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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 19 febbraio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e XII,
   premesso che:
    il Regolamento riguardante la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2011 n. 159, in vigore dall'8 febbraio 2014, adottato in attuazione dell'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (noto come decreto salva Italia), stabilisce che anche le provvidenze assistenziali, di qualsiasi natura, rientrino tra le voci di reddito da lavoro;
    in precedenza queste provvidenze, nel rispetto dell'articolo 38 della Costituzione, non rientravano tra tali voci reddituali;
    la nuova normativa, ha quindi, introdotto il principio secondo cui un soggetto destinatario delle provvidenze assistenziali, come pensioni sociali o di invalidità, vedrà innalzarsi la propria fascia reddituale;
    dunque, da un lato lo Stato interviene per compensare situazioni di indigenza o di inabilità e, dall'altro computa questi interventi all'interno dell'indicatore della situazione reddituale, base per il calcolo dell'ISEE;
    lo Stato, pertanto, si trova nell'imbarazzante posizione di dover riconoscere come voce di reddito e, quindi, di ricchezza le indennità che esso stesso corrisponde ai beneficiari sulla base di un'effettiva condizione di svantaggio e che mirano al superamento di tale condizione, così come recita l'articolo 3 della Costituzione: un paradosso a cui si è successivamente cercato di porre rimedio attraverso la previsione di apposite franchigie;
    al di sopra delle soglie di copertura previste dalle franchigie e per determinate fasce di disabilità, i soggetti destinatari delle provvidenze dovranno pagare tali erogazioni assistenziali;
    l'effetto che ne deriva è quello di una regolamentazione che i firmatari del presente atto di indirizzo appare contraria, oltre che al rispetto della persona, dei suoi diritti e della sua dignità, anche a ogni spirito di semplificazione amministrativa, basata su un farraginoso meccanismo di ipotetiche franchigie e detrazioni, che non assicura neanche la necessaria aderenza tra le reali condizioni del dichiarante e il calcolo finale dell'ISEE;
    un risultato questo che viene prodotto a seguito di una normativa che necessita di un'urgente modifica, così come sollecitato dalla società civile e riconosciuto da diversi schieramenti politici, dalla quale possa derivare una riforma scevra da pericolose contraddizioni;
    una palese iniquità alla quale si potrebbe ovviare intervenendo sul citato articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 che aveva previsto che il Governo procedesse alla nuova regolamentazione dell'ISEE;
    indispensabile è correggere un'altrimenti palese deviazione dal percorso che lo Stato intende percorrere, proprio in questi anni in cui è ufficialmente stato adottato il Piano d'azione biennale sulla disabilità che si propone obiettivi ambiziosi che possono cambiare l'assetto socio-culturale del Paese, in sintonia con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall'Italia già nel 2009 (legge n. 18 del 2009);
    dunque, il nuovo ISEE 2015 (indicatore di situazione economica equivalente), entrato in vigore il 1o gennaio 2015, così come formulato, non va bene, perché l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 è illegittimo e deve essere modificato, perlomeno nella parte in cui prevede che nel reddito complessivo siano conteggiate anche le indennità e le pensioni percepite dai soggetti disabili;
    la questione in causa è stata sollevata anche dalle associazioni dei disabili che erano ricorse lo scorso aprile 2014 al TAR Lazio contro la presidenza del Consiglio dei ministri, il quale ha riconosciuto con le sentenze nn. 2454/15 — 2458/15- 2459/15, le loro ragioni;
    le associazioni in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., avevano proposto determinate tesi con il ricorso contro il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013 n. 159 «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE)» pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2014 n. 19;
    ricorsi che il TAR ha accolto per la parte relativa all'illegittimità del regolamento dell'Indicatore in cui considera come «reddito disponibile» anche quei proventi «che l'ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie»;
    ed infatti, a sostegno di quanto innanzi detto, nelle sentenze succitate emesse dal tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione prima), ai ricorsi presentati da associazioni di categoria e dai familiari dei disabili conviventi, si legge: «Un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 5 decreto-legge citato rispetto agli articoli 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di «... adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale... valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero...» debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF»;
    pertanto «Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva «ricchezza». Con la disposizione di cui all'articolo 4, comma 2, lettera f), decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato, invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che «Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti... f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);», vale a dire nel reddito complessivo IRPEF. Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti «assistenziali, previdenziali e indennitari» comporta indubbiamente che nella definizione di «reddito disponibile» di cui all'articolo 5 decreto-legge citato, sono stati considerati tutti i proventi che l'ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie»;
    ebbene, continua la sentenza: «Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di «reddito», che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di «disabilità», quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex II. nn. 210/92 e 229/05. Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire «reddito» in senso lato né possono essere comprensive della nozione di «reddito disponibile» di cui all'articolo 5 decreto-legge citato, che proprio ai fini di revisione dell'ISEE e della tutela della «disabilità», è stato adottato. Né può convenirsi con l'osservazione secondo cui tale estensione della nozione di «reddito disponibile» sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall'introduzione nello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l'indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina»;
    pertanto conclude il Tar: «Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso articolo, 4 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano idonee a mitigare l'ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata «disabilità». Alla luce di quanto detto, quindi, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato articolo 4, comma 2, lettera f), una nozione di «reddito disponibile» eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la «ratio» dell'articolo 5 decreto-legge citato. L'Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell'esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF»;
    purtroppo, le ultime informazioni del Governo su una riforma annunciata a gran voce ma in pratica ancora non esistente, risalgono allo scorso luglio 2014, quando Governo e maggioranza si sono rifiutati in più di una occasione di eliminare dal calcolo dell'ISEE le provvidenze assistenziali riconosciute dallo Stato e che non possono essere considerate come voci di reddito;
    inoltre, secondo quanto aveva detto il sottosegretario Franca Biondelli, in risposta alla nostra interpellanza, dovevano ancora reperire le risorse umane e finanziarie per riprendere il lavoro, dunque, pare, fossero risultate erronee le dichiarazioni di Cottarelli riguardanti una riduzione delle indennità di accompagnamento;
    fatto sta che ad oggi non sono state prodotte ancora le promesse simulazioni di applicazione che avrebbero dovuto dissipare le preoccupazioni per il nuovo calcolo dell'ISEE, nonostante il nuovo ISEE sia già in vigore dal primo gennaio 2015,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a modificare l'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, escludendo le provvidenze assistenziali di qualsiasi natura dei redditi rilevati ai fini del calcolo del nuovo ISEE;
   a prevedere, a decorrere dal 1o marzo 2015, che all'onere derivante dall'attuazione della disposizione citata si faccia fronte destinando una quota pari allo 0,5 per cento del totale delle somme giocate con riferimento al settore dei giochi pubblici disciplinato dal comma 6 dell'articolo 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, e dall'articolo 24 della legge 7 luglio 2009, n. 88, nonché al settore dei giochi di cui al decreto del direttore generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato – Ministero dell'economia e delle finanze del 10 gennaio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 febbraio 2011.
(7-00608) «Di Vita, Cancelleri, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero, Grillo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la filiera agroalimentare riunisce una varietà di operatori: agricoltori, trasformatori, commercianti, grossisti, dettaglianti e grande distribuzione che vi operano in un sistema di relazioni fortemente asimmetrico dove la posizione dei produttori, agricoltori e allevatori, è tradizionalmente più debole di quella degli acquirenti, industrie di trasformazione e distributori, anche per la possibilità che hanno quest'ultimi di differenziare il prodotto e per il minor grado di concentrazione del settore agricolo rispetto a quelli a valle della filiera; tale asimmetria amplia la sproporzione tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo e favorisce pratiche commerciali sleali;
    alla luce di tali crescenti squilibri contrattuali e dell'ineguale potere negoziale tra i soggetti della filiera agroalimentare, nonché di una politica agricola comune sempre più orientata al mercato, è indispensabile promuovere e potenziare, così come disposto dalla nuova normativa comunitaria sull'OCM unica, il Regolamento (UE) 1308/2013, le aggregazioni tra produttori e quelle tra gli operatori di filiera al fine di stabilizzare i prezzi, incentivare la produzione, gestire le crisi e migliorare la competitività del settore;
    le organizzazioni di produttori (OP) riconosciute operanti in Italia riguardano per la gran parte il settore ortofrutticolo, oltre 300 secondo recenti dati del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, e solo 195 per gli altri settori, dato che dimostra la scarsa adesione a tale strumento da parte delle aziende agricole;
    a parte alcune criticità superabili, quali gli eccessivi costi di gestione soprattutto per quelle organizzazioni di produttori che beneficiano di un contributo comunitario e che hanno privilegiato il management rispetto alla realizzazione di programmi per il miglioramento della produzione e della commercializzazione, i vantaggi delle organizzazioni di produttori sono significativi: la concentrazione dell'offerta, che permette di esprimere un potere oligopolistico in grado di contrastare quello degli acquirenti; il conseguimento di una massa critica di prodotto che consente di gestire il marketing mix della produzione aggregata in modo da valorizzare, qualificare e segmentare il prodotto stesso; la collaborazione tra le imprese che si traduce nella creazione di un notevole volume di affari tale da rendere possibili investimenti in ricerca e sviluppo e di internazionalizzare le innovazioni di processo e di prodotto;
    diversamente dalle organizzazioni di produttori, le organizzazioni interprofessionali (OI) raggruppano intere sezioni o anche la totalità della filiera: produttori, trasformatori, distributori e dettaglianti al fine di integrare tutti i protagonisti della catena produttiva svolgendo un ruolo chiave nella facilitazione delle relazioni, nella trasparenza del mercato e nella individuazione di migliori pratiche; in Italia solo nel settore ortofrutticolo si registra una esperienza significativa di organizzazioni interprofessionali mentre non hanno dato significativi risultati i tentativi di costituzione di una organizzazione interprofessionale nei settori dell'olio di oliva, del comparto cerealicolo e in quello delle carni bovine e sarebbe pertanto utile individuare le vere ragioni della scarsa diffusione di tale strumento al fine di individuare le modalità ottimali per incentivarne l'utilizzo da parte degli operatori della filiera;
    in considerazione della necessità di assicurare la trasparenza nelle relazioni contrattuali e nei processi di formazione dei prezzi alla produzione, ancora basati su logiche di decentramento delle contrattazioni non più compatibili con i principi della concorrenza e viste le positive esperienze realizzate in alcuni comparti con la costituzione delle commissioni uniche nazionali, sarebbe utile valutare la possibilità, da parte dei soggetti delle filiere più rappresentative del comparto agroalimentare, di costituire organizzazioni interprofessionali per la determinazione delle indicazioni di prezzo da adottarsi nei contratti di compravendita e di cessione stipulati ai sensi della vigente normativa;
    al fine di incentivare la costituzione di organizzazioni interprofessionali il citato Regolamento (UE) 1308/2013 prevede che gli Stati membri possano riconoscere, in determinati settori, le organizzazioni interprofessionali che, tra le altre condizioni, comprovino una sufficiente rappresentatività e perseguano una finalità specifica; è infatti indispensabile, come sopra evidenziato, che gli operatori della filiera agroalimentare si costituiscano in Organizzazioni non soltanto per riequilibrare i rapporti di forza tra i vari segmenti con positivi riscontri sulla stabilizzazione dei prezzi al consumo ma anche per condividere strategie e politiche di marketing volte al miglioramento della produzione e della commercializzazione,

impegna il Governo:

   ad attivare ogni utile iniziativa, anche in collaborazione con le associazioni di categoria, volta a diffondere la conoscenza e il funzionamento degli strumenti di aggregazione di cui in premessa, segnatamente delle organizzazioni interprofessionali;
   a promuovere e sostenere progetti di costituzione di organizzazioni interprofessionali che adottino metodi di definizione dei prezzi volti a superare i meccanismi discrezionali delle attuali borse merci, sulla base delle procedure già applicate dalla Commissione unica nazionale del settore cunicolo;
   ai fini del riconoscimento delle organizzazioni di produttori, a stabilire il vincolo della continuità territoriale; un valore minimo di conferimento da parte degli aderenti non inferiore al 50 per cento del prodotto, un numero di produttori non inferiore a tre ed uno standard qualitativo del prodotto conferito;
   una percentuale minima del valore del conferimento destinata alle attività di promozione;
   ad assumere iniziative normative per attribuire al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali la competenza al riconoscimento delle organizzazioni di produttori di carattere interregionale e delle Associazioni di organizzazioni di produttori.
(7-00605) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    dall'inizio della crisi economica in corso in Italia è stata chiusa una stalla su cinque, con la perdita silenziosa di 32 mila posti di lavoro e il rischio concreto della scomparsa del latte e dei prestigiosi formaggi italiani con effetti drammatici anche sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale;
    gli allevatori italiani si sentono giustamente sotto attacco a causa della riduzione del valore di scambio del latte e degli altri prodotti senza alcun beneficio per i consumatori, e del perdurante fenomeno del commercio di latte e formaggi provenienti da altre realtà produttive contrabbandati per prodotti italiani;
    in Italia le poco più di 36.000 stalle sopravvissute hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte mentre si sono importati circa 86 milioni di quintali di latte (per ogni milione di quintale di latte importato in più scompaiono 17 mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura in Italia), e la situazione rischia di precipitare nel 2015 con un prezzo riconosciuto agli allevatori che non copre neanche i costi di produzione e spinge verso la chiusura altre migliaia di allevamenti;
    oltre a questa concorrenza sleale alla quale sono soggetti, gli allevatori italiani, vedono ulteriormente ridotti i propri ricavi per il fatto che l'Italia è il Paese dell'Unione europea in cui l'energia elettrica, il gasolio, le imposte e le tasse, gli alimenti e i medicinali hanno il costo più elevato a livello europeo (dati Istat e Università di Agraria di Bologna 2014) oltre agli oneri burocratici e ad una pedissequa applicazione della normativa di settore, spesso imposta senza una particolare attenzione verso gli operatori del settore e i consumatori tanto che e sembra abbia il mero fine di rendere ogni giorno più difficile;
    vi è un impatto negativo anche con riferimento alla sicurezza alimentare, visto che nell'ultimo anno le cosiddette cagliate importate dall'estero hanno addirittura superato il milione di quintali, rappresentando ora circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte pari, al 10 per cento dell'intera produzione italiana, situazione che sta diventando sempre più seria e pericolosa; pericolosa dal punto di vista salutare, poiché la disciplina ed i controlli che incombono sui produttori esteri non sono assimilabili a quelli italiani (Romania, Ungheria, Lettonia hanno regolamentazioni simili a quelle italiane dei primi anni ’50) ed è inoltre pericolosa anche perché economicamente permette di importare latte per qualsiasi uso a costi nettamente inferiori;
    si rileva la costante presenza di prelavorati industriali provenienti soprattutto dall'Est Europa, che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità, che, dall'inizio della crisi nel 2007 ad oggi sono aumentati in valore del 23 per cento (dati del commercio estero nei primi dieci mesi del 2014);
    altro tasto dolente è la problematica delle quote latte e relative multe che lo Stato italiano ha pagato in questi anni, creando una forte disparità fra aziende che le hanno regolarmente pagate, e aziende che invece, hanno continuato a vendere senza versare un euro;
    da aprile 2015 il regime delle «quote latte» verrà superato: un fatto che viene da più parti considerato rivoluzionario per un settore caratterizzato da oltre un trentennio da una forte regolamentazione produttiva; con esso le quote, decise in origine per mantenere una politica di sostegno al settore evitando sovrapproduzioni, hanno cristallizzato, dalla fine degli anni ’80, le produzioni nazionali provocando forti squilibri tra i diversi Paesi; in Italia questa regolamentazione ha prodotto errori di gestione, conseguenti indagini della magistratura, multe salatissime da pagare alle casse comunitarie e problemi non ancora del tutto superati;
    l'eliminazione del regime delle quote giunge in un momento difficile per il settore, con una tendenziale crescita dei consumi, soprattutto di formaggi e prodotti caseari, specie nei nuovi mercati, accompagnata da una sensibile volatilità dei prezzi;
    in Europa si prevede una crescita delle produzioni (poco meno del 2 per cento all'anno), che toccheranno nel 2020 i 150 milioni di tonnellate di latte, ma con forti squilibri tra i Paesi produttori e con il rischio di un forte aumento della competitività e una crescita concentrata principalmente nel Nord Europa;
    l'Italia è stata multata negli anni per non aver rispettato i contingenti di produzione e che le sanzioni non sono state mai saldate dagli allevatori come, invece, è richiesto dall'Unione europea, che ha utilizzato un meccanismo che più volte ha penalizzato gli allevatori virtuosi che hanno sempre rispettato la quota di produzione, favorendo chi ha venduto di più;
    ad ottobre del 2014 dovevano essere inviati i bollettini per le multe, avendo l'Unione europea in estate deciso di andare avanti con la procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, chiedendo di recuperare dai produttori di latte «splafonatori» multe per 1,395 miliardi, per superamento delle quote di produzione assegnate tra il 1995 e il 2009 e che a fine agosto l'Agenzia delle entrate ha approvato il «modulo» per le cartelle di pagamento da consegnare a ogni allevatore multato, stabilendo che la notifica e la riscossione coattiva spettasse all'Agea avvalendosi della Guardia di finanza mentre ad oggi il recupero non risulta attuato nonostante sia necessario operare affinché questa situazione sia regolarizzata in modo che tutti gli allevatori operino in condizione di pari competitività;
    difendere la produzione del latte italiano significa difendere un sistema che garantisce non solo 180 mila posti di lavoro, ma anche una ricchezza economica di 28 miliardi di euro, pari al 10 per cento dell'agroalimentare italiano;
    la chiusura di una stalla non significa solo perdita di lavoro e di reddito, ma anche un danno al 53 per cento degli allevamenti italiani che si trova in zone montane e svantaggiate e svolge un ruolo insostituibile di presidio del territorio dove la manutenzione è assicurata proprio dal lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali,

impegna il Governo:

   ad agire affinché sia espressamente prevista in etichetta l'origine del latte (anche Uht), dei formaggi e di tutti gli altri prodotti a base di latte e a garantire che venga chiamato «formaggio» solo ciò che deriva dal latte e non da prodotti diversi;
   a promuovere a livello nazionale iniziative per il consumo e dei formaggi italiani di qualità soprattutto nelle scuole e nelle mense pubbliche;
   ad assumere iniziative normative affinché vengano semplificate le procedure burocratiche a carico delle aziende agroalimentari nei confronti delle ASL;
   a prevedere meccanismi di tutela o salvaguardia verso gli allevatori onesti, che finora hanno rispettato i limiti imposti dalle quote latte ed ad agire verso chi non ha rispettato i limiti imposti dalla legislazione corrente;
   a promuovere iniziative affinché alle imprese agricole siano garantiti prezzi di favore per l'acquisto del gas, dell'energia elettrica, del gasolio e dei mangimi per l'allevamento degli animali nonché dei medicinali;
   a prevedere maggiori controlli sanitari sul latte importato e maggiori controlli soprattutto per i paesi extra Unione europea nonché interventi a livello europeo per prevedere che i controlli sanitari minimi siano portati al nostro livello in tutti i Paesi dell'Unione europea;
   a prevedere, ove ne ricorrano i presupposti di diritto, dazi in ingresso per latte importato da Paesi extra Unione europea;
   ad intervenire a livello comunitario e nazionale per preparare con strumenti adeguati un piano per l'uscita del sistema delle quote, prevedendo meccanismi attraverso i quali venga definito il prezzo del latte con contratto semestrale o quadrimestrale per consentire agli allevatori una programmazione a medio termine;
   ad agire a livello comunitario e nazionale per rendere possibile un aumento della produzione del latte italiano;
   a prevedere meccanismi atti a regolamentare il pagamento delle quote per gli allevatori che si trovano in una posizione di debito nei confronti dello Stato, prevedendo anche la rateizzazione delle somme da pagare a beneficio di coloro i quali hanno rispettato le normative sulla quote latte, dando cioè attuazione alla normativa vigente nel rispetto degli allevatori onesti.
(7-00606) «Rostellato, Rizzetto, Bechis, Segoni, Artini, Barbanti, Baldassarre, Mucci, Tancredi, Prodani».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la crisi del settore lattiero caseario nazionale è ormai purtroppo nota: prezzi inferiori agli elevati costi di produzione ed incertezza sulle future quotazioni, anche a fronte dell'imminente cessazione del regime delle quote, costituiscono le criticità più rilevanti di un comparto che offre potenzialità inespresse soprattutto con riferimento alla scarsa presenza commerciale del prodotto italiano sui mercati esteri;
    le recenti innovazioni normative comunitarie, segnatamente il Regolamento (UE) 261 del 2012, evidenziano la necessità di introdurre specifiche tutele per il comparto lattiero caseario europeo che contribuiscano a stabilizzare il mercato e i redditi dei produttori oltre che a rafforzare la trasparenza dell'intera filiera;
    il gruppo di esperti di alto livello istituito nel 2009 per analizzare le problematiche del settore ha formulato una serie di raccomandazioni riguardanti in particolare: le relazioni contrattuali, il potere contrattuale dei produttori, le organizzazioni interprofessionali-intersettoriali, la trasparenza, le misure di mercato, le norme di commercializzazione e l'etichettatura di origine, nonché l'innovazione e la ricerca;
    tra le problematiche più significative va segnalata certamente la debolezza contrattuale delle imprese di produzione: l'impossibilità di stoccare il latte prodotto giornalmente impedisce agli allevatori di contrattare le condizioni contrattuali spesso imposte dall'industria di trasformazione, laddove l'interruzione della consegna determinerebbe la perdita dell'intero prodotto e le anomalie del mercato spesso comportano una forte diminuzione del prezzo alla stalla unitamente ad un consistente aumento del prezzo al consumo;
    altra rilevante criticità è la carenza in etichetta di informazioni sull'origine che consente di importare latte e di trasformarlo in un prodotto «italiano» situazione che penalizza fortemente gli allevatori nazionali e che favorisce la concentrazione di alcune multinazionali della trasformazione in determinati territori con conseguente dismissione di molti allevamenti zootecnici nelle zone maggiormente vocate;
    i dati della produzione italiana di latte vaccino forniti dal CLAL registrano una produzione di 10.876.191 tonnellate per la campagna 2011-2012, di 10.806.501 per la campagna 2012-2013, di 10.771.343 tonnellate per quella 2013-2014 ed è stimato, per la campagna 2014-2015, un aumento del 3,4 per cento di prodotto, corrispondente ad uno sforamento della quota nazionale (10,923 milioni di tonnellate) di 200 mila tonnellate pari a multe per 55 milioni di euro;
    secondo una recente elaborazione ISMEA su un totale di materia prima disponibile l'83 per cento è latte italiano mentre il 17 per cento è latte sfuso o semilavorato di importazione, per una media di materia lavorabile di circa 12.813.000 tonnellate che per la maggior parte e trasformata e lavorata in Italia; un 20 per cento diventa latte alimentare UHT e fresco, mentre l'altro 80 per cento diventa per un 50 per cento formaggio DOP, per un 46 per cento formaggio non DOP, un 3 per cento yogurt ed un 1 per cento altri sottoprodotti. Il 12 per cento di questa produzione è esportato, il 50 per cento viene venduto al dettaglio e il 38 per cento circa consegnato alla grande distribuzione;
    sarebbe certamente auspicabile che, a livello comunitario, si avvisasse una seria e concreta discussione sulle condizioni di lavoro e di tutela ambientale che fanno da cornice alla produzione di latte e derivati nei diversi Stati Membri, al fine di ristabilire una parità di condizioni di base che di certo andrebbe a vantaggio di produzioni di qualità come quella italiana,

impegna il Governo:

   ad introdurre, compatibilmente con la normativa dell'Unione europea, l'obbligo di indicare in etichetta il luogo dello stabilimento di produzione e confezionamento;
   a promuovere, in applicazione del Regolamento (UE) 1308/2013, lo sviluppo
dell'interprofessione del settore lattiero caseario;
   ad assicurare, per quanto di competenza, l'effettiva e corretta applicazione dell'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, relativo ai contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari;
   a valutare l'opportunità di esplicitare in etichetta i costi dei passaggi produttivi, dal produttore al consumatore;
   a promuovere, presso le competenti sedi comunitarie, l'obbligo dell'indicazione dell'origine sui prodotti lattiero caseari;
   al fine di sostenere il comparto, a prevedere, anche per gli anni futuri, interventi di mercato finalizzati all'acquisto di formaggi da destinare agli enti caritativi di assistenza agli indigenti;
   ad adottare un programma di gestione dell'eventuale surplus derivante dalla cessazione del sistema di contingentamento alla produzione.
(7-00607) «Gallinella, L'Abbate, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Parentela, Benedetti, Lupo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, NESCI, COLONNESE, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi globale che ha preso le mosse dal comparto finanziario nel 2008 e si è successivamente propagata all'economia reale, ha colpito con particolare durezza l'Unione europea e in modo ancor più marcato alcuni dei suoi Stati membri, come dimostrano i dati che vedono il PIL di alcuni Stati membri contrarsi per diversi anni consecutivi e la crescita globale dell'Unione rimanere molto bassa. Anche per il 2015 la stessa Commissione europea ha previsto, nella sua analisi annuale, una crescita pari al 1,3 per cento e solo allo 0,8 per cento nell'area euro, con sensibili differenze tra gli Stati membri;
   la crisi ha anche messo in luce le profonde differenze strutturali delle economie e dei parametri macroeconomici di base tra gli Stati membri così come dimostrato dalle differenze nel tasso di crescita del PIL degli ultimi anni, dal tasso di disoccupazione e del debito pubblico. Tali differenze si sono concretizzate, tra l'altro, nella difficoltà di alcuni Stati membri (si pensi alla Grecia, Portogallo, Irlanda e in misura minore ma significativa all'Italia) a rifinanziare il proprio debito pubblico sui mercati finanziari che richiedevano tassi d'interesse crescente;
   nel tentativo di arginare la suddetta crisi e di migliorare l'accesso di tutti gli Stati membri al mercati finanziari sono state avviate dalla Unione europea politiche di austerità;
   il Patto di stabilità e crescita è parte integrante dei Trattati istitutivi della Unione europea e può essere rivisto solo con l'apposita procedura della revisione dei trattati;
   il 2 marzo 2012 è stato concluso il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria (cosiddetto fiscal compact) tra 25 Stati membri dell'Unione europea, comprensivo di vincoli specifici per gli Stati dell'area euro. Il Trattato è entrato in vigore il 1o gennaio 2013 per gli Stati contraenti. A causa di questa sua veste di trattato internazionale separato, all'articolo 16 è stata inserita una clausola di revisione entro cinque anni dalla entrata in vigore atta a incorporare il trattato nel sistema dei Trattati europei, previa revisione;
   attraverso il predetto trattato e un insieme di direttive e regolamenti conosciuti come six pack e two pack il patto di stabilità e crescita è stato reso più stringente, includendovi anche delle regole per gli squilibri macroeconomici;
   il six pack è costituito da cinque regolamenti (Regolamento 1177/2011, Regolamento 1173/2011, Regolamento 1175/2011, Regolamento 1176/2011, Regolamento 1174/2011) e da una direttiva che prevede la quantificazione delle regole di bilancio (Direttiva 2011/85). Il six pack sancisce l'obbligo per i Paesi il cui debito superi il 60 per cento del PIL di adottare misure atte a ridurre il debito di almeno 1/20 della eccedenza rispetto alla soglia predetta, l'obbligo per gli Stati membri di convergere verso l'obiettivo il pareggio di bilancio con un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5 per cento e infine istituisce le procedure per l'irrogazione delle sanzioni ai Paesi che violino le suddette regole. Nel pacchetto si prevede tra l'altro esplicitamente la necessità di una revisione delle norme introdotte dopo un primo periodo di esercizio;
   il two pack (Regolamento 472/2013 e Regolamento 473/2013) rafforza la sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da serie difficoltà per la propria stabilità finanziaria nell'eurozona e attua disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell'eurozona;
   sulla base dell'impianto giuridico appena descritto una formazione del comitato di politica economica ha poi individuato undici tra indicatori economici e soglie che vanno dal bilancio delle partite correnti, al livello dell’export sino al costo del lavoro e al tasso di disoccupazione. La Commissione europea prevede la possibilità di ridiscutere e modificare tali soglie in base a sopravvenute evidenze di politica economica o qualora mutamenti macroeconomici lo richiedano;
   in base alle norme suesposte la Commissione europea pubblica ogni anno la relazione sul meccanismo di allerta nella quale analizza ciascuno degli indicatori descritti e dà raccomandazioni agli Stati membri su come correggere gli squilibri individuati. Nella relazione del 2015 pubblicata dalla Commissione europea nel novembre del 2014 (COM(2014)904 finale) ben 16 tra gli Stati membri risultano non rientrare nei parametri;
   anche Stati membri quali la Germania non rispettano i vincoli, totalizzando saldi delle partite correnti al di sopra dei parametri definiti. Come sostenuto dalla dottrina e riportato dagli organi di stampa in un'Unione europea afflitta dal ristagno della produttività ed il deterioramento della competitività il mercantilismo della Germania che, nonostante la sua posizione di forza continua ad avere una domanda interna bassa e un attivo commerciale eccessivo, nuoce gravemente alle economie degli altri Stati membri e necessiterebbe di politiche monetarie opposte a molti altri Stati membri;
   è altresì evidente che le politiche di austerità imposte non sono riuscite a procurare reali benefici per i cittadini, capace di restaurare condizioni di prosperità e livelli elevati di occupazione. In Italia, ad esempio, secondo dati Istat il livello di disoccupazione è salito costantemente passando dal 6,7 del 2008 fino al 12,9 di fine 2014 –:
   quali iniziative si intendano intraprendere in sede EcoFin e attraverso il Comitato di politica economica affinché si rivedano gli indicatori utilizzati per la valutazione degli Stati membri al fine di conseguire la modifica degli attuali stringenti vincoli che, oltre ad essere concausa del continuo deterioramento dei principali indicatori economici, non si sono dimostrati adeguati all'attuale situazione socioeconomica degli Stati membri dell'Unione europea come dimostra il diffuso mancato rispetto dei vincoli costatato anche dalla Commissione europea;
   quali iniziative si intendano intraprendere affinché si attui una revisione del trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria anche prima dei termini previsti dallo stesso trattato al fine principale di sospendere gli attuali stringenti vincoli che peggiorano la posizione economica dell'Italia. (5-04774)


   GRILLO, DI VITA, LOREFICE, MANNINO, CANCELLERI, VILLAROSA, D'UVA, RIZZO, DI BENEDETTO e DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'ANCE, Associazione nazionale costruttori edili, sezione Sicilia, il 30 gennaio 2015 ha inviato all'ANCE nazionale, perché trasmettesse al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, l'elenco di 27 opere pubbliche con finanziamento e progetto esecutivo o definitivo da tempo pronte per andare in gara, e di cui non è dato sapere perché siano bloccate;
   l'iniziativa dell'ANCE Sicilia ha segnalato, tramite i suoi rappresentanti nazionali, che importanti progetti di utilità pubblica risultano essere sospesi. Si tratta dei lavori per la Rete ferroviaria, di quelli riferiti all'Anas e all'autorità portuale di Messina, fino alle opere fognarie e di depurazione dei reflui per vari comuni isolani, finanziate con la delibera CIPE n. 60/2012. Per queste ultime opere, se non fossero impiegate le risorse destinate alla loro realizzazione entro il 2015, si rischierebbe la perdita dei finanziamenti –:
   se sia a conoscenza di quali siano le cause che impedirebbero l'indizione delle gare di appalto per le opere pubbliche statali da realizzare in Sicilia, dotate di progettazione definitiva, o addirittura esecutiva, con fonte finanziaria certa, come segnalato dall'ANCE Sicilia;
   se non ritenga di adottare tutti i provvedimenti, per quanto di competenza per sbloccare la pubblicazione dei bandi di gara delle opere pubbliche sopracitate;
   se non ritenga che il ritardo delle pubblicazioni delle gare di appalto e il mancato utilizzo delle risorse finanziarie stanziate per le opere pubbliche summenzionate, come previsto per quelle della delibera CIPE, non possano generare la perdita di importanti finanziamenti.
(5-04778)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ, SIBILIA, PETRAROLI, LIUZZI e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dalle colonne del quotidiana la Repubblica del 15 febbraio 2015 si apprende della presa di posizione del Presidente dell'ANAC, Raffaele Cantone, il quale avrebbe già indirizzato al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti una missiva, con cui si evidenzia il rischio di affidamenti in concessione senza alcun tipo di procedura ad evidenza pubblica, in violazione di ogni principio di concorrenza ed economicità;
   la questione ruota attorno all'articolo 5 del decreto n. 133 del 2014 (sblocca Italia) con cui il Governo ha previsto il rinnovo degli attuali permessi di gestione autostrade, nel caso in cui gli attuali concessionari (tra i quali Benetton, Gavio e Toto) decidano di unificare la gestione di tratte interconnesse unitamente al relativo accorpamento delle concessioni;
   il rilievo posto dal presidente di ANAC affonda le radici nel fatto che accorpando le concessioni si prenderà come data di scadenza, chiaramente, quella più lontana che porterà attraverso un meccanismo automatico, anche la concessione più vecchia ad un automatico rinnovo;
   a giudizio degli interroganti il rilievo del dottor Cantone oltre ad avere il pregio della fondatezza, pone sul tavolo e sull'agenda politica un problema di non poco conto, laddove attraverso l'ennesimo provvedimento, l'Esecutivo così, come avvenuto nel decreto sblocca Italia, restringe al minimo il dibattito parlamentare su nodi e questioni di merito, che non possono che rivelarsi quali autentici problemi come nel caso di specie;
   alla luce di quanto esposto appare ovvia, la necessità di un immediato chiarimento da parte della Presidenza del Consiglio e dei titolari dei dicasteri coinvolti –:
   quale sia il contenuto delle eventuali risposte fornite dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministro delle infrastrutture in relazione ai rilievi di ANAC di cui in premessa e se eventualmente sia intenzione del Governo assumere immediate e iniziative correttive di carattere normativo che scongiurino le evenienze individuate da ANAC, individuabili come non ispirate a criteri di trasparenza e legalità.
(4-08029)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, DI BATTISTA, SPADONI, DEL GROSSO e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 febbraio 2015 sul sito on line dell'agenzia di informazione giornalistica Ansa (www.ansa.it), sezione Sicilia, è stato pubblicato un articolo dal titolo «Immigrati: emergenza a Lampedusa, 800 clandestini arrivati nelle ultime ore», che riportava la notizia dei continui sbarchi di profughi provenienti dalla Libia e dei numerosi soccorsi effettuati nel Canale di Sicilia dalle motovedette della guardia costiera;
   lo stesso articolo evidenziava che «nel pomeriggio di domenica quattro uomini armati di kalashnikov, su un barchino, hanno minacciato una motovedetta della Guardia Costiera italiana che stava soccorrendo un'imbarcazione con migranti a bordo, a circa 50 miglia da Tripoli. Gli uomini armati hanno intimato agli italiani — il personale a bordo delle motovedette che fanno operazioni di ricerca e soccorso non ha armi — di lasciare loro l'imbarcazione dopo il trasbordo dei migranti»;
   sulla vicenda è intervenuto Maurizio Lupi, titolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti da cui dipende il Corpo della guardia costiera, dichiarando che si tratta di «un fatto allarmante, che segna un ulteriore salto di qualità. È indispensabile un intervento delle istituzioni internazionali in Libia»;
   in tema di sbarchi, come riportato dall'articolo: «i numeri di gennaio dimostrano che la situazione è peggiore di quella del 2014, quando alla fine sono stati 170 mila i migranti accolti: 3.538 persone arrivate nei primi 30 giorni del 2015 contro 2.171 sbarcate l'anno scorso. E quello degli sbarchi potrebbe non essere l'unico problema. Se l'Isis dovesse prendere in mano il traffico degli esseri umani, nessuno può escludere che i barconi possano essere utilizzati per far arrivare in Europa potenziali terroristi. Sembra non avere dubbi a questo proposito il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia»;
   il 1o novembre 2014 è partita, in sostituzione di «Mare Nostrum», l'operazione «Triton» dispiegata da Frontex, l'Agenzia europea delle frontiere, con il compito preciso di operare il controllo delle frontiere marittime e, solo in caso di necessità, effettuare anche interventi di ricerca e soccorso (Sar). Le navi di Frontex si mantengono in un'area entro 30 miglia dalle coste italiane;
   l'operazione «Triton», fortemente criticata in Italia, è stata bocciata anche dal Consiglio d'Europa –:
   quali iniziative intenda adottare per acquisire elementi utili a chiarire la vicenda delle minacce alla guardia costiera esposta in premessa e in ordine al rischio di infiltrazioni terroristiche tra i migranti del Nord Africa in arrivo in Italia anche rispetto alle attività poste in essere nell'ambito dell'operazione «Triton».
(5-04773)


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, DI BATTISTA, SPADONI, DEL GROSSO e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sull'edizione on line del quotidiano Corriere del Mezzogiorno (corrieredelmezzogiorno.corriere.it) in data 16 febbraio 2015 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Bimbo cilentano malato a Manila non riesce a rientrare in Italia» che racconta la vicenda di un bambino di otto mesi che ha l'urgenza di rientrare in Italia da Manila perché affetto da una grave cardiopatia per la quale si rende necessario un intervento chirurgico presso l'ospedale «Bambin Gesù» di Roma;
   come riportato nell'articolo, il bimbo è figlio di un italiano, Renato Maffia, 51enne ricercatore universitario della Cosmopolitan University, e di una filippina, Annalisa Natad. Lui vive tra Serramezzana (Salerno), Roma e Manila;
   il bambino è affetto da una cardiopatia causata da una stenosi ventricolare che provoca una ipertrofia del ventricolo sinistro;
   i genitori si sono immediatamente attivati per chiedere ed ottenere il passaporto per il figlio. Quello filippino è già arrivato, quello italiano a distanza di settimane ancora no;
   le condizioni di salute del bimbo diventano giorno dopo giorno sempre più preoccupanti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga opportuno attivare le procedure di competenza presso l'Ambasciata d'Italia a Manila per consentire in tempi brevissimi il rilascio del passaporto al bambino e garantirgli, inoltre, un viaggio di ritorno in Italia in condizioni di sicurezza medico-sanitaria a tutela del suo già difficile stato di salute. (5-04782)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPOZZOLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2008, l'allora commissario competente per affrontare l'emergenza rifiuti in Campania stabilì che il sito denominato Coda di volpe nel territorio di Eboli (Salerno), divenisse luogo di stoccaggio provvisorio per rifiuti, autorizzando il deposito delle cosiddette «ecoballe»;
   lo smaltimento dei rifiuti giacenti presso il sito di «Coda di Volpe» è stato previsto che venga effettuato presso il termovalorizzatore di Acerra (Napoli);
   a seguito di tale decisione, nelle scorse settimane, sono sorte una serie di proteste da parte della comunità di Acerra paventando la presunta pericolosità di rifiuti stoccati nel sito di Eboli esprimendo la netta contrarietà rispetto alla decisione che tali rifiuti possano essere smaltiti presso l'inceneritore;
   in data 14 novembre 2014 l'assessore all'ambiente della regione Campania Giovanni Romano, con comunicato stampa, ha ufficializzato la sospensione del trasferimento dei rifiuti imballati provenienti da Eboli presso il termovalorizzatore di Acerra in attesa di ulteriori accertamenti;
   la società provinciale Ecoambiente di Salerno, competente per gestione del sito di «Coda di Volpe», con comunicazione del 4 novembre 2015, ha trasmesso al sindaco di Acerra, e per conoscenza, al presidente della giunta della regione Campania, onorevole Caldoro, ai responsabili della ASL 2 Napoli-Nord e al comando del Corpo forestale dello Stato, una nota di chiarimento circa la non pericolosità dei rifiuti stoccati presso il citato sito di Eboli;
   le attività di campionamento svolte dall'Arpac, avviate nel giugno 2014, sulla porzione di rifiuti identificati con cella n. 13, in base al rapporto di prova R.G. 16721, prodotto dal laboratorio regionale UOC siti contaminati e bonifiche di Agnano, risulta che il rifiuto prelevato è classificabile come speciale «non pericoloso»;
   i rifiuti che dovevano essere trasferiti ad Acerra erano quelli della cella n. 13;
   dal 28 novembre 2014, e sono tuttora in corso, sono state avviate ulteriori analisi per quanto riguarda i rifiuti stoccati presso le celle n. 14 e 15;
   nel corso delle ultime settimane il comprensorio in oggetto, la valle del Sele, è stato interessato da rilevanti ondate di maltempo che hanno provocato esondazioni ed allagamenti e che destano notevoli preoccupazioni circa la possibile contaminazione dei terreni circostanti in riferimento al sito «Coda di Volpe»;
   inoltre e comunque, la vicinanza del sito di stoccaggio al corso del fiume Sele, espone le numerose aziende ed i campi coltivati insistenti nelle immediate vicinanze del fiume stesso, al serio pericolo di essere invasi dai rifiuti stoccati in caso di ulteriori esondazioni, con notevoli gravi ripercussioni di natura economica ed ambientale, tutte interamente ricadenti sugli imprenditori agricoli e sugli agricoltori ivi operanti –:
   se il Ministro non intenda inviare un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di accertare ulteriormente la «non pericolosità» dei rifiuti stoccati presso il sito denominato «Coda di Volpe» presso Eboli nonché di verificarne la sicurezza anche a seguito di eventuali altre ondate di maltempo. (5-04776)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAGA, ZOLEZZI, TERZONI, MICILLO, BUSTO, VIGNAROLI, DE ROSA e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 29 comma 1 della direttiva 2008/98/CE stabiliva che entro il 12 dicembre 2013 ciascuno Stato dovesse adottare un piano nazionale di prevenzione rifiuti;
   detto piano è stato adottato con decreto direttoriale del 7 ottobre 2013 da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e costituisce piano a sé stante, in quanto non integrato nei piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all'articolo 199 del decreto legislativo 152 del 2006;
   l'articolo 3 comma 2 lettera a) della direttiva 2001/42/CE stabilisce che tutti i piani e programmi riguardanti la gestione dei rifiuti siano sottoposti a valutazione ambientale strategica;
   la procedura di VAS, così come disciplinata dal decreto legislativo 152 del 2006, articoli 11-18 comprende specifici passaggi temporalmente definiti, tra i quali la consultazione delle Autorità con competenze ambientali, la redazione di un rapporto ambientale, la consultazione del pubblico sulla proposta di piano e sul rapporto, nonché la pubblicazione dei risultati della consultazione ed il monitoraggio;
   l'articolo 2, comma 2, della direttiva 2003/35/CE sulla partecipazione del pubblico alle decisioni in materia ambientale dispone che al pubblico vengano offerte tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alla preparazione e alla modifica o al riesame dei piani ovvero dei programmi che devono essere elaborati a norma delle disposizioni elencate nell'allegato I. Il Piano nazionale di prevenzione rifiuti, in quanto non oggetto di esclusione ai sensi della direttiva 2001/42 (articolo 3 comma 8), sarebbe dovuto essere sottoposto a valutazione ambientale strategica anche ai sensi dell'articolo 31 della direttiva 2008/98/CE;
   per quanto a conoscenza dei firmatari, non risulta effettuata alcuna procedura di valutazione ambientale strategica sul piano nazionale di prevenzione rifiuti, ma, come riporta testualmente il decreto direttoriale meramente una fase di consultazione del pubblico: in particolare il piano adottato non risulterebbe secondo gli interroganti conforme né nelle modalità di compilazione e di partecipazione del pubblico, né negli obiettivi di prevenzione fissati, alle linee guida europee per la stesura dei piani nazionali di prevenzione. Ad esempio, per quanto concerne gli obiettivi di riduzione dei rifiuti urbani, si segnala come essi siano stati fissati ben sapendo di averli già raggiunti: infatti il rapporto rifiuti urbani ISPRA 2013 segnalava un calo nella produzione di detti rifiuti rispetto al 2010 già superiore agli obiettivi fissati;
   nel piano adottato si legge che uno degli obiettivi è la creazione di un Portale on-line per la prevenzione dei rifiuti, che fornirà informazioni in merito alle possibili azioni da intraprendere attraverso la creazione di una banca dati di buone pratiche: ad un anno dall'adozione del Piano in oggetto non risulta agli interroganti essere operativo o in preparazione alcun portale, né si conoscono somme stanziate a tale scopo né risultano gare d'appalto per la progettazione e realizzazione del portale;
   da fonti di stampa si apprende che la «task force» per la prevenzione dei rifiuti si sia insediata il 10 settembre 2014, ma non si conosce nulla suo operato, né il programma, i tempi di attuazione o il metodo di lavoro che si è data, né le risorse con le quali finanzierà la propria attività;
   se il piano nazionale di prevenzione dei rifiuti sia stato sottoposto a procedura di valutazione ambientale strategica e in caso negativo con quale motivazione;
   se siano state assegnate risorse per la creazione del «portale per la prevenzione dei rifiuti» e a che punto sia la realizzazione dello stesso;
   quali compiti siano stati assegnati alla «task force» per la prevenzione dei rifiuti di cui in premessa, al riguardo riferendo di quali risorse possa disporre, e in quali modi e tempi intenda assolverli;
   se, alla luce della ritenuta inadeguatezza, a parere dei firmatari, degli obiettivi di riduzione dei rifiuti fissati dal piano adottato, non ritenga opportuno fissare nuovi obiettivi di prevenzione, adeguandoli a quanto richiesto dalle linee guida europee. (4-08033)


   TERZONI, CECCONI, DE ROSA, DAGA, ZOLEZZI, BUSTO, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2015 la società Apennine Energy ha depositato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare La documentazione per il parere di compatibilità ambientale – valutazione di impatto ambientale per la realizzazione di un pozzo esplorativo denominato «Il Cancello 1dir» nell'ambito del permesso di ricerca «S. Maria Goretti»;
   la procedura è di livello nazionale a seguito delle nuove norme contenute nel decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto «Sblocca Italia», mentre precedentemente al decreto la procedura era di carattere regionale;
   l'area prescelta per la localizzazione del cantiere, esteso per oltre 1 ettaro e composto da diversi macchinari e impianti tra cui una trivella e una fiaccola alta alcune decine di metri;
   il sito è ad una distanza di soli 600 metri in linea d'aria dal centro abitato di Ripatransone (Ascoli Piceno), a poche decine di metri da alcune case sparse, a 250 metri dal Monastero delle Suore Passioniste e a 200 metri dall'Azienda Agricola Le Caniette;
   quello di Ripatransone è il secondo centro storico per estensione della provincia di Ascoli Piceno; è denominato Belvedere del Piceno per l'elevatissimo valore paesaggistico del territorio; ospita numerosi edifici vincolati, essendo essi classificati di interesse architettonico e storico; è «bandiera arancione» del Touring Club nonché città del vino e città dell'olio;
   lo stesso Monastero delle Suore Passioniste è incluso nella lista del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con la scheda 1100060601, essendo, tra l'altro, di fondazione cinquecentesca;
   l'area di cantiere è interna all'area vincolata dal piano paesistico regionale delle marche nell'ambito denominato «Paesaggio agrario di interesse storico-culturale Montefiore dell'Aso-Ripatransone»;
   i prodotti agricoli del territorio di Ripatransone sono esportati in tutto il mondo; solo per citare l'azienda agricola più vicina al sito, quella denominata Le Caniette, si tratta di una produzione di circa 100.000 bottiglie l'anno di vino certificato biologico del rosso piceno e di altri vitigni;
   solo nel territorio di Ascoli Piceno con l'ultima programmazione sono stati effettuati investimenti dell'ordine di 140 milioni di euro sulle produzioni di qualità e per supportare la multifunzionalità dell'agricoltura, anche come attrattiva turistica;
   la provincia di Foggia ha espresso parere negativo (determina datata 22 giugno 2012, prot. n. 8070/6315/Reg. Determine, a firma del dirigente della provincia di Foggia con oggetto «Parere sulla verifica di assoggettabilità a valutazione impatto ambientale del progetto di perforazione di un pozzo esplorativo di ricerca idrocarburi denominato “Masseria Sipari 1 Dir” nel Comune di Foggia – società proponente Medoilgas Italia SpA») in sede di valutazione di impatto ambientale un intervento del tutto analogo a quello delle Marche, un pozzo di esplorazione di idrocarburi denominato «Masseria Sipari 1 Dir» proposto dalla Medoilgas (ora Rockhopper) in quanto ritenuto troppo vicino al centro abitato ai fini della sicurezza della popolazione in caso di incidente; il TAR di Bari (sentenza 1473/2014-1593/2012) a cui si era rivolta la società impugnando il provvedimento ha pienamente condiviso le risultanze del procedimento di valutazione di impatto ambientale; scrivono i giudici nella sentenza «Tali conclusioni sono evidentemente giustificate dai rischi per la sicurezza e l'ambiente (non accettabili e non tollerabili alla luce del menzionato principio di precauzione) derivanti dalla installazione del pozzo esplorativo a soli 5 km di distanza dal centro residenziale di Foggia»;
   le attività di esplorazione comportano numerosi rischi per l'ambiente e per i cittadini in quanto lo stesso studio di impatto ambientale, elaborato piano di sicurezza, non può escludere il coinvolgimento di aree esterne al perimetro del cantiere – peraltro senza indicare le aree potenzialmente coinvolte, in caso di emergenza grave, come il blow-out del pozzo, che l'azienda pur minimizzando la frequenza, non può escludere;
   la società ritiene che la conoscenza del sito dal punto di vista geologico grazie alla presenza di pozzi esplorativi realizzati nei decenni passati in aree limitrofe sia tale da poter minimizzare (ma non escludere) i rischi di blow-out; non si comprende allora la motivazione di scavare questo nuovo pozzo esplorativo che, evidentemente, deve permettere di cercare idrocarburi finora non pienamente e sufficientemente localizzati; si rileva, dunque, una non completa conoscenza del sito e, di conseguenza, delle condizioni geologiche che si possono trovare fino a 4.000 metri di profondità;
   secondo l'azienda l'utilizzo del cosiddetto «Blow-out preventer» BOP in connessione con la fiaccola potrebbe permettere di gestire una risalita in pressione di fluidi; il BOP, però, non si è rivelato utile a prevenire disastri come quelli della Deepwater Horizon e, anzi, secondo i risultati dell'inchiesta del Governo americano ha moltiplicato i terribili effetti dell'incidente; è illuminante a tal proposito la ricostruzione, anche video, disponibile sul sito ufficiale dell'inchiesta governativa che è seguita al disastro (http://www.csb.gov/macondo-blowout-and-explosion/);
   la stessa società proponente, la Apennine Energy, ha proposto la realizzazione di un pozzo esplorativo analogo a quello di Ripatransone attualmente in fase di valutazione di impatto ambientale presso la regione Lombardia; in quella sede dai documenti presentati dalla ditta stessa si ammette che in caso di blow-out del pozzo il fall-out di idrocarburi e altre sostanze potrebbe arrivare a colpire aree poste a 4,8 chilometri di distanza; tra l'altro questo calcolo e stato effettuato senza tenere conto delle condizioni climatiche più avverse (il cosiddetto «worst case scenario») ma prendendo in considerazione le condizioni meteo del vento medie per quel settore di Pianura padana;
   nello studio di impatto ambientale si afferma che l'opzione zero non viene e considerata perché grazie al decreto «Sblocca Italia» che rende tutto il settore di interesse strategico nazionale non è più possibile considerare tale possibilità;
   nello studio di impatto ambientale l'azienda sostiene che a partire dagli anni ’90 del secolo scorso non sono più avvenuti incidenti riferibili a blow-out;
   diverse associazioni nei loro documenti riportano presso la testa di pozzo Monte Alpi 1 est in Basilicata il 6 giugno 2002 con nebulizzazione di prodotto nelle aree circostanti;
   nel piano di emergenza presentato dall'azienda tra le varie voci relative alle possibili fonti di rischio viene indicata quella di «radioattività»;
   dal bilancio 2013 depositato della società Apennine Energy emerge che solo 1,4 milioni di euro sono accantonati in un fondo rischi, per una società che attualmente ha, direttamente, 12 titoli minerari e altri titoli in partnership;
   nel caso di Ripatransone non è stato fatto alcun calcolo delle aree di potenziali ricaduta, nonostante il sito sia probabilmente più vulnerabile a causa dell'orografia più accidentata e della ventosità, rendendo potenzialmente ancora più dirompente un incidente grave;
   lo scavo di pozzi prevede l'utilizzo di centinaia di tonnellate di fanghi di perforazione con additivi di vario genere che possono interferire e contaminare la falda acquifera;
   lo sviluppo delle attività connesse agli idrocarburi in Italia non è stato mai sottoposto a valutazione ambientale strategica, nonostante lo stesso Governo sostenga trattarsi di un unico disegno volto a rilanciare questo comparto;
   l'assenza di una valutazione ambientale strategica non consente di stabilire gli impatti complessivi, la valutazione dei dati disponibili circa i pozzi esistenti, compresi quelli non più produttivi, e un'analisi costi-benefici che tenga conto degli impatti sociali ed economici di tale disegno portato avanti con il decreto cosiddetto Sblocca Italia –:
   se sia compatibile con il diritto comunitario in tema di valutazione di impatto ambientale, così come recepita in Italia, l'interpretazione che l’«opzione zero» per i progetti legati al settore degli idrocarburi non debba essere più valutata sul singolo progetto e che, quindi, l'iniziativa debba essere di conseguenza comunque autorizzata;
   se si ritenga compatibile con la tutela del paesaggio e dei beni culturali previsti dalla Costituzione la realizzazione di un pozzo petrolifero con l'installazione di trivelle e fiaccole alte decine di metri a pochi metri da un monastero di clausura cinquecentesco vincolato e all'interno di un paesaggio agrario di elevatissimo valore identitario;
   se si ritenga compatibile con la sicurezza della salute dei cittadini realizzare pozzi di idrocarburi a rischio blow-out a pochissimi metri da popolosi centri abitati, anche per gli aspetti di protezione civile e sanitaria che potrebbero coinvolgere migliaia di persone in caso di incidente ed emergenza grave;
   se tale pozzo non confligga con gli interessi economici nazionali e con le politiche di sviluppo rurale intraprese, in considerazione del fatto che sarebbe piuttosto difficile spiegare a compratori e visitatori fruitori delle cantine di vino docg premiato con tre calici della guida Michelin la presenza incombente di una fiaccola che ogni tanto brucia idrocarburi nell'aria;
   se si ritenga economicamente solida la società proponente per affrontare gli eventuali costi collegati ad emergenze gravi che possono coinvolgere migliaia di persone e il relativo patrimonio nonché innumerevoli attività produttive, distruggendone per anni le potenzialità;
   quali criteri si intendano adottare per valutare la solidità economica del proponente progetti di questa tipologia e sei fra questi venga considerato anche il contesto specifico in cui le società vorrebbero operare;
   se alla luce di quanto accertato negli USA, siano veramente possibili azzerare il rischio blow-out nelle varie condizioni operative;
   se intenda riportare l'elenco dettagliato degli eventi incidentali riferibili in tutto, o in parte a blow-out avvenuti in Italia;
   se intenda riportare l'elenco dettagliato del materiale radioattivo utilizzato presso i pozzi e in generale l'entità dei rifiuti radioattivi derivanti dall'industria degli idrocarburi nel Paese, nonché se sia stata fatta una stima dei rifiuti di questa tipologia che potranno essere prodotti in Italia se verrà essa in atto la strategia energetica nazionale. (4-08043)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 aprile 2014 veniva presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 3-00759 avente ad oggetto la vicenda di E.F., una minore affidata congiuntamente ai genitori nel gennaio 2013 e bisognosa di terapie abilitative visive e motorie che sono state stabilite anche da perizie medico-legali e sentenze;
   nel febbraio 2011 la corte d'appello di Torino, infatti, disponeva terapie sanitarie abilitative – visive, psicomotorie e, logopediche – in favore della bambina, dopo l'accertamento medico-legale depositato a settembre 2010;
   nel mese di gennaio 2013, come detto, la corte d'appello di Torino concedeva ai genitori l'affido condiviso di E. e confermava le terapie già prescritte due anni prima. Ciononostante ad oggi E. – che vive con la mamma e incontra saltuariamente il papà – non avrebbe ancora beneficiato di alcuna terapia visiva né motoria;
   secondo la relazione della dottoressa Maria Teresa Gallo, psicologa e psicoterapeuta che ha in cura la Minore, a partire dal mese di marzo 2014 la minore si è presentata alle sedute con i medesimi atteggiamenti di regressione già rilevati nel mese di settembre 2013, non più disponibile al colloquio, aggressiva, provocatoria, sfuggente e cupa in viso come se fosse in presenza di un nemico pericoloso;
   la situazione si profila preoccupante, tenuto conto che la minore si trova alle soglie dell'adolescenza, manca la disponibilità della madre a sostenere la figlia nel suo percorso di autonomizzazione del rapporto padre-figlia, venendo così anche a mancare i presupposti perché possa proseguire l'intervento psicologico;
   si ritiene che la situazione della minore sia a grave rischio evolutivo, e che debbano essere presi dei provvedimenti a tutela della stessa;
   secondo il medico che ha in cura la minore per il momento l'intervento psicologico è interrotto in quanto sono venuti a mancare i presupposti affinché il lavoro si possa svolgere, dal momento che le interferenze esterne vanificano ciò che accade durante le sedute –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto sopra esposto e se intenda promuovere un monitoraggio per rilevare se vi sono casi analoghi e quale sia l'entità del fenomeno. (3-01312)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LIUZZI, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, BONAFEDE, SARTI e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da qualche mese è pienamente operativo in diversi tribunali italiani il cosiddetto processo civile telematico che consente di svolgere in via telematica una serie di attività tipicamente processuali finora realizzate in forma cartacea;
   tale innovazione, con tutti i limiti della fase di startup, consente una semplificazione dei processi e delle attività e una maggiore efficienza nell'ottica di progressiva digitalizzazione della giustizia;
   come segnalato da diversi legali, tra i quali l'avvocato Aliprandi attraverso il blog accessibile all'URL www.aliprandi.blogspot.it, in diversi tribunali abilitati ai servizi telematici è invalsa l'abitudine di richiedere alle parti del processo non solo il deposito telematico di atti e documenti, come previsto per legge, ma anche il deposito di una copia cartacea c.d. «di cortesia» degli stessi in favore dei giudici chiamati ad assumere le decisioni;
   alcuni tribunali, come il tribunale di Milano, hanno formalizzato e istituzionalizzato tale prassi, idonea in quanto tale a onorare le parti di incombenze non richieste dalla legge che depotenziano la portata innovativa del processo civile telematico, con appositi protocolli di intesa sottoscritti con i locali ordini forensi;
   di recente con decreto n. 534 del 2015 emesso dalla seconda sezione civile del tribunale di Milano e pubblicato il 15 gennaio 2015 il citato tribunale ha condannato per responsabilità aggravata ai sensi dell'articolo 96 c.p.c. al pagamento della somma di euro 5.000 la parte soccombente in quanto, come si legge nel dispositivo: «Va osservato che parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie “cortesia” di cui al Protocollo d'Intesa tra il Tribunale di Milano e l'Ordine Avvocati di Milano del 26.06.2014, rendendo più gravoso per il Collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l'applicazione dell'articolo 96, comma 3, c.p.c.»;
   con ordinanza del 7 febbraio 2015 lo stesso tribunale di Milano ha dato atto della rinuncia al risarcimento del danno svolta dalla parte vittoriosa (nella fattispecie si trattava di una procedura fallimentare) rilevando come «[...] detta pronuncia ex articolo 96, III comma, c.p.c. appare fondata su un principio opinabile, ritenendo obbligo dell'avvocato quello che potrebbe configurarsi come atto di cortesia; che dunque è opportuno prevenire la proposizione di un ricorso per Cassazione dall'esito incerto»;
   l'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA) per il tramite del proprio presidente con un comunicato diffuso il 18 febbraio 2015 ha osservato con riferimento al decreto citato che «[...] è una sentenza assurda: la copia di cortesia è uno strumento per sopperire i deficit di un processo civile telematico (Pct) non ancora a regime. Non è possibile che si trasformi in una “ghigliottina” sul lavoro degli avvocati. L'atteggiamento del magistrato oltre che ingiusto, di fatto, mette in discussione il grande sforzo dell'avvocatura e degli altri operatori della giustizia affinché sia efficace il nuovo sistema, e, quindi, mettendo a rischio il buon funzionamento del Pct» chiedendo «[...] alla magistratura, al Csm, al presidente del Tribunale di Milano e, quindi, al Ministro Orlando [..1 di fare chiarezza su questa vicenda» –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per evitare l'uso di documenti cartacei nell'ambito del processo civile telematico;
   quali iniziative intenda assumere per permettere ai diversi tribunali, a dotarsi degli strumenti tecnologici ed informatici adeguati al processo civile telematico.
(5-04781)


   VERINI e FIANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si è appreso che, a seguito del suicidio avvenuto nel carcere di Opera da parte di un detenuto di nazionalità rumena, Ioan Gabriel Barbuta, condannato all'ergastolo nel 2013 per l'omicidio di un anziano nel 2007, alcuni agenti della polizia penitenziaria avrebbero pubblicato su Facebook commenti di una gravità inaudita e di chiaro stampo razzista;
   i commenti a corredo del post che sono apparsi sulla pagina Facebook uno dei sindacati dell'ALSIPPE uno dei sindacati della polizia penitenziaria, andavano da un «chi se ne frega ?» a «Un rumeno in meno» oppure «mi chiedo cosa aspettino gli altri a seguirne l'esempio», o addirittura a chi suggeriva di fornire ai detenuti «più corde e sapone»;
   la gravità dei commenti pubblicati è stata tale da spingere lo stesso Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ad avviare immediatamente un'inchiesta interna sui fatti riportati;
   le difficilissime e assai stressanti condizioni nelle quali gli agenti di polizia penitenziaria svolgono quotidianamente il loro lavoro non possono in alcun modo giustificare il tenore delle affermazioni nonché il disprezzo e il razzismo insito nelle dichiarazioni pubblicate, che appaiono ancor più gravi perché provenienti da persone che dovrebbero garantire la sicurezza e le condizioni di legalità all'interno degli istituti penitenziari e dovrebbero collaborare alle attività di reinserimento sociale delle persone condannate, per l'attuazione del fine costituzionale della pena, sancito nell'articolo 27 della Costituzione;
   come riportato dallo stesso sito della polizia penitenziaria, infatti, «la Riforma del 1990 ha affidato al Corpo di Polizia Penitenziaria, oltre ai tradizionali compiti di garanzia della legalità, dell'ordine e della sicurezza all'interno degli istituti penitenziari, anche quello della partecipazione al trattamento rieducativo dei condannati, conferendo così al Corpo una specificità che lo contraddistingue dalle altre forze di Polizia ad ordinamento civile e militare» –:
   se i fatti riportati corrispondano al vero e quali iniziative intenda adottare al fine di impedire il ripetersi in futuro di episodi analoghi. (5-04783)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli agenti della polizia penitenziaria, attualmente, ai sensi del comma 4 dell'articolo 18 della legge n. 395 del 1990, utilizzano le camere della caserma annessa agli istituti penitenziari;
   il personale della polizia penitenziaria attraverso l'utilizzo delle camere della caserma assicura – di fatto – anche il pronto impiego in caso di necessità;
   con decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 2006 è stato definito il «Regolamento per la disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di servi io per il personale dell'Amministrazione penitenziaria»;
   con l'articolo 12 del predetto e regolamento ed in particolare i commi 3 e 4, si provvede che l'utilizzo degli alloggi collettivi «... importa il pagamento di una quota forfettaria giornaliera determinata dal direttore generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi, quale corrispettivo dei servizi collegati al normale uso dell'alloggio»;
   appare di tutta evidenza che l'utilizzo delle camere di caserma rappresenta per il personale della polizia penitenziari una necessità, anche al fine di garantire la sicurezza dell'istituto penitenziario, poiché detto personale alloggiando in tali camere è prontamente utilizzabile; inoltre detti alloggi non possono per certo essere paragonati ad una «abitazione classica» di una camera con bagno, poiché sono in primo luogo alloggi collettivi, e in secondo luogo, sono all'interno di un carcere dove l'entrata e l'uscita sono regolamentati da orari imposti dall'amministrazione e dove non si può ospitare nessuno se non autorizzati;
   prevedere il pagamento degli alloggi in parola è assolutamente privo di ragioni sia logiche che fattuali, oltre a essere inappropriato, per i motivi sopra esposti; inoltre si graverebbe sul personale della polizia penitenziaria con una corresponsione a titolo oneroso; detto corpo di polizia risulterebbe l'unico caricato di un onere economico rispetto alle altre forze di polizia –:
   se il Ministro sia a conoscenza del problema evidenziato e quali urgenti iniziative intenda assumere, anche di carattere normativo al fine di garantire l'utilizzo da parte del personale della polizia penitenziaria degli alloggi annessi alla caserma a titolo gratuito, da un lato, per non discriminare, rispetto agli altri Corpi di polizia, quello della polizia penitenziaria che sarebbe l'unico (fra le cinque forze di polizia) soggetto al pagamento di un alloggio non ad uso esclusivo e con caratteristiche peculiari (posto che all'interno di un carcere dove l'entrata e uscita è regolamentata da orari imposti dall'amministrazione e dove non si può ospitare nessuno se non autorizzati); e, dall'altro lato, al fine di garantire la sicurezza degli istituti penitenziari stante la presenza – di fatto – del personale della polizia penitenziaria anche in caso di pronto impiego per motivi di necessità. (4-08032)


   FORMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 ottobre 2013 il tribunale penale di Gorizia, nella persona del giudice unico, dottor Matteo Trotta, emetteva sentenza di condanna per omicidio colposo nei confronti di tredici dirigenti dell'Italcantieri di Monfalcone, rei di aver cagionato la morte di 85 operai della stessa azienda, deceduti tra il 1992 ed il 2005 per le conseguenze dell'asbestosi, dopo aver lavorato per anni sul cantiere navale in provincia di Gorizia;
   dopo sedici mesi dalla lettura del dispositivo, non vi è ancora traccia del deposito delle motivazioni della sentenza che a norma di legge avrebbe dovuto avvenire entro 90 giorni (articolo 544, comma 3 del codice di procedura penale);
   tale incresciosa situazione rischia concretamente di vanificare quanto statuito nel provvedimento giudiziale, atteso che, nelle more, il termine della prescrizione continua a decorrere impietosamente, mentre sale l'amarezza e lo sgomento di tutti i parenti delle 85 vittime dell'amianto, che avevano sperato in una giustizia sostanziale per i loro cari;
   l'insostenibile ritardo di cui sopra è ascrivibile per alcuni versi all'avvenuto trasferimento del giudice Trotta presso il tribunale di Trieste, laddove oggi svolge le funzioni di presidente, tuttavia, appare pacifico che il trasferimento ad altro ufficio, dopo la stesura del dispositivo, e prima della sottoscrizione della sentenza, non fa venir meno il potere di redigere personalmente la motivazione, trattandosi di una funzione che permane fino al deposito della stessa, indipendentemente dal perdurare dell'appartenenza all'ufficio giudiziario –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra in premessa e se non intenda valutare se sussistano i presupposti per un'iniziativa ispettiva ai fini dell'eventuale esercizio dei poteri di competenza. (4-08037)


   NUTI e NESCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Francesco Oliverio è collaboratore di giustizia dal 2012;
   è stato membro della ’ndrangheta con il ruolo di trequartino di un locale di Belvedere Spinello, in provincia di Crotone;
   le informazioni fornite da Francesco Oliverio ai magistrati sono state ritenute attendibili e quindi utilizzate nel corso di importanti procedimenti giudiziari, tra i quali si citano, a titolo esemplificativo, il procedimento scaturito dall'indagine «La Svolta» – tramite cui si è proceduto alla ricostruzione della penetrazione mafiosa in Liguria e nel milanese – e la recente operazione «Aemilia», che ha portato all'arresto di ben 117 persone in Emilia Romagna e che ha rilevato la pesante infiltrazione criminale nella regione, anche in ambienti politici e amministrativi (tra gli altri, in manette è finito anche il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, mentre è indagato il sindaco di Mantova Nicola Sodano);
   attualmente Oliverio collabora con dodici procure e con diversi pubblici ministeri, oltreché con la stessa direzione investigativa antimafia;
   Francesco Oliverio, dopo il pentimento e la decisione di collaborare con la giustizia, ha denunciato più volte la situazione di pericolo che si stava creando attorno a sé, in particolare a causa di pressioni che la ’ndrangheta ha esercitato sulla propria persona utilizzando il figlio naturale e la madre del ragazzo, L.R.J.;
   sulla questione gli interroganti hanno presentato già un'interrogazione a risposta scritta (n. 4-05428) lunedì 7 luglio 2014 nella seduta parlamentare n. 258, ad oggi senza risposta dal Ministro dell'interno;
   i sottoscritti ritenevano già allora la situazione del collaboratore Oliverio «oggettivamente molto pericolosa per l'esito dei procedimenti penali in cui sono state acquisite le testimonianze di Oliverio, dal momento che le riferite pressioni potrebbero indurre il medesimo collaboratore a ritrattazione, con grave nocumento per la giustizia e il contrasto della criminalità organizzata, nonché per il bilancio dello Stato»;
   la situazione potrebbe anche aggravarsi, in ordine ai profili di sicurezza, poiché, secondo indiscrezioni giornalistiche apprese dagli interroganti, il Nop (Nucleo operativo protezione) vorrebbe trasferire la famiglia di Francesco Oliverio in altro luogo, ove, peraltro, risiederebbero collaboratori che lo conoscono;
   una simile scelta sarebbe però incomprensibile, perché pregiudicherebbe l'anonimato e la riservatezza, previsti dall'articolo 6, comma 8, della legge n. 45 del 13 febbraio 2001 sulla «disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza», secondo cui «ai fini del reinserimento sociale dei collaboratori e delle altre persone sottoposte a protezione, è garantita la conservazione del posto di lavoro ovvero il trasferimento ad altra sede o ufficio secondo le forme e le modalità che, assicurando la riservatezza e l'anonimato dell'interessato, sono specificate in apposito decreto emanato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sentiti gli altri Ministri interessati. Analogamente si provvede per la definizione di specifiche misure di assistenza e di reinserimento sociale destinate ai minori compresi nelle speciali misure di protezione»;
   la suddetta decisione apparirebbe ancora più inspiegabile per il fatto stesso che Francesco Oliverio è riuscito a reinserirsi nel tessuto sociale dell'attuale dimora, trovando anche un lavoro;
   secondo quanto stabilisce la succitata legge n. 45 del 2001, «la commissione centrale delibera la applicazione delle misure di protezione mediante la definizione di uno speciale programma» che comprende «il trasferimento delle persone non detenute in luoghi protetti, speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico, misure di assistenza personale ed economica» (articolo 6, comma 5);
   al comma successivo si specifica, poi, che «le misure di assistenza economica indicate nel comma 5 comprendono, in specie, sempreché a tutte o ad alcune non possa direttamente provvedere il soggetto sottoposto al programma di protezione, la sistemazione alloggiativa e le spese per i trasferimenti, le spese per esigenze sanitarie quando non sia possibile avvalersi delle strutture pubbliche ordinarie, l'assistenza legale e l'assegno di mantenimento nel caso di impossibilità di svolgere attività lavorativa»;
   stando alle denunce di Oliverio, nel mese di marzo 2013 uno dei figli e la compagna hanno presentato richiesta di scissione dal nucleo familiare aspettando un bambino;
   la riferita richiesta è stata approvata dal Nop e i due (poi diventati, appunto, tre) si sono trasferiti in un'altra casa a pochi chilometri da quella dove oggi risiede Oliverio;
   alla scissione dal nucleo, però, non è seguito un adeguamento del contributo statale per affrontare le spese, poiché il contributo iniziale è stato diviso tra la famiglia di Francesco Oliverio e quella del figlio;
   l'ultimo versamento statale risale al 22 dicembre: circa 800 euro sono andati alla famiglia del figlio di Oliverio e 900 circa per lo stesso Oliverio (che abita con la moglie e altre due figlie);
   è evidente come tale versamento sia assolutamente esiguo e insufficiente, tanto che Oliverio, come già narrato, è stato costretto a trovare un lavoro per arrotondare, pur rischiando di essere licenziato da un momento all'altro, visti i continui impegni di collaboratore di giustizia –:
   se sia certa la notizia del trasferimento del collaboratore e, in tal caso, quali ne siano i presupposti;
   se non ritenga opportuno che si rivaluti in meglio l'entità del contributo diretto al sostentamento del collaboratore, della moglie e delle due figlie, alla luce della suddetta, mutata composizione familiare. (4-08044)


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza della Corte di cassazione civile sezioni unite, n. 2277 del 31 gennaio 2008, veniva enunciato un principio di diritto circa l'applicazione dell'articolo 78, comma 6, della legge n. 388 del 2000: «In tema di lavori socialmente utili la P.A., mentre agisce nell'esercizio della propria discrezionalità e con poteri autorizzativi in ordine alla scelta del progetto ed all'individuazione delle professionalità occorrenti, è viceversa vincolata ai criteri predeterminati dalla legge nella scelta dei singoli lavoratori, anche quando deve eccezionalmente procedere alla assunzione (ai sensi dell'articolo 78, comma 6, della legge n. 88 del 2000) o alla stabilizzazione degli stessi, dovendo applicare le graduatorie delle liste di collocamento»;
   le sentenze della Corte di cassazione sezione lavoro, n. 17115 del 22 luglio 2009, di cui al ricorrente signor TRIVIGNO D. ed altre due in pari data riferite ai signori F.C. e A.G. vengono emesse in contrasto con quanto stabilito dalla Suprema Corte a sezioni unite e a giudizio dell'interrogante in violazione della procedura prevista dell'articolo 374 comma 3 del codice di procedura civile e all'articolo 65 dell'ordinamento giudiziario: «Tale legge trova la sua ratio nel legittimare le singole regioni – nell'ottica di assicurare il buon andamento e nello stesso tempo l'imparzialità della pubblica amministrazione ex articolo 97 Cost. – ad assumere, in presenza di vuoti d'organico e senza la rigidità delle regole generali sul collocamento, i lavoratori socialmente utili, impiegati in progetti, che oltre a ricadere nel territorio regionale fossero per la loro realizzazione reputati dall'ente territoriale di maggior rilievo ed utilità»;
   nel massimario invece viene indicato «impiegarli in progetti»;
   successivamente ancora, con la sentenza della Corte di cassazione civile sezioni unite n. 23202 del 3 novembre 2009 viene rimarcato il principio di diritto enunciato dalla precedente delle sezioni unite;
   solamente quattro mesi dopo, viene emessa dagli stessi giudici che in precedenza hanno enunciato il principio di diritto, una nuova sentenza dalla Corte di cassazione sezione lavoro n. 7034 del 24 marzo 2010, riferita al signor E.P. (ultimo dei quattro ricorrenti), con la quale inspiegabilmente si dispone nuovamente il contrario con le sezioni unite ma anche dal proprio precedente della sezione lavoro, disponendo questa volta di impiegarli in progetti pur se il ricorso riguardava una stabilizzazione lavorativa: «al fine di assicurare il buon andamento e l'imparzialità della P.A., consente, in presenza di vuoti in organico e senza le rigidità generali del collocamento, di procedere all'assunzione di tali lavoratori e di impiegarli in progetti che, oltre a ricadere nel territorio regionale, siano reputati, per la loro realizzazione, di maggiore rilievo ed utilità»;
   le sentenze delle sezioni unite sono la massima espressione della giurisprudenza italiana e danno un orientamento definitivo per cui le singole sezioni non possono esprimere un avviso diverso senza il parere delle sezioni unite con obbligo della sezione semplice di rimettere la decisione alle sezioni unite qualora non condivida il principio di diritto (Corte Cost. n. 30/2011);
   le violazioni riscontrate nelle sentenze sopracitate sono state portate a conoscenza del Ministro della giustizia con esposto del signor TRIVIGNO D., con richiesta di accertare quali siano le ragioni che hanno indotto i giudici di cassazione e gli uffici del massimario: a non verificare l'esistenza di propri precedenti; non filtrare e quindi non salvaguardare un principio di diritto; a modificare il contenuto della massima riportando «... impiegarli in progetti...» non corrisponda con quanto enunciato nel testo della Sentenza – sezione lavoro n. 17115 del 22 luglio 2009 «impiegati in progetti»; a violare la procedura prevista dell'articolo 374, comma 3 del codice di procedura civile; a violare l'articolo 65 dell'ordinamento giudiziario; a non dare applicazione alla legge regionale Basilicata n. 60 del 2000, pur in assenza di un'abrogazione legislativa o di decisioni della Consulta;
   la Presidenza della Repubblica, preso atto dei fatti, ha ritenuto rimettere la questione al Consiglio superiore della magistratura per le valutazioni di competenza come comunicato al signor TRIVIGNO D. con nota SGPR 16 maggio 2014 00512911 –:
   se il Ministro della giustizia sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali siano le motivazioni che hanno indotto a condividere il contenuto dell'archiviazione disposta dal procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione comunicato al signor TRIVIGNO D. con nota Prot. n. 201/11564 del 29 aprile 2014. (4-08050)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   le segreterie territoriali Filt-Cgil, e Uilt-Uil hanno denunciato pubblicamente che vi sarebbe, da parte di Ferrovie dello Stato spa, la volontà di utilizzare la bretella ferroviaria di collegamento a sud della stazione di Foggia (tra le linee Bari-Foggia e Foggia-Napoli), sul bivio Cervaro, anche per il traffico viaggiatori;
   tale eventualità sarebbe in netto contrasto con il Contratto di sviluppo firmato dal Ministro della coesione territoriale nell'agosto 2012 con i governatori delle Regioni del Sud, in cui si descrive l'opera in questione come «ripristino itinerario merci Napoli-Bari-Foggia con un crono programma di realizzazione dal 2012 al 2017»;
   se si attuasse tale ipotesi, utilizzando questa infrastruttura per il transito dei viaggiatori, evitando la fermata della stazione di Foggia, si produrrebbe, a fronte di un risparmio nei tempi di percorrenza valutato in 8 minuti sull'intera tratta, un danno enorme ai cittadini delle provincia di Foggia, della Capitanata e dei bacini limitrofi di utenza del Molise e della Basilicata che, attualmente, fanno riferimento alla stazione di Foggia per i loro spostamenti;
   tenuto conto che la linea in questione è una tratta ad Alta capacità e non ad Alta velocità, appare del tutto evidente che tale decisione è in netto contrasto con la necessità, da tutti riconosciuta, di arrivare al raddoppio delle intera tratta alta capacità Bari-Foggia-Napoli, se si vuole realmente velocizzare i collegamenti su quest'asse e realizzare l'aggancio con la linea Alta Velocità prevista esclusivamente lungo la dorsale Tirrenica;
   se a ciò, si aggiunge che il tratto più corposo di tale opera, cioè Apice-Orsara è ancora in fase di progettazione e che i tratti cantierizzati tra Foggia-Cervaro-Bovino sono bloccati per il fallimento della ditta che si è aggiudicata l'opera, le preoccupazioni manifestate dai sindacati assumono una dimensione molto reale;
   tale decisione sarebbe giustamente contrastata non solo dai sindacati ma dai cittadini di tutta la provincia di Foggia e dell'intera Capitanata che ancora una volta si vedrebbero privati di un servizio essenziale in una realtà in cui, al contrario, si dovrebbero incrementare le opere infrastrutturale per favorire il rilancio economico –:
   se corrisponda al vero quanto denunciato dai sindacati territoriali di settore e, nel caso, come si intenda, nell'ambito delle proprie competenze, intervenire al fine di ripristinare e accelerare quanto previsto dal contratto di sviluppo dell'agosto 2012 e impedire che la provincia di Foggia e l'intera capitanata debba subire un ulteriore penalizzazione che produrrebbe nuovi problemi in una realtà già fortemente penalizzata per la mancanza di un valido sistema di infrastrutture;
   se non si ritenga, al contrario, necessario intervenire nei confronti di Ferrovie dello Stato affinché siano rimossi tutti gli ostacoli che impediscono e rallentano il raddoppio dei tratti già cantierizzati nella tratta Foggia-Cervaro-Bovino.
(2-00854) «Di Gioia, Mongiello, Pisicchio».

Interrogazione a risposta scritta:


   FAMIGLIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   vi è molta incertezza in merito al futuro dei dipendenti assunti a tempo indeterminato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con concorso Ripam — Abruzzo in base all'articolo 67-ter della legge n. 134 del 2012 e temporaneamente assegnati presso gli enti pubblici coinvolti nel processo di ricostruzione conseguente agli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo il giorno 6 aprile 2009;
   i suddetti dipendenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-Ripam hanno una fondamentale importanza per quanto riguarda l'attività di ricostruzione;
   a distanza di 3 anni dalla legge che ne ha disposto l'assunzione risulta ancora non adottato il regolamento previsto dal comma 6 dell'articolo 67-ter il quale recita: «... tale personale è temporaneamente assegnato o a 50 unità agli Uffici speciali di cui al comma 2, fino a 40 unità alle province interessate e fino a 10 unità alla regione Abruzzo. Alla cessazione delle esigenze della ricostruzione e dello sviluppo del territorio coinvolto nel sisma del 6 aprile 2009, tale personale è assegnato al MIT per finalità connesse a calamità e ricostruzione secondo quanto disposto con apposito regolamento...»;
   l'incertezza riguarda quindi sia la durata del periodo «temporaneo» di servi o presso le sedi di assegnazione in Abruzzo, sia le future sedi di servizio nell'ambito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   diventa quindi assolutamente prioritario giungere ad un chiarimento della posizione dei suddetti lavoratori al fine di consentire loro di avere maggiori certezze rispetto al proprio futuro –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima priorità al fine di giungere alla definizione del regolamento di cui in premessa che dovrebbe chiarire la tempistica relativa alla «cessazione delle esigenze della ricostruzione e dello sviluppo del territorio» e per dare un termine preciso alla durata di tali assegnazioni temporanee, nonché per chiarire le modalità di nuova assegnazione del richiamato contingente di personale in funzione delle esigenze della ricostruzione, in quanto, attualmente, prestano servizio in regime di avvalimento e non è, stabilita alcuna assegnazione definitiva. (4-08026)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel cremonese negli ultimi mesi si sono verificati un numero rilevante ed esponenzialmente crescente di episodi di violenza;
   di particolare rilievo, per via della sua incidenza, è stato lo scontro avvenuto il 18 gennaio 2015 presso il centro sociale Dordoni, che secondo la questura è da ricondursi a ragioni di contrapposizione politica tra gruppi di estrema destra e militanti dei centri sociali, che ha portato all'apertura di indagini per rissa aggravata e lesioni gravissime. A questo hanno fatto seguito, fatti ancor più gravi perché in certa misura prevedibili, gli incidenti del 24 gennaio, data in cui era stata annunciata una grande manifestazione di gruppi antagonisti provenienti da tutta Italia, e, conseguentemente, erano state predisposte le misure per la sicurezza del centro cittadino; ciò non ha impedito che la città divenisse letteralmente «ostaggio» delle violenze che hanno fatto seguito alla manifestazione, con l'invasione delle vie del centro cittadino che è degenerata in una vera e propria guerriglia urbana, con vetrine sfasciate, automobili date alle fiamme e addirittura l'assalto diretto al comando di polizia locale;
   agli episodi di violenza interni si sommano le difficoltà derivanti dall'incapacità di gestire l'incremento esponenziale dei flussi migratori causati dalla situazione internazionale, nell'ambito della quale il susseguirsi di soluzioni inadeguate o inattuate hanno portato le strutture preposte al loro contenimento ad una situazione insostenibile, che è oggetto della cronaca di queste settimane. Non è di secondario rilievo ribadire come, secondo fonti internazionali – la stampa britannica in particolare –, l'emergenza dei profughi potrebbe essere utilizzata dalle organizzazioni militari che hanno occupato vaste aree del Nord Africa per infiltrazioni di loro uomini sul territorio italiano, con finalità terroristiche;
   a fronte di queste situazioni di eccezionale gravità, che si sommano a quelle ormai straordinarie dovute al disfacimento della coesione sociale provocata dal prolungarsi senza fine della crisi economica, desta allarme la riduzione del personale di polizia presso la questura di Cremona, denunciata dai sindacati ma perfettamente nota agli esponenti politici che ne hanno la piena responsabilità, essendo gli autori del blocco del turn over nel personale e della messa a disposizione di risorse per le esigenze materiali delle strutture e per la formazione degli agenti;
   si fa riferimento in particolare alla riduzione di sette unità di personale tra gli agenti della squadra mobile su un totale che attualmente ammonterebbe a neanche venti unità; a fronte di ciò, il sottosegretario alle riforme costituzionale e ai rapporti con il Parlamento Luciano Pizzetti afferma che «Cremona si è rivelata un luogo da tenere sotto osservazione e per le forze dell'ordine i fronti sono tanti e tutti rilevanti», aggiungendo che la questione sarebbe «già sul tavolo del Ministero dell'Interno»;
   secondo quanto riporta la stampa, si sarebbe arrivati ad un primo risultato, per quel che concerne gli uffici giudiziari, consistente nel «garantire una sostituzione, testa per testa, rispetto ai trasferimenti di chi chiede di lavorare altrove». Se con tale perifrasi ci si riferisce alle procedure di mobilità che starebbero interessando gli uffici di cancelleria dei tribunali a seguito della riorganizzazione del personale delle province, non si vede in che modo tale procedura potrebbe incidere sull'attività della polizia locale, che necessita invece di personale altamente specializzato, in particolare per quanto riguarda le gravi carenze venutesi a determinare nel settore di primaria rilevanza dell’intelligence e delle attività info-investigative –:
   quale sia nel dettaglio lo stato delle iniziative annunciate relativamente alla questione della carenza di personale specializzato presso le strutture della polizia di Stato operanti a Cremona;
   se intenda assumere con urgenza ogni provvedimento necessario al reintegro ed eventuale incremento dell'organico presso le strutture di polizia nell'area di Cremona, stante l'evidente urgenza della piena funzionalità dello stesse. (5-04777)


   RIZZO, BRESCIA, CANCELLERI, COLONNESE e LOREFICE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, istituisce le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale;
   il 17 ottobre 2014 è stata promulgata dal Presidente della Repubblica la legge di conversione n. 146 del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, recante anche disposizioni in materia di riconoscimento della protezione internazionale. All'articolo 5 si introducono modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, che recepiva, in Italia, la direttiva europea 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, aumentando il numero di commissioni territoriali massime da dieci a venti;
   sono passati quattro mesi dall'approvazione della legge n. 146 del 2014 e il numero di commissioni territoriali è rimasto invariato rispetto alle ultime disposizioni emesse dal Ministero dell'interno;
   le commissioni territoriali risultanti dal sito del Ministero dell'interno aggiornate al 27 gennaio 2014 sono ancora al di sotto del numero massimo istituibile per legge, mentre il trend degli sbarchi disponibile sul medesimo sito internet indica un costante incremento in rapporto agli anni 2014, 2013 nonché il solo mese di gennaio 2015 rispetto al mese di gennaio 2014;
   tale situazione sta generando ritardi nei tempi di verifica delle domande di richiesta di status di rifugiato, come denunciato anche da diversi organi di informazione, che alimenterebbero anche il malaffare. È noto infatti che dalle indagini dei magistrati romani, l'inchiesta «Mafia Capitale» ha portato all'arresto del consulente del CARA di Mineo, Luca Odevaine e sta evidenziando progetti criminosi in merito alla gestione dei richiedenti asilo;
   l'approvazione della legge «Delrio» del 7 aprile 2014, n. 56, concernente «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» prevede, tra l'altro, l'accorpamento e la razionalizzazione degli uffici pubblici degli enti locali e del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche. Tale ristrutturazione sta disperdendo molte professionalità inserite in programmi di mobilità;
   tra queste figure «precarizzate» ci sono anche persone che hanno ricoperto ruoli dirigenziali ed operativi nei settori delle politiche sociali e del lavoro, trovandosi di fatto in competizione interna con i colleghi che ricoprono gli stessi incarichi nelle amministrazioni comunali in via di accorpamento nelle città metropolitane o nelle unioni di comuni –:
   se intenda avviare, nel breve periodo, altre commissioni territoriali secondo quanto previsto dalla legge n. 146 del 2014 ed, in caso di risposta affermativa, quale sia la tempistica in merito all'attivazione delle stesse;
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per affidare le unità immobiliari di proprietà delle province riformate dalla legge «Delrio» e il personale proveniente da uffici provinciali dei settori delle politiche sociali e del lavoro alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. (5-04779)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Dipartimento della pubblica sicurezza (Polizia di Stato) emette annualmente il decreto con il quale sono individuate le sedi da considerare sulla base delle risultanze istruttorie effettuate dalle direzioni interregionali, ma avviate e coordinate dalla direzione generale per gli affari generali della Polizia di Stato, ai sensi dell'articolo 55, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335;
   i criteri presi in considerazione secondo le norme direttive vigenti sono: a) le condizioni climatiche critiche ove ha sede l'ufficio; b) l'assenza, entro un determinata distanza dall'ufficio, di strutture ospedaliere o di pronto soccorso; c) la mancanza d'istituti scolastici pubblici dell'obbligo, entro una determinata distanza dall'ufficio; d) la mancanza di servizio di trasporti pubblici urbani; e) extraurbani, entro una determinata distanza dall'ufficio; f) la mancanza di alloggi collettivi di servizio utilizzabili; g) la mancanza d'idonea mensa obbligatoria di servizio;
   dopo circa 30 anni, la sottosezione di polizia stradale di Frascineto (Cosenza) è stata eliminata dal decreto ministeriale nr. 559/ A/1/107.21/285 del 15 gennaio 2015, pur conservando gli elementi che all'origine la inquadrarono come sede disagiata;
   la sottosezione di polizia stradale di Frascineto (Cosenza) è uno dei reparti della polizia stradale con competenze esclusive sull'arteria autostradale A3 Sa-Re, tratto Tarsia-Mormanno, dove si verificano episodi criminosi di varia natura;
   i 45 operatori della Polstrada svolgono giornalmente il servizio, in luoghi che raggiungono diverse altitudini (come Valico di Campotenese, il massiccio del Pollino), dove a volte le condizioni meteo sono proibitive –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, rivedere le motivazioni che non hanno permesso di riconoscere alla sottosezione polizia stradale di Frascineto (Cosenza) lo status di sede disagiata;
   se non ritenga opportuno considerare la possibilità di riconoscere agli operatori della polizia stradale i benefici dello status di sede disagiata. (4-08028)


   GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   al termine della stagione venatoria 2014-2015, oltre che del bilancio degli incidenti avvenuti, arriva puntuale il bilancio degli atti di bracconaggio perpetrarti in concomitanza della stagione di caccia e quest'anno, secondo quanto emerge da una ricerca pubblicata dal CABS (Committee Against Bird Slaughter) in collaborazione con la LAC (Lega abolizione caccia), sono 706 i casi di bracconaggio documentati e ben 1.594 persone coinvolte in reati nei confronti degli animali selvatici, con un aumento del 28,8 per cento di casi in più della stagione precedente (548 i casi nella stagione 2013-2014 e 1133 le persone coinvolte);
   la quota più importante spetta alla provincia di Brescia, teatro del 12 per cento di tutti i reati commessi su scala nazionale: 70 casi ufficiali e 181 tra denunce e segnalazioni altrettanto certe (151 a carico di titolari di licenza di caccia e 30 relative a bracconieri puri), ma consultando tutte le fonti si arriva a oltre 300 cacciatori di frodo, in larga parte specializzati nell'abbattimento di uccelli protetti o nell'uso di metodi illegali;
   i dati diffusi da CABS e LAC, che si trovano all'interno della 4a edizione del «Calendario del Cacciatore Bracconiere», abbracciano un periodo che va dal 1o febbraio 2014 al 31 gennaio 2015, e non fanno altro che confermare quanto tristemente noto: il bracconaggio non è un fenomeno isolato o raro nel nostro Paese e soprattutto esso avviene per il 78 per cento durante la stagione venatoria e per la restante percentuale nei restanti mesi dell'anno;
   il legame con l'attività venatoria legale è purtroppo evidente se si pensa che i reati venatori sono compiuti per il 78 per cento da cacciatori (nel 2013-14 erano stati 913 i cacciatori responsabili di crimini verso la natura, nell'anno appena concluso il totale è salito a 1.241), ovvero persone in possesso di licenza di caccia o che l'hanno avuta in un recente passato, solo nel 19 per cento dei casi, la persona rinvenuta colpevole del reato non aveva licenza di caccia, ovvero era un bracconiere puro;
   la categoria di fauna più colpita dal fenomeno del bracconaggio è quella degli uccelli – circa il 67 per cento delle persone coinvolte nei reati era a caccia di uccelli nell'atto di bracconare, mentre il 23 per cento era a caccia di mammiferi; 23 lupi eliminati con fucilate, lacci e veleno, decine di rapaci impallinati insieme a un rarissimo ibis eremita, legioni di richiami elettroacustici vietati e le chilometriche tese di reti e trappole da uccellagione, nel solo periodo preso in esame;
   nel rapporto CABS LAC, viene poi messo in luce il lavoro dei «protagonisti della repressione»: «Il più grande dinamismo nell'antibracconaggio è stato mostrato dalle guardie venatorie volontarie delle Ong italiane (Cabs, Enpa, Lac, Legambiente, Lipu e Wwf) la cui iniziativa ha portato alla denuncia di ben 546 persone (il 38 per cento). Le operazioni svolte dal corpo Forestale dello Stato hanno contribuito per il 24 per cento al totale delle denunce per bracconaggio, che salgono al 33 per cento se si aggiungono le 131 stese dal nucleo operativo antibracconaggio del Cfs. Le polizie provinciali si attestano invece al terzo posto con il 18 per cento e un importante contributo è arrivato anche dai carabinieri, che hanno sanzionato 106 fra cacciatori e bracconieri»;
   l'atto di bracconaggio è costituito dall'illecito impossessamento della fauna selvatica – fauna particolarmente protetta dall'articolo 2 della legge n. 157 del 1992 – o su specie selvatiche non cacciabili o al di fuori dei periodi previsti per l'esercizio venatorio sulle singole specie cacciabili dall'articolo 18 della stessa legge o dal tentativo di impossessarsene –:
   se, in base a quanto esposto in premessa all'evidente incremento dei reati contro gli animali, non ritengano opportuno, per quanto di competenza, intervenire in maniera più stringente sul fenomeno del bracconaggio in Italia. (4-08039)


   ROSATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – richiamata dai Trattati – dispone il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata «, in particolare, su... (omissis) l'età ...» e l'articolo 2, paragrafo 2 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 definisce come «discriminazione diretta» quando «sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1 [religione, convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali], una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga»;
   la medesima direttiva ha fatto salva, all'articolo 4, paragrafo 1, la possibilità agli Stati di stabilire una disparità di trattamento basata su una «caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all'articolo 1» laddove essa costituisca «requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa»; all'articolo 6, paragrafo 1, ha fatto salva la possibilità agli Stati membri di prevedere differenze di trattamento in ragione dell'età per il raggiungimento di finalità legittime, compresi «giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale»;
   l'interpretazione di dette clausole eccezionali deve essere necessariamente restrittiva e deve consentire disparità solo qualora siano «oggettivamente e ragionevolmente giustificate» e purché il requisito sia «proporzionato», in quanto la giurisprudenza e la dottrina europea hanno riconosciuto il principio di non discriminazione in base all'età quale principio generale del diritto dell'Unione europea, cui la direttiva in argomento dà concreta attuazione;
   se, da un lato, a livello europeo si è più volte sancito la illegittimità delle normative che fanno espressamente riferimento a limiti d'età per l'accesso ai concorsi pubblici nella pubblica amministrazione, dall'altro, si è convenuto, con alcune sentenze note, di ritenere legittima apposizione di un limite d'età per l'accesso a particolari professioni, quali le Forze armate e di polizia e i Corpi dei vigili del fuoco, se questa è atta a «garantire il carattere operativo ed il buon funzionamento». A tal fine, il considerando 18 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 testualmente poneva come limite alla propria applicazione, l'effetto di «costringere le forze armate nonché i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso ad assumere o mantenere nel posto di lavoro persone che non possiedano i requisiti necessari per svolgere l'insieme delle funzioni che possono essere chiamate ad esercitare, in considerazione dell'obiettivo legittimo di salvaguardare il carattere operativo di siffatti servizi»;
   tuttavia, è recente la sentenza della Corte di Giustizia europea nella causa C-416/13 che innova, per certi versi, l'interpretazione che fin qui si è fatta del principio di non discriminazione e delle clausole eccezionali richiamate sopra;
   la Corte infatti, ha rilevato che sebbene «secondo una costante giurisprudenza, il possesso di capacità fisiche particolari è una caratteristica legata all'età», nulla consente di affermare che l'obiettivo di garantire il carattere operativo e il buon funzionamento dei Corpi di polizia (nel caso di specie) sia raggiunto dal mantenimento di un simile limite per l'accesso ai concorsi pubblici, e nulla dimostra che le capacità fisiche richieste siano necessariamente collegate ad una fascia predeterminata d'età;
   nella sentenza si pone in rilievo la circostanza che l'iter della selezione concorsuale preveda già il superamento di «prove fisiche rigorose ed eliminatorie» sufficienti a raggiungere l'obiettivo di garantire piena operatività ai Corpi e si richiama, in riferimento al caso di specie, al diritto spagnolo il quale non presenta una omogeneità di comportamento, essendo questa materia regolamentata dalle comunità autonome, e nel quale, quindi, figurano – all'interno del medesimo Stato – comunità che prevedono limiti d'età più stringenti, comunità che dispongono limiti di età più ampi, ed infine comunità che non hanno stabilito alcun limite;
   anche l'ordinamento italiano per l'accesso ai ruoli iniziali della polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, della polizia penitenziaria, del Corpo forestale dello Stato, della Guardia di finanza e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco prevede – al pari di quello spagnolo sanzionato dalla Corte di giustizia europea – limiti di età più o meno stringenti, nonostante l’iter di selezione concorsuale preveda l'espletamento di esami e prove di idoneità psico-fisiche, e nonostante il personale assunto sia costantemente sottoposto a corsi periodici di addestramento, formazione o aggiornamento;
   in assenza, quindi, di una ragionevole giustificazione, le norme che impongono un limite d'età all'accesso ai concorsi realizzano, secondo la Corte, una manifesta disparità di trattamento basata sull'età;
   a detta dell'interrogante, quindi, l'emissione della sentenza della Corte di giustizia europea del 13 novembre 2014, dovrebbe esortare il nostro Paese a superare l'attuale impostazione, adeguandola all'orientamento della Corte che pare essere, secondo l'interrogante, coerente con i principi europei e che comunque consente il raggiungimento degli obiettivi di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico;
   l'adeguamento pare necessario in via di autotutela, onde evitare che il nostro Paese possa essere sanzionato dalla Corte di giustizia europea o possa essere, alla luce del nuovo orientamento, raggiunta da notifica dell'apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea –:
   se i Ministri, per i Corpi di competenza, ritengano di dover adottare fin da subito tutte le iniziative utili ad adeguare l'ordinamento italiano agli orientamenti della Corte di giustizia europea in materia di limiti d'età nell'accesso ai concorsi pubblici per i ruoli iniziali;
   se, nel caso vi fosse necessità di un intervento di natura normativa, sia intendimento del Governo inserire disposizioni per l'adeguamento del nostro ordinamento alla sentenza emessa nella causa C-416/13 nel prossimo disegno di legge europea.
(4-08042)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI e DALLAI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Siena Biotech spa è una società con sede a Siena, fondata nel 2000 e partecipata al 100 per cento dalla fondazione Monte dei Paschi di Siena;
   Siena Biotech spa, si legge nel sito istituzionale della fondazione Monte dei Paschi di Siena, «ha per obiettivo la promozione, il finanziamento e la realizzazione di qualificati progetti nel campo della biologia e della biotecnologia con programmi di sviluppo di tecnologie fortemente innovative e strategiche, suscettibili di traduzioni industriali nel medio periodo, dirette a promuovere la partecipazione a programmi e progetti di ricerca in ambito nazionale ed internazionale nel campo della ricerca scientifica sulle biotecnologie»;
   «Siena Biotech spa – continua ancora il sito – che opera nel settore delle malattie neurodegenerative e dei tumori, ha ottenuto finanziamenti dalla Comunità europea e raggiunto accordi di collaborazione con importanti partner in campo farmaceutico fra cui con Wyeth per il morbo di Alzheimer e con Elixir per la malattia di Huntington, fino ai recenti sviluppi prodotti dall'accordo con Roche per il diritto di opzione su alcune molecole per il trattamento dell'Alzheimer o l'ottenimento dello status di Farmaco Orfano sia dalla Food and Drug Administration negli Stati Uniti d'America che dall'Agenzia Europea di Valutazione dei Medicinali (EMEA) del suo inibitore selettivo della Sirtuina 1 (SirT1) attualmente in sviluppo per il trattamento della malattia di Huntington. Un cenno a parte, invece, spetta all'intesa raggiunta da Siena Biotech con la A*Star di Singapore, il principale organismo asiatico per promuovere talenti e ricerca scientifica di livello internazionale, al fine di sviluppare lo studio di molecole e anticorpi da impiegare nelle nuove terapie oncologiche e nelle patologie ossee»;
   in questi anni di attività Siena Biotech spa ha focalizzato quindi la sua attività sulla cura delle malattie rare promuovendo conseguentemente progetti concreti sull'occupazione per contrastare la cosiddetta «fuga di cervelli». Nel corso dello scorso decennio hanno infatti lavorato per l'azienda contemporaneamente fino a 150 ricercatori;
   Siena Biotech spa, anche grazie alla sua nuova e moderna sede, ha rivestito nel corso degli anni il ruolo di polo di aggregazione per le start up del settore, delle imprese farmaceutiche, delle aziende ospedaliere, delle università territoriali, e della fondazione Toscana Life Science (un ente no profit, finanziato anche dalla regione Toscana, che opera dal 2005 nel panorama regionale con l'obiettivo di supportare le attività di ricerca nel campo delle scienze della vita e, in particolare, per sostenere lo sviluppo di progetti dalla ricerca di base all'applicazione industriale);
   per oltre un decennio Siena Biotech spa ha quindi rappresentato una realtà dinamica e di sviluppo per l'intera Toscana, attraendo investitori pubblici e privati, consolidando la sinergia con le multinazionali territoriali del settore e collaborando attivamente con il mondo ospedaliero ed universitario attività però supportata fondamentalmente da risorse della stessa fondazione;
   nel mese di dicembre 2014 la fondazione Monte dei Paschi di Siena, anche alla luce del nuovo quadro finanziario che la riguarda, ha deliberato che non avallerà il piano industriale presentato da Siena Biotech spa rendendo noto che «nella situazione attuale la Fondazione non può permettersi il sostegno finanziario richiesto nei prossimi anni per lo sviluppo della società così come era stato ipotizzato, nel campo delle neuroscienze». Conseguentemente sono stati bloccati tutti i finanziamenti a partire dal primo gennaio 2015;
   il 22 dicembre 2014 è stata ufficialmente messa in liquidazione Siena Biotech spa con la nomina, da parte della Fondazione Mps, di un commissario liquidatore;
   la messa in liquidazione ha causato conseguentemente l'apertura della procedura di licenziamento collettivo degli attuali 50 dipendenti di Siena Biotech spa;
   tale decisione ha fortemente allarmato i dipendenti e causato forte preoccupazione nei confronti degli enti locali territoriali (in primo luogo comune e provincia di Siena) e delle associazioni sindacali;
   i lavoratori hanno proclamato uno stato di agitazione permanente per contrastare la scelta di messa in liquidazione ed hanno intrapreso alcune azioni dimostrative di protesta fra cui l'irruzione pacifica del consiglio comunale di Siena e l'occupazione della sede stessa del centro ricerche;
   la regione Toscana ha sottolineato la necessità di mettere in campo azioni concrete per «preservare un importante patrimonio di competenze, umane e tecnologiche con una forte rilevanza dal punto di vista sociale e del diritto alla salute dei cittadini. Continueremo a seguire la vicenda e terremo aperto il tavolo regionale mettendo a disposizione tutti gli strumenti di cui disponiamo, a partire dagli ammortizzatori sociali, per sostenere la prosecuzione dell'attività, il mantenimento dell'occupazione e per supportare la ricerca. Come Regione Toscana puntiamo molto sulla ricerca e l'innovazione nelle forme e nei modi dovuti, la nostra strategia è quella di sostenere la ricerca con tutti i mezzi a nostra disposizione»;
   la regione Toscana ha anche annunciato da tempo l'impegno a destinare 3 milioni di euro alla fondazione Toscana Life Sciences: risorse, non ancora però erogate concretamente, che dovrebbero contribuire all'attività di attrazione di aziende e progetti utili a dare una prospettiva occupazionale ai ricercatori di Siena Biotech spa e riqualificarne gli spazi della attuale sede anche per ospitare altre imprese interessate alla ricerca; il contesto senese delle biotecnologie conta infatti su oltre 3500 addetti;
   il Governo ha promosso progetti e stanziato risorse, in questi ultimi mesi, per contrastare la «fuga di Cervelli» attraverso programmi specifici per attrarre giovani impegnati nella ricerca e nella didattica e sostenendo anche economicamente le imprese del settore utilizzando i fondi europei previsti da «Horizon 2020» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto illustrato in premessa circa la grave situazione in cui versa Siena Biotech spa e quali iniziative urgenti intendano intraprendere per tutelare gli attuali livelli professionali presenti in azienda, i risultati della ricerca prodotta, fornendo per quanto di competenza una prospettiva occupazionale e se si ritenga opportuno istituire un apposito tavolo di crisi. (5-04772)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, impone il divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di Governo ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125; la norma inizialmente richiamata necessita di una chiara interpretazione applicativa che puntualizzi come essa riguardi sostanzialmente il divieto di incarichi dirigenziali e direttivi dei pensionati ai fini del «ringiovanimento» dei quadri burocratici, concetto che è binario conduttore della circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 6 del 2014 del 4 dicembre 2014;
   tale atto: a) afferma che il divieto si applica «a qualsiasi lavoratore dipendente collocato in quiescenza», mentre la legge parla solo di pensionati «pubblici e privati», non di pensionati tout court, con automatica esclusione, quindi, dei pensionati degli organi costituzionali parlamentari e di quelli della Presidenza della Repubblica o della Corte costituzionale, titolari di uno status particolare che non è disciplinato dalla legge ordinaria; b) afferma che, ricomprendendo nel divieto anche tale personale, non sono lese le prerogative degli organi costituzionali ma è noto che i dipendenti delle istituzioni richiamate hanno un proprio specifico status; c) conferma il divieto di incarichi di studio e consulenza per i pensionati, ma «ritiene conferibili ai soggetti in quiescenza incarichi di ricerca e incarichi professionali inerenti ad attività legale o sanitaria»; d) ritenuti esclusi dal divieto i pensionati commissari straordinari di enti pubblici seppure un commissario assommi su di sé i poteri del Presidente e del Consiglio di amministrazione. Alla luce di ciò sarebbe incompatibile l'incarico di presidente di conservatorio che non è però neppure «organo di governo» ma semmai di indirizzo poiché il «governo» della istituzione artistica (insegnamento, programmi, docenti, allievi) compete al direttore ed al consiglio accademico;
   sussiste quindi la necessità di chiarire meglio la materia al fine di evitare sia inutili e costosi contenziosi per la pubblica amministrazione sia perché un'interpretazione ed applicazione restrittiva rischiano, di non cogliere la ratio legis;
   con due diversi atti di sindacato ispettivo (interrogazione n. 4-05962 indirizzata al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca e n. 4-06141 al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione) sono state chieste notizie sull'area della effettiva portata applicativa dell'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014, la cosiddetta circolare Madia ha dato indirettamente solo una parziale risposta;
   con circolare 22 dicembre 2014, n. 3627, e dunque successiva alla circolare del Ministro Madia, il Capo gabinetto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «ha aperto» alla possibilità di nomine di pensionati disponendo: «Persone in quiescenza: per costoro la nomina può ancora avvenire ma soltanto a titolo gratuito e per un solo anno»;
   lo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreto 6 ottobre 2014, n. 778, per le nomine di sua competenza di consiglieri di amministrazione dei conservatori ed accademie ha disposto: «Soggetti in quiescenza inseriti nella rosa di esperti per il conferimento di incarichi (durata triennale) di membro di Consiglio di amministrazione: al suddetto personale può essere conferito l'incarico solo per un anno ed a titolo gratuito»;
   recentemente il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha proceduto alle nomine a presidente del conservatorio statale di musica di Campobasso di un docente universitario in pensione, per un anno (decreto ministeriale 26 gennaio 2015, n. 0000013) e del presidente dell'istituto musicale pareggiato «Gaetano Donizetti» di Bergamo di un dirigente scolastico in pensione, per un anno (decreto ministeriale 22 dicembre 2014, n. 000435);
   rispetto a quanto sopra evidenziato appare all'interrogante perciò assolutamente incoerente ed in contrasto quanto invece comunicato al conservatorio statale di musica di Pesaro da parte del dipartimento università del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca che, con nota n. R.U. 0005496 del 1o settembre 2014, ha rappresentato che: «...si ritiene che le modifiche introdotte in sede di conversione in legge (del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90) non consentano, in ogni caso, il conferimento dell'incarico di presidente di una istituzione del comparto AFAM ad un dipendente pubblico in quiescenza in quanto la durata triennale del mandato non sarebbe conciliabile con i limiti di cui sopra» e che quindi è «necessario che il Consiglio Accademico proponga nel più breve tempo possibile una nuova terna di nominativi»;
   il 30 ottobre 2014, su reiterate insistenze del dipartimento suddetto (che non risulta abbia dato risposta alle osservazioni sollevate al riguardo l'8 settembre 2014 dal direttore dell'istituto), il consiglio accademico del conservatorio di Pesaro, facendo di tutto ciò espressa menzione nella premessa dell'apposita deliberazione, ha adottato una nuova terna dalla quale il Ministro ha poi tratto, nel novembre successivo, il nome del presidente del conservatorio di Musica di Pesaro;
   sulla base dei richiamati atti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la prima terna adottata dal consiglio accademico appare all'interrogante essere invece perfettamente conforme alla legge e da quella doveva perciò essere tratto il nominativo del nuovo presidente;
   appaiono all'interrogante dunque vulnerate le prerogative del consiglio accademico che, da un lato, aveva legittimamente operato e, dall'altro, aveva diritto di attendersi che comunque fossero sottoposti al Ministro, oltre ad un soggetto in pensione e quindi con il limite di cui sopra, anche gli altri due nominativi fra i quali andare ad individuare il presidente, atteso che la «designazione» del medesimo spetta al consiglio accademico (articolo 5, secondo comma, decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003), mentre al Ministro residua, come «potere vincolato», la nomina nell'ambito della terna. Tale aspetto riveste particolare rilievo poiché le prerogative spettanti agli organi dei conservatori in tema di autonomia, sono state profondamente trasformate ed uniformate a quelle delle università dalla legge n. 508 del 1999. L'articolo 2 di tale legge ricorda che è l'articolo 33 della Costituzione a riconoscere a tali istituzioni il diritto di darsi ordinamenti autonomi, e precisa, al quarto comma, che esse «sono dotate di personalità giuridica e godono di autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e contabile, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici. Al Ministero residuano (articolo 2, terzo comma) poteri di programmazione, indirizzo e coordinamento»... «nel rispetto – peraltro – dei principi di autonomia sanciti dalla presente legge»;
   alla luce di quanto sopra appaiono contraddittori ed incoerenti gli atti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e lesivi delle specifiche attribuzioni del consiglio accademico del conservatorio di Pesaro secondo quanto la legge n. 508 del 1999 ha inequivocabilmente disposto –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra descritti e se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della  ricerca ritenga o meno, in sede di autotutela, di revocare gli atti lesivi delle prerogative del consiglio accademico del conservatorio di Pesaro e di ripristinare anche per tale ente una situazione giuridica coerente con l'effettivo spirito del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, con il decreto 6 ottobre 2014, n. 778, con la Circolare 22 dicembre 2014, n. 36257 e uniforme con i richiamati decreti ministeriali con cui pensionati sono stati nominati a presidenti di conservatorio. (4-08027)


   VACCA, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, LOMBARDI, CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI e CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno scolastico 2011/12 e ancora nell'anno scolastico 2014/15 l'amministrazione scolastica colloca a riposo d'ufficio le dipendenti donne sul presupposto che tale personale ha maturato entro il 31 dicembre 2011 uno qualsiasi dei requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per il conseguimento della pensione di vecchiaia (quindi anche 61 anni di età anagrafica in quanto donna e 20 ovvero 15 anni di anzianità contributiva);
   in applicazione dell'articolo 24, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, il diritto alla prestazione pensionistica, secondo previgente normativa, prevedeva il collocamento a riposo d'ufficio per limiti di età dall'inizio dell'anno scolastico successivo alla data di compimento del 65 esimo anno di età;
   i commi 4 e 5 dell'articolo 2 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 riportavano, in seguito, l'interpretazione autentica del comma 3, primo periodo, e comma 4 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 per chiarire, che le amministrazioni «devono» procedere al pensionamento di tutti i dipendenti che hanno maturato uno qualsiasi dei requisiti di conseguimento del diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011, in tal modo conferendo forza di legge primaria a un dispositivo che era già stato espresso nella circolare n. 2/2013 del dipartimento della funzione pubblica, condiviso dai Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali;
   sulla base l'interpretazione autentica dell'articolo 24 comma 3 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, l'amministrazione scolastica, sul presupposto che «un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011» debba riferirsi anche al raggiungimento, per le lavoratrici donne, del requisito dei 61 anni di età con almeno 20 anni di contributi ovvero 15 per chi era in possesso di una qualsivoglia anzianità contributiva al 31 dicembre 1992, sta procedendo ogni anno scolastico successivo all'a.a. 2011/12 a collocare in pensione d'ufficio il personale scolastico femminile al compimento dei 65 esimo anno di età;
   la problematica interpretativa di fondo scaturisce dal fatto che l'amministrazione scolastica cade in un duplice equivoco: da una parte quello di equiparare il diritto inteso come «accesso al trattamento pensionistico» al «collocamento a riposo d'ufficio» concetti sì collegati ma da non confondere, in quanto non coincidenti; e, dall'altra, quello di considerare il requisito della pensione di vecchiaia anticipata a domanda per le sole donne quale requisito che, prescindendo dal conseguimento dell'anzianità contributiva utile al pieno trattamento pensionistico, determina per sé stesso l'applicazione del limite ordinamentale antecedente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011. Errori concettuali e interpretativi, la cui compresenza nella condotta dell'amministrazione scolastica de qua hanno determinato l'ingaggio di atti, prima contraddittori, e poi illegittimi;
   le dipendenti donne che alla data del 31 dicembre 2011 non hanno maturato né la pensione di anzianità – 40 anni di contributi – né quella mista – quota 96, vale a dire 61 anni di età e 35 anni di servizio ovvero 60 di età e 36 di contributi devono sottostare al limite ordinamentale per il collocamento a riposo d'ufficio previsto dalla nuova normativa a decorrere dal 66o anno di età (per la precisione 66 anni e 3 mesi);
   l'aver compiuto 61 anni entro il 31 dicembre 2011, per le donne lavoratrici costituiva un diritto di accesso al trattamento pensionistico facoltativo che poteva esercitare a domanda, anticipando volontariamente la quiescenza, in alternativa alla pensione di vecchiaia (65 anni);
   emerge con chiarezza che un «qualsiasi requisito» di accesso al trattamento pensionistico di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 2 decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 va inteso con riferimento alla pensione di vecchiaia (65 anni entro il 31 dicembre 2011), al raggiungimento «quota» (criterio misto anzianità-vecchiaia) e della pensione anzianità (40 anni), tutti requisiti comuni ai dipendenti uomini e donne;
   il personale scolastico appartenente al genere femminile subisce una, discriminazione rispetto ai colleghi uomini in quanto è cooptata ad andare in pensione e 65 anni anche dopo l'elevazione del limite ordinamentale della pensione di vecchiaia (ad oggi) a 66 anni e tre mesi, stabilito dal decreto-legge n. 201 del 2011 ma applicabile soltanto agli uomini;
   a giudizio dell'interrogante deriva una disparità di trattamento a svantaggio delle dipendenti donne, che, a fronte di una bassa anzianità contributiva, aspirano a permanere in servizio;
   non può trascurarsi, infatti, la necessità di interpretare il diritto interno e comunque di applicarlo in armonia con il quadro normativo europeo;
   è noto che 13 novembre 2008, la Corte di Giustizia delle Comunità europee, con la sentenza n. C-46/07 riguardo l'inadempimento di uno Stato – articolo 141 CE – Politica sociale – Parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Nozione di «retribuzione» – Regime pensionistico dei dipendenti pubblici, ha condannato l'Italia perché l'anticipazione dell'età pensionabile delle donne è stata ritenuta discriminatoria;
   l'inadempienza dello Stato italiano è stata dichiarata per il fatto di mantenere in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diversa o seconda che siano uomini o donne, venendo meno agli obblighi di cui all'articolo 141 CE»;
   la Corte, nelle sue argomentazioni poste a fondamento della decisione, ha respinto l'argomento dello Stato italiano secondo cui la fissazione, ai fini del pensionamento, di un'età diversa secondo il sesso, sarebbe giustificata dall'obiettivo di eliminare discriminazioni a danno delle donne, ai sensi dell'articolo 141 CE;
   come ha sostenuto la Corte, «i provvedimenti nazionali contemplati da tale disposizione debbono, in ogni caso, contribuire ad aiutare la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all'uomo» e «la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione d'età diversa a seconda dei sesso non è tale da compensare gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile, aiutando queste donne nella loro vita professionale e ponendo rimedio ai problemi che possono incontrare durante lo loro carriera professionale»;
   la Corte evidenzia che: «Come risulta da una costante giurisprudenza, l'articolo 141 CE vieta qualsiasi discriminazione in materia di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, quale che sia il meccanismo che genera questa ineguaglianza. Secondo questa stessa giurisprudenza, la fissazione di un requisito di età che varia secondo il sesso per la concessione di una pensione che costituisce una retribuzione ai sensi dell'articolo 141 CE è in contrasto con queste disposizione»;
   la disparità di trattamento rilevante nel caso de quo si situa oggettivamente nel combinato disposto della norma transitoria della riforma Fornero, il cui scopo è, paradossalmente, anche quello di eliminare, sulla base delle predette prese di posizione in campo comunitario, la differenza di trattamento pensionistico connesso all'età tra lavoratore uomo e lavoratrice donna: da una parte vi è infatti la norma di cui alla legge 3 agosto 2009 n. 102, che innalza progressivamente l'età della pensione di vecchiaia per le donne allo scopo di allinearla a quella degli uomini, fino a portarla 65 anni, prevedendo entro il 31 dicembre 2011, 61 anni; e dall'altra, l'articolo 24, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 201 del 2011 che in via transitoria, ponendo un limite temporale al 31 dicembre 2011, fa salva la normativa pensionistica previgente a partire dalla decorrenza della riforma;
   se si interpreta l'articolo 24, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 201 del 2011, nel senso di includere il requisito dei 61 anni per sole donne nel dispositivo che regolamenta la transizione di cui ai predetti commi dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 ai fini di individuare la normativa pensionistica da applicare, si produce inevitabilmente effetto discriminatorio censurato dalla Corte di Giustizia europea;
   la direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, veniva esplicitato di perseguire «la graduale attuazione, nel campo della sicurezza sociale e degli altri elementi di protezione sociale di cui all'articolo 3, del principio della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale»;
   agli Stati membri veniva imposto di adottare «le misure necessarie affinché siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento»;
   con la direttiva n. 2006/54/CE del 5 luglio 2006, adottata dal Consiglio e dal Parlamento europeo «riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego», si ribadisce che le pensioni dei dipendenti pubblici sono, a tutti gli effetti, una parte della retribuzione e in quanto tale sono soggette alle regole di parità di trattamento;
   all'articolo 8 della direttiva n. 2006/54/CE del 5 luglio 2006 viene esplicitamente inclusa tra le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento, che si basano direttamente o indirettamente sul sesso, quella che stabilisce limiti di età, differenti per il collocamento a riposo;
   già due anni fa il giudice del lavoro di Avezzano, su ricorso presentata da una docente, con ordinanze n. 651 del 10 settembre 2013 precisa il concetto per cui le donne collocate a riposo d'ufficio in quanto avevano, solo loro, 61 anni entro il 31 dicembre 2011 – «si verrebbe a creare una disparità di trattamento con i colleghi uomini che, a parità di requisiti di età e di contributi, fruiscono del nuovo regime previdenziale (considerato più favorevole da quanti, come la ricorrente, avendo una contribuzione minima, hanno interesse a prolungare l'età pensionabile)»;
   anche se l'interpretazione sia quella intesa dal legislatore a tenore del combinato disposto degli articoli 2, comma 4 e comma 5, del decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013; in quanto, ai sensi dell'articolo 117, comma 1, della Costituzione, «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto [...] dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario» – il primato del diritto comunitario si sostanzia nella prevalenza di quest'ultimo sulle norme interne con esso contrastanti, sia precedenti sia successive, e quale ne sia il rango, anche costituzionale;
   la norma interna contrastante con la normativa comunitaria provvista di efficacia diretta – nel nostro caso il combinato disposto dell'articolo 141 del Trattato CE, della direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978, della direttiva del Consiglio 2006/54/CE del 5 luglio 2006 e della pronuncia della Corte di Giustizia nei confronti dell'Italia n. C-46/07 del 13 novembre 2008 – non può essere applicata ovvero deve essere disapplicata, con la conseguenza che il rapporto resta disciplinato, per quanto di ragione, dalla sola norma comunitaria;
   le dipendenti donne, al di fuori di ogni logica giuridica, dovrebbero subire gli effetti penalizzanti da un collocamento a riposo d'ufficio per il raggiungimento di un limite ordinamentale (quello dei 65 anni, previgente alla riforma Fornero), che si deve applicare loro, necessariamente e solamente in quanto l'appartenenza al genere femminile la costringe ad accedere a una soglia (61 anni), anche se le si ritorce contro, impedendole di incrementare carriera e retribuzione, mentre i colleghi uomini, con la stessa età, continuano a lavorare, lucrando i connessi benefici stipendiali e previdenziali. Ciò, a giudizio dell'interrogante, determina anche una palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione e in particolare del principio di «imparzialità» della pubblica amministrazione di cui all'articolo 97 della Carta Costituzionale;
   il tribunale di Avezzano, nell'ordinanza del 21 ottobre 2014, emessa a seguito di un procedimento d'urgenza presentato da 5 docenti ha accolto il ricorso ordinando, conseguentemente all'amministrazione scolastica il mantenimento del servizio delle ricorrenti fino al compimento del 66o anno e tre mesi di età;
   l'ordinanza del giudice del lavoro del tribunale di Avezzano recita che «cinque delle sei ricorrenti hanno compiuto 65 anni nel 2014 e al 31 dicembre 2011 avevano maturato i requisiti per beneficiare della pensione anticipata di vecchiaia all'epoca vigente (donne di 61 anni di età con almeno 20 anni di contributi o 15 per chi era in possesso di un'anzianità contributiva al 31 dicembre 1992), ma non i requisiti per la pensione di anzianità (40 anni di contributi o quota 96);
   in sostanza nell'anno 2011 il pensionamento era consentito al raggiungimento di 61 anni per le donne e 65 per gli uomini, per entrambi con almeno 15 anni di contributi (se in parte maturati prima del 1993);
   dunque la norma di interpretazione autentica sopra richiamata, avendo ancorato l'applicazione del limite ordina mentale previgente (65 anni) al fatto che una dipendente avesse maturato prima del 31 dicembre 2011 requisiti per fruire della pensione anticipata di vecchiaia (61 anni di età e 15 o 20 di contributi) ha creato disparità di trattamento con i colleghi uomini che, a parità di requisiti di età e di contributi, hanno potuto fruire del nuovo regime previdenziale (considerato più favorevole da quanti, come le cinque ricorrenti, avendo una contribuzione minima, hanno interesse a prolungare d'età pensionabile). Conclude, dunque, che la predetta norma a interpretazione autentica risulta contrastare con la direttiva del Consiglio 2000/78/CE, che sancisce principio di non discriminazione in base all'età, ma che è applicabile anche ad altri casi di discriminazione;
   la direttiva citata nella nota sentenza della Corte di Giustizia, 19 gennaio 2010, C-555/07, Kucukdeveci – riportata dal predetto giudice – in cui si afferma che «È compito del giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire il rispetto del principio di non discriminazione in base all'età, quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall'esercizio della facoltà di cui dispone, nei casi previsti dall'articolo 267, secondo comma, TFUE, di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull'interpretazione di tale principio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza degli effetti che gli interroganti discriminatori per le dipendenti donne della pubblica amministrazione dell'interpretazione autentica all'articolo 24, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 201 del 2011 (riforma Fornero) fornita ai commi 4 e 5 dell'articolo 2 decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, che, a fronte di una bassa anzianità contributiva e quindi di un interesse a rimanere in servizio, le coopta in pensione al conseguimento di 65 anni e non già di 66 anni e tre mesi come per gli uomini e quali iniziative normative intendano assumere in proposito i Ministri interrogati. (4-08034)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO, BARBANTI, ROSTELLATO, MUCCI, BALDASSARRE, ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è ormai un dato di fatto che in Italia il meccanismo previsto per rendere operativo il piano Garanzia Giovani non ha funzionato per una moltitudine di criticità, quali i ritardi nell'attuazione del piano da parte degli enti locali e l'assenza di un'efficace struttura di coordinamento, la cui istituzione era prevista in una Raccomandazione del Consiglio della Ue che stabiliva, l'identificazione di un'autorità pubblica incaricata di istituire e gestire il sistema di garanzia, lo sviluppo di partnership tra servizi per l'impiego pubblici e privati e il potenziamento dell'apprendistato come forma contrattuale;
   in merito alle gravi criticità del piano sono stati presentati diversi atti di sindacato ispettivo. A riguardo, l'interrogante ha presentato un'interrogazione (4-05982) il 4 novembre 2014 chiedendo, tra l'altro, quali iniziative intenda adottare il Ministro del lavoro affinché vengano promosse delle misure correttive al piano che consentano allo stesso di essere efficace;
   in data 4 febbraio 2015, il sottosegretario Teresa Bellanova ha dato riscontro ad un atto di sindacato ispettivo (5-03047) sull'attuazione del piano Garanzia Giovani. Rispetto al riscontro ricevuto gli interroganti hanno desunto il fallimento del piano, ormai comprovato anche dall'Istat che nel certificare un tasso di disoccupazione giovanile salito al 43,3 per cento fornisce prova della totale inefficacia delle politiche attive nei confronti dei giovani soprattutto nel caso dei cosiddetti Neet, ossia giovani che non lavorano, né frequentano alcun corso di istruzione e di formazione;
   per cercare di contrastare le criticità riscontrate nel piano, il Governo ha deciso di intervenire con due decreti. Il primo per correggere l'attuale sistema di «profilazione» dei giovani, il secondo per allargare il bonus anche ai contratti a termine (di durata inferiore a 6 mesi) e a quelli di apprendistato. Si è, secondo gli interroganti, preso atto del fallimento del piano, tuttavia, si ritiene che il Governo voglia intervenire con dei correttivi, che per gli interroganti non porteranno alcun beneficio;
   si mette in evidenza che, l'Italia ha ottenuto per il funzionamento del piano più di un miliardo di euro. Nello specifico, sono stati stanziati 567 milioni a carico del finanziamento europeo straordinario, a cui si aggiungono altri 567 milioni a carico del FSE, oltre al cofinanziamento nazionale. Alle regioni, individuate come organismi intermedi del Piano operativo nazionale di Garanzia giovani è delegata la definizione e la realizzazione delle misure e tra esse sono suddivise le risorse complessive, in base al tasso di disoccupazione delle diverse aree geografiche. Rientra poi tra le facoltà delle singole regioni affiancare al finanziamento europeo e nazionale eventuali altri stanziamenti regionali;
   orbene, proprio rispetto all'operatività delle regioni si è riscontrato uno dei seri problemi nel programma. In molte di queste, soprattutto quelle con i più alti tassi di disoccupazione e dispersione giovanile, la Garanzia Giovani non è ancora operativa rivelandosi mera occasione per l'organizzazione di convegni e per l'apertura di nuovi siti internet pubblici che non funzionano e non mettono in contatto domanda e offerta di lavoro, configurandosi dunque un assurdo spreco delle risorse destinate al programma;
   addirittura, in Sicilia il bando è stato aperto e poi subito ritirato sollevando dubbi sulla trasparenza delle procedure adottate nell'erogazione dei finanziamenti;
   si ritiene, dunque, che il piano si stia rilevando irrimediabilmente un fallimento con conseguente grave spreco di risorse finanziarie;
   ma vi è di più, si teme che proprio un'errata gestione dei fondi che potrebbe presentare profili di dubbia legittimità sia tra i motivi per i quali è disastroso l'andamento di garanzia giovani;
   pertanto, appare urgente individuare come e se avviene un efficace controllo sull'utilizzo delle risorse e sulla loro reale destinazione –:
   quali siano i fondi stanziati per ciascuna regione per rendere operativo il piano Garanzia Giovani;
   quali siano i dati al fine di verificare per quali iniziative specifiche siano state impiegate le risorse finanziarie, in modo da verificare l'andamento del piano e il concreto livello di operatività di ciascuna regione;
   se e quali iniziative siano state disposte per il controllo sul corretto utilizzo e destinazione delle somme erogate per il piano Garanzia Giovani, al fine di evitare che vi siano sprechi per azioni inadeguate al funzionamento del piano o illegittimi utilizzi;
   in particolare, se e quali azioni siano state poste in essere per verificare se effettivamente l'impiego da parte delle regioni dei fondi di loro spettanza, avvenga nel rispetto degli obiettivi specifici ed operativi per attuare il piano;
   se e quali azioni di intervento siano state previste laddove vengano riscontrati casi, come in Sicilia, dove sono stati sollevati dubbi sulla trasparenza delle procedure adottate nell'erogazione dei finanziamenti. (5-04780)


   GRILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sottoscritta in data 13 ottobre 2014 presentava un'interrogazione a risposta scritta n. 4-06376 poi trasformata in un'interrogazione a risposta in Commissione il 13 novembre 2014 n. 5-04026 al Ministro del lavoro e delle politiche sociali sull'utilizzo della Cassa integrazione straordinaria per vari periodi del 2013 e del 2014 da parte dell'azienda Aviation Services per un totale di 119 unità lavorative degli aeroporti di Napoli e di Catania;
   l'interrogante chiedeva chiarimenti in merito alla contemporaneità di ammortizzatori sociali per la crisi aziendale di Aviation Services e l'aumento di ore lavorate della stessa azienda –:
   nella risposta del rappresentante del Governo, pubblicata nell'allegato al bollettino in Commissione XI del 4 dicembre 2014, in riferimento alla richiesta dell'interrogante di valutare se vi fossero elementi tali da poter avviare gli ispettori del lavoro e gli ispettori ministeriali per appurare il pieno rispetto delle normative vigenti da parte di Aviation Services, il rappresentante del Governo affermava: «faccio presente che sono in corso di attivazione – da parte dei competenti organi ispettivi – accertamenti volti ad appurare i fatti evidenziati nel presente atto parlamentare» –:
   se sia a conoscenza delle risultanze dell'indagine da parte dei competenti organi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali su Aviation Services;
   se sia a conoscenza di eventuali violazioni da parte Aviation Services in merito alla normativa che autorizza la cassa integrazione straordinaria. (5-04784)

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Istat sono tre milioni i disabili che vivono in Italia, una cifra che rappresenta il 5 per cento della popolazione complessiva;
   sotto il profilo del riconoscimento dei diritti dei disabili la sensibilità è andata mutando negli ultimi anni e dalla dichiarazione di Madrid, promulgata nel 2002 in occasione dell'Anno internazionale della disabilità (2003), dove già si spostava l'asse di interesse da una visione eminentemente medico-scientifica ad una prettamente sociale, si è arrivati alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, promulgata dall'ONU nel 2007. La convenzione si richiama esplicitamente a diversi principi della Dichiarazione universale dei diritti umani: non discriminazione, eguaglianza, pari opportunità, rispetto dell'identità individuale;
   l'articolo 3 indica i principi entro i quali la Convenzione si muove, elencandoli esplicitamente:
    a) il rispetto della persona nelle sue scelte di autodeterminazione;
    b) la non discriminazione;
    c) l'integrazione sociale;
    d) l'accettazione delle condizioni di diversità della persona disabile;
    e) rispetto delle pari opportunità e dell'uguaglianza tra uomini e donne;
    f) l'accessibilità;
    g) il rispetto dello sviluppo dei bambini disabili;
   l'Italia ha recepito la Convenzione con la legge n. 18 del 3 marzo 2009, dando il via libera alla istituzione di un osservatorio sulla disabilità presieduto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali che, oltre a promuovere la Convenzione, ha il compito di provvedere alla raccolta di dati che illustrino le condizioni delle persone con disabilità, per predisporre un programma biennale di promozione dei diritti e di integrazione sociale;
   una delle priorità del piano d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2013 è la linea d'intervento volta alle politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l'inclusione nella società;
   ad oggi, però, il problema della discriminazione e della non inclusione delle persone disabili sono ben lungi dall'essere risolti;
   i disabili sono portatori di esigenze particolari che sono tanto più gravi quanto meno trovano risposta in seno alla società;
   sul rispetto di alcuni diritti dei disabili (precedenze nelle file presso gli sportelli degli uffici piuttosto che sui mezzi pubblici) si riscontra la persistenza di un deficit culturale molto diffuso –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, in relazione a quanto in premessa, assumere un'iniziativa normativa che consenta ai disabili di poter accedere a corsie preferenziali per l'espletamento delle normali attività quotidiane in grado di garantire realmente i diritti riconosciuti alle categorie deboli e se non ritenga altresì utile prevedere uno strumento di identificazione attestante la disabilità (non sempre immediatamente percepibile) da attribuire al disabile. (4-08038)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nel maggio del 2005 il Cipe diede il via libera alla realizzazione del famoso raccordo autostradale «corda molle» tra il casello di Ospitaletto, quello nuovo di Poncarale e l'aeroporto di Montichiari. La costruzione è stata suddivisa in quattro lotti e ad oggi ne sono stati realizzati soltanto due: il tratto tra Castenedolo e Azzano Mella, mentre la riqualificazione della SP 19 tra Azzano e Ospitaletto è ferma. I lavori sono bloccati da oltre tre anni, poiché la concessione per la gestione dell'A21 in capo a Centropadane è scaduta il 30 settembre 2011 e da questo momento la società è tenuta soltanto alla gestione ordinaria, ma non a portare avanti gli investimenti, che dovranno essere completati dal nuovo concessionario;
   in mezzo, però, ci sono 483 proprietari dei terreni espropriati che attendono i 30 milioni di euro che la società autostradale Centro Padane deve ancora pagare. Infatti, gli agricoltori di Torbole, Azzano e Ospitaletto, nei cui terreni da sette anni sono aperti i cantieri, non hanno ricevuto alcun indennizzo e cosa ancor più grave è che gli agricoltori continuano a pagare l'Imu su questi terreni. La situazione è drammatica per tutte le aziende espropriate, così come drammatico è l'aspetto della viabilità e della sicurezza anche in previsione dell'aumento del traffico per Expo 2015;
   a sostegno degli agricoltori espropriati è intervenuto il TAR di Brescia. Infatti, la società Valore Reale Sgr, fondo immobiliare proprietario di un'area di 600 mila metri quadrati, sulla quale doveva sorgere il nuovo stadio, alla quale è stata espropriata una porzione di 21 mila metri quadrati per far passare il raccordo autostradale «corda molle», un anno fa ha promosso il ricorso al TAR di Brescia. La società ha infatti richiesto un risarcimento di 9,6 milioni di euro considerando che l'occupazione acquisitiva non si sarebbe mai completata con un decreto di esproprio;
   nel ricorso, la Valore Reale ha rammentato che con decreto del 2006 Anas ha delegato Centropadane a esercitare il potere espropriativo, l'anno dopo la società autostradale ha approvato il decreto di occupazione temporanea d'urgenza e il 14 novembre 2007 ha preso possesso dei terreni, poi più nulla, il decreto d'esproprio è rimasto lettera morta, tanto da far scrivere alla ricorrente di essere vittima di un comportamento illecito causativo di un danno ingiusto;
   nel mese di gennaio 2015, il TAR di Brescia ha accolto il ricorso precisando che l’iter espropriativo non è stato completato e che si tratta dunque di «illegittima occupazione». Il TAR ha inoltre indicato i tempi entro i quali dovrà perfezionarsi il passaggio di proprietà, nonché definito il risarcimento dovuto, determinato secondo criteri individuati dalla stessa sentenza. I giudici del TAR hanno poi precisato che essendo scaduta, nel mese di settembre 2014, la concessione per la gestione dell'A21 in capo a Centropadane spetterà all'Anas emanare il provvedimento di acquisizione dell'area pagando l'indennizzo, oppure, rimuovendo il tratto stradale –:
   se il Governo sia a conoscenza della drammatica situazione in cui versano gli agricoltori dei terreni espropriati e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché questi ultimi possano ottenere l'indennizzo previsto a seguito dell'esproprio.
(2-00853) «Gelmini, Romele».

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PICCIONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la normativa attualmente vigente in tema di criteri relativi ai titoli in possesso di medici operanti nelle strutture private convenzionate sul territorio risulta complessivamente lacunosa e poco chiara;
   partendo dal presupposto dell'equiparazione tra strutture pubbliche e private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, si sono verificati casi di adozione di provvedimenti di sospensione nei confronti di professionisti – anche con carriere professionali più che decennali – poiché essendosi costoro laureati in medicina e chirurgia e abilitati all'esercizio della professione in epoca antecedente al 1997 – anno in cui veniva istituito l'obbligo della specializzazione – sono stati ritenuti inidonei alla prosecuzione della propria attività presso le case di cura a causa della mancanza del suddetto titolo di specializzazione;
   la maggior parte dei medici operanti in strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale ha svolto la propria professione a rapporto libero-professionale, sebbene la tipologia del rapporto di lavoro avesse tutti i caratteri della continuità, coordinazione ed anche subordinazione con turni di lavoro organizzati con presenze stabilite e continuative anche nei festivi e notturni e con un monte ore solitamente non inferiore alle 30 ore settimanali;
   negli ospedali pubblici i medici privi di specializzazione che usufruivano di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sono stati mantenuti in servizio;
   desta dunque preoccupazione la situazione di tutti quei professionisti che essendosi laureati in medicina e chirurgia e abilitati all'esercizio della professione in epoca antecedente all'obbligo della specializzazione rischiano oggi di essere discriminati nei propri diritti rispetto ai medici specializzati, pur avendo nel frattempo esercitato la professione con modalità di tipo libero professionale presso case di cura private accreditate con il Servizio sanitario nazionale, per un periodo non inferiore alla durata di un corso di specializzazione, ovvero qualora, per una durata di tempo equivalente, abbiano effettuato un percorso di formazione titolo di volontariato in una qualsiasi struttura sanitaria;
   in data 31 luglio 2014 nella seduta n. 276 in sede di approvazione dell'AC 2486 contenente la conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/2486-AR/14 a firma dell'interrogante ove si chiedeva un impegno a valutare l'opportunità di prevedere l'esenzione dall'obbligo della specializzazione, ai fini dello svolgimento della professione nelle strutture accreditate col Servizio sanitario nazionale, per tutti i laureati in medicina, e chirurgia abilitati all'esercizio della professione in epoca antecedente al 1997 – anno in cui veniva istituito l'obbligo della specializzazione – qualora abbiano operato con modalità di tipo libero professionale, coordinata e/o continuativa presso case di cura private accreditate con il Servizio sanitario nazionale, per un periodo non inferiore alla durata della corrispondente specializzazione;
   ormai sono passati più di sei mesi dall'approvazione dell'ordine del giorno in oggetto e non risulta che il Governo abbia dato seguito all'impegno preso –:
   quali misure il Ministro intenda adottare al fine di risolvere questa annosa questione che ormai si trascina da anni. (5-04775)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone riconosciute invalide o in attesa di riconoscimento dell'invalidità le prestazioni sanitarie che comportano l'erogazione di protesi, ortesi ed ausili tecnologici nell'ambito di un progetto riabilitativo individuale volto alla prevenzione, alla correzione o alla compensazione di menomazioni o disabilità funzionali conseguenti a patologie o lesioni, al potenziamento delle abilità residue nonché alla promozione dell'autonomia dell'assistito;
   il decreto 27 agosto 1999, n. 332 individua nel dettaglio le categorie di persone che hanno diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 del nomenclatore tariffario e le modalità di erogazione;
   l'elenco n. 1 del nomenclatore contiene i dispositivi (protesi, ortesi e ausili tecnici) costruiti su misura e quelli di serie la cui applicazione richiede modifiche eseguite da un tecnico abilitato su prescrizione di un medico specialista ed un successivo collaudo da parte dello stesso. L'elenco n. 1 contiene, inoltre, i dispositivi di fabbricazione continua o di serie finiti che, per essere consegnati ad un determinato paziente, necessitano di essere specificamente individuati e allestiti a misura da un tecnico abilitato, su prescrizione del medico specialista, l'elenco n. 2 del nomenclatore contiene i dispositivi (ausili tecnici) di serie, la cui applicazione o consegna non richiede l'intervento del tecnico abilitato, mentre l'elenco n. 3 del nomenclatore contiene gli apparecchi acquistati direttamente dalle aziende unità sanitarie locali ed assegnati in uso con procedure indicate;
   il «Nomenclatore tariffario per le protesi» è stato varato nel 1999. Doveva essere un elenco provvisorio e invece è vigente da 14 anni. Non è mai stato aggiornato;
   la normativa vigente prevede anche un aggiornamento ogni due anni, sia perché il complesso tecnologico avanza, sia perché migliorano le qualità e le caratteristiche di protesi e ausili, così come mutano anche i prezzi;
   non risultano allo stato attuale aggiornamenti né adeguamenti dei prezzi alla qualità della vita attuale, con conseguenti disagi per chi avrebbe bisogno di un aiuto concreto;
   da fonti di informazione, si apprende della scarsa disponibilità degli ausili necessari per casi di scoliosi o di altri disabilità, pare dovuti anche al mancato aggiornamento del «Nomenclatore» –:
   se si intenda aggiornare il Nomenclatore, e se si intenda ampliare il sistema di fornitura negli elenchi e nelle procedure, ed informare, ove possibile, le associazioni e le organizzazioni che si occupano di tutelare gli utenti interessati dal «Nomenclatore tariffario delle protesi». (4-08031)


   RIZZO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ASP 3 di Catania è responsabile del punto territoriale d'assistenza operante nella città di Vizzini;
   da un articolo di giornale apparso sulla testata online Lagazzettadelcalatino.it del 16 febbraio 2015 a firma di Lucio Gambera, vengono lanciate accuse e rimostranza derivanti da ritardi e carenze in alcuni servizi di diagnostica;
   la radiologia risulta inutilizzabile da circa sette mesi, mentre per gli accertamenti mammografici i tempi di attesa non sono inferiori ai 12 mesi;
   la progressiva riduzione dei servizi radiologi e, dal mese di luglio 2014, la totale sospensione degli stessi è da addebitarsi ad un provvedimento dell'Asp 3 di Catania;
   risulta all'interrogante anche che il mammografo, nonostante le periodiche manutenzioni, non offra un servizio adeguato alle aspettative della comunità locale e dei vicini centri di Licodia Ebuea, Grammichele e Mineo;
   tutto ciò creerebbe non poche difficoltà agli abitanti del comprensorio, costretti a rivolgersi a strutture private o agli ospedali di Caltagirone e Militello V.C;
   l'interrogante è venuto a conoscenza, tramite social network, che presso il reparto di radiologia del presidio ospedaliero di Caltagirone il personale medico e tecnico sarebbe costretto a dover svolgere corsi di formazione per l'utilizzo di rmn (risonanza magnetica) presso altre strutture ospedaliere e a proprie spese;
   per quanto risulta all'interrogante presso il presidio ospedaliero di Caltagirone vi sarebbe in organico un esperto di metodica rmn assunto per formare il personale tecnico, che si troverebbe costretto ad andare in trasferta per questa tipologia di aggiornamenti –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa, se le criticità rilevate siano imputabili a esigenze di razionalizzazione della spesa derivanti dall'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari e quali iniziative di competenza intenda assumere per salvaguardare i livelli essenziali di assistenza. (4-08035)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i tumori della pelle sono in continuo aumento, essendo del tutto nota la loro correlazione con l'esposizione ai raggi solari, particolarmente rischiosa nella regione Sardegna, che registra ogni anno 100/150 nuovi casi di melanoma e tra il 6000 e i 7500 nuovi casi di carcinoma baso e spino cellulare;
   le regioni cutanee maggiormente soggette ad esposizione solare sono quelle del volto, dove si localizzano dunque con maggior frequenza le lesioni tumorali cutanee. Le palpebre e i tessuti cutanee adiacenti rappresentano in modo del tutto evidente una sede di particolare delicatezza, sia sotto il profilo anatomo-funzionale, che sotto quello estetico;
   i dati diffusi dall'Associazione italiana ricerca sul cancro consentono di stimare statisticamente in Sardegna una incidenza di nuovi casi di tumori cutanei della regione oculo-palpebrale pari a circa 3000 lesioni/anno. Una buona parte di tali lesioni cancerose (statisticamente intorno al 50 percento) richiederebbe un intervento chirurgico quanto più rapido possibile perché possa essere contenuto il relativo danno;
   l'attività chirurgica oncologica settoriale ha dunque assunto nel tempo una propria specifica fisionomia e le unità operative di oftalmoplastica si sono conseguentemente diffuse in tutte le regioni italiane, per consentire le correlate prestazioni sanitarie, rientranti nell'ambito dei LEA;
   la regione Sardegna appare invece in netto ritardo e l'attività di oftalmoplastica, pure teoricamente incardinata presso la clinica oculistica dell'AOU di Cagliari, appare assolutamente carente sotto il profilo delle risorse dedicate, con assoluta insufficienza del personale medico e infermieristico e delle sessioni operatorie assegnate;
   tale insufficienza di risorse dedicate comporta la dilatazione delle liste d'attesa chirurgiche, con grave danno per i pazienti che vengono trattati in fasi sempre più avanzate della malattia oppure sono costretti a migrazioni extraregionali per poter ricevere tempestivamente le cure più appropriate al loro caso;
   il mancato coordinamento della risposta terapeutica chirurgica purtroppo comporta anche che il trattamento terapeutico possa avvenire in condizioni non ottimali, presso strutture che non hanno casistiche sufficienti a garantire esperienza e professionalità degli operatori che vi lavorano, con tecniche e assistenze lontane rispetto alle best practice specialistiche;
   peggio ancora, esiste un numero imprecisato di pazienti che, per ritardo culturale o per impossibilità ad adire ad offerte sanitarie alternative, ritarda considerevolmente la diagnosi o rinuncia addirittura al trattamento terapeutico, con tutte le conseguenze relative alla malattia che viene affrontata in fasi tardive della sua progressione, sino a rischi di gravi compromissioni anatomiche funzionali regionali o addirittura di compromissione della prognosi quoad vitam;
   la semplice proiezione statistica regionale dei dati nazionali consente di ipotizzare una necessità Chirurgica oftalmoplastica nella regione Sardegna di non meno di 500 interventi/anno, di cui circa 300 di oftalmoplastica oncologica e circa 200 di oftalmoplastica funzionale –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministero della salute sulla regione Sardegna perché sia data piena garanzia del rispetto dei LEA oncologici per i cittadini sardi con riferimento all'attività di oftalmoplastica oncologica, in modo che sia consentita la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo e qualitativamente adeguato delle patologie, evitando l'attuale allungamento a dismisura delle liste d'attesa chirurgiche, con il ritardo nell'intervento terapeutico e l'inevitabile ricorso alla mobilità extraregionale. (4-08036)


   GAGNARLI, L'ABBATE e GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la grande distribuzione organizzata ed anche le piccole catene da non molto tempo si sono consolidate anche nella vendita di piante in vaso ornamentali. I nuovi punti di vendita vengono già pianificati con un'area dedicata alle piante, solitamente non troppo vicina alle zone del prodotto alimentare «fresco»;
   anche i punti vendita di vecchia concezione stanno apportando modifiche alle proprie dislocazioni e posizionamenti interni per far fronte a questa nuova categoria merceologica. Alcuni, tuttavia, non avendo a disposizione molto spazio posizionano le ornamentali accanto al prodotto alimentare fresco;
   in ogni caso, sia nei punti vendita di nuova che di vecchia concezione, nei periodi in cui si verifica il picco di vendita, come per i crisantemi in occasione del giorno di tutti i Santi o le stelle di natale a Natale, è evidente per tutti che le piante ornamentali vengono collocate in ogni dove, anche vicino all'ortofrutta fresca;
   negli ultimi anni i principi attivi di fitofarmaci autorizzati su prodotti agricoli destinati all'alimentazione hanno subito, grazie ad una lenta ma costante procedura europea che trova fondamento nel Regolamento europeo 1107/2009/CE, una forte riduzione soprattutto a carico delle molecole classificate molto tossiche e tossiche;
   questa procedura di revisione dei principi attivi, tuttavia, non riguarda le molecole consentite sulle piante ornamentali, sulle quali purtroppo continuano ad utilizzarsi, anche pochi giorni prima di arrivare nei punti vendita, fungicidi ed insetticidi a forte impatto e persistenza, quali Teppeki, Confidor, Actara 25 wg, e altri;
   risulta agli interroganti che i prodotti fitosanitari usati sulle piante ornamentali non hanno l'obbligo di indicare in etichetta il «tempo di carenza» inteso come l'intervallo minimo di tempo che deve intercorrere tra il trattamento e la raccolta, affinché il fitofarmaco venga degradato;
   evidentemente l'assenza dell'indicazione del «tempo di carenza» è dovuta al fatto che la pianta ornamentale non viene raccolta, anche se le piante in vaso, come qualunque vegetale, necessitano di tempo per degradare le molecole dei fitofarmaci su di esse irrorati, affinché possano degradarli in molecole che perdono la loro tossicità per l'uomo;
   di conseguenza sulle piante ornamentali che arrivano nei punti vendita potrebbero ancora esserci tracce di prodotti fitosanitari che la pianta non è riuscita a smaltire. Queste tracce di fitofarmaci potrebbero venire in contatto con prodotti commestibili, in diversi momenti, tra cui si segnala la fase di trasporto dalla piattaforma centralizzata ortofrutta ai punti di vendita, piattaforme di distribuzione che spesso gestiscono tutto il «fresco» quindi ortofrutta ed ornamentali insieme, la fase di vendita all'interno dei negozi, soprattutto in corrispondenza dei periodi del picco di vendite –:
   quale sia la disciplina applicabile alla fase di trasporto, dalla produzione alla vendita, nonché al posizionamento delle piante ornamentali rispetto ai prodotti commestibili, nella distribuzione organizzata, ovvero se la materia sia regolamentata o lasciata all'autoregolamentazione;
   se non ritenga opportuno, per quanto di propria competenza, proporre una revisione normativa con l'obiettivo di rendere obbligatoria l'indicazione in etichetta, al pari degli usi sui prodotti agricoli a scopo alimentare, del cosiddetto «tempo di carenza» o qualsivoglia altro parametro temporale che assicuri la commercializzazione delle piante ornamentali solo allorquando i principi attivi dei fitofarmaci su di esse irrorati siano stati effettivamente degradati in molecole non più tossiche per l'uomo. (4-08040)


   PRODANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2008 è stata annunciata dal professor Paolo Zamboni, direttore del centro malattie vascolari dell'Università di Ferrara, la scoperta di una patologia venosa che è stata denominata «Insufficienza venosa cronica celebro spinale» (CCSVI);
   si tratta di malformazioni delle vene giugulari e della vena dorsale azygos, che impediscono al sangue di defluire normalmente dal cervello verso il cuore;
   contro queste malformazioni, lo stesso Zamboni ha individuato un intervento chirurgico mini invasivo – angioplastica dilatativa venosa (PTA) – che viene considerato a basso rischio;
   la patologia CCSVI è stata riconosciuta nel settembre 2009 dall'Unione internazionale di flebologia (UIP) che l'ha inserita nel novero delle malformazioni venose congenite, confermando l'indicazione terapeutica mediante PTA;
   è opinione diffusa nel mondo scientifico che la patologia di natura venosa abbia diretta incidenza sulla sclerosi multipla (SM) e su altre malattie neurodegenerative (ad esempio, Parkinson o Alzheimer). Di conseguenza, la PTA potrebbe avere efficacia anche nei pazienti affetti da SM;
   una nota ministeriale del 27 ottobre 2010 aveva riconosciuto il trattamento correttivo endovascolare della CCSVI in pazienti con SM presso le strutture pubbliche;
   tale riconoscimento è successivamente stato limitato da una circolare ministeriale del 4 marzo 2011, che – recependo un parere del Consiglio superiore di sanità (CSS) espresso il 25 febbraio dello stesso anno – ha raccomandato il trattamento solo ed esclusivamente nell'ambito di studi clinici controllati e randomizzati, approvati da comitati etici seguendo un determinato protocollo;
   la scarsa chiarezza della sopracitata circolare ministeriale ha contribuito a creare una differenziazione in quanto le autorità sanitarie di alcune regioni hanno interpretato le disposizioni della circolare in senso restrittivo, mentre altre ne hanno dato una lettura estensiva oppure hanno evitato di prendere una posizione ufficiale;
   tale differenza di interpretazione ha provocato delle discriminazioni, e di conseguenza i fenomeni di trasferimento forzato dei pazienti da regione a regione, oltre che da strutture pubbliche a quelle private;
   in tempi recenti sono emerse delle nuove ricerche internazionali – oltre a quelle del professor Zamboni all'interno dello studio «Brain venous drainage exploited against multiple sclerosis» (Brave Dreams) – le quali riconoscono la diretta incidenza CCSVI sulla SM e su altre malattie neurodegenerative;
   non è più rinviabile una rinnovata strategia di coordinamento al fine di dare risposta alle aspettative dei malati, né appare etico porre dei limiti alle possibilità per i malati di SM di usufruire dalla PTA;
   alla luce di quanto avvenne negli anni novanta del secolo scorso – quando la disostruzione della carotide per prevenire l'ictus è stata liberamente eseguita mentre contemporaneamente si eseguivano gli studi randomizzati per stabilirne la prova certa di efficacia – potrebbe essere il caso di aprire anche nel caso riportato sopra un «doppio binario», offrendo in questo modo delle possibilità di cura ai malati, in attesa di una risposta certa della scienza –:
   se il Ministro interrogato – alla luce delle nuove ricerche scientifiche in materia, emerse successivamente al parere espresso dal CSS – non ritenga sia giunto il momento di rivedere quanto stabilito nella circolare ministeriale del 4 marzo 2011 relativo alla Insufficienza venosa cronica celebro spinale come patologia ed entità nosologica autonoma, chiarendo il dovere di curare le malformazioni venose anche nei pazienti soggetti alla patologia della sclerosi multipla;
   se non si ritenga opportuno autorizzare la formazione di un tavolo tecnico di lavoro composto dalle sole associazioni scientifiche facenti riferimento a medici esperti di patologie vascolari, in modo di aprire un «doppio binario» per poter verificare ed affrontare le problematiche connesse con la diagnosi, cura e terapia della patologia CCSVI, in attesa di un parere aggiornato della scienza;
   se il Ministro interrogato non reputi opportuno, anche alla luce di quanto esposto in premessa, verificare la possibile partecipazione delle principali associazioni di persone, affette dalla Insufficienza venosa cronica celebro spinale e dalla sclerosi multipla – quali auditori – alle riunioni tecniche sul tema presso il Ministero, il Consiglio superiore di sanità o altri organi pubblici interessati. (4-08041)


   DI VITA, LOREFICE, MANTERO, NUTI, GRILLO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ennesima notizia di malasanità o meglio di contorta sanità arriva ancora dalla Sicilia, e vede coinvolto un siciliano, precisamente Gaetano Marchese, direttore della entrate operativa del 118 di Palermo;
   da quanto si apprende da vari articoli di stampa, il direttore, succitato, mentre si trovava sulla costa nord occidentale della Sardegna, la Riviera del Corallo, la notte del 15 gennaio 2015, ha accusato un dolore al petto, e nonostante fosse stato trasportato nei centri specializzati di cardiochirurgia di Sassari e di Cagliari, ha chiesto invece l'intervento della centrale siciliana, ovvero, di essere curato nella sua regione;
   alle 6:00 di mattina del 16 gennaio, il signor Marchese ha fatto ritorno in Sicilia a bordo di un velivolo del «suo» elisoccorso arrivato ad Alghero per trasferirlo a Palermo;
   il direttore della centrale operativa del 118 di Palermo, parla di miracoli: «Non sto bene, non ho voglia di parlare delle mie condizioni di salute. Il 16 gennaio ho subito un delicato intervento di cardiochirurgia all'Ismett. Sono un miracolato»;
   la centrale operativa del 118 e il servizio di elisoccorso contano su tre soli elicotteri che dipendono dall'assessorato regionale alla salute;
   la fattispecie in questione ha sollevato l'attenzione del responsabile della centrale operativa del 118 di Messina e referente regionale per l'emergenza per il Ministero della salute, Bernardo Alagna, il quale «ha disposto un accertamento e una richiesta di chiarimento su quali siano state le ragioni dell'invio del velivolo»;
   se si pensa alla vicenda di pochi giorni fa, 12 febbraio 2015, della neonata morta nell'ambulanza privata che la stava trasferendo da Catania, dove non c'era nessun posto disponibile di Rianimazione pediatrica, a Ragusa, città che distano tra loro in auto circa 2 ore, appare inutile sottolineare la diversità di trattamento tra una bambina «normale» e direttore di pronto soccorso, quale è il signor Marchese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accaduto e non ritenga opportuno acquisire elementi sulle circostanze dell'evento e, in particolare, se le decisioni assunte nel caso del direttore della centrale operativa del 118 di Palermo costituiscano una prassi e, in caso affermativo, quale sia l'impatto dal punto di vista finanziario, considerata l'esigenza di dare attuazione al piano di rientro dai disavanzi sanitari. (4-08046)


   FUCCI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è sempre più diffusa la presenza sui giornali di pubblicità di studi legali o di associazioni di consulenza medico-legale che invitano a rivolgersi ai loro servizi per fatti di malasanità;
   tutta l'attività dei medici italiani è drammaticamente gravata dall'incremento continuo delle richieste risarcitorie e da un contenzioso medico-legale a dismisura che toglie agli operatori sanitari ogni possibilità di sereno svolgimento della propria attività professionale;
   l'ultimo esempio ad avviso dell'interrogante è quanto apparso sul quotidiano La Repubblica 1o febbraio 2015 (pagina 12): la pubblicità di quella che si presenta come l'associazione alla quale le vittime di errori sanitari possono ricorrere per avere giustizia e ottenere un risarcimento con l'invito ai lettori a rivolgersi ad essa «contro la malasanità»;
   vi sono altre associazioni che chiedono di essere contattate in caso di intervento chirurgico errato o di un'errata diagnosi medica assicurando che, con zero spese di anticipo, si occuperanno del caso, in taluni casi promettendo che le relative spettanze saranno pagate solo alla fine e solo in caso di vittoria;
   vi sono poi «onlus» in memoria di vittime di errori sanitari che sostengono di poter tutelare chi ha subito qualsiasi danno medico sanitario;
   a parere dell'interrogante messaggi come questi, sempre più diffusi sulla stampa e in molti casi portati da tali associazioni perfino nelle strutture ospedaliere, non consentano di distinguere la complicanza dall'errore professionale e al tempo stesso veicolano l'idea che ogni prestazione sanitaria non seguita da guarigione sia ascrivibile a malasanità e sia automatica fonte di lauti risarcimenti, per di più senza alcun esborso economico;
   questa situazione è, a parere dell'interrogante, causa di tre gravi criticità in quanto:
    a) si suggestionano persone vulnerabili (lese o colpite da morti di congiunti) spingendole ad azioni giudiziarie anche quando non vi è fondamento;
    b) si infonde un senso di sfiducia nel servizio sanitario nazionale perché la «malasanità» viene fatta passare come una pandemia e perché si dà il messaggio che, se le cause si concludono con l'assoluzione per il medico, la giustizia non sia in grado di rispondere alle istanze dei cittadini;
    c) si concorre ad aumentare in modo considerevole il carico di lavoro del sistema giudiziario;
   il tema è già stato posto da tempo al Governo con precedenti atti di sindacato ispettivo ancora in attesa di risposta e nel frattempo, in base agli elementi sopra esposti, il quadro si è fatto ancor più preoccupante –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere nel più breve tempo possibile, anche sul piano normativo, in merito a quanto esposto in premessa, tenendo anche conto delle legittime e diffuse preoccupazioni espresse da società scientifiche, sindacati, ordini professionali e associazioni di cittadini. (4-08047)


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio scorso il Tribunale di Brescia ha condannato, ai sensi degli articoli 544-bis e 544-ter del Codice penale, per maltrattamenti e uccisioni di animali, responsabile, direttore e veterinario dell'allevamento di beagle per la sperimentazione «Green Hill» di Montichiari, disponendo anche una serie di sanzioni accessorie;
   il 21 febbraio 2012 Istituto zooprofilattico  sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna, sede di Brescia, a firma del direttore professor Stefano Cinotti e dei dottori Giorgio Varisco e Guerino Lombardi, nella qualità di consulenti della procura della Repubblica di Brescia, aveva trasmesso una «relazione delle attività e degli accertamenti tecnici svolti»;
   nel corso del successivo procedimento penale nei confronti della Green Hill 2001 srl, quello che portato al processo e alla condanna citate, la procura della Repubblica di Brescia ha interrogato il direttore dell'istituto professor Stefano Cinotti in data 5 novembre 2012, ricevendo risposte come «non ero presente al sopralluogo effettuato a Green Hill da personale dell'Istituto», «non sono mai stato presso l'allevamento». Alla domanda formulata dalla procura su quando è possibile uccidere un animale, il teste rispondeva: «Essendo l'animale ancora considerato una res, è rimesso alla discrezionalità del proprietario, certamente dipende molto dalla tipologia dell'animale e dalla sua destinazione d'uso»;
   la legge 20 luglio 2004, n. 189, e relative modifiche, da undici anni ha introdotto il delitto di maltrattamento e uccisione di animale nel codice penale, quest'ultima condotta non rimettibile alla discrezionalità del proprietario;
   presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia vi è il centro di referenza nazionale del Ministero della salute per il benessere animale istituito con decreto ministeriale 13 febbraio 2003 e responsabile di tale Centro risulterebbe essere il dottor Guerino Lombardi già citato;
   presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia vi è il Centro di referenza nazionale del Ministero della salute per i metodi alternativi, benessere e cura degli animali da laboratorio istituito con decreto ministeriale 20 aprile 2011 –:
   se ritenga conforme al dovere d'ufficio l'attività svolta dal professor Stefano Cinotti, dal dottor Guerino Lombardi e dagli altri addetti del Centro di referenza nazionale del Ministero della salute per il benessere animale nella loro qualità di consulenti durante il primo procedimento contro Green Hill;
   se non ritenga doveroso trasferire il Centro di referenza nazionale per il benessere animale e il Centro di referenza nazionale per i metodi alternativi, benessere e cura degli animali da laboratorio dall'IZS di Brescia presso altro istituto zooprofilattico sperimentale. (4-08049)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRACÌ, MARTI e FUCCI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la città di Ceglie Messapica in provincia di Brindisi, si trova negli ultimi due anni in una situazione di grave difficoltà a causa di una conduzione amministrativa improntata su continue illegalità e irregolarità, sostenuta dal disprezzo di ogni forma di convivenza democratica e di confronto;
   in questi ultimi anni l'amministrazione ha avviato un'attività volta soprattutto a favorire alcuni a scapito di altri che ha di fatto inquinato il nucleo essenziale della vita della comunità, sia da un punto di vista sociale che economico;
   i gravi fatti di ordine pubblico dei recenti fatti di cronaca che hanno mortificato la città di Ceglie Messapica evidenziano questo problema, già segnalato più volte alle massime autorità dello Stato sin dal periodo estivo;
   nei primi giorni di novembre, in virtù delle gravi inadempienze dell'amministrazione comunale di Ceglie Messapica, tre consiglieri comunali hanno presentato nel novembre 2014, a diversi organi di controllo (Ministro delle economie e delle finanze-Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, ANAC/AVCP Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ISPETTORATO FUNZIONE PUBBLICA, Albo Nazionale Segretari Comunali e Provinciali, Presidente della Sezione regionale Puglia di controllo della Corte dei Conti, S.E. Prefetto di Brindisi, Presidente dei Revisori dei Conti del Comune di Ceglie Messapica), un dossier-denuncia, ampiamente e puntualmente documentato, nel quale sono state evidenziate e documentate le presunte e gravi irregolarità commesse dagli organi amministrativi del Comune nella gestione del personale, nella gestione economico-finanziaria, negli affidamenti degli appalti, che stanno determinando l'avvio di diversi contenziosi e si cita fra tutti la sentenza del TAR n. 33/2015 del 7 gennaio 2015 con la quale il TAR dichiara «l'illegittimità degli atti impugnati...» condannando il Comune di Ceglie Messapica «in persona del Sindaco pro-tempore, al risarcimento dei danni nei confronti della società ricorrente». La vicenda parte da circa un anno fa quando l'Amministrazione Comunale di Ceglie Messapica con deliberazione di Giunta Comunale n. 38 del 28 febbraio 2014 chiedeva «di verificare l'eventuale necessità di reincarico agli stessi patti e condizioni» alla ditta precedentemente affidataria. Il TAR si esprime rilevando che le procedure adottate dall'amministrazione violano «immotivatamente i superiori interessi (sanciti anche quali principi comunitari) della concorrenza e della massima partecipazione», e che «un tale modus operandi viola palesemente i principi generali della trasparenza e della par condicio»,
   l'albo nazionale dei segretari Comunali e Provinciali in data 13 novembre 2014 invia una nota al Segretario Comunale con la richiesta di informazioni inerenti il Dossier-Denuncia;
   il dipartimento della funzione pubblica in data 17 novembre 2014 chiede un puntuale riscontro all'esposto rammentando la sentenza della Corte dei Conti – sez. giurisdizionale Tosca n. 217 del 7 maggio 2012 che, nonostante la soppressione del parere di legittimità su ogni proposta di delibera, «non esclude che permangono in capo al segretario tutta una serie di compiti ed adempimenti che lo impegnano ad un corretto svolgimento degli stessi, pena la soggezione alla azione di responsabilità amministrativa...»;
   considerato che il segretario generale del comune di Ceglie Messapica (BR), con nota prot. n. 424 del 08 gennaio 2015 effettua una nota di riscontro su quanto esposto dai consiglieri, sulla quale gli stessi consiglieri fanno seguire un ulteriore relazione evidenziando ulteriormente le gravi irregolarità perpetrate dal Comune di Ceglie Messapica negli ultimi due anni;
   considerato inoltre che il collegio dei revisori di Ceglie Messapica, con una nota del 6 febbraio 2015, protocollata al Comune di Ceglie Messapica con n. 3594, ai sensi dell'articolo 239 comma 1 lettera e), del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, denuncia ai competenti organi giurisdizionali gravi irregolarità nella gestione amministrativa dell'Amministrazione Comunale del Sindaco Caroli, e nella stessa nota i revisori evidenziano chiaramente, punto per punto, le irregolarità da noi elencate nell'esposto del 8 novembre 2014;
   a fronte delle numerose irregolarità e dei mancati riscontri dai parti dei funzionari interessati, confermati dal Segretario Generale e dal Collegio dei Revisori dei Conti, più volte alcuni consiglieri comunali hanno richiesto di disporre al più presto un'ispezione dagli enti di controllo preposti in considerazione delle circostanze riportate, al fine di valutare la persistenza delle problematiche o l'adozione di iniziative illecite da parte di alcuni funzionari, del segretario comunale e dell'amministrazione comunale, per darvi soluzione alla luce delle segnalazioni effettuate, sollecitando anche l'intervento di altri organi a garanzia della buona amministrazione e del rispetto della legge –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti;
   a fronte delle numerose irregolarità, denunciate da più parti, quali azioni abbia posto in essere il prefetto di Brindisi;
   se, alla luce di quanto esposto il MEF e il Ministero per la semplificazione e della pubblica amministrazione e gli organi di controllo citati abbiano già avviato una indispensabile ispezione mirata dagli organi preposti al fine di verificare le condotte segnalate dell'Amministrazione e dei funzionari anche al fine di impedire il perpetuarsi di tali violazioni e il reiterarsi di danni economici per la Repubblica. (4-08045)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il processo di razionalizzazione avviato negli ultimi anni dalla società Poste italiane spa ha portato alla chiusura di molti uffici e al ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela, argomenti oggetto di atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante, anche nella passata legislatura;
   Poste italiane sta continuando su questa linea e nel piano di riorganizzazione nazionale si prevede per la Lombardia la riorganizzazione di circa 180 uffici postali dei quali circa 121 soggetti a ridimensionamento e altri 61 a rischio chiusura. Per la provincia di Brescia pare sia prevista la chiusura di circa 10 uffici e l'apertura a giorni alterni per altri 8 – si parla di tre giorni a settimana a fronte delle attuali aperture quotidiane – per un totale di 18 uffici;
   la lista degli uffici postali da chiudere o ridimensionare non è ancora stata ufficialmente diffusa da Poste Italiane ma da indiscrezioni di stampa risulta che sedici sportelli postali in provincia di Brescia chiuderanno o saranno aperti solo tre giorni la settimana. In provincia di Brescia chiudono le sedi di Botticino Mattina, Castelletto di Leno, Mazzano, Provezze di Provaglio d'Iseo, Brozzo di Marcheno, Cogno di Piancogno, Cogozzo di Villa Carcina e Magno di Gardone Valtrompia e i cui cittadini dovranno rivolgersi ad altri sportelli di frazioni o comuni vicini. A giorni alterni, invece, saranno aperti quelli di San Martino della Battaglia a Desenzano, San Pancrazio a Palazzolo, Incudine in Valcamonica, ma anche Maderno, Ono San Pietro, Ponte Caffaro a Bagolino, Prestine e Valvestino descritte da Poste Italiane come sedi «inefficienti, antieconomiche e che non svolgono un numero sufficiente di operazioni da giustificarne costi di personale e di sede»;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   con la soppressione di ufficio o del suo ridimensionamento i primi a pagarne le conseguenze saranno gli utenti, soprattutto le categorie più deboli, già disagiati per le criticità che presentano i territori montani nei quali vivono;
   nel comune di Prestine (provincia di Brescia) a partire dal 13 aprile 2015 sarà modificato l'orario di apertura al pubblico dell'ufficio postale con l'apertura a giorni alterni anziché giornaliera come previsto attualmente;
   la giustificazione di Poste Italiane è nella necessità di adeguare l'offerta all'effettiva domanda dei servizi postali nel territorio di Prestine;
   è evidente che ci sia una reale quanto imprescindibile necessità di orientarne la gestione dei servizi alla sostenibilità economica ma ciò avviene a scapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come quelle montane che anche a causa di questi processi di razionalizzazione saranno così sempre più soggette all'abbandono, ancor più considerato che, in base alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni menzionata nella lettera di Poste Italiane, le zone rurali e montane sono meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, Poste italiane deve tener conto delle particolari esigenze da garantire ai comuni che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa;
   l'articolo 2 della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 342/14/CONS intende per «comune montano» i comuni contrassegnati come totalmente montani nel più recente elenco dei comuni italiani pubblicato dall'ISTAT. Il comune di Prestine conta 390 abitanti ed è situato ad una altitudine di 610 metri sul livello del mare ed è qualificato dall'ultimo aggiornamento ISTAT proprio come comune totalmente montano –:
   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché tra i giorni determinati ci sia anche il sabato;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire che il servizio postale universale in un comune denominato dall'Istat come totalmente montano come Prestine si conformi ai principi di appropriatezza e qualità;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di scongiurare la possibile chiusura di uffici postali e/o il ridimensionamento di orario per garantire l'erogazione, in particolar modo in un momento così difficile per l'economia e soprattutto in zone che sono già disagiate a causa della loro posizione territoriale, di un servizio efficiente ai cittadini ed alle attività produttive che operano nella provincia di Brescia.
(5-04785)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO, RICCIATTI e MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il contratto di agenzia è un contratto tipico, disciplinato dalla contrattazione collettiva e dal codice civile che si instaura quando «una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata» (articolo 1742 codice civile);
   tale contratto — disciplinato dalla direttiva CE n. 86/653 che, nell'ambito dei suoi «considerata» evidenzia come le differenze tra le legislazioni nazionali in materia di rappresentanza commerciale influenzano sensibilmente all'interno della Comunità le condizioni di concorrenza e l'esercizio della professione e possono pregiudicare il livello di protezione degli agenti commerciali nelle relazioni con le loro proponenti, nonché la sicurezza delle operazioni commerciali — deve essere provato per iscritto ma, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia del 30 aprile 1998, non costituisce più requisito per la validità del contratto, l'iscrizione all'apposito ruolo presso ogni Camera di commercio;
   numerose segnalazioni giunte in Parlamento evidenziano come le aziende ricorrono sempre più spesso alla stipula di mandati di agenzia pretendendo un rapporto di monomandato che, di fatto, cela la presenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato con il quale si pregiudica inesorabilmente l'autonomia e la libertà di organizzazione del lavoro degli agenti che si vedono costretti a rispettare direttive particolarmente ferree e tali da incidere sulle reali possibilità di incrementare i relativi compensi;
   detti compensi, peraltro, in questi ultimi anni, risultano troppo spesso inferiori alle retribuzioni di un lavoratore dipendente di settimo livello del contratto commercio, e questo al lordo sia delle spese che devono sostenersi per la produzione del reddito e sia degli oneri assistenziali e previdenziali;

le aziende, inoltre, nel gestire i rapporti di lavoro con i loro agenti hanno ed esercitano il potere di modificare unilateralmente la zona geografica prevista e contrattualmente assegnata, di ridurre la percentuale provvigionale prevista nel contratto, di escludere dal portafoglio assegnato alcuni clienti che solitamente corrispondono a quelli economicamente più significativi, anche acquisiti nel tempo dallo stesso agente, con conseguente danno economico e grave pregiudizio per la crescita professionale;
   secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale il prossimo 20 febbraio il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare un corposo disegno di legge sulla concorrenza nell'ambito del quale potrebbero trovare ingresso apposite disposizioni volte a tutelare maggiormente la situazione giuridica soggettiva di tali figure da situazioni di vero e proprio abuso di dipendenza economica rispetto alle quale ad oggi non esiste alcun tipo di tutela sul piano giuridico –:
   se e quali iniziative normative il Governo intenda adottare alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione;
   se il Governo non ritenga opportuno intervenire attraverso apposite iniziative normative volte a prevedere che, per gli agenti monomandatari che non riescano a raggiungere un reddito minimo lordo pari a tre volte la retribuzione lorda di un lavoratore dipendente di settimo livello del contratto di commercio, il contratto possa essere trasformato automaticamente in plurimandato;
   se il Governo, alla luce delle criticità suesposte che incidono profondamente sul reddito e sulla crescita professionale degli agenti, non ritenga opportuno intervenire attraverso apposite iniziative normative volte ad introdurre un divieto di modifica unilaterale del contratto di agenzia.
(4-08030)


   SCAGLIUSI, CASO, DE LORENZIS, LIUZZI, SIBILIA e PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006, viene indetta una gara per la costruzione del nuovo porto di Molfetta al massimo ribasso, con un importo base di 69 milioni di euro;
   la gara viene aggiudicata l'anno successivo all'associazione temporanea di imprese guidata dalla Cmc di Ravenna, per un importo di 57 milioni di euro;
   nel 2008, appena due anni dopo la gara, la giunta di Molfetta, cittadina in provincia di Bari, guidata dall'allora sindaco di Molfetta e senatore Antonio Azzollini, approva un progetto esecutivo da 72 milioni di euro, che quindi non tiene conto del ribasso ottenuto in gara;
   c’è una relazione dell'Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici, datata 15 gennaio 2009 ed elenca una serie di gravi irregolarità nei lavori per il nuovo porto di Molfetta;
   è proprio la relazione dell'Autorità di vigilanza a sottolineare, già nel 2009, «la non completa definizione del progetto definitivo dei lavori, che non consente la completa definizione dei costi e dei tempi per la realizzazione dell'intervento»;
   da quel documento, trasmesso alla procura Trani, è nata l'inchiesta con 62 indagati che il 7 ottobre 2013 ha portato all'arresto di due persone: il responsabile unico dell'appalto per il comune, Vincenzo Balducci, e il procuratore speciale della Cmc, l'azienda appaltatrice, Giorgio Calderoni;
   l'inchiesta ha portato anche all'accusa, per Azzollini in qualità di sindaco di Molfetta, di truffa ai danni dello Stato, falso ideologico, falso in atto pubblico, abuso d'ufficio, violazione delle normative ambientali, violazione della normativa sul lavoro, violenza e minaccia a pubblico ufficiale;
   tra le contestazioni più gravi ad Azzollini e la sua amministrazione, quella di aver convenuto con il consorzio di imprese appaltatrici, guidato dalla coop rossa Cmc di Ravenna, una transazione da 7,8 milioni di euro a titolo di compensazione per lo stop dei lavori dovuto alla presenza degli ordigni;
   il 12 marzo 2013, il suicidio del dirigente del settore appalti del comune di Molfetta, Enzo Tangari, nei giorni in cui la polizia giudiziaria acquisiva in Municipio i documenti necessari a chiudere l'inchiesta;
   ad oggi, «i lavori sono realizzati al 60 per cento», afferma il sindaco Natalicchio. Il cantiere è fermo, sotto sequestro dal 7 ottobre 2013, il giorno degli arresti;
   nel frattempo le casse dello Stato hanno continuato a foraggiare il cantiere del porto di Molfetta con un fiume di soldi. Infatti, nel testo della legge di stabilità 2015 presentato dal Governo e approvato a fine dicembre 2014 per apportare tagli ai Ministeri e agli enti locali, il comune di Molfetta ha visto arrivare uno stanziamento di dieci milioni di euro non richiesto. Peccato che il porto sia già interamente finanziato, che il cantiere sia sotto sequestro dal 7 ottobre dell'anno 2014 e che i lavori, a quella data, fossero già sostanzialmente fermi per la presenza in mare di migliaia di ordigni bellici che impedivano il dragaggio del fondale;
   una delibera della nuova giunta, datata 25 novembre 2014, elenca tutti i finanziamenti statali ricevuti dal comune di Molfetta per realizzare il porto. La somma ammonta a 159 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i dieci milioni dell'ultima manovra: 169 milioni, dunque, a fronte di un'opera appaltata sette anni fa a una cifra tre volte più piccola, nonostante, in comune confermano che a fronte dei 169 milioni di euro stanziati dallo Stato non è mai esistito qualcosa di simile a un business plan o, almeno, un'analisi costi-benefici;
   gli altri copiosi fondi ottenuti dallo Stato, ricostruiscono i pubblici ministeri vengono dirottati dall'amministrazione Azzollini verso esborsi che con il porto non hanno nulla a che fare. Tra queste, 624 mila euro in incentivi ai dipendenti comunali e tante altre spese correnti, compresi, spiegano i pubblici ministeri, «111.526 euro in “cancelleria e stampa” e 34.378 euro in “conti di ristoranti”». Secondo i pubblici ministeri di Trani, l'amministrazione Azzollini ha comunque abusato di quei soldi per far risultare nel bilancio del comune un «fittizio equilibrio economico», nonché per attestare «falsamente» il rispetto del patto di stabilità –:
   perché il Governo abbia assunto l'iniziativa di stanziare ulteriori 10 milioni di euro nell'ambito della legge di stabilità 2015 per l'ultimazione del porto di Molfetta nonostante il porto sia già stato interamente finanziato con somme già di gran lunga superiori a quanto richiesto considerato che, secondo i pubblici ministeri di Trani, l'amministrazione Azzollini ha abusato di quei soldi per far risultare nel bilancio del comune un «fittizio equilibrio economico»;
   se, alla luce di quanto premesso, il Ministro non ritenga doveroso assumere iniziative per congelare l'importo di ulteriori 10 milioni di euro stanziato per il porto, fino a che non venga fatta intera chiarezza sulla vicenda dagli organi competenti. (4-08048)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mucci e Segoni n. 5-04734, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Prodani.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo ulteriormente riformulato della interpellanza urgente Brunetta n. 2-00850, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 376 del 17 febbraio 2015:

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le vicende che circondano l'emanazione del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, e, quindi, le disposizioni che riformano la struttura delle banche popolari, si arricchiscono, giorno dopo giorno, di ulteriori e inquietanti particolari, determinando una preoccupazione più generale per il modus operandi del Governo, in relazione soprattutto agli obiettivi che persegue attraverso l'emanazione di norme;
   in particolare, il decreto-legge in oggetto impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni; una riforma strutturale adottata, quindi, attraverso lo strumento del decreto-legge in un contesto che, a parere dell'interpellante, è assolutamente privo dei requisiti di necessità ed urgenza;
   si ricorda che è di venerdì 16 gennaio alle ore 18, a chiusura dei mercati, la prima agenzia di stampa che annuncia l'imminente riforma delle banche popolari, inserita nel decreto-legge già messo a punto dal Governo in materia di «Investment compact». Una riforma che, inizialmente, doveva essere prevista all'interno del disegno di legge sulla concorrenza (di prossima presentazione), ma che invece, improvvisamente, sembra particolarmente «urgente»; il 20 gennaio 2015, il Consiglio dei ministri dà infatti il via libera al decreto-legge, che, effettivamente, contiene la norma che impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni;
   è di tutta evidenza come l'intervento di riforma approvato dal Consiglio dei ministri sia stato preceduto da una serie di attività anomale e di operazioni di compravendita di titoli azionari di numerose banche popolari, i cui movimenti fanno presumere, ad avviso dell'interpellante, un sospetto caso di insider trading;
   subito dopo il varo del decreto-legge, la borsa di Piazza Affari ha infatti iniziato a prendere posizione, immaginando possibili aggregazioni tra le banche popolari, i cui acquisti si sono concentrati sulle banche di modesta dimensione, come ad esempio il Banco Popolare, che ha registrato a fine settimana un guadagno del 21 per cento, la Banca popolare dell'Emilia, con un +24 per cento o la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, le cui azioni sono aumentate del 62,1 per cento in quattro giorni contro un andamento del comparto bancario dell'8,68 per cento;
   un'intensa attività di compravendita di titoli di alcune banche popolari italiane quotate in borsa si è verificata, in particolare, in una delle piazze finanziarie più importanti in Europa e nel mondo: il London Stock Exchange;
   considerati gli effetti dirompenti che la notizia della riforma ha avuto sui mercati finanziari, a partire da lunedì 19 gennaio 2015, con rialzi a due cifre di tutte le banche coinvolte, la Consob ha avviato una serie di accertamenti preliminari sull'operatività dei titoli delle popolari e sta quindi verificando se ci sia stato chi, avendo ricevuto informazioni preventive all'imminente approvazione del decreto-legge, abbia approfittato e speculato sulla trasformazione delle banche popolari in società per azioni;
   come riferito dal presidente Giuseppe Vegas nel corso dell'audizione svolta alla Camera dei deputati l'11 febbraio 2015, la Consob ha monitorato con particolare attenzione l'andamento delle azioni delle banche popolari a partire dall'emersione dei primi rumor sulla riforma, e quindi sin dai primi giorni dell'anno, attraverso analisi e approfondimenti dell'operatività di tutti i principali intermediari in borsa e fuori mercato, inclusa l'operatività in strumenti derivati;
   l'analisi della dinamica delle quotazioni nel periodo antecedente al 16 gennaio 2015 evidenzia che i corsi delle azioni delle banche popolari hanno mostrato in media una performance negativa. Infatti, ad esclusione della Banca Popolare di Milano, che ha fatto registrare un incremento del 9,59 per cento, le azioni delle altre banche popolari hanno segnato ribassi significativi; tuttavia, come confermato all'interno del documento presentato dal presidente Vegas, le analisi effettuate hanno rilevato la presenza di alcuni intermediari con un'operatività potenzialmente anomala, in grado di generare margini di profitto, sia pur in un contesto di flessione dei corsi. Si tratta, in particolare, di soggetti che hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio 2015, eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva;
   le indagini avviate sono volte ad appurare l'identità dei beneficiari ultimi dell'operatività con margini di profitto significativi effettuata prima del 16 gennaio 2015. La difficoltà di tali accertamenti, come in tutte le indagini di insider trading, è costituita dal fatto che spesso l'intermediario che opera in borsa agisce per conto di propri clienti, i quali a loro volta possono essere soggetti giuridici organizzati in ramificate strutture societarie, spesso con sedi all'estero, rispetto alle quali può essere complesso risalire al controllante ultimo;
   la Consob ha inoltre analizzato le operazioni di trading dei soggetti componenti il consiglio di amministrazione delle banche popolari o di altri soggetti correlati (cosiddette operazioni di «internal dealing»); la Consob ha già proceduto ad inoltrare richieste di dati e notizie agli intermediari sia italiani sia esteri che hanno evidenziato un'operatività potenzialmente anomala. Sulla base delle analisi dei dati ricevuti si è reso necessario inviare ulteriori richieste ai soggetti indicati come clienti o committenti finali. In alcuni casi, trattandosi di soggetti esteri, è stato e sarà necessario predisporre richieste di cooperazione internazionale nei confronti di cinque autorità estere. Una volta acquisito questo set informativo (cosiddetto di «secondo livello») riguardo all'identità dei committenti finali, saranno effettuati ulteriori approfondimenti finalizzati a verificare la sussistenza dei presupposti per le eventuali contestazioni di ipotesi di abuso di informazioni privilegiate, con il relativo seguito sanzionatorio amministrativo ed eventuale denuncia penale;
   il presidente Vegas ha anche dichiarato che sono, inoltre, in corso di predisposizione richieste volte a ricostruire il circuito informativo dell'informazione privilegiata, ovvero l'ambito in cui la stessa è maturata, il momento a decorrere dal quale essa ha assunto i requisiti di informazione privilegiata e i soggetti coinvolti nel circuito informativo, utilizzando tutti i poteri di accertamento previsti dalla disciplina sugli abusi di mercato e procedendo ad audizioni nei confronti di alcuni soggetti rispetto ai quali sono già emersi elementi che portano a ritenere necessarie indagini specifiche più approfondite;
   tutti gli accertamenti annunciati dalla Consob e le approfondite analisi tecniche effettuate saranno quindi finalizzate a dare la massima solidità alle eventuali contestazioni di illecito e alle conseguenti segnalazioni alla magistratura;
   nel frattempo l'11 febbraio 2015 il Ministero dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, ha disposto il commissariamento della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, per effetto delle «gravi perdite del patrimonio» emerse agli occhi dei funzionari che da tempo stavano svolgendo accertamenti ispettivi, peraltro ancora in corso;
   inoltre, anche la procura di Roma ha aperto un'indagine sulle presunte operazioni anomale, puntando anche ai rapporti delle banche popolari con gli istituti di vigilanza;
   al di là delle plusvalenze effettive o potenziali di chi ha comprato azioni delle banche popolari prima del decreto-legge per poi rivenderle a prezzi ben più alti, quel che è grave è che, a quanto risulta all'interpellante, non si può escludere che siano state fonti dirette del Governo ad aver comunicato in anticipo a terze parti interessate le imminenti decisioni dell'Esecutivo;
   l'ulteriore stranezza riguarda il requisito dimensionale individuato, ovvero un attivo di 8 miliardi di euro; è così che rientrano nelle norme il Credito Valtellinese, Popolare di Bari e Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, il cui vicepresidente è il padre del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, anch'essa azionista della banca;
   il 6 febbraio 2015, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Pier Paolo Baretta, ha risposto in maniera del tutto insoddisfacente alle richieste di chiarimento avanzate dall'interpellante in un analogo atto di sindacato ispettivo –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa e, in particolare, a seguito delle dichiarazioni del presidente della Consob, che confermano la messa in atto di operazioni anomale, non ritenga che le modalità di comunicazione della riforma, anticipata il venerdì e poi attuata per decreto-legge il martedì successivo, possano essersi prestate a fenomeni di insider trading o a manovre speculative su titoli in borsa;
   se il Governo intenda chiarire in maniera puntuale le vicende che hanno portato all'adozione delle misure che incidono sulle banche popolari, e, in particolare, fornire spiegazioni in merito alla propria posizione e all'eventuale improprio utilizzo di informazioni privilegiate, per fare luce su una questione che, in tutta evidenza, mette in discussione la credibilità e i fini delle misure adottate;
   se, più in generale, tale riforma sia in sintonia con la legislazione europea e se essa non esponga le imprese italiane ad un rischio di peggioramento del loro accesso al credito, dato che comunque dispone l'eliminazione di un modello di banca legata alla zona di origine e agli investimenti nel medesimo territorio.
(2-00850) «Brunetta».

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Zaratti e altri n. 7-00603 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 377 del 18 febbraio 2015. Alla pagina 21741, seconda colonna, alla riga ottava, deve leggersi: «casse dello Stato per 1-1,3 miliardi di euro» e non come stampato.