dal Commissario SSR, il Collegio rileva che dei 15 Comuni inseriti nell'ambito territoriale dell'ex P.O. di Praia (nelle more del giudizio definito CAPT, Centro di Assistenza Primaria Territoriale) almeno 6 sono indicati ad una distanza dallo Spoke di Cetraro che va dai chilometri 49,2 a chilometri 64,3, mentre altri due Comuni sono comunque a distanza superiore a chilometri 40. Infine, al punto 3, il Commissario rappresenta che «Il Piano di riordino della rete emergenza urgenza non prevede le località nelle quali debbano essere collocate le superfici per l'elisoccorso. Le stesse dovranno, quindi, essere definite con atti di programmazione secondaria. Per quanto riguarda comunque il CAPT di Praia a mare i soccorsi urgenti vengono comunque assicurati da mezzi dell'elisoccorso, che atterrano su superfici di emergenza, come accade, peraltro, anche per altri ospedali della Calabria»;
   da quanto riassunto, dunque, risulta evidente che «il PPI di Praia rappresenta il punto di riferimento non solo delle aree di fascia costiera, ma anche di quelle montane del Tirreno cosentino»;
   il Consiglio di Stato, nella suddetta sentenza cita a mo’ di esempio chiarificatore il caso di Tortona, il cui centro storico «è alla sommità di una collina di mt. 300 l.m., mentre l'abitato è costituito da 19 frazioni montane collegate da strade di montagna tortuose e strette, senza barriere di protezione, percorribili ad una velocità non superiore ai 30 chilometri orari; conseguentemente l'ufficio tecnico di Tortora precisa che, partendo da una frazione montana, sono necessari certamente più di 60 minuti per raggiungere Cetraro, atteso che la velocità del collegamento è ostacolata d'inverno dalla neve presente sui rilievi e d'estate dal caotico traffico che si riversa sulla strada statale, sulla quale (in prossimità di una riviera molto frequentata nella stagione balneare ed a causa di incroci, di centri abitati e della unica corsia di marcia) la velocità media di necessità è molto ridotta»;
   analoga situazione viene illustrata anche per i comuni di Aieta, Papasidero ed Orsomarso, per i quali i rispettivi uffici tecnici indicano in 120, 70 ed oltre 60 minuti il tempo di percorrenza necessario per coprire la distanza dal capoluogo all'ospedale di Cetraro sempre in considerazione della situazione geografica e delle condizioni difficili della viabilità;
   pertanto allo stato degli atti «i tempi medi di percorrenza tra le suddette località e lo Spoke di Cetraro vanno stimati, verosimilmente, in una misura che va oltre i 60 minuti, con la conseguenza che in tal guisa non viene garantito il rispetto né dei LEA stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 novembre 2001 né dei criteri generali organizzativi esposti nello stesso piano di riordino della rete emergenza/urgenza, visto che la rete di emergenza prevede uno Spoke in ogni ambito territoriale corrispondente ad un bacino di utenza di almeno 150.000 abitanti «o inferiore qualora il tempo di accesso da un ospedale alla più vicina sede di Spoke superi i 60 minuti»;
   con deliberazione n. 99 del 24 settembre 2014 il comune di Praia a Mare ha autorizzato il sindaco Antonio Praticò «ad agire per ottenere l'esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato (Sez. Terza) n. 2576/2014»;
   ad oggi, secondo quanto risulta all'interrogante, nulla è stato fatto per dar seguito a quanto disposto dalla summenzionata sentenza –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro da disavanzi sanitari regionali, per la soluzione delle criticità di cui in premessa e la salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza, anche alla luce della summenzionata sentenza del Consiglio di Stato (sezione Terza) n. 2576 del 2014. (4-08074)


   GHIZZONI, PATRIARCA e BARUFFI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la nota telefonata – che da giorni agita il calcio italiano – tra il consigliere federale Claudio Lotito e il direttore generale dell'Ischia Isola verde, Pino Iodice, è un'altra triste pagina del settore sportivo e calcistico;
   stando alle ricostruzioni dei giornali, ad avviso degli interroganti non possono che considerarsi inaccettabili le espressioni di superiorità e di assoluto disprezzo utilizzate dal consigliere federale Lotito nei confronti delle formazioni di serie B, come ad esempio la squadra di Carpi;
   il Carpi Fc, alla stregua di tantissime altre formazioni oggi in seria A, ha lavorato e lavora con serietà e sana competizione, regalando ai sue tifosi la vittoria di ben quattro campionati;
   le affermazioni del consigliere Lotito, proprio per il ruolo che lo stesso ricopre, ad avviso degli interroganti, non possono essere semplicemente derubricate al folklore che circonda il mondo del calcio, ma costituiscono il pericoloso indice di una concezione della governance di tale settore che rischia di tradire i valori di fondo dello sport; lo sport non può essere ridotto a solo business e i suoi massimi dirigenti devono essere innanzitutto garanti dei valori che lo sport veicola, soprattutto nei confronti dei giovani che a questa disciplina si avvicinano con fiducia e passione;
   dagli organi di stampa si apprende la volontà del Governo di un immediato intervento sul Coni e sulla Figc, attraverso un piano che sarà delineato più chiaramente nella prossima settimana –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere in modo da garantire, insieme agli organi di garanzia del mondo del calcio nazionale, la massima trasparenza nella gestione delle federazioni ed in particolare della FIGC.
(4-08075)


   FRANCO BORDO, SCOTTO, RICCIATTI e FERRARA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   durante l'esame del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative presso le Commissioni riunite I (Affari Costituzionali) e V (Bilancio) ha fatto molto discutere sulla stampa nazionale l'intenzione del Governo di riformulare un emendamento presentato in materia di frequenze televisive che avrebbe comportato, di fatto, il ritorno dei canoni sui livelli del 2013 e il passaggio delle competenze sui canoni dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) al Ministero dello sviluppo economico;
   tale riformulazione, che avrebbe comportato la perdita di un considerevole risparmio per RAI e Mediaset pari rispettivamente a 23 milioni di euro per la RAI e 17 milioni di euro per MEDIASET, per quanto risulta, si è lavorato fino all'ultimo non è stata più proposta;
   tale precedente dovrebbe indurre il Governo ad adoperarsi con sollecitudine per rendere immediatamente trasparenti e controllabili i rapporti che intercorrono tra le autorità amministrative indipendenti e i soggetti vigilati, al netto della vicenda legata esclusivamente al cosiddetto «Maxisconto RAI e MEDIASET» perché recenti episodi di cronaca hanno imposto all'attenzione generale i limiti e le storture delle autorità di vigilanza, mettendone conseguentemente in discussione l'effettiva terzietà ed indipendenza dell'operato –:
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare per modificare le normative istitutive delle autorità indipendenti per migliorarne la governance e assicurare il più possibile l'aderenza tra azione e fini istituzionali, rendendo maggiormente trasparenti e controllabili i rapporti che intercorrono tra le autorità amministrative indipendenti e i soggetti vigilati. (4-08076)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CASATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento al lavori di riqualificazione per la trasformazione della strada provinciale 46 Rho-Monza in autostrada;
   il decreto ministeriale n. 2 del 7 gennaio 2014 emesso dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si rilasciava parere favorevole alla valutazione di impatto ambientale per la realizzazione dell'opera; detto decreto Poneva una serie di condizioni da rispettare;
   in primo luogo, il decreto prevedeva la costituzione di uno specifico osservatorio ambientale;
   in secondo luogo, il decreto prevedeva il posizionamento di teli anti polvere sui mezzi di trasporto di materiali;
   in terzo luogo, si stabiliva il posizionamento di pannellature opache e schermature acustiche in prossimità di aree abitate;
   in quarto luogo, il ponte sul torrente Seveso necessario per il collegamento del cantiere doveva essere previsto secondo le condizioni poste dal decreto ministeriale n. 2 e, cioè, tutte le opere viarie in fregio ai corsi d'acqua dovevano rispettare il vincolo di inedificabilità di 10 metri dal ciglio superiore del corso d'acqua misurato dal piede del rilevato stradale;
   in quinto luogo, era prevista la redazione di un cronoprogramma dei lavori definitivo;
   infine dal decreto ministeriale n. 274 del 17 novembre 2014 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al capitolo mitigazioni ambientali è previsto l'utilizzo di sistemi anti polvere, impianti di nebulizzazione e lavaggio pneumatici;
   tali condizioni, a giudizio dell'interrogante, non risultano pienamente rispettate –:
   se sia stato costituito l'osservatorio ambientate previsto, in caso affermativo, quali relazioni abbia prodotto;
   se siano state effettuate verifiche rispetto ai punti sollevati in premessa che richiamano i decreti ministeriali n. 2 del 7 gennaio 2014 e n. 274 del 17 novembre 2014. (5-04787)


   ARLOTTI, CAPONE, MARIANI, LATTUCA, ANTEZZA, TERROSI, CARRESCIA, PREZIOSI, SCHIRÒ, MARCO DI MAIO, VENITTELLI, LODOLINI, PAGANI, GIACOBBE, MORANI, AMATO, BASSO, MONTRONI, MORETTO, BORGHI, CARLONI, D'INCECCO, SGAMBATO, COVA, ROMANINI, LACQUANITI, GHIZZONI, PRINA, GADDA, VAZIO, MANZI, BERGONZI, MAESTRI, CRIVELLARI, SANI, DALLAI, MARCHETTI e GIOVANNA SANNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i fenomeni di erosione interessano sempre più le zone marino costiere italiane, spesso favoriti da fattori antropici;
   secondo l'annuario ISPRA il 35,8 per cento del territorio nazionale compreso nella fascia dei 300 metri dalla riva risulta urbanizzato, per un valore complessivo di 731 chilometri quadrati su 670 comuni;
   l'erosione dei litorali interessa quasi la metà del Paese: su circa 8.300 chilometri di fascia costiera il 42 per cento, cioè poco meno della metà, è soggetto è soggetto a fenomeni di erosione e 2400 chilometri di costa italiana mostrano gli effetti di una significativa erosione;
   ogni anno si perdono 75 mila metri quadrati di spiagge e in pericolo è soprattutto il versante Adriatico: nella sola Emilia Romagna è a rischio il 24 per cento delle spiagge;
   poiché una superficie di spiaggia di 10 ettari, grazie alle attività del settore balneare, produce in un anno in media un valore di 3 milioni di euro, si può comprendere la portata delle ricadute economiche che possono avere i fenomeni erosivi;
   l'ondata di maltempo che ha investito l'Emilia-Romagna e le Marche nei giorni scorsi ha provocato seri danni all'ambiente, con eventi atmosferici e forti mareggiate che hanno colpito in particolare i comuni costieri della regione e l'arenile;
   la Carta di Livorno «Marine Strategy e Blue Growth», documento di indirizzo per una strategia del mare in grado di coniugare tutela ambientale e crescita economica e per rendere più forte l'Italia nei consessi internazionali sul tema marittimo, elaborata il mese di novembre 2014 al termine della due giorni di lavori organizzata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'ambito delle iniziative del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, raccoglie i quattro pilastri su cui deve fondarsi la nuova concezione del mare come fattore di sviluppo e di cresciuta: una governance unitaria a livello nazionale, la connessione tra la terra e il mare, l'armonizzazione dei controlli in mare e lungo le coste e l'implementazione di iniziative di comunicazione di tutti gli attori coinvolti;
   nel mese di gennaio 2015 il Ministro stesso ha incontrato le regioni costiere e l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) condividendo la necessità di sviluppare contro il fenomeno dell'erosione costiera interventi mirati ed eco-sostenibili, evitando inutili soluzioni tampone e di carattere sporadico –:
   quali iniziative, anche a seguito degli incontri sopra citati, il Ministro abbia avviato per contrastare l'erosione delle coste;
   a che punto sia l'istituzione del tavolo nazionale per coadiuvare a livello nazionale gli interventi locali per contrastare il fenomeno dell'erosione delle coste, così come dall'ipotesi emersa dall'incontro di gennaio 2015;
   se sia stata avviata una ricognizione mirata sulla situazione delle coste italiane, dei progetti in corso, delle norme e delle conoscenze tecniche e scientifiche esistenti;
   se non ritenga opportuno valutare una proposta comune per accedere ai fondi strutturali messi a disposizione dall'Unione europea e mettere in campo interventi eco-sostenibili prolungati e specifici. (5-04792)


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 febbraio 2015 le testate Il Corriere Adriatico, Il Resto del Carlino ed Il Messaggero, riportano – nelle edizioni di Pesaro e Urbino – la notizia della scoperta, da parte del comando carabinieri tutela per l'ambiente di Ancona, di oltre 40 tonnellate di eternit interrate illecitamente ad Apecchio (PU), insieme a rifiuti inerti da demolizione;
   a quanto si apprende dalle fonti di stampa, la vicenda risale al 2012, anno in cui la provincia di Pesaro e Urbino fu colpita da intense nevicate che causarono danni significativi. Tra questi il crollo di circa 400 tetti di fabbriche localizzate nell'entroterra della provincia, le cui coperture erano costituite in gran parte da eternit;
   a causa del mancato accordo sulla realizzazione di una area condivisa e dedicata alla bonifica e stoccaggio dell'eternit, all'interno della discarica situata nel comune di Tavullia, le aziende colpite organizzarono lo smaltimento autonomamente;
   nel caso di specie l'attività investigativa dei carabinieri del Noe ha portato alla scoperta di una quantità di amianto stimata tra le 40 e le 80 tonnellate, interrate nel parcheggio dell'azienda di imbottigliamento di acque minerali «Val di Meti», accusata – insieme all'azienda confinante «Elle Srl» – di essere responsabile, con la complicità di funzionari pubblici, dell'interramento illecito di quei materiali;
   il materiale suddetto è stato interrato in una buca di 327 metri quadrati, rivestita in cemento, ad una profondità di un metro e 97 centimetri e a soli 5 metri di distanza dal torrente Biscubio;
   secondo gli inquirenti l'interramento illecito dell'amianto sarebbe costato alle due società circa 20 mila euro, a fronte dei 500 mila necessari per la bonifica;
   ancora il 14 febbraio 2015 la testata Il Resto del Carlino riporta il caso di una analoga scoperta di eternit interrato in un piazzale – in località Monte Petrano, sempre nel pesarese – sede di una colonia di proprietà della Curia;
   anche in questo caso, che risale al 1992, l'eternit è quello del tetto della struttura, dal peso di decine di tonnellate, che fu smontato ed interrato nel piazzale antistante, usato per giocare dai ragazzi ospiti della colonia;
   dopo 23 anni – come riporta la testata citata – l'amianto è riaffiorato in superficie al punto da essere visibile ad occhio nudo;
   è in corso un contenzioso innanzi al Tar della Regione Marche per stabilire chi, tra Curia e Comune di Cagli (PU), debba bonificare l'area interessata dall'interramento di eternit;
   nella nevicata che ha colpito la provincia di Pesaro e Urbino nel 2012, come detto, sono crollati circa 400 tetti di capannoni e strutture industriali prevalentemente in eternit –:
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere una verifica, per quanto di competenza, per individuare eventuali ulteriori situazioni analoghe a quella descritta nella provincia suddetta. (5-04799)

Interrogazione a risposta scritta:


   CARINELLI, ALBERTI, COMINARDI e SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, ha recepito la direttiva europea 2003/4/CE sul diritto di accesso del pubblico alle informazioni in materia ambientale;
   il decreto legislativo n. 195 del 2005 è diretto a garantire, ai fini della più ampia trasparenza, che l'informazione ambitale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, nella massima misura possibile, in particolare ricorrendo ai mezzi di telecomunicazione e agli strumenti informatici;
   in proposito, si segnala che nella regione Lombardia è presente la società A2A spa, multiutility nata dalla fusione tra AEM spa Milano e ASM spa Brescia con l'apporto di Amsa ed Ecodeco;
   A2A spa gestisce in Lombardia tre inceneritori, a Brescia, a Bergamo e a Milano;
   l'Osservatorio ternoutilizzatore (OTU) è stato istituito dal comune di Brescia con l'obiettivo di agevolare l'informazione riguardante il funzionamento dell'inceneritore;
   esso dovrebbe predisporre rapporti al fine di fornire ai cittadini informazioni relativamente a tutti gli aspetti correlati al funzionamento dell'impianto (materiali trattati, scorie, emissioni in atmosfera, rendimenti energetici e altro);
   gli ultimi dati messi a disposizione dall'OTU di Brescia risalirebbero al 2013 e quindi non sarebbero aggiornati;
   i dati inseriti appaiono agli interroganti incompleti, poiché manca un'informazione importante come il livello di PCB (policlorobifenili);
   i PCB sono sostanze cancerogene che vanno a interferire con il patrimonio genetico, attraverso meccanismi di tipo epigenetico di alterata trascrizione dell'informazione contenuta nel DNA. In questo modo esse danno luogo a una serie di malattie caratteristiche della società odierna: il cancro, il diabete, l'infertilità, le malattie alle vie respiratorie, le allergie, l'obesità, i disturbi neurodegenerativi;
   un rafforzamento dell'accesso del pubblico all'informazione ambientale e la diffusione di tale informazione contribuiscono a sensibilizzare maggiormente i cittadini alle questioni ambientali e a migliorare la protezione dell'ambiente;
   le tecnologie moderne di rilevazione dei dati e gli strumenti informatici, consentono la pubblicazione istantanea via internet delle rilevazioni in continuo rendendole facilmente disponibili sia agli organi di controllo che al pubblico –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare, anche sul piano normativo, per far sì che i dati ambientali e le rilevazioni, in particolare quelle relative agli inceneritori, siano pubblicati in tempi rapidi e con qualsiasi mezzo di informazione facilmente fruibile dai cittadini. (4-08064)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO, BONOMO, CARRA, PREZIOSI, GIULIETTI, AMATO, CASATI, CAPONE, CARRESCIA, PAOLO ROSSI, SENALDI, D'INCECCO, VENITTELLI, TENTORI, OLIVERIO, GIUSEPPE GUERINI, RUBINATO, LODOLINI, PATRIARCA, IORI, MORETTO, BORGHI, FRAGOMELI, ZANIN, IACONO, BERGONZI, MARCHI e PRINA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Siae, nata nel 1882, opera come soggetto esercitante il monopolio legale sulla protezione e sull'esercizio dell'intermediazione sui diritti d'autore;
   il quadro normativo che ancora oggi regola il funzionamento della Siae risale a un contesto storico lontanissimo, la protezione diritto d'autore e altri diritti connessi al suo esercizio sono infatti disciplinati dalla legge n. 633 del 1941; nonostante le modifiche susseguitesi nel tempo è una legge che rimane ancorata a concetti e modelli di tutela del diritto d'autore e del copyright datati e che dimostrano inadeguatezza e difficoltà ad interpretare la complessità del presente;
   l'avvento del digitale e la rapida evoluzione degli strumenti tecnologici anche nel settore della creazione di prodotti culturali richiamano l'urgenza di un intervento legislativo, al fine di adeguare la normativa del diritto d'autore a nuovi modelli nel contesto del mercato unico europeo;
   la Siae è in Italia tra le maggiori società di gestione collettiva dei diritti d'autore (s.g.c. o collecting society), società di intermediazione tra autori e utilizzatori che, operando su base prettamente nazionale e in regime di esclusività e monopolio, suscita fisiologiche questioni controverse legate all'applicabilità delle regole sulla concorrenza;
   la stessa Corte di giustizia europea ha sostenuto che il monopolio, essendo una condizione patologica del mercato, nell'ottica degli obiettivi comunitari può essere preservata quale eccezione solo in quanto risponde all'interesse generale e se garantisce particolare efficienza dal punto di vista economico; tali condizioni e parametri non sembrano caratterizzare l'attuale gestione della Siae;
   a livello europeo, dove esiste una notevole frammentazione dei modelli adottati in materia di copyright e collecting society si collocano, tuttavia, in modo prevalente alcuni Paesi (in primis Francia e Inghilterra) dove si è affermato un modello liberalizzato, con la presenza di differenti collecting society;
   il nostro Paese in materia di diritto d'autore deve ancora completare un percorso legislativo volto a recepire pienamente le istanze pro-concorrenziali affermatesi nel diritto comunitario, che richiamano la necessità di un superamento della posizione monopolistica della Siae (non giustificabile alla luce dell'articolo 106 del Trattato, TFUE, che tutela concorrenza e la libera circolazione) e un tempestivo recepimento delle direttive europee volte a liberalizzare il mercato del diritto d'autore. In tal senso, rileva la recente direttiva 2014/26/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 20194, sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno (che dovrà essere recepita dagli Stati membri dell'Unione europea entro il 10 aprile 2016). Con tale direttiva, il legislatore europeo si propone di migliorare l'efficienza degli organismi di gestione collettiva del diritto d'autore e dei diritti connessi (collecting society), inserendo la tutela di tali diritti nell'ambito della libera circolazione di beni e servizi nel contesto del mercato unico europeo, favorendo la concessione di licenze multiterritoriali per lo sfruttamento online di opere musicali in un'ottica sempre più transfrontaliera;
   in attesa del necessario adeguamento in materia della normativa italiana a quella europea, occorre, tuttavia, intervenire subito per eliminare alcune storture e alcuni ingiustificati balzelli che ostano la libera fruizione di opere musicali nell'interesse della collettività;
   la legge 23 dicembre 1996, n. 650, concerne le esenzioni sui pagamenti dei diritti alle associazioni di volontariato iscritte nei registri da due anni, alle Onlus configurate così come da articolo 10 del decreto-legge n. 460 del 1977, nonché alle associazioni, comitati, fondazioni ed agli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, costituiti da almeno due anni, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, qualora si preveda espressamente ed in via esclusiva lo svolgimento di attività dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari, in uno o più dei seguenti settori: assistenza sociale e socio-sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, tutela dei diritti civili; tali previsioni contemplano alcuni casi specifici e ne escludono la maggior parte di altri, costringendo realtà spesso autofinanziate e motivate dalla sola volontà di promozione della musica tra le giovani leve a pagare tasse onerose, a volte tanto onerose da costringere le suddette realtà alla rinuncia dell'effettiva realizzazione dell'evento, con conseguente perdita di ricaduta culturale, formativa e di intrattenimento sul territorio;
   la legge n. 30 del 1997 ha introdotto (articolo 6, comma 4) taluni disposizioni in conseguenza delle quali sono libere le utilizzazioni: a) dei repertori di «pubblico dominio»; b) delle musiche della tradizione popolare di autore anonimo; c) delle opere comunque non rientranti tra quelle amministrate dalla Siae. In questi casi parrebbe quindi non essere dovuto nessun compenso per il diritto d'autore; per repertorio di «pubblico dominio» si intende il complesso delle opere non più soggette a tutela per il decorso del termine di 70 anni p.m. autore (o del coautore per le opere scritte in collaborazione) previsto dalla legge n. 633 del 1941 e successive modifiche ed integrazioni;
   il 29 agosto 2006, con propria lettera, la direzione generale della Siae ha diramato alle sue sedi periferiche una nota (prot. 2/1346/PS) contenente chiarimenti relativi alle istruzioni operative fornite con la nota 2.782 del 13 giugno 2014, e precisazioni che «in merito alla possibilità prevista dall'articolo 7 di sostituire il programma musicale con una autocertificazione», indicavano che:
    «In conseguenza della legge 30/97 che ha abolito il diritto demaniale ed abrogato gli articoli 175 e 176 della legge n. 633 del 1941, le utilizzazioni delle opere di pubblico dominio sono libere;
    la redazione del programma musicale può, pertanto, essere sostituita, qualora ne venga fatta esplicita richiesta, da una dichiarazione in fede rilasciata dai soggetti organizzatori. L'autocertificazione deve essere presentata anticipatamente rispetto all'evento spettacolistico e può essere prodotta soltanto nel caso in cui il repertorio programmato preveda l'esecuzione di composizioni interamente di pubblico dominio o non tutelate. Tale dichiarazione dovrà essere sempre corredata da un elenco dettagliato e fedele dei brani che saranno utilizzati o, in sostituzione, da locandine, programmi di sala o qualsiasi altra documentazione idonea a consentire alla SIAE di verificare la correttezza di quanto segnalato. Ove si ritenga opportuno, potranno essere disposti accertamenti per riscontrare la rispondenza tra il repertorio eseguito e quello dichiarato»;
   nonostante le precisazioni contenute nella suddetta nota, non sempre verrebbe applicata in modo puntuale la deroga al pagamento dei diritti d'autore e la Siae richiederebbe in moltissimi casi comunque la compilazione del relativo «programma musicale» con conseguente pagamento dei diritti;
   molte esecuzioni di musica classica sono svolte in occasione di attività formative riconosciute, di concorsi musicali ed esecuzioni bandistiche, promossi o svolti da enti pubblici in occasione di manifestazione di alto valore artistico e culturale, e numerose manifestazioni ed eventi sono volti alla promozione della sensibilità e dell'educazione musicale, senza alcuna finalità economica; le attività di associazioni, comitati, fondazioni e altri enti di carattere privato, nonché enti pubblici, con finalità di promozione culturale musicale e per la formazione delle giovani leve di artisti, non solo sono svolte senza scopo di lucro, ma soprattutto negli ultimi anni operanti senza più alcun aiuto o contribuzione da parte di enti pubblici;
   un esplicito chiarimento circa l'esclusione dal campo di applicabilità della norma sui pagamenti dei diritti potrebbe rappresentare, oltre che una necessaria precisazione volta ad evitare vessazioni, anche un significativo stimolo ed aiuto alla realizzazione di attività volte alla sola promozione della musica e alla formazione delle giovani leve di artisti;
   si rende necessaria la previsione di un'esplicita esenzione dal pagamento dei diritti d'autore per le attività musicali svolte senza fini di lucro, tenendo conto che il vigente decreto legislativo del 9 aprile 2003, n. 68, che disciplina l'attuazione della direttiva europea 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore, prevede già alcune esenzioni per le attività protette dal diritto d'autore nell'interesse del pubblico a fini educativi e di insegnamento; occorrerebbe, dunque, coerentemente con la ratio di tale esenzione, estendere l'esclusione dal pagamento dei diritti d'autore anche ai casi di esecuzione di opere musicali svolte a scopo benefico dalle associazioni di volontariato e di promozione sociale e ai casi di manifestazioni con finalità di promozione culturale musicale e per la formazione delle giovani leve di artisti svolte anche da enti pubblici –:
   quali iniziative urgenti intenda porre in atto, per evitare che le problematicità espresse in premessa possano limitare la promozione della cultura e della sensibilità musicale, aggravando impropriamente l'attività dei soggetti interessati, e se non ritenga necessario chiarire, mediante iniziative normative, un'esplicita esclusione dall'obbligo dei diritti SIAE per le esecuzioni di musica classica svolte in occasione di attività formative riconosciute, di concorsi musicali ed esecuzioni bandistiche, promossi o svolti da enti pubblici in occasione di manifestazione di alto valore artistico e culturale e per le attività svolte e organizzate da associazioni, comitati, fondazioni e altri enti di carattere privato, nonché da enti pubblici, con esplicite finalità di promozione culturale della musica e senza scopo di lucro. (5-04796)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le problematiche del comparto demaniale marittimo interessano un largo numero di imprese turistiche nel nostro Paese;
   tali problematiche risultano essere particolarmente acuite dal passaggio – per il calcolo del canone per le concessioni demaniali marittime – da un sistema tabellare ad un sistema misto, avvenuto con la Legge finanziaria 2007, che introduceva l'applicazione alle «pertinenze» dei valori Omi;
   l'applicazione dei valori Omi ha generato in alcuni casi un aumento fino al 3000 per cento dei canoni, rendendo per molte imprese difficile, se non impossibile, il pagamento del canone senza mettere in crisi l'azienda;
   l'aumento spropositato dei canoni ha inoltre prodotto un effetto domino, fra cui l'aumento relativo all'importo dell'imposta regionale che varia dal 10 per cento al 35 per cento del canone e difficoltà crescenti nel reperire le fideiussioni richieste e nel disporre della propria azienda, considerando la necessità di essere in regola con i pagamenti –:
   se il Governo possa e intenda farsi parte attiva nel risolvere tale questione, anche valutando l'opportunità di assumere iniziative per la sospensione amministrativa della decadenza delle concessioni e concedere una proroga dei pagamenti dei canoni demaniali marittimi per queste imprese. (5-04786)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 259 del 2012 ha stabilito nuovi principi contabili per la stesura del bilancio tecnico attuariale al quale devono uniformarsi i fondi pensione a far data dal 31 dicembre 2013; eventuali disavanzi devono essere oggetto di apposito piano di riequilibrio al fine di dotare il patrimonio di adeguate risorse nel tempo;
   secondo tale normativa, le riserve tecniche devono essere calcolate sulla base del principio del «gruppo chiuso», ovvero prevedendo il patrimonio necessario per adempiere alle promesse pensionistiche degli aderenti al fondo pensione senza tenere in considerazione contribuzioni derivanti da generazioni future;
   il fondo pensione agenti professionisti di assicurazione (FPA), nato nel 1975 per volontà e accordo delle parti sociali interessate (Associazione nazionale imprese assicuratrici – Ania e il Sindacato nazionale agenti di assicurazione – Sna) è soggetto al regime giuridico previsto per i «fondi preesistenti», nell'ambito del quale si applicano principi mutualistici e solidaristici, con contribuzione ordinaria e integrativa di base paritetica (50 per cento a carico delle imprese e 50 per cento a carico degli agenti di assicurazione aderenti);
   dalla sua nascita e fino all'entrata in vigore del richiamato decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 259 del 2012, nei suoi 40 anni di attività il fondo in questione ha stilato i propri bilanci tecnici a «gruppo aperto» senza mai registrare disavanzi di gestione;
   il consiglio di amministrazione, nella stesura del bilancio attuariale prospettico sulla base dei nuovi principi contabili, ha registrato un disavanzo al 31 dicembre 2012 di 786 milioni di euro, laddove per lo stesso anno secondo i previgenti principi contabili il medesimo bilancio tecnico ha chiuso con un avanzo pari a 36 milioni di euro;
   lo stesso consiglio di amministrazione, in armonia con le disposizioni legislative e regolamentari vigenti e con quelle previste dallo statuto del fondo, ha invitato le parti sociali a ricercare un accordo al fine di recuperare il disavanzo del bilancio attuariale prospettico emerso al 31 dicembre 2013 pari a 706 milioni di euro (-80 milioni di euro rispetto al bilancio retrospettivo 2012);
   in data 6 ottobre 2014 l'Associazione nazionale delle imprese di assicurazione ha comunicato alle rappresentanze degli agenti di assicurazione la disponibilità delle imprese di assicurazione a far fronte al disavanzo prospettico con una dotazione massima di 16 milioni di euro una tantum, dichiarandosi pertanto disponibile a contribuire per circa il 2 per cento delle risorse necessarie, lasciando alla categoria degli agenti di assicurazione – prevalentemente piccoli imprenditori – il carico di far fronte al riequilibrio del fondo per il restante 98 per cento;
   il Sindacato nazionale agenti di assicurazione (SNA) ha dichiarato formalmente che tale offerta è irricevibile in quanto insufficiente a garantire il riequilibrio prospettico del fondo;
   da alcuni anni il settore dell'industria assicurativa registra in Italia utili di elevata consistenza, tali da permettere una compartecipazione equa alla patrimonializzazione del fondo in parola (dati ANIA: utile netto nell'anno 2013: euro 5,2 miliardi; per l'anno 2014 previsto in ulteriore aumento);
   la situazione di stallo sopra descritta potrebbe portare al commissariamento del fondo pensione agenti professionisti di assicurazione – i cui dati di bilancio noti alla COVIP evidenziano al contrario un'eccellente capacità gestionale – con ricadute drammatiche non sui pensionati (circa undicimila) e sui contribuenti (quindicimila) del fondo medesimo –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se i Ministri non reputino necessario convocare un tavolo tecnico con le parti sociali – in primis ANIA (Associazione nazionale imprese assicuratrici) e SNA (Sindacato nazionale agenti di assicurazione) – al fine di trovare una composizione tra le diverse posizioni ed evitare così il commissariamento del fondo pensioni in questione. (4-08054)


   CATALANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la società Poste Italiane spa è di proprietà dello Stato;
   la funzione tutela aziendale ha il compito istituzionale di effettuare attività di controllo ed indagini in caso di eventi illeciti;
   nei primi giorni del mese di luglio dell'anno 2011, la stampa portò alla ribalta la vicenda del ritrovamento di un ingente quantitativo di corrispondenza non recapitata ed avviata al macero;
   il responsabile della funzione Atta Sud 1, Salvatore Malerba dichiarò, alla stampa che «è stato fatto quanto possibile; abbiamo fornito collaborazione diretta con la finanza per l'approfondimento e fornire ogni dettaglio. Ora ci saranno valutazioni interne, per adottare i provvedimenti necessari»;
   risulta all'interrogante che la problematica situazione del recapito nonché della gestione degli uffici postali fosse notoria sin dal mese di gennaio 2010 come ricavabile dalle denunce inoltrate, nello stesso mese, alla procura della Repubblica di Lecce dall'ADUC (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori), ed aventi a oggetto lo stato di abbandono in cui versava il recapito sia nella città di Lecce che nell'intero territorio del Salento;
   numerose interrogazioni parlamentari, presentate dal mese di luglio 2010 al mese di giugno 2011, denunciarono le gravissime criticità relative al recapito della corrispondenza –:
   di quali notizie disponga il Governo;
   se siano state avviate indagini in relazione ai suddetti disservizi;
   quali iniziative abbia adottato la società in relazione alle proprie strutture di controllo al fine di evitare il ripetersi di tali fatti pregiudizievoli per la società e per gli utenti. (4-08066)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per l'anno 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147), al fine di contrastare l'erogazione di indebiti rimborsi dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da parte dei sostituti d'imposta nell'ambito dell'assistenza fiscale ha stabilito la non automaticità di tali rimborsi qualora questi superino i 4.000 euro (comma 586 dell'articolo 1);
   a tal fine, l'Agenzia delle entrate, entro sei mesi dalla scadenza dei termini previsti per la trasmissione della dichiarazione, effettua controlli preventivi, anche documentali, sulla spettanza di tali detrazioni;
   sul punto è intervenuta anche la legge di stabilità per l'anno 2015 (comma 726 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190) che ha modificato il comma 587 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, stabilendo che il, rimborso che risulta spettante al termine delle operazioni di controllo preventivo di cui al comma 586 è erogato dall'Agenzia delle entrate non oltre il settimo mese successivo alla scadenza dei termini previsti per la trasmissione della dichiarazione ovvero alla data della trasmissione della dichiarazione, ove questa sia successiva alla scadenza di detti termini;
   a parere dell'interrogante, un intervento normativo di questo tipo se da un lato può rappresentare un efficace strumento di contrasto all'evasione fiscale, dall'altro penalizza pesantemente i contribuenti onesti e le famiglie numerose;
   peraltro, all'interrogante sono giunte segnalazioni di contribuenti che, in molti casi proprio in ragione dell'elevato numero di componenti della famiglia, hanno superato i 4.000 euro di rimborso IRPEF;
   in particolare, secondo alcune segnalazioni, nonostante a settembre 2014 l'Agenzia delle entrate abbia richiesto di caricare le coordinate bancarie sul portale, al fine di poter erogare l'accredito non oltre il 31 dicembre e si tratti di pratiche controllate e validate con successo per espressa ammissione del call center dell'Agenzia stessa, non vi è alcuna notizia sui tempi del pagamento;
   si tratta, naturalmente, di contribuenti che a fronte di un simile credito con l'erario hanno nel frattempo continuato non solo a pagare l'IRPEF trattenuta alla fonte, ma anche le varie rate della TASI, nonché, nelle scorse settimane, il canone RAI;
   si tratta con tutta evidenza di una situazione insostenibile dal momento che non è pensabile che lo Stato, garante dei diritti dei cittadini, pretenda giustamente che le tasse vengano pagate senza un giorno di ritardo e poi restituisca i debiti quando è più comodo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda segnalata, quale sia il suo orientamento in merito, se sia in grado di chiarire in quali tempi verranno erogati questi rimborsi e se non ritenga di doversi attivare affinché i debiti pregressi dello Stato con i contribuenti onesti siano saldati quanto prima e affinché il problema non si riverifichi negli anni a venire. (4-08068)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nelle tre colonie penali presenti in Sardegna sono situate aziende agricole in cui si praticano agricoltura e allevamento;
   a fronte di circa 750 posti disponibili, attualmente vi lavorano solo 284 detenuti. Numeri significativi se si considera che le aree occupano complessivamente circa 6.200 ettari;
   tale situazione determina un collasso delle attività lavorative e produttive, con ripercussioni negative sulle finanze dello Stato;
   questa situazione paradossale è stata denunciata più volte senza che sia mai stata adottata alcuna misura per risolvere un problema che risulta insostenibile anche agli occhi dell'opinione pubblica;
   ultimi dati del Ministero della giustizia indicano una condizione critica delle colonie: a Is Arenas (Arbus), 2.700 ettari di territorio compresi spiaggia e terre incolte, lavorano 72 detenuti per 176 posti disponibili;
   non è diversa la situazione di Mamone (a Lodè) dove per la stessa estensione territoriale sono presenti 123 reclusi, mentre la capienza regolamentare è di 392. Analogamente a Isili (800 ettari) lavorano 89 ristretti per 180 posti –:
   quali misure urgenti intenda adottare per rilanciare le attività lavorative e produttive nelle tre colonie penali sarde dove attualmente lavorano solo 284 detenuti su 750 posti disponibili;
   se non ritenga opportuno introdurre la possibilità di consentire l'accesso alle colonie penali situate in Sardegna ai detenuti che debbano scontare una pena residua fino a 6-8 anni, mentre attualmente per accedervi la pena inflitta o residua non deve superare i quattro anni;
   se non ritenga altrimenti di svincolare i terreni non utilizzati, restituendoli alle comunità locali, al fine di valorizzare le aziende agricole e favorire nuove iniziative imprenditoriali da parte di giovani e disoccupati. (4-08056)


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale del 28 maggio 2014 è stata disposta la soppressione della casa circondariale di Iglesias;
   l'esecuzione del provvedimento è attualmente sospesa;
   il direttore della casa circondariale di Iglesias, con nota urgentissima del 4 febbraio 2015 ha rappresentato l'insorgenza nell'istituto di vari problemi relativi a impianti e macchinari che necessitano di interventi manutentivi rispetto ai quali è necessario investire ingenti risorse finanziarie, sull'impegno delle quali sorgono questioni di opportunità in attesa delle determinazioni in ordine alla soppressione della sede;
   per questo motivo le condizioni detentive dei ristretti, considerate soprattutto le rigide temperature di questo periodo, appaiono assai precarie:
   analoghe considerazioni possono essere fatte se le stesse problematiche vengono viste dal punto di vista del personale, in particolare quello che presta servizio nelle sezioni detentive;
   per questi motivi, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – provveditorato regionale della Sardegna, considerata la necessità e l'urgenza di provvedere, in attesa delle determinazioni in ordine alla soppressione dell'istituto, è addivenuto alla determinazione di trasferire i detenuti attualmente ospiti della struttura in altre sedi della Sardegna –:
   se sia a conoscenza di questa situazione;
   quali provvedimenti intenda adottare per risolvete i problemi relativi a impianti e macchinari che hanno reso assai difficoltose, visto il clima invernale, le condizioni dei detenuti e del personale che presta servizio nelle sezioni detentive.
(4-08057)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, VILLAROSA, CARINELLI, CASO, MANLIO DI STEFANO e PESCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione del 27 marzo 2008, pubblicata su Gazzetta Ufficiale n. 5 dell'8 gennaio 2009, il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha approvato il progetto definitivo dell'intervento di prolungamento della linea M1-Metropolitana milanese, consistente nella costruzione di due stazioni (Sesto Restellone e Monza Bettola), confermando il finanziamento statale per complessivi 126,600 milioni di euro, di cui 54 milioni di euro a carico di legge obiettivo, e 72,600 milioni di euro a valere sul decreto-legge 159 del 2007 convertito della legge 222 del 2007;
   con accordo sottoscritto in data 9 dicembre 2009 e registrato agli atti al n. 13549/Rcc del 26 gennaio 2010, regione Lombardia, provincia di Milano, comuni di Milano, Monza, Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo, si impegnavano a coprire, ognuno con percentuali differenti, le spese complessive dell'appalto integrato corrispondenti a 205,942 milioni di euro, di cui 119,942 milioni di euro per l'infrastruttura e 86 milioni di euro per il materiale rotabile;
   in data 8 febbraio 2015, veniva pubblicato sul quotidiano online Corriere.it, un articolo riguardante il mancato pagamento ai lavoratori da parte dell'Acmar Scpa, azienda che sta svolgendo i lavori per la realizzazione delle due stazioni della metro sopracitate, dello stipendio di dicembre 2014 e il timore di non ricevere nemmeno quello successivo di gennaio 2015 e la loro intenzione di entrare in sciopero proprio per ottenere le mensilità arretrate;
   nella partita sui lavori, il sindacalista che ha seguito sin dal principio la questione, si chiede come siano stati utilizzati 5 milioni di euro stanziati nell'autunno del 2014. Tale cifra aveva la funzione di garantire la continuità dei lavori e dei pagamenti dei lavoratori. La gestione dei cantieri e il proseguimento dei lavori è di competenza della Acmar Scpa di Ravenna che aveva assorbito i rami di azienda degli altri componenti dell'associazione temporanea di imprese che si trovavano in difficoltà, tra le quali Coestra spa, in stato di liquidazione a causa della crisi che stava attraversando;
   il mancato pagamento dei lavoratori coinvolti è un problema non nuovo, visto che già nel 2013 non erano stati retribuiti per diverse mensilità e nessuno di loro aveva ricevuto la tredicesima 7 di questi operai sono successivamente finiti in cassa integrazione, mentre i restanti che hanno proseguito le loro regolari mansioni lavorative, sono passati all'azienda Acmar Scpa;
   al servizio della Acmar Scpa, per i lavori della realizzazione delle due fermate della metro M1 citate, vi sono anche 3 impiegati che, a differenza degli operai, non hanno ricevuto gli stipendi di dicembre 2014 e gennaio 2015, stipendi che ricevono il primo di ogni mese per il mese precedente;
   un altro problema denunciato dal sindacalista, è quello che non sia stato stipulato nessun accordo per poter far svolgere il lavoro notturno ai lavoratori;
   in data 12 febbraio 2015, sempre sul quotidiano online «Corriere.it», veniva pubblicato un articolo riguardante lo sciopero annunciato e iniziato la mattina del 12 febbraio 2015 davanti all'ingresso del cantiere di Sesto San Giovanni e conclusosi lo stesso giorno dopo poche ore, nel momento in cui è stata depositata la mensilità mancante di dicembre 2014 ai lavoratori. Una trentina tra operai e piccoli imprenditori coinvolti nei lavori hanno manifestato rivendicando i loro crediti arretrati. Anche grazie all'intervento dell'assessore al lavoro del comune di Sesto San Giovanni, Virginia Montrasio, è stata convinta l'azienda Acmar Scpa a versare lo stipendio arretrato di dicembre 2014 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della destinazione dei 5 milioni di euro di fondi pubblici sopra indicati e se non ritengano, per quanto di competenza, di far sì che le risorse stanziate possano essere utilizzate per la funzione per cui erano state erogate;
   se i Ministri non ritengano di assumere ogni iniziativa di competenza per assicurare regolare e normale continuità di pagamento a tutti i lavoratori sopracitati impiegati nei cantieri del prolungamento della Metro-1-Metropolitana milanese;
   di quali elementi dispongano circa le condizioni di lavoro degli operai e in particolare circa il fatto che essi lavorerebbero in turni notturni senza accordi ufficiali stipulati. (5-04802)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   MICCOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la partita di calcio Roma – Feyenoord di Europa League del 19 febbraio 2015 allo Stadio Olimpico di Roma, valida per l'andata dei sedicesimi di finale di Europa League, costituisce un importate appuntamento sportivo;
   in generale, le fasi finali delle competizioni europee comportano una forte presenza di tifosi;
   nel particolare, il numero dei tifosi del Feyenoord, provenienti da Rotterdam, sono stati stimati in alcune migliaia;
   all'interno di tale tifoseria erano già stati segnalati, all'autorità competente, alcuni soggetti facinorosi;
   una parte di questi ultimi non aveva alcun raccordo con l'organizzazione della stessa società del Feyenoord, tale da garantire un minimo di sicurezza;
   già in precedenza, nel pomeriggio e nella serata del 18 febbraio 2015, si erano manifestati disordini, con particolare incidenza nella zona di piazza Campo de’ Fiori;
   nella giornata del 19 febbraio 2015, tali incidenti si sono ripetuti in forma ancora più grave presso la zona di Piazza di Spagna, producendo danneggiamenti a monumenti ed altre strutture e creando panico e disagio a commercianti, cittadini e turisti;
   presumibilmente, le autorità competenti avevano sufficienti informazioni, comunque tali per ipotizzare il ripetersi dei pericolosi comportamenti dei cosiddetti «hooligans» –:
   se e quali misure siano state adottate per prevenire tali disordini;
   come sia stato possibile consentire concentramenti con elevato numero di tifosi in zone sensibili e d'arte della città;
   se e quali misure siano state intraprese nei confronti dei tifosi responsabili dei danneggiamenti effettuati;
   se siano state rilevate dal Ministro specifiche responsabilità verso chi nella Capitale, era deputato all'ordine pubblico. (3-01314)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della partita di calcio Roma-Feyenoord nella città di Roma nei giorni 18 e 19 febbraio 2015 si sono verificati gravissimi atti di violenza posti in essere dai tifosi olandesi giunti nella capitale al seguito della propria squadra;
   nella serata del 18 febbraio 2015, in piazza Campo dei Fiori, si sono verificati violenti scontri tra tifosi olandesi e forze dell'ordine. Nella giornata di giovedì 19 febbraio si sono verificati nuovi, gravissimi, atti di violenza sempre ad opera dei tifosi del Feyenoord nel cuore del centro storico di Roma, in piazza di Spagna;
   i tifosi olandesi, nel corso delle loro intemperanze, si sono resi autori di lanci di bottiglie, accensione di fumogeni e lanci di vere e proprie bombe carta, danneggiando parti della scalinata di piazza di Spagna e la fontana così detta della Barcaccia, monumento che aveva visto concludersi da poco tempo un lungo lavoro di restauro;
   a quanto riportato dalle cronache sembra che ulteriori incidenti si siano verificati anche nel punto di raccolta dei tifosi olandesi, presso il parco di Villa Borghese, che le autorità avevano predisposto per scortare tutti i tifosi giunti a Roma all'interno dello Stadio Olimpico;
   al sindaco di Roma Capitale ha rivolto nel corso della giornata del 19 febbraio critiche durissime, ed in alcuni casi, vere e proprie accuse nei confronti delle autorità responsabili di gestire l'ordine pubblico nella città, sostenendo in sintesi che tali autorità non erano state in grado di assolvere al loro compito e chiedendo di fatto la rimozione a tutela della città di Roma;
   da quanto riportato dalle cronache degli organi di stampa del giorno 20 febbraio, si ipotizza che le autorità preposte a gestire l'ordine pubblico abbiano sottovalutato, in particolare in occasione dei fatti del 19 febbraio, il numero e la pericolosità dei facinorosi olandesi che si andavano assembrando in piazza di Spagna;
   sempre dalle cronache si apprende anche che, nonostante una segnalazione inviata dalla polizia olandese quarantotto ore prima della gara in merito al numero di persone che sarebbero giunte a Roma per assistere alla partita, specificando anche il numero di queste che sarebbe giunto senza possedere il biglietto per entrare allo stadio, le autorità italiane non sono riuscite a controllare e gestire l'arrivo dei tifosi olandesi, perché molti di loro si sarebbero sottratte ai controlli predisposti presso aeroporti, stazioni ferroviarie e caselli autostradali;
   non è la prima volta che di recente la città di Roma in occasione di partite di calcio diviene teatro di violenze e veri e propri atti di criminalità che le forze dell'ordine non solo non riescono a prevenire, ma neppure a contenere, segno questo, a giudizio dell'interroganti, che le autorità alle quali viene demandata la gestione dell'ordine pubblico non sembrano all'altezza del loro compito mettendo, conseguentemente, a rischio la popolazione romana e gli stessi agenti delle forze dell'ordine costretti a fronteggiare disordini senza ordini chiari e strategie di sicurezza predefinite –:
   quanti tifosi olandesi protagonisti degli scontri verificatisi il 18 febbraio 2015 in piazza Campo Dei Fiori siano stati posti in stato di fermo per quegli episodi e quanti degli eventuali fermati fossero nuovamente a piede libero nella giornata del 19 febbraio;
   quali iniziative intenda porre in essere il Ministro interrogato al fine di accertare, per quanto di competenza, le responsabilità delle gravi vicende riportate in premessa e quali iniziative intenda porre in essere per sanzionare gli eventuali responsabili valutando anche l'eventualità della rimozione del prefetto e degli altri alti dirigenti di pubblica sicurezza preposti alla gestione dell'ordine pubblico.
(5-04801)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, FRANCO BORDO e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Francesco Di Palo è un imprenditore di Altamura vittima, dal 2001 al 2003, del racket estorsivo ai danni dell'azienda di cui era titolare, la Venere srl di Matera, società che produceva vasche idromassaggi, dichiarata fallita un anno prima della sua denuncia contro gli estorsori;
   in data 30 gennaio 2015, il collaboratore di giustizia Di Palo, si è cosparso di liquido infiammabile e si è dato fuoco davanti alla Prefettura di Monza, riportando fortunatamente solo ustioni alle mani a seguito dell'intervento dei vigili del fuoco; Di Palo ha compiuto l'atto per denunciare l'abbandono di cui è stato oggetto, assieme alla sua famiglia, da parte delle istituzioni, in quanto escluso dal programma di protezione dedicato ai testimoni di giustizia e ai loro congiunti;
   non è la prima protesta che Di Palo ha portato avanti: già nel 2011 protestò perché il Viminale non copriva più le spese d'affitto in località protetta, quando era ancora all'interno del programma di protezione. Vani si sono rivelati gli appelli al Ministro dell'interno, anche quando Di Palo ha lamentato la mancata notifica degli atti giudiziari presso la località protetta ove si trovava, con i quali gli veniva notificato di presentarsi ad udienze quale testimone e a cui, inevitabilmente, non ha potuto prendere parte;
   la questione relativa ai testimoni di giustizia è gestita da un'apposita Commissione ministeriale, il servizio centrale di protezione del Ministero dell'interno (SCP). Nonostante l'aumento del carico lavorativo del SCP, le risorse continuano a diminuire, e nonostante tale servizio segua circa 6000 persone tra testimoni di giustizia e loro congiunti;
   in particolare, i tagli ammontano a circa 25 milioni di euro, come da variazione di bilancio collegata alla legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), varata dal Governo Renzi;
   tale taglio di risorse essenziali si aggiunge alla già difficile vita dei testimoni che risiedono in località protette, in quanto i documenti di copertura non hanno alcun valore legale, con una serie di conseguenze burocratiche e amministrative che aggravano il ripristino di una vita apparentemente normale per coloro che collaborano con lo Stato per combattere il crimine organizzato. Le procedure esigerebbero garanzia di riservatezza del trattamento dei dati dei testimoni di giustizia, ma la situazione vigente, denunciata da molti di loro, li espone a vendette e ritorsioni;
   una ulteriore possibilità di sostegno economico ai testimoni di giustizia sarebbe prevista dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, in base alla quale, in caso di rinuncia al mantenimento economico, questi verrebbero assunti presso la pubblica amministrazione, ma non si capisce come si possa procedere alla seppur corretta misura in presenza di tagli strutturali alle risorse di pubblica amministrazione ed enti locali, nonché del blocco dei relativi concorsi, che rendono difficile anche avere contezza del numero dei posti di lavoro disponibili. Il decreto prevede che sia il servizio centrale a sondare le pubbliche amministrazioni per censire i posti disponibili, questo andrà fatto in tutta Italia, due volte l'anno. Il servizio centrale segue oltre 6000 persone. Se non si potenzia la struttura operativa del servizio centrale di protezione, difficilmente questo potrà provvedere a quanto la legge gli impone di fare e le possibilità per i testimoni di giustizia di trovare un lavoro, diminuiranno;
   come già sottolineato dalla relazione della Commissione antimafia, il lavoro di ricognizione dei posti disponibili dovrà tenere conto delle altre categorie tutelate da analogo diritto all'assunzione nella pubblica amministrazione; se a questo si aggiungono il contenuto dell'articolo 12, di neutralità finanziaria, e i tagli strutturali alle risorse delle pubbliche amministrazioni/enti locali (insieme al blocco dei concorsi) si capisce come i posti di lavoro effettivi, saranno senza dubbio pochi;
   il viceministro Bubbico ha affermato che i tagli non impediranno l'esecuzione delle azioni volte a tutelare i testimoni di giustizia e che in caso di emergenze e necessità sono previste e consentite spese dirette;
   nella più recente relazione sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia, la stessa Commissione antimafia denuncia: «si lamenta che le abitazioni offerte, specie in occasione delle prime sistemazioni in località protetta, sono spesso degradate e prive delle elementari condizioni igieniche o che per lunghi periodi, si è collocati in strutture alberghiere fatiscenti»; «l'inadeguatezza delle misure di protezione poste in essere a tutela dei testimoni sia in località protetta che in quella di origine, spesso riconducibili alla ridotta disponibilità di mezzi e uomini, alla saltuarietà della vigilanza, alla scarsa professionalità delle forze dell'ordine, alla utilizzazione di immobili già impiegati per collaboratori di giustizia e la cui pregressa destinazione era nota»; la «mancata attuazione della norma che prevede che al testimone di giustizia vada assicurato il pregresso tenore di vita»; la «condizione di isolamento, sia in località protetta che in località di origine, e mancanza di punti di riferimento e di supporto»; l’«inadeguatezza del sistema di reinserimento socio-lavorativo, specie per imprenditori e commercianti» –:
   in riferimento a quanto illustrato in premessa, nonché alla inadeguata normativa che regola la gestione e la protezione dei testimoni di giustizia – che non solo mette in pericolo chi decide di collaborare, ma disincentiva coloro che vorrebbero farlo – se non intenda rivedere le modalità di protezione dei testimoni di giustizia in relazione all'ambiguità amministrativa a cui vengono esposti una volta in possesso di nuovi documenti che hanno alcun valore legale e se intenda fornire dettagli chiari sulla capacità della pubblica amministrazione di assumere coloro che ne faranno richiesta, anche in presenza di tagli, specificando quali sarebbero le spese dirette in caso di emergenza e necessità. (4-08051)


   RICCIATTI e NICCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 febbraio 2015, un giovane ragazzo marocchino di 28 anni è stato fermato dalla polizia con l'accusa di aver rapinato un giovane, minacciandolo con un coltello occultato in una custodia e facendosi consegnare un telefono cellulare e il portafoglio, su un treno regionale nel tratto tra Fano e Senigallia. La notizia è stata riportata da diversi organi di stampa, tra i quali il Resto del Carlino del 12 febbraio 2015;
   analoghi episodi sono stati segnalati in diverse parti d'Italia, con frequenza allarmante; solo per citare i casi meno risalenti, a Cuneo, come riferisce l'agenzia Ansa del 12 febbraio 2015, tre ragazzi di nazionalità marocchina, uno dei quali minorenne, e uno colombiano, sono stati arrestati dai carabinieri di Fossano e di Savigliano, accusati e condannati per furti e rapine avvenuti alla partenza dei treni o pochi minuti prima dell'arrivo;
   a Lucca, come riferisce il quotidiano La Nazione del 7 gennaio 2015, una gang di ragazzi marocchini la notte del 2 gennaio ha aggredito e rapinato tre adolescenti, minacciando anche capotreno e testimoni;
   sul regionale Bergamo-Milano un 34enne senegalese, Modou Niang Ndir, secondo gli investigatori la sera del 12 dicembre 2014 ha minacciato con un coltello una ragazza di 22 anni, costringendola ad atti sessuali e a farsi consegnare il telefono cellulare. Il fatto è stato riportato dalla testata Il Fatto Quotidiano del 23 gennaio 2015 –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per garantire con maggior efficacia la sicurezza dei passeggeri, considerato anche l'importante appuntamento internazionale dell'Expo che porterà nei prossimi mesi ad una crescita esponenziale dei fruitori del trasporto ferroviario. (4-08060)


   LUIGI DI MAIO, FRUSONE, LOMBARDI e NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fonti sindacali segnalano con preoccupazione l'imminente chiusura delle squadre nautiche della polizia di Stato. Con tale operazione si vuole far passare il messaggio dell'inutilità di tali squadre, che invece svolgono un'azione di prevenzione e di contrasto delle attività illecite in mare e di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica comunque necessarie;
   occorre, viceversa, considerare che successivamente allo smantellamento della polizia nautica, la sicurezza in mare sarebbe demandata di fatto solo a corpi militari non essendo ad oggi prevista una seria riorganizzazione delle azioni sopra citate;
   inoltre, si priverebbe la realtà italiana di una adeguata attività di polizia giudiziaria in porti internazionale, come quello di Napoli, dove per esempio si sviluppano innumerevoli traffici illeciti e dove si registra un traffico di passeggeri di milioni di persone all'anno;
   non sarebbe più possibile effettuare controlli di pubblica sicurezza che durante tutto l'anno ed in particolare durante l'estate vengono effettuati alle imbarcazioni da diporto in realtà marittime dall'elevato traffico;
   diverrebbero inutili alcuni piani di soccorso pubblico in caso di calamità naturali, come ad esempio il piano di evacuazione della zona vesuviana;
   sarebbe impossibile salvare la vita di tanti uomini, donne e bambini come avvenuto in questi anni a seguito di operazioni con le quali il personale si è contraddistinto per aver esposto in prima persona la propria vita, anche in seguito all'impossibilità di assicurare il SAR (search and rescue) servizio con il quale il personale della squadra nautica con i mezzi nautici in dotazione è inquadrato a livello nazionale ed europeo per la salvaguardia della vita umana in mare;
   non sarebbe più possibile assicurare ai commissariati di pubblica sicurezza delle isole, come nel caso di Ischia e di Capri, un adeguato supporto, lasciandoli completamente isolati negli orari serali e notturni, così come nel caso della squadra nautica di Porto Tolle (Rovigo), che oltre ad avere competenze marittime svolge anche compiti di polizia fluviale, ed è l'unica, per quanto concerne il Delta del Po, particolarmente ricco di traffici commerciali e traffici illeciti;
   tali funzioni di fatto verrebbero demandate al solo personale delle capitanerie di porto;
   peraltro, fonti sindacali segnalano agli interroganti che lo smantellamento delle squadre nautiche della polizia di Stato produrrebbe anche un clamoroso spreco di risorse;
   infatti, nella prospettiva delle chiusure delle squadre nautiche, il 27 novembre 2014 il servizio logistico del Ministero dell'interno inviava una nota in cui indicava 15 unità navali sparse nel territorio, vecchie con più di trent'anni di servizio, incaricando il centro nautico e sommozzatori di La Spezia di presentare una proposta di disarmo o meglio di «fuori uso»;
   solo per fare un esempio tra i tanti che vi potrebbero essere, tra queste vi sarebbe un natante ad Oristano, uno Squalo (targato PS 663) che non solo ha meno di 20 anni di servizio (e non trenta) ma anzi dell'attuale parco nautico della polizia di Stato è una delle unità navali d'altura più recenti essendo stata varata nel 1995 (19 anni di servizio). Il natante è in buono stato d'uso, non è né in avaria, né in fermo tecnico, ed ha solo bisogno di alcune lavorazioni per essere perfettamente efficiente e operativo;
   secondo le predette segnalazioni sindacali, per mantenerlo in funzione tra il 2010 e il 2011 sono stati eseguiti lavori per circa 23.000 euro, nel 2013 lavori per oltre 14.000 euro, mentre 8.000 euro sono stati spesi nel 2014. Per renderlo perfettamente efficiente, ad oggi, servirebbe una spesa di altri 3.500 euro per il carenaggio e la revisione delle zattere di salvataggio;
   non si capisce quale sia la ratio del mettere in disarmo un'unità navale che è non solo una delle più recenti di tutto il parco nautico della polizia di Stato, ma è in buono stato d'uso e non ha mai subito danni o lesioni allo scafo e alle altre strutture e sulla quale sono montati ancora i motori originali che hanno attualmente meno di 5.000 ore di moto; negli ultimi 4 anni sono stati eseguiti importanti lavorazioni per un totale di circa 45.000 euro –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga di dover rivedere il progetto di chiusura descritto in premessa per lo meno individuando chi dovrà in futuro esercitare le funzioni svolte attualmente dalla polizia nautica – al fine di preservare se non incrementare gli attuali livelli di sicurezza marittima – e salvaguardando la professionalità degli operatori di polizia nautica attualmente in servizio;
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda concernente il natante «Squalo» collocato presso Oristano, quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga di dover intervenire al fine di evitare quello che agli interroganti appare uno spreco. (4-08069)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo due recenti rapporti di Legambiente e del Censis, in Italia, vi sarebbero più di 2000 istituti scolastici su 41.902, a rischio per la presenza di amianto;
   si tratta del 5 per cento del totale degli istituti scolastici presenti sul territorio nazionale;
   oltre il 40 per cento delle scuole oggi funzionanti in Italia, risultano essere state costruite fra il 1961 e il 1980, anni in cui l'amianto era un materiale abbondantemente usato nell'edilizia;
   tra gli istituti interessati dalla presenza di amianto vi è sicuramente l'Istituto tecnico Leonardo da Vinci di via del Terzolle, a Firenze, realizzato negli anni 60 e oggi sede delle classi del biennio;
   in relazione alla presenza del citato materiale, dall'istituto, è stato predisposto ed affisso un preciso vademecum di comportamento da rispettare sia da parte degli alunni che da parte di tutto il personale scolastico e non scolastico, in servizio;
   bisogna, infatti, evitare di correre, di chiudere con forza finestre e porte, di graffiare o forare le pareti proprio per «limitare al massimo i rischi per la salute»;
   il comune di Firenze è intervenuto più volte, l'ultima l'estate scorsa per la bonifica del tetto, ed ogni anno viene stesa una patina di vernice sui muri dell'edificio;
   ogni sei mesi viene fatto un controllo con specifiche apparecchiature per rilevare l'eventuale presenza di fibre disperse nell'aria, che, fino ad ora, ha dato, fortunatamente, sempre esiti negativi;
   per il comune la soluzione ottimale sarebbe quella dell'abbattimento e della ricostruzione dell'edificio;
   per realizzare questa soluzione occorrerebbero tra i sette e gli otto milioni di euro;
   il capitolo delle bonifiche delle scuole ha una significativa evidenza nell'ambito del Piano nazionale amianto;
   il Governo ritiene prioritaria la sicurezza delle scuole come evidenzia la campagna «scuole sicure» –:
   se e quali iniziative per quanto di competenza il Governo intenda porre in essere in relazione alla bonifica e la messa in sicurezza dell'istituto tecnico Leonardo da Vinci di Firenze, citato in premessa, in considerazione dei rischi legati alla possibile esposizione alle fibre di amianto, tuttora presenti, e se non intenda, altresì, verificare la possibilità di attribuire la massima priorità a tutti gli istituti che sul territorio nazionale si trovano nelle medesime condizioni anche in relazione alla attribuzione delle risorse da parte dello Stato centrale. (5-04791)


   GHIZZONI e CAPUA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i ricercatori universitari a tempo indeterminato costituiscono ancora oggi, nonostante che il ruolo sia stato posto sostanzialmente ad esaurimento dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, una quota notevole del personale docente universitario e tra di loro vi sono anche persone relativamente giovani assunte dal 2008 al 2010 con le risorse di cui all'articolo 1, comma 648, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
   a causa delle vigenti normative è divenuto quasi impossibile per questa categoria di ricercatori trasferirsi da un ateneo all'altro poiché, da un lato, essi non possono partecipare a concorsi a posti di ricercatore a tempo indeterminato in quanto questi non possono essere più banditi ai sensi dell'articolo 29, comma 1, della legge n. 240 del 2010;
   da un altro lato, essi non possono usufruire facilmente del procedure di trasferimento di cui al comma 10 del medesimo articolo 29 in quanto: a) il costo, in denaro e in punti organico, di una chiamata per trasferimento sarebbe interamente a carico dell'ateneo chiamante e quindi certamente meno appetibile rispetto ad una promozione interna a professore associato o ordinario, ovvero ad un'assunzione di un ricercatore a tempo determinato; b) queste procedure non possono essere né conteggiate ai fini della condizione di reclutamento esterno di docenti prevista dall'articolo 18, comma 4, della legge n. 240 del 2010, né sono incentivate da specifici finanziamenti ministeriali;
   infatti, per molti anni e fino all'anno 2010, il decreto ministeriale di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario (FFO) prevedeva una quota destinata ad un intervento per «favorire la mobilità del personale docente e ricercatore» tramite l'assegnazione, a determinate condizioni, di un cofinanziamento dello stipendio della persona chiamata posto a carico della quota prestabilita del FFO, mentre, a partire dall'anno 2011, tale quota è stata dapprima ridotta e resa applicabile solo ai trasferimenti dei professori di I e II fascia, poi definitivamente eliminata dal decreto di ripartizione del FFO;
   la mobilità tra gli atenei del personale docente e ricercatore è unanimemente ritenuta essere un elemento fondamentale per la qualità del sistema universitario, in quanto favorisce il ricambio e una continua innovazione di temi e metodologie sia nella ricerca che nella didattica di un ateneo, anche aprendo spazi culturali e fornendo stimoli importanti per nuove collaborazioni interdisciplinari e interuniversitarie –:
   se e come il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, per riattivare e incentivare la mobilità del personale docente e ricercatore tra le università. (5-04798)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio 2014 il Ministero ha emanato il bando denominato «Scientific Independence of young Researchers» (Sir) con l'obiettivo di sostenere i ricercatori di età inferiore, ai 40 anni, in possesso di un dottorato di ricerca conseguito nei precedenti sei mesi, nelle fasi iniziali della propria attività di ricerca indipendente in tre macroaree (Scienze della vita, Scienze fisiche e ingegneria, Scienze umanistiche e sociali), per un finanziamento complessivo di 47 milioni di euro;
   il Ministero ha dichiara di ispirarsi agli «Starting Grants» dell’European research council (Erc), bandi europei tra i più selettivi e prestigiosi che vanno presentati in inglese e valutati da esperti scelti in una rosa di nomi proposta proprio dall'Erc a garanzia di una selezione imparziale basata elusivamente su criteri di eccellenza;
   in meno di due mesi (il bando si era chiuso il 14 marzo 2014) sono arrivati al Ministero oltre 5250 progetti;
   il Ministero ha chiesto all'Erc i nomi dei valutatori che, a metà luglio 2014 ha risposto di non poter soddisfare la richiesta italiana costringendo il Ministero a modificare per decreto il bando stabilendo valutatori italiani;
   la modifica ha provocato un clamoroso ritardo nella valutazione: i comitati di selezioni si sono insediati solo il 26 ottobre e cioè ben 9 mesi dopo la pubblicazione del bando e il Ministero aveva assicurato che la prima fase di selezione (che si è svolta solo sul «summary» dei progetti) si sarebbe chiusa entro la fine dell'anno;
   il 9 febbraio 2015 il Ministero aveva comunicato che la valutazione era praticamente completata, ma ad oggi non è ancora terminata;
   a fronte della lacunosità delle informazioni e dei ritardi per la valutazione un gruppo di «aspiranti» ha scritto al Ministro chiedendo notizie sia del primo bando Sir a cui dovevano essere riservati 53 milioni di euro sia del nuovo bando del 2015;
   si segnala che altre borse europee molto prestigiose hanno bisogno di molto meno tempo per pubblicare i risultati definitivi, pur in presenza di un numero di candidati anche superiore –:
   quali risposte il Ministro intenda dare alle domande di chiarimento dei candidati;
   quali siano i tempi certi di espletamento della selezione per il bando del 2014;
   quale sia la sorte del bando del 2015 e quali i tempi, se il suddetto bando verrà pubblicato. (4-08065)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   alcune decine di migliaia di lavoratori in tutta Italia sono in attesa di poter ricevere per quanto riguarda gli ammortizzatori in deroga le spettanze arretrate in riferimento all'anno 2014 per diverse mensilità;
   particolarmente critica è la situazione per i lavoratori che con l'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 84743 del 1o agosto 2014 avevano maturato più di tre anni consecutivi di beneficio della mobilità in deroga;
   suddetti lavoratori attendono il pagamento delle spettanze a partire dal mese di aprile 2014 ed in alcune regioni come Sardegna e Calabria la situazione degli arretrati è molto più critica;
   si è a conoscenza che sono stati tenuti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociale, una serie di incontri bilaterali con ciascuna regione per un riscontro tra gli aventi diritto come da elenchi regionali, posizioni Inps e disponibilità economiche;
   per finanziare gli ammortizzatori per l'anno 2014 vi sono ancora i residui della legge di stabilità per l'anno 2014 e i residui del finanziamento aggiuntivo previsto dal cosiddetto decreto-legge sblocca Italia;
   vi è poi il problema, relativo alla tassazione sulle mensilità spettanti che dai lavoratori verrebbero ricevute nell'anno 2015 e quindi con un aggravio di tassazione che penalizzerebbe ulteriormente questi lavoratori per un ritardo che non dipende certo loro;
   l'attesa per i citati lavoratori è divenuta insostenibile perché non più in grado di poter fronteggiare le spese quotidiane;
   vi è una crescente tensione non facilmente gestibile neppure dalle organizzazioni sindacali, in considerazione anche dell'assenza di informazioni certe su tempi e coperture;
   oltre alle spettanze arretrate vi è il problema di comprendere quale sarà il futuro di questa platea, anche alla luce del nuovo quadro degli ammortizzatori sociali determinatosi con l'approvazione del cosiddetto jobs act;
   in particolare, si pone la questione della fase di transizione tra vecchio e nuovo regime per coloro con più di tre anni di mobilità in deroga;
   sarebbe impensabile avere per soggetti aventi la stessa condizione trattamenti diversi da regione a regione;
   tra piani di formazione, sostegni regionali al reddito, forme sperimentali di reddito minimo, si rischia di aprire un oggettivo caos di gestione delle suddette criticità –:
   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare con la massima urgenza per pagare le spettanze arretrate, senza aggravio di tassazione, e affrontare la questione per il futuro della citata platea, in considerazione delle nuove norme e della fase di transizione tra i diversi regimi degli ammortizzatori sociali al fine di garantire una omogeneità di trattamento su tutto il territorio nazionale e tenuto conto della drammaticità della situazione in cui si trovano in questo momento tali lavoratori e le loro famiglie. (3-01315)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 gennaio 2015, l'Osservatorio del mercato del lavoro della provincia di Brescia ha elaborato il «Report del mercato del Lavoro per la Provincia di Brescia» contenente i dati di tipo legislativo-amministrativo relativi all'analisi e al monitoraggio delle principali dinamiche del lavoro, del sistema occupazionale provinciale e dell'efficacia delle politiche per il lavoro, riferiti all'anno 2014. Secondo il sopracitato documento, sono 142.337 i disoccupati nella provincia di Brescia, di cui 23.134 nella sola città di Brescia. Il dato numerico degli «avviati», cioè di coloro che nel corso dell'anno 2014 hanno avuto almeno un'assunzione, è di 126.966, mentre il numero dei «cessati», quindi di coloro che nel medesimo periodo di riferimento hanno avuto almeno una cessazione del rapporto di lavoro, ammonta a 139.852, con un numero di soggetti cessati superiore rispetto a quelli avviati;
   sono altresì interessanti i dati forniti dall'Istat sul proprio sito che si riferiscono al tasso di disoccupazione degli ultimi anni per il territorio di Brescia. Nello specifico, il tasso di disoccupazione nell'anno 2004 si attestava al 3,5 per cento, nell'anno 2009 al 5,8 per cento fino a raggiungere nel 2013 l'8,4 per cento. In attesa di conoscere i dati relativi all'ultimo trimestre dell'anno 2014, va evidenziato che tale zona ha incrementato il tasso di disoccupazione di quasi cinque punti in soli nove anni;
   a giudizio dell'interrogante, occorrerebbe valutare quale possa effettivamente essere l'impatto dei provvedimenti normativi approvati dal Parlamento italiano sulla disoccupazione di lungo periodo. In tal senso, ad esempio, il decreto-legge n. 34 del 2014, con cui il legislatore ha modificato la disciplina sui contratti a termine prevista dal decreto legislativo n. 368 del 2001, ha eliminato l'obbligo di specificare nel contratto le ragioni giustificatrici per l'apposizione del termine. Ebbene, secondo i dati forniti dall'Istat, nei primi tre trimestri dell'anno 2014 il tasso di disoccupazione nazionale sarebbe sceso da 13,6 ad 11,8 per cento. La riduzione del tasso di disoccupazione potrebbe anche essere determinata dagli sgravi fiscali introdotti con la recente legge di stabilità 2015 che, seppur importanti, non possono essere permanenti. Del resto potrebbe anche non determinare un aumento solido dell'occupazione nel medio e lungo periodo, ma certamente un aumento degli avviamenti che, se relativi a contratti di lavoro a termine o comunque diversi rispetto a quelli a tempo indeterminato, frammentano ulteriormente la continuità lavorativa già particolarmente precaria, come rilevato dai dati Ocse del 2013 sull'indice di protezione dei contratti di lavoro in Italia rispetto agli stessi Paesi Ocse. La riduzione di quasi due punti del tasso di disoccupazione, in ogni caso, potrebbe non risolvere definitivamente una crisi occupazionale che da troppi anni affligge il nostro Paese considerato che, anche dopo l'approvazione del decreto legislativo n. 276 del 2003, il tasso di disoccupazione nazionale è sceso dal 2003 di circa due punti per poi cominciare a risalire nel 2008;
   tutti i numeri drammaticamente sopra riportati, sembrano attestare che la crisi economica, per il territorio della provincia di Brescia, non possa ritenersi completamente risolta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati e degli elementi riportati in premessa;
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare, con particolare attenzione al territorio della provincia di Brescia, per il rilancio dell'occupazione e per favorire l'inclusione sociale attraverso strumenti di sostegno al reddito di tipo universale, quale è il reddito di cittadinanza.
(5-04795)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, ALBERTI, PESCO, PAOLO BERNINI, VILLAROSA, LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, MANLIO DI STEFANO e D'INCÀ. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 febbraio 2015, sul quotidiano La Repubblica, nelle pagine locali di Roma, veniva pubblicata la notizia del licenziamento della signora Simona, donna di 40 anni, da circa 10 anni assunta dal gruppo Mediamarket spa e dipendente presso il negozio di elettronica Saturn sito nel Centro commerciale Roma Est. Malata di tumore dal 2010, a causa del perdurare della malattia, ha trascorso gli ultimi due mesi in ospedale raggiungendo un totale di giorni di malattia accumulati nell'ultimo anno solare pari a 200 e, al suo ritorno a casa, tramite telegramma inviatole dall'azienda, è stata avvisata del licenziamento per il superamento del periodo di comporto corrispondente a 180 giorni;
   in data 19 febbraio 2015, sul sito tiburtina.it, veniva pubblicata la notizia della conferma del licenziamento da parte dell'azienda nei confronti della signora Simona, dove veniva specificato che, in data 30 gennaio 2015, la stessa aveva raggiunto il totale massimo consentito di giorni di malattia accumulati nell'anno solare e, il 13 febbraio 2015, al suo ritorno dal periodo di degenza dall'ospedale a casa, è stata avvisata del licenziamento tramite telegramma inviatole dall'azienda;
   l'articolo 175 del CCNL del terziario, della distribuzione e dei servizi, categoria alla quale la signora Simona apparteneva, stabilisce che, per i lavoratori non in prova come era la signora Simona, «il lavoratore in malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento». L'articolo 181 del medesimo CCNL, stabilisce che «nei confronti dei lavoratori ammalati la conservazione del posto, fissata nel periodo massimo di giorni 180 [...], sarà prolungata, a richiesta del lavoratore, per un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita e non superiore a 120 giorni alla condizione che siano esibiti dal lavoratore regolari certificati medici». La signora Simona, proprio nel periodo a cavallo dei 180 giorni, si è trovata impossibilitata a compiere le operazioni di rinnovo del periodo di malattia perché ricoverata in ospedale;
   è doveroso far notare che nell'articolo 175 del CCNL del terziario, della distribuzione e dei servizi, nel passaggio ove si cita che «il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento», viene stabilito che il datore di lavoro non ha obbligo di licenziamento ma discrezionalità nel farlo o meno. A giudizio degli interroganti, ciò stabilisce in chi determina la scelta, ovvero il datore di lavoro, una enorme responsabilità, anche umana, che compete a chi legifera e non al datore di lavoro, lasciando al legislatore la responsabilità di produrre una norma più chiara e che non lasci adito ad incertezze, volta ad aumentare i benefici nei confronti di chi è stato già svantaggiato nel periodo buio di una malattia così invalidante come il tumore;
   soventi sono i casi simili a quello della signora Simona, dove lavoratori e lavoratrici vengono licenziati, con differenti modalità, perché affetti da tumore –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario assumere iniziative normative al fine di tutelare chi, come la signora Simona e tutti i lavoratori che hanno perso il posto di lavoro in circostanze estremamente penalizzanti dovute alla patologia tumorale, possano mantenere il proprio posto di lavoro o possano essere reintegrati una volta perso lo stesso.
   (5-04800)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 febbraio 2015 l'azienda Sicc di Monsano ha annunciato la procedura di mobilità per 97 lavoratori;
   l'azienda aveva presentato un concordato preventivo quasi 4 anni fa, ma, da mesi, faceva registrare una lunga agonia; si sono utilizzati tutti gli ammortizzatori sociali disponibili fino a quando, alla chiusura dei rubinetti dell'ennesima banca, l'azienda ha optato per una scelta tragica e definitiva;
   l'intero settore negli ultimi anni ha subito gravi perdite e pesanti ristrutturazioni. Attualmente, in provincia di Ancona, le aziende che si occupano di cucine sono contate e non si prevedono scenari concreti di ripresa;
   i lavoratori, dipendenti della storica azienda, dopo essere rimasti indietro di 4 mensilità, si sono visti chiudere i battenti e non si vede ad oggi la possibilità di un loro riassorbimento nel medesimo settore;
   si parla di lavoratori altamente professionalizzati che rappresentano una vera eccellenza del settore, lavoratori con una anzianità tale che non consente una facile ricollocazione nel mercato –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per salvaguardare l'occupazione e le prospettive industriali della Sicc di Monsano. (4-08063)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   presso la ex Otefal di Bazzano, ci sono 170 lavoratori in mobilità;
   dopo quattro aste, essendo le prime tre andate deserte, una società appena costituita, tra la Feral Recycling di Chieti e la Vs Alluminium di Paganica, si è aggiudicata il lotto della Stirall, riservato allo «stiraggio» dell'alluminio;
   inoltre, gli spagnoli della Lux Perfil hanno presentato una nuova offerta al curatore fallimentare;
   con un investimento di 7 milioni di euro, il gruppo intende far ripartire la fabbrica, ricollocando, in base al piano industriale illustrato a suo tempo al sindaco, circa 130 operai;
   nel frattempo, ci si chiede che fine abbia fatto la cordata costituita tra la Feral Recycling di Chieti e la Vs Alluminium di Paganica, che il 26 novembre 2014 si è aggiudicata per 1 milione e 300 mila euro il lotto della Stirall, dove sarebbero dovute tornare al lavoro una ventina di persone;
   giustamente i sindacati chiedono chiarezza sul futuro dell'azienda: dopo il ritorno degli spagnoli, ci si chiede se faranno avanti altri compratori; tutto questo mentre si è ancora in attesa di sapere se l'unica società che ha partecipato alla quarta asta abbia concluso le procedure di acquisto del lotto. Infine, è necessario sapere se verrà indetta un'altra gara. I macchinari oggetto di leasing non sono di proprietà del fallimento. Durante la quarta asta, è stata messa in vendita solo una parte degli immobili, e senza ribasso. E la società che aveva fatto l'offerta non si è presentata direttamente –:
   se non ritengano necessario promuovere una iniziativa urgente con le parti sociali e gli enti locali e i potenziali acquirenti per cercare soluzioni produttive ed occupazionali. (4-08071)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è uno dei principali produttori di uova in Europa. In negozi e supermercati è quasi impossibile trovare uova fresche che provengano dall'estero. Eppure, secondo i dati Eurostat, ogni anno si importano oltre 50 milioni di tonnellate di uova e ovoprodotti solo dalla Polonia, quasi 20 milioni dalla Spagna, oltre 6 milioni dall'Olanda, 5,7 milioni dalla Romania, 3,7 dalla Francia, 3,2 dalla Slovacchia;
   per le uova fresche in guscio, grazie alla normativa europea sull'etichettatura, dal 2004 il timbro apposto su ogni singolo uovo indica: modalità di produzione (3 in gabbia, 2 a terra, 1 all'aperto, 0 biologiche), il paese di origine (IT per l'Italia) e persino il comune ed il codice dello stabilimento; anche sulle scatole è obbligatorio precisare a chiare lettere la modalità di allevamento;
   norme sull'etichettatura, tuttavia, non prevedono alcuna informazione sulle uova che si trovano nei prodotti: pasta all'uovo, biscotti, dolci, produzioni industriali e persino dentro tramezzini, pasta fresca e altri prodotti di bar e ristoranti che usano uova pastorizzate;
   i dati sull’import, l'assenza nei supermercati di uova a guscio provenienti dall'estero e la mancanza di disposizioni circa la provenienza delle uova negli alimenti che le contengono, portano a pensare che le uova importate siano utilizzate nella preparazione di prodotti contenenti uova;
   secondo Antonio Mengoni dell'azienda «Ovo Fresco San Martino», sono in tanti i marchi italiani che importano, perché oggi in Italia il costo delle uova arriva a 1,05 o 1,06 euro al chilo, mentre dall'estero si possono comprare con 90-95 centesimi al chilo. La pressione dei prezzi più bassi, oltre che indurre maggiore import di uova e minore competitività, può spingere i produttori a tagliare il più possibile i costi con ricadute negative sulla qualità dei prodotti o sul benessere animale, ad esempio con la tentazione di aumentare, dove possibile, la densità di animali nelle gabbie arricchite, oggi obbligatorie;
   dal 2012 ad oggi, insieme ai produttori storici come Francia, Italia, Spagna o Olanda, hanno fatto la loro ascesa sul panorama dell'Unione europea Paesi come la Polonia e la Romania, entrambi secondo i dati Assoavi tra i principali otto produttori europei. La maggiore competitività di questi Paesi è dovuta a vari fattori, tra cui il costo minore dei mangimi, essendo forti produttori di cereali, gli ingenti finanziamenti strutturali dell'Unione europea, il minor costo della manodopera e un sistema di permessi e controlli più blando;
   da settembre 2014, inoltre, una decisione comunitaria permette le importazioni nei Paesi comunitari al colosso ucraino Imperovo, un gigante da 23 milioni di galline distribuite in 19 allevamenti, senza l'obbligo di adeguarsi alla normativa sulle gabbie arricchite. Il gigante euroasiatico segue le sorti di Ovostar Union, altra azienda ucraina ammessa all’export verso l'Unione europea dal 2014. Si tratta dei primi passi di un accordo di libero scambio con il Paese ex sovietico, che entrerà a regime dal primo gennaio del 2016 –:
   se il Ministro interrogato, per quanto esposto in premessa e nell'ottica di una sempre maggiore informazione per i consumatori europei, non ritenga opportuno farsi promotore presso le competenti istituzioni europee, affinché si arricchisca l'attuale normativa sull'etichettatura inserendo l'obbligo di indicazione delle stesse informazioni previste per le uova in guscio, anche sui prodotti contenenti uova. (5-04790)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sabato 14 febbraio, il candidato sindaco al comune di Pomigliano d'Arco, Dario De Falco, si è recato in visita presso l'ENAM spa di Pomigliano, l'azienda comunale che si occupa della raccolta rifiuti;
   il candidato sindaco ha avvertito la necessità di visitare la sede di tale società dal momento che nella cittadina è noto il suo indebitamento che ha portato è in concordato preventivo fallimentare presso il tribunale di Nola;
   alle 12.30, orario di fine turno dei dipendenti, il candidato sindaco De Falco è entrato nel piazzale adibito a zona di parcheggio e deposito degli automezzi. Ha parlato con alcuni dipendenti dell'azienda ed ha potuto accertare lo stato di abbandono di autoveicoli, autocompattatori, pale meccaniche e attrezzature per il trattamento rifiuti. Tale visita è stata documentata con diverse fotografie pubblicate anche sul profilo del candidato sindaco sul social network Facebook;
   nella giornata di lunedì 16 febbraio, uno dei dipendenti con cui De Falco aveva scambiato qualche parola si è recato in azienda dopo il riposo domenicale e ha potuto constatare che in bacheca il suo nome non fosse più presente nell'ordine di servizio della raccolta differenziata; recatosi presso il responsabile per chiedere spiegazioni è stato trattato in malo modo e gli è stato risposto che sarebbe dovuto andare a spazzare le strade, mansione che non ha mai ricoperto;
   la motivazione di tale demansionamento sarebbe da ricondursi, anche secondo quanto riportato dalla stampa locale, al colloquio che il dipendente ha avuto con il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle;
   risulta di tutta evidenza come tale episodio sia di una gravità inaudita e si configuri come una pesantissima violazione della libertà di opinione e di espressione costituzionalmente e sindacalmente garantita –:
   se anche il Governo non ritenga che tali fatti siano gravissimi a tal punto da attivarsi doverosamente, per quanto di competenza e anche mediante l'esercizio dell'iniziativa normativa, affinché vicende come quella descritta in premessa non abbiano più a ripetersi. (4-08073)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, come riportato a mezzo stampa, si è appreso che il Governo intende destinare 48 milioni di euro per potenziare e sviluppare le attività fieristiche in Italia a supporto della crescita e della internazionalizzazione delle imprese;
   si tratta di promuovere incoming di operatori esteri, di organizzare eventi sui mercati stranieri a maggior potenziale di sviluppo, incontri di formazione e strumenti per facilitare l'incontro di domanda e offerta nel corso delle manifestazioni;
   tra i criteri da utilizzare per individuare gli eventi figurano la posizione di leadership occupata dalla fiera nello specifico segmento di mercato, riferita all'importanza che l'evento riveste a livello globale per gli operatori del settore, le potenzialità di prospettiva sul lungo periodo, le sinergie tra i poli fieristici e la possibilità di svolgere operazioni congiunte di filiera/settore all'estero;
   in Italia in questo piano ricadrebbero i seguenti eventi fieristici: 18 eventi a Milano, 5 a Bologna, 2 a Verona, 2 a Rimini e poi Roma, Firenze, Vicenza e Arezzo;
   è del tutto evidente che dall'elenco citato in premessa è assente il Mezzogiorno che anche se non in grado di rispettare in pieno i requisiti individuati, in particolare alla leadership per segmento di mercato, ha comunque spazi ed iniziative fieristiche di assoluto rilievo anche internazionale come, ad esempio, la Fiera del Levante;
   nel Mezzogiorno ed in Puglia vi sono importanti segmenti produttivi in cui c’è una leadership internazionale, come nel caso del settore aerospaziale, della meccanica elettronica, dell'agroalimentare, del mobile imbottito e del design tutti fattori produttivi che danno lustro al made in Italy che si vuol sostenere;
   negli ultimi giorni, in merito a questa esclusione, si registra una serie di dure prese di posizione da parte di diversi soggetti economici della Fiera del Levante e di importanti giornali come la Gazzetta del Mezzogiorno;
   sarebbe un errore non valorizzare le potenzialità presenti anche nel Mezzogiorno ed in particolare in riferimento alla Fiera del Levante –:
   se e quali iniziative il Governo, nell'ambito della promozione e del sostegno del made in Italy, intenda attivare per sostenere il sistema fieristico su tutto il territorio nazionale e quindi anche nel Mezzogiorno con particolare riferimento alla Fiera del Levante, che rappresenta la principale realtà fieristica del Sud e dell'area mediterranea consentendo di promuovere significative potenzialità industriali e produttive. (3-01313)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROMANINI e MAESTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 5 novembre 2015, nel corso dell'audizione presso la Commissione industria del Senato, l'amministratore delegato di Poste italiane, Francesco Caio, ha annunciato il piano di riorganizzazione dell'ente su tutto il territorio nazionale che prevede la chiusura, a decorrere dal 2015, di circa seicento sportelli di Poste italiane;
   l'amministratore delegato di Poste italiane nel corso della citata audizione ha comunque garantito che: «prossimità e presenza di copertura territoriale» restano elementi «funzionali» al piano che il gruppo «ha in mente»;
   diversi comuni sono stati raggiunti da una lettera in cui veniva comunicata la chiusura di alcuni sportelli postali presenti sul territorio: «Il suddetto intervento, – si legge nella lettera – predisposto in ottemperanza all'articolo 2, comma 6, del vigente Contratto di Programma 2009-2011, è determinato dalla necessità di adeguare l'offerta di Poste italiane all'effettiva domanda dei servizi postali nel territorio comunale»;
   nella provincia di Parma risultano:
    a) in chiusura gli uffici di: Pastorello (Langhirano); S. Vitale (Sala Baganza); Sivizzano (Fornovo); Basilicagoiano (Montechiarugolo); Coltaro (Sissa Trecasali); Costamezzana (Noceto); Gaiano (Collecchio); Mezzano superiore (Mezzani); Riccò (Fornovo); Torrile;
    b) in riduzione di orario quelli di Bore, Marzolara (Calestano), Pellegrino –:
   se intende assumere iniziative al fine di ottenere la rimodulazione del piano di riorganizzazione degli uffici e degli sportelli postali perseguendo una più attenta valutazione delle particolari situazioni locali e prestando attenzione anche agli aspetti sociali ed economici che gli stessi svolgono sul territorio. (5-04788)


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 28 novembre 2013, la Commissione X (attività produttive) ha approvato la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00027, a seguito dell'esame  delle risoluzioni 7-00115 (Benamati) e 7-00132 (Vallascas), in materia di riordino dell'Agenzia Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile);
   nello specifico, la risoluzione impegnava il Governo pro tempore a superare la fase commissariale, che all'epoca dell'approvazione del documento di indirizzo si protraeva ormai da circa quattro anni, e dare così all'organismo un assetto organizzativo improntato a criteri di efficacia ed efficienza, con una chiarezza nella definizione degli ambiti di competenza e dei compiti specifici;
   l'affidamento dell'Agenzia Enea a una struttura commissariale ha dovuto essere prorogata ripetutamente – così come veniva sottolineato nella risoluzione approvata – per effetto dei ritardi nell'adozione del decreto ministeriale, previsto dal comma 4 dell'articolo 37 della legge 29 luglio 2009, n. 99 (il cosiddetto «ddl sviluppo»), che avrebbe dovuto individuare «le specifiche funzioni, gli organi di amministrazione e di controllo, la sede, le modalità di costituzione e di funzionamento e le procedure per la definizione e l'attuazione dei programmi per l'assunzione e l'utilizzo del personale, nel rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto degli enti di ricerca e della normativa vigente, nonché per l'erogazione delle risorse dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea)»;
   in base alla legge di riorganizzazione strategica, il già citato articolo 37 della legge 29 luglio 2009, n. 99, l'Agenzia Enea ha compiti di eccezionale rilevanza nella promozione della ricerca e dell'innovazione tecnologica, nonché nella prestazione di servizi avanzati nei settori dell'energia, con particolare riguardo ai settori del nucleare e dello sviluppo economico sostenibile, tutti elementi che rafforzano il ruolo di Enea a supporto del decisore pubblico;
   l'Agenzia possiede competenze di alto livello in materia di ricerca scientifica e innovazione tecnologica, con particolare riguardo al sistema energetico nazionale, tanto da risultare uno dei principali centri di ricerca italiani e internazionali in materia di efficienza energetica;
   le competenze dell'organismo risultano strategiche e funzionali allo sviluppo del tessuto produttivo, con effetti determinanti su ammodernamento, competitività e crescita del Paese;
   questo ruolo acquista particolare rilevanza in relazione alle diverse scadenze e ai diversi adempimenti in materia di risparmio energetico decisi, con effetto sugli stati membri, dalle istituzioni europee;
   la prolungata fase di commissariamento dell'Agenzia sta producendo effetti negativi sull'operatività dell'organismo e sulla stessa salvaguardia delle risorse umane, con una progressiva riduzione dei ricercatori che vi operano che optano per istituti di ricerca nazionali e internazionali che offrono maggiori garanzie occupazionali e di crescita professionale;
   il sistema energetico, nella sua completezza, risulta essere sempre più complesso per la molteplicità degli interventi e degli organismi interessati e per l'impulso dato da ricerca e innovazione tecnologica, in materia di sfruttamento di fonti alternative e sviluppo di nuovi sistemi di produzione;
   questo stato di cose rafforza l'urgenza di definire struttura organizzativa, compiti e funzioni dell'Agenzia Enea, superando la fase commissariale che si sarebbe dovuta limitare alla gestione del periodo transizione e che, viceversa, a distanza di quattro anni, sta compromettendo l'operatività dell'istituto;
   la già citata risoluzione n. 8-00027, approvata in Commissione, al primo punto, impegnava il Governo «Nella consapevolezza dell'urgenza del riordino, a procedere celermente, possibilmente entro il 31 dicembre 2013, al superamento dell'attuale fase commissariale, finalizzando il suddetto riordino dell'Enea a criterio di efficacia ed efficienza»;
   nonostante sia trascorso oltre un anno dal termine indicato nella risoluzione e oltre quattro anni dall'approvazione della normativa di riorganizzazione strategica, la gestione commissariale dell'Agenzia Enea non è stata ancora superata –:
   se non ritenga opportuno dare seguito agli impegni contenuti nella risoluzione n. 8-00027, di cui in premessa in materia di riordino dell'Agenzia Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile);
   quale sia lo stato di elaborazione del decreto ministeriale di cui al comma 4 dell'articolo 37 della legge 29 luglio 2009, n. 99;
   se non ritenga opportuno accelerare i tempi di definizione, attraverso l'emanazione del decreto di cui al comma 4 dell'articolo 37 della legge 29 luglio 2009, n. 99, dell'assetto organizzativo, delle funzioni, delle competenze, nonché delle risorse funzionali alla piena operatività dell'Agenzia Enea. (5-04794)


   RUBINATO, NARDUOLO, CASELLATO, POLIDORI e MILANATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   Poste italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di Stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, tuttavia il piano di riorganizzazione previsto dall'azienda, che secondo fonti sindacali dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, prevederebbe, a livello nazionale la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   in data 22 gennaio 2014 il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rispondendo a specifica missiva del presidente dell'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna ha ricordato che con apposita delibera l'Autorità ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
   in tale missiva il Garante esplicita chiaramente come «i divieti di chiusura, è bene sottolinearlo, tutelano situazioni individuate in base a parametri oggettivi: la natura prevalentemente montana e la scarsità abitativa sono desunte da classificazioni ISTAT e da dati demografici»;
   la delibera AGCOM obbliga Poste italiane ad avviare con congruo anticipo con le istituzioni locali delle misure di razionalizzazione per avviare un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
   nonostante tale pronunciamento, si stanno diffondendo notizie di imminenti decisioni di chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia, causando quindi notevoli difficoltà e generando una diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela;
   con particolare riferimento al Veneto, la situazione è allarmante stando a quanto dichiarato sui media locali dal Sindacato dei lavoratori postali della Cisl, secondo cui sarebbero 50 gli uffici di cui è prevista la chiusura o la razionalizzazione con riduzione dell'orario di apertura a febbraio 2015, in aggiunta ai 50 già coinvolti a fine 2012, su poco più di 1.000 uffici in totale, con effetti pesanti che penalizzano utenti già disagiati, in quanto gli uffici interessati da chiusure e riduzione del personale riguardano frazioni di comuni rurali e montani (15 in provincia di Treviso, che è tra le province più colpite, 12 in provincia di Verona, 8 a Vicenza, 7 a Belluno e 4 a Rovigo); per altro verso è emblematico il caso dello sportello della frazione di San Pietro di Barbozza, nel comune di Valdobbiadene, che serve anche i cittadini delle frazioni di Guia e Santo Stefano, che non si comprende perché venga chiuso visto che non vi è in loco neppure uno sportello bancario nonostante la presenza di aziende operanti nel settore del prosecco;
   i disagi agli utenti sono altresì aggravati dalla costante riduzione di personale e dalla carenza di strumenti di lavoro tecnologicamente adeguati;
   questa decisione unilaterale di Poste italiane conferma l'orientamento portato avanti dalla, società negli ultimi anni, che insegue secondo gli interroganti una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», non considerando che rappresentano un punto di riferimento per i cittadini dei piccoli comuni;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa razionalizzazione rischia di tradursi in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti, su territori particolarmente disagiati –:
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per garantire il rispetto dei disposti stabiliti dall'Autorità garante delle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate, e conseguentemente per favorire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura degli uffici postali nei comuni più piccoli con particolare riferimento al Veneto, nonché come si intenda intervenire per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi ai cittadini-utenti che non vedono garantita l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste italiane spa e lo Stato. (5-04797)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARGERO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   RDB è stata una realtà industriale importante in Italia nella progettazione e produzione di materiali per l'edilizia, in particolare nei settori dei sistemi prefabbricati per attività industriali, commerciali, infrastrutturali e di logistica, dei mattoni faccia a vista e del nuovo sistema costruttivo con mattoni;
   il gruppo piacentino che contava 18 stabilimenti produttivi in tutta Italia (per oltre mille dipendenti), che era fortemente esposto con gli istituti di credito, ha visto con la crisi del settore delle costruzioni via via ridurre la propria attività, ma sono state soprattutto operazioni spericolate di «ingegneria finanziaria» con la quotazione in borsa e uno «spezzatino» della società a monte con la costituzione di una controllata attiva nell'immobiliare a pregiudicare la situazione della società;
   nel 2012 la società versava in stato di insolvenza e, per evitare la perdita del posto di lavoro per centinaia di lavoratori che sarebbe derivata da una dichiarazione di fallimento, è stata ammessa dal tribunale di Piacenza, dopo parere favorevole del Ministero dello sviluppo economico, all'amministrazione straordinaria;
   dopo che negli ultimi mesi si sono profilati possibili acquirenti senza mai giungere ad un'offerta conclusiva, il 13 febbraio il tribunale di Piacenza, a fronte di una situazione di permanente crisi, che non pareva trovare una soluzione, ha dichiarato il fallimento di RDB –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano intraprendere per trovare investitori, che consentano di non perdere totalmente la capacità industriale del gruppo e per garantire ai lavoratori di RDB la prosecuzione almeno ancora per un anno degli ammortizzatori sociali quali la cassa integrazione. (4-08052)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   la direttiva 97/67/CE del 15 dicembre 1997 inserisce le prestazioni postali tra i servizi di interesse di economia generale e stabilisce specifiche obbligazioni comunitarie per la tutela dei servizi universali a garanzia della piena efficienza a favore degli utenti, dando la possibilità al cittadino-utente non soddisfatto del servizio postale di appellarsi, in prima istanza, all'operatore postale responsabile; in seconda istanza, all'autorità nazionale competente e, da ultimo, alla Commissione europea;
   Poste Italiane riceve ingenti contributi da parte dello Stato per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, eppure il piano di riorganizzazione previsto dall'azienda, che dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile, prevede la chiusura di quasi 500 sportelli postali e la riduzione degli orari di apertura in diverse aree del territorio nazionale;
   il piano di rimodulazione presentato in questi giorni da Poste Italiane porterà alla chiusura di 19 uffici e alla riduzione degli orari di apertura di altri 35 nella regione Abruzzo a partire dai prossimi mesi, causando quindi notevoli difficoltà nella gestione operativa e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela;
   gli uffici che verranno chiusi sono: in provincia di Chieti quelli di San Giacomo di Scerni, Guastameroli, Altino, Chieti 5, in provincia di L'Aquila quelli di Aragno, Assergi, Bazzano, Cese di Preturo, Torrione di Sulmona, Civita di Oricola, in provincia di Pescara quelli di Piccianello e Roccafinadamo; in provincia di Teramo quelli di Cologna, Faraone, Montepagano, Mutignano, Poggio Morello, Rocche di Civitella e Treciminiere di Atri. Uffici definiti «diseconomici», spesso situati in piccoli comuni o in zone montane che già di per sé vivono situazioni più disagiate e dove l'ufficio postale riveste un punto di riferimento per la comunità;
   questa decisione unilaterale di Poste Italiane conferma ad avviso dell'interrogante l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni: inseguire una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, sacrificando le esigenze della collettività e venendo meno all'impegno assunto di sviluppare sinergie sempre più efficaci con il sistema dei comuni instaurando un dialogo volto o individuare soluzioni compatibili con i bisogni della popolazione;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per favorire una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura dei 19 uffici postali abruzzesi;
   come il Ministro intenda intervenire per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste Italiane spa arrechino disagi agli abitanti della regione Abruzzo e quali iniziative intenda assumere per garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste Italiane spa e lo Stato. (4-08053)


   FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   Poste Italiane riceve ingenti contributi da parte dello Stato per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, eppure il piano di riorganizzazione previsto dall'azienda, che dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile, prevede, in regione Friuli Venezia Giulia, la chiusura di 19 sportelli postali;
   il 70 per cento dei tagli interesserà la provincia di Udine dove saranno coinvolti gli uffici di Campeglio di Faedis, Carpacco di Dignano, Ciconicco, Cisterna di Coseano, Goricizza e Pozzo (Codroipo), Ipplis, Lavariano, Ospedaletto di Gemona, Percoto, Perteole, Rodeano Basso, Terzo di Tolmezzo e Torreano di Martignacco;
   gli uffici postali nelle piccole realtà, soprattutto montane, che vivono condizioni generali di servizio già di per sé disagiate, rappresentano un punto di riferimento e la loro chiusura diventa un problema per tutta la comunità contribuendo ai depotenziamento del territorio e allo spopolamento dei piccoli comuni;
   le gravi conseguenze di questa decisione unilaterale di Poste Italiane sono evidenti per gli amministratori locali, che stanno cercando delle alternative per scongiurare la chiusura degli uffici, fra cui quella di offrire gratuitamente la locazione delle strutture, ma non sono altrettanto evidenti per la società che conferma invece la volontà di inseguire una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici»;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti. Per questi disagi, sono numerosi i clienti che in questi giorni stanno chiudendo i propri conti correnti postali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per favorire una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura degli uffici postali nei comuni della regione Friuli Venezia Giulia e come il Ministro intenda intervenire per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste Italiane spa arrechino disagi ai cittadini-utenti che non vedono garantita l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste Italiane a e lo Stato. (4-08055)


   NICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il scorso 22 dicembre 2014 la società Siena Biotech, che è un importante centro di ricerca biomedica sulle malattie rare, è stata messa in liquidazione dal nuovo Presidente della Fondazione Monte dei Paschi Clarich, il 6 febbraio l'azienda ha iniziato la procedura di licenziamento collettivo dei 47 lavoratori;
   i lavoratori si sono sentiti traditi dalla proprietà, la Fondazione Monte dei Paschi, che aveva più volte rassicurato a mezzo stampa i lavoratori sulla positiva soluzione della crisi aziendale;
   i lavoratori, per il loro inquadramento, non hanno accesso alla mobilità ma soltanto alla disoccupazione;
   nel mese di maggio 2014 era stato approvato un piano di risanamento, attentamente vagliato, che prevedeva di raggiungere l'autosufficienza in due anni;
   questo piano, attentamente vagliato meno di un anno fa, ora viene ritenuto giuridicamente incompatibile con i fini istituzionali della Fondazione Mps;
   Siena Biotech ha alcuni progetti già finanziati da portare avanti e numerosi «asset» di ricerca;
   l'azienda attraverso i suoi dipendenti ha stretto accordi di collaborazione nazionali internazionali che sono ora messi a rischio;
   Novartis, leader nel settore farmaceutico, ha chiesto i laboratori in affitto, garantendo così delle entrate aggiuntive;
   il centro ricerche, in strada del Petriccio, è stato costruito dalla società immobiliare Sansedoni, controllata a sua volta dalla Fondazione Mps e rivenduto a Siena Biotech con un mutuo contratto con banca Mps;
   questo pesante mutuo, di cui i lavoratori chiedono di verificare la congruità, ha gravato dal 2008 sui bilanci dell'azienda tanto da diventare una delle principali cause delle difficoltà economiche dell'azienda stessa;
   la società immobiliare Sansedoni, con ripetuti bilanci in rosso non viene toccata dalla ristrutturazione in corso all'interno della galassia Mps;
   nel programma della regione Toscana c’è la creazione di una «Pharma & Devices Valley» e in questa direzione l'azienda Siena Biotech è un polo importante;
   la regione Toscana ha garantito di destinare 3 milioni di euro che potrebbero diventare uno stanziamento stabile e questo finanziamento potrebbe consentire a Toscana Life Sciences di affittare l'immobile di Siena Biotech con l'obiettivo anche di attrarre altre aziende utili ad assorbire il personale specializzato;
   i lavoratori stanno intensificando i loro incontri con le rappresentanze politiche ed istituzionali locali e regionali;
   i lavoratori hanno promosso manifestazioni di protesta appendendo i propri camici alle finestre ed hanno chiesto un incontro con il liquidatore fallimentare nominato dalla Fondazione Mps, ad oggi senza risposta;
   la vendita di Siena Biotech potrebbe seriamente inficiare le ricerche sulle malattie rare, in cui l'azienda è leader fra le quali la ricerca decennale sul morbo di Huntington dal quale sono affetti circa 6 mila italiani (100 mila in Europa), e di cui ad oggi non si conosce cura –:
   se il Governo non ritenga urgente la convocazione di un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico con la proprietà Fondazione MPS, al fine di trovare sbocchi e soluzioni alla vicenda di Siena Biotech;
   se non ritenga urgente incontrare i lavoratori e i rappresentanti della regione Toscana per offrire un sostegno all'ingresso della Fondazione Toscana Life Sciences;
   quale iniziative intenda intraprendere per salvaguardare i posti di lavoro e le importanti reti di relazioni scientifiche costruite da Siena Bioetch e dai suoi ricercatori;
   cosa intenda fare per scongiurare la perdita del prezioso lavoro di ricerca sulle malattie rare che Siena Biotech conduce da anni, in particolare per la ricerca sul morbo di Huntington, posto che la chiusura della azienda significherebbe la morte delle speranze di migliaia di malati. (4-08059)


   GAGNARLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio universale postale garantisce a tutti i cittadini la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, indipendentemente da fattori come il reddito o la collocazione geografica. In Italia il servizio universale postale è affidato a Poste italiane fino al 2026, in mancanza di un altro operatore che possa offrire un servizio concorrenziale. Sull'affidamento il Ministero dello sviluppo economico effettua, ogni 5 anni, una verifica sulla base di un'analisi dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
   il servizio comprende: la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi, i servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii assicurati, la «posta massiva». Il fornitore del servizio, inoltre, garantisce per almeno 5 giorni a settimana una raccolta ed una distribuzione al domicilio di ogni persona (fisica o giuridica), salvo deroghe stabilite dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e notificate alla Commissione europea;
   l'onere per la fornitura del servizio universale è finanziato dal bilancio dello Stato e da un apposito fondo di compensazione, cui contribuiscono gli operatori postali;
   Poste italiane ha recentemente annunciato un nuovo piano di rimodulazione che – a suo giudizio – adegua l'offerta all'effettiva domanda sul territorio, tenendo fermo il principio della centralità del cittadino e della massima attenzione per le sue esigenze;
   il piano di Poste italiane porterà alla chiusura di diversi uffici postali. Si parla di 400 uffici chiusi entro il 2015 e 600 razionalizzati. In regione Toscana, di provenienza dell'interrogante, il piano comporterà, dal prossimo 13 aprile, la chiusura di ulteriori 63 uffici postali e la riduzione del servizio in altri 37, spesso presidi essenziali per tanta parte della popolazione, soprattutto per chi abita lontano dai grandi centri, a distanza di pochi anni dall'intesa dei 2012 che provocò la chiusura di ben 74 uffici;
   in provincia di Arezzo, di provenienza dell'interrogante, si prevedono 9 uffici interessati dai tagli, con 4 chiusure definitive: Campogialli (Terranuova Bracciolini), Pieve a Presciano (Pergine), Malato Valdarno (Cavriglia), Marcatale Valdarno (Bugine) e 5 riduzioni d'orario: Badia Prataglia (Poppi), Caprese Michelangelo, Marcatale (Cortona), Montemignaio, Chiusi della Verna;
   Poste italiane, per giunta, ha denunciato nel 2013 un attivo netto di oltre un miliardo di euro che lascia intendere non si tratti di un ente in difficoltà, bensì perfettamente in grado di continuare a assicurare un servizio sociale di carattere universalistico;
   da molte parti si sono sollevate proteste contro il nuovo piano di Poste italiane: in Toscana il dibattito è stato aperto da Uncem (Unione dei comuni montani) che ha dichiarato che in montagna non si accetteranno ulteriori tagli di uffici postali, annunciando mobilitazioni seguita, poi da Anci Toscana e della regione;
   dietro le numerose sollecitazioni ricevute il sottosegretario allo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, ha recentemente incontrato l'amministratore delegato di Poste italiane, Francesco Caio. Le agenzie riportano alcune dichiarazioni di Di Caio che pare potrebbe avviare tavoli di concertazione con le regioni e sia disposto a spiegare a tutti i territori i servizi previsti a fronte della chiusura degli uffici –:
   se non ritenga necessario, a fronte delle numerose perplessità circa la riduzione dei servizi postali su tutto il territorio nazionale, ed in particolare in Toscana, rendere noto il contenuto dell'incontro tra Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane;
   se sia stato verificato e possa essere reso noto che il piano di razionalizzazione di Poste italiane non leda in alcun punto il servizio di pubblica utilità che Poste italiane spa si è impegnata a corrispondere fino al 2026. (4-08062)


   L'ABBATE, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato, pronunciandosi sul funzionamento inefficiente delle borse merci camerali, sia nel settore cunicolo (parere n. AS850 del 29 aprile 2011) sia nel riso (parere n. AS1167 del 13 gennaio 2015), ha ritenuto i loro regolamenti non più compatibili con le norme sulla concorrenza;
   attraverso questi pareri, l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha dichiarato che le modalità di gestione e di governo delle commissioni camerali facilitano il coordinamento tra gli operatori dell'industria di trasformazione, specie quando questa risulta caratterizzata da un assetto stabilmente oligopolistico e da un elevato potere contrattuale nei confronti dei produttori di materia prima;
   a seguito del parere, nel settore cunicolo alcune commissioni hanno cessato la loro attività, alcune l'hanno solo sospesa, altre ancora l'hanno avviata, ignorando il medesimo parere. Infatti, la commissione borsa merci di Padova, con un anno di ritardo, ha cessato la sua attività di rilevazione prezzi, mentre la commissione borsa merci di Verona ha sospeso momentaneamente le sue rilevazioni, con due anni di ritardo. Al contempo, hanno ripreso la loro attività sia la borsa merci di Treviso sia quella di Milano;
   l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha osservato che la coesistenza a tutt'oggi di diverse piazze fisiche locali, ciascuna delle quali tratta volumi modesti con quotazioni fissate in ambito locale, appare un ostacolo al corretto svolgimento del processo concorrenziale, specie quando già esiste una nuova regolamentazione nazionale come quella della Commissione unica nazionale Cun-Conigli, condivisa da tutti gli operatori del settore;
   in data 1o aprile 2014, è stata approvata in Commissione agricoltura la risoluzione conclusiva di dibattito 8/00048, a prima firma della deputata Chiara Gagnarli (M5S), con cui veniva impegnato il Governo, tra le altre cose, «ad adottare le opportune iniziative di competenza al fine di pervenire alla cessazione dell'attività di accertamento dei prezzi svolta dalla Commissione conigli della Borsa merci di Verona, dopo quella di Padova, affinché possa essere valorizzata l'attività svolta a livello nazionale dalla CUN e siano evitate duplicazioni in sede locale, in linea con le osservazioni espresse dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato» e «a valutare le opportune iniziative per garantire un processo di miglioramento del regolamento istitutivo della Commissione unica nazionale (CUN), affinché sia informato in maniera più dettagliata a principi di trasparenza e neutralità» –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per giungere alla definitiva chiusura delle borse merci locali per il settore cunicolo e quali motivazioni siano alla base del ritardo nel dar corso agli impegni approvati alla Camera dei deputati. (4-08072)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con delibera 86/2013/R/IDR del 28 febbraio 2013, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas, il sistema idrico, ha deciso che ha partire dal 1o gennaio 2014 i soggetti che gestiscono l'erogazione dell'acqua possono addebitare a tutte le utenze domestiche un deposito cauzionale per il servizio idrico integrato, pari a 3 mensilità del consumo storico di quella utenza e che questi depositi possono essere addebitati con un minimo di rateizzazione in 2 rate;
   ne può essere richiesto il pagamento a tutte le utenze domestiche, di vecchia e nuova costituzione, tranne gli utenti che hanno le bollette accreditate su conto corrente o carta di credito con un consumo inferiore ai 500 metri cubi all'anno, e verso quelle utenze che sono sottoposte a tutela sociale per ragioni di bisogno economico;
   il consumo domestico medio di una famiglia Italiana di 3 persone è pari a 200 metri cubi l'anno secondo Altroconsumo o di 180 metri cubi l'anno per il Censis;
   si è stabilito di ripartire il rischio morosità sui cittadini perché lo si considera un «costo» dell'erogazione del servizio idrico come lo sono le tubazioni e gli impianti di depurazioni, e quindi soggetto ad essere inserito nelle bollette, a carico dell'universalità dei fruitori del servizio;
   la scelta di far ricadere il rischio morosità in modo preventivo sull'universalità dei beneficiari del servizio, a prescindere dalla loro effettiva personale situazione pagatoria, presenta alcune criticità:
    non si capisce, infatti, il nesso fra l'esenzione dal pagamento per chi ha la bolletta accreditata in banca e chi no; la banca, infatti, in mancanza di credito disponibile sul conto corrente non procede al pagamento, pertanto non vi è alcuna certezza aggiuntiva del pagamento nella domiciliazione bancaria delle utenze;
    la volontà di non gravare con il deposito cauzionale su coloro che utilizzano l'acqua esclusivamente per un consumo domestico personale (cioè non per la piscina o per il giardino) prevista dall'esenzione per i soggetti sotto i 500 metri cubi l'anno di consumo, viene vanificata proprio nei confronti dei soggetti più deboli (anziani o persone in difficoltà economica) che per cultura o per ragioni economiche non hanno o non utilizzano carte di credito e conti correnti;
    il prelievo preventivo presso tutti i cittadini di un possibile costo morosità avviene in riferimento ad un evento che potrebbe anche non verificarsi mai;
   la mancata esenzione per coloro che, anche in presenza di un consumo minimo (sotto i 500 metri cubi l'anno), che non vengono esentati dal pagamento del deposito cauzionale in quanto «colpevoli» di non avere un conto corrente o una carta di credito sui quali domiciliare la bolletta, rappresenta ad avviso dell'interrogante una palese ingiustizia, nei confronti dei soggetti più deboli, che nei fatti vanifica in parte lo scopo della soglia dei 500 metri cubi come area di non applicazione del deposito cauzionale;
   l'articolo 2, comma 12, lettera h) della legge 481 del 1995, stabilisce che l'Autorità emana le direttive concernenti la produzione e l'erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi, definendo in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all'utente, sentiti i soggetti esercenti il servizio e i rappresentanti degli utenti e dei consumatori, eventualmente differenziandoli per settore e tipo di prestazione;
   l'articolo 2, comma 37, della legge 481 del 1995 prevede che le determinazioni dell'Autorità di cui al comma 12, lettera h), costituiscono modifica integrazione del regolamento di servizio predisposto dal soggetto esercente il servizio;
   l'articolo 21, commi 13 e 19, del decreto-legge 201 del 2011 ha trasferito all'Autorità «le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici», precisando che tali funzioni «vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all'Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481» sopprimendo contestualmente l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua;
   l'articolo 2, comma 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 precisa le finalità che la regolazione del servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono, compresi i servizi di captazione e adduzione a usi multipli e i servizi di depurazione a usi misti civili e industriali deve perseguire, tra cui la tutela dei diritti e degli interessi degli utenti e la gestione dei servizi idrici in condizioni di efficienza e di equilibrio economico e finanziario;
   l'articolo 3, comma 1, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 descrive puntualmente le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici trasferite ex lege all'Autorità –:
   alla luce di quanto sopra illustrato, se non ritenga di dover assumere le opportune iniziative, al fine di modificare l'articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 che stabilisce i poteri dell'Autorità in merito alla definizione delle tariffe del servizio idrico, eventualmente integrandole con delle linee guida che assicurino adeguate tutele ai soggetti più deboli richiamati in premessa, e quali ulteriori iniziative, anche normative, intenda assumere per rispondere alle criticità sopra illustrate. (4-08077)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Sgambato e altri n. 5-04750, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Costantino n. 2-00848 del 17 febbraio 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Rubinato e altri n. 4-07999 del 17 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04797.