Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 5 febbraio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 15 dell'ordinamento penitenziario, di cui alla legge n. 354 del 1975, attribuisce al lavoro un ruolo centrale nel processo rieducativo e di risocializzazione del condannato, così come stabilito dall'articolo 27, comma terzo, della Costituzione: «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato»; occorre quindi che la risposta al reato sia costruita in modo da favorire il recupero sociale del condannato e il precetto costituzionale, infatti, impone di «guardare dentro» la pena, ai suoi contenuti, per costruirli in funzione di un obiettivo esterno, l'obiettivo della rieducazione;
    nel 2003 il DAP, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha avviato un progetto sperimentale programma esecutivo d'azione (P.E.A.) n. 14/2003 in alcuni istituti di pena italiani per promuovere l'attività lavorativa in carcere, attraverso la ristrutturazione delle cucine e l'affidamento della gestione a delle cooperative sociali, con la finalità di offrire opportunità di formazione e professionalizzare i detenuti, assunti dalle cooperative stesse;
    questo progetto, finanziato inizialmente dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e, a partire dal 2009, dalla Cassa delle ammende, è stato rinnovato negli anni con giudizi sui risultati ampiamente positivi andando progressivamente a riguardare fino a 10 istituti di pena;
    recentemente è intervenuta decisione di porre fine all'esperienza decennale di gestione, esternalizzata dei servizi di preparazione pasti per detenuti presso gli istituti penitenziari interessati dal modello di gestione esternalizzata nei dieci istituti penitenziari coinvolti dalla sperimentazione: Trani, Torino, Roma Rebibbia Nuovo Complesso, Roma Rebibbia (casa di reclusione), Ragusa, Padova, Siracusa, Milano-Bollate, Ivrea e Rieti;
    i finanziamenti erogati sono ammontati nel complesso a circa 3,5 milioni di euro l'anno e hanno permesso alle cooperative sociali di far lavorare circa 170 detenuti e 40 operatori sociali, in alcuni tra i più importanti istituti di pena italiani, la cui popolazione carceraria ammonta a circa 7 mila detenuti;
    le ricadute positive del progetto attivato nel 2003 sono tangibili in termini di: riduzione della recidiva per chi ha lavorato come parte attiva del progetto; indotto effettivo per i dipendenti; ore trascorse al di fuori del carcere; qualificazione dell'esperienza detentiva altrimenti fonte di frustrazione e anticamera della recidiva;
    l'impiego dei detenuti in attività lavorative interne al carcere ha aumentato infatti le possibilità di reinserimento nell'ambito sociale e lavorativo e ha abbattuto drasticamente l'eventualità di recidiva: è stimato che chi sconta la pena senza lavorare, una volta uscito delinque in media dieci volte più di chi ha imparato un mestiere; infatti, i dati rilevati nel progetto parlano di un calo della recidiva dal 70 al 2 per cento;
    gli stessi direttori delle carceri coinvolte, in una comunicazione al Ministero del 28 luglio 2014, confermano come «oltremodo positiva l'esperienza, in quanto i detenuti assunti dalle cooperative hanno modo di sperimentare rapporti lavorativi “veri” che li portano ad acquisire competenze e professionalità decisive per il reinserimento sociale»;
    lo stesso dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha espresso parere favorevole il 17 marzo 2014, tramite le parole dell'ex capo del dipartimento, Giovanni Tamburino: «Bisogna confrontarsi con l'oggettività che danno i direttori, che vedono le cose concrete, pratiche, quotidiane. Il giudizio è fortemente positivo: non si torna indietro, si va avanti»; stessa conclusione volta alla prospettiva di consolidare l'esperienza passando dalla fase sperimentale a quella strutturale di messa a sistema, è stata tratta dalla commissione messa in opera dal ministro pro-tempore Anna Maria Cancellieri;
    in linea con il riconoscimento dell'importanza del lavoro per la riabilitazione dei detenuti, con la legge n. 193 del 2000 (cosiddetta legge Smuraglia), sono stati forniti strumenti e modalità per l'avvio di attività lavorative in carcere da parte di imprese pubbliche o private e di cooperative, attraverso la stipula di un'apposita convenzione con l'amministrazione penitenziaria;
    si era proposto di dividere in modo diverso la dotazione economica della legge «Smuraglia», oggi suddivisa tra credito d'imposta e sgravi contributivi: era stato chiesto di aumentare di almeno un milione di euro il fondo per il credito d'imposta e ridurre proporzionalmente quello dello sgravio contributivo, proprio per far fronte alla quasi certa insufficienza del credito d'imposta, oggi avveratasi;
    con questa decisione vi è il serio rischio di perdita di posti di lavoro alle dipendenze di imprese provenienti dall'esterno, pregiudicando la loro possibilità a proseguire oltre nelle loro attività, ma soprattutto di importanti professionalità: il coordinamento delle cooperative in un comunicato stampa ha dichiarato che «70 persone più una quarantina di operatori esterni perderanno il posto di lavoro, terminando in modo inglorioso una buona prassi che c'invidia tutto il mondo. Viene a galla l'idea di trasformare il lavoro penitenziario in un sistema velato di nuovo lavoro forzato, quello che Papa Francesco chiama “le nuove forme di schiavitù”, lo sfruttamento delle fasce deboli e indifese e che per di più, se hanno sbagliato, che paghino e basta»;
    ammesso che la Cassa delle ammende non possa sostenere progetti continuativi per sua intrinseca natura, è evidente la necessità di trovare misure alternative per proseguire quest'esperienza tanto positiva, evitando il ripristino della gestione delle mense in capo dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria tramite il lavoro a mercede, totalmente inadatto ad offrire un percorso di recupero ai detenuti, in quanto completamente opposto al concetto da tutelare di «cultura del lavoro»;
    il 21 gennaio 2015 il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Santi Consolo, insieme ai responsabili delle diverse articolazioni del Dipartimento, ha ricevuto i rappresentanti delle cooperative a cui era stato affidato il servizio di confezionamento del vitto presso gli istituti penitenziari di Ivrea, Milano Bollate, Padova, Ragusa, Rieti, Roma Rebibbia, Siracusa, Torino, Trani e, nel corso dell'incontro, ha riaffermato l'impegno a proseguire il rapporto di collaborazione con le cooperative in relazione alle attività di panificazione, produzione dolciaria e catering da loro attivate e sviluppatesi nei predetti istituti, attraverso progetti da sottoporre alla Cassa delle ammende da valutare,

impegna il Governo:

   a condividere i dati del monitoraggio delle attività svolte nel decennio passato, tra cui la citata analisi dei costi, con riguardo a risultati ottenuti, costi sostenuti, incidenza del lavoro sulla recidiva, condizioni d'inquadramento dei detenuti sulla base delle recenti normative sul lavoro e a tutti i dati necessari ad inquadrare l'esperienza nel suo complesso, rendendola trasparente e valutabile;
   a relazionare ogni anno al Parlamento in merito all'utilizzo delle risorse complessive del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria finalizzate ai vari progetti, sia quelli gestiti in proprio sia quelli assegnati a soggetti terzi, relativamente alle risorse economiche a questi assegnate, alle risorse e mezzi impegnati e ai risultati ottenuti;
   a intervenire al fine di non disperdere il prezioso patrimonio conoscitivo sviluppato nel corso del progetto da parte delle cooperative che hanno assunto i detenuti;
   a mettere in campo strumenti analoghi a quello attuato nella decennale esperienza conclusa, affinché si possa estendere l'esperienza al numero più ampio possibile di istituti di pena italiani;
   a individuare anche fonti di finanziamento alternative rispetto a quelle finora utilizzate, così da non disperdere i virtuosi risultati ottenuti e la valevole esperienza maturata negli istituti penitenziari già coinvolti, estendendola a tutti quelli coinvolgibili.
(1-00724) «Taricco, Fragomeli, Bossa, Borghi, Bergonzi, Amato, Rubinato, Realacci, Patriarca, Oliverio, Magorno, Carloni, Crivellari, Rossi, Malpezzi, Cani, Dal Moro, Amoddio, Senaldi, Prina, Romanini, Grassi, Lavagno, Antezza, Iacono, Iori, Venittelli, Greco, Cova, Zanin, Capone, Giuseppe Guerini, Sani, Cimbro».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VII e X,
   premesso che:
    l'Italia vanta una posizione di leadership a livello mondiale nel settore aerospaziale, rappresentando la terza (quarta se si considera la Federazione russa tra i Paesi europei) potenza in Europa e la sesta a livello mondiale;
    l'Italia è stato uno dei principali promotori e fondatori della cooperazione scientifica europea nel settore spaziale fin dal 1962, divenendo nel 1964 la prima Nazione dell'Europa occidentale a costruire e lanciare un satellite con la Missione San Marco guidata dal Professor Luigi Broglio;
    il settore spazio con i suoi 6.000 addetti e 1,45 miliardi di euro di fatturato riveste una funzione di traino eccezionale per il comparto aerospaziale, che occupa in Italia oltre 50.000 addetti con ricavi annuali di circa quattordici miliardi di euro;
    l'industria aerospaziale italiana è un'area strategica, supportata da programmi nazionali e regionali e caratterizzata da forte cooperazione internazionale. Gli attori chiave sono il gruppo Finmeccanica (con le sue controllate), il gruppo Avio, un'ampia rete di piccole e medie imprese, l'Agenzia spaziale italiana (ASI), oltre a centri di ricerca, università e distretti regionali;
    in Italia vi sono dieci regioni con un distretto/cluster aerospaziale, formalizzato o meno (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana e Umbria). Inoltre si registra anche la presenza di player aerospaziali (come alcune sedi di grandi gruppi, piccole e medie imprese, organizzazioni di ricerca) in altre regioni, soprattutto in Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia Giulia e Sicilia;
    i distretti aerospaziali italiani coinvolgono circa un migliaio di membri, tra aziende grandi e piccole e medie imprese, università e centri di ricerca;
    nel settembre 2009 è nato il «cluster tecnologico nazionale aerospazio» (CTNA), che è un'associazione fondata da Distretto aerospaziale della Campania (DAC), Distretto tecnologico aerospaziale del Lazio, Distretto aerospaziale lombardo, Comitato promotore Distretto Aerospaziale Piemonte, Distretto aerospaziale pugliese, Agenzia spaziale italiana (ASI), Avio Aero, Finmeccanica a cui in seguito si sono uniti AIAD (Federazione aziende italiane per l'aerospazio, la difesa e la sicurezza) e il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR);
    dallo scorso giugno 2014 è stata attivata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una cabina di regia sulla politica aerospaziale a cui partecipano rappresentanti dei vari Ministeri, della Conferenza delle regioni e delle province autonome e rappresentanti delle associazioni industriali;
    a partire dagli anni ’80, molti Governi, soprattutto quelli europei, hanno consolidato vere e proprie partnership finanziarie con le maggiori aziende del settore, sollevandole quindi, in tutto o in parte, dal rischio e dall'onere finanziario. In questa logica, nel 1985, l'Italia ha istituito, con la legge n. 808, una misura di promozione pubblica dello svolgimento tecnologico del settore aerospaziale e dell'elettronica connessa alla difesa;
    la legge 24 dicembre 1985, n. 808, è stata lo strumento fondamentale di politica industriale per il settore che ha consentito all'industria italiana di mantenersi in linea con la concorrenza europea ed ha contribuito significativamente a consolidare e sviluppare un patrimonio tecnologico nazionale di eccellenza, competitivo a livello internazionale;
    con lo scopo di promuovere lo sviluppo e di rafforzare la competitività dei settori industriali tecnologicamente avanzati (in attuazione della legge 8 agosto 1996, n. 421, della legge 7 agosto 1997, n. 266, e della legge 23 dicembre 2005, n. 266), il Ministero dello sviluppo economico attua interventi in relazione a diversi programmi di sviluppo e realizzazione per le Forze armate di sistemi ad alta tecnologia, funzionali alla sicurezza nazionale nell'ambito della missione 11 (Regolamentazione, incentivazione dei settori imprenditoriali, riassetti industriali, sperimentazione tecnologica, lotta alla contraffazione, tutela della proprietà industriale) dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico in quanto il programma 11.5 è infatti dedicato alla partecipazione a programmi aerospaziali e ad alta tecnologia per la difesa;
    con la legge 23 luglio 2009, n. 99, sono state previste numerose disposizioni relative alla ricerca, tra cui agevolazioni a favore della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione. In particolare, sono state destinate risorse agli interventi individuati dal Ministero dello sviluppo economico in determinati ambiti, tra cui tecnologia dell'informazione e della comunicazione, industria aerospaziale, osservazione della terra e all'ambiente;
    il settore spaziale nazionale può trasformarsi in uno dei motori propulsori della nuova crescita del Paese a condizione che, intorno alle eccellenze scientifiche e tecniche, si costruisca un disegno di sviluppo che allarghi le ricadute ed i benefici all'intero sistema industriale e produttivo, in una nuova chiave di sostenibilità e di sviluppo del territorio;
    per la politica spaziale nazionale si rende opportuno approfondire ulteriormente il processo di individuazione degli obiettivi che possono al contempo collocarsi nell'ambito delle strategie nazionali e delle politiche di sviluppo dei territori per poi avviare il dialogo tra amministrazioni per la definizione dei meccanismi di collaborazione ed, eventualmente, dei meccanismi di finanziamento per la realizzazione di tali obiettivi, in una logica di sustainable spending;
    la nuova politica spaziale sostenibile deve allargare la prospettiva di sviluppo dal settore spaziale tradizionale all'insieme della space economy, la catena del valore che, partendo dalla ricerca, sviluppo e realizzazione delle infrastrutture spaziali abilitanti, il così detto «upstream», arriva fino alla produzione di prodotti e servizi innovativi «abilitati», noto come «downstream» (servizi di monitoraggio ambientale previsione meteo, e altro);
    secondo le stime correnti, il settore spaziale downstream, assume, già ora, un valore di 4-5 volte quello dell’upstream essendo destinato a crescere ulteriormente nel prossimo decennio. La crescita del downstream sarà prevalentemente dovuta alla diffusione di una notevole quantità e varietà di servizi a valore aggiunto con una forte connotazione territoriale, principalmente basati su bisogni degli utenti locali e sviluppati e gestiti principalmente da piccole e medie imprese, con impiego di personale a qualificazione medio-alta;
    la nuova politica spaziale sostenibile trova già numerosi segnali ed agganci nelle politiche di sviluppo promosse a livello europeo: le attività ed i programmi scientifici e di sviluppo tecnologico realizzati dalla European Space Agency (ESA), anche in collaborazione con l'Unione europea, i programmi spaziali dell'Unione europea direttamente finanziati come tali nel Multiannual Financial Framework 2014-20 della Unione europea (il programma Galileo e il programma Copernicus), parti importanti del programma di ricerca ed innovazione H2020 tra cui la tematica «Space» è una delle tecnologie abilitanti considerate prioritarie, nell'ambito dell'Industrial Leadership, i downstream services che utilizzano dati spaziali e svolgono un ruolo chiave nell'affrontare sfide importanti su sicurezza, ambiente, e altro;
    il Ministero dello sviluppo economico nel mese di dicembre 2014 ha definito due nuovi interventi del Fondo per la crescita sostenibile diretti ad accrescere la competitività delle imprese italiane e favorire il superamento dall'attuale fase di stagnazione economica, attraverso lo sviluppo di progetti innovativi in grado di realizzare significativi avanzamenti tecnologici. I due interventi, denominati «Agenda digitale» e «Industria sostenibile», che seguono il primo intervento del Fondo per la crescita sostenibile, attuato nel mese di ottobre 2014, diretto principalmente a cogliere le proposte di innovazione provenienti dalle imprese di piccola e media dimensione negli specifici ambiti tecnologici individuati dal programma europeo «Horizon 2020»; in particolare, i progetti di ricerca e sviluppo oggetto degli interventi devono prevedere spese ammissibili comprese tra i 5 milioni di euro e i 40 milioni di euro e devono essere relativi a specifici ambiti di intervento, quali, per «Industria sostenibile», le tecnologie abilitanti fondamentali (micro-nanoelettronica, fotonica, materiali avanzati, sistemi avanzati di produzione e biotecnologia industriale) e alcune specifiche tematiche rilevanti (processi e impianti industriali, trasporti, aerospazio, TLC, tecnologie energetiche, costruzioni eco-sostenibili e tecnologie ambientali);
    il soggetto istituzionale attivo nel settore è l'Agenzia spaziale italiana (ASI), un ente di ricerca vigilato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 2009 n. 213, che opera in collaborazione con diversi altri Ministeri;
    le principali direttrici dell'azione dell'ASI per il prossimo quadriennio riguardano l'accesso allo spazio, lo sfruttamento della stazione spaziale internazionale, il programma duale Cosmo Sky-Med Seconda Generazione (CSG) e lo sviluppo dei mini satelliti;
    l'Italia, inoltre, in quanto terzo Paese contribuente nell'Agenzia spaziale europea (ESA), è impegnata nella definizione della futura famiglia di lanciatori europei destinata a sostituire Ariane 5, un progetto caratterizzato da una buona flessibilità di configurazione e in grado di competere con la crescente concorrenza statunitense, a cui l'Italia è chiamata a contribuire per il 10 per cento circa, pari a circa 80 milioni di euro annui sul decennio;
    tale progetto riveste grande importanza per il nostro Paese, in quanto utilizza in modo sistematico lo sviluppo di motore a propellente solido sviluppato da Avio per VEGA, il P120, rafforza le tecnologie nazionali e apre interessanti prospettive di sviluppo nell'ambito dei lanciatori di taglia più piccola, settore in cui ci si aspetta un forte sviluppo del mercato;
    l'Italia è, inoltre, uno dei Paesi europei che maggiormente hanno contribuito alla realizzazione della stazione spaziale internazionale (ISS), si ricordano soprattutto Cupola (la finestra sull'Universo costruita sotto la supervisione di Thales Alenia Italia) e i nodi della ISS (il nodo 2, detto Harmony, e il nodo 3, detto Tranquility). L'Italia ha 4 astronauti in servizio attivo uno dei quali è attualmente presente a bordo: per questi motivi sarebbe opportuno aumentare la sottoscrizione italiana all'ISS fino a raggiungere circa 40 milioni di euro annui nel corso dei prossimi 10 anni;
    le eccellenti capacità tecnologiche espresse da Cosmo Sky Med giustificano il mantenimento di un ruolo di leadership internazionale dell'Italia in questo settore, prevedendo la sostituzione degli altri satelliti e lo sviluppo di nuove tecnologie basate su piccoli satelliti nel corso del prossimo decennio;
    per il completamento del progetto Cosmo Seconda Generazione, nel quadriennio 2015-2018 l'Asi avrà bisogno di risorse per circa 70 milioni di euro annui;
    il 2 dicembre 2014, la riunione dei Ministri competenti degli Stati membri dell'ESA ha approvato lo sviluppo della famiglia di nuovi lanciatori, il finanziamento della stazione spaziale internazionale e il finanziamento dell'esplorazione spaziale, adottando in particolare 3 risoluzioni:
     l'approvazione della costruzione del lanciatore Ariane 6 e alla nuova versione di Vega, il Vega-C: complessivamente per i nuovi lanciatori Ariane 6 e Vega-C, si prevede un investimento di 8 miliardi in dieci anni;
     il via libera al progetto Europa su Marte, con le missioni 2016-18 ExoMars, nelle quali l'Italia è il principale contribuente della missione ed è coinvolta con gli stabilimenti di Torino della Thales Alenia Space. L'investimento complessivo previsto è di 1,2 miliardi di euro, con un contributo italiano compreso fra il 35 per cento e il 37 per cento. Dopo l'Italia, la Gran Bretagna diventa il secondo contributore, seguito da Francia e Germania. Entrambe hanno infatti deciso di aumentare lo stanziamento di 50 milioni ciascuna, facendo salire a 160 milioni il contributo addizionale necessario per la missione ExoMars del 2018 e avvicinandolo ai 200 milioni previsti;
     l'aumento del contributo alla stazione spaziale internazionale (180 milioni fino al 2020) ed evoluzione dell'ESA per renderla, almeno fino al 2030, capace di soddisfare determinate richieste: monitoraggio dell'evoluzione ambientale sulla Terra; sostegno all'educazione scientifica e all'innovazione; sviluppo delle collaborazioni in ambito europeo fra i vari stati per garantirne la competitività mondiale;
    nel corso dell'esame parlamentare del disegno di legge di stabilità per il 2015, sono stati inseriti un contributo di 30 milioni di euro per gli anni 2015-2017 all'ASI per il finanziamento di programmi spaziali strategici nazionali in corso di svolgimento e un'autorizzazione di spesa di 60 milioni di euro per l'anno 2016 e di 170 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 per la partecipazione italiana ai programmi dell'Agenzia spaziale europea e per i programmi spaziali nazionali di rilevanza strategica, contributi necessari ma insufficienti a far fronte alle necessità imposte dal mutamento della politica industriale del settore consistente nel passaggio dal settore spaziale tradizionale all'insieme della space economy,

impegnano il Governo:

   a implementare la nuova politica spaziale sostenibile attraverso:
    a) il potenziamento della citata cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
    b) azioni volte a potenziare e rendere più strutturato il dialogo con il mondo imprenditoriale, scientifico e accademico che fa riferimento allo spazio;
    c) l'individuazione delle esigenze espresse dalle imprese del settore, dalle associazioni, dalle imprese di altri settori, specialmente piccole e medie imprese, in merito allo sviluppo di nuovi servizi innovativi «abilitati» basati ad esempio su dati satellitari;
    d) azioni per rendere sistemici, i canali d'intervento tradizionali della politica spaziale nazionale, con le risorse e le forze delle regioni interessate alle ricadute sui loro territori della space economy, operando principalmente attraverso il finanziamento congiunto (fondi nazionali, fondi strutturali e fondi sviluppo Coesione-FCS) delle iniziative spaziali ritenute congiuntamente a tale scopo idonee;
    e) la dotazione del Fondo per la crescita sostenibile delle risorse necessarie alle imprese del settore per innovare i propri processi e i propri prodotti lungo le direttrici di crescita sostenibile individuate dal programma «Horizon 2020»;
   a reperire le risorse necessarie per eventuali esigenze straordinarie finalizzate alla sottoscrizione di programmi per le attività della Agenzia spaziale europea nel quadriennio 2015-19, come da risoluzione ministeriale ESA del 2 dicembre 2014.
(7-00589) «Montroni, Ascani, Carrozza, Benamati, Taranto, Tidei, Bargero, Scuvera, Arlotti, Senaldi».


   Le Commissioni VII e XII,
   premesso che:
    la legge n. 376 del 14 dicembre 2000 «Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping» prevede all'articolo 4, comma 4, che: «A decorrere dalla data della stipulazione delle convenzioni di cui al comma 1, e comunque a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, cessano le attività del CONI in materia di controllo sul laboratorio di analisi operante presso il Comitato medesimo»;
    inoltre la stessa legge n. 376 del 2000 prevede all'articolo 3, comma 1, lettera b), che la Commissione di vigilanza determini i casi, i criteri e le metodologie dei controlli antidoping ed individua le competizioni e le attività sportive per le quali il controllo sanitario è effettuato dai laboratori di cui all'articolo 4, comma 1, tenuto conto delle caratteristiche delle competizioni e delle attività sportive stesse e, all'articolo 3, comma 1, lettera c), che la suddetta Commissione effettui, tramite i laboratori di cui all'articolo 4, anche avvalendosi di medici specialisti di medicina dello sport, i controlli antidoping e quelli di tutela della salute, in gara e fuori gara e predisponga i programmi di ricerca sui farmaci, sulle sostanze e sulle pratiche mediche utilizzabili a fini di doping nelle attività sportive;
    nella risposta del 16 gennaio 2015 all'interpellanza urgente n. 2-00801 presentata dal primo firmatario del presente atto ed altri sui controlli antidoping, viene correttamente ricostruito l'attuale percorso per lo svolgimento dei controlli antidoping in Italia e il rappresentante del Ministero ha dichiarato: «Il Governo italiano, non avendo effettuato a suo tempo una scelta diversa, ha di fatto affidato il ruolo di NADO al CONI, confermando tale indicazione anche successivamente, in occasione della firma della Convenzione internazionale contro il doping nello sport, adottata a Parigi nella XXXIII Conferenza generale dell'UNESCO, il 19 ottobre 2005, entrata in vigore il 2 febbraio 2007 e di seguito anche ratificata con la legge 26 novembre 2007, n. 230». Inoltre, dichiara che «Il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), è, quindi, oggi l'autorità che disciplina, regola e gestisce le attività sportive in Italia, nonché cura l'adozione delle misure di prevenzione e repressione del doping nell'ambito dell'ordinamento sportivo con la funzione di Organizzazione nazionale antidoping (più volte citata con l'acronimo NADO)»;
    infine precisa «Il Codice mondiale antidoping adottato dalla World Antidoping Agency (WADA) prevede solo come clausola di salvaguardia che, qualora gli Stati firmatari non identificassero espressamente la propria Organizzazione antidoping nazionale, le funzioni sarebbero state svolte dal Comitato olimpico nazionale»;
    la presenza dell'Agenzia CONI-NADO in seno al CONI, disattende ad avviso dei firmatari del presente atto quanto previsto dalla legge n. 376 del 2000 e dal codice mondiale antidoping ratificato anche dall'Italia che evidenzia con assoluta chiarezza la necessità di un organo terzo rispetto al CONI. La costituzione del CONI-NADO è stata possibile solo come norma di salvaguardia al codice mondiale antidoping. L'attuale titolarità del CONI sull'Agenzia si configura come un sistema «controllore/controllato» che non garantisce l'indipendenza dei controlli e accertamenti sugli atleti, in particolare quelli di vertice ed inseriti nelle competizioni olimpiche e mondiali e, inoltre, non ottempera alle indicazioni della WADA che raccomanda la costituzione di Agenzie nazionali indipendenti sia rispetto al sistema sportivo, sia rispetto alle autorità di Governo»;
    l'uso della norma di salvaguardia che può trovare qualche ragione nei Paesi in cui i Comitati olimpici nazionali mantengono una propria autonomia rispetto alle federazioni sportive è palesemente conflittuale in Italia, in quanto c'e una stretta connessione tra il CONI e le federazioni sportive;
    la relazione annuale della Commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive per l'anno 2013 al Parlamento Italiano inizia dichiarando che «Nel corso del 2013, la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive ha proseguito nel suo impegno finalizzato alla lotta ed alla prevenzione della diffusione del fenomeno doping nella popolazione giovanile e nei settori sportivi amatoriali, promuovendo iniziative in tema di ricerca e formazione superiore, al fine di incrementare le conoscenze sul fenomeno, quale base per lo sviluppo di nuove e mirate strategie di intervento a tutela della salute dei praticanti l'attività sportiva». Questo conferma come attualmente la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive sia l'altro organismo al quale è deputato il controllo sul doping in Italia;
    per ragioni diverse da quelle indicate per CONI NADO, neppure la Commissione di vigilanza (che dipende dal Governo) ha la necessaria indipendenza e terzietà raccomandata dal Codice WADA;
    l'indagine condotta dai Nas e dai Ros, su mandato della procura di Bolzano, a seguito della positività al controllo antidoping di Alex Schwazer, ha evidenziato che l'Agenzia CONI-NADO, pur riscontrando ripetute mancate segnalazioni della reperibilità da parte degli atleti della FIDAL (ma la stessa procura antidoping del CONI ha segnalato analoghe inadempienze per numerosi atleti di altre discipline sportive), non si sia mai attivata per la contestazione formale delle infrazioni quale presupposto della squalifica, così compiendo una grave violazione del codice WADA. Con gravi conseguenze sul piano pratico, poiché efficacia dell'intero sistema antidoping deriva da un'abile e corretta gestione dei controlli a sorpresa, ma, per effettuare questo genere di controlli, c’è la necessità che gli atleti segnalino nei termini stabiliti, prima che inizi ciascun trimestre, la loro giornaliera reperibilità. Una mancata segnalazione comporta che tale tipologia di controlli non si possa effettuare, mentre la passiva accettazione di tali inadempienze, da parte di CONI NADO e degli organismi antidoping delle Federazioni, ha svilito agli occhi degli atleti il significato dei controlli ed ha impedito di irrogare le previste sanzioni. Infatti, se qualcuno accumula in 18 mesi tre ritardi nell'invio del form con le informazioni (la cosiddetta «mancata o ritardata notifica»), o se salta un test per tre volte senza motivi validi, viene squalificato. Questo è quanto previsto dal codice mondiale della WADA. È un punto tassativo sul quale è imperniata l'effettiva funzionalità dei controlli e, senza tale rigorosità, tutto si trasforma in un sistema antidoping di sola apparenza;
    in occasione dell'Assemblea nazionale del mese di ottobre 2014, anche l'Associazione Libera con gli enti di promozione sportiva UISP, US AGLI, CSI e ACSI ha presentato il documento «Libera lo sport» in cui viene ribadita la necessità di separare chi controlla da chi è controllato mediante l'istituzione di una agenzia ad hoc per combattere il doping che, va tenuto presente, ha legami molto stretti anche con fenomeni di malavita, nonché con il commercio illegale di farmaci e di sostanze stupefacenti,

impegna il Governo:

   a predisporre le iniziative necessarie a superare la norma di salvaguardia al codice mondiale antidoping, adottata nel 2007 e nel 2012, che conferisce a CONI-NADO l'attività di controllo antidoping sulle attività sportive agonistiche di livello nazionale e internazionale (delegate dagli organismi sportivi internazionali) per aderire pienamente al codice mondiale antidoping e alla legge n. 376 del 2000;
   ad assumere iniziative per creare un'Agenzia nazionale antidoping indipendente sia dal CONI che dal Governo con una propria autonomia finanziaria e non soggetta a vigilanza da parte dei Ministeri le cui competenze devono riguardare: l'organizzazione dei controlli antidoping; il prelievo dei campioni biologici e le loro analisi; lo sviluppo dei procedimenti disciplinari riguardanti i tesserati delle diverse federazioni sportive nazionali o la stessa Agenzia; il rilascio dell'autorizzazione all'uso a fini terapeutici di farmaci vietati per doping; l'attività di ricerca; l'attività di prevenzione; la partecipazione ad attività internazionali; i rapporti con il Governo, con i Ministeri competenti in tema di controlli antidoping e con i diversi organismi sportivi;
   ad assumere iniziative per attivare, così come è previsto dalla legge n. 376 del 2000, i laboratori regionali di base per effettuare analisi del sangue a tutela della salute e per prevenire il doping nei giovani e tra gli sportivi amatoriali, conferendo inoltre mandato alla costituenda Agenzia nazionale antidoping per l'organizzazione di indagini connesse con il doping;
   a garantire l'autonomia finanziaria della costituenda Agenzia nazionale antidoping, senza alcun aggravio per lo Stato, attribuendole i fondi attualmente trasferiti su base annua al CONI e alla Commissione di vigilanza per i controlli e il contrasto al doping;
   ad assumere iniziative per nominare un commissario di indubbia autonomia rispetto alle federazioni sportive e al CONI e di comprovata professionalità e competenza specifica, affinché provveda a definire, nei tempi che gli saranno indicati, una proposta al Governo in merito alla composizione e al funzionamento dell'Agenzia, oltreché alle modalità di rapporti con le diverse autorità nazionali ed internazionali;
   a predisporre tutte le iniziative necessarie ad abolire la Commissione di vigilanza e l'Agenzia CONI-NADO che vedrebbero le proprie competenze assorbite dalla costituenda Agenzia nazionale antidoping, nel contempo facendo obbligo al CONI, alle Federazioni sportive nazionali e alle discipline associate di mantenere in vita una Commissione antidoping incaricata dei rapporti con l'Agenzia nazionale antidoping.
(7-00586) «Coccia, Cova, Blazina, Fossati, Coscia, Malpezzi, Albini, Boccuzzi, Campana, Cani, Carra, Carrescia, Casati, Casellato, Cenni, Chaouki, Cominelli, Crimì, D'Ottavio, Fanucci, Fragomeli, Giuseppe Guerini, Iacono, Iori, Maestri, Minnucci, Monaco, Moscatt, Nicoletti, Pilozzi, Porta, Prina, Richetti, Romanini, Rossi, Sbrollini, Terrosi, Zanin, Nicchi, Scopelliti, D'Arienzo, La Marca, Arlotti, Amato, Castricone, Giuliani, Lattuca, Marco Di Maio».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la prima applicazione della disciplina in materia di emersione e rientro di capitali (cosiddetta procedura di collaborazione volontaria – voluntary disclosure), di cui alla legge n. 186 del 2014, sta creando alcuni dubbi interpretativi, in particolare per quanto riguarda gli obblighi e le responsabilità gravanti sui professionisti che svolgano attività consulenziale nei confronti dei soggetti potenzialmente interessati ad avvalersi della predetta disciplina;
    in particolare, è insorto il quesito se i professionisti debbano ottemperare agli obblighi di segnalazione di operazioni sospette previsti dalla disciplina antiriciclaggio di cui al decreto legislativo n. 231 del 2007 anche nel caso in cui si limitino a prestare una mera attività consulenziale in tale ambito, ovvero se siano invece esonerati da tali obblighi ai sensi dell'articolo 12, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 231, il quale prevede che l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette a fini antiriciclaggio non si applica nell'esame della posizione giuridica del cliente in relazione a un procedimento giudiziario, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento;
    secondo una lettura non corretta del citato articolo 12, comma 2, l'esonero ivi previsto non si estenderebbe a tutti i casi di consulenza, ma solo a quelli collegati a procedimenti giudiziari, con la conseguenza che le attività di consulenza preventiva svolte ai fini dell'eventuale adesione alla procedura di voluntary disclosure non potrebbero godere del predetto esonero;
    è tuttavia evidente come una siffatta interpretazione della normativa in materia, oltre a porsi in contraddizione con lo spirito della previsione di cui al richiamato articolo 12, comma 2, avrebbe effetti gravemente pregiudizievoli per la stessa applicabilità dell'intero meccanismo di voluntary disclosure, costituendo un serio ostacolo per quasi tutti i soggetti che sarebbero potenzialmente interessati a avvalersi di tale strumento ma che, prima di decidere se aderire o meno alla procedura di collaborazione volontaria, ritengono nella maggior parte dei casi indispensabile avvalersi della preventiva consulenza di un professionista qualificato per compiere le complesse valutazioni circa tutti gli aspetti e gli effetti concreti, nei singoli casi di specie, connessi all'adesione stessa;
    occorre inoltre segnalare come tale interpretazione restrittiva striderebbe con lo stesso dettato del decreto legislativo n. 231 del 2007, il quale stabilisce che gli obblighi antiriciclaggio di adeguata verifica, di registrazione e di conservazione si applichino al momento in cui si concretizza, con il conferimento dell'incarico al professionista, il rapporto tra quest'ultimo e il soggetto al quale sarà resa la prestazione professionale;
    infatti, la definizione di «cliente» recata dall'articolo 1, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 231 del 2007, definisce come tale il soggetto al quale «i destinatari indicati agli articolo 12 e 13 rendono una prestazione professionale a seguito del conferimento di un incarico»;
    quindi, anche alla luce della previsione, da ultimo citata, dell'articolo 1, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 231, si deve ritenere che, nell'ipotesi in cui l'attività del professionista, limitata alla valutazione circa l'opportunità, per il suo assistito, di accedere o meno alla procedura di voluntary disclosure, preceda il conferimento dell'incarico, non sussistono gli obblighi antiriciclaggio;
    in tale contesto, appare comunque necessario che la precisazione di tale importante aspetto non sia lasciato alla libera valutazione dei singoli interpreti o degli uffici, ma sia oggetto di un apposito chiarimento, da realizzarsi con un atto interpretativo univoco e definitivo, attraverso il quale specificare che l'effettuazione, da parte del professionista, di una mera consulenza relativa alla convenienza e alle conseguenze dell'eventuale adesione alla procedura di collaborazione volontaria non rende di per sé applicabili al professionista stesso gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette previsti dal decreto legislativo n. 231,

impegna il Governo

ad adottare tutte le iniziative necessarie per chiarire, anche in via interpretativa, che nel caso in cui un professionista consigli a un soggetto di non accedere alla procedura di collaborazione volontaria per l'emersione e il rientro di capitali detenuti all'estero, o comunque fornisca una consulenza circa l'eventuale adesione alla predetta procedura, preventiva rispetto all'attribuzione di un incarico professionale, a seguito della quale il soggetto stesso decida autonomamente di non accedere alla medesima procedura di voluntary disclosure, l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette a carico del professionista stesso è escluso, in virtù dell'esonero di cui all'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo n. 231 del 2007.
(7-00584) «Sanga, Causi».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    sono definite scuole paritarie le istituzioni scolastiche non statali che, a partire dalla scuola dell'infanzia, sono coerenti con gli ordinamenti generali dell'istruzione e posseggono i requisiti fissati dalla legge 10 marzo 2000, n. 62;
    tra i requisiti necessari per ottenere il riconoscimento della parità scolastica da parte dello Stato vi sono anche:
     a) l'impiego di personale docente fornito del titolo di abilitazione;
     b) la stipula di contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore;
     c) un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci;
     d) la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti;
     e) l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica;
     f) l'organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe;
    la parità è riconosciuta con provvedimento adottato dal direttore dell'ufficio scolastico regionale competente per territorio, previo accertamento della sussistenza dei requisiti normativi vigenti, adottando motivato provvedimento entro il 30 giugno;
    il decreto del 29 novembre 2007, n. 267 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2008, regolamenta la disciplina delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento secondo le seguenti modalità:
     1. l'articolo 3, comma 1, prescrive che il gestore o il rappresentante legale della scuola paritaria, entro il 30 settembre di ogni anno scolastico, deve dichiarare al competente ufficio scolastico regionale, la permanenza del possesso dei requisiti richiesti dalle norme vigenti;
    2. l'articolo 3, comma 3, prescrive che in caso di mancata osservanza delle prescrizioni previste dalle norme vigenti (l'articolo 1, comma 4, della legge 10 marzo 2000, n. 62, le disposizioni del decreto del 29 novembre 2007, n. 267, le disposizioni vigenti in materia di esami di Stato) ovvero di irregolarità di funzionamento, l'ufficio scolastico invita la scuola interessata, mediante comunicazione formale, a provvedere alle dovute regolarizzazioni entro il termine perentorio di 30 giorni. Aggiunge che, scaduto il termine di 30 giorni, senza che la scuola abbia provveduto a regolarizzare quanto prescritto, l'ufficio scolastico regionale dispone gli opportuni accertamenti;
     3. l'articolo 3, comma 6 prescrive che l'ufficio scolastico regionale accerta comunque la permanenza dei requisiti prescritti dalle norme vigenti mediante apposite verifiche ispettive che potranno essere disposte in qualsiasi momento;
     4. l'articolo 3, comma 7, prescrive che nel caso in cui sia accertata la sopravvenuta carenza di uno o più dei requisiti richiesti, l'ufficio scolastico regionale invita la scuola a ripristinare il requisito o i requisiti mancanti, assegnando il relativo termine, di norma non superiore a trenta giorni;
     5. sempre l'articolo 3, comma 7 prescrive che, scaduto il termine assegnato senza che la scuola abbia provveduto a ripristinare il requisito o i requisiti prescritti, l'ufficio scolastico regionale provvede alla revoca del provvedimento con cui è stata disposta la parità;
    il decreto n. 83 del 10 ottobre 2008, concernente le linee guida per l'attuazione del decreto ministeriale n. 267 emanato il 29 novembre 2007, aggiunge alle norme precedenti:
     1. al punto 5.10 la revoca del riconoscimento della parità scolastica ha effetto dall'inizio dell'anno scolastico successivo ed è disposta dal direttore dell'ufficio scolastico regionale competente per territorio nei seguenti casi:
      a) libera determinazione del gestore;
      b) perdita anche di uno solo dei requisiti di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62 e all'articolo 353 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297;
      c) gravi irregolarità di funzionamento accertate;
      d) accertata violazione dell'articolo 1-bis, comma 3, della legge 3 febbraio 2006, n. 27;
      e) mancato completamento del corso, nel caso di riconoscimento della parità ad iniziare dalla prima classe (le classi attivate possono mantenere la parità fino alla conclusione del corso);
      f) mancata attivazione di una stessa classe per più di 2 anni scolastici consecutivi;
     2. al punto 5.11 che in caso di cessazione dell'attività della scuola, il gestore deve dare comunicazione all'ufficio scolastico regionale competente per territorio entro il 31 marzo con effetto dal successivo 1o settembre;
     3. al punto 5.12 che nel caso di passaggi di gestione, il gestore o il rappresentante legale è tenuto a comunicare tempestivamente all'ufficio scolastico regionale le modificazioni riguardanti il mutamento del soggetto gestore, il mutamento del legale rappresentante dell'ente gestore, il trasferimento della sede legale dell'ente gestore, la modifica della natura giuridica dell'ente gestore assicurando il permanere dei requisiti prescritti per il riconoscimento della parità. L'ufficio scolastico regionale deve adottare i provvedimenti conseguenti, curando che gli atti di modifica di cui trattasi non interrompano la continuità del servizio, a salvaguardia della posizione scolastica degli alunni e della valutazione del servizio del personale ivi operante;
     4. al punto 7.7 che ai candidati che abbiano effettuato la preparazione in scuole o corsi di preparazione è fatto divieto di sostenere gli esami conclusivi presso scuole paritarie che dipendono dallo stesso gestore o da altro avente comunanza di interessi. A tal proposito il gestore (o il rappresentante legale) e il coordinatore rilasceranno apposita dichiarazione (da inserire nel fascicolo personale del candidato);
    la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prot. 1878 del 30 agosto 2013 avente come oggetto le istruzioni e indicazioni operative in materia di supplenze al personale docente, educativo ed ATA per l'anno scolastico 2013/2014 chiarisce che qualora, dopo lo scorrimento di tutte le graduatorie occorra ancora procedere alla copertura di personale docente, i dirigenti scolastici potranno far ricorso a personale, sempre fornito di titolo idoneo, che abbia presentato istanza di messa a disposizione;
    la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prot. 9594 del 2013 prevede che, qualora in un istituto siano presentate più domande di messa a disposizione, i dirigenti scolastici daranno precedenza ai docenti abilitati, secondo il punteggio previsto nelle tabelle di valutazione della seconda fascia di istituto, rispetto ai docenti non abilitati;
    l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo in data 23 gennaio 2014 dirama una circolare avente come oggetto il piano di vigilanza per l'accertamento del possesso dei requisiti prescritti per il mantenimento della parità scolastica presso le istituzioni scolastiche paritarie;
    sia le scuole statali che le scuole paritarie sono tenute a rispettare le note del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in tema di supplenze;
   il numero di studenti della scuola italiana previsti per l'anno scolastico 2014/2015 sono 7.881.632 di cui circa 1.000.000 hanno frequentato la scuola paritaria; di questi studenti il 12 per cento frequenta la scuola secondaria di II grado;
    le scuole paritarie in Italia sono circa il 25 per cento, un quarto del totale, in prevalenza private;
    sono noti numerosissimi casi di violazione delle norme sulle scuole paritarie in quanto a giudizio dei firmatari del presente atto facilmente aggirabili e colpevolmente incomplete;
    nel novembre 2013 il professor Paolo Latella redigeva un articolato dossier in cui pubblicava una serie di testimonianze anonime di docenti di scuole paritarie, pubbliche e private, dislocate in diversi territori della penisola che, al fine di vedersi attribuito il punteggio in graduatoria per il servizio prestato, accettavano stipendi troppo bassi o addirittura non ricevevano alcun compenso;
    all'interno del dossier in questione sono presenti oltre 500 testimonianze anonime di docenti che ammettono di aver svolto la loro professione in scuole paritarie senza essere stipendiati o ricevendo paghe nettamente inferiori;
    già con l'interrogazione a risposta immediata in assemblea n. 3-00858 a prima firma della deputata Chimienti si denunciava quanto emerso dal dossier redatto dal professor Paolo Latella; nonostante il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sia a conoscenza della problematica, non risulta ai firmatari del presente atto, ad oggi, alcun provvedimento che miri ad attenuare tale abuso sui lavoratori attraverso l'ausilio di ispezioni mirate;
    la scuola paritaria può avvalersi in misura non superiore ad un quarto delle prestazioni complessive, di prestazioni volontarie di personale docente;
    nonostante tale agevolazione rispetto alla scuola statale riguardo alla possibilità di avvalersi di prestazioni volontarie di docenza a titolo gratuito, sono numerosissime le segnalazioni agli uffici scolastici regionali che denunciano situazioni contrattuali formalmente corrette ma che nascondono lo sfruttamento del lavoratore a tal punto che molti docenti, al fine di vedersi attribuito il punteggio in graduatoria per il servizio prestato, accettano stipendi al di sotto del minimo tabellare o addirittura pari a zero;
    il meccanismo con cui si attua questo abuso sul lavoratore è semplice: il docente riceve il versamento dei contributi previdenziali previsti per legge, ma accetta di non percepire alcuna retribuzione da parte della scuola paritaria. In questo modo l'istituto in questione risparmia ingenti somme;
    è evidente che i controlli effettuati sulla regolarità dei contributi previdenziali ed assistenziali non sono sufficienti, in quanto non garantiscono il reale rispetto dei contratti di docenza. È, quindi, necessaria una verifica sui bilanci delle scuole riguardo alla coerenza dell'ammontare delle risorse uscite per le retribuzioni dei docenti rispetto ai contratti di docenza effettivamente in essere;
    a quanto premesso si aggiunge l'ormai conosciuto fenomeno dei «diplomifici», vere e proprie aziende senza scrupoli che fanno profitti sfruttando giovani neolaureati per coprire il ruolo di docenza e vendendo, di fatto, titoli di studio;
    come ogni anno si apprende dai media nazionali questo fenomeno è sempre più diffuso: le cronache riportano pagamenti che si aggirano attorno ai sei-otto mila euro per ottenere un diploma e conseguire l'attestazione di frequenza a scuola;
    ciò causa vere e proprie migrazioni di studenti privatisti che, partendo da ogni parte di Italia, si recano verso questi istituti che hanno creato un mercato dei diplomi e del profitto a scapito della qualità della formazione;
    da anni i Governi stanziano finanziamenti alla scuola definita paritaria, ovvero le scuole private che svolgono funzioni pubbliche;
    il 26 agosto 2013 presso la scuola media paritaria «Sacro Cuore» di Avezzano un docente abilitato nella classe A033 ha presentato la disponibilità all'insegnamento nei modi previsti dalla normativa vigente;
    tale docente abilitato non è stato mai chiamato ad insegnare la disciplina A033, nonostante fosse più che probabile che nella scuola media paritaria «Sacro Cuore» l'insegnamento della disciplina A033 fosse stato assegnato ad un docente privo di abilitazione della classe di concorso A033 e non avente il titolo di laurea necessario per l'insegnamento della disciplina;
    in seguito a ciò, il docente che aveva presentato l'istanza di messa a disposizione, ha sollevato la questione presso l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo con il fine di segnalare che un incarico di insegnamento era stato assegnato ad un docente non avente titolo;
    il 13 novembre 2013 l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo invitava il legale rappresentante della scuola paritaria «Sacro Cuore» di Avezzano a sanare le irregolarità;
    l'11 dicembre 2013 la legale rappresentante dell'ente «Apostole del S. Cuore di Gesù», gestore della scuola paritaria «sacro Cuore», risponde alla missiva dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo affermando che il docente con l'incarico di insegnamento di educazione tecnica era stato chiamato a completare la propria cattedra di disegno e storia dell'arte per la quale era abilitato specificando che all'istituzione scolastica non risultavano docenti abilitati disponibili;
    l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo in data 23 gennaio 2014 dirama una circolare con cui si invitava tutte le scuole paritarie a rispettare le norme il possesso dell'abilitazione all'insegnamento da parte dei docenti assunti in servizio;
    nonostante la circolare, il docente privo di abilitazione e del titolo di studio necessario per insegnare la disciplina della classe A033, continua a svolgere il proprio servizio presso la scuola paritaria del Sacro Cuore di Avezzano;
    solo in data 27 giugno 2014 avviene la revoca dell'incarico al docente in servizio per la classe di concorso A033 e la sostituzione dello stesso con personale fornito sia di titolo di studio che della specifica abilitazione all'insegnamento;
    è evidente, quindi, che il docente, seppur sprovvisto di titolo e abilitazione, ha comunque svolto l'attività didattica a discapito, prima di tutto, degli studenti ledendo il legittimo diritto ad avere una buona didattica, ma anche a danno dei docenti abilitati che non hanno potuto assumere l'incarico di docenza;
    nel mese di dicembre 2014, da notizie apparse sulla stampa, si apprende che la Guardia di finanza ha sequestrato i prospetti e le istanze di finanziamento delle scuole paritarie Iri School College a Chieti e a Francavilla e del Nazareno a Pescara amministrate da Carmine De Nicola. Secondo le notizie di stampa da uno stralcio della relazione tecnica riportato nel decreto di sequestro «Negli anni dal 2009 al 2012 le società che gestivano il polo scolastico Iri School College omettevano di dichiarare ricavi attraverso la mancata fatturazione e sottofatturazione dei servizi didattici erogati almeno pari a 3 milioni e 999 mila euro». «Le società che gestivano il polo scolastico Il Nazareno», si legge ancora nel decreto, «omettevano di dichiarare ricavi attraverso mancata fatturazione e sottofatturazione dei servizi didattici erogati almeno per 2 milioni e 215 mila euro. Può affermarsi che le omesse fatturazioni e sottofatturazioni venivano effettuate attraverso la manipolazione delle scritture contabili»;
    la «U.C.I.S. srl — unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» con sede legale a Pescara è sottoposta alla procedura di fallimento;
    l'istanze di fallimento della «U.C.I.S. srl — unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» è stata avviata da una docente che vantava un credito in seguito a sentenze definitiva di cause di lavoro;
    il docente-lavoratore che ha depositato l'istanza di fallimento vanta un credito pari a euro 45.426,70;
    la «U.C.I.S. srl — unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» in udienza davanti al tribunale competente non ha contestato il debito;
    la «U.C.I.S. srl — unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» che in un primo momento chiedeva un termine di tempo per il raggiungimento di un accordo stragiudiziale con il ricorrente rendendosi disponibile al pagamento, in realtà non è comparsa all'udienza, dimostrando di fatto una situazione di evidente impotenza economica della società la quale neppure è in grado di far fronte a debiti non particolarmente elevati;
    da alcuni atti si evince che la «U.C.I.S. srl — unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» non ha beni immobili intestati, tantomeno ha la disponibilità finanziaria per averne in gestione, tant’è che la stessa è stata oggetto di disposizione di apposizione dei sigilli su tutti i beni mobili dell'impresa. Alla luce di ciò, nonostante per il mantenimento della parità scolastica sia necessario avere a disposizione i locali, gli arredi e le attrezzature didattiche, dal portale internet dell'Ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo si può verificare che IL NAZARENO figura nell'elenco delle scuole paritarie della provincia di Pescara a.s. 2014-2015;
    anche altre scuole paritarie della regione Abruzzo sono sottoposte a procedure di fallimento, ed in particolare la «S. Maria Assunta S.r.l.» di cui era procuratore speciale Carmine de Nicola;
    nel mese di agosto 2009 la «U.C.I.S. srl — unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» ha ceduto rami di azienda alla «S. Maria Assunta S.r.l.»;
    l'ufficio scolastico regionale che non revoca la parità, qualora si ravvisi la mancanza dei requisiti previsti dalle norme vigenti, o che ne ritarda la revoca, provoca, di fatto, un danno al sistema scolastico nazionale. Da un lato si contribuisce a prolungare la permanenza nel sistema di istruzione pubblica di istituti scolastici non all'altezza degli standard medi nazionali; dall'altro si provoca una concorrenza scorretta nei confronti di quelle scuole paritarie che rispettano le norme. Ma il danno maggiore ovviamente è per gli studenti frequentanti scuole non idonee a rilasciare i titoli di studio e ad assolvere gli obblighi scolastici;
    secondo tutte le rilevazioni, anche internazionali, la qualità dell'offerta formativa delle scuole private in Italia è di gran lunga inferiore rispetto a quella statale. La stessa OCSE nei vari report annuali rileva come la forbice tra le competenze degli studenti della scuola privata e quella della scuola statale sia più ampia in Italia che in quella degli altri paesi;
    quanto affermato è anche rilevabile dal sito di orientamento scolastico eduscopio.it della Fondazione Agnelli che, attraverso un indice che contempla il successo universitario degli studenti, ha redatto delle classifiche dalle quali si evince che in tutte le province italiane le scuole private sono sempre in fondo alle classifiche in tutte le tipologie di scuole;
    sono certi i tempi e le regole per il riconoscimento della parità, ma non sono altrettanto definite ed efficaci le regole per la revoca della parità scolastica, tant’è che anche nei casi in cui si riscontrano evidenti violazioni delle norme, la parità, spesso, permane;
    è evidente che esiste un vuoto normativo nel sistema, ad avviso dei firmatari del presente atto anche a causa delle inerzie degli uffici scolastici regionali, che permette alle scuole paritarie che non rispettano le regole di escogitare sistemi che, di fatto, sono tesi a mantenere il requisito della parità aggirando le norme vigenti;
    tale situazione potrebbe essere facilmente tamponata con interventi normativi e regolamentari, nonché con una seria e puntuale attività ispettiva da parte degli uffici scolastici regionali soprattutto nei casi in cui esistono segnalazioni;
    purtroppo tale servizio ispettivo dello Stato, in realtà, è ridotto al lumicino, e quindi i controlli riguardano esclusivamente la regolarità formale degli atti amministrativi presentate dalle scuole stesse per ottenere il riconoscimento e il mantenimento della parità, senza una reale verifica con riscontri ispettivi di quanto auto-dichiarato dalle scuole stesse,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per introdurre come requisito necessario per il riconoscimento della parità scolastica, l'obbligo di presentare la documentazione che attesti i pagamenti degli stipendi dei docenti;
   ad adottare iniziative normative che prevedano l'obbligo dell'accertamento periodico della permanenza dei requisiti per il riconoscimento della parità delle scuole non statali;
   a eliminare la possibilità di impiegare personale scolastico gratuitamente nelle scuole;
   a predisporre iniziative volte a garantire, per tutto il personale docente impiegato nelle scuole paritarie, la stipula di regolari contratti di docenza rendendo obbligatoria la tracciabilità delle retribuzioni e di tutti gli oneri connessi;
   ad assumere iniziative per limitare il fenomeno della concentrazione delle iscrizioni per sostenere gli esami di maturità presso alcuni istituti paritari;
   ad assumere iniziative per limitare la possibilità di sostenere l'esame di maturità fuori dalla provincia di residenza del candidato, fatta eccezione per pochi casi, particolari ed eccezionali, legati a specifici indirizzi di studio non presenti nella provincia stessa, e per introdurre il divieto di «sdoppiamento orizzontale» delle classi terminali per ostacolare di fatto il fenomeno della proliferazione di iscrizioni alle classi terminali delle scuole paritarie, con il solo scopo di raggiungere il diploma con percorsi facilitati;
   ad assumere iniziative volte a rivedere le regole per la revoca della parità delle scuole soccombenti in caso di condanna da parte del giudice del lavoro, con sentenza definitiva, per violazione delle norme contrattuali, in modo tale da rendere certa e rapida la revoca della parità;
   ad assumere iniziative per revocare la parità delle scuole condannate dal giudice del lavoro a pagare gli stipendi dei docenti non erogati regolarmente, anche nel caso in cui sia avvenuta la cessione della scuola paritaria ad altro soggetto;
   ad assumere iniziative per rendere efficiente, efficace e tempestivo lo strumento di verifica dei requisiti di parità delle istituzioni scolastiche, così che possa essere revocata la parità alle scuole che non rispettano i requisiti stabiliti dalle norme, ed in particolar modo nei casi in cui è accertata l'inadempienza degli obblighi contrattuali nei confronti dei docenti, in presenza di condanne del giudice del lavoro o in presenza di assunzione di personale sprovvisto di abilitazione nonostante la contemporanea disponibilità di docenti abilitati;
   a istituire un registro pubblico consultabile anche on-line che contenga l'elenco degli enti pubblici e privati a cui è stata revocata la parità negli ultimi 5 anni, comprese le scuole che hanno rinunciato volontariamente alla parità e quelle che hanno cessato l'attività;
   ad assumere iniziative per rendere possibile la revoca della parità ad una scuola sottoposta a procedura di fallimento;
   ad assumere iniziative per verificare periodicamente l'operato degli uffici scolastici regionali in tema di assegnazione e revoca della parità, anche prevedendo un sistema di sanzioni per gli uffici scolastici regionali inadempienti;
   ad assumere iniziative per rendere automatica, in presenza di una o più segnalazioni di cittadini, e con tempi contenuti, la verifica dei requisiti per la parità previsti dalle norme;
   ad adottare le opportune iniziative normative per rendere effettivo, praticabile e trasparente il sistema di attribuzione, controllo, verifica e revoca della parità scolastica.
(7-00592) «Vacca, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, D'Uva, Brescia, Chimienti, Di Benedetto».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    le faggete italiane (Fagus sylvatica L.) rivestono una duplice importanza ecologica, sia dal punto di vista biogeografico che per quanto riguarda il loro livello di naturalità;
    in senso biogeografico, le faggete vengono definite «depresse», «sotto quota» o «residuali» quando vegetano al di sotto dell’optimum del faggio che popola il piano montano, a quote di 700-1300 m. s.l.m. sulle Alpi, 1000-1300 m. s.l.m. sull'Appennino, fino al limite della vegetazione arborea nell'Appennino meridionale;
    queste faggete termofile rappresentano i «relitti» dell'ultima era glaciale durante la quale i boschi di faggio popolavano le fasce vegetazionali delle quote più basse e che a seguito del ritiro dei ghiacci «risalirono» alle altitudini attuali, lasciando queste sporadiche faggete alle quote più basse qualora le condizioni climatiche lo permettevano;
    si annoverano tra le principali faggete depresse italiane quelle laziali di Oriolo e Bassano Romano alla quota 400 m s.l.m. di Allumiere a 600 m s.l.m. del Monte Venere e di Monte Fogliano a 700-800 m s.l.m. quella del Monte Cimino a 950-1050 m s.l.m. quelle del parco di Bracciano-Martignano ad una altitudine di circa 500 m. s.l.m., quelle pugliesi del Gargano, nei pressi della foresta umbra nel comune di Ischitella a 300 metri s.l.m, quelle toscane della valle del Carfalo presso Montaione, con esemplari di faggio al disotto i 200 m quelle calabresi a quote variabili tra i 700-800 m s.l.m., quelle del monte Vulture (Potenza), del monte Serino (Avellino), la Faggeta residuale nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini (Pian Grande di Castelluccio, Umbria) e altre;
    nei citati esempi la sopravvivenza degli alberi di faggio si fonda molto spesso su un delicatissimo equilibrio ecologico realizzato tra il microclima umido e la fertilità dei profondi suoli vulcanici;
    in Italia peninsulare il faggio raggiunge il limite meridionale del suo areale e a seguito dell'attuale fase di inaridimento climatico subisce un forte stress e deperimento essendo una specie esigente di umidità;
    dal punto di vista della naturalità, queste faggete rappresentano delle «foreste vetuste», ossia popolamenti in cui gli alberi dominanti stanno morendo naturalmente a seguito della Conclusione del loro ciclo vitale che a bassa quota è di 100-200 anni;
    la morte di alberi non pregiudica la scomparsa dell'ecosistema, che anzi acquisisce maggior naturalità attraverso la presenza di esemplari di grandi dimensioni moribondi o morti che formano gli «alberi habitat», spesso assenti nei boschi gestiti che generano a loro volta microhabitat rari in grado di consentire la sopravvivenza di numerose specie animali protette, quali gli insetti saproxilici e xilofagi come l'Osmoderma eremita, specie prioritaria, il Lucanus cervus, di direttiva «Habitat» e varie specie di picchio;
    i coleotteri saproxilici necessitano di alberi di grandi dimensioni per la cui tutela ad esempio, nel piano di gestione del SIC/ZPS di Monte Venere e Monte Fogliano (Viterbo) si prevede il non taglio degli alberi di diametro maggiore di 45-50 cm;
    da recenti studi del gruppo di ricerca del professor Giuseppe M. Carpaneto (università Roma Tre) sono stati segnalati proprio per la faggeta del Monte Venere gli insetti Eledonoprius armatus, prima segnalazione per l'Italia centrale, e Odontosphindus grandis, nuova specie per l'Italia, rendendo di fatto queste faggete dei santuari da preservare sia per il loro significato biogeografico, sia per la loro fragilità, che per il ruolo cruciale che hanno nella conservazione della biodiversità;
    per queste ragioni alcune faggete vetuste come quelle laziali di Soriano nel Cimino e di Oriolo Romano fanno parte dal 2012 della rete avviata dall’International Accademy of nature conservation of Vilm (Germania) e sono valutate dall'Unesco nella sezione patrimonio naturale;
    l'importanza ecologica delle faggete «depresse» è sancita dal fatto che questi ecosistemi, oltre ad essere inclusi in aree protette regionali, sono di fatto siti di interesse comunitario (SIC) della «Rete Natura 2000»;
    le ZPS (zone di protezione speciale) sono istituite ai sensi della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici o più semplicemente direttiva «Uccelli», mentre i SIC (siti di interesse comunitario o siti di importanza comunitaria) sono definiti dalla Direttiva 92/43/CE del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, nota anche come direttiva «Habitat» ed entro sei anni dalla loro dichiarazione queste aree devono essere dichiarate dallo stato membro «zona speciale di conservazione» (ZCS);
    in Italia la redazione degli elenchi SIC e ZPS è stata effettuata a cura delle regioni e delle province avvalendosi della consulenza di esperti e di associazioni scientifiche del settore;
    secondo l'articolo 3, comma 1 della direttiva 2009/147/CE che si applica agli uccelli, alle uova, ai nidi e agli habitat, gli Stati membri adottano le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico, una varietà e una superficie sufficienti di habitat;
    le azioni di cui al punto precedente sono volte alla preservazione, al mantenimento e al ripristino dei biotopi e degli habitat, comportando tra l'altro le misure di mantenimento e sistemazione conforme alle esigenze ecologiche degli habitat situati all'interno e all'esterno delle zone di protezione, il ripristino dei biotopi distrutti, la creazione di biotopi e la prevenzione nelle zone di protezione, dell'inquinamento o del deterioramento degli habitat, nonché delle perturbazioni dannose;
    la direttiva 92/43/CE «Habitat» relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, si prefigge di contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli stati membri;
    tra le tipologie di habitat d'interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di aree speciali di conservazione, si annoverano nell'allegato 1 della suddetta direttiva, le foreste subnaturali di specie indigene di impianto più o meno antico (fustaia), comprese le macchie sottostanti con tipico sottobosco, rispondenti ai seguenti criteri: rare o residue, e/o caratterizzate dalla presenza di specie d'interesse comunitario;
    tra le foreste di cui sopra (paragrafo 9 dell'allegato 1) si riportano al punto 91 le «foreste dell'Europa temperata» comprendenti i faggeti del Luzulo-Fagetum (cod. Natura 2000, 9110), i faggeti acidofili atlantici con sottobosco di Ilex e a volte di Taxus (cod. Natura 2000, 9120), i faggeti dell'Asperulo-Fagetum (cod. Natura 2000, 9130), i faggeti subalpini dell'Europa centrale con Acer e Rumex arifolius (n. 9140), i faggeti calcicoli dell'Europa centrale del Cephalanthero-Fagion (cod. Natura 2000, 9150) e al punto 92 le «Foreste mediterranee caducifoglie» annoveranti i faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex (cod. Natura 2000, 9210) e i faggeti degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis (cod. Natura 2000, 9220), quest'ultimi due indicati come habitat prioritari;
    la direttiva «Uccelli» è stata recepita colla legge n. 157 dell'11 febbraio 1992 e col decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n. 357 e successive modificazioni e integrazioni, che integra tale recepimento, mentre la direttiva «Habitat» è stata recepita col decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, modificato ed integrato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 12 marzo 2003;
    il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 184 del 17 ottobre 2007 «criteri minimi uniformi per la definizione di misure, di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)», all'articolo 6, comma 4 «ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti forestali delle montagne mediterranee», stabilisce l'obbligo di integrazione degli strumenti di gestione forestale al fine di garantire il mantenimento di una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, utili alla nidificazione e all'alimentazione dell'avifauna, nonché la regolamentazione dei tagli selvicolturali in connessione alle epoche e alle metodologie degli interventi e al fine di non arrecare disturbo o danno alla loro riproduzione e delle attività forestali in merito all'eventuale rilascio di matricine nei boschi cedui, alla eventuale indicazione di provvigioni massime, di estensione ed epoca degli interventi di taglio selvicolturale, di norme su tagli intercalari;
    diverse regioni italiane non hanno ancora recepito gli aspetti selvicolturali del succitato decreto;
    le aree che compongono la rete Natura 2000 non sono riserve rigidamente protette dove le attività umane sono escluse, bensì garantiscono la protezione della natura tenendo conto anche delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali, consentendo anche ai soggetti privati di esserne proprietari, assicurandone una gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico;
    la rinnovazione delle specie arboree di queste faggete di bassa quota è generalmente scarsa, problematica tra l'altro già descritta anche in boschi di faggio dei climi temperato-caldi di altre parti del mondo;
    dal punto di vista ecologico, la rinnovazione di questi popolamenti relittuali è una problematica molto complessa e non ancora completamente chiarita che sottolinea la necessità di approfonditi studi scientifici che consentano di comprendere appieno il fenomeno;
    l'effettuazione dei tagli per favorire la rinnovazione del faggio in un tale contesto ecologico rappresenta quindi un problema tecnico-scientifico che richiede particolare cautela, in cui la prassi empirica deve essere abilmente coniugata con le conoscenze bioecologiche della specie e della comunità;
    in molte delle faggete con le caratteristiche sopra esposte, la salvaguardia necessita di interventi selvicolturali conservativi, qualora i tagli boschivi non favoriscano la rinnovazione, soprattutto in un periodo in cui il clima è molto più arido rispetto all’optimum del faggio;
    buche o chiarie di dimensioni eccessive non sono compatibili con una pronta rinnovazione di faggio a bassa quota, ma portano all'innesco di successioni secondarie (come si può osservare in condizioni ecologiche analoghe), in cui il faggio rimane escluso anche per decenni;
    oltre a proteggere l'habitat prioritario, questi siti sono tutelati proprio per la presenza di piante morte/moribonde e di attive catene trofiche di detrito associate alla decomposizione del legno, quindi gli eventuali tagli comprometterebbero entrambi, soprattutto nel caso in cui si aprano ampie buche e chiarie, colpendo gli alberi di maggiore dimensione;
    negli ultimi anni, al fine di preservare questi popolamenti, molte regioni hanno vietato i tagli per consentire la conservazione integrale di questi ecosistemi, fondamentali per la tutela del nostro patrimonio naturale, prevedendo tuttavia degli indennizzi per il mancato abbattimento,

impegna il Governo:

   a garantire, per quanto di competenza, la gestione attiva del patrimonio forestale nazionale, in accordo con le regioni e nell'ambito dei piani di sviluppo regionali, secondo i criteri di gestione forestale sostenibile (GFS-Helsinki 1993) già recepiti dalla normativa nazionale e regionale, e promossi dalla strategia nazionale per il settore forestale;
   a promuovere un'azione organica e coerente di gestione attiva su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo gli enti di ricerca pubblici in materia di silvicoltura, ecologia e botanica forestale, al fine di garantire la preservazione e tutela di ecosistemi di pregio e nello specifico delle «faggete depresse» su tutto il territorio nazionale;
   a promuovere ogni azione utile ad avviare, a livello nazionale, la valorizzazione delle risorse naturali e delle aree protette (parchi nazionali e regionali, Natura 2000, e altro) che le tutelano, non solo per una protezione dell'ambiente per sé, ma anche per lanciare una strategia di conservazione attiva della natura che consenta di dare impulso all'economia del territorio attraverso l'ecoturismo e l'economia verde;
   ad attivare, in accordo con le regioni, la ripresa di una politica di indennizzo per il mancato taglio qualora venga scientificamente provato che, per la conservazione dei popolamenti di faggio «sotto quota», sia necessario vietare o limitare le autorizzazioni di taglio delle specie arboree;
   ad assumere iniziative affinché venga data piena attuazione al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 184 del 17 ottobre 2007 che prevede, tra le molteplici azioni, anche il mantenimento di una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, senza tralasciare però gli aspetti riguardanti la difesa dalle fitopatie e dagli incendi;
   a procedere alla valutazione economica degli ecoservizi svolti dalle «faggete depresse», come ad esempio il loro ruolo nel ciclo dell'acqua, nella conservazione della biodiversità, nel turismo, nel paesaggio e nelle attività tradizionali locali, la cui quantificazione è fondamentale per la valutazione dei danni derivanti dalla loro perdita.
(7-00587) «Terzoni, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Parentela, Benedetti, Gallinella, Zolezzi, De Rosa».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    con un atto il Ministro dello sviluppo economico ha emanato il decreto ministeriale del 9 agosto 2013 con il quale ha ridefinito le aree marine in cui è possibile effettuare nuove attività di prospezione e di ricerca di idrocarburi, rimodulando la zona marina «E» con l'apertura di una nuova area nel Mar di Sardegna, ad una distanza dalla costa tale da garantire la preservazione delle aree di tutela ambientale;
    le dichiarate argomentazioni addotte per tale progetto di modifica nascerebbero dalla necessità di approfondire la conoscenza del sottofondo marino in quest'area, caratterizzata da una modesta attività esplorativa precedente e da una potenzialità mineraria, che con intuito da rabdomante, vengono definite di sicuro interesse;
    secondo le argomentazioni fornite dal decreto e dai progetti conseguenti si afferma che prospezioni geofisiche, attraverso la misura di alcune proprietà fisiche delle rocce, consentono di determinare con sufficiente grado di dettaglio i tipi di rocce esistenti e l'andamento delle strutture sepolte;
    in seguito e con notevole tempestività prima una società straniera con ramificazione italiana, la Schlumberger Italiana Spa, ha proposto l'utilizzo di questa metodologia per effettuare l'acquisizione di un rilievo geofisico 2D sull'intera area della zona marina E recentemente aperta all'esplorazione, dando, è scritto nel progetto, il proprio contributo per approfondire le conoscenze del sottofondo marino in quest'area;
    il 26 giugno 2014 era stata presentata istanza di permesso di prospezione in mare al Ministero dello sviluppo economico denominata TGd 2 E.P-.TG per una superficie di 20890 Kmq a nome di un'altra società TGS-NOPEC GEOPHYSICAL COMPANY ASA (100 per cento r.u.);
    tale istanza di permesso è stata pubblicazione nel BUIG il 31 luglio 2014;
    TGS è una società quotata in borsa con sede finanziarie in Asker, in Norvegia ed è quotata alla Borsa di Oslo con il simbolo TGS. La società è guidata dal CEO Robert Hobbs, con sede a Houston;
    tale società risulterebbe impegnata a svolgere tale ricerca per conto terzi considerato la filosofia aziendale di TGS sarebbe quella di «creare dati di alta qualità unici raccolti nel posto giusto al momento giusto»;
    la TGS-NOPEC GEOPHYSICAL COMPANY ASA ha presentato un'istanza di permesso di prospezione in mare proponendo, nel programma lavori, studi che possano portare, sempre secondo la relazione di accompagnamento, alla miglior comprensione della situazione geologica e della potenzialità geomineraria;
    il permesso di prospezione è un titolo minerario non esclusivo, rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico su istanza della parte interessata che presenta il programma di ricerca che intende sviluppare, e riguarda aree di grandi dimensioni dislocate soprattutto in mare. All'interno dell'area del permesso di prospezione è possibile condurre solo ed esclusivamente ricerche geofisiche;
    l'area oggetto dell'istanza di permesso di prospezione è localizzata nel Mar di Sardegna, all'interno della zona marina «E». La zona interessata dall'istanza ricopre l'intera area oggetto di ampliamento, per una superficie di 20922 chilometri quadrati. Il lato più vicino alla costa è quello occidentale, che dista oltre 24 miglia nautiche dalle coste sarde (24.3 da Capo dell'Argentiera) e circa 33 miglia nautiche da Alghero;
    per le prospezioni geofisiche è necessaria quindi una sorgente di energia che emette onde elastiche ed una serie di sensori, detti idrofoni, che ricevono le onde riflesse. La produzione di onde elastiche è ottenuta con diverse tecnologie che fanno uso di sorgenti artificiali differenti:
   a) ad acqua: WATER-GUN, costituito da un cannone ad aria compressa che espelle ad alta velocità un getto d'acqua che per inerzia crea una cavità che implode e genera un segnale acustico;
   b) ad aria compressa: AIR-GUN, costituito da due camere cilindriche chiuse da due pistoni (pistone di innesco e di scoppio) rigidamente connessi ad un cilindro provvisto di orifizio assiale che libera in mare, istantaneamente, aria ad una pressione, compresa tra 150 e 400 atmosfere (ad oggi il sistema maggiormente utilizzato);
   c) a dischi vibranti: MARINE VIBROSEIS, in cui alcuni dischi metallici vibranti immettono energia secondo una forma d'onda prefissata, senza dar luogo all'effetto bolla (sistema complesso non ancora pienamente sviluppato);
   d) elettriche: SPARKER/BOOMER, dove un piatto metallico con avvolgimento in rame viene fatto allontanare da una piastra a seguito di un impulso elettrico; l'acqua che irrompe genera un segnale acustico ad alta frequenza con scarsa penetrazione (adatto per rilievi ad alte definizioni);
    per l'acquisizione geofisica nell'area dell'istanza di permesso di prospezione «d 1 E.P-.SC» è previsto l'utilizzo di tecnologie invasive che risultano essere state già respinte dalla commissione di valutazione di impatto ambientale che ha tenuto conto delle centinaia di ricorsi, osservazioni, proposte in seguito alla campagna nazionale promossa dal Movimento Unidos;
    le attività di ricerca di idrocarburi prevedono diverse fasi, ognuna delle quali legata ad un particolare e rilevante impatto ambientale;
    nella prima fase viene eseguito lo studio geologico regionale, con la rielaborazione e l'interpretazione di dati sismici, in alcuni casi già esistenti, e successiva acquisizione di nuovi dati sismici;
    le metodiche di prospezione geosismica prevedono, nella maggior parte dei casi, l'utilizzo di una sorgente energetica ad aria compressa, meglio conosciuta come air-gun;
    attraverso questa tecnica si genera una violenta onda d'urto che si propaga nel fondale e successivamente viene riflessa, mostrando in questo modo la presenza e la natura di idrocarburi nel sottosuolo. Gli air-gun sono disposti sempre in batteria (si contano diverse decine di sorgenti) e nelle loro vicinanze si possono registrare picchi di pressione dell'ordine di 260db (dB 1μPa 1m);
   è noto che molte specie appartenenti all'ordine cetacea, sono particolarmente sensibili a forti emissioni acustiche, quali quelle generate dai sonar militari e dagli air-gun, le quali vanno sommate al rumore di fondo sottomarino e a, quello generato dal normale traffico marittimo. Zifii (Ziphius cavirostris) e Capodogli (Physeter macrocephalus) sono tra le specie più sensibili e possono subire effetti negativi che vanno da disagio e stress, fino al danno acustico vero e proprio, con perdita di sensibilità uditiva che può manifestarsi come temporanea o permanente;
    questo tipo di emissione acustica può far impaurire e stordire gli animali sino ad indurli a un'emersione rapida ed improvvisa senza adeguata decompressione, con conseguente morte per la «gas and fat embolic syndrome», ossia morte per embolia;
    l'esposizione a rumori molto forti inoltre può produrre anche danni fisiologici (emorragie) ad altri apparati, oltre a quelli uditivi, fino a provocare effetti letali;
    una volta completata la prima fase, nel caso si evidenzi un'area di interesse minerario, sarà eseguito in seconda fase un pozzo esplorativo che può giungere a profondità di diverse migliaia di metri;
    nel malaugurato caso si decidesse di proseguire l'attività estrattiva, in ultima fase verrà costruita una piattaforma permanente di estrazione, che implicherà attività di stoccaggio e trasporto di idrocarburi con strutture a terra e ulteriore traffico navale annessi;
    molti animali marini, come tutti i cetacei, emergono per respirare e possono rimanere in superficie per periodi abbastanza lunghi. Questo comportamento, unitamente all'enorme mole che rallenta i tempi di reazione e i movimenti, è tra le cause che concorrono a rendere queste specie più soggette alle collisioni;
    le aree oggetto delle istanze di ricerca di idrocarburi sono zone di importanza strategica per numerose attività che caratterizzano la complessa e straordinaria vita dei cetacei (alimentazione, allattamento, riproduzione, migrazione, socializzazione, riposo e altro), la quale viene disturbata dalle attività antropogeniche previste. Lo stress è un pericoloso fattore che causa gravi danni alla fisiologia dei cetacei, causandone anche la morte. Nella maggior parte degli episodi di spiaggiamento di cetacei, i fattori di inquinamento acustico e ambientale, rappresentano costanti concause responsabili della morte di questi mammiferi marini;
    l'area prescelta risulta essere coincidente di fatto con il Santuario per i mammiferi marini Pelagos, nato da un accordo internazionale tra Italia, Francia e Principato di Monaco siglato a Roma nel 1999. Si tratta della prima area protetta al mondo dedicata alla protezione dei cetacei. Questo tratto di mare ricco di vita si estende per circa 90.000 kmq e in Italia interessa 3 regioni (Liguria, Toscana e Sardegna), 5 parchi nazionali (Cinque Terre, Arcipelago toscano, Arcipelago di La Maddalena e Asinara) e numerosi parchi regionali. L'intera area è costituita da fondali profondi e da correnti ascendenti che facilitano la formazione di grandi banchi di plancton, la cui concentrazione è massima da gennaio a luglio garantendo condizioni ideali per l'alimentazione dei cetacei. Balenottere comuni, stenelle, capodogli, globicefali, grampi, tursiopi, zifi, delfini comuni e, con presenze più occasionali, di balenottere minori, steni, orche e pseudorche, costituiscono un ecosistema pelagico di grande ricchezza;
    il tentativo di minimizzare e mitigare un impatto cumulativo risulta del tutto impraticabile. Infatti, anche a distanza di tempo e di spazio, l'effetto inevitabilmente si propaga in tutto il bacino e permane proprio per le caratteristiche stesse del mare;
    le conseguenze che colpiscono un'area marina come quella individuata dal progetto richiamato si estendono automaticamente nelle aree adiacenti o in altre aree più distanti, così è il significato e il valore delle caratteristiche dell'ecosistema marino nel suo complesso e della sua biodiversità;
    nella logica e nel rispetto di un principio precauzionale, dovrebbero essere vietate tutte quelle attività che non prendono in considerazione tutte le conseguenze e gli impatti a breve e a lungo termine, di natura diretta o indiretta, sull'ecosistema marino e in particolare sui cetacei, gruppo di specie a rischio, protette da una regolamentazione volta alla loro salvaguardia e conservazione a livello nazionale ed internazionale;
    risulta non opportuno il decreto del Ministro dello sviluppo economico che individua le nuove delimitazioni dell'area «E» per illogicità, irragionevolezza e palese assenza di presupposti con il quale si individua il mare di Sardegna come area marina per queste scellerate ricerche petrolifere;
    si ritiene anche in sede di autotutela, visto il vizio procedurale e la tempestiva presentazione del progetto avanzato dalla società texana, negare qualsiasi permesso, negando il parere positivo alla valutazione ambientale, proprio per la consistente presenza e attività di cetacei nell'area sottoposta al progetto di ricerca di idrocarburi, nelle aree adiacenti e nell'intero bacino Mediterraneo (si ricorda che gran parte dei cetacei sono mammiferi pelagici, ossia vivono nuotando nei mari in base alla presenza di prede, legata alle stagioni e alle correnti);
    si ritiene che il progetto debba essere respinto anche per l'assoluta carenza e assenza di documentazione e di studi sulle popolazioni di cetacei nei tratti di mare oggetto della richiesta di ricerche petrolifere sia il presupposto per respingere la richiesta di valutazione di impatto ambientale;
    si ritiene necessario richiedere di uniformare la condotta su questioni così delicate per l'ambiente ad un principio precauzionale per la massima tutela e rispetto dell’habitat e dei cetacei potenzialmente presenti;
    si ritiene per l'evidente impatto ambientale del progetto sia per quanto riguarda l'inquinamento di varia natura (chimico, atmosferico, acustico, operativo e altro), che per il diretto o indiretto sull'area sottoposta al progetto di ricerca di idrocarburi, sulle aree adiacenti e sull'intero bacino Mediterraneo a breve e lungo termine il progetto stesso non debba essere respinto;
    alla luce della mancanza di tutti i presupposti e condizioni necessarie e indispensabili alla tutela e alla conservazione del delicato ecosistema e della biodiversità connessa, primi tra tutti i cetacei di revocare il decreto di individuazione dell'area marina suddetta si osserva che tale progetto avrebbe conseguenze devastanti per l'area interessata e non solo;
    risultano del tutto inesplorate le cause dirette e indirette, tra attività di prospezione e lo spiaggiamento di 7 esemplari di capodoglio (Physeter macrocephalus) nel dicembre 2009 nelle coste a nord del Gargano (tra i comuni di Cagnano Varano e Ischitella e lo spiaggiamento di massa di esemplari di Zifio (Zifius cavirostris) sulle coste dell'Isola di Corfù e sul litorale Calabrese, risalente al novembre/dicembre 2011, avvenuto in concomitanza ad attività di prospezione geosismica mediante sorgente energetica di tipo air-gun da parte di tre navi (Princess, Thor Guardian e Thor Server) provenienti da Malta e operanti a largo delle coste tra Monopoli e Brindisi incaricate dalla Società inglese Nothern Petroleum, e ad esercitazioni militari con l'utilizzo di sonar;
    si ritiene necessario richiedere il recepimento delle indicazioni della Comunità scientifica internazionale, durante la riunione annuale dell’American association for the advancement of science (AAAS), a favore di un'etica che rispetti i diritti dei cetacei come persone non umane dotate di un'intelligenza superiore e della coscienza di sé stessi,

impegna il Governo:

   a dare seguito al preciso pronunciamento della commissione di valutazione di impatto ambientale che nega le autorizzazioni proprio per l'inadeguatezza e la gravità dell'area prescelta;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per evitare che possano essere cagionati danni alla popolazione di cetacei, che appare gravemente minacciata dalle compagnie di prospezione geosismiche, perforazione del fondale e coltivazione nei mari della Sardegna e circostanti.
(7-00591) «Pili».


   La X Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 10, comma 11 della legge n. 183 del 2011 ha normato dal 1o gennaio 2012 l'esercizio delle attività professionali in forma societaria, confermando la chiara volontà del legislatore di superare un anacronistico divieto risalente ai tempi oscuri del fascismo ed alle logiche delle leggi razziali;
    peraltro, il divieto di esercizio di attività professionali in forma societaria posto dall'articolo 2 della legge n. 1815 del 1939 era già stato abrogato, con immediata efficacia, dall'articolo 24 della legge n. 266 del 1971 (cosiddetta legge Bersani);
    a seguito della predetta abrogazione ed in attesa dell'emanazione del previsto decreto attuativo le società di ingegneria, alla stregua della propria disciplina speciale, che ammette una operatività in forma societaria non più limitata ai pubblici appalti a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 415 del 1998 (la cosiddetta Merloni-ter, che a tale riguardo ha – significativamente – soppresso l'inciso «ai fini della presente legge»), hanno stipulato centinaia di contratti anche con committenti privati, al punto che – stando ai dati dello studio condotto dal Centro Europa Ricerche sugli associati OICE (l'associazione aderente a Confindustria che riunisce le società di ingegneria italiane) – più del 40 per cento del fatturato 2013 di tali società consegue a contratti stipulati con committenti privati;
    la piena conformità della stipula di contratti fra società di ingegneria e committenti privati alla normativa vigente fin dal 1997 è riconosciuta dalla giurisprudenza prevalente della Corte di cassazione (Cass., 1o ottobre 1999, n. 10872; Cass., 10 luglio 2003, n. 10860; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24912) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato, 30 agosto 2002, n. 4383; Cons. Stato, 4 settembre 2002, n. 4433), anche in sezione consultiva per gli atti normativi (Cons. Stato, 9 marzo 1998, n. 35);
    tuttavia, alcune recenti pronunce (in particolare, tribunale di Torino, sentenza del 17 dicembre 2013, che ha dichiarato la nullità del contratto fra un committente privato e una società di ingegneria sottoscritto nel 2006) rischiano di ingenerare una pur non giustificata incertezza giuridica che avrebbe ripercussioni negative anche in termini di crescita e di sviluppo per quel che concerne gli investimenti nel settore privato;
    i possibili problemi si potrebbero a loro volta riverberare sul fronte dell'occupazione costringendo le società oggetto di possibili contenziosi ad intervenire sul fronte occupazionale;
    inoltre, sono più di 6.000 le società di ingegneria iscritte presso Inarcassa alla contribuzione oggettiva (4 per cento del totale del corrispettivo di ogni fattura viene versato alla Cassa previdenziale) e quindi l'eventuale incertezza che potrebbe determinarsi a valle dell'orientamento del giudice torinese avrebbe conseguenze negative anche sui bilanci di Inarcassa in ordine a possibili azioni di ripetizione di indebito,

impegna il Governo

ad assumere con urgenza ogni utile iniziativa normativa a carattere di interpretazione autentica, tesa a chiarire espressamente che l'articolo 24, comma 1, della legge 7 agosto 1997, n. 266, (norme in materia di attività di assistenza e consulenza) deve essere interpretato nel senso della immediata e definitiva abrogazione del divieto di cui all'articolo 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815, a decorrere dall'entrata in vigore della predetta legge n. 266, anche in assenza del successivo decreto ministeriale previsto dal comma 2 dell'articolo 24, con espressa salvezza dei rapporti contrattuali intercorsi dal 1997 ad oggi.
(7-00585) «Bargero, Bonomo, Gadda, Dallai, Carrescia, Montroni, Cani, Bergonzi, Becattini, Coppola, Cova, Berlinghieri».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    secondo il rapporto annuale Inps del 2013 «Le misure adottate dai governi e dalla Banca Centrale Europea e dalle Banche Centrali dei Paesi comunitari, a fronte della profonda recessione registrata negli ultimi anni, non sono riuscite a contrastare il fenomeno della disoccupazione; infatti in ambito europeo e soprattutto in Italia, si registra un aumento del tasso di disoccupazione (in EU27 dal 10,4 per cento nel 2012 al 10,8 per cento nel 2013; in Italia dal 10,7 per cento nel 2012 al 12,2 per cento nel 2013)» (rapporto INPS 2013 pagina 236);
    in particolare, i lavoratori dipendenti dalle imprese hanno avuto nel 2013 un decremento medio annuo di circa 358 mila posizioni lavorative rispetto al 2012 (- 2,7 per cento);
    per i lavoratori autonomi artigiani titolari e collaboratori familiari, nel 2013 si osserva una flessione media di circa 39 mila posizioni lavorative rispetto all'anno precedente (- 2,1 per cento);
    tuttavia, dal 2010 al 2013, l'andamento dei commercianti e collaboratori familiari, registra un aumento medio annuo in valore assoluto di posizioni lavorative pari a 26 mila (+ 1,2 per cento) sia tra il 2011 e il 2010 sia tra il 2012 e il 2011, e ulteriori 22 mila (+ 1 per cento) tra il 2013 e il 2012;
    i collaboratori e i professionisti, esclusivi e non esclusivi iscritti alla gestione separata, infine, evidenziano dal 2010 al 2013, variazioni di segno positivo nel 2011 (+ 35 mila unità, pari a + 3,6 per cento) e nel 2012 (+ 4 mila unità, pari a + 0,4 per cento), e di segno negativo nel 2013 (-74 mila unità nel 2013, pari a - 7,3 per cento);
    i professionisti della gestione separata presso l'Inps con legge n. 335 del 1995 (cosiddette partite IVA) nel 2011 rispetto al 2010 aumentano di circa 11 mila unità (+ 5,8 per cento), nel 2012 l'incremento è di circa 5 mila unità (+ 4,1 per cento), mentre nel 2013 l'incremento è di circa 18 mila posizioni (+ 8,6 per cento);
    secondo le rilevazioni Istat, che fanno riferimento agli occupati indipendenti, gli italiani lavoratori autonomi sono circa 5.537 mila, il dato è relativo all'ultimo trimestre del 2013 sebbene in leggero calo durante tutto lo scorso anno. Altro dato da prendere in considerazione è quello delle partite iva: le aperture sono diminuite del 9 per cento a gennaio 2014 (fonte: Ministero dell'economia) ma paradossalmente, alcuni mesi dopo, nel corso del novembre 2014 sono state aperte 38.351 nuove partite iva, in aumento del 15,5 per cento rispetto al novembre precedente;
    è evidente che, nonostante il lavoro dipendente rappresenti (ancora) una parte fondamentale nel sistema produttivo del Paese, il lavoro autonomo in senso ampio è diventato oggi una componente sempre più presente e importante nell'attuale universo occupazionale soprattutto del Paese Italia: artigiani, commercianti, lavoratori agricoli (coltivatori diretti, mezzadri, coloni e imprenditori agricoli professionali), titolari di rapporti collaborazione coordinata e continuativa, compresi quelli svolti nella modalità del lavoro a progetto ed in modo occasionale (cosiddetti mini co.co.co.), titolari di rapporto di lavoro occasionale di tipo accessorio, associati in partecipazione che apportano lavoro, medici con contratto di formazione specialistica, lavoratori autonomi occasionali, incaricati della vendita a domicilio, spedizionieri doganali, beneficiari di borse di studio per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca, percettori di assegni di ricerca, liberi professionisti privi di cassa di previdenza e liberi professionisti con cassa previdenziale;
    oggi il lavoro autonomo in genere sconta un ritardo in tema di disciplina e tutele previdenziali e assistenziali rispetto al lavoro subordinato e ciò a dispetto del numero e del peso sempre più importante che rivestono tali lavoratori;
    l'esigenza di una tutela previdenziale per i lavoratori autonomi, infatti, si è cominciata ad avvertire con molto ritardo rispetto ai lavoratori subordinati, tant’è che, ad eccezione di alcune casse professionali di previdenza per ristrette categorie di liberi professionisti (ad esempio avvocati, medici, notai), si è dovuto attendere sino al 1957 perché si avesse una prima forma di assicurazione sociale (invalidità, vecchiaia e superstiti) in favore della categoria dei lavoratori autonomi con la legge n. 1047 del 1957 per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, cui hanno fatto seguito quelle per gli artigiani (legge n. 463 del 1959) e per i commercianti (legge n. 613 del 1996);
    solamente nel 1995 con la legge n. 335 (articolo 2, comma 26) si è creata una apposita gestione separata che estende l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, ad una serie di lavoratori autonomi che non svolgono alcuna nessuna delle attività rientranti nelle tre gestioni speciali Inps (coltivatori diretti, artigiani e commercianti), né una libera professione per la quale devono essere assicurati ad una specifica cassa previdenziale di categoria;
    proprio tra questi, particolarmente vulnerabile e delicato è lo status lavorativo, previdenziale, assistenziale e fiscale dei soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo in libera professione tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata Inps di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 8 agosto del 1995 ma non iscritti in alcun albo professionale e privi di apposita cassa previdenziale;
    si tratta delle cosiddette partite iva e dei titolari di collaborazione coordinata, comprese le prestazioni svolte nella modalità del lavoro a progetto ed in modo occasionale (cosiddette mini co.co.co.): sono ricercatori, formatori, informatici, designer, grafici, traduttori, interpreti, esperti di marketing, di organizzazione, operatori audiovisivi, illustratori e altri professionisti cosiddetti freelance non rappresentati da ordini professionali o rappresentati da ordini professionali senza cassa. In Italia si è in presenza di oltre 3.369.000 lavoratori autonomi, in gran parte professionisti, con attività individuale senza impresa e senza dipendenti né collaboratori;
    attualmente, per effetto dell'articolo 1, comma 79, della legge n. 247 del 2007 e dell'articolo 1, comma 744, della legge n. 147 del 2013, i lavoratori iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, scontano una aliquota contributiva assai penalizzante nella misura del 27 per cento per l'anno 2014, che «sale» al 30 per cento per l'anno 2015, al 31 per cento per l'anno 2016, al 32 per cento per l'anno 2017 e al 33 per cento a decorrere dall'anno 2018;
    a questa aliquota occorre aggiungere l'ulteriore aliquota contributiva pari allo 0,72 per cento di cui all'articolo 59, comma 16, della legge n. 449 del 1997 e dunque l'aliquota salirà nel 2018 nella misura del 33,72 per cento: un peso difficilmente sopportabile che non ha uguali neanche nel lavoro dipendente;
    tali aliquote contributive gravano esclusivamente sul lavoratore freelance titolare di partita iva con il rischio di comprometterne in maniera seria la sostenibilità da parte del lavoratore proprio nei periodi di crisi che si stanno affrontando;
    la gestione separata Inps è in attivo e paradossalmente si verifica il fenomeno per cui i lavoratori più svantaggiati – che avranno una pensione più bassa – finiscono per finanziare le pensioni in essere di coloro che godono di trattamenti pensionistici acquisiti con la precedente normativa;
    altrettanto penalizzante e carente appare la legislazione sul lavoro autonomo tutto (in particolare per i lavoratori iscritti alla gestione separata Inps) per quanto riguarda le tutele riguardanti la malattia, la maternità e l'adozione di politiche di sostegno al reddito, la famiglia e la conciliazione tra vita familiare e lavoro: un autonomo (sia esso iscritto alla gestione separata, ad un ordine professionale, ma anche alla gestione commercianti o artigiana) per avere le relative indennità per eventi quali malattia (anche grave come tumore), degenza ospedaliera e maternità, a differenza dei lavoratori subordinati, deve fare i conti non solo con i minimali di contribuzione (previsti per gli artigiani e i commercianti), ma anche con i mesi di contribuzione e con la natura del reddito prodotto: l'indennità di malattia, ad esempio, nell'ambito di un rapporto subordinato, è corrisposta per un massimo di 180 giorni contro i 61 previsti per il lavoratore autonomo della gestione separata Inps; l'assegno per il nucleo familiare nell'ambito del lavoro autonomo è ridotto in base ai mesi di contribuzione ed al tipo di reddito prodotto; l'indennità di maternità per una lavoratrice autonoma è corrisposta solo in caso di effettiva sospensione dell'attività lavorativa e nessun congedo è previsto per il padre lavoratore autonomo;
    addirittura il recente (e penalizzante) intervento normativo in materia fiscale ad opera della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) che con l'articolo 1, commi da 54 a 89, ha introdotto il nuovo regime fiscale «agevolato» per autonomi, destinato agli esercenti attività d'impresa, di arti e professioni in forma individuale abrogando, a decorrere dal 2015, il previgente regime di vantaggio per l'imprenditoria giovanile ed il regime agevolato per gli «ex minimi», ha portato l'imposta sostitutiva dal 5 per cento al 15 per cento sui redditi prodotti dagli autonomi;
    eppure proprio in seguito all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3/1245 del 14 gennaio 2015 della deputata Tiziana Ciprini, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti dichiarò che: «il Governo, nel prendere atto che interventi previsti dalla legge di stabilità, così come appena illustrati, possono incidere negativamente su alcune categorie di lavoratori autonomi, in particolare i giovani professionisti freelance, nei cui confronti invece si sarebbe voluto intervenire favorevolmente, ha deciso, come è già stato pubblicamente dichiarato dal Presidente del Consiglio, di intervenire rapidamente attraverso l'adozione di un testo correttivo. In questo ambito, per quanto concerne l'impatto fiscale, sarà il competente Ministero dell'economia e delle finanze a predisporre le opportune modifiche.
  Per quanto riguarda gli aspetti previdenziali, di tutela, di stretta competenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, confermo il mio impegno ad adottare i necessari interventi e posso anticipare la mia intenzione d'incontrare, nei prossimi giorni, le associazioni che rappresentano le figure professionali interessate da questo provvedimento, per analizzare la situazione e raccoglierne le opinioni e le indicazioni che ci consentano di superare i profili critici che sono emersi. Quindi siamo intenzionati ad intervenire immediatamente a modificare la situazione che si è determinata in un senso diverso da quello che il Governo avrebbe voluto»;
    a tutt'oggi alla risposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ancora non è seguito da parte del Governo un impegno concreto e positivo come auspicato;
    sono evidenti altresì l'onerosità e la complicazione delle regole per i lavoratori autonomi, oltre al variegato emergere di problematiche connesse ai rapporti con le pubbliche amministrazioni nonché al regime delle tutele previdenziali e assistenziali;
    a parere dei firmatari del presente atto la normativa contributiva, previdenziale, assistenziale e infine fiscale attualmente vigente è dunque nel complesso fortemente penalizzante per i lavoratori autonomi ed esercenti arti e professioni in forma individuale (cosiddette partite iva) che intendono mettersi in proprio e rischia di produrre effetti ulteriormente recessivi e/o depressivi sull'economia proprio nel momento in cui forte è la disoccupazione (soprattutto tra i giovani e le donne lavoratrici) e il calo della domanda interna;
    occorre adottare adeguate politiche di protezione sociale a favore di tali lavoratori così come sollecitato anche dalla risoluzione del Parlamento europeo del 14 gennaio 2014 sulla protezione sociale per tutti, compresi i lavoratori autonomi;
    si rende necessario un intervento deciso del Governo volto a correggere le storture e che dia – in una ottica di politica di favore complessiva – «fiato» e spazio al lavoro e alle competenze dei giovani professionisti, commercianti e artigiani anche nella prospettiva di ridare slancio alla crescita dell'economia e di un più elevato riconoscimento e livello della qualità del lavoro dei professionisti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per bloccare e/o sospendere l'aumento delle aliquote contributive previste dell'articolo 1, comma 79, della legge n. 247 del 2007 a carico dei lavoratori autonomi titolari di partita iva iscritti alla gestione separata Inps di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto n. 335 del 1995, reperendo le necessarie risorse dal fondo per interventi strutturali di politica economica;
   ad assumere iniziative per prevedere la progressiva equiparazione dell'entità della contribuzione prevista per i lavoratori iscritti alla gestione separata Inps alla misura della contribuzione fissata per gli altri lavoratori autonomi;
   ad adottare le opportune iniziative normative volte a prevedere meccanismi di tutela in caso di malattia del lavoratore autonomo iscritto alla gestione separata Inps che preveda: a) la sospensione degli obblighi contributivi e fiscali e l'esclusione dagli studi di settore a carico dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps e anche alle gestioni speciali artigiani e commercianti nei casi di patologia grave o le cui cure rendano impossibile la continuazione dell'attività e il conseguente versamento e rateizzazione a seguito della ripresa dell'attività lavorativa dopo un congruo periodo di tempo successivo alla fine della sospensione; b) l'ampliamento del periodo di tutela in caso di malattia; c) il riconoscimento del diritto all'indennità di malattia che copra l'intero periodo di inattività a chi abbia versato all'Inps almeno tre annualità nel corso della vita lavorativa; d) l'equiparazione della misura dell'indennità di malattia alla misura dell'indennità di degenza ospedaliera nei casi di malattie che prevedono terapie invasive (quali chemioterapia, radioterapia e altro); e) il riconoscimento della copertura pensionistica figurativa per tutto il periodo della malattia;
   ad adottare le opportune iniziative normative volte a garantire e sostenere la maternità delle lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata Inps ed in particolare ad equiparare il riconoscimento dell'indennità di maternità e della facoltà di astensione dal lavoro per le lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata Inps di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, alle condizioni, alla misura dell'indennità di maternità e alle modalità previste per le altre lavoratrici autonome e per le libere professioniste dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151;
   ad adottare e sostenere ogni iniziativa normativa volta a riconoscere i congedi parentali anche ai padri lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps per favorire la piena condivisione del ruolo genitoriale;
   a prevedere le opportune iniziative normative volte ad introdurre specifici e calibrati ammortizzatori sociali e misure di sostegno al reddito a favore dei lavoratori e delle lavoratrici autonomi iscritti alla gestione separata Inps;
   a farsi promotore e a prevedere specifiche politiche e misure volte a favorire l'utilizzo delle risorse e degli strumenti previsti dal fondo sociale europeo per garantire l'accesso alla formazione e aggiornamento professionale anche ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps;
   ad adottare le opportune iniziative normative al fine di agevolare i rapporti dei lavoratori autonomi con le pubbliche amministrazioni, migliorarne i regimi previdenziali e assistenziali e più genericamente garantirne tutela anche con riferimento alla necessità di eliminare le criticità esposte in premessa e frutto anche del regime fiscale introdotto dalla recente legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità del 2015).
(7-00590) «Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la Comunicazione della Commissione UE «Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese», COM(2014) 472 del 15 luglio 2014, incoraggia gli Stati membri a combattere tali pratiche in maniera «opportuna e proporzionata», tenendo conto delle circostanze nazionali e delle migliori pratiche;
    significativa è l'osservazione secondo cui, alcuni Stati membri che avevano inizialmente affrontato le pratiche commerciali sleali con iniziative volontarie, hanno successivamente posto in essere strumenti normativi con misure più severe contro le pratiche commerciali sleali;
    il Regolamento (UE) 14 marzo 2012, n. 261, sui rapporti contrattuali nel settore del latte, ha rappresentato con ampie motivazioni l'esigenza di una specifica tutela del settore lattiero-caseario, evidenziando l'aumento sensibile dei costi dei mangimi e di altri fattori di produzione e la circostanza che la diminuzione dei prezzi alla produzione non ha comportato la diminuzione dei prezzi ai consumatori;
    le istituzioni europee hanno evidenziato che per la maggior parte dei prodotti lattiero-caseari è aumentato per i settori a valle il margine lordo e la domanda non è riuscita ad adeguarsi alla diminuzione dei prezzi dei prodotti di base;
    nello stesso senso il «Gruppo di esperti di alto livello sul latte – GAL», istituito dalla Commissione Unione europea, ha rilevato che lo squilibrio del potere contrattuale induce pratiche commerciali sleali con un problema di trasmissione del prezzo lungo la filiera «in particolare per quanto riguarda i prezzi franco-azienda, il cui livello non evolve generalmente in linea con l'aumento dei costi di produzione»;
    nella riforma della PAC, il Regolamento (CE) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, individua quale strumento per ridurre gli squilibri del potere contrattuale tra gli agricoltori e gli altri operatori della filiera nel settore lattiero-caseario, la possibilità per gli Stati membri di imporre l'obbligo del contratto scritto nelle consegne di latte crudo;
    il citato regolamento CE n. 1308 prevede, altresì, un ruolo qualificato delle organizzazioni di produttori per le contrattazioni nel settore lattiero caseario le quali perseguono specifiche finalità tra le quali rientrano quelle di «ottimizzare i costi di produzione» e «stabilizzare i prezzi alla produzione»;
    l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, recante la disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e alimentari, impone la forma scritta per i relativi, contratti, stabilendo che essi «devono essere informati a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni, con riferimento ai beni forniti»;
    il decreto interministeriale n. 199 del 2012, di attuazione dell'articolo 62, nel ribadire il divieto di qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, indica alcune fattispecie «tipiche» di pratiche abusive, che rientrano di diritto nella definizione di «condotta commerciale sleale»;
    particolarmente rilevante risulta la previsione del predetto decreto che all'articolo 4, lettera c), vieta le pratiche che determinino, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione medi dei prodotti oggetto delle relazioni commerciali e delle cessioni da parte degli imprenditori agricoli, previsione su cui il parere del Consiglio di Stato del 27 settembre 2012 ha condiviso il riferimento al concetto di «costi di produzione medi», rilevato da fonti oggettive e imparziali;
    la situazione di debolezza contrattuale evidenziata a livello europeo e nazionale per le imprese agricole in generale si riscontra in forma accentuata nel settore lattiero-caseario in quanto il latte viene prodotto giornalmente, non può essere stoccato e va ritirato e destinato immediatamente alla lavorazione e trasformazione. Di conseguenza gli allevatori non sono nella condizione di interrompere le consegne alle imprese di trasformazione e si trovano praticamente costretti ad accettare le condizioni contrattuali, ed in particolare i prezzi, unilateralmente determinati, molto al di sotto dei loro costi di produzione;
    il settore lattiero-caseario, in un contesto caratterizzato da una situazione finanziaria grave e diffusa, è ulteriormente in crisi per le anomalie del mercato che fanno registrare una diminuzione del prezzo latte alla stalla del 19 per cento mentre il prezzo del latte fresco di alta qualità al consumo è aumentato nell'ultimo trimestre dell'1,2 per cento;
    la mancanza di informazioni ai consumatori sull'origine del prodotto consente di importare latte dall'estero e trasformarlo in prodotto «italiano», rendendo indistinto anche il 40 per cento della produzione nazionale; in particolare, a fronte di 1.550.000 di tonnellate di latte UHT «prodotto» in Italia, cui si aggiungono 500.000 tonnellate importate già confezionate, solo 500.000 tonnellate provengono da allevamenti italiani;
    la situazione è altrettanto grave anche per i formaggi, poiché vengono importati prodotti semi-lavorati, quali cagliate, caseine e caseinati, utilizzati per produrre «formaggi senza latte» ma con mere sostanze derivate, traendo in inganno i consumatori;
    ulteriore fenomeno di crisi deriva dalla concentrazione nelle multinazionali delle attività di lavorazione e trasformazione del latte, con sostituzione del latte locale, proveniente dai territori prossimi al consumo, con prodotto importato, non fresco, fenomeno che accentua la tendenza all'abbandono degli allevamenti zootecnici nelle zone maggiormente vocate del nostro Paese, con il conseguente venir meno del presidio idrogeologico e ambientale che gli agricoltori forniscono;
    il Piano di sviluppo rurale nazionale presentato dall'Italia in applicazione della PAC prevede una misura destinata a tutelare e valorizzare la biodiversità nel settore zootecnico, per consentire il miglioramento del sistema di gestione dei controlli funzionali e del miglioramento genetico;
    le difficoltà nelle relazioni contrattuali e nella trasmissione del prezzo ed i conseguenti squilibri nella filiera è un fenomeno ricorrente e nel giugno 2013 è stato segnalato, con numerosi elementi di fatto e di diritto, dalla federazione regionale Coldiretti Lombardia all'Autorità garante della concorrenza e del mercato; in particolare, è stata segnalata la situazione in cui versavano gli allevatori cui veniva ritirato il latte imponendo sostanzialmente prezzi largamente al di sotto dei costi di produzione stante l'impossibilità di raggiungere accordi contrattuali caratterizzati dai princìpi di equilibrio contrattuale di cui all'articolo 62;
    l'Autorità ha esaminato la segnalazione nell'adunanza del 4 dicembre 2014 senza peraltro ravvisare nessuno «squilibrio negoziale significativo tra le parti contraenti – presupposto necessario per l'applicazione dell'articolo 62 – posto che al tavolo della contrattazione del prezzo del latte siedono, dal lato dei venditori, tutti i produttori della regione interessati, rappresentati dalle proprie associazioni e organizzazioni di categoria»;
    l'Autorità è incaricata, ai sensi dell'articolo 62, comma 8, della vigilanza sull'applicazione delle disposizioni, all'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni, i cui introiti sono destinati a finanziare, tra l'altro, iniziative di informazione in materia alimentare a vantaggio dei consumatori,

impegna il Governo:

   ad assicurare per quanto di competenza la effettiva applicazione dell'articolo 62 relativo ai contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari;
   a predisporre le norme di attuazione delle regole contrattuali comunitarie di cui al Regolamento (CE) n. 1308/2013 prestando particolare attenzione ai criteri, ivi previsti, per calcolare il prezzo delle consegne del latte sulla base degli indicatori di mercato, del volume consegnato, della qualità e della composizione del latte crudo;
   a prevedere la realizzazione da parte di ISMEA di analisi specifiche relative ai costi di produzione delle imprese di allevamento ed alla ripartizione del valore aggiunto nella filiera del settore lattiero caseario;
   ad adottare, previa notifica alla Commissione europea, i decreti relativi all'indicazione obbligatoria nelle etichette del latte sterilizzato a lunga conservazione, del latte UHT, del latte pastorizzato microfiltrato o a elevata temperatura nonché dei formaggi e degli altri prodotti a base di latte, del luogo di origine del latte oggetto di trattamento;
   a sostenere in sede comunitaria la posizione secondo la quale l'obbligo dell'indicazione dell'origine sui prodotti in questione rappresenta una informazione necessaria ai fini della tutela dei consumatori e della prevenzione e della repressione delle frodi alimentari, superando il parere negativo di cui alla decisione della Commissione Unione europea del 22 aprile 2010 espresso su di un precedente decreto, parere basato sulle disposizioni della Direttiva 2000/13/CE, risalenti per la maggior parte al 1978, e che sono state abrogate dal Regolamento (CE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori;
   a sostenere il sistema allevatoriale attraverso l'immediata attuazione dell'apposita misura prevista dal Piano nazionale di sviluppo rurale e la sua implementazione con le altre misure dei piani di sviluppo rurale, anche nel settore della ricerca e del trasferimento dell'innovazione tecnologica;
   a prevedere un piano organico per la promozione dei prodotti di qualità del settore zootecnico e lattiero caseario, anche nell'ambito dell'Expo di Milano;
   a promuovere iniziative nazionali per il consumo del latte e dei formaggi di qualità, soprattutto nelle scuole e nelle mense pubbliche;
   a sostenere attraverso le società pubbliche la realizzazione di iniziative specificamente destinate ai prodotti di qualità provenienti dagli allevamenti e dalle imprese di trasformazione che si impegnino all'acquisto dei prodotti nel pieno rispetto delle regole e dei princìpi di corretto equilibrio contrattuale sanciti dalle norme comunitarie e nazionali;
   a rendere pubblici i dati relativi alle importazioni di latte fresco e di prodotti semilavorati a base di derivati del latte anche attraverso la realizzazione di sistemi di tracciabilità delle sostanze utilizzate nella fabbricazione dei formaggi in modo chiaramente percepibile dai consumatori.
(7-00588) «Oliverio, Sani, Fiorio, Mongiello, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capone, Carra, Casati, Cominelli, Cova, Dal Moro, Galperti, Iacono, Lavagno, Lodolini, Marrocu, Palma, Prina, Rigoni, Romanini, Sgambato, Taricco, Tentori, Venittelli, Verini, Zanin, Fregolent».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri il 20 gennaio 2015 ha approvato un decreto-legge (decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3) recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti;
   in particolare, il decreto-legge in questione impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni; la finalità dichiarata dal Governo sarebbe quella di garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese, e favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti;
   con le nuove disposizioni viene dunque a decadere il principio del voto capitario, in base al quale ogni socio, in sede di delibere assembleari, ha diritto ad un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute. Il voto capitario costituisce il principio-cardine che storicamente ha contraddistinto e differenziato le banche cooperative rispetto alle banche società per azioni, consentendone un forte sviluppo al servizio dei territori serviti, al servizio soprattutto delle piccole e medie imprese, delle famiglie e degli artigiani. Anche in questa ultima e prolungata crisi le popolari italiane hanno mostrato maggiore attenzione al sostegno creditizio delle imprese locali;
   nell'analisi di tale intervento, è utile partire da alcuni dati di sistema fondamentali per capire il contesto in cui l'azione si inserisce;
   dal 2011 (Governo Berlusconi) al 2014 (Governo Renzi) il totale dei prestiti a famiglie e imprese è diminuito di 129 miliardi di euro, mentre le famiglie, principalmente per effetto degli aumenti fiscali sul patrimonio immobiliare, hanno perso 815 miliardi di euro del valore della loro ricchezza netta. A ciò si aggiunga che negli ultimi anni oltre ad essere crollato il numero di aziende che chiedono credito, il tasso nominale per prestiti fino a 1 milione di euro ha fatto registrare quota 3,5 per cento (in Francia è il 2,1 per cento). Il tutto in un contesto in cui i tassi di interesse sullo scoperto per una piccola impresa fino a 125 mila euro raggiungono una percentuale media da capogiro del 10,6 per cento;
   pertanto, a fronte dei tassi di interesse praticamente negativi, l'accesso al credito e il costo del credito resta un problema centrale nello sviluppo italiano. Ancor di più se si considera che negli ultimi anni è crollato il numero di aziende che chiedono credito e quelle che lo ottengono. In questo contesto si inserisce dunque l'intervento di riforma delle banche popolari adottato dal Governo, che si inserisce quindi con lo strumento della decretazione di urgenza nella vita di 1 milione 340 mila soci, 12,3 milioni di clienti. Una realtà, quella delle popolari, che conta 450 miliardi di attivo, il 29,3 per cento degli sportelli, il 25,3 per cento della raccolta e il 24,6 per cento degli impieghi;
   in molti hanno già evidenziato le evidenti criticità del decreto-legge approvato; su tutti, uno dei membri dell'Esecutivo che ha varato il testo, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, che ha esplicitamente dichiarato il proprio dissenso rispetto alla riforma proposta, sottolineando come le banche popolari siano «una risorsa, come le Pmi, per la loro presenza sul territorio, altrimenti si finisce come la Grecia». Al coro di critiche si è aggiunta la voce del presidente della Banca popolare di Vicenza, che, in un'intervista pubblicata su Il Giornale, ha affermato: «È una riforma che uccide il sistema delle banche cooperative, salvando solo quelle che hanno un peso insignificante: le soglie (eliminazione del voto capitario sopra gli 8 miliardi di attivi) sembrano fatte apposta per salvare il credito cooperativo delle Bcc». Inoltre, precisa Zonin, «eliminando il voto capitario le mettiamo (le Banche Popolari ndr) nelle mani di speculatori, fondi esteri; svendiamo loro il 25 per cento dell'attività bancaria italiana. E in questo delicato momento aprire così il territorio alla concorrenza genera il rischio che questi investimenti prendano il controllo dell'economia del Paese». Insomma: un conto è rinnovare la governance, un altro è cancellare il sistema cooperativo. Tanto più se si considera che in un periodo di contrazione del credito queste banche hanno esibito – come ricordato alcuni giorni fa dal presidente di Unimpresa Pietro Longobardi – un rapporto tra credito e totale degli attivi di 16 punti percentuali (mentre su base europea risulta pari a 5) superiore rispetto a quello degli istituti di maggiore peso a livello nazionale»;
   in particolare, per le banche popolari non quotate, che rappresentano le realtà di dimensioni inferiori ma proprio per questo più radicate nei territori di storico insediamento, la norma appare estremamente penalizzante, perché impedirebbe di proseguire nella propria attività secondo il modello attuale, fondato proprio sullo stretto legame associativo (rapporto cliente-socio) con una logica non di ampio possesso di singole quote, ma di diffusa e frazionata proprietà; in questo modo, è inevitabile che la norma incida sulla capacità di erogare credito a famiglie ed imprese nei territori di presenza (dove il credito verrebbe orientato secondo una mera logica di ritorno finanziario e non di reale sostegno al territorio – funzione sociale delle cooperative);
   in ogni caso, al fine di preservare il vero modello cooperativistico, ossia quello delle banche popolari non quotate, sarebbe auspicabile un cambiamento del riferimento dimensionale, che potrebbe essere quello del limite previsto per l'assoggettamento alla vigilanza della BCE che riguarda le banche con più di 30 miliardi di euro di attivi;
   se, da un lato, l'iniziativa del Governo sul credito popolare mostra giorno dopo giorno tutta la sua inconsistenza, in particolare attraverso le numerose critiche mosse dagli operatori del settore, dall'altro prende sempre più corpo l'ipotesi di ulteriori aspetti allarmanti;
   il quotidiano Corriere della sera, in un articolo pubblicato il 24 gennaio 2015 (così come altri articoli successivi pubblicati su Il Giornale e su Il Sole 24 Ore), ha rivelato come l'intervento di riforma approvato dal Consiglio dei ministri sia stato preceduto da una serie di attività anomale e di operazioni di compravendita di titoli azionari di numerose banche popolari, i cui movimenti pongono il quesito su un possibile sospetto caso di insider trading;
   subito dopo il varo del decreto-legge, la borsa di Piazza Affari ha infatti iniziato a prendere posizione, immaginando possibili aggregazioni tra le banche popolari, i cui acquisti si sono concentrati sulle banche di modesta dimensione, come ad esempio il Banco Popolare, che ha registrato a fine settimana un guadagno del 21 per cento, la Banca popolare dell'Emilia, con un +24 per cento o la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, che ha guadagnato addirittura il 65 per cento in una settimana;
   sempre secondo indiscrezioni riportate dalla stampa, un'intensa attività di compravendita di titoli di alcune banche popolari italiane quotate in borsa si sarebbe verificata, in particolare, in una delle piazze finanziarie più importanti in Europa e nel mondo: il London Stock Exchange;
   considerati gli effetti dirompenti che la notizia della riforma ha avuto sui mercati finanziari, a partire da lunedì 19 gennaio 2015, con rialzi a due cifre di tutte le banche coinvolte, non può passare in secondo piano, a parere degli interpellanti, il sospetto di azioni promosse in maniera consapevole e attenta, a seguito dell'entrata in possesso di informazioni privilegiate;
   a tal proposito la Consob ha avviato una serie di accertamenti preliminari sull'operatività dei titoli delle popolari, e sta quindi verificando se ci sia stato chi, avendo ricevuto informazioni preventive sull'imminente approvazione del decreto, abbia approfittato e speculato sulla trasformazione delle banche popolari in società per azioni;
   il Corriere della sera riporta altresì il contenuto di alcune notizie di stampa apparse nelle giornate del 15 e 16 gennaio 2015, quando alcuni quotidiani e agenzie di stampa riportavano i seguenti titoli: «Brillano le Popolari», «Salgono i bancari a cominciare dalle Popolari»; poco prima delle ore 18 della stessa giornata del 16 gennaio 2015, a chiusura della borsa valori di Milano, le agenzie di stampa riportavano poi la notizia: «In arrivo norme per riforma Popolari»;
   sembra poi, come riportato nel medesimo articolo del Corriere, che l'intervento di riforma fosse inizialmente previsto all'interno del disegno di legge concorrenza, in fase di messa a punto al Ministero dello sviluppo economico, e dunque destinato a seguire l'ordinario iter parlamentare. Una mossa «a sorpresa» del Governo avrebbe invece determinato l'inserimento dell'articolo del disegno di legge sull'abolizione del voto capitario nel decreto-legge «Investment compact» –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione di quanto riportato, non intendano chiarire le fasi tecniche e i passaggi che hanno anticipato l'approvazione del decreto-legge di riforma delle banche popolari, i cui rilievi particolarmente dettagliati pubblicati sulla stampa e riportati in premessa pongono seri e fondati dubbi sulle modalità di gestione delle informazioni, lasciando intravedere ampi margini di opacità che rischiano di alimentare processi degenerativi, nonché sulla decisione di procedere attraverso lo strumento del decreto-legge su un tema che, a parere degli interpellanti, non presenta i requisiti di necessità ed urgenza previsti dalla Costituzione.
(2-00830) «Brunetta, Palese».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della giustizia, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   il comma 421 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha l'obiettivo di ridurre ex lege la dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario. In relazione ai processi di riordino delle funzioni delle province, secondo la previsione della legge 7 aprile 2015 n. 56 («legge Delrio»), il legislatore ha rapportato le dotazioni organiche delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario al fabbisogno connesso con lo svolgimento delle funzioni fondamentali attribuite dalla predetta legge n. 56 del 2014;
   nello specifico la previsione dispone che, a decorrere dal 1o gennaio 2015, la dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario è ridotta in misura rispettivamente pari al 30 e al 50 per cento della spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2015, n. 56, senza fare alcun tipo di riferimento alle funzioni fondamentali. Si precisa, inoltre, che a decorrere dal 1o gennaio 2015 il valore della spesa della dotazione organica è ridotto ex lege nelle percentuali indicate e che, entro 30 giorni (31 gennaio 2015), gli enti di area vasta possono effettuare una riduzione maggiore laddove ritengano che il loro fabbisogno complessivo di personale, necessario a consentire lo svolgimento delle funzioni fondamentali, possa essere inferiore;
   la legge di stabilità, inoltre, prevede che:
    a) entro 60 giorni vanno definite le procedure di mobilità del personale interessato, con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa consultazione con le confederazioni sindacali rappresentative e previa intesa in sede di conferenza unificata, che dovrà fissare i criteri per realizzare i processi di mobilità, anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico;
    b) entro 90 giorni, tenuto conto del riordino delle funzioni di cui alla legge n. 56 del 2014, secondo modalità e criteri definiti nell'ambito delle procedure e degli osservatori regionali, va individuato il personale che rimane assegnato alle province e quello da destinare alle procedure di mobilità, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale previste dalla normativa vigente;
    c) le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data del 1o gennaio 2015 e alla ricollocazione nei propri ruoli delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità. Esclusivamente per le finalità di ricollocazione del personale in mobilità le regioni e gli enti locali destinano, altresì, la restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo cessato negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricollocazione del personale soprannumerario. Le assunzioni effettuate in violazione di tali disposizioni sono nulle;
    d) il Dipartimento della funzione pubblica avvia, presso le amministrazioni dello Stato, una ricognizione dei posti da destinare alla ricollocazione del personale delle province interessato ai processi di mobilità. Le amministrazioni statali comunicano un numero di posti, soprattutto riferiti alle sedi periferiche, corrispondente, sul piano finanziario, alla disponibilità delle risorse destinate, per gli anni 2015 e 2016, alle assunzioni di personale a tempo indeterminato. Le procedure di mobilità si svolgono procedendo in via prioritaria alla ricollocazione presso gli uffici giudiziari; le assunzioni effettuate in violazione di tali disposizioni sono nulle;
    e) fino alla conclusione delle procedure di mobilità, il personale rimane in servizio presso le città metropolitane e le province con possibilità di avvalimento da parte delle regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente utilizzatore;
    f) a conclusione del processo di ricollocazione, le regioni e i comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni alle province, dispongono contestualmente l'assegnazione del relativo personale con oneri a carico dell'ente delegante o affidante, previa convenzione con gli enti destinatari;
    g) al 31 dicembre 2016, nel caso in cui il personale interessato ai processi di mobilità non sia completamente ricollocato, presso ogni ente di area vasta, ivi comprese le città metropolitane, si procede, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali che deve comunque concludersi entro trenta giorni dalla relativa comunicazione, a definire criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale del personale non dirigenziale con maggiore anzianità contribuiva;
    h) nel caso di mancato completo assorbimento dei soprannumeri e a conclusione del processo di mobilità tra gli enti, si applicano le disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
   il 20 gennaio 2015, sulla Gazzetta Ufficiale (4a Serie Speciale –  concorsi ed esami n. 5) è stato pubblicato il bando di mobilità volontaria esterna per la copertura di complessivi 1.031 posti vacanti di personale amministrativo destinato agli uffici giudiziari, a giudizio degli interpellanti non tenendo conto delle previsioni della legge di stabilità che sanziona con la nullità le assunzioni effettuate in violazione della suddetta procedura;
   inoltre, il bando del Ministero della giustizia ad avviso degli interpellanti ignora e viola il comma 425 della legge di stabilità in quanto non prevede alcuna priorità del personale in sovrannumero delle province e addirittura stabilisce, all'articolo 4 punto 4, che il personale appartenente ad amministrazione diversa dai ministeri dovrà allegare alla domanda una dichiarazione della propria amministrazione, con la quale la stessa si impegna «a procedere al versamento delle risorse corrispondenti al 50 per cento del trattamento economico spettante al personale interessato al trasferimento»;
   è dunque evidente che tale previsione impedisce la partecipazione del personale delle province in quanto queste ultime non posso assicurare l'impegno espresso all'articolo 4, punto 4 del bando sopra indicato, proprio perché l'effetto combinato dei tagli previsti dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e della legge di stabilità 2015 non consentono l'esercizio neanche, delle funzioni fondamentali riconosciute alle province e città metropolitane dalla legge n. 56 del 2014, con conseguente disavanzo di parte corrente, interruzione dei servizi e premessa per il dissesto finanziario;
   in aggiunta il bando risulta secondo gli interpellanti espressamente in contrasto con il comma 425 della legge di stabilità allorché prevede, con riferimento al personale in sovrannumero delle province, che «Le procedure di mobilità di cui al presente comma si svolgono secondo le modalità e le priorità di cui al comma 423, procedendo in via prioritaria alla ricollocazione presso gli uffici giudiziari e facendo in tal caso ricorso al fondo di cui all'articolo 30, comma 2.3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, prescindendo dall'acquisizione al medesimo fondo del 50 per cento del trattamento economico spettante al personale trasferito facente capo all'amministrazione cedente»;
   è, dunque, evidente che la pubblicazione del bando del Ministero della giustizia rappresenti un comportamento che contraddice in particolare le dichiarazioni di alcuni esponenti del Governo che più volte hanno affermato che, sebbene la legge di stabilità abbia bloccato qualsiasi processo di assunzione da parte degli altri enti, dalle regioni alle prefetture, agli impiegati delle province spetta, comunque, la priorità insieme ai vincitori di concorso;
   invece di rendere agevole il passaggio in mobilità del personale delle province al Ministero della giustizia, affinché possa trovare collocazione là dove ve ne è necessità ed in particolare nei tribunali che soffrono di cronica carenza di organico, lo rende infatti sostanzialmente inattuabile;
   si tratta dunque di una previsione ad avviso degli interpellanti illogica che non tiene in alcun modo conto dei pesanti tagli di bilancio cui sono state sottoposte le province negli ultimi anni e che quindi rischia di vanificare un percorso virtuoso di valorizzazione del personale oggi non più necessario a seguito del ridimensionamento del ruolo delle amministrazioni provinciali;
   la previsione del bando del Ministero della giustizia ha senz'altro confermato che il risultato finale di tutta questa operazione di riordino regna nell'incertezza sulle funzioni, sui servizi e ancor più sul personale e che, ad oggi, non ha comportato alcun risparmio né alcuna razionalizzazione dei servizi –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per evitare di porre in essere misure incoerenti con gli obiettivi di razionalizzazione ed efficientamento della pubblica amministrazione, e comunque contrarie a quanto prescritto dalla legge di stabilità 2015, ingenerando assoluto discredito nei confronti delle pubbliche amministrazioni, e per garantire che la norma valga uniformemente per tutti i Ministeri, le amministrazioni periferiche dello Stato, per le regioni e gli enti locali;
   se il Governo intenda ritirare in autotutela il bando, sospenderne i termini o, in alternativa, procedere a rettifica con una nuova pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che consenta la mobilità e specifichi che, in ottemperanza al comma 425 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015, per il personale delle province si prescinde dall'acquisizione del 50 per cento del trattamento economico spettante al personale trasferito facente capo all'amministrazione cedente.
(2-00831) «Russo, Palese».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa, la Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi sarebbe azionista della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, istituto che avrebbe fatto un balzo del 66 per cento in borsa per effetto degli maggiori annunci trapelati, a mercati aperti, da Palazzo Chigi sulla riforma delle maggiori banche regolate dal voto capitarlo;
   il padre della Ministra Boschi, Pier Luigi, è vicepresidente della Banca Popolare dell'Etruria, intermediario del credito presso cui lavora pure il fratello della ministra;
   la Consob starebbe già indagando, anche per via di un esposto del MoVimento 5 stelle in merito a questo evidente conflitto di interessi, sulle fughe di notizie fatte a margine del provvedimento del Governo sugli assetti societari degli istituti di credito che hanno sconvolto la borsa sul finire della settimana scorsa;
   il 24 gennaio 2015 il Corriere della Sera ha ricostruito che inizialmente il provvedimento era contenuto nel disegno di legge concorrenza, fermo al Ministero dello sviluppo economico e in attesa di seguire il normale iter parlamentare, ma il Premier Renzi avrebbe prelevato a sorpresa l'articolo sul voto capitario e l'avrebbe inserito nel decreto battezzato «Investment compact»;
   secondo la stampa, anche se il decreto «Investment compact» è stato annunciato a mercati chiusi il 20 gennaio, le indiscrezioni erano iniziate a circolare sin dal 16 e il 19 l'agenzia di stampa Reuters avrebbe anticipato il piano nei dettagli;
   in seguito a questa fuga di notizie, in quattro giorni la Banca Popolare dell'Etruria ha registrato un balzo del 66 per cento, nonostante i ripetuti «stop» alla negoziazione per eccesso di rialzo, mettendo fine così ad anni di crisi profonda che l'avevano portata sull'orlo del commissariamento: nel gennaio 2010, un'azione valeva 10,69 euro, mentre il 12 gennaio 2015 registrava il minimo storico di 0,358 euro;
   negli ultimi tempi, i vertici della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio avrebbero tentato inutilmente di rivitalizzare l'istituto in tutti i modi: con un aumento di capitale da 100 milioni appena un anno fa, poi con il tentativo di fusione con la popolare di Vicenza andato male, quindi con la ricerca di nuovi soci di peso per trasformarsi in società per azioni, anche questa andata a vuoto;
   il Consiglio di amministrazione della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, a novembre 2014, aveva approvato i conti consolidati dei primi 9 mesi chiusi con una perdita netta di 126,1 milioni di euro, e solo un mese dopo la banca avrebbe presentato un durissimo piano di ristrutturazione, annunciando 410 esuberi e tagli al personale per 32 milioni di euro, oltre alla creazione di una bad bank nel tentativo di liberarsi dei crediti deteriorati;
   inoltre, dal 2012 la banca sarebbe stata al centro di due ispezioni della Banca d'Italia che si sono concluse nel novembre 2014 con una multa complessiva di 2,54 milioni di euro: la maxi sanzione sarebbe a carico di 18 tra componenti ex componenti del collegio sindacale e del Consiglio di amministrazione tra cui Pier Luigi Boschi, al quale gli ispettori di via Nazionale avrebbero comminato una sanzione di 144 mila euro per «violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell'organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza», secondo quanto riportato dalla stampa; da inizio 2013, inoltre, la posizione di Pier Luigi Boschi, come quella degli altri amministratori dell'istituto, sarebbe al vaglio delle procure di Arezzo e Firenze;
   da notizie di stampa risulterebbe che la Ministra Boschi abbia partecipato alla seduta del 20 gennaio 2015 in cui è stato approvato il testo del decreto legge di cui sopra, scatenando le ovvie polemiche su un evidente conflitto di interessi;
   all'inizio di gennaio il MoVimento 5 Stelle, Sel e una parte del Pd avevano ritirato fuori e riproposto una iniziativa legislativa presentata nel novembre 2013 che all'epoca era appoggiata anche dallo stesso Matteo Renzi, per introdurre il conflitto di interessi e il conseguente divieto di partecipare al voto «qualora il coniuge, la persona stabilmente convivente, un parente o un affine entro il secondo grado sia preposto alla cura ai sensi del comma 4 (in qualità di rappresentante, amministratore, curatore, gestore, procuratore, consulente o in altra posizione analoga, ndr) di un interesse economico privato tale da poter condizionare l'esercizio delle funzioni pubbliche inerenti alla carica ricoperta»; ma il relativo testo unificato, come nel novembre 2013, è stato messo in un cassetto –:
   se il Governo non intenda chiarire la sua posizione in merito a quanto esposto in premessa, e in particolar modo circa l'evidente conflitto di interessi che, a giudizio dell'interrogante, si è configurato;
   se il Governo non consideri necessario fare luce su come sarebbe avvenuta questa fuga di notizie così delicate di cui in premessa, vista l'importanza e la delicatezza della questione a livello politico e per il Governo stesso;
   se il Governo non intenda favorire, per quanto di competenza, un rapido iter del testo unificato di cui sopra, in modo da evitare che tali situazioni incresciose possano nuovamente verificarsi e, nel frattempo non intenda vigilare in modo che non si presentino altre situazioni di conflitti di interesse che screditano il ruolo del Governo e della politica in generale, creando grave danno alle istituzioni.
(2-00833) «Sorial».

Interrogazioni a risposta orale:


   DURANTI, FERRARA, SCOTTO, FRATOIANNI, PIRAS, QUARANTA, COSTANTINO, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, MARCON, MELILLA e PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato in un articolo del Corriere della Sera del 30 gennaio 2014 a firma Florenza Sarzanini, l'ex capo del servizio centrale operativo della polizia di stato, Gilberto Caldarozzi sarebbe stato assunto in Finmeccanica per occuparsi del settore sicurezza, attraverso una consulenza con contratto a tempo determinato;
   Gilberto Caldarozzi è stato condannato, con sentenza definitiva, a tre anni e otto mesi di reclusione in relazione al processo per l'irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova;
   in particolare, è stato condannato per falso aggravato, poiché «si è prestato a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici in violazione di diritti fondamentali di libertà, di tutela giudiziaria, della dignità della persona, riconosciuti in tutte le democrazie occidentali, dalla nostra suprema carta e nella stessa Corte europea dei diritti», così come riportato nella motivazione della sentenza di condanna emessa dalla Corte di Cassazione;
   nello specifico Caldarozzi è stato condannato poiché ritenuto colpevole di aver firmato i verbali che attestavano il sequestro delle bottiglie molotov all'interno della Diaz durante il blitz delle forze di polizia nella notte tra il 20 e il 21 luglio del 2001;
   Caldarozzi, che ha finito di scontare la pena nel giugno 2014, è stato anche interdetto per cinque anni dai pubblici uffici;
   nelle motivazioni della condanna, la Corte di cassazione definisce i comportamenti contestati di «estrema gravità», «un pestaggio forsennato, di inaudita violenza e privo di alcuna ragione, di inermi dimostranti colti nel sonno mentre si trovavano al chiuso di un edificio scolastico»;
   Gianni De Gennaro, attuale presidente di Finmeccanica, era, all'epoca dei fatti ascritti a Gilberto Caldarozzi, capo della polizia di Stato e quindi lo conosceva certamente;
   ad opinione degli interroganti non si può affidare un incarico in un settore così delicato come quello della sicurezza in Finmeccanica, a chi si è reso responsabile di una delle pagine più buie e drammatiche della storia della Repubblica, come il G8 di Genova –:
   quale sia l'incarico effettivamente ricoperto da Gilberto Caldarozzi in Finmeccanica;
   laddove si tratti anche solo di una consulenza – come riportato nell'articolo citato in premessa – se il Governo non ritenga di attivarsi prontamente affinché Finmeccanica revochi tale incarico, anche in considerazione dell'interdizione dai pubblici uffici cui Caldarozzi risulta tuttora soggetto. (3-01262)


   BINETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri del 20 gennaio 2015 ha varato un decreto-legge con cui sono state adottate misure relative al sistema bancario e gli investimenti;
   l'articolo 1 del decreto ha imposto la de-mutualizzazione di tutte le banche popolari maggiori, obbligandole a trasformarsi in società per azioni;
   le motivazioni genericamente addotte dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell'economia e delle finanze a giustificazione di tale misura consisterebbero nell'aumentare il flusso di finanziamenti alle piccole e medie imprese;
   oggi, come testimoniato anche da uno studio della CGIA di Mestre, le banche popolari sono in Italia le uniche ad aver sorretto il tessuto produttivo italiano e ad aver difeso famiglie e piccole e medie imprese dagli effetti drammatici della crisi;
   la de-mutualizzazione delle banche popolari sottrae credito e risparmio a famiglie e piccole e medie imprese italiane, consegna un settore strategico ai grandi interessi finanziari, specie esteri, e scardina l'unico soggetto bancario vicino al territorio;
   in base a stime, le misure sulle banche popolari comporteranno una contrazione del credito all'economia reale pari ad 80 miliardi di euro, di cui una riduzione di 25 miliardi dei finanziamenti alle famiglie italiane e di 55 miliardi di quelli alle piccole e medie imprese;
   la de-mutualizzazione è estesa in futuro anche alle popolari minori, costrette a non crescere per non raggiungere la soglia degli 8 miliardi di euro che fa scattare l'obbligo di trasformarsi in s.p.a.;
   occorre tener conto dell'importanza del tema, dell'ordinamento del settore creditizio, e degli interessi speculativi, specie di investitori esteri interessati non certo alla crescita del Paese e ad investimenti di lungo termine ma a profitti da realizzare nel brevissimo periodo, come dimostrato dall'andamento borsistico di questi giorni –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa;
   se abbiano provveduto ad effettuare un'analisi costi-benefici del provvedimento sull'economia reale. (3-01263)


   DAGA, LUIGI GALLO, TERZONI, MICILLO, MANNINO, DE ROSA, BUSTO, ZOLEZZI, VIGNAROLI, FRUSONE, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, PISANO, LUIGI DI MAIO, FICO, COLONNESE e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si assiste all'emergere di numerosi aspetti problematici e criticità connesse all'evoluzione del settore delle multiutilities, società alle quali è demandata la gestione di beni comuni, come il Servizio Idrico Integrato;
   il caso di ACEA spa e della società partecipata GORI spa appare emblematico delle ricadute negative sugli utenti finali di tali sistemi di gestione che si risolvono spesso nell'aumento arbitrario delle tariffe per far fronte a gravi situazioni di indebitamento;
   l'articolo del Fatto Quotidiano del 1o novembre del 2014 illustra il progetto di NewCo avviato dal Governo rispetto all'ACEA. Quest'ultima, già prima azienda italiana del settore con il 13,7 per cento di quota di mercato nel 2013, si appresta ad acquisire la gestione del servizio idrico integrato di tutto il centro-sud, dalla Toscana al Lazio, passando per l'Umbria e la Campania. L'accorpamento tra tre gestori idrici toscani a maggioranza pubblica (fiorentina Publiacqua, con la pisana Acque e la grossetano-senese Acquedotto del Fiora), tutte aziende in cui ACEA spa ha partecipazioni di minoranza accanto agli enti locali, porterà alla nascita di un nuovo polo idrico che servirà l'acqua nelle case di 2,5 milioni di cittadini toscani distribuiti su 159 comuni fatturando circa 400 milioni;
   una volta effettuata l'aggregazione, gli enti pubblici lasceranno il controllo della nuova realtà industriale alla ACEA spa e riceveranno in cambio tra il 10 per cento e il 20 per cento della multiutility romana direttamente dal comune di Roma;
   il 26 novembre del 1999, fu la conferenza dei sindaci dell'ATO 2 a prendere atto che «ACEA soddisfa tutte le condizioni e possiede tutti i requisiti previsti dall'articolo 12 della Convenzione di cooperazione ed, in attuazione di quest'ultima disposizione, conferma ACEA spa quale soggetto affidatario della gestione del Sistema Idrico Integrato nell'ATO2 Lazio Centrale-Roma [...] processo che porterà allo scorporo del ramo idrico di ACEA spa [...] del conferimento degli stessi servizi alla società di scopo ACEA ATO2 – Gruppo ACEA spa»;
   in un'indagine della Corte dei conti, che riferirà alla Camera il 10 aprile 2003, vengono espresse numerose riserve sull'affidamento per 30 anni del servizio idrico integrato all'Acea Ato2, «in uno dei bacini più grandi d'Europa e il maggiore a livello nazionale con 3,7 milioni di utenti tra Roma e altri 110 comuni dell'hinterland romano, della provincia di Frosinone e Viterbo» (Delibera n. 185 del 25 novembre 1999);
   tali perplessità sono tanto più rilevanti alla luce degli ultimi fatti relativi agli appalti neri e Mafia Capitale. Dall'inchiesta pubblicata lo scorso venerdì 16 gennaio su l'Espresso apprendiamo che ACEA spa non sembra essere affatto estranea alla bufera giudiziaria che ha investito la Capitale. In tale inchiesta si legge che appalti milionari sono stati infatti ripetutamente affidati dalla partecipata del comune di Roma a ditte legate a Mancini e a Monaco, nomi entrambi noti alla procura di Roma;
   da tale inchiesta emergono una serie di appalti i cui costi sono aumentati in modo esponenziale negli anni, peraltro in alcuni casi senza giungere a conclusione dei lavori. Aumenti dei costi che vengono scaricati sugli utenti. Anche ACEA ATO2 si è infatti accorta di aver speso più di quanto previsto, e quindi incassato attraverso le nostre bollette. Una escalation di truffe ai danni dei cittadini e ai danni del nostro bene comune primario: l'acqua;
   inoltre, in ordine alla gestione del Servizio Idrico Integrato effettuato dalla GORI spa, società partecipata da ACEA spa, va rilevato che il predetto gestore, nei suoi primi dieci anni di esercizio, non ha raggiunto l'equilibrio economico-finanzario, maturando un rilevante debito nei confronti della regione Campania, di importo pari ad euro 282.999.149,32, per il mancato pagamento dei corrispettivi dovuti all'ente per la fornitura di «acqua all'ingrosso» dagli acquedotti regionali e per i servizi di «collettamento a depurazione delle acque reflue» negli impianti di depurazione a gestione regionale;
   tale enorme debito ha generato una contesa tra il gestore Gori spa e la regione Campania che si è formalmente conclusa con una delibera di giunta regionale (la n. 171 del 2013) con la quale si è rideterminato l'ammontare del debito complessivo per gli esercizi 2002-2012. Detta deliberazione ha generato, in buona sostanza una rinuncia da parte della regione Campania ad un credito di oltre 70 milioni di euro maturato nei confronti della società mista, accettando altresì il pagamento del residuo debito in forma rateizzata per venti anni ed in quota parte non remunerata;
   ulteriori gravi perplessità in ordine all'operato della GORI spa sono derivate dalla procedura di «Recupero partite pregresse ante 2012» avviata dalla predetta società, che ha determinato quanto da porre a carico degli utenti, per il periodo 2003/2011, nella esorbitante somma complessiva di euro 122.495.027 che la stessa GORI intende recuperare in quattro anni sino al 2017; detta procedura di recupero ha suscitato riserve di legittimità e fondatezza in quanto avviata in presunta violazione con quanto stabilito dall'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico;
   si aggiunga che l'AEEGSI, con articolo 31 dell'Allegato A della Delibera 643/2013 ha deliberato l'inserimento in bolletta dei conguagli maturati prima del 2012, da definire, per ogni AATO, entro il 30 aprile 2012;
   la conferenza dei sindaci dell'ATO2 (Roma e provincia) ha deliberato i conguagli relativi al periodo 2006-2011 nella seduta del 17 aprile 2012 (delibera 7/12), «pari ad euro 118.354.776,00 comprensivo di interessi, da fatturare in sei annualità a partire dal 2012»;
   le modalità del recupero di tali conguagli andavano definite entro il 30 giugno 2014. Nella conferenza dei sindaci del 7 luglio 2014, Ato2 inserisce i primi 71 milioni nelle tariffe 2014-2015, raggiungendo così il massimo consentito dall'incremento tariffario annuo (9 per cento). Nella stessa occasione viene stabilito di utilizzare quanto accumulato e non utilizzato al 31 dicembre 2012 come fondo di solidarietà (ex Delibera Conferenza dei Sindaci 6/10), pari ad euro 8.109.969,65, per ridurre i conguagli tariffari dovuti per il 2012 e 2013 –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno rivedere le scelte di politica economica generale connesse allo sviluppo delle società multiutility nel settore dei servizi pubblici, che mostrano gravi criticità connesse alla gestione degli appalti e agli incrementi tariffari imposti agli utenti per ripianare gestioni finanziarie in perdita;
   se con particolare riferimento alla gestione del servizio idrico integrato non ritengano opportuno assumere opportune iniziative normative che introducano ulteriori obblighi di trasparenza e segnalazione per le società partecipate volti ad evitare che la gestione del servizio e la definizione dei piani tariffari comportino costi eccessivi ed ingiustificati per i cittadini e che a quest'ultimi vengano imposte regole e comportamenti gravosi in assenza di idonee garanzie di tutela e di preventiva concertazione;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative normative per ridefinire il rapporto con l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, considerata l'assenza di risultati apprezzabili in ordine alla finalità di tutela degli utenti e consumatori e alle segnalate distorsioni applicative del sistema di gestione, nonché se si intenda valutare l'opportunità di riportare nell'ambito delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici.
(3-01264)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, ZOLEZZI, ALBERTI, CANCELLERI, PESCO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese, oltre il 40 per cento di lavoratori dipendenti, pubblici e privati, privi di mensa aziendale, utilizzano come mezzo di pagamento per i loro pasti un ticket restaurant (o buono pasto) di importo prestabilito, fornito dal datore di lavoro;
   il buono pasto viene utilizzato normalmente (in modalità cartaceo o elettronica), da oltre 2,5 milioni di utenti, di cui 1,6 milioni occupati nel privato e 900.000 nel settore pubblico (Stato, enti locali, Asl, università, e altro);
   la legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 16), nel modificare l'articolo 51, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, è intervenuta a modificare l'attuale disciplina in materia di tassazione dei buoni pasto;
   secondo la nuova normativa, il valore del singolo buono pasto per il quale non sono previsti oneri fiscali o previdenziali a carico del datore di lavoro né del lavoratore, ora fissato ad euro 5,29 diverrà, a partire dal 1o luglio 2015, di euro 7;
   tale soglia di defiscalizzazione sarà aumentata, però, solo per i buoni pasto cosiddetti elettronici, quando invece il settore dei cosiddetti ticket restaurant è ancora fortemente incentrato sul cartaceo, il mercato dei buoni pasto elettronici rappresenta infatti, attualmente, solo l'11 per cento del totale;
   la diversa soglia di defiscalizzazione tra i ticket elettronici e cartacei comporterà quindi un pregiudizio nei confronti di quei lavoratori cui viene riconosciuto un ticket di importo pari a euro 7 in formato cartaceo;
   per il sistema degli e-ticket, inoltre, gli esercenti si dovrebbero dotare degli hardware necessari che ne consentano l'accettazione (POS, linea internet, campo GPRS) e, se non dotati di linea internet o ubicati in zone con campo gprs, la normativa non concede loro un lasso di tempo sufficientemente adeguato per realizzare tali investimenti;
   attualmente, inoltre, sarebbe necessario un apposito POS per ciascuna società emettitrice, generando un aggravio di costi insostenibile per i piccoli esercenti;
   così come suggerito anche dall'ANAC, prima dell'introduzione di una norma che ne incentivi l'utilizzo, sarebbe stato opportuno definire un quadro regolamentare ad hoc per l'utilizzo del buono pasto elettronico;
   sarebbe stato più opportuno innalzare, inizialmente, il limite della defiscalizzazione a 7 euro, indistintamente per tutti i buoni pasto e, fissare un congruo lasso di tempo, non certamente 7 mesi, per consentire a tutte le realtà economiche interessate, anche quelle di più piccole dimensioni, di attrezzarsi per il passaggio al formato elettronico;
   per quanto riguarda il settore pubblico, la normativa in materia di acquisizione di beni e servizi da parte delle pubblica amministrazione prevede per gli enti locali l'obbligo di avvalersi di convenzioni CONSIP, (la centrale acquisti nazionale della pubblica amministrazione italiana, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze);
   la Consip ha appena indetto la nuova gara del valore complessivo di un miliardo di euro destinata alle società emettitrici, per l'attivazione di una convenzione relativa alla fornitura di buoni pasto per le pubbliche amministrazioni;
   la suddetta gara verrà effettuata a procedura aperta e verrà aggiudicata con la modalità dell'offerta economicamente più vantaggiosa, favorendo le società emettitrici di e-ticket che, potendo proporre un prezzo più basso, avranno un vantaggio competitivo rispetto alle altre –:
   quali motivazioni abbiano portato ad alimentare la sopra citata disparità fra buoni pasto elettronici e cartacei;
   se il Governo non ritenga opportuno mettere in atto misure atte ad innalzare contestualmente per i buoni pasto cartacei la soglia di defiscalizzazione pari ad euro 7, per esercenti e lavoratori, al fine di evitare disparità di trattamenti e favorire una libera ed equa concorrenza;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per conformarsi alla segnalazione dell'ANAC, in cui si riteneva auspicabile «un processo di riforma complessiva della regolamentazione in tema di servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto, che tenga in particolare conto le possibilità di ottimizzazione del servizio legate alla diffusione di soluzioni innovative da disciplinare nel quadro normativo di riferimento». (5-04605)


   MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni, i servizi meteorologici annunciano l'invasione di un vortice polare che dovrebbe persistere fino al 10 febbraio 2015 in particolare per la fine di gennaio si prevede l'arrivo dei cosiddetti «tre giorni della Merla», i tre giorni più freddi dell'anno, che daranno il via all'imponente discesa di un distaccamento del vortice polare verso l'Italia, con l'arrivo di venti forti occidentali ed una perturbazione fredda che, al Nord, potrebbe portare la neve fino in pianura;
   eppure, nel massimo della stagione invernale, l'amministrazione provinciale di Como ha dichiarato di non avere più risorse da destinare allo spargimento del sale e all'eventuale rimozione della neve;
   con una comunicazione dirigenziale, rivolta al prefetto, ai sindaci, alle forze dell'ordine, agli uffici tecnici provinciali e alla società dei trasporti, e con contestuale informazione, attraverso comunicato stampa, agli utenti della strada, la provincia di Como ha informato che a causa del concorso alla manovra di finanza pubblica, di cui alla legge di stabilità 23 dicembre 2014, n. 190, che ha previsto una riduzione della spesa corrente per il comparto provinciale di 1 miliardo per il 2015, 2 miliardi per il 2016 e 3 miliardi per il 2017, «quest'anno non sarà possibile effettuare ulteriori servizi di viabilità invernale»;
   la nota della provincia di Como diffusa martedì 27 gennaio 2015 mette in guardia gli automobilisti, chiarendo, per evitare equivoci che «per servizi di viabilità invernale si intendono sia la salatura che la spalatura delle strade»; la nota si chiude con un appello agli automobilisti: «Si invita ad usare la massima prudenza durante la circolazione nei giorni in cui si verificheranno precipitazioni a carattere nevoso e nei periodi in cui la temperatura sarà inferiore a 0 gradi centigradi»;
   lo spargimento del sale è stato quindi immediatamente interrotto nella provincia di Como e gli spazzaneve sono destinati a rimanere fermi almeno fino al prossimo inverno; infatti, come riportato dai giornali locali, il presidente della provincia di Como ha spiegato che l'uscita degli spazzaneve ha un costo di 7700 euro ogni ora e quindi di 60 mila euro al giorno per otto ore di lavoro;
   con tali dichiarazioni della provincia restano sconcertati i cittadini di Como, soprattutto in considerazione delle considerevoli imposte fiscali versate a fronte di una completa mancanza di garanzia per i servizi minimi sulla neve; le imprese locali sono preoccupate poiché prevedono perdite cospicue di lavoro per via della neve, anche perché si tratta di una delle zone più produttive del Paese; infatti, simili dichiarazioni non si sono mai viste fino ad ora; ad essere preoccupati sono soprattutto i cittadini della Val d'Intelvi –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare per porre rimedio all'insostenibile situazione che si è venuta a creare e ai tagli delle spese correnti delle province disposti con la legge di stabilità 2015, per evitare non solo i prevedibili e inaccettabili disservizi per i cittadini, ma anche il dispendio di ancora più cospicue risorse per far fronte a calamità naturali e al risarcimento di danni alle famiglie e alle imprese. (5-04609)


   MATARRESE, DAMBRUOSO, VARGIU, VITELLI, D'AGOSTINO, VECCHIO, CAUSIN, PIEPOLI e PELLEGRINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa, sulla dorsale ferroviaria Adriatica persistono, da tempo, alcuni problemi strutturali che non consentirebbero alla stessa di essere idonea a svolgere la programmata funzione alta capacità, anche per il traffico merci;
   uno dei problemi principali sarebbe costituito dalla sede ferroviaria non adeguata della tratta Termoli-Lesina, lunga 32 chilometri, la sola a binario unico della dorsale ferroviaria Adriatica;
   ulteriore impedimento allo svolgimento della funzione di alta capacità è la galleria di Cattolica, non ancora allargata ed adeguata dimensionalmente al transito dei grandi container sui carri ferroviari;
   secondo quanto comunicato ad Ancona da Rete ferroviaria italiana, in data 9 dicembre 2014 è stata presentata la nuova opera denominata «galleria Cattolica binario pari» con un investimento previsto «... superiore ai 33 milioni di euro...». Secondo quanto si evince dal comunicato stampa di R.F.I., «... nel nuovo assetto finale, la tratta Cattolica-Pesaro avrà quindi due gallerie affiancate a binario unico ...»;
   questi impedimenti non consentono alla dorsale ferroviaria Adriatica di poter essere attrezzata, così come programmato da tempo, per svolgere la funzione di alta capacità soprattutto per il trasporto merci su container, anche di grandi dimensioni, provenienti dai porti di Taranto e Gioia Tauro, hub logistici di ingresso delle merci dal Mediterraneo;
   secondo quanto riportato dalla stampa, il CIPE, in data 28 gennaio 2015, avrebbe deliberato una prima tranche di finanziamento di 106 milioni di euro per il progetto preliminare dei lavori relativi al primo lotto di raddoppio tra Lesina e Ripalta della tratta Termoli-Lesina;
   gli organi di stampa riportano che i ritardi ad oggi registrati sulla realizzazione dell'intero progetto di raddoppio della linea ferroviaria Termoli-Lesina avrebbero comportato un aumento dei costi previsti per i lavori da 550 milioni a 750 milioni, cui dovrebbe essere sommato il costo per l'adeguamento della galleria di Cattolica;
   il collegamento ferroviario dei porti di Taranto e Gioia Tauro per il trasporto in alta capacità e la circolazione delle merci in container su carri ferroviari in tempi di percorrenza competitivi è di fondamentale importanza per i suddetti porti e per le economie dei rispettivi territori;
   il ritardo nell'attuazione degli interventi programmati per realizzare le opere e le infrastrutture necessarie per consentire un agevole transito delle merci nel nostro Paese penalizza, di fatto, i suddetti porti a vantaggio di concorrenti esteri che consolidano posizioni di maggiore competitività, difficilmente recuperabili, potendo contare su un sistema efficiente di reti di trasporto e di logistica integrati –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, se gli stessi corrispondono al vero, quali iniziative di competenza intenda adottare affinché sia possibile eliminare in tempi brevi tutti gli impedimenti strutturali che insistono sulla dorsale ferroviaria Adriatica per consentirne l'utilizzo ad alta capacità a servizio anche dei porti di Taranto e Gioia Tauro;
   se corrisponda al vero la notizia esposta in premessa circa il presunto aumento dei costi da 550 milioni di euro a 750 milioni di euro per il raddoppio della tratta ferroviaria tra Termoli e Lesina e quali siano i tempi previsti per la sua realizzazione;
   quali siano i tempi e i costi previsti per i lavori di adeguamento della galleria di Cattolica sulla direttrice adriatica tra Pesaro e Cattolica e se i ritardi relativi all'ultimazione dei lavori comporteranno aumenti di costi anche per l'intera realizzazione di questa opera;
   quali siano le risorse disponibili ed i tempi previsti per eseguire tutti i lavori di ammodernamento ed adeguamento della dorsale adriatica affinché diventi idonea al traffico di alta capacità ferroviaria anche per le merci. (5-04633)


   DORINA BIANCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sabato 31 gennaio 2015, una palazzina è crollata ed altre tre abitazioni hanno subito ingenti danni a causa di una frana nella frazione «Foresta» di Petilia Policastro, in provincia di Crotone;
   il movimento franoso è stato alimentato dalla pioggia caduta durante le ore precedenti allo smottamento del terreno, che ha costretto quattro famiglie a sgomberare le proprie abitazioni al fine di consentire ai tecnici ed ai vigili del fuoco di compiere i dovuti accertamenti sull'agibilità delle tre strutture abitative adiacenti alla palazzina crollata;
   secondo quanto finora si è appreso dai sopralluoghi dei tecnici comunali, il numero delle persone evacuate è sicuramente destinato ad aumentare;
   secondo quanto raccontato dal proprietario della palazzina crollata, era da più di quattro anni che si sollecitavano le amministrazioni comunali che si sono succedute alla guida di Petilia Policastro a porre rimedio ai danni provocati dagli smottamenti che nel tempo si sono verificati a causa della fragilità del terreno sui cui le palazzine sono state costruite;
   in una relazione della protezione civile indirizzata all'amministrazione della città di Petilia Policastro, si raccomandava di intraprendere ogni utile iniziativa e di assumere ogni necessario provvedimento a salvaguardia della pubblica e privata incolumità, incluso il costante e puntuale monitoraggio di tutte le aree in dissesto non escludendo il ricorso allo sgombero, eventualmente subordinato all'acuirsi del fenomeno di dissesto ed in occasione di fenomeni meteo di particolare intensità;
   a seguito dell'episodio della frana il sindaco di Petilia Policastro, Amedeo Nicolazzi, ha rivolto un appello alle autorità statali affinché si intraprendano iniziative in grado di soccorrere nell'immediato la popolazione colpita e di mettere in sicurezza l'intero territorio in questione, minacciando di rassegnare le proprie dimissioni in mancanza di un intervento in tal senso –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per mettere in sicurezza un territorio come quello dell'area crotonese e, nel caso specifico, della località di Petilia Policastro;
   se non si ritenga di convocare gli amministratori locali della provincia di Crotone, insieme al prefetto della stessa città di Crotone, allo scopo di fare il punto della situazione del dissesto territoriale e di individuare gli interventi necessari a garantire la massima sicurezza pubblica e privata dell'intera zona. (5-04639)


   MATARRESE, DAMBRUOSO, VARGIU, VITELLI, D'AGOSTINO, VECCHIO, CAUSIN, PIEPOLI e PELLEGRINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa, la tratta ferroviaria della dorsale Adriatica da Ancona a Bari risulterebbe non essere stata inserita nell'ambito del corridoio di trasporto transeuropeo Scandinavia-Mediterraneo (ScanMed);
   da notizie di stampa si evince che, su istanza della regione Puglia, il Governo avrebbe chiesto all'Unione europea «... di utilizzare parte dei fondi CEF (oltre 25 miliardi di euro) per ricucire la frattura tra Ancona e Bari che interrompe, dal lato adriatico, il Corridoio Scandinavo Mediterraneo (...)»;
   la predetta richiesta non risulterebbe essere stata accolta in quanto la Commissione europea, in una relazione tecnica, avrebbe comunicato che «...la linea ferroviaria adriatica che collega Ancona, Pescara, Foggia, con Bari e infine Taranto, ... non può entrare a far parte del corridoio di trasporto transeuropeo Scandinavia-Mediterraneo (ScanMed)...»;
   secondo quanto riportato dalla stampa sembrerebbe che, in merito, la Commissione europea avrebbe evidenziato che «...il piano prescelto non può essere modificato in questa fase e che gli Stati membri sono d'accordo nel rispettare questo principio, in particolare la Germania, il cui ministero dei trasporti ha precisato che non avrebbe accettato di aggiungere altre linee ferroviarie al piano dei corridoi già previsto, anche se finalizzate al solo servizio merci...»;
   secondo quanto riportato nell'analisi tecnica pubblicata dalla Commissione Europea «...RFI ha cercato di far inserire sia questa sia il collegamento fra Gioia Tauro e Taranto, allo scopo di rimuovere due importanti colli di bottiglia della rete ferroviaria italiana. L'ammodernamento di queste linee è considerato necessario per far circolare le merci a causa dei costi elevati per ammodernare il collegamento fra Bologna e Bari via Firenze-Roma-Napoli...»;
   il collegamento ferroviario dell'intera tratta della dorsale adriatica, compreso quello tra Ancona e Bari, ai porti di Taranto e Gioia Tauro, per il trasporto in alta capacità e la circolazione delle merci in container su carri ferroviari in tempi di percorrenza competitivi, è di fondamentale importanza sia per i porti che per le economie dei rispettivi territori –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se il Governo non intenda riferirsi alla Commissione europea affinché possa riconsiderare l'opportunità di inserire la tratta ferroviaria Ancona-Bari nell'ambito del corridoio di trasporto transeuropeo Scandinavia Mediterraneo (ScanMed) sia in considerazione dell'elevato costo che si avrebbe per ammodernare il collegamento tra Bologna e Bari via Firenze-Roma-Napoli, così come evidenziato dalla stessa RFI, sia per l'ulteriore considerazione relativa alla grande importanza che riveste nel panorama del trasporto merci in Europa il collegamento dei porti di Gioia Tauro e Taranto tramite la dorsale adriatica (che ricomprende la tratta ferroviaria tra Ancona e Bari) per il trasporto in Alta Capacità dei container su carri merci. (5-04651)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il rinvio stabilito dalla Commissione europea nel mese di dicembre 2014, per gli interventi normativi sulla tutela dei marchi d'origine volti a valorizzare il patrimonio manifatturiero italiano rappresentato da oltre 600 mila imprese, stabilito, peraltro, nel corso del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, rappresenta, a giudizio dell'interrogante, un'occasione sprecata per il nostro Paese, a causa di un negoziato male impostato da parte del Governo, che avrebbe potuto introdurre una più efficiente normativa in grado di tutelare il comparto manifatturiero dell'artigianato e dell'impresa italiano;
   il mancato accordo con i diversi Paesi europei, tra cui la Germania, per definire un quadro comune, per sbloccare il regolamento per la tutela dei consumatori europei, ed in particolare quelli italiani, e «disincagliare» l'obbligatorietà dell'etichettatura di origine, a parere dell'interrogante, contribuirà infatti negativamente a ritardare l'auspicata ripresa economica nel nostro Paese, ed in particolare delle produzioni made in Italy necessarie a rilanciare investimenti e consumi interni;
   a tal fine, evidenzia l'interrogante, occorrono azioni più rigorose anche in ambito europeo, affinché si riconosca e si approvi l'obbligo di apporre il marchio «made in» sui prodotti al fine di garantirne la piena tracciabilità, come già avviene nei principali Paesi aderenti al WTO (ad esempio USA, Giappone, Canada e Corea);
   una rapida introduzione dell'obbligo di indicazione di origine controllata contenuto nella proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti, in grado di definire nuove disposizioni in materia di «made in» per garantire la piena tracciabilità del prodotto, in considerazione di quanto in precedenza esposto, può infatti costituire una migliore difesa del patrimonio manifatturiero, dell'artigianato e dell'impresa diffusa, nonché del diritto dei consumatori a una corretta informazione sull'origine dei beni acquistati e può favorire la lotta al grave fenomeno della contraffazione –:
   quali orientamenti intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti e necessarie, in ambito comunitario, intendano assumere al fine di prevedere una rapida introduzione dell'obbligo di indicazione dell'origine contenuto nella proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti, il cosiddetto «made in», in relazione al quale il Consiglio europeo sulla competitività ha rinviato la decisione al prossimo semestre europeo di presidenza che spetterà alla Lettonia. (4-07730)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è di circa una settimana fa la lieta notizia della liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due giovani cooperanti italiane rapite lo scorso luglio in Siria;
   secondo le notizie riportate dagli organi di stampa, confermate dal Governo durante l'informativa resa alla Camera dei deputati, le due ragazze si trovavano in Siria dal 28 luglio per conto del progetto socio-sanitario denominato «Horryaty», un'associazione che organizza piccoli progetti di volontariato a favore dei civili siriani e sarebbero state rapite nella notte tra il 31 luglio e il 1o agosto 2014 da un nutrito gruppo di uomini armati;
   solo il 31 dicembre 2014 il Fronte al Nusra — il gruppo che «rappresenta» al Qaeda in Siria — aveva diffuso un video che mostrava le due ragazze chiedere aiuto al Governo italiano;
   ad oggi, numerosi rimangono gli aspetti da chiarire sulla delicata vicenda, dall'associazione per conto della quale operavano Greta e Vanessa al presunto pagamento del riscatto pagato dall'Italia in cambio della liberazione delle ragazze;
   in particolare, il «progetto Horryaty» non risulterebbe nell'elenco delle organizzazioni non governative riconosciute dalla Farnesina, ma si tratterebbe, invece, di una piccola organizzazione che avrebbe dovuto operare nell'ambito di altre più strutturate e quindi più sicure;
   dubbi rimangono poi sul presunto pagamento di un riscatto «multi-milionario», così come confermato dal quotidiano britannico Guardian, che ha citato fonti anonime «della sicurezza», e che, secondo Al Aaan, una televisione degli Emirati Arabi Uniti, ammonterebbe a 12 milioni di dollari, circa 10 milioni di euro;
   tale cifra, infatti, non è stata confermata da alcuna fonte ufficiale, né dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni durante l'informativa urgente alla Camera, che si è limitato a definire le indiscrezioni sulla cifra pagata in cambio della liberazione delle due cooperanti «prive di fondamento», mai arrivando a negare esplicitamente il pagamento di un qualche tipo di riscatto;
   in particolare, il Ministro Gentiloni, in sede di informativa, ha dichiarato: «L'Italia in tema di rapimenti si attiene a comportamenti condivisi a livello internazionale, sulla linea dei Governi precedenti. Per noi la priorità è sempre la tutela della vita e integrità fisica dei nostri connazionali»;
   già in passato l'Italia è stata più volte accusata di pagare spesso per la liberazione degli ostaggi, insieme a molti altri Paesi europei e, secondo le ricostruzioni fatte da numerosi giornali italiani e internazionali, tra i casi italiani di pagamento di riscatto ci sarebbero quelli di Simona Pari e Simona Torretta (settembre 2004), Giuliana Sgrena (febbraio 2005), Clementina Cantoni (Afghanistan, maggio 2005), Rossella Urru (ottobre 2011) e Mariasandra Mariani (febbraio 2011);
   lo stesso Giacomo Stucchi, Presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha sottolineato che «a prescindere dall'importo, pagare dei soldi, poi magari utilizzati per comprare armi, sarebbe sicuramente un errore da non fare», meglio «individuare altre soluzioni», meno «dannose anche per il futuro perché se io faccio vedere che sono disponibile a pagare poi tutte le persone che si recano in certe zone diventano un bancomat per i terroristi» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, se il progetto Horryaty veniva supportato da altre associazioni o organizzazioni non governative finanziate con i fondi stanziati per la cooperazione internazionale e se sia stata offerta una contropartita in denaro per la liberazione delle due volontarie italiane. (4-07739)


   DE LORENZIS, TOFALO, PETRAROLI e NICOLA BIANCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge del 3 dicembre 2012, n. 207 «Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale» convertito con modificazioni dalla legge n. 24 dicembre 2012, n. 231 e successive modificazioni ed integrazioni stabilisce che in caso di stabilimento di interesse strategico nazionale, individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili;
   l'articolo 1, comma 2, del decreto-legge del 3 dicembre 2012, n. 207 e successive modificazioni ed integrazioni sancisce che nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame. È fatta comunque salva l'applicazione degli articoli 29-octies, comma 4, e 29-novies e 29-decies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni;
   l'articolo 1, comma 3, del medesimo provvedimento legislativo stabilisce che fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quater-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 è punita con sanzione amministrativa pecuniaria;
   l'articolo 3, comma 1, del decreto-legge del 3 dicembre 2012, n. 207 e successive modificazioni ed integrazioni decreta che gli impianti siderurgici della società ILVA spa costituiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale; articolo 3 comma 2 dello stesso provvedimento legislativo, stabilisce che l'autorizzazione integrata ambientale rilasciata in data 26 ottobre 2012 alla società ILVA spa con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare contiene le prescrizioni volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento siderurgico della società ILVA spa di Taranto;
   l'articolo 2, comma 1, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61 «Nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale» convertito con modificazioni dalla legge del 3 agosto 2013, n. 89, commissaria l'azienda ILVA spa e l'articolo 1, comma 1-ter, del medesimo provvedimento decreta che il commissariamento di Ilva spa, fermo restando quanto disposto dall'articolo 29-decies, comma 10, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, costituisce deroga all'articolo 29-decies, comma 9, del medesimo decreto, qualora siano compiuti gli adempimenti previsti dal comma 9 del presente articolo;
   l'articolo 1, comma 9, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61 e successive modificazioni ed integrazioni sancisce gli adempimenti nella predisposizione l'osservanza delle prescrizioni nei termini ivi previsti, del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e del piano industriale, nelle more dell'adozione degli stessi piani, il rispetto delle previsioni di cui al comma 8;
   l'articolo 1, comma 5, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61 e successive modificazioni ed integrazioni, stabilisce le modalità per predispone e proporre al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria che prevede le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell'autorizzazione integrata ambientale;
   l'articolo 1, comma 6, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61 e successive modificazioni ed integrazioni, decreta che entro il termine di trenta giorni dal decreto di approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, il commissario straordinario, predispone il piano industriale di conformazione delle attività produttive, che consente la continuazione dell'attività produttiva nel rispetto delle prescrizioni di tutela ambientale, sanitaria del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria;
   l'articolo 1, comma 7, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61 e successive modificazioni ed integrazioni stabilisce che il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministro della salute, entro quindici giorni dalla proposta e comunque entro il 28 febbraio 2014 mentre il piano industriale è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, formulata entro quindici giorni dalla presentazione del piano medesimo;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014 ha approvato il Piano delle misure di tutela ambientale e sanitaria ai sensi dell'articolo 1, comma 5, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61, convertito con modificazioni dalla legge del 3 agosto 2013, n. 89;
   dalla pubblicazione delle verifiche per gli adempimenti delle prescrizioni previste dall'Aia risulta che lo stabilimento Ilva di Taranto non ha rispettato nei termini previsti, diverse prescrizioni reiterando diverse volte la non applicazione di tali disposizioni;
   ad oggi non risulta approvato il piano industriale nei termini previsti dall'articolo 1, comma 7, del  4 giugno 2013, n. 61 e successive modificazioni ed integrazioni, e quindi non è possibile attuare la deroga dell'articolo 29-decies comma 9 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 prevista l'articolo 2 comma 1 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61;
   l'articolo 29-decies comma 9 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 stabilisce che: in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni e delle misure di sicurezza di cui all'articolo 29-quaterdecies, l'autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni:
    a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze, nonché un termine entro cui, fermi restando gli obblighi del gestore in materia di autonoma adozione di misure di salvaguardia, devono essere applicate tutte le appropriate misure provvisorie o complementari che l'autorità competente ritenga necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità;
    b) alla diffida e contestuale sospensione dell'attività per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni, o nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte all'anno;
    c) alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'installazione, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l'ambiente;
    d) alla chiusura dell'installazione, nel caso in cui l'infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione;
   il decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61 e successive modificazioni ed integrazioni, di commissariamento ILVA non stabilisce la possibilità di trovare acquirenti dell'azienda commissariata, tra le funzioni previste dal Commissario;
   nel giugno del 2014 viene sostituito dal Consiglio dei ministri il commissario Enrico Bondi con il nuovo commissario Piero Gnudi senza alcuna motivazione ufficiale;
   nell'audizione alla Camera di mercoledì 17 dicembre 2014, il commissario Piero Gnudi ha affermato che il Consiglio dei ministri non ha approvato il piano industriale dell'Ilva –:
   quale soggetto dovrà pagare le sanzioni per le reiterate violazioni delle prescizioni autorizzazione integrata ambientale e se queste sono già state pagate in parte o totalmente;
   quali saranno i danni economici causati per la mancata approvazione del piano industriale dell'Ilva e quale sarà il soggetto che dovrà sostenere queste spese;
   quale sia la motivazione dell'avvicendamento del commissario Enrico Bondi con Piero Gnudi e quali sono i criteri scelti che hanno portato Gnudi a diventare commissario Ilva;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, preso atto della mancata approvazione del piano industriale nei termini previsti dall'articolo 1, comma 7, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61 e quindi di conseguenza nell'impossibilità di attuare la deroga dell'articolo 29-decies, comma 9, prevista l'articolo 12 comma 1 del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61, ritenga opportuno a causa delle reiterate violazioni delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale attuare le disposizioni previste dall'articolo 29-decies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e quindi procedere alla diffida, ovvero alla sospensione dell'attività per un tempo determinato, ovvero alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'installazione. (4-07743)


   MARTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'ultima riunione svolta giovedì 29 gennaio 2015, il Cipe comitato interministeriale per la programmazione economica, approvando il quadro finanziario nazionale a sostegno della programmazione comunitaria 2014-2020, ha stabilito che a fronte di fondi strutturali Ue per lo sviluppo regionale (Fers) e sociale (Fse) pari a 32.686 milioni di euro, il cofinanziamento nazionale in senso stretto, si attesterà a 20.085 milioni di euro, per un totale di programmazione di 51.771 milioni di euro (61,2 per cento a carico dei fondi dell'Unione europea, 38,8 per cento dei fondi nazionali);
   tale riparto, pubblicato dal quotidiano: Il Sole 24 Ore,  il 1o febbraio, evidenzia che la quota delle cinque regioni meno sviluppate (oltre a penalizzare le dotazioni per la Campania, Calabria e Sicilia, a cui si aggiungono anche la Puglia e la Basilicata che mantengono cofinanziamenti vicini al 50 per cento, risulterà la più bassa della media nazionale;
   nel centro-nord, il cofinanziamento, rileva l'articolo del quotidiano economico, appare essere nella sostanza, uguale ai fondi dell'Unione europea, ovvero pari al 50 per cento della programmazione totale, aggiungendo inoltre, che nello spostamento delle risorse, la penalizzazione maggiore riguarda i piani operativi regionali: oltre 800 milioni per la Calabria, circa 1,8 miliardi di euro per la Campania e circa 2 miliardi di euro per la Sicilia;
   sui programmi complementari, con cui l'Italia ha abbassato il cofinanziamento per il ciclo 2007-2013, per raggiungere target di spesa altrimenti distanti, la delibera Cipe, secondo quanto riporta il medesimo articolo, non riporta altro, se non come sia probabile l'avvio di una programmazione parallela che si incroci con «piani strategici» di azione e coesione finanziati anche con il Fondo sviluppo e coesione (Fsc);
   l'interrogante evidenzia, a tal fine, come nella riduzione dei trasferimenti per il Mezzogiorno, si salvaguardino soltanto i due piani nazionali per l'occupazione e per la scuola, non considerando come ad esempio, il settore infrastrutturale, strategico per la ripresa economica, i cui effetti decisionali, determineranno pertanto un ulteriore allontanamento delle regioni meridionali, rispetto a quelle del centro-nord del Paese, in termini di ripresa e sviluppo socioeconomico;
   le decisioni stabilite dal Cipe ed in precedenza richiamate, a parere dell'interrogante, evidenziano palesi iniquità e squilibri, nell'ambito dello spostamento delle risorse nei confronti delle regioni del Mezzogiorno, i cui criteri utilizzati in particolare per i piani operativi regionali, rischiano di accrescere ulteriormente il gap socioeconomico tra le due aree del Paese: il centro nord e il meridione;
   la scelta di non eliminare le risorse previste per i cofinanziamenti comunitari, per destinarle a piani di investimento vincolati al territorio, se da un lato, appare una decisione condivisibile, dall'altro lato rileva (come suesposto), un'impostazione squilibrata nell'ambito del trasferimento delle risorse finanziarie previste per le regioni del Mezzogiorno –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione delle criticità in precedenza richiamate, non ritengano opportuno, rivedere le scelte approvate dal quadro finanziario nazionale a sostegno della programmazione comunitaria 2014-2020, che rilevano profondi squilibri dei trasferimenti finanziari nei confronti delle cinque regioni del Mezzogiorno, la cui quota cofinanziata risulterà la più bassa della media nazionale;
   quali iniziative, per quanto di competenza propria, intendano assumere per rilanciare il sistema produttivo ed industriale del Mezzogiorno, le cui politiche connesse agli interventi attualmente previsti dal Governo e relazionate ai fondi comunitari previsti, evidenziano gravissimi ritardi nell'azione del Governo in carica.
(4-07750)


   MURA, AMODDIO, BARUFFI, CAMANI, CANI, CARLO GALLI, GASPARINI, GIUSEPPE GUERINI, MALPEZZI, MARANTELLI, MINNUCCI, PALMA, SGAMBATO e TIDEI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è profondamente scossa dalla storia di Walter Piludu, un uomo di 64 anni di Cagliari al quale nel 2011 è stata diagnosticata la SLA;
   in una lettera rivolta al mondo politico italiano, Piludu ha riproposto la questione — personale e generale — del fine vita;
   da metà del 2013, Piludu è completamente immobilizzato, vive con un tubo che collega, 24 ore al giorno, il naso a un respiratore meccanico e le sue funzioni vocali sono fortemente compromesse;
   nella sua lettera, dolorosa e intrisa di straordinaria forza, viene posto ancora una volta il diritto di ogni individuo, inalienabile, di poter vivere e morire con dignità e piena libertà, perché, come scrive Piludu: «la vita è una, unica, irripetibile esperienza, essa deve poter essere vissuta senza essere avvertita come una insopportabile prigione»;
   la politica e le istituzioni non possono rimanere sorde davanti a questi appelli, ripetuti negli anni da tante persone che si trovano nelle stesse condizioni del malato di Cagliari, e che è del tutto inaccettabile che si vieti in Italia ciò che è invece consentito in Paesi, come la Svizzera, dove tanti italiani decidono di porre fine alla propria vita con dignità e senza ulteriori sofferenze;
   non si possono costringere i cittadini italiani che si trovano in condizioni analoghe a quelle che oggi vive Piludu, a realizzare la loro volontà se non col rifiuto di acqua e cibo e, dunque, con una lenta morte per sete e fame;
   è inaccettabile, come scrive Piludu, inumano e non certo pietoso «costringere una persona e i suoi cari ad un tale fardello di prolungata, indicibile sofferenza»;
   il tema del fine vita è delicato e non può essere risolto in modo superficiale anche perché sono evidenti a tutti le difficoltà della politica legate a una pluralità di convincimenti ideali, appartenenze ideologiche, considerazioni di opportunità e valutazioni di utilità;
   è però compito della politica, della buona politica, affrontare sfide difficili ed eticamente complesse come quelle poste da Piludu, suscettibili anche di giudizi morali che nessuno intende sottovalutare ma che non sono di per sé una ragione per eludere un tema che riguarda la libertà e la dignità dei cittadini –:
   se non ritenga urgente assumere un'iniziativa normativa che affronti il difficile tema del fine vita, rispondendo così all'appello di centinaia di malati che chiedono di poter vivere e morire con dignità, libertà, senza immani sofferenze e inutili umiliazioni;
   quali iniziative urgenti intenda assumere per quanto di competenza per rendere, in tempi rapidi, migliore la vita delle persone che si trovano ad affrontare una vicenda come quella che sta vivendo Walter Piludu a Cagliari. (4-07758)


   SORIAL. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nonostante in Grecia le elezioni siano state appena vinte da un partito cresciuto nei consensi grazie alla richiesta di una revisione del debito verso le nazioni creditrici dell'Unione europea, secondo recenti fonti di stampa, con un patto «segreto» stretto già due mesi fa tra Unione europea e Grecia, sarebbe stato concesso a quest'ultima di non dover pagare un solo centesimo fino al 2020 ai Paesi che hanno tenuto la Grecia a galla con i loro fondi da quando nel 2009 è emerso che i suoi conti pubblici erano in condizioni critiche;
   i grandi creditori della Grecia, la Germania e gli altri Paesi dell'area euro tra cui l'Italia, avrebbero deciso, senza far trapelare la cosa, che Atene può finire di pagare 245 miliardi di debiti con calma, nel 2057: i pagamenti al fondo salva-Stati, Efsf, da parte della Grecia dovranno iniziare solo nel 2023 e finire appunto fra 42 anni;
   in questa decisione del novembre 2014 non mancherebbero anche altre facilitazioni alla Grecia: quanto ai tassi d'interesse, quelli sui 53 miliardi di prestiti concessi ad Atene da ciascun Governo interessato sono stati ridotti a un livello pari al tasso interbancario a tre mesi più 50 punti: ad oggi, la Grecia paga lo 0,53 per cento annuo; i tassi dell'Efsf attualmente sono di appena lo 0,21 per cento;
   a partire da subito e fino alla fine di questo decennio, Atene dovrà saldare solo i propri debiti verso il Fondo monetario internazionale –:
   se il Governo, che all'epoca dei fatti su esposti era alla Presidenza del semestre europeo appena conclusosi, non intenda fare luce su questo presunto patto «segreto», spiegando se sia vero quanto riportato dalla stampa e, in tal caso, quale sia il contenuto di tale patto;
   se il Governo non intenda chiarire la sua posizione in merito a questo patto con la Grecia e se non intenda, altresì, spiegare il perché del riserbo tenuto sull'argomento che certo è di grande rilevanza sia economico-finanziaria che politica anche per il nostro Paese. (4-07766)


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è drammatica la situazione di Petilia Policastro, comune di 10.000 abitanti della Calabria jonica in provincia di Crotone, dove una frana attiva dal 31 gennaio sta provocando danni gravissimi;
   una palazzina è crollata ed altre tre abitazioni hanno subito ingenti danni a causa di una frana nella frazione «Foresta» di Petilia Policastro a poca distanza dalla chiesa. Quattro famiglie sono state sgomberate dal sindaco Amedeo Nicolazzi che ha lanciato un drammatico appello nei confronti dello Stato minacciando le dimissioni;
   nel momento del crollo della palazzina i proprietari non erano in casa. Sono intervenuti i vigili del fuoco che hanno installato le apparecchiature per monitorare costantemente la situazione della frana. Dai primi accertamenti sarebbe a rischio l'intero quartiere. Sopra la montagna c’è una segheria ed è stata sgomberata per motivi di sicurezza;
   in particolare il movimento franoso è stato alimentato dalla pioggia delle ultime ore tuttavia tale l'area, è già stata interessata da gravi movimenti franosi recentemente riattivatisi e da cedimenti strutturali;
   la Calabria vive ormai da tempo e quotidianamente, problemi legati al dissesto idrogeologico e, in particolare, la provincia di Crotone rappresenta una delle zone del territorio italiano a più elevato rischio; in particolare nel comune di Petilia Policastro;
   l'istituzione della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche voluta dal Governo e la successiva nomina di tutti presidenti di regione a commissari di Governo per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico — una delle principali finalità dell'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014 — ha creato le premesse per voltar pagina e accelerare gli interventi necessari e urgenti per pianificare l'opera pubblica nazionale di cui l'Italia ha bisogno;
   il coordinatore della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha prontamente contattato il sindaco della cittadina calabrese per valutare le azioni da intraprendere;
   la legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) contiene alcuni commi finalizzati a finanziare interventi di messa in sicurezza del territorio. Si ricorda, in particolare, il comma 111 che, al fine di permettere il rapido avvio nel 2014 di interventi di messa in sicurezza del territorio, destina ai progetti immediatamente cantierabili le risorse già esistenti (nel limite massimo di 1,4 miliardi di euro) e autorizza un finanziamento aggiuntivo di 180 milioni di euro per il triennio 2014-2016, così ripartito: 30 milioni per il 2014, 50 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016;
   l'articolo 7, commi da 2 a 5 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 contiene una serie di norme principalmente finalizzate all'utilizzo delle risorse per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, nonché disposizioni volte ad agevolare la realizzazione degli interventi stessi. Si tratta di disposizioni che si innestano su quelle dettate dal citato comma 111 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) e dall'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014, e che sono finalizzate a disciplinare il recupero delle risorse finanziarie inutilizzate e la loro programmazione a decorrere dal 2015;
   in particolare con il citato decreto-legge n. 133 del 2014 si dispone che, a partire dalla programmazione 2015, le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente. Gli interventi sono invece individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del medesimo Ministero, ed attuati dal presidente della regione in qualità di commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico;
   le risorse sono prioritariamente destinate agli interventi integrati, finalizzati sia alla mitigazione del rischio sia alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità, ovvero che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. Nei suddetti interventi assume priorità la delocalizzazione di edifici e di infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità. L'attuazione degli interventi è assicurata dal Presidente della regione, in qualità di Commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico, con i compiti, le modalità, la contabilità speciale e i poteri di cui all'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116;
   con il comma 3 si disciplinano le modalità di revoca delle risorse assegnate in passato alle regioni e ad altri enti (a partire dai decreti attuativi del decreto-legge n. 180 del 1998 fino ai decreti attuativi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 262 del 2006) per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico per i quali alla data del 30 settembre 2014 non sia stato pubblicato il bando di gara o non sia stato disposto l'affidamento dei lavori nonché per gli interventi che risultino difformi dalle finalità suddette. L'espletamento degli accertamenti e dei sopralluoghi necessari all'istruttoria è affidato all'ISPRA, che vi dovrà provvedere entro il 30 novembre 2014. Le risorse così revocate confluiranno in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'articolo 40 dell'A.S. n. 1676 «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali» (collegato ambientale) introduce un meccanismo per agevolare, anche attraverso la messa a disposizione di risorse finanziarie (10 milioni di euro per l'anno 2014), la rimozione o la demolizione, da parte dei comuni, di opere ed immobili realizzati abusivamente nelle aree del Paese classificate a rischio idrogeologico elevato o molto elevato (R3 o R4)(29), in assenza o in totale difformità del permesso di costruire;
   sarebbe opportuna una sua pronta entrata in vigore per consentire agli enti locali di intervenire con tempestività e risorse nelle aree del Paese classificate a rischio idrogeologico elevato o molto elevato in cui ci siano situazioni di immobili realizzati abusivamente;
   per le attività di pianificazione, istruttoria e ripartizione delle risorse finanziarie finalizzate alla realizzazione degli interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico, la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico opera di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per quanto di competenza, con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   quali interventi urgenti il Governo intenda adottare per fronteggiare la situazione di gravissimo dissesto idrogeologico in corso nel territorio calabrese di Petilia Policastro così come previsto dalla disciplina recata dal decreto-legge n. 133 del 2014. (4-07783)


   PAGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto-legge 101 del 2013 (convertito dalla legge 125 del 2013), ha previsto disposizioni urgenti in tema di immissione in servizio di idonei e vincitori di concorsi, nonché di limitazioni a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego;
   al comma 10, si è stabilito, riguardo ai concorsi riservati nel servizio sanitario nazionale, che «... si procede all'attuazione dei commi 6, 7, 8 e 9, anche con riferimento alle professionalità del Servizio sanitario nazionale...», facendo rientrare non solo i medici ma anche gli amministrativi. L'originaria formulazione del decreto, che prevedeva che la procedura si applicasse solo ai medici, è stata appositamente modificata in sede di conversione per fare rientrare anche i dirigenti amministrativi professionali e tecnici;
   il comma 10 dell'articolo ha demandato al Ministero della salute la predisposizione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione per la relativa attuazione;
   nell'originaria versione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, già concertato, con il Ministero dell'economia e delle finanze e del Dipartimento della funzione pubblica, l'articolo 1, comma 2, recitava che «le procedure di cui al presente decreto sono riservate al personale del comparto sanità, ivi compreso quello appartenente alle aree dirigenziali, medico veterinario, sanitaria, professionale e tecnico amministrativa degli enti di cui al comma 1» facendo così rientrare anche i dirigenti amministrativi;
   invece nell'ultima versione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, inviata dal Ministero della salute alla Conferenza Stato-regioni, l'articolo 1, comma 2, recita «Le procedure di cui al presente decreto sono riservate al personale del comparto sanità e a quello appartenente alle aree della dirigenza, medica e del ruolo sanitario». Quindi vengono esclusi dalla stabilizzazione i dirigenti dell'area amministrativa, andando in contrasto con l'indicazione del decreto-legge n. 101 del 2013 in cui rientravano tutte le professionalità del Servizio sanitario nazionale –:
   in considerazione del fatto che, nella nuova versione, il provvedimento attuativo del comma 10 dell'articolo 4 del decreto legge n. 101 del 2013 potrebbe essere impugnato dinanzi alla giustizia amministrativa, se non si ritenga opportuno modificare lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nel senso di prevedere che esso sia applicabile anche ai dirigenti amministrativi professionali e tecnici. (4-07827)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la recente decisione della Banca nazionale Svizzera di rimuovere il tetto minimo per il cambio fra euro e franco svizzero introdotto oltre 3 anni fa, il 6 settembre 2011, avrà effetti negativi sull'organizzazione dei corsi di lingua e cultura italiana gestiti in Svizzera dai vari enti;
   per effetto del cambio sfavorevole, infatti, i contributi annuali concessi agli enti gestori subiranno di fatto un taglio di circa il 20 per cento che si va ad aggiungere alle decurtazioni in atto da anni per le note esigenze di revisione della spesa pubblica;
   il coordinamento degli enti gestori in Svizzera ricorda che «il numero dei corsi gestito dagli Enti è tornato a crescere nel settembre scorso, passando da 340 a 381 per un numero complessivo di alunni che passa da 3800 a 4300»;
   la graduale soppressione di posti in organico da coprire con insegnanti di ruolo inviati direttamente dall'Italia, dettata anch'essa da esigenze di risparmio, è stata compensata dall'apertura di nuovi corsi da parte degli enti;
   in mancanza di adeguate misure, la decurtazione dei contributi per l'effetto combinato dei, tagli imposti dalla spending review e dell'indebolimento dell'euro nei confronti del franco svizzero potrebbe costringere molti enti a chiudere alcuni corsi già durante il presente anno scolastico;
   i recenti Stati generali della lingua italiana hanno riaffermato l'importanza della nostra lingua come risorsa da sostenere e promuovere attraverso un'ampia gamma di interventi, tra cui, appunto, la capillare rete degli enti gestori –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare misure atte a garantire a tutti gli enti gestori operanti in Svizzera un contributo adeguato che permetta la sopravvivenza di tutti i corsi attualmente attivi e quali siano le iniziative varate per dare concreta attuazione agli auspici formulati in occasione degli Stati generali della lingua italiana. (5-04653)


   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, GRANDE, DEL GROSSO, DI BATTISTA e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Hassanna Aalia è un attivista saharawi di 26 anni che è stato condannato all'ergastolo da un tribunale marocchino e per tale motivo è dovuto riparare in Spagna, dove, come si evince da un articolo apparso su Il Manifesto del 27 gennaio 2015, pare sia «finito al centro di un inghippo politico e diplomatico che sta mettendo in imbarazzo il Governo spagnolo di Mariano Rajoy»;
   il 19 gennaio 2015, infatti, il Ministero dell'interno del Governo spagnolo ha rigettato la sua richiesta di asilo e gli ha notificato un ordine di espulsione dal Paese il che comporterà per Hassanna Aalia, entro 15 giorni, ovvero ai primi di febbraio, il ritorno in Marocco, dove sulla sua testa pende una condanna all'ergastolo;
   i fatti che hanno portato alla condanna risalgono peraltro al 2010 quando, tra l'ottobre e il novembre, a Gdeim Izik, nei pressi di Al Aaiun, principale città del Sahara Occidentale, territorio conteso tra Fronte Polisario e Marocco, occupato e amministrato da quest'ultimo da quasi quarant'anni, era stato eretto un accampamento chiamato il «campo della dignità» per protestare contro le restrizioni e le continue violazioni subite dal popolo saharawi, il peggioramento delle condizioni di vita, l'aumento della disoccupazione e lo stallo dei negoziati patrocinati dall'Onu dopo il cessate-il-fuoco siglato dai due contendenti nel 1991;
   la pacifica protesta messa in atto dai saharawi fu messa a tacere all'alba dell'8 novembre quando le forze speciali dell'esercito marocchino misero a ferro e fuoco l'accampamento, reprimendo nel sangue la protesta. Due morti accertati tra i saharawi, 11 gli agenti uccisi secondo le autorità marocchine. Accuse pesanti, anche se non suffragate da prove tangibili;
   ne seguì un lungo processo al termine del quale, nel febbraio del 2013, il tribunale militare di Rabat punì con pene durissime i 24 imputati saharawi con 9 ergastoli e 13 condanne dai venti ai trent'anni, solo due scarcerazioni;
   è arrivata immediatamente la risposta di solidarietà da parte dell'associazionismo pro-saharawi in Spagna con varie manifestazioni organizzate in tutto il Paese. Tra l'altro, la più imponente, supportata da circa un centinaio di organizzazioni, ha avuto luogo il 31 gennaio 2015 a Bilbao. Migliaia le firme raccolte da una petizione per domandare al Governo Rajoy che venga concesso l'asilo all'attivista il quale ha sempre affermato che: «...l'unica cosa che abbiamo fatto è prendere parte a una manifestazione, assieme ad altre 25 mila persone, per rivendicare la nostra terra, occupata da quarant'anni da un Paese usurpatore» –:
   se e quali iniziative intenda adottare per far recedere il Governo spagnolo dalla rischiosa decisione di rimandare in Marocco l'attivista saharawi soprattutto in considerazione della pesante e sproporzionata condanna che lo attende. (5-04661)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO, DI BATTISTA e SORIAL. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo dal titolo «30 mila pistole italiane per l'Egitto. In barba all'UE» a firma di Giorgio Beretta, apparso sulla testata giornalistica online Unimondo.org il 15 dicembre 2014, si apprende che le aziende italiane di «armamenti» avrebbero esportato, tra agosto e settembre 2014, 30.000 pistole verso l'Egitto;
   ciò sarebbe avvenuto nonostante il 10 febbraio 2014, i Ministri degli esteri dei Paesi appartenenti all'Unione europea, tramite l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la sicurezza, Catherine Ashton, avessero riconfermato la sospensione delle licenze di esportazione verso l'Egitto di ogni tipo di materiale che «possa essere utilizzato per la repressione interna», decisione assunta dai Ministri degli esteri nell'agosto del 2013. Dai documenti ufficiali dell'Unione europea non risultano successive decisioni degli stessi che abbiano posto fine a queste sospensioni;
   dal suddetto articolo si apprende inoltre che l'Autorità nazionale per le autorizzazioni di materiali di armamento (UAMA) avrebbe nello specifico autorizzato aziende bresciane a esportare armi e munizioni per 9.395.053 euro tra cui 30.000 pistole e revolver per un valore complessivo di 7.851.852 euro e 949.791 euro per «parti e accessori»;
   l'interrogante sottolinea che il 21 agosto 2013, nella relazione della 3256a sessione del Consiglio dell'Unione europea, si era giunti alla seguente decisione: «Gli Stati membri hanno inoltre convenuto di sospendere le licenze di esportazione verso l'Egitto di attrezzature che potrebbero essere usate a fini di repressione interna e di valutare nuovamente le licenze di esportazione di attrezzature di cui alla posizione comune 2008/944/PESC e di rivedere la loro assistenza nel settore della sicurezza con l'Egitto» –:
   se le informazioni riportate in premessa corrispondano al vero e, in caso di risposta affermativa, in base a quale criterio l'Autorità nazionale per le autorizzazioni di materiali di armamento abbia rilasciato l'autorizzazione all'esportazione di queste armi non risultando da alcun documento pubblico la revoca della decisione dei Ministri degli esteri dell'Unione europea di sospendere l'invio di attrezzature che potrebbero essere usate a fini di repressione interna;
   qualora non trovi conferma tale autorizzazione, in forza di quale disposizione o accordo sia avvenuta l'esportazione verso l'Egitto, riportata dalla testata giornalistica Unimondo.org sulla base delle informazioni disponibili di ISTAT e Eurostat, di 30.000 pistole nei mesi di agosto e settembre 2014;
   se, alla luce della recente repressione di manifestazioni pacifiche nel corso delle quali sono stati uccisi 23 manifestanti e della sospensione dello stato di diritto promulgata dal Presidente egiziano Al-Sisi, non reputi di dover adottare iniziative per interrompere immediatamente la vendita di armi italiane all'Egitto. (4-07768)


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il regime previdenziale australiano prevede l'obbligo congiunto del versamento della ritenuta fiscale, del pagamento dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro ed il versamento dei contributi al fondo «Superannuation»;
   il datore di lavoro e sostituto d'imposta non può assolvere un compito senza rispondere dei restanti, considerati parte integrante del regime fiscale e previdenziale australiano;
   le autorità fiscali australiane hanno più volte richiesto, attraverso la nostra ambasciata di Canberra, di conformare l'intero regime retributivo alla stringente normativa previdenziale locale, mediante il versamento della «Superannuation», anche per gli impiegati a contratto a legge italiana;
   l'ufficio VII della DGRI del Ministero degli affari esteri ribadiva l'obbligo di iscrivere all'INPS il personale titolare di un contratto regolato dalla legge italiana;
   in considerazione di questi oggettivi limiti normativi, le autorità fiscali australiane avevano concesso, in deroga alla norma, di superare l'obbligo del versamento della «Superannuation» a condizione che i dipendenti fossero consultati ed esprimessero un parere positivo attraverso un accordo;
   le autorità australiane rinunciavano, inoltre, a rivalersi, sia nei confronti dei singoli dipendenti che nei confronti del datore di lavoro, dei contributi pregressi e ad ogni rivalsa nei confronti del personale impiegato;
   il personale a contratto a legge italiana, dopo ampia e approfondita consultazione al proprio interno, faceva presente all'ambasciatore che avrebbe potuto rinunciare ai versamenti «Superannuation» qualora la ritenuta alla fonte sulle retribuzioni fosse stata effettuata solo sulla base imponibile italiana, come da CUD –:
   se non si ritenga assolutamente prioritario condurre a soluzione questa vicenda per quanto attiene al versamento della «Superannuation» per il personale impiegato a contratto nazionale italiano;
   se non si ritenga urgente assicurare che il fisco australiano non sia costretto ad assumere azioni di rivalsa nei confronti del personale locale impiegato a contratto nazionale italiano;
   se non si ritenga infine di dover portare a conclusione questa vicenda accettando le soluzioni proposte sia dal fisco australiano che dal personale dipendente. (4-07773)


   GRIMOLDI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre 2014 il comune brianzolo di Ceriano Laghetto ha deliberato di intitolare una sua piazza ai «Martiri di Odessa», con ciò intendendo onorare non soltanto la memoria delle vittime dell'Olocausto ma anche quella di coloro che persero la vita negli scontri occorsi nella rinomata città ucraina tra governativi ed autonomisti filo-russi nel maggio 2014;
   stando alla stampa locale brianzola, tale iniziativa avrebbe determinato la reazione dell'ambasciatore ucraino in Italia, Yevhen Perelygin, che in un'intervista avrebbe ipotizzato di intervenire nella vicenda rivolgendosi sia al Governo nazionale che alla prefettura territorialmente competente;
   l'ambasciatore capo missione dell'Ucraina in Italia intenderebbe contestare al comune di Ceriano Laghetto l'accostamento improprio tra i diversi eventi richiamati nella motivazione addotta per l'intitolazione della piazza ed imputare alle sue autorità l'aver passivamente accettato un punto di vista giudicato come l'esito di una manipolazione di parte;
   sembra piuttosto ravvisarsi nella scelta del comune di Ceriano Laghetto la volontà di esprimere una chiara condanna di tutte le forme di ricorso alla violenza nel perseguimento di obiettivi politici ed in particolare nei confronti di quelle che sfociano nella morte di civili innocenti –:
   se il Governo giudichi appropriata la reazione prospettata alla stampa dall'ambasciatore ucraino in Italia o non ritenga invece di potervi ravvisare gli estremi di un'ingerenza che lo dovrebbe rendere «persona non grata»;
   quale posizione il Governo intenda in concreto assumere nei confronti di eventuali lagnanze dell'ambasciatore Yevhen Perelygin nei confronti delle scelte toponomastiche fatte dalle autorità comunali di Ceriano Laghetto. (4-07782)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROBERTA AGOSTINI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
    figura della consigliera di parità, disciplinata dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, cosiddetto codice delle pari opportunità tra uomo e donna, e successive modificazioni, come è noto, ha rappresentato un consistente e significativo passo in avanti sulla via della lotta alle discriminazioni e sul terreno della promozione e del monitoraggio della parità di genere e delle pari opportunità nel mondo del lavoro;
   le consigliere di parità a livello regionale e provinciale sono nominate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e su designazione delle regioni e delle province, e in caso di mancata designazione entro 60 giorni successivi alla scadenza del mandato, vi provvede direttamente il Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
   tuttavia, come è noto, la recente riforma del sistema delle province e delle città metropolitane avvenuta con la legge n. 56 del 2014 ha profondamente ridisegnato confini e competenze dell'amministrazione locale, generando alcune incertezze sull'assetto istituzionale complessivo che vanno ad incidere anche sull'articolato tema delle consigliere di parità e che rendono necessaria una indicazione attuativa della legge che permetta una comparata e coerente applicazione in tutto il territorio nazionale della nuova normativa, salvaguardando gli interessi pubblici perseguiti e costituzionalmente protetti dell'ufficio delle consigliere di parità;
   da un lato, proprio perché quello del controllo dei fenomeni discriminatori e della promozione delle pari opportunità risulta essere tra le funzioni fondamentali assegnate alle nuove province, così come ridisegnate dalla «legge Delrio», e alle città metropolitane, non è chiaro se questo nuovo assetto porterà anche ad una modifica delle funzioni e dei compiti attuali delle consigliere di parità;
   dall'altro, non è ancora chiaro come la ridefinizione delle funzioni degli enti di area vasta e delle città metropolitane inciderà sui compiti e le funzioni attribuite dal capo IV del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, alle consigliere di parità –:
   quale sia lo stato di attuazione della legge n. 56 del 2014 con particolare riferimento alla lotta alla discriminazione sul terreno delle pari opportunità e della parità di genere nel mondo del lavoro, nonché se, a seguito dell'avvenuto riordino operato dalla citata legge n. 56 del 2014, e in attesa che vengano definitivamente adottati tutti i decreti di attuazione, sia intenzione dei Ministri interrogati, assumere iniziative per ridisegnare anche le funzioni e i compiti delle consigliere di parità. (5-04613)

Interrogazione a risposta scritta:


   GASPARINI, SCUVERA, ROBERTA AGOSTINI e GIULIANI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comma 27 dell'articolo 1 della legge 56 del 2014 indica che nelle liste per le elezioni del consiglio provinciale e del consiglio metropolitano nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento;
   il successivo comma della legge (28) ha derogato per 5 anni all'obbligo di attuazione della legge n. 215 del 23 novembre 2012 che «garantisce» la rappresentanza di genere nelle assemblee elettive;
   trattandosi di elezioni di secondo livello, a differenza delle precedenti elezioni provinciali, il Ministero dell'interno non ha pubblicato dati ufficiali sui propri canali pubblici –:
   quali siano i dati delle prime elezioni dei consigli provinciali e metropolitani relativi alle rappresentanze di genere per ogni provincia/città metropolitana;
   quali siano i dati relativi alla formazione delle liste rispetto alla garanzia prevista nella legge n. 215 del 2012;
   quali siano i dati relativi alle tipologie di incarico ricoperte dalle donne elette.
(4-07798)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, ZOLEZZI, MANNINO, BUSTO, MICILLO, DAGA, DE ROSA e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, cosiddetto decreto competitività, convertito con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2014 pubblicata nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2014, ha prorogato l'entrata in vigore del SISTRI (sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti di cui agli articoli 188 e 188-bis del decreto 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche), al 31 dicembre 2015 e a partire dal 30 novembre 2014 Selex Service Management, società del gruppo Finmeccanica, incaricata nel 2009 di realizzare il sistema di tracciabilità dei rifiuti, ha interrotto la gestione del SISTRI in coincidenza con la scadenza contrattuale;
   nello stesso «decreto Competitività» il Governo aveva già previsto di sostituire la gestione Selex avviando una gara per l'affidamento della concessione del servizio entro il 30 giugno 2015 rispettando i principi di «economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante aggiornamento tecnologico»;
   ulteriori proroghe sono state disposte da successive recenti iniziative normative;
   attraverso l'ordine del giorno presentato dal deputato Mirko Busto (9/01682A/077) e accolto dal governo pro tempore nella seduta n. 104 del 24 ottobre 2013 il Governo medesimo si è impegnato «ad adottare un piano di intervento che preveda che ogni onere versato a titolo di contributi di iscrizione al SISTRI per le annualità 2010, 2011 e 2012 dai soggetti di cui all'articolo 3 del 17 dicembre 2009 sia restituito o compensato secondo le modalità previste ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241»;
   l'inserimento di continue modifiche in così tanti provvedimenti crea non poca confusione e insicurezza in quelle aziende chiamate ad aderire obbligatoriamente al sistema –:
   quale soggetto e con quali modalità stia gestendo e gestirà il sistema SISTRI nella fase di transizione fino a nuovo affidamento e quindi con chi si dovranno interfacciare le aziende chiamate ad aderire in maniera obbligata al sistema;
   se i nuovi gestori avranno accesso ai dati raccolti negli anni di gestione da parte di Selex Service Management;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario fare ordine in questa materia mettendo a disposizione delle imprese un cronoprogramma completo, ufficiale e attendibile sulle prossime scadenze per poter programmare al meglio le proprie attività;
   se il Ministro interrogato non ritenga di riportare i punti essenziali che dovranno essere la base del nuovo contratto di affidamento e del nuovo regolamento del sistema di tracciabilità dei rifiuti;
   se e come si intenda dare attuazione e con quali tempistiche a quanto previsto nell'ordine del giorno di cui in premessa per la restituzione dei contributi di iscrizione al SISTRI per le annualità 2010, 2011 e 2012. (3-01265)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZARATTI, CIVATI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) è stato istituito ai sensi dell'articolo 28 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, con le funzioni e le risorse finanziarie, strumentali e di personale dell'APAT, dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e dell'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM), dei quali è stata disposta la soppressione a decorrere dal 24 luglio 2008; dal momento della confluenza in ISPRA dei tre Istituti il contributo ordinario è passato da euro 93.442.626,00 del 2007 a 82.380.000,00 del 2015;
   il costo del personale, seppure in presenza di un aumento delle unità a tempo indeterminato nello stesso periodo da 926 a 1200, è diminuito da euro 86.986.393,66 a euro 69.768.663,00; le stesse spese di gestione (vigilanza, manutenzioni, pulizie ed utenze di vario tipo) sempre nell'arco temporale sono passate da euro 14.212.588,25 a euro 8.468.141,00; gli enti pubblici di ricerca, sia quelli vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (CNR, INGV, OGS, e altre) che quelli non vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (ISS, ISTAT, ENEA, CRA, ASI, e altro), sono liberi di accedere a qualsiasi forma di finanziamento, sia pubblico che privato e per ISPRA tali finanziamenti risultano in larga massima preclusi, in quanto portatore di eventuali conflitti d'interesse con soggetti privati;
   l'ISPRA muove la sua attività istituzionale in risposta ad un dettato istitutivo sulla base di norme, leggi, decreti, regolamenti, protocolli comunitari, nazionali e regionali e nessun altro l'istituto pubblico ha al suo interno la molteplicità di competenze tecnico-scientifiche necessarie per affrontare la complessità dei diversi aspetti ambientali che riguardano l'intero territorio nazionale –:
   quali siano le azioni che si intendano adottare affinché l'ISPRA possa continuare a svolgere gli specifici compiti e le precipue attività statutarie di controllo, protezione e ricerca nel campo ambientale, considerato che nonostante la costante diminuzione della spesa per il personale, ad oggi sono ancora presenti all'interno dell'ente circa 130 lavoratori precari, decine dei quali in scadenza di contratto nei prossimi mesi e che per assenza di fondi l'amministrazione ISPRA dichiara ad oggi di non poter rinnovare;
   quali iniziative si intendano intraprendere per garantire la piena autonomia dell'ISPRA nello svolgimento della propria attività tecnico-scientifica di garanzia, per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in primis e per il Paese più in generale, in coerenza con l'articolo 2, comma 3, lettera b), dello statuto ISPRA: «L'Istituto stipula Convenzioni, Contratti ed Accordi con Amministrazioni, Enti, Istituti, Associazioni, persone giuridiche pubbliche o private nazionali, estere od internazionali (...) per lo svolgimento di ricerche particolari attinenti ai propri compiti istituzionali»;
   quale sia il motivo per il quale non è stato messo a disposizione dell'Istituto l'intero contributo ordinario fin dall'inizio di gennaio in modo da garantire le anticipazioni necessarie all'espletamento delle attività dell'ISPRA e per risolvere le attuali difficoltà di cassa per le quali l'ISPRA sta ricorrendo al sistema del credito bancario, generando ulteriori costi per la pubblica amministrazione;
   quale sia il motivo per il quale, dalla sua istituzione ad oggi, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha mai provveduto a stipulare la Convenzione triennale di cui all'articolo 12, comma 4, del decreto ministeriale 21 maggio 2010, n. 123, riportata nello Statuto ISPRA (articolo 2, comma 6), per determinare le priorità delle attività in coerenza con i compiti istituzionali dell'Istituto e garantire la continuità delle risorse finanziarie, mentre nel contempo sono state affidate dallo stesso Ministero ingenti risorse pubbliche a Società private in house come SOGESID, che solo nel corso del 2012 ha fatturato oltre 23 milioni di euro, di cui 13,7 girati dal medesimo Ministero, per attività di supporto tecnico che potrebbero essere adeguatamente svolti dall'Istituto, secondo i propri specifici compiti statutari. (5-04619)


   GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 26 novembre 2014 la Commissione europea ha sollecitato l'Italia, attraverso una richiesta formale (parere motivato) a porre fine all'utilizzo su larga scala di metodi di cattura non selettiva di uccelli selvatici, come appunto le reti vietate dalla direttiva n. 2009/147/CE;
   in alcune regioni italiane, infatti, per molti anni è stata autorizzata ed effettuata la cattura con le reti di certe specie di uccelli (Columba Palumbus, Turdus pilaris, Turdus philomelos, Turdus iliacus, Turdus merula, Vanellus vanellus, Alauda arvensis) destinati ad essere impiegati come richiami vivi;
   a febbraio 2014 la Commissione dell'Unione europea aveva inviato all'Italia una lettera di costituzione in mora invitandola a interrompere questo metodo vietato di cattura degli uccelli e concludendo che le condizioni per applicare deroghe non erano soddisfatte, ma poiché l'Italia, in questi mesi, non ha posto rimedio in maniera adeguata alle violazioni del diritto dell'Unione europea derivanti da autorizzazioni concesse in modo illegittimo dalle regioni e ancora in vigore, la Commissione ha deciso di procedere con il parere motivato;
   dall'invio del suddetto parere l'Italia disponeva di due mesi per adottare tutte le misure necessarie per garantire la conformità tra il diritto italiano e quello comunitario in materia: se il nostro Paese non ottempererà a tale obbligo la questione potrà essere deferita alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   rispondendo ad un'interpellanza urgente (2-00779) in data 12 dicembre 2014, il Sottosegretario di Stato all'ambiente e alla tutela del territorio e del mare, onorevole Silvia Velo, ha annunciato l'intenzione di inserire nel disegno di legge europea 2014, una nuova norma che stabilirebbe che l'attività di cattura, per l'inanellamento e per la cessione ai fini di richiamo, può essere svolta esclusivamente con mezzi, impianti o metodi di cattura che non siano vietati ai sensi dell'allegato IV della direttiva n. 2009/147/CE. Pertanto, la cattura di uccelli selvatici tramite le reti, espressamente vietata dall'allegato IV, lett. a), della direttiva, non sarà più consentita, neanche attraverso lo strumento delle deroghe;
   nel caso si arrivasse al deferimento alla Corte europea, questa procedura potrebbe costare al nostro Paese decine di milioni di euro: la sanzione minima per l'Italia è stata determinata in 9.920.000 euro, mentre la penalità di mora può oscillare tra 11.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, in base alla gravità dell'infrazione –:
   essendo trascorsi oltre due mesi dall'invio del parere motivato, quali siano state le azioni del Ministero interrogato in seguito alla risposta all'interpellanza succitata e se ci siano state delle ulteriori comunicazioni ufficiali tra la Commissione europea e il Governo italiano, al fine di mettere fine alla procedura di infrazione e scongiurare così il deferimento alla Corte di giustizia. (5-04647)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il soggetto gestore dell'Area naturale protetta regionale Parco fluviale del Nera (ex consorzio del Parco fluviale del Nera, attualmente, comunità montana Valnerina), ha realizzato, in località Casteldilago di Arrone (TERNI), un impianto di «Fertirrigazione Confinata e Controllata (FCC)» per il trattamento delle acque di vegetazione (AV) provenienti dalla molitura delle olive, grazie al finanziamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'impianto sta operando, dall'anno 2007, in regime di sperimentazione con autorizzazione ad hoc rilasciata, di anno in anno, dalla Regione dell'Umbria;
   il processo di Fertirrigazione Confinata e Controllata si configura come una utilizzazione agronomica delle AV non come un trattamento rifiuti, in quanto mira all'uso delle sostanze nutritive in esse presenti ed al loro utilizzo fertirriguo per l'accrescimento della piantagione di pioppi ed in definitiva per la produzione di biomassa lignocellulosica;
   il refluo oleario è considerato, dalla vigente normativa, un rifiuto se non utilizzato a fini agronomici e la tecnologia alla base dell'impianto, brevettata in sede europea da Isrim, consente un utilizzo agronomico del refluo oleario, ma con un metodo innovativo rispetto alla normativa vigente: il refluo oleario immesso nell'impianto non viene trattato o depurato e poi «reimmesso» nell'ambiente o in fognatura ma viene utilizzato, all'interno dell'impianto stesso, per irrigare al livello sub superficiale gli apparati radicali dei pioppi sovrastanti, con conseguente assorbimento del refluo e produzione di biomassa che, a sua volta, potrà essere avviata alla cippatura e quindi utilizzata come combustibile da fonte rinnovabile;
   per massimizzare i conferimenti del refluo da parte dei piccoli frantoi artigianali operanti nell'area del Parco fluviale del Nera, con indubbi vantaggi ambientali in termini di riduzione degli spargimenti, è necessario facilitare le procedure amministrative inerenti la gestione dell'impianto, sottraendolo alla normativa sulla gestione dei rifiuti ed ai costi di gestione relativi;
   una regolamentazione di regime dell'impianto basata su quanto già stabilito in sede di sperimentazione, (D.G. della regione Umbria n. 1656 del 15 ottobre del 2007), andrebbe esattamente nella direzione della valorizzazione dell'investimento pubblico e dei vantaggi ambientali sopra esposti;
   il corretto riconoscimento normativo di tale tecnologia potrebbe avere ricadute positive non solo per la tutela dell'ambiente ma anche per lo sviluppo economico;
   il Parco fluviale del Nara ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di pronunciarsi su tale problematica sin dall'anno 2011, senza aver ricevuto ancora risposta –:
   come, in base a quanto chiaramente esposto in premessa, il Ministro interrogato, definisca l'impianto di fertirrigazione del Parco del Nera, ossia se esso sia inquadrato come un impianto di smaltimento di rifiuti oppure, come tutta la sperimentazione attuata dimostra, un impianto con fine agronomico delle acque di vegetazione;
   se ritenga che le acque di vegetazione immesse in tale impianto di Fertirrigazione Confinata e Controllata siano da considerarsi rifiuti o, come dimostra il caso in oggetto, degli ammendanti;
   se intenda provvedere, rapidamente, a predisporre gli strumenti, anche normativi, necessari a riconoscere la tecnologia innovativa sopra descritta, consentendo alla Regione dell'Umbria di poter terminare la fase di sperimentazione e di regolamentare correttamente la fase di gestione di regime dell'impianto in oggetto, sottraendolo, nel caso, alla normativa degli impianti di gestione dei rifiuti. (4-07709)


   L'ABBATE, DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione 2014 del Rapporto nazionale pesticidi nelle acque, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha reso noti i livelli di contaminazione regionali relativi agli anni 2011-2012, attraverso un confronto con i limiti di qualità ambientale stabiliti a livello europeo e nazionale quali: gli standard di qualità ambientale (SQA) per le acque superficiali (Dir. 2008/105/CE, decreto legislativo n. 152 del 2006), le norme di qualità ambientale per la protezione delle acque sotterranee (Dir. 2006/118/CE);
   al proposito, l'ISPRA tiene a sottolineare che sebbene non sia messo in discussione il beneficio che deriva dall'impiego delle sostanze chimiche in agricoltura, la maggior parte dei pesticidi, il cui utilizzo è peraltro diffuso anche in altri ambiti non strettamente agricoli, è costituita, da molecole di sintesi selezionate per combattere taluni organismi nocivi e per questo generalmente pericolose per tutti gli organismi viventi;
   dal rapporto in questione emerge che «nel biennio 2011-2012 sono stati analizzati 27.995 campioni per un totale di 1.208.671 determinazioni analitiche. Le informazioni provengono da 19 regioni e province autonome, con una copertura del territorio nazionale incompleta, soprattutto per quanto riguarda le regioni centro-meridionali, e in maniera più accentuata per le acque sotterranee»;
   con particolare riferimento al 2012, «le indagini hanno riguardato 3.500 punti di campionamento e 14.250 campioni e sono state cercate complessivamente 335 sostanze. Nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel 56,9 per cento dei 1.355 punti controllati. Nelle acque sotterranee sono risultati contaminati il 31,0 per cento dei 2.145 punti. Le concentrazioni misurate sono spesso basse, ma il risultato complessivo indica un'ampia diffusione della contaminazione. I livelli sono generalmente più bassi nelle acque sotterranee, ma residui di pesticidi sono presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili»;
   il dato allarmante risiede nel fatto che «sono state trovate 175 sostanze diverse, un numero più elevato degli anni precedenti. Gli erbicidi, come sempre, sono le sostanze più rinvenute, soprattutto a causa dell'utilizzo diretto sul suolo e del periodo dei trattamenti, spesso concomitante con le precipitazioni meteoriche più intense di inizio primavera, che ne determinano un trasporto più rapido nei corpi idrici superficiali e sotterranei. Rispetto al passato è aumentata, però, significativamente la presenza di fungicidi e insetticidi, soprattutto nelle acque sotterranee»;
   inoltre, «nelle acque superficiali, 253 punti di monitoraggio (17,2 per cento del totale) hanno concentrazioni superiori al limite. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono: glifosate e il suo metabolita AMPA, metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e il suo principale metabolita. Nelle acque sotterranee, 152 punti (6,3 per cento del totale) hanno concentrazioni superiori al limite. Le sostanze più frequentemente rinvenute sopra il limite sono: bentazone, metalaxil, terbutilazina e desetil-terbutilazina, atrazina e atrazinadesetil, oxadixil, imidacloprid, oxadiazon, bromacile, 2,6-diclorobenzammide, metolaclor»;
   per la regione Puglia «i dati si riferiscono al 2012 per le acque superficiali e al 2011 per le acque sotterranee. Nelle acque superficiali sono stati indagati 58 punti di monitoraggio e sono state cercate 30 sostanze, ben al di sotto della media italiana. Ci sono residui nel 3,4 per cento dei punti e nel 0,6 per cento dei campioni investigati. Il diuron è la sola sostanza trovata. La rete di monitoraggio delle acque sotterranee risulta essere limitata rispetto all'estensione della regione i punti individuati infatti sono solo 13. Nelle acque sotterranee è stata riscontrata la presenza di linuron nel 7,7 per cento dei punti e nel 7,7 per cento dei campioni»;
   la limitatezza dei dati disponibili, però, non ha consentito all'ISPRA «di esprimere un giudizio adeguato sullo stato di qualità delle acque» proprio perché le risultanze non sono rappresentative dell'impatto dei pesticidi nella regione Puglia;
   al proposito, l'ISPRA sottolinea la sussistenza di una disomogeneità dei controlli fra le regioni del nord e quelle del centro-sud, dove tuttora il monitoraggio è generalmente poco rappresentativo, sia in termini di rete, sia in termini di sostanze controllate;
   l'articolo 73 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nel normare la tutela delle acque dall'inquinamento, stabilisce, tra gli altri, la persecuzione dei seguenti obiettivi: a) prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati; b) conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi; c) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili; d) mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate;
   l'articolo 3 del decreto legislativo n. 30 del 2009, riguardo la protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento, in attuazione della direttiva 2006/118/CE, stabilisce che ai fini della valutazione dello stato chimico di un corpo o di un gruppo di corpi idrici sotterranei, le regioni sono tenute ad adottare degli standard di qualità ambientale e valori soglia espressamente indicati a norma di legge –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali misure intendano adottare per arrestare il fenomeno di contaminazione delle acque, dei terreni, dell'ambiente, degli organismi e degli ecosistemi esposti, sia a livello nazionale sia regionale, con la concertazione con i governi locali;
   se intendano avviare, compatibilmente con le proprie funzioni ed attribuzioni, un'indagine riguardo i limiti del monitoraggio riscontrati in molte regioni nonché l'indisponibilità di taluni dati, con particolare riferimento alla regione Puglia, stante la segnalata disomogeneità dei controlli fra le regioni del nord e quelle del centro-sud;
   se non ritengano necessario eseguire, nell'ambito delle proprie competenze, un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio che tenga conto delle sostanze immesse sul mercato in anni recenti, al fine di individuare proficuamente sostanze dannose per l'ambiente acquatico. (4-07710)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il quartiere Vallerano, nato a seguito della Convenzione urbanistica tra il Comune di Roma e il Consorzio Vallerano stipulata il 18 aprile 1996, è interessato da un forte impatto ambientale dovuto al processo di trasformazione urbana che sta interessando l'assetto del territorio circostante, con notevoli ricadute sul piano ambientale, della mobilità e dei pesi insediativi, che avranno effetti sulla funzionalità e sulla qualità della vita dei cittadini di Valleranno;
   nell'ambito di tali misure di trasformazione urbana è previsto l'interramento dell'elettrodotto aereo «Magliana Sud» della società Terna, proveniente dalla Magliana e che attraversa i quartieri Torrino nord e Vallerano, lungo il cui tracciato si trovano abitazioni private e addirittura una scuola media, la «Paola Sarro», il cui bacino di utenza comprende, oltre a Vallerano, altri quartieri del Municipio XII, quali Trigoria, Fonte Laurentina e Casal Fattoria;
   già nel 1992 l'ENEL aveva comunicato che l'elettrodotto sarebbe stato dismesso, affermando nel 1996 che questo sarebbe avvenuto nel 1998, e successivamente, nel 1999 che «causa impreviste problematiche di carattere tecnico sono stati modificati i programmi di attività che hanno fatto slittare la demolizione dell'elettrodotto in argomento all'anno 2002»;
   nel 2000, con il subentro della società TERNA spa nella gestione dell'elettrodotto si assisteva ad un nuovo cambio di programmi posto che la stessa società dichiarava che l'elettrodotto era regolarmente autorizzato dal Ministero dei lavori pubblici e rifiutava di procedere alla sua demolizione;
   in seguito ad una lunga controversia tra TERNA e il Consorzio si arrivava a quel punto a ritenere che l'obbligo dell'eliminazione dei tralicci dell'elettrodotto e le relative spese gravassero sul Consorzio, pur non essendo detta spesa inserita nella Convenzione del 1996, a tutto danno dei consorziati cui si stava tentando di imporre il pagamento di oneri non dovuti;
   nel giugno del 2006 ai consorziati viene comunicato che «il Comune di Roma, come risulta dal Verbale redatto il 04/04/06, si è impegnato a finanziare l'importo pari ai 2/3 della somma occorrente per l'interramento dell'elettrodotto. Resta a carico del Consorzio l'obbligo di corrispondere la restante quota (1/3)»;
   il 17 marzo 2010 viene firmato l'aggiornamento del (protocollo di intesa per il riassetto della rete elettrica tra il comune di Roma e TERNA che sancisce definitivamente l'obbligo, da parte di Terna, di eseguire a proprie spese l'interramento dell'elettrodotto;
   in base al successivo accordo tra il comune di Roma e la società Terna spa i lavori per l'interramento dell'elettrodotto avrebbero dovuto avere inizio entro l'anno 2012;
   il 15 febbraio 2011 TERNA presenta il progetto di interramento alla valutazione impatto ambientale (VIA) regionale, ma nel frattempo le competenze sulla valutazione d'impatto ambientale sono passate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per cui si dovrà aspettare ancora fino all'ottobre del 2013 che Terna ripresenti il progetto al Ministero competente per ottenere l'autorizzazione;
   l'elettrodotto non solo rappresenta un possibile danno alla salute per esposizione ai campi elettrici e magnetici negli ambienti residenziali, pubblici (scuola media di Vallerano appartenente all'Istituto comprensivo Marta Russo) e nell'ambito esterno (parco giochi), ma rappresenta per tutti i consorziati anche un continuo danno economico per la mancata chiusura del Consorzio Vallerano;
   quest'ultimo, infatti, non si può chiudere per l'omessa consegna al comune del tratto di strada pubblica, via John Lennon, ove insistono due tralicci dell'elettrodotto, che riducono la carreggiata rispetto agli obblighi della Convenzione;
   ad oggi, il progetto d'interramento risulta ancora in attesa, dopo oltre un anno, di ricevere il necessario nulla osta da parte della Commissione per la valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, posto che è stato inserito nel più ampio progetto di «Riassetto della rete elettrica AT/AAT nell'area metropolitana di Roma-Quadrante Sud-Ovest» –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere affinché si possa giungere quanto prima alla realizzazione dell'opera di cui in premessa, in primissimo luogo al fine di tutelare la salute dei residenti della zona, e affinché si possa finalmente giungere alla chiusura della Convenzione, che a norma della stessa sarebbe dovuta avvenire nel 2006. (4-07729)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che un elicottero sta sorvolando i territori della provincia di Vibo Valentia e, nello specifico, della fascia montana del comprensorio delle Serre destando la curiosità degli abitanti che hanno inviato diverse segnalazioni alle autorità di polizia in cerca di spiegazioni;
   da giorni, in effetti, tutto il Sud Italia è interessato da quello che si ipotizza essere uno studio concepito per identificare masse metalliche sepolte ed eventuali rifiuti radioattivi o comunque pericolosi, illegalmente sotterrati nel suolo tra Serra San Bruno, Mongiana e Fabrizia;
   il velivolo, un AS350 B3, transitato a bassa quota, dovrebbe appartenere ad un'azienda di telerilevamento aereo specializzata nella misurazione di parametri fisici e geochimici del suolo terrestre, la «Helica» di Udine, impegnata in un'attività di monitoraggio in alcune zone della Calabria. La società Helica svolge diverse attività per conto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ed ha operato nell'emergenza del terremoto in Abruzzo e nell'alluvione di Messina;
   l'elicottero ha sorvolato a quota bassa tutto il territorio facendo oscillare un tubolare rosso, successivamente identificato in un rilevatore geofisico con sistema laserscan (LiDAR), già adoperato nella primavera 2014 nel progetto «Miapi» (Monitoraggio ed, individuazione delle aree potenzialmente inquinanti) per effettuare una prima mappatura del territorio;
   lo strumento tecnico nel dettaglio è un oggetto tre-direzionale è dotato di sensori magnetici ai vapori di potassio a pompaggio ottico. Le elevate prestazioni e la particolare configurazione dei tre sensori, permettono di ottimizzare l'identificazione delle masse metalliche sepolte con altissima precisione, identificando piccole variazioni laterali e verticali nel campo magnetico, definendo con precisione i bordi o i contatti tra i corpi che generano l'anomalia. La presenza dei tre sensori, nota la loro posizione spaziale, permette di calcolare i tre gradienti in X, in Y ed in Z per ogni istante di campionamento. Lo strumento è dotato di un'antenna GPS e di un radar altimetro posizionati sulla punta del bird, così da poter registrare la posizione spaziale esatta di ogni campione;
   nessuna notizia ufficiale trapela sull'indagine che non riguarderebbe comunque solo la Calabria e che potrebbe essere stata avviata a seguito di alcune denunce giornalistiche che sull'argomento dei rifiuti radioattivi hanno più volte acceso i riflettori;
   persiste, dunque, il forte dubbio che le operazioni di monitoraggio aereo, siano strettamente connesse alle desecretazioni del 5 maggio 2014 di alcuni atti dei, servizi segreti che hanno accesso l'attenzione di media e degli amministratori locali, oltreché i timori dei cittadini, rispetto ad un paventato traffico di sostanze tossiche, disseminate nei decenni scorsi proprio tra le Serre Vibonesi e l'Aspromonte;
   la notizia dell'esistenza di rifiuti tossici interrati nel comprensorio delle Serre, che aveva creato un notevole allarme nella cittadinanza, era stata appresa in seguito alla desecretazione di un documento riservato dei servizi segreti risalente al 1995:
   emergeva che nei territori di Serra San Bruno, Mongiana e Fabrizia erano stati occultati rifiuti tossici e uranio rosso. Secondo quanto emerge dai documenti cui è stato tolto il segreto, le discariche di rifiuti radioattivi sarebbero state parecchie in particolare a Serra San Bruno e Mongiana. Le scorie radioattive sarebbero state trasportate via mare, tra gli anni Ottanta e Novanta e occultate nei solchi scavati per i metanodotti e in alcune grotte esistenti sul territorio;
   dalle indagini svolte dal Sisde di Reggio Calabria pare che i fusti nascosti siano circa settemila. Le scorie sarebbero state trasportate via mare dall'est europeo e sulle navi sarebbero state imbarcate anche armi e droga –:
   di quali elementi informativi disponga il Governo con riferimento alla richiamata vicenda e se non ritenga doveroso che venga fatta chiarezza per quanto di competenza, sulla presenza di scorie radioattive interrate nel territorio delle Serre frutto di traffici criminali coperti dal silenzio delle istituzioni che va avanti dagli anni Novanta;
   se non ritenga opportuno pubblicare quanto prima i risultati del monitoraggio per favorire la successiva bonifica dei siti inquinati;
   se, vista l'alta incidenza di tumori in alcune zone della Calabria, non ritenga urgente assumere iniziative per promuovere l'istituzione del registro tumori e del registro epidemiologico. (4-07737)


   FRACCARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comma 515, articolo 1, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 stabilisce che «mediante intese tra lo Stato, la regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano, da concludere entro il 30 giugno 2014, sono definiti gli ambiti per il trasferimento o la delega delle funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti [...] al Parco nazionale dello Stelvio, per le province autonome di Trento e di Bolzano. Con apposite norme di attuazione si provvede al completamento del trasferimento o della delega delle funzioni statali oggetto dell'intesa»;
   in data 19 marzo 2014 l'interrogante ha presentato l'interrogazione a risposta scritta 4/04106 alla quale non è stato ancora fornito riscontro nonostante i solleciti rivolti al Governo in data 2 settembre e in data 17 dicembre 2014;
   in data 17 dicembre 2014 il consiglio della provincia autonoma di Trento ha approvato all'unanimità la proposta di ordine del giorno n. 8 al disegno di legge 51-52/XV «Coinvolgimento del Consiglio provinciale nell'esame delle norme di attuazione sulla delega di funzioni statali concernenti il Parco dello Stelvio». L'atto politico impegna la giunta a coinvolgere il consiglio della provincia autonoma di Trento nell'esame dello schema di Norma di attuazione relativa alla «delega di funzioni amministrative statali concernenti il Parco Nazionale dello Stelvio», con particolare riferimento alle sue ricadute economiche e finanziarie sul bilancio provinciale, prima dell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri, nonché a illustrare al consiglio della provincia autonoma di Trento la bozza d'intesa tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, provincia autonoma di Trento, provincia autonoma di Bolzano e regione Lombardia — «concernente l'attribuzione di funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti al Parco Nazionale dello Stelvio, ai sensi dell'articolo 1, comma 515 della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 e dell'articolo 11, comma 8 del Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116», prima della sua sottoscrizione;
   lo statuto speciale di autonomia per il trentino Alto Adige prevede che le norme di attuazione dello statuto vengano emanate nell'ambito di una procedura che prevede, tra l'altro, l'acquisizione dei necessari pareri degli organi di volta in volta competenti; al riguardo, viene in considerazione il parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle modifiche dello schema di norme di attuazione dello statuto, recante modifica al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, in materia di delega di funzioni amministrative statali concernenti il parco nazionale dello Stelvio. Tale parere deve essere necessariamente reso pubblico allo scopo di consentire un dibattito informato in seno agli organi legislativi provinciali competenti –:
   se il Ministro interrogato sia conoscenza dei fatti indicati in premessa;
   se sia stato reso il prescritto parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare quali siano i contenuti di tale parere;
   quali iniziative intenda adottare in relazione al parco nazionale dello Stelvio allo scopo di favorire un controllo più diffuso sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di concorrere ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche. (4-07738)


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni sono iniziati i lavori che porteranno alla realizzazione del collegamento Hdvc Italia-Montenegro, il cosiddetto elettrodotto della società Terna, approdato sulla costa di Pescara;
   all'indomani del maltempo le aree utilizzate per il cantiere nei pressi del Fiume Pescara sono state pericolosamente sommerse dall'acqua. Il Fiume Pescara ha letteralmente sommerso diversi cantieri l'elettrodotto in provincia di Pescara e occupato aree in cui presto dovrebbero iniziare i lavori per i sostegni;
   in una nota numerose associazioni ambientaliste e comitati hanno sottolineato forti preoccupazioni;
   a loro avviso più di un terzo (55 su 151 sostegni) di questa grande opera è localizzato in e classificate a rischio idrogeologico. Piloni a rischio esondazione dovrebbero essere costruiti non solo sul Pescara ma anche sul Sangro e sul Sinello. I 55 sostegni ricadono in aree appartenenti alle categorie di rischio secondo la classificazione ufficiale delle mappe del rischio regionali (PSDA e PAI) –:
   se non ritenga necessario, per quanto di competenza, ogni eventuale rischio per il territorio; b) le decisioni assunte dai soggetti istituzionali preposti ai controlli e al rispetto delle prescrizioni del progetto; quali iniziative, di competenza intenda assumere per la salvaguardia del territorio e la prevenzione di possibili dissesti idrogeologici. (4-07746)


   DE LORENZIS, PETRAROLI e NICOLA BIANCHI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ogni attività produttiva produce un rifiuto attraverso la produzione di scorie, residui, scarti di lavorazione, vuoti a perdere, involucri, liquidi di scarto;
   per gestione dei rifiuti si intende l'insieme delle politiche, procedure o metodologie volte a gestire l'intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro destinazione finale coinvolgendo quindi la fase di raccolta, trasporto, trattamento (riciclaggio o smaltimento) fino al riutilizzo dei materiali di scarto, solitamente prodotti dall'attività umana, nel tentativo di ridurre loro effetti sulla salute umana e l'impatto sull'ambiente;
   il Regolamento (CE) n. 2150/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2002 delinea le statistiche comunitarie sulla gestione dei rifiuti. Il quadro dovrebbe permettere all'Unione europea (UE) di disporre di dati regolari e comparabili al fine di seguire l'attuazione della politica comunitaria in materia di produzione, recupero e smaltimento dei rifiuti;
   la gerarchia dei rifiuti è stabilita dall'articolo 4 della direttiva 2008/98/CE: nell'applicare tale gerarchia dei rifiuti di cui al paragrafo 1, gli Stati membri adottano misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo;
   la gestione integrata dei rifiuti in Italia è stata introdotta con il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 («Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio» cosiddetto decreto Ronchi del 1997) emanato in attuazione delle predette direttive dell'Unione europea;
   la materia inerente la gestione dei rifiuti è oggi raccolta nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia ambientale» conosciuto anche come Testo unico ambientale e nelle successive modificazioni e integrazioni a esso con particolare riferimento al decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 recante l'armonizzazione del citato testo unico con la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti;
   per quanto concerne il trasporto aereo, i servizi offerti ai passeggeri durante i viaggi (pasti, bevande, giornali e altro) comportano una produzione consistente quotidiana e annuale di rifiuti: si tratta in genere di carta, plastica, vetro e rifiuti organici;
   risulta all'interrogante, che ogni passeggero mediamente utilizza differenti materiali tra giornali, bicchieri, fazzoletti, bottiglie, involucri per alimenti, contenitori per succhi in tetrapack e altri;
   sulla suddetta questione non risultano esserci per i gestori norme cogenti in tema di sanzioni, tariffe incentivanti per la riduzione, riuso e per il riciclo dei rifiuti, se non su base volontaristica da parte delle società di gestione degli aeroporti o nell'ambito dei contenuti del regolamento di Scalo di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 8 settembre 2004 n. 237, convertito con modificazioni dalla legge 9 novembre 2004, n. 265;
   come noto, il regolamento di Scalo, è predisposto dal gestore aeroportuale e adottato dalla direzione aeroportuale ENAC;
   generalmente, ove richiesto dal gestore aeroportuale, l'operatore seleziona e conferisce separatamente i propri rifiuti urbani secondo la normativa in materia di raccolta differenziata. Per i rifiuti di origine alimentare provenienti dagli aeromobili in forza delle normative sanitarie vigenti sono gestiti direttamente dai caterers che ne assicurano, altresì, la gestione e lo smaltimento;
   come noto, i green public procurement (GPP) rappresentano uno valido strumento finalizzato a orientare l'acquisizione di prodotti e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche nella direzione della sostenibilità ambientale;
   nel campo della ristorazione collettiva, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stabilito precise indicazioni in tal senso attraverso la predisposizione di criteri ambientali minimi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   di quali dati aggiornati i Ministri interrogati dispongano in relazione alla quantità e alla tipologia dei rifiuti provenienti ogni anno dal traffico aereo durante il trasporto aereo dei passeggeri in Italia;
   se i Ministri interrogati ai sensi dell'articolo 195, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 nell'esercizio dei propri poteri relativi all'organizzazione e attuazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani intendano adottare nell'ambito del trasporto aeroportuale, misure a favorire la riduzione a monte dei rifiuti, promuovendo l'utilizzo di imballaggi e oggetti riutilizzabili o compostabili (stoviglie, contenitori ed altro) e contestualmente limitando il ricorso a prodotti monouso ovvero non differenziabili e reciclabili, anche qualora nel territorio comunale ove sorge l'aerostazione non sia attiva la raccolta della frazione organica dei rifiuti, conformemente al principio di prevenzione e riciclo della produzione di rifiuti, se del caso, prendendo a riferimento anche i criteri ambientali minimi di cui al decreto ministeriale 25 luglio 2011 (Gazzetta Ufficiale n. 220 del 21 settembre 2011), in tema di ristorazione collettiva –:
   se non intendano adottare le opportune iniziative normative affinché ciascun gestore aeroportuale, vettore aereo, ente pubblico locale interessato siano obbligati a pubblicare sul proprio sito web una relazione mensile sull'implementazione delle politiche di riduzione, riuso e riciclo che includa il dettaglio giornaliero ovvero settimanale della raccolta differenziata operato indicando il peso delle varie categorie di rifiuto raccolte comprendendo anche quelle non differenziata;
   se i Ministri interrogati intendano farsi promotori di una azione di informazione relativamente questa problematica in sede europea, sollecitando ove necessario, l'adeguamento delle direttive esistenti in materia. (4-07762)


   REALACCI, BRATTI e CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni è stato richiesto agli Stati membri dell'Unione europea un impegno sempre maggiore e incisivo verso la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti, oltreché il riuso e la raccolta differenziata di qualità;
   il quadro normativo generale sui rifiuti è indicato dalla Commissione europea attraverso la direttiva 2008/98/CE e punta a creare una società «waste free», dove crescita economica e produzione di rifiuti smettano di andare di pari passo e cioè siano inversamente proporzionali. Obiettivo della direttiva 2008/98/CE è proteggere l'ambiente e la salute umana e animale attraverso: la riduzione degli impatti negativi derivanti dalla produzione e dalla gestione dei rifiuti, un minore e più efficace utilizzo delle risorse. A tutti gli Stati dell'Unione europea è richiesto di attivarsi per fare in modo che, entro il 2020, si avviino politiche di prevenzione del rifiuti e almeno il 50 per cento dei rifiuti domestici o simili (come carta, plastica, vetro, metalli) venga riciclato o riutilizzato per ottenere nuovi prodotti: una parte importante delle politiche sull'economia circolare che anche l'Unione europea intende implementare;
   a livello nazionale la principale fonte normativa sulla gestione dei rifiuti è data decreto legislativo n. 152 del 2006 «Norme in materia ambientale», detto anche testo unico ambientale, che attua la direttiva 2008/98/CE e altre direttive comunitarie. Anche in questi mesi il Parlamento italiano sta licenziando nuovi strumenti normativi affinché in tutta la Penisola possano messe in campo nuove strategie di prevenzione dei rifiuti, unitamente all'aumento del riciclo e del riuso degli scarti;
   infatti, se in Italia dal punto di vista del riciclo e del riuso alcuni passi avanti sono stati fatti, pur permanendo delle disomogeneità in alcune aree del Paese, poco è stato fatto sotto il profilo della prevenzione dei rifiuti;
   la prevenzione dei rifiuti e il riuso sono inoltre settori chiave della green economy e soprattutto dell'economia nazionale. Nel 2013 in Europa alcune «buone pratiche» messe in campo hanno prodotto valore aggiunto per miliardi di euro e hanno già tagliato, stando all'Agenzia europea per l'ambiente, 38 milioni di tonnellate di CO2, contribuendo a creare migliaia di posti di lavoro stabili. Secondo il rapporto Green Italy 2014 l'Italia presenta inoltre alcune specificità che ne fanno un caso unico in Europa. L'Italia è prima, infatti, nel Vecchio Continente per quanto riguarda il recupero industriale di metalli, carta, plastica, vetro, legno, tessili, gomma; ad esempio, su 163 milioni di tonnellate avviate a recupero industriale in Europa, 24,1 sono quelle della sola Italia, medaglia d'argento va invece alla Germania con 22,4 milioni di tonnellate. Se alla lista dei rifiuti recuperati si aggiungono anche quelli chimici, i fanghi e alcune altre tipologie, ad esclusione di minerali e vegetali, il nostro Paese si colloca comunque al 2o posto alle spalle della Germania. Si tratta dell'utilizzo nell'industria italiana delle materie prime seconde provenienti sia dalla raccolta di rifiuti urbani e speciali interna al Paese che importate. Lo scorso anno i dati della campagna per la raccolta differenziata «Comuni ricicloni» di Legambiente, descrivono poi come 300 i comuni «Rifiuti free», dove cioè la popolazione riduce e ricicla più del 90 per cento dei rifiuti che si producono mediamente. Anche Milano nel 2014 ha superato la soglia del 50 per cento di differenziata, prima in Italia e seconda, dopo Vienna, in Europa tra le città sopra il milione di abitanti;
   il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 «Norme in Materia ambientale», all'articolo 180, comma 1-bis, prevede quanto segue: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta entro il 31 dicembre 2012, a norma degli articoli 177, 178, 178-bis e 179, un programma nazionale di prevenzione dei rifiuti ed elabora indicazioni affinché tale programma sia integrato nei piani di gestione dei rifiuti di cui all'articolo 199. In caso di integrazione nel piano di gestione, sono chiaramente identificate le misure di prevenzione dei rifiuti. Entro il 31 dicembre di ogni anno, a decorrere dal 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenta alle Camere una relazione recante l'aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e contenente anche l'indicazione dei risultati raggiunti e delle eventuali criticità registrate nel perseguimento degli obiettivi di prevenzione dei rifiuti»;
   ad oggi la relazione di aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, contenente anche l'indicazione dei risultati raggiunti, non è stata ancora presentata –:
   se il Ministro sia a conoscenza del ritardo di presentazione della predetta relazione e quali iniziative urgenti intenda assumere affinché essa sia trasmessa con celerità alle Camere. (4-07771)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con un atto il Ministro dello sviluppo economico ha emanato il decreto ministeriale del 9 agosto 2013 con il quale ha ridefinito le aree marine in cui è possibile effettuare nuove attività di prospezione e di ricerca di idrocarburi, rimodulando la zona marina «E» con l'apertura di una nuova area nel Mar di Sardegna, ad una distanza dalla costa tale da garantire la preservazione delle aree di tutela ambientale;
   le dichiarate argomentazioni addotte per tale progetto di modifica nascerebbero dalla necessità di approfondire la conoscenza del sottofondo marino in quest'area, caratterizzata da una modesta attività esplorativa precedente e da una potenzialità mineraria, che con intuito da rabdomante, vengono definite di sicuro interesse;
   secondo le argomentazioni fornite dal decreto e dai progetti conseguenti si afferma che prospezioni geofisiche, attraverso la misura di alcune proprietà fisiche delle rocce, consentono di determinare con sufficiente grado di dettaglio i tipi di rocce esistenti e l'andamento delle strutture sepolte;
   in seguito e con notevole tempestività prima una società straniera con ramificazione italiana, la Schlumberger Italiana s.p.a, ha proposto l'utilizzo di questa metodologia per effettuare l'acquisizione di un rilievo geofisico 2D sull'intera area della zona marina E recentemente aperta all'esplorazione, dando, è scritto nel progetto, il proprio contributo per approfondire le conoscenze del sottofondo marino in quest'area;
   il 26 giugno 2014 era stata presentata istanza di permesso di prospezione in mare al Ministero dello sviluppo economico denominata TGd 2 E.P-.TG per una superficie 20890 Kmq a nome di un'altra società TGS-NOPEC GEOPHYSICAL COMPANY ASA (100 per cento r.u.);
   tale istanza di permesso è stata pubblicazione nel BUIG il 31 luglio 2014;
   TGS è una società quotata in borsa con sede finanziarie in Asker, in Norvegia ed è quotata alla Borsa di Oslo con il simbolo TGS. La società è guidata dal CEO Robert Hobbs, con sede a Houston;
   tale società risulterebbe impegnata a svolgere tale ricerca per conto terzi considerato la filosofia aziendale di TGS sarebbe quella di «creare dati di alta qualità unici raccolti nel posto giusto al momento giusto»;
   la TGS-NOPEC GEOPHYSICAL COMPANY ASA ha presentato un'istanza di permesso di prospezione in mare proponendo, nel programma lavori, studi che possano portare, sempre secondo la relazione di accompagnamento, alla miglior comprensione della situazione geologica e della potenzialità geomineraria;
   il permesso di prospezione è un titolo minerario non esclusivo, rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico su istanza della parte interessata che presenta il programma di ricerca che intende sviluppare, e riguarda aree di grandi dimensioni dislocate soprattutto in mare. All'interno dell'area del permesso di prospezione è possibile condurre solo ed esclusivamente ricerche geofisiche;
   l'area oggetto dell'istanza di permesso di prospezione è localizzata nel Mar di Sardegna, all'interno della zona marina «E». La zona interessata dall'istanza ricopre l'intera area oggetto di ampliamento, per una superficie di 20922 chilometri quadrati. Il lato più vicino alla costa è quello occidentale, che dista oltre 24 miglia nautiche dalle coste sarde (24.3 da Capo dell'Argentiera) e circa 33 miglia nautiche da Alghero;
   per le prospezioni geofisiche è necessaria quindi una sorgente di energia che emette onde elastiche ed una serie di sensori, detti idrofoni, che ricevono le onde riflesse. La produzione di onde elastiche è ottenuta con diverse tecnologie che fanno uso di sorgenti artificiali differenti:
    a) ad acqua: WATER-GUN, costituito da un cannone ad aria compressa che espelle ad alta velocità un getto d'acqua che per inerzia crea una cavità che implode e genera un segnale acustico;
    b) ad aria compressa: AIR-GUN, costituito da due camere cilindriche chiuse da due pistoni (pistone di innesco e di scoppio) rigidamente connessi ad un cilindro provvisto di orifizio assiale che libera in mare, istantaneamente, aria ad una pressione, compresa tra 150 e 400 atmosfere (ad oggi il sistema maggiormente utilizzato);
    c) a dischi vibranti: MARINE VIBROSEIS, in cui alcuni dischi metallici vibranti immettono energia secondo una forma d'onda prefissata, senza dar luogo all'effetto bolla (sistema complesso non ancora pienamente sviluppato);
    d) Elettriche: SPARKER/BOOMER, dove un piatto metallico con avvolgimento in rame viene fatto allontanare da una piastra a seguito di un impulso elettrico; l'acqua che irrompe genera un segnale acustico ad alta frequenza con scarsa penetrazione (adatto per rilievi ad alte definizioni);
   per l'acquisizione geofisica nell'area dell'istanza di permesso di prospezione «d 1 E.P-.SC» è previsto l'utilizzo di tecnologie invasive che risultano essere state già respinte dalla commissione di valutazione di impatto ambientale che ha tenuto conto delle centinaia di ricorsi, osservazioni, proposte in seguito alla campagna nazionale promossa dal Movimento Unidos;
   le attività di ricerca di idrocarburi prevedono diverse fasi, ognuna delle quali legata ad un particolare e rilevante impatto ambientale;
   nella prima fase viene eseguito lo studio geologico regionale, con la rielaborazione e l'interpretazione di dati sismici, in alcuni casi già esistenti, e successiva acquisizione di nuovi dati sismici;
   le metodiche di prospezione geosismica prevedono, nella la maggior parte dei casi, l'utilizzo di una sorgente energetica ad aria compressa, meglio conosciuta come air-gun;
   attraverso questa tecnica si genera una violenta onda d'urto che si propaga nel fondale e successivamente viene riflessa, mostrando in questo modo la presenza e la natura di idrocarburi nel sottosuolo. Gli air-gun sono disposti sempre in batteria (si contano diverse decine di sorgenti) e nelle loro vicinanze si possono registrare picchi di pressione dell'ordine di 260db (dB 1 μPa a 1m);
   è noto che molte specie appartenenti all'ordine cetacea, sono particolarmente sensibili a forti emissioni acustiche, quali quelle generate dai sonar militari e dagli air-gun, le quali vanno sommate al rumore di fondo sottomarino e a quello generato dal normale traffico marittimo. Zifii (Ziphius cavirostris) e capodogli (Physeter macrocephalus) sono tra le specie più sensibili e possono subire effetti negativi che vanno da disagio e stress, fino al danno acustico vero e proprio, con perdita di sensibilità uditiva che può manifestarsi come temporanea o permanente;
   questo tipo di emissione acustica può far impaurire e stordire gli animali sino ad indurli a un'emersione rapida ed improvvisa senza adeguata decompressione, con conseguente morte per la gas and fat embolic syndrome, ossia morte per embolia;
   l'esposizione a rumori molto forti inoltre può produrre anche danni fisiologici (emorragie) ad altri apparati, oltre a quelli uditivi, fino a provocare effetti letali;
   una volta completata la prima fase, nel caso si evidenzi un'area di interesse minerario, sarà eseguito in seconda fase un pozzo esplorativo che può giungere a profondità di diverse migliaia di metri;
   nel malaugurato caso si decidesse di proseguire l'attività estrattiva, in ultima fase verrà costruita una piattaforma permanente di estrazione, che implicherà attività di stoccaggio e trasporto di idrocarburi con strutture a terra e ulteriore traffico navale annessi;
   molti animali marini, come tutti i cetacei, emergono per respirare e possono rimanere in superficie per periodi abbastanza lunghi. Questo comportamento, unitamente all'enorme mole che rallenta i tempi di reazione e i movimenti, è tra le cause che concorrono a rendere queste specie più soggette alle collisioni;
   le aree oggetto delle istanze di ricerca di idrocarburi sono zone di importanza strategica per numerose attività che caratterizzano la complessa e straordinaria vita dei cetacei (alimentazione, allattamento, riproduzione, migrazione, socializzazione, riposo, e altro), la quale viene disturbata dalle attività antropogeniche previste. Lo stress è un pericoloso fattore che causa gravi danni alla fisiologia dei cetacei, causandone anche la morte. Nella maggior parte degli episodi di spiaggiamento di cetacei, i fattori di inquinamento acustico e ambientale, rappresentano costanti concause responsabili della morte di questi mammiferi marini;
   l'area prescelta risulta essere coincidente di fatto con il Santuario per i mammiferi marini Pelagos, nato da un accordo internazionale tra Italia, Francia e Principato di Monaco siglato a Roma nel 1999. Si tratta della prima area protetta al mondo dedicata alla protezione dei cetacei. Questo tratto di mare ricco di vita si estende per circa 90.000 kmq e in Italia interessa 3 regioni (Liguria, Toscana e Sardegna), 5 parchi nazionali (Cinque Terre, Arcipelago toscano, Arcipelago di La Maddalena e Asinara) e numerosi parchi regionali. L'intera area è costituita da fondali profondi e da correnti ascendenti che facilitano la formazione di grandi banchi di plancton, la cui concentrazione è massima da gennaio a luglio garantendo condizioni ideali per l'alimentazione dei cetacei. Balenottere comuni, stenelle, capodogli, globicefali, grampi, tursiopi, zifi, delfini comuni e, con presenze più occasionali, di balenottere minori, steni, orche e pseudorche, costituiscono un ecosistema pelagico di grande ricchezza;
   il tentativo di minimizzare e mitigare un impatto cumulativo risulta del tutto impraticabile. Infatti, anche a distanza di tempo e di spazio, l'effetto inevitabilmente si propaga in tutto il bacino e permane proprio per le caratteristiche stesse del mare;
   le conseguenze che colpiscono un'area marina come quella individuata dal progetto richiamato si estendono automaticamente nelle aree adiacenti o in altre aree più distanti, così è il significato e il valore delle caratteristiche dell'ecosistema marino nel suo complesso e della sua biodiversità;
   nella logica e nel rispetto di un principio precauzionale, dovrebbero essere vietate tutte quelle attività che non prendono in considerazione tutte le conseguenze e gli impatti a breve e a lungo termine, di natura diretta o indiretta, sull'ecosistema marino e in particolare sui cetacei, gruppo di specie a rischio, protette da una regolamentazione volta alla loro salvaguardia e conservazione a livello nazionale ed internazionale;
   risulta non opportuno il decreto del Ministro dello sviluppo economico che individua le nuove delimitazioni dell'area «E» per illogicità, irragionevolezza e palese assenza di presupposti con il quale si individua il mare di Sardegna come area marina per queste scellerate ricerche petrolifere;
   si ritiene anche in sede di autotutela, visto il vizio procedurale e la tempestiva presentazione del progetto avanzato dalla società texana, negare qualsiasi permesso, negando il parere positivo alla valutazione ambientale, proprio per la consistente presenza e attività di cetacei nell'area sottoposta al progetto di ricerca di idrocarburi, nelle aree adiacenti e nell'intero bacino Mediterraneo (si ricorda che gran parte dei Cetacei sono mammiferi pelagici, ossia vivono nuotando nei mari in base alla presenza di prede, legata alle stagioni e alle correnti);
   si ritiene che il progetto debba essere respinto anche per l'assoluta carenza e assenza di documentazione e di studi sulle popolazioni di cetacei nei tratti di mare oggetto della richiesta di ricerche petrolifere sia il presupposto per respingere la richiesta di valutazione di impatto ambientale;
   si ritiene necessario richiedere di uniformare la condotta su questioni così delicate per l'ambiente ad un principio precauzionale per la massima tutela e rispetto dell’habitat e dei cetacei potenzialmente presenti;
   si ritiene per l'evidente impatto ambientale del progetto sia per quanto riguarda l'inquinamento di varia natura (chimico, atmosferico, acustico, operativo eccetera, eccetera), che per il diretto o indiretto sull'area sottoposta al progetto di ricerca di idrocarburi, sulle aree adiacenti e sull'intero bacino Mediterraneo a breve e lungo termine il progetto stesso non debba essere respinto;
   alla luce della mancanza di tutti i presupposti e condizioni necessarie e indispensabili alla tutela e alla conservazione del delicato ecosistema e della Biodiversità connessa, primi tra tutti i Cetacei di revocare il decreto di individuazione dell'area marina suddetta si osserva che tale progetto avrebbe conseguenze devastanti per l'area interessata e non solo;
   risultano del tutto inesplorate le cause dirette e indirette, tra attività di prospezione e lo spiaggiamento di 7 esemplari di capodoglio (Physeter macrocephalus) nel dicembre 2009 nelle coste a nord del Gargano (tra i comuni di Cagnano Varano e Ischitella e lo spiaggiamento di massa di esemplari di zifio (Zifius cavirostris) sulle coste dell'Isola di Corfù e sul litorale Calabrese, risalente al novembre/dicembre 2011, avvenuto in concomitanza ad attività di prospezione geosismica mediante sorgente energetica di tipo air gun da parte di tre navi (Princess, Thor Guardian e Thor Server) provenienti da Malta e operanti a largo delle coste tra Monopoli e Brindisi incaricate dalla società inglese Nothern Petroleum, e ad esercitazioni militari con l'utilizzo di sonar;
   si ritiene necessario richiedere il recepimento delle indicazioni della Comunità Scientifica internazionale, durante la riunione annuale dell’American association for the advancement of science (AAAS), a favore di un'etica che rispetti i diritti dei cetacei come persone non umane dotate di un'intelligenza superiore e della coscienza di sé stessi;
   si ritiene necessario alla luce di queste considerazioni di richiedere il diniego del rilascio di ulteriori permessi e autorizzazioni a campagne di prospezione geosismica, perforazione del fondale e coltivazione nei mari della Sardegna e del sistema paese –:
   se non ritenga di dover respingere senza ulteriori ritardi tale istanza anche in virtù di un preciso pronunciamento della commissione di valutazione di impatto ambientale che nega l'autorizzazioni proprio per l'inadeguatezza e la gravità dell'area prescelta;
   se non ritenga di dover immediatamente revocare il decreto di individuazione di quell'area per le motivazioni richiamate in premessa. (4-07797)


   PES. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa, la società di servizi petroliferi, la «Tgs-Nopec Geophisical Company Asa» con sede ad Asker vicino a Oslo, avrebbe presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'istanza – valutazione di impatto ambientale – per l'avvio della procedura del permesso di prospezione in mare in un'area che si estende da Capo Argentiera e Alghero fino a Capo Mannu, nell'Oristanese e che coinvolgerebbe ben 11 comuni: Alghero, Villanova Monteleone Bosa, Magomadas, Tresnuraghes, Cuglieri, Narbolia, San Vero Milis, Oristano, Sassari, Stintino, Porto Torres;
   l'obiettivo principale del progetto della società norvegese sarebbe quello di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in un'area marina non ancora esplorata;
   la ricerca degli idrocarburi potrebbe essere effettuata in due fasi: prima in 2D e poi in 3D, ossia utilizzando una tecnica che si basa sulla valutazione di onde riflesse o elastiche che possono essere emesse da un sensore energetico, o da altre sorgenti artificiali;
   per l'acquisizione geofisica nell'area dell'istanza di permesso di prospezione, la società avrebbe previsto l'utilizzo della tecnologia Air-gun, utilizzata per i rilievi sismici marini, il cui impatto sull'ecosistema marino potrebbe essere devastante perché prevede una violenta onda d'urto, provocata da una sorgente energetica ad aria compressa, con intensità variabile fra circa 240 e 260 decibel, ogni quindici secondi per ventiquattro ore al giorno;
   le emissioni acustiche emesse con la suddetta tecnica comporterebbero danni alla fauna marina, con la perdita dell'udito che è una caratteristica morfologica fondamentale per diverse specie ittiche sia per orientarsi, sia per vivere;
   ingenti danni inciderebbero anche su tutto sul settore della pesca che, ancora più di altri, manifesta gli effetti negativi della crisi economica del nostro paese e dell'isola;
   l'area interessata dalla ricerca di idrocarburi dista poche miglia dal Santuario dei cetacei, area protetta tra Sardegna, Corsica e Liguria, considerata di interesse internazionale, ma risultano coinvolte dal progetto anche le aree a protezione speciale dell'Isola dell'Asinara, di Capo Caccia, Capo Conte e della Penisola del Sinis;
   anche le fasi successive la prospezione, il pozzo esplorativo e le trivellazioni, potrebbero costituire ulteriori fonti d'inquinamento ambientale;
   il 23 giugno 2014 la firmataria del presente atto ha depositato un'interrogazione a risposta in Commissione ambiente (atto 5-03055) per un progetto analogo chiesto dalla «Schlumberger Oifield Services», che in data 7 novembre 2014 ha avuto il parere negativo dalla Commissione valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, poiché l'area di prospezione è collocata all'interno della zona marina «E» di protezione ecologica, delimitata con il decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 2011, n. 209;
   nell'isola è forte l'opposizione a progetti «offshore» sia da parte di alcuni comitati cittadini che da parte di numerose associazioni ambientalisti, per i possibili danni che potrebbero creare all'ecosistema della costa occidentale della Sardegna –:
   se il Ministro possa rendere noto e chiarire il risultato dello studio d'impatto ambientale presentato dalla «Tgs-Nopec Geophisical Company Asa»;
   quali provvedimenti cautelativi intenda mettere in atto per scongiurare che da queste operazioni di prospezione delle coste vicine alla Sardegna derivino danni per la salute dei cittadini, della flora, della fauna e dell'ambiente;
   se, anche per la suddetta zona di prospezione, possa essere applicato il principio di precauzione e possano essere adottate le stesse misure cautelative contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 2011, n. 209, poiché essa è situata a poche miglia dal Santuario dei Cetacei e da alcune aree marine protette e, quindi, va considerata «area di protezione ecologica». (4-07814)


   LUIGI DI MAIO, ZOLEZZI, DE ROSA, MANNINO, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   alcune regioni italiane, a fronte di una interpretazione in bonam partem della normativa sui rifiuti, si sono rese protagoniste di delibere e linee guida che consentono agli imprenditori agricoli che producono biogas (produzione incentivata dallo Stato italiano) di impiegare i residui della lavorazione («digestato») come fertilizzanti in agricoltura, ricevendo (a titolo oneroso) per la produzione di biogas anche rifiuti (FORSU, frazione umida dei rifiuti urbani, scarti della grande distribuzione e altri rifiuti urbani);
   la normativa vigente, le sentenze disponibili e la Commissione europea hanno univocamente ribadito che se gli scarti di produzione agricola e i reflui zootecnici impiegati per la produzione di biogas sono contaminati o mescolati a rifiuti (urbani e speciali non pericolosi), tutto il materiale prodotto, incluso il «digestato» è da considerarsi rifiuto e come tale trattato (escludendosi quindi, un utilizzo in agricoltura come fertilizzante);
   alcune province hanno autorizzato impianti di produzione di biogas a ricevere anche codici CER (Codici europei rifiuti) molto ampi e per differenti tipologie di rifiuti (addirittura la «spremitura» dell'umido urbano) e a impiegare il digestato spargendolo (o iniettandolo se liquido) nei terreni agricoli;
   la possibilità di ricevere rifiuti urbani e di aziende (speciali non pericolosi), trasforma l'impresa agricola in impresa che gestisce rifiuti e che ottiene maggiori profitti dalle attività di ricezione e «spandimento» nell'ambiente di rifiuti che non dalla produzione agricola. Si sta creando un effetto a catena molto pericoloso, poiché si tratta di attività molto redditizie che rischiano di trasformare le imprese agricole in aziende che dissimulano attività di gestione e smaltimento rifiuti;
   a riprova delle contrastanti, o comunque non sufficientemente chiare, normative sull'utilizzo del digestato, caso emblematico è rappresentato da quanto disposto dalla regione Lombardia con la delibera di giunta regionale del 18 aprile 2012, n. 9/3298, Linee guida per l'autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER), che al Capitolo 7.4. «Processi di biodigestione anaerobica» ha previsto una disciplina specifica volta a favorire gli impianti che utilizzano biomasse agricole/reflui zootecnici, consentendo ad essi di impiegare per il funzionamento dei biodigestori anche altre biomasse costituite da rifiuti quali, ad esempio, i rifiuti biodegradabili di cucine e mense quali la FORSU – frazione organica dei rifiuti solidi urbani – avente codice CER 20 01 08 proveniente dalla raccolta differenziata (si veda, a riguardo, il Capitolo 7.4.2);
   se il Ministro interrogato al fine di prevenire regolamentazioni difformi su tutto il territorio nazionale, intenda porre in essere interventi, anche di carattere normativo affinché siano chiariti gli utilizzi consentiti del digestato, in relazione alla provenienza del materiale organico ivi presente, in adempimento dell'obbligo di cui al combinato disposto di cui all'articolo 183, comma 1, lettera ff) in tema di «digestato» e articolo 184-ter in tema di «cessazione della qualifica di rifiuto» (end of waste) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 affinché siano scongiurati impatti complessivi negativi sull'ambiente, o sulla salute umana. (4-07817)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il capannone industriale dell’ex pastificio «Lecce» è situato in una limitata area industriale nel bel mezzo di un centro residenziale alle porte della città di Cosenza, più precisamente in località Vadue di Carolei;
   lo stato delle coperture in eternit dello stabile è altamente degradato: in alcuni casi il tetto è completamente sfondato e le coperture sbriciolate, in altri ci sono evidenti voragini che lasciano prevedere una non migliore sorte a breve;
   tale struttura si trova a ridosso di un fondo agricolo sul quale insistono numerose serre per la coltivazione di ortaggi e verdure che poi vengono rivenduti ai vari mercati rionali;
   lo stabile è in disuso da oltre un decennio per via del fallimento dell'impresa che vi operava ed è stato successivamente messo all'asta insieme al vasto terreno circostante;
   l'attuale proprietà lo ha acquistato per una cifra molto modesta rispetto al reale valore degli immobili solo qualche anno dopo il fallimento, ma ad oggi, a quanto consta all'interrogante, non sarebbe mai stata bonificata l'area nonostante nel 2007 sia stato emanato dalla regione Calabria il piano regionale di gestione dei rifiuti, che prevede l'obbligo di censimento e comunicazione all'ASL di competenza, entro un anno, dei siti contenenti rifiuti speciali attraverso autodenuncia dei proprietari o, in mancanza, da parte delle amministrazioni comunali su segnalazione del Corpo forestale dello Stato;
   il comune di Carolei avrebbe qualche giorno fa deliberato favorevolmente circa la possibilità di consentire alla proprietà l'edificazione di 72 alloggi all'interno della stessa area da destinare a residenze sociali sfruttando l'accesso ad un bando regionale che prevede l'erogazione di circa tre milioni di euro;
   la popolazione residente oltre a nutrire grossi dubbi circa la sostenibilità dell'insediamento di settantadue nuovi alloggi che dovrebbe prevedere un sostanziale adeguamento dei servizi primari, già di per sé carenti, teme che tale progetto non garantisca l'interesse generale;
   proprio di recente in Calabria è stata avviata un'indagine a carico della precedente giunta regionale per l'annullamento di un bando che destinava fondi proprio in favore dell'edilizia sociale –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se non si intenda promuovere una verifica, da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per monitorare lo stato dei luoghi e il livello di inquinamento dell'area. (4-07821)


   SIMONE VALENTE, MASSIMILIANO BERNINI, BATTELLI, MANTERO, MANNINO e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il complesso estrattivo ardesiaco della cava «Lovaia» in comune di Orero, nell'entroterra del Levante genovese, costituisce un sito d'estrazione dell'ardesia con cave sotterranee in galleria: dopo il suo sfruttamento cinquantennale da parte di piccole ditte artigiane sino al 1992, e un successivo periodo d'inattività, a partire dall'anno 2009 è stato locato ad un'impresa del settore, la Cuneo & Lagomarsino Srl di Cicagna (Genova), che opera a livello industriale per l'estrazione e la lavorazione dell'ardesia;
   l'attività, debitamente autorizzata dal servizio attività estrattive della regione Liguria con decreto dirigenziale del 16 febbraio 2009, n. 257, è stata tuttavia connotata da gravi irregolarità procedimentali e di gestione, posto anzitutto che nell'aprile 2010 il competente servizio regionale ha provveduto a sospendere l'attività di discarica a seguito di indagini della polizia provinciale di Genova che ha accertato come nell'area di discarica a servizio della cava «Lovaia» fosse stato inserito un limitrofo terreno non in disponibilità della ditta;
   anteriormente e financo durante la citata sospensione dell'attività di discarica, almeno sino al maggio 2011, si sono inoltre riscontrati sversamenti di materiale lapideo, nonché fanghi ed acque di cava, nel ridetto limitrofo terreno (costituito da un castagneto da frutto) che non ricade nella disponibilità della società operante, per i quali pende procedimento penale in fase dibattimentale davanti al Tribunale monocratico di Genova per il reato di danneggiamento di boschi ex articolo 635, secondo comma, numero 5), codice penale, a carico dell'amministratore unico della società;
   con decreto dirigenziale del servizio attività estrattive della regione Liguria del 28 giugno 2012, n. 2256, è stata autorizzata la variante dell'area di discarica a servizio della cava «Lovaia», autorizzando due separati corpi di discarica inframmezzati dal ridetto terreno non in disponibilità della ditta esercente l'attività estrattiva, fissando tuttavia numerose prescrizioni a tutela del medesimo viciniore terreno, della strada comunale pedonale utilizzata per raggiungere i terreni della zona, nonché della strada carrabile privata che giunge al complesso estrattivo, attraversando anch'essa terreni della zona, previo innesto su limitrofa strada carrabile comunale;
   in forza di plurime recenti segnalazioni da parte dell'ufficio tecnico del comune di Orero e di privati proprietari di terreni della zona, il competente servizio regionale ligure è stato reso edotto circa il mancato rispetto delle prescrizioni fissate a carico della società esercente l'attività estrattiva a tutela delle strade interessate dal complesso e del terreno inframmezzante i due corpi di discarica, in termini di: bastionature di protezione con i citati, terreno e strada pedonale; posizionamento di griglie di raccolta acque all'intersezione con la strada carrabile comunale; ripulitura e messa in sicurezza strada comunale pedonale interessata da sversamenti di materiale lapideo; rimozione di cartelli ammonitori dal terreno non in disponibilità e altro;
   il servizio attività estrattive della regione Liguria, nell'ambito dei poteri di polizia mineraria ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 128 del 1959, ha svolto due successivi sopralluoghi di accertamento in sito, in data 25 luglio 2014 e 8 ottobre 2014, accertando plurime violazioni agli obblighi imposti e così adottando due separate ordinanze del 29 agosto 2014 e del 4 novembre 2014 di formale richiamo alla società ad ottemperare a tali prescrizioni entro termini definiti, ad oggi in gran parte inutilmente decorsi;
   risulta quindi all'interrogante che lo stato di gestione dei due autorizzati corpi di discarica separati a servizio del complessivo estrattivo ardesiaco della cava «Lovaia» non sia conforme alle prescrizioni imposte con gravi inadempienze aventi ripercussioni ambientali, oltre alla basilare anomalia dell'autorizzazione concessa per due corpi di discarica disgiunti inframmezzati da altro terreno costituito da castagneto da frutto oggetto di indebiti sversamenti di materiale di cava –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
   se e quali iniziative intenda assumere al fine di verificare, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato dei luoghi e le criticità ambientali descritte in premessa. (4-07822)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RUSSO, SARRO, PETRENGA, FABRIZIO DI STEFANO, CASTIELLO, FAENZI e PALMIERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'entrata in vigore della legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio») oltre a comportare notevoli cambiamenti per le province italiane, rischia di mettere in serio pericolo l'esistenza di tutte le strutture e i servizi culturali sino ad ora di competenza provinciale. Infatti, l'articolo 1, comma 85, della legge n. 56 del 2014, non menziona la gestione dei beni culturali tra le competenze delle nuove province; la responsabilità sulla gestione di tali beni viene, quindi, rimandata ad altri enti – regioni e comuni in primis – che sono dunque chiamati ad occuparsi delle loro attività, a farsi carico del relativo personale a provvedere al loro finanziamento;
   ad oggi sono pochissime le amministrazioni che hanno adottato provvedimenti in materia, e nella maggior parte dei casi questo sta avvenendo senza coinvolgere gli enti direttamente interessati al trasferimento di competenze;
   riguardo la gestione di questi siti, risulta una preoccupante mancanza di chiarezza a tutti i livelli, soprattutto in merito alle risorse finanziarie a disposizione, che potrebbe tradursi in un drastico ridimensionamento di attività e servizi, o peggio ancora, in una chiusura di musei, biblioteche, reti e sistemi territoriali di interesse intellettuale e formativo: un pericolo enorme per il nostro patrimonio culturale;
   la riforma delle province, operata con la legge n. 56 del 2014, rischia così di diventare un'arma pericolosissima su quanto di più prezioso abbiamo nel nostro Paese, sul lavoro di migliaia di operatori e professionisti culturali, sulle esigenze di centinaia di migliaia di utenti, cittadini e turisti, su presìdi di civiltà sul territorio e, soprattutto, su progetti e realtà costruite nel corso di decenni;
   è dunque importante che venga tutelato il lavoro svolto sino ad ora dalle Province, garantendo l'apertura, la continuità, la qualità dei servizi e la loro preziosa attività in materia di beni culturali, e che si provveda alla tutela e alla conservazione degli edifici che li ospitano, attraverso la garanzia di funzionamento delle tante reti e sistemi che gravitano attorno ad essi, portando avanti servizi diffusi sul territorio;
   è necessario, altresì, che vengano salvaguardate le competenze di centinaia di operatori culturali, senza disperderne le professionalità in altri incarichi e funzioni, e che si possa procedere all'ottimizzazione della gestione finanziaria di questi istituti senza effettuare tagli lineari ma attraverso un'azione di trasparenza, razionalizzazione delle spese e valorizzazione del merito;
   è fondamentale inoltre offrire continuità ai progetti europei e agli accordi nazionali e internazionali che questi istituti culturali hanno in essere, tutelando gli investimenti pubblici e privati degli ultimi anni;
   a tal fine è, altresì, doveroso che gli enti e le istituzioni chiamati a decidere sulla gestione dei beni culturali delle nuove Province riformate non effettuino valutazioni politiche ma tecniche, all'interno di una visione il più possibile strategica e condivisa; per questo, nel processo di riassegnazione delle competenze, è necessario coinvolgere tutti gli enti interessati nonché i rappresentanti delle principali associazioni professionali della cultura –:
   quali iniziative di propria competenza intenda intraprendere per garantire il funzionamento di musei, biblioteche, archivi, istituti e sistemi culturali in tutta Italia, fino ad oggi di competenza delle province, per tutelare la continuità e la qualità delle attività e dei servizi, nonché per salvaguardare le competenze degli operatori culturali che negli anni hanno investito in ricerca, conservazione valorizzazione dei beni culturali, garantendo i medesimi livelli di spesa fino ad ora messi in campo. (5-04606)


   DI BENEDETTO, MARZANA, BRESCIA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA, SIMONE VALENTE, MANNINO, BASILIO, DE LORENZIS, DE ROSA, LIUZZI e NESCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 gennaio 2015 il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, insieme al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, nonché al Commissario Unico di Governo per Expo 2015, ha presentato alla stampa «very bello – viaggia nella bellezza», la piattaforma digitale per promuovere il programma di eventi culturali legati ad Expo 2015;
   nelle ore immediatamente successive alla presentazione, il sito ha scatenato numerose polemiche e critiche, in particolare da parte di addetti del settore ma non solo. Gli errori tecnici sono vari, a partire dalla mancanza della privacy policy alla mancanza della registrazione del marchio «very bello» e soprattutto dell'accessibilità per soggetti disabili, che è obbligo di legge per i siti ministeriali. Non si può non dire, inoltre, che i contenuti del sito non sono facilmente usufruibili dai motori di ricerca, e, quindi, rinvenibili dagli utenti e, in ogni caso, non sarebbero comprensibili dagli stessi in quanto il sito è consultabile esclusivamente in lingua italiana;
   i dubbi maggiori, però, sorgono in relazione alla procedura per l'affidamento del servizio di ideazione e realizzazione del sito, in favore della società denominata «Lolaetlabora srl». Il Ministero, sollecitato dalle domande poste da un giornalista del Fatto Quotidiano, dichiara che, nonostante l'importo del contratto consti di 35 mila euro e, quindi, possa essere oggetto di affidamento diretto, il Ministero ha proceduto a una gara rivolgendosi ai fornitori della pubblica amministrazione presenti sul mercato elettronico (Mepa). Nonostante i principi di trasparenza che devono guidare l'azione dell'amministrazione, agli interroganti, non risulta traccia alcuna della procedura sopra citata;
   è bene anche discutere dell'opportunità della realizzazione del sito da parte di una società privata, dato che il Ministero può avvalersi, ai fini della promozione turistica, dell'Enit, l'ente nazionale del turismo, che utilizza già la piattaforma Italia.it. Inoltre è già esistente, presso lo stesso Ministero, il TDlab, vale a dire il laboratorio per il turismo digitale, che si avvale dei più bravi esperti nominati dal Ministro Franceschini e tra i quali vi è il nome di Stefano Ceci;
   lo stesso Ceci, oltre ad essere già consigliere al turismo, vince, a maggio 2014, un appalto legato alla promozione, ancora una volta, di Expo 2015, con la società da lui fondata e denominata Netbooking srl, una start up creata solo pochi mesi prima della gara stessa, e la cui affidabilità sul mercato, quindi, non aveva ancora avuto modo di essere testata;
   analogamente accade nel caso della società Lolaetlabora srl, fondata da Andrea Steinfl, che, nel settore del turismo digitale, non sembra vantare molti incarichi e che, per la promozione di Expo 2015, non ha, secondo gli interroganti, dato prova di professionalità, mettendo on-line un sito come «very bello» alla sua versione beta, con la presunzione di poter, attraverso esso, promuovere l'immagine del nostro Paese nel mondo –:
   quali siano state le modalità di svolgimento della gara per la realizzazione della piattaforma digitale «very bello — viaggia nella bellezza»;
   quali siano stati i criteri con cui è stata decretata la vittoria della società denominata «Lolaetlabora srl»;
   se sia stata valutata la possibilità di avvalersi dei numerosi esperti del turismo già nominati e a disposizione dello stesso Ministero, senza impiego di ulteriori risorse. (5-04626)


   MANNINO, DI BENEDETTO, D'UVA e LUIGI GALLO. —Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'8 gennaio 2015, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha indetto una selezione pubblica per il conferimento dell'incarico di direttore dei 20 principali musei italiani. Le strutture in campo, ben evidenziate  dall'articolo 1 del bando stesso sono tra le più prestigiose ed interessanti del panorama museale europeo, si va dalla Galleria Borghese, al Museo archeologico nazionale di Napoli, passando per il palazzo ducale di Mantova, e poi ancora Uffizi, ed il Bargello di Firenze;
   da notizie di stampa (Internazionale 30 gennaio 2015) si apprende che il Ministro interrogato, con un'inserzione sull’Economist, ha pubblicizzato la selezione pubblica nella speranza di internazionalizzare l'incarico sul modello del Louvre e del Prado;
   i requisiti necessari per fare domanda prevedono un titolo di studio specialistico o magistrale senza specificarne l'ambito. Le esperienze professionali richiedono «particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione di beni culturali»: essere dirigenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (non importa con quale laurea o competenza); essere stato dirigente d'azienda per cinque anni; insegnare in una università (anche diritto dei beni culturali, o chimica del restauro, o economia della cultura e altro);
   tale bando assegna al direttore compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento e monitoraggio di tutte le attività di gestione museale nonché la comunicazione e promozione del patrimonio stesso;
   i criteri di selezione appaiono quanto mai discrezionali e quindi poco sindacabili –:
   con quali criteri saranno nominati i 5 membri della commissione di valutazione (articolo 4 del bando);
   se, constatata la vocazione internazionale del bando, non ritenga di indicare almeno 2 membri stranieri, i cui profili internazionali siano adeguati alla valutazione di tale delicatissima selezione.
(5-04660)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende risulta che l'Italia da cinque anni non paga il contributo alla fondazione del museo di Auschwitz e che il suo padiglione al memoriale è chiuso;
   dal 1980 sino a pochi anni fa il padiglione italiano ospitava un'opera collettiva concepita dal gruppo BBPR che sarebbe ora destinata ad essere esposta a Firenze;
   l'esposizione è rimasta attiva sino al 2011, quando il padiglione è stato chiuso dalla direzione del museo, a seguito dell'entrata in vigore, nel 2007, delle nuove linee guide approvate dal museo che richiedevano allestimenti di taglio pedagogico-illustrativo;
   ne è seguito un contenzioso con i vari Governi italiani che si sono succeduti alla guida del Paese, senza però che si trovasse un'intesa, fino alla chiusura d'autorità dalla direzione museale «perché non corrispondeva più agli standard»;
   l'Italia risulta essere l'unico Paese assente dall'esposizione museale, uno sfregio alla memoria delle migliaia di ebrei italiani deportati, con grande sconcerto dei visitatori –:
   se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché si provveda con urgenza sia alla realizzazione di una nuova installazione che rispetti le nuove linee guida, sia alla corresponsione alla Fondazione del museo di Auschwitz di un congruo contributo finanziario, nel rispetto della memoria di tutte le vittime italiane della shoah. (4-07719)


   VARGIU, MATARRESE, VITELLI e DAMBRUOSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 luglio 2006, il Servizio centrale demanio e patrimonio della regione autonoma della Sardegna ha bandito una gara per l'affidamento in concessione d'uso per cinquant'anni della struttura dell'ex Ospedale Marino di Cagliari, abbandonata dal 1982, con destinazione turistica non residenziale;
   in data 3 marzo 2007, con determinazione n. 1364 dell'assessore regionale EE.LL. l'ATI San Maurizio veniva dichiarata vincitrice del bando e aggiudicataria provvisoria;
   successivamente a tale aggiudicazione, in data 19 settembre 2007, con decreto n. 85 del Ministero dei beni e delle attività culturali, direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna, l'immobile dell'ex Ospedale Marino veniva dichiarato di interesse culturale, storico e artistico, ai sensi dell'articolo 10, comma 1 del decreto-legge 22 gennaio 2004, n. 142;
   per effetto di tali nuovi vincoli, la successiva conferenza di servizi, finalizzata all'approvazione del progetto definitivo dell'ATI San Maurizio, si svolgeva con l'attiva partecipazione della rappresentanza della sovrintendenza;
   nel corso della conferenza dei servizi, la rappresentanza della soprintendenza introduceva una serie di prescrizioni che venivano considerate dai rappresentanti dell'Ati San Maurizio inaccettabili e incompatibili con il progetto vincitore. In particolare, la sovrintendenza non accettava la proposta di redistribuzione di cubature interne tra il piano pilotis e il primo piano dello stabile, opponendo diniego alla richiesta del vincitore di sopraelevare l'altezza del piano pilotis oltre i 2,70 metri e a quella di costruire piscine pensili sul tetto dello stabile;
   conseguentemente, in data 25 agosto 2008, l'ATI San Maurizio, per il tramite dei propri legali, annunciava la rinuncia alla aggiudicazione per «l'impossibilità di realizzare il progetto che aveva vinto la gara» e contestualmente iniziava un'azione legale di risarcimento danni nei confronti della regione;
   in data 2 ottobre 2008, in sede di conferenza di servizi, il rappresentante della Sovrintendenza attribuiva alla responsabilità della regione eventuali errori nel bando di gara, facendo iscrivere a verbale la seguente dichiarazione: «Sarebbe stato auspicabile che la regione, prima della emanazione del bando, avesse proceduto ad attuare una verifica preventiva del bene in ordine all'interesse culturale e concordare preventivamente con la direzione regionale per i beni architettonici i contenuti del bando stesso»;
   l'intervento tardivo della Soprintendenza non soltanto ha comportato l'improcedibilità del progetto di ATI San Maurizio, con conseguente rinuncia e contenzioso legale, ma ha anche indirettamente determinato la nuova aggiudicazione al soggetto secondo classificato;
   tale aggiudicazione, dopo altri sei anni di tribolazioni burocratiche, parrebbe anch'essa improcedibile e destinata alla revoca, secondo le dichiarazioni dell'assessore Erriu che considererebbe il progetto «viziato da irregolarità che renderebbero impossibile la stipula del contratto»;
   dopo nove anni di trafila, lo sfregio del rudere dell'ex ospedale Marino alla spiaggia del Poetto di Cagliari sembrerebbe dunque incredibilmente avvitato su sé stesso, senza che la regione autonoma della Sardegna, responsabile del processo, abbia sinora manifestato la più pallida idea sui tempi, sulle modalità e sulle finalità di un'eventuale nuova procedura di messa a bando;
   in definitiva, l'eventuale demolizione del manufatto dell'ex ospedale Marino, chiesta a gran voce da più parti, è comunque resa impossibile dal pregio storico e architettonico del manufatto, che ha determinato il vincolo della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna;
   qualsiasi altra destinazione a finalità economiche e produttive (ad esempio, quella turistico-alberghiera, pur esclusa dal primo bando regionale del 2006), orientata al soddisfacimento degli interessi turistici ed economici della città di Cagliari e della Sardegna rischia di essere altresì preclusa dalle prescrizioni rigide della sovrintendenza che possono causare (come già è successo nel 2008) la insostenibilità economica degli investimenti di riconversione per qualsiasi imprenditore privato;
   in altre parole, a causa dell'intervento della sovrintendenza si rischia il paradosso che l'ex ospedale Marino di Cagliari sia destinato a restare per sempre così, realizzandosi la surreale situazione per cui non è possibile né la sua demolizione, né la sua riconversione a finalità turistiche e/o alberghiere –:
   se non giudichi indispensabile l'immediato contatto tra la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna e la Regione autonoma della Sardegna per la definizione del futuro del compendio dell'ex ospedale Marino di Cagliari. (4-07728)


   PETRAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Valle Camonica è una delle valli più estese delle Alpi centrali, nella Lombardia orientale, lunga circa 90 chilometri. Inizia dal Passo del Tonale, a 1883 metri sul livello del mare e termina alla Corna Trentapassi presso Pisogne, sul lago d'Iseo. Ha una superficie di circa 1518,19, chilometri quadrati e 140.992 abitanti. È attraversata in tutta la sua lunghezza dall'alto corso del fiume Oglio, che nasce a Ponte di Legno entra nel Sebino tra Pisogne e Costa Volpino per poi uscirne a Sarnico, andando a sfociare successivamente nel Po;
   diversi sono i siti archeologici presenti sul territorio: il più importante è il Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane a Capo di Ponte, sito UNESCO dal 1979, che è una tra le migliori collezioni di arte rupestre della Valle Camonica, dove si trovano incisioni rupestri databili al neolitico, anche se la maggior parte delle raffigurazioni si riferiscono all'età del ferro. Tra gli altri parchi archeologici si segnalano il parco archeologico nazionale dei Massi di Cemmo, il parco archeologico comunale di Seradina-Bedolina a Capo di Ponte, il parco archeologico di Asinino-Anvòia ad Ossimo, il parco archeologico comunale di Luine a Darfo Boario Terme, il parco archeologico comunale di Sellero, il parco archeologico comunale di Sonico e la riserva naturale Incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo a Nadro;
   la gestione dei parchi, che dev'essere orientata ad un'agevole fruizione dei turisti, è alquanto frastagliata, non c’è sinergia tra gli stessi e, attualmente, non è facile per i turisti orientarsi negli 8 parchi camuni. Manca un unico interlocutore capace di gestire con efficienza gli 8 parchi e fornire un servizio adeguato alle esigenze dei turisti. Spesso l'unica risposta che gli avventori ricevono è che la visita andava «prenotata il giorno prima»;
   il sito web www.vallecamonicaunesco.it, che dovrebbe promuovere la Valle Camonica ed i suoi parchi, risulta poco chiara per gli utenti. Il sito ha una versione in inglese, ma l'aver raggruppato in un'unica pagina gli otto parchi amplifica la confusione. Non c’è una gerarchia delle diverse aree e neppure una serie di percorsi già tracciati, ogni parco ha orari diversi e quindi bisogna pianificare tutto prima di partire;
   il sito Unesco, come il parco dei Massi di Cemmo, è aperto cinque ore al giorno. Inutile tentare di dirigersi in paese, al museo della Preistoria (Mupre), in quanto la domenica il museo non apre tutto il giorno;
   sulla statale 42 che scorre lungo il fiume Oglio la «Valle dei Segni» è ben segnalata ma non esiste un infopoint sulla superstrada, che risulterebbe utilissimo per catturare l'attenzione delle migliaia di sciatori che salgono verso Ponte di Legno. Attualmente bisogna uscire a Darfo e recarsi all'ufficio turistico;
   nessun pannello pubblicitario nemmeno sulla trafficata A4 così come alla stazione delle Ferrovie dello Stato di Brescia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e quali iniziative intenda adottare per rendere maggiormente fruibile ai turisti i siti archeologici della Valcamonica;
   se il Ministro interrogato intende promuovere adeguatamente gli 8 siti archeologici presenti, sia sulla rete internet che sulle strade statali e nelle stazioni ferroviarie. (4-07734)


   MASSIMILIANO BERNINI, VIGNAROLI, DAGA, GRANDE, DI BATTISTA, BARONI e FRUSONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il piano locale urbano di sviluppo (PLUS) è un programma avviato dalla regione Lazio nell'ambito del POR FESR 2007-2013, con l'obiettivo di rigenerare il contesto sociale, ambientale ed economico dei centri urbani;
   programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell'Unione europea consentono di elaborare azioni mirate a favore delle città, considerate come motori del progresso, allo scopo di favorire la coesione territoriale (oltre a quella economica e sociale), di ridurre le diseguaglianze nello sviluppo regionale e di promuovere la competitività, l'innovazione e l'imprenditorialità;
   in questo quadro, con la riprogrammazione del POR FESR Lazio 2007-2013 la regione ha introdotto una nuova priorità strategica: lo sviluppo urbano e locale. L'Asse V del Programma operativo regionale, cofinanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale, è infatti incentrato sulla rivitalizzazione economica, sociale e ambientale dei centri urbani. Lo scopo è rimuovere i fattori di degrado e favorire lo sviluppo urbano sostenibile attraverso un insieme di azioni integrate;
   nel luglio del 2011 la regione Lazio ha lanciato un avviso pubblico nell'ambito delle Attività V.1, «Rigenerazione delle funzioni economiche, sociali e ambientali delle aree urbane», invitando i comuni con una popolazione superiore a 25 mila abitanti a presentare progetti finalizzati ad aumentare il livello di competitività, attrattività e sostenibilità delle città. Le proposte, redatte in forma di piano locale urbano di sviluppo (P.L.U.S), dovevano fare riferimento a un'area circoscritta e a quattro ambiti tematici: recupero di spazi ed edifici pubblici; inclusione sociale e coesione territoriale, sviluppo di servizi sociali, culturali e turistici; miglioramento dello stato dell'ambiente, della mobilità e dei trasporti urbani; promozione dell'imprenditorialità rivitalizzazione del tessuto economico-produttivo;
   i progetti sono stati selezionati in due fasi. Nella prima fase di selezione i comuni hanno presentato un dossier contenente tutte le informazioni riguardanti il contesto nel quale e sviluppo dell'area, nonché gli interventi per i quali era richiesto il finanziamento. Nella seconda fase sono stati individuati i P.L.U.S. destinatari del contributo pubblico sulla base di una progettazione più avanzata. La graduatoria è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale della regione Lazio nel giugno 2012;
   i 16 programmi finanziati riguardano interventi presentati da otto comuni della provincia di Roma (Albano, Fonte Nuova, Guidonia, Marino, Monterotondo, Pomezia, Roma Capitale, Velletri) cinque della provincia di Latina (Aprilia, Cisterna, Fondi, Formia, Latina), ai quali si aggiungono i comuni di Frosinone, Rieti e Viterbo. A fronte di una spesa ammissibile pari a 147 milioni di euro, la Regione ha stanziato oltre 122 milioni di euro per i progetti vincitori; ulteriori 25 milioni potranno essere utilizzati per interventi di riserva, reimpiegando le economie derivanti dalle gare d'appalto e rimpiazzando gli interventi che presentano criticità;
   il PLUS di Rieti nasce proprio dall'esigenza di rivitalizzare le funzioni e le potenzialità del capoluogo sabino. Il programma è composto da un insieme coordinato di azioni materiali» e «immateriali», convergenti sull'obiettivo di rigenerare ruolo e funzioni del centro storico e, al contempo, di valorizzare le eccellenze produttive locali;
   il sistema delle piazze centrali (Plus Rieti–Intervento 2 – riqualificazione piazza Cesare Battisti – piazza Vittorio Emanuele II) è il fulcro dell'area-obiettivo del piano ed il centro rappresentativo e simbolico della città. È la sede delle istituzioni, il polmone economico-commerciale del cuore storico, lo snodo funzionale delle maggiori direttrici di attraversamento;
   nel mese di aprile 2014 dagli scavi che sono in svolgimento nel cantiere sopradescritto sono venuti alla luce dei resti di mura romane. La presenza di porzioni di muro realizzate in opus reticolatum, tecnica costruttiva in uso nell'antica Roma, specialmente nel periodo repubblicano fino all'età augustea, alla base del quale sono state scoperte anche parti di un pavimento a mosaico;
   il cantiere interessa il centro della città dove si trovano evidenti e importanti tracce dell'antica Reate come documentano sia i rinvenimenti effettuati nel corso del tempo sia la letteratura archeologica che nella zona attesta la presenza di un tempio attribuito a Pater Reatinus oltre al già conosciuto Tempio di Rea di cui restano ancora oggi visibili le tracce;
   inoltre, sono stati rinvenuti altre parti di muro di origine incerta, probabilmente medievale, e la sommità di una cisterna per l'accumulo di acqua verosimilmente dei primi del ‘900. Gli scavi continueranno sotto la supervisione dell'archeologa competente fino a scoprire altri eventuali reperti;
   il comune di Rieti ha richiesto alla Soprintendenza una consulenza che stabilisca il valore di quanto trovato;
   dal giorno della scoperta ad oggi sono avvenuti diversi sopralluoghi al fine di concordare con la stessa Soprintendenza le modalità di conservazione e l'eventuale valorizzazione di quanto rinvenuto e le modalità di prosecuzione dei lavori nel cantiere;
   gli interroganti ritengono che una così importante scoperta, quale quella di strutture di epoca romana, potrà dare un maggior senso allo stesso P.L.U.S. (piano locale urbano di sviluppo), riportandolo alla sua vocazione originaria. Infatti, la valorizzazione di questi reperti archeologici, patrimonio della collettività, attraverso eventuali e opportune varianti al progetto originario, oltre ad essere un vanto per la città e per i cittadini, potrà favorire lo sviluppo del turismo verso Rieti;
   nel comune di Rieti c’è un patrimonio ancora in gran parte da scoprire. Su quell'area è necessario promuovere una campagna di scavi per riportare alla luce tutti i resti della civiltà romana sepolti e non ancora ritrovati e valorizzare, in seguito, quell'inestimabile patrimonio con azioni mirate a creare un indotto turistico e un'economia adeguata all'importanza della scoperta. Non valorizzare adeguatamente questa testimonianza delle antiche civiltà che abitavano quei luoghi sarebbe un atto di intollerabile miopia e disinteresse nei confronti delle comunità che abitano la zona e che potrebbero ricevere, da una oculata promozione e dallo sfruttamento del patrimonio storico, un'irripetibile occasione in termini di crescita del territorio e sviluppo economico ed occupazionale –:
   se non ritenga, unitamente alle iniziative intraprese dalla Soprintendenza, di dover promuovere ogni azione possibile per valorizzare il patrimonio che sta affiorando nel sito di piazza Vittorio Emanuele II e piazza Cesare Battisti a Rieti, come nei futuri lavori di rifacimento delle altre piazze in programma Plus;
   quali iniziative intende assumere perché questo rilevante patrimonio archeologico abbia un'adeguata tutela e sia elemento di attrazione turistica e possibilità occupazionale;
   se, alla luce dei ritrovamenti, non ritenga opportuno promuovere nella zona reatina una campagna di scavi per riportare alla luce tutti i resti della civiltà romana sepolti e non ancora ritrovati e valorizzare, in seguito, quell'inestimabile patrimonio con azioni mirate a creare un indotto turistico e un'economia adeguata all'importanza della scoperta. (4-07755)


   LABRIOLA, TACCONI, PASTORELLI, CATALANO e FURNARI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese è universalmente conosciuto per la grande ricchezza culturale, ambientale e paesaggistica che lo caratterizza: 3609 musei; circa 5000 siti censiti tra monumenti e aree archeologiche; 46.025 beni architettonici vincolati; 49 siti Unesco e centinaia di festival ed iniziative culturali tradizionali che animano i territori;
   Il turismo ambientale e culturale oggi rappresenta un settore chiave della nostra economia, si stima circa il 15 per cento del Pil con 3,5 milioni di occupati;
   tra le istituzioni italiane, con specifiche competenze in materia di tutela, protezione e valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale, figurano le 110 province d'Italia (articolo 114 della Costituzione);
   in base all'articolo 19 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» (TUEL), spettano alle province, tra l'altro, funzioni in materia di tutela e valorizzazione dell'ambiente, dei beni culturali, protezione della flora è della fauna dei parchi e delle riserve naturali, l'istruzione secondaria di secondo grado compresa l'edilizia scolastica;
   oggi il patrimonio culturale, ambientale, paesaggistico e storico-archeologico gestito dalle amministrazioni provinciali è di straordinaria importanza, con elementi di eccellenza di diverse specie protette di fauna e flora, con ecosistemi straordinari per la biodiversità biologica e per la conservazione delle risorse genetiche;
   nell'ultimo decennio si è sviluppato un ampio dibattito sul ruolo e la gestione delle province. Il Governo Monti, in maniera, secondo gli interroganti, frettolosa, recepì le pressioni dell'Unione europea in tema di risparmi di bilancio e con il decreto-legge 4 dicembre 2011, nelle regioni a statuto ordinario, ha decretato la riassegnazione dei poteri delle province, la nomina dei loro organi da parte degli amministratori comunali e l'abolizione delle giunte. Il provvedimento comportò il rinvio degli appuntamenti elettorali del 2012 e del 2013, offrendo ai presidenti uscenti la permanenza in carica come commissari;
   successivamente, il 3 luglio 2013 la Corte Costituzionale dichiarò la riforma Monti incostituzionale a causa dell'utilizzo di una legge ordinaria per riformare un ente costituzionalmente garantito quale la provincia;
   il 3 aprile 2014 con l'approvazione del disegno di legge del Ministro Del Rio venne riconfermata la trasformazione delle province in enti amministrativi di secondo livello, e la mutazione di dieci di esse in città metropolitane;
   il Senato della Repubblica ha già approvato in prima lettura il disegno di legge costituzionale, in questi giorni in discussione alla Camera dei deputati, per il superamento del bicameralismo paritario e la revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ove è prevista la cancellazione sic et simpliciter dell'ente provincia;
   oltre al tema delle competenze, oggi svolte dalle province, da affidare ad altri enti territoriali resta da definire la situazione occupazionale del personale direttamente o indirettamente dipendente delle amministrazioni provinciali, circa 200.000 persone –:
   quali interventi urgenti i Ministri interrogati, ognuno per propria competenza, intendano adottare affinché il lavoro di tutela, salvaguardia e valorizzazione del territorio, finora svolto dalla amministrazioni provinciali, non venga inutilmente disperso;
   quali interventi urgenti i ministri intendano adottare al fine di salvaguardare la professionalità e il livello occupazionale del personale dipendente delle amministrazioni provinciali. (4-07757)


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171 «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministero e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89». Il Ministero ha riorganizzato compiti e ruoli gli organi periferici del ministero;
   con successivo decreto ministeriale «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo» è stata confermata la soprintendenza archeologica d'Abruzzo, con sede a Chieti;
   la soprintendenza archeologica dell'Abruzzo, con sede a Chieti fu istituita nel 1939. Attualmente sono 111 i dipendenti tra archeologi, architetti, tecnici, restauratori, addetti ai servizi di vigilanza. Sovrintende a: i tre Musei archeologici nazionali, le aree archeologiche di Alba Fucens, Amiterno; Ivanum e Schiavi d'Abruzzo, il vasto patrimonio archeologico di Chieti e Teramo, la sorveglianza sui Musei civici archeologici di Penne e Loreto Aprutino;
   la città di Chieti è punto di riferimento per il territorio d'Abruzzo per la cultura, la storia e la tradizione. Per queste ragioni fu scelta come sede per la sovrintendenza e per queste ragioni deve continuare ad esserla;
   da oltre due anni e mezzo la soprintendenza archeologica dell'Abruzzo è priva di un dirigente;
   questo ha causato e causa gravi disservizi e limita la gestione ordinaria e straordinaria dell'organo;
   le conseguenze sul piano operativo, a causa dell'assenza di un dirigente archeologo, sono state in alcune fasi quelle di non poter dare garanzie di pagamento ai fornitori e collaboratori, successivamente la situazione è peggiorata in quanto non è stato possibile rinnovare il contratto di noleggio dell'unica auto di servizio e non è stato possibile rinnovare il contratto di noleggio delle fotocopiatrici;
   con la circolare n. 9 del 12 gennaio 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non ha incluso la soprintendenza archeologica d'Abruzzo tra le sedi presso le quali i dirigenti possono fare richiesta per ricoprire il ruolo vacante –:
   quali siano le motivazioni per le quali non è stata inclusa la possibilità per i dirigenti di fare richiesta per la soprintendenza d'Abruzzo con sede a Chieti;
   se il Ministero abbia intenzione di provvedere al ripristino di un dirigente che adempia al normale funzionamento della soprintendenza;
   quali saranno i tempi e i modi per provvedere alla nomina del nuovo dirigente. (4-07792)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PALMIZIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano, rappresenta una delle più importanti basi aeree del territorio italiano, essendo altamente specializzata nella guerra elettronica dai velivoli da combattimento Tornado ECR e ospitando il 50o stormo da interdizione dell'Aeronautica militare italiana;
   negli ultimi anni sono stati investiti 900 mila euro per il rifacimento parziale della pista di atterraggio, per la sistemazione del deposito carburanti e per l'impianto di sicurezza per i voli notturni;
   la chiusura di tale struttura aeroportuale è stata preannunciata dal Ministero della difesa come intervento da realizzare in attuazione della spending review;
   nella struttura operano circa 800 lavoratori, tra civili e militari, e l'indotto che deriva dallo svolgimento delle attività connesse ai servizi di addestramento, di sicurezza e vigilanza, non solo a livello regionale, ma per l'intero territorio nazionale, rappresenta un aspetto socio economico di fondamentale rilevanza;
   nell'attuale situazione occupazionale critica e preoccupante, con un tasso di disoccupazione pari al 12,6 per cento, occorre difendere le opportunità occupazionali;
   risultano paradossali, ove fossero confermate, le decisioni da parte della regione Emilia Romagna, di avallare la chiusura dell'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano in nome di una virtuale cosiddetta spending review, considerato che si sono già spesi 900 mila euro per il solo rifacimento parziale della pista e che l'eventuale trasferimento all'aeroporto militare di Brescia-Ghedi sarebbe ancora più oneroso;
   l'eventuale chiusura dell'aeroporto appare penalizzante sia dal punto di vista dell'importanza che il medesimo scalo aeroportuale riveste, con riferimento alle speciali peculiarità, connesse all'operatività dei velivoli militari sulla guerra elettronica, che sotto il profilo occupazionale, in considerazione delle ripercussioni negative sui lavoratori all'interno della struttura e sull'indotto –:
   se sia in possesso di ulteriori informazioni riguardo alla chiusura dell'aeroporto militare di San Damiano situato nel comune di San Giorgio Piacentino;
   quale sia l'attuale situazione dei lavori di ristrutturazione dell'aeroporto stesso;
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di scongiurare una chiusura che recherebbe gravi danni al territorio piacentino e al tessuto socioeconomico dell'intera regione. (5-04612)


   DURANTI, BASILIO, SCANU, SCOPELLITI e ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la data del 25 aprile la nazione italiana riconosce il fondamento della propria identità, ricorrendo la Liberazione e la vittoria della Resistenza antifascista, che è tutt'uno con la Costituzione della Repubblica;
   gli statuti delle associazioni, delle organizzazioni, dei movimenti e dei partiti devono essere rispondenti al fondamento antifascista della Repubblica italiana;
   le norme transitorie della Costituzione vietano la ricostruzione del partito fascista;
   l'apologia di fascismo è un reato previsto dal codice penale italiano;
   la testata nazionale «Il Fatto Quotidiano», con articolo pubblicato il 26 luglio 2014, dava notizia di un gruppo di paracadutisti che cantava l'inno fascista «Se non ci conoscete» presso la caserma di Siena;
   a «dirigere il coro» S.P., componente della associazione nazionale paracadutisti italiani in quanto presidente della sezione di «Anzio-Nettuno» (RM);
   la sopra citata associazione ha accesso ai contributi pubblici;
   agli interroganti risulta che lo Stato Maggiore dell'Esercito ha aperto una inchiesta per verificare i fatti e stabilire le responsabilità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda appurare lo stato di avanzamento della inchiesta dello Stato Maggiore dell'Esercito, rendendo noti gli eventuali risultati prodotti. (5-04638)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA, RIZZO, COLONNESE, DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione del giornale «Il Mattino» del 9 gennaio 2015, dorso Avellino, veniva pubblicato un articolo dal titolo «La moglie di Rauseo: Mafia Capitale c'entra con a sua morte» in cui si racconta la vicenda di Aurelio Rauseo, il maresciallo in servizio al centro operativo della Marina militare di Roma suicidatosi il 17 giugno 2013 a Montefredane (Avellino);
   nello stesso articolo si legge: «È convinzione di Patrizia Battista, moglie di Aurelio, che quell'anomalo suicidio è da collegare allo scandalo che ha coinvolto alcuni alti ufficiali della Marina Militare. (...) Lo scandalo a cui si fa riferimento è quello che il 15 dicembre del 2014 ha portato all'arresto di sei persone, tra cui tre alti ufficiali della Marina Militare accusati di aver rifornito con 11 milioni di litri di gasolio la nave “Victory 1”, che però era affondata da anni»; ancora, nello stesso articolo la moglie di Rauseo dichiara: «Aurelio aveva delle mansioni delicate nell'ambito del proprio lavoro. Era addetto al centro operativo della Marina Militare, dove passano molte informazioni riservate. Non credendo nell'ipotesi del suicidio, posso ritenere che mio marito sia venuto a conoscenza di qualche notizia che aveva a che fare con lo scandalo che solo oggi è uscito fuori nell'ambito dell'inchiesta Mafia Capitale»;
   in un altro articolo pubblicato nell'edizione del giornale «Il Quotidiano del Sud» del 9 gennaio 2015, intitolato «Giallo Rauseo, c’è Mafia Capitale ?» c’è il seguente passaggio che, a parere degli interroganti, andrebbe chiarito: «Quella frase sibillina pronunciata da Aurelio al suocero il giorno prima di togliersi la vita: ho litigato con un mio superiore, ma sistemeremo tutto»; per fare piena luce sulla vicenda la famiglia Rauseo ha chiesto alla procura di Roma l'acquisizione di tutti gli atti di indagine relativi allo specifico stralcio dell'inchiesta Mafia Capitale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fatto drammatico esposto in premessa e se ritenga opportuno, per quanto di competenza e nel rispetto del lavoro della magistratura, acquisire elementi utili ad escludere qualsiasi coinvolgimento della Marina militare nella vicenda del maresciallo Rauseo. (4-07749)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 gennaio 2015, la Difesa ha annunciato per il 1o febbraio la partenza della fregata Grecale verso le acque antistanti la Somalia, precisando che la nave sostituirà il cacciatorpediniere Andrea Doria, alla conclusione del semestre in cui la Marina militare italiana ha esercitato il comando della missione antipirateria dell'Unione europea denominata Atalanta;
   la decisione del Governo avviene senza il supporto di un decreto-legge ed in assenza di un confronto parlamentare, a dispetto di quanto convenuto in occasione del dibattito svoltosi lo scorso autunno, in occasione della conversione in legge del più recente decreto legge di proroga missioni, il 109 del 2014;
   nella circostanza, venne approvato infatti un emendamento al comma 4 dell'articolo 3, allo scopo di subordinare ad una valutazione concernente la soluzione del contenzioso che oppone l'Italia all'India per il procedimento intentato contro i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, da farsi non oltre il 31 dicembre 2014, la decisione sulla proroga o meno della partecipazione italiana alle attività alleate di contrasto alla pirateria nell'Oceano indiano;
   quali ragioni abbiano indotto il Governo a disattendere di fatto e previsioni del comma 4 dell'articolo 3 del decreto-legge 109 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge 1o ottobre 2014, n. 141. (4-07779)


   RAMPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Marina militare ha recentemente avviato la campagna per il concorso per l'ammissione alla 1a classe del corso normale, dedicato ai ragazzi dai 17 ai 22 anni;
   la campagna in oggetto ha come slogan la frase in lingua inglese Be cool join the navy;
   la Marina militare italiana vanta un'antica tradizione e una grande esperienza, svolge, come noto, molteplici rilevanti compiti istituzionali legati indissolubilmente al mare, alla tradizione marinara, allo spirito patriottico di cui è stata ed è autentico esempio nella storia nazionale, alla promozione dell'identità italiana attraverso la solidarietà, il coraggio, la professionalità, l'efficienza, l'umanità e non appare chiaro perché debba pubblicizzarsi attraverso il ricorso a una lingua straniera –:
   quali siano le motivazioni alla base della scelta di pubblicizzare l'ingresso nella carriera della Marina militare in una lingua straniera, a dispetto del ruolo istituzionale ricoperto dalla stessa;
   quali provvedimenti s'intendano assumere per garantire che un'istituzione militare italiana sia legata in tutto e per tutto alla nazione che la mantiene economicamente e da cui storicamente dipende. (4-07805)


   LUIGI DI MAIO e FRUSONE. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sempre maggiore interesse sta suscitando nella comunità scientifica, con particolare riferimento al settore della medicina legale, il rischio della patologia da amianto nella popolazione militare italiana dall'approvazione della legge 27 marzo 1992, n. 257 ad oggi;
   a parere del deputato interrogante si tratta di una tematica su cui è doveroso fare luce non tanto per i risvolti scientifici della vicenda, quanto per accertare se alcuni servitori dello Stato siano stati esposti ad un'agente così gravemente contaminante come l'amianto nonostante che fosse chiaro sia da un punto di vista medico che legale la sua grave pericolosità;
   a parere del deputato interrogante la problematica delle patologie asbesto correlate non può saltare agli onori delle cronache solo in occasione dei pur meritori ed importantissimi maxi processi sul caso «Eternit» che ha colpito la zona di Casal Monferrato, perché ciò significa relegare nel silenzio tutti gli ulteriori casi che hanno colpito, tra gli altri, fedeli servitori dello Stato come i militari; tuttavia, i ricercatori del settore segnalano ai deputati interroganti una pesantissima difficoltà nel reperire dati numerici anche solo parziali, indispensabili per l'indagine epidemiologica e la proiezione statistica del rischio;
   si riscontra, infatti, nell'ambito della previdenza e della medicina militare la tendenza – ingiustificabile – a non diffondere alcun dato, e, anche in presenza di una notizia di malattia, ad opporsi a legittime richieste di riconoscimento di causa di servizio adducendo criteri di esclusione secondo gli interroganti del tutto privi di fondamento che sono tra l'altro legalmente (più sentenze della Corte costituzionale si sono pronunciate in merito) e scientificamente facilmente oppugnabili; spesso, vengono rigettate le richieste che pervengono agli uffici previdenziali competenti;
   tali istanze vengono rigettate sulla base di un criterio temporale fissato dalla previdenza militare in 5 anni dal congedo, limite temporale tuttavia già riconosciuto inapplicabile per queste patologie a lunga latenza dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 323 del 2008 ed altre;
   anche cattedratici che da anni studiano la materia, nonché i legali di autorevoli associazioni che lottano per il riconoscimento delle patologie asbesto correlate non sono in possesso di dati e notizie certe;
   a tal fine non giova nemmeno consultare il cosiddetto «registro mesoteliomi», importantissima fonte di dati che però fornisce un quadro solo parziale della problematica (il quarto rapporto fa riferimento ai casi fino al 2008, mentre il picco di incidenza della malattia è atteso soltanto ancora nei prossimi anni) e non può rispondere alle istanze di urgenza sociale e sanitaria che le dimensioni del problema stanno generando negli ultimissimi mesi;
   nel valutare i dati, infatti, occorre considerare soprattutto il carattere di lunga latenza della malattia; le ricerche e i quesiti presenti in questo atto di sindacato ispettivo sono da intendersi riferiti agli appartenenti in servizio o in quiescenza ai corpi militari di Esercito, marina, aeronautica, Guardia di finanza e Arma dei carabinieri, nonché agli appartenenti in servizio o in quiescenza ai corpi civili di Polizia di Stato, polizia penitenziaria, Corpo forestale dello Stato e vigili del fuoco, con riferimento anche a coloro che dal 1992 ad oggi sono morti –:
   quale sia il numero dei casi di malattia asbesto correlata ad oggi accertati tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero dei decessi direttamente ed indirettamente correlabili alla malattia da amianto tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero delle richieste di riconoscimento di causa di servizio pervenute agli organi previdenziali competenti tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero dei trattamenti previdenziali effettivamente già riconosciuti agli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quali siano le fonti di contaminazione da amianto ad impatto maggiore e quale sia la loro ubicazione in mezzi, strumenti, equipaggiamento e caserme;
   quale sia la stima della popolazione esposta ai contaminanti in oggetto prima dell'approvazione della legge n. 257 del 1992 tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quanti siano gli appartenenti ai corpi sopra enunciati ad oggi ancora presumibilmente esposti al rischio di amianto.
(4-07816)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   MORASSUT. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il quartiere EUR di Roma rappresenta una esperienza unica nella storia urbanistica e dell'architettura italiana del Novecento;
   il carattere unitario e pubblico della realizzazione dell'EUR e della gestione del suo rilevante patrimonio ha costituito un modello di trasformazione urbana che, nonostante molti limiti ed il tempo trascorso, rappresenta ancora oggi un esempio di efficienza e di efficacia da sviluppare e non certo da disgregare;
   l'esperienza dell'EUR ha rappresentato un modello e un esempio anche oltre l'Italia, costituendo – nei fatti – l'esempio ed il punto di riferimento per altre grandi operazioni di trasformazione e promozione territoriale finalizzate alla crescita ed alla modernizzazione di grandi metropoli capitali europee. Tra tutte Parigi – con la Defènse – e Londra con Canary Wharf;
   l'organismo di gestione e di coordinamento delle trasformazioni e della realizzazione degli edifici dell'EUR fu costituito nel 1936 con il nome di Ente autonomo di Esposizione Universale di Roma sotto la cui attività il quartiere fu di fatto completato con la costruzione di numerosi edifici a carattere pubblico e privato progettati dai maggiori architetti italiani del Novecento: Piacentini, Piccinato, Pagano, La Padula, Moretti, Libera, Guerrini e tanti altri ancora;
   straordinari vanno anche considerati gli spazi aperti e le aree ad uso pubblico che rivestono un carattere monumentale per la qualità del disegno, della configurazione paesaggistica, della ricchezza del patrimonio arboreo e delle essenze e per la ricca e articolata presenza di elementi monumentali e figurativi all'interno. Basti in tale quadro ricordare il parco centrale del lago dell'Eur frutto dell'opera del più grande paesaggista italiano Raffaele De Vico;
   per questa sua straordinaria particolarità l'EUR ha rappresentato da subito un simbolo di Roma ed è entrato a viva forza nella cultura, nella letteratura, nell'arte e nel cinema italiani segnalandosi come un evento storico di tipo culturale oltre che urbanistico;
   la fortuna dell'EUR è stata rappresentata anche e soprattutto dal suo carattere gestionale unitario nel quale – sempre più – la redditività del patrimonio immobiliare ha reso possibile la tutela e la salvaguardia e il buon uso degli spazi aperti e degli spazi pubblici di così grande valore;
   il 17 agosto del 1999 per volontà del Ministero dell'economia e delle finanze con decreto legislativo n. 304 lo storico ente Eur è stato trasformato nella attuale società per azioni denominata EUR Spa – 90 per cento MEF 10 per cento Roma Capitale – con la mission di gestire e valorizzare l'importante patrimonio di raro pregio dell'ente EUR costituito, per l'appunto, dall'insieme degli edifici e degli spazi aperti;
   la modifica della configurazione giuridica dell'EUR non ha però compromesso la unitarietà della gestione che costituisce la base stessa della identità «eurina», in cui la redditività del patrimonio edilizio consente di affrontare i costi di manutenzione del patrimonio non edificato e degli spazi aperti;
   nel 2008 sono stati avviati i lavori per la realizzazione del nuovo centro congressi – la Nuvola – progettata dall'architetto Massimiliano Fuksas vincitore del concorso bandito nel 1995;
   per molteplici ragioni – non esclusa la crisi del settore immobiliare che ha reso assai ardua la possibilità di vendere la cubatura ricettiva realizzata in adiacenza al centro congressi e che faceva e fa parte del piano finanziario – la realizzazione dell'opera ha subito ritardi e difficoltà di natura finanziaria;
   da circa un anno la società EUR ha chiesto al Mef di finanziare la conclusione dell'opera ricevendo rassicurazioni in tal senso sia a dicembre del 2013 che a giugno del 2014;
   a settembre del 2014 il Mef ha proposto ad EUR spa una ricapitalizzazione per un importo di circa 130 milioni di euro, che avrebbe consentito il superamento della attuale situazione di crisi economica;
   il 2 dicembre del 2014 il Mef avrebbe dovuto emettere il decreto di ricapitalizzazione a firma del Ministro per 133 milioni di euro;
   a quel che è dato di sapere, per vie informali la società EUR produce utili annuali per 7 milioni di euro, comunque insufficienti per garantire la conclusione dei lavori;
   l'11 dicembre in assenza del promesso finanziamento la società EUR spa si è vista costretta ad avviare una procedura di concordato in bianco la cui richiesta è stata presentata al tribunale di Roma in data 12 dicembre 2014;
   la conclusione dell'opera Centro congressi va affrontata – presumibilmente – senza compromettere il carattere unitario della gestione dell'intero EUR separando il valore degli immobili dal resto del complesso;
   con gli articoli 33 e 33-bis del decreto-legge n. 98 del 2011 è stata prevista l'istituzione di una società di gestione del risparmio con il compito di valorizzare il patrimonio pubblico anche ai fini della dismissione dello stesso. Con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 19 marzo 2013 è stata istituita la società Invimit. Andrebbe chiarito se anche nel caso di specie sussista l'intendimento di coinvolgere la citata società –:
   se vi sia l'intenzione di affidare alla Invimit – Mef – la valorizzazione e la vendita di parti rilevanti del patrimonio immobiliare di Eur spa al fine di reperire le risorse necessarie per il completamento della «Nuvola» ponendo così fine ad un modello gestionale dell'intero quartiere Eur che ha sempre legato spazi pubblici, qualità urbana e gestione del patrimonio immobiliare e confondendo dunque piani diversi come quello del rigoroso esame delle procedure, dei costi e delle modalità di realizzazione di una singola opera pubblica e financo della, ottimale gestione dello stessa società Eur spa – legittimamente materia di valutazione del ministero e del Governo – con una scelta di destrutturazione di un modello consolidato di trasformazione e gestione territoriale che andrebbe invece esteso e modernizzato. (3-01266)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


  NESCI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 15 luglio 2013, il signor Giovanni Foglia, già dipendente Enel, presentò una denuncia alla procura della Repubblica di Cosenza nella quale, con riferimento alla gestione di un contratto triennale per il taglio di piante lungo le linee di media tensione della provincia di Cosenza, contratto n. 8400003490 del 9 luglio 2007, esponeva il pagamento – da parte di Enel – di circa 120 mila euro per lavori mai fatti e inesistenti;
   in data 22 agosto 2013, per e-mail lo stesso ex dipendente Enel segnalò il grave fatto sopra riassunto anche al dottor Francesco Parlato, capo della direzione VII del dipartimento del tesoro, e al comando generale della Guardia di finanza;
   esposti analoghi il signor Foglia indirizzava per conoscenza, nel 2012, alla stazione dei carabinieri di San Giovanni in Fiore (Cosenza);
   in una lettera del 2 gennaio 2015, indirizzata ai responsabili per il codice etico dell'Enel e anche ai carabinieri della locale stazione di San Giovanni in Fiore (Cosenza), lo stesso signor Foglia lamentava che, a fronte delle proprie segnalazioni in ordine al presunto illecito sulle indicate linee di media tensione, il medesimo segnalatore diventava destinatario di azioni legali dell'azienda, mentre i dirigenti interessati non fornivano affatto risposte, ai sensi del codice etico adottato da Enel, in relazione ai gravi fatti già rappresentati alle autorità di competenza –:
   se siano state avviate indagini in relazione a quanto esposto in premessa e quali risposte il Governo intenda dare, per quanto di competenza, alla segnalazione inviata al Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze.
(5-04607)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, RIZZO, GRILLO e DI VITA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Legge 23 dicembre 2014 n. 190, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300, in vigore dal 1o gennaio 2015, all'articolo 1, comma 665, sancisce che «I soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell'articolo 3 dell'ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990, che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dall'articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d'impresa, per i quali l'applicazione dell'agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l'ordinamento dell'Unione europea, al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l'istanza di rimborso ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni. Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248. A tal fine è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabiliti i criteri di assegnazione dei predetti fondi[...]»;
   nell'articolo 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 non è stato indicato alcuna termine per l'emanazione del menzionato decreto;
   non risulta, agli interroganti, essere stata avviata ancora alcuna attività per la sua predisposizione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non intenda accelerare la procedura per la predisposizione congiunta della bozza di decreto da parte dei Dipartimenti della ragioneria e delle finanze al fine di potere consentire ai cittadini destinatari della suddetta norma di beneficiare dello strumento del rimborso di quanto indebitamente versato. (5-04610)


   GAGNARLI, L'ABBATE e GALLINELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   L'accisa sulle bevande alcoliche è applicata da tutti i Paesi dell'Unione europea, con aliquote differenti in funzione del tipo di bevanda e della dimensione del produttore. Le normative di riferimento, direttive 93/83 e 93/84, individuano i parametri sulla base dei quali calcolare l'accisa, l'aliquota minima applicabile e la possibilità di ridurre l'aliquota ordinaria in funzione della dimensione dell'impresa. Le indicazioni fornite dalle direttive devono naturalmente essere recepite dal singolo Stato membro nell'ambito della normativa nazionale;
   l'accisa sulla birra, in particolare, viene calcolata, a seconda dei Paesi, in funzione del grado alcolico o del grado saccarimetrico riferito all'unità di volume e moltiplicato per l'aliquota, definita da ogni singolo Paese;
   effettuando un confronto del livello di accisa applicato dai 28 Paesi dell'Unione europea – dati Commissione europea del luglio 2014 diffusi da Unionbirrai – riferito ad 1 litro di birra a 4,8 per cento di alcol in volume, si evince che in Italia il valore dell'accisa è passato dai 28,2 centesimi di euro del luglio 2013 – undicesima posizione di graduatoria tra i paesi dell'Unione europea con aliquote più elevate ai 35,9 centesimi di euro del gennaio 2015, per effetto del decreto-legge n. 104 del 2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 128 del 2013 ed il decreto-legge n. 91 del 2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 112 del 2013. Si tratta di un aumento complessivo del 30 per cento che porta l'Italia al settimo posto della graduatoria di cui sopra, accanto alla Danimarca;
   riproponendo il precedente confronto, ma considerando l'accisa applicata ad un birrificio con produzione annuale di 5.000 ettolitri; cioè il 99 per cento dei birrifici artigianali italiani, l'Italia con i suoi 35,9 centesimi di euro passa al sesto posto di graduatoria nella classifica dei Paesi dell'Unione europea con aliquote più elevate, appena sotto l'Irlanda, ma con un consumo significativamente più basso, quindi un inasprimento fiscale non giustificato neanche come disincentivo al consumo di birra;
   la direttiva 92/83/EEC all'articolo 4.1, prevede che gli Stati membri possano applicare aliquote ridotte d'accisa alle birre prodotte da piccole imprese indipendenti, a condizione che tali aliquote non siano applicate alle imprese che producono oltre 200.000 ettolitri l'anno e non siano inferiori di oltre il 50 per cento all'aliquota nazionale d'accisa;
   il 71 per cento dei 28 Paesi, cioè ben 20 Stati membri, recependo la direttiva all'articolo 4.1, hanno stabilito aliquote ridotte per i piccoli birrifici indipendenti che producono meno di 200.000 ettolitri l'anno, dimostrando attenzione ai piccoli produttori. Non ci risulta che l'Italia abbia recepito tale indicazione offerta dalla direttiva europea;
   nel Regno unito, si legge su «il birrafondaio» online: «proprio il settore birrario e dei pub ha ricevuto una forte spinta occupazionale nel 2014 grazie ai tagli decisi dal Governo in materia fiscale. L'investimento di capitale è risultato in crescita del 12 per cento per 525 milioni di euro complessivi, questo ha generato 4.000 posti di lavoro e 1.600 nuovi tirocini a fronte della scelta del Governo britannico di agevolare il carico fiscale del settore nei bilanci 2013 e 2014. Il caso UK mostra una perdita minima di entrate per il Tesoro dovuto alle vendite di birra, a fronte di un aumento delle entrate fiscali dovute all'occupazione in crescita;
   a completamento dell'analisi sulle aliquote in Europa, va sottolineato che 15 Paesi su 28, cioè il 54 per cento, prevedono anche l'accisa per il vino, che in Italia non è contemplata –:
   quali siano i motivi per i quali l'Italia non ha ritenuto opportuno recepire le disposizioni sulla possibilità di riduzione dell'aliquota a vantaggio dei piccoli produttori di birra, previste dall'articolo 4.1 della direttiva 92/83/EEC, offrendo così respiro al settore dei birrifici artigianali che sta dimostrando grande potenzialità, anche all'estero, sia in termini di qualità del prodotto che in termini occupazionali. (5-04644)


   ROSTELLATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal comunicato dell'Associazione nazionale commercialisti Marco Cuchel emerge una grave ingiustizia a scapito dei professionisti soprattutto a seguito dell'introduzione della dichiarazione precompilata e del rilascio del relativo visto di conformità da parte dei professionisti;
   l'attenzione – sostiene il Presidente dell'Associazione nazionale commercialisti Marco Cuchel – che da più parti viene attualmente rivolta alla questione del rincaro dei costi delle polizze professionali, riconducibili all'innalzamento del massimale e all'introduzione di maggiori obblighi, appare francamente pretestuosa, quasi si intenda sottacere la vera natura del problema;
   difatti si apprende dal comunicato che non è tanto il costo delle polizze professionali tenuto conto del fatto che i professionisti hanno l'obbligo di assicurarsi, quanto il problema dell'impossibilità, ai sensi della normativa che oggi vige nel nostro Paese, di assicurare il rischio diretto per le sanzioni tributarie irrogate nei confronti del professionista, connesse allo svolgimento della sua attività;
   è bene, quindi, sottolineare che, nonostante se ne discuta da tempo e ci siano state diverse proposte di legge, emendamenti e question time presentati per modificare l'attuale normativa, sussiste tutt'oggi per i professionisti il vincolo della «non assicurabilità», per tale fattispecie, che li espone, senza che abbiano facoltà di avvalersi di alcuna copertura, alla possibilità di dover rispondere e garantire con il proprio patrimonio nei confronti dell'amministrazione finanziaria;
   a fronte delle crescenti responsabilità che gravano in capo ai professionisti, l'inadeguatezza dell'attuale normativa è palese e dovrebbe indurre il legislatore ad affrontare finalmente il problema, reintroducendo per gli operatori professionali, come previsto in merito alla responsabilità dei manager di società di capitale, la sottoscrizione di polizze assicurative per la responsabilità civile verso terzi (situazione ante aprile 1998);
   il problema non si limita unicamente all'inadeguatezza della normativa in materia di sanzioni tributarie, la cui revisione da parte dell'ANC continua ad essere sollecitata, sussiste, infatti, anche una situazione di contraddittorietà, i cui effetti si ripercuotono pesantemente sui professionisti;
   sottolinea Cuchel, Presidente dell'Associazione nazionale commercialisti che «Se da una parte dal 15 agosto 2013 è scattato per i commercialisti l'obbligo di stipulare idonea polizza assicurativa per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale, dall'altra l'efficacia di tale copertura è praticamente nulla per quanto riguarda le sanzioni dirette, inflitte al professionista in qualità di soggetto che ha commesso materialmente l'irregolarità»;
   le soluzioni auspicate per la categoria potrebbero essere da un lato la modifica della normativa vigente in materia di assicurazione oppure la modifica della disciplina delle sanzioni tributarie irrogate al professionista, ripristinando la condizione ante aprile 1998. Purtroppo, nessuna delle due è stata adottata e così il professionista si ritrova esposto ad un rischio le cui conseguenze possono ripercuotersi sulla sua capacità patrimoniale personale, senza che la legge gli riconosca il diritto di potersi assicurare;
   in effetti, anche a parere dell'interrogante della sanzione tributaria ne dovrebbe rispondere il soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione fiscale, il quale, se ingiustamente sanzionato, potrà rivalersi sul professionista nei casi di errore o mancanza –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per provvedere alla revisione dell'attuale regime di responsabilità applicabile ai professionisti, con un intervento anche nei riguardi di un sistema sanzionatorio sperequato.
(5-04664)


   TANCREDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli amministratori della società Eur spa hanno chiesto al tribunale fallimentare di Roma l'ammissione al concordato in bianco a seguito del fatto che l'assemblea straordinaria è andata deserta in quanto gli azionisti (Ministero dell'economia e delle finanze e Roma Capitale) hanno deciso di non partecipare;
   l'Eur spa ha chiuso gli ultimi bilanci sempre in attivo e possiede un patrimonio immobiliare di grande prestigio frutto della trasformazione in società per azioni dell'Ente Eur creato, proprio per terminare e preservare un progetto di grande valore in un quartiere che costituisce un esempio urbanistico;
   nella situazione attuale sono a rischio le funzioni svolte dalla società Eur concernenti la manutenzione degli edifici, il decoro urbano, la gestione delle aree verdi e anche il mantenimento del posto di lavoro per circa 120 persone che garantiscono le funzioni citate;
   i tempi di intervento degli azionisti sono brevissimi e legati a quelli della procedura concordataria in corso che va conclusa entro il 24 aprile 2015;
   sono inoltre a rischio i cantieri in corso d'opera (Nuovo centro Congressi-Nuvola, Albergo-La Lama, Nuovo Luneur, Acquario di Roma, Picar, Parcheggi Sturzo/Civiltà Romana e Sistema di video sorveglianza) –:
   quali iniziative intenda adottare l'azionista di maggioranza per garantire la continuità aziendale e la conclusione delle opere in corso;
   quali ulteriori iniziative si intendano adottare a fronte dei fatti esposti in premessa;
   se non sia necessario adottare iniziative per informare la società EUR spa in merito alle vicende concernenti il futuro della stessa. (5-04665)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32, comma 1, n. 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, recante Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, stabilisce che i dati risultanti dalle movimentazioni bancarie sono posti a base degli accertamenti fiscali per il contribuente qualora quest'ultimo non dimostri che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che gli stessi non assumono rilevanza a tale fine; ugualmente i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito delle operazioni bancarie sono considerati ricavi o compensi se il contribuente non indica il beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili;
   quindi, per tutti coloro che esercitano un lavoro autonomo o un'attività di impresa, l'Agenzia delle entrate presume che tutti i prelievi fatti in banca – se non giustificati – costituiscano ricavi o compensi e, pertanto, possono essere oggetto di un accertamento fiscale e ciò vale anche per i soggetti sia in contabilità semplificata, sistema che non prevede le registrazioni dei movimenti finanziari, sia per tutti coloro che non sono tenuti a predisporre le scritture contabili in quanto rientranti nel regime dei minimi, in quello contabile agevolato o in quello delle nuove iniziative produttive;
   le indagini sono necessarie per il controllo di ogni movimento che transita sul conto del contribuente al fine di verificare se il reddito sia stato sottratto alla tassazione, secondo un regime di presunzione legale in cui ogni operazione, in entrata e in uscita, priva di valida giustificazione, possa formalmente essere ricondotta ad un maggior imponibile accertabile: come già accennato, per i versamenti va dimostrata la loro riconducibilità a redditi dichiarati o legittimamente non tassabili, per i prelevamenti, invece, deve essere indicato il beneficiario delle somme riscosse;
   mentre l'amministrazione finanziaria, con la circolare dell'Agenzia delle entrate 32/E del 2006, stabilisce che la presunzione dei versamenti si riferisce alla generalità dei cittadini e quella sui prelevamenti, solo quando vi sia un'attività economica, anche di natura professionale, la Corte di Cassazione, in diverse sentenze (n. 9573/07, n. 23690/07, n. 21132/11, n. 3263/12), non ha operato distinzioni tra prelevamenti e versamenti, ma si è limitata ad affermare, in via generale, che il fisco può utilizzare indifferentemente tutte le informazioni sul contribuente provenienti dalle banche, a prescindere se questi eserciti un'attività di lavoro autonomo o d'impresa ed è pertanto possibile rettificare in base a esse le dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente (Cass. sent. n. 22514/13 e ord. n. 25120/13);
   recentemente, inoltre, l'Agenzia delle entrate, con circolare n. 25 del 6 agosto 2014, ha chiarito le modalità con cui verranno eseguite le future indagini sui conti correnti bancari dei contribuenti: questi riguarderanno solo gli importi più «significativi», ma in base ad un meccanismo di prove che posiziona il cittadino in una posizione di difficile difesa in quanto le verifiche non riguarderanno solo l'ultimo periodo di imposta, ma, al contrario, partiranno dal 2012, il che renderà non facile ricostruire le ragioni delle singole movimentazioni sul conto e poter, così, controbattere alle richieste di chiarimenti dell'amministrazione fiscale;
   nella premessa della circolare, in più, viene precisato che l'Agenzia delle entrate si riserva la possibilità di prendere in considerazione anche le annualità anteriori al 2012, con conseguente ulteriore pregiudizio per il contribuente, che avrà difficoltà oggettive nella ricostruzione delle giustificazioni di ogni singolo movimento in entrata e in uscita, necessarie non per gli accertamenti, per cui sono sufficienti delle giustificazioni generiche, ma necessarie invece per le indagini bancarie;
   in questo quadro normativo, si deve tener conto anche della sentenza della Corte di Cassazione n. 25502 del 2011, in cui, si afferma che la prova debba essere analitica e non generica e riportante indicazione di ogni movimento bancario, al fine di dimostrare come ogni operazione sia estranea a fatti imponibili: il contribuente deve quindi fornire informazioni non apodittiche, generiche, sommarie e cumulative;
   si tratta quindi spesso di prove che risultano difficili da fornire: per i versamenti cumulativi e di denaro contante spesso è pressoché impossibile circoscriverne esattamente la provenienza, mancando infatti la corrispondenza esatta tra la fattura o lo scontrino emesso ed il versamento effettuato nei giorni successivi: in questo caso infatti la prova contraria non sarebbe superata e il valore accreditato diverrebbe «ricavo omesso»; considerato che il regime naturale dei piccoli contribuenti è un regime semplificato che non obbliga alla registrazione finanziaria dei movimenti, recuperare a distanza di anni la documentazione bancaria oltre a diventare oneroso, in certi casi risulta anche impossibile, cosicché alcuni istituti bancari hanno risposto che sono in difficoltà a fornire al contribuente le prove documentali a causa delle varie fusioni ed incorporazioni intervenute;
   tale presunzione, applicata alle piccole imprese ed ai professionisti, comporta delle diverse fattispecie rispetto all'impresa in regime ordinario: infatti, mentre nel caso di un'impresa di grandi dimensioni obbligata alla tenuta della contabilità ordinaria, è abbastanza agevole e semplice ricostruire i movimenti del conto corrente, in quanto i dati confluiscono tutti in una contabilità denominata «ordinaria», nel caso delle attività d'impresa in contabilità semplificata e professionale l'utilizzo del conto corrente ha finalità sia personali per le spese quotidiane che per l'attività di lavoro autonomo e pertanto la movimentazione finanziaria di versamento e prelevamento ben difficilmente può riferirsi ad un compenso non dichiarato;
   le maggiori difficoltà si riscontrano però per i piccoli contribuenti i quali, per le esiguità delle operazioni svolte e per la tipologia della contabilità semplificata, più raramente conservano i titoli fiscali giustificativi, soprattutto per i prelevamenti di carattere personale di cui difficilmente è conservata la copia dell'assegno, in quanto non obbligati per legge, o altra documentazione equipollente, la quale in sede di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria, è di difficile reperimento anche perché i controlli si riferiscono quasi sempre ad un periodo d'imposta antecedente di cinque/sette anni;
   quindi, a favore del fisco, ad un costo in nero corrisponde un ricavo non dichiarato, ma non vale il contrario per il contribuente: ad un ricavo non corrisponde un costo per la sua produzione, quindi, spesso, il totale dei maggiori imponibili, ossia la somma dei versamenti e dei prelevamenti, non è abbattuto di una percentuale che potrebbe corrispondere all'incidenza dei costi sostenuti per conseguire i ricavi, nonostante la circolare 32 del 2006 ne faccia espressa menzione;
   l'Agenzia delle entrate, da parte sua, ha esortato gli uffici territoriali a utilizzare le indagini finanziarie solo dopo aver riscontrato significative anomalie rispetto alla dichiarazione presentata: non dovranno, dunque, essere richieste spiegazioni su importi poco rilevanti e chiaramente riferibili alle normali spese personali e/o familiari, ma la circolare non indica un limite numerico al fine di una giusta interpretazione delle «significative anomalie», rendendosi suscettibile di interpretazioni personali da parte dei singoli uffici;
   le Agenzie delle entrate quindi chiamano spesso i contribuenti a giustificare anche importi di poche centinaia di euro, per i quali è impossibile ovviamente assolvere l'onere probatorio, mettendo in seria difficoltà i contribuenti, soprattutto con accertamenti che colpiscono indiscriminatamente i piccoli imprenditori e che creano seri danni all'economia reale;
   inoltre, un simile atteggiamento dell'amministrazione finanziaria sta creando un contenzioso altissimo di fronte al giudice tributario dove, questa, anche perdendo in primo grado, può facilmente, e senza spese, adire la commissione regionale mentre per il contribuente la sola soluzione è cercare di non arrivare a sentenza, accettando la conciliazione in sede di commissione tributaria;
   si ricorda inoltre la sentenza della Corte Costituzionale del 6 ottobre 2014, n. 228, in merito ai prelevamenti dei lavoratori autonomi, categoria che comprende non solo i professionisti ma tutte le piccole attività di artigiani e commercianti che presentano tratti similari ai lavoratori autonomi professionisti, tali per cui, del pari, le presunzioni derivanti sarebbero irrazionali: si pensi, ad esempio, agli agenti di commercio, agli artigiani e commercianti di piccole dimensioni che utilizzano il conto corrente con movimenti sia per esigenze aziendali che di famiglia –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, ritenga opportuno adottare in merito, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 6 ottobre 2014, n. 228, la quale ha dichiarato che le presunzioni bancarie derivanti dai prelevamenti non giustificati sono costituzionalmente illegittime per i possessori di reddito autonomo, fra i quali si annoverano non solo i professionisti ma anche i piccoli artigiani e commercianti. (4-07711)


   MINARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura italiana è uno dei comparti più dinamici dell'economia italiana e la sua vitalità sta avendo effetti estremamente positivi sulla bilancia commerciale e sull'occupazione: infatti, nell'attuale fase economica recessiva, il comparto agricolo nazionale sta quindi svolgendo una rilevante funzione anticiclica;
   in agricoltura i terreni sono un mezzo di produzione importante e, la bassa tassazione di questi ha effetti moltiplicativi in termini di prodotto interno lordo e di crescita dei livelli occupazionali: occorre, quindi, procedere ad una complessiva rivisitazione della normativa fiscale sui terreni agricoli che consenta al comparto di svilupparsi adeguatamente;
   occorre, pertanto, assumere iniziative per prevedere la soppressione definitiva dell'imposta municipale unica sui terreni agricoli, a prescindere dalla collocazione ed altitudine geografica;
   emerge, infatti, una forte preoccupazione circa gli effetti che l'applicazione di questa imposta possa avere sul settore dell'agricoltura. L'introduzione dell'imposta municipale unica sui terreni agricoli, con le esenzioni stabilite sulla base dell'altitudine, finisce per penalizzare regioni come la Sicilia ed, in particolare, la provincia di Ragusa;
   infatti, la rigida applicazione del criterio altimetrico rischia di mettere a repentaglio un settore, come detto precedentemente, trainante per l'economia della regione siciliana ed, in particolare, della provincia di Ragusa –:
   quali iniziative intendano adottare per pervenire alla soppressione definitiva di questa tassa che si ripercuote in modo negativo sullo sviluppo di un settore fondamentale per l'economia italiana ed in particolare per la regione siciliana e la provincia di Ragusa. (4-07721)


   CASO, CARINELLI, TRIPIEDI, MANLIO DI STEFANO e DE ROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la EXPO 2015 s.p.a è stata costituita in data 1o dicembre 2008 ed è partecipata, per il 40 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 20 per cento dalla regione Lombardia, per il 20 per cento dal comune di Milano, per il 10 per cento dalla provincia di Milano e per il 10 per cento dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Milano;
   il Ministero dell'economia e delle finanze risulta essere, quindi, il maggiore azionista della EXPO 2015 s.p.a.;
   secondo il codice etico che definisce i principi, i valori e le responsabilità che Expo 2015 s.p.a. riconosce, condivide e promuove per contribuire a diffondere una cultura basata sull'etica e sulla responsabilità, la società «assicura ai propri azionisti tutta l'informazione rilevante disponibile per orientarsi nelle decisioni di investimento e nelle delibere societarie, garantendo il pieno e libero accesso a tutta la documentazione ritenuta utile» (paragrafo 2.10, codice etico, seconda edizione febbraio 2012, www.expo2015.org);
   nel conto economico del bilancio d'esercizio 2013 della EXPO 2015 s.p.a. le voci «studi e servizi da terzi» e «altri servizi» risultano pari, rispettivamente, a 20.066 mgl di euro e 5.994 mgl di euro;
   il bilancio di esercizio 2013 conferma la tendenza verso un progressivo aumento del peso percentuale, sul totale dei costi per servizi, di quelli per studi e servizi da terzi, pari al, 51,03 per cento a seguito dell'aumento, sia assoluto che percentuale, di tale voce incrementatasi di 15.069 mgl di euro (+301,62 per cento) rispetto all'anno precedente;
   anche la voce «altri servizi», che si riferisce ad attività accessorie a quella principale, è aumentata sia per incidenza sul totale dei costi per servizi, (15,24 per cento nel 2013; 9,28 per cento, nel 2012) sia rispetto all'anno precedente, in termini assoluti, pari a 4.665 mgl di euro e percentuali, pari a + 350,98 per cento;
   nella nota integrativa al bilancio di esercizio dello stesso anno, le suddette voci sono esposte in dettaglio, ma presentano un grado di aggregazione tale ad avviso degli interroganti da non rendere totalmente chiaro e comprensibile l'utilizzo delle risorse pubbliche ad esse correlato;
   alla luce dei recenti fatti di cronaca che hanno gettato un'ombra indelebile sul «grande evento», si ritiene auspicabile dimostrare alla cittadinanza un maggior grado di trasparenza, intesa come «accessibilità totale» alle informazioni che riguardano l'organizzazione e l'attività non solo delle pubbliche amministrazioni ma anche delle società partecipate dallo Stato e dagli enti locali, che troppo spesso nascondono significative sacche di opacità, alimentando le diffidenze della popolazione nei confronti delle istituzioni –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei dettagli inerenti alle sopracitate voci di bilancio e se intenda rendere note tali informazioni, anche fornendo la relativa documentazione, con particolare riguardo a nominativi e ragioni sociali dei fornitori, importi fatturati e descrizione dei servizi fruiti. (4-07745)


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è noto da fonti di stampa come imprenditori cinesi presenti nel nostro Paese spesso non rispettino le normative in materia di certificazione dei materiali dei prodotti immessi sul mercato, in materia tributaria e fiscale, nonché di sicurezza del luogo di lavoro;
   dall'ultimo rapporto del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, risalente al 2011, si riscontra come i principali illeciti in cui è coinvolta la comunità cinese riguardano, da un lato, l'immigrazione illegale, la tratta di esseri umani e la prostituzione, dall'altro, i reati economici, tra cui l'evasione fiscale, la bancarotta, l'usura, la frode, il gioco d'azzardo e il riciclaggio, a cui si aggiunge il business illecito della contraffazione di marchi;
   i dati del CNEL già stimavano che il rapporto fra le partite iva intestate a cittadini cinesi e il totale delle dichiarazioni dei redditi corrispondesse a cifre molto basse (per il 2008, ad esempio, a fronte di 44.000 partite iva corrispondeva un ammontare complessivo di soli 300 milioni di euro);
   la principale strategia utilizzata per l'evasione fiscale consiste nel chiudere la propria posizione dopo due anni, contando sul fatto che entro tale periodo le probabilità di subire una verifica fiscale è estremamente esigua e utilizzando la forma giuridica semplificata dell'impresa individuale che facilmente si presta allo stratagemma e permette di sfuggire ai controlli fiscali con tecniche fraudolente scarsamente elaborate; i detentori di società intenzionati a commettere reati economici fanno invece ricorso a sistemi più sofisticati, come far figurare a capo della società un fiduciario fittizio o irreperibile che funge da prestanome;
   le pratiche illegali di evasione fiscale si abbinano al riciclaggio del denaro attraverso il trasferimento di denaro verso la madrepatria facendolo rientrare nell'ampio flusso di rimesse per la Cina che, al primo posto in Italia, raggiunge la cifra di quasi 2 miliardi di euro, con un fenomeno sommerso di cui le statistiche penali danno conto solo in maniera marginale;
   accanto all'evasione fiscale, si riscontra il fenomeno della contraffazione che, secondo il rapporto del Cesdis, nel nostro Paese rappresenta un vero e proprio sistema commerciale e industriale, interessando prodotti che vanno dal settore alimentare passando per il tessile fino al farmaceutico, per un guadagno, secondo anche quanto rilevato da uno studio condotto dal Comando provinciale della Guardia di finanza di Roma, estremamente più alto rispetto ai cespiti illeciti prodotti dal traffico di sostanze stupefacenti;
   secondo i dati di Confcommercio e Confindustria e sulla base di indagini svolte in passato dalla Guardia di finanza, si tratta di una vera e propria economia parallela che fattura in Italia circa 7 miliardi di euro e che sottrae all'erario 5 miliardi di euro con una perdita di ben 130.000 posti di lavoro;
   il rapporto dell'UNICRI rileva come l'Italia sia tra i principali Paesi dell'Unione europea colpiti dalla contraffazione e rappresenti, inoltre, un importante punto di entrata per i prodotti contraffatti destinati ad altri Paesi europei, di cui la maggior parte arriva dalla Cina che attualmente risulta ancora la nazione più coinvolta e attiva in questo illecito;
   dall'Onu arriva l'allarme della pericolosità del fenomeno della contraffazione per la società civile: la riproduzione non autorizzata di alcune tipologie di prodotti come medicinali, giocattoli, cibi e bevande, pezzi di ricambio per autoveicoli e velivoli costituisce, infatti, una grave minaccia per la salute e la sicurezza dei cittadini, tanto più a causa del ruolo svolto da internet, sfruttato come canale di commercializzazione su larga scala dalle organizzazioni criminali;
   il fenomeno interessa l'intero territorio nazionale, con situazioni di criticità in determinate aree del Paese dove più forte è la concentrazione della comunità cinese: gli ultimi avvenimenti in merito riportati dalla stampa si sono registrati a Caserta e a Prato, ma questi rappresentano soltanto singoli casi di una fattispecie che spesso si riscontra anche in altre regioni, seppur con lievi differenze;
   nel capoluogo campano, durante il periodo natalizio appena trascorso, i controlli sull'attività economica di imprenditori di nazionalità o origine cinese hanno portato al sequestro di oltre 1.800 prodotti, tra cui giocattoli e altri oggetti ornamentali recanti la falsa marcatura «CE», per un valore commerciale che si aggirava intorno ai 200.000 euro;
   nel caso ben più eclatante di Prato, invece, l'indagine della Guardia di finanza ha portato alla luce un giro d'affari illecito di circa 2 miliardi di euro, di cui il 50 per cento sommerso, perpetrato grazie all'utilizzo di false busta paga utilizzate per ottenere permessi di soggiorno destinati a centinaia di lavoratori cinesi dipendenti di imprenditori della stessa nazionalità: gli imprenditori esibivano all'ufficio immigrazione della questura le buste paga attestando stipendi sufficienti al sostentamento economico richiesto per ottenere il permesso di soggiorno, ma ne presentavano poi altre di importo nettamente inferiore all'Agenzia delle entrate; inoltre, nella stragrande maggioranza dei casi l'impresa era intestata ad un prestanome, mentre il titolare dell'azienda è risultato non reperibile;
   la Guardia di finanza di Prato ha dichiarato che «le indagini hanno fatto luce su un consolidato sistema criminale, finalizzato al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina all'interno del distretto pratese, e di riflesso, a una completa evasione della normativa contributiva e fiscale», per una stima di 10 milioni di euro;
   a ciò si aggiunge anche il bilancio di sette morti causato dalle drammatiche condizioni di sicurezza della fabbrica tessile di Macrolotto, presso Prato, in cui i dipendenti cinesi dormivano nello stesso stabile in cui lavoravano senza che nessuna delle norme in materia di sicurezza sul lavoro venisse rispettata, anzi, come lo stesso presidente della regione Enrico Rossi ha sottolineato, in una situazione addirittura al di sotto dei diritti umani;
   sembrerebbe quindi opportuno intensificare i controlli della Guardia di finanza e dell'Agenzia delle entrate, e la collaborazione tra queste, al fine di contrarre tali fenomeni di evasione ed elusione fiscale e di contraffazione che, oltre a produrre un consistente danno all'erario, sono suscettibili di causare gravi effetti negativi non solo sotto il profilo del corretto andamento della libera concorrenza e dell'economia reale di settore, ma anche della sicurezza e della salute dei cittadini –:
   al fine di quantificare il danno economico alle casse dello Stato, in merito ai controlli effettuati nel biennio 2013-2025 dalla Guardia di finanza in collaborazione con l'Agenzia delle entrate:
    a) quante ispezioni e controlli siano stati effettuati in questo biennio ad attività imprenditoriali intestate o anche riconducibili a cittadini di nazionalità cinese, riportando il dato diviso per ogni singola regione per ciascuno dei due anni;
    b) a quanto ammonti l'ultima quantificazione sul danno complessivo in termini di risorse pubbliche causato dall'evasione fiscale di questi stessi imprenditori;
    c) a quanto ammonti la stima sul danno economico causato dalla contraffazione perpetrata dagli stessi soggetti.
(4-07752)


   OTTOBRE. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la legge di stabilità si sono poste le basi per la privatizzazione di poste italiane e nei documenti spediti al Governo in vista della privatizzazione, che dovrebbe avvenire nel 2015, sembrerebbe che la società delinea una manovra tariffaria dolorosa per le famiglie e una serie di tagli alle infrastrutture di cui si era già ventilata l'ipotesi nei mesi scorsi;
   l'aumento delle tariffe sembrerebbe non proporzionata alla qualità del servizio che ipotizzano di erogare, in quanto nelle ipotesi formulate, come esempio, la missiva prioritaria che oggi deve arrivare entro un giorno, (e ciò succede nell'89 per cento dei casi), costa 80 centesimi come tariffa base per gli invii fino a 20 grammi di peso, e nei progetti di Poste, la stessa che si chiamerà nuova prioritaria costerà 3 euro e arriverebbe puntuale solo nell'80 per cento degli invii, da ciò la deduzione che l'obiettivo di qualità si abbasserebbe;
   in vista del rinnovo del contratto di servizio previsto entro marzo 2015, risulterebbe che Poste italiane stia studiando anche altri modi per alzare l'asticella dei ricavi, uno di questi prevede un alleggerimento e una maggiore flessibilità del servizio di recapito, la consegna della posta ordinaria, che oggi avviene dal lunedì al venerdì, potrebbe infatti avvenire a giorni alterni e la sua frequenza potrebbe essere graduata anche in base al numero degli abitanti dalle città ai piccoli comuni;
   con l'articolo 2 della delibera N. 342/14/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si integrano i criteri di divieto di chiusura degli uffici postali situati anche nei comuni rurali che rientrano anche nella categoria dei Comuni montani del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, intendendo per «comuni rurali», Comuni con densità abitativa inferiore a 150 ab/chilometri quadrati 2, secondo i più recenti dati demografici ISTAT e per «Comuni montani», i comuni contrassegnati come totalmente montani nel più recente elenco di comuni Italiani pubblicato dall'ISTAT;
   il criterio guida del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008 per la distribuzione degli uffici postali è costituito dalla distanza massima di accessibilità al servizio, espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al presidio più vicino, ed è declinato in rapporto a tre diverse fasce di popolazione residente sull'intero territorio nazionale, a ciascuna delle quali il fornitore del servizio universale è tenuto a garantire un punto d'accesso a differenti distanze massime: in particolare, con riferimento all'intero territorio nazionale, il fornitore del servizio universale assicura: un punto di accesso entro la distanza massima di 3 chilometri dal luogo di residenza per il 75 per cento della popolazione; un punto di accesso entro la distanza massima di 5 chilometri dal luogo di residenza per il 92,5 per cento della popolazione; un punto di accesso entro la distanza massima di 6 chilometri dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione;
   l'articolo 4 della Delibera N. 342/14/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni stabilisce inoltre che gli uffici postali presidio unico di comuni con popolazione residente inferiore a 500 abitanti, ove sia presente entro 3 chilometri un ufficio limitrofo aperto almeno tre giorni a settimana, osservino un'apertura al pubblico non inferiore a due giorni e dodici ore settimanali, garantendo un coordinamento con gli orari di apertura del suddetto ufficio limitrofo, in modo da assicurare la più ampia accessibilità del servizio;
   l'articolo 6, sempre della suddetta delibera stabilisce che con cadenza annuale poste italiane trasmetta all'Autorità un'informativa sugli interventi di chiusura e rimodulazione oraria di uffici postali, pianificati ai sensi dell'articolo 2, comma 6 del contratto di programma, effettivamente attuati nell'anno di riferimento, dando evidenza del contenimento dei costi risultante dall'attuazione degli interventi e specificando le tempistiche di preavviso seguite nei confronti delle autorità locali nonché gli esiti del confronto con le stesse;
   nella giornata di ieri si è svolta l'inaugurazione del «call center postale» di Trento Nord, la cui attività è stata avviata nel giugno dello scorso anno, all'inaugurazione era presente il responsabile area territoriale Nord-Est di Poste italiane, dottor Cosimo Andriolo, che ha chiarito che i tagli previsti nel 2015 verranno effettuati in un'ottica di ottimizzazione delle risorse procedendo con 500 chiusure di piccoli uffici in cui opera un solo dipendente, si tratterebbe di sportelli che effettuano meno di trenta operazioni quotidiane;
   il dottor Cosimo Andriolo avrebbe sottolineato che per quanto riguarda il trentino non è ancora possibile definire come incideranno i tagli ma che certamente sarà rispettato il vincolo di salvaguardia delle zone montane;
   andrebbe verificata la legittimità degli aumenti proposti da Poste Italiane s.p.a., al fine di tutelare le famiglie già indebolite dalla prolungata crisi economica e certo non propense ad un maggior esborso per un servizio ad oggi non proprio efficiente e ancor meno in futuro viste le su indicate previsioni di recapito e servizi –:
   se il Ministro non ritenga opportuno attuare ogni forma di controllo possibile, alla luce del piano di privatizzazione di Poste italiane s.p.a., affinché vengano accuratamente osservate e rispettate le norme sopra richiamate, a tutela dei cittadini che vivono nei comuni rurali e montani già fortemente penalizzati nel quotidiano da altre recenti scelte legislative. (4-07763)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri con il decreto-legge n. 4 del 24 gennaio 2015 ha stabilito che, a decorrere dall'anno 2015 (e, retroattivamente, per il 2014), l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applica:
    «a) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni classificati totalmente montani di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT);
    b) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei comuni classificati parzialmente montani di cui allo stesso elenco ISTAT»;
   tale decreto-legge ha, dunque, rimodulato i criteri di esenzione dei terreni agricoli, ancorandoli all'altitudine del comune ove gli stessi sono ubicati e diversificando (rectius: irragionevolmente discriminando) tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali e gli altri;
   risultano perciò esclusi dall'esenzione tutti quei terreni che, sebbene situati in zone dichiarate «non montane», si trovano in zone fortemente compromesse da fenomeni di dissesto idrogeologico o, comunque, caratterizzate da gravissime condizioni economico-agrarie;
   la disciplina in parola contrasta, dunque, già di per sé e di primo acchito, non solo con quanto previsto dall'articolo 44, comma 2, della Costituzione, ma anche con tutti quei princìpi di tutela dei territori agricoli svantaggiati risultanti dalla vigente normativa nazionale ed euro unitaria, ponendo in essere una palese discriminazione, sotto il profilo del trattamento impositivo, tra terreni posti ad altitudini differenti ma versanti nelle stesse, gravissime, condizioni di scarsa redditività;
   sotto altro, autonomo, profilo, dalla stessa classificazione ISTAT dei comuni italiani emergono evidenti incongruità e discriminazioni, violando così l'ulteriore canone costituzionale della ragionevolezza  (articolo 3 della Costituzione), ai sensi del quale si devono «disciplinare in modo eguale le situazioni eguali ed in modo diverso quelle differenti» (Corte cost. sent. n. 62/1972);
   a causa di simili incongruenze i terreni ricadenti nel territorio di alcuni comuni impropriamente considerati di montagna, saranno esentati dal pagamento dell'IMU, mentre altri, situati in municipi ritenuti solo parzialmente montani (sebbene ubicati da un'altitudine anche superiore a 600 mlm), saranno solo parzialmente esentati o non esentati affatto;
   i casi di discriminazione sin qui rappresentati riguarderanno moltissimi comuni su tutto il territorio nazionale determinando inammissibili discriminazioni tra terreni agricoli, persino confinanti: ad esempio, in Sabina, nella provincia di Rieti, in un territorio estremamente fragile dal punto di vista idrogeologico e scarsamente redditizio, vi saranno comuni nel cui territorio i terreni saranno esenti dal pagamento dell'IMU agricola perché ritenuti montani (come ad esempio Poggio Mirteto, il quale si trova a soli 246 msl), mentre in altri municipi, confinanti con quest'ultimi, tale esenzione inspiegabilmente non vi sarà (ed è caso di Montopoli in Sabina, il quale si trova a ben 331 msl, è confinante con Poggio Mirteto, ed è stato dichiarato non montano);
   la situazione ora descritta non è degna di un Paese civile, nel quale i cittadini siano chiamati a pagare il giusto tributo secondo princìpi di progressività, di ragionevolezza e di legittimo affidamento; mentre l'attuale disciplina, al contrario, per come è stata adottata e per quello che prescrive, sembra violare i canoni appena richiamati –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato dei fatti esposti in premessa;
   se non reputi necessario, data la gravità della situazione, attivarsi egli stesso, nell'ambito delle sue competenze e di concerto con le altre istituzioni competenti, al fine di verificare ed eliminare entro il prossimo 10 febbraio 2015 le gravi incongruenze applicative della normativa in questione. (4-07784)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni sono state pubblicate circolari emanate da varie segreterie Cgil e Spi-Cgil che denunciano emissioni di cosiddette «cartelle pazze INPS»;
   secondo quanto segnalato nelle circolari, le cartelle INPS oltre a un testo incomprensibile, presentavano ingiunzioni di pagamento risultate fissate per giorni già superati all'atto della consegna postale;
   tali ingiunzioni di pagamento, secondo quanto appreso da innumerevoli fonti di stampa sull'intero territorio nazionale, sarebbero state consegnate a disoccupati, lavoratori in mobilità e cassintegrati ai quali si richiedono pagamenti all'Agenzia delle entrate con cifre fino a 400 euro, del tutto privi di una coerente spiegazione;
   secondo organi di stampa «l'Istituto nazionale di previdenza ha chiarito che si tratta di un errore partito dalla piattaforma fiscale e che le sedi territoriali hanno già avuto gli elenchi dei pensionati interessati»;
   l'invio di «cartelle pazze» da parte dell'INPS è un errore che è stato commesso più volte dall'Istituto nel corso degli anni;
   l'interrogante non ha notizia di circolare INPS consegnata ai componenti l'elenco degli interessati che hanno ricevuto le «cartelle pazze» –:
   se sia a conoscenza dei fatti e se intenda effettuare verifiche per individuare eventuali responsabilità ed eventualmente segnalare i fatti alla magistratura contabile ove ne ricorrano i presupposti;
   se, nel limite delle proprie competenze, intenda emanare disposizioni affinché l'Istituto nazionale di previdenza sociale spedisca comunicazione cartacea all'elenco degli interessati dal ricevimento di «cartelle pazze»;
   se, nel limite delle proprie competenze, intenda emanare disposizioni affinché chi ha pagato somme non dovute sia rimborsato in maniera completa, comprese le spese di pagamento con modulo F24 e altro, automatica, gratuita e nel minor tempo possibile;
   quale sia l'ammontare di eventuali perdite di denaro pubblico dovute ai rimborsi, al costo delle cartelle spedite e altro. (4-07787)


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio 2015 il Consiglio dei Ministri ha adottato un decreto-legge con il quale sono stati di fatto ripristinati i vecchi parametri dell'Imu in agricoltura;
   tali parametri e l'applicazione della stessa imposizione restano comunque incostituzionali in Sardegna;
   il termine di pagamento per chi non rientra nei parametri di esenzione è posticipato al 10 febbraio 2015;
   si riaffermano gravi profili di incostituzionalità del provvedimento con gravissime conseguenze che si avrebbero nel comparto agricolo;
   si configurano gravissime discriminazioni territoriali anche tra comuni di fatto confinanti e ricadenti nella stessa area agricola integrata;
   in Sardegna risultato costretti a pagare l'imu agricola i seguenti comuni: Alghero, Ardara, Banari, Bonnanaro, Borutta, Bulzi, Cargeghe, Castelsardo, Codrongianos, Florinas,  Ittireddu, Laerru, Mara, Martis, Monteleone, Mores, Muros, Olmedo, Ossi, Sardara, Padria, Porto Torres, Putifigari, Romana, Sassari, Sedini, Sennori, Siligo, Sorso, Tissi, Torralba, Uri, Usini, Valledoria, Stintino, Dualchi, Noragugume, Ottana, Barrali, Cagliari, Decimomannu, Decimoputzu, Donori, Gesico, Guamaggiore, Guasila, Monastir, Nuraminis, Ortacesus, Pimentel, Samatzai, San Sperate, Selargius, Selegas, Senorbì, Sestu, Settimo San P., Soleminis, Ussana, Villasor, Villaspeciosa, Monserrato, Escolca, Gergei, Nuragus, Nurallao, Aidomaggiore, Arborea, Baradili, Baratili San P., Baressa, Bauladu, Bidonì, Boroneddu, Cabras, Ghilarza, Gonnoscodina, Gonnostramatza, Masullas, Elmas, Milis, Mogoro, Narbolia, Norbello, Nurachi, Ollastra, Oristano, Pompu, Riola Sardo, San Nicolò, San Vero Milis, Sedilo, Siamaggiore, Simala, Simaxis, Sini, Siris, Solarussa, Sorradile, Tadasuni, Terralba, Suelli, Tramatza, Uras, Villanova Trus, Zeddiani, Zerfaliu, Soddì, Golfo Aranci, Loiri, Cardedu, Barumini, Collinas, Furtei, Genuri, Las Plassas, Lunamatrona, Pabillonis, Pauli Arbarei, Samassi, San Gavino, Sanluri, Segariu, Serramanna, Serrenti, Siddi, Turri, Ussaramanna, Villamar, Villanovaforru, Villanovafranca, Calasetta, Carloforte, Giba, Gonnesa, Masainas, Musei, Piscinas, Portoscuso, San Giovanni S., Sant'Anna Arresi, Sant'Antioco;
   l'articolo 3 dello statuto della regione autonoma della Sardegna dispone: «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: ... d) agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario»;
   il titolo III – finanze – demanio e patrimonio, all'articolo 7, dispone: «La regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»;
   l'Unione europea con il regolamento (CE) n. 247/2006 recante misure specifiche nel settore dell'agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell'Unione ha indicato le seguenti strategie relative al settore agricolo e alle regioni insulari:
    «1) la particolare situazione geografica delle regioni ultraperiferiche, rispetto alle fonti di approvvigionamento di prodotti essenziali al consumo umano, alla trasformazione o in quanto fattori di produzione agricoli, impone a queste regioni costi aggiuntivi di trasporto. Una serie di fattori oggettivi connessi all'insularità e all'ultraperifericità impongono inoltre agli operatori e ai produttori di tali regioni vincoli supplementari che ostacolano pesantemente le loro attività. In taluni casi, operatori e produttori sono soggetti ad una doppia insularità. Tali svantaggi possono essere mitigati riducendo il prezzo dei suddetti prodotti essenziali. Risulta dunque opportuno, per garantire l'approvvigionamento delle regioni ultraperiferiche e per ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, instaurare un regime specifico di approvvigionamento;
    2) a tal fine, in deroga all'articolo 23 del trattato, è opportuno esentare dai dazi le importazioni di taluni prodotti agricoli provenienti da paesi terzi. Per tener conto della loro origine e del trattamento doganale loro applicabile ai sensi delle disposizioni comunitarie, occorrerebbe equiparare ai prodotti importati direttamente, ai fini della concessione del regime specifico di approvvigionamento, i prodotti che sono stati oggetto di perfezionamento attivo o deposito doganale nel territorio doganale della Comunità;
    3) per realizzare efficacemente l'obiettivo di ridurre i prezzi nelle regioni ultraperiferiche e di ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, salvaguardando nel contempo la competitività dei prodotti comunitari, è opportuno concedere aiuti per la fornitura di prodotti comunitari nelle regioni ultraperiferiche. Tali aiuti dovrebbero tenere conto dei costi aggiuntivi di trasporto verso le regioni ultraperiferiche e dei prezzi praticati all'esportazione verso i paesi terzi nonché, nel caso di fattori di produzione agricoli e di prodotti destinati alla trasformazione, dei costi aggiuntivi dovuti all'insularità e all'ultraperifericità»;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 recante «Disposizioni urgenti per la crescita l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito dalla legge n. 214 del 2011, prevede che l'imposta municipale unica (IMU), istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011, sia applicata a partire dal 2012;
   all'imposta (sostitutiva dell'ICI e dell'IRPEF sulla rendita catastale) risultano essere assoggettati sia i terreni agricoli, sia i fabbricati rurali;
   si tratta di una modifica sostanziale della fiscalità, applicata al settore primario, e, in particolare, ai beni funzionali all'esercizio dell'attività agricola, che vengono assimilati, in buona parte, a puro e semplice patrimonio;
   viene meno il regime di fiscalità speciale sino ad oggi riconosciuto al settore, in virtù dei ruoli che l'agricoltore svolge e dei beni prodotti dallo stesso, non limitando, tali ultimi, alla pur essenziale produzione di cibo. Si pensi, per esempio alla salvaguardia del territorio e del paesaggio: attività connaturata all'esercizio dell'agricoltura, di cui tutti i cittadini godono, ma che, certamente, non risulta remunerata dal mercato;
   questa tipologia di immobili, come d'altra parte i terreni, costituiscono gli strumenti di lavoro dell'agricoltore e non possono, come tali, essere considerati alla stregua di pura e semplice ricchezza accumulata;
   l'IMU va a colpire l'agricoltura in un suo punto debole, costituito dalla forte immobilizzazione di capitali a bassissima redditività;
   l'applicazione ai fabbricati rurali ad uso strumentale di un'aliquota ridotta allo 0,2 per cento, pur combinata con la facoltà riconosciuta ai comuni di ridurre dello 0,1 per cento detta aliquota, produrrà comunque effetti devastanti, in considerazione del fatto che, a base del calcolo vengono inseriti anche i terreni. Tanto si tradurrà in un aggravio considerevole per le aziende agricole;
   emerge una forte preoccupazione circa gli effetti che l'applicazione di questa nuova imposta possa avere su un settore strutturalmente fragile, dal punto di vista economico, ed alle prese con gli effetti di una crisi particolarmente grave;
   l'applicazione dell'IMU potrebbe, verosimilmente, accelerare il processo di dismissione del settore agricolo, che l'ultimo censimento ha fotografato in modo inequivocabilmente in declino. L'appesantimento tributario si pone in antitesi, anche, rispetto agli auspicati, e mai attuati, interventi di politica agraria nazionale indispensabili per lo sviluppo di questo comparto;
   ad essere colpite maggiormente saranno le aree a minor redditività (aree svantaggiate in genere come le regioni insulari), che spesso collimano con territori di particolare pregio ambientale e paesaggistico; l'abbandono dell'attività agricola, in tali casi, determinerebbe conseguenze devastanti ed irreversibili a danno dell'intera collettività (si pensi, in primis, alla compromissione degli equilibri idrogeologici);
   si tratta di un'imposta che avrà un impatto molto pesante sul settore agricolo, una nuova imposta che sconvolge anche il principio fondamentale che il valore dei fabbricati rurali deve essere visto in tutt'uno con la terra;
   il peso dell'IMU per le imprese agricole italiane, fra 1,3 miliardi di euro di nuove imposte e due/tre miliardi di euro per l'accatastamento dei fabbricati rurali, è prossimo al valore della politica agricola comune per il nostro Paese;
   si tratta di un'imposta le cui indicazioni attuative appaiono oggi discutibili e contraddittorie, anche rispetto alle posizioni assunte da gran parte dei Governi e dei parlamentari europei in ordine alla politica agricola comune, di cui si discute attualmente la riforma;
   l'Imu colpirà pesantemente terreni agricoli e fabbricati rurali, dalle stalle ai fienili fino ai capannoni necessari per proteggere trattori e attrezzi, andando di fatto a tassare quelli che sono a tutti gli effetti mezzi di produzione per le imprese agricole;
   questa nuova «patrimoniale agricola» si abbatte pesantemente sugli agricoltori, in quanto colpisce il «bene terra» in quanto tale, non riconoscendone più il carattere di ruralità e la funzione di bene strumentale (ed indispensabile) all'esercizio dell'attività di impresa;
   le competenze statutariamente attribuite alla regione Sardegna in materia di agricoltura e la disposizione che prevede un sistema fiscale coordinato e armonico rendono, ad avviso dell'interrogante, l'introduzione dell'Imu per le zone agricole una palese violazione delle peculiarità autonomistiche dello Statuto sardo e conseguentemente sono in contrasto le prerogative costituzionali;
   gli indirizzi comunitari relativamente alle politiche agricole nelle aree periferiche e insulari prescrivono l'esigenza di compensare e ridurre il gap insulare che si abbatte sulle produzioni agricole di questi territori;
   l'introduzione dell'Imu anche per le zone agricole rende di fatto sempre più oneroso il divario gestionale e mette ancor più fuori mercato le produzioni agricole delle regioni insulari, disattendendo le disposizioni comunitarie –:
   se intenda assumere una nuova iniziativa normativa urgente che sopprima tale nuovo prelievo fiscale sul mondo agricolo;
   se non intenda adottare immediate iniziative normative volte a escludere dalla disciplina di cui in premessa le regioni a statuto autonomo che hanno competenze esclusive per l'agricoltura e concorrenti sulla fiscalità;
   se alla luce delle precise indicazioni comunitarie, non intenda assumere iniziative per esentare le regioni insulari e/o ultraperiferiche da un ulteriore aggravio che va a sommarsi al già pesantissimo divario legato proprio all'insularità;
   se non intenda adottare iniziative normative che esentino dal pagamento dell'imposta i fabbricati rurali ad uso strumentale, con particolare riferimento a quelli dislocati in aree svantaggiate.
(4-07809)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Flavia Capelletti, trentaduenne disabile di Vailate, è in attesa di veder sistemata la sua situazione rispetto al canone Rai, che lei non paga ma che nel frattempo continua ad esserle addebitato. Flavia abita in via Pascoli assieme ad uno zio: stesso domicilio, un solo televisore, ma due stati di famiglia, che per la tv di Stato corrispondono all'obbligo di pagare due abbonamenti;
   «Nel 2009, per la prima volta – racconta Flavia a LaProvinciadiCrema.it il 30 gennaio 2015 – ricevo il bollettino di pagamento del canone a nome mio. Convinta distrattamente che fosse intestato a mio zio sono andata a pagarlo. Dopo qualche giorno ricevo anche il bollettino a nome suo. Allora telefono alla Rai spiegando che io e lui viviamo sotto lo stesso tetto, con un solo televisore, e che quindi dovremmo pagare un solo abbonamento: mi viene detto di fare un'autocertificazione con la richiesta di trasferire il mio abbonamento su quello dello zio. Così spedisco alla Rai una raccomandata. Ad oggi non ho ancora ricevuto una risposta»;
   nel 2010 a Flavia e allo zio arrivano ancora due bollettini e così ogni anno. Flavia paga per lo zio ma non per lei, perché ritiene di non doverlo fare. Nel frattempo arrivano anche le multe di Equitalia (Flavia, in buona fede, fa l'errore di ricevere la prima raccomandata), che oramai superano i 500 euro escluse quelle per gli ultimi due abbonamenti non pagati. «Nel novembre scorso – continua Flavia su LaProvinciadiCrema.it – telefono alla Rai, al numero 199, spendendo 8 euro: mi passano quattro uffici, spiego loro il problema e alla fine mi dicono che sistemeranno tutto ma ancora una volta non cambia nulla»;
   nel frattempo su LaProvinciadiCrema.it il 30 gennaio 2015 si legge: «Paola Cremona, ex dipendente Rai ed amica di Flavia, si interessa del problema. Anche a lei dicono che sarebbe andato tutto a posto ma ancora una volta non succede. Dopo le feste Flavia ritelefona alla Rai e in quel frangente le viene detto che essendo uno solo il domicilio ma due gli stati di famiglia gli abbonamenti da pagare sono altrettanti. “Ho chiesto di disattivare il mio abbonamento e mi hanno detto che non è possibile”, precisa Flavia. “Flavia – spiega Paola Cremona – è una ragazza affetta da tetrapresi spastica a seguito di trauma da parto. Ciò nonostante aiuta le persone con la sua onlus Il Filo Creativo di Flavia, va ai mercatini e ne dona il ricavato in beneficenza. Non è certo una che vuoi fare la furba. Se non ha pagato l'abbonamento è perché la Rai le aveva detto che sarebbe andato tutto a posto. Io stessa mi sono recata agli uffici dell'azienda a Milano per capire che cosa si potesse fare: una prima volta il direttore Roberto Serafini è stato molto gentile, la seconda purtroppo era assente perché malato. Molto meno gentile di lui è stato il funzionario che mi ha risposto che la legge è legge e che gli abbonamenti vanno pagati”» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative intenda adottare per scongiurare quelle che all'interrogante appaiono vessazioni dei contribuenti. (4-07820)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 22 gennaio 2015, secondo quanto hanno riportato diversi organi di stampa locali e nazionali, tra le ore 18 e le ore 21, una sessantina di detenuti, rinchiusi nella sezione del quarto piano del «grattacielo» (sezione condannati in via definitiva) del carcere «Due Palazzi» di Padova, avrebbero provocato una violenta rissa reagendo all'intervento delle guardie penitenziarie. Due agenti sono finiti al pronto soccorso dell'ospedale di Padova, colpiti al basso ventre con la gamba di un tavolo. Un altro ha riportato conseguenze minori. Sempre secondo gli articoli di stampa, «sarebbero stati sequestrati dei coltelli rudimentali che i reclusi, spesso, ricavano dalle scatolette di tonno o da chiodi» (il mattino di Padova del 23 gennaio 2015, articolo di Cristina Genesin dal titolo «Rivolta dei detenuti: tre ore di paura al Due Palazzi, tre agenti feriti»);
   il bilancio effettivo è stato riferito al termine dell'ispezione compiuta dal pm Sergio Dini e dal capo della squadra mobile della questura di Padova Marco Calì: è di due guardie ferite, con prognosi di 3 e 10 giorni, e di una terza con conseguenze più lievi. Gli inquirenti hanno escluso nel modo più assoluto una matrice terroristico-sovversiva nella rivolta;
   un'agenzia ANSA del 23 gennaio 2015 riporta che il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, ha fatto sapere che dopo la rivolta del 22 gennaio sera un detenuto di origine rumena armato di taglierino avrebbe aggredito una guardia carceraria. La lama avrebbe tagliato solo la divisa dell'agente, senza ferirlo. «Stavano spostando uno degli autori dell'aggressione di ieri – ha spiegato il responsabile del Sappe, Giovanni Vona – ma nel tragitto questo ha estratto una lametta e ha aggredito la scorta». Per immobilizzarlo, racconta, «è stato necessario uno sforzo mai visto». «È evidente a questo punto» ha concluso Vona, «che i vertici stanno sottovalutando la situazione. Anche oggi si è sfiorato l'ennesima lesione grave ai danni dell'agente. Il timore a questo punto è che ci siano diverse regie dietro a queste aggressioni»;
   il Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, per voce questa volta del leader Donato Capece, ha spiegato così la presunta rivolta del 22 gennaio: «Nella sezione detentiva regolamentata dalla vigilanza dinamica, che permette ai detenuti di girare liberi buona parte del giorno e che per questo presenta livelli minimi di sicurezza (ragione per cui il Sappe osteggia tale improvvida organizzazione detentiva), si respirava alta tensione, con atteggiamenti palesemente provocatori da parte di buona parte dei detenuti verso i poliziotti – spiega Capece – Qualcosa “bolliva in pentola”, tanto che all'atto dell'ingresso nel Reparto detentivo di due poliziotti penitenziari questi sono stati aggrediti e feriti senza alcuna giustificazione e le cose sono drammaticamente degenerate con urla e grida, evidentemente sintomo dell'avvio di una protesta dei ristretti. Molti di questi, di origine araba, inneggiavano ad Allah e all'Isis, il gruppo islamista tristemente noto, ed è un particolare, questo, assai preoccupante»;
   l'ultima affermazione di Capece, secondo cui i detenuti coinvolti fossero di origine araba e inneggiassero ad Allah e all'Isis, sarebbe apparsa del tutto infondata, visto che la sezione ove si sono verificati gli scontri ospita detenuti di origine rumena, albanese o moldava, e sarebbe stata smentita dagli inquirenti;
   sono stati 15 gli arrestati e 31 i denunciati nel giugno del 2014 all'interno del carcere «Due Palazzi»: tra questi c'erano anche sei agenti di polizia penitenziaria. Si è trattato di un'inchiesta coordinata dal pubblico ministero padovano Sergio Dini che ha scoperto un traffico di droga, chiavette usb, filmati pornografici, cellulari e sim tra i detenuti della casa di reclusione, appoggiati da diversi agenti conniventi;
   solo verso le ore 21, sempre secondo quanto riporta il mattino di Padova, sarebbe tornata la calma, mentre agenti a riposo sarebbero stati richiamati da casa per dare sostegno ai colleghi già in servizio;
   circostanza fondamentale dell'intera vicenda, a parere dell'interpellante, è il sovraffollamento che interessa il Due Palazzi e in particolare la sezione oggetto dei disordini: a oggi quest'ultima conta oltre 800 detenuti rispetto alla capienza di 430 persone, ma la situazione è altrettanto esplosiva nella casa circondariale, dove stazionano i detenuti in attesa di giudizio, con ben 245 presenze a fronte di una capienza massima di 98; proprio il sovraffollamento costituisce inevitabilmente una condizione che frustra le aspettative di migliori condizioni di vita, dei reclusi e di conseguenza una probabile causa, almeno indiretta, di quanto avvenuto;
   il Presidente della Repubblica uscente Giorgio Napolitano, nel suo messaggio alle Camere, ha ricordato quanto il sovraffollamento cronico cui sono soggette le carceri italiane sia incostituzionale poiché mina alla base la stessa finalità rieducativa della pena –:
   di quali informazioni disponga il Governo relativamente ai fatti riferiti e se non si intenda avviare, nel rispetto e indipendentemente da eventuali inchieste della magistratura, un'indagine amministrativa interna per chiarire le ragioni della rivolta e in particolare come i detenuti potessero disporre impunemente di bastoni e coltelli rudimentali nelle proprie celle che, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, sarebbero stati utilizzati nel corso dei disordini;
   se il Governo possa adoperarsi affinché venga colmata la grave lacuna a livello di organico per quanto attiene ai turni degli agenti di polizia penitenziaria che, con riferimento al numero di detenuti, dovrebbero essere almeno il doppio di quanti ve ne sono oggi;
   se e quali iniziative si intendano intraprendere per risolvere in tempi brevi la situazione di sovraffollamento del carcere Due Palazzi di Padova, a tutela della vivibilità e della sicurezza nella struttura detentiva di agenti e reclusi.
(2-00826) «Zan».

Interrogazioni a risposta immediata:


   DAMBRUOSO e MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il personale dell'amministrazione della giustizia, unitamente alla magistratura e alla polizia giudiziaria, riveste un ruolo fondamentale per il buon funzionamento del sistema giustizia nel nostro Paese: cancellieri, ufficiali giudiziari, informatici, archivisti, operatori giudiziari e autisti lavorano da decenni con carichi di lavoro in costante aumento, a fronte non solo di una carenza di organico sempre maggiore (mai sopperita dal Ministero della giustizia, benché prevista nell'ambito del parziale turnover), ma soprattutto di una mancata riqualificazione giuridica del personale e di una progressiva perdita del potere di acquisto del relativo stipendio;
   in particolare, come segnalato dalle organizzazioni sindacali, a partire dal 2001 il personale del Ministero della giustizia, appartenente ai ruoli del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, è stato ingiustamente penalizzato, non avendo ottenuto una legittima progressione di carriera, riconosciuta invece a tutte le altre amministrazioni ministeriali;
   parallelamente, a detta delle rappresentanze sindacali, la parte economica stipendiale del personale dell'organizzazione giudiziaria non ha avuto alcuna progressione dal 2005 – a causa dei concordati meccanismi di perequazione contrattuale che hanno bloccato l'indennità di amministrazione – a differenza di quanto accaduto in altre amministrazioni pubbliche, dove tale indennità è aumentata in maniera corrispondente al tasso di inflazione programmato, come prescritto dalla normativa di settore;
   in questo contesto di difficoltà, i sindacati di categoria lamentano altresì la diminuzione delle risorse allocate al Ministero della giustizia per il premio di produttività e la mancata corresponsione delle quote del fondo unico di amministrazione (impiegato per retribuire i trattamenti salariali accessori) spettanti dal 2012, a causa della mancata convocazione del tavolo concertativo sull'istituzione del fondo che finanzia la parte accessoria – di natura premiale – della retribuzione del personale per gli anni 2013 e 2014;
   tali criticità del personale appartenente ai ruoli del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria si inseriscono nella più ampia cornice del blocco del rinnovo contrattuale che ha colpito tutto il pubblico impiego a far data dal 2010 e che, in assenza di appositi provvedimenti normativi, dovrebbe proseguire fino a tutto il 2017, rendendo ancora più pesante e discriminatoria la situazione retributiva del personale giudiziario;
   per reperire adeguate coperture finanziarie per lo sblocco dei contratti degli appartenenti ai comparti sicurezza e giustizia si potrebbe fare ricorso al Fondo unico di giustizia, istituito ex articolo 61, commi 23 e 24, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e con l'articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008 n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 181 del 2008;
   in tale contesto, un segnale favorevole è stato dato dal Ministro interrogato che, illustrando le linee guida sulla riforma del sistema giudiziario, ha posto al dodicesimo punto l'obiettivo di riqualificare e valorizzare il personale dell'amministrazione della giustizia (come si apprende dall'informativa pubblicata sul sito istituzionale del Ministero della giustizia in data 18 agosto 2014);
   lo stesso Ministro interrogato, il 19 gennaio 2015, in occasione delle comunicazioni al Parlamento sulla amministrazione della giustizia, ha affermato: «Credo che ora tutto il nostro impegno debba essere rivolto al reperimento delle risorse necessarie per il riconoscimento delle competenze maturate, ed è fondamentale il ruolo svolto dal personale di ruolo del servizio giustizia, per il quale è mio rammarico non essere riuscito ancora a costruire una risposta compiuta» –:
   quali siano le modalità con cui l'amministrazione della giustizia intende svolgere, articolare e sviluppare le annunciate procedure di riqualificazione del personale giudiziario. (3-01274)
(Presentata il 4 febbraio 2015)


   GIORGIA MELONI e RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», attribuisce al Governo la facoltà, tra le altre, di operare un'articolata depenalizzazione;
   in base alla legge delega, con l'emanazione dei decreti delegati, previsti entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge medesima, il Governo dovrà procedere all'abrogazione di specifici articoli del codice penale, sostituendo le pene detentive attualmente previste con sanzioni pecuniarie civili;
   tra gli articoli del codice penale da abrogare figura anche quello previsto dall'articolo 633, primo comma, che disciplina l'invasione di terreni o edifici altrui, «pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto»;
   la successiva esclusione delle ipotesi di cui all'articolo 639-bis del codice penale, lascia intendere che non dovrebbero essere depenalizzati i casi di occupazione per i quali si procede d'ufficio, vale a dire i casi in cui si tratti di «acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico»;
   in alcuni casi, tuttavia, le case popolari sono gestite in base a norme privatistiche, tanto che, come nel caso della Aler (azienda lombarda di edilizia residenziale), per la tutela dei relativi interessi si procede a querela di parte perché tali fattispecie non rientrano nei casi per i quali vige la procedibilità d'ufficio di cui al citato articolo 639-bis;
   dopo anni di crisi economica l'Italia sta affrontando una vera e propria emergenza sociale nella quale la mancanza di alloggi sta diventando un ulteriore fattore di crisi;
   negli ultimi mesi si è assistito, infatti, al vertiginoso aumento del fenomeno delle occupazioni abusive di immobili e la depenalizzazione del relativo reato, seppur circoscritta ai soli immobili di proprietà privata, appare suscettibile di creare ulteriore allarme sociale e conseguenze drammatiche;
   la legge n. 67 del 2014 prevede anche la depenalizzazione del reato di deviazione di acque, di cui all'articolo 632 del codice penale, elemento che appare fortemente in contrasto con lo sforzo che, invece, andrebbe fatto a tutela dei territori e dei corsi d'acqua nell'attuale periodo di grave dissesto idrogeologico –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative normative per rivedere le fattispecie di reato rispetto alle quali intervenire nel senso di una depenalizzazione, con particolare riferimento al tema delle occupazioni abusive di beni altrui. (3-01275)
(Presentata il 4 febbraio 2015)


   SPADONI, SARTI, PAOLO BERNINI, DALL'OSSO, DELL'ORCO e FERRARESI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione Aemilia effettuata dall'Arma dei carabinieri coordinata dalle direzione distrettuale antimafia di Bologna e Catanzaro dimostra che in questi anni l'amministrazione politica emiliano romagnola nella lotta alla ’ndrangheta a giudizio degli interroganti ha completamente fallito;
   dalle intercettazioni agli atti emerge che vi sono stati presunti tentativi di influenzare le tornate elettorali dei comuni reggiani e parmigiani in diversi modi, appalti presumibilmente pilotati, presunte tangenti alle cooperative, presunte iniziative nei confronti di prefetti che emettevano interdittive antimafia verso ditte colluse;
   a gennaio 2015 il giornalista Giovanni Tizian su L'Espresso scriveva che l'ex sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, di cui è stata richiesta dagli interroganti la rimozione dal ruolo di Sottosegretario di Stato, veniva fortemente incalzato dalla procura che lo sentiva come persona informata sui fatti in merito alle circostanze relative alla campagna elettorale 2009 e alla sua presenza nel comune di Cutro, notoriamente sotto il controllo della cosca Grande Aracri, nel periodo precedente alle elezioni in Emilia;
   Tizian ricordava, inoltre, che la vicinanza al mondo politico di detta cosca si evince anche da un'altra circostanza riguardante il sindaco di Verona, Flavio Tosi, il quale sembrerebbe aver partecipato ad una cena con Antonio Gualtieri, ad oggi agli arresti, mente economica della cosca Grande Aracri;
   il 13 ottobre 2014 è stato emanato il decreto legislativo n. 153 entrato in vigore il 26 novembre 2014. Nel testo sono state recepite alcune osservazioni del parere approvato in Commissione giustizia alla Camera dei deputati il 2 ottobre 2014. Nonostante ciò, la materia disciplinata non ha subito sostanziali cambiamenti se non per l'introduzione di alcune garanzie quali la previsione della prestazione di una garanzia fideiussoria da parte di quelle aziende che presentino l'autocertificazione in luogo della certificazione antimafia;
   tale ultima previsione risulta essere un rimedio esperibile ex post, al verificarsi di una situazione giuridicamente già «patologica» e quindi del tutto inappropriata sotto il profilo della prevenzione. Ciò è dimostrato dal fatto che l'attuale disciplina, ancorché riformata, non distaccandosi troppo da quella precedente, sembra essere inefficace considerati i dati relativi ai fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici e delle pubbliche forniture ad oggi verificatisi in tutto il Paese. Inoltre, una siffatta disciplina causa naturalmente un sovraccarico di lavoro nei confronti dei tribunali amministrativi per via dell'eccessivo numero di ricorsi che in questo modo vengono naturalmente generati;
   l'intenzione del Governo sembra essere quella di rendere preminente la tutela dell'impresa e della continuità dei lavori (principi di rango costituzionale) a scapito di altri principi altrettanto preminenti quali la tutela dell'ordine pubblico, il pubblico affidamento e la pubblica fede;
   inoltre, con riguardo all'articolo 1, non è stata recepita l'osservazione contenuta nel parere approvato in Commissione giustizia al Senato della Repubblica, in merito alla soppressione della parte finale dell'articolo 1, comma 1, lettera a), relativa alla limitazione dei controlli nei confronti dei soli soggetti residenti nel territorio dello Stato;
   dal 22 gennaio 2014 è entrato in vigore il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 193 del 2014, come previsto dalla legge delega n.136 del 2010, che disciplina il funzionamento della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. Al suo interno sono individuati (articolo 15) i soggetti legittimati all'aggiornamento dei dati. Nulla si dice però in merito alla tempistica degli stessi aggiornamenti e all'obbligatorietà e puntualità degli stessi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che il decreto legislativo n. 153 del 2014, in combinato disposto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 193 del 2014, lasci ancora troppo margine di impiego alla dichiarazione sostitutiva antimafia con cui si dichiara che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione previste dall'articolo 67 del decreto-legge n. 159 del 2011, e se ritenga opportuno assumere iniziative per limitarne l'utilizzo.
(3-01276)
(Presentata il 4 febbraio 2015)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tra le misure contenute nel decreto legislativo n. 155 del 2012, all'articolo 1, che richiama la tabella allegata A, vi è la soppressione di alcuni tribunali ordinari, di sezioni distaccate e procure della Repubblica;
   all'articolo 2, comma 2, del sopra menzionato decreto legislativo è stato stabilito che il tribunale di Giugliano in Campania venisse ridenominato «tribunale di Napoli nord»;
   l'allegato 1 del decreto legislativo sopra menzionato ha stabilito che il mandamento del tribunale di Napoli nord, già tribunale di Giugliano in Campania, avesse competenze sui seguenti comuni: Afragola, Arzano, Aversa, Caivano, Calvizzano, Cardito, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casandrino, Casapesenna, Casavatore, Casoria, Cesa, Crispano, Frattamaggiore, Frattaminore, Frignano, Giugliano in Campania, Gricignano di Aversa, Grumo Nevano, Lusciano, Marano di Napoli, Melito di Napoli, Mugnano di Napoli, Orta di Atella, Parete, Qualiano, San Cipriano d'Aversa, San Marcellino, Sant'Antimo, Sant'Arpino, Succivo, Teverola, Trentola-Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno, Villaricca;
   il tribunale di Napoli nord si configura, così, come un mandamento che accorpa comuni della provincia di Napoli e comuni della provincia di Caserta;
   della popolazione su cui ha competenza il tribunale di Napoli nord (circa un milione di abitanti) la stragrande maggioranza è residente nella provincia di Napoli, che annovera cittadine molto popolose come Giugliano (terza città campana con circa 110 mila abitanti), Marano (storica sede pretorile con circa 60 mila abitanti), Afragola (che sfiora i 63 mila abitanti), Frattamaggiore (30 mila abitanti), i comuni limitrofi Villaricca, Qualiano, Melito (che insieme contano oltre 100 mila abitanti), mentre i comuni dell'area casertana che affluiscono sul tribunale di Napoli nord sono, invece, di dimensioni più piccole e meno popolati (il più grande è Aversa con 53 mila abitanti; gli altri sono intorno ai 10 mila abitanti);
   il tribunale di Napoli nord è stato insediato presso la struttura del cosiddetto Castello Aragonese di Aversa, dove, fino a qualche settimana addietro era ospitata anche la sede della locale scuola di polizia penitenziaria di Aversa;
   sin dall'apertura, il tribunale di Napoli nord ha manifestato enormi difficoltà di funzionamento che hanno provocato innumerevoli disagi alla magistratura, all'avvocatura ed all'utenza del territorio facente parte del mandamento del predetto tribunale;
   ancora oggi, il personale amministrativo e giudiziario è assolutamente insufficiente rispetto a quelle che sono le reali ed effettive esigenze del tribunale;
   a causa di tali insufficienze, carenze strutturali e di organico, i processi, anche quelli disciplinati da norme di rito «speciali» come quello del lavoro, stanno progressivamente rallentando, con conseguente allungamento della durata degli stessi, il tutto in assoluta controtendenza rispetto a quanto sta accadendo nel resto del Paese;
   in particolare, il personale giudiziario ed amministrativo previsto nella pianta organica si è rivelato sin da subito insufficiente in relazione alle tipicità del territorio (su cui gravano vari insediamenti industriali del napoletano e che è afflitto da un tasso abnorme di criminalità), la cui condizione è già di per sé aggravata dalla iniziale scopertura di oltre il 50 per cento della già ridotta pianta organica originaria;
   la carenza di organico ha imposto ai magistrati di ricoprire nella stessa giornata ruoli diversi con inevitabili negative ripercussioni circa lo svolgimento delle udienze;
   la carenza di personale e di strutture all'avvio delle attività del tribunale (settembre 2013) ha vanificato la partenza a «carico zero» con il conseguente accumulo di arretrati abnormi (è il caso, ad esempio delle separazioni personali che per il 2014 sono state circa 3.000 con un conseguente notevole allungamento dei tempi per la sola fissazione dell'udienza presidenziale a circa sei — otto mesi dal deposito del ricorso);
   eguale discorso per le cause di lavoro e previdenza, la cui prima udienza è fissata a circa un anno dalla presentazione del ricorso;
   anche il settore della volontaria giurisdizione è andato in affanno, a fronte delle circa 2.500 istanze presentate, con tempi per le rinunzie all'eredità lunghi anche diversi mesi;
   gravissima è la situazione per il pagamento del gratuito patrocinio e tanto in considerazione della mancanza di una struttura che istruisca le richieste di patrocinio a spese dello Stato, nonché a causa della mancanza di un fondo per l'effettivo pagamento delle spettanze agli avvocati;
   in crisi è, altresì, l'ufficio notifiche, con tempi di attesa lunghissimi ed il contestuale aumento enorme dei costi a causa delle indennità di trasferta degli ufficiali giudiziari aumentati per le maggiori distanze tra la sede dell'ufficio e il luogo di notifica causate dalla soppressione degli uffici periferici prima esistenti presso le sedi distaccate del tribunale;
   per quanto riguarda la struttura (Castello Aragonese), come sopra indicato, la stessa è sicuramente inadeguata per la vetustà dei criteri di costruzione, che sono inidonei ad un moderno ufficio ed insufficienti ad ospitare le piene funzioni e gli uffici del tribunale di Napoli nord, mancando, addirittura, anche i locali da destinare al costituendo Consiglio dell'Ordine degli avvocati, che dovrà gestire le pratiche di oltre 3.000 professionisti e ricevere le istanze di gratuito patrocinio dei cittadini, predisporre lo sportello del cittadino, l'organismo di mediazione, la scuola forense, i locali per permettere ai giovani praticanti ed ai colleghi la formazione e l'aggiornamento obbligatorio;
   enormi difficoltà vi sono per il processo telematico a causa della insufficienza degli impianti e della mancanza di addetti adeguatamente formati;
   alle crescenti difficoltà del tribunale, inoltre, nelle ultime settimane si sono aggiunte quelle dell'ufficio del giudice di pace, causate dalla soppressione di alcuni uffici del giudice di pace ricadenti nel circondario di Napoli nord, in prima battuta sfuggiti alle iniziale norme di soppressione (si pensi al caso particolare del giudice di pace di Frattamaggiore);
   anche tali criticità oggettive, sono state più volte denunciate dalla presidenza del tribunale di Napoli nord e dall'Ordine degli avvocati di Napoli, il quale ha dettagliatamente esposto i numeri che starebbero portando il predetto tribunale al collasso, come da riepilogo che segue:
    1) procedimenti civili pendenti provenienti dall'ex giudice di pace di Aversa circa 8000;
    2) procedimenti civili pendenti provenienti dall'ex giudice di pace di Trentola circa 4000;
    3) procedimenti civili pendenti provenienti dall'ex giudice di pace di Casoria circa 6300;
    4) un solo cancelliere capo ed un solo cancelliere addetto al settore penale, con mansioni superiori a quelle effettivamente espletabili ed un aumento del rischio di prescrizione dei processi per mancanza del personale;
    5) durata media dei processi dai 24 ai 30 mesi, con pubblicazione delle sentenze effettuata non prima — 12 mesi dalla conclusione del giudizio;
   questi sono solo alcuni dei dati che danno piena rappresentazione di una condizione, quella del giudice di pace di Napoli nord che, senza i necessari correttivi, rischia un imminente collasso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali ormai improcrastinabili iniziative di competenza intenda intraprendere per scongiurare la paralisi del tribunale di Napoli nord e del giudice di pace di Napoli nord;
   se il Ministro interrogato alla luce delle carenze lamentate dall'avvocatura e dalla magistratura impegnate su Napoli nord, intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per incrementare le risorse umane e gli organici destinati al predetto tribunale ed al sopra indicato ufficio del giudice di pace, al fine di garantire la piena funzionalità degli uffici giudiziari ed in caso affermativo, quali tempi stimi perché tali incrementi possano concretizzarsi;
   se il Ministro interrogato, preso atto degli evidenti limiti delle strutture che attualmente ospitano il tribunale di Napoli nord ed il giudice di pace di Napoli nord, non intenda predisporre un'iniziativa ad hoc finalizzato a consentire il mantenimento di ulteriori sedi del giudice di pace, al fine di alleggerire l'attuale carico di Napoli nord. (5-04611)


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per quanto risulta all'interrogante il 23 dicembre 2014 presso l'Ospedale Riuniti di Reggio Calabria è deceduto, in circostanze poco chiare, il signor Roberto Jerinò, 60 anni, detenuto in custodia cautelare presso la casa circondariale «Arghillà» di Reggio Calabria, recentemente trasferito in detto istituto penitenziario dalla casa circondariale di Paola (Cosenza);
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Garantista del 6 gennaio 2015, il 12 dicembre, alle tre di notte, il detenuto sentì un gran dolore supplicando di essere portato in ospedale. Iniziò ad avere problemi con la gamba, con il braccio e poi con la bocca. Cadde per terra all'interno della sua cella, sfiorando la branda in ferro con la testa. I suoi compagni allertarono gli agenti di polizia penitenziaria, urlando richieste di aiuto. Dopo una quarantina di minuti, giusto il tempo di far arrivare in carcere l'ambulanza del 118, venne portato in ospedale. Quivi giunto gli diagnosticarono una ischemia con paresi facciale degli arti; il suo difensore di fiducia, nel frattempo, presentò all'autorità giudiziaria competente una istanza tendente ad ottenere la concessione degli arresti domiciliari ma, non si sa per quale motivo, venne respinta;
   una volta tornato nello stabilimento penitenziario di Arghillà, sempre secondo quanto narrato dal quotidiano Il Garantista, aveva il corpo storpio, quell'attacco lo aveva rovinato: la sua testa frullava, come gli si agitasse dentro della schiuma, il suo linguaggio si comprometteva inevitabilmente sulle consonanti; aveva dovuto cambiare mano per mangiare, e il braccio se lo portava in avanti tirandolo con l'altro; dopo aver trascorso tre giorni di lamenti, e richieste di soccorso, restò inanime nel suo letto come un mare paralizzato. Venne, quindi, nuovamente trasferito in ospedale il 15 dicembre alle prime ore del mattino ma ormai era già in coma. Roberto non si è più risvegliato ed è morto il 23 dicembre;
   a giudizio dell'interrogante i fatti esposti nel presente atto di sindacato ispettivo richiedono doverosi accertamenti dal momento che il signor Roberto Jerinò era affidato alla custodia dello Stato –:
   se e di quali informazioni disponga il Governo in ordine ai fatti descritti in premessa;
   se e quali problemi di salute presentasse il detenuto Roberto Jerinò all'atto della visita obbligatoria di primo ingresso presso la casa circondariale di Paola e poi presso quella di «Arghillà» di Reggio Calabria ricavabili dal suo diario clinico e quali motivi abbiano determinato il trasferimento dello stesso dallo stabilimento penitenziario di Paola a quello di «Arghillà» di Reggio Calabria;
   se e come sia stata prestata l'assistenza sanitaria al detenuto durante la sua restrizione carceraria chiarendo cosa gli era stato diagnosticato ed a quali trattamenti terapeutici fosse sottoposto visto che, in pochissimo tempo, le sue condizioni si sono irrimediabilmente compromesse;
   quando, da chi e per quali ragioni il detenuto sia stato trasferito presso l'Ospedale Riuniti di Reggio Calabria specificando se il ricovero, in considerazione della gravità del quadro patologico in premessa descritto, avrebbe potuto effettuarsi prima che le condizioni del signor Jerinò peggiorassero in modo fatale come è avvenuto;
   se siano noti i motivi per i quali sia stato negato al detenuto, da parte dell'autorità giudiziaria competente, di ottenere la concessione degli arresti domiciliari presso la propria abitazione;
   di quali elementi disponga il Governo circa la dinamica del decesso e le relative cause e se siano state ravvisate eventuali responsabilità del personale operante presso l'amministrazione penitenziaria;
   quali fossero le condizioni della casa circondariale «Arghillà» di Reggio Calabria all'epoca dei fatti (dicembre 2014) facendo riferimento alla capienza regolamentare, a quanti detenuti vi fossero ristretti, quanti tra questi fossero tossicodipendenti e quanti affetti da gravi disturbi mentali o altre gravi patologie e se si fosse in grado di riuscire a garantire, in maniera sufficiente ed adeguata, non soltanto la sorveglianza dei detenuti ma anche l'assistenza sanitaria e il sostegno educativo e psicologico nei loro confronti;
   se, alla data odierna, si trovino ristretti in detto Istituto in custodia cautelare o in espiazione di pena detenuti con gravi problemi di salute e se risulti se siano state presentate dagli stessi alle autorità giudiziarie competenti istanze di concessione degli arresti domiciliari o di sospensione o differimento della esecuzione della pena ed, in caso affermativo, quali siano gli esiti delle stesse;
   se il predetto istituto penitenziario sia stato ispezionato dalla competente azienda sanitaria provinciale ed, in caso affermativo, a quando risalgano le visite e cosa sia scritto nelle rispettive relazioni inoltrate ai Ministri interrogati, agli uffici regionali ed al magistrato di sorveglianza in merito allo stato igienico sanitario dell'istituto, all'adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario ed alle condizioni igieniche e sanitarie dei detenuti ai sensi dell'articolo 11 commi 12 e 13 dell'Ordinamento penitenziario approvato con legge n. 354 del 1975;
   se e con che frequenza il magistrato di sorveglianza competente abbia visitato, negli ultimi anni, i locali dove si trovano ristretti i detenuti ai sensi dell'articolo 75, comma 1, del regolamento di esecuzione penitenziaria approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 e se abbia mai prospettato al Ministro della giustizia eventuali problemi, disservizi o violazioni dei diritti dei detenuti nell'ambito della sua attività di vigilanza ai sensi dell'articolo 69 del citato ordinamento penitenziario. (5-04649)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 150 del 7 settembre 2012 «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie Uffici dei Giudici di Pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» prevede la soppressione sul territorio nazionale di numerosi uffici del giudice di pace e all'articolo 3, comma 2, dispone che: «Gli enti interessati entro 60 giorni dalla pubblicazione delle tabelle relative agli elenchi degli uffici soppressi, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace con competenza sui rispettivi territori di cui è proposta la soppressione anche tramite accorpamento, facendosi carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia delle sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti medesimi»;
   l'ufficio del giudice di pace di Tortolì – che rientra tra le sedi nazionali da sopprimere – costituisce un insostituibile punto di riferimento per la collettività dell'intera provincia, caratterizzata da una bassissima densità di popolazione. L'Ogliastra è infatti la provincia meno popolata d'Italia, con i suoi 23 comuni e 57.578 abitanti, pari al 3,49 per cento della popolazione regionale;
   in considerazione dell'importanza rivestita da tale ufficio, l'amministrazione di Tortolì si è immediatamente attivata per salvaguardare la sopravvivenza della sede e, in esecuzione della deliberazione del consiglio comunale n. 18 del 20 aprile 2013, ha dato corso all'istruttoria necessaria per mantenere tale presidio giudiziario, approvando una convenzione con gli altri comuni della provincia in materia di assunzione degli oneri finanziari per il mantenimento del suddetto ufficio, successivamente comunicata al Ministero della giustizia con propria nota del 27 giugno 2014;
   l'allegato 5 del decreto del Ministero della giustizia 10 novembre 2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 1o dicembre 2012, n. 156, approvava l'elenco definitivo degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi degli articoli 5 e 6 del precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014, tra i quali figura sorprendentemente anche l'ufficio del giudice di pace di Tortolì – circondario di Lanusei – distretto di Cagliari;
   non si comprendono le ragioni di tale provvedimento ministeriale, dal momento che il comune di Tortolì ha rispettato, nell’iter procedimentale, tutti i termini decadenziali previsti nel decreto ministeriale 7 marzo 2014 e pedisseque circolari esplicative, adoperandosi tempestivamente, al fine di assicurare il puntuale adempimento degli obblighi posti in capo ai comuni che avevano manifestato la volontà di mantenere l'ufficio del giudice di pace, facendosi carico della messa a disposizione dei locali sede dell'ufficio, dei costi di funzionamento e del personale;
   la soppressione della sede giudiziaria avrà conseguenze esiziali per tutti i cittadini e le imprese operanti nella provincia, i quali si vedranno non solo privati della possibilità di avvalersi di un servizio pubblico di primaria necessità qual è quello della giustizia, ma anche costretti a sopportare maggiori costi sia in termini di tempo sia in termini economici per raggiungere le altre sedi giudiziarie. L'effetto negativo si ripercuoterà anche sotto il profilo della competitività del sistema produttivo locale, caratterizzato dalla presenza di numerose attività imprenditoriali e commerciali e da un rilevante flusso turistico;
   l'interruzione di questo servizio inoltre indebolirà una comunità già provata da antichi problemi legati alla marginalità e alla particolare conformazione geografica del territorio, da un inadeguato sistema viario e di trasporto locale, dalla bassissima densità di popolazione e da una drammatica sofferenza economico-occupazionale, resa ancora più frustrante da una generale «desertificazione» di tutti i presidi dello Stato, tanto amministrativo-giudiziari, quanto infrastrutturali –:
   se l'inclusione dell'ufficio del giudice di pace di Tortolì nell'elenco contenuto nell'allegato 5 del decreto ministeriale 10 novembre 2014, indicante gli uffici del giudice di pace sul territorio nazionale soppressi ai sensi degli articoli 5 e 6 del decreto ministeriale 7 marzo 2014, non sia frutto di un mero errore materiale e, in tal caso, in che tempi intenda procedere alla rettifica del citato decreto ministeriale 10 novembre 2014;
   nell'ipotesi in cui non si trattasse di un mero refuso, se intenda motivare le ragioni per le quali, ha assunto la determinazione di sopprimere l'ufficio del giudice di pace di Tortolì, eventualmente indicando quale errore sia stato commesso dall'amministrazione comunale durante l’iter procedimentale e se sia possibile rettificare tale errore. (4-07715)


   PIRAS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale – concorsi ed esami n. 5 del 20 gennaio 2015, il bando di mobilità volontaria esterna per la copertura di complessivi 1.031 posti vacanti di personale amministrativo destinato agli uffici giudiziari;
   la procedura, annunciata dal Ministro interrogato, è rivolta a personale dipendente a tempo pieno ed indeterminato appartenente non solo al comparto Ministeri ma anche ad altre amministrazioni e rappresenta un importante risultato per salvaguardare la funzionalità e l'efficienza degli uffici giudiziari, ormai da tempo gravati da croniche carenze di organico dovute al blocco del turn over;
   all'interno del provvedimento, all'articolo 4, viene descritta la seguente procedura per i dipendenti appartenenti ad amministrazioni differenti dai Ministeri: «Il personale appartenente ad amministrazione diversa dai ministeri dovrà allegare, altresì, una dichiarazione della propria amministrazione, con la quale la stessa si impegna a procedere al versamento delle risorse corrispondenti al 50 per cento del trattamento economico spettante al personale interessato al trasferimento, secondo le modalità che saranno stabilite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 30, comma 2.3 del decreto legislativo n. 165 del 2001, in corso di perfezionamento»;
   le amministrazioni pubbliche, ed in particolare i comuni e le province (in Sardegna in via di dismissione e commissariate), difficilmente rilascerebbero ai dipendenti una dichiarazione simile, viste le difficoltà economiche date dal patto di stabilità e dalle poche risorse di bilancio disponibili;
   numerosi lavoratori di questi enti, quindi, si trovano in difficoltà nel poter partecipare al bando proposto, sentendosi discriminati e legati alle soggettive decisioni degli enti a cui appartengono –:
   se il Ministro sia intenzionato a dare spiegazioni più dettagliate sulla richiesta di mobilità da parte di lavoratori di enti pubblici diversi dai Ministeri;
   quali iniziative abbia intenzione di porre in essere per evitare la discriminazione di questi lavoratori, la cui possibilità di partecipare al bando sarebbe legata alla decisione soggettiva dei singoli enti;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per eliminare la quota del 50 per cento a versare da parte delle amministrazioni a cui fanno capo i dipendenti che chiedono tale mobilità, trasferendo a carico del Ministero tutto il pagamento del trattamento economico spettante qualora il lavoratore dovesse ottenere il trasferimento, dando così la possibilità a tutti di partecipare al bando di mobilità. (4-07717)


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo un articolo apparso su Il Giornale del 28 gennaio 2015 pare che qualche giorno fa a Pisa un detenuto islamico abbia devastato la sua cella cercando di incitare gli altri compagni di carcere nel nome di Allah;
   analogo episodio solo pochi giorni prima si era verificato nel carcere Due Palazzi di Padova, dove alcuni detenuti mussulmani durante una rissa, secondo alcune agenzie di stampa, avevano inneggiato allo Stato islamico ferendo alcuni agenti di polizia penitenziaria;
   sempre secondo quanto riportato da Il Giornale nell'articolo sopra citato, pare che «Fra gli ultimi nove elementi pericolosi espulsi dall'Italia da fine dicembre compare il tunisino Dridi Sabri, che aveva appena finito di scontare una pena del 2010 per terrorismo internazionale e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. L'espulso era detenuto a Rossano, il carcere dove sono ancora concentrati una decina di terroristi della guerra santa»;
   riporta l'articolo di cui sopra, citando quale fonte il rapporto del Ministero della giustizia del febbraio 2014 «Le moschee negli istituti di pena», relativo al 2013, che «sono 132 le carceri dove si prega rivolti alla Mecca in cella, o in aree a caso. Le moschee ricavate in carcere, come luogo fisso ed esclusivo di culto, sono pure aumentate a 52 sui 202 istituti censiti Nel 2009 erano 120 gli istituti dove non si pregava Allah rispetto ad oggi che sono solo 18... Negli ultimi dieci anni il numero delle «moschee» dietro le sbarre è esploso» –:
   secondo un altro quotidiano, Libero, che cita sempre il rapporto del Ministero della giustizia, «nei penitenziari italiani opererebbero 181 imam, guide spirituali individuate dagli stessi detenuti di religione mussulmana, ai quali si aggiungono degli imam esterni, pare una decina, autorizzati dal Ministero dell'interno»;
   secondo quanto riportato dai quotidiani di cui sopra, il rapporto del Ministero della giustizia lancia un chiaro allarme: «Gli Istituti di Pena costituiscono un luogo dove gli estremisti possono creare una rete, reclutando e radicalizzando nuovi membri attraverso una campagna di proselitismo» e che nonostante i terroristi islamici siano in gran parte detenuti a Rossano, «anche nei circuiti comuni, vi possano essere detenuti integralisti di spessore i quali, se arrestati per reati minori, si trovano spesso in contesti dove sono presenti molti soggetti fragili, facilmente influenzabili»;
   il 27 gennaio scorso su Il Sole 24 Ore è apparso un articolo dal titolo «Le carceri francesi, nuovi centri di reclutamento della Jihad» nel quale illustrando le iniziative messe in atto dal Governo francese per contrastare la minaccia del terrorismo islamico si sottolineava che «Oltre al proselitismo via internet, il principale canale di reclutamento dei «terroristi fai da te», i nuovi centri di indottrinamento e reclutamento dei candidati jihadisti sono le carceri»;
   nonostante quanto sopra riportato dai giornali e dal rapporto del Ministero della giustizia, secondo una agenzia ANSA del 28 gennaio, il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri avrebbe invece dichiarato a «Voci del mattino» su Radio 1, in merito al rischio di un arruolamento di jihadisti nelle carceri italiane: «Allo stato non vedo il pericolo di un arruolamento di potenziali jihadisti all'interno delle carceri italiane. Siamo sensibili e attenti al problema e il nostro monitoraggio credo ci consenta di prevenire qualsiasi iniziativa» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del rapporto citato in premessa e di quanto riportato dai quotidiani riportati sopra, quali siano le iniziative poste in atto per monitorare la situazione nelle nostre carceri in merito al rischio di un arruolamento di jihadisti, come accennato dal sottosegretario Ferri, ed altresì quali iniziative siano state assunte per prevenire tale rischio, chi siano gli imam autorizzati dal Ministero dell'interno e quelli individuati dai detenuti stessi e in quale lingua predichino, se non ritenga opportuno, a seguito del rapporto citato nonché dei sempre più frequenti episodi di violenza da parte di detenuti di religione islamica inneggianti Allah o l'Isis, la sospensione di tali autorizzazioni. (4-07760)


   ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa pare che da diverso tempo vi siano gravi problemi nella gestione della popolazione detenuta della casa circondariale «Lo Russo e Cutugno» di Torino, a causa di atteggiamenti di insubordinazione alle regole e alla disciplina imposte dal regime carcerario e «sbeffeggi» da parte dei detenuti ivi ritretti con conseguenti riflessi negativi sull'ordine e la sicurezza del personale di polizia penitenziaria che vi presta servizio;
   in particolare, pare che da diversi mesi giungano alla segreteria generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp diverse segnalazioni, secondo cui le richieste di urgenti accertamenti da parte dagli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, in servizio nelle sezioni detentive dell'anzidetto istituto, verrebbero molto spesso archiviate o addirittura che le infrazioni scaturenti dai rapporti disciplinari redatti dal personale stesso non verrebbero poi contestate ai detenuti trasgressori;
   secondo quanto segnalato dal sindacato di polizia penitenziaria Osapp, «Tale preoccupante situazione determinerebbe anche una forte demotivazione negli addetti del Corpo colà di stanza e un conseguente svilimento delle funzioni e del Ruolo istituzionale disimpegnati all'interno delle predette sezioni detentive dei Reparti»;
   sempre secondo quanto sottolineato dall'Osapp, «l'azione disciplinare scaturente da un atto pubblico e non di carattere privato quale è il rapporto disciplinare redatto da un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria rientra nelle attività doverose e non facoltative che vanno compiute – senza ritardo o eventuali omissioni – per evidenti ragioni di ordine e sicurezza», stante anche la previsione contenuta nell'articolo 328 del codice di procedura penale;
   l'ordine e la disciplina, ovvero il pieno rispetto delle regole e di tutti coloro i quali vivono e operano all'interno del carcere, costituiscono principi irrinunciabili sia per garantire adeguata sicurezza e autorevolezza agli agenti di polizia penitenziaria nello svolgimento delle proprie funzioni sia ai fini di una risocializzazione dei detenuti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa, quale sia il numero dei rapporti disciplinari elevati dal personale di polizia penitenziaria nella casa circondariale «Lo Russo e Cutugno» di Torino, quale sia il numero dei procedimenti disciplinari trattati nel decorso 2014 e quanti degli stessi rapporti siano stati invece archiviati o dichiarati improcedibili per decorrenza dei termini, al fine di verificare che non vi siano state possibili omissioni o ritardi nelle procedure disciplinari a carico dei detenuti indisciplinati e trasgressori, e se intenda disporre quanto prima gli opportuni e quanto mai urgenti accertamenti in merito alla gestione della disciplina nei confronti della popolazione detenuta nella casa circondariale e «Lo Russo e Cutugno» di Torino. (4-07764)


   REALACCI, MAGORNO e OLIVERIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo apparso su il Crotonese il 18 dicembre 2014 e da un allarme recentemente lanciato da Legambiente Calabria nelle scorse settimane sarebbe stata ufficializzata la chiusura del N.I.S.A. – Nucleo igiene, sanità ed ambiente in seno alla procura della Repubblica di Crotone. Se fosse confermata questa notizia, ciò costituirebbe un cattivo segnale e un indebolimento degli strumenti di lotta contro i reati in campo ambientale e sanitario e contro le ecomafie di cui prosperano anche le ’ndrine calabresi;
   secondo il rapporto «Ecomafia 2014» di Legambiente la Calabria è purtroppo la quarta regione italiana per numero di illeciti in campo ambientali, dietro Campania, Sicilia e Puglia. Gli ecoreati accertati nel 2013 sono stati 2511 (equivalenti all'8,6 per cento del totale nazionale), per un giro d'affari stimato di svariati miliardi di euro, se si pensa che, nel 2013, il totale nazionale del business degli eco criminali si attesta sui 15 miliardi di euro;
   il NISA è perciò sempre stato un presidio di legalità e un efficace strumento investigativo, peraltro composto solo da tre operatori, che in diciassette anni di attività da soli e tra molte difficoltà hanno condotto inchieste estremamente complesse e importanti, anche di interesse nazionale, a tutela della legalità e della salute dei cittadini. È, ad esempio, del Nisa l'inchiesta Black Mountains, che ha scovato l'esistenza di un sistema di smaltimento illecito di rifiuti industriali che ha inquinato territori della provincia di Crotone. Sono del NISA inchieste su depurazione, discariche abusive e mancata bonifica di amianto;
   la Calabria è un'area del Paese in cui emergenze ambientali e incidenza mafiosa sono tuttora gravissime. Perdurano poi, ancora oggi, in tutto il territorio regionale importanti criticità per lo smaltimento dei rifiuti e della raccolta differenziata –:
   se il Governo sia a conoscenza della questione;
   se per quanto di competenza e di concerto con le istituzionali locali calabresi, non intenda assicurare nuovamente l'operatività del NISA a difesa della legalità per il territorio, la salute e l'ambiente dei cittadini della Calabria.
(4-07786)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge 7 aprile 2014, n. 56 – Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 2014 nota come legge Delrio; all'articolo 1, comma 85, recita fra l'altro che le province esercitano funzioni fondamentali di costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;
   ad oggi le province non sono state del tutto abolite, in quanto oggetto della riforma costituzionale, così come continuano ad esistere le loro funzioni;
   anche la Sicilia ha avviato il processo di riforma di cui sopra, senza ancora completarlo e che tuttavia ai suddetti enti pur essendo commissariati, sono rimasti in capo le competenze e funzioni assegnate, comprese le circa 16.000 chilometri di strade comunali e provinciali su un totale di circa 21.000 chilometri di viabilità complessiva;
   la maggior parte delle strade provinciali italiane risultano di fondamentale importanza per la viabilità e lo sviluppo strategico di intere comunità, rivestendo un ruolo primario in ambito industriale, commerciale, agricolo, turistico, climatico e scolastico;
   la maggioranza delle strade provinciali del nostro Paese sono tra le più importanti e transitate arterie e vie di collegamento soprattutto nell'entroterra italiano (e siciliano in particolare) ma sono di fatto dal 2012 abbandonate senza essere oggetto di alcuna cura e manutenzione da parte degli enti per mancanza di fondi;
   il suddetto stato di abbandono in cui versano oggi le strade provinciali, ha effetti negativi oltre che sulla sicurezza del traffico stradale e delle persone, anche sul decoro, con notevoli ripercussioni soprattutto nelle aree a prevalente vocazione turistica;
   la segnaletica, sia quella orizzontale che quella verticale, sulle strade provinciali è talvolta inesistente, e dove è presente, risulta usurata, illeggibile e obsoleta, con conseguenti rischi di circolazione e dello stato di sicurezza dei cittadini che vi transitano e che giornalmente le percorrono, soprattutto nelle ore notturne e nei periodi invernali;
   a causa degli eventi meteorici invernali si è registrato un ulteriore peggioramento delle condizioni delle strade provinciali, già piuttosto compromesse dallo stato di degrado e abbandono in cui versano, risultando le stesse impercorribili e in taluni casi intransitabili, con la conseguenza che alcune comunità sono rimaste isolate e senza via di collegamento con le città e con gli assi viari principali;
   questo stato è dovuto alla mancanza dei trasferimenti di risorse finanziarie alle province e alla deficienza di mezzi e uomini in dotazione alle stesse;
   la permanenza e il perdurare di un suddetto stato può essere causa di incidenti e danni per cittadini e mezzi;
   oggi alcune province sono oggetto di numerosi contenziosi causati da incidenti verificatisi nelle suddette strade la cui responsabilità è riconducibile al cattivo stato di manutenzione, aumentando, inoltre il numero di richieste di risarcimento nei confronti dell'ente proprietario della strada medesima, con notevoli ripercussioni e un aggravio finanziario sulle province, oggi prive di risorse;
   la manutenzione delle strade provinciali è oggi un problema non più procrastinabile, ed è necessario affrontare e risolvere tali questioni con carattere d'urgenza –:
   se il Governo sia a conoscenza dello stato di totale abbandono e degrado in cui versano oggi le strade provinciali e se e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere anche al fine di garantire l'incolumità delle migliaia di cittadini che giornalmente le percorrono;
   se il Governo abbia messo o intenda mettere in atto tutte le iniziative di competenza al fine di finanziare e sostenere economicamente e con mezzi le province, nelle more del definitivo trasferimento delle competenze agli enti che sostituiranno le province stesse;
   se non si ritenga opportuno intervenire a favore delle province, oggi commissariate per il mancato completamento del processo di riforma, trasferendo le risorse necessarie per garantire la manutenzione e la regolare circolazione stradale ad esse inerente.
(2-00829) «Ribaudo, Culotta, Cardinale, Schirò, Causi, Raciti, Albanella, Rostan, Verini, Rigoni, Vecchio, Gribaudo, Zappulla, Antezza, Capodicasa, Amoddio, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Minnucci, Venittelli, Taranto, Iacono, Camani, Naccarato, Chaouki, Paris, Fiorio, Fragomeli, Greco, Gullo, Piccoli Nardelli, Lauricella, Berretta».

Interrogazioni a risposta immediata:


   SQUERI e PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si sono manifestate criticità nell'indotto dell'Ilva, dovute ai mancati pagamenti da parte della medesima azienda, con particolare riferimento alle imprese di autotrasporto che hanno eseguito dei servizi per l'Ilva;
   finora queste imprese hanno evitato, con grande senso di responsabilità, di effettuare proteste eclatanti che avrebbero potuto impedire la prosecuzione dell'attività dell'Ilva;
   il malcontento delle imprese di autotrasporto però ora cresce e si diffonde, al punto da costringere la Federazione autotrasportatori italiani – l'associazione maggiormente rappresentativa del settore – a redigere, in data 30 dicembre 2014, un comunicato stampa attraverso il quale il suo presidente ha affermato che la categoria si attende che «qualcosa venga fatto anche per le moltissime imprese di autotrasporto che lavorano per le diverse sedi del gruppo siderurgico e che da mesi non vengono pagate»;
   sempre nello stesso comunicato, si fa accenno a ripetuti appelli, purtroppo inascoltati, lanciati al Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, e al Ministro interrogato, per conoscere quando sarebbero state pagate le imprese di autotrasporto, le quali, nonostante tutto, hanno continuato a fornire i loro servizi all'Ilva, permettendone la continuità aziendale –:
   per quale motivo gli appelli rivolti al Ministro interrogato siano rimasti finora inascoltati e quali iniziative urgenti intenda adottare affinché sia garantito il pagamento dei servizi prestati dalle imprese di autotrasporto a favore dell'Ilva.
(3-01269)
(Presentata il 4 febbraio 2015)


   ZARATTI, SCOTTO, AIRAUDO, PLACIDO, PIRAS, FRATOIANNI, RICCIATTI, FERRARA, PELLEGRINO, ZACCAGNINI, PANNARALE, MELILLA, FRANCO BORDO, PAGLIA, MARCON, DURANTI, GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, KRONBICHLER, MATARRELLI, NICCHI, PALAZZOTTO, QUARANTA e SANNICANDRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dalla stampa nazionale e locale, poco prima della notte di Capodanno 2015, Groundcare, la principale società di handling aeroportuale di Fiumicino, ha avviato le procedure di licenziamento di ben 450 persone;
   peraltro, nonostante le rassicurazioni profuse solo lo scorso 10 dicembre 2014 dal Ministro interrogato in occasione dello svolgimento dell'interrogazione a risposta immediata n. 3-01214 sulla vertenza Groundcare e sull'obiettivo di favorirne la tutela occupazionale, l'evoluzione della situazione in questione ha avuto purtroppo un epilogo agghiacciante;
   nelle giornate tra il 30 e il 31 dicembre 2014, infatti, sono stati chiamati in massa a firmare la propria lettera di licenziamento circa 450 lavoratori su poco più di 850 lavoratori complessivi in forza presso la società;
   questi lavoratori si sono recati in una sala della Palazzina Epua di Fiumicino per ritirare la lettera di licenziamento, ma, oltre alla firma di quella lettera, è stata pure richiesta, per quanto risulta agli interroganti, anche la sottoscrizione di una liberatoria al fine di rinunciare sia al pagamento del mancato preavviso, sia all'esperimento di qualsiasi azione legale rispetto alla mancata selezione del personale da espellere;
   inoltre, la firma sulla liberatoria sembrerebbe stata sollecitata con l'esplicito riferimento in forza del quale, in caso di rifiuto della sottoscrizione, oltre al mancato inserimento nel bacino di ricollocazione, il licenziamento sarebbe stato recapitato successivamente al 1o gennaio 2015, in modo da penalizzare il lavoratore nell'accesso alla mobilità che, come noto, dal 1o gennaio 2015 ha subito una drastica riduzione per effetto dell'entrata in vigore della cosiddetta «legge Fornero»;
   per quanto risulta agli interroganti, fortunatamente, qualcuno ha anche chiamato la polizia e la liberatoria a quel punto è diventata facoltativa, mentre prima risultava associata di fatto al rilascio della lettera di licenziamento;
   oltre a quella di Groundcare, moltissime altre sarebbero le vertenze da raccontare per descrivere il soffocamento occupazionale che caratterizza il comparto aereo-aeroportuale;
   tutte, peraltro, evidenziano l'enorme contraddizione esistente tra lo sviluppo del mercato del trasporto aereo e le ricadute che sul piano della tutela e della protezione sociale si stanno riflettendo sul mondo del lavoro;
   emblematico a tale proposito appare il comportamento di una consistente pletora di aziende del comparto aereo-aeroportuale che, nel passaggio delle attività da un'impresa all'altra nel liberalizzato mercato del settore in questione, si rifiutano di applicare la clausola sociale, ovvero l'unico istituto contrattuale di tutela occupazionale che prevede la «riprotezione» dei dipendenti e che, qualora fosse rispettata, eviterebbe l'espulsione di centinaia e centinaia di lavoratori;
   nella vertenza Groundcare, ad esempio, come anche è stato evidenziato dallo stesso curatore fallimentare, se fosse stata applicata la clausola sociale, decine e decine di lavoratori non sarebbero stati inclusi nei 450 licenziamenti effettuati recentemente, in quanto sarebbero restati in servizio, alle dipendenze delle società che hanno rilevato, anche negli ultimi tempi, le attività dalla stessa Groundcare, peraltro contribuendo ad affossarla e ad accelerarne il definitivo fallimento;
   paradossale appare pure che, in tale contesto, la spesa pubblica sia concentrata al solo fine di assicurare un sistema di ammortizzatori sociali al personale espulso dalla produzione: un investimento pubblico a perdere, sperperato anche per finanziare la ristrutturazione delle imprese del comparto che espellono forza lavoro, precedentemente più garantita, al fine di sostituirla con personale precario e a basso costo, quasi a voler investire denaro pubblico per evitare l'esplosione di un dissenso sociale la cui deflagrazione, senza i dovuti interventi, potrà essere solo rinviata;
   ad avviso degli interroganti non appare possibile che il traffico aeroportuale continui a crescere a dismisura e, al contempo, si continui a licenziare personale indiscriminatamente e non risulti, di fatto applicata, alcuna clausola sociale per garantire la protezione sociale dei lavoratori;
   alcuni lavoratori licenziati di Groundcare, per quanto risulta agli interroganti, hanno iniziato da alcuni giorni anche lo sciopero della fame –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione, considerata l'enorme contraddizione tra lo sviluppo del mercato del trasporto aereo italiano e la gravissima situazione occupazionale che sta interessando l'intero comparto aereo-aeroportuale, di cui il caso Groundcare rappresenta purtroppo un esempio eclatante, e quali provvedimenti di competenza intenda assumere per garantire il riassorbimento dei lavoratori di Groundcare, anche in considerazione della mancata applicazione della clausola sociale da parte delle società, ivi compresa Alitalia, che negli ultimi anni hanno rilevato le attività precedentemente svolte dalla stessa Groundcare, rifiutandosi tuttavia di assumere la quota di personale addetto a tale attività transitata per effetto del libero mercato dell’handling e della concorrenza esistente negli aeroporti. (3-01270)
(Presentata il 4 febbraio 2015)


   PAGANO, BOSCO e MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione n. 3-01066 del 2 ottobre 2014 si chiedeva al Ministro interrogato se fosse a conoscenza di un progetto per il collegamento ferroviario Catania-Palermo, escludente dal servizio le province e città di Caltanissetta ed Enna;
   si chiedeva, in particolare, quali fossero gli orientamenti del Ministro interrogato su questa materia, se fosse vero che Rete ferroviaria italiana avesse individuato, per il collegamento Catania-Palermo, un tracciato di alta capacità ferroviaria non coinvolgente le città di Caltanissetta ed Enna e buona parte delle rispettive province, ed in tal caso, cosa intendesse fare il Ministro interrogato allo scopo di tutelare i legittimi interessi delle popolazioni coinvolte e danneggiate dal nuovo tracciato ferroviario;
   si chiedeva, infine, se il Ministro interrogato concordasse con la valutazione secondo la quale l'ipotesi di bypassare la Sicilia centrale, prevista nelle alternative soluzioni progettuali predisposte da Rete ferroviaria italiana alla riqualificazione del tracciato tradizionale, potesse condannare i territori interessati all'irrilevanza e ad un gravissimo isolamento con conseguente penalizzazione in modo irreversibile del futuro non solo in termini economici, ma anche e soprattutto sociali, e in virtù di ciò se intendesse riconsiderare il progetto secondo le indicazioni alternative al progetto di Rete ferroviaria italiana o sulla base delle soluzioni dagli interroganti enunciate, scaturenti da uno studio a suo tempo effettuato dall'architetto Andrea Milazzo, nella sua qualità di assessore comunale alla pianificazione della precedente amministrazione, in modo da non escludere le città di Caltanissetta ed Enna dal tracciato ferroviario;
   successivamente, il 10 novembre 2014, i contenuti della predetta interrogazione e lo studio nella stessa contenuto furono condivisi dal consiglio comunale di Caltanissetta, in una seduta straordinaria avente per oggetto le tematiche della mobilità e dello sviluppo delle aree interne, dove il civico consesso diede atto di indirizzo all'amministrazione:
    «1) affinché sostenga, nelle opportune sedi competenti nazionali e regionali, la realizzazione del progetto che prevede la conservazione e adeguamento del tracciato attuale della linea Palermo Catania, che passi dalla Stazione di Caltanissetta Xirbi, indicata nello studio di fattibilità del Comune di Caltanissetta effettuato nell'ambito del progetto di riqualificazione del nodo ferroviario di Caltanissetta Xirbi, parte integrante dell'interrogazione parlamentare a risposta orale n. 3-01066 del 2 ottobre 2014, presentata presso la Camera dei Deputati, al Ministero delle Infrastrutture, che valorizzerebbe i territori interni e garantirebbe una interconnessione con la rete che serve ad oggi il territorio Agrigentino, inquadrata in un più ampio progetto di recupero ed infrastrutturazione del nodo Xirbi;
    2) affinché riferisca in un Consiglio Comunale monotematico da convocarsi entro un termine non superiore di giorni 30 sulle attività svolte in ordine agli indirizzi infra impartiti, invito il quale dovrà essere eventualmente esteso alla Deputazione Regionale e Nazionale, agli Amministratori del territorio ennese ed agrigentino ed ai vertici R.F.I.»;

   da notizie successive si è saputo ai primi di dicembre del 2014, in seguito all'intervento del Ministro interrogato, che il comitato di pilotaggio presso l'assessorato alle infrastrutture alla regione siciliana, deputato al controllo su contratti istituzionali di sviluppo siglato tra regione siciliana e Rete ferroviaria italiana il 28 febbraio 2013, si sarebbe pronunciato per una soluzione progettuale che avrebbe prescelto il tracciato tradizionale;
   nel frattempo, con decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 settembre 2014, n. 212, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, recante «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», con le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1, («Disposizioni urgenti per sbloccare gli interventi sugli assi ferroviari Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina ed altre misure urgenti per sbloccare interventi sugli aeroporti di interesse nazionale»), l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane è stato nominato, per la durata di due anni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge, commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Messina, Catania e Palermo;
   i poteri del commissario si estrinsecano nella facilitazione degli iter burocratici per gli atti di assenso degli interventi, ed in particolare:
    a) il commissario provvede ad approvare i progetti (comma 2);
    b) il commissario può bandire la gara d'appalto anche sulla base di progetti preliminari e deve prevedere che la consegna dei lavori avvenga tassativamente entro 120 giorni dalla chiusura della conferenza dei servizi (comma 2);
    c) per raggiungere gli obiettivi il commissario può adottare provvedimenti di urgenza (comma 2);
    d) le decisioni assunte dal commissario possono derogare gli impegni previsti nei contratti istituzionali di sviluppo;

   dette disposizioni, unitamente alla presenza in carica del Ministro interrogato, che ha dimostrato di voler cogliere le sollecitazioni provenienti dalla collettività locale, costituiscono un'occasione imperdibile per poter finalmente conseguire la realizzazione di importanti infrastrutture per il territorio;
   ciò non di meno, nella giornata del 23 gennaio 2015, presso la Kore di Enna è stato presentato su iniziativa di Rete ferroviaria italiana, il progetto dell'infrastruttura ferroviaria Messina, Catania, Palermo, cui erano ospiti il sindaco del comune di Caltanissetta, dottore Giovanni Ruvolo, e l'architetto Andrea Milazzo, che già in qualità di assessore comunale era stato redattore della proposta di recupero del tracciato tradizionale recepita dal civico consesso nisseno e del «supporto tecnico» della precedente interrogazione parlamentare;
   in seguito all'incontro, al quale interveniva anche il Ministro interrogato, con un proprio documento, diffuso dal commissario ingegnere Elia, ed al quale presenziava senza intervenire nella relazione e nel dibattito l'assessore regionale alle infrastrutture Giovanni Pizzo, è stata diffusa una nota dall'ufficio stampa del comune di Caltanissetta su iniziativa del sindaco di Caltanissetta, e un'altra, dall'architetto Andrea Milazzo, con la quale si sono condivisi i contenuti tecnici, seguita nei giorni successivi da altre comunicazioni confermative da parte degli organi tecnici delle professioni ingegneristiche presenti all'incontro;
   i contenuti delle esposizioni dei relatori, il presidente di Rete ferroviaria italiana, l'ingegnere Dario Lo Bosco, l'ingegnere Mario Elia, il commissario del Governo per l'attuazione del programma di cui al decreto-legge «Sblocca Italia», l'ingegnere Triglia, amministratore delegato di Italfer, ed il dottore Giovanni Arnone, dirigente generale del dipartimento regionale delle infrastrutture, illustravano i seguenti fatti in seguito meglio specificati, verificabili anche sul sito istituzionale di recente attivazione www.palermocataniamessina.it;
   si è data notizia che il comitato di pilotaggio istituito presso il dipartimento delle infrastrutture della regione Siciliana, titolare del contratto istituzionale di servizio tra regione siciliana e Rete ferroviaria italiana, su indirizzo del Ministro interrogato, ha reso il 3 dicembre 2014 parere favorevole allo studio di fattibilità sulla velocizzazione del tracciato tradizionale Palermo-Catania che passa per Enna e Caltanissetta Xirbi, con un tempo di percorrenza con collegamento diretto di 1:45 minuti e con velocità di progetto a 200 chilometri all'ora;
   si è appreso, per altro verso, che i modi e i tempi di cantierizzazione dell'infrastruttura che dovrebbe essere realizzata nel territorio provinciale di Caltanissetta, indipendentemente dalla soluzione adottata, non sono certi, ed ad oggi non programmabili in termini di copertura finanziaria, se non con riferimento ad alcuni tratti della linea che difficilmente potranno portare vantaggi diretti in termini di mobilità per la collettività nissena;
   allo stato attuale, infatti, si trovano alla fase di progettazione preliminare ed in via di approvazione, esclusivamente i tratti tra Bicocca, Motta e Catenanuova, e Catenanuova, Raddusa-Agira, di circa 63 chilometri complessivi, che saranno interessati al raddoppio della linea, per le quali è necessaria una dotazione finanziaria di 415 milioni e 324 milioni di euro, rispettivamente assistita da copertura finanziaria dalla Cassa depositi e prestiti, ed un ulteriore dotazione nell'ambito del Programma operativo nazionale-Fondo europeo di sviluppo regionale 2014-2020, rispettivamente di 191 milioni e 48 milioni di euro;
   detti tratti, che il decreto-legge «Sblocca Italia» prevede di attivare entro il dicembre 2018, con l'apertura dei cantieri nell'ottobre 2015, permetteranno il collegamento tra l'area metropolitana di Catania con l'indotto industriale della Valle del Dittaino, avvantaggiando in maniera incisiva i pertinenti territori;
   nessun vantaggio invece se ne potrà avere nei collegamenti tra Caltanissetta e Palermo, e solo impercettibili vantaggi potrebbero aversi nella relazione tra Caltanissetta e Catania, se non saranno realizzati gli ulteriori e necessari interventi nella tratta tra Raddusa-Agira-Enna-Caltanissetta Xirbi, e tra Xirbi-Roccapalumba-Fiumetorto per Palermo, che nelle attuali condizioni farebbe da «tappo» impedendo l'utilizzo di rotabili veloci nell'intero percorso, dove la velocità di percorrenza scende anche a 80 chilometri all'ora;
   detta tratta non è oggi interessata da alcuna previsione progettuale e la dotazione finanziaria, a fronte di 136 chilometri di tracciato, è di soli due milioni di euro disponibili tra il 2014 ed il 2016 a carico della Cassa depositi e prestiti. Nessuna programmazione finanziaria è prevista nell'ambito del Programma operativo nazionale-Fondo europeo di sviluppo regionale 2014-2020 a cura della regione siciliana, interventi che il Ministro interrogato, nell'incontro tenutosi presso la Kore, per mezzo del commissario, ingegnere Elia, ha opportunamente sollecitato;
   per altro, dagli studi effettuati e riportati nella sopracitata interrogazione parlamentare, si evidenzia che le priorità di finanziamento, senza alcuna correlazione con le effettive esigenze di intervento nell'infrastruttura, hanno esclusivamente interessato il tratto ferroviario dell'ennese e del catanese, già di per se connotato per una parte significativa di una velocità di percorrenza tra le più elevate dell'intero tragitto tra Palermo e Catania, con punte di 135 chilometri all'ora, rispetto alle tratte più lente dell'entroterra che riguardano soprattutto il territorio nisseno, bisognevoli di interventi più urgenti per evitare di disperdere la già residuale utenza scoraggiata dalla qualità del servizio;
   ad ulteriore prova delle decisioni già poste in essere da Rete ferroviaria italiana, si riassumono di seguito le azioni sintetizzate in una slide proiettata all'incontro tenutosi alla Kore di Enna, relative alle prime azioni del commissario, ingegnere Mario Elia:
    a) Bicocca-Motta-Catenanuova;
    b) avviata la progettazione definitiva – avviate le attività propedeutiche ai lavori preliminari;
    c) Catenanuova-Raddusa-Agira;
    d) avviata la progettazione definitiva – avviate le attività propedeutiche ai lavori preliminari;
    e) Raddusa-Enna-Fiumetorto (tracciato passante per Caltanissetta Xirbi);
    f) avviata progettazione preliminare – intraprese le interlocuzioni con i Ministeri competenti al fine di verificare eventuali disponibilità finanziarie necessarie alla realizzazione della tratta anche per fasi funzionali e costruttive;

   dall'esame della documentazione si è per altro evidenziato un evidente paradosso. Rete ferroviaria italiana assume infatti come motivazione per la «messa da parte» di un progetto di velocizzazione del tratto tra Roccapalumba e Marianopoli, già individuato nelle prossime azioni con un importo di 64 milioni di euro, proprio l'avvenuta scelta del tracciato tradizionale che passa per la stazione di Caltanissetta Xirbi. Detto progetto, opportunamente adeguato, potrebbe invece essere immediatamente organico alla nuova infrastruttura prevista e contribuirebbe a rendere attuale in tempi brevi un tratto tra i più accidentati, con un notevole ed immediato miglioramento dei tempi di percorrenza tra Caltanissetta e Palermo e Catania e Palermo, che serve per altro i comuni di Vallelunga, Villalba, Santa Caterina Villarmosa, San Cataldo e Marianopoli;
   si è appreso per altro che la dotazione finanziaria necessaria per la velocizzazione dell'intero tracciato Catania-Palermo è di cinque miliardi e duecentosettantasette milioni di euro a fronte di una cifra disponibile di circa un miliardo di euro di risorse tra Cassa depositi e prestiti e risorse comunitarie Programma operativo nazionale-Fondo europeo di sviluppo regionale 2014-2020, motivo per il quale la cittadinanza nissena, in assenza di interventi finanziari nel suo territorio, non potrà concretamente vedere iniziare i lavori della predetta tratta ferroviaria interessante la stazione di Caltanissetta Xirbi in tempi brevi, ma cosa più importante non godrebbe di alcuna misura agevolativa di «sblocco» delle procedure che solo la gestione commissariale può assicurare avvalendosi di quanto previsto dal decreto-legge «Sblocca Italia», fino al 2018, delle quali godranno contesti territoriali diversi dal nisseno. Per tale motivo, in difetto di previsioni che possano trovare attuazione esecutiva proprio durante la gestione commissariale, la scelta «sulla carta» ricaduta sul tracciato tradizionale si configurerebbe solo come una prospettiva di lungo periodo «di non essere tagliati fuori», che non si può considerare soddisfacente, proprio per la sua neutralità, rispetto alle alternative previsioni progettuali che illustrano la soluzione, che proprio nella stazione di Agira individuano il «nodo» per il percorso che trafora i monti Nebrodi approdando a Castelbuono, che escluderebbe quello tradizionale che passa da Caltanissetta Xirbi;
   per tutti questi motivi gli interroganti, danno atto al Ministro interrogato dell'importante ruolo di indirizzo nell'avere indotto Rete ferroviaria italiana all'avere prescelto il tracciato tradizionale che passa da Caltanissetta Xirbi;
   si ritiene però che sia altrettanto importante non perdere l'occasione offerta dalla gestione commissariale del decreto-legge «Sblocca Italia» ed avviare nell'immediato la realizzazione di uno stralcio funzionale della tratta in territorio nisseno, che permetta di dare a questi territori, che per l'occasione hanno consumato uno straordinario momento di mobilitazione, un concreto segnale dell'attenzione dello Stato, da una parte, e, dall'altra, l'opportunità di «cristallizzare» la scelta adottata, con l'impiego effettivo di risorse per realizzare un tratto nel territorio interessato, fatto che scongiurerebbe, una volta per tutte, la possibilità che in futuro, in contesti avulsi dall'eccezionale coesione raggiunta tra le varie istituzioni e la collettività, possano assumersi scelte diverse, che in atto nessuno degli attori istituzionali oggi coinvolti può escludere –:
   cosa il Ministro interrogato, di concerto con il commissario straordinario, intenda fare al fine di ultimare al più presto il progetto preliminare dell'intera tratta «Agira, Caltanissetta Xirbi, Roccapalumba e Fiumetorto», oltre che le opere finalizzate alla velocizzazione del tratto Roccapalumba-Marianopoli, utilizzando le risorse già stanziate o liberando ulteriori stanziamenti nell'ambito del Programma operativo nazionale-Fondo europeo di sviluppo regionale 2014-2020, così fugando ogni dubbio sulla reale volontà del Governo e delle Ferrovie dello Stato italiane di raddoppiare il tratto verso Palermo passando attraverso le province interne di Enna e Caltanissetta. (3-01271)
(Presentata il 4 febbraio 2015)


   FAUTTILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo il cronoprogramma del progetto del Corridoio tirrenico meridionale, ad aprile 2015 dovrebbero veder la luce i primi cantieri dell'autostrada Roma-Latina mentre l'apertura al traffico sarebbe prevista per il marzo 2021;
   l'infrastruttura, in verità, ha avuto un iter burocratico complicato conclusosi solo in data 2 agosto 2013 con l'approvazione definitiva del Cipe e con la registrazione presso la Corte dei conti del «Sistema Intermodale Integrato Pontino: Roma-Latina e Cisterna-Valmontone»;
   oltre alle difficoltà procedurali il progetto è stato osteggiato da coloro che, temendone l'impatto sul territorio, hanno sempre puntato, piuttosto, alla messa in sicurezza dell'attuale tracciato dalla strada regionale 148 Pontina;
   la sola messa in sicurezza della Pontina non risolverebbe, tuttavia, le criticità che esistono da anni, non porterà ad una riduzione del traffico sul Gra di Roma, mentre l'attuale progetto, grazie ad una serie di svincoli tra la nuova autostrada e l'Ostiense, la Cristoforo Colombo e la Roma Fiumicino, permetterà di fluidificare il traffico in entrata a Roma, oggi penalizzata dal fatto che l'unica via dall'accesso è l'attuale Pontina;
   la realizzazione del collegamento con la Capitale è di fondamentale importanza per dare nuovo impulso all'economia e allo sviluppo e migliorare la viabilità non solo del territorio pontino ma di tutta la regione Lazio, unitamente alla realizzazione di un'altra importante infrastruttura per il territorio quale la variante stradale Pedemontana di Formia;
   si rileva, infine, il ritardo dei lavori riguardanti l'adeguamento della strada statale 156 dei Monti Lepini, che rappresenta uno dei segmenti secondari del corridoio plurimodale tirrenico-nord Europa, in quanto assicura il collegamento dell'asse pontino, in prosecuzione verso sud della direttrice Civitavecchia-Roma, all'autostrada A1 e quindi all'asse Napoli-Salerno-Reggio Calabria, bloccati da anni a causa di approfondimenti geologici necessari in relazione alla presenza di fenomeni carsici –:
   se non intenda fornire indicazioni precise volte a confermare il cronoprogramma annunciato del progetto del Corridoio tirrenico meridionale e della variante stradale Pedemontana di Formia, nonché sollecitare, nell'ambito delle sue competenze, la definizione della vicenda che interessa la citata strada statale 156 dei Monti Lepini, in quanto sono tutte infrastrutture strategiche necessarie per il rilancio e la crescita della provincia di Latina e di tutto il Lazio. (3-01272)
(Presentata il 4 febbraio 2015)


   DI GIOIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia, è incluso nella rete TEN-T comprehensive network approvata da Parlamento europeo e Consiglio europeo in via definitiva nel dicembre del 2013 (Regolamento 11 dicembre 2013, n. 1315/2013/UE – Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea 20 dicembre 2013, n. L 348);
   la provincia di Foggia è la seconda più estesa d'Italia e comprende nel proprio territorio aree interne, remote, periferiche, geograficamente ed economicamente svantaggiate, (ad esempio, Gargano e Monti Dauni), che distano oltre 220 chilometri e circa tre ore dall'aeroporto di Bari Palese;
   la provincia di Foggia non è dotata di collegamenti con treni ad alta velocità;
   con decreto ministeriale 20 novembre 2013, n. 414, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 16 dicembre 2013, n. 294, riguardante i collegamenti aerei da e per Crotone con Roma Fiumicino e Milano Linate, è stato individuato l'aeroporto di Crotone come scalo nazionale, prevedendo per esso che i servizi aerei di linea sulle rotte Crotone-Milano Linate e Crotone-Roma Fiumicino e viceversa costituiscano servizi di interesse economico generale;
   tali servizi aerei di linea sulle rotte predette sono stati sottoposti ad oneri di servizio pubblico che sono diventati obbligatori dal 30 giugno 2014;
   pur non mettendo in discussione quanto previsto per la provincia di Crotone, non si comprende perché tale opportunità non si voglia concedere alla provincia di Foggia che, oltre agli elementi sopra esposti e che sono un elemento distintivo e particolare, ha anche le seguenti caratteristiche particolari:
    a) la provincia di Foggia ha circa 650.000 abitanti e la popolazione residente nella catchment area dello scalo di Foggia (abitanti che risiedono in aree più vicine al «Gino Lisa» rispetto agli aeroporti alternativi di Bari, Napoli e Pescara) è di 1.333.325 abitanti, inclusi i residenti in porzioni di province limitrofe (Campobasso, Potenza, Avellino, Benevento, Barletta-Andria-Trani) da poter beneficiare di un bacino d'utenza specifico e non sovrapposto ad altri scali, così come previsto in merito dalla comunicazione della Commissione europea 2014C «Orientamenti sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree pubblicato» nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea 4 aprile 2014, n. 99/03;
    b) garantisce la continuità territoriale verso le isole Tremiti;
    c) dista oltre cento chilometri dall'aeroporto più vicino ed è incluso, come già ricordato, nella rete TEN-T dell'Unione europea;

   da notizie di stampa si apprende che vi sarebbe la volontà, finalmente, di inserire, dopo un periodo di verifica, gli aeroporti di Foggia e Forlì tra quelli compresi negli scali nazionali;
   allo stesso tempo, risulta all'interrogante che la Commissione europea avrebbe bloccato i 14 milioni di euro, necessari all'allungamento della pista dell'aeroporto «Gino Lisa», sembrerebbe per un ritardo di comunicazioni da parte delle autorità italiane;
   sul riconoscimento dell'aeroporto «Gino Lisa» come scalo nazionale l'interrogante ha presentato numerosi atti di sindacato ispettivo affinché, attraverso la valorizzazione di questa infrastruttura, si avviasse un progetto di ripresa economica di un'intera provincia che vive una profonda crisi economica e, come giusto che sia, i sindaci dell'intero territorio hanno presentato un'istanza collettiva affinché di arrivi a tale riconoscimento;
   ancora oggi, si è in attesa del rilascio della valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero competente che era stata annunciata, per ultimo, nelle prime settimane di gennaio 2015;
   il susseguirsi di notizie, spesso contrarie a questo giusto riconoscimento, ha creato giustificatamente un sentimento di profonda sfiducia da parte dei cittadini della provincia di Foggia che non riescono a comprendere per quali motivo si continuino ad ignorare le giuste istanze e il desiderio di questa provincia di avere un sistema di infrastrutture efficiente in grado di contribuire al rilancio economico del territorio –:
   se si intenda, finalmente, procedere, con la necessaria rapidità, a riconoscere all'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia, la qualifica di scalo nazionale, tenuto conto, oltretutto, che le caratteristiche della provincia di Foggia sono maggiormente corrispondenti a quelle richieste per accedere a tale prerogativa di quelle presenti in altri aeroporti a cui è stata riconosciuta tale qualifica e, conseguentemente, se non si ritenga opportuno, nel frattempo, attivarsi per istituire almeno tre collegamenti per garantire la continuità territoriale dall'aeroporto «Gino Lisa» alle città di Milano e Torino. (3-01273)
(Presentata il 4 febbraio 2015)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 5 novembre 2013 è stata inaugurata la variante di Nova Siri (Matera) (tronco IX, dal chilometro 414,080 al chilometro 419,300) della strada statale 106 «Jonica», realizzata con un investimento di circa 80 milioni di euro;
   le principali opere presenti sulla variante sono i tre svincoli di «Nova Siri Sud», «Nova Siri Scalo» e «Rotondella»; il viadotto S. Nicola (782 m., costituito da 21 campate); il viadotto Regio (185 m); sei ponti e un cavalcavia;
   la variante è lunga circa 5 chilometri  attraversa il territorio dei comuni di Rotondella e Nova Siri della provincia di Matera, in Basilicata, ed ha inizio nel territorio del comune di Rocca Imperiale della provincia di Cosenza, in Calabria. La strada attraversa un territorio particolarmente complesso da un punto di vista orografico, caratterizzato dalla presenza del torrente San Nicola e del torrente Toccacelo sottostante;
   le delibere CIPE n. 91/2006 (Gazzetta Ufficiale n. 189/2006) e n. 20/2009 (Gazzetta Ufficiale n. 298/2009), negli allegati «Prescrizioni e raccomandazioni proposte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti», su richiesta dei consigli comunali di Nova Siri e Rocca Imperiale, obbligano il soggetto aggiudicatore a recepire le prescrizioni nel progetto preliminare, definitivo ed esecutivo e che per effetto delle sopracitate delibere «il soggetto aggiudicatore» doveva dare puntuale attuazione alle prescrizioni contemplate e agli obblighi del C.S.A;
   le scelte del progetto definitivo non rispettano secondo l'interrogante l'impostazione di base del preliminare per le seguenti ragioni: occorrono interventi per la messa in sicurezza del quadrivio dello svincolo centrale di Nova Siri nel quale confluiscono il «regio tratturo», ex strada statale 104, ed il traffico di via Pitagora; l'adeguamento e l'accessibilità degli svincoli di Nova Siri nord e di Nova Siri sud per garantire al traffico il raggiungimento delle strutture turistiche di Nova Siri lido e di Rotondella lido senza interessare lo svincolo di Nova Siri centro; la valorizzazione della vecchia strada statale 106 collegandola agli svincoli Nova Siri nord e sud per smaltire meglio il traffico e per valorizzare le diverse attività commerciali e di servizio li allocati; la realizzazione del ponte di attraversamento del torrente «San Nicola» per garantire la relazione tra le viabilità interne ed il collegamento con un importante comprensorio agricolo e turistico;
   in particolare, occorre collegare la viabilità intercomunale di Nova Siri e Rocca Imperiale, proveniente dalle contrade Cesine e San Nicola, con il Tratturo Regio, mediante la realizzazione di un ponte sul Torrente San Nicola o attraverso lo svincolo Sud di Nova Siri (ubicato nel comune di Rocca Imperiale) con la realizzazione della strada complanare San Nicola-Tratturo Regio-lato destro Rocca Imperiale, indicata in più prescrizioni;
   occorre restituire alla vecchia strada statale 106 le funzioni di complanare e di alternativa al nuovo tracciato, in caso di forza maggiore, collegandola direttamente agli svincoli nord e sud di Nova Siri per salvaguardare i livelli occupazionali delle attività produttive ubicate lungo il tracciato (stazioni di servizio, gommisti, ristoranti, officine meccaniche, aziende agricole e strutture turistico-ricettive) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere presso l'ANAS per dare attuazione alle prescrizioni di cui alle delibere Cipe n. 91/2006 e n. 20/2009 nella costruzione della variante di Nova Siri;
   se non ritenga di verificare che tutti gli adempimenti per l'apertura dell'opera siano stati effettuati per la salvaguardia dell'incolumità degli automobilisti. (5-04608)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa di Repubblica del 11 novembre 2014 si apprende che la società «Ferrovienord» – controllata al 100 per cento da FNM e gestisce più di 300 chilometri di rete e 120 stazioni dislocate su cinque linee nell’hinterland a nord di Milano e nelle province di Milano, Varese, Como, Novara, Brescia – abbia acquistato ad un prezzo doppio rispetto il reale valore, 2 treni «Atr 220» costati circa 4 milioni di euro cadauno;
   da fonti stampa di Repubblica.it del 25 e 26 ottobre 2013 dal titolo «Puglia, la truffa dei treni più cari del mondo» e «I treni d'oro alle Sud Est, pagati 20 volte il loro valore» si apprende che in seguito a controlli fiscali dell'Agenzia delle entrate nel 2009, si scopre che la società Ferrovie Sud-Est, ha acquistato 25 carrozze passeggeri dismesse da due distinte società tedesche per un importo pari a 912 mila euro. Sempre la società Ferrovie del Sud-Est ha successivamente rivenduto le 25 carrozze sopracitate ad un costo di 7 milioni di euro ad una piccola azienda polacca denominata «Varsa», la quale dopo una restaurazione delle stesse carrozze li ha rivendute successivamente alla società Ferrovie del Sud-Est ad un costo di 22,5 milioni di euro anche grazie ad un contributo regionale del 2007, fatti oggetto della interrogazione a risposta immediata in commissione 5-03909 presentata da Diego De Lorenzis con testo pubblicato mercoledì 29 ottobre 2014 nella seduta n. 320;
   nella relativa risposta il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti scrive che «le procedure relative alle forniture richiamate dagli interroganti e le risorse finanziarie destinate alla copertura delle stesse non rientrano nella competenza statale, bensì in quella esclusiva della regione Puglia; fa eccezione tutto ciò che attiene alla verifica tecnica dei presupposti di sicurezza per la messa in esercizio dei rotabili oggetto delle forniture stesse, verifica posta a carico dei competenti uffici tecnici del MIT.»;
   sempre da fonti stampa si apprende che nel 2008 le Ferrovie Sud-Est comprano 27 treni nuovi, questa volta pagando 53 milioni di euro, dalla società Pesa Bydgoszcz con consulenza della società Varsa ricompensata con 11 milioni e 369 mila euro, circa il 20 per cento dell'affare complessivo, secondo gli atti della procura di Bari. Il costo complessivo suddiviso per i 27 treni fa sì che ognuno degli «Atr 220» è costato 1,95 milioni di euro, inclusa la consulenza e 1,55 milioni di euro cadauno se si scorpora il costo della provvigione per Varsa;
   i due treni «Atr 220» sembrerebbero acquistati senza regolare bando di gara dalla «Ferrovienord», soventemente tendono a non funzionare correttamente, sono costati 8 milioni di euro complessivi, circa 4 milioni cadauno, e sembrerebbero far parte della stessa commessa che ha portato all'acquisto degli «Atr 220» da parte di Ferrovie Sud-Est, ma costati meno della metà;
   in Puglia, fra l'altro, nell'inchiesta della procura di Bari è spuntata anche una complessa vicenda sull'omologazione degli «Atr 220», che potrebbe essere arrivata, secondo le tesi della magistratura, soltanto dopo l'acquisto dei treni da parte di Ferrovie Sud-Est –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti espressi in premessa e possa acquisire elementi per chiarire se l'acquisto dei treni da parte di Ferrovienord provengono dalla stessa commessa dei treni acquistati da Ferrovie Sud-Est società controllata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e se tale compravendita di treni con fondi pubblici di 1,95 milioni di euro abbia prima portato in Puglia i mezzi in questione e poi sempre con fondi pubblici e con una spesa di 4 milioni di euro cadauno, siano giunti in Lombardia, per una spesa complessiva di quasi 6 milioni di euro cadauno di fondi pubblici per treni malfunzionanti;
   se i 27 treni acquistati dalla commessa del 2008 da parte di Ferrovie Sud-Est siano effettivamente tutti in Puglia ovvero siano stati rivenduti altrove;
   se i treni «Atr 220» di proprietà delle Ferrovie Sud-Est che subiscono una verifica tecnica dei presupposti di sicurezza per la messa in esercizio dei rotabili, verifica posta a carico dei competenti uffici tecnici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, abbiano ricevuto omologazione successivamente all'acquisto da parte di Ferrovie Sud-Est e con quali fondi sia stata effettuata tale omologazione.
(5-04623)


   FRAGOMELI e MAURI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 aprile 2013 il Tribunale di Lecco, con sentenza n. 31 del 2013, ha dichiarato il fallimento della società Costa Sistemi Ferroviari spa (già Rail Service International Italia Spa) con sede sociale in Maddaloni (Cosenza) e sede operativa sita in Costa Masnaga (Lecco). Costa Sistemi Ferroviari spa conta, allo stato attuale, sessantadue ex dipendenti: per parte di essi, già a partire dalla prima settimana di giugno 2015, terminerà il periodo di mobilità;
   Costa Sistemi Ferroviari spa ha svolto la propria attività sociale nel settore ferroviario e, più precisamente, in qualità di fornitore della società Trenitalia spa, occupandosi prevalentemente della manutenzione delle carrozze destinate al servizio dei cosiddetti «treni notte»; alla data del fallimento, nei due siti manutentivi di proprietà Costa Sistemi Ferroviari spa, a Costa Masnaga (Lecco) e a Roma Tiburtina (Roma), erano presenti, rispettivamente, n. 23 e n. 2 carrozze della tipologia sopra descritta (treni notte), derivanti da una commessa d'appalto vinta da Costa Sistemi Ferroviari spa su gara pubblica emanata dalla società Trenitalia spa;
   in data 21 maggio 2013 il curatore fallimentare ha inviato comunicazione – ex articolo 92 della legge fallimentare – a tutti i creditori sociali, ivi compresa Trenitalia spa, per informare dell'avvenuto fallimento e della conseguente data di udienza di formazione dello stato passivo tempestivo che si è poi regolarmente tenuta in data 25 settembre 2013. Trenitalia spa, tuttavia, non ha provveduto, nei termini di legge, ad inviare istanza di rivendica delle n. 25 carrozze destinate al servizio notte, facendo invece pervenire alla curatela, in data 7 giugno 2013, una richiesta di sopralluogo atto a verificare lo stato delle carrozze, sia nello stabilimento di Roma Tiburtina (Roma) che in quello di Costa Masnaga (Lecco). Successivamente, in data 17 luglio 2013 e in data 23 luglio 2013, i funzionari di Trenitalia spa hanno potuto effettuare i richiesti sopralluoghi presso i citati siti manutentivi;
   in data 1o ottobre 2013, Trenitalia spa ha inviato al curatore una comunicazione contenente i verbali relativi a tali sopralluoghi (con inserite ad inventario anche le sopracitate carrozze), dai quali si desumeva chiaramente l'intenzione, da parte di Trenitalia spa, di demolire in loco le carrozze – attesa l'impossibilità di movimentazione delle stesse – oltre alla riconsegna dei beni di proprietà. In data 18 novembre 2013, il curatore ha quindi provveduto a depositare il verbale d'inventario;
   il curatore in data 24 marzo 2014, ha successivamente depositato il programma di liquidazione – ex articolo 104-TER della legge fallimentare – nel quale si esplicitava come la vendita dei beni mobili sarebbe avvenuta mediante la procedura di asta competitiva in streaming gestita dal commissionario autorizzato Expo InvestSrl., tale asta, fissata per il giorno 17 aprile 2014, avrebbe riguardato sia la vendita delle giacenze di magazzino, sia dei beni mobili appartenenti alla massa fallimentare siti nel compendio immobiliare di Costa Masnaga (Lecco), ivi comprese le sopracitate carrozze in virtù del fatto che le stesse sono abbandonate, come riferito dal liquidatore sociale, dal luglio 2010 presso la Costa Sistemi Ferroviari spa senza essere state mai richieste dal proprietario nonostante il notevolissimo tempo trascorso (a tal proposito si veda l'articolo del 24 luglio 2012 del Corriere della Sera dal titolo «La beffa dei treni notte», nel quale si denunciava l'abbandono, da parte di Trenitalia spa, di un numero elevato carrozze di tipologia «treni notte» in svariate stazioni italiane). Nel bando d'asta, infine, era esplicitamente specificato che le carrozze in questione sarebbero state vendute come rottame e conseguentemente demolite in loco in conformità alle richieste formulate da Trenitalia spa;
   in data 3 aprile 2014, Trenitalia spa ha fatto pervenire alla curatela, ai sensi dell'articolo 93, 101, e 103 della legge fallimentare, istanza di rivendica delle carrozze: accertato che i beni richiesti in tale istanza sono effettivamente di proprietà della stessa società, il curatore ha quindi proceduto alla sospensione dell'asta di vendita;
   nel corso dello stesso mese di aprile 2014, la curatela ha ricevuto – da parte di un imprenditore – una concreta manifestazione di interesse in ordine al compendio immobiliare sito in Costa Masnaga (Lecco): le carrozze di cui sopra, ancora presenti in loco, sono tuttavia di ostacolo all'asta competitiva per la vendita del sito, causando danno alla procedura e, conseguentemente, anche ai creditori sociali. In ragione di ciò, in data 24 aprile 2014, i tecnici della curatela hanno quindi incontrato i funzionari di Trenitalia spa presso la sede di Roma, al fine di far presente l'urgenza dello sgombero dell'area e richiedere l'autorizzazione a provvedere, sotto la supervisione di Trenitalia spa stessa, alla demolizione delle citate carrozze, con l'accordo che la procedura avrebbe versato gli ammontari ricavati dalla vendita in prededuzione a Trenitalia Spa. Nel verbale di tale incontro è riportato come Trenitalia abbia confermato che, una volta ottenuto il provvedimento restitutorio da parte del giudice delegato, avrebbe quindi provveduto alla demolizione dei rotabili nel più breve tempo possibile;
   in data 6 giugno 2014, il giudice delegato del tribunale di Lecco, al fine poter procedere quanto prima alla vendita dell'insediamento di Costa Masnaga, dispone la restituzione delle carrozze a Trenitalia spa e invita la società stessa a liberare al più presto l'area in questione, autorizzando al contempo il curatore ad assumere tutte le iniziative necessarie ad assicurare la liberazione dell'area – e addebitandone gli eventuali costi a Trenitalia spa – entro trenta giorni dall'emanazione del provvedimento restitutorio, ovvero entro il 6 luglio 2014;
   a quanto consta agli interroganti Trenitalia spa, ad oggi, non ha ancora provveduto a liberare il sito di Costa Masnaga (Lecco) ed il decreto del Giudice Delegato di cui sopra è rimasto, di fatto, totalmente inapplicato. In data novembre 2014, Trenitalia spa dichiara inoltre che il trasporto delle carrozze in questione potrà avvenire unicamente nel caso in cui, allo scopo di permettere la movimentazione delle carrozze stesse, la curatela provveda, a sue spese, al ripristino della funzionalità dell'impianto elettrico del sito di Costa Masnaga. La curatela, da parte sua, non ritiene di assecondare la richiesta di Trenitalia Spa dal momento che, come disposto dal giudice delegato, gli aspetti organizzativi ed i conseguenti oneri sono da ritenersi totalmente a carico di Trenitalia spa;
   alcuni imprenditori hanno già manifestato un concreto interesse di acquisizione nell'area in questione e, al contempo, si sono resi disponibili a valutare l'assunzione dei sessantadue dipendenti di Costa Sistemi Ferroviari spa, per parte dei quali, già a partire dalla prima settimana di giugno 2015, terminerà il periodo di mobilità –:
   se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, quale soggetto vigilante della holding Ferrovie dello Stato Italiane spa, adottare tutte le iniziative necessarie per individuare le ragioni della condotta di Trenitalia in relazione a quanto riportato in premessa e per assicurare che la stessa società provveda, quanto prima possibile, entro e non oltre il mese di aprile 2015, al recupero ovvero alla demolizione delle carrozze, in modo da sgomberare l'area e permetterne lo svolgimento dell'asta di vendita, con il conseguente insediamento di nuove attività produttive. (5-04624)


   DE LORENZIS, PETRAROLI e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che Rete ferroviaria italiana stia chiudendo i passaggi a livello per ammodernare e migliorare la sicurezza sulla linea ferroviaria Bari-Lecce;
   nel comune di Mola di Bari è stato recentemente chiuso l'ultimo passaggio a livello ma non sono ancora state realizzate opere alternative per garantire la continuità urbanistica, sia pedonale che motorizzata, creando quindi grandi disagi ai cittadini, dovuti dall'isolamento dei quartieri coinvolti;
   nello stesso tratto a Mola di Bari Rete ferroviaria italiana costruirà un cavalcaferrovia atteso a termine lavori per fine del 2016;
   a spese del comune di Mola di Bari vi è la realizzazione di un sottopasso ferroviario che ancora non è stato realizzato;
   sembrerebbe quindi che il mancato coordinamento tra Rete ferroviaria italiana e il comune di Mola di Bari, nel rendere fruibile ed operativo il sottopasso al momento della chiusura del passaggio al livello, stia determinando problemi alla cittadinanza, mentre a detta dell'interrogante sarebbe auspicabile che le amministrazioni comunali concordino i lavori con Rete ferroviaria italiana in modo da pianificare l'urbanistica riducendo al minimo gli eventuali disagi per la cittadinanza;
   sempre da fonti stampa si apprende che prossimamente avverranno altre tre chiusure di passaggi a livello sulla stessa tratta ferroviaria Bari-Lecce, nei comuni di Fasano, Carovigno e Brindisi –:
   se Rete ferroviaria italiana abbia concordato gli interventi di propria competenza con le amministrazioni coinvolte;
   se il Ministro intenda assumere iniziative normative per prevedere risorse volta consentire ai comuni, non coordinati con l'immediata partenza dei lavori di adeguamento da parte di Rete ferroviaria italiana, di avviare opere urbanistiche per ridurre al minimo il disagio durante la realizzazione delle opere di ammodernamento della linea in oggetto. (5-04635)


   VALLASCAS, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI e PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della deliberazione preliminare adottata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 6 novembre 2008, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 marzo 2009 è stato definito il procedimento di alienazione della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nella società Tirrenia di Navigazione spa, nonché la cessione delle partecipazioni detenute dalla stessa nelle società di cabotaggio regionali Caremar (Campania Regionale Marittima spa), Saremar (Sardegna Regionale Marittima spa), Toremar (Toscana Regionale Marittima spa) e Siremar (Sicilia Regionale Marittima spa);
   l'articolo 19-ter del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, che contiene gli accordi di programma definiti tra Stato e regioni interessate, al comma 8, stabilisce che «La Tirrenia di navigazione S.p.a. e la Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a., nonché la Caremar-Campania Regionale Marittima S.p.a., la Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. sono privatizzate, in conformità alle disposizioni nazionali e comunitarie vigenti in materia, attraverso procedure di gara aperte, non discriminatorie, atte a determinare un prezzo di mercato, le quali, relativamente alle privatizzazioni realizzate dalle regioni Campania, Lazio, Sardegna e Toscana, possono riguardare sia l'affidamento dei servizi marittimi sia l'apertura del capitale ad un socio privato»;
   il provvedimento individuava, quale termine ultimo per la pubblicazione dei bandi di gara per la privatizzazione di Tirrenia e delle controllate Saremar, Siremar e Toremar, il 31 dicembre 2009, e stabiliva, a garanzia del mantenimento dei livelli dei servizi erogati sulla base delle convenzioni in vigore e dei contratti di servizio stipulati, la somma complessiva di 184.942.251 di euro annui, a decorrere dal 2010, di cui la quota parte della regione Sardegna era pari a 13.686.441 euro, per una durata non superiore ai 12 anni;
   nel recepire la legge 20 novembre 2009, n. 166, la regione Sardegna deliberò che nel procedimento di privatizzazione le quote azionarie della società avrebbero dovuto essere suddivise tra una quota pubblica, attraverso l'acquisizione da parte della finanziaria della regione Sardegna Sfirs, non inferiore al 49 per cento, e una quota privata, pari alla restante parte del capitale sociale;
   le difficoltà riscontrate nel processo di privatizzazione di Tirrenia spa a cui ha fatto seguito la dichiarazione dello stato di insolvenza della società, con sentenza n. 332 del 12 agosto 2010 del tribunale di Roma, hanno determinato una sospensione del procedimento di privatizzazione di Saremar che vanta tuttora un credito con Tirrenia pari a 11 milioni e mezzo di euro;
   in virtù dei ritardi nella privatizzazione della Saremar, e dopo diversi richiami alla regione Sardegna, nel 2012, l'amministrazione dello Stato ha sospeso l'erogazione delle risorse necessarie al mantenimento dei servizi, risorse che, a tutt'oggi, vengono erogate dalla regione Sardegna per un ammontare pari a 16 milioni di euro annui;
   nel mese di gennaio del 2014, l'Unione europea ha condannato la Saremar S.p.a. al risarcimento di 10 milioni e 800 mila euro, perché considerati aiuti di stato ottenuti dalla regione Sardegna, tra il 2011 e il 2012, nell'ambito del progetto «flotta sarda»;
   questo stato di cose ha determinato una situazione di grave difficoltà nei conti della società di cabotaggio, nella disponibilità di spesa e solvibilità nei confronti dei fornitori; una situazione degenerata in misura tale che nel mese di luglio del 2014, la società ha presentato alla sezione fallimentare del tribunale di Cagliari istanza di accesso alle procedure di concordato preventivo;
   l'istanza è stata esitata venerdì 16 gennaio 2015 con il deposito del decreto del tribunale di Cagliari che ha accolto la richiesta e il piano presentato dalla società Saremar;
   in questo caso, si potrebbe delineare una situazione di grave svantaggio per la proprietà pubblica dell'azienda, con una svendita del patrimonio societario, costituito prevalentemente dalla flotta, per l'ammodernamento della quale nel 2010 la regione ha investito 7 milioni di euro, al solo valore dei debiti maturati da Saremar, tra cui la sanzione dell'Unione europea, e nonostante l'azienda vanti un credito con Tirrenia pari a 11 milioni e 500 mila euro;
   si configurerebbe in tale modo, ad avviso degli interroganti, un vergognoso sperpero del patrimonio pubblico a vantaggio di un soggetto privato che, tra l'altro, sarebbe destinatario delle sovvenzioni pubbliche previste nelle norme di privatizzazione;
   attualmente la Saremar garantisce i collegamenti diurni con l'arcipelago della Maddalena, dove risiedono stabilmente oltre 11 mila abitanti, per un totale di 21 corse, e con l'isola di San Pietro, dove risiedono 6 mila abitanti, per un totale di 22 corse (circa 15 da Portovesme e 7 da Calasetta);
   la precarietà della condizione in cui opera la Saremar, e l'acquisizione da parte di un privato, destano molteplici preoccupazioni sulla continuità e qualità dei servizi erogati, con particolare riguardo all'affacciarsi di logiche di mercato e di redditività in un contesto in cui va salvaguardato, a garanzia della continuità territoriale interna, un servizio fondamentale e necessario come i collegamenti con le isole minori;
   peraltro queste preoccupazioni sarebbero giustificate dagli esiti dei procedimenti di alienazione delle altre aziende di cabotaggio marittimo controllate da Tirrenia;
   la Toremar, ad esempio, privatizzata nel 2011, dopo una recente sentenza del Consiglio di Stato, dovrà essere gestita da un operatore diverso dal primo aggiudicatario della gara; anche la Caremar ha dovuto subire un lungo iter giudiziario, fatto di ricorsi e rinvii della privatizzazione (il nuovo gestore dovrebbe subentrare nel 2015); mentre nel caso di Siremar, sarebbero emersi gravi inadempimenti contrattuali da parte del gestore aggiudicatario del bando di privatizzazione;
   nel complesso l'esperienza della privatizzazione avrebbe fatto emergere una situazione controversa caratterizzata da ricorsi e conseguenti rinvii dell'avvio delle nuove gestioni; inosservanze contrattuali, quanto a corse, orari, tariffe ed altre modalità operative determinate da un abbattimento dei costi di gestione, con conseguenti disservizi e contenziosi con soggetti pubblici; riduzione del personale impiegato e ricorso a lavoratori stagionali; mancato rinnovo o impiego di naviglio non adeguato;
   l'alienazione della Tirrenia e delle controllate sarebbe stata giustificata, tra le altre cose, con la necessità di rispettare obblighi comunitari in materia di concorrenza, peraltro ai definiti in maniera perentoria e comunque mai con una previsione di alienazione dell'azienda;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 marzo 2009, in premessa, sottolinea «che l'obiettivo della liberalizzazione e dell'accesso non discriminatorio, al mercato del cabotaggio marittimo di servizio pubblico, assicurando effettiva concorrenza, è raggiunto anche tramite la cessione al mercato del controllo delle società esercenti tali servizi mediante ricorso a procedura, competitiva, trasparente e non discriminatoria»;
   da quanto esposto si evince che la privatizzazione non è una condizione necessaria e obbligatoria per stabilire eguali condizioni d'accesso al mercato del cabotaggio marittimo di servizio pubblico, ma, al limite, che concorrerebbe alla sua realizzazione;
   la Commissione europea, nella procedura di infrazione n. 2007/4609 – ex articolo 258 del TFUE, nel rilevare violazioni all'articolo 4 del Regolamento n. 3577/92 sul principio della «libera prestazione dei servizi», fa intendere che l'obbligo riguarda il rispetto dei principi di libera concorrenza con parità di accesso al settore, indipendentemente dal fatto che i soggetti siano pubblici o privati;
   nel dettaglio, il regolamento (CEE) n. 3577/92(2) del Consiglio prevede una serie di norme dirette a tutelare i collegamenti marittimi non adeguatamente serviti dal mercato, in particolare, autorizza gli Stati membri ad imporre obblighi di servizio pubblico e concludere contratti di servizio pubblico per servizi regolari da, verso e tra le isole. Rientra inoltre nella competenza delle autorità nazionali stabilire se vi sia necessità di un servizio pubblico e finanziare tale servizio –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per fare in modo che un servizio di particolare rilevanza come il collegamento territoriale con le isole minori della Sardegna venga salvaguardato nelle frequenze e nella qualità e non subisca ripercussioni negative dall'ingresso di un privato nella sua gestione;
   se non ritenga opportuno, in relazione alla situazione di criticità e al procedimento fallimentare in corso, assumere iniziative per sospendere le procedure di privatizzazione dell'azienda al fine di evitare una svendita della flotta e del patrimonio societario;
   se debba considerarsi obbligatoria la procedura di privatizzazione Saremar, di tutto o parte del capitale sociale (anche di una quota di minoranza) o se essa possa essere derogata (come lascerebbe intendere la normativa comunitaria di riferimento e suggerirebbero gli esiti non ottimali delle privatizzazioni delle altre società regionali di navigazione ex Tirrenia), mantenendo quote e servizio in capo a soggetti pubblici, come avviene oggi presso la regione Sardegna, già gestore diretto e proprietario per il 100 per cento di società esercente il trasporto pubblico locale su gomma;
   se non ritenga che debba essere sbloccata la quota annuale di finanziamento assegnata dallo Stato alla Saremar per il tramite della regione Sardegna, pari a 13.686.441 euro, che non viene più erogata dal 2012 per effetto del mancato avvio del processo di privatizzazione;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per rimodulare tutto il processo di privatizzazione della Saremar, anche in considerazione delle difficoltà riscontrate nella cessione ai privati della Tirrenia e delle sue controllate regionali, con la previsione di un'acquisizione pubblica delle quote dell'azienda regionale della Sardegna, visto che sussistono le condizioni previste dall'Unione europea. (5-04636)


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   presso la prefettura di Matera nei giorni scorsi si è svolto un incontro concernente il cantiere relativo alla realizzazione della strada statale «Bradanica», infrastruttura di straordinaria rilevanza per collegare Matera a Melfi e Foggia;
   in particolare le organizzazioni sindacali avevano promosso una serie di proteste a seguito della decisione da parte del Gruppo Aleandri di non procedere al rinnovo di 20 contratti di lavoro e con altri 40 lavoratori a rischio;
   l'incontro non ha sbloccato la situazione ed una ulteriore riunione è stata convocata per il 30 gennaio 2015;
   questa situazione sta ingenerando una serie di ritardi che rischiano di compromettere i tempi di realizzazione di una opera attesa da anni da parte delle comunità interessate;
   l'Anas, presente all'incontro, ha evidenziato che i lavori al momento sono al 52 per cento del totale e che la restante parte prevede per il 92 per cento lavori di carpenteria;
   non è chiaro cosa intenda fare il gruppo Aleandri che ha rilevato in fitto il ramo d'azienda dopo il fallimento del gruppo Intini che fino al 2012 aveva operato sul cantiere;
   vi è molta preoccupazione tra le maestranze circa il proprio futuro;
   sono interessate anche diverse imprese impegnate nei subappalti che attendono ancora di essere pagate per i lavori eseguiti e che a loro volta hanno problemi con le proprie maestranze e con le scadenze fiscali proprio a causa di questi ritardi –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda attivare con la massima urgenza prima del 30 gennaio 2015 al fine di fare chiarezza sulla vicenda e garantire i livelli occupazionali del cantiere, con il ritorno al lavoro dei 20 lavoratori con contratto non rinnovato e una accelerazione sui tempi di realizzazione di una opera strategica per il territorio e il Mezzogiorno. (5-04637)


   PRODANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza n. 10817/2009 della Corte di Cassazione, sezione II civile, stabilisce – in relazione ai beni appartenenti al demanio marittimo – che la sdemanializzazione di essi non può avvenire in forma tacita, essendo necessaria – ai sensi dell'articolo 35 del Codice della navigazione – l'adozione di un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa, avente carattere costitutivo;
   la sentenza n. 12062/2014 della Corte di Cassazione, sezione unite civili, afferma che la sdemanializzazione tacita dei beni del demanio idrico non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito ad uso pubblico. Occorrono degli atti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della competente autorità amministrativa di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione;
   ciononostante, nel maxi emendamento alla legge di stabilità per il 2015, sono state inserite delle disposizioni riguardo alla sdemanializzazione per legge di gran parte dei 60 ettari rientranti nel perimetro del Porto vecchio di Trieste nonché il trasferimento in altra area ancora da individuare, senza l'esplicito e doveroso coinvolgimento dell'autorità portuale competente;
   le disposizioni contenute nel maxiemendamento approvato destano delle preoccupazioni anche in relazione a contenuti che abbiano come oggetto una questione delicata come la trattazione dei punti franchi triestini regolati da specifici vincoli internazionali;
   l'extraterritorialità doganale e altre peculiarità relative ai cinque punti franchi del porto di Trieste sono stati mantenuti al termine della Seconda guerra mondiale tramite il Trattato di Pace di Parigi del 1947 (Allegato VIII), la risoluzione n. 16/1947 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e il Memorandum di Londra del 1954;
   i contenuti principali e caratterizzanti della disciplina afferente allo status del porto di Trieste inclusi nel ricordato Allegato VIII si incentrano sui seguenti principi: 1) il porto franco di Trieste è collocato fuori dalla linea doganale (articolo 1 decreto ministeriale 20 dicembre 1925; articolo 4 decreto della commissione n. 29 del 1955; articolo 2 decreto della commissione n. 53 del 1959); 2) i punti franchi hanno carattere extradoganale (articolo 2 decreto ministeriale 20 dicembre 1925); 3) il Porto franco ha carattere extraterritoriale (articolo 5 decreto della Commissione n. 29 del 1955 ed articolo 4 decreto della Commissione n. 53 del 1959); 4) l'area del Porto franco può essere ampliata «nel caso in cui sia necessario» (articolo 3, 4o comma, Allegato VIII); 5) si possono compiere, in completa libertà di ogni vincolo doganale, tutte le operazioni inerenti allo sbarco, imbarco e trasbordo di materiali e merci; al loro deposito ed alla loro contrattazione, manipolazione e trasformazione anche di carattere industriale (articolo 4 decreto della Commissione 29/1955 ed articolo 2 decreto della Commissione n. 53 del 1959); 6) le navi mercantili e le merci di tutti i Paesi godranno senza restrizione del diritto di accesso al Porto franco per il carico e la discarica (articolo 5 Allegato VIII); 7) il Porto franco è aperto alle navi mercantili ed alle merci di tutti i Paesi che vi godranno delle franchigie e libertà conformi alle relative norme e consuetudini internazionali ed alle disposizioni del presente decreto (articolo 2 decreto della Commissione n. 29/1955 ed articolo 6 decreto della Commissione n. 53 del 1959); 8) le merci estere introdotte nel Porto franco possono essere liberamente rispedite in transito previe le formalità strettamente necessarie a garantire la regolarità dei trasporti attraverso il territorio doganale per le spedizioni via terra e salva l'osservanza delle disposizioni relative al transito estranee al regime doganale di porto (articolo 1 decreto ministeriale 20 dicembre 1925; articolo 4 decreto della Commissione n. 29 del 1955 e 2 decreto della Commissione n. 53 del 1959); 9) è assicurata, conformemente alle convenzioni ed agli impegno internazionali, la libertà di transito per via ordinaria tra il Porto franco e gli Stati esteri o viceversa, senza che vengano riscossi né dazi doganali né tasse di effetto equivalente, ad eccezione dei diritti che rappresentano il corrispettivo dei servizi prestati; 10) nei confronti delle merci a destinazione e provenienza dal porto di Trieste non può essere adottata alcuna discriminatoria in materia di tariffe, servizi, e di norme doganali e fiscali (articolo 16 allegato VIII ed articolo 7 decreto della Commissione n. 29 del 1955 e n. 53 del 1959); 11) lo sbarco e, l'imbarco delle merci nei punti franchi avviene senza ingerenza delle autorità doganali (articolo 11 decreto ministeriale 20 dicembre 1925);
   le peculiarità che distinguono il porto Trieste ed i suoi punti franchi vengono fatte salve nella legge n. 84 del 1994, sul «Riordino della legislazione in materia portuale», in ottemperanza al preciso obbligo assunto dal Governo italiano con la sottoscrizione dei trattati internazionali sopracitati;
   la sdemanializzazione di gran parte del porto vecchio di Trieste, prevista nell'emendamento alla legge di stabilità – con l'immissione improvvisa di un milione di metri cubi sul mercato immobiliare – potrebbe incidere in modo critico sul valore immobiliare dell'intero patrimonio cittadino del capoluogo giuliano, già interessato da un eccesso di offerta in particolare di grandi immobili storici –:
   se il Ministro interrogato – alla luce del particolare regime giuridico del porto franco di Trieste – ritenga opportuno riconsiderare, mediante le necessarie iniziative normative, la decisione di provvedere alla sdemanializzazione di gran parte del Porto vecchio. (5-04645)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, è stato inserito nell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il comma 2-bis, in base al quale l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il codice dei contratti;
   con deliberazione n. 1117 del 10 giugno 2013, la giunta comunale di Milano ha approvato le linee guida per la realizzazione delle opere urbanizzazione e dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale nell'ambito dei procedimenti urbanistici ed edilizi, precisando nel capitolo 2 punto 5 – in merito all'applicazione del comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – che le opere di urbanizzazione primaria si considerano funzionali se necessarie per dare autonomia ad un insediamento urbano;
   nel successivo capitolo 6, punto 2 delle stesse linee guida in merito alla determinazione dell'importo globale delle opere e delle attrezzature da considerare ai fini dell'applicazione del codice dei contratti, si stabilisce che dall'importo globale delle opere e delle attrezzature sono escluse le opere di urbanizzazione primaria funzionali all'intervento sotto soglia ai sensi dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, nonché le attrezzature private realizzate su aree oggetto di cessione al comune, su aree private asservite all'uso pubblico, su aree private, che non sono ammesse a scomputo e che non concorrono nella dotazione territoriale dovuta; le opere e le attrezzature pubbliche in immobili privati e le opere aggiuntive realizzate con risorse private;
   l'articolo 29, comma 7, del codice dei contratti – in merito ai metodi di calcolo del valore stimato dei contratti pubblici – stabilisce, invece, che per i contratti relativi a lavori, opere, servizi, quando un'opera prevista o un progetto di acquisto di servizi possono dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, il valore complessivo da considerare è quello dato dalla totalità di tali lotti, e che quando quest'ultimo valore è pari o superiore alle soglie comunitarie, le norme dettate per i contratti di rilevanza comunitaria si devono applicare all'aggiudicazione di ciascun lotto;
   la Commissione europea, interpellata in merito alla compatibilità con il diritto comunitario del citato comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ha affermato, con nota del 11 febbraio 2013 Ref. Area (2013)170639, che l'Italia non si trova, di nuovo, in una condizione di violazione del diritto comunitario in materia, dal momento che il problema – per la quale era stata censurata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza 21 febbraio 2008 (Causa C-412/04) – «non sembra presentarsi con riferimento alla normativa oggi vigente, in quanto l'articolo 29 comma 7, lettera a), del Codice dei Contratti prevede per i contratti di lavori, opere e servizi, che quando un'opera prevista o un progetto di acquisto di servizi può dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, è computato il valore complessivo stimato della totalità di tali lotti, riproducendo letteralmente il testo dell'articolo 9 comma 5 lettera a) della Direttiva 2004/18/CE»;
   con riferimento alla stessa segnalazione, in una successiva nota del 22 maggio 2013 Ref. Ares(2013)12570000, la Commissione europea ha, altresì, precisato che «per quanto infine riguarda l'applicazione dei metodi di calcolo dell'articolo 29 del Codice dei Contratti, la specifica natura strumentale della norma fa sì che essa si applichi a tutti gli appalti pubblici, nel senso che è proprio grazie ad essa che è possibile stabilire il valore di un appalto e dunque il superamento o meno della soglia comunitaria», aggiungendo che «nel caso specifico, è possibile qualificare l'importo delle opere di urbanizzazione primaria come rientranti nella disciplina della norma in oggetto (riferendosi all'articolo 16, comma 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) unicamente attraverso l'applicazione dei metodi di calcolo dell'articolo 29 del Codice degli appalti; solo in seguito a tale qualificazione le altre norme del Codice non si applicano alle fattispecie concrete»;
   le indicazioni fornite nelle citate linee guida adottate dalla giunta comunale di Milano non sembrano essere pienamente rispettose delle disposizioni contenute nell'articolo 29 del codice dei contratti e dei vincoli derivanti dal diritto comunitario, in considerazione dal fatto che offrono la possibilità di frazionare le opere e le attrezzature realizzate nell'ambito dello stesso intervento urbanistico, con lo scopo di sottrarre quest'ultime, ovvero anche solo parti di quest'ultime, alla piena applicazione delle disposizioni vigenti nel caso in cui il loro importo globale superi la soglia comunitaria –:
   se vi sia il rischio che dall'applicazione dell'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e in particolare delle richiamate linee guida della Giunta Comunale di Milano, possano derivare violazioni del diritto comunitario, e dunque l'eventuale apertura, nei confronti dell'Italia, di nuove procedure d'infrazione comunitaria e quali iniziative intenda assumere;
   se, nelle more della quanto mai necessaria revisione dell'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – che il Governo si è impegnato a valutare accogliendo l'ordine del giorno n. 9/02486-B/015 presentato in sede di conversione in legge del decreto 24 giugno 2014, n. 90 – intenda fornire – indicazioni affinché sia assicurata, sempre e in ogni caso, la piena applicazione dell'articolo 29, comma 7, del codice dei contratti per la determinazione del valore stimato dei contratti pubblici.
   (5-04648)


   SPESSOTTO e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Marcon, in provincia di Venezia, si è determinata una situazione critica per la viabilità, provocata dalla mancata apertura degli svincoli autostradali che collegano il territorio marconese alla tangenziale di Mestre sul tratto della A57 in concessione ad Autovie Venete spa fino al 31 marzo 2017;
   nonostante i lavori per la realizzazione delle nuove rampe di entrata ed uscita dalla tangenziale di Marcon siano stati ultimati oltre due mesi fa, i veicoli non vi possono ancora transitare poiché, a tutt'oggi, non è stata sottoscritta l'apposita convenzione che stabilisce quale sia l'ente, tra Autovie Venete, Anas e provincia di Venezia, tenuto alla manutenzione dei suddetti nuovi svincoli;
   la mancata apertura delle quattro rampe che collegano il territorio marconese alla tangenziale di Mestre sta creando notevoli disagi ai cittadini residenti, i quali, per accedere alla tangenziale o per rientrare a Marcon sono costretti a fare un largo giro attorno a Dese, con conseguenti rallentamenti per la viabilità stradale circostante (VE);
   tali disagi, come sottolineato dalle amministrazioni locali, non sono dovuti a presunti ritardi nell'esecuzione dei lavori, ma ad una mera questione burocratica, legata alla mancata stipulazione di una convenzione che stabilisca, relativamente alle quattro rampe, la competenza definitiva sul loro affidamento e sulla manutenzione;
   in base ad una convenzione siglata con la provincia di Venezia il 25 luglio 1995, giunta a scadenza il 31 dicembre 2008, ad Autovie Venete spa era stata affidata la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'intero svincolo autostradale di unione tra l'autostrada «Venezia-Trieste» e la strada provinciale 40 «Favaro-Quarto d'Altino», mentre la manutenzione ordinaria e straordinaria delle rampe di svincolo e dei collegamenti con la viabilità provinciale veniva rimandata direttamente alla provincia di Venezia;
   la provincia di Venezia, con nota protocollo n. 0045989 del 5 giugno 2014 indirizzata ad Autovie Venete, Cav spa e regione Veneto, comunicava, a fronte della richiesta di Autovie Venete di versare gli oneri derivanti dalla manutenzione stradale, l'impossibilità per la provincia di far fronte alle spese di gestione e manutenzione stradale necessarie per la gestione delle rampe di accesso all'autostrada (67.194,28 euro annui) e l'esigenza che la gestione delle rampe di svincolo fosse posta, per la loro stessa natura, in capo alla società concessionaria;
   a seguito di tali dichiarazione da parte della provincia di Venezia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rigettava la richiesta di aumento del pedaggio autostradale, rigetto motivato dal fatto che l'opera non è ricompresa tra quelle previste nella convenzione tra Autovie e Ministero;
   dopo la riapertura della rampa di uscita a Marcon con provenienza Mestre, Autovie rifiutava la possibilità di una gestione temporanea delle rampe di svincolo fino alla scadenza della concessione (31 marzo 2017) senza il riconoscimento degli oneri legati alla gestione e avanzava la richiesta della stipula di un'apposita convenzione per dirimere la questione;
   con nota prot. CVF0000924-P del 14 gennaio 2015 la provincia di Venezia invitava nuovamente Autovie a farsi carico della gestione operativa, amministrativa ed economica delle rampe di accesso all'autostrada, dal momento che le rampe non sono riconducibili a definizione di strada provinciale secondo il codice della strada e che gli svincoli autostradali nella provincia di Venezia sono gestiti dagli stessi concessionari autostradali;
   la risposta indirizzata da Autovie all'attenzione della provincia e del Ministero è che, senza apposito atto convenzionale, è impossibilitata a provvedere alla gestione anche in via provvisoria di parte delle rampe di svincolo, pur restando disponibile a stipulare un nuovo atto convenzionale –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti illustrati in premessa e se possa chiarire, per quanto di competenza, quali siano le modalità operative che intende adottare al fine di intervenire nel processo di definizione delle competenze necessarie per la gestione e la manutenzione delle rampe di uscita e di ingresso dalla autostrada A57, e risolvere così l'attuale situazione di stallo, legata alla mancata sottoscrizione di un'apposita convenzione e all'impossibilità evidenziata dalla provincia di sostenere i costi che la gestione dello svincolo comporterebbe.
(5-04650)


   D'UVA, NESCI, LIUZZI, PARENTELA, DE LORENZIS, DIENI, CANCELLERI e MARZANA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la determinazione n. 71/2014, così come rilasciata dalla Corte dei conti, concernente la «Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.», stabilisce che l'assetto organizzativo societario del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è quello di un gruppo industriale, con Holding Capogruppo Ferrovie dello Stato italiane spa;
   le azioni della Società Ferrovie dello Stato italiane spa, così come definito dalla determinazione n. 71/2014, appartengono, a oggi, interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze;
   oggetto sociale di Ferrovie dello Stato italiane è la realizzazione e la gestione di reti di infrastruttura per il trasporto ferroviario, lo svolgimento dell'attività di trasporto, prevalentemente su rotaia, di merci e di persone, ivi compresa la promozione, l'attuazione e la gestione di iniziative e servizi nel campo dei trasporti;
   in data 31 ottobre 2000 il Ministero dei trasporti e della navigazione, con proprio atto, decretava il rilascio in favore della Società di Trasporti e Servizi per Azioni «Ferrovie dello Stato», successivamente trasferita alla società Rete Ferroviaria Italiana spa, della concessione gestoria dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, in via esclusiva e per un limite temporale pari ad anni 60;
   attraverso tale decreto ministeriale, il Ministero affidava, quale oggetto della concessione, il collegamento ferroviario via mare fra la penisola e la regione Siciliana, garantendo, a tal fine, la sola continuità territoriale ferroviaria, senza tuttavia prevedere alcun obbligo in merito al servizio di trasporto passeggeri lungo le coste dello stretto di Messina;
   così come disposto dall'articolo 4 del decreto ministeriale n. 138 / T ottobre 2000, Concessionario (Rete Ferroviaria Italiana spa) e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stipulano contratti di programma, di durata non inferiore ai 5 anni, aggiornabili anche annualmente, per meglio definire obiettivi e finanziamenti statali relativi a infrastrutture e servizi offerti dal concessionario;
   l'ultimo Contratto di programma, per la cosiddetta «parte servizi», così come stipulato tra Ministero e Rete Ferroviaria Italiana spa, e valido a partire dall'anno 2012, aveva, a norma dell'articolo 4, una durata triennale di efficacia, con entrata in vigore in data 1o gennaio 2012 e scadenza dello stesso in data 31 dicembre 2014;
   in considerazione di tale scadenza, per il prossimo triennio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti procederà alla stipula di un nuovo contratto con la società concessionaria, al fine di determinare, confermare, ovvero aggiornare, i programmi per alcuni servizi di trasporto nel territorio statale, nonché definire i relativi finanziamenti, tra i quali figura il sistema di collegamento ferroviario marittimo tra la Sicilia e la penisola;
   la società Rete ferroviaria Italiana spa opera oggi nell'area dello stretto di Messina anche mediante la propria controllata, la Bluferries S.r.l., istituita nel 2010, la quale ha come oggetto sociale il trasporto marittimo, anche con mezzi veloci, di persone, automezzi e merci, nonché lo svolgimento e la fornitura di tutte le operazioni e i servizi portuali ai mezzi navali sugli approdi, senza, tuttavia, alcun obbligo specifico, né alcuna concessione esclusiva;
   in particolare, il 19 novembre 2010 la società Rete ferroviaria italiana spa ha informato l'Autorità della costituzione della società Bluferries S.r.l., avvenuta in data 4 novembre 2010, al fine di operare nell'offerta di servizi di trasporto marittimo di persone, automezzi e merci sullo stretto di Messina, ottemperando agli obblighi comunitari che impongono la separazione fra i servizi di interesse generale e i servizi aperti al mercato di libera concorrenza, non essendovi, a oggi, alcuno specifico affidamento di pubblico servizio per il collegamento dei passeggeri;
   allegati a tale comunicazione risultano, in particolare, le delibere del 14 marzo 2008 e del 31 marzo 2010, con cui il Consiglio di amministrazione di Rete ferroviaria italiana spa, nell'approvare il «progetto di societarizzazione del Ramo Navigazione», ha deliberato «la costituzione di un veicolo societario per il trasporto marittimo di persone, automezzi e merci, anche con mezzi veloci», nonché l'atto costitutivo della società Bluferries del 4 novembre 2010;
   a livello nazionale la normativa di riferimento in materia di abilitazione delle navi al trasporto, nonché di sicurezza della navigazione e del personale marittimo, è rappresentata dalle disposizioni contenute nel codice della navigazione di cui al R.D. n. 327 del 30 marzo 1942 e successive modifiche e integrazioni;
   in particolare, secondo quanto disposto dall'articolo 225 del codice della navigazione, «i servizi pubblici di linea per il trasporto marittimo di persone e/o di cose sono esercitati per concessione dello Stato»;
   il servizio di trasporto veloce di passeggeri, essenziale per garantire la continuità territoriale tra le due sponde dell'Area dello Stretto è stato garantito a partire dall'anno 2008 dal Consorzio Metromare dello Stretto, costituitosi grazie all'accordo di due società, la Rete Ferroviaria Italiana spa, del Gruppo delle Ferrovie dello Stato e la Ustica Lines spa;
   a decorrere dal 28 giugno 2013 Bluferries srl e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno stipulato un contratto avente ad oggetto l'effettuazione di un servizio semestrale di trasporto marittimo veloce passeggeri nello Stretto di Messina, tra le città di Messina e Villa San Giovanni, con scadenza 31 dicembre 2013, a seguito dello scioglimento del Consorzio Metromare;
   attraverso una serie di proroghe contrattuali il servizio di trasporto veloce di passeggeri è stato garantito, alle stesse modalità dell'originario contratto di proroga del servizio stipulato tra la società Bluferries e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 30 gennaio 2014, fino alla data del 31 dicembre 2014, comportando così l'attuale decadenza nell'erogazione del servizio;
   il 2 luglio 2013, veniva presentata un'interrogazione in Commissione trasporti della Camera dei deputati, l'atto 5-00475 a firma D'Uva e altri, nella quale venivano richieste informazioni riguardo le misure che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intendesse assumere per garantire il collegamento nell'area dello Stretto all'indomani della naturale scadenza dell'accordo tra lo stesso Ministero e il Consorzio Metromare dello stretto;
   in data 11 luglio 2013, con apprezzabile celerità, il Ministero dava risposta ai quesiti presenti nell'atto 5-00475, sottolineando l'importanza rivestita dal servizio di collegamento giornaliero tra la Sicilia e la Calabria, prospettando la necessità e l'urgenza di un rifinanziamento di tale servizio, stimando il circa 26 milioni di euro la cifra da destinare a tale fine;
   mercoledì 29 ottobre 2014, durante la seduta n. 320, veniva presentato l'Ordine del Giorno 9/02629-AR/210, a prima firma D'Uva, il quale impegnava lo stesso ad intervenire urgentemente, attraverso lo stanziamento di nuovi fondi, al fine di garantire, almeno per il prossimo triennio, il servizio diretto di collegamento marittimo veloce dei passeggeri sullo Stretto di Messina, necessario a tutelare la continuità territoriale tra regione Calabria e la regione Siciliana;
   tale impegno veniva dal Governo accolto senza riformulazioni, né limitazioni d'efficacia, durante la seduta del 29 ottobre 2014;
   l'articolo 8, comma 2-bis, della legge n. 287 del 1990 dispone che devono agire tramite società separate le imprese che, per disposizioni di legge, esercitino la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli relativi a tali servizi o al monopolio;
   al riguardo può richiamarsi la definizione che è stata fornita in ambito comunitario, secondo la quale possono ritenersi «servizi di interesse economico generale» quei servizi che, in virtù di un criterio di interesse generale, vengono assoggettati a specifici obblighi di servizio pubblico, come si verifica per i servizi prestati da Rete ferroviaria italiana spa sulla base della concessione citata, in qualità di concessionaria della gestione della rete ferroviaria nazionale in regime di esclusiva;
   la Commissione europea, interpellata sul tema degli aiuti economici statali a operatori dei servizi di collegamento, ha affermato che «gli Stati membri e le autorità regionali sono ovviamente liberi di finanziare servizi di interesse economico generale, tuttavia, come previsto dalle norme Unione europea il finanziamento dovrebbe essere trasparente e basato su obblighi di servizio pubblico chiaramente definiti»;
   la continuità territoriale va intesa come «capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti, si inserisce nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso anche in sede europea»;
   il trasporto, infatti, «se da un lato, si configura come attività di tipo economico, dall'altro, come elemento essenziale del “diritto alla mobilità” previsto all'articolo 16 della Costituzione, costituisce un servizio di interesse economico generale e, quindi, tale da dover essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro dislocazione geografica»;
   nelle more del nuovo bando di gara, così come riportato dal quotidiano consultabile on line La Gazzetta del Sud, in data 30 dicembre 2014, il Ministero avrebbe incaricato la società Rete ferroviaria italiana di effettuare il trasporto di passeggeri tra le sponde dello stretto, al fine di garantire, almeno temporaneamente, il servizio di trasporto veloce dei passeggeri, secondo l'ennesimo sistema di proroghe;
   non risulta, ad oggi, nonostante numerose sollecitazioni e pubblici impegni assunti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la presenza di un piano organico che abbia ad oggetto la mobilità dei passeggeri sullo stretto di Messina, attraverso un efficiente sistema di trasporto marittimo –:
   se intenda ottemperare agli impegni politici più volte assunti sul tema dei trasporti nell'area dello Stretto di Messina, impedendo che tale servizio debba essere sospeso e prorogato a cadenza ormai semestrale, al fine di garantire in via ordinaria un servizio di interesse economico generale e, quindi, tale da dover essere garantito a tutti i cittadini;
   se non ritenga possibile, anche in considerazione del nuovo contratto di programma tra Rete ferroviaria italiana e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'affidamento programmatico del servizio di trasporto veloce passeggeri nell'area dello stretto di Messina, di pubblico interesse, ad una società di diretta partecipazione statale, qual è Rete ferroviaria italiana, tutelando gli attuali livelli occupazionali anche attraverso l'assorbimento del personale a oggi preposto all'erogazione del servizio. (5-04655)


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Costa Crociere spa ha sede a Genova, dove è nata nel 1854, e fa parte del Gruppo Carnival: attualmente comprende i marchi Costa Crociere e AIDA Cruises, vantando la flotta più grande tra tutti gli operatori europei, con un totale di 25 navi in servizio, più altre 2 nuove unità in consegna entro il 2016;
   Costa Crociere spa impiega nella sede di Genova 1005 persone, a cui occorre aggiungere le oltre 200 persone che ha dichiarato di aver assunto negli ultimi due anni;
   improvvisamente, il 29 gennaio 2015, viene avanzata l'ipotesi di trasferimento di quattro rami dell'azienda ad Amburgo con l'intenzione di creare un centro europeo di eccellenza;
   i reparti interessati dal trasferimento coinvolgerebbero circa 161 dipendenti genovesi;
   la sede genovese di Costa Crociere ha al suo interno eccellenze storiche in termini di know-how che con il loro trasferimento e conseguente depotenziamento, rappresenterebbero un impoverimento del tessuto economico e professionale non solo genovese e ligure ma anche nazionale;
   per contrastare l'eventualità di tale trasferimento, gli amministratori liguri locali, di tutti gli schieramenti, hanno chiesto un intervento del Governo come interlocutore nei confronti dell'azienda e la Compagnia ha fatto sapere di essere aperta ad un confronto con le parti; tale incontro si terrà il 13 febbraio 2015;
   Costa Crociere spa attualmente non si presenta come una società in crisi e, prima di investire sullo scalo di Savona, aveva puntato sullo scalo di Genova, dovendo poi dirottare su Savona in seguito al non accoglimento delle proprie richieste da parte dallo scalo genovese;
   il presidente dell'autorità portuale di Genova, Luigi Merlo, in un'intervista su tale vicenda ha dichiarato, rispondendo ad una domanda in cui si sollevava il dubbio che fosse il nostro Paese a fornire alibi ai grandi gruppi per le loro scelte di delocalizzare come «in effetti, spesso (sia) così»;
   il polo di Genova, sia in termini di competenze storiche che di rapporti e vicinanza con gli scali marittimi, ha tutte le carte in regola per ospitare nella sua sede il centro europeo di eccellenza richiesto dal Gruppo Carnival –:
   quali siano le iniziative, urgenti, poste in atto sia dal Ministro interrogato, che quelle concordate con gli altri dicasteri, al fine di affrontare la posizione della Compagnia Costa Crociere e del Gruppo Carnival, per evitare il trasferimento del polo di eccellenza genovese che rappresenterebbe una grave sconfitta per la politica dei trasporti e del mare del nostro Paese. (5-04667)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati forniti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ci sono 18 opere edili incompiute in Liguria: interventi per un valore totale di 20,4 milioni di euro, che hanno bisogno ancora di 17,3 milioni per essere completati, ben oltre la metà dell'intero importo;
   in Italia esistono 692 opere incompiute per le quali servono ancora 1,3 miliardi per raggiungere i 4,3 necessari al completamento;
   si tratta, per la maggior parte, di progetti di nuova realizzazione, recupero o restauro (368), mentre 285 sono lavori di ampliamento, manutenzione o ristrutturazione. Per buona parte mio opere sociali (427), infrastrutture di trasporto (120), ambientali o idriche (101). Nel 51 per cento dei casi l'importo stanziato supera il milione di euro e, sempre nel 51 per cento dei casi, l'interruzione dei lavori è dovuta proprio la mancanza di fondi. Cause tecniche (nel 31 per cento dei casi) o fallimento dell'impresa esecutrice (28 per cento) sono invece i motivi di sospensione, mentre il 12 per cento delle opere sono state interrotte per nuove leggi o norme tecniche;
   il Lazio, con 82 progetti in attesa di essere ultimati, è al primo posto in Italia per numero di incompiute, seguito dalle 68 in Sardegna, 67 in Sicilia, 64 in Calabria, 59 in Puglia, 37 in Basilicata. Va meglio nelle regioni del centro-nord, le più virtuose sotto il profilo edilizio: nessun progetto da ultimare nella Provincia autonoma di Trento, 13 in quella di Bolzano, 12 in Friuli Venezia Giulia, 1 in Val d'Aosta;
   in Liguria la situazione delle opere non completate interessa tutte le province: cinque opere incompiute nel genovese (la manutenzione all'Asp Emanuele Brignole e la ristrutturazione della sede dell'Archivio di Stato a Genova, due interventi di social housing nell'ex ospedale di Rapallo e una nuova scuola a Santo Stefano d'Aveto), sei a Savona (due interventi per una piazzola di rifornimento e per un nuovo impianto di depurazione a Savona, due opere di sistemazione idraulica a Quiliano, un parcheggio interrato a Noli e la piscina ad Albisola Superiore), quattro gli interventi da completare nello spezzino (un lotto funzionale nei pressi di via Banzola ad Arcola, la costruzione di 12 alloggi di social housing alla Spezia, i lavori di allargamento della provinciale 8 a Calice al Cornoviglio e infine un nuovo parcheggio multipiano a Monterosso al Mare), nella provincia di Imperia sono da terminare due palazzine di social housing a Ospedaletti, e sono incompiuti anche i lavori alle fognature, mentre a Santo Stefano al Mare sono in programma ancora 12 alloggi –:
   quale iniziative intenda adottare per far fronte a questo problema delle opere incompiute che, come dimostrano i dati, non risparmia alcuna regione italiana e che non solo danneggia il nostro patrimonio, ma infierisce anche sul comparto edile, già pesantemente colpito dalla crisi, che potrebbe invece trovare una boccata di ossigeno proprio nella costruzione di nuove opere di edilizia pubblica. (4-07724)


   D'UVA e LOREFICE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Determinazione n. 71/2014, così come rilasciata dalla Corte dei conti, concernente la «Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sui risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.», stabilisce che l'assetto organizzativo societario del Gruppo «Ferrovie dello Stato Italiane» è quello di un gruppo industriale, con Holding Capogruppo la «Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.»;
   le azioni della Società Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., così come definito dalla Determinazione n. 71/2014, appartengono, a oggi, interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze;
   oggetto sociale di Ferrovie dello Stato Italiane è la realizzazione e la gestione di reti di infrastruttura per il trasporto ferroviario, lo svolgimento dell'attività di trasporto, prevalentemente su rotaia, di merci e di persone, ivi compresa la promozione, l'attuazione e la gestione di iniziative e servizi nel campo dei trasporti;
   Rete Ferroviaria Italiana è stata costituita il 1o luglio 2001 come Società dell'Infrastruttura del Gruppo Ferrovie dello Stato, per rispondere alle Direttive comunitarie recepite dal Governo italiano sulla separazione fra il gestore della rete e il produttore dei servizi di trasporto, e a completamento del processo di societarizzazione del Gruppo FS;
   in data 31 ottobre 2000 il Ministero dei trasporti e della navigazione, con proprio atto, decretava il rilascio in favore della Società di Trasporti e Servizi per Azioni «Ferrovie dello Stato», successivamente trasferita alla società Rete ferroviaria italiana S.p.A., della concessione gestoria dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, in via esclusiva e per un limite temporale pari ad anni 60;
   attraverso tale decreto ministeriale, il Ministero affidava, quale oggetto della concessione, il collegamento ferroviario via mare fra la penisola e la Regione Siciliana, garantendo, a tal fine, la continuità territoriale ferroviaria;
   così come disposto dall'articolo 4 del decreto ministeriale n. 138/T ottobre 2000, Concessionario (Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.) e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stipulano contratti di programma, di durata non inferiore ai 5 anni, aggiornabili anche annualmente, per meglio definire obiettivi e finanziamenti statali relativi a infrastrutture e servizi offerti dal concessionario;
   l'ultimo Contratto di Programma, per la cosiddetta «parte servizi», così come stipulato tra Ministero e Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., e valido a partire dall'anno 2012, aveva, a norma dell'articolo 4, una durata triennale di efficacia, con entrata in vigore in data 1o gennaio 2012 e scadenza dello stesso in data 31 dicembre 2014;
   in considerazione di tale scadenza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti procederà alla stipula di un nuovo contratto con la società concessionaria, al fine di determinare, confermare, ovvero aggiornare, i programmi per alcuni servizi di trasporto nel territorio statale, nonché definire i relativi finanziamenti, tra i quali figura il sistema di collegamento ferroviario marittimo tra la Sicilia e continente per il prossimo triennio;
   lo Schema di decreto ministeriale, recante l'approvazione del nuovo contratto di programma per gli anni 2012/2016 – Parte investimenti, viene sottoscritto in data 8 agosto 2014 tra la società «Rete ferroviaria italiana S.p.A.» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   in data 2 gennaio 2015, il quotidiano consultabile on line «La Gazzetta del Sud», pubblicava un articolo concernente la possibile cancellazione, ad opera della società Ferrovie dello Stato, del servizio universale garantito dai treni a lunga percorrenza, con conseguente soppressione delle navi a 4 binari e contestuale sospensione delle relative sovvenzioni statali;
   tali sovvenzioni, erogate dallo Stato Italiano per un ammontare di circa 47 milioni di euro, vengono interrotte a pochi mesi dalla disposizione inserita nella legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità dello Stato 2015, la quale prevedeva dopo anni di proroghe, lo stanziamento in via ordinaria per il prossimo triennio di circa 30 milioni di euro da destinare al servizio di trasporto veloce passeggeri;
   secondo quanto riportato dal telegiornale televisivo «TGR Sicilia – RAI», in data 24 gennaio 2015, con l'entrata in vigore del nuovo orario estivo, così come approvato dalla società «Rete Ferroviaria Italiana», cinque treni a lunga percorrenza, adibiti al collegamento tra la Regione Siciliana e la penisola, verranno soppressi;
   durante la pubblica videointervista trasmessa dalla testata giornalistica, l'attuale assessore alle infrastrutture della regione siciliana, l'onorevole Giovanni Pizzo, confermava quanto sopra riportato, sostenendo testualmente che «avere dei servizi moderni e migliori di quelli attuali, e quindi più efficienti ed efficaci, significa avere quindi minori tempi» e, allo stesso tempo, affermando come «l'attraversamento dello Stretto è una rottura di carico che dura tra le 2 ore e le 2 ore e mezzo, ed è necessario quindi puntare a servizi migliori, senza paura dei cambiamenti e delle modernità»;
   si segnala, a tal proposito, una gravissima incongruenza tra le ultime possibili decisioni assunte in via unilaterale dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dai vertici della società «Rete ferroviaria italiana s.p.a.», nonché confermate dall'esecutivo della regione siciliana, e i recenti investimenti effettuati per l'ammodernamento e l'ottimizzazione dell'attuale sistema di trasporto ferroviario tra le sponde dello Stretto;
   in data 25 aprile 2013, infatti, entrava a far parte della flotta di navi destinate al trasporto di convoglio ferroviari sullo Stretto di Messina la nave traghetto «Messina», ammiraglia delle società «Rete Ferroviaria Italiana» e «Bluvia», commissionata presso i «Nuovi Cantieri Apuania» di Marina di Carrara, specializzati nella costruzione di navi passeggeri di tipo Ro/ro, per un costo complessivo di 49,5 milioni di euro, a carico dei cittadini italiani;
   la nave traghetto «Messina», lunga 147 metri e larga 18,7, ha una ragguardevole velocità di crociera di 18 nodi, e una ottima manovrabilità assicurata da tre propulsori, e in grado di trasportare 15 carrozze ferroviarie, 27 carri merci, 19 ferrocisterne, 24 trailers ovvero 138 autoveicoli, ed unica nel suo genere per affrontare trasporto di merci pericolose e dotata di pista di atterraggio per elicotteri;
   la stessa società «Rete Ferroviaria Italiana» annunciava sul proprio sito e nei canali ufficiali di informazione che «nel luglio 2013 la flotta si è ringiovanita con l'entrata in esercizio della Nave Traghetto Messina», considerata dagli stessi vertici come «nave di ultima generazione», in perfetto accordo con quanto affermato in sede di pubblica intervista dall'assessore onorevole Giovanni Pizzo;
   mal si comprende, dunque, in che modo si intenda ammodernare la tratta di collegamento ferroviario nello Stretto di Messina, dal momento che dopo una ingente spesa pubblica sostenuta per l'acquisto di una nave di ultima generazione proprio per la drastica diminuzione dei tempi di percorrenza dei convogli, tra i programmi della società «Rete Ferroviaria Italiana» vi sarebbe la completa cancellazione del servizio di trasporto;
   secondo quanto emerso, infatti, il servizio di trasporto ferroviario verrà interrotto presso le stazioni FS di Messina e di Villa San Giovanni, costringendo i passeggeri, compresi quelli con difficoltà deambulatorie, a scendere dal proprio convoglio per raggiungere, con non pochi problemi data l'attuale assenza di qualsivoglia servizio dedicato presso tali centri di smistamento, con altro mezzo navale l'altra sponda dello Stretto;
   si consideri, a riguardo, il progressivo taglio delle tratte regionali siciliane già in essere, per un totale di 56 treni soppressi, pari al 2,17 per cento rispetto al totale nella sola costa ionica, mentre risultano essere 23 i convogli soppressi lungo il versante tirrenico, pari al 2,03 per cento del totale, secondo una indagine condotta dal «Comitato pendolari siciliani», secondo cui oltre il 60 per cento dei convogli raggiungerebbe in ritardo le stazioni di arrivo e con lunghissimi tempi di percorrenza;
   è possibile affermare, quindi, che secondo gli intendimenti dei principali responsabili della gestione del sistema dei trasporti nazionale e locale, l'ammodernamento del sistema di collegamento tra la penisola e la regione siciliana sarà possibile attraverso l'eliminazione pressoché totale del servizio di collegamento ferroviario diretto nello Stretto di Messina, dopo aver sostenuto una spesa di 47,5 milioni di euro per la sola costruzione della nuova nave traghetto «Messina», e l'ammodernamento di altre navi a oggi scarsamente utilizzate;
   eventuali e gravissime sarebbero le responsabilità, ad avviso degli interroganti, circa gli evidenti sprechi di denaro pubblico e totale assenza di programmazione nella gestione dei trasporti, in totale deroga del fondamentale principio di economicità e buon andamento della pubblica amministrazione;
   è necessario, a tal proposito, richiamare la definizione che è stata fornita in ambito comunitario, secondo la quale possono ritenersi «servizi di interesse economico generale» quei servizi che, in virtù di un criterio di interesse generale, vengono assoggettati a specifici obblighi di servizio pubblico, come si verifica per i servizi prestati da Rete Ferroviaria Italiana spa, sulla base della concessione citata, in qualità di concessionaria della gestione della rete ferroviaria nazionale in regime di esclusiva;
   la continuità territoriale, secondo uno studio commissionato dalla commissione trasporti della Camera dei deputati, va intesa come «capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti, si inserisce nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso anche in sede europea»;
   il trasporto, infatti, «se da un lato, si configura come attività di tipo economico, dall'altro, come elemento essenziale del “diritto alla mobilità” previsto all'articolo 16 della Costituzione, costituisce un servizio di interesse economico generale e, quindi, tale da dover essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro dislocazione geografica»;
   si consideri, infine, che le numerose segnalazioni pervenute nel periodo compreso tra il 2009 e il 2013, in cui i cittadini lamentavano un progressivo e rilevante aumento delle tariffe praticate dagli operatori che attualmente forniscono il servizio di trasporto marittimo nello Stretto di Messina, hanno costretto l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a pronunciarsi sul tema;
   risulta evidente, pertanto, come con la cessazione del pubblico servizio le tariffe di trasporto potrebbero ulteriormente aumentare, con relativo e ingiustificato aumento dei ricavi a vantaggio delle società private già oggetto del procedimento, il quale dovrà considerarsi non più attuale, in considerazione delle nuove possibili modifiche al sistema –:
   se intenda intervenire urgentemente, affinché venga impedita la possibile soppressione del servizio treni a lunga percorrenza tra la regione siciliana la penisola italiana, a tutela di un diritto di continuità già fortemente compromesso, e la conseguente soppressione delle navi a 4 binari che autorizzerebbe la sospensione delle relative sovvenzioni statali, con gravissimi danni economici in considerazione della recente costruzione della nave traghetto di ultima generazione «Messina»;
   se non intenda celermente predisporre un piano organico di trasporti per l'area dello stretto di Messina, garantendo in via ordinaria un servizio che tuteli il diritto alla continuità territoriale dei cittadini, assicurando, anche in sede di contratto di programma, che il servizio di trasporto veloce non venga sovvenzionato attraverso la soppressione di un servizio altrettanto essenziale qual è il trasporto ferroviario di collegamento tra la Sicilia e il resto del Paese. (4-07753)


   GALATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Reggio Calabria o Aeroporto dello Stretto «Tito Minniti», è il secondo aeroporto calabrese per numero di passeggeri, gestito dalla società SoGas s.p.a. – Società di gestione dell'aeroporto dello stretto, con un traffico passeggeri attestatosi nella misura di n. 243.998 unità nel 2014;
   lo scalo rappresenta evidentemente un'infrastruttura essenziale per l'economia del territorio, determinando una delle principali e più agevoli vie di collegamento, per i territori ricadenti nelle tre province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Messina, con le principali aree del centro e settentrione d'Italia, assicurando così da un lato, per il traffico passeggeri «in uscita», la garanzia di un'agevole possibilità di mobilità sul territorio nazionale ai cittadini residenti nelle tre province, dall'altro, per il traffico passeggeri «in entrata», un valido supporto allo sviluppo economico del territorio, in specie per le sue ricadute sul settore turistico, essenziale per l'economia di queste zone;
   l'importanza dello scalo diviene ancora più evidente soprattutto se si considerano le circostanze generali della viabilità territoriale dell'area considerata e dei territori limitrofi, che si trovano in condizioni di sostanziale isolamento proprio per il deficit infrastrutturale e per il mancato completamento delle vie di comunicazione infraterritoriale. Una condizione di isolamento parzialmente attenuata proprio grazie ai volumi di traffico, dei servizi di trasporto e dei collegamenti resi disponibili dalle attività ed operazioni connesse all'Aeroporto dello Stretto;
   da diversi anni lo scalo è al centro di strategie intese al rilancio dello stesso, anche nell'ottica della sua integrazione ed adattamento alle evoluzioni del contesto strutturale ed infrastrutturale legato alla nuova configurazione amministrativa della città metropolitana di Reggio Calabria, ed alle connesse previsioni di sviluppo, snellimento amministrativo ed incremento dei livelli di efficienza;
   tuttavia, da diversi mesi gli operatori di settore nonché le organizzazioni sindacali e rappresentative delle categorie professionali e comparti produttivi interessati dall'attività dello scalo, manifestano le loro preoccupazioni in ordine allo scarso rapporto di adeguamento tra le previsioni di ammodernamento e rilancio dell'aeroporto ed i livelli reali dei volumi di traffico ed investimento correlati alle attività dello scalo, ed allo stesso tempo pongono all'attenzione il rischio dell'assenza di garanzie e di aspettative positive in ordine alla concessione trentennale da parte di ENAC (Ente nazionale per l'aviazione civile) che, secondo notizie riportate a mezzo stampa, avrebbe recentemente deciso di non deliberare l'istanza di concessione avanzata dalla SoGaS, in palese contrasto rispetto alle rassicurazioni fornite nel mese di ottobre 2014, allorquando, secondo una nota riportata dalla Società, i vertici dell'Ente avrebbero dato disposizioni agli uffici competenti per l'avvio di forme di cooperazione ed affiancamento proprio per il raggiungimento degli obiettivi di rilancio dell'aeroporto;
   uno dei principali timori, con riferimento agli effetti che con grande probabilità verrebbero a determinarsi in caso di mancato rinnovo della concessione da parte di ENAC e del persistere dei profili di criticità illustrati, sarebbe legato all'emergere del concreto rischio di un drastico ridimensionamento, se non addirittura di cessazione delle attività, del complesso strutturale aeroportuale;
   la questione suscita forte preoccupazione non solo per gli operatori economici ed il personale interessato, ma per tutta la cittadinanza residente, domiciliata o abitualmente dimorante sul territorio, sia per i profili legati alla garanzia di un livello sufficientemente accettabile di mobilità sul territorio nazionale, sia per le ricadute che il persistere delle criticità ed il concretizzarsi dei rischi emersi avrebbero sull'intera economia del territorio, in specie nel settore turistico, nonché per il processo di ristrutturazione dell'organizzazione amministrativa in atto e connesso alle nuove prospettive di sviluppo legate alla istituzione della città metropolitana di Reggio Calabria –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche che investono le vicende gestionali e le prospettive di sopravvivenza e sviluppo dell'Aeroporto dello Stretto «Tito Minniti» di Reggio Calabria;
   in quale misura e con quali modalità il Ministro ritenga di poter intervenire, nell'esercizio del proprio potere di indirizzo, vigilanza e controllo sull'ENAC e nell'ambito della propria valutazione dei piani di investimento nel settore aeroportuale, per promuovere un effettivo rilancio di questa strategica infrastruttura aeroportuale, indispensabile per il sostegno dell'economia del territorio interessato e perno di ogni prospettiva di crescita e sviluppo economico. (4-07759)


   PILOZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il servizio universale dei treni notte a lunga percorrenza è stato oggetto negli ultimi anni di una profonda trasformazione da parte di Ferrovie dello Stato italiane che, a partire dall'anno 2011, ha ridotto notevolmente la frequenza dei treni che collegano le due estremità del nostro Paese;
   ciò ha comportato e comporta inevitabili disagi per i tanti cittadini, soprattutto quelli del Sud Italia, che hanno visto ridurre le possibilità di fruire di un mezzo di trasporto sicuro, efficiente e meno costoso del trasporto aereo o su gomma;
   tale contesto di sostanziale penalizzazione dei cittadini del Sud, è notizia dei giorni scorsi che Ferrovie dello Stato italiane si appresterebbe a ridurre ulteriormente il servizio universale dei treni «notte» e a eliminare il traghettamento ferroviario dei treni a lunga percorrenza tra la Calabria e la Sicilia (http://stampalibera.it);
   nel caso in cui tale notizia venisse confermata e attuata da Ferrovie dello Stato italiane i passeggeri dei treni diretti in Sicilia e provenienti dalla terra ferma, sarebbero costretti a scendere dal treno, prendere il traghetto per poi risalire sul treno una volta sbarcati in Sicilia, con inevitabili disagi personali e aumento dei tempi di percorrenza;
   la decisione delle società Ferrovie dello Stato italiane, se confermata, causerebbe la sostanziale interruzione della continuità territoriale per la Sicilia, che oggi è comunque garantita nonostante la riduzione del numero dei treni, l'aumento del trasporto merci su gomma, in contraddizione con tutti gli indirizzi di politica nazionale ed europea, e gravissimi disagi per i cittadini siciliani;
   inoltre, l'interruzione del servizio di traghettamento comporterebbe la perdita di numerosi posti di lavoro oggi necessari allo svolgimento del servizio;
   le negative conseguenze di questa possibile decisione di Trenitalia sono state denunciate anche da tutti i sindacati di categoria –:
   se corrisponda al vero che le Ferrovie dello Stato sono in procinto di eliminare, o anche solo ridurre, il traghettamento ferroviario dei treni a lunga percorrenza tra la Calabria e la Sicilia e, in caso affermativo, se non ritenga opportuno e necessario intervenire affinché l'attuale servizio venga mantenuto al fine di garantire la continuità territoriale tra la Sicilia e il resto del Paese. (4-07767)


   BUSINAROLO, DE LORENZIS e RIZZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   notizie di cronaca recenti hanno riportato all'attenzione dell'opinione pubblica un caso risalente al 2012, quando il signor G.L., tecnico professionale (geologo) in Anas Spa, compartimento di Perugia, nelle vesti di direttore operativo per i lavori riguardanti la direttrice Civitavecchia-Orte-Rieti, tratta Terni (San Carlo), confine regionale, accortosi di presunte irregolarità verificatesi nel maggio 2012, si rivolgeva al nucleo di polizia tributaria (Guardia di Finanza) di Perugia, esponendo che all'ex direttore dei lavori, nonché RUP (Responsabile unico dei lavori), ingegner M.L., era stata liquidata nella misura del 50 per cento (pari ad un ammontare di 230.000 euro) dall'Anas spa l'incentivo riguardante l'articolo 18 della legge n. 109 del 1994);
   in particolare veniva segnalata l'anomalia derivante dal fatto che il regolamento Anas, che stabilisce le modalità di erogazione di detto incentivo, prevede che lo stesso deve avvenire all'emissione del certificato di ultimazione dei lavori, della relazione sul conto finale, della nomina del collaudatore ed alla presentazione delle parcelle di tutti gli aventi diritto. Tutte circostanze che, però, in questa precisa situazione non si sono verificate, in quanto i lavori si trovavano a quel periodo al 70 per cento;
   nell'esposto venivano inoltre segnalati l'impiego delle autovetture aziendali ad uso personale e la corresponsione di una elevata indennità di alloggio pari a circa 1.500,00/1.800,00 euro, senza l'utilizzo degli appartamenti che erano in uso ai precedenti dirigenti;
   successivamente il signor G.L. si è rivolto al servizio mobbing dell'ospedale di Foligno (Perugia) lamentando di essere divenuto bersaglio di molestie a livello morale, vessazioni, persecuzione e violenze di natura psicologica perpetrate da alcuni suoi colleghi e superiori, nonché a quanto gli interroganti il timore della possibilità di un eventuale trasferimento in altra sede;
   bisogna ricordare, inoltre, che nel settembre del 2012 il signor G.L. ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura della Repubblica di Perugia per presunta violazione dell'articolo 368 del Codice penale (calunnia) nei confronti dei dirigenti del compartimento ANAS dell'Umbria (procedimento n. 4/114/13 RG) e nei suoi confronti veniva aperto un procedimento disciplinare;
   successivamente ai fatti sopra esposti lo stesso si è dimesso dal ruolo di direttore dei lavori a causa di un rapporto lavorativo, con i vertici aziendali, ormai gravemente incrinato;
   nell'ottobre scorso la procura della Repubblica di Perugia ha emanato tre avvisi di garanzia nei confronti dei dirigenti dell'azienda pubblica, ramo umbro, contestando loro il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato;
   il caso sopra descritto presenta le caratteristiche che connotano il cosiddetto «whistleblowing», ovvero il fenomeno per cui il lavoratore del settore pubblico, venuto a conoscenza di irregolarità ed anomalie messe in atto da colleghi o superiori, decide di denunciare l'accaduto agli organi competenti. Nella maggior parte dei casi, però, coloro che scelgono, con coraggio e determinazione, di denunciare diventano vittime di atteggiamenti persecutori e denigratori, lesivi della propria dignità e professionalità, proprio ad opera dei denunciati;
   quello del cosiddetto «whistleblowing» costituisce uno strumento legale operativo anche in Italia da qualche anno ma che, ad oggi, non ha trovato la giusta e piena diffusione, proprio in virtù del timore di denunciare per evitare atteggiamenti ritorsivi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti citati in premessa e se ritengano opportuno ed improcrastinabile intervenire, ciascuno secondo la propria competenza, anche attraverso azioni di carattere normativo, al fine di favorire la piena e concreta attuazione del «whistleblowing», offrendo tutela e certezza a tutti quei lavoratori, del settore pubblico ma anche di quello privato, che agendo con trasparenza ed onestà, scelgono di denunciare i colleghi o superiori «infedeli», autori di comportamenti irregolari o anomali, senza il timore di diventare vittime di soprusi e vendette trasversali.
(4-07778)


   REALACCI, BRAGA, COMINELLI, ZARDINI, CARRA e LACQUANITI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia ad alta velocità/alta capacità Milano-Venezia è una linea costruita solo parzialmente. Al momento del suo completamento collegherà Milano, passando per Brescia, con le città venete di Verona, Vicenza, Padova e Venezia e sarà dotata per la maggior parte del suo percorso degli standard ferroviari dell'alta velocità (AV) e dell'alta capacità (AC). Il tracciato farà parte della futura dorsale ferroviaria del Nord Italia Torino-Milano-Trieste;
   il segmento completo della linea ferroviaria Torino-Milano-Venezia-Trieste costituisce un corridoio di trasporto paneuropeo, ex «Corridoio V», ora «Corridoio Mediterraneo TEN-T» inserito nella strategia di sviluppo dei trasporti dell'Unione europea 2014-2020, che è altresì strettamente correlata agli obiettivi comunitari sulla riduzione delle emissioni del trasporto su gomma da conseguire entro il 2030;
   a distanza di otto anni, e di 23 anni se ci si riferisce all'ipotesi di progetto complessivo (se ne parla dal 1992), appare poi forse necessario, oltreché implementare definitivamente la linea ferroviaria, anche riflettere, come richiesto dalla «Conferenza permanente dei sindaci interessati al progetto AV/AC Verona-Padova», su una revisione dei parametri progettuali che rendono difficoltosi il finanziamento del progetto «in toto» e la sua celere realizzazione, anche alla luce della necessità di una maggiore tutela ambientale e di una attenzione maggiore al consumo di suolo, in tratti così densamente popolati, e di notevole valore paesaggistico, considerate le nuove esigenze di trasporto e logistiche per l'Italia del futuro. Occorre per questo valutare l'opportunità dell'affiancamento alla linea storica della nuova tratta come già avvenuto per i tratti Milano-Treviglio e Padova-Venezia Mestre che permetterebbe un percorso più breve di ben 32 chilometri, recuperando poi il bacino d'utenza del territorio bresciano e l'importantissimo bacino d'utenza turistico del lago di Garda, che conta ogni anno più di venti milioni di presenze;
   in data 28 gennaio 2015 il Sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti Del Basso De Caro, ha risposto, alla Camera, in VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici ad una interrogazione a risposta immediata circa il tracciato e lo stato di finanziamento dell'opera, citando alcuni accordi di programma sull'avanzamento di lotti relativi alla nuova linea AV/AC ma solo per quanto riguarda il tratto Verona-Vicenza-Padova. Nessun accenno è stato fatto dal Governo alla parte di linea che dal capoluogo scaligero collega Brescia verso Milano. Detto tratto incrocia peraltro interamente le province di Verona e Brescia e più precisamente il territorio a sud del lago di Garda: area di alto valore ambientale, paesaggistico e turistico e di pregevolissime produzioni agroalimentari e vitivinicole, come, ad esempio, la «Terra del Lugana»;
   detto progetto di nuova linea attualmente più accreditato (e contestato) sottrarrà, se messo in opera, secondo uno studio elaborato dal professor Renato Pugno del Politecnico di Milano, circa 245 ettari di terreni alla produzione vinicola, con un rapporto costi-benefici negativo verso la nuova tratta ferroviaria: l'area gardesana del Lugana infatti, con una produzione annua di 11,5 milioni di bottiglie di vino, ha un prodotto interno lordo di 50 milioni di euro l'anno. I 9 chilometri della tratta AV/AC Brescia-Verona che dovrebbero attraversarla avrebbero benefici in termini di prodotto interno lordo generato di 2,94 milioni di euro l'anno;
   come è già noto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la Commissione VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 23 dicembre 2014, ha inviato al consorzio di imprese CEPAV 2 ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in particolare sul tratto Brescia-Verona, numerose e dettagliate richieste di approfondimento progettuale e integrazioni, tra cui valutazioni sull'impatto al sistema agricolo, con esplicito riferimento alla terra del «Lugana», misure di compensazione e mitigazione dell'opera, valutazione degli effetti cumulativi su altre opere e soprattutto ha evidenziato l'assenza fondamentale di una comparazione con un'ipotesi di tracciato alternativo;
   da recenti e numerosi articoli di stampa locale e nazionale si apprende, inoltre, che sul predetto, e attualmente più accreditata ipotesi di tracciato «direttissimo», non affiancata alla «linea storica», anche esponenti della giunta regionale della Lombardia e del comune di Brescia, in occasione di un recente incontro con le rappresentanze bresciane di Coldiretti, Confagricoltura e Consorzio tutela del Lugana, hanno espresso alcune riserve circa la tutela paesaggistica del territorio bresciano e la salvaguardia delle sue produzioni agroalimentari di qualità e paiono ventilare la proposta di valutazione di un tracciato meno invasivo «legato alle necessità del territorio»;
   in sede di delibera il CIPE, con l'atto n. 94 del 2006, contemplò inoltre anche la necessaria considerazione nel progetto finale di alcune criticità di tracciato nel passaggio a est del territorio afferente al comune di San Martino Buon Albergo e al completo attraversamento, de facto tagliandolo in due, del centro cittadino del comune di San Bonifacio, entrambi in provincia di Verona –:
   se i Ministri interrogati per quanto di competenza, intendano ora, come fatto in sede di question time in VIII Commissione alla Camera per il tratto Verona-Padova della futura linea AV/AC Milano-Venezia, fornire notizie puntuali circa il progetto di linea ad alta velocità nei segmenti Verona-Brescia-Treviglio e sulla valutazione comparativa dell'ipotesi di affiancamento alla linea storica del nuovo tracciato ad alta velocità, anche conformemente a quanto richiesto negli approfondimenti VIA da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se i Ministri interrogati intendano valutare l'opportunità di istituire con rapidità un tavolo tecnico con gli enti locali interessati dal tracciato, le regioni Lombardia e Veneto, i consorzi di tutela della produzioni agroalimentari di qualità dei territori attraversati e Rete ferroviaria italiana, per stabilire un cronoprogramma puntuale sull'avvio dei lavori della predetta tratta ferroviaria, contemplando anche la proposta di affiancamento alla linea storica Milano-Venezia ed una concertazione sulla soluzione di tracciato più utile al territorio, alla pianura padana centro-orientale e al Paese e che assicuri lo sviluppo del sistema ferroviario in tutti suoi segmenti, nelle province di Verona e Brescia, e per tutti i tipi di utenza, «premium», turistica e pendolare, nonché per le merci in vista della prossima apertura del nuovo valico ferroviario del Brennero. (4-07781)


   CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto ferroviario siciliano legato ai treni a lunga percorrenza, nel tempo, ha sempre subito dei tagli;
   da notizie di stampa, Ferrovie Italiane sta mettendo in atto un piano che prevede l'interruzione dei treni a lunga percorrenza che dal nord e dal centro del Paese arrivano a Villa San Giovanni e a Messina, lasciando così esclusa la Sicilia dal resto dell'Italia;
   il nuovo piano prevede la soppressione delle navi a 4 binari che garantiscono il traghettamento dei treni da e per la Sicilia. Pertanto, i passeggeri in arrivo e/o in partenza dovranno scendere dal treno a Messina o a Villa San Giovanni e proseguire il viaggio via Metromare, per poi riprendere il treno;
   il principio di «continuità  territoriale» è sancito dall'articolo 3 della Costituzione italiana –:
   se intenda garantire alla Sicilia il diritto costituzionale alla «continuità territoriale», impedendo in tal modo a Ferrovie Italiane di riproporre l'ennesimo taglio a svantaggio della Sicilia con conseguente ripercussione sui posti di lavoro;
   quali iniziative di competenza intenda mettere in campo per evitare che si acuisca ulteriormente la frattura tra il nord e il sud del Paese. (4-07789)


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende che la direzione nazionale delle Ferrovie dello Stato ha confermato il taglio dei treni a lunga percorrenza dalla Sicilia verso il resto del Paese a partire dal 13 giugno 2015;
   con l'entrata in vigore dell'orario estivo saranno soppressi tutti gli Intercity giorno per Roma, ovvero i treni 724-728-723-727, e l'Intercity Notte per Milano 784-785;
   i collegamenti a lunga percorrenza e la «continuità territoriale» saranno pertanto affidate a due soli treni notte per Roma e una nave traghetto che effettuerà 18 corse per i treni rimasti e le merci;
   Rfi ha dichiarato che tale decisione è determinata dalla totale assenza di sovvenzioni Statali per la continuità territoriale dei siciliani già dal 23 dicembre 2014;
   cinque milioni di siciliani, di cittadini italiani, verranno privati del diritto sancito dall'articolo 16 della Costituzione italiana per cui: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale... Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche...» –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere, per quanto di sua competenza, per tutelare il diritto dei siciliani, come previsto dalla nostra Costituzione, alla mobilità e alla libera circolazione. (4-07791)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   qualche giorno, presso la stazione ferroviaria di Goriano Sicoli (Aquila), a causa dell'ennesimo e ormai fisiologico ritardo i pendolari della tratta ferroviaria Roma-Pescara hanno dovuto attendere il treno al gelo senza poter utilizzare la sala d'aspetto;
   il pesante disagio è stato vissuto dai pendolari della stazione di Goriano Sicoli, tra cui molti studenti, per prendere il treno delle 7,12, con destinazione Sulmona. Il tutto perché, nonostante da oltre un anno la stazione non sia più un cantiere, manca il collaudo per la definitiva apertura della sala d'aspetto;
   si tratta di una beffa cui si aggiunge il peso di 900 mila euro spesi per ricostruire la stazione tirata a lucido dopo i danni del sisma. Finanziamento ingente, ma giudicato inutile dai molti che puntano il dito proprio contro le porte chiuse della sala d'attesa a causa della burocrazia –:
   se non intenda verificare presso le Ferrovie dello Stato  italiane come mai ancora non sia stato effettuato il collaudo al fine di procedere con la riapertura della stazione di Goriano Sicoli (Aquila) ed evitare di causare ulteriori disagi ai pendolari della tratta Roma-Pescara. (4-07793)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella stazione ferroviaria di Avezzano (Aquila) regna il più assoluto degrado: bottiglie rotte, avanzi di cibo e rifiuti di ogni tipo abbandonati senza controllo. Si presenta così la sala d'aspetto della stazione ferroviaria di Avezzano, in particolare nelle prime ore del mattino;
   numerosi cittadini hanno sollevato la questione segnalando i numerosi disagi che vivono i pendolari che frequentando la stazione quotidianamente. Il totale abbandono deriva dagli scarsi controlli;
   alcune associazioni denunciano che nelle ore notturne esiste un vero proprio bivacco di spacciatori che si sarebbero resi protagonisti anche di numerosi danneggiamenti alle strutture e ai servizi –:
   se il Governo non intenda verificare presso le Ferrovie dello Stato italiane le cause di questo degrado e mettere in sicurezza le migliaia di pendolari della Marsica da questa situazione di forte disagio. (4-07794)


   MASSIMILIANO BERNINI, GRANDE e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011 dalla rete ferroviaria italiana sono sparite mille tonnellate di rame. Una media di 3.200 chili al giorno. Per questo stillicidio le Ferrovie dello Stato hanno perso quasi 20 milioni di euro in due anni. Senza calcolare i danni collaterali, ancora più gravi: migliaia di pendolari arrivati in ritardo al lavoro, ragazzi che hanno perso il giorno di scuola. Perché senza rame sulla linea i treni non partono. Un'esperienza che molti di noi hanno vissuto almeno una volta nella vita;
   in quanto formidabile conduttore elettrico e termico, resistente, non magnetico, facilmente lavorabile per la sua malleabilità il rame viene anche chiamato «oro rosso» e sui mercati è arrivato a valere 7,5 euro al chilo. Una quotazione destinata ad aumentare ancora, visto che il bene è sempre più scarso e sempre più ricercato, soprattutto dalle grandi potenze emergenti come India, Cina e Brasile;
   da notizie stampa apprendiamo che in questi ultimi anni si è andata formando una vera e propria filiera illegale del rame, vastissima e sempre più organizzata che ha un solo scopo: rubare più rame possibile per rivenderlo all'estero. Alla base ci sono i piccoli ladruncoli (sei su dieci sono italiani, gli altri quasi tutti dell'est europeo) che lo rivendono a rottamai e grossisti per 4 o 5 euro al chilo. Da qui, il metallo viene spedito in fonderia oppure lavorato sul posto. Anche le mafie hanno fiutato l'affare e si sono tuffate in un mercato che promette enormi guadagni;
   il rame esclusivo di Fs viene quasi subito fuso e reso irriconoscibile anche all'occhio più esperto, oppure finisce spesso in Asia, dove viene riutilizzato per componenti elettroniche;
   cogliere sul fatto un ladro di rame è molto difficile. Bastano una ventina di minuti per portarsi a casa anche 50-60 chili. Le tecniche sono sempre le stesse: si scoperchiano le canaline che corrono accanto ai binari, si prelevano i cavi e si corre via. In un luogo più appartato, poi, si tolgono le guaine di gomma e il rame è pronto per essere venduto. Si agisce di notte e lontano dai centri abitati;
   dopo un periodo di flessione, durante la quale si è riscontrato un effettivo calo dei furti, oggi le quotazioni del rame sono tornate a livelli persino più alti di quelli pre-crisi, e la corsa all'oro rosso è ricominciata con decine di furti soprattutto lungo le ferrovie che spesso mettono a rischio la mobilità di migliaia di persone spesso pendolari del lavoro;
   i casi sono davvero all'ordine del giorno con furti che vanno dalla linea alta velocità Bologna-Milano, linea ferroviaria Roma-Viterbo, al velodromo di Palermo;
   l'Anas ha denunciato come l'autostrada Roma-Fiumicino sia quasi completamente al buio «per i continui furti di energia e cavi elettrici dai quali viene estratto il rame» –:
   quali azioni il Governo intenda assumere per rafforzare ulteriormente i controlli sulle tratte ferroviarie scongiurare i furti;
   se non si ritenga opportuno intervenire anche a livello normativo per rafforzare le pene non solo per i ladri di rame ma anche per i ricettatori, qualora sia comprovato che questi sapevano di acquistare rame rubato. (4-07807)


   DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5 del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto Sblocca Italia, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, dà la possibilità ai concessionari di proporre modifiche dei rapporti concessori autostradali in essere, finalizzate a procedure di aggiornamento o revisione anche mediante l'unificazione di tratte interconnesse, contigue ovvero tra loro complementari, ai fini della loro gestione unitaria;
   le procedure originariamente previste dal suddetto provvedimento prevedevano l'invio al Ministero entro il 31 dicembre 2014 di una proposta dei concessionari accompagnata da un nuovo piano economico-finanziario, corredata di idonee garanzie e di asseverazione da parte dei soggetti coinvolti. Entro il 31 agosto 2015 era invece prevista la stipulazione di un atto aggiuntivo o di apposita convenzione unitaria;
   il comma 10 dell'articolo 8 del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative concede però una proroga ai concessionari, spostando al 30 giugno 2015 e al 31 dicembre 2015 i termini definiti con il suddetto Sblocca Italia;
   la manovra sulle concessioni autostradali, nelle intenzioni espresse dal Governo, servirebbe a reperire fondi per portare avanti investimenti infrastrutturali e ad assicurare un servizio a tariffe e condizioni più favorevoli agli utenti; un tale meccanismo in realtà può significare prorogare di fatto automaticamente concessioni in scadenza senza andare a gara, dunque contro le regole europee e i principi di concorrenza ed economicità, come evidenziato anche dall'Autorità dei trasporti, dall'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, durante le audizioni parlamentari tenutesi durante la discussione per l'approvazione della norma, nonché nell'ultima lettera inviata il 28 gennaio 2015 dall'Anac al presidente della Camera, al presidente del Senato ed al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   nella suddetta lettera si evidenzia anche che la manovra sulle concessione autostradali messa in piedi con il decreto Sblocca Italia e confermata dal cosiddetto milleproroghe, potrebbe comportare rallentamenti nell'attuazione degli investimenti autostradali (a causa della necessità di programmare nuovi investimenti che devono essere preceduti dalla presentazione di un piano economico-finanziario del tutto nuovo) e che non sono neppure stati definiti da parte del Ministero dei chiari indirizzi per la revisione dei piani economico-finanziari volti a porre un limite ai continui aumenti delle tariffe autostradali;
   la proroga delle concessioni autostradali è un argomento sensibile a livello europeo e ha richiesto una notifica da parte del Governo alla Commissione dell'Unione europea, che potrebbe aprire una nuova procedura di infrazione per l'Italia. Tra l'altro, lo scorso 16 ottobre 2014, la Commissione dell'Unione europea ha già confermato una procedura d'infrazione per l'Italia in relazione alla proroga concessa, senza gara, alla concessionaria SAT che si occupa della costruzione e della gestione della A12 Livorno-Civitavecchia –:
   quali siano le esigenze che hanno reso necessario concedere la proroga prevista dal comma 10 dell'articolo 8 del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, all'attuazione dell'articolo 5 del decreto-legge n. 133 del 2014;
   quali concessionari autostradali abbiano presentato entro il termine del 31 dicembre 2014 richiesta di modifica del rapporto concessorio;
   considerata la complessità della materia e considerato che la procedura del decreto Sblocca Italia prevede tra l'altro anche il parere delle competenti Commissioni parlamentari sugli schemi di atto aggiuntivo o di convenzione e i relativi piani economico-finanziari, se il Ministro non intenda illustrare nelle competenti sedi parlamentari quali siano le tempistiche di attuazione della manovra sulle concessioni autostradali notificata dal Ministero a Bruxelles e quali eventuali alternative siano state previste in caso di parere negativo da parte della Commissione dell'Unione europea;
   se il Ministro interrogato abbia risposto nei tempi utili alla Commissione europea in merito alla proroga della concessione SAT, quali siano gli eventuali contenuti della risposta e quali iniziative intenda adottare al fine di evitare che la procedura preliminare di infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia conduca ad un procedimento formale di infrazione innanzi alla Corte di giustizia europea;
   quali iniziative il Ministro intende porre in atto per porre un limite all'aumento delle tariffe autostradali come suggerito anche dall'ANAC. (4-07808)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS, CARIELLO, BENEDETTI, ZOLEZZI e BUSTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sera di sabato 24 gennaio scorso, attorno alle 22.30, ignoti hanno fatto esplodere un ordigno collocato in prossimità dell'ingresso posteriore dell'abitazione del sindaco di Bultei, comune di circa mille abitanti della provincia di Sassari;
   l'attentato dinamitardo ha provocato danni all'abitazione e all'auto del sindaco, parcheggiata in prossimità del luogo della detonazione, ma avrebbe potuto avere conseguenze molto più gravi, in considerazione del fatto che, in quel momento, all'interno della casa erano presenti quattro persone;
   il fatto si inserisce all'interno di una lunga scia di atti intimidatori compiuti ai danni di amministratori locali della Sardegna negli ultimi anni;
   secondo l'osservatorio sociale sulla criminalità dell'università di Sassari, che sta studiando il fenomeno, nel triennio 2011-2013, nell'isola si sono registrate 1108 intimidazioni nei confronti di sindaci, assessori, consiglieri comunali, esponenti delle forze dell'ordine, sindacalisti, mentre sono stati 35 gli attentati ai primi cittadini nei primi mesi del 2014;
   i dati rilevati dall'osservatorio porterebbero la Sardegna al primo posto nella graduatoria delle regioni d'Italia per il numero di intimidazioni ad amministratori pubblici compiute, con dati sino a cinque volte superiori rispetto a regioni quali la Campania e la Sicilia;
   il fenomeno che, per le dimensioni, la frequenza e la violenza con cui si manifestano le intimidazioni, desta un profondo e giustificato allarme tra le comunità e le istituzioni della Sardegna, è stato oggetto negli ultimi anni, anche a seguito di una sua recrudescenza, di una serie di visite ufficiali nell'isola di alcuni Ministri dell'Interno, le ultime delle quali sono quelle del Ministro Anna Maria Cancellieri, nel mese di gennaio del 2012, e del ministro Roberto Maroni, nel mese di ottobre del 2010;
   gli amministratori locali, e in particolare i sindaci, rappresentano, l'unica rappresentanza dell'amministrazione dello Stato, soprattutto nei piccoli centri, dove progressivamente, per effetto di politiche volte al contenimento della spesa pubblica, sono venuti meno anche importanti servizi a sostegno dei cittadini;
   gli amministratori locali lamentano un progressivo assottigliamento del perimetro dello Stato nell'amministrazione delle comunità locali e, per converso, segnalano un accrescimento considerevole di competenze e adempimenti a carico degli enti locali;
   un esempio di questo stato di cose è rappresentato dalla gestione delle finanze locali, caratterizzate, da una parte, da una drastica riduzione dei trasferimenti statali e regionali, dall'altra dall'attuazione di un sistema di fiscalità locale che non è affatto in grado di compensare il taglio dei finanziamenti;
   gli amministratori locali, anche per effetto della fase recessiva in corso che ha determinato delle gravi ripercussioni sul tessuto produttivo e sociale delle comunità italiane, sono diventati oggi l'unico punto di riferimento in contesti di profondo disagio –:
   quali iniziative intenda adottare per far sì che sindaci e amministratori locali della Sardegna possano operare in un clima di serenità e in condizioni sicurezza senza dover mettere a rischio la propria incolumità per assolvere un alto servizio reso alla propria comunità. (5-04620)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il primo soccorso è l'aiuto che chiunque può prestare a una o più persone vittime di un incidente o di un malore, nell'attesa che intervenga un soccorso sanitario qualificato;
   il primo soccorritore, non può e non deve sostituirsi a esso, ma deve limitarsi a coprire questo intervallo di tempo, compiendo azioni precise ed evitando interventi avventati e dannosi, anche da parte di eventuali persone presenti;
   si tratta di porre in essere alcuni atti semplici e ben determinati che permettano di preservare da ulteriori rischi l'infortunato, di evitargli aggravamenti, di migliorare le sue condizioni generali e molto spesso di salvargli la vita;
   il primo soccorso è una tecnica che si apprende e si perfeziona con esercizi pratici ripetuti che consentano di saper valutare le funzioni vitali della/e vittime, praticare una rianimazione cardiopolmonare, fermare un'emorragia, porre la vittima in adeguate posizioni di attesa;
   la formazione del primo soccorso dovrebbe essere compia oltre che dagli operatori dei servizi sociali, insegnanti, associazioni, volontari, istruttori sportivi, anche da pubblici ufficiali e forze dell'ordine (carabinieri, polizia, vigili urbani e altro);
   attualmente, i corsi di primo soccorso rivolti alle forze dell'ordine sono proposti da associazioni, Croce Rossa e altri soggetti che, nell'ambito delle loro attività, svolgono una adeguata formazione; tuttavia, i suddetti corsi sono esclusivamente facoltativi e a pagamento –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per rendere obbligatori i corsi di primo soccorso per il personale delle forze dell'ordine, considerando che gli stessi molto spesso sono i primi ad accorre sui luoghi ove avvengono incidenti stradali e che, in molti casi, è necessario agire tempestivamente in attesa del personale sanitario abilitato. (4-07712)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Vasto e i territori che insistono sulla provincia di Chieti (Abruzzo), negli ultimi cinque anni circa, sono stati al centro di complesse operazioni delle forze dell'ordine volte a sgominare associazioni criminali che operavano nella zona, con pesanti infiltrazioni nel tessuto economico delle città;
   già nel novembre 2012 Riccardo Alinovi, portavoce dell'associazione codici, attiva per la difesa dei consumatori e nel campo dell'usura, della sanità e della legalità, denunciava: «Vasto nel passato era considerata come una specie di isola felice ossia una città priva di infiltrazioni mafiose. Oggi, invece, a Vasto e maggiormente in Abruzzo appare evidente la non esistenza di un'organizzazione che detenga l'egemonia sulle varie attività criminali svolte nel territorio, come avviene per altre regioni d'Italia, ma al contrario ci si presenta con un tessuto penetrato da diverse organizzazioni criminali. Troviamo diversi casi di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite ad opera delle mafie del sud Italia o delle organizzazioni criminali che sempre con maggiore facilità possono disporre di ingenti quantità di denaro da reinvestire. Queste, infatti, hanno da diverso tempo individuato l'Abruzzo come un territorio ottimale per investire i loro proventi nell'acquisto di terreni, immobili, attività commerciali e imprese, poiché la nostra regione essendo considerata di non vaste dimensioni con una posizione ottimale per i collegamenti verso altri territori e percepita in generale come un territorio dall'apparenza tranquilla sotto il profilo criminale e con una popolazione poco propensa a denunciare eventuali episodi di sospetta illegalità»;
   in particolare, estorsioni, rapine, fiumi di droga che attraversano la regione arrivando dall'Albania e dai Balcani, incendi dolosi e tentati omicidi, attacchi e tentativi quotidiani di infiltrazioni malavitose nel territorio, figure inquietanti che spesso vengono individuate e arrestate è l'inquietante resoconto della situazione nel vastese fatto solo pochi mesi fa dalla direzione distrettuale antimafia dell'Aquila al termine dell'operazione Adriatico e prima ancora dalla procura di Vasto nel corso delle operazioni Tramonto, Histonium 1 e Histonium 2;
   nonostante la palese esigenza di serrare i controlli per evitare ulteriori infiltrazioni della criminalità organizzata, pesanti sono le penalizzazioni che questo territorio ha subìto e continua a subire e, in particolare, i continui tagli effettuati dai Governi delle larghe intese alle risorse destinate alla sicurezza e ai dipendenti del comparto;
   secondo quanto riportato da numerosi organi di stampa, la motovedetta dei carabinieri è stata dismessa e il servizio soppresso, il presidio di polizia ferroviaria rischia la chiusura e a giorni alterni anche la sottosezione della polizia stradale, mentre la caserma del 112 continua ad essere ospitata al piano terra di un palazzo inadeguato, che peraltro insiste all'interno di un complesso residenziale, sparsa in stanze non funzionali ad un comando compagnia;
   già dal 2006 si discute, infatti, della necessità della edificazione di una nuova caserma dei carabinieri a Vasto, stando, l'attuale in una posizione assolutamente non strategica rispetto alla città che nel corso degli anni si è espansa in maniera rapida e insistendo, l'attuale comando compagnia, all'interno di locali, a maggior ragione oggi, non più idonei ad ospitare un Corpo militare che, viste le esigenze di sicurezza richieste a gran voce dalla comunità, avrebbero bisogno di una struttura ben più efficiente e di una ubicazione funzionale alle reali esigenze;
   come se ciò non bastasse, non ci sarebbe nemmeno ombra di un sistema di videosorveglianza, che da una parte rappresenterebbe un deterrente ad atti criminali, dall'altra un aiuto concreto alle già esigue forze dell'ordine, anche nello svolgimento delle indagini;
   in nome della spending review, sembrerebbe concretizzarsi un altra grave sottrazione dei servizi relativi alla sicurezza e alla giustizia nel territorio abruzzese, attraverso la mortificazione delle risorse esistenti e la depauperazione di eccellenze riconosciute in ambito nazionale come la sezione della Polfer o della Polstrada, che hanno fatto della vicinanza e del supporto ai cittadini un'autentica ragion d'essere –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità degli stessi, quali provvedimenti intenda adottare per rafforzare mezzi e organico delle forze dell'ordine del territorio di cui in premessa, evitando la soppressione del presidio Polfer nonché quali azioni intenda porre in atto per la edificazione di una nuova caserma dei carabinieri a servizio della città di Vasto e di un territorio, non solo densamente popolato, ma soprattutto teatro di numerosi e preoccupanti reati. (4-07723)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo gli attentati jihadisti recentemente perpetrati in Francia e sventati in Belgio, è sensibilmente aumentato il rischio percepito di attacchi anche nel nostro Paese;
   l'accresciuto livello della minaccia dovrebbe essere fronteggiato con una mobilitazione di risorse significativa e con l'impiego di ingenti forze di polizia;
   il Carnevale di Venezia, in ragione della sua notorietà e della gran quantità di turisti che attira, può ritenersi a rischio di atti eclatanti e ne è imminente l'inizio ufficiale;
   sorge conseguentemente la necessità di assicurare al più presto un efficace presidio del territorio veneziano, tanto a scopo dissuasivo quanto per fronteggiare al meglio eventuali emergenze;
   la stazione veneziana di Santa Lucia è un punto nevralgico, dal momento che accoglie il grosso del flusso turistico diretto al Carnevale;
   sussiste il timore, da parte dell'interrogante, che le dotazioni organiche normali del presidio locale della Polfer siano insufficienti a fronteggiare in questo momento delicato l'accresciuto bisogno di sicurezza a Venezia in occasione del Carnevale –:
   in che modo il Governo ritenga di garantire la sicurezza a Venezia durante il Carnevale e se ritenga adeguata la forza di cui attualmente ed in concreto dispone in particolare la Polfer incaricata di pattugliare e sorvegliare la stazione di Santa Lucia. (4-07727)


   CORSARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 18 gennaio 2015 a Cremona dopo la fine della partita di calcio di serie A svoltasi presso lo stadio comunale è scoppiata una rissa tra militanti di Casa Pound e appartenenti al centro sociale Dordoni, nel corso della quale un esponente del centro sociale è stato ferito gravemente;
   per protesta contro l'aggressione, il successivo sabato 24 gennaio, è stato organizzato un corteo «antifascista», sfociato in guerriglia urbana dopo che in testa ai manifestanti si è messo un gruppo di black-bloc;
   i giovani vestiti di nero, con il viso coperto dai caschi e in mano dei bastoni, hanno cercato di deviare la manifestazione tentando di arrivare nei pressi del comando provinciale dei carabinieri, presidiato da polizia e militari, e di aggirare gli schieramenti delle forze dell'ordine per raggiungere la vicina sede di Casa Pound;
   i manifestanti hanno lanciati sassi, bottiglie e fumogeni contro la polizia, che ha risposto con il lancio di lacrimogeni, e hanno infranto le vetrine delle banche e di decine di edifici tra i quali anche la sede del comando della polizia locale, le cui vetrate sono state totalmente distrutte;
   i cittadini residenti nelle zone attraversate dal corteo e in quelle circostanti si sono dovuti chiudere in casa, spaventati dai botti delle bombe carta e dall'aspro odore dei lacrimogeni che ha totalmente invaso parte della città, rendendo l'aria irrespirabile;
   il presidente della Confcommercio cremonese ha parlato di «coprifuoco forzato» a cui sarebbero stati costretti i cittadini e ha rimarcato che «a Cremona, sabato, il Governo non ha saputo garantire l'ordine e la sicurezza» per aver «autorizzato una manifestazione che non si doveva permettere», perché «il corteo annunciato come «pacifico» non poteva essere tale e non era difficile da capire –:
   per quali motivi non sia stata vietata tale manifestazione a soli sei giorni di distanza dagli scontri di via Mantova, per di più consentendo approvando un tragitto che passava a pochi metri dalla sede dell'associazione «Casa Pound»;
   se il questore avesse avuto informazioni confidenziali sul possibile arrivo di manifestanti violenti da altre parti d'Italia e, in caso affermativo, per quali motivi abbia ugualmente consentito la manifestazione;
   perché si sia permesso che il corteo partisse alle 16,25 anziché alle 15,00 come programmato, sapendo che di lì a poco sarebbe diventato buio rendendo più gravoso il mantenimento dell'ordine.
(4-07736)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come emerso da diverse inchieste condotte sia da parte dell'autorità giudiziaria che dalla Commissione parlamentare antimafia, gruppi criminali facenti capo alle maggiori organizzazioni del Sud-Italia – Camorra, N'drangheta e Cosa Nostra – sono presenti anche sul litorale laziale;
   su tutti i centri marittimi spicca Ardea, dove negli ultimi anni si sono verificati numerosi incendi di autovetture appartenenti a politici, giornalisti e membri delle forze di Polizia;
   sono stati tra l'alto colpiti il sindaco Luca Di Fiori, il consigliere comunale Massimiliano Giordani, l'ex assessore Nicola Petricca, il consigliere comunale Franco Marcucci, il giornalista Luigi Centore, l'ex comandante della stazione dei carabinieri di Marina di Tor San Lorenzo di Ardea, Walter Giustini;
   più recentemente, sempre ad Ardea, sono state incendiate nuovamente l'autovettura del giornalista Luigi Centore e quelle di un carabiniere e di un finanziere abitanti nel medesimo comune;
   a ciò, vanno aggiunti le lettere minatorie ricevute dal consigliere comunale Antonino Abate ed il tentato investimento con l'auto del consigliere comunale Luca Fanco;
   ad Ardea, inoltre, in attuazione della legislazione antimafia, sono stati disposti sequestri e confische di beni che hanno danneggiato esponenti di spicco della criminalità organizzata, quali Enrico Nicoletti (appartenente alla Banda della Magliana), Marcello Fondacaro (N'dranghetista), la Famiglia Petrella, i cui membri risultano affiliati alla Camorra, ed altri;
   al riguardo del Fondacaro, medico residente ad Ardea, è di questi giorni la notizia della sua collaborazione con la giustizia in merito a fatti di sangue avvenuti in Calabria;
   il prefetto di Roma è stato più volte allertato, ma nessun provvedimento è stato mai preso. Le indagini svolte in merito ai fatti criminali sopra enunciati non hanno mai prodotto alcun esito e Ardea appare all'interrogante completamente priva di controllo, sia per la scarsità del personale appartenente alle forze dell'ordine, nonostante esistano una tenenza ed una stazione carabinieri, sia a causa del disinteresse degli amministratori locali;
   nonostante ciò, il sindaco Luca Di Fiori, audito in Parlamento, ha, a giudizio dell'interrogante, sminuito il problema, mentre la cittadinanza ormai vive nella paura –:
   quali misure di competenza il Governo intenda assumere per fronteggiare l'emergenza criminale in atto nel territorio di Ardea più in generale sul litorale laziale. (4-07741)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Sergnano è un comune di 3.600 abitanti in provincia di Cremona, a ridosso del fiume Serio, in cui la scoperta di giacimenti di gas naturale nel 1953 portò alla perforazione di 45 pozzi, 39 dei quali riutilizzati successivamente per lo stoccaggio sotterraneo del gas, fin dal 1965;
   nella gestione del campo di stoccaggio negli anni 2000 è subentrata la Stogit (Stoccaggi Gas Italia) spa, società interamente controllata da Snam Rete Gas, che in questa sede dispone di 48,32 chilometri quadrati ad essa attribuiti, 4 cluster per il pompaggio del gas nel sottosuolo, una centrale di compressione, un impianto di trattamento, metanodotti di raccordo e distribuzione e turbocompressori dalla potenza complessiva di 135 MW, con ricadute delle emissioni di PM2,5, NOx, CO e CO2 sull'ambiente e sulle coltivazioni nel raggio di 25 chilometri;
   la rete di distribuzione del gas metano italiana prevede ingegneristicamente – come qualsiasi impianto di distribuzione di fluidi – degli accumuli di gas opportunamente dimensionati e posizionati che regolarizzino, per quanto possibile e in modo che ciò sia economicamente conveniente, lo scorrimento del fluido nelle condotte, pur in presenza di intensi e/o improvvisi assorbimenti da parte dell'utenza o reciprocamente minore/irregolare afflusso dalla fonte;
   tra le varie opzioni realizzative per tali stoccaggi vengono utilizzati, come parti integranti dell'impianto, giacimenti di metano esauriti, nei quali iniettare o estrarre il gas, a seconda delle esigenze innanzi espresse. Trattasi di «stoccaggi di gas in unità geologiche» di notevole estensione topografica tridimensionale, ad elevatissime pressioni di riempimento (per i vari stoccaggi mediamente 150 bar). Le attività di stoccaggio di materiali altamente infiammabili, e quindi anche quelle realizzate per il metano in unità geologiche (stoccaggi sotterranei) sono state inserite tra quelle soggette agli obblighi di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, che attua la direttiva europea nota come «Seveso II» (direttiva 96/82/CE), ovvero la norma europea tesa alla prevenzione e al controllo dei rischi di accadimento di incidenti rilevanti, connessi con determinate sostanze classificate pericolose;
   rispetto a queste attività è disposto l'obbligo di predisposizione del piano di emergenza esterno (PEE), ovvero il piano di protezione civile che organizza, con procedure condivise con le altre amministrazioni pubbliche e private locali, le risorse disponibili sul territorio per ridurre o mitigare gli effetti di un incidente industriale sulle aree esterne al perimetro dello stabilimento;
   il compito fondamentale del PEE consiste nell'individuazione sul territorio circostante lo stabilimento, delle zone a rischio di incidente rilevante; tale piano costituisce non già un semplice atto amministrativo formale, ma un vero e proprio strumento di salvaguardia della sicurezza (o, per altro verso, di mitigazione del rischio), in quanto, tra l'altro, deve fornire indicazioni sulla preparazione dei cittadini e sulle contromisure da adottare nel caso in cui si verifichi l'incidente rilevante, ad esempio stabilendo preventivamente in quali luoghi ci si debba rifugiare e/o raccogliere per facilitare l'intervento dei soccorsi. Il fatto che la norma in questione ponga grandissima enfasi sul lato informativo da attuarsi verso i cittadini potenzialmente interessati dal rischio di interesse rilevante, anche in sede di formulazione e ratifica del piano, dimostra la necessità di corretta e tempestiva organizzazione preventiva delle risorse esterne di soccorso nelle località potenzialmente interessati;
   è opportuno in questa sede ricordare che esistono dichiarazioni ufficiali provenienti dal Ministero dell'interno, nonché autorevoli pronunce che indicano esplicitamente, per gli stoccaggi di gas in giacimenti depleti, «facenti parte dell'impianto a rischio di incidente rilevante», non solo le parti funzionali contenute nella recinzione dell'impianto di superficie, ma anche la ben più vasta unità geologica sotterranea; e ancora, è di evidente rilevanza, anche per la gestione dei piani territoriali locali, la fitta rete di numerose e spesso lunghe tubazioni ad altissima pressione che solcano le campagne e/o le zone abitate circostanti l'impianto fuori terra, collegandolo alle teste pozzo, cioè ai punti di immissione/estrazione del gas nel/dal sottosuolo;
   da ciò si ottiene una definizione di «stabilimento» che comprende tutte le parti sopra specificate;
   infatti l'articolo 3 del citato decreto legislativo definisce «stabilimento» tutta l'area sottoposta al controllo di un gestore, nella quale sono presenti sostanze pericolose all'interno di uno o più impianti, comprese le infrastrutture o le attività comuni o connesse;
   sempre nel citato decreto, l'articolo 21, rubricato «Procedura per la valutazione del rapporto di sicurezza» al comma 2, specifica che: «Per gli stabilimenti esistenti il Comitato, ricevuto il rapporto di sicurezza, avvia l'istruttoria e, esaminato il rapporto di sicurezza, esprime le valutazioni di propria competenza entro il termine di quattro mesi dall'avvio dell'istruttoria, termine comprensivo dei necessari sopralluoghi ed ispezioni, fatte salve le sospensioni necessarie all'acquisizione di informazioni supplementari, che non possono essere comunque superiori a due mesi [...]»;
   l'articolo 20, al comma 1, specifica altresì che «Per gli stabilimenti di cui all'articolo 8, al fine di limitare gli effetti dannosi derivanti da incidenti rilevanti, sulla scorta delle informazioni fornite dal gestore ai sensi degli articoli 11 e 12, delle conclusioni dell'istruttoria, ove disponibili, delle linee guida previste dal comma 4, nonché delle eventuali valutazioni formulate dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, il prefetto, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, previa consultazione della popolazione e nell'ambito della disponibilità finanziarie previste dalla legislazione vigente, predispone il piano di emergenza esterno allo stabilimento e ne coordina l'attuazione [...]»;
   l'impianto di stoccaggio di gas metano gestito presso il comune di Segnano dalla summenzionata ditta Stogit spa, risulta aver presentato la documentazione di analisi (rapporto di sicurezza) propedeutica all'avvio della procedura per la realizzazione del relativo PEE;
   i termini per l'attuazione dei PEE da parte delle amministrazioni competenti, chiaramente specificati nella normativa in materia nei termini suesposti, per quanto attiene al sito Sogit presso il comune di Sergnano sono decorsi da più di tre anni;
   nel comune di Sergnano, la centrale di stoccaggio si trova a 1400 metri a ovest dal centro dell'abitato e a 600 metri dagli edifici privati più vicini alla centrale di compressione;
   alcune parti del sistema (pozzi, tubazioni) sono collocate a poche decine/centinaia di metri da strutture pubbliche e private;
   l'espansione urbanistica ha visto l'abitato estendersi proprio in direzione ovest, ovvero in direzione degli impianti di stoccaggio, opposta rispetto alla zona attraversata dal fiume Serio;
   il comune di Sergnano è tra i comuni a più alto indice di pericolo idrogeologico nella provincia di Cremona, circostanza che concorre all'incremento dei fattori di rischio;
   a pochi chilometri in direzione nord nonché in direzione sud-est sono ubicate altre industrie soggette al rischio di incidente rilevante;
   la presenza a nove chilometri a sud di un altro grande stoccaggio (Ripalta Cremasca) di metano (anch'esso sprovveduto di piano di emergenza esterno) aggrava ulteriormente il carico del servizio per l'eventuale gestione di mezzi di soccorso;
   è prevista come prossima la realizzazione di una centrale di compressione per la movimentazione del metano nel metanodotto (Zimella-Cervignano d'Adda, del diametro di 1400 millimetri a 75 bar), che verrà costruita, con esclusioni della verifica di impatto ambientale 400 metri a sud della centrale di stoccaggio in questione;
   a due chilometri a est dalla centrale di stoccaggio e quindi a ridottissima distanza dal serbatoio sotterraneo di Sergnano è presente l'unica sorgente sismogenica individuale INGV — ITIS104, censita in Pianura Padana, dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma, a nord del fiume Po, responsabile del forte evento sismico noto come «terremoto di Soncino» del 12 maggio 1802;
   il comune di Sergnano è occupato per il 30 per cento circa della sua complessiva superficie urbanizzata da impianti metaniferi (centrale stoccaggio, futura centrale pompaggio, tubi di trasporto internazionali, tubi di collegamento ai pozzi, pozzi di iniezione/estrazione, pozzi di monitoraggio, pozzi di reiniezione);
   le tubazioni di collegamento della centrale di stoccaggio ai pozzi, che solcano la campagna e l'abitato, costituendo parti integrante dello stabilimento, dilatano ulteriormente la superficie complessiva in cui si possono manifestare incidenti rilevanti;
   scarsissimo è il livello di informazione fornita alla popolazione in funzione di prevenzione e diffusione della consapevolezza per la preparazione collettiva per tali eventualità;
   con tutta evidenza gli stanziamenti finanziari pubblici per il soccorso e la gestione dell'eventuale emergenza non potrebbero essere proficuamente impiegati in caso di un incidente rilevante causato da detti impianti in assenza di un appropriato piano debitamente predisposto e testato allo scopo di ottimizzare, tempi, risorse, e procedure;
   l'analisi delle presenti criticità, connesse alla tutela della sicurezza dei cittadini, interessa il Ministero dell'interno, e in particolare l'area rischi industriali a livello territoriale e i comitati tecnici regionale di prevenzione incendi di cui all'articolo 22 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139;
   l'analisi delle presenti criticità, legate alla natura dell'impianto industriale, interessa le funzioni del Ministero dello sviluppo economico, che attraverso l'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (UNMIG), facente parte della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche che fa capo al Ministero, ne valuta l'efficienza complessiva;
   l'analisi delle presenti criticità connesse alla sicurezza dell'ambiente si suppone sia di interesse per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'analisi delle presenti criticità è infine connessa alla salvaguardia del patrimonio artistico presente in aree fortemente antropizzate, di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il rischio dovuto alla presenza dell'impianto Stogit descritto, in mancanza di PEE, incombe attualmente sulla popolazione di Sergnano e sui comuni limitrofi, dove i cittadini vivono quotidianamente a distanze minime dagli impianti, e ciò accade mentre le stesse amministrazioni locali non dispongono a loro volta dei piani di gestione del territorio e della relativa emergenza (basati sugli elaborati tecnici di rischio di incidenti rilevanti, ERIR) –:
   quali siano i motivi che hanno impedito agli uffici competenti, ad oggi, decorsi da oltre tre anni i termini previsti, di concludere le istruttorie tecniche previste per l'impianto denominato «Sergnano Stoccaggio» e quindi di predisporre l'attivazione del piano di emergenza esterno, ovvero l'attivazione delle effettive misure necessarie a minimizzare il rischio per la popolazione di Sergnano correlato all'impianto Stogit, a rischio di incidente rilevante. (4-07744)


   COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) nasce con il decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4 – convertito dalla legge 31 marzo 2010, n. 50, con sede centrale nella città di Reggio Calabria, e sedi secondarie a Roma, Palermo e Milano;
   i dati relativi alle confische di beni sequestrati e confiscati di ANBSC, nel sito ufficiale dell'Agenzia, aggiornati al gennaio 2013, riportano 11237 immobili e 1707 aziende;
   da un articolo apparso su La Stampa, in data 29 gennaio 2014, l'autore, Niccolò Zancan, intervista il direttore amministrativo dell'Agenzia, Massimo Nicolò, il quale lamenta il totale abbandono della struttura, e a livello economico e a livello istituzionale;
   i dipendenti sono in tutto 37, a fronte dei 55 mila beni confiscati (dato che emerge dalle sue parole e non dal sito ufficiale dell'agenzia). Ci sarebbe la possibilità di assumere personale per 100 unità ma, considerati i costi a carico delle amministrazioni di provenienza e visti i tagli alle amministrazioni locali, queste si rifiutano di dare personale e, dopo la formazione, le unità vengono richiamate nei propri uffici di provenienza;
   manca l'aggiornamento dei database (Nicolò sostiene che il personale dell'Agenzia è costretto a rifarsi a fonti demaniali ma veramente aggiornate), perciò anche qualora il cittadino volesse informarsi su una rendicontazione, che dovrebbe essere pubblica e trasparente, non trova alcuna informazione aggiornata;
   manca lo scambio di informazioni tra città, esempio lampante è che su 59 beni sequestrati a Torino, 58 sono ancora nelle mani degli illegittimi proprietari, e di questi beni l'Agenzia di Reggio Calabria non sa nulla;
   i tempi burocratici rallentano l'efficienza di un'agenzia che pur sostenendo dei costi non è messa nelle condizioni di lavorare, affinché beni e aziende confiscate ritornino al più presto nelle mani di cittadine, cittadini e imprese oneste e anzi creano dei veri e propri paradossi, come ad esempio, così recita l'articolo de La Stampa: «dopo anni di battaglie giudiziarie, il Comune di Lamezia Terme era riuscito a farsi assegnare un alloggio sequestrato alla famiglia Benincasa, nel quartiere ad alta densità ’ndranghetista di Capizzaglie. Lo ha ristrutturato e dato in gestione alla cooperativa Progetto Sud per ospitare dei rifugiati politici. Ma la corte d'Appello ha restituito il bene alla famiglia, che ora ci abita con impianti nuovi e infissi ammodernati con soldi pubblici»;
   già Federico Cafiero De Raho, procuratore capo di Reggio Calabria, ha affermato in svariate occasioni che la gestione dell'agenzia non funziona e sostiene che è una ricchezza che «lo Stato lascia nelle mani dei mafiosi» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle condizioni in cui versa l'attività dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e quali azioni ritenga di mettere in campo per ovviare alla situazione, vista l'importanza strategica dell'Agenzia nella lotta contro la criminalità organizzata, motivo per cui, non solo sul piano simbolico, la sua sede è stata fissata nella città di Reggio Calabria. (4-07751)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   una serie di indagini hanno portato le autorità a focalizzare l'attenzione sull'attività del centro islamico di Inzago in provincia di Milano, finito nel mirino dopo l'esplosione della vicenda di Maria Giulia Sergio, la ventottenne convertita all'Islam data dal Ministero come affiliata all'Isis e, ipoteticamente, finita in Siria per attività di militanza attiva;
   Maria Giulia Sergio ha ventisette anni è di origine campana e residente a Inzago, nel Milanese, ma è stata adottata dall'Islam. La 27enne italiana, convertita alla religione di Allah, viene definita il «braccio armato dell'Isis»; queste le parole usate dal Ministro interrogato nell'informativa sulle minacce terroristiche inviata dal Viminale alla Camera;
   la volontaria della guerra santa sarebbe partita grazie a dei contatti negli ambienti degli estremisti balcanici radicati nel nostro Paese, come Bilal Bosnic arrestato in Bosnia e Shefqet Krasniqi finito in manette in Kossovo per l'invio di volontari in Siria;
   la permanenza nel territorio di Inzago e la frequentazione del centro islamico sono finite molto spesso nei rapporti investigativi degli organi giudiziari –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e intenda assumere iniziative, se del caso normative, per incrementare i controlli ad associazioni come quella di cui in premessa al fine di garantire la sicurezza nei territori, predisponendo norme che prevedano controlli amministrativi ferrei, telecamere all'interno dei locali, l'obbligo di sermoni in italiano, la moratoria sulla costruzione di nuovi centri di culto, il blocco delle frontiere. (4-07754)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo gli attentati jihadisti recentemente perpetrati in Francia e sventati in Belgio, è sensibilmente aumentato il rischio percepito di attacchi anche nel nostro Paese;
   l'accresciuto livello della minaccia dovrebbe essere fronteggiato con una mobilitazione di risorse significativa e con l'impiego di ingenti forze di polizia;
   viene affermato da più parti che le forze dell'ordine sono preparate ad affrontare la sfida, seppure il Ministro dell'interno abbia ammesso che una protezione totale sia impossibile da garantire;
   il convincimento che le forze di polizia siano pronte a fronteggiare la minaccia non sembra tuttavia essere condiviso dagli addetti ai lavori, come risulta da quanto è stato recentemente postato su un noto social media, ripreso dalla stampa nazionale;
   un agente in servizio nella stazione ferroviaria di Bologna, in particolare, ha sottolineato nel proprio account su Facebook di non esser stato mai addestrato a fronteggiare terroristi armati di kalashnikov e protetti da giubbotti antiproiettile e meno che mai a farlo con la sola Beretta in dotazione e senza protezione alcuna, indossando uniformi più adeguate alle parate che ad impieghi veramente operativi;
   la stessa persona ha accennato al fatto che diversi agenti della Polfer starebbero pensando di acquistare in proprio dei giubbotti antiproiettile ed equipaggiamenti più adeguati;
   la Polfer non risulta dotare il proprio personale neanche di metal detector o cani in grado di rilevare tracce di esplosivi;
   malgrado tutto, infine, si pensa ad un depotenziamento ulteriore delle strutture e dei presidi della Polfer –:
   come si concili, con la necessità di fronteggiare l'accresciuta minaccia terroristica, la scelta strategica di depotenziare la Polfer e se il Governo non intenda considerare, invece, l'ipotesi di procedere ora al suo potenziamento ed alla riconfigurazione delle sue dotazioni e del suo addestramento, per adeguarla alle caratteristiche delle nuove sfide alla sicurezza e all'ordine pubblico. (4-07765)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sabato 24 gennaio nel corso di una manifestazione «antifascista», è stata attaccata la sede del partito di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale, la cui saracinesca e muri circostanti sono stati imbrattati con scritte offensive;
   in vista della manifestazione, proprio per evitare possibili provocazioni la sede era rimasta chiusa;
   dal verbale di denuncia effettuata ai carabinieri dai dirigenti locali del partito emerge la seguente ricostruzione dei fatti: «... un gruppo di 35 persone ha iniziato a danneggiare le mura esterne e la saracinesca dell'immobile in cui è ubicata la sede del partito... Sul posto sono state anche rinvenute due bombolette spray... Tale azione delittuosa è stata posta in essere da detti facinorosi nel corso di una manifestazione promossa a mezzo facebook con denominazione «Domani presidio antifascista a Teano. Kollettivo Rebelde Teano». L'episodio è stato anche rivendicato su facebook... »;
   a proposito della manifestazione, sul sito www.infoaut.org sono apparse le seguenti dichiarazioni: «In tanti ci siamo ritrovati a Teano per chiudere le sedi dei fascisti anche sui nostri territori dopo la bellissima giornata di lotta di ieri, sabato 24 Gennaio, quando a Cremona più di 6 mila antifascisti e antifasciste hanno invaso con determinazione le strade di una città blindata per cercare di chiudere il buco degli infami di CasaPound, ancora una volta prontamente difeso dalle forze dell'ordine che non hanno fatto altro che confermare la propria complicità con gli ambienti fascisti e razzisti (ricordiamo che dopo l'aggressione di Cremona i primi ad essere denunciati sono stati i compagni del CSA Dordoni). Abbiamo scelto Teano per chiudere la sede di Forza Nuova (fortunatamente una delle poche presenti in provincia di Caserta) ma, sorpresa delle sorprese, quando i militanti sono arrivati in piazza la sede non c'era più e il logo che fino a due giorni fa era sulla saracinesca era stato prontamente cancellato, dopo la chiamata al presidio degli antagonisti: se gli antifascisti urlano, i fascisti scappano e ritornano nelle fogne. Non hanno fatto altro che confermare la propria vigliaccheria, buoni solo a fare incursioni squadriste in sessanta contro otto, noi invece eravamo tutti lì alla luce del sole a ribadire che l'antifascismo deve essere militante. Diciamo semplicemente che noi siamo pronti a ricacciarli nelle fogne e che ci troveranno sempre per le strade, nelle lotte, dalla parte degli oppressi a lottare per la dignità. Con Emilio nel cuore, da oggi ancor di più, nessuno spazio per i fascisti ed ai commenti dei perbenisti dopo gli scontri di Cremona possiamo rispondere solo così: «Ci chiamavano banditi, ci chiamano teppisti: ieri partigiani oggi antifascisti.» e in calce all'articolo compaiono le sigle «Csoa Tempo Rosso – Spazio CALeS – Kollettivo Rebelde»;
   le frasi riportate dal sito dimostrano chiaramente, ad avviso dell'interrogante, quale clima intimidatorio e di violenza si stia instaurando a danno di chi la pensa diversamente e viene additato, anche erroneamente, di essere «fascista»;
   nella stessa giornata del 24 gennaio 2015 manifestazioni simili a quella di Teano si sono svolte in tutta Italia, dando luogo a scontri e disordini, in particolar modo a Cremona dove in testa ai manifestanti si è messo un gruppo di black-bloc che hanno scatenato una vera e propria guerriglia urbana, causando ingenti danni agli edifici e addirittura alla sede del comando della polizia locale –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine di contrastare queste manifestazioni di violenza a sfondo politico e garantire lo svolgimento senza incidenti di ogni manifestazione, tutelando la sicurezza e la libertà di tutti i cittadini. (4-07770)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella prima mattina del 27 gennaio 2015 è comparso uno striscione nazista negazionista fuori dal parco Yitzhak Rabin in via Panama nel quartiere Parioli a Roma, in coincidenza della ricorrenza della Shoah; lo striscione riportava testualmente «Olocausto menzogna storica. Hitler per mille anni»;
   lo striscione riportava la sigla politica «Militia», a detta di testimoni il gruppetto neonazista di affissori si sarebbe fermato compiaciuto davanti allo striscione per diversi minuti;
   una settimana fa, sei attivisti di «Militia» sono stati condannati dai giudici della seconda sezione penale del tribunale di Roma per aver diffuso tra il 2008 e il 2011 idee fondate sull'odio etnico e razziale anche mediante l'affissione di striscioni per Roma;
   l'inchiesta «Mondo di Mezzo» della direzione distrettuale antimafia di Roma ha svelato che il boss Massimo Carminati coi suoi epigoni – con precedenti pesanti di eversione armata nei NAR aveva nel quartiere Parioli un controllo forte e minuzioso –:
   se il Ministro non intenda adottare delle misure preventive di pubblica sicurezza previste nel nostro ordinamento per prevenire il ripetersi delle iniziative neonaziste a Roma, compresa la vigilanza di obiettivi a rischio come il Parco Rabin, specie in alcune date particolari, cosa che nell'occasione era evidentemente assente;
   quali siano le circostanze nel quartiere Parioli di Roma che hanno consentito la presenza di un gruppetto consistente di neonazisti per molti minuti per portare a termine l'inaccettabile ed illegale bravata negazionista. (4-07785)


   RICCIATTI, PALAZZOTTO, MELILLA, COSTANTINO, NICCHI, KRONBICHLER e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi venti anni l'Italia è stata costantemente oggetto di flussi migratori, a causa della sua prossimità geografica con le aree di provenienza dei migranti;
   a fronte di alcuni picchi straordinari, tuttavia, il numero delle persone richiedenti accoglienza ai sensi della Costituzione, del diritto internazionale e dell'ordinamento interno, presenta elementi di costanza e flussi tutt'altro che ingestibili, soprattutto se paragonati a quelli di altri Paesi europei come Francia o Germania;
   la normativa italiana in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale è una normativa emergenziale e frammentaria, che risente del mancato coordinamento delle norme adottate dal legislatore nel tempo. Con l'adozione del decreto legislativo n. 25 del 2008 (che stabilisce le procedure per l'esame delle domande di protezione internazionale presentate nel territorio nazionale da cittadini di Paesi non appartenenti alla Unione europea o da apolidi, e le procedure per la revoca e la cessazione degli status riconosciuti) – per citare solo un esempio – si è configurato un sistema di accoglienza in parte diverso da quello già previsto dal decreto legislativo n. 140 del 2005 (che contiene le norme relative all'accoglienza degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato nel territorio nazionale), mentre risultano essere lacunose le norme che prevedono condizioni e durata massima dell'accoglienza nelle diverse strutture;
   il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo ad oggi è strutturato in differenti tipologie e strutture, tra le quali i centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA, strutture istituite con decreto interministeriale del 16 febbraio 2006 e dedicate all'accoglienza temporanea, mediamente 48 ore, dei richiedenti asilo), i centri di accoglienza (CDA, istituiti con la legge n. 563 del 1995 che garantiscono una forma di prima assistenza dei richiedenti asilo, in attesa della definizione della loro condizione giuridica sul territorio italiano), il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR, previsto con legge n. 189 del 2002 fondato sul coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali, mira ad affiancare all'accoglienza diverse attività volte ad integrare i soggetti ospitati), i centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA, istituiti con il decreto legislativo n. 25 del 2008 con la finalità di accogliere i richiedenti protezione internazionale nei casi espressamente previsti dall'articolo 20 dello stesso decreto), oltre a diverse strutture legate a fasi emergenziali come quelle dell'emergenza Nord Africa, ad esempio;
   al di là della sovrapposizione normativa, esistono anche problemi afferenti la effettiva applicazione delle norme, come ormai da diverso tempo segnalano gli organi di stampa con accurate inchieste;
   nei CARA, ad esempio benché la legge preveda che non si superino i 35 giorni di permanenza, in attesa che la pratica dei richiedenti protezione sia esaminata dalla commissione territoriale competente, non è infrequente che vi si permanga per periodi che vanno dai 9 ai 12 mesi;
   le condizioni di accoglienza in queste strutture – in genere ex edifici industriali in disuso – spesso sono inadeguate, perché le citate strutture presentano un sovrannumero di ospiti rispetto agli spazi, hanno servizi igienici insufficienti, nonché carenze sotto il profilo dei servizi alla persona;
   tale contesto spesso genera sofferenze e frustrazioni che saltuariamente sfociano in vere e proprie rivolte degli ospiti per le condizioni di degrado nelle quali vivono;
   a destare particolare preoccupazione è anche la condizione di molti richiedenti asilo in strutture temporanee di accoglienza. Una volta terminato il periodo in cui lo stato garantisce accoglienza – generalmente sei mesi – finiscono in strada senza alcuna rete di protezione sociale. La circostanza è peraltro aggravata dal fatto che difficilmente in questo tipo di strutture è possibile, per gli ospiti, svolgere corsi di lingua o di formazione professionale e pertanto, al termine del periodo di accoglienza, per tali persone non vi è altra via che adattarsi;
   molti operatori non esitano a definire tale situazione una vera e propria «bomba sociale». Gli ex ospiti, ormai senza abitazione e senza alcuna forma di sostentamento, non conoscendo a sufficienza – o affatto – la lingua italiana e non disponendo di alcuna rete di supporto, sono in posizione di grande fragilità, costituendo un problema sociale e di sicurezza, rischiando di essere esposti alla commissione di reati per sopravvivere;
   come riporta un documentato articolo apparso sulla testata Internazionale del 3 dicembre 2014, «delle 61.238 persone attualmente in accoglienza, più della metà (32.335) sono in centri temporanei; 10.206 nei Cara e 18.697 in strutture afferenti allo Sprar», che rappresentano l'unico fiore all'occhiello della accoglienza italiana; con vari progetti di integrazione;
   purtroppo, i posti disponibili nelle strutture Sprar – come detto – non sono sufficienti ed anche in ordine ai criteri di assegnazione/smistamento dei richiedenti asilo, in una tipologia di struttura piuttosto che in altra, esistono problemi non risibili, giacché tale attività di assegnazione pare, oggi, guidata più dal caso fortuito che da una procedura specifica e uniformemente applicata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche illustrate in premessa;
   se non ritenga opportuno, anche con iniziative di carattere normativo, razionalizzare la materia dell'accoglienza nel senso di una procedura più chiara ed univoca, in grado di utilizzare al meglio le risorse che lo Stato mette a disposizione;
   nelle more di tale eventuale attività di riordino normativo, come intenda far fronte nell'immediato ai gravi problemi di ordine sociale e di sicurezza causati dalla cessazione dell'accoglienza da parte dello Stato in favore dei soggetti richiedenti protezione. (4-07790)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del giorno 9 aprile 2014 sono giunti a Marghera circa 40 profughi provenienti dalla Sicilia;
   i sindaci di Venezia e Mira secondo quanto riferiscono le notizie di stampa erano stati informati dell'arrivo di questi profughi, da far alloggiare presso due appartamenti di Mestre e presso l'ostello mirese di Giare, solo nel pomeriggio della stessa giornata;
   giunti presso gli uffici di via Nicolodi a Marghera per le operazioni di riconoscimento alcuni profughi hanno forzato le porte degli autobus e sono scappati;
   dei circa quaranta profughi solo 13 sono rimasti a bordo dei mezzi per procedere alle operazioni di riconoscimento mentre gli altri si sono dileguati approfittando della sera;
   l'episodio desta preoccupazione per una serie di considerazioni a partire dal fatto che le coste Siciliane da diversi giorni sono nuovamente meta di approdo di migliaia di profughi;
   è del tutto evidente che gli amministratori locali per quanto meritoriamente solidali verso i profughi e lo Stato non possono essere informati senza un congruo preavviso ovviamente finalizzato a rendere più snelle e operative le procedure di approdo dei profughi anche in termini di sicurezza –:
   in considerazione del fatto che gli sbarchi continuano ad avvenire lungo le coste della Sicilia, se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per evitare il ripetersi di simili episodi e se non intenda riconvocare tutte le regioni e gli enti locali per affrontare per tempo quella che rischia di preannunciarsi come una nuova emergenza umanitaria. (4-07800)


   ARGENTIN. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 dicembre 2014 la prefettura di Roma, a seguito dell'indagine sviluppata dalla procura di Roma su «Mafia Capitale», ha disposto con provvedimento protocollo n. 300288/Area I Bis O.S.P. del 22 dicembre 2014, ai sensi dell'articolo 92, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 159 del 2011 un provvedimento interdittivo antimafia nei confronti del Consorzio Sociale COIN;
   in data 19 dicembre 2014 con determina n. 48, la direzione centrale prestazioni sanitarie e reinserimento dell'INAIL, a seguito della comunicazione della prefettura di Roma di cui al punto precedente, disponeva il recesso immediato anticipato dal contratto di servizio per la gestione di un contact center denominato Superabile sui temi della disabilità aggiudicato da 3 anni con gara europea all'Associazione temporanea di impresa costituita dal Consorzio Sociale COIN (mandataria), la società Redattore Sociale srl, la società Eustema spa, la società West srl e la società Postecom spa;
   con tale recesso veniva ad interrompersi un servizio istituzionale di grandissima rilevanza nazionale dedicato alla disabilità che, mediante vari canali di comunicazione (contact center, portale web, rivista), forniva da oltre 14 anni informazioni, assistenza e consulenza a migliaia e migliaia di persone disabili;
   il recesso contrattuale comporta la perdita del lavoro di quasi 100 operatori del servizio di cui una gran parte costituita da lavoratori disabili appartenenti a società ed enti del tutto estranee alle vicende di mafia capitale;
   il Consorzio sociale COIN ha provveduto a chiedere il 22 dicembre 2014 l'immediato riesame di tale provvedimento risultando del tutto estranea alle indagini risultanti dall'ordinanza e dai sequestri della procura della Repubblica di Roma ed avendo già in data 3 dicembre 2014 provveduto ad escludere dalla compagine sociale e dalle cariche sociali le cooperative legate a Salvatore Buzzi risultando tale partecipazione legata alle origini del COIN avvenuta nel 1995 e comunque al di fuori di scambi e rapporti commerciali con le società riferite al Buzzi medesimo;
   si registra la mancanza, al di là della mera partecipazione societaria, di fatti e situazioni riguardanti il consorzio sociale COIN inerenti all'ordinanza della procura della Repubblica di Roma ed ai sequestri disposti dall'autorità giudiziaria, nonché l'assoluta estraneità delle società in associazione temporanea d'impresa con il COIN che conducono il servizio superabile per INAIL –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare affinché vi sia il ripristino immediato del servizio Superabile con la ripresa dei lavoratori impegnati sino a tutto il 19 dicembre 2014.
(4-07802)


   BRUNO BOSSIO, AIELLO, MAGORNO e STUMPO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il Capogruppo consiliare del PSE del comune di Cosenza, Giuseppe Mazzuca, è stato oggetto di reiterate minacce e intimidazioni. Infatti, nella stessa giornata del 22 gennaio 2015 è stata prima rubata l'autovettura di proprietà del papà e poi, nelle ore successive, danneggiata l'auto di sua proprietà e sono state rivolte gravi minacce all'indirizzo della moglie e dei figli;
   entrambi gli episodi sono stati tempestivamente denunciati presso il locale comando dei carabinieri;
   nel mentre erano in corso le indagini giudiziarie su quanto accaduto, la scorsa notte è stato appiccato un incendio alla sede del PSE, Circolo «Rizzotto», sito a Cosenza in via Popilia, che ha prodotto gravi danni e minacciato l'incolumità di ignari cittadini;
   sul luogo dell'attentato sono intervenuti i vigili del fuoco per domare le fiamme e la DIGOS della questura di Cosenza per i dovuti accertamenti;
   presso la sede del circolo, oltre a riunioni e manifestazioni politico-culturali, si svolge un corso di recupero scolastico con lezioni quotidiane. Solo fino a qualche ora prima dell'attentato la sede ha ospitato 62 bambini impegnati nelle lezioni di doposcuola;
   è stata ricevuta dal prefetto e dal procuratore capo della Repubblica di Cosenza una delegazione di rappresentanti istituzionali al fine di sottolineare e denunciare la gravità degli atti di violenza;
   la tipologia delle intimidazioni si configura con modalità di tipo terroristico e mafioso, dal momento che risulta essere chiaro l'obbiettivo di turbare l'ordine pubblico e la sicurezza sociale ed il tentativo di assoggettare e/o condizionare la stessa attività politico-amministrativa cittadina ed in particolar modo quella del gruppo consiliare comunale del PSE –:
   quali tempestive, utili ed efficaci iniziative il Ministro intenda adottare, considerato l'alto grado di allarme e pericolosità sociale, al fine di garantire adeguati livelli di sicurezza sociale e di ordine pubblico oltre che assicurare la massima tutela allo stesso capogruppo consiliare del PSE del comune di Cosenza, Giuseppe Mazzuca. (4-07804)


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o febbraio 2015 il presidente della commissione antimafia regionale siciliana onorevole Nello Musumeci ha rilasciato al quotidiano La Sicilia un'intervista nella quale, riferendosi al comune di Catania, ha affermato di avere ricevuto «tre, quattro segnalazioni su consiglieri comunali che in campagna elettorale avrebbero ottenuto il sostegno di ambienti malavitosi. Alcuni addirittura parenti e familiari di pregiudicati condannati per reati associativi»;
   nella menzionata intervista l'onorevole Musumeci ha fatto esplicito riferimento a una pratica di voto di scambio per la città di Catania sottolineando come «Questa è una città nella quale gli apparati, i ricatti, le minacce, il voto di ritorno sono ancora pratiche vive e molto ben oleate»;
   ancora recentemente la procura etnea ha condotto inchieste che hanno svelato un intreccio nefasto tra affarismo, criminalità e pubblica amministrazione –:
   se ritenga che sussistano i presupposti per l'invio di una commissione di accesso presso il comune di Catania ai sensi dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-07806)


   LUIGI DI MAIO e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fonti sindacali segnalano al deputato interrogante che il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato, istituito e disciplinato dagli articoli da 14 a 21 del decreto legislativo n. 334 del 2000, non è stato finora mai attivato. È stato, infatti, sospeso ufficialmente, dall'articolo 1, comma 261, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;
   tale sospensione sarebbe dovuta permanere fino a quando non fossero state approvate «le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle Forze di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate», che all'epoca sembrava imminente ma che così non è stato, essendo ormai trascorsi dieci anni dalla data di sospensione e quindici dall'anno della prevista, ma mai attuata, istituzione;
   secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, la mancata attivazione prima e la sospensione poi, del ruolo direttivo speciale ha comportato numerosi problemi e sperequazioni;
   in primo luogo, ha causato un blocco per l'avanzamento in carriera di tutto il personale appartenente al ruolo degli ispettori e ai ruoli inferiori, con grave pregiudizio per gli interessati (che avrebbero potuto godere di un migliore trattamento economico e/o previdenziale);
   in secondo luogo, ha causato la vanificazione dell'intervento legislativo che – nell'ottica del legislatore – avrebbe dovuto equiparare il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile con il personale di pari grado appartenente all'Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza (che continua a godere di un trattamento migliore) e il permanere, dunque, di una disparità di trattamento rispetto al personale militare;
   in terzo luogo, ha comportato una ennesima disparità di trattamento tra gli appartenenti ai ruoli degli ispettori, dei sovrintendenti e degli agenti e assistenti e gli appartenenti al ruolo dei funzionari (per i quali, invece, i concorsi vengono banditi regolarmente);
   infine, ha causato il rischio che nell'ambito delle procedure per il riordino delle carriere ovvero della paventata unificazione delle Forze di polizia, gli appartenenti al ruolo degli Ispettori possano subire un pregiudizio ancora maggiore, anche in considerazione della riduzione dei trattamenti pensionistici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda segnalata, quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga di doversi attivare fine di attivare nel più breve tempo possibile il ruolo direttivo speciale. (4-07813)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   sul sito della prefettura di Como è stato pubblicato recentemente il bando di gara recante «procedura aperta volta alla conclusione di convenzione con enti pubblici ed altri operatori di mercato, nell'ambito del privato sociale, e strutture alberghiere per assicurare i servizi di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale già ospitati e da ospitare nel territorio della provincia di Como per il periodo 1o aprile 2015-31 dicembre 2015»;
   tuttavia nella convenzione del bando di gara (protocollo 1296/2015) all'articolo 1, primo capoverso, viene invece disposto che: «La prefettura di Como, sulla base delle disposizioni del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, indice una procedura di gara aperta ad evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi di accoglienza di cittadini stranieri giunti nel territorio nazionale»;
   all'articolo 1 del bando non viene precisato che i servizi di accoglienza debbano essere destinati ai richiedenti protezione internazionale, bensì viene utilizzato il generico termine «cittadini stranieri giunti nel territorio nazionale», senza alcuna specificazione;
   parimenti nei capoversi successivi dell'articolo 1 non vi è alcun riferimento ai richiedenti protezione internazionale in quanto la «prefettura corrisponderà compensi agli operatori sottoscrittori di apposita convenzione solo se verranno inviati cittadini stranieri presso le loro strutture ed in base al numero realmente ospitato»;
   pertanto, stando a quanto precisato nel bando, tutti i servizi previsti all'articolo 3 (di gestione amministrativa, di assistenza generica alla persona, di pulizia ed igiene ambientale, erogazione dei pasti, fornitura di beni compreso il pocket money di euro 2,50 al giorno) verranno erogati a tutti i «cittadini stranieri giunti nel territorio nazionale» «a seguito degli sbarchi sulle coste italiane» (articoli 1 e 2), senza alcuna distinzione;
   secondo quanto risulta dal bando, «Il valore complessivo presunto del presente appalto è di euro 4.207.500,00 (quattromilioniduecentosettemilacinquecento/00) determinato sulla base dei dati storici relativi al numero di cittadini stranieri accolti nell'ultimo anno sul territorio della provincia di Como»;
   nel mese di giugno 2014 era già stato fatto un analogo bando dalla prefettura di Como per una «spesa presunta (...) stimata in euro 943.670,00 oltre IVA» con termine delle convenzioni stipulate al 31 dicembre 2014, poi prorogate per autorizzazione del Ministero dell'interno;
   a seguito dell'inchiesta della procura di Roma relativa proprio agli appalti e alla gestione dei centri di accoglienza da parte di diverse società cooperative, consorzi ed enti, tra cui la Domus Caritatis, era stata presentata una interrogazione dal gruppo parlamentare della Lega Nord per chiedere chiarimenti sulla stessa cooperativa in quanto risultava ente gestore della struttura di accoglienza di via Sacco e di via Vanzetti, in zona Prestino, a Como –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra riportato, in particolare se i servizi vengano erogati a tutti i cittadini stranieri giunti nel territorio nazionale, quale sia il numero, la nazionalità e le domande di protezione internazionale presentate dai cittadini stranieri giunti nel territorio nazionale e ospitati nell'ambito delle strutture di accoglienza della provincia di Como, quali accertamenti siano stati effettuati o quali iniziative siano state adottate per verificare che non vi siano irregolarità, inchieste o procedimenti giudiziari in corso che coinvolgano gli enti che attualmente gestiscono le strutture di accoglienza nella provincia di Como, nonché gli enti partecipanti all'ultimo bando o che si aggiudicheranno l'appalto stesso; infine, quali verifiche ed accertamenti in merito al coinvolgimento della cooperativa Domus Caritatis nell'inchiesta in corso siano stati ad oggi disposti dal Ministero dell'interno e se alla stessa sia recentemente prorogata qualche convenzione. (4-07815)


   CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che l'Associazione LASCIATECIENTRARE in data 10 gennaio 2015, insieme all'Associazione La Kasbah e all'Associazione Garibaldi 101 abbia condotto una visita presso la struttura SPRAR gestita dalla cooperativa Agape a Carfizzi (Kr), struttura che ospita 36 persone, la maggior parte delle quali provenienti dal Bangladesh, dalla Nigeria, dalla Somalia, dall'Iraq;
   dalla relazione che ne è seguita l'Associazione LASCIATECIENTRARE rileverebbe che l'accoglienza riservata agli ospiti non sia in linea con gli standard imposti dalla legge;
   da quanto emerge dalla relazione stessa gli ospiti denuncerebbero uno stato di disagio «derivante dalla consapevolezza di essere abbandonati a se stessi, di vivere una serie di giorni, di settimane, di mesi tutti uguali a se stessi, vedendosi negati anche i diritti più elementari come quello di avere a disposizione l'acqua calda per lavarsi o di dormire in un posto caldo. Tanto più grave che ciò avvenga all'interno di uno SPRAR, di un progetto che dovrebbe offrire tutele e diritti sia in termini socio-sanitari che di inserimento sociale nei contesti di approdo a individui in fuga da guerra, violenza e tortura»;
   nella relazione emerge inoltre che i richiedenti asilo non sarebbero iscritti al servizio sanitario nazionale. Da pochi giorni infatti sarebbe stato loro rilasciato il codice STP nonostante molti siano in possesso di un regolare permesso di soggiorno;
   tale provvedimento sarebbe stato giustificato, secondo quanto riferito da un operatore, dalla necessità di usufruire delle visite mediche specialistiche evitando di pagare il ticket sanitario. Sarebbe stato fatto loro notare che l'iscrizione al servizio sanitario nazionale è obbligatoria per gli stranieri in regola con il permesso di soggiorno e che, secondo la circolare n. 5-2000 del Ministero della salute, tuttora in vigore, essendo i richiedenti asilo equiparati ai disoccupati italiani iscritti nelle liste di collocamento, sono esonerati dal pagamento del ticket sanitario;
   inoltre, nessuna visita medica specialistica sarebbe stata ad oggi effettuata dai richiedenti asilo ospiti della struttura, ne gli esami ematologici di routine previsti dai progetti SPRAR, ne gli screening infettivologici obbligatori nei casi in cui l'accoglienza sia prevista all'interno di un centro collettivo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei gravi fatti suesposti e se non ritengano doveroso verificare con urgenza la situazione del centro;
   quali interventi urgenti intendano mettere in atto al fine di garantire agli ospiti della struttura una degna permanenza nella tutela dei loro diritti.
(4-07818)


   LUIGI DI MAIO, MASSIMILIANO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la regione autonoma della Valle D'Aosta, ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione italiana, dispone di «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale»;
   lo statuto speciale per la Valle d'Aosta, adottato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, all'articolo 2, comma 1, lettera z) dispone che tale «regione ha potestà legislativa», tra le varie, anche in materia di «servizi antincendi»;
   l'articolo 19 della legge 16 maggio 1978, n. 196 recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta» ha previsto che «le funzioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di servizi antincendi relativi al territorio della Valle d'Aosta si intenderanno trasferite alla regione Valle d'Aosta all'atto dell'emanazione delle relative norme legislative da parte della regione medesima»;
   ciò è avvenuto con la legge regionale della Valle d'Aosta 19 marzo 1999, n. 7 , che, all'articolo 1 recita: «La presente legge disciplina, nel territorio regionale, la prevenzione e l'estinzione degli incendi nonché i servizi di soccorso tecnico urgente attribuiti alla regione, in sostituzione degli organi centrali e periferici dello Stato, ai sensi dell'articolo 19 della legge 16 maggio 1978, n. 196 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Valle d'Aosta)»;
   la legge regionale 19 marzo 1999, n. 7 è stata abrogata e sostituita dalla legge regionale 10 novembre 2009, n. 37, recante «nuove disposizioni per l'organizzazione dei servizi antincendi della Regione autonoma Valle d'Aosta» ove all'articolo 2, comma 3 ha disposto che «ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 196 del 1978, il Corpo valdostano dei vigili del fuoco sostituisce, nel territorio regionale, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e svolge le funzioni e i compiti allo stesso attribuiti»;
   le attuali necessità di revisione della spesa pubblica e di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni impongono oggi un ripensamento sulla frammentazione dei Corpi dei vigili del fuoco, con particolare attenzione alle necessità di accorpamento per migliorare l'integrazione operativa e l'efficienza della sicurezza e del soccorso pubblico;
   secondo quanto riferisce il sindacato autonomo dei vigili del fuoco CONAPO, anche la maggioranza del personale del «Corpo Valdostano dei vigili del fuoco», si è dichiarato favorevole al passaggio nel «Corpo Nazionale dei vigili del fuoco». Il sindacato riferisce altresì di sperequazioni a danno dei vigili del fuoco valdostani relative ad un trattamento previdenziale e pensionistico deteriore rispetto ai vigili del fuoco statali;
   il subentro dello Stato nei servizi antincendi e di soccorso pubblico della Valle D'Aosta (come già esistente sino al 1999) non avrebbe nessuna ricaduta negativa sulla sicurezza dei cittadini valdostani, ma potrebbe invece costituire, previ opportuni accordi Stato-regione, una opportunità sia per i vigili del fuoco valdostani (che si troverebbero equiparati ed integrati con quelli statali), sia per la regione autonoma Valle D'Aosta e per i propri cittadini (che si troverebbero a non dover sostenere gli onerosi costi dei servizi antincendi e di soccorso pubblico);
   sempre secondo quanto riferisce la medesima fonte sindacale sussistono attualmente talune difficoltà di integrazione operativo-logistica tra i due corpi di vigili del fuoco, specie in caso di emergenze e calamità ed è pertanto necessario sfruttare al meglio le comuni esperienze operative e formative –:
   se i Ministri interrogati, anche alla luce dell'accordo da parte dei lavoratori interessati, non ritengano opportuno promuovere un urgente iniziativa che porti alla unificazione del Corpo valdostano e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   se il Ministro dell'interno, nelle more della unificazione dei due corpi, non ritenga opportuno promuovere un «accordo quadro» tra lo Stato e la regione autonoma della Valle d'Aosta, al fine di iniziare un processo di integrazione operativa e accorpamento degli acquisti, con indubbio vantaggio in termini di efficienza e risparmio della spesa pubblica. (4-07819)


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la società «Industria del Legno Pino Spagnoletti S.r.l.» svolge attività di produzione e vendita nel settore legno ed ha alle proprie dipendenze più di 30 lavoratori;
   le organizzazioni sindacali hanno più volte denunciato la condotta antisindacale dell'azienda nei confronti dei propri rappresentanti sindacali e tale condotta è al vaglio dell'A.G. competente;
   in data 2 gennaio 2015, la società ha provveduto a comunicare, a mezzo raccomandata a.r., ad alcuni dipendenti, l'intenzione di procedere nei loro confronti al licenziamento per un presunto giustificato motivo oggettivo;
   i suddetti lavoratori sono tutti iscritti alla Fillea CGIL;
   dal 12 gennaio 2015 i lavoratori iscritti al suddetto sindacato hanno indetto, per il tramite della propria organizzazione sindacale di riferimento, uno sciopero «avverso i licenziamenti discriminatori intimati ai propri colleghi, ma anche al fine di far cessare tutte le condotte datoriali che si sono poste in contrasto con la disciplina del rapporto di lavoro così come definita dalla legge e dal CCNL di settore»;
   l'organizzazione sindacale denuncia che «ad aggravare la già pesante situazione si è aggiunto anche l'ulteriore gravissimo comportamento posto dal titolare il quale, nella giornata del 15 gennaio 2015, alle ore 8,00, già presente in Azienda, si è recato presso il presidio dei lavoratori scioperanti regolarmente posto a circa 100 metri lontano dall'ingresso della stessa ed ha intimato ai lavoratori presenti di rientrare al lavoro e di disdettare la loro adesione all'organizzazione sindacale in quanto per loro dannosa»;
   i partecipanti allo sciopero sono stati convocati presso gli uffici della locale P.G. per riferire in merito alle modalità individuali di partecipazione al suddetto stato di agitazione –:
   se il Ministro interrogato non intenda, attraverso l'ufficio territoriale del Governo, promuovere un incontro tra le parti al fine di favorire il confronto.
(4-07826)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   al comma 2 dell'articolo 15, del decreto-legge n. 104 del 12 settembre 2013, convertito dalla legge n. 128 dell'8 novembre 2013, si pone quale obiettivo quello di assicurare continuità al sostegno degli alunni con disabilità attraverso l'incremento dell'organico di diritto fino alla concorrenza del 90 per cento dell'organico di fatto nel 2014-2015 e del 100 per cento nel 2015-2016, determinato in base ai posti complessivamente attivati nell'anno scolastico 2006-2007 e cioè 90.032 su base nazionale;
   l'organico di fatto attribuito alla provincia di Bari nell'ultimo triennio è stato pari a 2.949, come si evince dalle note dell'ufficio scolastico regionale n. 4853 dell'11 luglio 2013 e n. 7899 del 23 luglio 2014. Tale organico di fatto era costituito da 2387 cattedre in organico di diritto e da 562 cattedre aggiuntive, come risulta dal citato decreto dell'ufficio scolastico regionale Puglia n. 7899 del 23 luglio 2014;
   dei 562 posti aggiuntivi, 542 erano in capo alla scuola secondaria di secondo grado, numero che si ottiene sottraendo dal numero dell'organico di fatto, 983, come da nota 19 luglio 2013 dell'ufficio scolastico provinciale di Bari, il numero delle cattedre in organico di diritto, ovvero 441, come da decreto dell'ufficio scolastico regionale dell'11 aprile 2014 prot. n. AOODRPU.4089;
   nell'anno scolastico 2013-2014, alla scuola secondaria di secondo grado della provincia di Bari venivano assegnate 983 cattedre consolidate, di cui 441 di diritto e 542 aggiuntive, mentre agli altri ordini di scuola venivano complessivamente assegnate 1966 cattedre, di cui 1946 in organico di diritto e 20 aggiuntive, con un evidente squilibrio nel riparto nei vari ordini dell'organico di diritto. Di fatto, mentre per la scuola superiore il rapporto, di 441 posti di diritto su 983 posti complessivi dell'organico di fatto, porta al 45 per cento circa di copertura, negli altri ordini si è già raggiunto quasi il 100 per cento, considerando complessivamente il rapporto di 1946 posti di diritto su 1966 di organico di fatto;
   in data 11 aprile 2014 l'ufficio scolastico regionale della Puglia con proprio decreto n. 4089 ripartiva in questo modo l'incremento dell'organico di diritto attribuito alla provincia di Bari per complessivi 355 posti: 36 alla scuola dell'infanzia, 89 alla primaria, 53 alla secondaria di primo grado ed, infine, 177 alla scuola secondaria di secondo grado, portando i nuovi organici di diritto a 293 cattedre alla scuola dell'infanzia, che con 510 alunni ha un rapporto di un docente per 1,74 alunni (al di sopra della media voluta dalla norma), 1030 cattedre alla primaria per 1785 alunni con un rapporto di un docente per 1,74 alunni, 801 alla secondaria di primo grado per 1404 alunni con un rapporto di un docente per 1,75 alunni, ed infine 618 cattedre alla secondaria superiore per complessivi 1858 alunni con un rapporto di un docente per 3 alunni;
   il provveditore agli studi di Bari con propria nota del 25 luglio 2014, sulla base del citato decreto 7899 dell'ufficio scolastico regionale Puglia, comunicava che le cattedre in organico di fatto delle scuole secondarie superiore non erano più 983, come il precedente anno scolastico, ma 818, tagliando circa 160 cattedre. Una decisione che appare agli interpellanti poco comprensibile se si considera che nella provincia di Bari le iscrizioni degli alunni con disabilità alle scuole secondarie superiori sono aumentate di circa 100 unità, da 1838 (anno scolastico 2013/14) a 1952 (anno scolastico 2014/15). Inoltre, il rapporto fra organico di diritto e organico di fatto, pur con la diminuzione di quest'ultimo, non rispetta i parametri imposti dal decreto n. 104 del 2013, visto che si raggiunge la copertura del 75 per cento circa, invece del 90 per cento per l'anno 2014-2015;
   l'ufficio scolastico provinciale di Bari ha convocato il giorno 11, 12 e 15 settembre 2014 i docenti delle aree AD01, AD02, AD03 e AD04 e ha pubblicato in data 10 settembre le disponibilità delle cattedre per queste aree; da tali disponibilità si evince che le cattedre in prima convocazione risultano essere 223 + 90 spezzoni orari circa, a fronte di numeri ben diversi per l'anno scolastico 2013/14, ovvero 553 + 81 spezzoni circa in prima convocazione;
   appare chiaro come sarà necessario assegnare ulteriori cattedre per rispettare i rapporti docente/alunni, secondo le normative vigenti, e che queste saranno assegnate con il meccanismo della deroga, creando disagi e ingiustizie, non solo per gli alunni diversamente abili e le loro famiglie, costretti molte volte anche a restare a casa per qualche settimana, ma anche per i docenti precari che dovranno attendere le deroghe per vedere riconosciuto quello che è in realtà un posto consolidato;
   il Tar Puglia, nell'ordinanza n. 42 del 2015, emessa a seguito del ricorso dei docenti, dice con molta chiarezza che «con il contestato modus operandi, l'amministrazione ha in effetti determinato un'artificiosa alterazione dell'ordine di scelta in relazione alle sedi di servizio contemplate negli elenchi di cui si controverte, in palese violazione del criterio meritocratico e con l'effetto aberrante di penalizzare i soggetti collocati in graduatoria in posizione migliore» –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   se non ritenga che si sia verificata una condizione contraria a quanto stabilito dal decreto-legge n. 104 del 2013;
   se non ritenga che questa situazione richieda un intervento immediato per garantire la continuità didattica per gli alunni diversamente abili delle scuole secondarie di secondo grado;
   se non ritenga doveroso intervenire per approfondire e fare luce sulle cause che hanno portato alla riduzione dell'organico di fatto per le scuole superiori di secondo grado della provincia di Bari, a fronte di un aumento della popolazione studentesca.
(2-00828) «Scotto, Fratoianni, Pannarale».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – per sapere:
   per la prima volta nell'anno accademico 2014-2015 gli esami di accesso alle scuole di specializzazione si sono svolti con le modalità del concorso nazionale; ma offrendo ai giovani medici la possibilità di tre diverse opzioni c’è stato un significativo rallentamento nello scorrimento delle graduatorie, con i prevedibili disagi per coloro le cui scelte dipendevano da quelle di altri; ad oggi tale scorrimento di fatto non si è ancora concluso;
   contestualmente è stato pubblicato un decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che riduce di un anno la durata di tutte le scuole di specializzazione e quindi richiede un compattamento delle attività formative per consentire ai medici di raggiungere in meno tempo gli standard di qualità professionale previsti dai piani di studio nazionali ed europei e finora distribuiti in un arco di tempo più ampio;
   non a caso il decreto prende in esame gli ordinamenti didattici delle scuole di specializzazione, con i relativi obiettivi formativi, e rivede la distribuzione dei crediti fra le attività previste, precisando che almeno il 70 per cento della formazione dovrà essere dedicato allo svolgimento di attività professionalizzanti, attraverso opportuni periodi di tirocinio negli ambiti specifici di ogni scuola di specializzazione;
   il decreto mette in evidenza che proprio per consentire ai giovani medici di acquisire nel miglior modo possibile le indispensabili competenze professionalizzanti, gli specializzandi potranno fare il loro percorso all'interno di una rete formativa più ampia che include, oltre alle strutture universitarie, anche i presidi ospedalieri e le strutture territoriali del Servizio sanitario, attraverso un meccanismo rigoroso di accreditamento che si avvale di specifici parametri valutativi;
   la minore durata della specializzazione consentirà ai giovani medici di specializzarsi in anticipo e di entrare prima nella professione, permettendo di recuperare un certo numero di borse da mettere a disposizione dei neolaureati;
   l'obiettivo è quello di far assumere agli specializzandi una progressiva responsabilità durante il periodo di formazione, che garantisca loro piena autonomia professionale entro la fine dell'ultimo anno di corso; l'integrazione fra il sistema sanitario e quello universitario dovrebbe creare quindi sinergie efficaci non solo negli anni della formazione specialistica, ma anche successivamente nella reciproca collaborazione professionale –:
   come intenda il Ministro garantire uno scorrimento delle graduatorie più veloce ed efficace che consenta ai neo-specializzandi di inserirsi il prima possibile nella propria scuola di specializzazione, tenendo conto che la stessa ha durata ridotta;
   se non intenda aumentare il numero delle domande a scelta multipla di tipo specialistico, presenti nell'attuale bando di concorso, proprio tenendo conto del fatto che, essendo più breve la durata delle scuole, conviene che i livelli di accesso riflettono un maggior livello di competenze almeno sotto il profilo scientifico-culturale mentre attualmente, come è noto, «solo» 10 domande, hanno contenuto specialistico pur avendo un punteggio doppio rispetto a quelle del tronco comune, ciò non consente, secondo l'interrogante, di effettuare una selezione efficace sulla base dei requisiti già posseduti dagli aspiranti alle diverse specialità. (5-04615)


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   per la prima volta nell'anno accademico 2014-2015 gli esami di accesso alle scuole di specializzazioni si sono svolti con le modalità del concorso nazionale; ma offrendo ai giovani medici la possibilità di tre diverse opzioni c’è stato un significativo rallentamento nello scorrimento delle graduatorie, con i prevedibili disagi per coloro le cui scelte dipendevano da quelle di altri; ad oggi tale scorrimento di fatto non si è ancora concluso;
   contestualmente è stato pubblicato un decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che riduce di un anno la durata di tutte le scuole di specializzazione e quindi richiede un compattamento delle attività formative per consentire ai medici di raggiungere in meno tempo gli standard di qualità professionale previsti dai piani di studio nazionali ed europei e finora distribuiti in un arco di tempo più ampio;
   non a caso il decreto prende in esame gli ordinamenti didattici delle scuole di specializzazione, con i relativi obiettivi formativi, e rivede la distribuzione dei crediti fra le attività previste, precisando che almeno il 70 per cento della formazione dovrà essere dedicato allo svolgimento di attività professionalizzanti, attraverso opportuni periodi di tirocinio negli ambiti specifici di ogni scuola di specializzazione;
   il decreto mette in evidenza che proprio per consentire ai giovani medici di acquisire nel miglior modo possibile le indispensabili competenze professionalizzanti, gli specializzandi potranno fare il loro percorso all'interno di una rete formativa più ampia che include, oltre alle strutture universitarie, anche i presidi ospedalieri e le strutture territoriali del servizio sanitario, attraverso un meccanismo rigoroso di accreditamento che si avvale di specifici parametri valutativi;
   la minore durata della specializzazione consentirà ai giovani medici di specializzarsi in anticipo e di entrare prima nella professione, permettendo di recuperare un certo numero di borse da mettere a disposizione dei neolaureati;
   l'obiettivo è quello di far assumere agli specializzandi una progressiva responsabilità durante il periodo di formazione, che garantisca loro piena autonomia professionale entro la fine dell'ultimo anno di corso; l'integrazione fra il sistema sanitario e quello universitario dovrebbe creare quindi sinergie efficaci non solo negli anni della formazione specialistica, ma anche successivamente nella reciproca collaborazione professionale –:
   come intenda il Ministro garantire uno scorrimento delle graduatorie più veloce ed efficace che consenta ai neo-specializzandi di inserirsi il prima possibile nella propria scuola di specializzazione, tenendo conto che ha durata ridotta;
   se non intende aumentare il numero delle domande a scelta multipla di tipo specialistico, presenti nell'attuale bando di concorso, proprio tenendo conto che, essendo più breve la durata delle scuole, conviene che i livelli di accesso riflettano un maggior livello di competenze almeno sotto il profilo scientifico culturale e che attualmente, come è noto vi sono «solo» di 10 domande, che pur avendo un punteggio doppio rispetto a quelle del tronco comune non consentono di effettuare una selezione efficace sulla base dei requisiti già posseduti dagli aspiranti alle diverse specialità. (5-04616)


   CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, BRESCIA, DI BENEDETTO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come dimostrano i numerosi articoli comparsi su testate giornalistiche on line di settore e non, molti docenti con contratto a tempo determinato per supplenze brevi e brevissime lamentano, ancora in data odierna, il prolungarsi dei ritardi nei pagamenti degli stipendi per i mesi di ottobre-novembre-dicembre 2014 e gennaio 2015, nonostante le numerose rassicurazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulle emissioni speciali effettuate allo scopo di saldare quanto dovuto;
   a giustificazione del ritardo nei pagamenti, che purtroppo è ormai prassi che si ripete annualmente e non emergenza isolata, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha prontamente risposto con la giustificazione dell'inaspettato aumento del +11 per cento delle supplenze per il periodo compreso tra settembre e novembre 2014 e ha messo in atto, a giudizio degli interroganti, il gioco del rimpallo di responsabilità, incolpando le segreterie scolastiche di inefficienza;
   una parte dei 64,1 milioni di euro stanziati sono confluiti nei POS (punti ordinanti di spesa) delle scuole insolventi, ma senza coprirli per intero: alcuni insegnanti precari hanno potuto veder saldato il solo stipendio del mese di ottobre 2014 ma molti altri sono tuttora in attesa del saldo poiché il Ministero dell'economia e delle finanze, come accade ogni anno a fine esercizio finanziario, ha azzerato le eventuali giacenze al 31 dicembre 2014 del cedolino unico;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, in accordo con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha autorizzato delle emissioni speciali per il pagamento delle retribuzioni arretrate in data 15 gennaio (tramite messaggio Noipa n. 164/2015), 16 gennaio (tramite messaggio Noipa n. 165/2015) e 19 gennaio (tramite messaggio Noipa n. 005/2015), emissioni che, tuttavia, non risultano ancora andate a buon fine;
   in tal caso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha attribuito la colpa dei ritardi, tramite una nota indirizzata agli Uffici scolastici regionali, ai dirigenti e ai revisori dei conti da parte della direzione generale per le risorse umane e finanziarie del Ministero, ad un bug informatico della piattaforma Noipa che avrebbe mandato in tilt il sistema;
   a tutt'oggi, nonostante le suddette emissioni speciali da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e le innumerevoli rassicurazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sull'avvenuto saldo degli stipendi arretrati, un considerevole numero di docenti con contratti a tempo determinato su supplenze brevi lamenta il mancato pagamento –:
   se il Governo intenda stabilire una data certa per il pagamento degli stipendi dei supplenti;
   se il pagamento degli arretrati di cui in premessa verrà corrisposto in un'unica soluzione in modo da sopperire ai ritardi finora accumulati che hanno causato notevoli disagi ai docenti;
   se il Governo intenda operarsi per evitare il ripetersi in futuro della situazione attuale e per attivare un metodo di pagamento diretto degli stipendi dei docenti da parte del Ministero dell'economia e delle finanze onde evitare i molteplici passaggi che a tutt'oggi contribuiscono all'accumulo dei ritardi. (5-04631)


   CAPUA e VARGIU. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro ha annunciato che verranno assunti 1.500 ricercatori in due anni negli atenei virtuosi;
   la situazione attuale dell'università è tutt'oggi oggetto di critiche in quanto condizionata da clientelismi e nepotismi;
   solo recentemente è stata inserita per i professori di prima e seconda fascia l'abilitazione nazionale secondo criteri oggettivi, ma ad oggi non c’è alcun meccanismo di valutazione dei ricercatori in ruolo e di quelli di nuova assunzione che spinga verso un reclutamento virtuoso nei concorsi;
   si dovrebbero introdurre per i ricercatori, criteri chiari e precisi sulla falsa riga dell'abilitazione scientifica nazionale (ASN), stabiliti su scala nazionale e sottratti alla arbitrarietà delle strutture locali e allo stesso tempo occorrerebbe introdurre una responsabilità civile per le commissioni e sottrarle al controllo dei gruppi di potere locali;
   sarebbe semplice stabilire una soglia minima di ammissione anche per i ricercatori, considerando il precedente dell’ abilitazione scientifica nazionale;
   i ricercatori potrebbero autovalutarsi secondo i criteri dell’ abilitazione scientifica nazionale ed includere detta valutazione nella domanda di assunzione, che sarebbe oggetto di valutazione ex post;
   quindi, prima di riaprire il tema del reclutamento dei 1.500 nuovi ricercatori è necessario discutere e definire nuove regole che si basino su rigidi criteri meritocratici;
   i ricercatori sono i principali attori della ricerca, ed è essenziale reclutare i più virtuosi;
   alcuni ricercatori sono già vincitori di bandi di ricerca competitivi, finanziati da organismi nazionali ed internazionali e queste professionalità devono essere valorizzate;
   è importante non continuare in un regime di assenza di regole che non premia i virtuosismi –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo il Governo intenda intraprendere al fine di definire un sistema di regole che premi e valorizzi il merito e la capacità individuale dei ricercatori di nuova assunzione. (5-04640)


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di Stato recentemente ha accolto il ricorso di due studenti che, iscritti alla facoltà di medicina e chirurgia di Timisoara in Romania, avevano chiesto il trasferimento all'università di Messina. La loro richiesta era stata subordinata al superamento dei test di ammissione alla facoltà, così come prevede attualmente la normativa italiana. I giudici hanno dato ragione ai due studenti già iscritti in Romania ritenendo che la richiesta dell'università di Messina andasse contro le normative europee sulla libertà di circolazione. La sentenza comunque prevede che gli atenei verifichino il percorso formativo dello studente prima di ammetterlo;
   in Italia il numero degli studenti ammessi a frequentare la facoltà di medicina è rigorosamente sottoposto ad una programmazione in cui sono coinvolti il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero della salute, le regioni e le singole facoltà di medicina per coordinare una serie complessa di fattori come ad esempio il fabbisogno complessivo di medici valutato su base nazionale, il potenziale formativo delle singole facoltà e le risorse disponibili per accedere successivamente alle scuole di specializzazione;
   si ha ben presente l'attuale situazione italiana che prevede circa 80.000 domande di accesso agli esami di ammissione alla facoltà di medicina per circa 8.000 posti disponibili, con una selezione di 1 a 10;
   come molti degli studenti che non hanno superato il test di accesso alla facoltà di medicina, attualmente su base nazionale, si recano all'estero in Paesi in cui l'iscrizione alla facoltà di non prevede nessuna selezione previa, dalla Romania all'Albania, per citare solo le sedi verso le quali gli studenti si orientano con maggiore frequenza, perché ritenute anche più accessibili nella loro proposta formativa complessiva;
   come gli studenti in questione avevano fatto ricorso al TAR per sostenere il loro diritto a frequentare la facoltà di medicina a Messina, e il TAR aveva dato loro ragione, obbligando l'università di Messina ad accoglierli, per cui quest'ultima a sua volta aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato, che le ha dato torto;
   non appare priva di ambiguità la recentissima sentenza del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria, nella quale si afferma che se uno studente di medicina iscritto in un'università dell'Unione europea decide di venire in Italia per proseguire gli studi non ha alcun obbligo di sottoporsi al test di ammissione previsto per iscriversi al primo anno;
   leggendo i termini concreti della sentenza emessa dal Consiglio di Stato, si evince che la ratio per cui il trasferimento degli studenti vada comunque accettato si regge su due presupposti: da un lato la mancata equipollenza degli standard formativi previsti dalla prova di ammissione italiana rispetto a quelli di un'eventuale università straniera; dall'altro, la considerazione che una prova selettiva predisposta ai soli fini della iscrizione al primo anno, perderebbe di valore nel caso in cui ci si volesse iscrivere ad uno degli anni successivi. Il combinato disposto dei due fattori si porrebbe in contrasto con il principio di libertà di circolazione degli studenti;
   il limite finora posto da tutte le facoltà di medicina italiane contrasterebbe con la normativa europea sulla libera circolazione degli studenti, in quanto il test italiano è previsto per chi deve accedere al primo anno di studi e quindi non può diventare un ostacolo alla scelta autonoma degli studenti di trasferirsi successivamente da una università all'altra, anche se in Paesi diversi da quello in cui si è fatta la prima iscrizione;
   va apprezzato per altro il criterio restrittivo posto dalla sentenza nel diritto irrinunciabile delle facoltà a verificare il livello delle competenze raggiunte dagli studenti che fanno domanda di trasferimento, anche in funzione dei posti che si siano effettivamente resi disponibili negli anni successivi al primo;
   il conseguimento della laurea costituisce fattore necessario ma non sufficiente per l'esercizio della professione medica, dal momento che la specializzazione ne è il complemento necessario per svolgere il proprio lavoro in strutture pubbliche, ma ciò nonostante si ha ancora un numero drammaticamente limitato di borse di studio –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere affinché gli atenei in genere e le facoltà di medicina in particolare possano garantire quella che a tutti gli effetti è una loro specifica responsabilità, ovvero offrire qualità nella formazione a quegli studenti, che in virtù della normativa attuale hanno seguito il percorso previsto, rispettandone tempi e modi, e che ciò nonostante, si sentono continuamente scavalcati a causa di situazioni che rischiano di far saltare ogni possibile programmazione concordata nelle sedi referenti. (5-04642)


   GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dai media il comune di Roma avrebbe aumentato del 300 per cento la tassa raccolta rifiuti per le scuole paritarie rispetto a quella applicata alle scuole statali;
   quella dell'amministrazione capitolina appare una scelta determinata da mere finalità di tipo economico, per non dire più banalmente di cassa, che si scaricherà sulle famiglie romane; queste, infatti, oltre a pagare come tutti le tasse per la scuola pubblica statale, vedranno aumentare in modo spropositato le rette annuali che pure pagano in aggiunta alle tasse per aver deciso, all'interno del sistema integrato della scuola pubblica, di optare per quella paritaria in nome della libertà di educazione; senza contare che questa decisione potrebbe far saltare i bilanci di molti istituti paritari e rischia di determinare un aggravamento degli oneri a carico della finanza pubblica per effetto dell'aumento del numero di alunni costretti a riversarsi nelle scuole pubbliche statali;
   le scuole paritarie del Lazio hanno già dovuto subire nello scorso anno la mancata erogazione, da parte della regione, di oltre 25 milioni di euro per l'individuazione da parte della giunta regionale di altre priorità nel rispetto dei vincoli di bilancio legati al patto di stabilità;
   l'aumento della tassa per la raccolta rifiuti, applicata alle scuole paritarie, oltre a rappresentare secondo l'interrogante una azione discriminatoria nei confronti degli istituti paritari, e quindi in violazione dell'articolo 3 della Costituzione, mina alla base la libera scelta educativa della famiglie, altro principio costituzionalmente garantito;
   si ricorda che le scuole pubbliche paritarie fanno pienamente parte di diritto e di fatto del Sistema nazionale di istruzione e formazione integrati, ai sensi della legge n. 62 del 2000 –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di assumere le necessarie iniziative normative affinché tale decisione che appare all'interrogante lesiva dei diritti di uguaglianza e della libertà di scelta educativa espresso negli articoli 3, 30 e 33 della Carta costituzionale, possa essere prontamente riconsiderata. (5-04652)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ, CAPEZZONE, PALESE, LATRONICO, MARTI e ALTIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2015, recentemente licenziata dal Parlamento, all'articolo 1, comma 341, ha disposto una ulteriore riduzione di 1 milione di euro del fondo annuale di funzionamento degli istituti AFAM. Si tratta di una decisione che, a fronte di un trascurabile risparmio di risorse pubbliche, aggrava ulteriormente le già forti difficoltà di bilancio degli Istituti;
   il fondo in questione nel corso degli anni è stato progressivamente falcidiato nella misura complessiva del 50 per cento, ed una ulteriore diminuzione appare insostenibile. Tanto più che una recente sentenza della Corte di Cassazione ha formalmente esonerato le amministrazioni provinciali da ogni obbligo nei confronti di conservatori ed accademie, stabilendo che tali Istituti, in ragione della legge di riforma n. 508 del 1999, dovranno farsi carico di tutte le spese di funzionamento, tra cui le utenze e la manutenzione ordinaria e straordinaria, attingendo ai trasferimenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (sentenza Cassazione 12 settembre 2014, n. 19287);
   in questi giorni dalle informazioni attinte presso gli uffici ministeriali AFAM si è appreso che in realtà la decurtazione del fondo di funzionamento 2015 sarebbe molto più consistente rispetto a quanto previsto formalmente nella legge di stabilità. La misura della riduzione sarebbe infatti del 50 per cento sullo stanziamento del 2014 e le disponibilità ammonterebbero a 4,7 milioni di euro complessivi per tutto il comparto di conservatori ed accademie. Una cifra che appare drammaticamente inadeguata;
   se questo corrispondesse a verità, i bilanci di previsione 2015 degli istituti sarebbero del tutto compromessi ed il sistema a rischio collasso. Gli Istituti peraltro sarebbero costretti ad aumentare in modo considerevole e straordinario le quote di iscrizione a carico degli allievi e delle loro famiglie per poter far fronte alle spese elementari di funzionamento, come il riscaldamento, l'elettricità ed i consumi telefonici –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che la vistosa riduzione del fondo di funzionamento decreti di fatto il collasso del sistema AFAM già ampiamente mortificato dalle ultime scelte governative. (4-07716)


   VARGIU. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a differenza di molte branche della medicina, la specializzazione di chirurgo maxillo-facciale non viene riconosciuta all'estero in modo uniforme;
   nell'ambito dell'Unione europea, il riconoscimento di tale specializzazione è molto difforme. In alcuni Paesi come Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Spagna, Italia, Ungheria, Lituania, Norvegia, Polonia e Portogallo è richiesta la sola laurea in medicina e chirurgia. In altri Paesi come Germania, Grecia, Lettonia, Regno Unito, Romania, Svizzera e Austria è richiesta la doppia laurea in medicina e odontoiatria. Mentre in altri Paesi ancora come Estonia, Finlandia, Olanda, Slovacchia, Svezia, Slovenia e Turchia le regole non sono definite in modo così rigido;
   questa diversa regolamentazione finisce per limitare l'esercizio della specializzazione di chirurgia maxillo-facciate a molti giovani medici italiani, dal momento che il solo titolo di laurea in medicina e chirurgia non permette loro di accedere ai concorsi ovvero a posizioni di ruolo in quei Paesi nei quali è obbligatorio il doppio titolo (MD e DMD);
   esiste pertanto una situazione paradossale in conseguenza della quale, ad esempio, uno specialista in chirurgia maxillo-facciale laureatosi in Italia non può esercitare nel Regno Unito o in Germania, mentre uno specialista laureatosi nel Regno Unito o in Germania può esercitare in Italia, così come in tutti i Paesi dell'Unione europea in cui è prevista la sola laurea in medicina e chirurgia;
   in Italia, la normativa in materia di specialistica per il chirurgo maxillo-facciale prevede undici anni di corso: sei necessari per conseguire la laurea in medicina e chirurgia e cinque necessari per il corso di specializzazione;
   per quanto attiene la figura del medico odontoiatra, con il decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270, ed il decreto ministeriale 16 marzo 2007, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca istituisce la classe delle lauree magistrali in odontoiatria e protesi dentaria, stabilendo la durata di 6 anni con 360 crediti formativi, di cui almeno 90 professionalizzanti;
   questa diversa regolamentazione nell'ambito dell'Unione europea, finisce per penalizzare numerosi giovani medici specialisti di maxillo i quali, proprio a causa della carenza di sbocchi lavorativi nel nostro Paese, si vedono costretti a prendere una seconda laurea di odontoiatria, pur di poter esercitare in nazioni che offrono migliori opportunità lavorative, come la Germania o il Regno Unito;
   gli insegnamenti ed i crediti formativi universitari previsti nei due corsi di laurea magistrale medicina e odontoiatria e nella scuola di specializzazione in chirurgia maxillo-facciale sono sostanzialmente analoghi –:
   se non valuti opportuno avviare delle iniziative volte a modificare la normativa vigente al fine di riconoscere reciprocamente le materie comuni ed affini del corso di laurea in medicina e chirurgia con specializzazione in chirurgia maxillo-facciale e del corso di laurea in odontoiatria, in modo tale da dare lo stesso riconoscimento formale ai crediti formativi universitari acquisiti nell'ambito dei suddetti corsi di laurea, magari anche concedendo al medico specialista in chirurgia maxillo-facciale di conseguire la laurea in odontoiatria attraverso la sola acquisizione dei crediti CFU professionalizzanti dell'ultimo anno del corso di laurea, consentendo così ai giovani specialisti italiani di vedersi riconosciuta la specializzazione in tutti i Paesi dell'Unione europea, in particolar modo in quelli che offrono più chance di lavoro. (4-07772)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-04617, annunciato nella seduta del 24 aprile 2014, l'interrogante ha affrontato la questione dei ricercatori in attesa do presa di servizio (RAP), vale a dire quei vincitori di concorsi per la specializzazione medica che si sono poi visti rifiutare l'assunzione perché l'università che aveva bandito il concorso nel lasso di tempo compreso tra lo svolgimento dello stesso e le conseguenti assunzioni sono diventate «non virtuose» e, di conseguenza, non possono effettuare assunzioni;
   nello specifico l'università di Bari in seguito all'assegnazione dei punti organico 2014 ha deciso di assumere solo due dei sei ricercatori, optando per la progressione di carriera di dipendenti che già percepiscono uno stipendio e scegliendo di continuare a lasciare in attesa i ricercatori che già si trovano da anni in questa incresciosa situazione;
   tra i ricercatori ancora esclusi dall'assunzione si trovano anche ricercatori per i quali la legge non vieta l'assunzione, perché sono vincitori di posti cofinanziati dal Ministero –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di consentire l'assunzione dei ricercatori in attesa di presa di servizio, riconoscendo il loro diritto al lavoro in forza della regolarità della procedura con la quale essi sono risultati vincitori di concorso.
(4-07774)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il corso di laurea in scienze della formazione primaria, istituito a norma dell'articolo 3, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341, cui ha fatto seguito, con il decreto ministeriale 26 maggio 1998, la creazione della relativa facoltà, a partire dal 2003 abilita pienamente all'esercizio della professione di maestro nella scuola primaria e dell'infanzia, previo superamento di una prova di ammissione con valore concorsuale e di un percorso accademico strutturato in 40 esami, 8 laboratori e 4 tirocini, al cui termine si svolge la discussione della tesi di laurea che ha valore di esame di Stato, dinanzi a un ispettore del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   l'articolo 5, comma 3, della legge 28 marzo 2003, n. 53, ora abrogato, prevedeva che i laureati in Scienze della formazione primaria fossero inseriti nelle graduatorie permanenti previste dall'articolo 401 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, per l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola;
   l'articolo 1, comma 605, della legge n. 296 del 2006, ha trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, impedendo di fatto nuovi inserimenti, prevedendo al contempo una fase transitoria «procedendo ad eventuali adattamenti», in attesa di un nuovo sistema di abilitazione e formazione nonché un nuovo sistema di reclutamento;
   il primo adattamento ha avuto luogo con il decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, che, all'articolo 5-bis, ha previsto l'iscrizione a domanda nelle graduatorie ad esaurimento dei «docenti che hanno frequentato i corsi del IX ciclo presso le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SSIS) o i corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), attivati nell'anno accademico 2007/2008, e hanno conseguito il titolo abilitante»;
   la medesima sorte non è toccata agli studenti immatricolati negli anni accademici 2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011, i quali sono stati esclusi da questo importantissimo canale di reclutamento sulla base di un mero criterio temporale;
   dall'anno accademico 2011/2012, il corso quadriennale di scienze della formazione primaria è stato abolito e sostituito da un corso quinquennale, al termine del quale non è previsto l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento;
   il secondo adattamento ha avuto luogo con il decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, che al comma 2-ter dell'articolo 14, ha istituito una fascia aggiuntiva nelle graduatorie ad esaurimento prevedendo, tuttavia, l'accesso alla stessa agli abilitati entro il mese di marzo 2012, ovvero per coloro che hanno conseguito il titolo entro l'anno accademico 2010/2011;
   i due citati provvedimenti hanno, quindi, permesso l'accesso alle graduatorie ad esaurimento di determinati soggetti laureati con il corso in scienze della formazione primaria quadriennale, continuando ad escluderne altri in possesso della medesima formazione, sulla base di meri requisiti temporali –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di sanare la posizione dei soggetti iscritti al corso di laurea in scienze della formazione primaria sinora esclusi, al fine di garantire ad essi parità di trattamento rispetto ai loro colleghi già iscritti nelle graduatorie ad esaurimento. (4-07775)


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 febbraio 2015, l'agenzia di stampa Ansa ha riportato la notizia di un supplente di storia e filosofia del Liceo scientifico Galilei di Ancona – un ex sacerdote ridotto allo stato laicale – allontanato dalla scuola per la fortuita scoperta di un precedente penale a suo carico per violenza sessuale e stalking, ai danni di un suo parrocchiano;
   da quanto si apprende dagli organi di stampa, Armando Bicchiarelli, il supplente in questione, era stato arrestato nel febbraio del 2012 su ordine del giudice per le indagini preliminari di Urbino, trascorrendo un periodo di detenzione domiciliare e condannato in primo grado alla pena detentiva di 2 anni e 10 mesi per i reati suddetti;
   tornato in libertà, l'ex sacerdote, ha presentato domanda per svolgere attività di supplenza nelle scuole, compilando l'autocertificazione obbligatoria sui carichi giudiziari pendenti, omettendo, però, il precedente penale citato;
   gli studenti della classe del liceo Galilei, nel quale il supplente aveva cominciato la sua attività di docenza, incuriositi – secondo quanto hanno dichiarato alla stampa – dall'inesperienza del docente, hanno ricercato su Internet le sue pregresse esperienze professionali, imbattendosi casualmente nel precedente penale citato e comunicando tempestivamente alla dirigente scolastica, la professoressa Annarita Durantini, la scoperta;
   questa, appresa la notizia, ha immediatamente allontanato il supplente sottolineando, tuttavia, che il docente era regolarmente inserito nella graduatoria di prima fascia delle materie storico-filosofiche;
   nel massimo rispetto del principio della presunzione di non colpevolezza, sancito dalla Costituzione all'articolo 27, comma 2, e conscia del riconoscimento nel nostro ordinamento delle autocertificazioni, è tuttavia evidente che la delicatezza del ruolo che un docente ricopre esige – o esigerebbe – uno scrupoloso controllo dei precedenti professionali e personali al fine di garantire la massima qualità e sicurezza nell'insegnamento –:
   quali siano i criteri di selezione e determinazione delle graduatorie per i docenti che ricoprono ruoli di supplenza e quali le modalità di controllo sui pregressi professionali e personali dei docenti inseriti in quelle liste;
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere un'ispezione per verificare se nel caso riportato in premessa siano state adottate tutte le precauzioni necessarie per garantire la qualità e l'affidabilità del corpo docente e, in caso contrario, per individuare eventuali responsabilità;
   quali misure intende adottare per evitare il ripetersi di episodi come quello riportato in premessa. (4-07796)


   PRODANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il turismo è un settore molto importante per l'economia italiana, avendo contribuito nel 2013 con 159,6 miliardi di euro – pari al 10,3 per cento del prodotto interno lordo (Pil) italiano – e con oltre 2,6 milioni di persone occupate;
   nondimeno i livelli di crescita del turismo in Italia non sono buoni: nel 2013, rispetto all'anno precedente, si è infatti registrata una flessione – pari al -1,6 per cento, secondo i dati del World Travel and Tourism Council (WTTC) – mentre la stessa fonte indica una crescita pari al 3 per cento del contributo dato al prodotto interno lordo da parte dell'industria turistica a livello mondiale;
   a seguito della riforma universitaria (decreto ministeriale n. 509 del 1999) sono stati introdotti nell'ordinamento universitario il corso di laurea triennale in scienze del turismo per i beni culturali (ora denominato L15) e la conseguente laurea di secondo livello (ora denominata magistrale) in progettazione e gestione dei sistemi turistici (LM 49 in base al decreto ministeriale n. 270 del 2004);
   la laurea magistrale in progettazione e gestione dei sistemi turistici (LM 49) permette di acquisire le conoscenze e le capacità per gestire i prodotti e i servizi turistici, per pianificare le strategie turistico-culturali di una destinazione turistica, conferendo ai laureati nella suddetta materia delle competenze avanzate nella gestione delle imprese turistiche al fine di integrare le aziende ricettive con i servizi culturali e ambientali, e nella promozione, commercializzazione e gestione di prodotti turistici, anche con l'ausilio delle nuove tecnologie multimediali;
   ciononostante, risulta difficile l'inserimento di coloro che si sono laureati nei suddetti corsi di studio in un contesto lavorativo, quale quello italiano che propone quasi esclusivamente offerte di lavoro stagionali, per le quali non è necessaria una preparazione universitaria;
   inoltre – nonostante nei bandi di selezione vengano esplicitamente richieste competenze corrispondenti a quelle acquisite dai laureati nelle classi di laurea L15 e LM49 – questi percorsi di studi non sono equiparati ad altre classi di laurea normalmente citate nei bandi di selezione. Ne consegue che i laureati L15 e LM49 non possono partecipare a dei concorsi pubblici, in quanto queste classi di laurea non vengono citate in alcun bando di selezione e di conseguenza, vengono automaticamente esclusi per mancanza dei requisiti minimi di ammissione;
   un problema di requisiti viene riscontrato anche per l'accesso all'insegnamento nelle scuole in quanto nel decreto ministeriale n.  22 del 2005 – che riporta l'elenco delle lauree che conferiscono l'abilitazione all'insegnamento – non figurano le classi di laurea L15 e LM49, rendendo quindi impossibile l'accesso all'insegnamento;
   tale trattamento iniquo, riservato a coloro che indirizzano il loro percorso di studio verso un settore di fondamentale importanza per l'economia italiana quale quello del turismo, non può essere considerata accettabile –:
   cosa il Governo intenda fare per rendere le lauree sopracitate, attinenti al turismo, equiparate ad altre lauree in modo da consentire la partecipazione ai concorsi delle istituzioni pubbliche;
   se, e come, si intenda provvedere al mancato inserimento delle suddette lauree nell'allegato A del decreto ministeriale n. 22 del 2005 riguardo all'accesso all'insegnamento. (4-07799)


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la presente interrogazione non intende addentrarsi nella normativa fiscale della scuola, ma riguarda esclusivamente l'applicazione Tares-Tari a carico della scuola paritaria;
   il decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008 disponeva quanto segue:
   «Art. 33-bis. – (Servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nei confronti delle istituzioni scolastiche). — 1. A decorrere dall'anno 2008, il Ministero della pubblica istruzione provvede a corrispondere direttamente ai comuni la somma concordata in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali nelle sedute del 22 marzo 2001 e del 6 settembre 2001, valutata in euro 38,734 milioni, quale importo forfetario complessivo per lo svolgimento, nei confronti delle istituzioni scolastiche statali, del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani di cui all'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. I criteri e le modalità di corresponsione delle somme dovute ai singoli comuni, in proporzione alla consistenza della popolazione scolastica, sono concordati nell'ambito della predetta Conferenza. Al relativo onere si provvede nell'ambito della dotazione finanziaria del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, di cui all'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. A decorrere dal medesimo anno 2008, le istituzioni scolastiche statali non sono più tenute a corrispondere ai comuni il corrispettivo del servizio di cui al citato articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Il Ministero della pubblica istruzione provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente comma, informando tempestivamente il Ministero dell'economia e delle finanze, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi, di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati, ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, numero 2), della citata legge n. 468 del 1978, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti di cui al precedente periodo, sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati di apposite relazioni illustrative»;
   non si comprende la ragione che giustifichi un trattamento fiscale differente tra scuole statali e paritarie;

è paradossale la disparità di trattamento relativo al calcolo della Tares-Tari: «Per la paritaria viene calcolata a metro quadro della struttura, mentre per la statale a bambino iscritto: come se gli alunni di una scuola sporcassero di più di quelli di un'altra scuola»;
   ancor più discriminatoria risulta essere la decisione del comune di Roma di far pagare il 300 per cento in più di tassa sui rifiuti alle scuole paritarie, cioè a scuole pubbliche non statali; significa ledere gravemente il pluralismo educativo, poiché molti istituti scolastici non potranno più proseguire la loro attività educativa e saranno costretti a chiudere;
   le scuole pubbliche paritarie ai sensi della legge n. 62 del 2000 fanno pienamente parte di diritto e di fatto del sistema nazionale di istruzione e formazione integrati. Gli articoli 33 e 118 della Costituzione italiana ne ravvisano la necessaria presenza e l'auspicano;
   il sistema scolastico italiano rischia il collasso di fronte al pericolo certo di una sempre maggiore assenza delle scuole pubbliche paritarie che accolgono 1.072.560 studenti (di cui 11.878 studenti diversamente abili) assicurando il pluralismo educativo e concorrendo a far risparmiare allo Stato sei miliardi di euro annui;
   eppure è proprio la Repubblica che ha riconosciuto loro questo diritto in un pluralismo educativo di cui all'articolo 33 della Costituzione; l'Europa con le risoluzioni del 1984 e del 2012 lo ha espressamente richiesto, la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo rivendica la libertà educativa sia per l'individuo che per la famiglia. Con queste scelte amministrative l'Italia si conferma la più grave e scandalosa eccezione in Europa per la mancata garanzia del diritto –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative volte a chiarire che i comuni applicano alle istituzioni scolastiche riconosciute paritarie, ai sensi della legge n. 62 del 2000, lo stesso criterio di corresponsione del tributo rapportato al numero degli alunni e lo stesso coefficiente per alunno, previsti per le scuole statali in base al decreto-legge n. 248 del 2007 convertito dalla legge n. 31 del 2008.
(4-07825)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   secondo dati recenti della Commissione europea e Eurostat, in Europa risultano oltre 5 milioni di giovani disoccupati sotto i 25 anni, ovvero il 21,7 per cento, dell'Ue (23,2 per cento della zona euro a 28). In queste percentuali l'Italia si presenta con tassi fra i più alti in Europa: secondo l'ultimo dato Istat, seppur in lieve diminuzione, la disoccupazione giovanile italiana si attesta intorno al 42 per cento, inferiore solo a Spagna (53,8 per cento) e Grecia (53,1 per cento) – a fronte di tassi di più bassi di Germania (7,6 per cento), Austria (8,2 per cento) e Paesi Bassi (10,1 per cento); sono 7,5 milioni i cosiddetti NEET, ossia i giovani tra 15-24 anni che non sono impegnati né in formazione né in un lavoro;
   il recente 48o Rapporto Censis, nel capitolo La società italiana al 2014, segnala che «l'Italia ha un capitale umano non utilizzato di 8 milioni di individui», evidenziando la preoccupante incapacità del nostro Paese di ottimizzare i nostri talenti. Agli oltre 3 milioni di disoccupati si sommano quasi 1,8 milioni di inattivi. Più penalizzati sono i giovani, che costituiscono il 50,9 per cento dei disoccupati totali e sono in continua crescita: da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013. Il medesimo Rapporto analizza come il capitale umano sottoutilizzato sia composto dagli occupati part-time involontari (2,5 milioni nel 2013, raddoppiati rispetto al 2007) e dagli occupati in cassa integrazione, il cui numero di ore è passato nel periodo 2007-2013 da poco più di 184.000 a quasi 1,2 milioni, sottolineando il fenomeno dell’overeducation, ossia persone «sottoinquadrate» rispetto al titolo di studio (più di 4 milioni di lavoratori, il 19,5 per cento degli occupati);
   per invertire questo trend negativo può essere decisiva la capacità di utilizzare pienamente il programma Garanzia Giovani (GG). Dal 1o maggio 2014 ha preso l'avvio il Piano nazionale Garanzia Giovani, piano attuativo del programma europeo – Youth Guarantee – istituito con Raccomandazione del Consiglio europeo del 22 aprile 2013, diretto a fronteggiare con misure straordinarie il fenomeno della disoccupazione giovanile, mediante il Fondo sociale europeo (FSE 2014-2020) e i 6 miliardi di euro dell'iniziativa per l'occupazione giovanile di cui possono beneficiare 20 Stati membri con regioni in cui la disoccupazione supera il 25 per cento;
   nell'ambito di tale programma l'Italia si è impegnata a mobilitare 1,5 miliardi di euro (da spendere nel biennio 2014-2015), risorse derivanti da diverse fonti, tra cui 1,1 miliardi di euro a valere sul bilancio europeo (Iniziativa a favore dell'occupazione giovanile e Fondo sociale europeo), oltre al co-finanziamento nazionale posto al 40 per cento. L'Italia è il secondo maggiore destinatario di finanziamenti per l'occupazione giovanile, con più di 530 milioni di euro che dovranno confluire in una strategia unitaria condivisa tra Stato, regioni e altri soggetti pubblici e privati. La quasi totalità delle risorse sarà direttamente gestita dalle regioni, nell'ambito della cornice nazionale, definita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, garante della strategia europea;
   l'obiettivo della Garanzia Giovani è quello di supportare iniziative, a livello nazionale e territoriale, volte a favorire l'occupazione giovanile e a offrire a coloro che non studiano, non lavorano e che non sono impegnati in attività di formazione (cosiddetti «NEET»), opportunità di orientamento, formazione, apprendistato, tirocinio, autoimprenditorialità, mobilità professionale in Italia e all'estero, inserimento nel mercato del lavoro e nel servizio civile;
   in considerazione delle peculiari caratteristiche del mercato del lavoro italiano, l'Italia ha scelto, mediante il Piano nazionale di attuazione approvato dalla Commissione europea, di estendere tali interventi alle persone fino a 29 anni di età (il programma europeo prevede fino a 25 anni);
   alcuni degli obiettivi della Garanzia Giovani sono stati anticipati con l'articolo 5 del decreto-legge n. 76 del 2013 convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, in particolare mediante l'istituzione di una Struttura sperimentale di missione (che ha predisposto il menzionato Piano), operante in attesa del riordino dei servizi per l'impiego, non oltre il 31 dicembre 2015; tali obiettivi hanno trovato una più ampia definizione nel febbraio 2014 con il Programma italiano sulla Garanzia per i giovani 2014-2020, elaborato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che descrive in modo più puntuale lo stato di attuazione delle misure ivi previste; in seguito, con decreto direttoriale n. 404 del 4 aprile 2014 sono state ripartite le risorse e stipulate Convenzioni fra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le regioni;
   a un primo bilancio del Piano di attuazione della garanzia giovani si evidenziano luci ed ombre;
   tra i fattori positivi va segnalato il fatto che l'Italia è tra i primi Paesi membri in Europa, insieme alla Francia, ad aver predisposto un Piano operativo nazionale con appostamento di relative risorse, il primo Paese ad aver previsto un collegamento tra le misure di orientamento, formazione e impiego con quelle relative al Servizio civile nazionale, riconoscendo a tale strumento particolari potenzialità per l'inserimento dei giovani per fare esperienza di cittadinanza attiva, un primo passo verso la costruzione di un contingente europeo di giovani impegnato nella difesa di un'Europa unita e maggiormente integrata; infine, l'Italia ha contemplato la predisposizione di report periodici per verificare l'andamento delle adesioni al Piano, al quale i giovani interessati potranno aderire sino al 31 dicembre 2015, indispensabili per un buon monitoraggio del programma;
   l'importante scelta strategica di destinare parte dei fondi della Garanzia Giovani sullo strumento del   servizio civile – una delle novità del Governo Renzi all'apertura del semestre di presidenza italiana – al fine di assicurare, seppure con gradualità fino al 2017, l'inserimento di un contingente di 100.000 giovani italiani nel servizio civile universale, vede ora finalmente la previsione di risorse necessarie in favore del Fondo nazionale per il servizio civile (50 milioni di euro per il 2015, 140 per il 2016 e 190 a decorrere dal 2017), nell'ambito della legge di stabilità 2015;
   sempre nell'ambito della legge di stabilità 2015, viene inoltre previsto un contributo di 12 milioni di euro per l'anno 2015 in favore della società Italia Lavoro (ente strumentale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) al fine non solo di garantire il funzionamento della società ma di utilizzare tali risorse con particolare riferimento all'attuazione del programma «Garanzia Giovani»;
   è da annoverare fra i fattori positivi anche il ricorso alle unità di costo standard (UCS) per tutte le tipologie di azione con conseguenti costi identici per tutte le attività (sia lavoro che di formazione), in considerazione dell'estrema frammentazione e diversificazione del sistema da regione e regione; ma la conseguenza più importante derivante dall'imposizione dei costi standard sta nell'aver cambiato l'ottica di lavoro degli operatori pubblici e privati nel settore dell'intermediazione tra domanda e offerta di lavoro e nella erogazione della formazione, i quali da ora non riceveranno alcun compenso economico se il loro servizio non produrrà alcun risultato per il giovane preso in carico (tirocinio attivato, inserimento lavorativo, innalzamento del titolo di studio, e altro);
   infine, si è appreso con favore la previsione in due decreti emanati il 21 gennaio 2015 di un'estensione del bonus occupazionale per le imprese che assumono giovani, anche con altre tipologie di contratti, con particolare riguardo ai casi di trasformazione dei contratti di apprendistato professionalizzanti in contratti a tempo indeterminato;
   tra i fattori negativi si segnalano invece i seguenti punti critici che meritano particolare attenzione per un loro superamento:
    a) eccessive differenze e disomogeneità tra piani regionali, con ritardi in alcune regioni meridionali (come Calabria e Sicilia); paradossalmente quelle che più soffrono il dramma della disoccupazione giovanile e della dispersione scolastica sono quelle che hanno maggiori difficoltà a far partire il programma; pur convenendo sull'opportunità di affidare alle regioni il riparto interno dei fondi occorrerebbe che lo Stato garantisse un'omogeneità di politiche pubbliche su tutto il territorio nazionale; appare infatti eccessiva la discrezionalità da parte delle regioni nel ripartire le risorse fra le diverse azioni, trascurandone alcune e sovraccaricandone altre (alcune regioni destinano il 30 per cento al bonus occupazionale, mentre altre non prevedono alcun bonus);
    b) in qualche caso si palesa il rischio di una rilevanza eccessiva della componente «formazione» nei diversi piani regionali rispetto ai quali sarebbe utile avere riscontri sui livelli di occupabilità garantiti ai giovani destinatari della misura;
    c) la scarsa capacità di coinvolgimento delle categorie imprenditoriali a livello locale che produce poche offerte di lavoro da parte delle imprese, soprattutto di quelle medio piccole maggiormente presenti nei territori;
    d) insufficiente è ancora il rapporto tra gli enti istituzionali con le scuole secondarie di primo e di secondo grado, i centri di formazione professionale e le università che dovrebbero, invece, costituire uno dei pilastri per costruire percorsi personalizzati e favorire l'incontro fra chi cerca di costruirsi un'identità lavorativa e l'offerta da parte delle imprese;
    e) il meccanismo dell'accesso ai fondi europei e la loro ripartizione può rendere difficile la partenza dei progetti, tenendo che il miliardo e mezzo di euro di finanziamenti dell'Unione europea per Garanzia Giovani è ripartito in 1.134 milioni da fondi comunitari e 378 dallo Stato italiano; la procedura fa sì che le regioni debbano anticipare, spesso con difficoltà, a titolo di cofinanziamento, le risorse, in attesa che arrivino quelle di provenienza statale ed europea; in tal senso è da rimarcare come estremamente positiva la possibilità, offerta dal Ministero del lavoro e dalla Ragioneria generale dello Stato di fungere da soggetti pagatori, evitando ogni necessità di anticipazione da parte delle regioni;
    f) sono poche le regioni virtuose che hanno attivato un sistema di accreditamento; gli sportelli accreditati non sono presenti in tutto il territorio nazionale, solo 8 regioni hanno un effettivo raccordo tra centri per l'impiego e le agenzie per il lavoro – 49 in Toscana, 702 in Lombardia, 419 in Veneto, 63 in Friuli Venezia Giulia, 215 in Piemonte, 18 in Sardegna, 10 in Abruzzo, 7 nelle Marche; i diversi sistemi spesso hanno difficoltà a dialogare tra loro, occorrerebbe una piena interoperabilità, migliorando l'interazione fra le varie banche dati (portali del Ministero – garanzia giovani – enti regionali); al contempo va tuttavia rimarcato che la spinta di attuazione della Garanzia Giovani ha dato impulso ad una accelerazione su questo versante;
    g) i centri per l'impiego non sembrano capaci di far fronte al surplus di lavoro che la gestione di Garanzia Giovani comporta, anche per la penuria di personale qualificato e di strumenti informatici adeguati. In generale, manca in maniera evidente ai centri per l'impiego, salvo alcune meritevoli eccezioni che andrebbero valorizzate, la capacità di formare e attivare alcuni dei propri addetti a un lavoro di «marketing territoriale» per entrare in contatto costante con le imprese del proprio territorio; per una buona riuscita di Garanzia Giovani è fondamentale intercettare aziende potenzialmente interessate ad accogliere giovani in stage o con contratti di lavoro e far conoscere appieno i vantaggi di tale programma previsti per le imprese;
    h) le misure predisposte non sono riuscite ad intercettare quella parte di giovani dal profilo più difficile, sia dal punto di vista del titolo di studio che della durata del periodo di disoccupazione – ad oggi risultano presi in carico per il 22 per cento i giovani rientranti nel target medio alto e solo l'8 per cento per quelli dal profilo alto;
    i) sul tema della creazione di impresa o del sostegno allo start-up aziendale mancano strumenti di ingegneria finanziaria tali da facilitare l'accesso al credito e all'avvio di tali attività, anche nell'ambito del programma Garanzia Giovani –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda avviare per superare gli elementi di criticità segnalati in premessa;
   se non ritenga utile predisporre iniziative di coordinamento tra le piattaforme esistenti, in special modo digitali, per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, al fine di semplificare le procedure, facilitare l'individuazione delle imprese disponibili ad aderire al programma, strutturando, altresì, procedure di prima selezione telematica attraverso colloqui online;
   quali iniziative intenda assumere per potenziare l'impegno istituzionale, in particolare da parte del Ministero competente, al fine di rafforzare i servizi pubblici per l'impiego attivandoli per un più incisivo coordinamento di tutti gli attori che operano nell'ambito delle politiche attive e in politiche affini (in modo particolare scuole, formazione professionale, università, terzo settore ed agenzie per il lavoro) e assicurare un'assistenza tecnica e azioni di supporto e valutazione per quelle regioni che necessitano di maggiore sostegno in sede di attuazione del Piano, anche valutando la possibilità di predisporre direttive precise e stringenti, sull'esempio del Piano spagnolo per la Youth Guarantee, per scongiurare il rischio che le risorse messe in campo per contrastare la disoccupazione giovanile non vengano utilizzate integralmente;
   se non ritenga di dover garantire con priorità, anche nell'ambito della prevista riforma dell'istituto del servizio civile nazionale per renderlo universale, nonché del Terzo settore e dell'impresa sociale, la piena utilizzazione delle risorse appostate dalla legge di stabilità 2015 in favore del servizio civile, al fine di assicurare, gradualmente fino al 2017, l'inserimento di centomila giovani nel servizio civile universale, anche in considerazione di un suo rilancio nell'ambito del programma Garanzia Giovani e in prospettiva della creazione di un servizio civile europeo;
   se non ritenga di dover promuovere azioni volte a un maggiore coinvolgimento dei soggetti direttamente interessati alla Garanzia Giovani, come scuole secondarie superiori, centri di formazione professionale e università, utilizzando forme di comunicazione maggiormente efficaci, a partire dai luoghi di aggregazione maggiormente frequentati da giovani, come i social network, al fine di far conoscere le opportunità del programma Garanzia Giovani e le sue potenzialità di rilancio per il nostro Paese;
   se non concordi con la necessità di attivare una gamma di servizi all'interno delle istituzioni scolastiche e formative finalizzati ad assicurare per il 2015 a tutti i giovani in uscita dall'istruzione secondaria superiore e dall'istruzione e formazione professionale e non intenzionati a continuare il percorso di studi, un percorso di orientamento professionale, una offerta di tirocini formativi, un'opportunità di lavoro accessorio, al fine di migliorarne l'occupabilità;
   se non ritenga necessario per colmare un divario di conoscenza delle lingue e dei contesti internazionali dei nostri giovani prevedere la possibilità per i giovani disoccupati di partecipare a tirocini internazionali e utilizzare specifici voucher volti ad acquisire la certificazione di competenze linguistiche o informatiche (con riconoscimento equipollente ai patentini europei) rilevanti ai fini dei curricula;
   se non ritenga necessario promuovere un'azione coordinata a livello europeo, con altri Paesi membri che più soffrono del fenomeno della crescente disoccupazione, al fine di accogliere e scambiare le migliori pratiche esistenti in ambito europeo e di adottare iniziative normative volte a semplificare le attuali procedure per l'accesso alle risorse, anche mediante la previsione di meccanismi di flessibilità ai fini del rispetto del patto di stabilità, in favore delle regioni che investono e finanziano Garanzia Giovani, prevedendo altresì che, a partire dal 2016, il programma Youth Guarantee, divenga intervento permanente e strutturale per il contrasto della disoccupazione giovanile in Europa, da rifinanziare con maggiori risorse e da configurare come un programma ordinario dell'Unione.
(2-00827) «Bonomo, Ascani, Gribaudo, Berlinghieri, Gnecchi, Borghi, Bergonzi, Moretto, Gadda, Narduolo, Gelli, Camani, Cominelli, Malpezzi, Antezza, Paris, Rotta, Tentori, Cardinale, Capozzolo, Becattini, Culotta, Moscatt, Giulietti, Richetti, Covello, Ventricelli, Iacono, Piccione, Sereni, Garavini, Giuditta Pini, D'Incecco, Galperti, Lavagno, Marco Di Maio, Carrozza, Battaglia, Albini, Ragosta, Paola Bragantini, Quartapelle Procopio, Schirò, Martelli».

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in merito al problema relativo alla commistione e/o incompatibilità dei sindacati nella composizione del consiglio di amministrazione dell'Enpaia è già stata presentata una precedente interpellanza urgente n. 2-00094 discussa nella seduta n. 74 del 10 settembre 2013 a cui ci si richiama relativamente alla parte riguardante Enpaia;
   in detta occasione si era sollevata la problematica di un conflitto di interesse tra i sindacati che siedono nel consiglio di amministrazione in particolare quelli appartenenti alla CGIL; infatti, l'articolo 7 dello statuto del sindacato è chiaramente previsto che: «l'autonomia della CGIL si realizza anche fissando le seguenti incompatibilità con le cariche elettive dell'organizzazione ai vari livelli: a) appartenenza a consigli di amministrazione, di istituti ed enti pubblici di ogni tipo e organi di gestione in genere»;
   eppure nonostante la vigenza di tale disposizione, il segretario nazionale della CGIL Ivana Galli e il funzionario nazionale nel 2004 della CGIL Stefano Bianchi hanno fatto parte del consiglio di amministrazione di Enpaia in carica per il quadriennio 2009/2013 e ancora oggi continua a sedere nello stesso consiglio di amministrazione in palese contraddizione con lo statuto del sindacato cui appartengono;
   che tali situazioni possano ingenerare situazioni particolari lo si è visto in più occasioni, in una delle tante portata all'attenzione da Asia Usb si contesta a Enpaia l'impegno a gestire con mezzi e strumenti oltre che con il proprio personale i fondi pensione di FILCOOP e AGRIFONDO;
   ebbene, si deve ricordare che la fondazione Enpaia è l'Ente nazionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura e, nei suoi compiti istituzionali, è previsto: a) l'accantonamento del trattamento di fine rapporto per gli impiegati e dirigenti agricoli; b) l'assicurazione contro gli infortuni professionali ed extra professionali per gli impiegati e dirigenti agricoli, sostitutiva dell'assicurazione INAIL; c) la garanzia al compimento del 65o anno di età, dell'intero ammontare delle somme versate dall'iscritto, rivalutate o, in opzione, la loro liquidazione sotto forma di pensione complementare, nulla in merito alla gestioni di fondi per conto sindacale;
   eppure, l'Enpaia negli anni ha curato la gestione amministrativa e contabile dei Fondi di previdenza complementare Filcoop e Agrifondo;
   Filcoop è fondo Pensione a capitalizzazione per i lavoratori dipendenti addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale ed idraulico-agraria, per i dipendenti da cooperative di trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici e lavorazione prodotti alimentari e per i lavoratori dipendenti da cooperative e consorzi agricoli;
   tale Fondo non persegue fini di lucro e, in base allo statuto, ha la forma giuridica di associazione riconosciuta ed è iscritto all'Albo tenuto dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip);
   la sede operativa di Filcoop risulta situata in viale Beethoven, 48 Roma proprio presso la stessa sede della Fondazione ENPAIA;
   mentre il Fondo Agrifondo e invece stato costituito il 14 dicembre 2006 tra la Confederazione generale dell'agricoltura italiana, la Confederazione nazionale Coldiretti, la Confederazione italiana agricoltori, la Flai-CGIL, la Fai-CISL, la Uila-UIL e la Confederdia, di seguito denominato «Fonte istitutiva» e ha lo scopo di consentire agli aderenti di disporre, all'atto del pensionamento, di prestazioni pensionistiche complementari del sistema obbligatorio. A tale fine esso provvede alla raccolta dei contributi, alla gestione delle risorse nell'esclusivo interesse degli aderenti, e all'erogazione delle prestazioni secondo quanto disposto dalla normativa in materia di previdenza complementare. Il Fondo non ha scopo di lucro. Il direttore generale responsabile del Fondo nominato dal consiglio di amministrazione è stato il signor Gabriele Mori, l'ex direttore generale della stessa Enpaia;
   la sede operativa dell'Agrifondo risulta sempre situata in viale Beethoven, 48 Roma presso la sede della Fondazione ENPAIA;
   si cercherà di seguito di portare all'attenzione anno per anno il servizio svolto da Enpaia in favore dei due Fondi Filcoop e Agrifondo per mettere in evidenza una serie di anomalie con il solo utilizzo dei bilanci di Enpaia:
   la prima perplessità riguarda la gestione dei fondi pensione dei sindacati e risale al luglio del 2002 quando l'Enpaia iniziava l'attività di service per il Fondo Filcoop e, per l'espletamento di tale servizio svolto per Filcoop, venivano utilizzati due dipendenti ed impiegati dell'Enpaia, con un guadagno per quest'ultima, di una somma di soli euro 1.500,00 come emerge dal bilancio dall'ente;
   nel gennaio del 2003, l'Enpaia, per meglio garantire il service per il Fondo sanitario Filcoop, decideva di acquistare anche un pacchetto software gestionale Filcoop, ottenendo da quest'ultima, come controprestazione, la somma di euro 13.500,00;
   successivamente, nell'anno 2004, Enpaia impiegava presso il Fondo Filcoop, sempre due dei suoi dipendenti, incassando da quest'ultimo, per tale prestazione la somma di euro 9.329,00;
   nel 2005 l'Enpaia impiegava altri due suoi dipendenti per la gestione dei Fondi Filcoop, traendo un profitto pari euro 12.000,00, e nel 2006 Enpaia, sempre con l'utilizzo di due suoi dipendenti, riscuoteva da Filcoop, la somma di euro 13.788,00;
   a partire dal mese di luglio del 2007, Enpaia, intraprendeva l'attività di service anche per il Fondo complementare Agrifondo, rinnovando l'attività di service per Filcoop, ed impiegando per tale attività non più due, ma addirittura nove dei suoi dipendenti per la gestione di entrambi Fondi;
   per tale prestazione l'Enpaia incassava un importo complessivo pari ad euro 95.573,00, sostenendo invece solo per le consulenze, la somma di euro 74.117,00. Nello stesso anno (2007), veniva sospeso l'ufficio controllo di gestione, che ai sensi dell'articolo 54 delle Norme interne di contabilità e amministrazione, allegate allo Statuto Enpaia, «...operando alle dirette dipendenze della Direzione Generale della Fondazione Enpaia, ha il compito di esercitare, in prima istanza, il controllo attraverso ispezioni da effettuarsi periodicamente, con lo scopo di accertare la corrispondenza dei fatti gestionali con le loro previsioni ed il rispetto delle procedure. Allo scopo, ogni Responsabile dell'area funzionale deve predisporre un'analisi degli ordini emessi per confrontarli con le previsioni precedentemente effettuate, compilando un apposito prospetto dove, insieme alle spese effettuate, sono evidenziate le previsioni riportate nel Bilancio di Previsione per voce analitica»;
   quindi, l'ufficio che avrebbe dovuto controllare e/o monitorare i costi gestionali veniva sospeso con l'assoluta impossibilità di prevedere o controllare il comportamento posto in essere dalla Fondazione ENPAIA in tale vicenda;
   le attività poste in essere da Enpaia nei confronti di Filcoop e di Agrifondo prima specificate, con i relativi introiti, venivano indicate genericamente nei bilanci di ogni anno come: «Ricavi diversi»;
   nell'anno 2008 Enpaia continuava ad impiegare nove dipendenti per la gestione dei Fondi Filcoop e Agrifondo incassando da quest'ultimi un importo pari a euro 108.696,00 di cui euro 41.428,00 solo per spese di consulenze. Nel maggio 2009 avveniva la fusione del Fondo di previdenza complementare Agrifondo con la Fia, Fondo sanitario impiegati agricoli, con il rinnovo da parte di Agrifondo del service amministrativo-contabile ad Enpaia;
   conseguentemente a tale fusione, Enpaia adoperava dieci dipendenti per la gestione dei fondi Filcoop ed Agrifondo incassando così la somma di euro 150.101,00 di cui euro 31.000,00 per consulenze ed euro 56.619,00 per spese varie;
   l'impiego di dieci dipendenti di Enpaia per la gestione dei fondi Filcoop ed Agrifondo avveniva anche per i successivi anni 2010-2011;
   pertanto i guadagni ottenuti da Enpaia da tali prestazioni sono stati pari a euro 202.051,00 per l'anno 2010 di cui euro 35.444,00 per spese di consulenze ed euro 181.462,00 per l'anno 2011;
   alla luce di ciò e come si evince dai bilanci consuntivi, Enpaia a partire da luglio del 2002 risulta quindi aver incassato un importo complessivo di ben 786.000,00 euro con un costo per strumenti, servizi e personale notevolmente superiore a quanto guadagnato;
   solo per ricordare nel consiglio di amministrazione di Enpaia – come detto, fanno parte il segretario nazionale della CGIL Ivana Galli ed il funzionario nazionale nel 2004 della CGIL Stefano Bianchi –, oltre a tutte le altre sigle sindacali UIL e CISL, sono anni che delibera ed investe denaro della Fondazione oltre a soggetti impiegati e retribuiti dalla stessa Enpaia per occuparsi dei Fondi Agrifondo e Filcoop cui fanno riferimento gli stessi sindacati;
   ulteriore elemento riguarda la relazione Covip sul bilancio 2012 dove sono presenti 2 gestori finanziari: «la Banca Popolare di Sondrio, a cui fa capo il 60,7 per cento delle risorse conferite in gestione, e la Banca Aletti. Alla prima sono state corrisposte nel 2012 commissioni di gestione per 14.539 euro e alla seconda 37.453 euro. Circa le modalità seguite per la selezione di detti gestori, l'Ente ha fatto presente che la loro individuazione è avvenuta, nel 1997, mediante trattativa privata»;
   dalla relazione della Corte dei conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della FONDAZIONE ENPAIA – Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura per l'esercizio 2012-2013 emergono due interessanti conclusioni:
    a) la COVIP nella propria relazione al bilancio 2012 dell'Ente, redatta ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto ministeriale 5 giugno 2012, ha svolto alcune considerazioni sicuramente condivisibili, tra le quali le più significative sono quelle relative alla necessità che il portafoglio titoli sia più diversificato nella sua composizione, mentre occorre evitare strumenti finanziari derivati e obbligazioni strutturate;
    b) la stessa COVIP, poi, rileva che le informazioni riguardanti le politiche di investimento e i relativi criteri di attuazione, si presentano frammentarie, e sintetiche e riferite al complesso delle tre gestioni, senza, quindi, evidenziare gli elementi caratterizzanti di ogni singola gestione;
   leggendo la relazione Covip sul bilancio 2013 sono presenti sempre i due gestori, ma adesso cambiano le percentuali delle risorse gestire dai due gestori: «Alla fine dell'anno di riferimento sono presenti 2 gestori: la Banca Aletti, a cui fa capo il 70,3 per cento delle risorse conferite in gestione, e la Banca popolare di Sondrio»;
   questa discrepanza è riportata una nota all'interno del documento Covip anno 2013: «...In proposito va rilevato incidentalmente che, in occasione della trasmissione dei dati inerenti il 2013, l'Ente ha modificato l'ammontare delle risorse gestiste nel 2012 da ciascun intermediario, imputando in maniera inversa gli importi segnalati in precedenza...»;
   per diciannove anni, su una semplice trattativa privata, l'ente non ha mai fatto un bando di gare per cambiare i suoi gestori finanziari, cercando in questo modo anche di abbassare le commissioni sulla gestione finanziari;
   inoltre, persiste da parte dell'Ente una carenza nel fornire indicazione sulle politiche di investimento e disinvestimento relative alle componenti mobiliari ed immobiliari presenti nel bilancio. A pagina 5 di tale relazione si legge: «... Al riguardo va tuttavia evidenziato criticamente che la modestia delle informazioni trasmesse non ha reso possibile comprendere né i criteri seguiti dalla fondazione dei pesi riportati nelle precedenti tabelle, né quali organi e funzioni interne abbiano contribuito alla determinazione degli stessi, né tanto meno quale funzione rivesta tale assetto strategico nell'ambito della programmazione dell'attività di investimento posta in essere dall'Ente»;
   tuttavia nessuno ha chiesto contezza di questo;
   non da ultimo, l'interpellante è venuta a conoscenza del fatto che, nonostante l'Enpaia stia procedendo a sfrattare circa 200 famiglie di inquilini che pagano regolarmente l'affitto da 40 anni (oltre al 20 per cento a titolo di indennità di occupazione), e l'emergenza abitativa su Roma è sotto gli occhi di tutti, anziché usare le case degli enti per attenuare l'emergenza casa vista anche la funzione di tale patrimonio, l'Enpaia ha deciso di cedere alcuni degli immobili ad esponenti dei sindacati tra cui UIL, e in particolare tra gli altri al loro segretario nazionale Giuseppe Barbagallo –:
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno:
    a) verificare, negli ultimi dieci anni, quanti soldi siano stati spesi, quanto personale sia stato impiegato nella gestione dei Fondi Agrifondo e Filcoop o se vi sia stato un uso distorto del danaro degli iscritti ENPAIA;
    b) disporre, nel caso in cui le cifre indicate dalla sottoscritta interpellante non dovessero corrispondere al vero, l'acquisizione di tutta la documentazione in possesso di Enpaia e dei Fondi Agrifondo e Filcoop da cui si possa evincere quanto denaro sia stato speso dalla Fondazione;
    c) accertare se sia legittimo che è un ente pubblico privatizzato come Enpaia possa investire il denaro pagato dagli iscritti alla Cassa nell'impiego del proprio personale nei Fondi Agrifondo e Filcoop con enorme dispendio economico;
   quali siano i provvedimenti che i Ministeri hanno adottato a fronte della relazione Covip 2012 e quelli che intendono adottare sulla relazione Covip 2013 verso l'Ente;
   quali sano i provvedimenti che i Ministeri abbiano adottato a fronte della relazione della Corte dei conti.
(2-00832) «Lombardi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, GAGNARLI, GALLINELLA, BENEDETTI, PARENTELA e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   una valutazione oggettiva della situazione del mondo del lavoro con particolare riguardo all'andamento e categorizzazione degli infortuni deve essere effettuata partendo dalla definizione di opportuni indicatori di rischio fondati sul rapporto tra infortuni indennizzati e addetti. Tra questi si evidenziano gli indici di incidenza e gli indici di frequenza;
   gli indici di incidenza esprimono il rapporto tra infortuni denunciati rilevati dall'INAIL e occupati di fonte Istat. Hanno soltanto un valore indicativo della tendenza temporale del fenomeno. In pratica, esprimono quanto «incide» un determinato fenomeno su una certa collettività (popolazione generale, occupati, lavoratori assicurati e altro) rappresentata in termini di persone;
   gli indici di frequenza vengono elaborati istituzionalmente per la misurazione del rischio infortunistico. Derivano dal rapporto fra infortuni indennizzati e addetti/anno di fonte INAIL (unità di lavoro annuo calcolate sulla base delle retribuzioni dichiarate dalle aziende). Tali indici esprimono più correttamente la frequenza infortunistica rispetto al tempo di effettiva esposizione al rischio;
   tali indici sono pubblicati dall'INAIL nel suo rapporto annuale. Nei rapporti 2012 e 2013 è pubblicata un'analisi della numerosità degli infortuni senza però fare riferimento ai predetti indici. Pertanto, per un'analisi comparativa dell'incidenza infortunistica in agricoltura rispetto agli altri settori si deve fare riferimento ai dati del 2011 che possono essere consultati sul sito dell'Istituto;
   analizzando tali dati emerge che l'agricoltura presenta un indice di incidenza superiore rispetto agli altri settori. Per l'anno 2011 l'agricoltura presenta un indice pari a 55,3, mentre l'industria e i servizi rispettivamente 40,1 e 26,7 (Cf. Tavola 8 Infortuni denunciati nel periodo 2002-2011 per ramo di attività. Indici di incidenza (infortuni denunciati per 1.000 occupati ISTAT);
   tale differenza si manifesta maggiormente quando si analizzano gli indici di incidenza relativi agli infortuni mortali per l'anno 2011: agricoltura 0,135, industria 0,065 e servizi 0,024 (Cfr. Tavola 12 – Infortuni mortali denunciati nel periodo 2002-2011 per ramo di attività. Indici di incidenza (infortuni mortali per 1.000 occupati Istat));
   il dato è confermato anche dall'analisi degli indici di frequenza riportati nella tavola 23 del rapporto (Indici di frequenza infortunistica per settore di attività e tipo di conseguenza ossia gli Infortuni indennizzati x 1.000 addetti, esclusi i casi in itinere. Media triennio consolidato (2007-2009)). Da tali dati emerge che l'agricoltura presenta un indice di frequenza totale pari a 49,64, superiore a tutti gli altri settori produttivi;
   si consideri che l'INAIL non registra gli infortuni che avvengono agli agricoltori non professionalmente addetti, che invece, alla luce di quanto evidenziato dall'Osservatorio realizzato dal settore ricerca dell'INAIL, rappresentano una voce rilevante;
   attraverso le informazioni contenute nella banca dati del sistema di sorveglianza nazionale degli infortuni mortali, con particolare attenzione ad una delle più frequenti modalità di accadimento degli infortuni mortali nei luoghi di lavoro, ossia al ribaltamento dei mezzi è stato possibile circoscrivere l'analisi sui 169 casi di ribaltamento avvenuti nel quinquennio 2008-2012;
   dall'analisi settoriale emerge che circa il 70 per cento dei ribaltamenti è avvenuto nel comparto agricolo-forestale (settore che interessa un quinto di tutti gli altri eventi mortali presenti nella banca dati del sistema di sorveglianza). Poco più del 13 per cento è relativa al comparto edile e solo l'8 per cento degli eventi si riferisce al manifatturiero in concomitanza con le fasi del ciclo produttivo;
   il 62,5 per cento dei casi riguarda figure qualificate nella conduzione di mezzi e macchine di lavoro quindi agricoltori e operai agricoli, il 18,7 per cento riguarda i conduttori di mezzi e macchine, mentre il 19,8 per cento riguarda figure professionali eterogenee non abitualmente destinate alla conduzione di mezzi;
   per quanto concerne il luogo di accadimento, si conferma la prevalenza dell'ambito agricolo: il 63 per cento dei ribaltamenti è avvenuto in aree dedicate alle coltivazioni del terreno o all'arboricoltura. Si rileva, inoltre, che diversi casi mortali si sono verificati su percorsi stradali di collegamento con il luogo di lavoro. L'11 per cento riguarda invece i cantieri edili in particolare in prossimità degli scavi e durante le operazioni di discesa dei mezzi trasportati;
   dall'analisi condotta emerge che su cento casi mortali, ben il 45 per cento riguarda il ribaltamento del trattore, e nel 57 per cento dei casi sono due le criticità riscontrabili: errore nella manovra e assenza di dispositivi di sicurezza;
   non è un caso che, sul complesso dei ribaltamenti esaminati, molte delle dinamiche hanno evidenziato una predisposizione a conduzione del mezzo non rispondente a canoni di sicurezza con punte di particolare criticità in situazioni con dispositivi di sicurezza presenti ma non utilizzati dagli operatori (cinture di sicurezza/sistema di protezione in caso di ribaltamento) ed in generale ad una carenza formativa sul relativo utilizzo;
   la rilevanza del fenomeno infortunistico in agricoltura legato all'utilizzo di trattori appare più evidente se si considerano i dati dell'Osservatorio sugli infortuni gravi e mortali del settore ricerca dell'INAIL che cura la rilevazione e l'elaborazione delle informazioni relative agli infortuni che riguardano tutti i lavoratori del settore agricolo o forestale, ivi compresi quelli per i quali non ricorre la tutela assicurativa dell'INAIL. Dell'analisi dei dati dell'osservatorio si evince che ogni anno il numero totale di infortuni mortali determinati dal trattore è mediamente superiore alle 120 unità;
   l'assenza di dispositivi di sicurezza deriva dal fatto che molto spesso, nonostante le dispiszioni contenute del decreto legislativo n. 81 del 2008, non vengono adeguate le attrezzature a specifici requisiti di sicurezza come l'installazione del dispositivo di protezione in caso di capovolgimento (telaio o cabina) che ha lo scopo di garantire il volume di sicurezza destinato a proteggere l'operatore e una cintura di sicurezza che indipendentemente dalle condizioni operative del trattore, trattiene l'operatore al posto di guida evitandone lo schiacciamento dovuto a ribaltamento;
   è opinione degli interroganti che a fronte di tali dati l'argomento della sicurezza e dei rischi nel settore del lavoro agricolo sia trattato con troppa superficialità o quantomeno in modo ancora insufficiente dagli organi competenti. La percezione è che gli addetti al settore agricolo nonché i lavoratori occasionali non siano sufficientemente sensibilizzati riguardo ai rischi di infortunio/morte dovuti all'utilizzo senza protezione di tali macchinari –:
   se il Governo sia a conoscenza di questi dati e cosa intenda fare per abbassare le statistiche che danno il settore agricolo tra i più colpiti dagli infortuni sul lavoro;
   se non si ritenga opportuno agire al più presto al fine di pianificare una campagna di informazione e sensibilizzazione sulla tematica in questione attraverso l'uso dei media e se non si intenda al più presto mobilitarsi attraverso iniziative che impongano l'utilizzo di dispositivi di sicurezza, con particolar riguardo al settore agricolo;
   se in linea con un organico processo di prevenzione nel settore agricolo non si ritenga opportuno attivare la revisione delle macchine agricole prevista dall'articolo 111 del nuovo codice della strada emanando senza ulteriore ritardo il decreto che dispone la revisione obbligatoria delle macchine agricole soggette ad immatricolazione, prevedendo che in sede di revisione sia verificata la presenza dei requisiti di sicurezza del lavoro e per la circolazione stradale. (5-04627)


   COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 gennaio 2014, veniva stipulato un protocollo d'intesa, di durata biennale e prorogabile prima della scadenza, tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in persona del Ministro pro tempore professor Enrico Giovannini, e il Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro, in persona del presidente dottoressa Elvira Calderone;
   con tale intesa, secondo l'articolo 1, il Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro, rilascia l'asseverazione di conformità dei rapporti di lavoro (ASSE.CO.) quale strumento di prevenzione e promozione della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale;
   l'articolo 7 del protocollo prevede che la direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali orienterà l'attività di vigilanza in via assolutamente prioritaria nei confronti delle imprese prive della ASSE.CO;
   con riferimento all'articolo 1 della legge 9 marzo 1989, n. 88, l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) adempie «alle funzioni attribuitegli con criteri di economicità e di imprenditorialità, adeguando autonomamente la propria organizzazione all'esigenza di efficiente e tempestiva acquisizione dei contributi ed erogazione delle prestazioni»;
   a giudizio dell'interrogante, tale disposizione riconosce all'INPS – nonché all'INAIL come previsto dal successivo articolo 55, comma 2 – autonomia organizzativa nell'esercizio del potere di vigilanza, che, con riferimento all'articolo 7 del protocollo, verrebbe «orientata» dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in palese violazione dell'articolo 97 della Costituzione;
   l'esclusivo affidamento ai consulenti del lavoro di tale processo di asseverazione, a giudizio dell'interrogante, appare altresì posto in essere in contrasto con le norme relative alla tutela della concorrenza e del mercato;
   all'articolo 1, comma 300, della disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) il Governo ha disposto l'abrogazione dell'articolo 14, comma 1, lettera a) del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9 che, al fine di rafforzare l'attività di contrasto del fenomeno del lavoro sommerso e irregolare e la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, autorizzava il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ad integrare la dotazione organica del personale ispettivo nella misura di duecentocinquanta unità. Pertanto, il Governo ha abrogato la disposizione che prevedeva l'integrazione della dotazione organica del personale ispettivo ministeriale;
   tutto questo, a giudizio dell'interrogante, si traduce in una riduzione dell'attività di vigilanza pubblica esercitata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quindi in una riduzione delle tutele in favore dei lavoratori, in costanza delle disposizioni previste dall'intesa con il Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro che disciplinano il rilascio dell'asseverazione di conformità dei rapporti di lavoro (ASSE.CO.), elemento che, come previsto dall'articolo 7 del protocollo d'intesa del 15 gennaio 2014 menzionato, determinerà l'orientamento dell'attività di vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa; come il predetto protocollo d'intesa si concili con le disposizioni della legge n. 88 del 1989, e se si intenda orientare l'attività ispettiva dell'Inps e dell'Inail nei confronti delle imprese prive della ASSE.CO;
   se il protocollo d'intesa adottato dal Ministero sia in linea con le norme relative alla tutela della concorrenza e del mercato. (5-04634)


   DI SALVO, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DAMIANO, DELL'ARINGA, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GNECCHI, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, VENITTELLI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'aspettativa di vita dei macchinisti risulta essere di anni 64,5 dall'unico studio disponibile commissionato dall'allora Ferrovie dello Stato nel 1979/80 al servizio sanitario Ferrovie dello Stato. Nella tabella allegata, stilata dall'azienda stessa, si cercano di comprendere i motivi di tale bassa aspettativa di vita mettendo in relazione la gravosità dei turni, le responsabilità e altro. Anche in seguito a tali risultati l'università di Firenze intese promuovere uno studio sull'invecchiamento dei macchinisti, condotto dal professor Riccardo Simoni il quale studiò per quattro anni i parametri di 400 macchinisti fiorentini e 400 pescatori di Mazara del Vallo. Il risultato, a conferma dei dati della ricerca aziendale, fu che i macchinisti presentano parametri di invecchiamento molto più precoci rispetto ai pescatori di Mazara;
   analizzando tali dati è possibile mettere a confronto l'aspettativa di vita media della popolazione negli anni 80 e oggi. Prendendo in esame i dati ISTAT del 2010 (grafico allegato) risulta che nel 1980 quando l'aspettativa di vita del macchinista era 64,5 anni per l'italiano era 75 anni (quindi 10 in meno per il macchinista), nel 2010, anno del rilevamento e preso in esame dalla Fornero, per l'italiano risulta essere 82 anni quindi si potrebbe dedurre che quella del macchinista sia di 72 (10 in meno);
   è possibile che l'aspettativa di vita sia anche peggiorata se si tiene conto che negli ultimi anni il lavoro del macchinista ha subito degli innegabili peggioramenti non bilanciati dal miglioramento della qualità della vita. Come ad esempio nel 2009 si è passati dal doppio macchinista al macchinista solo alla guida del 95 per cento dei treni;
   il nuovo CCNL del 2012 ha sancito l'aumento dell'orario di lavoro normale fino a 10/11 ore giornaliere;
   il nuovo CCNL del 2012 ha ridotto di 13 giorni l'anno i riposi del personale mobile, quindi ha aumentato il lavoro annuo di 13 giorni;
   il nuovo CCNL ha aumentato le percorrenze del macchinista solo alla guida del treno costringendo a guidare da Roma a Bolzano o da Roma a Torino sempre allo stesso macchinista da solo senza pause per oltre 6 ore;
   il demansionamento del capotreno a discapito del macchinista ha ulteriormente aggravato la situazione. In virtù di un ipotetico adeguamento alle norme europee, tutte le responsabilità relative alla circolazione dei treni, che prima erano condivise con il capotreno, passano unicamente al macchinista già solo alla guida del treno. C’è da osservare che in Europa l'età in cui i macchinisti possono andare in pensione è di gran lunga inferiore a quella italiana, proprio per i motivi sopra esposti;
   a quanto consta agli interroganti secondo la riforma Fornero, sono categoria da armonizzare;
   la «riforma Fornero» delle pensioni contenuta nel decreto-legge 201 del 2011, oltre alle evidenti iniquità, contiene anche errori;
   uno degli errori più marcati ha riguardato i lavoratori già iscritti all'ex Fondo speciale istituito presso l'INPS ai sensi dell'articolo 43 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, nonché il personale operante nelle imprese ferroviarie e nelle imprese dei gestori delle infrastrutture ferroviarie con mansioni di addetto alla condotta dei treni, addetto alla scorta dei treni, addetto alla manovra, traghettamento, formazione treni ed il personale imbarcato a bordo delle navi traghetto; l'articolo 24, comma 18, del decreto-legge n. 201 del 2011 ha disposto l'armonizzazione delle regole previdenziali per il settore della pubblica sicurezza e delle forze armate e dello spettacolo, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti, ma a causa di un errore contenuto nell'ultimo periodo della disposizione, dove è stata utilizzata la parola «articolo», anziché «comma», ha impedito di applicare l'armonizzazione anche al predetto personale delle imprese ferroviarie;
   si è di fronte alla paradossale situazione per la quale l'allungamento dell'età anagrafica, ai sensi dell'articolo 24 della «legge Fornero» necessaria per l'uscita dal lavoro, rischia di essere pari o maggiore dell'aspettativa di vita media dei macchinisti –:
   se il Ministro non ritenga indispensabile attivarsi presso l'Inps per verificare gli anni effettivi trascorsi in pensione dai macchinisti e per ottenere un'analisi aggiornata e realistica sull'aspettativa di vita di questi lavoratori. (5-04646)


   GNECCHI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i giornalisti iscritti al Fondo INPGI 2 – gestione separata, ad oggi non fruiscono di alcuna forma di ammortizzatore sociale ivi compresa l'indennità di disoccupazione;
   il contributo pari 0,72 per cento che viene versato ad oggi nella suddetta gestione separata INPGI 2, è destinato al finanziamento: dell'indennità di maternità, del congedo parentale, dell'assegno per il nucleo familiare e dell'indennità giornaliera di malattia e di degenza ospedaliera;
   il bilancio consuntivo 2013 del Fondo Inpgi 2 – gestione separata, come gli anni precedenti, registra un avanzo di gestione di oltre 40 milioni di euro (differenza fra entrate contributive e uscite per prestazioni) e a fronte dei suddetti dati, nulla è destinato per gli ammortizzatori sociali, penalizzando ulteriormente questi lavoratori, già soggetti a forme di lavoro precario;
   a breve sarà emanato il decreto legislativo di riforma degli ammortizzatori sociali che introduce la nuova Naspi per i lavoratori dipendenti, la Dis-Coll per i lavoratori precari e l'ASDI a favore dei disoccupati indigenti;
   non è previsto che né la nuova NASPI, né la DIS-COLL trovino applicazione ai lavoratori iscritti e alle casse private e rispetto all'ASDI la stessa è erogata dopo il periodo di fruizione della Naspi o della DISCOLL, di conseguenza non è definito se della suddetta ASDI vengano parimenti esclusi i lavoratori iscritti alle casse private –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, in quanto soggetto vigilante, di intervenire nei confronti del suddetto Fondo INPGI 2, affinché preveda delle prestazioni di sostegno al reddito nei confronti dei lavoratori iscritti durante periodi di inoccupazione. (5-04657)


   GNECCHI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già nella precedente legislatura sono stati presentati diversi atti di sindacato ispettivo, con i quali è stato più volte richiesto di fare chiarezza sui contributori volontari attivi ed autorizzati ante 20 luglio 2007 articolo 1, comma 8, legge 243 del 2004 e successive modifiche intervenute con la legge 247 del 2007, rispetto all'accesso alla salvaguardia prevista dall'articolo 24, comma 14, del decreto-legge 201 del 2011, nonché sulla relativa quantificazione di questa platea;
   a oggi non ha avuto ancora risposta l'atto di sindacato ispettivo 5-03401 presentato il 1o agosto 2014 con il quale si chiedeva quante sono state le pensioni liquidate negli anni 2011, 2012, 2013 e 2014 ai soggetti rientranti nella casistica sopracitata;
   come più volte evidenziato la copertura finanziaria per i soggetti rientranti nell'articolo 1, comma 8, della legge n. 243 del 2004, come modificato della legge n. 247 del 2007, era già prevista dalle suddette leggi, così come peraltro stabilito dall'articolo 81 della Costituzione, vanno infatti assolutamente distinti gli oneri individuati per la salvaguardia prevista dal decreto-legge n. 201 del 2011 come convertito dalla legge 214 del 2011, che peraltro non ha abrogato le norme sopra richiamate –:
   quanti siano i soggetti, non ancora in pensione, autorizzati alla contribuzione volontaria ante 20 luglio 2007 suddivisi per classi di età e anni di contribuzione. (5-04658)


   CENNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società per azioni il cui capitale è posseduto al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze. La società è tenuta ad erogare il cosiddetto «servizio universale»: servizi essenziali di consegna di lettere e pacchi ad un prezzo prestabilito;
   dopo le numerose ristrutturazioni delle risorse umane ed i tagli al personale attuate dal 1998, fra il 2006 ed il 2012 per sopperire ad una cronica mancanza di dipendenti Poste italiane è ricorsa all'utilizzazione di forme contrattuali a tempo determinato. Tali assunzioni sono state stipulate ai sensi dell'articolo 2, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 368 del 2001 che ha stabilito la possibilità di effettuare assunzioni di dipendenti a termine senza giustificarne il motivo dell'assunzione stessa per circa 10 mesi nel corso di ogni singolo anno e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale riferito al 1o gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono;
   da quanto è emerso dai bilanci di Poste italiane tali percentuali non sono state rispettate ma ampiamente superate: una situazione che ha causato numerosi ricorsi da parte dei dipendenti in scadenza di contratto (circa 15 mila);
   le associazioni sindacali di categoria stanno da tempo denunciando la scelta di Poste italiane di «attuare un progetto di assunzione dei dipendenti con contratti a tempo determinato rinunciando, salvo pochi casi, alle assunzioni di professionalità con contratti a tempo indeterminato»;
   dopo aver dato un contributo determinante al buon funzionamento dell'azienda con il lavoro svolto, molti lavoratori precari sono infatti ancora in attesa di un possibile inquadramento stabile e definitivo, a tempo indeterminato, all'interno dell'ente;
   a seguito della richiesta, accolta dal tribunale di primo grado, di una lavoratrice postale che chiedeva di dichiarare la nullità del termine apposto al contratto e la conseguente instaurazione di lavoro a tempo indeterminato, la Corte di cassazione (con la sentenza numero 6328 del 16 marzo 2010) ha deciso che la stipulazione di un contratto a tempo determinato non può essere ricondotta a strumento comune di assunzione al lavoro sancendo che Poste italiane aveva quindi violato le norme del decreto legislativo n. 368 del 2001;
   successivamente la Cassazione ha rigettato il ricorso, proposto da Poste italiane, osservando che: «Il decreto legislativo n. 368 del 2001 persegue lo scopo di riposizionare l'equilibrio del sistema, nel contemperamento degli interessi economici e sociali in possibile contrasto nella materia del contratto a tempo determinato, tenendo peraltro fermo il principio, relativo alla centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato; da qui la non riconducibilità del contratto a termine a strumento comune di assunzione al lavoro, che si esprime nella legge nel richiedere, già in sede di formulazione in forma scritta del relativo contratto, la puntuale specificazione della concreta esigenza che giustifica l'apposizione del termine, riconducibile tra quelle riassunte nella formulazione della clausola generale enunciata al comma 1 del citato articolo di legge»;
   ad oggi sono ancora circa 600 i dipendenti «ricorsisti» che lavorano in azienda in attesa di giudizio successivo o definitivo;
   tale situazione di precarietà è stata affrontata in appositi accordi tra Poste italiane e i rappresentanti dei lavoratori, nei quali la stessa azienda si impegnava «ad avviare interventi mirati ad introdurre nell'ambito dell'azienda specifici momenti di valorizzazione delle risorse impiegate attraverso l'avvio di processi di politica attiva del lavoro»;
   tali impegni, presi nel mese di febbraio del 2014, non hanno dato seguito a nessun atto ufficiale;
   le associazioni sindacali in una nota stampa del mese di ottobre 2014 hanno al contrario ribadito l'indisponibilità di Poste italiane di ricercare un accordo con i dipendenti «riscorsisti» rimandando ulteriori valutazioni sulle necessità di organico nella definizione del piano industriale;
   il 16 dicembre 2014 il nuovo amministratore delegato di Poste italiane, Francesco Caio, nell'illustrare le linee strategiche del piano di sviluppo del gruppo per il periodo 2015-2019, ha elencato tra le linee di azione «8.000 tra nuovi ingressi e conversioni dei part time: il 50 per certo dei nuovi ingressi riguarderà giovani laureati e nuove professionalità. Inoltre prevediamo lo sviluppo di circa 7.000 risorse interne verso profili più qualificati»;
   nel corso degli ultimi mesi alcuni articoli di stampa hanno sollevato alcune perplessità sulle modalità di assunzione di Poste italiane: «il 22 marzo, Poste italiane — riporta il testo — ha pubblicato un avviso per reclutare 1070 lavoratori a contratto, fra portalettere e addetti allo smistamento. Solo che, a fronte di migliaia di curriculum presentati, l'azienda ha continuato a fare ricorso (come era già successo negli anni scorsi) alle agenzie interinali per reclutare altro personale, eludendo dunque il bando»;
   va aggiunto, in questo contesto che la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha introdotto alcune modifiche alla disciplina del servizio postale universale: in particolare il contratto di programma 2015-2019 stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane, prevede per il servizio postale misure di razionalizzazione del servizio e di rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull'intero territorio nazionale –:
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di salvaguardare le tutele dei lavoratori di Poste italiane, esposte in premessa, coerentemente con quanto sancito dalla Corte Costituzionale;
   se le riduzioni alla disciplina del servizio postale universale previste dalla legge n. 190 del 2014, potranno causare una ulteriore riduzione dell'attuale personale preposto di Poste italiane;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze, in qualità di azionista, intervenga affinché Poste italiane, prima di procedere a nuove assunzioni, avvii le procedure per stabilizzare l'attuale personale impiegato. (5-04659)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Perugina Nestlé con sede in Perugia rappresenta una delle più grandi industrie del capoluogo umbro oltre che una azienda «storica» della città di Perugia (la «città del Bacio e del cioccolato») così come le Acciaierie Speciali Terni lo sono per la città di Terni (la «città dell'acciaio»); lo stabilimento della Perugina occupa circa 1.000 dipendenti;
   come si apprende dalla stampa on line (www.umbria24.it del 2 febbraio 2015), «Quello che prima era un timore si trasforma in vero allarme rosso. La situazione allo stabilimento di San Sisto della Nestlé-Perugina viene definita «drammaticamente pesante» dopo che la Rsu è stata informata che le previsioni per l'anno 2015 dei volumi produttivi saranno ulteriormente in calo rispetto all'anno precedente e, per la prima volta nella storia della fabbrica, si assesteranno ben al di sotto delle 25 mila tonnellate. La fabbrica, dunque, «subirà un forte calo di lavoro». «Malgrado i tanti impegni presi dall'azienda – spiega la R.su – con la sottoscrizione del Contratto di solidarietà in termini di mantenimento dei volumi e delle produzioni, la realtà dei fatti ci dice invece che i volumi continueranno a diminuire e che questo comporterà ancora meno ore di lavoro per i lavoratori. Come se non bastasse da voci di corridoio si sussurra che nelle prossime settimane assisteremo allo smantellamento di qualche impianto «storico» della fabbrica, con il rischio certificato di eliminare qualsiasi tentativo di rilancio per i prodotti ad esso legati»;
   il presidente della regione Umbria Catiuscia Marini ha già convocato il responsabile delle relazioni industriali di Nestlé Italia Gianluigi Toja per avere un chiarimento;
   è tuttavia vero che già da quattro anni i dipendenti della Perugina di San Sisto di Perugia, visto l'andamento della produzione e la scarsa reattività della dirigenza dell'azienda, hanno denunciato il rischio di un progressivo smantellamento e perdita della produzione;
   a parere dell'interrogante, se è vero che anche la Perugina soffre della negativa congiuntura economica, è altrettanto vero che il decremento della produzione in termini di quantità prodotte, i mancati investimenti in nuovi prodotti, in tecnologie e in linee di produzioni unitamente alla riduzione della loro varietà, la dismissione di produzioni perché considerate troppo costose o fuori mercato, il disinvestimento di marchi «storici» con la produzione dei famosi e noti cioccolatini «Baci» destinati al mercato francese senza lo storico marchio «Perugina» e senza qualsiasi riferimento allo stabilimento di San Sisto di Perugia (come già denunciato nell'interrogazione n. 4/01801 rimasta priva di risposta), una politica aziendale «timida» e il ricorso «fisiologico» alla cassa integrazione e ai contratti di solidarietà come strumento per sopperire al calo della produzione, rappresentano le cause della crisi dello stabilimento perugino;
   vi è il concreto pericolo che la multinazionale Nestlé, proprietaria dello stabilimento di San Sisto, possa «ridimensionare» o «delocalizzare» l'attività produttiva con immaginabili ricadute economiche e sociali in termini occupazionali in un territorio quale quello umbro già marcatamente colpito dalla crisi industriale in atto;
   è necessario un intervento del Governo che si ponga come interlocutore forte nei confronti della multinazionale, affinché scongiuri il temuto ridimensionamento dello stabilimento di San Sisto con l'effetto di pesanti ricadute in termini di costi sulla collettività –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione produttiva dello stabilimento della Perugina Nestlé con sede in Perugia e quali siano le intenzioni della dirigenza della Nestlé;
   se non ritenga opportuno aprire un tavolo di confronto a livello nazionale che veda protagonisti le rappresentanze dei lavoratori, l'azienda e le istituzioni locali finalizzato alla individuazione e alla condivisione delle linee guida di un piano industriale che abbia come obiettivi prioritari la salvaguardia dei livelli occupazionali e il potenziamento produttivo dello stabilimento perugino con idonei investimenti così da scongiurare l'ipotesi del temuto ridimensionamento o peggio ancora della «delocalizzazione» della produzione. (5-04662)


   CINZIA MARIA FONTANA, GNECCHI, CASATI, CIMBRO, CIVATI, COVA, FIANO, GASPARINI, LAFORGIA, MALPEZZI, MAURI, MONACO, PELUFFO, POLLASTRINI, PRINA, QUARTAPELLE PROCOPIO e RAMPI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 147 del 2014, recante «Modifiche alla disciplina dei requisiti per la fruizione delle deroghe riguardanti l'accesso al trattamento pensionistico» (cosiddetta «sesta salvaguardia»), prevede le condizioni necessarie affinché alle categorie di lavoratori nello stesso riportate, che maturano i requisiti per il pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011, continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011;
   in particolare, l'articolo 2, comma 1, lettere b), c) e d) della legge n. 147 del 2014 prolunga di un anno il termine entro il quale debbano esser perfezionati i requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico da parte di categorie di lavoratori già previsti nei precedenti provvedimenti di salvaguardia, confermando di fatto i criteri e le procedure ivi disciplinati;
   a quanto consta agli interroganti la direzione territoriale del lavoro (DTL) di Milano, in apparente contrasto con il dettato e lo spirito della legge istitutiva della legge n. 147 del 2014 e difformemente da altre Direzioni territoriali del lavoro presenti sul territorio nazionale, avrebbe deciso di considerare non riconducibili ai criteri di ammissibilità alla «sesta salvaguardia» i soggetti mobilitati il cui rapporto di lavoro si sia risolto «in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile, ovvero in applicazione di accordi collettivi di incentivi all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale», inviando a questi ex lavoratori, che hanno presentato domanda di ammissione secondo i criteri previsti dall'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge n. 147 del 2014, un «preavviso di diniego» alle domande da essi formulate;
   le domande presentate con riferimento ai precedenti provvedimenti di salvaguardia, riconducibili a pari posizioni e pari requisiti di quelli previsti dall'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge n. 147 del 2014, sono state regolarmente accolte, anche dalla stessa Direzione territoriale del lavoro di Milano –:
   se il Ministro non ritenga necessario intervenire con la massima urgenza per dare indicazioni precise e chiare alla Direzione territoriale del lavoro di Milano, al fine di superare una situazione di esclusione e di profonda iniquità nei confronti dei lavoratori rientranti nella fattispecie prevista dall'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge n. 147 del 2014, e considerato che altre Direzioni territoriali del lavoro hanno già deciso l'accoglimento delle istanze presentate per «pari posizioni». (5-04663)


   CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Firema Trasporti s.p.a. con sede legale in Napoli è stata ammessa con decreto del Ministero dello sviluppo economico in data 2 agosto 2010 alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge n. 347 del 2003 convertito dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39;
   il professor avvocato Ernesto Stajano, commissario straordinario della Firema Trasporti spa in amministrazione straordinaria, in esecuzione di quanto previsto dal programma, ha presentato un invito all'acquisto – in particolare – del ramo di azienda con sede in Spello (Perugia) comprensivo dello stabilimento ove è svolta l'attività di service per equipaggiamenti elettrici e motori di trazione;
   lo stabilimento di Spello (Perugia) è una delle realtà industriali più importanti del territorio della provincia di Perugia e tuttora conserva notevole potenzialità, poiché opera nel settore strategico dei trasporti;
   tuttavia, come si apprende dalla stampa, le lunghe trattative per cercare un acquirente hanno subito un forte rallentamento tanto che i 28 lavoratori coinvolti dalla procedura «hanno incrociato le braccia attendendo risposte sullo stato delle trattative di vendita che per il ramo spellano dell'azienda sono sospese da mesi.» (www.trgmedia.it del 29 gennaio 2015);
   infatti, le trattative con una newco intenzionata a rilevare la società non darebbero certezze specifiche riguardo lo stabilimento di Spello che sembrerebbe non rientrare in questa operazione;
   per il 17 marzo 2015 è prevista la imminente scadenza della amministrazione straordinaria e forte rimane la preoccupazione tra i 30 dipendenti sul proprio futuro lavorativo e per le incertezze del mantenimento del sito produttivo a Spello;
   il territorio della regione Umbria sta subendo già un continuo susseguirsi di crisi aziendali, vertenze, ricorsi alla cassa integrazione guadagni o addirittura a licenziamenti collettivi. La crisi sta colpendo in modo particolarmente duro ed è difficile trovare una parte della regione che non sia colpita da un evento che genera la perdita di posti di lavoro o la chiusura dell'azienda, tanto che la prima firmataria del presente atto ha presentato una mozione per sollecitare misure per il rilancio dell'attività economiche in Umbria (n. 1-00662 del 12 novembre 2014): certamente anche lo stabilimento di Spello sta subendo l'effetto della congiuntura economica negativa con il pericolo di forti ricadute sociali sulla vita delle famiglie, dei lavoratori e delle lavoratrici del territorio che si trovano in grande difficoltà –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione descritta e quali urgenti iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di favorire il mantenimento dei siti produttivi e dei livelli occupazionali del gruppo Firema, ed in particolare del sito produttivo di Spello (Perugia) che da decenni rappresenta una delle realtà industriali più importanti del territorio umbro. (5-04666)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Tirrenia di Navigazione è stata una società italiana di trasporti marittimi a controllo statale. Con le sue navi merci e passeggeri collegava diversi porti italiani e del Mar Mediterraneo, garantendo, inoltre, la continuità territoriale con le isole durante tutto l'arco dell'anno. È stata acquisita dalla Compagnia italiana di navigazione il 19 luglio 2012, dopo un processo di privatizzazione iniziato nel 2008, diventando Tirrenia-Compagnia Italiana di Navigazione;
   l'amianto è una sostanza particolarmente cancerogena perché può provocare due diverse malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, ed il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione addirittura di pochissime fibre;
   fino al 1990 numerose navi e traghetti sono stati costruiti con un massiccio impiego di amianto e ne erano totalmente coibentate, come testimoniato dai registri del RINA (Registro italiano navale); tutt'oggi vi sono delle navi in servizio, sia appartenenti alla Marina mercantile che a quella militare, coibentate con materiale contenente amianto (crisotilo, crocidolite, amosite) perfettamente in grado, ancora oggi, di porre in pericolo la salute dei lavoratori marittimi;
   secondo gli archivi della Associazione osservatorio nazionale amianto, il problema dell'amianto sulle vecchie navi non è limitato soltanto a quelle appartenenti alla marina militare, ma anche alle navi mercantili adibite al trasporto passeggeri e merci, come quelle della Tirrenia di Navigazione spa;
   l'Associazione osservatorio nazionale amianto segue casi di marittimi della ex Tirrenia che hanno contratto il mesotelioma pleurico e poi deceduti, personale con mansioni sia di macchina che di coperta. L'ultimo decesso risulta essere avvenuto nel giugno 2013. Secondo quanto riportato nel quarto rapporto ReNAM: «l'amianto era diffusamente presente sulle navi mercantili, in particolare quelle passeggeri, a scopo di isolamento termico, insonorizzante e antincendio, anche all'interno degli alloggi del personale di bordo, con esposizione ambientale di quest'ultimo, anche oltre l'orario di lavoro, in quanto ambiente di vita dei marittimi»;
   in questi ultimi 18 anni tre marittimi della Tirrenia sono deceduti per mesotelioma, nel 2007, 2010 e 2013, altri si sono ammalati negli anni –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intenda far partire un'indagine presso l'INAIL (che ha assorbito le competenze dell'IPSEMA), per rilevare la quantità di marittimi affetti da asbestosi e da malattie derivanti dall'amianto, in modo da avere i dati reali della situazione;
   se risulti che la Tirrenia spa abbia mai informato le competenti autorità governative in merito all'esposizione ad asbesto dei propri lavoratori e se abbia intrapreso azioni concrete di bonifica delle navi coibentate con materiali contenenti amianto. (4-07713)


   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 agosto 2004, n. 243, recante «Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria», ha previsto la possibilità alle lavoratrici, che hanno raggiunto i requisiti anagrafici con 57 anni di età ed un versamento contributivo pari a 35 anni lavorativi, di accedere al trattamento pensionistico anticipato, sino al 21 dicembre 2015;
   lo scorso 3 dicembre l'INPS, l'Istituto nazionale di previdenza sociale, comunica attraverso il sito web, : «....di aver chiesto un parere al ministero interrogato, di definire se la data del 31 dicembre 2015 debba essere intesa come termine per maturare i requisiti o per la decorrenza della pensione (a causa dell'applicazione della «finestra mobile»)»;
   in attesa dei chiarimenti richiesti, le domande di pensione di anzianità delle lavoratrici che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2015, con conseguente finestra d'accesso in data successiva, restano sospesi;
   l'interrogante evidenzia a tal fine che per il personale scuola vi è un'unica «finestra» a cui far riferimento ed è sempre il 1o settembre e pertanto in questo caso, per la scuola, dovrebbe esservi l'uscita il 1o settembre 2016 –:
   se non ritenga urgente e necessario prevedere un intervento normativo, volto a specificare se il Ministero interrogato, intenda consentire a tutti i dipendenti scolastici di poter accedere al sistema pensionistico a partire dal 1o settembre 2016, considerata la scadenza della presentazione delle domande del personale scuola, come all'Usp di Novara, al 17 gennaio 2015. (4-07756)


   PASTORELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ventidue anni fa nel nostro Paese l'amianto è stato dichiarato fuorilegge. Fino al 2004, in Italia, sono stati 9.166 i casi di mesotelioma maligno riportati nel registro nazionale dei mesoteliomi (Renam III rapporto 2010);
   ancora oggi, nel nostro Paese, le stime parlano di 800/1.000 persone morte ogni anno per patologie asbesto-correlate. Si tratta di persone esposte in passato nei siti produttivi, perché le malattie asbesto-correlate hanno periodi di latenza assai lunghi, (in letteratura scientifica fino 40 anni);
   ancora oggi comunque, molti lavoratori continuano ad essere ad elevato rischio, laddove vengono purtroppo ancora disattese le previste norme di prevenzione ma soprattutto di bonifica;
   i risultati delle azioni di messa in sicurezza e di bonifica dell'amianto, condotte fino ad oggi, mostrano come, malgrado la legge n. 257 del 1992, siano possibili ancora numerose occasioni di esposizione a causa della presenza dell'amianto negli ambienti di lavoro e di vita, ciò perché le attività di risanamento ambientale non sono state sistematiche e complete;
   ancora una volta sotto la lente di ingrandimento è lo stabilimento Fincantieri di Marghera. Così, dopo della sentenza del maggio del 2012, che confermava in Cassazione la condanna per i dirigenti di Breda-Fincantieri di Marghera per le morti di undici operai, e delle mogli di tre di loro, causate dalle malattie provocate dalle fibre di amianto, alcune settimane fa, un nuovo esposto, è stato presentato alla procura della Repubblica di Venezia. All'esposto, firmato da 58 operai, i quali avevano reso nota la loro preoccupazione «per aver mangiato in una mensa ospitata in un edificio dove sotto il tetto i tubi del vapore erano coibentati con amianto», è stato allegato un compact disc di documentazione e fotografie della mensa, degli spogliatoi e della palazzina ovest;
   nell'esposto si chiede alla magistratura inquirente «l'apertura di indagini atte a stabilire le responsabilità della contaminazione da amianto presso i cantieri ex-Breda di Marghera, Fincantieri spa, non solo a livello di lavorazioni ma anche a livello ambientale...»;
   dal canto suo Fincantieri fa presente – in una lunga nota stampa nella quale sottolinea il fatto di aver adottato «le cautele richieste» aggiunge – che: «Tutti i manufatti individuati in occasione della mappatura sono stati, quindi, completamente eliminati e successivamente sono state individuate altre zone in cui precedentemente non era stata individuata la presenza di manufatti contenenti amianto in matrice compatta, in genere tubazioni posizionate in zone normalmente non accessibili; in tutte le occasioni è stata applicata la procedura cosiddetta di «amianto occulto», che prevede l'immediata comunicazione agli Enti di controllo istituzionali, la verifica dei manufatti interessati e della situazione ambientale esistenti, l'immediato intervento nel rispetto della norma di riferimento per la immediata rimozione di quanto individuato a prescindere dallo stato dei luoghi e degli impianti»;
   Fincantieri sembra dunque confermare le preoccupazioni dei lavoratori in merito alla presenza di amianto. A tal fine, rilevano alcuni passaggi contenuti nelle motivazioni della sentenza 33311 della quarta sezione penale della Corte di Cassazione: «Nessuno poteva ignorare la pericolosità della situazione... C'erano tutte le condizioni per comprendere il rischio elevato delle lavorazioni... La Corte è dell'avviso che l'appartenenza a un'impresa di cospicue dimensioni, quale la Fincantieri, la vasta esperienza, le competenze specifiche di settore, il possesso di congrui titoli di studio dei soggetti qui chiamati a rispondere in qualità di garanti, costituivano condizioni sufficienti per cogliere la specifica, elevata rischiosità delle lavorazioni svolte e, se del caso, la necessità di attingere a competenze settoriali specialistiche, senza che il silenzio delle pubbliche agenzie potesse in alcun modo acquietarli» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative si intendano adottare per contribuire a dissolvere le preoccupazioni dei lavoratori di Fincantieri di Marghera permettendo in tal modo di eliminare una concreta minaccia per la salute dei lavoratori. (4-07777)


   DI LELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la facoltà di agraria dell'università degli studi di Napoli «Federico II», così come tutte le altre facoltà presenti sul territorio nazionale, procede, a partire dal 1981, all'assunzione di operai agricoli stagionali per le esigenze relative alla cura dell'orto botanico di Napoli, per la facoltà di agraria di Portici, per le esigenze dell'azienda agraria di Battipaglia (Salerno) e Castel Volturno (Caserta) e per il Centro Rotary di S. Angelo dei Lombardi (Avellino);
   le predette assunzioni avvengono in conformità della legge 27 febbraio 1980, n. 38, intitolata: «Disposizioni transitorie per il personale non docente delle università», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 marzo 1980, n. 61. La quale prevede all'articolo 2, comma 3, che: «Per le particolari esigenze delle facoltà di agraria e veterinaria e degli orti botanici è consentita l'assunzione di personale operaio secondo le norme previste dal contratto nazionale agricolo e dai contratti integrativi provinciali»;
   tali operai vengono assunti, praticamente dal 1981 ad oggi, con contratti di lavoro stagionali per un massimo di 156 giorni lavorativi. Una situazione questa che denota una assoluta incertezza del rapporto lavorativo evidenziata più volte sia dalla facoltà di agraria che dalle parti sociali in sede di reiterazione dei predetti contratti dove si rimarca «l'assoluta mancanza di presupposti normativi e legislativi per una stabilizzazione dei rapporti in essere»;
   il vuoto normativo rilevante dal punto di vista del lavoratore inficia anche l'ambito della ricerca scientifica e della didattica cui tendono le facoltà di agraria;
   nel caso specifico dell'università di Napoli, il predetto personale è dislocato tra la facoltà di agraria, l'orto botanico, le serre sperimentali di patologia vegetale e entomologia ed altri distretti, per fare alcuni esempi, dove sono presenti importanti strutture di ricerca sperimentale il cui funzionamento è fortemente dipendente dalla presenta di tali operai. Così la ridotta disponibilità temporale di tali unità lavorative (che si sono comunque andate riducendo nel corso degli anni per una contrazione anche delle disponibilità economiche delle università) costituisce certamente un fattore limitante per la piena utilizzazione delle strutture stesse; inoltre, l'intermittenza del rapporto lavorativo e le conseguenti difficoltà di svolgimento degli esperimenti che, richiedono tempi di attuazione superiori ai sei mesi, compromettono inevitabilmente quella che dovrebbe essere la funzione principale di tali facoltà: la ricerca;
   ma non è solo il vuoto normativo a rilevare per la condizione in cui si trovano gli operai agricoli stagionali assunti presso le facoltà. In tal senso rileva la sentenza n. 202/08 del tribunale civile di Salerno chiamato ad esprimersi in merito alla presunta violazione, da parte della facoltà di agraria di Napoli, delle disposizioni ex articolo 22 della legge n. 689 del 1981 in materia di norme sul collocamento. Nel merito il giudice rileva l'errato fondamento delle argomentazioni dedotte relativamente al principio per cui: «l'Università sia da considerare un vero e proprio datore di lavoro agricolo, mentre le attività svolte presso l'orto botanico e la facoltà di agraria non sono finalizzate in alcun modo ad obiettivi produttivi e di lucro, ma rientrano esclusivamente nelle finalità didattiche e di ricerca scientifica proprie delle funzioni degli enti universitari. Infatti, così come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, dal Consiglio di Stato e dal giudice contabile, l'università e gli istituti di istruzione superiore, hanno natura di enti pubblici non economici e, come tali, intrattengono con i propri dipendenti rapporti di pubblico impiego; la natura pubblicistica del datore di lavoro giustifica l'inosservanza dell'obbligo di cui all'articolo 25 della legge n. 223 del 1991 –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati, per le parti di competenza, abbiano intenzione di porre in essere al fine di favorire il conseguimento del passaggio del rapporto di lavoro a tempo determinato, degli operai stagionali assunti presso le facoltà di agraria e gli istituti di ricerca ad esse connessi, a quello a tempo indeterminato colmando, in tal senso, anche con appropriate iniziative legislative il vuoto normativo rilevato sia dagli atenei che dalle parti sociali. (4-07795)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante presso la sede della società aerospaziale «Alenia Aermacchi» di Grottaglie in provincia di Taranto si starebbe per verificare un vergognoso caso di discriminazione, in cui alcuni lavoratori – per il semplice fatto di non essere italiani – debbono accettare condizioni lavorative vessatorie;
   infatti, pur in assenza di decisioni e spiegazioni ufficiali, la direzione aziendale avrebbe deciso di non rinnovare il contratto a 38 dipendenti di nazionalità italiana, mentre lo ha rinnovato a 40 lavoratori di nazionalità rumena per il solo fatto che questi, secondo tali segnalazioni, sarebbero costretti ad accettare condizioni di lavoro peggiori, con particolare riferimento ad un salario più basso (1.000 euro mensili anziché 1.400), nonché alla disponibilità a sopportare turnazioni peggiori, senza ricevere straordinari;
   qualora tali segnalazioni fossero confermate si tratterebbe di una vicenda gravissima non per la nazionalità dei lavoratori a cui sono stati rinnovati i contratti, bensì per il fatto che il presupposto del rinnovo è legato all'accettazione di condizioni di lavoro ben peggiori rispetto a quelle attualmente previste –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritengano, per quanto di loro competenza, di intervenire, anche mediante iniziative normative urgenti affinché tale vergognosa pratica non si diffonda. (4-07812)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAON, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Programma di sviluppo rurale 2014/2020, redatto dalle regioni, è il principale strumento di programmazione e finanziamento per gli interventi nel settore agricolo, forestale e dello sviluppo rurale e rappresenta una politica di sviluppo di lungo periodo e, pertanto, consente l'attuazione degli interventi necessari a sostenere il potenziamento del settore agricolo, alimentare e forestale, nonché la conservazione e valorizzazione dell'ambiente e la crescita sostenibile dei territori rurali della regione;
   il programma favorisce interventi finalizzati a rendere competitiva l'agricoltura, con un particolare riferimento alla sostenibilità ambientale, punta a promuovere i processi di ricambio generazionale, l'adeguamento e l'ammodernamento delle aziende agricole, la multifunzionalità, tende a sostenere le strategie di filiera orientate alla valorizzazione delle produzioni agricole e forestali di qualità e ad operare sul territorio attraverso un nuovo approccio progettuale di tipo territoriale ed integrato;
   le imprese agricole e agroindustriali, nonché tutti i rappresentanti del mondo agricolo, pressoché giornalmente, sollecitano l'operatività di questo importante strumento di politica agricola ancora più necessario in una situazione di crisi economica acclarata;
   secondo il regolamento europeo (UE) n. 1303/2013, «la Commissione formula osservazioni entro tre mesi dalla data di presentazione del programma (...) e approva ciascun programma entro sei mesi dalla presentazione dello Stato membro (...) tale termine non comprende il periodo che ha inizio il giorno successivo alla data in cui la Commissione trasmette le osservazioni allo Stato membro e si estende fin quando lo Stato membro non risponde alle osservazioni»;
   il testo del Programma di sviluppo rurale 2014-2020 della regione Lombardia è in attesa di approvazione ufficiale da parte della Commissione europea. Il testo del Programma, precedentemente approvato con delibera regionale dell'11 luglio 2014, è stato infatti rivisto sulla base delle osservazioni pervenute da Bruxelles (e delle osservazioni pervenute dalla consultazione pubblica), e in seguito notificato nuovamente alla Commissione europea il 5 dicembre 2014;
   il nuovo Programma di sviluppo rurale metterà a disposizione, complessivamente, 1.157 milioni di euro, 133 milioni di euro in più rispetto alla precedente programmazione 2007-2013 (+14,5 per cento), cifra che compensa parzialmente le perdite sul primo pilastro della Politica agricola comune;
   i destinatari del Programma di sviluppo rurale sono, in termini generali, le imprese agricole, agroindustriali e forestali, gli enti pubblici, le piccole e medie imprese, i distretti agricoli, gli organismi di formazione e consulenza e i gruppi d'azione locale;
   la regione Lombardia è una delle tre regioni ad aver già esaurito le risorse della programmazione 2007/2013. È riuscita a spendere oltre il 90 per cento dei fondi a disposizione;
   anche la regione Veneto ha inviato il 22 luglio 2014 alla Commissione europea il testo di proposta del Programma di sviluppo rurale 2014-2020. La Commissione europea ha trasmesso, il 16 dicembre 2014, le osservazioni ufficiali. Si tratta di 346 punti tra osservazioni di carattere generale e osservazioni specifiche e puntuali, rispetto alle quali la regione ha elaborato le necessarie informazioni di risposta, anche attraverso la verifica delle conseguenti modifiche da apportare al testo del programma;
   il Programma di sviluppo rurale della regione Veneto 2014-2020 gestirà 1 miliardo e 184 milioni di euro, pari al 6,36 per cento delle risorse nazionali. Il 43 per cento dei fondi proverranno dall'Unione europea, il 40 per cento dallo Stato italiano e il 17 per cento dalla regione;
   secondo indiscrezioni provenienti da Bruxelles i Programmi di sviluppo rurale 2014-2020 delle regioni italiane corrono il rischio di essere approvati non prima del via libera al bilancio comunitario 2015, previsto per primavera 2015. Il rischio è quello di perdere un intero anno di operatività. Questo slittamento dei tempi di approvazione per motivi di contabilità europea si aggiunge al ritardo già accumulato in Italia a seguito della tardiva sottoscrizione dell'accordo di partenariato con l'Unione europea per l'utilizzo dei fondi europei, avvenuto alla fine di ottobre 2014;
   sembra, inoltre, che Bruxelles abbia ricevuto da parte del Governo italiano una richiesta per concedere una delibera definitiva in un'unica circostanza a tutti i Programmi di sviluppo rurale di tutte le regioni il prossimo giugno 2015. Questa indiscrezione è, secondo gli interroganti, molto preoccupante in quanto andrebbe ad azzerare tutto il percorso virtuoso che alcune regioni, soprattutto del Nord, hanno avviato altresì presentando per primi la bozza del Programma di sviluppo rurale alla Commissione europea;
   il Ministro interrogato su questa rivelazione ricevuta da Bruxelles, durante il convegno sul «Futuro dell'agricoltura da oggi al 2020» sembra aver affermato che «un'omologazione sui tempi di accettazione dei vari programmi di sviluppo rurale non ha senso». Inoltre, ha precisato, che «i ritardi nell'approvazione dei programmi di sviluppo rurale 2014-2020 sono imputabili alla complessità delle procedure previste dalla nuova regolamentazione comunitaria, ai tempi impiegati dalla Commissione europea per inviare le osservazioni ai Programmi notificati il 22 luglio 2014 e ai tempi impiegati dalle singole autorità di gestione per fornire gli elementi richiesti dalla Commissione europea.» Durante un incontro con i rappresentanti della Commissione europea, del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e di tutte le regioni, tra le varie soluzioni ipotizzate via era quella di garantire l'avvio delle principali misure previste dai Programmi di sviluppo rurale già a partire dalla prossima scadenza del 15 maggio 2015 anche in assenza di approvazione da parte dell'Unione europea. Ma non si può far perdere agli agricoltori tutti questi mesi;
   se lo strumento di programmazione settennale non sarà approvato il più velocemente possibile si realizzerebbe una situazione paradossale con regioni che, avendo tempestivamente e totalmente esaurito la propria disponibilità di risorsa a valere sulla passata programmazione 2007-2013, si troverebbero senza alcun margine di manovra o intervento, contrariamente ad altre che, meno efficienti, residuano risorse da poter utilizzare;
   il 31 dicembre 2014 si è concluso il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea che poteva essere l'occasione giusta per spingere la Commissione europea ad un'approvazione in via tecnica dei Programmi di sviluppo rurale prima della formale approvazione del bilancio europeo –:
   quali iniziative intenda assumere affinché la Commissione europea approvi il prima possibile i singoli Programmi di sviluppo rurale delle regioni che hanno già completato l’iter, senza attendere l'approvazione in un'unica delibera, così da poter disporre i bandi della nuova Politica agricola comune in quanto gli agricoltori non possono attendere un via libera del Programma di sviluppo rurale a giugno 2015 ed è necessario avviare velocemente i primi atti concreti a beneficio delle imprese agricole. (3-01267)
(Presentata il 4 febbraio 2015)


   OLIVERIO, SANI, FIORIO, MONGIELLO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CAPONE, CARRA, CASATI, COMINELLI, COVA, DAL MORO, GALPERTI, IACONO, LAVAGNO, LODOLINI, MARROCU, PALMA, PRINA, RIGONI, ROMANINI, SGAMBATO, TARICCO, TENTORI, VENITTELLI, VERINI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore lattiero-caseario, in un contesto caratterizzato da una situazione finanziaria grave e diffusa, è ulteriormente in crisi per le anomalie del mercato che fanno registrare, su base annua, una diminuzione del prezzo del latte alla stalla del 19 per cento, mentre il prezzo del latte fresco di alta qualità al consumo è aumentato nell'ultimo trimestre dell'1,2 per cento per cento;
   nel quarto trimestre del 2014 è proseguito a ritmo sostenuto il declino del mercato lattiero-caseario nazionale soprattutto a causa del persistente calo dei prezzi dei formaggi grana e del latte alla stalla;
   i prezzi degli input per l'allevamento dei bovini, prevalentemente mangimi, hanno continuato a flettere e si registrano segni negativi sui consumi domestici dei prodotti lattiero-caseari, soprattutto di latte fresco;
   la mancanza di informazioni ai consumatori sull'origine del prodotto consente di importare latte dall'estero e trasformarlo in prodotto «italiano», rendendo indistinto anche il 40 per cento della produzione nazionale; in particolare, a fronte di 1.550.000 di tonnellate di latte UHT (a lunga conservazione) «prodotto» in Italia, cui si aggiungono 500.000 tonnellate importate già confezionate, solo 500.000 tonnellate provengono da allevamenti italiani;
   la situazione è altrettanto grave anche per i formaggi, poiché vengono importati prodotti semi-lavorati, quali cagliate, caseine e caseinati, utilizzati per produrre «formaggi senza latte» ma con mere sostanze derivate, traendo in inganno i consumatori;
   ulteriore fenomeno di crisi deriva dalla concentrazione nelle multinazionali delle attività di lavorazione e trasformazione del latte, con sostituzione del latte locale, proveniente dai territori prossimi al consumo, con prodotto importato, non fresco, fenomeno che accentua la tendenza all'abbandono degli allevamenti zootecnici nelle zone maggiormente vocate del nostro Paese, con il conseguente venir meno del presidio idrogeologico e ambientale che gli agricoltori forniscono;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, recante la disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e alimentari, impone la forma scritta per i relativi contratti, stabilendo che essi «devono essere informati a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni, con riferimento ai beni forniti»;
   il decreto interministeriale n. 199 del 2012, di attuazione del citato articolo 62, nel ribadire il divieto di qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, indica alcune fattispecie «tipiche» di pratiche abusive, che rientrano di diritto nella definizione di «condotta commerciale sleale»;
   particolarmente rilevante risulta la previsione del predetto decreto che all'articolo 4, lettera c), vieta le pratiche che determinino, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione medi dei prodotti oggetto delle relazioni commerciali e delle cessioni da parte degli imprenditori agricoli, previsione su cui il parere del Consiglio di Stato del 27 settembre 2012 ha condiviso il riferimento al concetto di «costi di produzione medi», rilevato da fonti oggettive e imparziali;
   tale previsione non intacca l'autonomia delle parti, come libertà di determinare il prezzo, ma intende realizzare una tutela sostanziale del contraente debole a fronte della consolidata concentrazione del valore aggiunto nella filiera nei settori a valle –:
   come intenda affrontare il problema della trasmissione del prezzo dei prodotti lattiero-caseari lungo la filiera, garantendo la stabilità del mercato anche attraverso l'effettiva applicazione del principio previsto dal decreto interministeriale n. 199 del 2012, attuativo del citato articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, in materia di contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari, in base al quale il prezzo di cessione non può essere al di sotto dei costi di produzione medi dei prodotti oggetto delle relazioni commerciali e delle cessioni da parte degli imprenditori agricoli. (3-01268)
(Presentata il 4 febbraio 2015)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIORIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sono presenti ad oggi nel nostro Paese quattro zuccherifici operativi, a servizio di circa 60 mila ettari coltivati a bietole, con una quota di produzione superiore a 500 mila tonnellate;
   l'intero comparto bieticolo-saccarifero italiano, dopo la riforma del 2005, sta attraversando da anni gravi difficoltà causate prevalentemente da una consistente riduzione del prezzo dello zucchero grezzo;
   tali criticità saranno inevitabilmente aggravate dal termine delle «quote zucchero» previste per il 30 settembre del 2017 (stabilita dal regolamento UE n. 1308/2013) e dalla conseguente liberalizzazione del settore prevista per il 2018;
   secondo le associazioni di categoria, in soli tre anni e nonostante gli investimenti fatti che ammontano a circa 200 milioni di euro, l'intera filiera bieticolo- saccarifera italiana potrebbe cessare di esistere e la materia prima verrebbe importata direttamente dall'estero;
   allarmi in questo senso sono stati lanciati anche da autorevoli istituzioni internazionali come la Fao. Per la Food and Agriculture Organization of the United Nations i prezzi dello zucchero hanno registrato infatti una diminuzione negli ultimi due anni di quasi il 40 per cento. Il rischio concreto è che si registri un abbandono dell'intero settore in vaste aree dell'Unione tradizionalmente legate alla bieticoltura, senza possibilità di adeguate soluzioni alternative;
   la coltivazione della barbabietola è infatti fondamentale per garantire la rotazione agraria ed il pieno rispetto delle migliori pratiche ambientali;
   in una recente audizione al Senato, alcune associazioni di categoria, hanno sollecitato la necessità di urgenti interventi strutturali, a livello nazionale e comunitario, per impedire di «disperdere una capacità produttiva importante per l'economia e l'occupazione nazionali», per assicurare la continuità della produzione garantita dalla certificazione «zucchero 100 per cento italiano» e per sostenere la «crescita delle capacità imprenditoriali degli agricoltori»;
   va aggiunto, in questo contesto, che non sono stati ancora erogati, al settore, gli aiuti nazionali degli anni 2009 e 2010 per complessivi 51 milioni di euro;
   nonostante le promesse del Governo (anche alla luce della risposta alla interrogazione n. 5/04312 presentata alla Camera dei deputati) nessuna risorsa specifica per il comparto è stata stanziata nella legge di stabilità 2015;
   comunque il Governo ed i Ministeri competenti hanno spesso annunciato, anche in sede parlamentare, l'attenzione verso il settore bieticolo-saccarifero. Nello specifico il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali:
    nella risposta alla interpellanza urgente n. 2-00634 (alla Camera dei deputati il 18 luglio 2014) ha annunciato che «con riferimento alla PAC 2015-2020, lo stanziamento previsto come aiuto accoppiato, che era una facoltà dello Stato membro di poter individuare e decidere su quale produzione individuare appunto l'aiuto accoppiato, ai sensi dell'articolo 52 del regolamento (UE) n. 1307/2013, da molti giudicato insufficiente, potrà essere certamente rivisto, in funzione dell'andamento di mercato e già in occasione della prevista revisione. La politica agricola comune dà facoltà agli Stati membri di poter rivedere a metà periodo. Nel 2016 già ci sarà una prima revisione del periodo. Quindi, nonostante lo stanziamento, ritenuto da molti insufficiente, potremo verificarlo, però, visto l'andamento del mercato, nel 2016 nella revisione di medio periodo»;
    nella risposta alla interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-04312 (alla Camera dei deputati il 18 dicembre 2014) ha «confermato l'impegno al completamento del finanziamento degli aiuti nazionali, per un importo di 46 milioni di euro» ed ha annunciato che il «Ministro Martina, già nel mese di settembre, ha chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri di convocare il Comitato interministeriale bieticolo-saccarifero, istituito ai sensi dell'articolo 2 della legge 11 marzo 2006, n. 81, al fine di definire le misure di intervento a supporto del settore, in vista della cessazione del regime comunitario delle quote di produzione zucchero. La riunione del Comitato dovrebbe tenersi nel prossimo mese di gennaio;
   il Governo italiano, con un recente documento ufficiale, «ha invitato la Commissione Europea ad avviare da subito un dibattito ad “alto livello”» per «esaminare la situazione attuale e futura del settore saccarifero in Europa. L'obiettivo: valutare eventuali misure straordinarie da adottare per assicurare una transizione senza problemi in vista della fine del sistema della quote nel 2017». Nel documento l'Italia sottolinea che, in un recente studio della Commissione europea sulle prospettive e sul reddito dei mercati agricoli dal 2013 al 2023, i prezzi dello zucchero dell'Unione europea potrebbero cadere a 408 euro la tonnellata con la fine delle quote per il settore. La situazione del comparto bieticolo-saccarifero è tale che «il settore dello zucchero non avrà più la possibilità di concedere un prezzo sostenibile alle barbabietole con il rischio di non poter fornire le fabbriche della materia prima necessaria per operare in modo competitivo». Nel documento inviato al Consiglio dell'Unione europea, l'Italia sottolinea anche «l'eccezionale disponibilità di zucchero sul mercato europeo, con scorte elevate e un record di produzione» che rende necessaria l'individuazione di «adeguati sbocchi commerciali» in una situazione di mercato che «sta causando un forte impatto sulla redditività delle imprese saccarifere con rischi per l'intera filiera: sia per i produttori di barbabietole da zucchero che per le aziende, con forti danni anche per l'occupazione diretta e indiretta»;
   il 26 gennaio 2015 il sottosegretario alle politiche agricole alimentari e forestali Giuseppe Castiglione, intervenendo a Bruxelles al Consiglio dei ministri dell'agricoltura e della pesca dell'Unione europea, ha dichiarato che il settore dello zucchero versa in una grave crisi ed ha richiesto all'Unione europea l'istituzione di un tavolo di confronto di esperti di alto livello «per affrontare il calo del prezzo del prodotto e quindi la crisi dei nostri produttori», dal momento «l'intervento che abbiamo fatto in sede di politica agricola comune (Pac) con il contributo all'aiuto accoppiato (l'aiuto legato alla produzione effettiva) è risibile rispetto ad un'emergenza vera»;
   nello stesso Consiglio dei Ministri dell'agricoltura del 26 gennaio 2015, è stata condivisa la creazione di un gruppo di esperti con il compito di monitorare la situazione e di individuare le misure necessarie per mitigare l'impatto della crisi –:
   con quali iniziative ufficiali il Governo intenda dar seguito alla comunicazione inviata alla Commissione europea per istituire un dibattito «ad alto livello» per contrastare la crisi del comparto bieticolo-saccarifero, soprattutto in previsione dal termine delle «quote zucchero» previste per il 30 settembre del 2017 ed, in particolare, se il Governo intenda essere protagonista e svolgere funzioni di coordinamento nell'ambito del «gruppo di esperti» che si verrà a creare nei prossimi mesi per monitorare le dinamiche settoriali ed individuare percorsi necessari a mitigare la crisi e a gestire il mercato in vista della fine del sistema delle quote produttive;
   se il Governo, proprio in vista della liberalizzazione del settore bieticolo-saccarifero, non ritenga utile promuovere, nel rispetto delle norme e degli indirizzi comunitari, la costituzione di un fondo specifico europeo, finalizzato a sostenere la tenuta produttiva ed economica del comparto, oltre ad una eventuale parziale riconversione;
   se il Governo, così come stabilito dalla relazione di applicazione dell'articolo 52 del regolamento (UE) 1307/2013 e, più in generale, dalle disposizioni comunitarie sul sostegno accoppiato facoltativo di cui all'articolo 53, paragrafo 6, del citato regolamento (UE) 1307/2013, non ritenga in vista della possibile revisione del regime prevista per l'esercizio finanziario 2017, di aumentare «lo stanziamento previsto come aiuto accoppiato»;
   quando verranno erogati gli aiuti nazionali degli anni 2009 e 2010, citati in premessa, che ammontano a 51 milioni di euro;
   quando verrà convocato il Comitato interministeriale bieticolo-saccarifero, istituito ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 2 del 2006 convertito, con modificazioni, della legge 11 marzo 2006, n. 8. (5-04629)


   MONGIELLO, OLIVERIO, PETRINI, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CARRA, ROMANINI, VENITTELLI, ALBANELLA, AMATO, BARGERO, BOSSA, CAPONE, CARELLA, CARLONI, CENSORE, CIMBRO, D'INCECCO, MARCO DI MAIO, GINEFRA, GIULIETTI, IACONO, IORI, MAGORNO, MALPEZZI, MASSA, MONTRONI, NARDUOLO, PALMA, PORTA, REALACCI, ROSSI, RUBINATO, SGAMBATO, VENTRICELLI, VILLECCO CALIPARI e ZARDINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, mantenendo le medesime finalità già introdotte dal Regolamento (CE) n. 1234 del 2007 in materia di miglioramento delle abitudini alimentari dei ragazzi e di promozione del consumo di prodotti orticoli e frutticoli presso i bambini che frequentano regolarmente scuole materne o istituti prescolari, nonché istituti di istruzione primaria o secondaria, ha confermato la misura comunitaria che prevede un aiuto finanziario in favore degli Stati membri che intendono partecipare al programma europeo per la fornitura agli allievi degli istituti scolastici di prodotti dei settori degli ortofrutticoli, degli ortofrutticoli trasformati e delle banane;
   scopo del programma è incoraggiare il consumo di frutta e verdura da parte degli alunni nelle scuole al fine di aumentare in maniera permanente la porzione di tali prodotti nelle diete dei bambini nella fase della vita in cui si formano le abitudini alimentari, contribuendo in tal modo al raggiungimento degli obiettivi della PAC, in particolare stabilizzando i mercati e assicurando la disponibilità di forniture attuali e future;
   gli obiettivi della misura comunitaria consistono «nell'incentivare il consumo di frutta e verdura tra i bambini che frequentano la scuola primaria, promuovendo la conoscenza e la disponibilità al consumo dei prodotti ortofrutticoli del consumatore di domani; offrire ai bambini più occasioni ripetute nel tempo per conoscere e “verificare concretamente” prodotti naturali diversi in varietà e tipologia, quali opzioni di scelta alternativa, per potersi orientare fra le continue pressioni della pubblicità e sviluppare una capacità di scelta consapevole di prodotti di qualità certificata (DOP, IGP, Biologico, eccetera); favorire la conoscenza della biodiversità attraverso il consumo guidato di un elevato numero di referenze ortofrutticole e la specificità dei prodotti territoriali; diffondere informazioni ai bambini con metodologie pertinenti al loro sistema di apprendimento; realizzare un più stretto rapporto tra il produttore-fornitore e il consumatore, indirizzando i criteri di scelta e le singole azioni affinché si affermi una conoscenza e una consapevolezza nuova tra “chi produce” e “chi consuma”; attuare un articolato programma di formazione e informazione sia degli alunni che degli insegnanti e dei genitori»;
   l'articolo 23, comma 3, paragrafo 4 del medesimo Regolamento (UE) n. 1308/2013, chiarisce che gli Stati membri scelgono i loro prodotti da distribuire presso gli istituti scolastici in base a criteri oggettivi che possono includere considerazioni ambientali e relative alla salute, la stagionalità, nonché la varietà o la disponibilità dei prodotti, privilegiando per quanto possibile i prodotti originari dell'Unione, e in particolare l'acquisto locale, i mercati locali, le filiere corte o i benefici ambientali;
   l'interrogante, nel verificare occasionalmente le modalità di attuazione del programma presso determinate scuole primarie italiane e le caratteristiche dei prodotti ortofrutticoli messi in distribuzione in favore dei bambini, ha potuto notare una evidente incongruenza, ossia la presenza, nelle confezioni di frutta e verdura distribuite agli alunni, di frutta stagionale proveniente da altri Stati comunitari e quindi ottenuta molto lontano rispetto ai luoghi di consumo, in alternativa alla medesima frutta coltivata in Italia e di cui il nostro paese sarebbe anche il principale produttore mondiale. Tale anomalia è stata riscontrata soprattutto per quanto riguarda l'uva da tavola. In numerosi cesti contenenti i prodotti orticoli e frutticoli messi in distribuzione presso le scuole, l'interrogante ha notato numerose porzioni di uva da tavola, che seppure fosse di origine comunitaria, era di provenienza straniera (Spagna) e non italiana, quando è notorio che l'Italia ha una spiccata e specifica rinomanza proprio nella produzione di uva da tavola;
   l'uva da tavola è un classico prodotto che andrebbe consumato il più possibile vicino rispetto al luogo di produzione e ad ogni modo evitando, quando possibile, di farle fare inutilmente lunghi viaggi in mezzi di trasporto, specialmente quando tale uva, invece che di importazione, potrebbe essere reperita direttamente da produttori italiani;
   non contribuiscono a chiarire ed a fornire coerenza rispetto agli obiettivi previsti dal programma, i criteri che ha stabilito il nostro Ministero per aggiudicare gli appalti di fornitura di tale frutta e verdura presso le scuole. Ad esempio, nell'allegato II al bando di gara emanato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali per la fornitura e la distribuzione di prodotti orticoli e frutticoli nonché per la realizzazione di idonee misure di accompagnamento da effettuarsi presso le scuole primarie per l'anno scolastico 2014-2015, per quanto riguarda la provenienza dei prodotti orticoli e frutticoli da fornire, è stato solo stabilito che «l'origine dei prodotti deve essere tracciata e di provenienza da Paesi dell'Unione Europea», senza rimarcare che sarebbero stati da preferire i prodotti acquistati a livello locale, nei mercati locali, presso le filiere corte o che concorrono ai benefici ambientali;
   sarebbe opportuno prevedere nei bandi di gara per la fornitura di frutta e verdura nelle scuole che almeno la frutta e le verdure di stagione ed avente spiccate caratteristiche locali o di cui l'Italia è uno dei principali e più autentici produttori europei ed internazionali, come l'uva da tavola, fosse almeno di origine nazionale, e non di altri Stati, come starebbe avvenendo per l'uva da tavola di origine spagnola –:
   quali informazioni possa fornire in merito a quanto descritto in premessa;
   se, almeno per quanto riguarda le forniture di frutta e di verdura di cui l'Italia è un produttore di riferimento nei mercati di consumo, segnatamente per quanto riguarda l'uva da tavola, non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, al fine di favorire, la «filiera corta», e a «chilometro zero» per i prodotti di cui al programma «frutta nelle scuole»;
   se nei prossimi bandi di gara per l'appalto della fornitura agli allievi degli istituti scolastici di prodotti dei settori degli ortofrutticoli e degli ortofrutticoli trasformati, non intenda prevedere specifici criteri di aggiudicazione che privilegino la frutta e la verdura prodotta a livello locale, nei mercati locali, presso le filiere corte o che siano registrati come DOP e IGP e che concorrano ai benefici ambientali ed alla valorizzazione delle produzioni tipicamente nazionali.
(5-04632)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, NESCI, DIENI, GALLINELLA, L'ABBATE, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI e COZZOLINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   le clementine, incrocio tra arancio amaro e mandarino, sono coltivate in Italia sin dagli anni ‘30 ed hanno trovato uno dei loro habitat ideali in Calabria. Quasi il 70 per cento delle clementine italiane è prodotto in Calabria, il resto in Puglia, Sicilia e Basilicata. Le aree di maggiore produzione sono concentrate nelle zone di pianura esistenti nella regione e sono: la Piana di Sibari e Corigliano nel cosentino, la Piana di Lamezia nel catanzarese, la Piana di Gioia Tauro-Rosarno e la Locride nel reggino. In soli 58 comuni calabresi è concentrata quasi la metà della superficie agrumetata regionale, così suddivisi: 24 provincia di Reggio Calabria 20 comuni; provincia di Catanzaro 14 comuni; provincia di Cosenza 16 comuni; provincia di Vibo 5 comuni; provincia di Crotone 3 comuni. Analizzando nel dettaglio la distribuzione del numero delle aziende e della superficie investita ad agrumi per specie, si evince che, dopo l'arancio – con l'80 per cento delle aziende agrumicole complessive e il 65 per cento, della superficie coltivata – le clementine e i suoi ibridi – con il 19 per cento delle aziende e della superficie – sono la coltura maggiormente rappresentativa della Calabria;
   già nel 1997, Cavazzani e Sivini autori di «Arance amare. La crisi dell'agrumicoltura italiana e lo sviluppo competitivo di quella spagnola» rilevavano che: «le modalità di applicazione di alcune norme europee hanno sconvolto i principi della razionalità economica cui erano improntati, dando luogo a situazioni paradossali». (...) «Secondo la normativa europea i ritiri degli agrumi dalla commercializzazione e il conferimento alle industrie di trasformazione avrebbero dovuto essere strumenti di regolazione del mercato e riguardare le eccedenze congiunturali. Invece sono stati utilizzati per organizzare uno sbocco alternativo al mercato per la produzione agrumaria scadente. Garantendo prezzi minimi e assorbimento totale hanno stimolato la crescita di eccedenze strutturali. Hanno determinato l'esistenza di impianti che producono eccedenze e di agrumicoltori pagati per non immettere sul mercato frutta che non troverebbe acquirenti»;
   all'applicazione della riforma degli aiuti diretti non è seguita una tempestiva applicazione di interventi strutturali, finanziabili dal PSR Calabria 2007-2013 e funzionali alla riconversione degli impianti obsoleti non più economicamente sostenibili, così come ad esempio possibili azioni di riconversione varietale in grado di ottenere produzioni con caratteristiche qualitative ed organolettiche, tali da consentire un'adeguata collocazione sul mercato del fresco;
   i prezzi in caduta verticale, l'invasione di clementine spagnole e le temperature quasi estive fino alla prima settimana di dicembre – che hanno accelerato la maturazione dei frutti – sono i motivi che secondo Confagricoltura rischiano di mettere in ginocchio i produttori di clementine;
   «l'andamento climatico anomalo» – spiega Confagricoltura – «ha concentrato produzione ed offerta di prodotto in poche settimane di commercializzazione. A questo si aggiunge l'embargo russo, che sottraendo una quota consistente di mercato alle produzioni spagnole, ha causato un'aggressiva irruzione sui mercati europei. In questo modo è stato minato il già fragile equilibrio costi-ricavi, che unito alla disorganizzazione commerciale della produzione italiana, ha realizzato una miscela esplosiva, recando danni irreparabili alla campagna agrumicola in corso»;
   a seguito del divieto di importazione imposto dal Governo della repubblica federale russa sui prodotti ortofrutticoli provenienti dai paesi dell'Unione europea, la Commissione europea, ha istituito, con regolamento del 29 settembre 2014, ulteriori misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo per i produttori di alcuni ortofrutticoli. Le misure riguardano le operazioni di ritiro, mancata raccolta e raccolta prima della maturazione svolte nel periodo dal 30 settembre sino al 31 dicembre 2014;
   il comparto dell'agricoltura calabrese risulta fortemente ed ulteriormente penalizzato a causa dell'accordo commerciale approvato dal Parlamento europeo in ordine alla liberalizzazione e quindi importazione dal Marocco di prodotti agrumicoli, oggetto primario di produzione ed esportazione della Calabria. L'accordo entrato in vigore il 1o ottobre 2012 prevede l'aumento delle quote di scambio per una serie di prodotti che potranno essere importati a tariffe doganali basse o pari a zero con l'eliminazione del 55 per cento delle tariffe doganali sui prodotti agricoli per i primi dieci anni e del 70 per cento, nei successivi dieci;
   l'accordo prevede, all'articolo 7, comma 1, delle misure di salvaguardia: «Fatte salve le disposizioni degli articoli dal 25 al 27 dell'accordo, se, vista la particolare sensibilità dei mercati agricoli, le importazioni in quantità talmente accresciute di prodotti originari del Marocco, che sono oggetto di concessioni riconosciute ai sensi del presente protocollo, provochino gravi perturbazioni dei mercati e/o un grave pregiudizio per il settore produttivo, le parti avviano immediatamente consultazioni per trovare una soluzione adeguata. In attesa di tale soluzione, la parte importatrice è autorizzata ad adottare le misure che ritiene necessarie» Continuando, al comma 2, sancisce che: «La misura di salvaguardia, adottata a norma del comma precedente, può essere applicata solo per un periodo massimo di un anno, rinnovabile una sola volta sulla decisione del Comitato di associazione»;
   il sopracitato accordo commerciale favorisce di fatto, in ambito comunitario, i Paesi del nord Europa che accedono ai prodotti agrumicoli a un prezzo molto più vantaggioso, ma senza riguardo alla qualità ed al loro ottenimento, penalizzando le economie dei Paesi mediterranei con le loro eccellenze gastronomiche;
   la produzione agrumicola italiana è seconda solo a quella di Stati Uniti e Brasile, eppure il saldo della bilancia commerciale è negativo;
   le imprese agrumicole – riferisce Confagricoltura – «operano già in un quadro difficile e complesso, tra oneri, imposte e burocrazia. Questa crisi aggrava una situazione già difficile e rischia di compromettere ulteriormente l'economia di intere regioni»;
   «nonostante l'affezione dei consumatori al prodotto made in Italy» – secondo Confagricoltura – «anche i consumi interni continuano a calare. Le imprese lavorano in perdita e non riusciranno a coprire neanche i costi di produzione. Le clementine attualmente sono pagate solo 15/18 centesimi di euro al chilo sulla pianta»;
   risulta agli interroganti che a Rosarno (Reggio Calabria) alcuni agricoltori, disperati a causa della crisi, che sta subendo il mercato agrumicolo locale, avrebbero tagliato i rami dei propri alberi da frutto carichi di clementine. Si calcola che in questa zona il 70-80 per cento della produzione di clementine non sia stata raccolta per il tracollo dell'agrumicoltura calabrese, ma le clementine appassite dovranno essere comunque raccolte e smaltite con ulteriore costo a carico dei produttori;
   se quanto finora asserito non bastasse si evidenzia che le inchieste degli ultimi anni delle direzioni distrettuali antimafia di Reggio e Napoli, hanno dimostrato come da Caserta allo Stretto, fino a Modica, vicino Ragusa, casalesi e n'drine calabre hanno il controllo della filiera della frutta fin dentro gli ortomercati. Ora i boss stanno spingendo affinché si taglino le produzioni storiche di agrumi e uliveti per mettere i più redditizzi mango, avocado, papaja, cachi e fichi d'india e annoni –:
   se non ritengano opportuno farsi portavoce presso l'Unione europea chiedendo che vengano riattivate, per il 2015, le misure di sostegno eccezionali salvaguardando i produttori di clementine, fiore all'occhiello della frutticoltura italiana, messi in ginocchio dal mercato selvaggio e dal cambiamento climatico;
   se non ritengano che ci siano le condizioni per richiedere all'Unione europea l'applicazione delle clausole di salvaguardia per turbativa di mercato derivanti dall'ingresso di prodotti del comparto agrumicolo provenienti dal mercato dell'Unione europea ed extra Unione europea;
   se, nel riconoscere le difficoltà generate dagli accordi bilaterali sull'impresa agricola meridionale, non intenda sostenere l'urgenza di rivedere il sistema del prezzo di entrata al fine di mitigarne gli effetti negativi evidenziati;
   se il Governo ritenga opportuno assumere l'iniziativa di promuovere un tavolo di concertazione tra gli attori istituzionali interessati ed i produttori del comparto agrumicolo così da programmare interventi che possano rendere competitivo il prodotto «clementine di Calabria IGP» iscritto nel registro delle IGP con reg. 2325/97 della Commissione del 24 novembre 1997 pubblicato nella GUCE L 322/97. (4-07720)


   L'ABBATE e DE LORENZIS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   molte regioni italiane partecipanti a Expo 2015 abbiano operato o stiano operando attraverso bandi pubblici per realizzare le attività e i servizi necessari alla partecipazione delle stesse all'esposizione universale di Milano;
   in data 11 novembre 2014, Sviluppo Lazio spa per conto della regione Lazio, ha stipulato un contratto di partecipazione con Expo 2015 spa per riservare spazi per la stessa regione, Roma Capitale e Unioncamere Lazio. A Sviluppo Lazio è stato affidato il ruolo di centrale di committenza per l'affidamento del servizio di «Ideazione, progettazione, realizzazione dell'allestimento e sviluppo dei contenuti dello spazio espositivo» all'interno di «Palazzo Italia – Padiglione Italia» per i tre enti coinvolti. L'affidamento è stato disposto dalla Sviluppo Lazio con delibera a contrarre del 30 settembre 2014 e avverrà mediante procedura aperta e con il criterio dell'offerta economica più vantaggiosa, con pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità europea;
   la regione Veneto ha dato vita al contenitore «Expo Veneto» che ha raccolto le adesioni di Confindustria, Ance Veneto, Confederazione Italiana Agricoltori, CNA, Casartigiani Veneto, Coldiretti, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio, Confcooperative, Confesercenti, Legacoop, UnionCamere Veneto, Associazione Generale Cooperative Italiane, CGIL, CISL, UIL. Il portale Expo Veneto nasce con un duplice obiettivo: «promuovere le eccellenze della regione in chiave internazionale e sostenere il «Made in Veneto» in occasione dell'Expo 2015, costruendo sinergie all'insegna della partecipazione diffusa e della realizzazione condivisa, con un lavoro che potrà protrarsi anche oltre Expo 2015, presentando il Veneto come un sistema in grado di marciare compatto nel quadro della competizione internazionale. Al suo interno opera il «Comitato Expo Veneto», un «gruppo di lavoro in chiave metropolitana che ha sottoscritto un protocollo d'intesa con Expo 2015 S.p.A. e in una logica di sistema mette assieme le istituzioni e le Associazioni di categoria rappresentative del mondo produttivo regionale: industria, commercio e artigianato»;
   la regione Basilicata, con la legge regionale 30 aprile 2014, n. 8 (legge di stabilità regionale 2014) prevede all'articolo 31, «Partecipazione della Regione Basilicata all'Esposizione Universale di Milano (Expo 2015), stanziando per l'anno 2014 un importo pari a 500.000 euro per l'anno 2015 un importo pari a 1 milione di euro. Con successiva deliberazione n. 1036 del 3 settembre 2014, le risorse a disposizione sono divenute poi pari a 3,1 milioni di euro. Tutte le iniziative collegate alla partecipazione della Basilicata a Expo 2015, individuando nell'ufficio di gabinetto del Presidente il referente istituzionale, costituendo una «Cabina di Regia» attestata presso la presidenza della regione (a cui partecipano il suddetto Gabinetto, il dipartimento di presidenza, il dipartimento politiche agricole e forestali e l'agenzia di promozione territoriale Basilicata APT) e affidandole il compito di predisporre l'indirizzo operativo della partecipazione e monitorarne la gestione esecutiva e, infine, costituendo una «Struttura Tecnico Operativa» attestata presso il dipartimento politiche agricole e forestali e affidandole la gestione operativa della partecipazione in collaborazione con l'APT Basilicata, con il coinvolgimento di tutti i dipartimenti regionali e del Partenariato istituzionale e del mondo associazionistico e creativo;
    con DGR n. 1704 del 17 settembre 2013, la regione Puglia ha manifestato interesse all'evento internazionale di Expo 2015, incaricando il vicepresidente della Giunta, la professoressa Angela Barbanente, quale referente regionale nei rapporti con Expo 2015 e il direttore d'area dottor Gabriele Papa Pagliardini di costituire un apposito gruppo di lavoro tra i dirigenti dei servizi regionali interessati per elaborare una significativa ipotesi di lavoro connessa alla partecipazione regionale;
    con la medesima delibera vengono stanziati 300.000 euro più IVA per l'affitto dello spazio espositivo dedicato alla presenza regionale per una settimana ad Expo 2015. Da tale costo, sono esclusi la gestione e l'organizzazione di eventi, manifestazioni, incontri istituzionali e promozionali, e altro;
    con DGR n. 2061 del 9 ottobre 2014, la regione Puglia ha deliberato definitivamente la partecipazione ad Expo 2015 approvando lo schema di contratto con la società Expo 2015 Spa Nella delibera si afferma che «per la progettazione e la predisposizione del progetto espositivo relativo agli spazi assegnati alla Regione e per definire il pacchetto degli eventi e delle attività da realizzare nell'ambito di Expo 2015, la Regione intende avvalersi della collaborazione e del supporto logistico dell'Unione Regionale delle Camera di Commercio Puglia, che opera, in esecuzione della convenzione in atto, rep. N. 015983 del 23 luglio 2014, in stretta collaborazione con l'Area Politiche per lo Sviluppo Rurale – Servizio Alimentazione»;
    in esecuzione della DGR e della convenzione citata, l'Unioncamere Puglia è stata delegata alla gestione di tutti gli oneri finanziari previsti, preventivamente autorizzati, mettendo a sua disposizione le risorse necessarie che saranno gestite secondo i criteri indicati nella convenzione con la stessa Unione;
    con DGR n. 2597 dell'11 dicembre 2014, la regione Puglia delibera uno stanziamento aggiuntivo di 1 milione di euro per la partecipazione a Expo 2015 Padiglione Italia da impegnare e liquidare in favore dell'Unioncamere regionale;
    contrariamente ad altre regioni, la Puglia non sembrerebbe, dunque, operare direttamente attraverso bandi pubblici aperti ma per mezzo di convenzione e stanziando 1,3 milioni di euro più Iva, puntando piuttosto alla parcellizzazione delle risorse, attraverso contributi diretti a favore dei gruppi di azione locale (GAL), di aggregazioni di comuni, associazioni, e altro senza avere alla base alcun progetto unitario di promozione dell'immagine della Puglia e del suo territorio. L'Unione delle camere di commercio di Puglia, a oggi, non sembra peraltro aver proceduto all'affidamento dei servizi necessari secondo procedure di evidenza pubblica, nonostante manchino meno di 100 giorni all'apertura di Expo 2015 –:
    quali siano state le risultanze degli incontri svolti in sede di Conferenza Stato regioni per l'organizzazione dell'Expo, anche con riferimento a quanto segnalato nella premessa e se, alla luce di quanto sopra, non sia opportuno procedere a una ulteriore sessione di discussione, essendo ormai prossima la data d'inizio dell'evento. (4-07823)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno nel mondo nascono circa 15 milioni di bambini prima del termine e un milione di loro non sopravvive. In Europa i prematuri sono circa 500.000 e in Italia un neonato su 10 è prematuro;
   i bambini nati prima del termine, in generale, presentano un più elevato rischio di complicazioni per la salute che potrà avere un impatto non indifferente sul loro sviluppo futuro;
   la prematurità e il basso peso corporeo alla nascita rappresentano due delle principali cause di mortalità infantile e di morbilità: il 63 per cento dei bambini che muoiono prima dei cinque anni, infatti, sono neonati;
   molte delle cause che inducono a nascere prematuri possono spesso essere prevenute, se si interviene sui fattori di rischio, migliorando l'assistenza e le cure prima e dopo il parto, sia per le madri che per i neonati, e intervenendo sui determinanti di salute legati allo stile di vita delle madri;
   tra i fattori di rischio legati allo stile di vita vanno considerati il fumo, il consumo di alcol, l'uso di droghe, un alto livello di stress e un prolungato orario di lavoro, a cui si aggiungono anche cure prenatali tardive o assenti, assenza di supporto sociale;
   tra i fattori di rischio legati alle condizioni mediche vanno ricordate alcune infezioni, soprattutto se localizzate lungo il tratto urinario e/o vaginale, un'alta pressione sanguigna, diabete, disordini della coagulazione, obesità e altro;
   alcuni fattori socio-demografici possono contribuire ad aumentare il rischio di parto prematuro, come ad esempio un'età inferiore ai 17 anni o superiore ai 35, condizioni economiche precarie, e altro;
   ancora oggi però sono pochi i Paesi europei che hanno messo in atto politiche mirate per l'assistenza specifica per i neonati, anche se laddove queste strategie sono state attuate, il tasso di neonati prematuri è sceso al di sotto della media europea;
   in Italia i programmi di prevenzione non sono ancora stati strutturati in maniera omogenea e ci sono differenze significative tra le diverse regioni e tra le linee guida ospedaliere e le procedure individuali;
   un aspetto importante su cui agire riguarda la prevenzione e la consapevolezza dei genitori: talvolta l'informazione sui rischi, sui sintomi e sulle raccomandazioni relative allo stile di vita risulta carente o assente; inoltre, non c’è un supporto specifico e/o finanziario rivolto alle famiglie dei bambini nati prematuri, anche quando viene diagnosticata una specifica disabilità;
   recentemente il Ministro Lorenzin in una intervista ha affermato che la tutela dei neonati «fragili» dovrebbe concentrarsi su tre punti cardine: prevenzione, sicurezza dei punti nascita e assistenza post-ospedaliera. A questi tre punti, inoltre, va aggiunta la realizzazione di una rete di neonatologia-rianimazione che preveda un trasporto veloce per i bambini prematuri verso strutture in cui sia attiva un unità di terapia intensiva neonatale scientificamente e tecnologicamente avanzata, ma anche esperta in assistenza neonatale e in supporto psicologico ai genitori;
   nella prossima attuazione del patto della salute il Ministro ha inserito lodevolmente il parto senza dolore e l'allargamento dello screening neonatale –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa;
   in che misura il Ministro intenda procedere per rendere l'evento nascita sempre più sicuro, inserendolo in un percorso diagnostico-terapeutico che abbia linee guida efficacemente strutturate e omogenee su tutto il territorio nazionale. (5-04614)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i dati del Rapporto Osmed 2014 diramati all'Aifa evidenziano come nel nostro Paese il consumo di antidepressivi è diventato una delle principali componenti della spesa farmaceutica, in aumento del 4,5 per cento rispetto al 2004;
   la spesa farmaceutica totale italiana, pubblica e privata, è stata pari a 25,5 miliardi di euro, il 76 per cento dei quali è stato rimborsato dal servizio sanitario nazionale. Ma il dato su cui riflettere è che cresce l'uso degli anti depressivi e cala quello degli antibiotici;
   il rapporto OsMed 2014 parla di un'Italia sempre meno in salute e sempre più incline a considerarsi depressa, non sempre a proposito, nella quale un'ingente porzione dei bilanci pubblici e familiari viene destinata all'acquisto di medicinali;
   il ricorso ai farmaci antidepressivi è maggiore soprattutto nelle donne, ma il direttore generale dell'Agenzia del farmaco (Alfa), Luca Pani, ha affermato che «la depressione, dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva e in buona salute»; secondo gli esperti durante i primi 9 mesi del 2014 gli italiani hanno acquistato più antidepressivi di qualsiasi altro farmaco;
   si tratta di un fatto che da molti enti di ricerca viene messo in relazione ad un crescente disagio sociale che rappresenta un fattore chiave di una crisi globale, non solo di natura economica, che da anni il Paese sta attraversando;
   le dosi giornaliere di medicinali prescritti sono aumentate del 2,3 per cento rispetto al 2011, mentre invece è diminuito l'utilizzo di antibiotici, grazie anche ad una opportuna campagna di formazione-informazione fatta sui principali media;
   il crescente consumo di farmaci antidepressivi induce a chiedersi quale sia la loro vera efficacia, e se la indicazione terapeutica sia sempre la più appropriata; è una domanda complessa, che risente sia di influenze culturali, come la teoria che la depressione dipenda prevalentemente da fattori biologici, sia da interessi economici che considerano i farmaci antidepressivi, prodotti come tutti gli altri che vanno collocati sul mercato e venduti;
   ma non si può dimenticare che le ricerche sull'efficacia dei farmaci sono finanziate dalle stesse case produttrici e le uniche ricerche pubblicate sono quelle a sostegno dell'utilizzo e quindi della vendita di un certo farmaco;
   il New England Journal of Medicine ha recentemente pubblicato un articolo su Selective publication of antidepressant trials and its influence on apparent efficacy, in cui si afferma che: «Alterando l'apparente rapporto rischi-benefici dei farmaci, la pubblicazione selettiva (solo degli studi positivi) può portare i medici a fare prescrizioni inappropriate che possono non avvenire nel miglior interesse dei loro pazienti e, quindi, della salute pubblica»;
   nel 2002 è stata pubblicata su PlosONE una meta-analisi dei dati presentati alla FDA, Initial severity and antidepressant benefits: A meta-analysis of data submitted to the Food and Drug Administration, per stimare la reale portata dei risultati, degli studi clinici (trials) sugli psicofarmaci. I risultati, nelle parole del dottor Migone, autore di «Farmaci antidepressivi nella pratica psichiatrica: l'efficacia reale», sono questi: «dei 74 studi registrati dall'FDA, ben il 31 per cento (3.449 pazienti) non sono stati pubblicati; gli studi che avevano riportato risultati negativi o dubbi, tranne 3 eccezioni, non furono pubblicati (22 studi) o furono pubblicati in un modo che li faceva passare come positivi (11 studi), mentre secondo la letteratura pubblicata risulta che il 94 per cento degli studi sono positivi, contro l'analisi dei dati dell'FDA che mostra che i positivi sono solo il 51 per cento. Questa distorsione ha comportato un aumento della “dimensione del risultato” dei farmaci in media del 32 per cento (da 11 per cento a 69 per cento secondo i singoli farmaci)»;
   una meta-analisi pubblicata su JAMAJournal of American Medical Association – dal titolo Antidepressant drug effects and depression severity, permette di affermare che l'effetto placebo, e cioè l'autosuggestione, è responsabile della maggior parte degli effetti positivi degli antidepressivi; sembra che il loro effetto reale assuma una significatività solo nei casi di depressione grave, nei quali l'effetto del farmaco si discosterebbe dall'effetto ottenuto somministrando un placebo;
   si è quindi visto che gli antidepressivi non si differenziano significativamente dai placebo e che hanno scarsi effetti se non somministrati a depressi gravi, che traggono beneficio dal loro effetto attivante: il rapporto costi-benefici deve essere attentamente valutato quando un paziente può ricorrere ad altre terapie, evitando così gli effetti collaterali che possono far peggiorare la sua esistenza (dal calo del desiderio sessuale all'aumento di peso); ciò nonostante si assiste all'aumento esponenziale di prescrizioni di antidepressivi, anche se in realtà la loro efficacia specifica è scarsa e gli effetti collaterali non certo trascurabili;
   secondo l'ordine degli psicologi: «I dati Aifa dimostrano che bisogna rafforzare la psicoterapia e stupisce che si continui a trascurare l'opportunità di appropriatezza ed efficacia offerta dall'apporto di psicologi e psicoterapeuti»;
   nell'ambito di una recente ricerca pubblicata su PLOS One, i ricercatori Sara Evans-Lacko e Martin Knapp hanno messo in evidenza come la depressione possa incidere anche sull'attività professionale dei cittadini, generando un aumento di costi sociali, che ha fatto crescere l'esigenza di implementare i fondi necessari per le politiche statali di welfare;
   i costi per la cura della depressione sono indicati come un fattore in costante crescita e includono sia costi diretti, come l'incremento diretto dei costi per i servizi sanitari, che i costi indiretti, tra cui gli indispensabili investimenti a favore delle politiche familiari per l'assistenza ai pazienti più gravi, compresi gli incentivi per il collocamento dei disoccupati e il ricollocamento di chi, a causa della malattia, ha perso il lavoro;
   l'Ordine degli psicologi torna a proporre alle istituzioni, una volta di più, una maggiore centralità alla psicoterapia nei percorsi di cura per dare maggiore attenzione alle opportunità di cura offerte da questo indispensabile strumento –:
   quali investimenti si stiano facendo per la prevenzione della depressione, il cui costo personale e sociale appare sempre più rilevante;
   quali iniziative siano state messe in atto per valutare l'appropriatezza della prescrizione dei farmaci e la valutazione degli esiti della terapia;
   come si intenda intervenire per facilitare l'accesso alla psicoterapia attraverso il Servizio Sanitario Nazionale e comunque a condizioni vantaggiose per i pazienti. (5-04617)


   LOSACCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime ore in Puglia, come si apprende dall'Osservatorio epidemiologico regionale, si sono registrati tre decessi per le conseguenze legate all'aggravarsi di sindromi influenzali legati al virus H1N1;
   le tre vittime erano ricoverati negli ospedali San Paolo di Bari, Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari) e Vito Fazzi (Lecce);
   altre 25 persone risultano essere ricoverate in centri di rianimazione degli ospedali pugliesi per sintomi influenzali;
   nessuna delle vittime risultava essere vaccinata;
   in Puglia come del resto in Italia ancora è stato toccato il picco influenzale e purtroppo potrebbe crescere ancora il numero dei ricoveri per le conseguenze dell'influenza mettendo a dura prova la rete ospedaliera e gli operatori sanitari;
   l'allarme creato dal temporaneo ritiro cautelare di un lotto di vaccino, è rientrato dopo le analisi condotte da Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e Istituto superiore di sanità (ISS) che hanno i confermato la sicurezza del vaccino antinfluenzale ed esortato la popolazione a vaccinarsi –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare per verificare la situazione della epidemia influenzale in Puglia anche a fronte delle notizie riportate in premessa e se non ritenga utile promuovere una più efficace campagna informativa per quanto riguarda il vaccino al fine di scongiurare situazioni emergenziali. (5-04621)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'AIFA ha recentemente pubblicato un Concept Paper sulla sindrome di ADHD, che fotografa l'attuale situazione in modo particolare per ciò che riguarda l'ambito farmacologico, che coinvolge diagnosi e cura;
   il criterio di soglia clinica fissato nel Concept Paper, riducendo l'età in cui è possibile formulare la diagnosi, determina un ampliamento della potenziale platea dei soggetti affetti da ADHD e include tra i criteri che concorrono a formulare la diagnosi anche le difficoltà relazionali e il rendimento scolastico dei soggetti;
   l'ampliamento dei criteri per la diagnosi della sindrome di ADHD e l'abbassamento dell'età in cui può essere diagnosticata, ha creato un aumento dei bambini che possono essere considerati potenzialmente malati, con il conseguente aumento del consumo di farmaci ritenuti specifici per il suo trattamento;
   nel 2007, in seguito ad una discussione pubblica dai toni molto accesi sui parametri che definiscono la sindrome di ADHD, fu realizzato dall'ISS un registro a salvaguardia dei minori, in quanto il farmaco proposto per la cura specifica dell'ADHD rientrava, e rientra ancora oggi, nella categoria degli stupefacenti;
   attualmente i punti di partenza per la diagnosi della sindrome ADHD sono ancora controversi, anche perché mentre l'NIH Consensus (USA) sottolinea che non esiste ancora un test per l'ADHD, la diagnosi viene posta in base ad alcuni questionari somministrati a genitori e insegnanti le cui domande sono discutibili, mentre i loro effetti sembrano devastanti. Si tratta infatti di domande molto generiche del tipo: «Piange spesso?» «Piange perché vuole stare in braccio?» «Sputa i cibi che non gli piacciono?», «Vomita quando si arrabbia?», «Non dorme quando viene messo in culla? Butta gli oggetti per terra?» «Sorride poco?» Per una diagnosi rigorosa risulta inoltre problematica anche la differenza tra le diverse percentuali di ADHD sul territorio nazionale; si oscilla infatti tra un 12 per cento e uno 0,10 per cento a seconda delle regioni;
   in Italia, secondo i dati riportati nel registro dell'ISS, la diagnosi complessiva di ADHD si aggira intorno all'1 per cento, mentre secondo uno studio citato nel documento AIFA, l'incidenza della diagnosi di ADHD si dovrebbe aggirare intorno al 3 per cento. Secondo uno studio dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico «Mario Negri» (IRCCS) invece la percentuale di soggetti affetti da ADHD sarebbe dello 0,3 per cento;
   negli USA la percentuale di bambini con sindrome ADHD nel 2007 sarebbe stata del 9,5 per cento, per un totale complessivo di circa 5,4 milioni di bambini; mentre più recentemente, nel 2013, l'IMS Health, la più importante agenzia americana che raccoglie e comunica i dati relativi alle prescrizioni mediche, parla di oltre 8 milioni di bambini; si tratterebbe di due milioni e mezzo di bambini in più diagnosticati e registrati negli ultimi 5 anni;
   non stupisce che in tal modo la somministrazione di farmaci sia aumentata del 100 per cento in 50 Paesi;
   gli specialisti che propendono per questa sindrome mettono in primo piano la base genetica, tuttora non convalidata, e segnalano la specificità della sindrome rispetto ad altri disturbi come la depressione, il disturbo oppositivo provocatorio, il disturbo della condotta o anche semplici manifestazioni di forte rabbia che pur mostrando una analoga sintomatologia, rimandano però a cause diverse e possono essere causa di comorbidità;
   una ricerca condotta su vasta scala in Canada mostra come la possibilità di ricevere una diagnosi di ADHD è molto più frequente, di circa il 30 per cento, se il bambino va a scuola a 5 anni e non a 6, perché in pratica sono bambini semplicemente immaturi; anche in Italia se i bambini vanno a scuola troppo presto rispetto alla loro maturità rischiano l'attribuzione di diagnosi inadeguate, come per esempio la dislessia, che generalmente si attesta al 3 per cento, a che sale al 14 per cento se il soggetto è un bambino di 5 anni che sta in prima;
   i rischi aumentano anche se si considera come sono cambiate negli ultimi 20 anni le condizioni di vita del bambino piccolo, basti pensare che prima i figli stavano a casa fino ai 5/6 anni, adesso vengono inseriti nei nidi già a 6 mesi; ciò comporta per alcuni di loro un senso di abbandono e un aumento esponenziale del sentimento di rabbia che si traduce spesso in un più alto tasso di aggressività, che può far pensare ad una sindrome iperattiva; per questo l'età di diagnosi si è abbassata al punto tale che 1.400 bambini di 1 anno di età sono stati diagnosticati ADHD; si tratta di un dato indicativo della piega che stanno prendendo questi fatti;
   accade anche che venga effettuata diagnosi di ADHD a bambini plusdotati, di cui non viene riconosciuta la plusdotazione ma solo l'iperattività e il disturbo dell'attenzione, spesso legato alla noia in classe che crea demotivazione e fa apparire il bambino inadeguato;
   la NEK Commissione Consultiva Nazionale Svizzera sull'Etica Biomedica ha espresso un parere molto critico sull'uso del Ritalin per la cura dell'ADHD sottolineando che altera il comportamento del bambino senza alcun beneficio; nella sola Germania, l'aumento di consumo di psicofarmaci per l'ADHD è passato, da 34 chili nel 1993 a 1.760 chili nel 2011;
   Leon Eisenberg, considerato il padre della diagnosi della sindrome ADHD ha ammesso al giornale DER SPIEGEL che l'ADHD «è una malattia fittizia», anche se di ciò ha molto beneficiato la sua carriera professionale;
   l'aumento così spropositato di consumo di questi farmaci in Germania non è dovuto solo a una maggiore attività dei rappresentanti farmaceutici nello spingere i propri prodotti, ma anche al comportamento manipolativo di alcune case farmaceutiche che per aumentare le vendite hanno fatto ricorso all'uso di fumetti per l'infanzia per convincere i bambini a chiedere le pillole ai genitori per diventare «buoni» e farli felici;
   dal documento recentemente presentato dall'AIFA emerge anche come nei bambini che iniziano a prendere farmaci si crea una sorta di dipendenza che si prolunga anche dopo i 18 anni;
   la terapia per l'ADHD proposta prevede in genere la somministrazione di psicofarmaci che non curano la malattia ma ne limitano le manifestazioni sintomatologiche, obbligando però ad un'assunzione a lungo termine che per l'appunto crea dipendenza: gli effetti positivi, solo sintomatici, si esauriscono nel medio periodo e riguardano un 70 per cento di pazienti, mentre un altro 30 per cento non manifesta nessun tipo di miglioramento;
   in alternativa, o contemporaneamente ai farmaci è prevista una psicoterapia, di tipo comportamentale, che spesso si riduce ad un semplice addestramento, che in Inghilterra è stata messa pesantemente in discussione;
   psicofarmaci e interventi puramente comportamentali sono diventati l'unica soluzione proposta a genitori ed insegnanti, pur nella convinzione dei suoi rischi e dei suoi limiti, dei suoi scarsi risultati e del senso di frustrazione che si genera e che esaspera bambini ed adulti, aggravando la situazione –:
   come, alla luce di quanto espresso in premessa, si intenda intervenire per individuare criteri chiari per la diagnosi della sindrome da ADHD, riducendo il disagio che si crea nei bambini e nelle loro famiglie quando sono obbligati a dare prestazioni al di sopra delle loro capacità e dei loro livelli di maturità;
   come si intenda monitorare il consumo di psicofarmaci nell'infanzia per evitare che l'inappropriatezza della somministrazione crei nel tempo danni ancora maggiori nello sviluppo dei bambini.
(5-04628)


   TULLO, CAROCCI, BASSO e PASTORINO. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sindrome fibromialgica è una patologia comune caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso e affaticamento (astenia) che colpisce approssimativamente il 2-4 per cento della popolazione con punte segnalate fino al 10 per cento;
   questa condizione clinica, cronica e invalidante, viene definita «sindrome» poiché esistono segni e sintomi clinici di interessamento di più organi/apparati. Sebbene possa rassomigliare a una patologia articolare, non si tratta di una forma di artrite e non causa deformità delle strutture articolari. Si tratta di una malattia non infiammatoria, che è classificata nelle patologie di competenza reumatologica tra i reumatismi extra-articolari;
   gli esami di laboratorio e strumentali risultano in genere normali, almeno nella forma primitiva della malattia, e la diagnosi è clinica, dipendendo principalmente dai sintomi che il paziente riferisce e dalla valutazione medica volta a ricercare specifiche aree di dolorabilità muscolare;
   negli ultimi anni, la fibromialgia è stata meglio definita e caratterizzata attraverso studi che hanno stabilito anche le linee guida per la diagnosi e la terapia. Questi studi hanno dimostrato che determinati sintomi, come il dolore muscoloscheletrico diffuso, e la presenza di specifiche aree dolorabili alla digitopressione (tender point) sono presenti nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica e non comunemente nelle persone sane o in pazienti affetti da altre patologie reumatiche dolorose;
   non tutti i medici sono a conoscenza della sindrome fibromialgica, che talvolta può pertanto essere misconosciuta e sottodiagnosticata;
   la complessità dei sintomi della malattia fa sì che i pazienti affetti da fibromialgia spesso si sottopongano a numerosi esami di laboratorio o strumentali che risultano in genere nella norma. Il dolore è il sintomo predominante della fibromialgia. Generalmente, si manifesta in tutto il corpo, sebbene possa essere particolarmente evidente in alcune sedi quali il rachide cervicale, le spalle e la regione lombosacrale;
   il dolore viene descritto dal paziente con vari gradi d'intensità e in una varietà di modi comprendenti la sensazione di bruciore, rigidità, contrattura, tensione, formicolio e altro, spesso variabile in funzione delle condizioni atmosferiche, dei ritmi del sonno e delle situazioni di stress fisico e psico-fisico;
   circa il 90 per cento dei pazienti affetti da sindrome fibromialgica riferisce astenia severa, ridotta resistenza alla fatica in una forte stanchezza che ricorda quella normalmente riferita in corso di influenza o in mancanza di sonno, Talvolta la stanchezza è più importante della sintomatologia dolorosa muscoloscheletrica;
   la maggior parte dei pazienti affetti da sindrome fibromialgica riferisce disturbi del sonno; solitamente il paziente al risveglio si sente ancora affaticato come se non avesse dormito affatto. La fase profonda del sonno è spesso disturbata e il sonno può essere leggero con continui risvegli notturni;
   anche i cambiamenti del tono dell'umore o del pensiero sono comuni nella fibromialgia. I pazienti affetti da fibromialgia riportano difficoltà a concentrarsi oppure ad eseguire semplici elaborazioni mentali;
   i pazienti fibromialgici possono inoltre riferire parestesie o bruciori che entrano in diagnosi differenziale con altre patologie «organiche»;
   la cefalea, specialmente di tipo muscolotensivo, o l'emicrania sono comuni nel paziente fibromialgico. Dolori addominali, alternanza di stipsi e diarrea (colon irritabile) sono inoltre frequenti. Allo stesso modo, il paziente può riferire la presenza di «spasmi vescicali» che lo costringono a urinare spesso;
   la diagnosi di fibromialgia è basata sulla presenza di dolore diffuso in combinazione con altri sintomi caratteristici e la presenza di tender point dolorabili alla digitopressione durante l'esame clinico da parte del medico;
   non vi è alcun esame di laboratorio o radiologico che possa diagnosticare la fibromialgia. Questi test possono essere utili per escludere la presenza di altre patologie alle quali la fibromialgia può risultare associata (fibromialgia secondaria);
   la causa di questa sindrome al momento rimane ignota. Molti differenti fattori possono scatenare una sindrome fibromialgica. Per esempio eventi stressanti come una malattia, un lutto familiare, un trauma fisico o psichico possono portare a dolore generalizzato, affaticamento e alterazioni del sonno tipici della fibromialgia. È però improbabile che la sindrome fibromialgica sia provocata da una singola causa; infatti molti pazienti non sono in grado di identificare alcun singolo evento che abbia determinato l'insorgenza dei sintomi. Molti studi hanno valutato alterazioni di mediatori chimici quali i neurotrasmettitori a livello del sistema nervosocentrale (quali serotonina e noradrenalina) o di sostanze ormonali; altri autori hanno osservato significative alterazioni nella qualità del sonno. In effetti, la sindrome fibromialgica sembra dipendere da una ridotta soglia di sopportazione del dolore dovuta ad una alterazione delle modalità di percezione a livello del sistema nervoso centrale, degli input somatoestesici (alterazione della soglia nocicettiva). Tra i fattori che possono peggiorare la sintomatologiafibromialgica vanno ricordati: eventi stressanti fisici e psico-fisici, affaticamento sul lavoro, carenza di sonno, ambito rumoroso, freddo, umidità, cambiamenti meteorologici;
   il parlamento europeo ha approvato nel 2008 una dichiarazione, con la quale ha invitato la Commissione europea e il Consiglio europeo a mettere a punto una strategia per la fibromialgia in modo da riconoscere la fibromialgia come una malattia e sollecitare gli Stati membri a migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti;
   nel nostro Paese le persone affette da fibromialgia non hanno spesso un trattamento adeguato ed in particolare il non riconoscimento di questa rara malattia, impone ai cittadini colpiti di sostenere quasi totalmente la spesa dei farmaci e di non poter avere un maggiore riconoscimento in sede di determinazione di invalidità civile –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   quali impedimenti ostino l'inserimento della fibromialgia tra le malattie riconosciute, visto che l'OMS l'abbia già nel 1992 riconosciuta e inserita nel manuale di classificazione delle malattie così come altri Paesi europei, anche ai fini di prevedere almeno una relativa esenzione delle spese per i farmaci e per avere maggiore riconoscimento in sede di invalidità civile. (5-04654)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer (AD), sono molto diffuse nell'età senile e sono destinate a coinvolgere un numero sempre maggiore di soggetti a causa del progressivo invecchiamento della popolazione;
   la demenza è una sindrome causata da diverse patologie che determinano la progressiva alterazione di alcune fondamentali funzioni: memoria, pensiero, ragionamento, linguaggio, orientamento, personalità e comportamento con la conseguenza di interferire con i più elementari atti quotidiani della vita sino a deteriorarne irrimediabilmente la qualità;
   il morbo di Alzheimer è incluso nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti e secondo la normativa vigente, sono detraibili dall'Irpef, nella misura del 19 per cento, le spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale di soggetti non autosufficienti nel compimento degli atti della vita quotidiana, su un ammontare di spesa non superiore a 2.100 euro se il reddito complessivo del contribuente non è superiore a 40.000 euro;
   l'aggravarsi della non autosufficienza connessa al morbo di Alzheimer richiede un'assistenza costante, con aggravi economici significativi a carico di malati e delle relative famiglie;
   secondo dati dell'ADI (2011) i malati di Alzheimer in Italia sarebbero un milione con un aumento annuale di circa 150.000 nuovi casi e, in rapporto all'evoluzione della patologia, i costi sanitari e quelli indotti variano tra i 15.000 e i 50.000 euro annui;
   l’Alzheimer's disease international, che raggruppa le associazioni di 75 Paesi di tutto il mondo, sulla base di queste cifre allarmanti ha richiamato Governi, medici e opinione pubblica a prendere consapevolezza del grave problema e ad agire subito soprattutto sulla prevenzione oltre che sull'implementazione delle reti assistenziali intorno ai malati e alle loro famiglie;
   sono numerose le famiglie che per effetto della crisi non riescono ad assolvere al pagamento della retta per la degenza dei loro familiari affetti di Alzheimer nelle strutture socio assistenziali. A casa non riuscirebbero ad assisterli perché, nella maggior parte dei casi, la malattia richiede il supporto di servizi sociosanitari;
   la Corte di Cassazione (con sentenza n. 4558 del 22 marzo 2012), ha stabilito che i malati di Alzheimer e i loro parenti non devono versare alcuna retta alle residenze sanitarie assistenziali o alle casa di cura convenzionate. «La Cassazione ha ribadito che nella patologia di Alzheimer non sono scindibili le attività socioassistenziali da quelle sanitarie, per cui si tratta “di prestazioni totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale”» –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per programmare una strategia sanitaria nazionale che tenga conto dei problemi legati all'Alzheimer e alla demenza in generale, e in grado di accompagnare malati e famiglie fin dall'inizio per evitare situazioni che possono avere conseguenze negative e spesso economicamente pesanti per tutti gli interessati;
   se intenda promuovere iniziative per rifinanziare il fondo per le non autosufficienze per interventi in favore delle patologie croniche invalidanti, destinando parte delle risorse per le malattie cronico-degenerative, le demenze senili e l'Alzheimer. (4-07714)


   NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il signor C. M. è abilitato alla «funzione di coordinamento delle professioni sanitarie della prevenzione», acquisita con un master di primo livello in management e con la laurea in «Tecniche della Prevenzione negli ambienti e nei luoghi di lavoro» presso l'Università «Magna Grecia» di Catanzaro;
   dopo un regolare concorso interno all'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, il signor C. M., risultato vincitore, transitava dalla categoria «D» a quella «DS», propria dei coordinatori tecnici;
   con decorrenza dal primo febbraio 2008, dunque, il signor C. M. passava dalla qualifica di «Tecnico della prevenzione» a quella di «Collaboratore sanitario esperto»;
   nonostante la selezione superata, gli anni di anzianità e i requisiti posseduti, il direttore dell'unità operativa igiene e salute pubblica del dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria 7 di Catanzaro, dottor G. D. V., procedeva il 16 maggio 2007 a nominare «Referente del dirigente con compiti di coordinamento» il signor G. M., in sostituzione del signor E. C., sebbene questi non disponesse dei necessari requisiti (master di primo livello in management);
   stando alla memoria difensiva depositata presso la Procura di Catanzaro dallo stesso C. M. l'11 giugno 2011, si appurava che anche il signor E. C. non disponeva dei requisiti per ricoprire tale incarico di coordinamento, tanto che «a seguito della disamina della Direzione gestione risorse economiche e finanziarie dell'Asl numero 7, la proposta (della nomina a Coordinatore di E. C., avanzata dallo stesso G. D. V., nda) veniva rigettata e si ribadiva che, a norma dei regolamenti vigenti, il Direttore del Dipartimento di Prevenzione e il Direttore dell'UOISP di Catanzaro, non avevano alcun titolo a proporre simili richieste e che gli unici organi competenti erano la Direzione unità operativa gestione risorse umane ed il Direttore Aziendale». Nonostante ciò, E. C. veniva ugualmente autorizzato a svolgere le mansioni sopradescritte;
   alle domande avanzate dal signor C. M. circa la nomina prima di E. C. e poi di G. M. nonostante l'assenza di titoli richiesti, il dottor G. D. V. non ha mai dato risposte, garantendo ai due vantaggi patrimoniali e professionali;
   a quanto sopra descritto, si aggiungono una serie di episodi di presunto mobbing di cui il signor C. M. sostiene di essere stato vittima. Su tutti si ricorda, secondo quanto raccontato ancora nella memoria difensiva, che G. D. V. per sovvertire il parere tecnico formulato da C. M. e da un suo collega circa le condizioni anti igieniche di un'abitazione accertata a seguito di un sopralluogo effettuato, disponeva un nuovo controllo che effettuava lui stesso, «ciò al fine di smontare i rilievi da noi effettuati e dimostrare che la suddetta abitazione non era nelle condizioni di antigienicità da noi attestata», tanto che, nonostante G. D. V. avesse ribaltato il parere tecnico di C. M., l'affittuario chiamò in giudizio il proprietario di quell'abitazione davanti al giudice civile del tribunale di Catanzaro per il risarcimento dei danni subiti per l'eccessiva umidità, che si concludeva in prima e seconda istanza con la condanna del proprietario al risarcimento dei danni;
   ancora, in data 2 marzo 2009 veniva disposto il trasferimento d'ufficio di C. M. da Catanzaro al distretto dell'Asl di Soverato, senza tener conto dei titoli da lui posseduti circa l'anzianità di servizio e i gravi motivi di salute, dallo stesso C. M. ampiamente documentati (invalidità civile nella misura nel 68 per cento) perché portatore di protesi bilaterale di anca);
   avverso tale trasferimento di servizio, C. M. propose reclamo ex articolo 700 del codice di procedura civile al giudice del lavoro presso il tribunale di Catanzaro che, il 15 maggio 2009, condannò l'Asp numero 7 di Catanzaro;
   in virtù di tali vicende, il signor C. M. si rivolse – soffermandosi in particolare sulla nomina del signor G. M. – direttamente al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio, che sollecitò i vertici della regione Calabria e quelli dell'Asp di Catanzaro ad attuare una adeguata indagine sull'intera vicenda, per valutare e provvedere nel merito degli atti perpetrati dal dirigente G. D. V.;
   alle richieste del dipartimento, però, l'Asp di Catanzaro non ha mai risposto, tanto che il dipartimento della funzione pubblica ha inviato, in totale, otto note di richiesta (DFP 0033361 P-1.2.5.1 del 24 luglio 2009; DFP 0038895 P-1.2.5.1 del 16 settembre 2009; DFP 0050129 P-1.2.5.1 del 26 novembre 2009: DFP 0020874 P-1.2.5.1 del 30 aprile 2010; DPF 0033573 P-1.2.5.1 del 15 luglio 2010; DPF 0036839 P-4.17.1.16.2 del 14 settembre 2012; DFP 0010515 P-4.17.1.16.2 del 4 marzo 2013; DFP 0035488 P-4.17.1.16.2 del 26 luglio 2013);
   tuttavia, l'ultima nota del suddetto dipartimento risale al luglio del 2013, dopo di che non risultano, a fronte delle mancate risposte dell'Asp di Catanzaro, determinazioni del dipartimento della funzione pubblica, che iniziò a scrivere nel luglio del 2009;
   di fatto sono trascorsi quasi sei anni, senza che il predetto dipartimento abbia assunto provvedimenti di competenza nei confronti della reticente Asp di Catanzaro;
   sulla questione, peraltro, è intervenuta anche la Commissione Parlamentare d'Inchiesta del Senato sull'efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale della precedente legislatura;
   il senatore Ignazio Marino, in qualità di Presidente della Commissione, ha infatti inoltrato al dottor Gerardo Mancuso, commissario al tempo dell'ASP di Catanzaro, precise richieste in merito ai fatti denunciati, in particolare in data 15 luglio 2010, 5 febbraio 2011, 20 ottobre 2011;
   anche a tali quesiti non è mai stata data risposta;
   anche il direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute, dottor Francesco Bevere, ha inviato due note di segnalazione delle vicende – denunciate da C. M. – al dottor Bruno Zito, direttore generale del Dipartimento della tutela della salute della regione Calabria, e all'allora commissario ad acta per il Piano di Rientro Giuseppe Scopelliti. Nella prima (3 dicembre 2013) si chiedeva di «fornire riscontro alla scrivente direzione»;
   alla prima richiesta ministeriale, però, non arrivava alcuna risposta, tanto che il dottor Bevere il 16 aprile c.a. inviava una seconda nota nella quale si sottolineava che «non è ancora pervenuta la valutazione richiesta», per cui «si sollecita un urgente riscontro». Che tuttavia, a quanto risulta all'interrogante, ancora non arriva;
   in questa sede preme ricordare anche che il 30 agosto 2010 il dirigente generale della regione Calabria Francesco Zoccali scriveva invano al dottor Bruno Zito chiedendo «la revoca degli atti contestati ed il rispetto delle previsioni di legge nell'emanazione dei successivi indefettibili adempimenti»;
   invano è stata anche la lettera del 24 settembre 2010 inviata dalla dottoressa Sabina Scardo, dirigente del dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie della regione Calabria, direttamente al signor C. M., nella quale si informava lo stesso che era stato «richiesto all'Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro procedere all'annullamento in autotutela [...] dei provvedimenti con i quali sono stati conferiti, in violazione di disposizioni contrattuali, incarichi di ”referente” nei rapporti tra la direzione dell'UOISP e personale tecnico» –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali misure, nell'ambito delle rispettive competenze, ritengano di attivare, a riguardo e se il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione intenda chiedere conto delle mancate risposte relative alla questione segnalata in premessa e assumere ulteriori iniziative al riguardo. (4-07722)


   KRONBICHLER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 3 novembre 2010, il Ministero della salute aveva inviato alla Conferenza delle regioni, un documento con linee di indirizzo relative al miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo;
   il 16 dicembre 2010 veniva raggiunto l'accordo alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2011);
   detto accordo fissa modalità e principi per giungere all'accorpamento e la riduzione dei punti nascita, attraverso la riorganizzazione della rete dei punti nascita raccomandandosi «di adottare stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1.000 nascite/anno quale parametro standard a cui tendere (...)»;
   l'Allegato 1-b dell'accordo del 16 dicembre 2010, relativo agli «Standard per la riorganizzazione delle U.O. di ostetricia e delle unità operative di pediatria/neonatologia e terapia intensiva neonatale» prevede – tra l'altro – la necessità di una disponibilità di assistenza anestesiologica h24 all'interno della struttura ospedaliera; assistenza pediatrica/neonatologica h24; sala operatoria sempre pronta e disponibile h24 e altro;
   nel suddetto accordo, si sottolinea però come «i punti nascita con un numero di parti inferiori a 500, privi di una copertura di guardia medicoostetrica, anestesiologica e medico-pediatrica attiva h24, rappresentano ancora una quota intorno al 30 per cento del totale e sono presenti, in particolar modo, nell'Italia centrale e meridionale»;
   va comunque sottolineato che vi sono ambiti territoriali più disagiati, dove, per peculiari caratteristiche di isolamento territoriale o difficoltà di trasferimento dei pazienti alle strutture ostretico-ginecologiche più vicine, quali per esempio molte zone montane, è indispensabile mantenere punti nascita seppur con un numero di parti annui inferiore a 500 o in deroga ad alcuni degli standard individuati dal suddetto accordo Stato-regioni –:
   quanti e quali siano attualmente le strutture ospedaliere che non rispettano i parametri e gli standard suesposti;
   se non si ritenga di intervenire al fine di garantire la permanenza di punti nascita seppure al di sotto di 500 parti/anno e in deroga ad alcuni parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010, qualora ubicati in aree critiche quali quelle dei territori montani o quelle segnate da frammentazione territoriale, o da particolari caratteristiche orografiche, o distanti da altre strutture ostetrico/ginecologiche di livello superiore. (4-07726)


   RAMPELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2010 il Ministero della salute ha emanato le «Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica»;
   la necessità di tale provvedimento si basa sull'esigenza di «facilitare, sin dall'infanzia, l'adozione di abitudini alimentari corrette per la promozione della salute e la prevenzione delle patologie cronico-degenerative (diabete, malattie cardiovascolari, obesità, osteoporosi, ecc.) di cui l'alimentazione scorretta è uno dei principali fattori di rischio», e sul fatto che «l'obiettivo di favorire nella popolazione corretti stili di vita è prioritario a livello internazionale»;
   l'accesso e la pratica di una sana e corretta alimentazione è uno dei diritti fondamentali per il raggiungimento del migliore stato di salute ottenibile, in particolare nei primi anni di vita;
   nella «Convenzione dei diritti dell'infanzia», adottata dall'ONU nel 1989, è sancito il diritto dei bambini ad avere un'alimentazione sana ed adeguata al raggiungimento del massimo della salute ottenibile, e nella revisione della «European Social Charter» del 1996 si afferma che «ogni individuo ha il diritto di beneficiare di qualunque misura che possa renderlo in grado di raggiungere il miglior livello di salute ottenibile»;
   le indicazioni contenute nel citato documento erano state anticipate dall'assessorato alla scuola di Roma Capitale con la scelta effettuata già nel 2009 della dieta mediterranea e con l'introduzione, una volta al mese, dei menu regionali che andavano a sostituire i menu etnici proposti dalla precedente amministrazione. I menu regionali, i prodotti tipici locali italiani, venivano raccomandati dalle stesse linee guida per favorire l'integrazione dei bambini stranieri, attraverso una più approfondita conoscenza e condivisione anche del cibo, quello della dieta mediterranea, frutto di contaminazioni culturali e gastronomiche tra i paesi affacciati sul Mediterraneo;
   nel novembre 2010 la dieta mediterranea è stata riconosciuta dall'UNESCO quale patrimonio immateriale dell'umanità;
   attualmente nelle mense delle scuole della Capitale, con grande disappunto di molti genitori vengono proposti «15 menu ispirati ad altrettanti paesi europei», molti dei quali sono ben lontani dal rispetto degli standard di quella che viene considerata un'alimentazione sana e appropriata per soggetti in età evolutiva;
   lo scontento manifestato da molte famiglie davanti a piatti quali il «fish and chips» o i würstel con patate, è stato sin qui incredibilmente affrontato dall'assessore competente comunicando alle famiglie di aver trovato soluzione con l'aggiunta di un ulteriore piatto italiano che va indubbiamente a sbilanciare la tabella dell'apporto calorico dei piatti proposti ai bambini;
   tale atto segue l'eliminazione totale dei cibi biologici precedentemente presenti nelle mense romane;
   un'alimentazione sana e varia è essenziale nel contrasto dell'obesità, uno dei grandi problemi della popolazione scolastica, particolarmente importante per la popolazione infantile immigrata che rappresenta un gruppo particolarmente a rischio di eccedenza ponderale –:
   se siano informati dei fatti di cui in premessa e, per quanto di competenza, quali iniziative intendano assumere al fine di garantire il rispetto da parte di tutti gli istituti scolastici delle linee di indirizzo di cui in premessa e di tutelare la salute dei bambini. (4-07732)


   NESCI, PARENTELA e LOREFICE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione vibonese di Il Quotidiano del Sud, si riporta – a pagina 22, in un articolo di Enza Dell'Acqua – dell'attuale mancanza del servizio Suem 118 per il comune di Nicotera (Vibo Valentia), che interessa un'area con oltre 20 mila abitanti del territorio provinciale, come riportato dalla stessa giornalista in una ricostruzione presente sul suo blog e datata 23 ottobre 2013;
   con la riferita mancanza di un mezzo per il servizio sanitario di urgenza ed emergenza (Suem), in caso di chiamata – viene evidenziato nell'articolo di cui sopra – occorrono fino a quarantacinque minuti per l'arrivo a Nicotera di un'ambulanza da altro comune e altrettanti per il ritorno in sede, salvo imprevisti che possono aumentare i rischi, come quello capitato nel soccorrere la vittima di un recente sinistro, cioè la foratura di una gomma del veicolo d'intervento proveniente da Tropea (Vibo Valentia);
   già negli anni scorsi il Suem era in bilico a Nicotera, tanto che – si legge in una notizia presente sul portale dell'agenzia Adnkronos – l'allora sindaco, Pantaleone Sergi, scrisse una lettera al commissario dell'Azienda sanitaria di Vibo Valentia, ai tempi Giustino Ranieri, chiedendo il mantenimento della postazione di 118, che ha poi avuto sorti alterne;
   peraltro, sulla poca disponibilità di ambulanze a Tropea, da cui può partire un mezzo del Suem diretto a Nicotera, l'odierna interrogante intervenne con una nota politica dell'agosto 2013, invitando a provvedere la regione Calabria, in fase di rientro dal debito sanitario e allora avente, al contrario di oggi, il commissario governativo ad acta, che però non riuscì a organizzare efficaci servizi sul territorio né a raggiungere l'obiettivo prefissato, per cui, con l'interrogazione n. 4-03800 della stessa odierna presentatrice, invano veniva chiesto al Governo di rimuovere l'incaricato Giuseppe Scopelliti, contestualmente governatore della Calabria;
   la gestione della sanità calabrese è al momento paralizzata, come già significato nelle interrogazioni n. 4-07674, n. 4-07660, n. 4-07613 e n. 4-07518, non avendo il Governo nominato il nuovo commissario per l'attuazione del Piano di rientro dopo la proclamazione del governatore regionale eletto, Mario Oliverio;
   la riferita, mancata nomina comporta disagi, difficoltà di gestione e problemi diffusi, anche gravi, rispetto al funzionamento dei servizi sanitari nella regione Calabria, come sottolineato, per esempio, dal giornalista Paolo Pollichieni, direttore di Il Corriere della Calabria, in diversi suoi editoriali e anche nella rubrica video intitolata Omissis e presente sulla piattaforma YouTube;
   sul portale del quotidiano La Provincia di Cosenza, in un articolo del 10 novembre 2014, si riportano dichiarazioni – nel corso della sua visita agli ospedali calabresi – del Ministro della salute in carica, Beatrice Lorenzin, riguardanti il nuovo ospedale di Vibo Valentia, per cui c’è «un contratto firmato dall'amministrazione regionale e verrà seguito dalla prossima giunta (regionale, nda) che si insedierà a novembre»;
   il Ministro Lorenzin ha aggiunto che «ci vorranno tre anni, ma in tutto questo tempo dobbiamo fare in modo che l'attuale presidio raggiunga degli standard organizzativi normali»;
   il Ministro Lorenzin ha spiegato – secondo il racconto della suddetta testata giornalistica – anche le ragioni della sua visita in Calabria, dovute al fatto che, si riporta testualmente, «siamo in una fase di switch off, cioè siamo ad una fase di sostanziale riequilibrio di bilancio, 33 milioni su 3 miliardi e mezzo, una cifra veramente piccola»;
   il Ministro Lorenzin ha quindi dichiarato di essere in Calabria «soprattutto perché la struttura commissariale ha rappresentato al Ministero della salute la nuova rete ospedaliera della Calabria che sta a significare come finalmente questa regione abbia un sistema di organizzazione come altre regioni d'Italia in quanto era l'unica a non averlo» –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali siano i criteri seguiti per la predisposizione della nuova rete dell'assistenza ospedaliera;
   quali siano i servizi di assistenza ospedaliera previsti – nella nuova rete rappresentata al Ministero della salute – per il comune di Nicotera e le vicine località, anche alla luce della riportata dichiarazione del Ministro Lorenzin, che in relazione all'attuale ospedale di Vibo Valentia ha di fatto assunto un impegno pubblico per il raggiungimento di «standard organizzativi normali», tra cui potrebbe rientrare un efficace Suem per l'area in parola;
   come il Ministro della salute ritenga possibile che in Calabria vi sia, citando una sua dichiarazione, «un sistema di organizzazione come altre regioni d'Italia», mancando il commissario per l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario. (4-07742)


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione vibonese di Il Quotidiano del Sud, si racconta – a pagina 23, in un articolo di Francesco Tripaldi – di presunti accertamenti, perfino con elicotteri in volo, sulla possibile presenza di rifiuti altamente nocivi nel territorio di Rombiolo, Nicotera, Limbadi, Monte Poro e Fabrizia, ubicati nella provincia di Vibo Valentia;
   il suddetto articolista ipotizza che le stesse operazioni possano interessare l'intera Calabria, legandole alla notizia d'interramento di scorie in Calabria ricavata dalla recente desecretazione di audizioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, fatto su cui l'interrogante ha reso, nel giugno 2014, dichiarazioni pubbliche in ordine alla serietà e gravità del caso;
   l'articolo in argomento, che sottolinea il ruolo di vigilanza attiva di comitati civici, già ascoltati dal prefetto di Vibo Valentia, riconduce i riferiti accertamenti anche alla diffusione di patologie tumorali nel summenzionato territorio vibonese, aggiungendo che un gruppo di esperti geologi starebbe valutando i rilievi di volo, per ricostruire un quadro sul possibile inquinamento –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative di competenza siano state adottate o s'intendano adottare per la tutela della salute pubblica e dell'ambiente. (4-07747)


   PARENTELA, L'ABBATE, GAGNARLI, GALLINELLA, BENEDETTI, TRIPIEDI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le bevande energetiche sono bibite contenenti sostanze stimolanti, principalmente glucosio, caffeina, taurina, guaranina e vitamine del gruppo B, destinate a fornire energia al consumatore;
   il mercato di tali bevande ha avuto un'improvvisa impennata tra la fine degli anni novanta e l'inizio degli anni 2000, grazie soprattutto a strategie di marketing precise: l'uso di nomi e packaging accattivanti, sponsorizzazioni di eventi e pubblicità attraverso i canali più disparati, destinate ad un pubblico giovane ed ai loro interessi, come sport, musica, vita notturna;
   non essendoci una regolamentazione sulla definizione del termine «energy drink», non esiste un ingrediente o una formula base necessaria a definire la bevanda energetica. Esiste tuttavia una serie di sostanze, principalmente carboidrati e metilxantine, presenti spesso in alte quantità, riscontrabili nelle varie ricette; tra questi spesso troviamo caffeina, vitamine del gruppo B, taurina, maltodestrina, inositolo, carnitina, creatina e glucuronolattone; vengono inoltre utilizzati vegetali, quali guaranà, ginseng, e ginkgo biloba. Molti marchi propongono, affiancate alle formule originali, versioni dietetiche, con relativa sostituzione di edulcoranti;
   il consumo associato di alcolici viene giudicato a rischio per gli opposti effetti sul sistema nervoso centrale, depressivo per gli alcolici ed eccitante per gli energy drink. L'effetto eccitante non modifica la concentrazione di alcool nel sangue e il rischio di intossicazione acuta;
   tra il 2007 e il 2011 è raddoppiato negli USA il numero di ricoveri al pronto soccorso per esclusivo consumo di bevande energetiche. Fra i fatti riscontrati: insonnia, nervosismo, complicanze cardiache (palpitazioni, tachicardia) e neurologiche (allucinazioni, convulsioni e attacchi epilettici). Gli effetti sono attribuiti principalmente alle alte dosi di caffeina, il più attivo fra gli ingredienti noti e studiati degli energy drink;
   gli energy drink, inoltre, aumentano la pressione sanguigna, come rilevato da uno studio dell’American Hearth Association, che aveva consigliato perlomeno di limitarne il consumo: «Le bevande energetiche, molto di moda tra i giovani, possono aumentare la pressione sanguigna e il battito cardiaco. Per questo bisognerebbe consumarle con “cautela”, soprattutto gli anziani o se si hanno problemi noti di cuore, raccomandano i ricercatori che hanno presentato uno studio dedicato al fenomeno durante l'ultimo Congresso dell’American Hearth Association. Inoltre, dal momento che molte bevande energetiche contengono caffeina, “le persone che non bevono caffeina possono avere un aumento eccessivo della pressione sanguigna”, spiega Sachin A. Shah dell'University of the Pacific, uno degli autori dello studio»;
   nel 2009, in Francia, gli energy drink sono entrati a far parte di uno schema specifico di sorveglianza, grazie al quale tutti i casi di possibili eventi indesiderati, riferiti spontaneamente da chi ne è vittima, vengono registrati dalle autorità sanitarie locali e nazionali e, soprattutto, dall'agenzia per la sicurezza alimentare ANSES. Dai dati raccolti è emerso che tra il 2009 e la fine del 2012, sono stati segnalati 257 casi, 212 dei quali con informazioni sufficienti per effettuare una valutazione completa. In totale, 95 persone hanno avuto sintomi cardiovascolari, 74 psichiatrici e 57 neurologici, e molti ne hanno avuto più di uno insieme. Ci sono stati otto decessi, mentre 46 persone hanno sofferto di aritmie, 13 di angina e 3 di ipertensione. Il principale effetto indesiderato, osservato in 60 soggetti, è stato la sindrome da caffeina, cioè una tachicardia accompagnata da tremori, ansia e cefalea. Inoltre si sono avuti alcuni casi di decessi improvvisi e inspiegabili, aritmie gravi e infarti che potrebbero essere associati al consumo di energy drinks;
   è preoccupante il bilancio delle conseguenze del consumo di energy drink in Francia presentato al congresso europeo di cardiologia svoltosi a fine settembre 2014 a Barcellona da 15 tra cardiologi, psichiatri, psicologi e neurologi guidati da Milou-Daniel Drici e rappresenta una conferma delle cautele e perplessità espresse da molti esperti dove queste bibite sono diventate di massa;
   secondo Milou-Daniel Drici: «Il 96 per cento dei cosiddetti energy drink è a base di caffeina, e una lattina media, da 250 ml, ne contiene quanto due espressi. La caffeina agisce liberando in misura massiccia calcio nel cuore, e questo può causare aritmie anche fatali, e compromettere la capacità del cuore di usare l'ossigeno, con danni su tutto l'organismo. Oltre alla caffeina, poi, il 52% di queste bibite contiene taurina, il 33% glucuronolattone e due terzi vitamine. I giovani, tipicamente, le consumano di sera, in bar e discoteche, spesso in dosi massicce per non sentire l'effetto dell'alcol che bevono durante la stessa serata, con gravi rischi di effetti sulla salute, di incidenti stradali e di gravi danni da eccesso di alcol. I ragazzi le consumano durante o dopo l'attività sportiva, rischiando di amplificare gli effetti negativi sul cuore»;
   Drici ricorda che: «Persone con aritmie catecolaminergiche, sindrome del Q-T lungo e angina non dovrebbero in nessun caso assumere queste bevande, che possono peggiorare le loro condizioni, con conseguenze anche fatali. Il pubblico in generale dovrebbe essere informato del fatto che gli energy drink sono assolutamente da evitare durante o subito dopo l'attività sportiva, e che il consumo insieme all'alcol peggiora i possibili danni di entrambi i tipi di sostanze. Infine – ha concluso – tutti coloro che ne fanno uso dovrebbero comunicarlo al proprio medico. I medici, dal canto loro, dovrebbero avvisare tutti i pazienti, soprattutto quelli a rischio cardiovascolare, dei pericoli associati a queste bibite, e chiedere ai più giovani se ne fanno uso regolare o addirittura eccessivo»;
   oggi gli energy drink in vendita sono 103, consumati in due casi su tre fuori casa. Il bilancio tutt'altro che rassicurante, ed il mercato, già di per sé ampio, è in continua espansione –:
   se il Governo non ritenga opportuno emulare la best practice francese dotandosi di un sistema di sorveglianza grazie al quale tutti i casi di possibili eventi indesiderati derivanti dall'assunzione di energy drink possano essere registrati dalle autorità sanitarie locali e nazionali;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per provvedere ad opportuna regolamentazione degli energy drink così da scongiurare rischi per la salute legati all'assunzione di tali bevande. (4-07748)


   COLONNESE, TOFALO, PETRAROLI, LUIGI GALLO e SIBILIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Azienda ospedaliera Monaldi è un nosocomio di Napoli specializzato nella cura delle malattie pneumo-cardiovascolari. Nell'ambito del provvedimento di riassetto ospedaliero della regione Campania, approvato con decreto n. 49 del 27 settembre 2010 per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario, dalla fusione con l'ospedale Cotugno, ad indirizzo infettivologico ed epatologico, e al Centro traumatologico ortopedico, è nata l'A.O.R.N., azienda ospedaliera dei Colli;
   è stato approvato, con deliberazione del direttore generale n. 1085 del 22 ottobre 2014, il progetto preliminare di realizzazione di un ascensore esterno a lato di una scala antincendio esistente dell'ala destra dell'ospedale Monaldi di Napoli, progettato per connettere i cinque piani fuori terra dell'immobile oggetto d'intervento, a partire dal piano del cortile;
   dal punto di vista urbanistico l'intervento è conforme all'articolo 50, Sottozona Fe-strutture pubblico e di uso collettivo del piano regolatore generale;
   l'edificio del plesso ospedaliero oggetto di intervento, secondo il documento di approvazione del progetto definitivo, deliberazione del direttore generale n. 1253 del 2 dicembre 2014, è servito da una scala in carpenteria metallica, quale uscita di sicurezza, e da diversi elevatori per gli spostamenti interni;
   i rilievi preliminari, per quanto attiene allo spazio a disposizione, hanno escluso la possibilità di realizzare un ascensore in adiacenza all'immobile interessato. La struttura da realizzare secondo il progetto sarà quindi adiacente alla scala antincendio esistente, ma del tutto indipendente rispetto ad essa rispetto alle fondazioni, in elevazione, per ciascun piano, sarà realizzato contestualmente uno sbalzo complanare con il pianerottolo di smonto per permettere la discesa degli utenti;
   la scala antincendio di cui sopra risulta ad oggi l'unica via di accesso al CT, centro trasfusionale fra l'altro recentemente ristrutturato, fatto che costringe puntualmente donatori di sangue e tutti gli utenti che necessitano di recarsi presso i diversi laboratori ematologici, alla completa esposizione alle intemperie fino al raggiungimento del piano dove è sito l'ingresso a suddetto comparto –:
   se il Ministro sia al corrente di quanto in premessa;
   se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, monitorando l'impiego dei fondi pubblici destinati alla sanità Campana per evitare che vengano utilizzati per la realizzazione frettolosa di interventi nati per tamponare emergenze solo temporanee, senza considerare idonee vie di accesso ai reparti ristrutturati, togliendo risorse importanti a più efficienti progetti di ristrutturazione e riassetto delle infrastrutture sanitarie esistenti, che prevedono soluzioni a valere sul lungo periodo. (4-07761)


   MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di giornale è ormai noto che il nuovo farmaco contro l'epatite C, il sofosbuvir, dovrà avere un costo nettamente inferiore in India rispetto al costo previsto in alcuni Paesi occidentali;
   infatti, il farmaco che in Italia, dopo gli accordi tra l'azienda produttrice, l'americana Gilead, e l'Aifa, costerà circa (mille dollari) 800 euro, per gli indiani avrà il valore economico di un dollaro a pillola;
   un prezzo assurdo, se si pensa che il farmaco non può salvare la vita di tutti;
   il motivo, da quanto si apprende, sarebbe che l'ufficio brevetti di Delhi ha appena respinto la richiesta di registrazione del medicinale, presentata dall'azienda, perché non lo ritiene sufficientemente innovativo e potrà produrlo come generico (senza pagare royalty);
   con gli stessi principi attivi e senza il marchio Gilead, si rivela la soluzione migliore per abbattere così i costi e dar modo a tutti i malati di curarsi, visto che in India l'epatite C ha una diffusione altissima;
   alcuni articoli di stampa parlano infatti di «un'interessante trovata per ovviare ai costi esorbitanti delle nuove terapie, insopportabili per molti sistemi sanitari e soprattutto per il Subcontinente dove l'infezione da virus dell'epatite C è, come già detto, diffusissima (chiamano “Killead”, da kill, uccidere, la Gilead perché ostacola, con la sua politica, l'accesso ai farmaci)»;
   una guerra, quella sull'accordo dei prezzi dei nuovi medicinali che coinvolge tutti i Paesi, tutto il mondo;
   negli altri Paesi si sta cercando di attuare manovre e soluzioni alternative al fine di mettere in vendita la pillola a prezzi accessibili a tutti;
   nel nostro Paese, la «guerra» dovrebbe essere condotta dall'Aifa, che in merito al farmaco sofosbuvir, ne ha dato il via libera in Italia, negoziando sconti sulle terapie che, per accordi con l'azienda, non sono stati resi pubblici (negli Usa il prezzo di un ciclo di terapia è di 84 mila dollari, mentre in Italia di circa 40 mila euro); di certo il Governo ha stanziato un miliardo di euro per queste terapie per la cura di una parte dei pazienti;
   una cifra che purtroppo non è sufficiente a coprire il fabbisogno italiano: un costo così elevato può permettere solo a 50.000 malati di curarsi contro il milione e mezzo che ne ha urgente bisogno;
   si potrà dare precedenza solo ai casi più gravi, considerando il costo di una pillola e che il ciclo standard di cura è di 12 settimane; la cura completa ammonterebbe ad un totale di circa 60 mila euro;
   si tratta di una serie di incongruenze, perché oltre all'eccessivo costo del farmaco, rilevato dall'ufficio brevetti indiano, si apprende da altri articoli di stampa che «in occasione della 67a Assemblea mondiale per la salute, l’European aids treatment group aveva denunciato come il Sofosbuvir, approvato dall'Ema (European Medicines Agency) nel novembre 2013 e dalla Fda (Food and Drug Administration) nel dicembre dello stesso anno, avrebbe potuto essere prodotto a 68 dollari a terapia, piuttosto che gli 84 mila cui è attualmente venduto» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione esposta in premessa e se non ritenga opportuno verificare se effettivamente il farmaco in commercio possa essere prodotto ad un costo inferiore, così da costare molto meno al sistema sanitario italiano, e, far sì che l'AIFA riveda gli accordi presi con l'azienda produttrice Gilead. (4-07769)


   BERRETTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2003 l'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) ha promosso l'avvio di un programma per la realizzazione di centri di protonterapia;
   la protonterapia è una terapia oncologica innovativa che si propone di intervenire in modo mirato sulle cellule tumorali, senza incidere negativamente sui tessuti sani;
   la sezione catanese dell'INFN in collaborazione con l'azienda ospedaliera universitaria Policlinico di Catania ha intrapreso in via sperimentale trattamenti per la cura di neoplasie, in particolare modo oculistiche, i cui risultati di guarigione si attestano circa al 95 per cento dei pazienti trattati;
   nel 2010 il piano oncologico nazionale ha previsto l'utilizzo di tale terapia per la cura delle neoplasie e individuato la provincia di Catania, quale area dove collocare uno dei 4 centri nazionali;
   nel 2011, il progetto è entrato a far parte della strategia regionale per l'innovazione ed inserito nei «grandi progetti» del PO FESR 2007/2013 per un importo di oltre 112 milioni di euro, soggetto beneficiario l'azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania;
   tale investimento è coperto da fondi a valere sul PO FESR per circa il 25 per cento da risorse private per il 28 per cento, dal cofinanziamento dello Stato per il 32 per cento (circa 34 milioni di euro) e della Regione Siciliana per il 9 per cento;
   l'assessorato per la salute, con D.A. 28 giugno 2013, ha determinato in 18 mila euro la tariffa per un ciclo completo di protonterapia;
   con bando pubblicato sulla GUCE, nel maggio 2012, il Cannizzaro di Catania ha indetto una gara, ai sensi dell'articolo 58 del codice dei contratti pubblici (dialogo competitivo), per la progettazione, costruzione e gestione di un centro di radioterapia non convenzionale per l'erogazione su scala clinica della protonterapia-adroterapia;
   alla gara hanno partecipato tre raggruppamenti temporanei di impresa che, tuttavia, alla fine della procedura di dialogo, non hanno presentato alcuna offerta finale e, pertanto, la gara è stata dichiarata deserta;
   la realizzazione del centro di protonterapia nella città di Catania avrebbe comportato innumerevoli vantaggi che oggi rischiano di essere vanificati;
   la possibilità di curare in Sicilia patologie tumorali con una terapia di assoluta avanguardia ridurrebbe il ricorso a cure fuori regione, ed anzi costituirebbe un'attrattiva verso potenziali pazienti provenienti da altre regioni; Catania, infatti, sarebbe uno dei 3 centri previsti in tutta Italia, insieme a Pavia e Trento;
   la sperimentazione sopra ricordata, promossa dalla sezione catanese dell'INFN insieme con il policlinico di Catania, ha costruito e consolidato professionalità nell'ambito di tale tipologia di cure –:
   quali iniziative intenda intraprendere, anche ai sensi dell'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014, per la effettiva realizzazione di questa fondamentale infrastruttura medica innovativa e all'avanguardia che contribuirebbe alla tutela della salute dei cittadini siciliani e del Meridione d'Italia. (4-07788)


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende come sia un difficile momento quello attraversato dalla quasi totalità dei medici di famiglia di Catania e provincia. L'allarme riguarda la prescrizione di farmaci per l'osteoporosi;
   pare, infatti, che si sia da poco conclusa un'indagine nella quale sono stati coinvolti 937 medici di famiglia accusati di danno erariale;
   gli accertamenti sono stati eseguiti dall'autorità giudiziaria congiuntamente al servizio farmaceutico dell'Asp di Catania a cui ha fatto seguito la segnalazione dei professionisti alla Corte dei conti;
   non è stata chiarita la modalità ma sembra che i medici siano stati segnalati per le procedure di rimborso messe in atto. Ed è proprio a favore dei quasi mille medici entrati nell'occhio del ciclone, che si è attivata la Codacons, con la volontà di puntare i riflettori sulla gravissima situazione che si sta progressivamente creando riguardo alla prescrizione di farmaci per l'osteoporosi;
   questi farmaci, non servono a curare i dolori ma servono a fermare una malattia con un impatto epidemiologico enorme e che è spessissimo causa di morte specie nelle persone anziane per le complicanze fratturative che comporta –:
   se, a fronte del disorientamento e della preoccupazione prodotta dalla situazione di cui in premessa, non si intendano promuovere linee guida indirizzate per i medici di medicina generale volte a garantire un'appropriata prescrizione dei farmaci per l'osteoporosi. (4-07801)


   CURRÒ e CATALANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 gennaio 2015 sulla testata giornalistica «la Gazzetta del Sud» è stato pubblicato un articolo – a firma redazione Milazzo – che paventa il trasferimento dei reparti ospedalieri di pneumologia e di medicina generale dall'ospedale di Milazzo a quello di Barcellona Pozzo di Gotto;
   l'Associazione italiana medici per l'ambiente, il 19 gennaio 2015, ha inviato alla stampa una lettera aperta dove evidenziano che il 75 per cento delle patologie e delle cause di morte dipende dal degrado ambientale e da stili di vita non corretti. Le analisi dimostrano che per ogni 120 ug/m3 di PM 2,5 si registra un incremento tra l'8 e il 14 per cento di neoplasie polmonari;
   il comprensorio di Milazzo-Valle del Mela e nello specifico il comune di Milazzo ricadono nelle aree SIN (siti di interesse nazionale) istituiti con la legge 9 dicembre 1998, n. 426, e nelle aree ad alto rischio Ambientale di cui al D.A. territorio e ambiente n. 50/Gab del 4 settembre 2002;
   la regione Siciliana l'11 marzo 2014 ha approvato con D.A. 0356/2014 il «Piano organico di interventi sanitari nelle aree a rischio ambientale in Sicilia» nel quale si dichiara: «Nell'area di Milazzo nei maschi si osserva una frequenza più elevata dell'atteso relativamente al mesotelioma pleurico o per pneumoconiosi, oltre a patologie del sistema nervoso così come, tra le donne (tumori polmonari o SNC), malattie respiratorie in particolare acute. In entrambi i sessi si registrano alcuni eccessi di ospedalizzazione per cause selezionate»;
   con deliberazione della giunta regionale del 17 dicembre 2014 n. 362 viene approvato il «Piano di riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera» con il quale vengono recepite osservazioni del Ministero della salute negli incontri del 4 settembre e 15 ottobre del 2014;
   in data 23 gennaio 2015 sul supplemento ordinario della G.U.R.S. n. 4/2015 è stato pubblicato il decreto dell'assessorato regionale della salute «Riqualificazione e Rifunzionalizzazione della rete ospedaliera e territoriale della Regione Siciliana» Il predetto decreto prevede per l'azienda sanitaria provinciale (ASP) di Messina il mantenimento della UOC di pneumologia e della UOC di medicina nell'ospedale di Milazzo, in ragione anche della presenza di grandi insediamenti industriali nel medesimo territorio (pag. 18 GURS n. 4);
   nonostante quanto previsto dalla normativa, il direttore sanitario della ASP di Messina ha disposto l'inizio delle procedure di trasferimento della pneumologia dal comune di Milazzo a quello di Barcellona Pozzo di Gotto –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quale iniziative intende assumere, nei limiti delle proprie competenze, al fine di verificare se il progetto della regione siciliana volto alla istituzione di Ospedali riuniti o di monoblocchi – così come definiti dal direttore dell'ASP5 di Milazzo, Barcellona Pozzo di Gotto e Lipari – sia conforme a quanto definito in sede di attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario;
   se le autorità preposte della Regione Siciliana abbiano inviato eventuali ed opportune comunicazioni al Governo riguardanti la nuova rimodulazione del Piano relativo al trasferimento delle due unità operative di cui in premessa al comune di Barcellona Pozzo di Gotto, e se i rappresentanti del Governo si siano espressi su tale intervento anche tenuto conto dell'assenza di un'unità di rianimazione presso la struttura del comune di Barcellona Pozzo di Gotto;
   quali siano le osservazioni relative al Piano di riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera, fatte dai rappresentanti del Ministero negli incontri del 4 settembre e del 15 ottobre 2014 anche con riguardo alla adeguatezza di un ospedale senza unità operativa di medicina, notoriamente vincolata all'esistenza del pronto soccorso che è inquadrato in area medica. (4-07824)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   «Formez PA» è un centro servizi, assistenza, studi e formazione per l'ammodernamento delle pubblica amministrazione;
   «Formez PA» opera a livello nazionale e risponde al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   si tratta di una struttura di alta formazione che ha formato decine di migliaia di lavoratori della pubblica amministrazione;
   durante la fase di spending review il Governo ha nominato per «Formez PA» un commissario, che, per mere motivazioni di risparmio, ha deciso di chiudere alcune sedi periferiche, tra cui quella di Pozzuoli, in provincia di Napoli;
   quella di Pozzuoli svolge da ormai oltre trent'anni un importantissimo ruolo sul territorio campano e, in particolar modo, flegreo;
   la chiusura è stata disposta nonostante i dipendenti abbiano proposto che, in accordo col comune, si individui una nuova location in comodato gratuito o a canone agevolato a Palazzo Fuga, nei locali attrezzati e arredati per la «Stoà»;
   tale soluzione garantirebbe già da sola un netto risparmio e garantirebbe la sopravvivenza di quello che rappresenta, ormai, uno degli ultimi importanti pezzi di patrimonio restati all'area napoletana;
   un'eventuale chiusura rappresenterebbe un ulteriore impoverimento delle risorse strategiche di Napoli;
   tale chiusura sarebbe, peraltro, in netta controtendenza con i più recenti rapporti firmati da «Censis» e «Svimez», che vedono nel sistema Napoli-Campania la seconda area metropolitana e seconda regione d'Italia, con interessi crescenti nel panorama delle regioni «obiettivo convergenza» e del bacino del Mediterraneo;
   Napoli è il quinto sistema urbano in Europa;
   è allora assolutamente necessario che il patrimonio culturale conseguito da «Formez PA» non sia disperso, e che anzi venga rafforzato;
   l'importanza di «Formez PA» è ancora maggiore oggi, con l'avvio delle città metropolitane ed il riassetto delle province, l'introduzione di funzioni associate da parte dei piccoli Comuni, la possibile riforma dell'organizzazione e dell'attività della pubblica, Amministrazione e la nuova riforma del Titolo V della Costituzione –:
   se non si ritenga urgente e doveroso intervenire per evitare la chiusura della sede distaccata di Pozzuoli di «Formez PA»;
   se non si ritenga di poter provare a perseguire la via proposta dai lavoratori di tale sede, ovvero l'individuazione di una nuova location in comodato gratuito o a canone agevolato a Palazzo Fuga in accordo col comune, così da ottenere un risparmio sui costi garantendo al contempo il mantenimento della sede distaccata di Pozzuoli. (4-07718)


   CARFAGNA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 24 giugno 2014, n. 90, recante Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza dei servizi giudiziari (14G00103), Gazzetta ufficiale 144 del 24 giugno 2014 entrato in vigore il 25 giugno 2014 convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 (in S.O. n. 70, Gazzetta ufficiale 18 agosto 2014, n. 190), all'articolo 20 recita: «(Associazione Formez PA) - 1. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione propone all'assemblea dell'associazione Formez PA, di cui al decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 6, lo scioglimento dell'Associazione stessa e la nomina di un Commissario straordinario.
  A far data dalla nomina del Commissario Straordinario decadono gli organi dell'Associazione Formez PA in carica, fatta eccezione per l'assemblea e il collegio dei revisori. Il Commissario assicura la continuità nella gestione delle attività dell'Associazione e la prosecuzione dei progetti in corso. Entro il 31 ottobre 2014 il Commissario propone al suddetto Ministro un piano delle politiche di sviluppo delle amministrazioni dello Stato e degli enti territoriali, che salvaguardi i livelli occupazionali del personale in servizio e gli equilibri finanziari dell'Associazione e individui eventuali nuove forme per il conseguimento delle suddette politiche. Il piano è presentato dal Ministro medesimo all'Assemblea ai fini delle determinazioni conseguenti.
  1-bis. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
   a seguito della citata previsione normativa l'avvocato Harald Massimo Bonura è stato nominato commissario straordinario, e, lo stesso, ha presentato, nel termine previsto, una proposta di piano di riordino di Formez PA;
   all'interno del piano il commissario evidenzia, tra l'altro: un forte consenso della committenza pubblica nei confronti del FORMEZ PA, specie a livello territoriale; deep knowledge delle strutture e delle procedure amministrative, centrali e locali, ed una radicata riconoscibilità a livello territoriale ed in particolar modo nel Mezzogiorno; alta specializzazione su alcuni settori di attività, strumentale all'attuazione delle politiche pubbliche, all'assistenza tecnica, alla gestione dei concorsi, al servizio al cittadino, all'attività di monitoraggio delle politiche pubbliche, al supporto all'attuazione delle riforme (si veda «legge Del Rio»);
   una solida situazione patrimoniale ed un buon assetto economico finanziario: prendendo a riferimento gli ultimi 14 esercizi finanziari, dodici sono stati conclusi in utile e, tra questi, gli ultimi cinque. Il primo semestre 2014, inoltre, consolida questi risultati;
   il Formez PA segue procedure trasparenti per la selezione di collaboratori esterni e le funzioni svolte dallo stesso Formez PA non sono in sovrapposizione con quelle di altri soggetti pubblici quali: Agenzia per la coesione territoriale, Scuola nazionale dell'amministrazione ed AgID;
   una serie di possibili soluzioni per il futuro del Formez PA che, a prescindere da quella prescelta, dovrebbero prevedere, necessariamente, alcune scelte di forte impatto tra cui la soppressione delle sedi «periferiche» di Napoli e Cagliari;
   quest'ultima ipotesi, laddove non supportata da motivazioni diverse da quelle esclusivamente economiche (come, ad esempio, i costi di affitto della sede che potrebbero essere abbattuti facendo ricorso o a strutture con costi più ridotti oppure al comodato d'uso su beni di amministrazioni socie), sarebbe, sicuramente, in contraddizione con quanto evidenziato dal commissario nel piano presentato all'assemblea dei soci, in cui sottolinea l'importanza del Formez PA per le regioni del Mezzogiorno e la strategicità della sua azione nei processi di accompagnamento alla spesa dei fondi comunitari e nel miglioramento della capacità istituzionale delle regioni obiettivo convergenza;
   il Formez - Centro di formazione e studi per il Mezzogiorno (oggi Formez PA) è stato – ed è tuttora – un rilevante strumento di sostegno tecnico alle politiche di sviluppo delle amministrazioni pubbliche centrali, regionali e locali. Grazie alla costante analisi e valutazione del fabbisogno degli enti – sia su richiesta, sia anticipandone la domanda – ha svolto il proprio ruolo attraverso le leve della ricerca e dell'editoria specialistica; della formazione e della riqualificazione del personale; dell'assistenza tecnica alla progettazione, sperimentazione e implementazione di modelli organizzativi/gestionali innovativi; del reclutamento;
   appare quantomeno singolare e disorientante la prospettata soppressione delle cosiddette «sedi periferiche» (in un'accezione, in verità, poco rispettosa della storia ultra cinquantennale del Formez) e, in particolare, di Napoli: un'ipotesi che appare in evidente controtendenza con quanto emerge dai rapporti Censis e Svimez sui fenomeni politici economici e sociali che attengono alla terza area metropolitana e seconda regione d'Italia, con interessi crescenti nel panorama delle regioni «obiettivo convergenza» e dell'intero bacino del Mediterraneo (di cui si candida ad esserne la «capitale morale»);
   per comprendere l'importanza del passaggio istituzionale che sta conducendo all'istituzione delle aree metropolitane, si può partire dalla rappresentazione del sistema urbano europeo recentemente proposta dall'OCSE (OECD, 2012) dove emerge che la città di Napoli è la quinta «città di fatto» più grande d'Europa: i dati Istat, d'altronde, ne confermano l'importanza strategica nel sistema italiano;
   va aggiunto che la sede campana di FormezPA (già laboratorio di tutte le esperienze ricordate in apertura, essendo stata individuata solo in essa sede di ricerca e formazione delle regioni del Mezzogiorno, a partire dalla sua costituzione nei primi anni ’60) ha consolidato nel tempo una capacità di intervento basata soprattutto sulle risorse tecniche interne: ciò che ha consentito, d'altronde, un riconosciuto, efficace e costante affiancamento alle amministrazioni destinatarie, nonché la gestione diretta di molte tra le più rilevanti attività di questi anni;
   nella seduta del 14 novembre 2014 l'assemblea dei soci ha approvato, in particolare:
    una riduzione dei costi degli organi sociali non inferiore al 40 per cento di quanto complessivamente sostenuto, per tale voce, nell'esercizio 2013;
    una significativa riduzione dei costi di struttura;
    una semplificazione delle procedure interne;
    una profonda revisione della struttura organizzativa;
    il rafforzamento delle misure interne di trasparenza e accessibilità;
    l'accrescimento dell'effettività del controllo analogo;
    di dare, mandato al commissario straordinario, ove possibile, di avviare immediatamente tutte le singole azioni coerenti con gli obiettivi quali-quantitativi sopra indicati;
    di confermare l'incondizionato mandato al commissario straordinario di garantire la piena continuità e lo sviluppo – in coerenza con gli obiettivi funzionali indicati nel piano – delle attività e della gestione dell'ente;
   di conferire, mandato al commissario straordinario per l'attuazione della presente delibera, con i più ampi poteri, dando atto che, all'esito di tale attività attuativa, si provvederà a convocare l'assemblea straordinaria dell'associazione per deliberare le modifiche statutarie necessarie per completare l'esecuzione della proposta sopra approvata –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, per scongiurare l'eventuale soppressione delle sedi di Napoli e Cagliari che priverebbe il Meridione – dal punto di vista culturale e produttivo – di un'istituzione che costituisce un'importante leva strategica per il rilancio di un'area, quale il Mezzogiorno d'Italia, motore potenziale della futura politica economica;
   se, per ridurre anche sensibilmente i costi di struttura attualmente sopportati, si possa efficacemente ricorrere, per la sede FORMEZ PA di Napoli, all'immenso patrimonio pubblico (eventualmente, anche ecclesiastico) disponibile nell'amplissima area metropolitana, il che consentirebbe di individuare, agevolmente, un'adeguata e più funzionale sede – nelle forme previste dalla più recente normativa;
   se il piano di riordino proposto dal commissario straordinario preveda, in particolare, che il patrimonio culturale conseguito da Formez PA non sia disperso ma, anzi, sia rafforzato per assistere e implementare i grandi cambiamenti di riforma in atto, costituzionali, organizzativi e finanziari che stanno interessando la pubblica amministrazione italiana.
(4-07776)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso della protesta delle associazioni dei consumatori – Codacons, Federconsumatori, Adusbef, Adoc, Unione Nazionale Consumatori, Asso-Consum, Movimento Consumatori, Lega Consumatori, Altroconsumo, Codici, Confconsumatori, Ctcu, Acu e Assoutenti – segnalata al Ministro interrogato rispetto all'utilizzo che sembra avvenga impropriamente del Fondo per iniziative a favore dei consumatori (articolo 148, legge n. 388 del 23 dicembre 2000, legge finanziaria 2001);
   a quanto è dato sapere, da una informativa da parte del Presidente del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti svoltosi il 22 gennaio 2015 presso il Ministero dello Sviluppo economico, il 99,4 per cento delle risorse finanziarie raccolte grazie alle sanzioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e destinato per legge ad iniziative in favore dei consumatori, è stato quasi totalmente utilizzato dal Governo a copertura di provvedimenti estranei rispetto alla legittima destinazione;
   con le risorse del Fondo in oggetto il Ministro dello sviluppo economico finanzia, ai sensi dell'articolo 148 della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001), numerosi e importanti interventi ministeriali di sostegno dei consumatori, riguardanti, ad esempio il programma dei controlli per la sicurezza dei prodotti, la convenzione per i servizi di supporto al Consiglio nazionale consumatori e utenti, la struttura di esame e liquidazione dei cofinanziamenti per le conciliazioni paritetiche delle controversie di consumo, interventi sulla prescrizione delle polizze dormienti, il fondo consumatore pacchetto turistico, lo sportello europeo del consumatore e molte altre iniziative di assistenza, informazione, educazione e tutela del consumatore (sicurezza alimentare, diffusione della cultura della concorrenza e per le liberalizzazioni, iniziative per il «made in Italy», la sicurezza in internet, la pubblicità ingannevole, la lotta alla contraffazione, e altro). Talune di queste iniziative peraltro sono connesse ad obblighi europei ed il loro definanziamento potrebbe comportare procedure di infrazione e relative sanzioni;
   nelle attività finanziate sono impegnate direttamente, con centinaia di lavoratori e altrettanti volontari, anche le associazioni dei consumatori;
   inoltre, il Fondo contribuisce anche alle risorse che le Regioni destinano, a loro volta, a progetti a favore dei consumatori nei rispettivi territori;
   si evidenzia che non si tratta propriamente di risorse finanziarie pubbliche, bensì di proventi da sanzioni irrogate ad imprese private che hanno in vario modo frodato i consumatori o gli utenti e che, nella logica della legge citata, dovrebbero essere reindirizzate, previo parere del Parlamento a favore della generale categoria dei consumatori, a titolo di parziale e indistinto ristoro;
   tali sanzioni sono anche generate proprio dalle attività di segnalazione e denuncia alla Autorità garante della concorrenza e del mercato svolte dalle Associazioni dei Consumatori;
   la difficile situazione che il Fondo, alimentato dal capitolo 1650 del bilancio del Ministero dello sviluppo economico, sta, da alcuni anni, attraversando è determinata dalla mancata riassegnazione al bilancio del Ministero dello sviluppo economico, più volte formalmente richiesta da parte del Ministero dello sviluppo economico stesso al Ministero dell'economia delle finanze, dei proventi delle sanzioni irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. A riguardo, la procedura prevede che: i proventi delle sanzioni affluiscono all'Entrata sul capitolo 3592 da cui devono essere riassegnati al capitolo 1650 del Ministero dello sviluppo economico per essere destinati ad iniziative in favore dei consumatori secondo programmi e iniziative che il Ministero dello sviluppo economico stesso sottopone, con una ben precisa procedura ai sensi dello stesso articolo 148, della citata legge finanziaria del 2001, al parere delle competenti Commissioni parlamentari Attività produttive di Camera e Senato;
   tuttavia sembra sia accaduto più volte, che, prima di tale riassegnazione e con un rilevante rallentamento dei tempi, il Ministero dell'economia e delle finanze distolga queste risorse finanziarie dalla destinazione propria, e non tenendo conto della procedura parlamentare di approvazione delle destinazioni, le utilizzi per trovare mezzi di copertura di progetti di legge che poco o nulla hanno a che fare con le destinazioni previste dall'articolo 148 della legge n. 388;
   è ben vero che, da un punto di vista strettamente giuridico-costituzionale, la approvazione finale da parte del Parlamento di queste coperture finanziarie agisce da sanatoria successiva di questi procedimenti amministrativi/legislativi, ma è pur vero che ciò avviene con una sostanziale violazione di fatto di un'altra legge che prevede ben altre procedure e diversi obiettivi;
   con riferimento giusto ai casi più recenti, relativamente al periodo 2014, risultano versate all'Entrata, sul capitolo 3592, articolo 14, somme derivanti dalle sanzioni Antitrust pari ad oltre euro 309 milioni, mai riassegnate al capitolo 1650 del Ministero dello sviluppo economico;
   di queste somme sono state già utilizzate dal Ministero dell'economia e delle finanze, per altri scopi, ben 307 milioni di euro. Si ricordano:
    l'articolo 38-bis, comma 2, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge n. 89, nel quale tali risorse sono state utilizzate per la copertura degli oneri per la cessione di crediti della PA:
    l'articolo 9, comma 21, lettera a), del decreto legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito dalla legge n. 117 nel quale tali risorse sono state utilizzate per la copertura degli oneri per i rimedi risarcitori dei pregiudizi subiti ingiustamente dai detenuti;
    il decreto legge 133 del 2014 (sblocca Italia) che all'articolo 4, comma 8, lettera b), e comma 9, lettera b), copertura di contributi finalizzati alla ricostruzione in Abruzzo all'articolo 32, comma 2, copertura di interventi per la nautica da diporto all'articolo 40, comma 2, lettera g), copertura del rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga;
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità 2015, all'articolo 1, comma 699, ha utilizzato il Fondo delle multe antitrust per la copertura di interventi per l'alluvione del 2013 in Sardegna (comma 694) e per garantire il pagamento delle supplenze brevi e saltuarie del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario per il 2014 (comma 695);
   al momento, a fronte delle sanzioni affluite nel 2014 e contabilizzate all'Entrata per oltre 309 milioni, nonché delle relative richieste già avanzate al Ministero dell'economia e delle finanze di riassegnazione al Ministero dello sviluppo economico di una contenuta parte di esse, è stata accolta solo una richiesta per 2 milioni di euro circa;
   è evidente che entrate ingenti come quelle sopra citate possano avere, come hanno sempre avuto, destinazioni anche diverse per urgenti iniziative di rilievo nazionale ma è importante che l'importo sia ripartito ragionevolmente e secondo la procedura che la legge prevede ossia solo dopo l'acquisizione del preventivo parere parlamentare, e non, come di frequente avviene, utilizzandolo, prima di tale esame senza considerare nel modo dovuto la legittima destinazione propria;
   a questo stato di fatto sembra si aggiungono anche lunghi ritardi nelle procedure amministrative di riassegnazione dei fondi al Capitolo 1650 del Ministero dello sviluppo economico da parte degli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze, ritardi che possono persino rendere in pratica inutilizzabili le risorse finalmente riassegnate, in quanto rischiano di andare in perenzione, stante la necessità degli ulteriori successivi passaggi procedurali, temporalmente onerosi, da assolvere entro l'anno finanziario, quali l'acquisizione dei pareri parlamentari sui programmi di spesa, la stesura dei relativi bandi di gara e lo svolgimento delle gare per l'affidamento della loro esecuzione;
   dunque, dati i fatti premessi, le associazioni dei consumatori hanno espresso preoccupazioni per la gestione di queste risorse anche per l'anno 2015, ricordando che non si tratta di denaro pubblico o versato dal contribuente, ma di sanzioni versate da aziende private –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali siano i suoi orientamenti;
   se si intenda provvedere, già all'inizio dell'anno finanziario, alla immediata riassegnazione al Ministero dello sviluppo economico delle eventuali disponibilità che di volta in volta afferiscono sul capitolo di entrata, in modo che ci siano i tempi necessari per la tempestiva e migliore programmazione e autorizzazione parlamentare, degli utilizzi del fondo in questione previsti dalla legge e alla loro effettiva utilizzabilità da parte delle associazioni in favore dei consumatori;
   se si intendano adottare specifici provvedimenti affinché sia modificata la prassi che di fatto danneggia la progettualità, l'assistenza e le iniziative in favore dei consumatori italiani e che possa impedire l'appropriato utilizzo di risorse che dovrebbero essere in vario modo reindirizzate a favore dei cittadini/consumatori/utenti, collettivamente danneggiati da pratiche anticoncorrenziali e commercialmente scorrette messe in atto dalle imprese e sanzionate dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato.
(5-04618)


   LOSACCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è stata annunciata la volontà da parte di Ansaldo di chiudere a partire dal prossimo mese di aprile lo stabilimento di Gioia del Colle;
   l'impianto industriale pugliese produce boiler ed occupa quasi 200 addetti;
   le motivazioni addotte sono quelle della crisi di mercato con il crollo degli ordini e di una concorrenza insostenibile da parte dei paesi in cui il costo del lavoro è più basso;
   il Ministero dello sviluppo economico ha convocato azienda, sindacati ed istituzioni il prossimo 3 febbraio;
   l'appuntamento è decisivo per cercare una soluzione che dia una prospettiva produttiva allo stabilimento di Gioia del Colle –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere già prima dell'incontro fissato per il 3 febbraio 2015 per scongiurare la chiusura dell'impianto e salvaguardare i livelli occupazionali in un comprensorio territoriale già fortemente segnato dalla crisi economica. (5-04622)


   BARGERO, BASSO e SENALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) è un ente pubblico che opera nei settori dell'energia, dell'ambiente e delle nuove tecnologie a supporto delle politiche di competitività e di sviluppo sostenibile, controllato dal Ministero dello viluppo economico, con 11 centri sul territorio nazionale e oltre 2600 dipendenti;
   la sua attività è incentrata sulla ricerca, l'innovazione e la prestazione di servizi avanzati alla pubblica amministrazione, alle imprese e ai cittadini;
   la legge 23 luglio 2009 n. 99, all'articolo 37, ha previsto l'istituzione dell'attuale Agenzia in sostituzione del precedente Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente, consentendo in tal modo di procedere alla nomina di un commissario e due subcommissari con lo scopo di garantire l'ordinaria amministrazione e garantire lo svolgimento delle attività istituzionale fino all'avvio del funzionamento dell'Agenzia;
   la risoluzione parlamentare n. P-00027 impegnava il Governo ad una efficace e complessiva revisione della missione strategica dell'agenzia da attuarsi in tempi rapidi, impegno più volte riconfermato dal Governo nella risposta a diverse interrogazioni specifiche;
   nonostante ciò, dopo ben quattro anni di commissariamento, nell'agosto 2014 si è proceduto ad una ulteriore nomina commissariale, non tenendo conto che l'Agenzia, nel corso degli anni, si è andata lentamente depauperando del capitale umano non essendo stata attuata una ristrutturazione organizzativa in grado di assicurare alla nuova struttura la massima snellezza e flessibilità, il monitoraggio delle realizzazioni dei progetti, la funzionalità, l'efficienza e l'economicità della gestione e tutte quelle azioni volte a soddisfare la mission affidata dalla legge all'Agenzia;
   ad oggi non si ha riscontro parlamentare sulle linee guida di riforma strategica dell'agenzia mentre fonti sindacali danno per acclarata una riorganizzazione organizzativa incomprensibile alla luce della mancanza di un progetto strategico di focalizzazione;
   dalla legge di stabilità 2015 risulta chiaro che Enea rimarrà commissariata anche per il 2015, con un fondo tagliato di 7,1 milioni di euro;
   i settori su cui opera Enea sono strategici per l'economia nazionale –:
   quale sia l'intenzione del Ministro riguardo alla necessaria ed inderogabile rifocalizzazione delle attività di Enea, nell'ambito di un riordino generale degli enti di ricerca dopo un così lungo periodo di commissariamento;
   quali iniziative intenda intraprendere per mantenere, rifinanziare e rilanciare l'Agenzia, superando l'attuale assetto commissariale. (5-04625)


   BASSO, BENAMATI, MARTELLA, PELUFFO, GIACOBBE, TULLO, CAROCCI, SENALDI, IMPEGNO e MARCO MELONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006 Ericsson Telecomunicazioni spa acquista Marconi per 2,10 milioni di euro. Insieme al marchio rileva la maggioranza delle attività relative alle reti di accesso, agli apparati e servizi data networks con base in Nord America, i Servizi internazionali che includono le attività di Telecomunicazioni (installazione, commissioning e manutenzione) non stanziate nel Regno Unito, le attività nei Servizi a valore aggiunto (VAS) nel Medio Oriente e le attività relative ai Servizi Wireless Software. I dipendenti sono 3228 complessivamente nelle sedi di Genova, Roma, Napoli, Assago (Milano), Mestre, Caserta e Torino per quanto attiene al contratto delle telecomunicazioni;
   nel maggio 2014 la multinazionale Ericsson ha avviato la cessione di ramo di azienda per la sede di Vimodrone in Lombardia, una divisione di Ricerca e Sviluppo specializzata su prodotti a microonde, che impiegava 140 dipendenti, molti dei quali ingegneri e tecnici di elevatissimo profilo professionale;
   da mesi circolano voci, che sembrerebbero trovare conferma da articoli apparsi sul quotidiano economico Il Sole 24 ore nella giornata del 27 gennaio 2015, sull'intenzione da parte di Ericsson di cedere anche lo stabilimento di Marcianise per venderlo alla Jabil, multinazionale americana nota per aver acquisito nel 2008 lo stabilimento della Nokia Siemens a Cassina de’ Pecchi, chiuso dopo soli tre anni;
   dal 2006 ad oggi l'azienda ha avviato sette procedure di mobilità (la sola sede di Genova è passata dai 1150 lavoratori del 2006 a meno dei 700 attuali) e in data 15 dicembre 2014 l'azienda ha firmato un ulteriore accordo con i sindacati nazionali e territoriali per l'avvio di una nuova procedura (di cui agli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991) per la collocazione in mobilità di ulteriori 195 dipendenti;
   queste notizie allarmano i lavoratori e i territori ove sono presenti le sedi operative di Ericsson in Italia, non essendo chiare le strategie organizzative e di mercato della multinazionale svedese nel nostro Paese –:
   quali iniziative concrete per quanto di competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di fare chiarezza su quale strategia Ericsson voglia attuare in Italia al fine di fugare i dubbi che ad oggi aleggiano sui rimanenti siti produttivi, anche al fine di evitare ulteriori livelli di conflitto sociale e sindacale che sarebbero inevitabili qualora ci fossero ancora cessioni o tagli sulle unità produttive. (5-04630)


   BARGERO e FIORIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal recente piano di riorganizzazione predisposto da Poste spa emergerebbero per la regione Piemonte:
    a) l'intenzione di procedere alla chiusura di circa quaranta uffici;
    b) il proposito di limitare a soli due/tre giorni alla settimana, l'apertura di oltre 130 sportelli collocati in piccoli comuni;
   questo disegno comporta due conseguenze: la prima, inerente la soppressione o il depotenziamento del servizio, che colpirà in particolare quei centri minori e quelle aree svantaggiate, che hanno nelle Poste un punto di riferimento molto importante, e dove è per di più rilevante la presenza di popolazione anziana, per la quale sono più difficoltosi gli spostamenti verso i centri maggiori; la seconda, riguardante i lavoratori degli uffici postali interessati dai richiamati interventi di riorganizzazione;
   il carattere «universale» del servizio, implica che lo stesso debba essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro collocazione geografica e dalla loro condizione sociale, anagrafica ed economica;
   l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 261 del 1999 stabilisce che le prestazioni rientranti nel servizio universale devono essere fornite «permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane»;
   la portata del servizio postale universale è precisata dal successivo comma 5 del medesimo articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999, il quale nel fissare le caratteristiche del servizio, da un lato stabilisce che esso è «prestato in via continuativa per tutta la durata dell'anno», dall'altro, con riguardo in particolare al concetto di «tutti i punti del territorio nazionale», chiarisce che va assicurata «l'attivazione di un congruo numero di punti di accesso», sulla base di criteri di ragionevolezza, al fine di tener conto delle esigenze dell'utenza;
   i criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica attualmente vigenti sono stati fissati dall'allora Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola, con proprio decreto del 7 ottobre 2008, e ad essi è tenuto a uniformarsi il fornitore del servizio universale;
   se sia stata verificata la congruenza del piano di riorganizzazione predisposto dal fornitore del servizio universale, Poste spa, con i criteri di distribuzione stabiliti dal succitato decreto ministeriale del 7 ottobre 2008;
   se sia stata valutata l'opportunità di determinare interventi correttivi dei criteri stessi laddove essi non risultino idonei a tutelare, in situazioni di particolare marginalità geografica, demografica e socio-economica il principio stesso di universalità del servizio. (5-04641)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, NICCHI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 gennaio 2015 l'agenzia di stampa Ansa ha battuto la notizia di una operazione condotta dalla Guardia di finanza di Macerata denominata «China Factory»;
   i militari hanno individuato la contraffazione di 200 mila borse prodotte in Cina e venduti con l'etichetta made in Italy, nonché una evasione fiscale di 20 milioni di euro e violazioni all'iva per 5,5 milioni di euro;
   l'indagine ha anche portato alla luce una evasione dei dazi doganali per circa 300 mila euro e violazioni alla normativa antiriciclaggio per 3,5 milioni;
   l'Ansa riporta la ricostruzione del sistema di contraffazione/evasione che ha visto come dominus dell'operazione degli imprenditori italiani. In particolare si legge nell'agenzia secondo l'accusa, gli italiani acquistavano beni da imprenditori cinesi senza che venisse emessa fattura, oppure li importavano dalla Cina dichiarando in Dogana un valore inferiore alla somma effettivamente pagata, in modo da evadere dazi doganali e Iva. Gli articoli di pelletteria acquistati o importati (prevalentemente borse, borse da viaggio, zainetti, cinture di fattura cinese ma anche indiana), venivano poi venduti come prodotti Made in Italy, con etichette italiane;
   da quanto riportato emerge un meccanismo tutto sommato semplice e alla portata di molti, che mette in luce ancora una volta le carenze dei sistemi di controllo e anti contraffazione, non solo all'estero ma anche in Italia, a tutela del made in Italy –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, i Ministri interrogati stiano adottando, o intendano adottare, per rendere più stringenti le tutele del made in Italy;
   considerato che in data 7 luglio 2014 la Camera dei deputati ha discusso ed approvato alcune mozioni relative ad «iniziative per la tutela del made in Italy, tra le quali la mozione Fratoianni ed altri n. 1-00525, che impegnava il Governo ad adottare con urgenza una serie di provvedimenti volti ad aumentare gli strumenti di tutela e promozione del made in Italy, come e in che tempi il Governo intenda dare attuazione agli impegni assunti.
(5-04643)


   CRIPPA, DELLA VALLE, CHIMIENTI e CASTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014 la ARCESE spa, azienda specializzata in servizi nel campo delle spedizioni e della logistica, perdurando uno stato di crisi ha richiesto un'ulteriore procedura di cassa integrazione per i propri lavoratori fino a fine gennaio 2015;
   la società, con sede legale in Arco (Trento), dispone di 9 sedi produttive dislocate in tutta Italia di cui una a Rivalta Torinese (Torino);
   come riportato sul sito del gruppo stesso con un comunicato pubblicato in data 6 ottobre 2014 dall'oggetto «Il Gruppo Arcese implementa le attività in Russia», l'azienda starebbe adottando una strategia nazionale di crescita e espansione, con una particolare attenzione ai poli strategici nelle aree emergenti;
   nel comunicato, il gruppo specifica inoltre come «[...] intende, inoltre, sviluppare i traffici FTL tra la Russia e i Paesi europei in particolare: Italia, Francia, Belgio e Germania, garantendo flessibilità e sicurezza in ogni fase del trasporto della merce e senza escludere l'ampliamento dell'offerta con ulteriori servizi quali spedizioni LTL e logistica per rispondere alle esigenze dei clienti. Si ricordano le recenti aperture di nuove sedi di Hong Kong e Anversa strategiche per i flussi tra Europa e gli altri continenti e a livello nazionale la nuova filiale a Prato e nelle Marche»;
   al 2009 il gruppo Arcese contava più di 1300 dipendenti, di cui 730 autisti con più di 700 mezzi a disposizione;
   ad oggi la società dispone di circa 180 autisti, in seguito a risoluzioni dei rapporti di lavoro e conseguenti procedure di messa in mobilità applicate negli anni;
   l'azienda negli ultimi anni avrebbe paventato più volte il rischio della totale cessione dell'attività della Business Unit FTL (trasporto completo) se non fosse riuscita ad operare un riallineamento fra costi e ricavi, non essendo possibile una gestione di questa divisione ormai in perdita strutturale;
   il gruppo Arcese avrebbe quindi ipotizzato di raggiungere il necessario riequilibrio attraverso l'uscita volontaria di un numero consistente di autisti, in modo da avere un rapporto ottimale con la flotta e con la ripresa del mercato che era stata ai tempi prevista;
   entrambe queste aspettative sono rimaste disattese;
   i dati di bilancio del 2013 si sono chiusi, secondo l'azienda, in modo molto inferiore alle attese, con una perdita complessiva aziendale, in gran parte attribuibile alla BU FTL, che ha poi continuato a perdere marginalità nel corso del 2014;
   la BU FTL, che interessa la maggiore quota di personale e gli autisti, sarebbe quella che più avrebbe patito a causa della crisi mondiale e di settore;
   ARCESE spa ha comunicato alle organizzazioni sindacali nel settembre 2014 un numero previsto di esuberi pari a 120 unità, numeri che si sono ridotti nei mesi successivi;
   a seguito di detta comunicazione è iniziata la mobilitazione dei lavoratori culminata con diverse giornate di sciopero;
   in data 18 dicembre 2014 si è svolta presso il Ministero dello sviluppo economico una riunione per l'esame della situazione;
   l'azienda avrebbe descritto una situazione di cassa integrazione a rotazione per 80 autisti con scadenza a gennaio 2015 annunciando la decisione di aprire la procedura di mobilità per 73 dipendenti a valle dell'incontro al Ministero dello sviluppo economico;
   sarebbe poi stata presentata l'ipotesi di riorganizzazione per il salvataggio della BU FTL specificando che, al fine di razionalizzare i costi, sarebbe necessario ridimensionare il trasporto su gomma e implementare il trasporto intermodale rotaia-gomma;
   l'azienda avrebbe descritto un piano di rientro per gli esuberi che potrebbero essere reimpiegati sia all'esterno, presso l'azienda di trasporto persone società autobus Alto Adige SAD 5.p.A/AG (35 unità) e presso l'azienda Miralog (6 unità), che all'interno con funzioni di portierato (5 unità) e magazzinaggio (7 unità);
   14 degli esuberi previsti potrebbero a breve essere in possesso dei requisiti per la pensione se incentivati;
   le organizzazioni sindacali avrebbero espresso preoccupazione per il futuro del restante personale viaggiante, già ridotto di alcune centinaia di unità negli ultimi anni, e avrebbero richiesto all'azienda di presentare un piano industriale con particolare dettaglio per la parte riguardante l'Italia;
   le organizzazioni sindacali avrebbero quindi richiesto di non avviare la procedura di mobilità proponendo all'azienda di pensare ad una politica di ulteriore riduzione dei costi (anche salariali) per ridurre appunto il numero degli esuberi e anche di ricollocare tutti gli esuberi all'interno del Gruppo;
   anche il Ministero dello sviluppo economico avrebbe richiesto all'azienda di non aprire la procedura di mobilità;
   la ARCESE spa, nonostante le richieste di sindacati e Ministero, ha comunque aperto la procedura di licenziamento collettivo il 19 dicembre 2014, per 73 unità di personale viaggiante;
   il 12 gennaio 2015 si è tenuta la nuova riunione del tavolo ministeriale su ARCESE, alla presenza del dottor Castano, direttore dell'unità per la gestione delle vertenze delle imprese in crisi;
   l'azienda ha comunicato che, a seguito di alcune adesioni volontarie, il numero degli esuberi si è ridotto in modo significativo;
   una parte di essi maturerà i requisiti alla pensione nel periodo della mobilità, eventualmente usufruendo di un incentivo aziendale, mentre i restanti verrebbero ricollocati nell'azienda stessa o all'esterno;
   il dottor Castano ha espresso la disponibilità del Ministro dello sviluppo economico ad attivarsi per l'attivazione di un tavolo di settore con tutte le istituzioni competenti e l'impegno del Ministero a monitorare la trattativa sindacale sulla mobilità di Arcese (che le parti dovranno immediatamente attivare con l'auspicato obiettivo di giungere ad un'intesa che escluda i licenziamenti non condivisi) riconvocando il tavolo prima della fine della fase sindacale (28 gennaio 2015);
   nel pomeriggio del 12 gennaio 2015, in sede sindacale presso l'associazione di categoria ANITA, vi è stato un nuovo incontro tra Arcese e sindacati per l'avvio della fase dell'esame congiunto;
   l'azienda ha presentato un piano per la gestione dei 65 esuberi, volto a dare un'opportunità di ricollocazione, interna o esterna al gruppo, per 53 di essi;
   per quanto riguarda le ricollocazioni interne, con cambio di mansioni, è stato specificato che avverranno con un adeguamento del corrispondente livello di inquadramento, fatte salve le prerogative in termini di anzianità già maturate;
   per quanto riguarda le ricollocazioni in altre aziende si tratterebbe comunque di assunzioni a tempo indeterminato;
   è stata data disponibilità a una ricollocazione di 5 unità di personale sempre nel personale viaggiante, subordinata a una revisione degli accordi di secondo livello (per una riduzione complessiva del costo del lavoro);
   per i lavoratori che non volessero accettare la proposta di ricollocazione, interna o esterna, l'azienda mette a disposizione un percorso di outplacement e, per tutti coloro che andranno in mobilità volontaria entro il 26 febbraio 2015, un incentivo all'esodo pari a 12.000 euro lordi;
   i 13 lavoratori per i quali non sarebbe prevista la ricollocazione corrispondono al numero delle persone che potenzialmente potrebbero aver già maturato i requisiti per l'aggancio alla pensione;
   se da una più precisa verifica tali requisiti non dovessero essere maturati nel corso dei 24 mesi di mobilità indennizzata, l'azienda si renderebbe disponibile a integrare fino a un massimo di un ulteriore anno i versamenti contributivi volontari per il conseguimento della pensione;
   l'azienda ha specificato che in assenza di un accordo procederà comunque al licenziamento collettivo ai sensi della legge 223 del 1991 nei termini comunicati il 19 dicembre 2014;
   in tutte le sue sedi dislocate sul territorio nazionale, il Gruppo Arcese ha usufruito di ammortizzatori sociali dal 2009 al 2015 per ristrutturazione aziendale mirata al taglio delle commesse poco redditizie e a una drastica riduzione del costo del lavoro;
   la stessa azienda ha inoltre usufruito nel 2009 di sovvenzioni pubbliche pari a circa 18,6 milioni di euro erogati da Trentina Sviluppo;
   al momento il Gruppo Arcese dispone in Piemonte di circa 75 dipendenti, di cui una cinquantina del personale addetto al trasporto posti in cassa integrazione straordinaria fino al 27 gennaio 2015;
   da un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica del 29 settembre 2014 si apprende come il gruppo Arcese sia intenzionato a chiudere piazzali di Rivalta (Torino), Corbetta (Milano), in cui lavorano prevalentemente autisti trasferiti negli anni scorsi da Torino e Rovereto;
   tale decisione comporterebbe un licenziamento collettivo di 120 autisti su 180;
   su un articolo pubblicato sul sito di informazione online www.rassegna.it si legge come le parti sociali sostengano come non sia ammissibile alcun licenziamento dal momento che le commesse sono sempre state e continuano ad essere presenti ma vengono commissionate ad esterni non residenti in Italia i cui costi sono nettamente più vantaggiosi in quanto in concorrenza sleale sia rispetto al costo del lavoro sia sui tempi più brevi di percorrenza delle tratte, in quanto non vengono osservate le pause previste dalle leggi nazionali ed europee;
   in data 2 ottobre 2014 sul sito www.trasportoeuropa.it, si apprende come la provincia di Trento richieda di aprire una trattativa per salvaguardare l'occupazione in una delle sedi del Gruppo;
   una delegazione degli autisti avrebbe incontrato il vicepresidente assessore al lavoro della provincia di Trento, Alessandro Olivi, che si sarebbe dimostrato disponibile ad un confronto con l'azienda, auspicando proposte concrete che medino tra la crisi del trasporto su gomma e la preservazione dei posti di lavoro –:
   come i ministri interrogati possano e siano intenzionati ad intervenire al fine di valutare tutte le soluzioni percorribili per il rilancio dell'attività e la salvaguardia dei livelli occupazionali, con il coinvolgimento degli enti locali e delle regioni ospitanti dei siti del Gruppo Arcese. (5-04656)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati più recenti resi noti dal Centro studi Promoter e pubblicati dal quotidiano: «Il Sole 24 Ore» il 17 gennaio 2015, rilevano che il settore automobilistico all'interno dell'Unione europea e dell'Efta (Svizzera, Islanda e Norvegia) sia in ripresa, in quanto l'incremento delle immatricolazioni registrato nel 2014 è stato superiore del 5,4 per cento, rispetto al precedente anno;
   il mese di dicembre, evidenzia il suesposto Centro studi, conferma infatti come gli indicatori statistici favorevoli si evidenziano per il 16o mese consecutivo, aggiungendo inoltre che, tuttavia i volumi dell'intero anno 2014, sebbene in crescita, rimangono inferiori di oltre il 19 per cento, rispetto all'anno 2007 considerato come periodo pre-crisi;
   l'Anfia (Associazione nazionale fra le industrie automobilistiche), riporta il medesimo articolo di stampa, sebbene consideri soddisfacenti le rilevazioni degli ultimi dati statistici, che a distanza di quasi otto anni, riportano in positivo il numero delle vendite di automobili, rileva ciononostante, come il nostro Paese si collochi al quarto posto con 1.359.616 consegne (+ 4,2 per cento);
   la medesima Associazione rimarca inoltre come sino al 2008, il nostro Paese rappresentava il secondo mercato europeo più grande, preceduto soltanto dalla Spagna, che ha chiuso il 2014, con 855.308 immatricolazioni (+ 18,4 per cento) ed una proiezione di consegne di un milione nel 2015;
   le previsioni per il 2015, al di là di eventuali frenate legate ad ulteriori tensioni economiche o politiche e sociali, indicano una crescita, che secondo l'Anfia, dovrebbe essere inferiore al 3 per cento nei Paesi dell'Unione europea, rimanendo pertanto distanti dai livelli di pre-crisi;
   i timori tuttavia non mancano a partire proprio da Paesi come l'Italia alle prese con un aumento della disoccupazione ed una frenata della produzione industriale, anche a causa, secondo l'interrogante, di politiche fiscali ed industriali del Governo Renzi, estremamente modeste, che non determineranno neanche per l'anno in corso, alcuna fiducia nei riguardi delle famiglie e delle imprese a stimolare gli acquisti e gli investimenti;
   a tal fine l'interrogante evidenzia, come l'incremento complessivo del mercato finale dell'auto nonostante rappresenti indubbiamente una notizia positiva per il sistema industriale italiano, se si considera come il valore del settore automobilistico determina un indotto formidabile per il tessuto economico nazionale, nel complesso appare insufficiente per consolidare i dati in precedenza richiamati, che confermano una timida ripresa per il mercato dell'auto;
   interventi anche in ambito europeo, finalizzati a determinare un balzo positivo e favorevole per l'intera filiera automobilistica, il cui settore appare oramai interconnesso in ambito continentale, risultano ad avviso dell'interrogante, necessari proprio in considerazione dei livelli di comprovata spinta per la ripresa produttiva e occupazionale, che il mercato dell'auto ha determinato per l'intera economia italiana, nel corso dei decenni passati –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se a tal fine non intenda prevedere nelle prossime iniziative normative adeguate misure volte a sostenere la ripresa del mercato automobilistico, i cui livelli misurati, necessitano di essere favoriti con interventi di rilancio di un settore quale quello dell’automotive, che rappresenta una parte importante del prodotto interno lordo, occupando tra indotto e occupazione diretta oltre un milione di addetti e garantendo un gettito fiscale di circa 70 miliardi di euro all'anno.
(4-07725)


   SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni la società Poste Italiane spa ha avviato un processo di razionalizzazione degli uffici postali, procedendo sia alla chiusura degli stessi, sia alla riduzione degli orari di apertura degli sportelli in diverse aree del territorio nazionale, nonostante i cospicui contributi statali erogati dallo Stato italiano in favore della società Poste Italiane per l'erogazione dei servizi essenziali;
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   in Piemonte si paventa l'ipotesi della chiusura di 40 uffici e la riduzione di orario o l'apertura a giorni alterni di altri 130 uffici: 20 nel pinerolese, circa 15 nel canavese, 24 ad Alessandria e provincia, 29 nell'astigiano, 8 nel cunese, circa 10 fra Novara e Verbania, 6 a Torino città (di cui 2 già chiusi);
   il provvedimento, che non è ancora ufficiale ma già presentato alle organizzazioni sindacali, prevede l'ipotesi nel Biellese di chiudere 7 uffici postali e di ridurre l'orario per altri 16, con aperture a giorni alterni: questa decisione unilaterale di Poste Italiane, non è accettabile, soprattutto in una provincia con tanti piccoli comuni come quella di Biella;
   l'agenzia postale di Varallo Sesia, comune sito in una valle ai piedi delle Alpi italiane, è pressoché l'unico riferimento postale dell'intera Valsesia e la decisione unilaterale di Poste Italiane di limitare l'apertura degli uffici ad alcune ore mattutine, sta creando enormi disagi soprattutto per i residenti anziani, ai quali è negata la possibilità di usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a frequenti e difficili spostamenti;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. Pertanto, la limitazione degli orari di apertura pone in serie difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale della Valle –:
   come il Ministro intenda intervenire, anche favorendo una concertazione fra la direzione di Poste Italiane spa e le amministrazioni locali, per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste Italiane spa arrechino disagi agli abitanti del comune di Varallo Sesia e al fine di garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità nel rispetto dell'accordo di programma per l'espletamento del servizio postale universale. (4-07731)


   CARIELLO, L'ABBATE, DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Ansaldo Caldaie spa con sede legale in via Conservatorio n. 17, Milano, ha avviato, procedura per il licenziamento collettivo di numero 197 dipendenti su 357 complessivi distribuiti nelle Unita produttive di Gallarate (Milano) e Gioia del Colle (Bari), per cessazione dell'attività dell'unità produttiva sita in Gioia del Colle, Bari;
   la società de qua, che si occupa della progettazione, costruzione ed installazione di caldaie di grande taglia per impianti e produzione di energia elettrica, a carbone, olio e gas generatori di vapore a recupero a valle di turbine e gas per impianti a ciclo combinato caldaie a biomasse e per termovalorizzazione di rifiuti, opera in una fetta di mercato quasi interamente centrata su paesi extra europei;
   nell'arco temporale 2008-2013 il fatturato si è progressivamente ridotto da 250 milioni di euro a 88 milioni di euro nel 2013 così come gli ordini acquisiti sono scesi da 340 milioni di euro nel 2008 a 58 milioni di euro nel 2013;
   la situazione, come sopra riportata, ha indotto Ansaldo Caldaie a ricorrere ai contratti di solidarietà per la sede di unità operativa di Gallarate e alla cassa integrazione ordinaria per l'unità produttiva di Gioia del Colle di Bari;
   la forte contrazione in parola, dovuta alla crisi economico finanziaria globale e alla concorrenza con aziende che producono in Paesi «a basso costo di produzione», ha indotto la Società Ansaldo a rivedere la propria politica di offerta per allinearsi ai prezzi di mercato generando così una drastica riduzione dei margini tale da rendere insostenibile la situazione attuale. Infatti da un'analisi posta in essere da esperti del settore, incaricati dalla stessa Società, emerge come il costo di produzione dello stabilimento di Gioia del Colle sia la causa determinante della perdita di competitività dei Boiler Ansaldo: il costo medio orario dell'unità produttiva di Gioia del Colle, che si occupa specificamente della produzione del Boiller, a essa peraltro interamente destinata, è di 38 euro lordi contro un costo di 10 euro lordo sostenuta nei Paesi «a basso costo di produzione»;
   a decorrere dal 10 aprile 2015 la Ansaldo caldaie spa darà inizio ad una nuova e diversa strategia produttiva avvalendosi di forme di delocalizzazione cessando la propria attività produttiva di Gioia del Colle;
   l'organizzazione della struttura societaria e la scelta di rinunciare all'attività produttiva di Gioia del Colle induce la società di specie a non procedere alla riallocazione interna dei lavoratori professionali eccedenti nonché all'attuazione di misure alternative alla collocazione in mobilità del personale in esubero e quindi a espletare le procedure di licenziamento entro il 10 aprile 2015 –:
   se siano venuti a conoscenza dei fatti in questione e di quali elementi dispongano in merito ai fatti descritti in premessa;
   se si intenda convocare urgentemente un tavolo di crisi ad hoc presso il Ministero dello sviluppo economico;
   nell'ambito delle proprie competenze, quali misure intendano adottare al fine di evitare che alla zona del Mezzogiorno, venga sottratto ulteriormente, in un momento economico finanziario di recessione come quello in cui versa il nostro Paese, un settore di produzione che potrebbe fungere da locomotore trainante per il rilancio dell'economia e del sostegno della crescita e dell'economia reale del nostro Paese e quindi per impedire l'ulteriore «tracollo economico sociale e occupazionale» nonché la conseguente perdita del «capitale umano» già fortemente presente nel Sud Italia. (4-07733)


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati forniti da Poste Italiane, sono 217 gli uffici nella provincia di Alessandria, suddivisi tra le filiali «Alessandria 1» e «2», 27 in più del numero dei comuni (190). Nel capoluogo, frazioni e sobborghi compresi, gli sportelli sono più di 20. Seguono gli altri centri zona e i paesi;
   da quanto si apprende dalla stampa, il piano strategico 2015-2019 di Poste italiane, presentato a Roma, impensierisce gli amministratori dell'alessandrino, per la voce insistente di una sforbiciata agli uffici postali, nelle pieghe di un percorso che porterà alla privatizzazione dell'azienda;
   nella nota diramata da Poste italiane, non si fa riferimento a tagli, si parla di riqualificazione degli uffici, di trasformazione del gruppo nel rispetto della «vicinanza al territorio che deriva dalla capillarità fatta di uffici e porta lettere»;
   l'amministratore delegato di Poste italiane Francesco Caio, durante la presentazione Piano di sviluppo strategico di poste, dice di volere un'Italia più digitale e più semplice, frase che alcuni amministratori hanno letto la volontà di tagliare i piccoli uffici postali dei paesi;
   così è scritto nella bozza del «Piano di sviluppo» presentata dall'ad a metà dicembre, e che in questi giorni sta circolando ai «piani alti» di Poste italiane. Un documento non definitivo, i cui contenuti potrebbero ancora cambiare, ma che fa capire bene quale sia la volontà dei vertici aziendali;
   da quanto si apprende da La Repubblica, il «piano di sviluppo» prevede diverse sforbiciate anche nel resto del Piemonte. Perderanno il loro ufficio postale dieci paesi del cuneese (Magliano Alfieri, Neive, Rivalta, San Rocco Montà, Santa Vittoria d'Alba, Santuario Tinella, Govone, Guarene, Levaldigi e San Pietro del Gallo), 5 dell'alessandrino (Pozzengo, San Martino Rosignano Monferrato, Alluvioni Cambio, Castelferro e Poliastra), 7 nel biellese (Villaggio di Vigliano Biellese, Croce Mosso, Favaro, Oropa, Ponge Guelpa di Cossato Prativero e Biella 2), uno nel novarese (Pella), uno nel Vco (Carciano) e due nel vercellese (Isolella e Sant'Antonino di Saluggia);
   in Piemonte saranno molti gli uffici chiusi e circa 130 sportelli di piccoli paesi che non funzioneranno più a tempo pieno bensì a singhiozzo, cioè soltanto per due o tre giorni a settimana;
   inoltre, molti abitanti dei paesi sono anziani, senza l'ufficio postale dovranno spostarsi per fare versamenti, pagare bollettini, ritirare la pensione –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per assicurare che Poste italiane eroghi un servizio puntuale, capillare e rispondente alle esigenze dei cittadini;
   se non ritengano necessario convocare un tavolo istituzionale con Poste italiane spa e i rappresentanti dei lavoratori, al fine di valutare soluzioni occupazionali alternative per coloro che sono coinvolti nel piano di riorganizzazione presentato. (4-07735)


   MARTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i dati resi noti lo scorso mese di dicembre pubblicati dal quotidiano: Il Sole 24 Ore, sul mercato del legno-arredo, rilevano che 2014, nonostante ci sia stato un calo dei ricavi pari al – 2,7 per cento sul 2013, relativo al fatturato alla produzione di 26,7 miliardi di euro, (riscontrato per il quarto anno consecutivo), evidenziano tuttavia segnali positivi per il presente anno;
   il cosiddetto bonus mobili, prolungato dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità per il 2015, per tutto il 2015 che prevede la detrazione del 50 per cento sull'acquisto degli arredi, oltre alla conferma annunciata degli incentivi fiscali per l'efficienza energetica (6,5 per cento) e per le ristrutturazioni (50 per cento), si è dimostrato infatti uno strumento molto efficace di politica industriale;
   gli effetti di tale misura, nel biennio 2013-2014, hanno infatti determinato per il comparto industriale del legno-arredo, un significativo recupero di spesa finale di oltre 1,9 miliardi di euro, che altrimenti i consumatori non si sarebbero potuti consentire, in considerazione degli effetti della crisi economica e finanziaria delle famiglie che persiste da oltre sette anni;
   le proiezioni basate sulle previsioni dichiarate dalle imprese associate a Federlegno arredo, prospettano pertanto per il 2015 una crescita del fatturato alla produzione trainato dalle esportazioni (+5 per cento con una stabilizzazione al consumo interno apparente allo – 0,9 per cento);
   accanto alle detrazioni fiscali, si rilevano le misure relative al cosiddetto «Piano del made in Italy» che prevede il finanziamento di varie attività di sostegno all’export, le cui risorse previste appaiono tuttavia, a giudizio dell'interrogante, modeste e insufficienti per sostenere quei settori più rappresentativi del made in Italy nel mondo, come quello italiano;
   l'interrogante segnala inoltre, come fra le misure di carattere fiscale per sostenere il settore del legno-arredo, non siano attualmente previsti gli effetti relativi al credito d'imposta del 30 per cento sulla ristrutturazione degli alberghi fino al massimo di 200 mila euro, con una quota del 10 per cento del plafond dedicato all'acquisto dei mobili, la cui misura è stata varata attraverso la conversione in legge del decreto legge cosiddetto «Art- bonus»;
   a tal fine l'interrogante evidenzia come, a pochi mesi dall'avvio di EXPO 2015, non siano stati ancora emanati i necessari decreti attuativi, indispensabili per rendere effettivamente operative le norme in precedenza indicate, i cui atti legislativi sono particolarmente attesi dagli operatori del settore e dalle imprese turistiche –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle competenze proprie, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano urgente e necessario emanare i decreti attuativi relativi al credito d'imposta relativi all'acquisto di mobili, sulla ristrutturazione degli hotel, misure indispensabili per rilanciare il settore;
   se non ritengano infine opportuno, nell'ambito delle rispettive competenze, valutare l'opportunità di rendere strutturale lo strumento di politica fiscale e industriale del bonus mobili, la cui scadenza per usufruire della detrazione è prevista il 31 dicembre 2015 e i cui riflessi positivi sono stati riscontrati nel corso del biennio passato per l'intera filiera industriale. (4-07740)


   GADDA, SENALDI e PAOLO ROSSI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i vertici di Poste italiane hanno annunciato – nel dicembre 2014 – l'approvazione di un nuovo piano industriale per il periodo 2015-2020 che prevede 3 miliardi di investimento nel quinquennio per giungere a 30 miliardi di fatturato al termine del periodo. Il piano, in particolare, avrebbe dovuto prevedere anche l'avvio di nuove assunzioni – 8 mila, soprattutto tra giovani laureati e nuove professionalità – e la riqualificazione di circa 7 mila impiegati;
   a questa dichiarazione d'intenti, però, risulta agli interroganti, il piano si concretizzi in una serie di riduzioni di costi di gestione e conseguente chiusura di uffici postali, sportelli e riduzione d'orario di apertura degli stessi;
   in particolare, sarebbero 61 gli uffici postali soggetti a chiusura nella sola Lombardia, e ben 10 di questi insisterebbero nel territorio provinciale di Varese;
   agli interroganti risulta, inoltre, che alle chiusura anticipate nella provincia di Varese si aggiungerebbero una quindicina (121 in tutto nella Lombardia) di uffici postali che subirebbero la riduzione dell'orario di apertura al pubblico, con conseguente probabile apertura a giorni alterni;
   questo impoverimento dei servizi offerti ai cittadini avrebbe sicuro ricadute sociali atteso che le chiusure dovrebbero interessare soprattutto centri minori, in particolar modo delle comunità montane, più sensibili alle variazioni alla capillarità dei servizi;
   si ribadisce, l'importanza che ricopre la capillarità e la continuità dei servizi postali con riferimento alle aree più periferiche e all'utenza più anziana: in questi territori e in questa categoria della popolazione è molto sentita, al contrario, l'esigenza di aumentare la qualità dei servizi resi;
   queste preoccupazioni sono suffragate dall'assenza di smentite da parte dei vertici che, al momento, relegano in secondo piano l'importanza che dovrebbe rivestire il servizio universale nel piano di rilancio aziendale;
   ad oggi, non sono ancora state rese note con precisione le sedi che saranno oggetto di tagli –:
   se il Ministro sia a conoscenza del piano di riduzione d'orario di apertura al pubblico e di chiusure che dovrebbe interessare la regione Lombardia ed in particolar modo la provincia di Varese;
   quali siano – secondo il piano aziendale – le sedi postali della Lombardia che saranno oggetto di suddetti tagli;
   quali azioni Poste italiane preveda per garantire la continuità e la capillarità dei servizi soprattutto con riferimento ai centri minori e delle comunità montane e con particolare riferimento alle esigenze dell'utenza più anziana;
   se il Ministro confermi la previsione di 3 miliardi di investimenti nel periodo 2015-2020 con conseguente piano assunzionale da 8 mila unità. (4-07780)


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni Poste italiane sta presentando un piano di riorganizzazione, o meglio di razionalizzazione, che prevede la chiusura di quasi 500 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura degli sportelli in diverse aree del territorio nazionale, nonostante i cospicui contributi statali erogati dallo Stato italiano in favore della società Poste italiane per i servizi essenziali;
   Poste italiane spa è una società il cui capitale è detenuto al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, che ha il compito, come previsto dal contratto di programma siglato con lo Stato, di soddisfare le esigenze essenziali della collettività, offrendo un servizio pubblico di qualità e per farlo non può prescindere dalla capillare presenza degli uffici sul territorio e dall'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   la società, che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio, negli anni ha puntato sempre di più su servizi orientati al guadagno come assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, mettendo in secondo piano le esigenze di quel servizio pubblico che giustificano gli ingenti contributi statali;
   nel comasco quattro uffici chiuderanno nei prossimi sei mesi e precisamente a Tremezzo, Camnago Faloppio, Bulgorello e Como 3 altri e altri 18 osserveranno un orario ridotto o aperture a giorni alterni. Si tratta di uffici in molti casi già soggetti a razionalizzazione, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici», spesso ubicati in comuni piccoli o in realtà montane, che vivono condizioni generali di servizio già di per sé disagiate, in cui la posta rappresenta un punto di riferimento;
   la decisione unilaterale di Poste Italiane di procedere a questa razionalizzazione penalizza fortemente il territorio e sta suscitando proteste dei sindacati e reazioni dei pubblici amministratori, prima di tutto per gli enormi disagi che si troveranno a vivere i residenti, soprattutto gli anziani, ai quali verrà negata la possibilità di usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali, quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a frequenti e difficili spostamenti;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. Pertanto, la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura pone in serie difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale della provincia;
   sembra che presto i tagli delle Poste italiane riguarderanno anche i portalettere in tutti quei comuni la cui densità di popolazione è sotto i 200 abitanti per chilometro quadrato, dove la consegna sarà prevista solo alcuni giorni della settimana –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda mettere in atto, anche favorendo una concertazione fra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, per far sì che il piano di riorganizzazione di Poste italiane non si traduca in una violazione dei diritti dei cittadini della provincia di Como che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato fra le Poste italiane spa e il Governo. (4-07803)


   GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   la direttiva 97/67/CE del 15 dicembre 1997 inserisce le prestazioni postali tra i servizi di interesse di economia generale e stabilisce specifiche obbligazioni comunitarie per la tutela dei servizi universali a garanzia della piena efficienza a favore degli utenti, dando la possibilità al cittadino-utente non soddisfatto del servizio postale di appellarsi, in prima istanza, all'operatore postale responsabile; in seconda istanza, all'autorità nazionale competente e, da ultimo, alla Commissione europea;
   Poste italiane riceve ingenti contributi da parte dello Stato per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, eppure il piano di riorganizzazione previsto dall'azienda, che dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile 2015, prevede la chiusura di quasi 500 sportelli postali e la riduzione degli orari di apertura in diverse aree del territorio nazionale;
   il processo di razionalizzazione avviato negli ultimi anni da Poste italiane spa ha già portato alla chiusura di molti uffici e alla rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito e in questi giorni è stato comunicato ai sindaci dei comuni del lodigiano che nei prossimi mesi si procederà all'apertura a giorni alterni di molti uffici causando quindi notevoli difficoltà nella gestione operativa e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela;
   non è chiaro quali siano le ragioni alla base della scelta degli uffici «sacrificabili», visto che sono coinvolti nelle chiusure anche sportelli con una grossa affluenza a cui si rivolgono clienti di un vasto bacino territoriale;
   questa decisione unilaterale di Poste italiane conferma l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni: inseguire una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, sacrificando secondo l'interrogante le esigenze della collettività;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti –:
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per favorire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura di ulteriori uffici postali nei comuni in provincia di Lodi;
   come il Ministro intenda intervenire per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi agli abitanti del lodigiano e quali misure intende prevedere per garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste italiane, spa e lo Stato. (4-07810)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società per azioni il cui capitale è posseduto al 100 per cento dal Ministero dello sviluppo economico;
   Poste Italiane spa ha reso noto nel dicembre 2014 il proprio piano industriale che prevede la chiusura di 450 uffici postali e riduzioni di orari e giorni di apertura per altri 600 uffici postali sull'intero territorio nazionale;
   in provincia di Cremona da quanto riportato dalla stampa locale si prevede la chiusura di 3 uffici (Gallignano, Ombriano, Vicomoscano) e la contrazione delle aperture di altri 26 uffici (Acquanegra Cremonese, Bonemerse, Camisano, Capergnanica, Capralba, Casale Cremasco, Casaletto Ceredano, Casalmorano, Castelvisconti, Cicognolo, Credera Rubbiano, Cremosano, Cumignano sul Naviglio, Fiesco, Genivolta, Izano, Malagnino, Martignana di Po, Motta Baluffi, Paderno Ponchielli, Pescarolo, Pieve S.Giacomo, Ricengo, Ripalta Arpina, San Daniele Po, Stagno Lombardo);
   Poste italiane spa è una azienda pubblica con un bilancio che nel 2013 faceva registrare utili poco superiori ad 1 miliardo di euro;
   Poste, italiane spa ha reso noto nel piano industriale l'intenzione di quotarsi in borsa e di procedere alla vendita del 40 per cento del proprio capitale nel corso dell'anno 2015;
   la chiusura e la diminuzione degli orari di tutti questi uffici, comporterà un notevole disagio per i cittadini residenti, in modo particolare per la popolazione anziana, disabile, con problemi motori e priva di automezzi;
   verrà a mancare uno dei pochi servizi pubblici presenti sul territorio, mancanza che non sarà risolta con l'implementazione di servizi digitali via internet tenuto conto dalle note carenze del nostro Paese nello sviluppo delle infrastrutture internet e della banda larga in tutto il territorio nazionale, condizione fondamentale per l'accesso ai servizi digitali;
   non risulta che Poste italiane spa abbia effettuato alcun confronto con gli enti locali delle località interessate dalle chiusure di uffici postali –:
   se tale piano industriale sia stato condiviso dal Ministero dell'economia e delle finanze e se abbia una correlazione diretta con quanto disposto nella legge di stabilità per il 2015;
   se il Ministro abbia intenzione di aprire un confronto con Poste Italiane spa per indurre l'azienda erogatrice del «servizio universale» a cessare questa politica di gestione unilaterale degli uffici postali, erogatori di servizi pubblici, senza il coinvolgimento degli enti locali;
   quali interventi il Ministro ritenga di adottare al fine di limitare i disagi ai cittadini ed evitare l'ulteriore impoverimento di servizi in territori che già ne risentono la carenza;
   se il Ministro intenda intervenire su Poste italiane spa per verificare che queste scelte non siano fatte in funzione della prevista quotazione azionaria di Poste italiane. (4-07811)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Santerini e Rocchi n. 7-00580, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carocci.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Spadoni n. 1-00713, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 363 del 15 gennaio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    la presenza di combattenti stranieri (foreign terrorism fighters-FTF), spesso definiti come «volontari stranieri», si è palesata tragicamente soprattutto tra le file dei miliziani ribelli che si oppongono alle truppe governative siriane, ed è divenuta un elemento caratterizzante della guerra civile in Siria consentendo in tal modo che questo Paese diventasse la prima meta per i combattenti jihadisti e il più importante campo di battaglia del mondo per il jihad, nonché il più importante punto di aggregazione e addestramento per i fondamentalisti islamici di altre nazioni; la meta privilegiata dei volontari stranieri sono infatti le formazioni più estreme del fondamentalismo islamico; si stima che le due formazioni jihadiste più importanti, il Fronte al-Nusra e lo Stato Islamico (IS o DAESH), accolgano tra le loro fila almeno 9.000 combattenti non siriani, ovvero circa il 20 per cento del totale mentre altre stime vedono la percentuale salire notevolmente tra i miliziani dell'IS, con il 40 per cento di non siriani tra gli effettivi;
    si tratta senza dubbio di una galassia sempre più vasta di combattenti (si va dai mercenari, passando per i neonazisti, fino ad associazioni di motociclisti olandesi) che arrivano dall'estero e combattono sui diversi fronti di una guerra che da mesi sta insanguinando la Siria e l'Iraq. Analogo fenomeno si sta registrando per la guerra civile in corso in Ucraina, con persone che si uniscono o alle bande paramilitari legate all'estrema destra di Kiev o con quelle dei combattenti filorussi;
    in molti Paesi non viene considerato un reato andare a combattere e arruolarsi in formazioni militari e paramilitari e questo facilita il reclutamento e la partenza di questi «volontari». Diverso il discorso del reclutamento a fini terroristici che è punito in quasi tutti i Paesi con la detenzione;
    secondo il New York Times sarebbero oltre 12 mila gli FTF arruolati all'ombra della bandiera nera del Califfato. Di questi, buona parte vengono dall'Europa. Giovanissimi, più occidentali che medio orientali, molti nati nei Paesi dell'Unione europea in quanto figli di immigrati storici integrati in Europa da decenni. Nella maggior parte dei casi non parlano nemmeno l'arabo;
    le stime sul numero dei combattenti stranieri in Iraq e in Siria sono ovviamente approssimative. Anche quelle ufficiali fornite dai Governi, che tracciano i movimenti verso l'estero dei propri cittadini o residenti, risentono di questa approssimazione;
    secondo altre fonti, gli FTF sarebbero addirittura 20 mila, provenienti da 81 paesi diversi. Di questi, tremila verrebbero da Paesi occidentali, in testa Francia e Russia, mentre per l'Italia si parla invece di oltre 50 uomini;
    comunque il contingente di combattenti stranieri operanti in Siria – in una prima fase addirittura sollecitata anche dai Governi occidentali in funzione anti-Assad con la costituzione dell'Associazione Paesi Amici della Siria – in questi ultimi tre anni è sicuramente uno dei più ampi mai registrati nella storia dal dopoguerra ad oggi;
    a differenza di altri conflitti, in cui si sono registrati afflussi di militanti jihadisti stranieri, come Afghanistan, Bosnia e Somalia, il ritmo di crescita della presenza dei volontari stranieri in Siria risulta essere molto più alta poiché si stima che dalla Tunisia si siano recati in Siria circa tremila combattenti, dall'Arabia Saudita circa 2.500, dalla Giordania circa duemila, dal Marocco circa 1.500. Inoltre 800 dal Libano, circa 500/1000 dalla Libia, circa 400 dalla Turchia, circa 360 dall'Egitto. Complessivamente questi Paesi alimenterebbero almeno per l'80 per cento l'afflusso di FTF in Siria;
    la via del reclutamento (secondo alcune stime, anche di mille stranieri al mese) passa soprattutto attraverso il web e a un processo capillare gestito da rappresentanti dell'Islam radicale, di indottrinamento, selezione, fidelizzazione e invio nel Califfato, non più attraverso la frequentazione di moschee radicali (già sotto sorveglianza), ma anche nelle carceri, nelle palestre o alle manifestazioni; inoltre tali rappresentanti godono di una rete di supporto logistica e hanno accesso alle armi provenienti dal mercato nero soprattutto via Libia;
    è bene comunque ricordare, tra l'altro, che quando si parla di terrorismo, il nemico è sostanzialmente da cercare in casa e non necessariamente, in ambienti islamici o religiosi in generale. Secondo Europol, infatti, meno dell'1 per cento degli attentati terroristici nei Paesi dell'Unione europea è stato compiuto in nome di un Dio in quanto è stata principalmente l'ideologia politica o una rivendicazione secessionista ad armare la mano degli attentatori in circa 5300 attacchi – pianificati, tentati o riusciti – censiti in Europa tra il 2006 e il 2013;
    inoltre, secondo l'annuale ricerca pubblicata dall’Institute for economics and peace sul terrorismo globale (Global Terrorism Index) le vittime del terrorismo sono quintuplicate dagli attacchi dell'11 settembre 2001 ad oggi, nonostante la «guerra al terrore» lanciata dagli Usa e i 4.400 miliardi di dollari spesi nelle guerre in Iraq, Afghanistan e in operazioni antiterrorismo in giro per il mondo. Nel 2000 le vittime del terrorismo sono state 3.361, mentre lo scorso anno il numero è salito a 17.958. Negli ultimi 45 anni l'80 per cento delle organizzazioni terroristiche è stato neutralizzato grazie al miglioramento della sicurezza e alla creazione di un processo politico finalizzato all'inclusione e alla risoluzione dei problemi che erano alla base del sostegno ai gruppi terroristi. Appena il 7 per cento è stato eliminato dall'uso diretto della forza militare;
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riunito in sessione straordinaria il 24 settembre 2014 ha approvato all'unanimità la risoluzione 2178/2014 (Minacce alla pace e alla sicurezza internazionale provocata da atti terroristici) che prevede un'azione globale contro i terroristi stranieri in Iraq e Siria e di contrasto alla minaccia che rappresentano per i Paesi di origine e richiede ai firmatari di «prevenire e reprimere il reclutamento, l'organizzazione, il trasporto, e l'equipaggiamento» di combattenti stranieri;
    il 9 gennaio 2014, nel corso di un'informativa urgente sui possibili rischi connessi al terrorismo internazionale in relazione ai tragici fatti di Parigi, il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, ha affermato: «L'Italia è pur essa toccata dal fenomeno dei “ foreign fighters ”, sebbene in misura sensibilmente minore rispetto ad altri Paesi occidentali. Mentre, infatti, sono circa 3 mila i combattenti stranieri censiti in Europa, il nostro Paese interessato da numeri molto più esigui: risultano, infatti, 53 le persone finora coinvolte nei trasferimenti verso i luoghi di conflitto, che hanno avuto a che fare con l'Italia nella fase della partenza o anche solo in quella di transito.»;
    appena dopo i tragici fatti parigini, i ministri dell'interno di 12 Paesi dell'Unione europea (Francia, Lettonia, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Italia, Olanda, Polonia, Svezia e Gran Bretagna) si sono riuniti l'11 gennaio a Parigi con il procuratore generale degli Stati Uniti, Eric Holder, e hanno concordato di rafforzare la lotta contro il terrorismo jihadista attraverso un maggiore controllo delle frontiere esterne e del blocco e dei contenuti trasmessi dagli estremisti su internet; al termine, il Ministro dell'interno francese Bernard Cazeneuve ha insistito sulla necessità di migliorare il sistema di raccolta dati che i viaggiatori forniscono alle compagnie aeree (il cosiddetto Pnr) nel quadro della lotta contro il terrorismo dichiarando: «Questo permetterà di monitorare quegli individui che si recano negli scenari di operazioni terroristiche o che ritornano da essi»; per lottare contro i gruppi islamici radicali, hanno congiuntamente convenuto i Ministri, appare «indispensabile» collaborare con gli operatori di internet per individuare e rimuovere in fretta i contenuti che incitano all'odio e al terrore, anche se hanno dichiarato che internet deve rimanere «un luogo di libera espressione»;
    le linee di finanziamento dell'integralismo islamico riconducono troppo spesso alle «petrocrazie» del Golfo Persico (Arabia Saudita e Qatar in testa), mentre ambiguo continua ad essere l'atteggiamento della Turchia che, pur essendo un Paese alleato della Nato, rappresenta il luogo di passaggio fino a oggi più sicuro verso Iraq e Siria da parte dei combattenti jihadisti, soprattutto dell'IS, e non si può certo negare che, su questo punto, si sia rivelata il Paese più inaffidabile nel contrastarne la presenza, per non parlare dei reiterati sospetti di finanziamenti a tali gruppi jihadisti, il flusso continuo di terroristi dalla Turchia e i molti interessi politici ed economici turchi nella regione, primi fra tutti la questione curda e il sogno di un sultanato turco del Terzo millennio,

impegna il Governo:

   a monitorare il movimento dei foreign terrorist fighters con controlli effettivi delle frontiere, attraverso la richiesta di attivazione, nelle sedi opportune, di un'inchiesta internazionale che indichi le criticità e i «buchi» nel sistema di norme di sicurezza e nell'emissione dei documenti di viaggio che ha consentito, in definitiva, un deciso proliferare di attentati di matrice terroristica dal 2001 a oggi, assumendo iniziative per la prevenzione dell'uso fraudolento di tali documenti di viaggio e l'avvio di una campagna informativa che coinvolga la società civile, i giovani e le comunità locali;
   a provvedere, in tale direzione, all'assegnazione di risorse economiche per il comparto sicurezza – atteso che i tagli perpetrati ammontano a 6 miliardi di euro, cumulati dal 2008 a oggi e avallati da tutti i Governi che si sono susseguiti – al fine di incrementare gli organici, le dotazioni e i presidi territoriali, altresì procedendo allo sblocco integrale del turn over e dei trattamenti economici e stipendiali;
   ad attivarsi in sede europea per sbloccare l’impasse relativo all'approvazione della direttiva sul Passenger name record (Pnr) per la registrazione dei passeggeri sui voli nell'area Schengen i cui dati personali dovranno essere utilizzati esclusivamente per le finalità connesse a indagini penali o a operazioni di intelligence criminale, nel pieno rispetto delle norme vigenti in materia di tutela della privacy;
   a rafforzare l'ufficio centrale nazionale INTERPOL e implementare la collaborazione con i corpi locali di polizia e con il segretariato generale di Lione per la ricerca di chi ha commesso reati all'estero, o vi si è trasferito, e per la repressione della criminalità operante su scala internazionale;
   ad adottare norme per il congelamento immediato di fondi o altri asset finanziari o risorse economiche di individui, gruppi o enti che finanziano, direttamente o indirettamente gli FTF, anche attraverso fondi derivati da proprietà su suolo italiano;
   a procedere alla stipula di accordi bilaterali con quegli Stati a rischio di passaggio dei «foreign terrorist fighters» per contrastare il fenomeno, ad esempio con la Turchia che si è rivelata ben poco efficace nel contrastare i viaggi verso i campi di addestramento, atteso che fino ad oggi ha espulso 1.056 stranieri e posto un divieto di ingresso nel Paese per 7.833 persone nell'ambito dell'impegno mirato a fermare il reclutamento di jihadisti in Siria e in Iraq;
   a sospendere l'adesione dell'Italia all'Associazione dei Paesi «Amici della Siria».
(1-00713)
«Spadoni, Di Battista, Sibilia, Manlio Di Stefano, Grande, Del Grosso, Scagliusi».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Agostinelli n. 2-00817, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 366 del 20 gennaio 2015.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il dottor Pietro Ciucci ha ricoperto il ruolo di presidente e direttore generale dell'ANAS spa a partire dall'agosto 2006 fino al 10 settembre 2013;
   nel 2011 viene altresì nominato amministratore unico con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze;
   per tali incarichi avrebbe percepito le relative remunerazioni;
   dopo aver raggiunto l'età pensionabile lo stesso il 10 settembre 2013 è andato in quiescenza ovviamente percependo la relativa pensione;
   si noti bene che tale scelta coincide fatalmente con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 39 del 2013 concernente il divieto di cumulo di cariche;
   attualmente il dottor Ciucci è presidente, amministratore unico e svolge funzioni di direttore generale;
   in base al decreto ministeriale 24 dicembre 2013 n. 166 dal 10 aprile 2013 è previsto un tetto per l'amministratore delegato: di 311.658 euro e un tetto per il ruolo di presidente di 93.497,56 euro. Una nota precisa che il Cda di ANAS del 2013 ha stabilito per il presidente un compenso di 301 mila euro;
   dai media si è appreso che nel 2012 Ciucci, in qualità di amministratore unico, avrebbe guadagnato 750 mila euro, di cui 500 mila di retribuzione fissa e 250 mila di retribuzione variabile;
   importo che lo stesso ha successivamente ridotto dandone, ampia e dettagliata comunicazione, ai media attraverso varie interviste, sottacendo completamente la parte relativa alla suo trattamento previdenziale pagato, tra l'altro con i contributi versati dall'ANAS stessa;
   il dottor Pietro Ciucci ed i 3 condirettori generali, avvocato Leopoldo Conforti, ingegnere Alfredo Bajo e dottor Stefano Granati ed altri dirigenti, sono stati coinvolti nel 2013 nel giudizio, attualmente pendente presso la Corte dei Conti, per risarcimento di un danno erariale già accertato, di circa 38 milioni di euro per aver stipulato un accordo economico con relativo riconoscimento di circa 47 milioni di euro, con la società Comeri (Astaldi), contraente di un lotto di lavori sulla strada statale 106 Jonica in Calabria;
   la stessa Procura regionale ha affermato che dai comportamenti di ANAS è derivato un danno alle finanze pubbliche, sotto forma di riconoscimento al contraente generale Comeri di importi non dovuti;
   ANAS S.p.a., nel rispetto della direttiva del Ministero dell'economia e delle finanze, ha introdotto nel proprio statuto i nuovi criteri e i requisiti di onorabilità degli amministratori pubblici;
   infatti gli amministratori che nel corso del mandato avessero ricevuto la notifica di un decreto che dispone il giudizio o di una sentenza di condanna definitiva che accerti la commissione dolosa di un danno erariale, avrebbero dovuto darne immediata comunicazione all'organo di amministrazione, che, poi, avrebbe deliberato sulla permanenza in carica dell'amministratore incriminato;
   l'attenzione del pubblico italiano verso questioni del genere non è stata mai così alta: in tempi di profonda crisi e di tasse che si abbattono con una ferocia tipica da periodo di austerity e rigore, gli italiani sono stufi di apprendere come, a dispetto delle varie promesse di frenare la spesa pubblica, i manager pubblici rimangono in qualche modo intoccabili;
   anche dall'estero arrivano notizie preoccupanti sull'operato, dei vertici ANAS spa che opera tramite la società ANAS International enterprise spa con presidente il dottor Ciucci ed amministratore delegato Alfredo Baji la quale gestisce importanti opere infrastrutturali in vari paesi esteri;
   sotto il periodo di comando del dottor Ciucci l'organigramma di ANAS spa si è arricchita di una moltitudine di direttori centrali che hanno causato un ingolfamento dell'azienda resa difatti una creatura monolitica e un contestuale aumento dei costi;
   non sono note, inoltre, le modalità utilizzate per la scelta dei funzionari e dei dirigenti e la determinazione delle loro retribuzioni;
   sarebbe buona politica attuare una giusta alternanza nei vertici delle aziende a partecipazione pubblica, specialmente in quelle che rivestono un ruolo strategico, sia nazionale che internazionale, con incisivi e delicati impatti sul tessuto economico per l'indotto generato dalla propria attività istituzionale;
   c’è il rischio concreto che, una volta ripreso il processo sospeso a seguito dei ricorsi presentati dagli stessi, la legge (finanziaria per il 2006, commi da 231 a 233 dell'articolo 1 e successive modificazioni) consentirebbe agli imputati di chiudere il giudizio di responsabilità in appello pagando una somma che va da un minimo del 10 per cento ad un massimo del 20 per cento dell'eventuale danno quantificato in 1o grado;
   in questo caso, essi potrebbero essere costretti a pagare solo una somma che si aggira intorno agli 8 milioni di euro (per un danno alla collettività di 38 milioni di euro) continuando, per giunta, a mantenere i loro incarichi come, di fatto è già avvenuto in altri casi –:
   se i ministri interpellati siano a conoscenza di questi fatti;
   se, in passato, per tali incarichi il dottor Ciucci abbia percepito remunerazioni diverse;
   se il dottor Ciucci, al momento del pensionamento, abbia ricevuto una liquidazione, se questa gli fosse dovuta e quale sia l'importo della medesima;
   se siano state corrisposti al dottor Ciucci ulteriori emolumenti e, in tal caso, di quale importo e a quale titolo;
   se si voglia accertare come abbia agito l'organo preposto al controllo e alla sorveglianza di ANAS s.p.a. e se lo stesso abbia ricevuto comunicazione del giudizio che coinvolge, il dottor Ciucci del dottor Ciucci e gli altri condirettori per danno erariale;
   se non ravvisino, dunque, gli estremi per valutare la necessità di un ricambio della governance stante il lungo permanere della stessa.
(2-00817)
«Agostinelli, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Turco, Basilio, Paolo Bernini, Cecconi, Corda, Frusone, Rizzo, Tofalo, Alberti, Barbanti, Baroni, Brescia, Brugnerotto, Busto, Cancelleri, Cariello, Caso, Castelli, Colonnese, Crippa, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Rosa».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Frusone n. 5-04542, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 367 del 2 gennaio 2015.

   FRUSONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   16 gennaio dalle ore 7 si apprende dai giornali un incendio nell'ex Cemamit di Ferentino, azienda tristemente nota nel basso Lazio che ha prodotto amianto fino a una decina di anni fa e oramai in disuso, che però non è stata mai bonificata;
   la guardia di finanza di Frosinone nel 2009 ha denunciato e successivamente il tribunale ha condannato, sette ex dirigenti della fabbrica. L'accusa per tutti è stata quella di omicidio colposo plurimo. Ventisette sono stati gli operai deceduti per asbestosi, la malattia polmonare provocata dal continuo contatto con le molecole di amianto. Gli scarti liquidi del pericoloso metallo sono stati invece, secondo le indagini della finanza, smaltiti sottoterra attraverso canali abusivi che poi scaricavano nel fiume Sacco. Il comune di Ferentino, proprio per fronteggiare questa catastrofe ambientale, ha istituito anche lo sportello di tutela per le vittime dell'amianto;
   da quanto si apprende dai giornali l'incendio non avrebbe di fatto coinvolto i 4000 capannoni di amianto, anche se da subito si è sprigionata una nube che ha investito tutto il territorio scalo di Ferentino;
   dalle dichiarazioni del prefetto di Frosinone, Emilia Zarrilli, la nube di fumo che si è sprigionata stamani per un incendio di rifiuti nel piazzale dell'ex fabbrica di amianto Cemamit di Ferentino, nel Frusinate, non sembrerebbe tossica;
   a causa del denso fumo che ha invaso il territorio circostante per un raggio di almeno 3 chilometri e il timore che si possa trattare di un fumo nocivo, proprio per via della massiccia presenza di asbesto nel perimetro dell'azienda, si è proceduto a chiudere un tratto di superstrada Ferentino-Sora e tutte le strade del circondario;
   la zona davanti all'ex sito è stata vietata per consentire gli interventi dei vigili del fuoco e le verifiche del personale di Arpa Lazio, che procederà comunque a ulteriori accertamenti;
   dalle nove di questa mattina è chiuso in uscita il casello autostradale di Ferentino. Chiuso anche il tratto di superstrada dall'ingresso di Frosinone in direzione Ferentino. L'incendio alla ex Cemamit continua a preoccupare e, soprattutto i fumi che si stanno liberando nell'aria. La polizia municipale, i carabinieri, la polizia stradale stanno evitando al traffico di avvicinarsi allo stabilimento. I vigili urbani consigliano ai residenti di chiudere finestre e rimanere in casa;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se i Ministri interrogati in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, incluso all'amianto al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, non ritengano necessario ed urgente verificare le condizioni attuali della ex Cemamit, anche per il tramite del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   il sito fa parte dell'area denominata «Valle del Sacco» che ritorna ad essere sito d'interesse nazionale, in seguito al ricorso al tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 5277 del 2013 che annulla il decreto impugnato dell'11 gennaio 2013 ricomprendente il sito del bacino del fiume Sacco tra quelli non rispondenti ai requisiti ex articolo 252 comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006 come modificato dall'articolo 36-bis della legge n. 134 del 2012 –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se i Ministri interrogati in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, non ritengano necessario ed urgente verificare le condizioni attuali della ex Cemamit, considerata anche la competenza statale in relazione agli obblighi di bonifica e messa in sicurezza di aree localizzate in siti di interesse nazionale (SIN) ex articolo 252, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se non sia necessario maggior controllo dell'area in questione, visto che sembrerebbe che quel sito ormai in disuso e abbandonato, sia stato più volte violato, con il rischio che le persone possano entrare in contatto pericolosamente con l'amianto;
   se i Ministri interrogati, alla luce dell'incendio avvenuto e della nube che sta investendo il territorio per diversi chilometri, non ritengano che vi sia un reale pericolo d'incremento della presenza di diossina e se non sia opportuno attuare un monitoraggio della zona coinvolta e proporre nuove e più specifiche analisi della qualità dell'aria e del terreno e soprattutto, quali interventi concreti si vorrebbero attuare per preservare la salute dei cittadini. (5-04542)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Dambruoso n. 4-06402 del 15 ottobre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Rampelli n. 4-06900 del 17 novembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Giorgia Meloni n. 4-07111 del 2 dicembre 2014;
   interrogazione a risposta orale Antimo Cesaro n. 3-01236 del 19 dicembre 2014;

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Locatelli e altri n. 1-00627, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2014: è stata ritirata la firma del deputato Carrozza.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-02124 del 10 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04607;
   interrogazione a risposta in Commissione Martella n. 5-02627 del 14 aprile 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-07800;
   interrogazione a risposta in Commissione Terzoni e altri n. 5-04437 del 13 gennaio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01265.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BASILIO, PAOLO BERNINI, CORDA, ARTINI, FRUSONE, RIZZO, TOFALO e GRILLO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri nella sua riunione del 7 marzo 2014 ha correttamente deciso di non impugnare la legge della regione Abruzzo in materia di uso terapeutico della cannabis;
   altre regioni come Liguria, Toscana, Veneto, Puglia e Trentino-Alto Adige si sono dotate di leggi che consentano l'uso terapeutico dei derivati della cannabis;
   in Italia, il ricorso a farmaci cannabinoidi è legittimo ormai da quattordici mesi, ma la possibilità di accedervi per i pazienti è rimasta nulla, essendo la procedura lenta e macchinosa;
   farmaci cannabinoidi valutati dalla letteratura scientifica come efficaci non sono disponibili per alleviare i dolori dei pazienti e per migliorarne la qualità di vita;
   la legge della regione Abruzzo prevede la possibilità di stipulare convenzioni con centri attrezzati per la produzione e la preparazione dei farmaci;
   nessuna azienda farmaceutica italiana tuttavia ha ancora chiesto licenza di produrre farmaci cannabinoidi;
   anche per questo è stata avanzata ai due Ministri una petizione via internet per chiedere che lo stabilimento chimico farmaceutico militare ai Firenze, che già prepara diverse tipologie di farmaci, cominci a produrre medicinali cannabinoidi per i pazienti italiani attraverso un protocollo d'intesa tra Ministero della salute e Ministero della difesa. Lo stabilimento avrebbe già dichiarato un interesse in tal senso;
   questo consentirebbe al Sistema sanitario nazionale di godere di una notevole riduzione di tempi e soprattutto costi –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno impartire allo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze istruzioni per la produzione di medicinali cannabinoidi stipulando con lo stesso una apposita convenzione. (4-04103)

  Risposta. — Il decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni in legge 16 maggio 2014, n. 79, ha aggiornato le tabelle contenenti l'indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 recante il «Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenze» e successive modificazioni e integrazioni, inserendo i medicinali di origine vegetale a base di cannabis (sostanze e preparazioni vegetali, inclusi estratti e tinture) nella sezione B della tabella dei medicinali allegata al testo unico.
  Ciò significa che tali medicinali, che vengono oggi importati dall'Olanda previa autorizzazione del Ministero della salute, possono essere prescritti con ricetta medica, in quanto riconosciuti efficaci come adiuvanti nella terapia del dolore e nel trattamento di malattie neurodegenerative, quali la sclerosi multipla e altre gravi patologie.
  Il Governo, sensibile alle esigenze dei malati, ha accolto il 30 aprile 2014 gli ordini del giorno n. 9/2215-AR/22 dell'onorevole Bernini e n. 9/2215-A/30 dell'onorevole Capone, finalizzati ad avviare iniziative per consentire allo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze la produzione di medicinali cannabinoidi, e ha coerentemente operato fino a pervenire, il 18 ottobre 2014, a un «Accordo di collaborazione» per l'avvio di un «Progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis» tra Difesa e Salute, sottoscritto dalla scrivente e dal Ministro Lorenzin.
  È stato così costituito un gruppo di lavoro con rappresentanti dei due citati Dicasteri, del Ministero delle politiche agricole e forestali, dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dell'istituto superiore di Sanità, nonché delle Regioni e Province autonome, che ha il compito di definire in un protocollo operativo la programmazione delle attività da compiere, di quantificare i fabbisogni in relazione alle patologie da trattare, di fissare la fito-sorveglianza da esercitare, le verifiche da effettuare e le tariffe da applicare ai prodotti. Il protocollo, una volta elaborato, sarà trasmesso al Consiglio superiore di sanità per il relativo parere.
  Lo stabilimento di Firenze, unica officina farmaceutica dello Stato, acquisite tutte le prescritte autorizzazioni e conclusa la sperimentazione già in atto, avvierà presumibilmente entro il prossimo semestre del corrente anno, le operazioni di coltivazione, fabbricazione della sostanza attiva di origine vegetale a base di cannabis e confezionamento in imballi da distribuire, su richiesta delle regioni e province autonome, alle farmacie territoriali e ospedaliere per l'allestimento di preparazioni magistrali da dispensare dietro presentazione di ricetta medica non ripetibile, così da soddisfare il fabbisogno della popolazione assistita.
  Successivamente, sulla base dei risultati conseguiti, sarà predisposta una convenzione per la produzione industriale della sostanza attiva e la distribuzione del prodotto sul territorio nazionale.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   BASILIO e ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, prevede, all'articolo 1, comma 2, che i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore della legge sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore;
   per effetto della predetta disposizione, i dipendenti pubblici già in età di pensionamento non potrebbero essere trattenuti in servizio e, con essi, gli ufficiali militari che beneficiano del richiamo in ausiliaria;
   da notizie provenienti da organi di stampa, sembrerebbe che l'Arma dei carabinieri non abbia ancora dato attuazione al divieto di trattenimento in servizio di taluni ufficiali;
   in particolare, fonti giornalistiche riferiscono che il generale Leonardo Gallitelli, formalmente in pensione dal 9 giugno 2013, non solo non abbia ancora cessato di ricoprire la carica di comandante generale dell'Arma dei carabinieri alla data del 31 ottobre 2014, ma sia addirittura in procinto di ottenere una «proroga» della durata del prestigioso incarico fino al giugno del 2015;
   il divieto del trattenimento in servizio, così come concepito dalla legge n. 114 del 2014, risponde alla logica di garantire un ricambio, anche generazionale, negli organici delle pubbliche amministrazioni, ivi comprese le Forze armate –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi trovino riscontro;
   quali iniziative ritenga opportuno adottare al fine di garantire una piena applicazione del divieto del trattenimento in servizio degli ufficiali in età di pensionamento. (4-06803)

  Risposta. — Come recentemente da me affermato, in data 4 dicembre, proprio in una dichiarazione resa ad un'agenzia giornalistica, in relazione alla posizione dell'attuale comandante generale dell'Arma dei Arma dei carabinieri: «l'Arma dei Carabinieri, in maniera del tutto legittima, è guidata da un comandante che con dedizione e alto senso dello Stato adempie tutti i giorni al proprio dovere».
  La permanenza del generale Gallitelli al comando generale dell'Arma fino al 15 febbraio 2015, giorno di scadenza dell'ulteriore proroga concessagli con le modalità previste dalla legge, è perfettamente legittima ai sensi della normativa vigente in materia contenute nel codice dell'ordinamento militare, recato dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.
  Improprio è, invece, il riferimento contenuto nell'interrogazione in esame al decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 114, il cui articolo 1, comma 1 ha abrogato, citandoli puntualmente, alcuni articoli di legge che consentivano, a domanda e previa autorizzazione, la prosecuzione per un biennio del rapporto di lavoro di personale non militare delle pubbliche amministrazioni, limitando per essi i richiami in atto al più al 31 ottobre 2014.
  Le disposizioni del decreto legge n. 90 del 2014 non hanno affatto inciso sulle peculiari fattispecie vigenti per le Forze armate, disciplinate dal citato codice dell'ordinamento militare, tra le quali quelle previste dagli articoli 992 e 993, concernenti il collocamento in ausiliaria e i richiami in servizio dei militari, notoriamente soggetti a limiti di età più bassi rispetto agli altri dipendenti pubblici.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   BONOMO, ASCANI, RAMPI, MANZI, CARNEVALI, CAPOZZOLO, CAMPANA, MURER, BONACCORSI, BRAY, BORGHI e COPPOLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 633 del 1941, così come modificata dalla legge n. 248 del 2000, ha investito la SIAE del compito di incassare e ripartire i diritti della fotocopiatura dei volumi e fascicoli di periodi entro il limite massimo del 15 per cento, in base agli accordi stipulati ad hoc con le associazioni rappresentative delle parti interessate (autori, editori ed utilizzatori);
   le associazioni rappresentative hanno il compito di fornire le liste dei nominativi degli aventi diritto alla SIAE perché vengano da quest'ultima contattati per liquidare loro quanto di propria spettanza;
   tuttavia risulta che molti sono gli autori di cui la SIAE non conosce il recapito e che vengono inseriti nell'elenco dei cosiddetti «senza recapiti» consultabile sul sito internet SIAE, comportando il mancato versamento dei diritti di reprografia;
   non risulta che SIAE abbia contattato — né cercato di contattare — tali autori, in taluni casi pure noti, per informarli della sussistenza di un proprio credito e per chiedere loro le coordinate bancarie necessarie ad effettuare il pagamento;
   tale sistema obbliga gli autori ed editori a monitorare costantemente il citato elenco dei «soggetti non reperiti» pubblicato sul sito della SIAE e sacrifica la posizione di quanti non sono a conoscenza del diritto a percepire il citato compenso;
   che appare singolare che la SIAE, pur trattenendo una percentuale del 20 per cento sui diritti a tale titolo intermediati, non ponga in essere alcuna attività di ricerca dei beneficiari di tali diritti e dei loro recapiti –:
   se sia corretta tale pratica e se non sia possibile indicare una soluzione alternativa più agevole, quale potrebbe essere quella di richiedere alle associazioni di categoria di fornire alla SIAE non solo i nominativi ma anche i recapiti IBAN degli aventi diritti o di onerare le medesime associazioni di fornire alla SIAE i recapiti degli aventi diritto affinché quest'ultima possa informarli della sussistenza di un credito e richiedere loro le necessarie coordinate bancarie. (4-06169)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante l'attività della SIAE per la riscossione e la ripartizione dei compensi derivanti dall'attività di reprografia di opere protette dalla legge sul diritto d'autore, si comunica quanto segue.
  La legge 18 agosto 2000, n. 248, recante «Nuove norme di tutela del diritto d'autore», ha modificato l'articolo 68 della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Legge sul diritto d'autore, di seguito LDA), introducendo in Italia la legittima riproduzione, mediante fotocopia, xerocopia o sistema analogo, di opere tutelate (con esclusione di spartiti e partiture musicali) purché effettuata ad uso personale e limitata al 15 per cento dell'intero volume o fascicolo di periodico. La stessa disposizione, modificando l'articolo 181-
ter della stessa LDA, ha previsto, a fronte di tale riproduzione, l'obbligo, a carico di biblioteche pubbliche e centri di riproduzione, di corrispondere un equo compenso ed ha incaricato la SIAE della sua riscossione e ripartizione agli aventi diritto.
  Così precisato il contesto giuridico di riferimento, la competente direzione generale per le biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d'autore ha comunicato, altresì, che «Il comma 1 dell'articolo 180-
ter della LDA prevede, in particolare, che i compensi per le riproduzioni siano riscossi e ripartiti, al netto di una provvigione, dalla SIAE, sulla scorta di accordi conclusi tra l'Ente e le associazioni delle categorie interessate, aventi ad oggetto la misura e modalità di pagamento dei medesimi. Il comma 2 del predetto articolo disciplina, invece, l'ipotesi di ripartizione fra gli aventi diritto per i quali la SIAE non svolga attività di intermediazione ai sensi dell'articolo 180 della LDA, stabilendo che possa avvenire anche tramite le principali associazioni di categoria interessate, individuate con decreto del Presidente del consiglio dei ministri, sentito il comitato consultivo permanente di cui all'articolo 190 della LDA, in base ad apposite convenzioni.
  L'attività di liquidazione degli incassi effettuati impone, quindi, una ulteriore ricerca a posteriori degli autori ed editori che non siano già associati o mandanti di SIAE, ai quali tali diritti spettano.
  In ossequio alle previsioni normative di cui sopra, nel 2004 la SIAE ha concluso accordi con le associazioni rappresentative degli aventi diritto (autori ed editori letterari), accordi in base ai quali si è condivisa la disciplina della materia e le modalità di svolgimento del servizio, ivi prevedendosi, in particolare, che:
   
a) la ripartizione dei diritti d'autore relativi all'attività di reprografia avvenga in base ad un sistema di campionamento;
   
b) siano a carico delle predette associazioni, dietro compenso a valere sull'intera provvigione trattenuta sugli incassi, le operazioni di rilevazione e di elaborazione dati nonché le attività di individuazione degli aventi diritto.

  Il sistema previsto dagli accordi intercorrenti con le associazioni di categoria, quindi, pone a carico di queste ultime l'attività di ricerca dei recapiti, mentre è a carico di SIAE l'invio ai recapiti forniti delle comunicazioni relative ai pagamenti.
  In sostanza, a conclusione delle attività di rilevazione e campionamento in capo alle associazioni rappresentative degli autori ed editori, queste stesse forniscono alla SIAE le liste dei nominativi degli aventi diritto, nonché i recapiti e gli elementi utili alla loro identificazione e alla presa di contatto da parte di SIAE (indirizzi e-mail personali, di dipartimenti universitari, agenti letterari, ecc.). La SIAE, sulla base dei dati forniti dalle associazioni, provvede a contattare gli aventi diritto individuati per liquidare loro quanto di spettanza.
  È opportuno sottolineare come la SIAE possa operare pagamenti solo una volta che sia certa della correttezza del pagamento stesso (certezza impossibile in assenza di tutti i dati necessari).
  Infatti, indipendentemente ed in aggiunta alle attività di identificazione svolte dalle citate associazioni di categoria, viene messo a disposizione nel sito SIAE un elenco, aggiornato annualmente, dei beneficiari i cui recapiti non siano ancora stati reperiti, quelli su cui esistono dubbi di omonimia, quelli i cui eredi non siano stati individuati e quelli che non hanno fornito riscontro alle comunicazioni della SIAE. Tale elenco comprende ogni elemento utile ad una sicura identificazione e ad evitare rischi di omonimia (titolo del libro, codice ISBN, nominativi dell'autore ed eventuali coautori, nominativo dell'editore, anno di incasso del diritto, anno di pubblicazione sul sito). Detto elenco e pubblicato dalla SIAE, unitamente a tutte le istruzioni per potere fornire le informazioni richieste ed ottenere conseguentemente il dovuto pagamento. L'attività della SIAE, quindi, non è volta al mero «rintracciamento fisico» di un soggetto quanto – una volta rintracciato – all'ottenimento, da parte sua, dei dati necessari a consentire il pagamento. Taluni di questi dati, come noto, sono qualificati come attinenti alla sfera della riservatezza personale e sono conseguibili, pertanto, soltanto con la partecipazione della volontà del diretto interessato.
  È evidente che la pubblicazione sul sito rappresenta uno strumento integrativo per la ricerca degli autori, in tutti i casi in cui i recapiti non siano disponibili, oltre ad essere strumento fondamentale che permette ai soggetti contattati da SIAE di verificare l'affidabilità delle comunicazioni ricevute e l'effettiva paternità dei libri fotocopiati. L'elenco in parola contiene tutti gli elementi utili per una certa identificazione, unitamente alle istruzioni per potere fornire le informazioni richieste ed ottenere il dovuto pagamento.
  La SIAE, peraltro, integra le attività di ricerca svolte dalle associazioni citate anche con attività autonome di ricerca, per assicurare al meglio la certezza dei pagamenti.
  Secondo quanto rappresentato dalla SIAE, nel corso degli anni (circa 10) di svolgimento dell'attività in questione (raccolta della reprografia e relativa ripartizione attraverso le associazioni di categoria maggiormente rappresentative), la SIAE ha distribuito agli autori una media di circa l'80 per cento dei diritti incassati, con un «non distribuito» giacente (comunque perfettamente accantonato, disponibile ed in attesa di assegnazione) da considerarsi sostanzialmente poco significativo se rapportato alla platea indistinta degli aventi diritto (che contempla anche, e soprattutto, soggetti non associati alla SIAE).
  Appare, infine, utile segnalare che già nel marzo 2014 il consiglio di gestione della SIAE ha deliberato di rivedere gli accordi in essere, al fine di pervenire ad ulteriori perfezionamenti del sistema oggi praticato, tramite meccanismi che consentano il massimo raggiungimento degli aventi diritto.
  Infine, si segnala che, in occasione del recepimento della direttiva 2014/26/UE del 26 febbraio 2014, relativa alla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e alla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno, sarà cura di questo Ministero adottare tutte le opportune soluzione affinché le questioni sollevate nell'interrogazione possano essere risolte in maniera soddisfacente per i titolari dei diritti.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Terranova dei Passerini in provincia di Lodi, in occasione delle elezioni amministrative del 25 maggio risulta tra le formazioni politiche ammesse alle consultazioni elettorali una lista chiaramente ispirata a riferimenti politici di natura Nazifascista, si tratta della lista «Nsab-Mlns» (Nationalsozialistische arbeit bewegung-Movimento nazionalsocialista dei lavoratori), che presenta come candidato sindaco Alberto Pedrini, il cui contrassegno elettorale è costituito da un disco rosso, con l'acronimo «NSAB-MLNS» scritti al centro del simbolo in colore nero, contornato sul lato sinistro dalla scritta «Movimento nazionalista e socialista dei lavoratori» in colore nero;
   il Nsab-Mlns ha modificato il proprio contrassegno rispetto alle precedenti elezioni amministrative del 2013 nelle quali si era presentato con la dicitura «Movimento nazionalsocialista dei lavoratori» cambiandolo con l'attuale «Movimento nazionalista e socialista dei lavoratori», ma nel programma depositato presso il suddetto comune, come risulta dall'atto 120 dell'Albo pretorio del comune di Terranova dei Passerini pubblicato il 29 aprile 2014 la lista si autodefinisce come Movimento Nazionalsocialista, in continuità con il passato;
   sul sito internet del movimento «Nsab-Mlns» (Nationalsozialistische Arbeit Bewegung-Movimento Nazionalista e Socialista dei lavoratori) appaiono all'interrogante chiari ed evidenti i richiami e l'ispirazione al disciolto Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in merito alla necessità di assicurare il rispetto della legalità e l'applicazione del rispetto dei valori e dei principi affermati nella Costituzione, in special modo dalla XII disposizione transitoria e finale che afferma: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito Fascista»;
   se non intenda assumere iniziative normative per escludere la partecipazione alle consultazioni elettorali di liste il cui contrassegno elettorale sia chiaramente ispirato all'ideologia nazifascista in modo da assicurare che episodi simili non abbiano a ripetersi in altre consultazioni elettorali amministrative. (4-04689)

  Risposta. — Si rappresenta preliminarmente che la verifica dei requisiti di legge per l'ammissibilità delle liste alle elezioni amministrative avviene ad opera delle commissioni elettorali circondariali, le cui competenze sono disciplinate dagli articoli 30 e 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960.
  In occasione della tornata delle elezioni amministrative del maggio-giugno di quest'anno, la direzione centrale dei servizi elettorali dei Ministero dell'interno ha emanato un'apposita pubblicazione che, nel recare le istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature, ha esplicitato il dovere di tali commissioni di ricusare i contrassegni di lista in cui siano contenute espressioni, immagini o raffigurazioni che facciano riferimento a ideologie autoritarie (per esempio le parole «fascismo», «nazismo», «nazionalsocialismo» e simili) come tali vietate a norma della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione e dalla legge 20 giugno 1952 n. 645. Nella stessa pubblicazione sono riportate anche alcune pronunce del Consiglio di Stato che hanno chiarito la portata del predetto principio (Consiglio di Stato, Sez V, del 6 marzo 2013 n. 1354 e 1355).
  Tanto premesso, si rileva che, con l'interrogazione a cui si risponde, l'interrogante ha segnalato l'ammissione di una lista ispirata all'ideologia nazionalsocialista alle ultime elezioni amministrative svoltesi nel comune di Terranova dei Passerini nel maggio di quest'anno.
  Effettivamente, in occasione di tale tornata elettorale, il movimento Nsab-Mlns (Movimento nazionale e socialista dei lavoratori) ha presentato agli uffici di quel comune la propria lista, che è stata tempestivamente rimessa all'esame della III sottocommissione elettorale circondariale.
  Tale organo, nell'espletare gli adempimenti di competenza, ha provveduto ad ammettere la lista in questione non avendo evidentemente riscontrato profili di irregolarità o illegittimità formale o di violazione delle norme all'uopo prescritte, nemmeno in relazione al contrassegno contenente, tra le altre, le parole «nazionalista» e «socialista».
  Si precisa, in proposito, che le commissioni elettorali circondariali sono organismi di nomina del presidente della corte d'appello, dotati di piena autonomia decisionale. Tra le loro competenze non rientra l'esame del programma allegato agli atti di presentazione della lista che, nel caso oggetto dell'interrogazione, è stato regolarmente pubblicato all'albo pretorio della casa comunale senza che peraltro, per quanto consta, sia stata sollevata contestazione di alcun tipo.
  Si soggiunge, a margine, che il movimento Nsab-Mlns, sin dalle consultazioni elettorali amministrative del 2002, ha presentato proprie liste in numerosi comuni del Piemonte e della Lombardia, con la elezione nel 2006, nelle amministrazioni comunali di Belgirate (VB) e di Novate (MI), di alcuni consiglieri che hanno esercitato il proprio mandato per l'intero quinquennio amministrativo.
  In merito alla posizione dell'allora candidato sindaco Alberto Pedrini, sono in corso indagini avviate dalle Procure di Milano e di Varese in relazione al Movimento che rappresenta e per reati concernenti l'odio razziale, etnico e religioso.
  Si rappresenta, d'altra parte, che, sin dalla sua fondazione, avvenuta nel 2000 con atto ufficiale depositato presso l'Ufficio persone giuridiche della Prefettura di Milano, il movimento «Nsab-Mlns» si è dotato di un programma politico (Programma nazionale dei 25 punti), che prevede la costituzione dello «Stato Nazionale» ed è sostanzialmente una traduzione rielaborata e adattata del programma del partito nazista Nsdap.
  Per la sua esibita ideologia nazionalsocialista e per l'elogio di simboli del dominio nazista, il sodalizio e i suoi militanti – che attualmente ammontano a circa quindici unità – sono stati oggetto, sin dalle origini, di esposti e di attività investigative.
  In merito alla richiesta di una eventuale introduzione di una specifica normativa finalizzata ad evitare la partecipazione alle elezioni di liste elettorali ispirate alla ideologia nazifascista, si fa presente come la stessa XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta la ricostituzione – sotto qualsiasi forma – del disciolto partito fascista, viene già considerata dalla giurisprudenza riferibile anche alla costituzione di partiti o movimenti con analoghe ideologie autoritarie.
  Si assicura, infine, che le forze di polizia prestano la massima attenzione alle tematiche in questione. Esse, anche grazie al monitoraggio della rete internet, seguono assiduamente le iniziative riconducibili a gruppi e movimenti dell'estremismo politico, ai fini del mantenimento dell'ordine pubblico e della prevenzione e contrasto di ogni condotta illegale e di forma di intolleranza.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai fini dell'aggiornamento/inserimento nelle graduatorie finalizzate alla destinazione all'estero del personale docente e amministrativo da assegnare alle istituzioni scolastiche italiane all'estero il Ministero degli affari esteri pubblicava sulla Gazzetta Ufficiale, serie concorsi, del 18 dicembre 2012 un avviso pubblico;
   l'Ordinanza Ministeriale degli affari esteri n. 5300 del 5 dicembre 2012, di cui sopra, all'Allegato A recita: «Dichiarazione dei titoli culturali, professionali e di servizio — indicare i titoli e il punteggio come da tabella di valutazione allegata al CCNL 24.07.2003 — Non saranno valutati i titoli che non riportano gli estremi identificativi completi»;
   tale tabella di valutazione, al punto 9 della sezione A) titoli culturali riporta: «per ogni titolo finale di corsi di specializzazione post-lauream, rilasciato da università italiana o straniera – punti 5);
   l'Allegato n. 3, della medesima O.M. n. 5300/2012, al punto 9 della sezione A) Titoli culturali testualmente riporta che: «per ogni titolo di specializzazione post-lauream, rilasciato da università italiana o straniera – punti 5;
   ambedue le tabelle richiamate dalla suddetta Ordinanza Ministeriale utilizzate per la valutazione dei titoli riconoscono l'attribuzione di punti 5 ai titoli di specializzazione pluriennali post-lauream;
   con nota successiva al bando, il Ministero degli affari esteri ha fatto presente che: i corsi post-lauream conseguiti dopo il 2004 non sono valutabili se mancanti dei CFU;
   un candidato pur avendo presentato ricorso avverso la graduatoria provvisoria ai sensi dell'articolo 10 della O.M. 5300/2012, si è visto respingere il ricorso con la seguente motivazione: «il titolo A14 è stato valutato come titolo A13 dalla verifica dei CFU dichiarati», ciò nonostante il corso fosse strutturato su 1500 ore e 60 CFU acquisiti;
   il punto A13 dei titoli culturali dell'Allegato A alla domanda testualmente recita «per ogni attestato finale di corso di perfezionamento post-lauream conseguito presso università italiane o straniere di durata annuale – punti 2»;
   questa valutazione è in palese contrasto con quanto previsto dall'articolo 7, comma 3 del Decreto MURST del 3 novembre 1999, n. 509 «i decreti ministeriali determinano il numero di crediti che lo studente deve avere acquisito per conseguire il diploma di specializzazione. Tale numero deve essere compreso tra 300 e 360 crediti, ivi compresi quelli già acquisiti dallo studente e riconosciuti validi per il relativo corso di specializzazione», decreto quest'ultimo a cui l'O.M. Ministero degli affari esteri (vedi punto 14 dell'Allegato 2 alla domanda «ISTRUZIONI PER LA COMPILAZIONE DELL'ALLEGATO A RELATIVO ALLA DICHIARAZIONE DEI TITOLI») fa riferimento per la valutazione dei diplomi di specializzazione, aggiungendo altresì che «per essere ammessi ad un corso di specializzazione occorre essere in possesso della laurea»;
   molto chiaramente il «CCNI mobilità personale docente, educativo ed ATA a.s. 2014-2015 del 26 febbraio 2014», all'Allegato D — TABELLE DI VALUTAZIONE DEI TITOLI E DEI SERVIZI, punto C) dei TITOLI GENERALI, riporta «per ogni diploma di specializzazione conseguito in corsi post-laurea previsti dagli statuti ovvero dal decreto del Presidente della Repubblica 162 del 1982, ovvero dalla legge n. 341/90 (artt. 4,6,8) ovvero dal decreto 509/99 attivati dalle università statali o libere ovvero da istituti universitari statali o pareggiati, ovvero in corsi attivati da amministrazioni e/o istituti pubblici purché i titoli siano riconosciuti equipollenti dai competenti organismi universitari (11) e (11bis), ivi compresi gli istituti di educazione fisica statali o pareggiati, nell'ambito delle scienze dell'educazione e/o nell'ambito delle discipline attualmente insegnate dal docente – punti 5»;
   attraverso la Nota (11) su richiamata viene chiarito che «il punteggio va attribuito al personale in possesso di laurea. Vanno riconosciuti oltre ai corsi previsti dagli statuti delle università (articolo 6 legge n. 341/90), ovvero attivati con provvedimento rettorale presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 162 del 1982 (articolo 4 — 1° comma, legge n. 341/90) anche i corsi previsti dalla legge n. 341/90, articolo 8 e realizzati dalle università attraverso i propri consorzi anche di diritto privato nonché i corsi attivati dalle università avvalendosi della collaborazione di soggetti pubblici e privati con facoltà di prevedere la costituzione di apposite convenzioni (articolo 8 legge n. 341/90) nonché i corsi previsti dal decreto 3.11.1999, n. 509;
   sono assimilati ai diplomi di specializzazione i diplomi di perfezionamento post-laurea, previsti dal precedente ordinamento universitario, qualora siano conseguiti a conclusione di corsi che presentino le stesse caratteristiche dei corsi di specializzazione (durata minima biennale, esami specifici per ogni materia nel corso dei singoli anni e un esame finale)»;
   quindi, i diplomi di perfezionamento possono essere assimilati ai diplomi di specializzazione e non viceversa;
   ancora il Ministero degli affari esteri, direzione generale per il sistema Paese, in data 18 aprile 2014 — Protocollo N. 3515/P/0091968 pubblica il seguente Avviso «ESAMI DI STATO CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO NELLE SCUOLE ITALIANE ALL'ESTERO — NOMINE PER FUNZIONI DI COMMISSARIO DI ESAME CONFERIBILI A PERSONALE DOCENTE IN SERVIZIO IN ITALIA — ANNO SCOLASTICO 2013/14»;
   le modalità operative di compilazione ed invio della domanda di partecipazione al suddetto Avviso seguono una procedura telematica. La terza fase di tale procedura prevede la dichiarazione dei titoli di servizio, culturali e professionali secondo le indicazioni di cui all'Allegato C «Sezione 3 — «Curriculum». Dichiarare i titoli di servizio e i titoli culturali e professionali. Non sono dichiarabili titoli diversi da quelli indicati nella Tabella Titoli e Punteggi (All. C). Non sono ammesse integrazioni ai titoli successivamente all'avvenuto invio della domanda.»;
   il punto d) di tale tabella riporta testualmente «Diploma di specializzazione post-lauream di durata biennale» e la Nota (4) specifica che «per diploma di specializzazione biennale si intende quello rilasciato al termine di studi accademici post-lauream di pari durata, a seguito di superamento di esami espressi in trentesimi e a seguito di dissertazione finale»;
   risulta quindi palese come il Ministero degli affari esteri, direzione generale per il Sistema Paese, abbia usato due distinti criteri nel riconoscere lo stesso titolo «diploma di specializzazione post-lauream» in occasione di due procedure di selezione di personale da destinare all'estero per la funzione di docente;
   nel primo caso, riferimento Ordinanza Ministeriale n. 5300 del 5 dicembre 2012, il diploma di specializzazione viene riconosciuto ed anche erroneamente soltanto in funzione dei CFU senza affatto considerare le proprie caratteristiche intrinseche e sostanziali;
   nel secondo caso, riferimento Avviso del 18 aprile 2014 — Protocollo N. 3515/P/0091968, vengono considerate per il Diploma di Specializzazione le sue caratteristiche intrinseche e sostanziali così come riportato nella citata nota (4). –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in merito a quanto evidenziato nelle premesse;
   come sia stato possibile, nonostante la chiarezza dalla normativa vigente attribuire, per la graduatoria in essere punteggi diversi a titoli equipollenti;
   quali provvedimenti urgenti intendano adottare, i Ministri interrogati, ognuno per propria competenza, al fine di aggiornare le graduatorie finalizzate alla destinazione all'estero del personale docente ed amministrativo da assegnare alle istituzioni scolastiche italiane all'estero, secondo quanto effettivamente stabilito dalla normativa e dai regolamenti vigenti. (4-05361)

  Risposta. — La differenza di valutazione del diploma di specializzazione, oggetto del rilievo dell'onorevole interrogante, dipende dalla diversa tipologia di incarico cui la stessa si riferisce. Una tipologia riguarda infatti il personale destinato alla istituzioni educative all'estero, regolata dalla CCNL/2007 comparto scuola; l'altra valutazione concerne la nomina dei commissari per gli esami di Stato all'estero, disciplinata dall'avviso del 18 aprile 2014, condiviso dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI) con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR).
  Riferendosi pertanto a tipologie di incarichi diversi, le rispettive tabelle di valutazione dei titoli attribuiscono a titoli uguali dei punteggi diversi: ad esempio, per ogni anno di servizio vengono attribuiti 2 punti nella tabella D del CCNL/2007 a fronte di 0,5 punti attribuiti nella tabella di cui all'avviso del 18 aprile 2014. Pertanto, i punteggi attribuiti ad un titolo non possono essere confrontati estrapolandoli dal contesto. In un caso, si tratta di personale da trasferire all'estero per lunghi periodi, nell'altro di docenti chiamati a formare le commissioni degli esami di Stato all'estero.
  In relazione al caso specifico sollevato dall'onorevole interrogante, appare opportuno indicare le modalità di reclutamento per la destinazione del personale scolastico all'estero.
  Gli articoli 639 e seguenti del decreto legislativo n. 297 del 1994 (testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado) prevedono che presso le istituzioni scolastiche e universitarie all'estero nonché presso le scuole europee venga assegnato personale dipendente del Miur per l'esercizio delle funzioni proprie del ruolo di appartenenza.
  Per ricoprire i posti di cui al contingente per l'estero ex articolo 639 e seguenti sopra citati, il Maeci indice una procedura di accertamento linguistico relativo alla conoscenza di una o più lingue: inglese, francese, spagnola, tedesca.
  Il personale docente che supera la predetta procedura di accertamento linguistico viene inserito, a domanda, in graduatorie permanenti distinte per codice funzione e area linguistica (articolo 110 CCNL 2007). Al fine dell'inserimento in graduatoria del candidato, al punteggio ottenuto nella procedura di accertamento linguistico si sommano i titoli culturali, professionali e di servizio posseduti e dichiarati dal candidato nell'allegato A dell'ordinanza ministeriale n. 5300 del 2012. La medesima ordinanza, nel suo allegato n. 3, riporta la Tabella di valutazione dei titoli che è annessa al CCNL/2007 in cui al titolo di specializzazione pluriennale vengono riconosciuti punti 5 e al corso di perfezionamento punti 2.
  Nella formulazione delle graduatorie permanenti del 2011, il Maeci si è attenuto alle fonti di cui sopra riconoscendo 5 punti per i diplomi di specializzazione pluriennali.
  Nel caso rappresentato dall'onorevole interrogante il candidato ha visto riconosciuto il proprio titolo come A13 e quindi come corso di perfezionamento annuale – in conformità dei crediti formativi acquisiti – e non come titolo A14 diploma di specializzazione pluriennale.
  Si precisa al riguardo che il concetto di credito formativo è stato introdotto dal decreto ministeriale 509 del 1999 (con riguardo alla riforma universitaria).
  Tale decreto ministeriale stabilisce che un credito corrisponde a 25 ore di apprendimento e che la quantità media di apprendimento, svolta in un anno da uno studente a tempo pieno, è convenzionalmente fissata in 60 crediti pari a 1.500 ore. Pertanto, per conseguire i titoli accademici è necessario avere maturato, a secondo della loro tipologia, un numero prefissato di crediti formativi pari ad un monte ore prestabilito. Nella tabella dei titoli per l'insegnamento all'estero al punto A14 si fa espresso riferimento alla pluriennalità del percorso che pertanto non può essere inferiore a 120 crediti.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   BOSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Londra, nei centri commerciali di Knightbridge e Chelsea, si commercializza da ormai due anni un profumo al sapore dei limoni di Sicilia; la casa di produzione, Shay & Blue, ha propagandato il prodotto con questa dicitura: «The home of the Mafia produces the finest limes in the world», ovvero la «La Terra della Mafia produce i migliori limoni del mondo»;
   «Sicilian Limes» è il nome della nuova fragranza creata da «Shay & Blue»; secondo la trovata marketing della società londinese è un profumo che può «causare vendetta»;
   si tratta, come appare evidente, di pubblicità gravemente offensiva verso l'Italia e la Sicilia, con un messaggio che si muove lungo l'odiosa associazione Italia = mafia;
   un docente di storia dell'Europa presso la Royal Holloway di Londra, Andrea Mammone, calabrese, si è imbattuto in questa vergognosa pubblicità, e ha sollevato il caso aggregando intorno a sé, in una battaglia contro questa immagine distorta del nostro Paese, molti italiani all'estero;
   è partita, così, una campagna di protesta centrata, soprattutto sulla realtà di tanti che ogni giorno combattono contro le mafie e la criminalità nel nostro Paese;
   la mobilitazione ha prodotto rapidamente un intervento dell'ambasciata italiana a Londra, che ha contattato la PR Agency, autrice della campagna pubblicitaria, che a sua volta si è messa in contatto con i produttori;
   in seguito a questi interventi, la Shay & Blue si è scusata per il messaggio offensivo e irrispettoso, assicurando che il marketing message sarebbe mutato;
   in realtà, il messaggio offensivo è sparito solo da internet, mentre rimane nella cartellonistica e nei punti vendita;
   il caso londinese, di una indebita, offensiva, macabra assonanza tra l'Italia e la mafia nella promozione commerciale e pubblicitaria di prodotti che riferiscono al nostro Paese, non è l'unico; anzi, tanti episodi simili vengono segnalati da altre parti del mondo;
   appare evidente che tali operazioni determinano un danno morale e materiale enorme per l'Italia, la cui immagine viene gravemente compromessa da una sovrapposizione assolutamente arbitraria tra il Paese e alcuni fenomeni criminali;
   si rende necessaria, a parere della interrogante, una reazione forte, decisa, del nostro Paese, contro queste operazioni di comunicazione e pubblicità che danneggiano l'Italia –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative, nei limiti delle proprie competenze, il Governo intenda assumere per stigmatizzare e fermare tali campagne pubblicitarie, che determinano un danno enorme per l'immagine dell'Italia. (4-05844)

  Risposta. — A seguito di segnalazioni provenienti dalla comunità italiana all'estero, l'ambasciata d'Italia a Londra è venuta a conoscenza, nel luglio scorso, di una campagna promozionale della linea di fragranze «Sicilian Limes», prodotta dall'azienda Shay and Blue, che, attraverso collegamenti infelici tra l'Italia – e in particolare la Sicilia – e il fenomeno mafioso, presentava contenuti offensivi e lesivi dell'immagine della Regione e del nostro Paese.
  L'ambasciata d'Italia a Londra ha preso pertanto tempestivamente contatto con il
management dell'agenzia pubblicitaria responsabile del marketing del prodotto e, per suo tramite, con la stessa azienda produttrice Shay and Blue, rappresentando quanto il messaggio pubblicitario proposto fosse offensivo, inappropriato e irrispettoso – soprattutto per la memoria delle vittime della mafia e dei loro familiari. È stato quindi richiesto un cambiamento della campagna pubblicitaria che, accompagnato alle scuse della stessa Shay and Blue, è avvenuto pochi giorni dopo.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nell'assicurare la massima dedizione nel compimento della sua missione istituzionale di tutela degli interessi e dell'immagine del Paese e dei suoi cittadini all'estero, continuerà a mantenere, rispetto all'insorgenza di analoghi fenomeni, un elevato livello di attenzione e vigilanza.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   BRANDOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 marzo 2014 l'ammiraglio di squadra Franco Paoli ha ultimato l'incarico di presidente nazionale della Lega navale italiana per scadenza del mandato triennale e che, in data 14 maggio, è scaduta la proroga di 45 giorni prevista dall'articolo 3 comma 1 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293;
   solo in data 30 giugno 2014, ben oltre quindi la data di scadenza della predetta proroga, il Consiglio dei ministri ha deliberato la nomina dell'ammiraglio di squadra Giuseppe Lertora a presidente della Lega navale italiana;
   alla data odierna non risulta formalizzato il decreto del Presidente della Repubblica previsto per tale nomina dall'articolo 69, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, e pertanto, la Lega navale italiana, ente pubblico non economico, a base associativa e senza finalità di lucro, è materialmente impedita da oltre 5 mesi a condurre le attività connesse con i propri fini istituzionali tra i quali prevalgono quelli di protezione ambientale e di promozione e utilità sociale;
   la Lega navale italiana, che opera attraverso una struttura periferica di circa 250 sezioni, delegazioni e centri nautici distribuiti sull'intero territorio nazionale e alla quale aderiscono circa 60.000 Soci, quale ente a base associativa non gravante sulla finanza pubblica, rientra nella previsione normativa di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 –:
   se sia vero che l'ufficio legislativo del Ministero della difesa abbia richiesto, in data 15 settembre 2014 allo Stato maggiore della marina militare di acquisire e trasmettere, al medesimo ufficio, una formale rinuncia scritta e non condizionata a qualsivoglia indennità/compenso da parte dell'ammiraglio Lertora, senza la quale non si sarebbe potuto procedere a perfezionare il provvedimento di nomina, a titolo gratuito e solo per un anno;
   se sia vero che tale richiesta sia stata originata dal convincimento che l'incarico di presidente nazionale della Lega navale italiana rientri nella previsione normativa di cui all'articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012 – così come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014, nonostante il predetto articolo 5 sia rubricato «Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni» e che il citato articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013 sancisca, tra l'altro, che gli enti aventi natura associativa si adeguino con propri regolamenti ai princìpi di razionalizzazione e contenimento della spesa in quanto non gravanti sulla finanza pubblica;
   quali siano le motivazioni che hanno indotto a mantenere la designazione dell'ammiraglio Lertora a presidente della Lega navale italiana per un anno con possibile pregiudizio nelle attività della Lega navale italiana e non invece, giusta articolo 69, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, che fissa in tre anni la durata della carica, a designare altro nominativo in possesso dei requisiti richiesti;
   quali iniziative intenda promuovere per sbloccare la situazione di «impasse» che si è creata nella procedura di nomina del presidente nazionale della Lega navale italiana – parallelamente in quella del vice presidente nazionale per il quale valgono fatti e considerazioni analoghi – atteso, tra l'altro, che se le nomine fossero avvenute entro i termini previsti, la stessa avrebbe preceduto l'entrata in vigore del decreto-legge n. 90 del 2014;
   se la modifica introdotta dall'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014 all'articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012 debba essere interpretata nel senso che essa non si applica agli enti di natura associativa in quanto tali enti non rientrano nell'ambito delle amministrazioni pubbliche di cui all'elenco ISTAT e pertanto non incidono sul rispetto dei vincoli di finanza pubblica. (4-06764)

  Risposta. — La lega navale italiana è un ente pubblico non economico, senza finalità di lucro, a base associativa, posto sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica e vigilato dai Ministeri della difesa e delle infrastrutture e trasporti.
  Il comma 2-
bis) dell'articolo 2 del decreto legge 31 agosto 2013 n. 101, stabilisce, tra l'altro, che gli enti aventi natura associativa si adeguino con propri regolamenti ai princìpi di razionalizzazione e contenimento della spesa in quanto non gravanti sulla finanza pubblica.
  Alla lega navale italiana risultano corrisposti dallo Stato, a partire dal 2010 (senza contare, per brevità, le contribuzioni pubbliche antecedenti) 48.199 euro così ripartiti:
   euro 13.600 con decreto interministeriale Difesa – Ministero dell'economia e delle finanze 1o dicembre 2010;
   euro 4.099 con decreto interministeriale Difesa – Ministero dell'economia e delle finanze 25 maggio 2011;
   euro 16.050 con decreto interministeriale Difesa – Ministero dell'economia e delle finanze 17 settembre 2012;
   euro 14,450 con decreto interministeriale Difesa – Ministero dell'economia e delle finanze 31 dicembre 2013.

  Da tali elementi fattuali risulta che, pur se in percentuale minima rispetto alle entrate complessive derivanti dalle quote associative, sussiste anche una parte di attivi di derivazione pubblica che, obiettivamente, non consente di iscrivere l'ente in argomento fra i soggetti pubblici non gravanti sulla finanza pubblica. Pertanto, come espressamente indicato dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato con foglio n. 90548 del 19 novembre 2014, non appare affatto pacifica la pretesa applicabilità alla lega del richiamato comma 2-bis) dell'articolo 2 del decreto legge n. 101 del 2013.
  Quel che rileva maggiormente sono, però, le disposizioni introdotte dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, di conversione del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che – modificando il comma 9, dell'articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95 – ha istituito il divieto per le pubbliche amministrazioni (definite dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001) di conferire a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza, incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo nelle amministrazioni medesime, ovvero negli enti o società da esse controllati, se non a titolo gratuito e per la durata di un solo anno non rinnovabile né prorogabile.
  Tale norma è entrata in vigore durante l’
iter di nomina, a presidente della lega navale, dell'ammiraglio in quiescenza citato nell'atto.
  Si tratta, in buona sostanza, del classico caso di norma di rango primario, che implicitamente abroga, ponendole nel nulla, tutte le disposizioni di rango inferiore in contrasto, come quelle sulla durata dell'incarico, richiamate nell'atto ispettivo e rinvenibili nel decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 e, allo stesso modo, quella statutaria sull'ammissibilità, come nel caso di specie, di emolumenti (peraltro già consistenti) per l'esercizio della carica di presidente.
  Per queste ragioni, prima della definitiva formalizzazione della nomina con decreto presidenziale, è stato indispensabile, per gli uffici della Presidenza e della Difesa, acquisire per iscritto il consenso informato del nominando circa l'indispensabile applicazione delle due nuove disposizioni, concernenti gratuità e durata dell'incarico.
  A fronte della richiesta in tal senso inoltrata il 19 settembre 2014, lo Stato maggiore della Marina ha comunicato la rinuncia da parte dell'interessato alla formalizzazione della nomina.
  La Marina militare sta formalizzando una nuova designazione del presidente nazionale e del vice presidente nazionale della lega navale, ai sensi degli articoli 69 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 e in linea con le nuove disposizioni di legge.
  Verificato il possesso dei previsti requisiti di legge, la loro candidatura verrà sottoposta all’
iter di nomina comprendente le deliberazioni del Consiglio dei Ministri e il parere del Parlamento.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   CAPOZZOLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, in relazione al black-out del 28 settembre 2003, sono state presentate contro Enel Distribuzione spa, numerose richieste stragiudiziali e giudiziali di indennizzi automatici e di risarcimento di danni da parte di consumatori finali;
   tali richieste hanno dato luogo a un significativo contenzioso dinanzi ai Giudici di Pace, concentrato essenzialmente nelle regioni Campania, Calabria e Basilicata, per una cifra totale di circa 250.000 giudizi;
   in primo grado tali giudizi si sono conclusi per circa due terzi con sentenze a favore dei ricorrenti (con condanna di Enel al pagamento di indennizzo e spese legali) mentre i giudici di tribunale che si sono pronunciati in sede di appello hanno quasi tutti deciso a favore di Enel Distribuzione, motivando sia in relazione alla carenza di prova dei danni denunciati, sia riconoscendo l'estraneità della società all'evento;
   le sentenze sfavorevoli a Enel Distribuzione sono state tutte impugnate davanti alla Corte di cassazione, che si è pronunciata a favore di Enel, confermando il primo orientamento, già emesso con le ordinanze (numeri 17282, 17283 e 17284) del 23 luglio 2009, che, accogliendo i ricorsi e rigettando le domande dei clienti, ha escluso tassativamente la responsabilità di Enel Distribuzione: la Suprema Corte di Cassazione, inoltre, ribaltando un precedente orientamento giurisprudenziale, ha negato la sussistenza del danno esistenziale per le cause di modesto importo economico, quali quelle promosse contro l'Enel, Telecom, limitandone l'esistenza solo ai diritti costituzionalmente garantiti;
   dal mese di maggio 2008, Enel, attraverso le proprie Compagnie assicuratrici, ha intrapreso una serie di azioni finalizzate all'ottenimento del rimborso di quanto già pagato in esecuzione delle sentenze sfavorevoli;
   a detta delle associazioni di tutela dei consumatori che si stanno occupando della vicenda, Enel Distribuzione, per raggiungere tale scopo, ha affidato ad una società di riscossione, il compito di recuperare le somme richieste;
   il recupero di queste somme si sta effettuando con l'invio di migliaia di lettere con richiesta rimborso indennizzo e spese legali;
   si sta generando un vero e proprio allarme sociale nella comunità del Cilento e dell'intera provincia di Salerno, già debilitate da un grave quadro di congiuntura economica, provocato dall'arrivo di migliaia di raccomandate attraverso le quali sono state richieste le somme precedentemente citate –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti presentati in premessa e quale sia il loro orientamento e se intendano promuovere le azioni necessarie per favorire un confronto tra le parti che arrivi ad una possibile conciliazione. (4-06729)

  Risposta. — Con riferimento al black-out occorso il 28 settembre 2003, citato nell'interrogazione in esame, si evidenzia, innanzitutto, che gli standard tecnici e gli eventuali malfunzionamenti e/o disservizi afferenti alla qualità tecnica del servizio di fornitura di energia elettrica e, nello specifico, gli episodi d'interruzione dell'erogazione di energia elettrica costituiscono materia d'esclusiva competenza dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (di seguito Autorità) e sono da essa specificatamente disciplinati.
  Sono, infatti, disciplinate dall'Autorità le tempistiche di ripristino della fornitura di energia elettrica, a seguito di interruzione delle linee elettriche e l'ammontare degli indennizzi automatici, in caso di mancato rispetto delle predette tempistiche.
  Il
black-out citato è stato il più importante della rete elettrica italiana ed ha causato disagi e danni materiali ad una moltitudine di consumatori finali, con conseguente richiesta di rifusione da parte di quest'ultimi. L’iter giudiziario, tuttavia, avviato dagli utenti finali nei confronti della società Enel distribuzione Spa, dopo una prima sentenza dell'Autorità giudiziaria favorevole agli utenti, si è concluso con la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, che ha condotto alla definitiva risoluzione del contenzioso a favore della società di distribuzione.
  L'azione intrapresa da Enel distribuzione Spa di recupero delle somme corrisposte ai consumatori finali a titolo di risarcimento danni (in ossequio alla sentenza di primo grado) trae, quindi, fondamento dal pronunciamento definitivo in sede giurisdizionale.
  Peraltro, da informazioni acquisite dalla società Enel distribuzione Spa, risulta che gli importi che i clienti finali sono chiamati a restituire sono di esigua entità e si attesterebbero su cifre a partire da un minimo di poche centinaia di euro ad un massimo di un migliaio d'euro, non sembrerebbe, quindi, necessario, a parere della stessa società, ricorrere a forme generalizzate di rateizzazione.
  Infine, con riferimento alla richiesta di promozione di una possibile azione di conciliazione tra le parti coinvolte, si rappresenta che l'istituto della conciliazione è una procedura alternativa rispetto all'azione giudiziaria, pertanto non è ad essa sovrapponibile né si ritiene avrebbe significato ricorrervi in via secondaria.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CATALANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il 6 marzo 2012 presso il tribunale militare di Verona si sarebbe verificato un episodio discriminatorio a danno di un dipendente civile del Ministero della difesa, oggetto di richiamo in quanto portatore di capelli lunghi e abbigliamento informale, ritenuti non consoni all'ufficialità dell'ente;
   come dichiarato dall'ente stesso, nella risposta all'istanza di accesso agli atti presentata dal dipendente il 30 aprile 2013, non sussistono ordini di servizio e/o direttive scritte dell'ente in materia di canoni estetici e di abbigliamento per il personale a status civile in servizio presso l'ente medesimo, adottati entro il 18 aprile 2012;
   risulta all'interrogante che il lavoratore abbia presentato le proprie dimissioni per giusta causa dichiarando che, non essendosi adeguato all'ordine, sarebbe stato oggetto di ulteriori condotte tese al suo isolamento, quali la privazione per oltre un mese di un'autonoma postazione di lavoro e l'esperimento contro lo stesso di iniziative disciplinari, sino ad innescare documentate patologie a carattere psicologico;
   con reclamo del 05 luglio 2013, il lavoratore, rivolgendosi al Garante per la protezione dei dati personali, ha lamentato che il responsabile della gestione del personale civile del tribunale militare di Verona, al di fuori di ogni normativa attinente alla gestione del personale in malattia, avrebbe contattato telefonicamente il medico di base del citato dipendente, contestando il fatto che fosse stato concesso al lavoratore un ulteriore periodo di malattia;
   con provvedimento del 10 aprile 2014 il Garante per la protezione dei dati personali, «ritenuta illecita nei termini di cui in motivazione la comunicazione di dati personali riferiti al reclamante effettuata nell'ambito della comunicazione telefonica intercorsa tra la responsabile del personale del Tribunale militare e il medico che aveva redatto le certificazioni sanitarie (riferite al reclamante), ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera b) e 154, comma 1, lettera c) del Codice prescrive al Ministero della Difesa – Direzione generale per il personale civile, di adottare opportune misure, idonee a conformare il trattamento dei dati personali alle disposizioni previste dal Codice, con particolare riferimento alla comunicazione di dati personali dei dipendenti»;
   diversi fatti di cui alla presente interrogazione sono stati oggetto, in sede di Unione europea, di interrogazione a risposta scritta (E-010994-13) alla Commissione europea;
   la Commissione, in data 21 novembre 2013, ha ritenuto di non aver titolo per intervenire e che la questione debba essere trattata in ambito nazionale;
   risulta all'interrogante che, in una società democratica e pluralista, l'aspetto esteriore di un cittadino, dipendente civile della pubblica amministrazione, possa essere limitato solo sulla base di necessità igieniche e di pubblico decoro, strettamente inteso, e che entro tali limiti anche la tenuta di barba e capelli lunghi sia pienamente lecita;
   la vicenda sopra descritta appare all'interrogante come un possibile caso di discriminazione dei lavoratori in ragione del loro aspetto estetico, in assenza di qualsiasi normativa contraria che possa imporre ad un dipendente civile che svolge attività presso un ufficio giudiziario militare di avere i capelli corti e un abbigliamento formale con giacca e cravatta –:
   di quali notizie disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda promuovere per dare esecuzione al provvedimento del Garante dei dati personali di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa di competenza finalizzata a fare chiarezza in relazione all'indicato episodio. (4-05528)

  Risposta. — Non risulta che il dipendente civile menzionato nell'interrogazione sia mai stato sottoposto, durante il servizio svolto presso il tribunale militare di Verona, a trattamenti discriminatori per ragioni attinenti all'abbigliamento o al taglio di capelli.
  Tanto si evince da quanto rappresentato dalla corte militare di appello che, a seguito della disamina di esaurienti, motivate e documentate relazioni di servizio trasmesse dal suindicato tribunale, ha ritenuto di poter constatare l'insussistenza di comportamenti vessatori o l'attuazione di condotte persecutorie da parte dei dirigenti giudiziari e amministrativi nei confronti dell'interessato.
  La medesima corte militare ha anche constatato che le uniche iniziative adottate nei confronti del personale in servizio sono state sempre fondate su circostanze attinenti alle modalità di adempimento delle dovute prestazioni lavorative e al rispetto del dovere di presenza in ufficio.
  Con riferimento, poi, all'asserita
«privazione per oltre un mese di un'autonoma postazione di lavoro», risulta agli atti che, alla sua presentazione in servizio presso il tribunale militare di Verona, in assenza in quel momento di diversa possibilità di materiale sistemazione, all'interessato fu assegnata provvisoriamente una postazione di lavoro, nell'attesa dell'imminente collocamento a riposo di altro dipendente più anziano.
  Per ciò che concerne le azioni disciplinari, di cui pure è cenno nell'atto, si evidenzia che le stesse traggono origine da gravi comportamenti del dipendente, al vaglio anche delle competenti autorità giudiziarie penali.
  Avuto riguardo, invece, alla possibilità di
«assumere ogni iniziativa di competenza finalizzata a fare chiarezza in relazione all'indicato episodio», si osserva che l'acquisizione di compiuti ed esaustivi elementi istruttori sulle circostanze evidenziate nell'interrogazione in esame induce a ritenere non percorribile la strada indicata dall'interrogante.
  Per quanto riguarda, infine, l'esposto presentato al garante per la protezione dei dati personali, si partecipa che quell'autorità, con provvedimento n. 187 del 10 aprile 2014, avendo ritenuta illecita la comunicazione dei dati personali del dipendente in questione, nell'ambito di una conversazione telefonica tra il responsabile del personale presso il tribunale militare di Verona e il medico autore delle certificazioni di malattia, ha prescritto alla direzione generale per il personale civile del dicastero di adottare opportune misure, idonee a conformare il trattamento dei dati personali alle disposizioni previste dal «Codice in materia di protezione dei dati personali», di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
  In precedenza, con lettera del 25 ottobre 2013, la citata autorità aveva chiesto chiarimenti in merito alla segnalazione del 28 maggio 2012, con la quale l'interessato aveva lamentato che durante la propria assenza per malattia, regolarmente certificata dal medico competente, il tribunale militare di Verona e, segnatamente, la responsabile dell'ufficio personale, avesse contattato arbitrariamente il medico redattore dei certificati di malattia comunicando che il suo assistito, nei giorni in cui veniva dichiarato malato, si era recato ad un convegno per svolgere attività di rappresentante di lista al seggio elettorale.
  Nel merito di tali questioni, il tribunale militare di Verona con relazione trasmessa al garante in data 10 ottobre 2012, aveva avuto modo di precisare le circostanze nelle quali quella telefonata era stata effettuata, evidenziando come l'interessato, assegnato al tribunale il 5 marzo 2012, dal 18 aprile 2012 avesse interrotto l'attività lavorativa senza riprendere servizio, continuando ad inoltrare certificati medici, rispetto ai quali l'ente di appartenenza si era trovato a gestire una situazione oggettivamente difficile per l'esistenza di notizie contrastanti.
  Si sottolinea, comunque, che lo stesso garante ha evidenziato come la responsabile del personale del tribunale militare avesse comunicato al medico autore delle certificazioni sanitarie informazioni di natura non sensibile.
  Tanto premesso, con riferimento alle iniziative da
«promuovere per dare esecuzione al provvedimento del Garante dei dati personali...», si partecipa che la competente direzione generale per il personale civile, ha impartito istruzioni agli enti dipendenti con direttiva dell'11 giugno 2014, pubblicata sul sito www.persociv.difesa.it, circolari e altra documentazione - voce assenze.
  La suddetta direttiva, nel richiamare il provvedimento del garante n. 187 del 10 aprile 2014, con particolare riferimento ai poteri di controllo del datore di lavoro e ai relativi limiti, concludeva che «a fronte delle precisazioni del Garante, considerato che la disciplina vigente non risulta contemplare attività di accertamento svolte dal datore di lavoro direttamente presso il medico che redige la certificazione sanitaria, si raccomanda di evitare attività di controllo per via telefonica e comunque di non trattare dati personali nel corso di eventuali comunicazioni telefoniche».

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si è svolto, in numerosi comuni italiani, il turno di ballottaggio per l'elezione dei relativi sindaci e fra questi comuni v’è anche la città di Acireale in Sicilia;
   come si apprende dalla stampa, uno dei due candidati, Roberto Barbagallo, sarebbe coinvolto in una vicenda concernente un abuso edilizio, nell'ambito della quale lo stesso comparirebbe come direttore dei lavori, relativamente ad uno stabile in cui dimorano i suoceri;
   il medesimo Barbagallo ha sempre negato l'evidenza dei fatti e il 20 maggio 2014 ha, financo, scritto al sindaco uscente una lettera in cui parlava di «inesistente abuso edilizio, che sarebbe stato commesso dai miei familiari nel quale io figurerei come direttore dei lavori» –:
   se non intenda adottare iniziative normative per garantire dinanzi agli elettori la massima trasparenza della posizione dei singoli candidati a cariche elettive comunali, anche con riferimento all'eventuale sussistenza di illeciti nei confronti del comune stesso. (4-05069)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto, l'interrogante, prendendo spunto dalla vicenda di un abuso edilizio nella quale sarebbe coinvolto come direttore dei lavori il signor Roberto Barbagallo, diventato poi sindaco di Acireale, richiama l'attenzione del Ministro dell'interno sull'esigenza di adottare interventi normativi volti a garantire agli elettori la massima trasparenza della posizione dei singoli candidati a cariche elettive comunali.
  Rilevato preliminarmente che la fattispecie dell'abuso edilizio non rientra tra le cause di incandidabilità alla carica di sindaco, si comunica – sulla base delle informazioni assunte dalla prefettura di Catania –, che, a seguito di un esposto per presunto abuso edilizio, pervenuto al comune di Acireale il 2 settembre 2013, operatori della polizia municipale e della sezione urbanistica di quell'ente locale hanno effettuato un sopralluogo presso l'immobile di proprietà dei suoceri dell'attuale sindaco.
  L'esame della documentazione e i rilievi effettuati hanno evidenziato che le opere realizzate non hanno comportato un aumento di volume e superficie utile e che la parte di esse realizzata in difformità dalle autorizzazioni concesse può essere regolarizzata ai sensi dell'articolo 37 del decreto del presidente della Repubblica n. 380 del 2001.
  Il verbale di sopralluogo è stato ritualmente trasmesso alla procura della Repubblica del tribunale di Catania.
  Tanto premesso, si evidenzia come la richiesta di nuovi interventi normativi, avanzata dell'interrogante, si inserisca in un quadro normativo che testimonia già di un'elevata e consapevole attenzione del legislatore alla prevenzione e alla repressione dei fenomeni di intrusione nelle amministrazioni locali di soggetti appartenenti o collusi con la criminalità organizzata e, in generale, di coloro che per gravi motivi non possono ritenersi degni della fiducia popolare.
  In tal senso, si richiamano gli articoli 10 e 11 del decreto legislativo n. 235 del 2012 relativi all'incandidabilità alle cariche elettive negli enti locali e alla sospensione e decadenza di diritto dalle cariche medesime di coloro che siano stati destinatari di determinate sentenze di condanna o provvedimenti di prevenzione.
  Comunque, si manifesta la disponibilità ad aprire un confronto collaborativo in sede parlamentare, in presenza di proposte normative volte a una più ampia applicazione dei princìpi di legalità e trasparenza negli enti locali in occasione delle consultazioni elettorali, fin dalla fase della presentazione delle liste dei candidati alle cariche elettive.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   così come ampiamente previsto e più volte denunciato agli organi competenti, con l'arrivo del primo caldo stagionale, la Sicilia è stata interessata da diverse emergenze incendi occorse in tutte le province della Sicilia;
   per fronteggiare le stesse, in alcuni casi, sono state chiamate ad operare in quei territori squadre provenienti da altri Comandi. Complessivamente nelle giornate del 23 e 24 giugno 2014, i vigili del fuoco hanno svolto più di 600 interventi per spegnimento incendi che hanno interessato oltre mille ettari fra boschi e macchia mediterranea. Inoltre, la mancanza di misure di prevenzione e cura del territorio si stanno acuendo le criticità sul fronte degli incendi boschivi;
   la regione siciliana non ha ancora disposto la realizzazione dei viali parafuoco a difesa dei boschi demaniali e la ripulitura delle aree perimetrali dalle erbe secche. Anche gli enti locali, purtroppo, non effettuano le opere di manutenzione di loro competenza, spesso per mancanza di risorse economiche;
   in questo quadro preoccupante, sono ancora una volta in prima linea i vigili del fuoco che affrontano gli incendi con professionalità e sacrificio;
   in alcuni casi si è dovuto ricorrere al richiamo di personale libero dal servizio, utilizzare automezzi di un parco macchine inadeguato, poiché obsoleto e non idoneo a poter operare su terreni impervi, acuendo di fatto una situazione che, di per sé, risulta ormai critica da tempo;
   è solo un piccolo anticipo di ciò che potrebbe accadere nell'immediato futuro, riteniamo opportuno e non procrastinabile una seria presa di coscienza che porti ad individuare celeri ed idonee soluzioni utili a salvaguardare gli utenti, il patrimonio demaniale e gli stessi operatori vigili del fuoco;
   anche per quest'anno, così come accaduto per quello passato, la regione Siciliana non ha rinnovato la convenzione AIB. Ciò avrebbe consentito un importante potenziamento del dispositivo di soccorso garantito dai vigili del fuoco attraverso la formazione di 16 squadre aggiuntive, utile a garantire uno standard di sicurezza più adeguato alla popolazione e alle necessità straordinarie;
   non va altresì sottovalutato l'aspetto legato alla sicurezza stessa dei vigili del fuoco chiamati inevitabilmente a fronteggiare queste emergenze, che rispondendo con il solito spirito di sacrificio ed abnegazione saranno esposti ad insopportabili affaticamenti fisici e psicofisici che potrebbero anche far abbassare pericolosamente la soglia di attenzione;
   il 17 giugno 2014, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha emesso un comunicato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 139 del 18 giugno 2014 relativo alle «Attività antincendio boschivo per la stagione estiva 2014 – Individuazione dei tempi di svolgimento e raccomandazioni per un più efficace contrasto agli incendi boschivi, di interfaccia ed ai rischi conseguenti»;
   a giudizio dell'interrogante e della Confsal-Vigili del fuoco sarebbe opportuna la costituzione, anche in Sicilia, di una cabina di regia al fine d'individuare soluzioni utili a salvaguardare il patrimonio faunistico siciliano e che allo stesso tempo consenta ai vigili del fuoco di poter pianificare l'utilizzo delle risorse umane presenti in regione, oltre a coordinare meglio e più efficacemente tutte le risorse in campo;
   i vigili del fuoco siciliani oltre a contrastare l'emergenza incendi, da tempo fronteggiano anche quella degli immigrati (per la gestione dalla quale vengono giornalmente distolte delle unità operative dal soccorso tecnico urgente, acuendo le già note carenze di organico) e bisogna intervenire con ogni urgenza affinché il sistema vigili del fuoco non collassi –:
   quali provvedimenti intendano adottare i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-05437)

  Risposta. — La lotta attiva contro gli incendi boschivi impegna in modo massiccio, specie nel periodo estivo, le strutture operative del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Preliminarmente, si evidenzia che la competenza primaria in materia è attribuita alle regioni, ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, salvo lo spegnimento con mezzi aerei, mantenuto alla competenza dello Stato.
  Tale assetto normativo è stato confermato e rafforzato, a favore delle regioni, dalla legge quadro sugli incendi boschivi 21 novembre 2000, n. 353, che ha attribuito alle stesse il compito di definire e programmare, mediante apposito «piano regionale» le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi, per la cui attuazione le Regioni medesime possono, tra l'altro, stipulare apposite convenzioni con il Ministero dell'interno per l'impiego di personale e mezzi del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Per quanto riguarda la regione siciliana, si precisa che la stessa per l'anno 2014, così come per l'anno precedente, non ha stipulato alcuna convenzione con questa amministrazione per la lotta gli incendi boschivi.
  Tuttavia, per potenziare il dispositivo di soccorso ordinario del corpo nazionale in Sicilia, su richiesta della direzione regionale vigili del fuoco competente, sono stati effettuati 1.328 richiami di personale vigile del fuoco volontario a orario discontinuo, finalizzati all'implementazione delle squadre operanti nei distaccamenti permanenti e volontari del corpo e all'attivazione dei distaccamenti stagionati nel periodo giugno-agosto 2014.
  Si rappresenta, inoltre, che nel periodo estivo sono stati operativi, per la campagna antincendi boschiva 2014 del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, 2 velivoli canadair presso l'aeroporto di Birgi (Trapani), 1 elicottero con benna antincendio presso il nucleo elicotteri vigili del fuoco di Catania e, infine, 4 velivoli canadair presso l'aeroporto di Lamezia Terme operativi anche per il territorio siciliano.
  Infine è da segnalare che questa amministrazione, al fine di potenziare la flotta per la campagna AIB 2014, ha sottoscritto a fine giugno scorso con il coordinamento del dipartimento della protezione civile, tre accordi rispettivamente con lo Stato maggiore esercito, con lo Stato maggiore marina e con il corpo forestale dello Stato per lo schieramento di ulteriori aeromobili ad ala rotante appartenenti a tali corpi.
  Gli accordi sopracitati hanno permesso lo schieramento, dai primi giorni del mese di luglio, di ulteriori assetti aerei: 1 elicottero CH47 dell'esercito con capacità di 5.000 lt (con base a Viterbo), 1 elicottero AB206 dell'esercito con capacità di 800 lt (con base a Cagliari), 1 elicottero AB212 della marina con capacità di 800 lt (con base a Grottaglie), 1 elicottero AB212 della marina con capacità di 800 lt (con base a Catania) e 1 elicottero S64 del corpo forestale con capacità di 9.000 lt (con base a L'Aquila-Preturo).

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CIRIELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 aprile 2013 il CO.CE.R. Difesa ha deliberato ed inviato agli organi di stampa un proprio comunicato stampa, riguardante la triste vicenda dei fucilieri della Marina militare Salvatore Girone e Massimiliano La Torre, a sostegno di uno analogo, emesso in pari data dal CO.CE.R. Marina militare;
   con tali comunicazioni ufficiali, i predetti organi della rappresentanza militare hanno chiesto con rispettosa determinazione di poter incontrare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa ed il Vice Ministro degli affari esteri per poter ricevere un punto di situazione sulla vicenda chiarificatrice e completa;
   suddetto incontro è considerato indispensabile per gli organi in questione, al fine di poter svolgere compiutamente il loro mandato rappresentativo, stante l'impossibilità di svolgere audizioni, come previsto dalla normativa vigente, presso le Commissioni difesa di entrambi i rami del Parlamento, a causa del fatto che le stesse Commissioni non sono ancora insediate;
   risulta quantomai importante per i suddetti consigli di rappresentanza poter, in un siffatto ambito, confrontarsi con l'Esecutivo circa i contenuti della normativa attualmente regolante il servizio a bordo di navi civili di personale militare appartenente alle Forze armate. Ciò al fine di poter tutelare in modo adeguato il personale rappresentato che, come hanno dimostrato i fucilieri di Marina Girone e La Torre, è costituito da ufficiali in grado di anteporre il loro senso dell'onore e spirito di servizio alla loro vita ed ai loro affetti;
   risulta all'interrogante che in data 16 aprile 2013 il consiglio centrale di rappresentanza interforze ha fatto propria, con un'apposita delibera, la predetta richiesta di incontro di fatto rinnovando l'urgenza della stessa –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, anche in considerazione del delicato momento istituzionale, possa assicurare in tempi rapidi al consiglio centrale interforze l'incontro richiesto, fornendo in tale ambito ogni possibile informazione e risposta volta a porre il consiglio interforze nelle condizioni di poter svolgere compiutamente il proprio mandato nel pieno rispetto delle giuste esigenze di informazione e tutela del personale rappresentato. (4-00283)

  Risposta. — In relazione ai contenuti dell'interrogazione in esame, con cui il Cocer Marina militare ha chiesto «di poter incontrare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa ed il Vice Ministro degli affari esteri», rendo noto che si tratta di procedure non contemplate dalla vigente normativa in materia, in quanto aventi ad oggetto richieste di audizione con cariche istituzionali diverse dal vertice di questo Dicastero.
  Si segnala, tuttavia, proprio in merito, alla vicenda dei due Marò, che i delegati del consiglio centrale di rappresentanza interforze hanno avuto l'opportunità di incontrare, in data 28 gennaio 2014, l'inviato speciale del Governo, ambasciatore Staffan De Mistura, e il Capo di Stato maggiore della difesa per acquisire informazioni sulla vicenda, manifestando al contempo un vivo plauso per il concreto impegno profuso dal Governo nella questione.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   COLONNESE, TOFALO, MICILLO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la reggia di Capodimonte che domina il golfo di Napoli dall'alto del bosco omonimo, fu voluta da Carlo di Borbone nel 1700 ed oggi ospita uno dei musei più importanti della città con opere d'arte di Tiziano, Caravaggio, Botticelli, Goya, Masaccio e altri illustri artisti. Tutto intorno all'imponente edificio museale c’è il parco di Capodimonte circondato da circa 124 ettari di bosco, che rappresentano il giardino della reggia attualmente accessibile al pubblico gratuitamente durante le ore diurne;
   la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, la soprintendenza BAPSAE di Napoli e provincia e la direzione del Real Bosco di Capodimonte, in collaborazione con Slow Food Campania e Lande, il 23 novembre 2013 presentava il progetto del giardino delle delizie che prevedeva il ripristino delle antiche produzioni impiantate nel periodo borbonico. Il progetto nasceva nel 2011 e nel gennaio 2014 il Ministero avrebbe dovuto avviare un bando per la gestione dell'area da affidare a una società con partecipazione statale e privata;
   agli interroganti sarebbero giunte lamentele circa lo svolgimento di festeggiamenti nel parco di Capodimonte; ove tali circostanze trovassero conferma, ciò denoterebbe, ad avviso degli interroganti, una gestione non condivisibile e adeguata di beni pubblici di inestimabile valore storico e culturale come il museo di Capodimonte;
   la Commissione europea ha lanciato in ottobre 2013 la seconda edizione del Concorso europeo social innovation con l'obiettivo di trovare le migliori soluzioni per contenere la disoccupazione e ridurre al minimo i suoi effetti corrosivi per l'economia e la società. Attualmente fra i dieci finalisti risulta un progetto finalizzato a sviluppare all'interno del Bosco di Capodimonte una serie di attività produttive, servizi di accoglienza per i turisti e la creazione di un laboratorio di ceramica aperti al pubblico;
   nel dicembre del 2013 l'ex soprintendente ai beni architettonici, storici, artistici Stefano Gizzi, l'ex responsabile del servizio di protezione del parco di Capodimonte, Renzo Biagioni, e il direttore della struttura, Guido Gullo, sono stati rinviati a giudizio con l'accusa di omicidio colposo per la morte di Antonio Barbatelli, avvenuta nel 2011, in seguito ad un incidente mentre faceva jogging. Secondo l'accusa il ventenne cadde in un dirupo a causa del cattivo stato di manutenzione del parco –:
   se sia a conoscenza di quanto premesso;
   a quale società sia stata assegnata la gestione del bosco e del parco di Capodimonte mediante bando disposto dal ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   se ritenga opportuno che sia stabilito un corrispettivo in denaro per il transito pedonale nel bosco o del parco di Capodimonte, o se al contrario ritenga di fondamentale importanza tutelare la gratuità dell'accesso al pubblico a quello che rappresenta il polmone verde della città di Napoli;
   se non ritenga opportuno evitare che beni parte del patrimonio artistico e culturale dell'Italia quali la reggia di Capodimonte siano utilizzati in modo che agli interroganti appare incongruo e se non intenda pertanto tutelare la storia e la cultura del nostro Paese ed evitare al contempo un accesso ai beni in questione poco confacente alla natura degli stessi;
   se intenda adoperarsi immediatamente al fine di avviare adeguate opere di manutenzione del parco di Capodimonte come del bosco omonimo per scongiurare gravi incidenti come quello che è costato la vita al giovane Antonio Barbatelli nel 2011 e, al contempo, valorizzare in modo opportuno l'area in questione senza alterarne la tradizionale bellezza. (4-04510)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si chiedono notizie relativamente alla gestione e all'utilizzo del Real Bosco di Capodimonte, e, in particolare se si ritenga di fondamentale importanza tutelare la gratuità dell'accesso, evitare utilizzi impropri e fare quanto necessario per evitare gravi incidenti come quello – mortale – occorso nel 2011, si comunica quanto segue.
  Quanto all'utilizzo del bene, la soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia ha comunicato di non aver mai organizzato direttamente né autorizzato festeggiamenti nel Parco di Capodimonte. Ha, invece, sempre autorizzato corse campestri con finalità socio educative, manifestazioni con il coinvolgimento degli enti territoriali istituzionali e delle scolaresche a fini divulgativi e didattici, convegni istituzionali sui temi del restauro dei giardini storici e delle architetture monumentali sia con le università che con gli organismi del Ministero. Tutte le manifestazioni organizzate sono state sempre rispettose del decoro del sito e consone con i caratteri storici e culturali, nello spirito di cui al codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42).
  Quanto alla prospettiva di valorizzazione, la soprintendenza, d'accordo con la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, riprendendo l'antica tradizione borbonica, secondo la quale il sito reale veniva aperto al popolo in occasione della festa del 15 agosto, dedicata all'Assunta, e del 23 novembre, dedicata a San Clemente, santi cui era devoto il sovrano Ferdinando I Re delle due Sicilie, ha colto l'occasione della festa di San Clemente per presentare al pubblico e agli organi di stampa (giornali, RAI e televisioni locali) il progetto di valorizzazione del giardino e casamento Torre, del giardino della Fruttiera di Basso, della Capraia, della Porta di Mezzo, del Cisternone, del Cellaio, della chiesa di San Gennaro e dell'ex Eremo dei Cappuccini finanziato con i fondi comunitari POIn – «Attrattori culturali, naturali e turismo» del Fondo europeo di sviluppo regionale per gli anni 2007-2013.
  Il progetto ha come obiettivo la valorizzazione sostenibile del sito, puntando sul recupero e l'innovazione delle attività produttive e sulla promozione di attività capaci di realizzare un ciclo virtuoso che coniuga obiettivi di tutela, di formazione e sviluppo con l'attuale funzione prevalente di «parco pubblico cittadino», al fine di realizzare una gestione sociale ed economica che tenga conto dei valori complessivi del sito.
  Elementi fondamentali del progetto sono il restauro e rifunzionalizzazione degli edifici per lo svolgimento delle varie attività e la definizione di nuove forme di gestione «partecipata». Per quest'ultimo aspetto, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania e la Soprintendenza per i B.A.P.S.A.E. di Napoli, hanno avviato alcune attività sperimentali per verificare la fattibilità di nuove forme di partenariato pubblico-privato basate sul modello innovativo di finanziamento come può essere il
crowdfunding.
  Le azioni di progetto – per la varietà e l'interdisciplinarità dei temi trattati – tendono a caratterizzare il sito reale sia come «azienda» sia come «laboratorio di conoscenza e del saper fare insieme» attraverso il coinvolgimento nella gestione del bene culturale di una pluralità di soggetti. Tra questi le aziende manifatturiere, agricole ed artigiane di eccellenza, le università, gli istituti di ricerca, le associazioni di categoria e, non ultimi, i cittadini, soprattutto quelli appartenenti alle fasce deboli.
  I lavori sono iniziati il 7 aprile 2014 e termineranno entro la fine del 2015. Solo una volta che sarà completato il restauro degli edifici, conformemente al progetto di restauro, verranno attivate le procedure per selezionare i soggetti cui affidare l'eventuale gestione dei servizi, connessi alle attività che si potranno svolgere nel parco.
  Il Ministero concorda con gli interroganti nel ritenere di fondamentale importanza la gratuità dell'accesso al pubblico, considerato che il Real Bosco di Capodimonte è patrimonio dell'intera città di Napoli, con una estensione di circa 134 ettari, 150.000 alberi d'alto fusto secolari, 450 entità vegetali accertate, 36 chilometri di viali, 10 ettari di praterie irrigate. Per le sue caratteristiche naturali, storiche e architettoniche e per il fatto che al suo interno è ubicato uno dei più importanti Musei del mondo, il sito rappresenta un
unicum in quanto al centro di una città metropolitana quale Napoli.
  Con riferimento all'incidente mortale avvenuto il 24 agosto 2011, si evidenzia come il sito sia frequentato da oltre un milione di visitatori all'anno. La soprintendenza ritiene, nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, di aver posto in essere tutte le attività di competenza per scongiurare l'evento lesivo.
  Per l'accertamento del fatto e delle responsabilità, è in corso un giudizio penale in primo grado, nel quale sono imputati l'architetto Stefano Gizzi, soprintendente
pro tempore, il geometra Renzo Biagioni, consulente del servizio di prevenzione e protezione e l'architetto Guido Gullo, funzionario della predetta soprintendenza.
  Infine, si fa presente che annualmente la soprintendenza, con i fondi assegnati, nei programmi ordinari di spesa, dal Ministero, provvede a effettuare lavori di manutenzione del patrimonio arboreo e vegetale, privilegiando tutti gli interventi connessi alla sicurezza dei visitatori e alla salvaguardia del Parco.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Giornale è comparsa una notizia, in merito ai compensi dei diplomatici italiani dislocati all'estero, che riportava i seguenti contenuti:
    «l'ambasciatore italiano a Parigi porta a casa 20.995 euro al mese, l'omologo tedesco 8.449; l'ambasciatore italiano a Mosca è retribuito con 26.998 euro al mese, mentre il suo omologo tedesco con 10.018»;
    «in media, le remunerazioni nette italiane sono due volte e mezzo quelle tedesche. Con punte che, in Europa e in America del Nord, arrivano quasi a triplicarsi. A Tokyo, per esempio, l'ambasciatore italiano prende 27.028 euro al mese, mentre quello tedesco deve “accontentarsi” di 10.018. E ancora: a Washington l'ambasciatore italiano guadagna 24.606 euro al mese, mentre quello tedesco 9.495 euro»;
    «il rappresentante italiano alle Nazioni Unite di Ginevra guadagna 19.757 euro al mese mentre il suo omologo tedesco ne prende 8.449 euro, inoltre risiede in una villa con 12 bagni da 22 mila euro di affitto al mese»;
    «Casa a parte, la rete diplomatica italiana gode anche di una indennità per le spese di rappresentanza che può variare da 4 mila euro mensili a Pretoria a 22 mila euro a Tokyo» –:
   se trovino conferma suddette notizie riportate dal quotidiano Il Giornale.
(4-03470)

  Risposta. — Le affermazioni riportate nell'articolo, in particolare laddove si indica che «le remunerazioni italiane nette sono due volte e mezza quelle tedesche», non sono esatte perché costituiscono la risultanza di una comparazione tra dati non omogenei. Infatti la retribuzione di un diplomatico tedesco rappresenta il guadagno del funzionario al netto delle spese che deve sostenere per prestare servizio all'estero, per motivi sia personali (quali scuole dei figli, alloggio e viaggi di congedo) che istituzionali (riscaldamento della residenza del capo missione ed utenze, benzina per i trasferimenti di servizio, eccetera). Queste spese sono sostenute, nel caso tedesco, direttamente dall'amministrazione di appartenenza. Differente è la struttura delle retribuzioni dei diplomatici italiani, che comprendono parte delle spese di funzionamento della sede di servizio nonché tutte quelle finalizzate a sostenere gli oneri personali derivanti dal trasferimento all'estero. Il diplomatico italiano all'estero, che si vede decurtare lo stipendio di circa il 50 per cento (con grave danno per la base di calcolo del trattamento pensionistico), riceve infatti un'indennità forfettaria e omnicomprensiva (Ise, Indennità di servizio all'estero) per compensare la perdita di parte dello stipendio e per sostenere tutte le numerose spese connesse con il trasferimento all'estero, che i tedeschi e molti altri Paesi coprono direttamente dal bilancio dello Stato. Presentare pertanto l'Ise come retribuzione personale o guadagno, così come mettere a paragone il sistema italiano con quello tedesco o di altri Paesi europei, è quindi fuorviante.
  Nell'ambito dell'esercizio di
spending review finalizzato ad una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle proprie risorse, è stata introdotta una specifica riforma relativa all'indennità di rappresentanza, inserita nel decreto-legge Irpef, approvato nel giugno 2014 dal Parlamento; è previsto lo scorporo integrale dal trattamento economico individuale e la confluenza delle relative risorse in un fondo per spese istituzionali pienamente integrato nell'autonomia e flessibilità gestionale delle sedi all'estero, sotto la diretta responsabilità dei titolari e da rendicontare con modalità analoghe a quelle previste in via generale per l'utilizzo di fondi pubblici. Tale nuova disciplina modificherà quella attualmente in vigore che prevede che le spese in questione, ugualmente finalizzate al finanziamento di attività promozionali del sistema Paese (così come nel caso tedesco) e soggette a puntuale rendicontazione e ad accurate verifiche ispettive, costituiscono una componente dell'indennità percepita dal funzionario; nel sistema tedesco, al contrario, tali oneri sono finanziati direttamente dall'Amministrazione.
  Oltre alla riforma specifica inerente l'indennità di rappresentanza, si segnala che una norma finalizzata ad una significativa revisione del trattamento economico all'estero del personale appartenente alla carriera diplomatica e dell'intero personale in servizio all'estero è stata inserita nella legge di Stabilità, al momento in esame in Parlamento. La riforma dell'Ise è volta a garantire maggiore trasparenza al trattamento economico del personale di servizio all'estero, consentendo al contempo significativi risparmi per l'Erario. La riforma del trattamento economico all'estero, che sarà anche in grado di generare risparmi, si articola in due fasi, la prima delle quali – come anticipato – riguarda la riforma delle spese delle attività di rappresentanza, che entrerà in vigore già dal 1o gennaio 2015. Il secondo passaggio si riferisce alla summenzionata riforma del trattamento economico all'estero, nel quadro di quanto già enunciato dal Governo in Parlamento: maggiore trasparenza e «leggibilità» del sistema rispetto a quello attuale, la cui natura onnicomprensiva presta il fianco a equivoci e strumentalizzazioni, specie in un'ottica comparata con i sistemi adottati dai nostri principali
partners europei.
  Con specifico riferimento alle cifre riportate nell'articolo relative alla residenza del capo missione sono corrette e si riferiscono all'affitto della residenza di Stato del rappresentante permanente presso le Nazioni Unite. L'affitto sostenuto dall'Italia in Svizzera per tale residenza è in linea e spesso inferiore a quello delle residenze dei nostri
partner e degli altri Paesi. È tuttavia in corso al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale un esercizio di razionalizzazione e riorganizzazione della rete e dei beni demaniali che, nel contesto della spending review, proporrà un ridimensionamento di alcune residenze pur nella consapevolezza della necessità di assicurare ai capi missione un alloggio ufficiale che funga, al pari dei Paesi nostri interlocutori, da adeguato strumento di proiezione esterna del nostro Paese.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel dossier nazionale del Sap (sindacato autonomo di polizia) si evidenzia il «caso Foggia». Una situazione disastrosa dei mezzi della polizia, con due sole volanti per turno in una città di quasi 160 mila abitanti, con una media di 10 mila reati all'anno, 16 furti ogni 24 ore, e un esercito di mafiosi intorno alle 300 unità tra affiliati e contigui;
   lo stesso dossier sindacale riporta la carenza di mezzi a livello nazionale, e parla di un'auto su tre ferma dal meccanico e senza fondi per ripararla. Tra le città simbolo di questi problemi c’è Foggia;
   organi di stampa, sempre in riferimento al «caso Foggia», riportano le dichiarazioni di un sindacalista del SAP che afferma «Se in passato di solito dopo due/tre giorni in officina, l'auto veniva riparata e rimessa su strada, ora bisogna attendere mesi perché non ci sono fondi. La situazione riguarda non solo il parco auto della Questura: un paio d'anni fa fece scalpore il fatto che i colleghi della sezione di polizia giudiziaria del Tribunale rimasero appiedati perché non c'erano soldi per riparare le auto in loro dotazione finite in officina: per risolvere la situazione e farle aggiustare si dovette attendere l'intervento dell'allora procuratore capo che disse che avrebbe pagato di tasca propria le spese»;
   nel dossier del Sap si accenna anche ai commissariati della provincia di Foggia: «La situazione è difficile anche a Cerignola, dove non sempre si riesce a mettere in strada una volante per turno, ma problemi si registrano anche nelle sedi di Lucera, San Severo e Manfredonia sempre per gli stessi motivi: carenza di mezzi e organici, eppure la Capitanata è una delle più grandi province italiane per estensione» –:
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per rimediare alle gravissime problematiche evidenziate. (4-05133)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono chiarimenti e interventi in merito alla situazione di difficoltà in cui verserebbero gli uffici della polizia di Stato della provincia di Foggia sotto il profilo della manutenzione del parco macchine.
  La questura di Foggia, da cui dipendono i commissariati di pubblica sicurezza di Cerignola, Lucera, Manfredonia e San Severo, dispone di un parco veicolare composto da centoventicinque tra motoveicoli e autovetture; tra queste ultime, ventotto sono destinate al servizio di controllo del territorio.
  Da alcuni anni, le predette autovetture vengono acquistate con il cosiddetto «pacchetto di assistenza» compreso nel prezzo.
  Alla scadenza del «pacchetto di assistenza», gli interventi di manutenzione – sia ordinaria che straordinaria – sono sostenuti mediante l'utilizzo dei fondi che il dipartimento della pubblica sicurezza distribuisce alle questure per le esigenze connesse alla gestione dei veicoli in dotazione.
  Per tale finalità, nel corrente anno sono stati assegnati alla questura di Foggia, con diversi accreditamenti, circa 29 mila euro a fronte di un fabbisogno segnalato di 37 mila euro.
  Nelle more della disponibilità effettiva di tali somme, si è verificato – e può tornare a verificarsi – che i mezzi richiedenti significativi interventi di manutenzione siano rimasti fermi nelle officine o nelle rimesse della, Polizia di Stato.
  In casi del genere, ove le autovetture ricoverate fossero quelle assegnate ai commissariati per i servizi di controllo del territorio, le stesse sono state sostituite – e allo stesso modo si procederà per analoghe evenienze future – con veicoli dell'Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico della questura.
  Il problema della manutenzione degli automezzi in dotazione riguarda più in generale gli uffici della polizia di Stato sul territorio nazionale. Per risolverlo, l'Amministrazione dell'interno si sta muovendo in una duplice direzione: da un lato, incrementando i fondi destinati alla manutenzione medesima, dall'altro, programmando l'acquisto di nuove autovetture – in particolare per lo svolgimento del servizio di volante per il controllo del territorio – in modo tale da realizzare, nel prossimo triennio, un ricambio degli automezzi che hanno il pacchetto manutentivo scaduto.
  Quanto all'aspetto manutentivo, si segnala che lo stanziamento iniziale di circa 34 milioni di euro è stato già incrementato di circa 2 milioni di euro e sono in corso le operazioni contabili necessarie ad un ulteriore incremento di 46 milioni di euro.
  Quanto al programmato ammodernamento del parco veicolare, si richiamano gli stanziamenti pluriennali previsti dall'articolo 8, comma 1, lettera
a), del decreto-legge n. 119 del 2014, convertito con la legge n. 146 del 2014.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la base USAF di San Vito dei Normanni (San Vito dei Normanni Air Station) era una struttura militare dell'aeronautica degli Stati Uniti d'America (United States air force security service) situata a circa 10 chilometri a nord ovest di Brindisi, in una posizione intermedia fra il porto di Brindisi e la città di San Vito dei Normanni;
   San Vito dei Normanni Air Station è stata attivata grazie ad un accordo segreto tra il Governo italiano e gli Stati Uniti d'America, in piena Guerra Fredda il 1o novembre 1960. Nel 1959 arrivarono i primi americani a San Vito dei Normanni e dopo aver recintato i 117 ettari in località Pozzo de Vito, diedero il via alla costruzione delle installazioni logistiche che permisero poi al 6917oradio squadron mobile nel novembre del 1960 di entrare in attività. Nel 1963 questo reparto cambiava denominazione in quella più appropriata di 6917oelectronic security group, affiancato in seguito dal 2113ocommunication squadron da una sezione distaccata della marina americana, la naval security group activity. Nel frattempo si procedeva alla costruzione della struttura che prese il nome di «The elephant's cage» (la gabbia dell'elefante), antenna radiogoniometrica ad alta frequenza AN/FRLG-9 che entrò in funzione nel 1964. Nel 1967 l'attività di spionaggio della base passò alle dipendenze operative alla NSA (National security agency). Nel 1967 nella base vi erano circa 5000 cittadini statunitensi, tra operativi e famiglie, che in parte furono ospitati nei 280 alloggi interni alla base, ma molti altri nei paesi circostanti. All'inizio degli anni ottanta conseguentemente all'affermazione della tecnologia satellitare che rendeva superflue ed antiquate le grandi installazioni fisse come San Vito. La guerra del golfo del ‘91 fu l'ultima operazione convenzionale alla quale partecipò la base e con il disfacimento del Patto di Varsavia, arrivò l'ordine di smobilitazione della base che da aprile 1993 cessò di operare con lo scioglimento del 6917oSecurity Group e del gruppo di Sicurezza Navale. Alla partenza degli specialisti del 6917o, l'Aviazione americana (USAF) non abbandonò San Vito, per decidere invece l'istituzione del 775oair base group che, con qualche centinaio di militari ebbe il compito di sorvegliare le apparecchiature rimaste, la grande antenna, alcune strutture importanti per la NSA ed il sistema Echelon, come la stessa stazione di osservazione solare, importantissima per il controllo del funzionamento dei sistemi satellitari militari e civili. Alla fine del 1993, a seguito della guerra civile nella ex Yugoslavia, la base USAF si trasformò in un punto di appoggio logistico e di stazionamento per le missioni «Deny flight» e «Provide Promise». Il 12 agosto 1994 il 775oair group cessò di esistere e con esso gran parte delle attività che avevano mantenuto sino allora efficiente la piccola cittadella americana, gli alloggi, le scuole, gli impianti sportivi e tutte le attività collaterali alle quali erano interessati anche i circa 350 impiegati civili italiani. Contemporaneamente, nasceva un altro reparto dell'aviazione USAF, il 775o Air Base Squadron composto da circa 200 uomini e dipendente dal 616o gruppo di Aviano. Con la fine della guerra del Kosovo, partirono i Navy Seal, i loro aerei ed elicotteri, ad eccezione di un reparto addetto alla sorveglianza del perimetro esterno e all'efficienza della stazione di osservazione solare della NSA. Fu subito istituita una commissione paritetica USA – Italia, il cui capo delegazione per parte italiana, il colonnello Giorgio Serravalle, trattò la cessione della base dagli USA al Ministero della difesa italiano. La grande antenna che, in un primo momento, a causa degli alti costi di rimozione, sembrava fosse destinata a rimanere lì, fu smantellata. Dal gennaio 2001, dopo che gli USA comunicarono l'intenzione di non utilizzare più la base, è iniziata la procedura per la restituzione del terreno e la cessione delle strutture, che doveva compiersi al prezzo nominale di un dollaro entro tre anni;
   il 24 luglio 2003 nella base americana di Ramstein, in Germania, con una cerimonia ufficiale, alla presenza del colonnello Casertano (per lo Stato maggiore dell'aeronautica militare) e del comandante dell'aeroporto di Brindisi, Rolando Tempesta, è stato sancito il passaggio della base di San Vito dall'Aeronautica USA a quella italiana;
   solo una piccola porzione della base, pari a 712 ettari, resta in uso agli Stati Uniti d'America, con un recinto autonomo ed è quella che ospita il Solar Observatory (osservatorio solare), una delle sei strutture a livello mondiale dell'Air Force Solar Electro – Optical Network (SEON), la quale ha dislocato in tutto il mondo questi siti per assicurare il controllo del sole 24 ore su 24;
   il Governo italiano, dopo la visita del segretario dell'ONU alla ex base USAF, ha deciso di donare parte della struttura (15 ettari) allo United Nations World Food Programme (WFP) come supporto logistico della base operativa delle Nazioni Unite di Brindisi;
   i restanti 90 ettari, attualmente in gestione all'Aeronautica militare italiana, sono stati oggetto di alcuni interventi di bonifica. Le operazioni di raccolta, rimozione e conferimento a discarica di materiale di risulta, costituito essenzialmente da lastre di copertura in cemento-amianto, sono state eseguite durante la fase di messa in sicurezza di emergenza ed in particolare a partire dal 5 ottobre 2011 e fino al 24 febbraio 2012. Le restanti operazioni di bonifica conseguenti alla conferenza dei servizi del 25 maggio 2012 di approvazione del piano di caratterizzazione, sono state condotte a partire dal 29 luglio 1013 e fino al 04 ottobre 2013. Tali interventi hanno riguardato tutte le criticità di cui al citato piano di caratterizzazione ed in particolare: lavori di bonifica aree contaminate da idrocarburi pesanti (compreso rimozione serbatoi e smaltimento terreno contaminato); lavori di rimozione e smaltimento trasformatori contenenti fluidi dielettrici additivati con PCB; lavori di bonifica e smaltimento rifiuti misti provenienti dal crollo di fabbricati;
   il 26 ottobre 2013 una delegazione di parlamentari del M5S composta dal vicepresidente della Commissione difesa della Camera dei deputati Massimo Artini, dai deputati Paolo Bernini e Gianluca Rizzo ha compiuto una visita ex base USAF di San Vito dei Normanni (Br). In quell'occasione è stato possibile visitare i vecchi alloggi dei militari USA, gli edifici del comando militare, le strutture utilizzate a suo tempo per accogliere una comunità di oltre 3000 mila militari, compresa una clinica ora abbandonata ma che versa, nonostante la più che ventennale chiusura, in uno stato non di degrado. La delegazione ha inoltre verificato che la bonifica dall'amianto e degli altri materiali pericolosi operata dal Ministero della difesa di concerto con le autorità locali è terminata il 4 ottobre 2013 –:
   quali iniziative s'intendano porre in essere per la ex base USAF di San Vito dei Normanni, specificando se la stessa rimarrà nella disponibilità del demanio militare o sarà dismessa per confluire nel demanio civile. (4-06619)

  Risposta. — L'ex base USAF di San Vito dei Normanni ha un'estensione complessiva di circa 120 ettari ed è nella disponibilità della Difesa dal 2003.
  Recentemente sono state concluse le operazioni di bonifica cui si fa cenno nell'interrogazione in esame, propedeutiche alla dismissione dell'area.
  Di concerto tra l'Aeronautica militare e la direzione tecnica competente, verificata la completezza degli interventi di risanamento nell'ambito della prossima conferenza di servizi, verranno quindi attivate le procedure per la retrocessione del bene all'agenzia del demanio, con esclusione di:
   un'area di 10 ettari per le esigenze dell’
Air Force Solar Electro-Optical Network (SEON);
   un'area di 15 ettari, concessa in uso al
World Food Programme (WFP) nel 2007, per la quale è stato stipulato un Implementation Agreement tra la Difesa e le Nazioni unite;
   un'ulteriore porzione di limitata estensione attigua a quella già in uso al WFP, oggetto di richiesta nel 2013 da parte del citato organismo internazionale, la cui procedura di consegna è attualmente
in itinere con oneri di frazionamento a carico del citato WFP.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   DE LORENZIS e L'ABBATE. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il poligono militare di Torre Veneri in provincia di Lecce, è collocato all'interno dell'omonima area SIC (Sito di importanza comunitaria «Torre Veneri» IT9150025) per circa 160 ettari lungo un fronte lungo circa tre chilometri, tra il parco naturale regionale di Rauccio e l'oasi naturale delle Cesine. Il poligono è nella Caserma Floriani, e fa parte della scuola Truppe Corazzate di Lecce;
   nella Relazione Definitiva del 9 gennaio 2013 della Commissione parlamentare di inchiesta del Senato sul problema del materiale bellico pericoloso, tra cui l'uranio impoverito in relazione ai poligoni di tiro, nella sezione riguardante gli «altri accertamenti condotti dalla commissione», si ribadisce «...Come già riferito nella Relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro, nella realtà di Torre Veneri è stata verificata la presenza di zone dove si sono accumulati residuati delle attività di esercitazione, che richiedono presumibilmente importanti interventi di bonifica, finora evidentemente non attuati, sia a terra sia nel mare circostante. Dai sopralluoghi tecnici svolti è emersa una scarsa osservanza del disciplinare per la tutela ambientale e la bonifica. Nell'Area Bersaglio Carri non risulta che sia asportato il materiale di risulta prodotto dall'esplosione dei colpi in arrivo, e durante le analisi è stata rinvenuta sul terreno una notevole quantità di materiale inerte affiorante. Per quanto concerne l'area marina, le immersioni subacquee effettuate hanno evidenziato la presenza di numerosi relitti inerti, di proiettili da esercitazione, di un barcone metallico e di penetratori. Dalle informazioni raccolte risulterebbe altresì che l'area sia marina sia terrestre – attualmente interdetta – sarebbe frequentata da recuperanti clandestini di metalli per scopi commerciali. Tale attività, ove confermata, risulterebbe altamente pericolosa, sia per il rischio di esplosioni sia per i danni alla salute...»;
   l'associazione «Lecce Bene Comune», ascoltata sul tema dalla citata Commissione d'inchiesta del Senato, ha effettuato tre esposti denuncia presso la procura di Lecce che ha avviato un'indagine per gestione illecita di rifiuti, come avvalorato da risultanze della perizia depositata presso la medesima procura;
   contestualmente la medesima associazione, congiuntamente al «Gruppo di Intervento Giuridico Onlus» per il poligono di Capo Teulada in Sardegna, ha inoltrato, presso la Commissione, Europea, documentazione atta a indurre una procedura di infrazione relativa alla direttiva Habitat come recepita dalla normativa nazionale, giacché i due poligoni insistenti entrambi in Siti di importanza Comunitaria, non hanno richiesto la «Valutazione di Incidenza Ambientale» per i «Disciplinari d'Uso» e i «Piani semestrali delle esercitazioni a fuoco»;
   il «Piano di Gestione» del «SIC Torre Veneri» redatto dalla provincia di Lecce, paradossalmente, non contempla l'esistenza del poligono militare;
   nella regione Veneto i poligoni insistenti in zona SIC, sono stati regolarmente sottoposti a «Valutazione di Incidenza Ambientale» i «Disciplinari d'Uso» dei poligoni interessati;
   a tutt'oggi presso il poligono di Torre Veneri proseguono le attività a fuoco per un utilizzo medio annuo del poligono di oltre 200 giorni e il fronte di tiro dei carri armati verso i bersagli, posti a poca distanza dalla battigia, porta proiettili e bossolame direttamente sui fondali marini (anch'essi zona SIC);
   la delibera del comune di Lecce n.104 del 10 dicembre 2012, votata all'unanimità, ha impegnato il sindaco a prendere tutte le iniziative possibili affinché sia realizzata la bonifica delle aree marine interessate –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative intendano assumere al fine di favorire la bonifica della zona a mare antistante il poligono;
   se i Ministri interrogati intendano attivarsi per promuovere la sospensione delle attività del poligono, almeno per consentire la valutazione di incidenza ambientale prevista dalla legge italiana e dalla direttiva Habitat anche per non incorrere nelle probabili multe dell'Unione europea;
   se i Ministri interrogati intendano promuovere un percorso di trasformazione dell'area occupata dal poligono militare in un parco naturale, vista la presenza di un sito d'importanza comunitaria protetto in ragione della biodiversità e del suo habitat naturale. (4-04977)

  Risposta. — Le attività addestrative sono, all'evidenza, indispensabili per preparare il personale e i reparti militari.
  Devono necessariamente avvalersi di aree addestrative, nelle quali le situazioni operative devono essere quanto più vicine a quelle reali.
  Non c’è dubbio che questa esigenza insopprimibile debba essere coniugata con quella di tutela e la salvaguardia dell'ambiente e del territorio interessato.
  È perciò che la Difesa ha avviato, già dal 2005, una serie di attività finalizzate anche a controllare e censire il materiale utilizzato presso i poligoni, ha promosso l'istituzione di «Comitati per la tutela ambientale», ha adottato i «Disciplinari Ambientali» che prevedono il monitoraggio di tutte le componenti ambientali (acqua, aria, suolo, flora e fauna), il censimento dei materiali impiegati, le misurazioni per la verifica dei livelli d'inquinamento a cura di enti specializzati anche esterni.
  Riguardo alle problematiche ambientali del poligono di Torre Veneri, le risultanze della perizia tecnica disposta dalla Procura della Repubblica di Lecce a conclusione dell'attività svolta dalla 3a Commissione parlamentare d'inchiesta, richiamata dall'interrogante, hanno evidenziato il superamento delle Concentrazioni soglia di contaminazione per il piombo e l'alluminio, mentre hanno escluso la contaminazione radiologica associabile a uranio impoverito o ad altri radionuclidi di origine artificiale.
  L'attività di indagine su situazioni di rischio connesse alla presenza di rifiuti pericolosi o radioattivi promossa dalla Procura della Repubblica di Lecce, si è conclusa con una richiesta di archiviazione al Giudice per le indagini preliminari.
  Il 23 settembre 2014, nell'ambito della Conferenza dei servizi, è stato approvato il piano di caratterizzazione del sito di Torre Veneri, predisposto sulla base di quanto stabilito nel corso della riunione della stessa Conferenza tenutasi in maggio 2014.
  Ora è in corso l’
iter per l'esperimento della procedura di gara per il piano di indagini ambientali previsto dal citato piano di caratterizzazione.
  Qualora si dovesse procedere con le operazioni di bonifica, sarà verificata la possibilità di avviare tali attività con i fondi previsti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 229 durante l'esercizio finanziario 2015.
  Per quanto concerne l'area marina, il 20 novembre 2014 sono state approvate, in sede di Conferenza dei servizi, le linee di indirizzo per il monitoraggio dei fondali marini prospicienti il poligono. Sono stati poi avviati contatti tra i Ministeri della difesa, della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per definire le modalità d'intervento che dovranno essere individuate in funzione dell'ecosistema, della necessità di ripristinare lo stato originario dei fondali e della sostenibilità tecnico-economica.
  Fermo restando che non sono intervenuti, nel tempo, significativi mutamenti degli ambienti naturali floro-faunistici protetti tali da giustificare una significativa incidenza delle attività militari condotte nel poligono, la Difesa è disponibile a rivedere il piano di gestione del Sito di importanza comunitaria con la competente Autorità regionale, nell'ambito di appositi accordi o convenzioni, al fine di minimizzare ogni possibile impatto per l’
habitat.
  La presenza del poligono militare di Torre Veneri, infatti, deve essere considerata una potenziale opportunità per il territorio di realizzare progetti e concrete iniziative all'interno dell'area interessata, come convenuto nel Protocollo di intesa tra la Difesa e la regione Puglia, sottoscritto a Roma il 19 giugno 2014, al termine dei lavori della «2a Conferenza nazionale sulle servitù militari».
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   DI BATTISTA, FRUSONE, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, GRANDE, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con un precedente atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta scritta 4-06163) gli interroganti hanno già sottoposto all'attenzione del Ministro interrogato e del Presidente del Consiglio dei ministri come, in data 5 settembre 2014, il Ministro della difesa, senatore Roberta Pinotti, abbia usufruito, nella qualità di passeggera, di un volo del 31° Stormo;
   si è trattato di un Falcon 50, volo IAM 3122, che ha percorso la tratta Ciampino-Sestri arrivando a destinazione alle 20:15 UTC ed è immediatamente ritornato a Ciampino;
   nello specifico, da una segnalazione ricevuta dagli interroganti, è emerso che il predetto aereo stava effettuando un volo di addestramento;
   pur in assenza di un formale riscontro alla predetta interrogazione, gli interroganti hanno appurato, dal sito istituzionale del Governo – Sezione Ufficio per i voli di Stato, di Governo e umanitari – dove vengono periodicamente pubblicati i voli di Stato autorizzati di cui all'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che non vi è traccia del volo tra Ciampino e Sestri usufruito dal Ministro della difesa Pinotti lo scorso 5 settembre;
   di conseguenza si tratta di un volo aereo che, di certo, non è stato debitamente autorizzato ai sensi della normativa in vigore;
   in secondo luogo gli interroganti hanno appreso, da organi di stampa (nello specifico dal Fatto Quotidiano) come si trattasse proprio di un volo di addestramento, solo apparentemente già programmato a quell'orario e su quella tratta;
   in particolare il portavoce del Ministro Pinotti avrebbe chiarito che «il Ministro aveva prenotato il 2 settembre, due giorni prima di partire per Cardiff un volo di linea da Roma a Genova per il sabato 6 settembre alle 10 e 20 di mattina. Nei giorni successivi ha scoperto che c'era un volo addestrativo programmato dal 31° stormo dell'Aeronautica da Roma a Genova in notturna con istruttore e due piloti» evidenziando che «il volo di addestramento ci sarebbe stato comunque e quindi abbiamo risparmiato tre biglietti, comprendendo i due agenti di scorta»;
   prosegue poi il portavoce che «quello scalo come Reggio Calabria e Bolzano, è considerato particolarmente adatto per i voli di addestramento a causa dell'orografia del terreno e del frequente vento di traverso e di caduta»;
   in realtà, come precisato dalla «nota del giorno delle missioni assegnate al 306° Gruppo TS» del 31° stormo pubblicata da Fatto Quotidiano, il Falcon 50 in partenza da Ciampino e destinato a Genova, il 5 settembre 2014 non avrebbe potuto decollare senza il Ministro della difesa a bordo;
   infatti la predetta nota mostra il piano dei voli del 5 settembre assegnato agli equipaggi del 306° Gruppo TS il quale, relativamente al volo tra Ciampino e Sestri, IAM 3122, reca la seguente dicitura: «F50 BY SMA /-/ DECOLLO SUCCESSIVO ALL'ATTERRAGGIO DEL VOLO IAM9002 /-/EQ. IN TUTA DA VOLO»;
   difatti, il volo IAM 9002 non è altro che l'airbus A319 della Presidenza del Consiglio di ritorno dal vertice Nato di Newport, vicino a Cardiff in Galles, con a bordo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Ministro degli affari esteri Federica Mogherini, e proprio il Ministro interrogato, Roberta Pinotti;
   qualora fosse confermato che la presenza a bordo, quale passeggero, del Ministro Pinotti condizionava il piano del volo IAM 3122, la missione del volo, pur apparentemente di addestramento, sarebbe in realtà diversa, ossia quella di riportare semplicemente a casa il Ministro della difesa;
   viceversa nel caso in cui si fosse trattato di un semplice volo di addestramento non sarebbe stato necessario attendere il Ministro ed il Falcon sarebbe partito all'ora prestabilita dal piano di volo;
   il Ministro Pinotti, incalzata da un giornalista del Fatto in merito all'utilizzo del Falcon 50, rispondeva laconicamente che «il Ministro della difesa gli aerei militari li utilizza»;
   quanto appena esposto e, dunque, l'utilizzo di un volo di addestramento per finalità all'apparenza non istituzionali, dimostra non solo che il Ministro Pinotti ha utilizzato un volo di Stato in assenza della autorizzazione richiesta dalle legge, ma ha altresì palesemente violato ed eluso la normativa vigente sugli «aerei blu»;
   agli interroganti risulta inoltre che il costo orario di volo del Falcon 50 sarebbe di circa 3.400 euro;
   senza contare che il Falcon 50 è un aereo utilizzato non solo per fini istituzionali, ma anche per scopi umanitari e sanitari;
   si consideri infine che, da articoli di stampa, risulta che gli aerei del 31° Stormo dell'Aeronautica hanno trasportato in più occasioni sia politici, sia generali utilizzando l’escamotage dei voli di addestramento –:
   se il Falcon 50 di cui in premessa stesse effettivamente effettuando un volo di addestramento tra Ciampino e Sestri;
   se intenda confermare che la presenza a bordo, quale passeggero, del Ministro Pinotti condizionava il piano del volo IAM 3122;
   se intenda chiarire, in particolare, per quale ragione istituzionale un volo di addestramento abbia dovuto attendere per il decollo da Ciampino, l'atterraggio di un altro volo proveniente da Cardiff e con a bordo il Ministro della difesa Pinotti;
   se intenda riferire, in merito alla sua affermazione secondo la quale «il Ministro della difesa gli aerei militari li utilizza», quale finalità istituzionale abbia perseguito, nel caso di specie, viaggiando a bordo dell'aereo di addestramento di cui in premessa;
   quali siano i protocolli e le regole relative alla presenza di civili a bordo di voli di addestramento;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della presenza di civili a bordo di aerei militari di addestramento ed, ove ciò corrisponda al vero, se abbia proceduto o intenda procedere ad una inchiesta amministrativa al fine di verificare la presenza di passeggeri non militari a bordo di voli addestrativi;
   se intenda confermare che la tratta Ciampino-Sestri, come Reggio Calabria e Bolzano, è considerata particolarmente adatta per i voli di addestramento a causa dell'orografia del terreno e del frequente vento di traverso e di caduta e se non intenda fornire tutti i dati e le informazioni relative al numero di voli di addestramento effettuati tra Ciampino e Sestri almeno negli ultimi 5 anni;
   se intenda rendere noto il costo orario di volo del Falcon 50 di cui in premessa in dote all'Aeronautica Militare. (4-06329)

  Risposta. — Comunico, a premessa, che la risposta all'interrogazione in esame viene fornita ora, a conosciuto esito delle attente verifiche che sono state effettuate dagli uffici competenti e, soprattutto, ad avvenuta archiviazione dei tre diversi procedimenti giurisdizionali istruiti presso le magistrature ordinaria, militare e contabile, due dei quali attivati dall'esponente, peraltro in modo eclatante e volutamente diffamatorio nei confronti del Ministro e della Forza armata.
  Infatti, per ultimo, il 17 dicembre 2014, il tribunale dei ministri, su conforme proposta della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, ha archiviato la denuncia degli onorevoli Di Battista e Frusone. Prima di esso, il 10 dicembre, aveva archiviato la procura regionale della Corte dei Conti, anch'essa direttamente adita dai due parlamentari citati. La decisione era stata, a sua volta, preceduta dall'archiviazione, avvenuta il 5 dicembre, del tribunale militare di Roma, su conforme proposta del pubblico ministero, che aveva ritenuto di promuovere un'autonoma indagine.
  Tutte le magistrature, concordi, hanno rilevato la piena regolarità dell'impiego del volo addestrativo (non «volo di Stato» come strumentalmente affermato dagli interroganti e da un organo di stampa poi ripreso da alcuni altri mezzi di informazione) escludendo qualsiasi violazione di legge, di regolamento o di disciplina interna. È stato, pertanto, confermato in modo incontrovertibile che il volo non ha comportato alcun costo indebito o improprio per l'amministrazione statale, ma, al contrario, un risparmio. Questo conferma, per qualsiasi persona scevra da pregiudizi (o, peggio, da intenti propagandistici), non solo il mio atteggiamento corretto e irreprensibile, che ha condotto a un vantaggio oggettivo per le casse erariali, ma anche l'adeguatezza dei comportamenti formali e sostanziali adottati nella fattispecie – come in tante analoghe del passato recente o remoto – dagli uffici competenti nei confronti dei miei predecessori.
  Viene così completamente vanificato di effetti il chiaro intento diffamatorio perseguito dagli autori della illecita diffusione di documenti riservati per ragioni di sicurezza (quali i piani di volo di aeromobili militari, sottoposti ai previsti controlli, ordinari e straordinari, per la verifica della legittimità e della correttezza sotto ogni profilo) e dagli autori dell'interrogazione e delle denunce.
  Mi preme sottolineare che questa vicenda, che mi ha visto coinvolta mio malgrado, mi ha molto amareggiato. Io sono particolarmente attenta all'uso delle risorse pubbliche e sto attuando una puntuale «Spending review» nel mio Dicastero. Quella sera tornavo da un vertice NATO in Galles e c'era un volo addestrativo dell'Aeronautica in partenza da Ciampino: sarebbe partito ugualmente, con me o senza di me. La questione è definitivamente chiarita in questi termini e chi ha aperto questa pagina calunniosa ne risponderà in ogni competente sede, a cominciare dal giudizio dei cittadini.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   DI GIOIA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 15 aprile 2014, alcune centinaia di persone provenienti dal Sulcis hanno manifestato davanti al Palazzo della regione a Cagliari;
   i motivi della protesta, contenuti in una piattaforma di rivendicazioni, riguardavano problematiche inerenti alla pesca, all'agricoltura, ai trasporti e all'industria, in pratica i problemi che affliggono in maniera sempre più stringente il territorio più povero dell'intera isola;
   al centro dell'iniziativa era il cosiddetto «piano Sulcis» che resta in attesa di articolazioni chiare e coordinate;
   altra tematica particolare era il mancato invio degli indennizzi del 2012 per gli operatori della piccola pesca danneggiati dallo sgombero di specchi d'acqua utilizzati per esercitazioni militari –:
   se e quando si intenda dare vita a tavoli tematici specifici, con le partecipazioni delle istituzioni locali e dei rappresentanti delle categorie interessate, per avviare concretamente il tanto atteso «piano Sulcis»;
   per quale motivo non si sia corrisposto quanto dovuto agli operatori economici della pesca che, in una situazione di profonda crisi, debbono subire anche limitazioni per via di operazioni militari ed entro quanto si intenda, ovviamente con la dovuta urgenza, dare loro quanto dovuto. (4-04540)

  Risposta. — Il protocollo d'intesa tra la regione Sardegna e il Ministero della difesa sottoscritto il 9 agosto 1999 e il successivo protocollo integrativo in data 8 settembre 2005 prevedono l'erogazione degli indennizzi ai comuni compresi nei Compartimenti o Uffici Marittimi di S. Antioco, Arbatax, Siniscola e Cala Gonone, interessati dalle attività addestrative effettuate presso i poligoni di Capo San Lorenzo (Poligono Interforze di Salto di Quirra - PISQ) e di Capo Teulada.
  Per quanto concerne, in particolare, il pagamento degli indennizzi da corrispondere agli operatori della pesca per le esercitazioni militari svolte nel corso del 2012, sono stati effettuati gli accrediti presso le sezioni delle competenti tesorerie provinciali.
  I sindaci dei comuni individuati nel citato protocollo d'intesa e nella successiva integrazione, in qualità di funzionari delegati dell'amministrazione Difesa, sono tenuti a provvedere all'emissione dei relativi ordini di pagamento a favore dei titolari delle imprese marittime interessate.
  Con riferimento, invece, al pagamento degli indennizzi dovuti agli operatori della pesca per le esercitazioni militari svolte nell'anno 2013, sono state inviate alla Banca d'Italia le somme degli indennizzi per l'emissione degli ordini di accreditamento.
  Infine, in merito al piano Sulcis per lo sviluppo dell'area del Sulcis Iglesiente, di cui al protocollo d'intesa sottoscritto il 13 novembre 2012 dai Ministri dello sviluppo economico, per la coesione territoriale e del lavoro e delle politiche sociali, dal presidente della provincia e dai 23 comuni del territorio, sul sito della regione autonoma della Sardegna è possibile visionare lo stato di attuazione delle attività (non di competenza della Difesa), aggiornato al 31 ottobre 2014, nella sezione dedicata al piano straordinario per il Sulcis che prevede interventi volti alla salvaguardia del tessuto produttivo, oltre che attività di ricerca e di sviluppo tecnologico, interventi infrastrutturali e di risanamento ambientale, orientati a favorire il rilancio e lo sviluppo dell'intera area.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, VILLAROSA, ALBERTI, SCAGLIUSI, SIBILIA, SPADONI e PESCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come mostra chiaramente un video pubblicato sul sito internet di Greenpaece Italia, la mattina del 15 novembre 2014 tre gommoni della marina militare spagnola hanno ripetutamente speronato i gommoni degli attivisti di Greenpeace delle Canarie;
   gli ambientalisti dell'Artic Sunrise (la stessa che nel novembre 2013 tentò l'assalto alla nave russa di Gazprom causando l'arresto di 25 membri dell'equipaggio tra cui il nostro connazionale Christian D'Alessandro) stavano protestando contro la nave da trivellazione «Rowan Reinassance» che, per conto dell'azienda spagnola «Repsol», stava effettuando pericolose trivellazioni esplorative al largo delle isole di Lanzarote e Fuerteventura;
   l'aggressione dei militari spagnoli è avvenuta mediante tre gommoni provenienti dalla nave «RelàmpagoP43» e ha provocato la caduta in mare di una ragazza italiana di 21 anni che ha riportato una frattura e due tagli;
   grazie alle urla dei compagni, la ragazza è stata tratta in salvo da un sommozzatore della marina militare spagnola e successivamente trasferita in elicottero a Las Palamas dove ha ricevuto le necessarie cure mediche; tra l'altro, è rimasto ferito anche un altro attivista e i gommoni sono stati danneggiati;
   gli attivisti di Greenpeace denunciano da tempo le trivellazioni della «Rowan Reinassance» in acque profonde considerandole pericolose e distruttive e hanno chiesto al Governo spagnolo di proteggere l'ambiente e i cittadini delle Canarie ritenendoli ben più importanti del profitto di «Repsol» –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno fornire assistenza legale gratuita alla malcapitata cittadina italiana;
   come intenda intervenire al fine di tutelare i cittadini italiani che, in altri Paesi, manifestano pacificamente contro le numerose violenze al suolo e al sottosuolo che interessano non soltanto la singola nazione ma l'Europa tutta. (4-06963)

  Risposta. — La vicenda che ha visto coinvolta una giovane attivista italiana di Greenpeace al largo delle isole Canarie è stata seguita sin dall'inizio con la massima attenzione dalla Farnesina, anche per il tramite dell'ambasciata a Madrid e del console onorario a Las Palmas.
  Nella mattina di sabato 15 novembre 2014 l'ambasciata è stata informata dell'incidente avvenuto tra l'imbarcazione Arctic Sunrise di Greenpeace e una nave della marina spagnola durante un'azione di protesta dell'organizzazione ambientalista contro le operazioni di trivellazione della compagnia spagnola Repsol. La nostra rappresentanza, appena appreso dell'accaduto, ha allertato il console onorario a Las Palmas, l'addetto militare a Madrid e i locali Ministeri degli esteri e dell'interno. Nel frattempo la giovane attivista, soccorsa da personale della Marina spagnola, veniva immediatamente trasportata in elicottero all'ospedale Doctor Negrin di Las Palmas de Gran Canaria dove veniva sottoposta ad un intervento chirurgico per la riduzione delle fratture riportate.
  La mattina di domenica 16 novembre, quando i medici lo hanno permesso, il nostro Console Onorario a Las Palmas si è recato in ospedale per fare visita alla connazionale. Questa è apparsa in buone condizioni e ha dichiarato di essere stata assistita con premura e gentilezza sia dal personale militare che l'ha trasportata in ospedale sia dal personale medico. La giovane ha inoltre comunicato di essersi messa in contatto con i propri familiari per rassicurarli sul suo stato di salute. Successivamente, la connazionale ha ricevuto anche una visita da parte del presidente del governo canario, Paulino Rivero Baute, e della consigliera della sanità, Brigida Mendoza Betancor, mentre il console onorario ha incontrato in ospedale i responsabili di Greenpeace Spagna, che hanno ringraziato per l'assistenza offerta.
  Il lunedì 17 novembre l'ambasciata a Madrid ha inviato una nota verbale alle Autorità locali per chiedere informazioni ufficiali sulla dinamica dell'incidente. Nella tarda mattinata dello stesso giorno il console onorario si è recato nuovamente in ospedale per verificare le condizioni della connazionale.
  Quest'ultima ha quindi ricevuto, il 20 novembre, il consenso dei medici a lasciare la struttura ospedaliera ed è partita in aereo alla volta di Milano (ancora con l'assistenza dell'ambasciata). Si precisa che la connazionale non ha richiesto assistenza legale: secondo quanto riferito dal questore generale delle Canarie, dal Ministero dell'interno e dalla Guardia civil, la stessa non risulta essere sottoposta a procedimenti penali né amministrativi.
  Il ministro della difesa spagnolo Pedro Morenes, intervenendo in parlamento, ha difeso l'azione dell'esercito, affermando fra l'altro che esso «ha compiuto il proprio dovere» e ha agito «mediante l'uso proporzionato della forza». Secondo il Ministro Morenes, l'esercito stava eseguendo degli ordini in un quadro di assoluta legalità, esercitando funzioni attribuitegli dalla legge e dalle convenzioni internazionali firmate dalla Spagna. L'incidente, ha aggiunto in altra sede, si è verificato dopo che le lance di Greenpeace, ignorando le ripetute istruzioni della Marina spagnola, hanno tentando di avvicinarsi alla nave della Repsol. Il Ministro ha rilevato inoltre che è stato un militare spagnolo a recuperare prontamente l'attivista caduta in mare.
  Il presidente di Greenpaece Italia, Andrea Purgatori, ha espresso pubblicamente il proprio ringraziamento all'onorevole Ministro Gentiloni e alla Farnesina per essersi immediatamente attivati e per aver seguito la vicenda con attenzione ed efficacia. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale continuerà, per il tramite della nostra rete diplomatico-consolare, ad assicurare la tutela consolare necessaria a tutti i connazionali coinvolti in vicende analoghe, in conformità a quanto previsto dalla normativa italiana e dal diritto internazionale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   FANUCCI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   gli ufficiali del ruolo speciale dell'Arma dei carabinieri lamentano una disparità di trattamento rispetto agli omologhi del ruolo normale, in base alla normativa vigente e sin dalla differenziazione dei ruoli stabilita dal decreto legislativo n. 171 del 1993;
   il citato decreto legislativo aveva distinto i ruoli prevedendo varie differenze, dal momento che mentre gli ufficiali del ruolo normale provengono dall'Accademia militare, i colleghi del ruolo speciale sono assunti a seguito di un concorso pubblico;
   gli appartenenti al ruolo speciale potevano raggiungere il grado apicale di colonnello (ultimo grado di ufficiale superiore), mentre gli appartenenti al ruolo normale potevano ambire al grado di generale di divisione, potendo così aspirare ai gradi di ufficiale generale;
   la circolare n. 545/228-1991 del 16 settembre 1995 del comando generale dell'Arma dei carabinieri ha previsto, per gli ufficiali del ruolo speciale, lo svolgimento esclusivamente di incarichi meno prestigiosi, quali attività di insegnamento o impieghi burocratici nelle amministrazioni regionali o dell'Arma, a differenza degli ufficiali del ruolo normale, per i quali sono riservati i comandi di battaglione, provinciali e di scuola;
   il successivo decreto legislativo n. 298 del 2000 ha abrogato il precedente decreto legislativo n. 117 del 1993, accentuando le differenze tra i due ruoli e determinando una vera e propria discriminazione nei confronti degli appartenenti al ruolo speciale;
   soltanto gli ufficiali del ruolo normale possono conseguire l'indennità perequativa riservata ai generali di brigata o l'indennità di posizione dei generali di corpo d'armata, a fronte della mera indennità di valorizzazione dirigenziale per gli appartenenti al ruolo speciale;
   vari aspetti del trattamento accessorio sono, di fatto, limitati a coloro che si trovano nel ruolo normale. Le richiamate differenze sono dovute alle normative di settore vigenti, che rischiano di determinare una discriminazione a danno degli appartenenti al ruolo speciale dell'Arma dei carabinieri;
   il decreto legislativo n. 298 del 2000 appare all'interrogante in contrasto con gli articoli 3, 52 e 97 della Costituzione, oltre che, relativamente ai profili economici, con il principio di perequazione retributiva, di cui al combinato disposto degli articoli 3 e 36 Costituzione;
   nel corso della XVI legislatura, interrogazioni parlamentari in merito sono state presentate al Ministero della difesa. La risposta agli interroganti fornita dall'allora Ministro Giampaolo Di Paola, seppur giudicata parziale dagli ufficiali del ruolo speciale, confermava rimpianto normativo vigente e giustificava le differenze di ruolo e trattamento –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di eliminare le disuguaglianze di trattamento subite dagli ufficiali del ruolo speciale dell'Arma dei carabinieri rispetto ai loro colleghi del ruolo normale. (4-01768)

  Risposta. — L'inquadramento degli ufficiali in servizio permanente dell'Arma dei carabinieri in tre distinti ruoli, «normale», «speciale» e «tecnico» è stato previsto con la legge delega 28 febbraio 1992, n. 217 – cui è stata data poi attuazione con il decreto legislativo 24 marzo 1993, n. 117 – allo scopo di disciplinare le nuove dotazioni organiche stabilite dal decreto-legge 18 gennaio 1992, n. 9, col quale il numero degli ufficiali dell'Arma era stato incrementato di quasi 500 unità.
  Detta ripartizione in ruoli, peraltro mutuata da quella delle altre Forze armate, che l'avevano adottata oltre quarant'anni prima con la legge 12 novembre 1955, n. 1137, è stata ripresa nel decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 298, con il quale è stata attuata la revisione della struttura degli ufficiali dell'Arma dei carabinieri, connotata, con riferimento alla cennata suddivisione in ruoli, da differenti modalità di reclutamento, distinti iter formativi e peculiari profili professionali.
  Le disposizioni già vigenti, sui cui contenuti ha avuto modo di esprimersi anche la Corte Costituzionale, sono state riassettate nel codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66. Infatti la Consulta, con la sentenza n. 531 del 1995, ha sancito, con riferimento alla cennata legge n. 217 del 1992, la legittimità dell'istituzione del ruolo speciale operata dal legislatore delegante che, in un'ottica di mera differenziazione; di professionalità (non necessariamente di discriminazione tra categorie omogenee) «... si è limitato a prevedere – in concomitanza con l'aumento considerevole delle dotazioni organiche degli ufficiali dei carabinieri stabilite con decreto-legge 18 gennaio 1992, n. 9 – la necessità di una regolamentazione attraverso la razionalizzazione del vecchio ruolo unico, scindendolo in tre ruoli, avuto riguardo particolare alle specializzazioni ed alle connesse potenzialità dei singoli ruoli».
  Ciò precisato, non può, tuttavia, escludersi che il vigente quadro normativo possa essere riconsiderato, sia per l'Arma dei carabinieri sia per le altre Forze armate.
  Ferme le iniziative che il Parlamento volesse nel frattempo assumere, l'intera materia, assai complessa perché coinvolgente aspetti di natura, giuridica, funzionale, organizzativa, economica e finanziaria, del quali si occuperanno i provvedimenti discendenti dal Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, in un quadro, in questo caso, condiviso con le Forze di polizia.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   FAVA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   sulla guida della città spagnola di Valencia, pubblicata dal Touring Club italiano, nella serie «Cartoville» nel 2009 e ristampata in anni successivi, si legge l'indicazione del ristorante sito in Avenida de Francia, il cui nome è «La Mafia se sienta a la mesa» (tradotto «La mafia si siede a tavola»);
   nella didascalia illustrativa si legge: «Quando la mafia si siede a tavola, il risultato è una cucina italiana curata; fotografie di mafiosi, pizza e pasta di tutti i colori e in tutte le salse; alla carta 20 euro»;
   la presenza in Spagna di diversi ristoranti appartenenti alla medesima catena è testimoniata non solo da questa paradossale segnalazione turistica (che successivamente il Touring Club ha promesso di rimuovere, ammettendo l'errore davvero clamoroso) ma anche dal sito Internet www.lamafia.es, che ha persino una pagina Facebook;
   si tratta all'evidenza di un'iniziativa imprenditoriale contraria ai più elementari principi di ordine pubblico e di tenuta democratica. A parti invertite, sarebbe come se in Italia aprisse un ristorante il cui nome recasse riferimenti all'ETA; peraltro, appare che le autorità spagnole trascurino drammaticamente la portata culturale e di costume che la tolleranza di questi ristoranti riveste, posto che il fenomeno mafioso — pur nelle sue declinazioni operative sempre mutevoli e adattabili — conserva viceversa un preciso e costante codice di comportamento, che include pubbliche posture, metodi di relazione, eloquio e apparato immaginifico, i quali viaggiano, talvolta in modo molto sottile, talora in modo ostentato, nelle abitudini sociali, quali a esempio il vestiario, il tipo di automobili e anche il convivio e il mangiar fuori;
   non si può escludere che — a prescindere dall'effettiva proprietà giuridica della catena — un certo implicito consenso a condurre una simile attività sia stato ottenuto dai gestori da parte dei vertici mafiosi italiani  –:
   se non ritenga di verificare, tramite la convocazione dell'ambasciatore spagnolo in Italia, quale livello di conoscenze sui fatti sia in possesso delle autorità spagnole e se queste non ritengano, nell'esercizio dei loro poteri autorizzativi, di intervenire – se non per la chiusura della catena – quantomeno per il cambio del nome. (4-06177)

  Risposta. — La presenza nella Penisola iberica di una catena di ristoranti dal nome «La mafia se sienta a la mesa» (La mafia si siede a tavola) è nota a questo Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che, anche per il tramite dell'Ambasciata d'Italia a Madrid, ha provveduto più volte e con modalità diverse a sensibilizzare le diverse competenti Autorità spagnole al fine di ottenere quantomeno una modifica del nome della catena dei ristoranti per l'evidente effetto denigratorio che l'attuale denominazione produce sull'immagine dell'Italia.
  In particolare, come già riferito dall'allora Ministro Mogherini alla Presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi, con lettera del 4 aprile 2014 sono stati effettuati a più riprese passi con il Ministero dell'industria, del turismo e del commercio spagnolo al fine di chiedere la revoca dell'autorizzazione all'utilizzo della parola «Mafia» nella ragione sociale della catena. La risposta è stata purtroppo negativa, non ravvisandosi gli estremi per un annullamento – giustificato dalle modalità di impiego del termine – del marchio già concesso.
  Si segnala, a tale riguardo, che le autorità spagnole hanno fatto di recente presente che la loro normativa non consente di intervenire, in quanto non viene ravvisato un collegamento diretto tra il termine «Mafia» e la Repubblica italiana. Il termine «Mafia», secondo le Autorità spagnole, identificherebbe «una qualunque organizzazione clandestina di criminali o semplicemente come un gruppo organizzato che cerca di difendere i propri interessi». Anche per tale motivo il nome della catena dei ristoranti non violerebbe pertanto la normativa spagnola sui marchi.
  Si fa inoltre presente che, come già riportato nella summenzionata lettera, in assenza di una normativa internazionale che disciplini la fattispecie, risultano altri marchi contenenti il termine «mafia» registrati non solo presso l'Ufficio marchi e brevetti spagnolo, ma anche presso l'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno dell'Unione europea.
  Un ulteriore, mirato intervento di sensibilizzazione è stato da ultimo effettuato nei confronti dell'Ambasciata spagnola in Italia, al fine di rappresentare il vivo disappunto del nostro Governo per la denigrazione dell'immagine dell'Italia che scaturisce dall'attività commerciale della catena di ristoranti ed a sollecitare l'adozione di misure idonee a rimuovere tale pregiudizio.
  Nella consapevolezza che la strategia commerciale adottata dall'azienda in questione rischia di fornire un'immagine «legittimata» del fenomeno della criminalità organizzata e alla luce della gravità di tali aspetti, si proseguirà ad approfondire le possibilità di interventi di sensibilizzazione a livello bilaterale ed europeo, che mettano in risalto i profili di ordine pubblico e di collaborazione internazionale contro la criminalità organizzata.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   FEDI, LA MARCA, PORTA, GIANNI FARINA e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il personale a contratto della rete diplomatico-consolare e degli istituti italiani di cultura in India vive una sostanziale condizione di blocco dei trattamenti economici;
   il Fondo di previdenza, introdotto nella normativa locale fin dal 1997, prevede un contributo nella misura del 12 per cento da corrispondersi sia da parte dei lavoratori sia da parte del datore di lavoro;
   l'Ambasciata, nel periodo compreso dal 1997 al 2010, versava tuttavia contributi solo nella misura del 10 per cento, per poi iniziare a corrispondere la percentuale prevista per legge unicamente a decorrere dal 2011;
   il calcolo dell'indennità di liquidazione, come da specifica comunicazione del Ministero degli esteri indiano in data 20 maggio 2011 e accordato al personale a legge locale anche dalle altre rappresentanze diplomatiche ed organizzazioni internazionali, avviene tuttora sul salario di 15 giornate lavorative anziché sull'intero salario mensile, nonostante la richiesta del Governo indiano;
   si registra inoltre una evidente anomalia nel calcolo della tredicesima mensilità che, secondo il contratto del personale a legge locale deve essere costituita da una specifica mensilità aggiuntiva e non può invece essere spalmata sulle dodici mensilità –:
   quali misure urgenti il Ministro interrogato, di concerto con gli altri Ministri competenti, intenda adottare affinché si allineino i trattamenti retributivi a quelli medi corrisposti localmente da altre rappresentante diplomatiche e consolari;
   quali misure urgenti si intenda adottare affinché si rettifichino, nel pieno rispetto delle norme locali, i sistemi di calcolo della indennità di liquidazione;
   quali misure urgenti si intenda adottare per arrivare ad un conguaglio relativamente al 2 per cento non versato, per 13 anni, al fondo integrativo obbligatorio;
   quali misure urgenti il Ministro interrogato, di concerto con gli altri Ministri competenti per materia, intenda adottare affinché si proceda alla piena adozione del sistema di calcolo e di pagamento della tredicesima mensilità, così come previsto dalla norme locali e così come adottato dalla altre rappresentanze consolari e diplomatiche locali. (4-06399)

  Risposta. — Per il trattamento retributivo, si ritiene che il personale a contratto della rete diplomatico-consolare e istituti di cultura in India non viva una «sostanziale condizione di blocco dei trattamenti economici». Esso ha beneficiato dal 2001 ad oggi di regolari e consistenti aumenti retributivi (2001, 2005, 2007 per tutti; 2010 impiegati con mansioni di concetto ed esecutivi, con la sola esclusione degli ausiliari), nonostante le ristrette disponibilità del relativo capitolo.
  L'ultimo aumento retributivo ha avuto efficacia dal 1 dicembre 2013, con un aumento del 10 per cento per gli impiegati con mansioni di concetto ed esecutivo e del 18 per cento per quelli con mansioni ausiliarie.
  Come risultato finale, il valore della retribuzione annua base in euro (esclusi gli assegni per il nucleo familiare) è cresciuto dal 2001 ad oggi come segue:
   concetto: da 3.093 euro a 14.049 euro;
   esecutivi: da 2.475 euro a 8.742 euro;
   ausiliari: da 1.547 euro a 4.885 euro.

  Il pagamento degli stipendi in euro ha inoltre permesso di limitare gli effetti negativi dell'inflazione in India, considerando che dal 2010 l'euro si è apprezzato rispetto alla rupia del 33 per cento.
  Eventuali ulteriori richieste di aumenti dall'India, come da altre sedi, verranno vagliate con la dovuta attenzione dall'Amministrazione, sulla base dei criteri stabiliti dall'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967 e nel rispetto degli stretti limiti di bilancio.
  L'Amministrazione conduce un continuo esercizio di revisione dei contratti di lavoro, modificandoli per renderli rispondenti alla normativa imperativa locale, sulla base dell'articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967. L'esistenza di norme imperative è il criterio essenziale sul quale giudicare le proposte di modifica. Questo esercizio è stato condotto anche per i contratti indiani a fine 2013. Sono state introdotte alcune modifiche ai contratti. È stato eliminato, per esempio, con decorrenza 20 febbraio 2014, l'obbligo per gli impiegati di contribuire nella misura del 40 per cento alla polizza sanitaria ed infortunistica, che non trovava giustificazione nella normativa imperativa indiana.
  In relazione all'indennità di liquidazione, la normativa indiana imperativa prevede come base per il calcolo della liquidazione la retribuzione relativa ad un periodo di 15 giorni per ogni anno di servizio. Mancando quindi una norma locale che giustifichi un calcolo diverso della liquidazione, la modifica contrattuale non potrebbe superare il vaglio della Ragioneria.
  Per quanto al fondo di previdenza, posto che la normativa indiana non prevede obblighi in materia previdenziale in capo alle rappresentanze straniere, gli impiegati dispongono di un fondo previdenziale, gestito direttamente dall'Ambasciata, con contributi di pari entità versati dall'amministrazione e dai lavoratori. Su richiesta dei dipendenti, a partire da quest'anno, gli accantonamenti avvengono in euro e non più in rupie, con innegabili benefici in termini di difesa del valore del fondo nel tempo. Nel 2011 il contributo sul fondo per i dipendenti dell'ambasciata era stato aumentato dal 10 per cento al 12 per cento sulla base di un accordo tra le parti, ma senza effetti retroattivi per il periodo 1997-2010, in considerazione del fatto che gli stessi impiegati non erano uniformemente favorevoli al pesante esborso da sostenere. Si ritiene quindi che la richiesta di pagamento retroattivo della quota maggiorata per il pregresso sia oggi di difficile realizzazione, in assenza di una norma imperativa indiana e della prevedibile opposizione degli organi di controllo all'aumento di spesa.
  Infine avendo riguardo alla tredicesima, come nella gran parte della rete estera, lo stipendio mensile comprende anche la tredicesima, ripartita su dodici mensilità.
  La Farnesina, come da proposta già formalmente avanzata, è disponibile a scorporare la tredicesima come richiesto dai dipendenti e a corrisponderla separatamente, senza aumento però della retribuzione annua.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   FRUSONE, TOFALO, CORDA, BASILIO, ARTINI, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   un comunicato della NATO Support Agency (NSPA) del 23 ottobre 2013 informava che la medesima agenzia aveva stipulato un contratto per una durata iniziale di tre anni del valore di circa 7 milioni di euro l'anno per la manutenzione dei velivoli Airbus 319 in servizio presso il 31° stormo dell'Aeronautica militare italiana e destinati prevalentemente al trasporto di Stato;
   una precedente gara con il medesimo oggetto, indetta dalla 2° divisione del comando logistico dell'Aeronautica militare, pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale dell'8 agosto 2011, non era stata aggiudicata per mancanza di offerte valide;
   nel primo semestre 2013, la NSPA aveva anche firmato per conto del Ministero della difesa un contratto del valore di 255 mila euro con la filiale italiana della società di consulenza PricewaterhouseCoopers Advisory SpA per non meglio precisati servizi di «rationalization & innovation», come specificato nel documento Purchase Orders awarded by NSPA with a value of 76,800 and abovePeriod: 1° January 2013-30 June 2013, pubblicato sul sito della stessa agenzia;
   quest'ultimo contratto si riferirebbe a una consulenza relativa alla riorganizzazione delle direzioni generali del Ministero che curano la gestione del personale militare in previsione di un loro possibile transito dall'area tecnicoamministrativa all'area tecnico-operativa;
   la NSPA, agenzia NATO con sede operativa a Capellen in Lussemburgo, fornisce servizi logistici per conto dell'organizzazione nordatlantica oltre a supportare alcuni programmi di armamento comuni;
   i contratti in parola, relativi alla manutenzione degli Airbus dell'Aeronautica e la consulenza relativa alla ristrutturazione di uffici ministeriali, riguardano servizi che non rientrano nelle competenze della NATO e interessano attività di esclusivo interesse nazionale –:
   quale sia l'oggetto specifico e il contenuto del contratto sottoscritto dalla NATO Support Agency in nome e per conto del Ministero della difesa con la società PricewaterhouseCoopers spa;
   quali siano i motivi che hanno indotto il Ministero a far intervenire la medesima agenzia per affidare i servizi di manutenzione dei velivoli Airbus 319 del 31° Stormo nonostante fosse già stata avviata una procedura concorsuale nazionale che, anche se non assegnata in un primo tempo, avrebbe potuto essere ripetuta com’è già avvenuto innumerevoli volte;
   per quale motivo il Ministero abbia ritenuto di ricorrere alla mediazione della NATO Support Agency per svolgere dei bandi di gara di interesse esclusivamente nazionale dove non sono coinvolte attività NATO o internazionali;
   quanti e quali altri contratti siano stati gestiti negli ultimi due anni dalla stessa agenzia per conto o a favore del Ministero della difesa;
   quali siano le norme che autorizzano e i criteri che regolano il ricorso ai servizi della NATO Support Agency anche nel caso in cui le acquisizioni di beni o servizi non si riferiscano ad attività multinazionali.
(4-02988)

  Risposta. — Con l'accordo tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero della difesa, registrato alla Corte dei Conti il 29 settembre 2006, è stato dato mandato all'Aeronautica militare di effettuare la gestione operativa, tecnica e finanziaria della flotta dei velivoli per il trasporto di Stato e umanitario, tra i quali sono compresi 3 vettori Airbus A319, in versione corporate jet (CJ).
  In virtù di tale accordo, il comando logistico dell'Aeronautica militare provvede ad assicurare il supporto industriale alla flotta dei velivoli in argomento con appositi provvedimenti amministrativi.
  Tra questi, il contratto n. 355/CL2 di Rep., del 29 dicembre 2011, stipulato con il raggruppamento temporaneo d'imprese (RTI) costituito dalle ditte Alitalia Cai e Atitech, a seguito di procedura negoziata con pubblicazione del bando, di importo pari a euro 7.025.790, ha consentito di coprire le esigenze della linea fino al marzo 2013.
  Il supporto industriale è stato esteso fino a giugno 2013 con l'aumento nei limiti del quinto del contratto, per un importo pari ad euro 1.400.000.
  La Corte dei Conti, nel comunicare in data 26 aprile 2012 l'approvazione del contratto 355/CL2, ha evidenziato che la clausola contrattuale che consentiva all'ente militare di esercitare l'opzione della ripetizione del servizio per i tre anni successivi (ex articolo 57, comma 5, lettera
b), del decreto legislativo n. 163 del 2006), non fosse suscettibile di futura applicazione, in quanto il servizio, pur conforme al progetto di base presentato dal RTI, non era stato aggiudicato con procedura aperta o ristretta.
  Contestualmente, l'incertezza di una sicura assegnazione di fondi sui capitoli finanziari di pertinenza nel corso dell'esercizio finanziario 2012 non ha consentito all'amministrazione militare di procedere con un nuovo bando di gara per l'affidamento delle prestazioni mediante una procedura accelerata.
  In ragione di ciò, al fine di assicurare comunque l'operatività della flotta in oggetto senza soluzione di continuità anche oltre il 30 giugno 2013, il comando logistico si è avvalso dei servizi della
Nato support agency (NSPA) per la stipula di un contratto a seguito di aggiudicazione attraverso gara internazionale.
  Tutto in piena correttezza, in quanto le Forze armate italiane possono avvalersi dei servizi offerti da NSPA in virtù dell'atto costitutiva della NSPO
(NATO Support Organisation, di cui l'agenzia NSPA fa parte), denominato charter, approvato nel giugno 2012 dal consiglio atlantico della NATO (North Atlantic Council).
  Nell'atto costitutivo si precisa, infatti, che la missione di NSPO è fornire servizi e supporto logistico agli Stati membri, collettivamente e individualmente, anche in tempo di pace, per massimizzare la capacita e flessibilità delle Forze armate.
  Queste ultime, nel caso di specie, comprendono nel proprio strumento militare anche i tre velivoli Airbus A319 della flotta di Stato, immatricolati come aeromobili militari.
  In tale contesto, il comando logistico dell'Aeronautica militare ha dato mandato alla NSPA, attraverso
Letter of Requisition, di finalizzare, tramite gara, un accordo quadro che prevedesse la fornitura delle prestazioni di supporto industriale alla flotta dei velivoli per un periodo di tre anni, con opzione per ulteriori due.
  È prevista dall'accordo la facoltà della NSPA di stipulare con la ditta aggiudicataria ordini di acquisto (Purchase Orders) di durata annuale, che definiscono nel dettaglio le prestazioni necessarie per garantire il supporto alla flotta in quel periodo.
  La gestione delle operazioni manutentive mediante ordini di acquisto annuali, i cui contenuti sono determinati dallo stesso ente militare, sulla base dell'effettiva assegnazione delle ore di volo, consente di disporre di una maggiore flessibilità nella gestione dei contratti di competenza.
  In tal modo si può garantire, infatti, una diretta correlazione tra l'attività di volo effettuata e i costi sostenuti, legati esclusivamente alle prestazioni effettivamente svolte senza alcuna limitazione o vincolo per la Difesa.
  Con riferimento, invece, ai contratti intervenuti con la società Price Waterhouse Cooper, si partecipa che la stessa, altamente specializzata nello sviluppo di progetti di analisi e ingegnerizzazione dei processi decisionali, era stata incaricata dal Segretariato generale di svolgere un'attività propedeutica di studio e di approfondimento di soluzioni organizzative presso alcune direzioni generali, al fine di procedere ai progetti di riordino previsti dalla legge di revisione dello strumento militare, i cui risultati sono stati consegnati all'amministrazione militare nel novembre 2013.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   FRUSONE, DI BATTISTA, ARTINI, RIZZO, BASILIO, CORDA, PAOLO BERNINI, ALBERTI, RUOCCO, BARBANTI, BATTELLI, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SPADONI, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 – «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria» – convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (in Gazzetta Ufficiale 16 luglio 2011, n. 164), rubricato «Aerei blu» prevede che «I voli di Stato devono essere limitati al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della Corte costituzionale» (comma 1) e che «(e)ccezioni rispetto a questa regola devono essere specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali, e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato»;
   in conformità alla predetta disposizione, con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011, viene specificato che «il trasporto aereo di Stato fornisce supporto all'espletamento delle funzioni istituzionali delle più elevate autorità, alla tutela della sicurezza nazionale, e ... concorre alla protezione dei soggetti esposti a minaccia o pericolo, alla salvaguardia della vita umana e della salute»;
   la direttiva, all'articolo 8, stabilisce che «la Presidenza del Consiglio dei ministri costituisce il centro di riferimento per la gestione amministrativa, tecnica e finanziaria, nonché sede di coordinamento unitario del trasporto aereo di Stato in ogni sua forma»;
   la stessa direttiva chiarisce che l'eccezione alla regola di cui al comma 1 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 98 del 2011 consiste nella possibilità di disporre il trasporto aereo di Stato per i componenti del Governo e per le delegazioni ufficiali degli organi costituzionali purché autorizzate dal sottosegretario di Stato – specificamente delegato dal Presidente del Consiglio dei ministri, su segnalazione e parere del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri – nonché a condizione che sussistano «comprovate, imprevedibili ed urgenti esigenze di trasferimento connesse all'efficace esercizio delle funzioni istituzionali e l'impossibilità di provvedere ai trasferimenti con voli di linea» nonché «l'accertata indisponibilità di altre modalità di trasporto compatibili con lo svolgimento di dette funzioni»;
   una volta autorizzato il volo si procede alla pubblicazione, con cadenza mensile, sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei ministri con l'indicazione della data di effettuazione, del soggetto destinatario e delle motivazioni;
   da una segnalazione ricevuta gli interroganti hanno appreso che il Ministro della difesa, Senatrice Roberta Pinotti, in data 5 settembre 2014 ha usufruito, nella qualità di passeggera, di un volo del 31° stormo;
   in particolare si è trattato di un Falcon 50 in servizio presso il 31° Stormo di Ciampino (Roma), il quale, con a bordo il Ministro interrogato, ha percorso la tratta Ciampino – Sestri arrivando a destinazione alle 20,15 UTC ed è immediatamente ritornato a Ciampino;
   per quanto risulta agli interroganti il Ministro Pinotti risiede proprio nel genovese;
   ai sensi dell'articolo 744, comma 1, del codice della navigazione «(s)ono aeromobili di Stato gli aeromobili militari e quelli, di proprietà dello Stato, impiegati in servizi istituzionali delle Forze di polizia dello Stato, della Dogana, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del Dipartimento della protezione civile o in altro servizio di Stato» e il successivo articolo 746, comma 4, stabilisce che «(c)on decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti i criteri e le modalità per l'attribuzione della qualifica di volo di Stato all'attività di volo esercitata nell'interesse delle autorità e delle istituzioni pubbliche»;
   la citata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011, all'articolo 11, ricorda che la qualifica di volo di Stato è attribuita ad aeromobili civili e militari secondo i criteri e con le modalità previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 gennaio 2008 (emanato proprio ai sensi del predetto articolo 746, comma 4, del codice della navigazione);
   il 31° stormo «Carmelo Raiti» è uno stormo dell'Aeronautica militare – il cui comando è situato all'interno dell'aeroporto di Roma-Ciampino – con il compito principale di assicurare il trasporto delle autorità dello Stato, trasporti sanitari d'urgenza di ammalati, di traumatizzati gravi e di organi per trapianti, voli per esigenze umanitarie, nonché per interventi a favore di persone comunque in situazioni di rischio;
   dalla segnalazione ricevuta dagli interroganti emerge che il predetto Falcon 50 stava effettuando un volo di addestramento tra Ciampino e Sestri;
   nel caso in cui la segnalazione pervenuta agli interroganti fosse confermata ed ove l'utilizzo dell'aereo di Stato sia avvenuto in assenza della prescritta autorizzazione, ciò si tradurrebbe in un'evidente e grave violazione della normativa vigente e comunque in un suo palese ed ingiustificato aggiramento;
   ciò sarebbe ancor più grave in considerazione del fatto che sarebbe stato un Ministro della Repubblica ad aver agito al di fuori della legalità e ad aver usufruito di un «aereo blu» destinato oltre che a fini istituzionali, anche a scopi umanitari e sanitari –:
   se corrisponda al vero che il Ministro della difesa Roberta Pinotti fosse a bordo del volo di cui in premessa che ha percorso, in data 5 settembre 2014, la tratta da Ciampino a Sestri;
   se il volo di cui in premessa, che ha percorso, in data 5 settembre 2014, la tratta da Ciampino a Sestri, con a bordo il Ministro Roberta Pinotti, sia stato autorizzato ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 – «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria» – convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 ed ai sensi della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011;
   se, nel caso in cui il predetto volo sia stato regolarmente autorizzato, non si intenda chiarire nel dettaglio le comprovate, imprevedibili ed urgenti esigenze di trasferimento connesse all'efficace esercizio delle funzioni istituzionali e l'impossibilità di provvedere ai trasferimenti con voli di linea nonché «l'accertata indisponibilità di altre modalità di trasporto compatibili con lo svolgimento di dette funzioni di cui all'articolo 2, comma 3, della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011;
   se il Falcon 50 di cui in premessa stesse effettuando un volo di addestramento tra Ciampino e Sestri e se l'attività di volo dell'aeromobile in questione rivesta la qualifica di volo di Stato ai sensi dell'articolo 746, comma 4, del codice della navigazione e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 gennaio 2008;
   se non si intenda fornire tutti i dati e le informazioni relative al numero di voli di addestramento effettuati tra Ciampino e Sestri almeno negli ultimi 5 anni. (4-06163)

  Risposta. — Comunico, a premessa, che la risposta all'interrogazione in esame viene fornita ora, a conosciuto esito delle attente verifiche che sono state effettuate dagli uffici competenti e, soprattutto, ad avvenuta archiviazione dei tre diversi procedimenti giurisdizionali istruiti presso le magistrature ordinaria, militare e contabile, due dei quali attivati dall'esponente, peraltro in modo eclatante e volutamente diffamatorio nei confronti del Ministro e della Forza armata.
  Infatti, per ultimo, il 17 dicembre 2014, il tribunale dei ministri, su conforme proposta della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, ha archiviato la denuncia degli onorevoli Di Battista e Frusone. Prima di esso, il 10 dicembre, aveva archiviato la procura regionale della Corte dei Conti, anch'essa direttamente adita dai due parlamentari citati. La decisione era stata, a sua volta, preceduta dall'archiviazione, avvenuta il 5 dicembre, del tribunale militare di Roma, su conforme proposta del pubblico ministero, che aveva ritenuto di promuovere un'autonoma indagine.
  Tutte le magistrature, concordi, hanno rilevato la piena regolarità dell'impiego del volo addestrativo (non «volo di Stato» come strumentalmente affermato dagli interroganti e da un organo di stampa poi ripreso da alcuni altri mezzi di informazione) escludendo qualsiasi violazione di legge, di regolamento o di disciplina interna. È stato, pertanto, confermato in modo incontrovertibile che il volo non ha comportato alcun costo indebito o improprio per l'amministrazione statale, ma, al contrario, un risparmio. Questo conferma, per qualsiasi persona scevra da pregiudizi (o, peggio, da intenti propagandistici), non solo il mio atteggiamento corretto e irreprensibile, che ha condotto a un vantaggio oggettivo per le casse erariali, ma anche l'adeguatezza dei comportamenti formali e sostanziali adottati nella fattispecie – come in tante analoghe del passato recente o remoto – dagli uffici competenti nei confronti dei miei predecessori.
  Viene così completamente vanificato di effetti il chiaro intento diffamatorio perseguito dagli autori della illecita diffusione di documenti riservati per ragioni di sicurezza (quali i piani di volo di aeromobili militari, sottoposti ai previsti controlli, ordinari e straordinari, per la verifica della legittimità e della correttezza sotto ogni profilo) e dagli autori dell'interrogazione e delle denunce.
  Mi preme sottolineare che questa vicenda, che mi ha visto coinvolta mio malgrado, mi ha molto amareggiato. Io sono particolarmente attenta all'uso delle risorse pubbliche e sto attuando una puntuale «Spending review» nel mio Dicastero. Quella sera tornavo da un vertice NATO in Galles e c'era un volo addestrativo dell'Aeronautica in partenza da Ciampino: sarebbe partito ugualmente, con me o senza di me. La questione è definitivamente chiarita in questi termini e chi ha aperto questa pagina calunniosa ne risponderà in ogni competente sede, a cominciare dal giudizio dei cittadini.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la problematica della tutela del patrimonio culturale ed archeologico in particolare in Italia assume, oggi più che mai, una grande rilevanza nell'ottica di una ripresa economica dell'intera Nazione, che fa delle bellezze culturali una delle sue migliori caratteristiche;
   a breve comincerà la discussione generale alla Camera del disegni di legge di ratifica della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, firmata nel 1992 dagli Stati membri del Consiglio d'Europa. Molti Paesi europei hanno già approvato tale provvedimento che ha portato a importanti progressi nella tutela del patrimonio archeologico, mentre l'Italia, che potrebbe fare del proprio patrimonio una tra le più importanti risorse economiche e turistiche, non ha ancora provveduto alla ratifica, a oltre vent'anni di distanza, ponendosi così in notevole ritardo rispetto agli altri Paesi;
   fonti stampa (la Repubblica 24 settembre 2014 pagina 29) e colloqui informali con la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, si apprende che a poca distanza da San Gimignano, frazione di Aiano-Torraccia di Chiusi è stato riportato alla luce un sito archeologico di enorme valore, una villa romana del terzo secolo dopo Cristo, dimora di un nobile romano. La scoperta monumentale consiste in 2.500 metri quadri di scavo su un totale di 10.000 metri quadri;
   il ritrovamento, tuttavia, insiste su un terreno di proprietà privata, appartenente ad un cittadino italiano, interessato da un procedimento giudiziario da parte del tribunale di Siena, che potrebbe comportare la messa all'asta di tutti i beni, compreso il ritrovamento archeologico. Da quasi 3 anni, anche per tale causa, gli scavi sono sospesi ed il sito versa in uno stato di abbandono, tra teloni di plastica ed erbacce che coprono i mosaici, e la minaccia di un eventuale sotterramento del ritrovamento archeologico;
   per i lavori di scavo, protrattisi per 7 anni dal 2005 al 2012, il soggetto promotore, formato dall'università cattolica di Lovanio in Belgio, la Fondazione Monte Paschi Siena, l'università di Firenze ed il comune di San Gimignano, ha già speso 220.000 euro. Queste risorse finora investite potrebbero andare perse se la Soprintendenza ai beni archeologici della Toscana, con l'intento di proteggere il sito dai fattori logoranti, dovesse ordinarne il rinterro, come ha dichiarato il professor Marco Cavalieri, direttore scientifico della missione e docente di archeologia romana a Lovanio. Il rinterro, per giunta, comporterebbe un ulteriore aggravio di costi stimato in 20.000 euro;
   il comune di San Gimignano ha stanziato 40.000 euro per attivare la procedura di esproprio per pubblica utilità, ma questa ipotesi è finora apparsa impraticabile. Si è paventata, altresì, l'ipotesi di una acquisizione del terreno per la progettazione di un parco archeologico, ma anche in questo caso è necessario un progetto esecutivo e finanziato per sbloccare l’impasse –:
   quali elementi possa fornire il Ministro interrogato in merito alla vicenda esposta in premessa e cosa intenda fare, per quanto di competenza per assicurare, anche nel breve termine la salvaguardia del ritrovamento archeologico nei pressi di San Gimignano dagli effetti logoranti del tempo e per evitare che i fondi già investiti nei lavori finora effettuati vadano tristemente sprecati. (4-06414)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede notizie riguardo all'area archeologica situata presso Aiano-Torraccia di Chiusi, nel comune di San Gimignano (Siena) con particolare riferimento al contenzioso giudiziario in corso e alla tutela, conservazione e valorizzazione della villa romana rinvenuta nel sito, si comunica quanto segue.
  La villa oggetto dell'interrogazione in esame è stata individuata negli anni settanta del XX secolo, grazie alle segnalazioni di appassionati locali e all'opera del personale tecnico scientifico della soprintendenza per i beni archeologici della Toscana.
  L'area, a seguito del rinvenimento, fu dichiarata di interesse culturale con decreto ministeriale del 9 febbraio 1977. Da allora, l'attenzione degli uffici di questo Ministero per tale bene è sempre stata viva, in rapporto con il comune e la direzione scientifica degli scavi, per individuare le soluzioni più opportune ai fini della sua tutela e valorizzazione.
  Nel 2005 è stato avviato un progetto di scavo estensivo della struttura, ad opera del
Département d'archèologie et histoire de l'art dell'Universitè catholique de Louvain, in qualità di titolare di concessione di scavo, e sotto la responsabilità scientifica del professor Marco Cavalieri.
  Le ricerche hanno consentito di portare parzialmente alla luce una grande villa residenziale, attiva a partire dal III sec. d.C. In base a quanto emerso è possibile affermare che le prime, fasi insediative siano pertinenti a un edificio di grande impegno architettonico, appartenente a un personaggio di alto rango, forse vicino alla corte imperiale. Allo stato attuale delle conoscenze non vi è tuttavia la possibilità di indicare la carica rivestita dal proprietario della villa.
  Ad una fase del IV secolo d. C. appartengono i mosaici pavimentali, eseguiti in opera cementizia a base litica, ovvero con tessere in pietra allettate in uno stato di conglomerato cementizio. I mosaici decorano l'ambiente più importante della villa, una grande aula triabsidata, ed occupano una superficie di circa ottanta metri quadri.
  Il progetto di scavo è stato finanziato, in massima parte, da fondi messi a disposizione dall'università di Lovanio e il lavoro sul campo è stato prevalentemente svolto da studenti del suddetto ateneo e da studenti della scuola di specializzazione in archeologia dell'università degli studi di Firenze, che hanno offerto la loro opera gratuitamente.
  In occasione della richiesta di rinnovo della concessione di scavo per l'anno 2013, l'ente concessionario, per il tramite del responsabile del progetto, professor Cavalieri, ha comunicato l'impossibilità di fornire alla soprintendenza archeologica la documentazione relativa al pagamento dell'indennizzo di occupazione temporanea e la dichiarazione di rinuncia al premio di rinvenimento, previsto dall'articolo 92 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Entrambi i documenti sono necessari per ottenere il rinnovo della concessione di scavo, secondo quanto previsto dalle disposizioni impartite dalla direzione generale per le antichità (circolari n. 24 del 2012 e n. 8 del 2013).
  L'ente concessionario non ha ritenuto di avvalersi della possibilità di assumersi direttamente gli oneri derivanti dall'eventuale richiesta di rinvenimento da parte del proprietario, secondo quanto previsto dalla citata circolare 8 del 2013. Conseguentemente, la direzione generale per le antichità, con nota n. 5053 del 24 maggio 2013, ha comunicato il diniego del rinnovo della concessione per l'anno 2013. In seguito non sono pervenute ulteriori richieste di concessione da parte dell'ente che non risulta, dunque, aver titolo ad eseguire alcun tipo di attività all'interno dell'area di scavo.
  Il sito attualmente è protetto da recinzione, le strutture sono parzialmente rinterrate e comunque protette con teli di protezione di vario tipo e non sono visibili fenomeni di dissesto e degrado delle murature. I mosaici sono adeguatamente protetti e non sono esposti alla vista.
  Il contenzioso giudiziario in corso riguarda un'azienda agricola. Ad oggi, secondo quanto comunicato dal tribunale di Siena alla soprintendenza archeologica della Toscana (nota n. 15405 del 6 ottobre 2014) non risulta aperta alcuna procedura di fallimento a carico né dell'azienda agricola, né del suo titolare. È in atto, invece, una procedura di esecuzione immobiliare, con pignoramento di terreni di proprietà dell'azienda, che comprendono anche la villa romana.
  La soprintendenza, d'accordo con l'amministrazione comunale, aveva già valutato, in considerazione della monumentalità del sito e della presenza di caratteristiche di gran rilievo (l'aula triloba, la decorazione pavimentale in
opus signinum, le fornaci) una musealizzazione dell'area, finalizzata alla pubblica fruizione, visto anche il suo inserimento in un contesto paesaggistico di pregio e la sua prossimità con la via Francigena.
  A tale scopo il comune, con delibera n. 63 del 29 novembre 2010 del consiglio comunale, ha stanziato 38.000,00 euro per acquistare l'area su cui insiste lo scavo. Successivamente alla delibera, l'area è stata oggetto di frazionamento, registrato all'agenzia del territorio in data 7 luglio 2011, allo scopo di individuare catastalmente le porzioni di terreno interessate dagli scavi. A seguito di ciò il tribunale di Siena, con l'accordo dei creditori, ha stralciato, dal lotto oggetto di asta pubblica, l'area oggetto di frazionamento (consistente nelle particelle catastali 175, 177 e 178 del foglio 126) che, di conseguenza, è stata esclusa dalla vendita giudiziaria.
  Il comune ha, successivamente, tentato di acquistare direttamente il terreno, tramite trattativa privata, ma senza riuscirvi per l'opposizione di un creditore. Attualmente il comune ha riavviato nuovi contatti con le parti interessate, per arrivare ad un accordo sulla cessione dell'area.
  Da ultimo, la soprintendenza ha comunicato che il 5 novembre 2014 si è tenuta, presso il tribunale di Siena, un'udienza, nel corso della quale, davanti al giudice dell'esecuzione immobiliare, è stata espressa la disponibilità alla cessione, a titolo oneroso, delle particelle della zona archeologica, a fronte della confermata disponibilità del sindaco di San Gimignano all'acquisto.
  Il giudice dell'esecuzione, pertanto, acclarata la disponibilità alla liberazione delle particelle della zona archeologica, ha invitato a regolarizzare la cessione delle particelle interessate dall'area archeologica entro la fine dell'anno e a comunicarne l'eventuale data, al fine di procedere alla restrizione del pignoramento, rinviando all'udienza del 7 ottobre 2015 la vendita e all'udienza del 21 ottobre 2015 la vendita con incanto.
  L'area sottoposta a vendita giudiziaria è, comunque, interessata dal vincolo diretto, imposto con il decreto ministeriale sopra citato. Pertanto, qualora ne ricorrano le condizioni, anche detta area potrà essere acquisita al demanio pubblico, mediante l'esercizio del diritto di prelazione (articoli 59-62 del decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42), anche a favore del comune di San Gimignano.
  Infine, si ritiene utile sottolineare come, nel quadro delle azioni da intraprendere al fine di salvaguardare il sito, l'eventuale rinterro è finalizzato alla salvaguardia di un bene culturale, altrimenti a rischio di degrado, in tutti quei casi in cui non sia possibile assicurare in modo differente la protezione e la conservazione di un sito, in attesa che sia possibile mettere in atto progetti di valorizzazione dell'area.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il conflitto armato che ha avuto luogo nei territori dell'est dell'Ucraina ha finora registrato circa 2.000 vittime, la maggior parte delle quali sono stati civili bombardati nelle proprie case o uccisi da truppe di terra appartenenti a differenti fazioni antagoniste fra loro;
   secondo un recente report di Amnesty International, dall'inizio del conflitto, diverse sono state le esecuzioni di massa a cui fa seguito la presenza di molteplici fosse comuni ad esse riconducibili, mentre in più occasioni sono stati riscontrati segni di tortura sui corpi rinvenuti, evidenziando pertanto nettamente la brutalità dei trattamenti inferti alle vittime anche prima dell'esecuzione;
   secondo lo statuto di Roma, all'articolo 7 per crimine contro l'umanità si intende, se commesso nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco:
    a) omicidio;
    b) sterminio;
    c) riduzione in schiavitù;
    d) deportazione o trasferimento forzato della popolazione;
    e) imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale;
    f) tortura;
    g) stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità;
    h) persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale ai sensi del paragrafo 3, o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permissibili ai sensi del diritto internazionale, collegate ad atti preveduti dalle disposizioni del presente paragrafo o a crimini di competenza della Corte;
    i) sparizione forzata delle persone;
    j) apartheid;
    k) altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all'integrità fisica o alla salute fisica o mentale;
   relativamente alle vittime civili, cadute principalmente nelle regioni del Donesk e Lugansk, potrebbe sussistere un principio territoriale se non addirittura etnico, eventualmente valutabile come genocidio stando almeno all'articolo 6 dello Statuto di Roma secondo cui:
    «s'intende uno dei seguenti atti commessi nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, e precisamente:
   a) uccidere membri del gruppo;
   b) cagionare gravi lesioni all'integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo;
   c) sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso;
   d) imporre misure volte ad impedire le nascite in seno al gruppo;
   e) trasferire con la forza bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso»;
   la Corte ha competenza sui crimini di guerra, intesi come:
    a) gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire uno dei seguenti atti posti in essere contro persone o beni protetti dalle norme delle Convenzioni di Ginevra:
   I) omicidio volontario;
   II) tortura o trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici;
   III) cagionare volontariamente grandi sofferenze o gravi lesioni all'integrità fisica o alla salute;
   IV) distruzione ed appropriazione di beni, non giustificate da necessita militari e compiute su larga scala illegalmente ed arbitrariamente;
   V) costringere un prigioniero di guerra o altra persona protetta a prestare servizio nelle forze armate di una potenza nemica;
   VI) privare volontariamente un prigioniero di guerra o altra persona protetta del suo diritto ad un equo e regolare processo;
   VII) deportazione, trasferimento o detenzione illegale;
   VIII) cattura di ostaggi;
    b) Altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all'interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali, vale a dire uno dei seguenti atti:
   I) dirigere deliberatamente attacchi contro popolazione civili in quanto tali o contro civili che non prendano direttamente parte alle ostilità;
   II) dirigere deliberatamente attacchi contro proprietà civili e cioè proprietà che non siano obiettivi militari;
   III) dirigere deliberatamente attacchi contro personale, installazioni materiale, unità o veicoli utilizzati nell'ambito di una missione di soccorso umanitario o di mantenimento della pace in conformità della Carta delle Nazioni Unite, nella misura in cui gli stessi abbiano diritto alla protezione accordata ai civili ed alle proprietà civili prevedute dal diritto internazionale dei conflitti armati;
   IV) lanciare deliberatamente attacchi nella consapevolezza che gli stessi avranno come conseguenza la perdita di vite umane tra la popolazione civile, e lesioni a civili o danni a proprietà civili ovvero danni diffusi, duraturi e gravi all'ambiente naturale che siano manifestamente eccessivi rispetto all'insieme dei concreti e diretti vantaggi militari previsti;
   V) attaccare o bombardare con qualsiasi mezzo, città, villaggi, abitazioni o costruzioni che non siano difesi e che non costituiscano obiettivi militari;
   VI) uccidere o ferire combattenti che, avendo deposto le armi o non avendo ulteriori mezzi di difesa, si siano arresi senza condizioni;
   VII) fare uso improprio della bandiera bianca, della bandiera o delle insegne militari e dell'uniforme del nemico o delle Nazioni Unite nonché degli emblemi distintivi della Convenzione di Ginevra, cagionando in tal modo la perdita di vite umane o gravi lesioni personali;
   VIII) il trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione o il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all'interno o all'esterno di tale territorio;
   IX) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari, a monumenti storici, a ospedali e luoghi dove sono riuniti i malati ed i feriti, purché tali edifici non siano utilizzati per fini militari;
   X) assoggettare coloro che si trovano in potere del nemico a mutilazioni fisiche o ad esperimenti medici o scientifici di qualsiasi tipo, non giustificati da trattamenti medici delle persone coinvolte né compiuti nel loro interesse, che cagionano la morte di tali persone o ne danneggiano gravemente la salute;
   XI) uccidere o ferire a tradimento individui appartenenti alla nazione o all'esercito nemico;
   XII) dichiarare che nessuno avrà salva la vita;
   XIII) distruggere o confiscare beni del nemico, a meno che la confisca o la distruzione non siano imperativamente richieste dalle necessità della guerra;
   XIV) dichiarare aboliti, sospesi od improcedibili in giudizio diritti ed azioni dei cittadini della nazione nemica;
   XV) costringere i cittadini della nazione nemica, anche se al servizio del belligerante prima dell'inizio della guerra, a prendere parte ad operazioni di guerra dirette contro il proprio paese;
   XVI) saccheggiare città o località, ancorché prese d'assalto;
   XVII) utilizzare veleno o armi velenose;
   XVIII) utilizzare gas asfissianti, tossici o altri gas simili e tutti i liquidi, materiali e strumenti analoghi;
   XIX) utilizzare proiettili che si espandono o si appiattiscono facilmente all'interno del corpo umano, quali i proiettili con l'involucro duro che non ricopre interamente la parte centrale o quelli perforati ad intaglio;
   XX) utilizzare armi, proiettili, materiali e metodi di combattimento con caratteristiche tali da cagionare lesioni superflue o sofferenze non necessarie, o che colpiscano per loro natura in modo indiscriminato in violazione del diritto internazionale dei conflitti armati a condizione che tali mezzi siano oggetto di un divieto d'uso generalizzato e rientrino tra quelli elencati in un allegato al annesso al presente Statuto, a mezzo di un emendamento adottato in conformità delle disposizioni in materia contenute negli articoli 121 e 123;
   XXI) violare la dignità della persone, in particolare utilizzando trattamenti umilianti e degradanti;
   XXII) stuprare, ridurre in schiavitù sessuale, costringere alla prostituzione o alla gravidanza, imporre la sterilizzazione e commettere qualsiasi altra forma di violenza sessuale costituente violazione grave delle Convenzioni di Ginevra;
   XXIII) utilizzare la presenza di un civile o di altra persona protetta per evitare che taluni siti, zone o forze militari divengano il bersaglio di operazioni militari;
   XXIV) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici, materiali personale ed unità mezzi di trasporto sanitari che usino, in conformità con il diritto internazionale, gli emblemi distintivi preveduti dalle Convenzioni di Ginevra;
   XXV) affamare intenzionalmente, come metodo di guerra, i civili privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, ed in particolare impedire volontariamente l'arrivo dei soccorsi preveduti dalle Convenzioni di Ginevra;
   XXVI) reclutare o arruolare fanciulli di età inferiore ai quindici anni nelle forze armate nazionali o farli partecipare attivamente alle ostilità;
    c) In ipotesi il conflitto armato non di carattere internazionale, gravi violazioni dell'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire uno degli atti di seguito enumerati, commessi contro coloro che non partecipano direttamente alle ostilità, ivi compresi i membri delle Forze Armate che hanno deposto le armi e coloro persone che non sono in grado di combattere per malattia, ferite, stato di detenzione o per qualsiasi altra causa:
   I) Atti di violenza contro la vita e l'integrità della persona, in particolare tutte le forme di omicidio, le mutilazioni, i trattamenti crudeli e la tortura;
   II) violare la dignità personale, in particolare trattamenti umilianti e degradanti;
   III) prendere ostaggi;
   IV) emettere sentenze ed eseguirle senza un preventivo giudizio, svolto avanti un tribunale regolarmente costituito che offre tutte le garanzie giudiziarie generalmente riconosciute come indispensabili;
    d) il capoverso c) del paragrafo 2 si applica ai conflitti armati non di carattere internazionale e non si applica quindi a situazioni interne di disordine e tensione quali sommosse o atti di violenza sporadici o isolati di natura analoga;
    e) altre gravi violazioni gravi delle leggi e degli usi applicabili, all'interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati non di carattere internazionale, vale a dire uno dei seguenti atti:
   I) dirigere deliberatamente attacchi contro popolazioni civili in quanto tali o contro civili che non prendano direttamente parte alle ostilità;
   II) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici materiali, personale ed unità e mezzi di trasporto sanitari, che usino in conformità con il diritto internazionale gli emblemi distintivi preveduti dalle Convenzioni di Ginevra;
   III) dirigere deliberatamente attacchi contro personale, installazioni, materiale, unità o veicoli utilizzati nell'ambito di una missione di soccorso umanitario o di mantenimento della pace in conformità della Corte delle Nazioni Unite, nella misura in cui gli stessi abbiano diritto alla protezione accordata ai civili ed alle proprietà civili prevedute dal diritto internazionale dei conflitti armati;
   IV) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari, monumenti storici, ospedali e luoghi dove sono riuniti i malati ed i feriti purché tali edifici non siano utilizzati per fini militari;
   V) saccheggiare città o località, ancorché prese d'assalto;
   VI) stuprare, ridurre in schiavitù sessuale, costringere alla prostituzione o alla gravidanza, imporre la sterilizzazione e commettere qualsiasi altra forma di violenza sessuale costituente violazione grave delle Convenzioni di Ginevra;
   VII) reclutare o arruolare fanciulli di età inferiore ai quindici anni nelle forze armate nazionali o farli partecipare attivamente alle ostilità;
   VIII) disporre un diverso dislocamento della popolazione civile per ragioni correlate al conflitto, se non lo richiedano la sicurezza dei civili coinvolti o inderogabili ragioni militari;
   IX) uccidere o ferire a tradimento un combattente avversario;
   X) dichiarare che nessuno avrà salva la vita;
   XI) assoggettare coloro che si trovano in potere dell'avversario a mutilazioni fisiche o ad esperimenti medici o scientifici di qualsiasi tipo, non giustificati da trattamenti medici delle persone interessate né compiuti nel loro interesse, che cagionano la morte di tali persone o ne danneggiano gravemente la salute;
   XII) distruggere o confiscare beni dell'avversario, a meno che la confisca o la distruzione non siano imperativamente richieste dalle necessità del conflitto;

   la questione dell'annessione della Crimea da parte della Federazione Russa ancora non è stata definita giuridicamente ma potrebbe essere valutata come competenza dalla stessa Corte penale internazionale quale crimine di aggressione. Allo stesso tempo questa divisione amministrativa, insieme a quelle delle regioni autoproclamatesi russe, lascia presupporre che esista uno degli elementi base per la procedibilità della Corte, ovvero che «(...) (lo Stato) non abbia la capacità di svolgerle (le indagini) correttamente o di intentare un procedimento» così come enunciato nell'articolo 17 lettera a dello Statuto, poiché le zone teatro di scontri registrano, di fatto, una scissione politica ed amministrativa;
   episodi come la strage di Odessa creano ancora un ampio e complesso dibattito internazionale circa la piena attribuzione delle responsabilità dei decessi, ne è prova lo stesso report di giugno 2014 delle Nazioni unite nel quale si accerta per la prima volta l'intento pacifico delle manifestazioni che ebbero luogo proprio di fronte al palazzo dei sindacati, rimettendo inevitabilmente in discussione la dinamica dell'accaduto;
   la diplomazia internazionale non ha saputo proteggere la popolazione civile e la stessa Unione europea si è limitata ad imporre sanzioni risultate, allo stato dell'arte, non in grado di contrastare le violazioni del «cessate il fuoco» che a tutt'oggi vengono sistematicamente perpetrate;
   la Camera dei deputati ha più volte audito varie delegazioni per comprendere e monitorare gli scontri e la situazione in Ucraina, oltre ad aver inviato una delegazione ufficiale a Kiev per incontrare gli esponenti politici del paese, con ciò manifestando l'intenzione di un costante monitoraggio delle fasi del conflitto –:
   se l'Italia intenda adire la Corte penale internazionale affinché si faccia piena luce su quanto accaduto, tanto sui crimini quanto sui responsabili diretti, così da poter schierare il nostro Paese in prima linea contro siffatte, intollerabili efferatezze, che non possono essere perpetrate né tantomeno lasciate impunite ancor di più sul suolo europeo. (4-07008)

  Risposta. — Con interrogazione scritta l'interrogante chiede al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale se, in relazione ai fatti in Ucraina «l'Italia intenda adire la Corte penale internazionale affinché si faccia piena luce su quanto accaduto, tanto sui crimini quanto sui responsabili diretti, così da poter schierare il nostro Paese in prima linea contro siffatte, intollerabili efferatezze, che non possono essere perpetrate né tantomeno lasciate impunite ancor di più sul suolo europeo». La questione deve essere analizzata alla luce delle disposizioni dello Statuto di Roma relative alle condizioni di procedibilità della Corte penale internazionale (articoli 12 ss.).
  In linea generale, come anche fatto presente dal Sottosegretario Della Vedova nel
question time in Commissione Esteri del 4 dicembre 2014 deve osservarsi che a giurisdizione della Corte può essere attivata in tre casi: – da uno Stato parte che segnala al procuratore una situazione nella quale uno o più crimini contemplati nello Statuto appaiono essere stati commessi (articoli 13, lettera a) e 14); – dal procuratore che può iniziare le indagini di propria iniziativa (motu proprio) (articoli 13, lettera c) e 15); – dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che, nell'ambito delle prerogative ex Capitolo VII della Carta Onu, può segnalare al procuratore una situazione nella quale uno o più di crimini appaiono essere stati commessi (articolo 13, lettera b)).
  Ai sensi dell'articolo 12 dello Statuto, nei casi in cui il procuratore agisce su iniziativa di uno Stato o
motu proprio, l'esercizio della giurisdizione della Corte è subordinato al fatto che la giurisdizione della Corte sia stata accettata o dallo Stato sul cui territorio è stato commesso il crimine o dallo Stato di cittadinanza dell'accusato. L'accettazione della competenza della Corte è automatica per gli Stati che hanno ratificato lo Statuto. Gli Stati non parte dello Statuto possono accettare la giurisdizione della Corte con una dichiarazione ad hoc.
  Nel caso di specie, l'Ucraina non è parte dello Statuto di Roma. L'Ucraina ha firmato lo Statuto della Corte penale internazionale il 20 gennaio 2000 ma non lo ha mai ratificato, anche in ragione della pronuncia, resa l'11 luglio 2001, dalla Corte costituzionale ucraina, secondo cui lo Statuto di Roma, nella parte in cui riconosce alla Corte penale internazionale una giurisdizione complementare a quella dei tribunali nazionali, sarebbe in contrasto con le disposizioni della Costituzione ucraina per le quali l'amministrazione della giustizia è di esclusiva competenza dei tribunali interni.
  Discende da ciò che l'eventuale segnalazione, operata da uno Stato parte al Procuratore, di crimini commessi in uno Stato non parte dello Statuto impedirebbe l'attivazione delle indagini.
  Vero è che il 17 aprile 2014, l'Ucraina ha depositato presso il Cancelliere della Corte penale internazionale una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte, ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 3, dello Statuto di Roma. Tuttavia, la suddetta dichiarazione è relativa ai crimini commessi sul territorio ucraino nell'ambito della repressione violenta delle proteste di piazza da parte del Governo di Yanukovych. Più in particolare, l'accettazione della giurisdizione della Corte è limitata ai crimini commessi nel periodo ricompreso tra il 21 novembre 2013 – giorno in cui hanno avuto inizio le proteste contro il Governo di Yanukovych, in seguito alla decisione di quest'ultimo di non firmare l'accordo di associazione con l'Unione europea – e il 22 febbraio 2014 – giorno della destituzione di Yanukovych da parte del Parlamento e della sua fuga.
  Così stando le cose, l'attivazione della Corte penale internazionale in relazione ai fatti di Ucraina potrebbe discendere unicamente da un'iniziativa del Consiglio di sicurezza dell'Onu, ai sensi del capo VII della Carta delle Nazioni Unite, poiché, solo in questo caso, la Corte penale potrebbe esercitare la propria giurisdizione anche nei confronti di soggetti appartenenti a Stati estranei al sistema (caso al-Bashir e caso Gheddafi). Ai sensi dello Statuto Onu (articolo 27, paragrafo 3) l'eventuale Risoluzione del Consiglio di sicurezza dovrebbe incontrare il favore dei cinque membri permanenti del Consiglio.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


  LATRONICO e PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i mezzi d'informazione riportano, a cadenza sempre più frequente, notizie di gravi sinistri occorsi a piloti (e/o a loro accompagnatori e/o a trasportati) dei cosiddetti aerei ultraleggeri (detti anche U.L.M.), nell'ambito della pratica del volo da diporto o sportivo; dall'esito di una ricerca curata dal Centro studi «Aerohabitat» del 18 aprile 2012, risulta che, solo dall'anno 2003 all'anno 2011, sono stati ben 197 gli incidenti mortali che hanno interessato chi pratica la predetta disciplina;
   da ultimo, in data 26 novembre 2014, un ennesimo grave incidente mortale ha visto coinvolto un ultraleggero, sconvolgendo l'abitato di Cirò Marina (KR), dove un velivolo da diporto è precipitato sul tetto di un ristorante, causando la morte sul colpo del pilota e il ferimento grave del trasportato;
   la disciplina del volo da diporto, attività in grande espansione, è attualmente regolata dalla legge n. 106 del 25 marzo 1985 (intitolata «Disciplina del volo da diporto o sportivo») e dal regolamento di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 133, il quale ha recentemente sostituito il precedente regolamento del 1988;
   il predetto regolamento, pur approvato solo nel 2010, pur contenendo un intero Capo (Capo V, articoli 20-22) dedicato alla «Assicurazione», della quale è confermata l'obbligatorietà «per la responsabilità civile per i danni prodotti a terzi sulla superficie ed a seguito di urto o collisione in volo» (articolo 20), nulla prevede per i casi tutt'altro che remoti in cui l'assicuratore del pilota – danneggiante fallisca o venga posto in liquidazione coatta amministrativa;
   per casi analoghi, che vedono coinvolti soggetti impegnati nell'esercizio di attività parimenti «pericolose», ma ugualmente – si aggiunge – meritevoli di tutela e necessitanti di essere idoneamente regolamentate, come la circolazione dei veicoli a motore e dei natanti e la caccia, la legge offre, invece, un'apposita tutela per il danneggiato: infatti, il codice delle assicurazioni private decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 prevede che, nel caso di fallimento o liquidazione coatta amministrativa dell'assicuratore del danneggiante, i danni siano liquidati da parte di un apposito fondo: il «Fondo di garanzia per le vittime della strada» oppure il «Fondo di garanzia per le vittime della caccia» a seconda dei casi;
   non sussiste alcuna motivazione ragionevole per la quale chi riporta danni durante l'esercizio del volo da diporto non debba ricevere medesima tutela, attesi anche i molteplici profili di analogia tra la circolazione stradale, la circolazione dei natanti e la caccia, da una parte e il volo da diporto, dall'altra parte;
   trattasi di attività per le quali è prevista l'assicurazione obbligatoria da parte dell'esercente, nonché azione giudiziale diretta da parte del danneggiato nei confronti dell'assicuratore del responsabile;
   un'interpretazione costituzionalmente orientata (rispettosa, quindi, del principio del diritto di uguaglianza tra i cittadini, del principio del diritto di difesa e del principio del diritto alla salute) del codice delle assicurazioni private, il quale, peraltro, ha mito l'indiscutibile pregio di condensare in un unico testo normativo il variegato sistema assicurativo, imporrebbe un'estensione della tutela di cui al summenzionato fondo per le vittime della circolazione dei veicoli a motore e dei natanti anche a chi esercita il volo da diporto (si tratta della cosiddetta aviazione minore; i sinistri il più delle volte si verificano a terra, durante le fasi di decollo o di atterraggio; l'impatto sui terzi può essere molto drammatico come nel caso di un investimento stradale: si veda il recente già citato caso di Cirò Marina); e ciò attraverso un'applicazione estensiva o analogica delle norme del codice delle assicurazioni private (articoli 302-304), oppure attraverso un intervento normativo ad hoc, che sani tale grave lacuna; ad esempio, istituendo un fondo ad hoc (tenuto conto che attualmente i fondi presso la Consap sono almeno 5-6);
   bisogna infatti considerare i numerosi incidenti che rischiano di rimanere senza tutela per il danneggiato; gli interpellanti sono infatti a conoscenza di casi in cui, anche dopo l'esito vittorioso di una causa in giudizio, conclusasi con il riconoscimento di un certo danno, non vi è stata, proprio per mancanza di una normativa chiara, la possibilità di ottenere un effettivo risarcimento;
   a fronte della gravità dei casi privi di tutela, il rimedio appare agevole e di rapida applicazione, essendo sufficiente estendere a tali casi una tutela già esistente e prevista dalla legge in casi analoghi –:
   quali siano gli orientamenti del Governo per ovviare alla predetta lacuna normativa, la quale si traduce in veri e propri casi di denegata giustizia nei casi segnalati in premessa;
   se intendano adottare opportune iniziative in merito, anche proponendo interventi sul codice delle assicurazioni private, ricomprendendo nella tutela anche le fattispecie «scoperte» denunciate in, premessa, o comunque chiarendo e specificando che nella sfera di applicazione del fondo di garanzia per le vittime della circolazione stradale e dei natanti rientra anche il risarcimento dei danni alle vittime del volo da diporto o sportivo, nel caso in cui l'assicurazione del danneggiante fallisca o venga posta in liquidazione coatta amministrativa, fino all'ipotesi di istituire un apposito fondo;
   se, con riferimento ai casi già verificatisi, intenda assumere iniziative ad hoc, ove ne ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, per garantire ai terzi danneggiati in incidenti provocati da velivoli da diporto il giusto risarcimento. (4-07259)

  Risposta. — Con riferimento a quanto evidenziato nell'interrogazione in esame, si rileva quanto segue.
  Innanzi tutto preme far presente che la disciplina del Fondo di garanzia per le vittime della strada, prevista dal Codice delle assicurazioni private nonché dal regolamento ministeriale n. 133 del 2010, prevede a carico delle imprese autorizzate a all'esercizio della Rca un contributo, fissato annualmente con decreto Ministero dello sviluppo economico e pari al 2,50 per cento, per il 2014, dei premi incassati nell'esercizio di riferimento, a copertura delle disponibilità del fondo stesso e destinato ad indennizzare i danneggiati in tutti i casi previsti dalla legge (ipotesi di mancata copertura assicurativa, ovvero di messa in liquidazione coatta amministrativa delle imprese contraenti).
  Ciò premesso, l'estrema diffusione e la più ampia contribuzione a carico del settore assicurativo, indirettamente assicurata dall'esistenza dell'obbligo a contrarre per le imprese che operano nel ramo Rc auto, oltre agli ulteriori introiti previsti per legge, garantisce al sistema una sostenibilità complessiva in grado di far fronte, nel tempo, alle richieste di indennizzo avanzate dai danneggiati nei casi previsti dalla legge.
  Il sistema del fondo di garanzia per le vittime della strada così costituito, risponde tra l'altro all'esigenza di tutelare i rischi diffusi (danni recati a terzi) in relazione all'esercizio non già di attività sportive, ma di una libertà fondamentale quale quella della mobilità dei cittadini.
  Inoltre, rispetto al settore del volo da diporto è caratterizzato da aspetti sociali, tecnico assicurativi, di impatto economico, diffusione, caratteristiche del rischio, utenza, tipologia e fini, completamente diversi.
  Quanto alle specifiche richieste avanzate nell'interrogazione
de qua, pur ritenendo utile ogni necessario approfondimento funzionale alla previsione della più ampia tutela dei danneggiati in tutti i casi in cui è previsto un obbligo assicurativo (sebbene in questo specifico caso non risulti bilaterale, non essendo disposto nella normativa citata un obbligo a contrarre a carico delle imprese), la previsione di sistemi di contribuzione a carico delle società di assicurazioni che coprono la rc prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 133 del 2010, senza ulteriori verifiche e valutazioni di impatto e sostenibilità potrebbe, da una parte, presentare vincoli di contribuzione non sostenibili (a fronte di un più basso volume dei premi) e, dall'altra, non garantire la reale ed effettiva copertura delle esigenze di indennizzo. Ciò, infatti, comporterebbe squilibri finanziari e difficoltà operative, sia in assenza del ricordato obbligo a contrarre per le imprese, sia in considerazione dell'esiguo numero di imprese che coprono tale evenienza, giustificato anche dalla particolare natura dell'attività in questione che, nella sostanza, non risponde alle condizioni di massima diffusione sul territorio esistenti per la guida dei veicoli.
  Tutto quanto considerato, sebbene la presenza dei fondi di garanzia ad oggi esistenti, volti alla copertura dei risarcimenti nei casi di liquidazioni coatte amministrative, risponda a condivise esigenze di tutela sociale, ovvero di diffusione del fenomeno (per le vittime della strada) o di rilevanza anche storica dei beni tutelati (vittime della caccia), si ritiene di poter valutare, con l'Istituto di vigilanza, con il sistema assicurativo e la Concessionaria di servizi assicurativi (Consap), l'esistenza di condizioni in grado di favorire, anche nei casi citati e con ulteriori strumenti, la richiesta tutela per i danneggiati in questo specifico settore.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   MARCON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Fip s.p.a. è una società controllata dalla Mantovani s.p.a., impresa del Consorzio Venezia Nuova, a cui è affidata, tra l'altro, l'esecuzione dei lavori del MOSE a Venezia;
   il 9 ottobre 2013 l'amministratore delegato della società Fip di Padova, Mauro Scaramuzza, veniva arrestato nell'ambito dell'inchiesta per la cosiddetta «variante Caltagirone»;
   un articolo uscito sull'edizione di Padova del Corriere del Veneto del 7 agosto 2014, riporta come nel maggio 2014 le forze di polizia di Padova hanno consegnato una relazione al Prefetto di Padova, dottoressa Patrizia Impresa, nella quale si evidenziava l'opportunità di emettere l'interdittiva antimafia a carico di Fip industriale;
   come riportato nell'articolo, «la relazione è avvenuta alla fine di una lunga serie di incontri al tavolo del prefetto di Padova, iniziati con Ennio Mario Sodano e continuati con Patrizia Impresa. Si tratta del parere (non vincolante) del tavolo tecnico composto da Guardia di Finanza, carabinieri, polizia, Dia e il gabinetto del Prefetto»;
   è evidente che se detto parere venisse accolto, significherebbe togliere alla società Fip il certificato antimafia che consente all'azienda di lavorare nei grandi appalti. Ossia Mose ed Expo rischierebbero il blocco;
   sempre l'articolo sottolinea come «le valutazioni delle forze di polizia nascono dalla valutazione di molti aspetti investigativi che riguardano Fip, a partire dall'arresto per mafia, nell'ottobre scorso, di Mario Scaramuzza e Achille Soffiato a Caltagirone, passando per le relazioni di altre prefetture su collegamenti tra clan e cantieri in cui Fip ha lavorato. Ma anche l'inchiesta sul Mose ha avuto il suo peso, visto che Fip va spesso a braccetto con Mantovani, la quale, da ciò che emerge nelle carte, non è stata un esempio di integrità negli ultimi anni». E ancora: «i dubbi del tavolo dei tecnici padovani sono stati avallati anche dai colleghi veneziani, perché è vero che il Riesame di Catania scagiona Scaramuzza e Soffiato, è vero anche che il contesto complessivo in cui si trova a lavorare l'azienda padovana non appare, come dimostrano le indagini, completamente scevro da rilievi» –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ricorrano tutti i presupposti per la revoca urgente della certificazione antimafia alla società Fip s.p.a.
(4-05898)

  Risposta. — La FIP s.p.a. è una società con sede a Selvazzano Dentro, in provincia di Padova, il cui capitale sociale è interamente detenuto dalla Serenissima Holding s.p.a. con sede a Padova. Alla Serenissima Holding fa capo anche la Mantovani s.p.a., la cui sede legale è in provincia di Venezia. La FIP è controllata dalla Mantovani ma fa capo, con la Mantovani stessa e altre società, alla Serenissima Holding.
  La società FIP ha effettivamente avuto come amministratore delegato l'ingegner Mauro Scaramuzza (allora responsabile del cantiere) destinatario il 9 ottobre 2013 di una misura cautelare in carcere, assieme ad altri dipendenti della società, nella fase delle indagini preliminari condotte dal giudice per le indagini preliminari di Catania sui lavori di costruzione della strada statale Libertinia, la cosiddetta «variante Caltagirone».
  Il successivo 31 ottobre, però, il tribunale del riesame ha annullato il provvedimento cautelare, disponendo l'immediata scarcerazione dei predetti. Occorre precisare al riguardo che l'ingegner Scaramuzza, già prima dell'annullamento dell'ordinanza di custodia cautelare, aveva rassegnato le proprie dimissioni dalle cariche di amministratore delegato e consigliere della FIP, nonché da quella di direttore tecnico della medesima società.
  La normativa antimafia in vigore prevede che il prefetto, nella sua valutazione dei requisiti per il rilascio dell'informativa liberatoria, si avvalga del parere del gruppo interforze (organismo previsto originariamente per l'effettuazione degli accessi ai cantieri con lo scopo di prevenire le infiltrazioni mafiose negli appalti delle grandi opere, la cui funzione è stata successivamente ampliata).
  La valutazione del prefetto deve comprendere il controllo della sussistenza o meno di cause di decadenza, sospensione o divieto di rilascio di licenze, concessioni, iscrizioni, contributi, eccetera – articolo 67 del decreto legislativo n. 159 del 2011 – nonché di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società.
  Il comma 4 dell'articolo 84 elenca inoltre in modo analitico i provvedimenti e gli elementi dai quali il prefetto desume le predette situazioni. Il controllo riguarda, per le società di capitali, il rappresentante legale, i componenti l'organo di amministrazione, il socio di maggioranza, il direttore tecnico ove esistente, i membri del collegio sindacale. Esso si estende anche ai familiari conviventi di tutti i soggetti sopra elencati.
  Il parere del gruppo interforze, peraltro non vincolante, non è quindi l'unico strumento di cui il prefetto di avvale per le valutazioni di competenza, potendo maturare il suo convincimento dall'insieme dei fatti analizzati, da documentazione acquisita dalla società stessa in sede di eventuale audizione dei soggetti interessati, dall'esito di eventuali accessi ai cantieri della società e da altri approfondimenti ritenuti opportuni.
  Si aggiunge infine che, presso la prefettura di Padova, è tuttora in corso di approfondimento l'istruttoria finalizzata al rilascio delle informazioni antimafia – di cui all'articolo 91 del decreto legislativo n. 159 del 2011 – per appalti aggiudicati o in fase di aggiudicazione alla FIP Industriale.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il prestigioso palazzo Odescalchi, nel centro di Roma, nell'ex Ghetto, tra le zone più costose della Capitale, è sede dell'ambasciata italiana presso le Nazioni Unite;
   con l'ambasciatore, lavorano un vice ambasciatore, un aggiunto e 11 dipendenti e godrebbero tutti della indennità di sede estera proporzionata al ruolo –:
   se tale notizia corrisponda al vero e, nel caso, se ritenga di provvedere alla ricerca di una sede meno dispendiosa e alla eliminazione di quello che all'interrogante appare un privilegio incompatibile con le doverose esigenze di risparmio della spesa pubblica. (4-05805)

  Risposta. — Per quello che riguarda Rappresentanza d'Italia presso l'Onu a Roma si precisa che in essa prestano servizio, oltre al nostro Ambasciatore, due funzionari diplomatici e 11 dipendenti di ruolo.
  La sede della Rappresentanza permanente presso la sede Onu è ubicata a Roma in un appartamento in affitto.
  Nell'ottica della riduzione degli oneri locativi, sono allo studio due ipotesi.
  La prima è quella di trasferire la Rappresentanza presso altro stabile in proprietà ed allo scopo è stata interessata l'Agenzia del demanio - filiale Lazio.
  La seconda è di trasferire la Rappresentanza presso l'immobile demaniale che ospita la Fao. Il nostro rappresentante permanente si è pertanto attivato presso la direzione generale della Fao, formalizzando tale esigenza. La questione – che presenta anche delicati profili di carattere politico in relazione agli specifici rapporti Stato Ospite e Nazioni Unite – è stata già esaminata dal Comitato Finanze della Fao (
Financial Committee), che a sua volta ha chiesto una valutazione al Comitato giuridico (Committee on constitutional and legal matters) che si riunirà prossimamente.
  Per quanto riguarda il trattamento economico, il personale in servizio presso la nostra Rappresentanza percepisce le sole voci fondamentali dello stipendio (stipendio base, indennità di vacanza contrattuale, eventuale retribuzione individuale di anzianità) e, nel caso dei funzionari diplomatici, la posizione al minimo del grado, mentre sono escluse l'indennità integrativa speciale e tutte le restanti componenti accessorie. L'indennità menzionata dall'interrogante rende il trattamento economico dei funzionari diplomatici e dei dipendenti lì in servizio mediamente solo di poco superiore a quello che percepirebbero di media presso la sede centrale.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006, con Gianfranco Fini Ministro degli affari esteri, viene istituita nel Principato di Monaco l'ambasciata della Repubblica italiana con 10 addetti e si mette a disposizione dell'ambasciatore un prestigioso appartamento in affitto in Avenue Princesse Grace, una delle 10 strade più care al mondo;
   a 20 chilometri di distanza c’è un consolato generale della Repubblica italiana di Nizza con 10 addetti;
   e miracolosamente scampato sinora al piano delle chiusure delle sedi diplomatiche all'estero –:
   se ritenga utile avere una ambasciata italiana nel Principato di Monaco e se questa scelta sia compatibile con le esigenze di risparmio della spesa pubblica italiana. (4-05806)

  Risposta. — Per quanto riguarda l'Ambasciata d'Italia presso il Principato di Monaco (già sede del soppresso Consolato generale), essa è ubicata in un immobile di proprietà dello Stato italiano. La residenza del capo missione si trova in un immobile in affitto. L'ammontare del canone corrisposto – secondo quanto riferito dalla sede sulla base di un'analisi di mercato in loco – risulterebbe inferiore di circa il 35 per cento rispetto al valore attuale dell'immobile.
  Al fine di ridurre ulteriormente i costi di gestione della Sede, la nostra Ambasciata si sta adoperando da tempo per ridurre oneri locativi e porre fine alle difficoltà connesse alle scadenze periodiche dei contratti ed al costante aumento delle locazioni in un mercato immobiliare che – si ricorda – è mediamente di altissima fascia.
  È in corso una trattativa con le Autorità governative monegasche che ha portato all'individuazione di un'opportunità immobiliare. A tale proposito il nostro Capo missione ha da ultimo comunicato che il Primo Ministro del Principato Michel Roger si è impegnato ad assicurare che la residenza del Capo Missione dell'Ambasciata d'Italia possa ottenere costi di affitto calmierati (al di fuori dunque delle normali elevatissime quotazioni del mercato immobiliare monegasco) e per periodi più lunghi rispetto alla ordinaria durata biennale o triennale.
  In merito alla decisione di conferire il rango di rappresentanza diplomatica alla nostra presenza nel Principato, essa corrisponde a precise ragioni economiche e politiche.
  Dal primo punto di vista, la nostra Ambasciata nel Principato svolge un ruolo determinante per la promozione dei nostri rilevanti interessi economici. Infatti, il Principato di Monaco, sebbene sia un Paese di ridotte dimensioni geografiche, rappresenta un mercato di primaria importanza ed una vetrina per molte imprese italiane, a partire da quelle che operano nel mondo del lusso, delle imbarcazioni e del sistema della moda.
  Si attira inoltre l'attenzione sul fatto che la comunità italiana nel Principato di Monaco è in forte crescita ed appare destinata a superare quella francese diventando così la più numerosa del Paese. La nostra Ambasciata, oltre a tutelare gli interessi di questa comunità, è fortemente impegnata anche a rappresentare gli interessi delle migliaia di italiani che giornalmente raggiungono, per ragioni lavorative, il Principato di Monaco dall'Italia o dalla Francia.
  Dal punto di vista politico, la rete diplomatica italiana è stata tradizionalmente presente nel Principato di Monaco con un consolato generale. Nel 2005, a seguito della revisione dei rapporti tra la Francia e il Principato, questo ha acquisito la piena sovranità e quindi il nostro ufficio consolare è divenuto Ambasciata (anche la Francia ha compiuto lo stesso passo). Questo contesto crea una cornice favorevole ai nostri interessi politici e, a titolo di esempio, si riflette in modo concreto nel frequente appoggio che il Principato assicura alle nostre candidature o alle nostre posizioni nei fori multilaterali.
  In questo quadro, si ritiene che la presenza di una nostra Sede nel Principato di Monaco sia del tutto coerente con il nostro interesse nazionale nonché indispensabile per curare le eccellenti e sempre più intense relazioni che intercorrono tra l'Italia e il Principato.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il prestigioso Palazzo Rinascimentale Borromeo, dal valore inestimabile e con costi notevoli di manutenzione, nel centro di Roma, è sede dell'ambasciata italiana presso la Santa Sede;
   con l'ambasciatore residente nel sontuoso Palazzo, lavorano 3 diplomatici e 17 dipendenti e godrebbero tutti della indennità di sede estera proporzionata al ruolo –:
   se tale notizia corrisponda al vero e, nel caso, se ritenga di provvedere alla eliminazione di quello che all'interrogante appare un privilegio incompatibile con le doverose esigenze di risparmio della spesa pubblica. (4-05807)

  Risposta. — In merito alla nostra Ambasciata presso la Santa sede, si fa presente che la Cancelleria diplomatica e la residenza del Capo sono ubicate nel medesimo complesso immobiliare. Quest'ultimo è di proprietà dello Stato italiano sulla base di un atto del 1929 e non comporta dunque alcun esborso per l'erario, se non per i normali costi di gestione della struttura.
  Per quanto riguarda il trattamento economico, il personale in servizio presso la nostra Ambasciata percepisce il solo stipendio tabellare base, mentre sono escluse tutte le restanti componenti fisse ed accessorie previste per il personale che presta servizio presso la Farnesina. L'indennità menzionata dall'interrogante rende il trattamento economico dei funzionari diplomatici e dei dipendenti lì in servizio mediamente solo di poco superiore a quello che di media percepirebbero presso la sede centrale.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da notizie di stampa, un giovane elettore di 27 anni, di nome Tommaso Novara e nipote del consigliere comunale di Como Alessandro Rapinose, si è recato domenica pomeriggio al seggio di San Fermo della Battaglia, in provincia di Como, per votare alle elezioni europee e, qui giunto, ha chiesto subito di togliere il crocifisso prima di entrare nella cabina elettorale;
   poiché al momento il presidente di seggio era assente, Tommaso Novara è allora tornato a casa senza votare per poi ripresentarsi poco dopo pretendendo ancora che venisse tolto il crocefisso dall'aula e, accontentato questa volta dallo stesso presidente, ha finalmente votato;
   la Corte europea dei diritti dell'uomo, con una sentenza definitiva della Grande Camera del 18 marzo 2011, ha dichiarato che la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche è pienamente legittima, non viola alcun diritto umano e non lede il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni;
   sempre con la stessa sentenza, la Corte ha precisato che l'esposizione del crocefisso non lede neppure il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione, e dunque non si comprende di quale ipotetica «suggestione» o «influenza» si lamentasse il giovane di ben 27 anni presentatosi al seggio di San Fermo della Battaglia;
   è assurdo imporre la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche non solo per quanto già stabilito dalla Corte europea ma altresì perché sulla salvaguardia delle nostre radici e della nostra tradizione non sono accettabili mediazioni né, tantomeno, passi indietro –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, se non ritenga opportuno effettuare un approfondimento urgente sulla vicenda sopra riportata e assumere le più opportune iniziative al fine di precisare che, anche nel corso delle competizioni elettorali, l'esposizione del crocefisso sia da considerare consentita precisando quale debba essere il comportamento dei presidenti di seggio a fronte di richieste come quelle di cui in premessa. (4-04989)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione su un episodio verificatosi durante le elezioni amministrative dello scorso mese di maggio, che ha visto la rimozione di un crocifisso da un seggio elettorale ubicato in un'aula scolastica del comune di San Fermo della Battaglia.
  Effettivamente, il 25 maggio 2014, il presidente del predetto seggio ha rimosso il crocifisso dal muro dell'aula in cui si svolgevano le operazioni di voto, su espressa richiesta di un elettore che aveva mostrato, a sostegno della propria tesi, una sentenza della corte di appello di Perugia ove, a suo dire, era specificato che «la sala destinata alle elezioni sia da considerarsi area neutrale, priva quindi di simboli che possano, in qualsiasi modo, anche indirettamente e/o volontariamente, creare suggestioni o influenzare l'elettore».
  La rimozione è avvenuta per il tempo strettamente necessario all'esercizio del diritto di voto da parte dell'elettore. Immediatamente dopo, il crocefisso è stato rimesso al suo posto.
  Tenuto conto che la situazione non aveva creato alcuna turbativa o intralcio alle operazioni di voto, il presidente del seggio ha omesso di annotare l'accaduto nel verbale, ritenendo altresì inopportuno richiedere l'intervento del personale di polizia in servizio di vigilanza.
  In proposito, si osserva che l'articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 prescrive che nella sala che ospita il seggio vengano affissi un estratto delle liste degli elettori e due copie del manifesto contenente le liste dei candidati. La disposizione non fa riferimento alla presenza o meno di altri oggetti, tantomeno del crocifisso.
  Si ritiene che certamente debba essere rimossa dal seggio ogni forma di propaganda elettorale, ma anche che, non potendo il crocifisso essere considerato un simbolo avente tale natura, la sua presenza sulle pareti del seggio medesimo durante le votazioni risulta del tutto irrilevante dal punto di vista della regolarità del procedimento elettorale.
  Su una questione analoga a quella in esame ha avuto modo di pronunciarsi il tribunale di L'Aquila, che ha rigettato il ricorso di un elettore volto a ottenere la rimozione del crocifisso con provvedimento d'urgenza ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile.
  Ad argomentazione del rigetto, il tribunale adito ha richiamato e fatto propria la giurisprudenza costituzionale, secondo cui in una società come quella italiana, correttamente definita di antica cristianità, il crocifisso, oltreché simbolo religioso, è espressione dell'identità culturale e del patrimonio storico di un popolo. Ha escluso, quindi, che la sua presenza nel seggio possa esercitare una forza coercitiva o condizionante sulla volontà dell'elettore al momento del voto.
  In sede di redazione delle istruzioni che il Ministero dell'interno è solito emanare in occasione delle consultazioni elettorali per orientare i presidenti di seggio nell'espletamento del loro compito, potrà essere presa in considerazione l'opportunità di inserirvi un riferimento alla problematica in esame.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da tempo, i vigili del fuoco della provincia di Como lamentano la scarsità dei mezzi e degli organici con i quali sono costretti ad operare;
   tali limiti sono emersi una volta di più l'8 luglio 2014, a causa dell'eccezionale ondata di maltempo abbattutasi su tutta la Lombardia e del contestuale scoppio di un incendio in via Paoli a Como, dove ha preso fuoco un'autocisterna che stazionava nei pressi di un distributore di benzina;
   le difficoltà incontrate a gestire contemporaneamente le due emergenze sopracitate hanno indotto un'organizzazione sindacale dei vigili del fuoco comaschi ad emanare un comunicato ufficiale per denunciare pubblicamente la situazione di disagio e ventilare la possibilità di un'agitazione;
   nel comunicato si rileva, tra l'altro, come i vigili del fuoco del distaccamento comasco siano costretti a mantenere in esercizio i propri mezzi prelevando i pezzi di ricambio da altri già fermi oppure ad utilizzare veicoli vecchi di anche trent'anni, mentre la componente volontaria fa uso di equipaggiamenti ricevuti dalla popolazione locale;
   per intervenire in via Paoli, i vigili del fuoco sono stati costretti ad utilizzare un bus navetta, circostanza documentata dalla stampa locale, che ha esposto la cittadinanza al pericolo di più gravi danni –:
   se il Governo intenda intervenire ed in quali tempi per rinnovare e potenziare mezzi ed equipaggiamenti del distaccamento dei vigili del fuoco di Como, in modo tale da permettere agli stessi di onorare la propria essenziale funzione di presidio locale del soccorso tecnico urgente. (4-05470)

  Risposta. — Come riferito nell'interrogazione, nella notte tra il 7 e l'8 luglio 2014 i vigili del fuoco del comando di Como hanno effettuato numerosi interventi a causa del maltempo. In particolare, nella mattinata dell'8 luglio, è pervenuta una richiesta d'intervento per l'incendio di un'autocisterna all'interno di un distributore di carburanti in via Paoli a Como.
  Dal comando sono state immediatamente inviate un'autopompa serbatoio e un'autobotte pompa, con quattro unità di personale, risorse che in quel momento non erano impegnate nelle varie operazioni di soccorso sul territorio provinciale. Contemporaneamente, una squadra completa di vigili del fuoco – che si stava recando a Mariano Comense con un bus navetta, per dare il cambio al personale del turno precedente – è stata dirottata sul luogo dell'incendio.
  Si precisa, pertanto, che il bus navetta non è stato utilizzato quale mezzo per intervenire sull'incendio bensì come unità di trasporto del personale dei vigili del fuoco.
  Più in generale, si rappresenta che negli ultimi esercizi finanziari, a causa della riduzione delle disponibilità finanziarie sui pertinenti capitoli di spesa, non è stato possibile effettuare un costante rinnovo del parco mezzi in dotazione al Corpo nazionale dei vigili del fuoco a livello nazionale, con conseguente invecchiamento di quelli in funzione.
  La carenza di mezzi presso il comando provinciale dei vigili del fuoco di Como rappresenta, pertanto, una problematica comune a tanti altri comandi sul territorio nazionale che, fin quando non saranno effettuate nuove dotazioni, potrà essere momentaneamente fronteggiata mediante un'opportuna ricollocazione dei mezzi disponibili a livello locale da parte della direzione regionale della Lombardia.
  Il problema è costantemente monitorato dal Ministero dell'interno e ha trovato una parziale soluzione nel recente decreto legge n. 119 del 2014, convertito nella legge n. 146 del 2014, che ha autorizzato una spesa di due milioni di euro per il 2014, quattro milioni per il 2015 e sei milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, da destinare al Corpo nazionale dei vigili del fuoco per l'acquisto di automezzi per il soccorso urgente.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 9 luglio 2014, in Commissione diritti umani del Senato il Ministro interrogato ha annunciato di voler ridurre gli attuali tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione a un limite massimo di 180 giorni, invece dei 18 mesi attuali previsti dalla normativa nazionale in recepimento di quella comunitaria (decreto-legge del 23 giugno 2011, n. 89);
   sempre nella stessa occasione, il Ministro ha inoltre precisato che i centri di identificazione ed espulsione stanno operando ben oltre la loro capacità ricettiva e si punta ad accelerare le procedure per l'esame delle domande di asilo. Saranno incrementate le Commissioni territoriali per l'asilo ed il circuito Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo) salirà a 20 mila posti;
   attualmente sono solo 5 i centri di identificazione ed espulsione operativi (Bari, Caltanissetta, Roma, Torino, Trapani Milo) per circa 500 posti, rispetto ai 12 prima esistenti;
   secondo notizie riportate dalla stampa, nel 2013 sono stati trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione 6.016 clandestini, di cui solo 2.749 sono stati rimpatriati, mentre quest'anno, anche a causa della chiusura di più della metà dei centri per l'identificazione e l'espulsione presenti in Italia, gli ospiti dei centri di identificazione ed espulsione sono stati molto meno, ossia 2.124, dei quali addirittura solamente 1.036 rimpatriati;
   è la stessa normativa comunitaria, in particolare la direttiva 2008/115/Ce, a imporre agli Stati membri al capo IV il trattenimento in appositi centri per l'identificazione del cittadino di un Paese terzo entrato o trattenutosi clandestinamente onde procedere alla sua successiva espulsione;
   la direttiva medesima precisa all'articolo 15, comma 6, che il trattenimento, di norma di 6 mesi, sia prolungato a 18 mesi, nei casi in cui «nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa: a) della mancata collaborazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato o b) dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dei paesi terzi»;
   i numeri sopra indicati relativi agli effettivi rimpatri dimostrano che se non è addirittura stato compiuto dal Governo «ogni ragionevole sforzo» nei 18 mesi previsti dall'attuale normativa, in linea con le disposizioni comunitarie, onde procedere all'allontanamento effettivo dei clandestini presenti sul territorio, ancor meno verrà fatto riducendo i termini di permanenza a soli 6 mesi;
   solo dall'inizio di quest'anno e solo via mare sono giunti clandestinamente sul territorio italiano 65.000 persone e, secondo dati ufficiali pubblicati sul sito del Ministero dell'interno, dal 1990 al 2013 delle richieste d'asilo presentate solo circa il 9 per cento ha ottenuto lo status di rifugiato –:
   se il Ministro interrogato, alla luce delle considerazioni e dei numeri sopra riportati, non ritenga più opportuno incrementare il numero degli attuali centri di identificazione ed espulsione, rimettendo in funzione anche quelli che nel 2013 sono stati chiusi a causa dei danni provocati dagli ospiti ivi trattenuti in attesa dell'espulsione;
   per quali motivi non siano stati effettuati i rimpatri di tutti i clandestini presenti nei centri di identificazione ed espulsione nel 2013 e quest'anno, e se, a fronte delle eventuali problematiche evidenziate nell'identificazione o esecuzione dei rimpatri stessi, non ritenga altresì opportuno che permangano gli attuali 18 mesi di trattenimento. (4-05492)

  Risposta. — Come rilevato nell'interrogazione in esame, attualmente sono operativi cinque centri di identificazione ed espulsione a Bari, Caltanissetta, Roma, Torino e Trapani Milo, tutti a ricettività ridotta. Complessivamente, a fronte dei 1.791 posti disponibili nei tredici centri originariamente previsti, i posti effettivi sono, al momento, 451.
  In particolare, sono stati chiusi definitivamente i Centri di identificazione ed espulsione di Catanzaro (dal 9 novembre 2012), Modena (dal 24 dicembre 2013) e Trapani Serraino Vulpitta (dal 15 maggio 2014). Gli altri Cie sono stati chiusi temporaneamente, a causa della necessità di effettuare lavori di manutenzione straordinaria. Tali interventi sono al momento in corso nelle strutture di Brindisi, Crotone e Gorizia, mentre sono stati ultimati nelle strutture di Milano e Bologna, attualmente utilizzati come centri di prima accoglienza.
  Nel 2013, il 46 per cento degli stranieri collocati nei Cie è stato allontanato verso il proprio Paese d'origine (2.749 su 6.016). Nei primi dieci mesi dell'anno in corso, tale percentuale è salita al 56 per cento (2.079 stranieri effettivamente rimpatriati su un totale di 3.722 trattenuti).
  Di contro, la percentuale di coloro che sono stati dimessi non identificati allo scadere dei termini, è scesa nel 2014 (al 2 ottobre 2014) allo 0,67 per cento, rispetto al 5 per cento registrato nel 2013.
  I casi di mancato rimpatrio sono dovuti principalmente a motivi di salute, accoglienza dei ricorsi avverso il provvedimento di espulsione, sospensiva a seguito di presentazione di richiesta di protezione internazionale, non convalida del trattenimento.
  Il numero relativamente basso degli stranieri transitati in questa tipologia di centri attesta l'avvenuto mutamento del profilo del migrante, che ha finito col perdere la sua prevalente connotazione economica.
  In tale contesto, uno degli aspetti di maggiore problematicità era legato al protrarsi della permanenza in tali strutture, vissuta dallo straniero con un senso di frustrazione da cui a volte sono scaturiti episodi di violenza e di autolesionismo.
  Sul tema è intervenuta, come noto, la legge n. 161 del 2014, recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'unione europea – Legge europea 2013-
bis», che ha fissato in novanta giorni il periodo massimo di trattenimento.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   NICCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 nella proprietà di Leonardo Berti situata nella frazione di Aiano-Torraccia di Chiusi nel comune di San Gimignano, è stata rinvenuta una villa romana del terzo secolo dopo Cristo;
   la dimora di un nobile romano, probabilmente un proconsole dell'impero, è stata riportata alla luce con un lavoro di scavo durato dal 2005 al 2012;
   è stata una scoperta monumentale e inattesa, intuita già negli anni Venti dal grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli e svelata in parte all'inizio degli anni Settanta, lungo la via Francigena;
   centinaia di persone hanno scavato a forza di pale, ripulito, restaurato, inventariato un capolavoro accostabile alla Villa del Casale di Piazza Armerina;
   fino ad ora sono stati spesi più 220 mila euro, fra gli sponsor l'università cattolica di Lovanio, in Belgio (che ha la concessione dello scavo), la Fondazione Monte dei Paschi, l'Università di Firenze e il comune di San Gimignano;
   il signor Leonardo Berti, pensionato e proprietario del terreno è stato dichiarato fallito dal tribunale di Siena, e i suoi beni andranno all'asta. Compreso il terreno in cui sono stati ritrovati i preziosi reperti archeologi, di cui 2.500 metri quadrati scavati forse invano;
   non è possibile pagare l'indennizzo di occupazione (500 euro l'anno) a chi è in stato di fallimento, e non si può identificare legalmente il soggetto al quale versare la somma. Da quasi tre anni gli scavi sono fermi e potrebbero non riprendere più. Per proteggere il sito dalle intemperie, la sovrintendenza potrebbe ordinare di ricoprirlo e a quel punto non ci sarebbero più certezze sul destino della villa;
   il comune di San Gimignano ha proposto al tribunale di Siena il frazionamento della proprietà, per poter acquisire solo il terreno e non mandare tutto a monte stanziando 40 mila euro per l'acquisto del terreno ma non c’è stata ancora risposta dal giudice;
   si è in presenza di un fallimento la procedura di esproprio per pubblica utilità non è applicabile e la soluzione percorribile da subito, come chiesto dal comune di San Gimignano al tribunale di Siena, sarebbe il frazionamento del terreno della proprietà affinché il comune stesso acquisisca la parte di terra dove si trova l'antica villa –:
   se non intenda fare luce sulla vicenda della villa romana rinvenuta nel 2005 a San Gimignano che adesso rischia di essere nuovamente interrata, soffocata dalla burocrazia dopo il fallimento del proprietario del terreno;
   quali iniziative concrete intenda intraprendere per evitare l'ulteriore deterioramento dell'inestimabile tesoro di San Gimignano. (4-06159)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede notizie riguardo all'area archeologica situata presso Aiano-Torraccia di Chiusi, nel comune di San Gimignano (Siena), con particolare riferimento al contenzioso giudiziario in corso e alla tutela, conservazione e valorizzazione della villa romana rinvenuta nel sito, si comunica quanto segue.
  La villa oggetto dell'interrogazione in esame è stata individuata negli anni settanta del XX secolo, grazie alle segnalazioni di appassionati locali e all'opera del personale tecnico scientifico della soprintendenza per i beni archeologici della Toscana.
  L'area, a seguito del rinvenimento, fu dichiarata di interesse culturale con decreto ministeriale del 9 febbraio 1977. Da allora, l'attenzione degli uffici di questo Ministero per tale bene è sempre stata viva, in rapporto con il comune e la direzione scientifica degli scavi, per individuare le soluzioni più opportune ai fini della sua tutela e valorizzazione.
  Nel 2005 è stato avviato un progetto di scavo estensivo della struttura, ad opera del
Département d'archèologie et histoire de l'art dell'Universitè catholique de Louvain, in qualità di titolare di concessione di scavo, e sotto la responsabilità scientifica del professor Marco Cavalieri.
  Le ricerche hanno consentito di portare parzialmente alla luce una grande villa residenziale, attiva a partire dal III sec. d.C. In base a quanto emerso è possibile affermare che le prime fasi insediative siano pertinenti a un edificio di grande impegno architettonico, appartenente a un personaggio di alto rango, forse vicino alla corte imperiale. Allo stato attuale delle conoscenze non vi è tuttavia la possibilità di indicare la carica rivestita dal proprietario della villa.
  Ad una fase del IV secolo d.C. appartengono i mosaici pavimentali, eseguiti in opera cementizia a base litica, ovvero con tessere in pietra allettate in uno stato di conglomerato cementizio. I mosaici decorano l'ambiente più importante della villa, una grande aula triabsidata, ed occupano una superficie di circa ottanta metri quadri.
  Il progetto di scavo è stato finanziato, in massima parte, da fondi messi a disposizione dall'università di Lovanio e il lavoro sul campo è stato prevalentemente svolto da studenti del suddetto ateneo e da studenti della scuola di specializzazione in archeologia dell'università degli studi di Firenze, che hanno offerto la loro opera gratuitamente.
  In occasione della richiesta di rinnovo della concessione di scavo per l'anno 2013, l'ente concessionario, per il tramite del responsabile del progetto, professor Cavalieri, ha comunicato l'impossibilità di fornire alla soprintendenza archeologica la documentazione relativa al pagamento dell'indennizzo di occupazione temporanea e la dichiarazione di rinuncia al premio di rinvenimento, previsto dall'articolo 92 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Entrambi i documenti sono necessari per ottenere il rinnovo della concessione di scavo, secondo quanto previsto dalle disposizioni impartite dalla direzione generale per le antichità (circolari n. 24 del 2012 e n. 8 del 2013.
  L'ente concessionario non ha ritenuto di avvalersi della possibilità di assumersi direttamente gli oneri derivanti dall'eventuale richiesta di rinvenimento da parte del proprietario, secondo quanto previsto dalla citata circolare n. 8 del 2013. Conseguentemente, la direzione generale per le antichità, con nota n. 5053 del 24 maggio 2013, ha comunicato il diniego del rinnovo della concessione per l'anno 2013. In seguito non sono pervenute ulteriori richieste di concessione da parte dell'ente che non risulta, dunque, aver titolo ad eseguire alcun tipo di attività all'interno dell'area di scavo.
  Il sito attualmente è protetto da recinzione, le strutture sono parzialmente rinterrate e comunque protette con teli di protezione di vario tipo e non sono visibili fenomeni di dissesto e degrado delle murature. I mosaici sono adeguatamente protetti e non sono esposti alla vista.
  Il contenzioso giudiziario in corso riguarda un'azienda agricola. Ad oggi, secondo quanto comunicato dal tribunale di Siena alla soprintendenza archeologica della Toscana (nota n. 15405 del 6 ottobre 2014) non risulta aperta alcuna procedura di fallimento a carico né dell'azienda agricola, né del suo titolare. È in atto, invece, una procedura di esecuzione immobiliare, con pignoramento di terreni di proprietà dell'azienda, che comprendono anche la villa romana.
  La soprintendenza, d'accordo con l'Amministrazione comunale, aveva già valutato, in considerazione della monumentalità del sito e della presenza di caratteristiche di gran rilievo (l'aula triloba, la decorazione pavimentale in
opus signinum, le fornaci) una musealizzazione dell'area, finalizzata alla pubblica fruizione, visto anche il suo inserimento in un contesto paesaggistico di pregio e la sua prossimità con la via Francigena.
  A tale scopo il comune, con delibera n. 63 del 29 novembre 2010 del consiglio comunale, ha stanziato 38.000,00 euro per acquistare l'area su cui insiste lo scavo. Successivamente alla delibera, l'area è stata oggetto di frazionamento, registrato all'agenzia del territorio in data 7 luglio 2011, allo scopo di individuare catastalmente le porzioni di terreno interessate dagli scavi. A seguito di ciò il tribunale di Siena, con l'accordo dei creditori, ha stralciato, dal lotto oggetto di asta pubblica, l'area oggetto di frazionamento (consistente nelle particelle catastali 175, 177 e 178 del foglio 126) che, di conseguenza, è stata esclusa dalla vendita giudiziaria.
  Il comune ha, successivamente, tentato di acquistare direttamente il terreno, tramite trattativa privata, ma senza riuscirvi per l'opposizione di un creditore. Attualmente il comune ha riavviato nuovi contatti con le parti interessate, per arrivare ad un accordo sulla cessione dell'area.
  Da ultimo, la soprintendenza ha comunicato che il 5 novembre 2014 si è tenuta, presso il tribunale di Siena, un'udienza, nel corso della quale, davanti al giudice dell'esecuzione immobiliare, è stata espressa la disponibilità alla cessione, a titolo oneroso, delle particelle della zona archeologica, a fronte della confermata disponibilità del sindaco di San Gimignano all'acquisto.
  Il giudice dell'esecuzione, pertanto, acclarata la disponibilità alla liberazione delle particelle della zona archeologica, ha invitato a regolarizzare la cessione delle particelle interessate dall'area archeologica entro la fine dell'anno e a comunicarne l'eventuale data, al fine di procedere alla restrizione del pignoramento, rinviando all'udienza del 7 ottobre 2015 la vendita e all'udienza del 21 ottobre 2015 la vendita con incanto.
  L'area sottoposta a vendita giudiziaria è, comunque, interessata dal vincolo diretto, imposto con il decreto ministeriale sopra citato. Pertanto, qualora ne ricorrano le condizioni, anche detta area potrà essere acquisita al demanio pubblico, mediante l'esercizio del diritto di prelazione (articoli 59-62 del decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42), anche a favore del comune di San Gimignano.
  Infine, si ritiene utile sottolineare come, nel quadro delle azioni da intraprendere al fine di salvaguardare il sito, l'eventuale rinterro è finalizzato alla salvaguardia di un bene culturale, altrimenti a rischio di degrado, in tutti quei casi in cui non sia possibile assicurare in modo differente la protezione e la conservazione di un sito, in attesa che sia possibile mettere in atto progetti di valorizzazione dell'area.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud del 22 ottobre scorso riporta la notizia riguardante la chiusura del duomo di Cropani, in provincia di Catanzaro, per una ristrutturazione mai avvenuta;
   il duomo, Insigne Collegiata di Santa Maria Assunta, è un monumentale edificio rinascimentale di fondazione quattrocentesca, gravemente danneggiato da un fulmine nel 1576, restaurato nel 1578 e successivamente profondamente rimaneggiato con ampia trasformazione stilistica del complesso primitivo del Settecento;
   i recenti lavori di restauro conservativi, adoperati sul manufatto, hanno restituito una cappella gentilizia voltata a botte sul cui muro di fondo, spicconando l'intonaco, è emersa una «monofora» rafforzata da conci in calcarenite, di fattura tipicamente romanica;
   il suo ripetersi ritmicamente sull'intera superficie muraria «distrutta e nascosta» dal successivo impianto delle cappelle settecentesche, la riconduce all'impianto iniziale della Collegiata dandone la fondazione stessa al secolo XIII;
   la facciata principale, anteposta da una gradonata in granito calabrese, è costituita da blocchi di pietra arenaria, tufo calcareo e calcarenite e differenzia la Collegiale da ogni altra chiesa presente sul territorio calabrese;
   il portale in tufo calcareo, costituito da quattro archi concentrici a tutto sesto, strombati e posti su tre lesene per lato è racchiuso da altre due lesene a quattro ordini e da una cornice orizzontale, entrando nel duomo spicca il soffitto ligneo di pregevole lavorazione;
   questo patrimonio artistico, oltre che di culto, presente sul territorio calabrese sta andando in rovina, nonostante sia i cittadini che il parroco di Cropani, padre Francesco Critelli, stiano, senza positivo esito, sollecitando le istituzioni a intervenire prontamente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se intenda attivare, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative di somma urgenza per il restauro di questo duomo, unico nel suo genere. (4-06647)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede se il Ministro sia a conoscenza dello stato di degrado in cui versa il Duomo di Cropani, in provincia di Catanzaro, e se intenda attivare, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative di somma urgenza per il restauro del monumentale complesso architettonico, si comunica quanto segue.
  La situazione segnalata è ben nota agli uffici di questo Ministero, che si sono da tempo attivati.
  In considerazione del fatto che l'edificio, di notevole importanza storico-architettonica, ha presentato e presenta tutt'ora seri problemi alle coperture, sono stati effettuati nel tempo diversi sopralluoghi, eseguiti dai tecnici della competente Soprintendenza – l'ultimo in data 1o agosto 2014 – allo scopo di verificare, oltre che le infiltrazioni di acque meteoriche, anche lo stato generale di inadeguatezza delle orditure portanti a capriate, alle quali risulta fissato un importante soffitto ligneo in tavole dipinte che copre tutta la navata.
  A seguito di tali sopralluoghi, al fine di preservare il monumento da seri danneggiamenti, la Soprintendenza ha messo in atto due interventi di somma urgenza: uno in data 8 gennaio 2013, per un importo pari a 25.823,00 euro, l'altro di pari importo, su progetto dell'11 aprile 2013, di prosecuzione delle opere già intraprese. L'importanza e le dimensioni dell'edificio, nonché la necessità di dover realizzare una notevole quantità di opere provvisionali per poter operare in sicurezza esigono, tuttavia, un cospicuo finanziamento che, al momento, non è nelle possibilità di essere ottenuto per l'esiguità delle risorse messe a disposizione dalle leggi di bilancio.
  In considerazione del fatto che l'ente ecclesiastico proprietario aveva manifestato la propria volontà di contribuire al restauro della chiesa, con propri mezzi, ricorrendo ai fondi della Conferenza episcopale italiana ed a possibili sponsorizzazioni, la locale Soprintendenza ha tempestivamente inviato all'ente una nota in cui, dettagliatamente, riportava gli interventi necessari e la stima dei costi per il consolidamento e il restauro del monumento per un totale di almeno 500.000,00 euro.
  In data 30 settembre 2014, Monsignor Vincenzo Bertolone, ordinario diocesano di Catanzaro-Squillace, ha inviato all'ufficio territoriale un progetto per il consolidamento conservativo e strutturale della copertura e della cupola della Collegiata i cui lavori sono stati autorizzati il 14 ottobre 2014, subordinando l'intervento edilizio all'osservanza di prescrizioni e utili raccomandazioni per il buon esito del restauro.
  Si dà notizia, inoltre, che la competente Soprintendenza intende dare la priorità e il massimo sostegno alla candidatura della Collegiata di Santa Maria sui fondi del programma operativo regionale e del fondo europeo di sviluppo regionale della regione Calabria e, comunque, si dà assicurazione circa l'impegno di questo ministero a esplorare le possibilità di ulteriori canali di finanziamento.
  Nel frattempo, in considerazione del fatto che le opere eseguite sono state di carattere provvisorio, la Direzione regionale ha ritenuto di suggerire al sindaco di Cropani e all'Autorità ecclesiastica di valutare l'opportunità di chiudere al culto la chiesa per ragioni di pubblica incolumità.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   QUARANTA e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la centrale Tirreno Power di Vado Ligure è costituita da un'unità a ciclo combinato di taglia pari a 800 megawatt, che utilizza due turbogas alimentati esclusivamente a gas naturale, e da due unità a carbone da 330 megawatt cadauna;
   sono previsti una ristrutturazione e un ampliamento dell'impianto che durerà undici anni. In particolare si prevede la ristrutturazione dei due gruppi a carbone e la realizzazione di un nuovo gruppo da 460 megawatt;
   la regione Liguria e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno dato il via libera per l'ampliamento della centrale Tirreno Power;
    il procuratore Capo della Repubblica Francantonio Granero ha aperto due fascicoli, uno per disastro ambientale in cui sono indagati tre manager dell'azienda e uno per omicidio colposo a carico di ignoti;
   al centro delle indagini c’è una perizia che prende in esame le ricadute sulla salute pubblica. Come si apprende da fonti giornalistiche (la Repubblica edizione Savona) «La consulenza si sviluppa attraverso due modelli, uno matematico dell'università di Genova che tiene conto, tra i vari fattori, di venti ed emissioni, mentre il secondo è basato sull'indagine sul campo effettuata con 40 stazioni di biomonitoraggio realizzate con licheni, che hanno avuto due periodi di raccolta dati di 4 mesi ciascuno. I risultati variano a seconda del modello di riferimento che riguarda una popolazione di 153 mila residenti in venti comuni rivieraschi. Sono 350 i bambini ricoverati per patologie respiratorie o per asma. I ricoveri degli adulti sono 1700 (1.200 per il biomonitoraggio); i decessi degli adulti per problemi cardiaci 250 (340); i decessi degli adulti per patologie respiratorie 100 (90). I dati Asl dei ricoveri coprono il periodo 2005-2010, quelli dei decessi non sono aggiornati e quindi si va dal 2000 al 2007»;
   nel frattempo Tirreno Power ha fortemente ridotto la sua produzione a causa della crisi. Sono in corso incontri tra il nuovo direttore generale Massimiliano Salvi e le parti sociali –:
   se il Ministro sia a conoscenza della perizia ha acquisito la perizia predisposta dalla magistratura e se, nel dettaglio, dei dati in essa contenuti;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per rivedere l'autorizzazione di ampliamento della centrale di Vado Ligure alla luce degli allarmanti dati sanitari emersi nella perizia della magistratura. (4-03756)

  Risposta. — Con riferimento a quanto evidenziato nell'interrogazione in esame, si rileva quanto segue.
  La centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado Ligure è attualmente costituita da una unità a ciclo combinato a gas (VL5) di taglia pari a 800 Mwe e da due unità a carbone (VL3 e VL4) della potenza di 330 Mwe ciascuna.
  Con decreto direttoriale n. 55 del gennaio 2012, il 5 marzo 2012 questo Ministero ha autorizzato, ai sensi e per gli effetti del decreto-legge n. 7 del 2002 e successive modifiche e integrazioni la costruzione di una terza sezione a carbone (VL6) da 460 MWe.
  L'esercizio dell'impianto è stato successivamente autorizzato dal provvedimento di Autorizzazione integrata ambientale (AIA) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. DEC-MIN-0000227 del 14 dicembre 2012.
  Da quanto appreso dagli organi di stampa e dalla documentazione resa accessibile dall'azienda, le due unità a carbone (VL3 e VL4) sono state oggetto di sequestro preventivo da parte dell'autorità giudiziaria nel mese di marzo 2014.
  In particolare, dal verbale di sequestro risulta che, relativamente alla mancata ottemperanza di una prescrizione dell'Aia inerente l'installazione di un sistema di monitoraggio delle emissioni (Sme) per le sezioni VL3 e VL4, l'autorità giudiziaria ha disposto, tra l'altro, che «[...] ove la Tirreno power s.p.a. provvedesse all'installazione di un sistema di controllo adeguato, da calibrare e monitorare ad opera di uno o più tecnici nominati da questo giudice, ai quali andrebbe anche affidato il compito di accertare, attraverso i controlli giornalieri dello Sme, che i gruppi a carbone VL3 e VL4 siano gestiti in modo da mantenere le emissioni nei limiti delle MTD», in quel caso si potrà provvedere «al dissequestro dei detti impianti».
  Successivamente, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto ministeriale n. 0000157 del 6 giugno 2014 ha sospeso l'Aia, rilasciata con decreto prot. n. DEC-MIN0000227 del 14 dicembre 2012, «[...].) limitatamente all'esercizio delle sezioni VL3 e VL4, fino alla data di comunicazione da parte del gestore dell'avvio dei lavori di realizzazione della nuova sezione VL6 ovvero fino alla conclusione positiva del procedimento di nuovo esame dell'Aia avviato dal Ministero con nota prot. n. DVA-2014-0013773 del 2 maggio 2014 [...]».
  Per quanto attiene le azioni poste in essere dalla Tirreno power S.p.a. ha recentemente presentato istanza di dissequestro ai competenti organi giudiziari.
  Risulta inoltre agli atti d'ufficio che, con nota prot. 2304 del 6 maggio 2014, la Tirreno power spa ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare istanza di rinnovo anticipato dell'Aia, proponendo, tra l'altro, un miglioramento immediato delle prestazioni ambientali dei gruppi VL3 e VL4, a prescindere dalla realizzazione del nuovo gruppo VL6. Degli esiti di detta istanza di rinnovo anticipato si dirà oltre.
  Ciò premesso, si forniscono i seguenti elementi relativamente ai singoli quesiti posti dall'interrogante.
  Riguardo alla circostanza se il Ministro sia a conoscenza della perizia (o, n.d.r.) ha acquisito la perizia predisposta dalla magistratura e se, nel dettaglio, dei dati in essa contenuti, si fa presente che il Ministero dello sviluppo economico, delegato a rispondere, non è interessato nel procedimento posto in essere dall'Autorità giudiziaria e, pertanto, non dispone degli atti istruttori in tale ambito sviluppati fino alla loro eventuale pubblicazione a conclusione del procedimento medesimo.
  Per ciò che riguarda le iniziative che, per quanto di competenza, il Ministro intende «assumere per rivedere l'autorizzazione di ampliamento della centrale di Vado Ligure alla luce degli allarmanti dati sanitari emersi nella perizia della magistratura», fermo restando quanto sopra rappresentato circa la indisponibilità della perizia, si fa presente che il procedimento di autorizzazione alla realizzazione della nuova unità VL6 è stato condotto ai sensi e per gli effetti del decreto-legge n. 7 del 2002 e successive modifiche e integrazioni, il quale prevede, tra l'altro, oltre ai pareri delle amministrazioni competenti in ambito sanitario, la Valutazione d'impatto ambientale e il pronunciamento degli enti locali in cui ricadono le opere e della regione interessata.
  Nello specifico del procedimento in parola si evidenzia che è stato acquisito il positivo parere di compatibilità ambientale (Via) da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. DSA-DEC-2009-0000941 del 29 luglio 2009, nonché il pronunciamento favorevole del Ministero della salute e dell'Istituto superiore di sanità, oltre al rilascio dell'intesa da parte della regione Liguria. Le determinazioni della regione e del Ministero della salute sono peraltro corredate da una serie di prescrizioni attuative che ne puntualizzano l'efficacia.
  Risulta altresì che, nel corso dell'ulteriore procedimento per il rilascio dell'Aia dell'impianto, siano pervenuti i pareri favorevoli di tutte le amministrazioni interessate ad eccezione dei comuni di Vado Ligure e Quiliano, che, tuttavia, non hanno sollevato aspetti e problematiche di carattere sanitario.
  Pertanto, più che revisione dell'autorizzazione a costruire il nuovo gruppo, ciò che sembra essere più urgente e rilevante è la revisione delle prescrizioni ambientali per l'esercizio dell'impianto nella sua reale configurazione, oggetto proprio del rinnovo anticipato dell'Aia.
  A tale riguardo, come accennato in precedenza, presso il Ministero dell'ambiente si sono tenute tre riunioni della conferenza di servizi, l'ultima delle quali il 4 dicembre 2014.
  Per quanto riguarda la revisione delle prescrizioni ambientali oggetto della nuova Aia si fa presente che il parere istruttorio conclusivo (Pic), espresso dalla Commissione
Integrated sollution prevention and control, prevede l'imposizione di una fase unica per gli interventi di adeguamento degli impianti e conseguentemente per il rispetto dei limiti di emissione degli stessi.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalle agenzie di stampa che un airbus 320 dell'Alitalia, decollato da Amsterdam ieri alle 12.20 e diretto a Roma, è stato «scortato» per circa venti minuti da due aerei militari tedeschi;
   i video diffusi mezzo stampa attestano che i due caccia viaggiavano a 100 metri di distanza dall'aereo civile; i passeggeri affermano che ciò sarebbe accaduto mentre l'aereo sorvolava il territorio austriaco, e che la distanza ravvicinata consentiva loro di distinguere chiaramente i volti dei piloti e la bandiera tedesca applicata sui velivoli militari;
   benché sull'aereo civile non sia stato azionato nessun segnale d'allarme, l'episodio avrebbe suscitato preoccupazione nei passeggeri, i quali avrebbero senza successo sollecitato il personale di cabina e il comandante a fornire informazioni nel merito;
   la minaccia costituita da aerei di linea la cui condotta sia potenzialmente riconducibile ad una possibile azione terroristica richiede un dispositivo complesso che varia in ogni Paese –:
   se sia già stato sollecitato un chiarimento formale da parte delle autorità tedesca;
   quali siano le spiegazioni ufficiali dell'accaduto. (4-07031)

  Risposta. — Come riportato da fonti di stampa nazionali, lunedì 24 novembre 2014, un Airbus 320 della compagnia aerea Alitalia (volo AZ 107), decollato alle ore 12:20 dall'aeroporto di Amsterdam-Schipol e diretto a Roma-Fiumicino, è stato intercettato nello spazio aereo da caccia dell'aviazione militare tedesca.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha tempestivamente richiesto all'ambasciata d'Italia a Berlino di effettuare delle verifiche in merito a quanto accaduto, attraverso l'attivazione dei consueti canali di contatto con le competenti autorità tedesche.
  L'ambasciata d'Italia a Berlino ha prontamente sollecitato chiarimenti allo Stato Maggiore dell'aeronautica militare tedesca secondo cui i due Eurofighters tedeschi si sono levati in volo per verificare se sul velivolo Alitalia, non vi fossero situazioni di criticità. Le autorità tedesche hanno quindi confermato che si è trattato di una procedura di
routine, attuata numerose volte dall'aeronautica militare tedesca in linea con le procedure previste dall'organizzazione del trattato dell'Atlantico del Nord (NATO). Nel caso specifico, lo Stato Maggiore dell'aeronautica militare tedesca ha affermato che i jet tedeschi si sono levati in volo a seguito di un'anomalia riscontrata nel contatto radio con il volo Alitalia e dovuta all'errato inserimento, da parte del personale di bordo, della frequenza radio – nell'abituale procedura di passaggio a nuove frequenze – all'atto del transito da un settore all'altro dello spazio aereo tedesco.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   REALACCI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo molteplici allarmi sindacali e da un recentissimo articolo apparso su «Malindi news», il portale italiano dei nostri connazionali a Malindi, nota località turistica del Kenya, si apprende che: «sebbene [ndr] il 15 dicembre cadranno cinquantanni dall'inizio del progetto spaziale San Marco, ideato proprio nel 1964 dal Governo italiano per volontà dello scienziato Luigi Broglio, a cui è intitolata la base aerospaziale al largo di Ngomeni, sulle coste del Kenya, la data potrebbe rimanere virtuale e non essere festeggiata, se il Kenya e l'Italia confermeranno la rottura dei rapporti bilaterali di cooperazione scientifica che hanno permesso negli anni di rinnovare l'accordo che prevede gli studi italiani a nord di Malindi e l'insediamento di una “colonia” di tecnici inviati da Roma. Quest'anno sembra che non ci siano i presupposti per rinnovare di un altro anno il contratto e il rischio che la San Marco debba chiudere sembra concreto. Con la base se ne andrebbero circa quaranta tecnici specializzati e anche personale che ormai ha messo radici a Malindi e dintorni. Basti pensare che in cinquant'anni molte famiglie si sono stabilite qui grazie alla San Marco e dopo l'età pensionabile sono rimaste a vivere in Kenya. Ma non è solo questo, la base San Marco ha dato lavoro e condizioni di vita migliori a centinaia di cittadini kenioti che vivono a Ngomeni, a ridosso della base. Ha costruito una scuola, un pronto soccorso medico che funziona ventiquattro ore su ventiquattro, ha dato lavoro e formato moltissimi tecnici, ha fatto crescere un'intera comunità che oggi deve molto agli italiani della base. Sarebbe davvero un autogol per il Kenya liberarsi del progetto San Marco, e un peccato per tutto quello che rappresenta per questa zona»;
   è utile poi ricordare che nel recente passato il Governo italiano si impegnò, sin dal 2010, per la riscrittura di un nuovo accordo bilaterale italo-kenyota per l'ampliamento delle attività di ricerca e la ripresa delle attività di lancio in orbita a carattere scientifico;
   le attività della Base spaziale a Malindi iniziarono già negli anni Sessanta grazie all'impulso decisivo del professor Luigi Broglio, e vengono poi rinnovate dal 1995 con un accordo in vigore fino ad oggi. L'ASI gestisce, con la collaborazione della Telespazio S.p.a., la base dal 2003 subentrando all'Università «La Sapienza» di Roma. Tra le attività attuali sono da ricordare in particolare il telerilevamento, l'acquisizione orbitale, la ricerca spaziale e la formazione, da ultimo gli studi sull'ambiente e il cambiamento climatico;
   nonostante la Base ASI di Malindi costituisca un vanto per la ricerca nazionale e sia espressione dei buoni rapporti tra il Kenya e l'Italia pare che quest'ultima sia destinata miseramente alla chiusura, anche a fronte di rumors non ufficiali rispetto all'aumento dell'imposizione fiscale da parte del governo africano e il favore di quest'ultimo con il quale saluterebbe un passaggio delle attività di ricerca da quella italiana a quella cinese, il cui Governo è ultimamente molto attivo in Africa nell'acquisizione di terreno fertile, prospezioni petrolifere, attività finanziarie –:
   se il Presidente del Consiglio e Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se questa corrisponda al vero; quali iniziative urgenti vogliano intraprendere per confermare e rilanciare l'attività di ricerca spaziale a Malindi, polo di alta specializzazione scientifica italiana all'estero, anche in forza di precedenti accordi bilaterale tra Italia e Kenya. (4-05900)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), anche attraverso l'Ambasciata a Nairobi, è impegnato in stretto raccordo con l'Agenzia spaziale italiana (Asi), per il rinnovo degli accordi tra Italia e Kenya relativi alla base spaziale italiana «Luigi Broglio» a Malindi. Non possono che condividersi le considerazioni dell'onorevole interrogante sul valore della base quale strumento qualificante sia nelle nostre relazioni con l'Africa sia più in particolare con il Kenya, come elemento di arricchimento della nostra partecipazione alle organizzazioni spaziali internazionali, in primis l'Esa, e in generale del nostro ruolo nella collaborazione internazionale nel settore.
  La base spaziale italiana «Luigi Broglio» a Malindi in Kenya fu creata nell'ambito del progetto «San Marco» ideato dal professor Luigi Broglio della Scuola di ingegneria aerospaziale dell'università La Sapienza di Roma. Costruita nel 1964 la base comprendeva due segmenti: uno in mare, su piattaforme al largo ed uno a terra. Nel segmento a mare venivano effettuati i lanci di satelliti, mentre in quello a terra avvenivano le attività di monitoraggio dei lanci. La base ha permesso all'Italia di essere tra i primi Paesi «lanciatori» (terzi dopo Usa e Urss). Le attività di lancio sono continuate fino al 1988, mentre quelle di telerilevamento condotte nel segmento a terra sono proseguite fino ai nostri giorni e, se le piattaforme hanno progressivamente perso rilevanza, il segmento a terra, dove avviene il monitoraggio di satelliti anche da altre basi nel mondo, ha acquistato un'importanza sempre più determinante. Nel 2003 la competenza per la gestione delle attività della base sono passate dall'università La Sapienza all'Agenzia spaziale italiana.
  Il regime della base era disciplinato da un accordo stipulato nel 1964 tra il Governo italiano e quello keniano, prorogato fino al 1987, e da successivi accordi rispettivamente del 1987 e 1995. Quest'ultimo è scaduto nel 2010 ed è stato prorogato a più riprese. Già dal dicembre 2009 è stato avviato, con il Ministero della difesa del Kenya, competente in materia spaziale, un difficile negoziato che su impulso del Mae e d'intesa con l'Asi, ha portato infine, a giugno 2012, alla parafatura a Nairobi di un nuovo accordo e di 5 protocolli tecnici. La firma della nuova intesa, prevista da ultimo per il 19 febbraio 2013 è a più riprese slittata per rinvii da parte keniana, apparentemente riconducibili anche alla volontà di alcune forze politiche keniane di strumentalizzare l'accordo in chiave interna. Da parte italiana non è stata persa occasione per ribadire, nell'ambito dei contatti a tutti i livelli con le l'autorità keniane, la grande importanza annessa ad una rapida firma dell'accordo nel quadro di un armonioso sviluppo delle relazioni tra Italia e Kenya. La questione è stata sollevata in varie occasioni anche a livello di Ministro degli affari esteri, oltre che nel corso di incontri bilaterali. Io stesso durante la mia visita in Kenya dell'agosto 2013 avevo indicato la disponibilità italiana ad inviare in tempi brevissimi una delegazione con piena capacità negoziale, mentre nell'ottobre del medesimo anno la Ministra degli esteri keniana ha annullato una programmata visita in Italia che si auspicava potesse essere utile occasione per la firma degli accordi. Analoga intensa azione di sensibilizzazione viene costantemente portata avanti
in loco dal nostro Ambasciatore.
  A fine giugno 2014, da parte keniana si è proposto di estendere la validità dell'accordo del 1995 fino al settembre 2014, condizionandola ad una serie di articolati adempimenti di carattere informativo a carico del Governo italiano/Asi, risalenti fino all'istituzione della base nel 1964 ed alla riapertura del negoziato per la conclusione di un nuovo accordo. Da parte italiana ci si è subito dichiarati pronti a riaprire il negoziato e l'Asi ha provveduto ad inviare il materiale richiesto relativo al periodo della propria gestione, mentre per il periodo precedente (1964-2003) è in attesa di elementi dall'università La Sapienza di Roma, all'epoca responsabile della base. Le autorità keniane dopo aver visionato il materiale ricevuto hanno indetto per il 26 settembre 2014 una riunione del Joint Steering Committee, l'organo congiunto a cui, ai sensi dell'accordo del 1995, è demandato discutere delle questioni della base nel corso della quale hanno richiesto di riaprire il negoziato su numerosi punti di rilevanza sia in termini di oneri di gestione a carico dell'Asi sia con riguardo alle procedure di perfezione degli atti. Nel contesto di tali sviluppi ha avuto luogo lo scorso 4 novembre la missione in Italia dello
speaker dell'Assemblea nazionale kenyana, Justin Muturi, che ha effettuato una visita alla sede dell'Asi e si è a lungo intrattenuto con il presidente dell'Agenzia sui temi inerenti alle attività scientifiche della base ed i vantaggi derivanti al Kenya dalla presenza di tale struttura nel proprio territorio.
  A seguito di approfondite verifiche interne italiane che hanno coinvolto tutti gli enti e le istituzioni interessate, si è nel frattempo proceduto ad approntare una controproposta che ha dato l'avvio ad una nuova fase negoziale concretatasi nella convocazione a Nairobi, il 18 novembre 2014, di una ulteriore riunione dello Joint Steering Committee. Nel corso di tale riunione, svoltasi in un quadro di collaborazione, è stato possibile raggiungere una intesa su un nuovo testo di accordo, superando così gli aspetti più controversi. Si attende ora che da parte keniana venga ultimata una verifica interna su due specifici punti (esenzione doganale per i beni importati ai fini del funzionamento della base e concessione di visti a favore del personale espatriato). Una volta ottenuta conferma dalla parte keniana su tali punti, si provvederà ad avviare le procedure per la firma e la successiva ratifica dell'accordo. In attesa del perfezionamento di tale
iter è stato richiesto alla controparte keniana, che ha dato ampie assicurazioni in merito, la proroga della vigenza dell'Accordo attuale oltre la scadenza prevista del 30 novembre 2015 al fine di evitare un vuoto giuridico.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   REALACCI e BRAGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la risposta all'atto 5-02986 presentato dai deputati Braga e Realacci il Sottosegretario di Stato al Ministero dello sviluppo economico, onorevole Simona Vicari, in merito alla condivisa necessità di normare e integrare in rete sistemi di accumulo in esistenti impianti che accedono a tariffe incentivanti, rispondendo così «[...] al fine specifico e condivisibile di garantire la correttezza della gestione del sistema di sostegno, in modo che l'incentivo, a carico dei consumatori elettrici sia effettivamente destinato alla sola energia già ammessa all'incentivo medesimo, esigenza che verrebbe a essere pregiudicata da un inserimento di sistemi di accumulo secondo regole e sistemi non codificati»;
   a quanto sopraddetto si aggiungeva: «il Governo considera una priorità per gli impianti a fonte rinnovabile non programmabile la realizzazione di configurazioni che consentano di migliorare la loro integrazione con il sistema elettrico e con le ordinarie regole di mercato, vista la particolare capacità di penetrazione dimostrata sul mercato nazionale. Al fine di perseguire questo obiettivo, il Ministero dello sviluppo economico, nei limiti consentiti dalle prerogative di indipendenza del regolatore, ha sensibilizzato gli Uffici dell'Autorità circa la necessità di dare piena attuazione alle previsioni di cui al citato decreto ministeriale 5 luglio 2012, allo scopo di consentire l'ordinato sviluppo del settore e delle relative tecnologie. Ci si attende quindi che, anche nelle more del completamento da parte del CEI (Comitato Elettrico Italiano) della definizione dei requisiti tecnici dei sistemi di accumulo, entro l'estate questa disciplina sull'inserimento di sistemi di accumulo in impianti connessi alla rete sia definita e siano, anche, dettate le disposizioni essenziali per regolare la prestazione di servizi di rete. Parimenti, dopo l'emanazione della predetta delibera, il MiSE vigilerà affinché il GSE si attivi sollecitamente per la sua attuazione, adottando i conseguenti provvedimenti di dettaglio e le regole applicative necessarie per consentire l'ordinato sviluppo del settore e delle relative tecnologie, nel rispetto delle esigenze di corretta gestione degli incentivi»;
   è importante ricordare che il citato limite dell'estate di quest'anno è ampiamente superato –:
   se il Ministro dello sviluppo economico intenda sollecitare per quanto di competenza e acquisire al più presto la delibera di disciplina da parte del CEI – Comitato elettrico nazionale – che determina per legge i requisiti tecnici dei sistemi di accumulo connessi in rete affinché, per tramite del GSE, si dia piena attuazione alle previsione del decreto ministeriale 5 luglio 2012. (4-06099)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Gli interroganti nelle premesse dell'atto di cui si tratta, peraltro, fanno riferimento a una precedente risposta (interrogazione ordinaria a risposta orale in X Commissione Camera n. 5.02986) fornita, da un rappresentate di Governo del Ministero dello sviluppo economico, con la quale quest'ultimo, al fine di dare risposta ai quesiti allora richiesti, evidenziava la necessità di regolamentare e integrare in rete sistemi di accumulo in impianti esistenti che accedono alle tariffe incentivanti, al fine condivisibile di garantire la correttezza della gestione del sistema di sostegno.
  Ciò premesso, al riguardo, si confermano le limitate possibilità di azione del Ministero nei confronti di eventuali ritardi dell'Autorità per l'energia, cui l'ordinamento riserva una posizione di indipendenza nei confronti dell'esecutivo.
  Nel merito, si fa presente quanto segue.
  Il 20 novembre 2014, l'Autorità per l'energia ha emanato la deliberazione n. 574 del 2014, recante «Disposizioni concernenti l'integrazione dei sistemi di accumulo di energia elettrica nel sistema elettrico nazionale».
  Il provvedimento definisce, in sede di prima applicazione, le modalità di accesso e di utilizzo della rete pubblica nel caso di sistemi di accumulo di energia elettrica nonché le misure dell'energia elettrica ulteriori, eventualmente necessarie per la corretta erogazione di strumenti incentivanti o di regimi commerciali speciali in presenza di sistemi di accumulo.
  Si sottolinea come si tratti di «prime disposizioni, finalizzate a consentire la normale gestione dei sistemi di accumulo nell'ambito dell'erogazione del servizio elettrico, con particolare riferimento alle condizioni per l'accesso e l'utilizzo delle reti; e che, pertanto, esse possano essere oggetto di revisione e completamento a seguito delle fasi iniziali di implementazione, sulla base dei nuovi elementi che si renderanno disponibili, anche con riferimento ai progetti pilota in corso».
  La stessa delibera prevede un successivo provvedimento, da emanare a seguito del completamento, da parte del Comitato elettrotecnico italiano, della variante 2 alla norma Cei 0-16 e della variante 3 alla norma Cei 0-21, per definire i servizi di rete che dovranno essere prestati dai sistemi di accumulo per i quali viene presentata richiesta di connessione.
  La validità della nuova regolazione, ancorché transitoria, partirà dal 1o gennaio 2015.
  Il Ministero dello sviluppo economico, vigilerà affinché il Gestore servizi energetici si attivi prontamente per dare attuazione alla predetta deliberazione, attraverso l'adozione dei provvedimenti di dettaglio e le regole applicative necessarie per consentire l'ordinato sviluppo del settore e delle relative tecnologie, nel rispetto delle esigenze di corretta gestione dei meccanismi incentivanti.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   RIZZETTO, MUCCI e PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Sorgenia spa è uno dei principali operatori del mercato libero dell'energia elettrica, con circa 500.000 clienti su tutto il territorio nazionale;
   nel tempo, in seguito a numerose segnalazioni dei consumatori nonché di operatori concorrenti, le pratiche commerciali della predetta società sono state oggetto d'indagine dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, poiché ritenute scorrette, ossia in contrasto con il principio della diligenza professionale, false o comunque idonee a falsare il comportamento economico del consumatore al quale sono dirette, violando le norme in materia previste dal Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206);
   infatti, già con provvedimento n. 20364 del 7 ottobre 2009, l’Antitrust ha sanzionato la società in questione per pratiche commerciali scorrette ai sensi degli articoli 20, 21, comma 1, lettere b) ed f), 24, 25, lettera d), e 26, lettera f), del Codice del Consumo, vietandone l'ulteriore diffusione;
   nello specifico, con due distinte multe per un importo complessivo di 350.000 euro, Sorgenia spa è stata sanzionata per avere attivato servizi di fornitura in assenza di contratti sottoscritti o in base a contratti con firme non riconosciute come proprie dagli utenti;
   addirittura, la società pur di procurarsi dei contratti sottoscritti, tramite i propri agenti commerciali, ha fornito informazioni ingannevoli ai potenziali clienti, in occasione delle attività di promozione, come l'appartenenza al gruppo Enel e presunti vantaggi economici conseguenti alla scelta di Sorgenia quale nuovo fornitore, come il rimborso di quanto fatturato dal precedente fornitore. L’Antitrust ha inoltre accertato che Sorgenia spa, pur nella consapevolezza dei comportamenti scorretti degli agenti, non ha posto in essere un sistema di controllo dell'operato di questi ultimi, idoneo ad escludere simili condotte scorrette;
   ad oggi, Sorgenia spa continua a porre in essere offerte commerciali scorrette e ingannevoli attraverso i propri operatori commerciali;
   lo stesso interrogante, in data 21 maggio 2014, ha ricevuto al proprio domicilio un'offerta commerciale telefonica, da parte di un operatore di Sorgenia, che si ritiene assolutamente scorretta e contraria ai più elementari principi di diligenza professionale. Al riguardo, l'operatore nel proporre il passaggio a Sorgenia spa, ha affermato che il mio nominativo era stato estratto per ottenere uno sconto in bolletta e pertanto, per ottenere tale vantaggio, era necessario trasmettere i propri dati per procedere al cambio di operatore;
   tali dichiarazioni appaiono volere raggirare il potenziale cliente, a cui vengono chiesti i dati in bolletta ipotizzando uno sconto, grazie ad una fantomatica estrazione a sorte, che non è dato sapere quando sia avvenuta ed in base a quali criteri;
   il predetto caso è aggravato dal fatto che il recapito telefonico dell'interrogante non è pubblico e nel richiedere all'operatore come avesse ottenuto tale numero, lo stesso ha affermato che aveva fatto riferimento a delle presunte liste sul web. L'interrogante ha, dunque, proceduto in data 22 maggio 2014 ad inoltrare un esposto all’Antitrust per denunciare la menzionata offerta commerciale scorretta;
   ebbene, si ritiene che troppo spesso i consumatori, soprattutto quelli anziani, siano vittime di offerte commerciali illegittime perpetrate dai professionisti, ciò anche a danno di quelle società che sul mercato sono invece virtuose nel promuovere i propri servizi;
   inoltre, si evidenzia che, anche qualora intervengano le sanzioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, come nel caso predetto di Sorgenia spa, le società non sembrano scoraggiate nel reiterare condotte illegittime. Pertanto, si deve ritenere che le sanzioni applicate non siano idonee, poiché tali operatori ottengono un vantaggio economico tale attraverso le pratiche commerciali scorrette che, addirittura, si assumono il rischio di essere sanzionate –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative anche normative, di contrasto alle pratiche commerciali scorrette e ingannevoli, intenda adottare a tutela dei consumatori nonché dei professionisti che sul mercato pongono in essere condotte commerciali legittime;
   in particolare, se e quali iniziative intenda promuovere affinché le società siano dotate di un efficace sistema di controllo dei propri agenti e operatori, che possa escludere frodi nei confronti dei consumatori, attraverso pratiche commerciali che violano il codice del consumo.
(4-04939)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresentano per quanto di competenza i seguenti elementi.
  Le fattispecie descritte nell'atto in esame rientrano nell'ambito delle pratiche commerciali scorrette, di cui è competente l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, cui spetta il potere sanzionatorio in merito.
  L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico ha, per quanto di propria competenza, approntato, con proprie delibere, dei meccanismi di ulteriore e specifica tutela del consumatore nei settori energetici, tenendo conto delle specifiche peculiarità di detti settori, quali:
   il Codice di condotta commerciale (delibera n. 104 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni), che prevede tra l'altro, regole concernenti la formulazione delle offerte commerciali, alle informazioni pre-contrattuali, al contenuto minimo e alla conoscibilità dei contratti, recentemente modificato con delibera 266/2014/R/com, per tenere conto delle innovazioni introdotte al codice del consumo dal decreto legislativo n. 21 del 2014 di «Attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le direttive 85/577/CEE e 97/7/CE»;
   la delibera n. 153/2012/R/com, che ha introdotto misure preventive e ripristinatorie nei casi di contratti e attivazioni non richieste di forniture di energia elettrica e di gas naturale.

  Tale delibera è stata recentemente modificata con la delibera n. 266/2014/R/com, per adeguare la regolazione in materia di tutela dei consumatori alle previsioni della direttiva 2011/83/UE, come recepita dal suddetto decreto legislativo n. 21 del 2014, che ha modificato a sua volta il Codice del consumo.
  Per quanto riguarda la regolazione contenuta nella delibera n. 153/2012/R/com relativa ai contratti non richiesti, le nuove disposizioni del Codice del consumo se, da un lato, non incidono sulle cosiddette procedure di ripristino, poiché tali procedure costituiscono strumenti di tutela non sovrapponibili a quelli del Codice di consumo, dall'altro, modificano la delibera 153/2012/R/com con riferimento al contenuto delle misure preventive e delle procedure di reclamo, in modo che tali misure siano in linea con i nuovi adempimenti di natura pre-contrattuale previsti dal Codice di consumo. Nulla cambia, invece, per quanto riguarda l'applicazione nella medesima delibera nei confronti dei clienti diversi da quelli domestici.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   RIZZETTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a quanto è dato sapere, il Friuli Venezia Giulia è stata una delle zone più militarizzate d'Europa dalla fine della seconda guerra mondiale alla caduta del muro di Berlino e ciò ha comportato delle potenziali ed attuali situazioni di pericolo, per l'ambiente e la salute dei cittadini friulani. Tali dati si evincono anche da un recente documentario prodotto con il sostegno dell'Arpa, intitolato «Un paese di primule e caserme», del regista friulano Diego Clericuzio;
   si tratta di 428 siti militari che hanno occupato 102 chilometri quadrati del Friuli, più del 50 per cento dell'Esercito dislocato sul territorio; sono i numeri impressionanti che hanno avuto un incisivo impatto economico, ambientale nonché sociale sulla regione;
   l'architetto Alessandro Santarossa sta mappando i siti militari in regione. Si tratta di una rete capillare di caserme, campi volo, fortificazioni, depositi che sono, ad oggi, per la maggior parte abbandonati senza aver provveduto ad una verifica da parte delle autorità preposte sull'assenza di situazioni di pericolo. Inoltre, non sono stati adottati provvedimenti per smantellare le strutture abbandonate in modo da potere riutilizzare i terreni per pubblica utilità. Va considerato anche che l'iper-militarizzazione che il Friuli ha subito già in passato ha avuto delle conseguenze ambientali, poiché circa la metà del territorio era servitù militare e dunque non si poteva né costruire, né coltivare;
   è necessario, dunque, verificare che i siti militari chiusi non celino situazioni di pericolo, come la presenza di eternit e di amianto, che non risultano nemmeno nei censimenti dell'Arpa, anche per verificare se è possibile la riconversione dei siti nonché l'adozione di azioni che possano essere utili allo sfruttamento per pubblica utilità dei territori in questione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in caso positivo, di quali elementi e dati dispongano al riguardo anche rispetto a medesime vicende a livello nazionale;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare in collaborazione con le competenti amministrazioni regionali, affinché vengano censiti i siti militari abbandonati e, con urgenza, si provveda ad accertare l'assenza di situazioni di pericolo per l'ambiente e i cittadini. (4-05235)

  Risposta. — La problematica relativa alla gestione delle infrastrutture inattive è oggetto di particolare interesse in ambito Dicastero, in considerazione dei rilevanti oneri e responsabilità connesse con il mantenimento in sicurezza e la vigilanza delle stesse.
  In tale quadro, la Difesa ha avviato un complesso processo di razionalizzazione del parco infrastrutturale che ha portato all'individuazione di un elenco di immobili non più utili ai fini istituzionali, in parte già retrocessi all'agenzia del demanio.
  Tanto premesso, in Friuli Venezia Giulia l'esercito ha già dismesso circa 290 infrastrutture inattive, per la maggior parte beni rimasti inutilizzati a seguito dei conflitti mondiali (bunker, osservatori, strade militari, fortificazioni, eccetera) mentre rimangono 123 immobili, già liberi da funzioni, ancora nelle consistenze patrimoniali della Forza armata, in attesa che venga ultimato il percorso per la relativa dismissione.
  Per quanto riguarda, invece, le altre Forze armate, si rende noto che sono presenti in quella regione cinque strutture inattive riconducibili al demanio difesa ramo aeronautica militare, inserite nei predetti elenchi di immobili da alienare/valorizzare, mentre risulta essere stata dismessa un'aliquota dell'aeroporto Udine Campoformido-Campo Sud.
  Due ulteriori strutture, sempre dell'aeronautica militare, sono in procinto di essere retrocesse all'agenzia del demanio a favore del Ministero dell'interno.
  Fin dall'inizio del mio mandato ho posto la massima attenzione ed interesse a completare quanto prima possibile il processo di alienazione dei beni non più necessari per le finalità militari, istituendo una apposita
Task Force, che rappresenta oggi un punto di riferimento certo e immediato per enti e istituzioni interessati al patrimonio immobiliare del Dicastero.
  Per quel che concerne, infine, la possibilità di «verificare che i siti militari chiusi non celino situazioni di pericolo, come la presenza di eternit e di amianto, che non risultano nemmeno nei censimenti dell'Arpa», si rende noto che da parte degli organi competenti viene effettuato costantemente il monitoraggio delle infrastrutture in cui è stata segnalata la presenza di materiali in cemento-amianto promuovendo, al contempo, le discendenti azioni di programmazione e finalizzazione degli interventi infrastrutturali di risanamento, sulla base delle risorse finanziarie disponibili.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   RIZZO, CANCELLERI, PAOLO BERNINI, TOFALO, CORDA, BASILIO, FRUSONE e ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 maggio 2012 veniva approvata la relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro a seguito dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta monocamerale al Senato «sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nano particelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni»;
   tra le conclusioni alle quali la commissione era giunta si chiedeva al Governo di impegnarsi all'inserimento, a partire dalla legge di stabilità 2013, di un congruo ed adeguato finanziamento pluriennale dedicato alle opere di bonifica dei poligoni militari;
   tale misura di finanziamento fu originariamente inserita nel disegno di legge di stabilità per l'anno 2013 (articolo 8, comma 19, A.C. 5534), ma è stata successivamente stralciata da tale provvedimento in quanto ritenuta estranea al contenuto proprio della legge di stabilità (cfr. stralcio disposto dal Presidente della Camera e comunicato all'Assemblea nel corso della seduta dello scorso 16 ottobre 2012);
   in relazione allo stralcio in esame, in data 7 novembre 2012, il Ministro della difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, in risposta all'interrogazione Cicu n. 3-02589 rilevava che «(...) il Governo aveva onorato l'impegno assunto in relazione agli esiti del lavoro della Commissione parlamentare. Questo impegno che il Governo aveva onorato inserendo la posta di 25 milioni per tre anni nella legge di stabilità è stato eliminato dalla Commissione bilancio. Nonostante questo, il Governo, e la Difesa in particolare, dimostrando attenzione e sensibilità alla tematica delle bonifiche dei poligoni, ha deciso di stanziare sul bilancio della Difesa 25 milioni per tre anni, e quindi lo stesso impegno assunto in legge di stabilità, per intraprendere l'attività di bonifica dei poligoni. In merito alle attività e ai siti in cui in via prioritaria stanziare queste risorse, in via prioritaria e inizialmente esse saranno stanziate per il risanamento e la bonifica del poligono di Salto di Quirra dove – è ben noto – c’è un'attività di indagine da parte dell'autorità giudiziaria di Lanusei. Quindi, sono già state iniziate le azioni propedeutiche alla attuazione dell'attività di bonifiche; attraverso l'attività di caratterizzazione delle aree è stata bandita una gara che verrà chiusa entro novembre, già prefinanziata con fondi della Difesa, e quindi noi pensiamo di iniziare le bonifiche all'inizio del 2013, a partire dal poligono di Salto di Quirra»;
   lo scorso 2 luglio 2013, in risposta all'interpellanza Piras n. 2-00023, il Governo ha reso noto che «la bonifica delle aree della regione Sardegna interessate dalla presenza di poligoni è stata finanziata, a decorrere dal 2013, per l'importo di 25 milioni di euro annui nel triennio 2013-2015, attraverso gli ordinari stanziamenti di bilancio del Dicastero»;
   relativamente ai poligoni di tiro della regione Puglia, nessun ulteriore riferimento a finanziamenti, per come previsto dalla relazione della commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, è stato mai fatto –:
   se il Ministro interrogato abbia comunque previsto, indicandone anche i riferimenti normativi e di stanziamento nel bilancio di questo dicastero, la bonifica delle zone militari a «rischio uranio» in Puglia: poligono militare di torre Nebbia, poligono marino del Golfo di Taranto, poligono militare di Punta Contessa e poligono militare di Torre Veneri. (4-03883)

  Risposta. — Il poligono militare di Torre di Nebbia non è stato interessato ad alcun procedimento ambientale.
  È, comunque, programmato per il 2015 il monitoraggio per la verifica dell'eventuale presenza di potenziali fonti inquinanti.
  Riguardo alle problematiche ambientali del poligono di Torre Veneri, le risultanze della perizia tecnica disposta dalla procura della Repubblica di Lecce a conclusione dell'attività svolta dalla 3a Commissione parlamentare d'inchiesta richiamata dall'interrogante hanno evidenziato il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione per il piombo e l'alluminio, mentre hanno escluso la contaminazione radiologica associabile a uranio impoverito o ad altri radionuclidi di origine artificiale.
  L'attività di indagine su situazioni di rischio connesse alla presenza di rifiuti pericolosi o radioattivi promossa dalla procura della Repubblica di Lecce, si è conclusa con una richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari.
  Il 23 settembre 2014 nell'ambito della conferenza dei servizi, è stato approvato il piano di caratterizzazione del sito di Torre Veneri, predisposto sulla base di quanto stabilito nel corso della riunione della stessa conferenza tenutasi in maggio.
  Ora è in corso l’
iter per l'esperimento della procedura di gara per il piano di indagini ambientali previsto dal citato piano di caratterizzazione.
  Qualora si dovesse procedere con le operazioni di bonifica, sarà verificata la possibilità di avviare tali attività con i fondi previsti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 229, durante l'esercizio finanziario 2015.
  L'area addestrativa a mare sita nel golfo di Taranto non è interessata da alcun procedimento ambientale.
  Il monitoraggio per accertare la presenza o meno di una contaminazione riconducibile a sostanze radiologicamente attive sarà programmato nell'ambito di indagini che si prevede di avviare negli esercizi finanziari 2015 e 2016, finalizzate a definire le caratteristiche qualitative e quantitative di eventuali contaminazioni e, in caso affermativo, accertarne la natura e l'origine.
  Per tali attività è stato stimato un fabbisogno finanziario dedicato pari ad almeno 10 milioni di euro.
  Per le attività di caratterizzazione del poligono di Punta della Contessa, è stato ipotizzato lo stanziamento di 0,5 milioni di euro nell'esercizio finanziario 2015.
  Per il coordinamento comune delle attività militari presenti nel territorio della regione Puglia, è noto che lo scorso 19 giugno è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra la Difesa e la regione Puglia, al termine dei lavori della «2a Conferenza nazionale sulle servitù militari».

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   RIZZO, ARTINI, PAOLO BERNINI, TOFALO, FRUSONE, CORDA e BASILIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la 1° squadriglia pattugliatori (COMSQUAPAT UNO) ha sede presso la base navale di Augusta;
   la squadriglia dipende dal comando forze da pattugliamento per la sorveglianza e la difesa costiera (COMFORPAT) assieme alla 2° squadriglia (COMSQUAPAT DUE) e alla squadriglia corvette (COMSQUACORV), tutte aventi, sede presso la medesima base navale;
   compiti del comando sono quelli di presenza e sorveglianza costiera, vigilanza pesca, controllo dei flussi migratori nonché supporto alla lotta contro l'inquinamento marino;
   risulta agli interroganti che sarebbe in avanzata fase di definizione un provvedimento di trasferimento di COMSQUAPAT UNO, comprendente quattro unità della classe costellazioni – «Cassiopea», «Libra», «Spica» e «Vega» – con i relativi equipaggi nella sede di Messina;
   sino all'inizio degli anni Duemila fa questi pattugliatori erano già stati di base a Messina, ma successivamente trasferiti ad Augusta per ragioni di costo e di funzionalità;
   recentemente la sede di Messina ha visto ulteriormente diminuita la presenza della Marina militare, tra l'altro con la cessione dell'Arsenale militare all'Agenzia industrie difesa, e attualmente vi hanno sede soltanto alcuni enti minori;
   parte delle infrastrutture già utilizzate dalla Marina militare del porto messinese sono nel frattempo state cedute in uso al Corpo delle capitanerie di porto/Guardia Costiera che, anche a seguito di estesi lavori infrastrutturali a suo carico, le utilizza come sede del reparto supporto navale e della 6° squadriglia GC che raggruppa gran parte delle unità maggiori attualmente in servizio, in particolare sei navi della classe 900;
   il trasferimento delle navi da Augusta a Messina comporterebbe evidentemente dei costi enormi, considerando che si tratterebbe di creare nuove infrastrutture, e spostare le oltre 240 persone di equipaggio con le relative famiglie, con evidenti costi diretti (indennità di trasferimento, spese di traslochi) e sociali non indifferenti, senza tener conto del fatto che la Guardia costiera dovrebbe a sua volta riorganizzare la presenza in quanto le infrastrutture sono ancora formalmente di proprietà della Marina militare;
   un eventuale trasferimento, inoltre, contrasterebbe con l'asserita volontà di ridurre per ragioni di efficienza e di economia a tre sole le basi della Marina militare in esecuzione anche del disposto della legge 244 del 2012 e dei discendenti decreti legislativi 7 del 2014 e 8 del 2014 –:
   se trovi conferma che lo Stato maggiore della Marina stia considerando il trasferimento dal porto di Augusta a quello di Messina di una squadriglia pattugliatori e delle relative unità navali dipendenti;
   quali siano, nel caso, le ragioni operative e logistiche che suggeriscono tale trasferimento, attesi gli altissimi costi che ciò comporterebbe;
   quali siano i costi ipotizzati;
   se si siano considerate le conseguenze che tale eventuale trasferimento avrebbe per i reparti del Corpo delle capitanerie di porto/guardia costiera operanti da Messina sulle strutture a suo tempo abbandonate dalla Marina militare per concentrarle ad Augusta. (4-05135)

  Risposta. — I compiti del Comando forze da pattugliamento per la sorveglianza e la difesa costiera sono di presenza e sorveglianza nelle aree di interesse nazionale, pattugliamento e difesa costiera e, come le altre unità della squadra citate nell'atto, di sicurezza marittima in generale.
  In tale ambito alcune di esse, ad esempio, sono state efficacemente impiegate in oceano indiano.
  Ciò posto, le basi di Augusta e Messina costituiscono un polo operativo e tecnico-logistico di notevole importanza, in ragione della valenza strategica che la Sicilia riveste nel Mediterraneo.
  L'impiego della base militare di Messina, in particolare, è coerente con la disponibilità
in loco di idonee infrastrutture e col rilancio del locale arsenale militare operato dall'Agenzia industrie difesa. Il prezioso supporto delle maestranze dell'arsenale di Messina, in grado di assicurare la necessaria assistenza e manutenzione delle navi militari e di quelle civili che ne faranno richiesta, consentirà, in modo complementare alla base di Augusta, un miglioramento del supporto manutentivo e logistico alle unità che gravitano nell'area.
  Pertanto il costo del trasferimento delle unità a Messina, limitato alle spese per il personale in quanto, come detto, le strutture portuali già esistono, risulta ampiamente giustificato dal rinnovato ricorso alle attività manutentive e logistiche offerte dall'arsenale militare.
  Con riferimento alla presenza di unità della Capitaneria di porto a Messina, premesso l'interesse primario della Marina militare affinché il proprio Corpo delle capitanerie consegua la massima efficacia d'impiego non solo nella base di Messina ma su tutto il territorio nazionale, si rappresenta che, quando la base in argomento ha ospitato unità della Marina unitamente a quelle della Capitaneria di porto, non si sono mai registrate problematiche di carattere logistico-operative.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   i volontari in ferma breve (VFB) erano delle figure di volontari reclutati per ferme di tre anni, accertata la loro idoneità fisico-psico-attitudinale attraverso un bando di concorso e espletato un periodo di formazione;
   lo Stato, in numerose campagne informative, ha assicurato l'intenzione di istituire un'arma specializzata e più professionale attraverso l'individuazione di un contingente di volontari ai quali garantire, al termine dei tre anni, il transito nel servizio permanente effettivo o comunque una rafferma di ulteriori due anni nei quali poter effettuare altri concorsi per il servizio permanente;
   la figura dei volontari in ferma breve è stata, oggi, superata da quella dei volontari in ferma prefissata annuale (VFP1) o quadriennale (VFP4) ai quali sono riservati, sino al 2020, i concorsi per l'accesso alle carriere iniziali delle Forze di Polizia;
   all'interrogante risulta che a partire dall'11esimo corso VFB fino al 19esimo, la Marina militare e l'Esercito non siano proceduti con il transito dei VFB in servizio permanente effettivo o con il rinnovo agli stessi di ulteriori due anni di rafferma, preferendo l'assunzione di nuovo personale proveniente dai nuovi profili;
   i volontari in ferma breve dopo essere stati formati sono stati, quindi, congedati dall'Esercito e dalla Marina militare;
   in una risposta del sottosegretario Alfano in Commissione, si è ricordato come le forze di polizia fossero state autorizzate ad assumere negli anni 2010, 2011 e 2012 personale proveniente dai volontari in ferma breve in servizio o in congedo;
   da una verifica sui bandi di concorso svolti dal 2010 ad oggi dalle amministrazioni della Polizia di Stato, polizia penitenziaria, guardia di finanza, Arma dei carabinieri e Corpo forestale dello Stato, si evince che nessuno di questi sia stato riservato anche ai volontari in ferma breve –:
   posto che vanno tutelati i vincitori dei concorsi già espletati e non bisogna avviare guerre tra giovani che parimenti vantano delle aspettative nei confronti delle amministrazioni, come il Governo intenda tutelare i volontari in ferma breve che si ritrovano oggi ad essere congedati e senza possibilità di partecipare ai concorsi per l'accesso alle carriere iniziali delle Forze di Polizia. (4-00874)

  Risposta. — I concorsi per l'accesso alle carriere iniziali della Guardia di finanza o di altre Forze del comparto difesa-sicurezza sono riservati, secondo misure percentuali stabilite per norma, ai volontari in ferma prefissata di un anno.
  La
ratio di tale disposizione era quella di incentivare le adesioni al reclutamento, in modo da evitare, nei primi anni di introduzione delle nuove figure dei volontari in ferma prefissata di un anno e quadriennale, rischiose carenze negli organici della truppa, dopo l'avvenuta sospensione del servizio obbligatorio di leva.
  Tuttavia, il quadro normativo che ha disciplinato la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, ha inteso prevedere una serie di opportunità a favore dei volontari in ferma meritevoli.
  In proposito, per i volontari in ferma breve (VFB), da un lato sono state introdotte riserve di posti nei concorsi relativi all'accesso nelle carriere iniziali delle Forze di polizia, dall'altro è stata assicurata la possibilità di indire da parte delle Forze armate, concorsi straordinari per sopperire alle eventuali carenze organiche nei ruoli dei volontari in servizio permanente.
  Con riferimento al primo aspetto, l'articolo 2202 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recependo e attualizzando quanto già disposto dall'articolo 25, comma 5, della legge 226 del 2004, ha previsto l'indizione di concorsi riservati ai volontari delle Forze armate che hanno completato senza demerito la ferma triennale, per la copertura dei posti nelle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento militare, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2199 della medesima norma di legge.
  Nel contempo la Difesa, proprio nell'ottica di assicurare, per quanto possibile, la continuità occupazionale dei VFB, ha compiuto un notevole sforzo, facendo ricorso ai concorsi straordinari e rendendo possibile il transito nel servizio permanente di un numero consistente di VFB, anche congedati, benché idonei non vincitori delle Forze di polizia. Ne è stata una riprova tangibile l'ultimo concorso pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 68 del 26 agosto 2011, per il reclutamento straordinario di 987 unità nel ruolo dei VSP dell'Esercito, che ha fatto registrare un numero di 773 vincitori, senza idonei non vincitori.
  Per quanto riguarda, invece, le assunzioni nelle carriere iniziali delle Forze di polizia di cui al citato articolo 2, comma 209, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, si comunica che in esito ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri rispettivamente del 21 settembre 2010, del 18 ottobre 2011 e del 21 gennaio 2013, le Forze di polizia sono state autorizzate ad assumere, secondo le risorse disponibili, rispettivamente negli anni 2010, 2011 e 2012, personale proveniente dai volontari in ferma breve, in ferma prefissata e in rafferma delle Forze armate, in servizio o in congedo.
  A tal riguardo, si sottolinea come da tempo l'Amministrazione stia svolgendo una costante sensibilizzazione sulle attività di reclutamento delle altre Amministrazioni, per garantire adeguati sbocchi occupazionali in favore del personale volontario interessato.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   SCAGLIUSI, L'ABBATE, MICILLO, GRANDE, SIBILIA e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la sede dell'istituto Italiano di cultura di Los Angeles è da più di dieci anni sede dirigenziale;
   la sede dell'istituto italiano di cultura di Los Angeles è da dicembre 2013 priva di direttore titolare come indicato sul sito ufficiale dell'Istituto (versione inglese). Infatti al momento è presente un «acting director», cioè direttore facente funzioni (ad interim), dopo il pensionamento del direttore precedente;
   da una lettera aperta del FILP, si apprende che il Ministero degli affari esteri (MAE) non intende inviare un dirigente a Los Angeles, sede dirigenziale fino a ieri;
   nella sede centrale della Farnesina sono in servizio cinque dirigenti della promozione culturale che a norma della legge 401 del 1990 dovrebbero essere inviati all'estero;
   la sede di Los Angeles costituisce un punto fermo per il made in Italy e per l'industria del cinema italiano attualmente in pieno risveglio come testimoniato dal recente conseguimento del premio Oscar –:
   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa in merito alla mancata esigenza di un dirigente nell'Istituto italiano di cultura a Los Angeles, con il conseguente declassamento di una sede così prestigiosa;
   quali motivi avrebbero spinto la direzione generale competente ad adottare soluzioni organizzative che, agli interroganti appaiono essere «al ribasso» e contro quelli che sembrano ovvi interessi di immagine del Paese. (4-04501)

  Risposta. — Come noto, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) sta procedendo, in attuazione delle disposizioni di legge, ad un'articolata riorganizzazione della rete diplomatico-consolare e culturale, un argomento che ha impegnato questo Governo – sin dal suo insediamento – e l'intera amministrazione, in adempimento di precisi obblighi di legge. La razionalizzazione della rete estera della Farnesina costituisce infatti innanzitutto un preciso obbligo di legge nel quadro della revisione di spesa, da ultimo previsto dal decreto-legge n. 95 del 2012, al quale il Maeci – come è ovvio – non può sottrarsi.
  All'interno di tale esercizio, finalizzato anche alla ridefinizione della rete degli istituti italiani di cultura, occorre tener conto dell'esigenza di adeguare la rete ai mutati scenari internazionali e garantire una più efficiente allocazione delle risorse, nonché della necessità di favorire un rafforzamento in aree emergenti e di nuova priorità strategica, per rendere la rete sempre più uno strumento efficace al servizio della crescita e della competitività del Paese.
  La decisione di riqualificare la sede di Los Angeles, ora non più dirigenziale, presa dopo un'attenta valutazione delle diverse implicazioni, si colloca pertanto in tale contesto.
  È opportuno ricordare che gli Stati Uniti restano comunque, con quattro istituti di cultura ed una sezione, uno tra i paesi con la più rilevante offerta culturale italiana al mondo. Nel solo stato della California poi, la presenza di ben due istituti di cultura (Los Angeles e San Francisco), ci consente di affermare che nella strategica area della costa occidentale degli Stati Uniti l'Italia mantiene praticamente inalterata la sua proposta culturale.
  La riqualificazione della sede di Los Angeles, non più affidata ad un dirigente di ruolo, non comporterà quindi alcuna riduzione dell'impegno del nostro Paese nella promozione della lingua e della cultura italiana nell'area e nella programmazione culturale dell'istituto. A seguito della riqualificazione, l'amministrazione ha provveduto, in base alle normali procedure interne, ad assegnare il posto di Direttore ad un funzionario dell'area della promozione culturale, che assumerà le sue funzioni tra breve.
  Allo stesso tempo si è trattato di provvedimento necessario al fine di riqualificare come dirigenziale la sede di Città del Messico, in ragione dell'accresciuto ruolo rivestito da tale sede in termini di promozione della presenza culturale ed economica in America Latina.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 46 del 18 ottobre 2013 il comune di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, ha inoltrato al Ministero dell'interno domanda di partecipazione al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, costituito dalla rete degli enti locali che, per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo;
   molte delle organizzazioni inserite nella richiesta formulata dal comune a quanto consta all'interrogante non avrebbero sede legale o strutture nel territorio di Castellammare di Stabia, pur essendo nel terzo settore la territorialità un elemento indispensabile e di garanzia;
   la quasi totalità delle realtà del terzo settore coinvolte non sembrano avere i requisiti di affidabilità ed esperienza pluriennale nel campo dell'immigrazione previsti dal bando;
   in particolare, la cooperativa Santa Croce, che ha sede nell'istituto scolastico Santa Croce, risulta legata a Francesco Paolo Di Martino, conduttore del fitto e titolare della scuola paritaria;
   lo stesso Di Martino è stato coinvolto nello scandalo «Sistri» sulla tracciabilità dei rifiuti, ed è stato indagato dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli per reati come truffa ed emissione di false fatturazioni;
   alcune delle associazioni partner del progetto, quali ad esempio «La Casa della Pace e della Nonviolenza» e la «Vesuvio Free Minds», non sembrerebbero svolgere attualmente attività sul territorio di Castellammare di Stabia;
   la necessaria quota di compartecipazione del comune di Castellammare di Stabia, per il triennio oggetto del bando, a giudizio degli interroganti, non sembra nella delibera citata trovare adeguata copertura, in quanto non si rileva su quale capitolo del bilancio 2014, 2015 e 2016 venga imputata la relativa spesa –:
   se, alla luce dei fatti esposti in premessa, non si ritenga opportuno un esame attento della documentazione inviata, così da superare la poca trasparenza dell'atto in questione e verificarne i necessari requisiti. (4-02638)

  Risposta. — Il comune di Castellammare di Stabia ha inoltrato la domanda di contributo per l'accesso al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (Fnpsa), per il triennio 2014-2016, entro il termine fissato dal decreto del Ministro dell'interno del 30 luglio 2013.
  Come richiesto espressamente da tale decreto, a pena di esclusione, la domanda era corredata da una dichiarazione, firmata dal sindaco, circa la pluriennale e consecutiva esperienza, da parte degli enti attuatori di cui il suddetto comune intendeva avvalersi, nella presa in carico di richiedenti o titolari di protezione internazionale, comprovata da attività e servizi in essere al momento della presentazione della proposta progettuale.
  Il requisito della territorialità dell'ente attuatore, menzionato nell'interrogazione, non era previsto dal predetto decreto.
  Il comune di Castellammare di Stabia aveva allegato alla domanda di contributo anche copia della delibera della giunta comunale che affidava il servizio agli enti attuatori indicati nella domanda stessa e individuava la quota di cofinanziamento a carico del comune.
  Dopo un attento esame della documentazione ricevuta, la Commissione di valutazione istituita ai fini della selezione delle domande ha richiesto delle integrazioni documentali e, in seguito alla loro mancata produzione, ha escluso il comune di Castellammare di Stabia dalla graduatoria.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SCOTTO e DURANTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il 7 marzo 2012 si sarebbe verificato, presso il tribunale militare di Verona, un comportamento palesemente discriminatorio nei confronti di un dipendente civile del Ministero della difesa;
   tale dipendente avrebbe ricevuto un richiamo perché la sua scelta di portare i capelli lunghi e di dotarsi di un abbigliamento informale non era consono all'ufficialità dell'ente in questione;
   una nota del 9 maggio 2012 del presidente del tribunale militare di Verona afferma che non risultano esistere ordini di servizio e/o direttive scritte dell'ente in tal senso;
   il dipendente del Ministero in questione ha deciso di non sottostare all'ordine, ritenendolo illegittimo;
   successivamente egli è stato fatto oggetto di una serie di azioni disciplinari, tra cui la privazione di un'autonoma postazione di lavoro per oltre un mese;
   si è trattato, a quanto pare, di presunto mobbing, finalizzato al pieno e totale isolamento del dipendente;
   tutto ciò ha provocato il manifestarsi di patologie psicologiche nel soggetto, tali da costringerlo a rassegnare le dimissioni per giusta causa, con le conseguenti azioni risarcitorie nei confronti dell'ente tipiche di questi casi;
   si veda in merito la motivazione della nota di dimissioni per causa di servizio del 3 febbraio 2013, nonché l’excursus degli eventi quali ripercorsi in dettaglio nelle istanze del dipendente del 3, 13 e 23 febbraio 2013 alla medesima amministrazione ai fini dell'attivazione del procedimento per il riconoscimento di infermità per causa di servizio, dichiarato inammissibile con nota del 3 aprile 2013 per sopravvenuta abrogazione dell'istituto;
   sull'argomento è già stata presentata il 26 settembre 2013 interrogazione a risposta scritta alla Commissione da un eurodeputato italiano del gruppo ALDE, l'onorevole Andrea Zanoni;
   a tale interrogazione rispose il 21 novembre 2013 Viviane Reding a nome della Commissione, spiegando che la questione se sia legittimo da parte di un datore di lavoro pubblico discriminare o molestare un dipendente sulla base del suo abbigliamento e della lunghezza dei capelli, come pure del suo aspetto generale, deve essere trattata nell'ambito del diritto nazionale –:
   quali iniziative abbiano intenzione di adottare, per quanto di competenza, per far sì che non verifichino più casi di discriminazione di questo tipo presso i tribunali militari italiani. (4-05467)

  Risposta. — Non risulta che il dipendente civile menzionato nell'interrogazione in esame sia mai stato sottoposto, durante il servizio svolto presso il tribunale militare di Verona, a trattamenti discriminatori per ragioni attinenti all'abbigliamento o al taglio di capelli.
  Tanto si evince da quanto rappresentato dalla corte militare di appello che, a seguito della disamina di esaurienti, motivate e documentate relazioni di servizio trasmesse dal suindicato tribunale, ha ritenuto di poter constatare l'insussistenza di comportamenti vessatori o l'attuazione di condotte persecutorie da parte dei dirigenti giudiziari e amministrativi nei confronti dell'interessato.
  La medesima corte militare ha anche constatato che le uniche iniziative adottate nei confronti del personale in servizio sono state sempre fondate su circostanze attinenti alle modalità di adempimento delle dovute prestazioni lavorative e al rispetto del dovere di presenza in ufficio.
  Con riferimento, poi, all'asserita «privazione di un'autonoma postazione di lavoro per oltre un mese», risulta agli atti che, alla sua presentazione in servizio presso il tribunale militare di Verona, in assenza in quel momento di diversa possibilità di materiale sistemazione, all'interessato fu assegnata provvisoriamente una postazione di lavoro, nell'attesa dell'imminente collocamento a riposo di altro dipendente più anziano.
  Per ciò che concerne le azioni disciplinari, di cui pure è cenno nell'interrogazione in esame, si evidenzia che le stesse traggono origine da gravi comportamenti del dipendente, al vaglio anche delle competenti autorità giudiziarie penali.
  L'acquisizione di compiuti ed esaustivi elementi istruttori sulle circostanze evidenziate nell'atto induce a ritenere non percorribile l'adozione di iniziative come quelle suggerite dall'interrogante.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   SCOTTO, RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fin dagli anni sessanta in Italia la consegna dell'energia elettrica è stata effettuata in regime di monopolio pubblico. La distribuzione dell'energia era, infatti, gestita solo da Enel cui il consumatore faceva riferimento per qualsiasi ambito riguardasse il servizio di erogazione di energia elettrica (contratti di fornitura, servizi commerciali, ecc.). Negli anni novanta è avvenuta una progressiva liberalizzazione del mercato a più gestori, con il decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999, noto come decreto Bersani, e il successivo decreto-legge n. 73 del 2007, basati entrambi sulle direttive del Parlamento dell'Unione europea sull'argomento (direttiva UE 96/92/CE). Dal 1° luglio 2007 la posizione dell'Italia al riguardo si è allineata al resto dell'Unione europea, completando la liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica, a sostituzione del sistema di monopolio. Da allora molteplici aziende, sia private che municipalizzate, producono energia in maniera autonoma o la acquistano da produttori e trasportatori, per poter erogare il servizio all'utente finale;
   nel mercato libero dell'energia, esiste un regime di concorrenza tra gli operatori regolato da obblighi a tutela del consumatore stabiliti dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG), che dovrebbe garantire una maggiore efficienza del mercato e assicurare al consumatore finale libertà di scelta tra una pluralità di fornitori;
   acquisto, vendita, produzione e importazione dell'energia elettrica sono resi liberi grazie ai cambiamenti legislativi che si sono susseguiti in questi anni. Il servizio di trasporto e distribuzione dell'elettricità, invece, resa in gestione a società (regolate da tariffe fissate dall'Autorità AEEG) dette soggetti concessionari, in regime detto di monopolio naturale o di concessione, a causa della difficoltà tecnica ed onerosità della riproduzione delle infrastrutture idonee a tali attività;
   il consumatore finale, quindi, interagisce e corrisponde la retribuzione per il servizio completo direttamente ai fornitori, i quali si occupano di gestire tutto il processo di trasporto, distribuzione e fornitura di energia elettrica;
   ovviamente, le attività di distribuzione e trasporto non sono oggetto di negoziazione tra venditore e cliente, ma hanno tariffe stabilite per legge e uguali per tutti i fornitori, in quanto regolamentante dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
   la «contrattazione» tra fornitore e utente finale avviene per il prezzo di acquisto dell'energia, che varia a seconda del fornitore scelto e delle condizioni contrattuali che il consumatore stipula con esso;
   è, dunque, in questa parte del processo che è intervenuta la liberalizzazione del mercato, permettendo al fornitore di stabilire le proprie tariffe ed al cliente di poter scegliere l'offerta più adatta;
   in definitiva, il mercato libero in linea di principio, dovrebbe permette al consumatore domestico di poter scegliere il fornitore dal quale acquistare energia elettrica alle condizioni contrattuali più favorevoli e convenienti rispetto alle proprie esigenze, in maniera totalmente autonoma e consapevole;
   pur tuttavia, si deve rilevare che le tariffe del mercato libero, per quanto risulta agli interroganti, non sempre risultano convenienti nei confronti dei consumatori, perché non sempre la riduzione di spesa promessa in fase di contrattazione, successivamente, risulta in diminuzione. I risparmi massimi ottenibili rispetto al regime di maggior tutela, infatti, anziché aumentare, negli ultimi anni sono calati e, in media, chi è passato al mercato libero paga l'energia il 12,8 per cento di più di chi è rimasto o è tornato sotto la tutela dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
   una eccellente fotografia di tale situazione viene fornita da una ricerca presentata dalla Federconsumatori nei mesi scorsi. L'associazione, in particolare, ha comparato, per tre profili di consumo diversi – 1.800, 2.700 e 3.500 kWh annui – le offerte di 14 venditori diversi, usando il comparatore «Trova Offerte» dell'AEEG o, per le offerte non inserite sul portale dell'Autorità, consultando i siti dei venditori;
   si tratta questa di una indagine che Federconsumatori effettua con le stesse modalità da anni e i cui risultati parlano chiaro: specie per le offerte variabili le possibilità di risparmio offerte dal mercato libero sono diminuite significativamente;
   prendendo il profilo di consumo da 2700 kWh anni, si vede ad esempio che nel 2010 la tariffa del mercato libero più conveniente permetteva di risparmiare 47 euro l'anno, mentre in questa ultima rilevazione il risparmio si riduce poco meno di 18 euro. Ragionando in percentuali, per le offerte variabili il risparmio possibile è letteralmente dimezzato: dal 10,70 per cento del 2010 si è arrivati al 5,16 per cento rilevato a febbraio 2014;
   bisogna, poi, evidenziare, al netto di quanto rilevato da Federconsumatori, che secondo le 18 associazioni di consumatori che hanno dato vita al progetto «Energia: diritti a viva voce», dal settembre 2011, nei 31 sportelli creati sul territorio nazionale per ascoltare domande e lamentele degli utenti, e presso il numero verde attivato (800821212), sono arrivate 33.000 segnalazioni di cui il 54,61 per cento relative al mercato dell'energia elettrica, il 32,14 per cento quello del gas e il 13,25 per cento entrambi i settori. Di tutte le segnalazioni pervenute, poi, la stragrande maggioranza riguarda il mercato libero (68,15 per cento);
   a fronte di un aumento delle offerte e delle opportunità di scelta riservato ai consumatori aumentano disservizi, errori e truffe, dal momento che le segnalazioni più frequenti (45,53 per cento) riguardano i problemi di fatturazione, ovvero ritardi nell'invio delle bollette, consumi che non hanno alcun reale corrispettivo nella realtà, prezzi più alti di quelli concordati e conguagli astronomici;
   inoltre, secondo l'Autorità per l'energia elettrica e il gas che ha destinato al progetto «Energia: diritti a viva voce» oltre 4 milioni di euro, ricavati dalle sanzioni comminate alle aziende che hanno violato i diritti del consumatore, il mercato libero è ancora foriero di una gran quantità di problemi a 7 anni dalla sua entrata in vigore perché si tratta di un mercato molto rigido, dove la metà dei costi in bolletta sono dovuti a costi fissi e tassazioni, quindi il margine su cui è possibile intervenire con offerte tariffarie diverse è ridotto;
   da ultimo, si segnala come anche in Parlamento giungano segnalazioni da parte di utenti che – passati dal mercato tutelato a quello libero – hanno evidenziato come i contratti vengano stipulati telefonicamente e registrati soltanto nella parte relativa alla conferma, ovvero la «prova» relativa alla conclusione del contratto, mentre non esiste prova della discussione, della presentazione, delle contestazioni, dei dubbi, delle domande, e di quanto, anche, in modo subdolo, in alcuni casi, i promotori promettono al cliente per convincerlo della convenienza della proposta;
   ne consegue il totale venir meno di qualsiasi possibilità per gli utenti finali di dimostrare le modalità attraverso le quali si è giunti alla conclusione di un contratto e se vi sia stata una asimmetria informativa tale da aver tratto in inganno quella che con tutta evidenza appare la parte più debole del rapporto contrattuale, ovverosia il consumatore –:
   quali iniziative, anche normative, si intendano assumere alla luce di quanto descritto in premessa;
   quali strumenti il Governo, per quanto di competenza e ferme restando le competenze dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico, intenda utilizzare per impedire che i consumatori vengano tratti in inganno nel momento in cui valutano le offerte proposte per il passaggio al mercato libero dell'energia, così da permettere ai cittadini di poter scegliere il fornitore dal quale acquistare energia elettrica alle condizioni contrattuali più favorevoli e convenienti rispetto alle proprie esigenze, in maniera pienamente e totalmente autonoma e consapevole. (4-07117)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresentano i seguenti elementi informativi.
  In base ad uno studio di Nomisma energia del maggio 2014, emerge che oggi un cliente elettrico residenziale su tre è sul mercato libero. La quota di clienti che risulta aver cambiato fornitore (
switching) è da stimarsi tra il 6 e l'11 per cento (a seconda che si tenga o meno conto dei passaggi tra società facenti parte dello stesso gruppo), risultato che testimonia l'esistenza di una effettiva competizione. Questi fattori, insieme con altri (presenza di tariffe tutelate e, conseguentemente, la quota di consumatori legati a tali tariffe), sono alla base di un indice di apertura del mercato retail dell'elettricità che porrebbe l'Italia in buona posizione in ambito europeo anche da questo punto di vista.
  Lo studio evidenzia, inoltre, come nella differenziazione delle offerte che si sta affermando nel nostro Paese, la maggior parte di esse include un'ampia gamma di servizi distinti dalle forniture vere e proprie (assicurazioni, energia da fonti rinnovabili, consulenza e prodotti per il risparmio energetico, assistenza guasti agli impianti domestici, programmi di raccolta punti, sconti e vantaggi presso
partner selezionati eccetera) il cui beneficio andrebbe ricompreso nella stima della convenienza dell'offerta stessa.
  Ciò premesso, come evidenziato nell'interrogazione, l'offerta è contendibile per quanto riguarda il servizio di vendita dell'energia e non anche per ciò che riguarda i cosiddetti «servizi di rete», trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica, svolti in regime di concessione e regolati dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (di seguito Autorità).
  Alla luce di quanto sopra, gli esercenti la vendita competono tra di loro rispetto al prezzo offerto per la sola componente energia, mentre i servizi di rete sono soggetti alla regolazione tariffaria dell'Autorità.
  Nelle bollette elettriche, oltre alla componente «energia» e alla componente «servizi di rete», sono presenti gli «oneri di sistema», che sono costi fissi che hanno un'elevata incidenza sul costo totale della bolletta. Naturalmente, quest'ultimi sono definiti dal regolatore e, al pari dei servizi di rete, non sono oggetto della negoziazione di mercato.
  Con riferimento all'affermazione secondo cui i prezzi del mercato libero sarebbero meno convenienti rispetto alla tariffa praticata in regime di «maggior tutela», si condivide quanto espresso nell'atto in questione, circa una ancora insufficiente leggibilità della proposta commerciale e di una difficoltà del cliente a scegliere l'offerta più conveniente per il proprio profilo di consumo.
  È anche stata evidenziata da varie ricerche la scarsa appetibilità delle offerte sul mercato libero soprattutto per le piccole e medie imprese, tale da far ritenere migliore in alcuni casi, la condizione «di maggior tutela».
  Il problema tuttavia non è il mercato liberalizzato, ma il livello insufficiente di chiarezza, informazione e consapevolezza di chi sceglie e di concorrenza dell'offerta. Nonostante molti strumenti messi in atto, rimangono ambiti certamente migliorabili su cui occorre agire con maggior decisione nei prossimi mesi, anche modificando in parte la struttura organizzativa attuale.
  Un esempio è dato dall'obbligatorietà delle tariffe biorarie a tutti i clienti domestici dal 1o gennaio 2012, nata per favorire i consumatori ma di fatto convenienti solo in pochi casi. L'evoluzione della domanda e dell'offerta e, in particolare, la crescente penetrazione della generazione da fonti rinnovabili, hanno rapidamente modificato i valori che i prezzi di mercato assumono nelle diverse ore della giornata rispetto all'andamento storicamente rilevato, determinando un forte avvicinamento dei prezzi medi delle suddette fasce.
  Alla luce delle sopradescritte mutazioni intervenute nell'effettivo andamento orario dei prezzi dell'energia elettrica, attraverso il decreto-legge n. 145 del 2013 (articolo 1, comma 1) è stata disposta la revisione dei criteri di definizione del prezzo di riferimento dell'energia elettrica per i clienti non riforniti sul mercato libero.
  Si è quindi in attesa che l'Autorità per l'energia dia puntuale attuazione alla legge, al fine di fornire ai clienti i corretti segnali di prezzo.
  Per quanto riguarda i comportamenti scorretti evidenziati dall'interrogante, infine, si deve ricordare che nei mesi scorsi è entrato in vigore il decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21, che ha recepito la direttiva europea sui diritti dei consumatori (83/2011/UE), integrando e modificando il Codice del consumo (decreto legislativo n. 206 del 2005). Le nuove norme contengono già alcuni importanti elementi per il rafforzamento dei diritti dei consumatori e l'effettività della loro tutela per quel che riguarda i rapporti contrattuali relative alla fornitura di energia elettrica e tra questi:
   l'espressa previsione che (nuovo articolo 46 del Codice del consumo) «Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo si applicano, a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore, inclusi i contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di prestatori pubblici, nella misura in cui detti prodotti di base sono forniti su base contrattuale.»;
   l'esplicita indicazione di dettaglio delle informazioni precontrattuali per il consumatore e diritto di recesso nei contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali (cfr. nuovo articolo 49 del codice del consumo);
   dal punto di vista della tutela dei diritti sono state concentrate le competenze presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato relativamente all'intervento e all'irrogazione di sanzioni anche nei casi di settori regolati, consentendo sia l'ipotesi di sanzioni nel caso di alcune violazioni degli obblighi di informazione, sia nel caso di pratiche commerciali sleali, previo parere dell'autorità di regolazione competente (nuovi (articoli 27 e 66 Codice consumo). A tal proposito l'autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni e l'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico hanno siglato il 29 ottobre 2014 un protocollo di intesa con particolare riferimento alle pratiche commerciali scorrette nei settori regolati individuando strumenti, procedure e termini per assicurare un efficace coordinamento tra le due Autorità e dare puntuale e concreta attuazione alle novità in tema di tutela dei consumatori introdotte dal decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21.
  Infine, il Governo ha promosso la creazione del Sistema informativo integrato (Sii) presso l'acquirente unico con la legge n. 129 del 13 agosto 2010, con l'obiettivo di creare una base dati per gestire i flussi informativi relativi ai mercati dell'energia elettrica e del gas. Recentemente, attraverso il decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, di recepimento della direttiva europea n. 27 del 2012, lo stesso ha introdotto norme affinché le informazioni sulla fatturazione siano più trasparenti, precise e fondate sul consumo reale e siano messe a disposizione dei clienti finali informazioni sui costi energetici che siano esaurienti e in formato comprensibile, nonché tali da consentire ai clienti finali un raffronto con offerte comparabili.
  L'Autorità, da parte sua, attraverso la deliberazione n. 501/2014/R/com (bolletta 2.0), ha definito i criteri per la trasparenza delle bollette per i consumi di elettricità e/o di gas distribuito per mezzo di reti urbane. In tale provvedimento sono disciplinate, altresì, le modalità di ricevimento dei documenti di fatturazione, la struttura dei documenti, la semplificazione ed eliminazione di informazioni che erano presenti nei precedenti formati della bolletta e la comparazione delle offerte commerciali.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SCAGLIUSI, SPADONI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   su ilfattoquotidiano.it del 28 novembre 2014 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Console fascio-rock, reintegro da 130 mila euro. Vattani è coordinatore tra Ue e Asia» che racconta il reintegro di Mario Vattani, dopo la sospensione comminata nel 2012, mentre era console a Osaka, per la sua esibizione con un gruppo rock neofascista durante una rassegna di Casa Pound del 2011;
   a seguito di quell'episodio l'allora Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi, richiamò a Roma e sospese per quattro mesi il citato Vattani che, tuttavia, tornò quasi subito a svolgere la sua funzione in Giappone, avendo vinto il ricorso al Tar;
   successivamente, una sentenza del Consiglio di Stato accolse il contro-ricorso del Ministero degli affari esteri e Vattani cessò dal suo incarico;
   con un ordine di servizio datato 26 novembre 2014, il direttore generale per le risorse del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Elisabetta Belloni, ha assegnato Vattani al settore «Mondializzazione e questioni globali» con l'incarico di coordinatore per i rapporti tra l'Unione europea e i Paesi dell'Asia Pacifico;
   Vattani, per questo incarico, percepirà la cifra di 130 mila euro l'anno lordi –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga che sussistano a carico di Mario Vattani cause di incompatibilità tra la rappresentanza dell'Italia e la sua adesione a una politica di estrema destra o, quanto meno, motivi di inopportunità nell'assegnazione del nuovo incarico e, in caso affermativo, quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per risolvere il caso. (4-07233)

  Risposta. — A seguito della vicenda ricordata dall'interrogante, Mario Vattani è stato richiamato dal Consolato generale ad Osaka e gli è stata irrogata una sanzione disciplinare nel 2012.
  Dopo averla scontata e aver effettuato una missione di studio senza oneri per l'Amministrazione, egli è rientrato presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale il 1o settembre 2014 e dal 22 ottobre svolge l'incarico di Coordinatore per i rapporti tra l'Unione europea e i Paesi dell'Asia Pacifico sia sul piano bilaterale che multilaterale, alle dirette dipendenze del direttore generale per la mondializzazione e le questioni globali.
  A tutti i funzionari in servizio presso la Sede centrale è attribuito un incarico corrispondente al proprio grado, data, tra l'altro, l'esigenza funzionale e di legge dell'Amministrazione di allocare in maniera efficiente le risorse umane a disposizione.
  Il ruolo di Coordinatore per i rapporti tra l'Unione europea e i Paesi dell'Asia Pacifico è pienamente in linea con il percorso professionale e le esperienze formative maturate da Mario Vattani. Lo stipendio che percepisce è identico a quello dei suoi pari grado alle dirette dipendenze di un direttore generale del Ministero.
  In definitiva, l'assegnazione del nuovo incarico al funzionario è un atto dovuto e risponde ad esigenze operative dell'Amministrazione, che lo aveva a suo tempo sanzionato, nelle modalità previste dalle norme, per i fatti evocati nell'interrogazione e che, una volta scontata la sanzione, se ne sta ora avvalendo nella maniera più funzionale.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   SPESSOTTO e FRUSONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 recante misure urgenti per la crescita del Paese, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha previsto all'articolo 24 un contributo sotto forma di credito di imposta, pari al 35 per cento, a vantaggio delle imprese per le nuove assunzioni ai profili altamente qualificati;
   in particolare, il contributo è concesso per le assunzioni a tempo indeterminato di personale in possesso di un dottorato di ricerca universitario, ovvero di personale in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico, impiegato in attività di ricerca e sviluppo;
   secondo quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 24, tale contributo per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati, è destinato a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali, dal settore economico in cui operano, nonché dal regime contabile adottato;
   il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ha emanato il decreto ministeriale 23 ottobre 2013 recante le «Disposizioni applicative necessarie a dare attuazione al contributo sotto forma di credito di imposta alle imprese, per l'assunzione a tempo indeterminato di personale impiegato in attività di Ricerca e Sviluppo»; tali disposizioni sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale del 21 gennaio 2014 e da tale data sono in vigore;
   l'articolo 3 del suddetto decreto interministeriale non definisce la procedura di richiesta dell'agevolazione fiscale alla quale sono tenute le imprese ma rinvia ad un successivo decreto direttoriale del Ministero dello sviluppo economico per la definizione dei contenuti della domanda di accesso all'agevolazione, nonché delle procedure per la presentazione delle istanze;
   al medesimo articolo, viene altresì prevista, per la gestione delle misure di agevolazione, una piattaforma informatica per la cui definizione il Ministero dello sviluppo economico assegnerà l'appalto sulla base di un'apposita procedura di gara pubblica;
   con decreto direttoriale da emanarsi sarà altresì determinato il contenuto minimo della certificazione contabile delle spese sostenute ed ammissibili al beneficio e l'eventuale ulteriore documentazione da allegare alla domanda, anche ai fini dei controlli –:
   se il Ministro interrogato possa illustrare i motivi che sottendono, a quasi due anni dall'emanazione del decreto sviluppo, alla mancata emanazione da parte del Ministero dello sviluppo economico del decreto direttoriale, di cui all'articolo 3 comma 3, del decreto ministeriale 23 ottobre 2013, che si rende necessario per la fruizione del beneficio disposto a favore delle imprese dal suddetto decreto e se non ritenga oltremodo necessario procedere, con l'urgenza che il caso richiede, alla sua emanazione;
   quale sia lo stadio di avanzamento della procedura di assegnazione, tramite gara pubblica, dell'appalto per la piattaforma economica, di cui all'articolo 3, comma 1 del decreto ministeriale 23 ottobre 2013. (4-04423)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in essere, concernente le misure di attuazione dell'articolo 24 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 «Misure urgenti per la crescita del Paese», che dispone la concessione di un credito d'imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati, si fa presente quanto segue.
  In data 28 luglio 2014 è stato effettivamente adottato il decreto direttoriale del Ministero dello sviluppo economico recante l'apertura dei termini, fissata al 15 settembre 2014, per la presentazione delle istanze di accesso al credito d'imposta istituito dal succitato articolo 24 (decreto-legge n. 83 del 2012), nella misura del 35 per cento con un limite massimo pari a 200.000,00 euro annui a impresa, del costo aziendale sostenuto per le assunzioni a tempo indeterminato di personale in possesso di dottorato di ricerca universitaria e personale in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico.
  Il predetto decreto è stato pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 184 del 9 agosto 2014.
  Nei primi venti giorni di apertura dello sportello (che rimarrà aperto fino al 31 dicembre 2014 per le assunzioni effettuate nel periodo giugno-dicembre 2012) risultano aver fruito delle agevolazioni n. 167 imprese. Le agevolazioni spettanti alle predette 167 imprese, a fronte dell'assunzione di 299 dipendenti, ammontano complessivamente ad euro 4.827.898,00, di cui euro 127.051,00 per
start-up innovative e incubatori d'impresa ed euro 115.782,00 per le imprese aventi sede nei territori colpiti dal sisma del maggio 2012 (ricadenti nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto).
  Lo sportello avrà successive date di apertura il 12 gennaio 2015 e 11 gennaio 2016 dedicate alle istanze relative alle assunzioni riferite rispettivamente agli anni 2013 e 2014.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   TOFALO, PETRAROLI, BENEDETTI, SPESSOTTO, SIBILIA, DE LORENZIS, SILVIA GIORDANO e BUSTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   durante una dimostrazione di protesta pacifica a causa di chi intendeva effettuare pericolose trivellazioni esplorative al largo delle isole di Lanzarote e Fuerteventura, Isole Canarie, una ragazza italiana di 21 anni, attivista di Greenpeace, è rimasta ferita a seguito dello speronamento da parte di un gommone della Marina Militare spagnola, riportando una frattura ed alcuni tagli;
   nei documenti video si vede chiaramente come la Marina Militare spagnola non assuma un comportamento di avvicinamento e di abbordaggio al gommone dei pacifici dimostranti di Greenpaece, ma un diverso comportamento –:
   se i Ministri siano al corrente della vicenda riportata dal comunicato stampa del sito di greenpeace;
   se i Ministri intendano chiedere conto dell'azione della Marina militare spagnola che ha causato feriti italiani. (4-06979)

  Risposta. — La vicenda che ha visto coinvolta una giovane attivista italiana di Greenpeace al largo delle isole Canarie è stata seguita sin dall'inizio con la massima attenzione dalla Farnesina, anche per il tramite dell'ambasciata a Madrid e del console onorario a Las Palmas.
  Nella mattina di sabato 15 novembre 2014 l'ambasciata è stata informata dell'incidente avvenuto tra l'imbarcazione Arctic Sunrise di
Greenpeace e una nave della Marina spagnola durante un'azione di protesta dell'organizzazione ambientalista contro le operazioni di trivellazione della compagnia spagnola Repsol. La nostra rappresentanza, appena appreso dell'accaduto, ha allertato il console onorario a Las Palmas, l'addetto militare a Madrid e i locali Ministeri degli esteri e dell'interno. Nel frattempo la giovane attivista, soccorsa da personale della Marina spagnola, veniva immediatamente trasportata in elicottero all'ospedale Doctor Negrin di Las Palmas de Gran Canaria dove veniva sottoposta ad un intervento chirurgico per la riduzione delle fratture riportate.
  La mattina di domenica 16 novembre, quando i medici lo hanno permesso, il nostro console onorario a Las Palmas si è recato in ospedale per fare visita alla connazionale. Questa è apparsa in buone condizioni e ha dichiarato di essere stata assistita con premura e gentilezza sia dal personale militare che l'ha trasportata in ospedale sia dal personale medico. La giovane ha inoltre comunicato di essersi messa in contatto con i propri familiari per rassicurarli sul suo stato di salute. Successivamente, la connazionale ha ricevuto anche una visita da parte del presidente del governo canarie, Paulmo Rivero Baute, e della consigliera della sanità, Brigida Mendoza Betancor, mentre il console onorario ha incontrato in ospedale i responsabili di
Greenpeace Spagna, che hanno ringraziato per l'assistenza offerta.
  Il lunedì 17 novembre l'ambasciata a Madrid ha inviato una nota verbale alle Autorità locali per chiedere informazioni ufficiali sulla dinamica dell'incidente. Nella tarda mattinata dello stesso giorno il console onorario si è recato nuovamente in ospedale per verificare le condizioni della connazionale. Quest'ultima ha quindi ricevuto, il 20 novembre, il consenso dei medici a lasciare la struttura ospedaliera ed è partita in aereo alla volta di Milano (ancora con l'assistenza dell'Ambasciata).
  Il ministro della difesa spagnolo Pedro Morenes, intervenendo in parlamento, ha difeso l'azione dell'esercito, affermando fra l'altro che esso «ha compiuto il proprio dovere» e ha agito «mediante l'uso proporzionato della forza». Secondo il Ministro Morenes, l'esercito stava eseguendo degli ordini in un quadro di assoluta legalità, svolgendo funzioni attribuitegli dalla legge e dalle convenzioni internazionali firmate dalla Spagna. L'incidente, ha aggiunto in altra sede, si è verificato dopo che le lance di
Greenpeace, ignorando le ripetute istruzioni della Marina spagnola, hanno tentato di avvicinarsi alla nave della Repsol. Il Ministro ha rilevato inoltre che è stato un militare spagnolo a recuperare prontamente l'attivista caduta in mare.
  Il presidente di
Greenpeaee Italia, Andrea Purgatori, ha espresso pubblicamente il proprio ringraziamento all'interrogante Ministro Gentiloni e alla Farnesina per essersi immediatamente attivati e per aver seguito la vicenda con attenzione ed efficacia.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale continuerà, per il tramite della nostra rete diplomatico-consolare, ad assicurare la tutela consolare necessaria a tutti i connazionali coinvolti in vicende analoghe, in conformità a quanto previsto dalla normativa italiana e dal diritto internazionale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, BALDASSARRE, ALBERTI, RIZZETTO e CHIMIENTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il patrimonio archeologico italiano risulta essere di enorme valore, sia sotto l'aspetto culturale ed identitario per i cittadini, sia sotto l'aspetto economico in considerazione dell'attrattiva turistica;
   Taranto, già capitale della Magna Grecia, risulta essere fra le città più ricche di patrimonio archeologico ma allo stesso tempo tra le più trascurate;
   il Museo nazionale della Magna Grecia di Taranto, al piano rialzato ospita esposizioni temporanee e convegni, al primo piano la sezione greco-romana inerente alla società tarantina e al secondo, da tempo non aperto al pubblico con conseguente danno economico non indifferente per l'amministrazione dei beni culturali, la sezione preistorica del paleolitico e dell'età del bronzo inerente all'intero territorio pugliese;
   sempre a Taranto, la Cripta del Redentore, sito archeologico fra i più importanti della Puglia con affreschi di inestimabile bellezza risalenti al X secolo d.C., dal 1979, dopo gli ultimi interventi di restauro degli ambienti interni ma non degli affreschi, vive in uno stato di abbandono;
   solo negli ultimi anni il comune di Taranto ha realizzato, con fondi comunali, un primo progetto per la sistemazione esclusivamente della parte esterna della Cripta del Redentore al fine di garantire l'allontanamento delle acque meteoriche dal piano stradale –:
   se il Ministro interrogato non sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro non ritenga, per quanto nelle sue possibilità, di considerare un progetto di stanziamento di risorse atte a salvaguardare i patrimoni sopra citati, ripristinando la parte da tempo ferma del Museo nazionale della Magna Grecia e provvedendo ad un pronto restauro degli affreschi e alla climatizzazione degli ambienti storici ed archeologici della Cripta del Redentore. (4-05789)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede se il Ministro non ritenga di considerare un progetto di stanziamento di risorse atte a salvaguardare patrimoni quali il Museo nazionale della Magna Grecia e la Cripta del Redentore, «ripristinando la parte da tempo ferma del Museo» e «provvedendo ad un pronto restauro degli affreschi e alla climatizzazione degli ambienti storici ed archeologici della Cripta».
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  Il Museo nazionale archeologico di Taranto, a seguito di interventi di ristrutturazione di carattere architettonico, impiantistico, museografico e museologico, attraverso finanziamenti successivi basati su un progetto unitario, è stato riaperto parzialmente al pubblico a dicembre del 2007. Nuove sezioni espositive sono state inaugurate nel dicembre del 2013, consentendo la fruizione, al primo piano, della documentazione relativa alla necropoli ellenistica (con i famosi «ori»), alla città romana e alla città tardoantica e altomedievale fino all'età bizantina.
  Attualmente sono in corso i lavori di completamento del secondo piano, che ospiterà i reperti relativi al popolamento del territorio tarantino in età pre e protostorica e le manifestazioni culturali della colonia greca di Taras, dalla fondazione fino alla conquista romana.
  Il percorso espositivo, il cui mancato completamento è dovuto alle modalità e ai tempi di erogazione dei finanziamenti, occupa una superficie molto più ampia degli spazi destinati al precedente museo e, una volta completato, usufruirà delle superfici al secondo piano utilizzate per gli uffici della soprintendenza, trasferiti nell'ex convento di S. Domenico nella città vecchia.
  La ricchezza e l'unicità dei reperti attualmente fruibili (oreficerie, ceramiche figurate, terrecotte figurate, rilievi in pietra tenera, statuaria, mosaici), esposti seguendo un percorso cronologico e per contesto di rinvenimento, favoriscono pertanto la fruizione e il flusso di visita e, di conseguenza, i relativi introiti (biglietti, servizi aggiuntivi,
book shop, eccetera). L'offerta culturale è ampliata dalla realizzazione di mostre e dalla possibilità di fruire del teatro virtuale, attraverso fumati 3D e altri supporti informatici utili alla riscoperta di monumenti inaccessibili della Taranto antica.
  Attualmente sono in corso i lavori di completamento dell'intera struttura, grazie ad un finanziamento Cipe pari a euro 5.000.000. Si prevede di inaugurare l'intera struttura entro la prima metà del 2015.
  Passando alla seconda questione avanzata nell'interrogazione cui si risponde, si riferisce che la Cripta del Redentore è una struttura ipogea di età medievale (X-XII secolo d.C.) attualmente accessibile da via Terni all'interno di un comprensorio territoriale completamente urbanizzato. Alla struttura monumentale, di proprietà del comune di Taranto, si accede dalla sede stradale moderna. Attualmente l'ipogeo è visitabile: su incarico del comune, un'associazione temporanea di imprese di cooperative e società di archeologi gestisce gli ingressi e le visite.
  Il monumento è stato rinvenuto fortuitamente alla fine dell'Ottocento in un'area di proprietà dall'archeologo Luigi Viola e, da quel momento, riconosciuto come luogo di culto rilevante per la documentazione della diffusione del cristianesimo a Taranto, con collegamenti, non convalidati dagli studi storici, alla tradizione petrina. Lo sviluppo planimetrico e le caratteristiche strutturali non provano che l'impianto culturale si sia inserito in una tomba a camera della necropoli greca, né gli studi finora condotti hanno confermato tale ipotesi.
  Il comune di Taranto ha presentato al Ministero un progetto relativo al recupero conservativo ed estetico del patrimonio pittorico, elaborato dalla Società restauratori associati (con sede in Conversano), in merito al quale la Soprintendenza per i beni storici artistici ed etonoantropologici della Puglia ha espresso, nel luglio 2012, parere favorevole alla competente direzione regionale per la definitiva autorizzazione, parere tuttavia sottoposto alle sottoscritte specifiche prescrizioni:
   creare opportune aperture alla struttura in vetro posta al di sopra della Cripta;
   assicurare una illuminazione adeguata mediante sistema di luci che non determinino calore all'ambiente e conseguenti attacchi biologici;
   monitorare i parametri ambientali;
   risanare l'ambiente ipogeo e effettuare indagini diagnostiche come condizioni prioritarie per procedere agli interventi diretti sugli affreschi.

  A tale proposta progettuale non è seguita alcuna azione di intervento dell'amministrazione comunale di Taranto. A seguito di contatti tra gli uffici territoriali ministeriali e quelli comunali si è appreso – dalla Direzione urbanistica e risanamento della città – che il recupero del sito, in corso di programmazione, è al momento condizionato dalla mancanza di risorse economiche.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   ZAN. — Al Ministro della difesa, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   giunge notizia all'interrogante che il 7 marzo 2012, presso il tribunale militare di Verona, si sarebbe verificato un episodio discriminatorio a danno di un dipendente civile del Ministero della difesa ivi in servizio che, destinato allo svolgimento dell'attività di verbalizzazione in udienza, sarebbe stato oggetto di richiamo in quanto portatore di capelli lunghi e abbigliamento informale, ritenuti non consoni all'ufficialità dell'ente;
   in particolare risulterebbe che il dipendente sia stato richiamato per modificare il taglio di capelli e l'abbigliamento;
   il lavoratore, non essendosi adeguato all'ordine, sarebbe stato poi oggetto di condotte tese al suo isolamento, in quanto privato per oltre un mese di un'autonoma postazione di lavoro, nonché attraverso iniziative disciplinari sino a innescare documentate patologie a carattere psicologico, pervenendo alle successive dimissioni per giusta causa;
   la vicenda sopra descritta appare come un possibile caso di discriminazione dei lavoratori in ragione del loro aspetto estetico, in assenza di qualsiasi normativa contraria che possa imporre a un dipendente civile che svolge attività presso un ufficio giudiziario militare di avere i capelli corti e un abbigliamento formale con giacca e cravatta;
   se i fatti venissero confermati, i reiterati comportamenti discriminatori posti in essere dai funzionari dell'ente si configurerebbero a giudizio dell'interrogante quali palesi violazioni dei diritti soggettivi del lavoratore, e in particolare dei principi costituzionali di libertà e di eguaglianza;
   i fatti denunciati minerebbero altresì la credibilità stessa dell'istituzione giudiziaria militare, stante l'attuazione di condotte che appaiono all'interrogante irragionevoli in danno a un dipendente civile con canoni estetici diversi dalla massa;
   i comportamenti de quibus potrebbero dar luogo, ad avviso dell'interrogante a responsabilità disciplinare e amministrativa per i magistrati militari e il funzionario che li avrebbero posti in essere, per evidente nocumento al prestigio dell'immagine dell'ente pubblico –:
   se i Ministri non intendano acquisire maggiori informazioni circa i fatti avvenuti nell'ufficio giudiziario militare di Verona nel corso del mese di marzo del 2012. (4-05466)

  Risposta. — Non risulta che il dipendente civile menzionato nell'interrogazione in esame sia mai stato sottoposto, durante il servizio svolto presso il tribunale militare di Verona, a trattamenti discriminatori per ragioni attinenti all'abbigliamento o al taglio di capelli.
  Tanto si evince da quanto rappresentato dalla Corte militare di appello che, a seguito della disamina di esaurienti, motivate e documentate relazioni di servizio trasmesse dal suindicato tribunale, ha ritenuto di poter constatare l'insussistenza di comportamenti vessatori o l'attuazione di condotte persecutorie da parte dei dirigenti giudiziari e amministrativi nei confronti dell'interessato.
  La medesima Corte militare ha anche constatato che le uniche iniziative adottate nei confronti del personale in servizio sono state sempre, fondate su circostanze attinenti alle modalità di adempimento delle dovute prestazioni lavorative e al rispetto del dovere di presenza in ufficio.
  Con riferimento, poi, all'asserita privazione «per oltre un mese di un'autonoma postazione di lavoro», risulta agli, atti che, alla sua presentazione in servizio presso il tribunale militare di Verona, in assenza in quel momento di diversa possibilità di materiale sistemazione, all'interessato fu assegnata provvisoriamente una postazione di lavoro, nell'attesa dell'imminente collocamento a riposo di altro dipendente più anziano.
  Per, ciò che concerne le «iniziative disciplinari», di cui pure è cenno nell'atto, si evidenzia che le stesse traggono origine da gravi comportamenti del dipendente, al vaglio anche delle competenti autorità giudiziarie penali.
  L'acquisizione di computi ed esaustivi elementi istruttori sulle circostanze evidenziate nell'atto induce a ritenere non percorribile l'adozione di iniziative come quelle suggerite dall'interrogante.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.