Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 22 dicembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    «la difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'assemblea parlamentare dell'Osce. Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani;
    in quella, come in molte altre occasioni, Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
    oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Sono 116 i Paesi nel mondo in cui si registrano violazioni della libertà religiosa;
    recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è tuttavia rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. È comunque troppo;
    tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra Santa –. Alcuni esercitano un controllo, altri prendono misure che finiscono in una vera persecuzione. Ci sono martiri oggi, martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»;
    in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione Patriottica Cattolica Cinese;
    lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge antiblasfemia – corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano – che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma. Ne sono un tragico esempio i due coniugi cristiani gettati vivi in una fornace il 4 novembre del 2014, a seguito di un'accusa di blasfemia;
    anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta dunque facilmente a un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
    un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
    nei mesi scorsi il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
    in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta Primavera Araba, si è assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani;
    in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila. La conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120 mila cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno ed ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole, negli edifici abbandonati e condividendo in più famiglie uno stesso appartamento;
    anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Dal 2001 all'ottobre 2013 nel Paese sono stati uccisi 32 mila cristiani, di cui 12 mila tra il 2011 e l'ottobre 2013. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18 stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti,

impegna il Governo:

   a promuovere, l'istituzione di una giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede;
   a rendere il rispetto della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico;
   ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda di incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro per gli affari esteri ed i loro omologhi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione (esempio: borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose);
   ad esercitare una chiara e dichiarata forma di pressione diplomatica ed economica verso quei Paesi che non garantiscono o non tutelano il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, dove essa risulti minacciata o compressa, per legge o per prassi, sia direttamente dalle autorità di governo sia attraverso un tacito assenso e che vedano l'impunità degli autori di violenze, arrivando, laddove necessario, all'interruzione delle relazioni diplomatiche e commerciali;
   a stabilire come principio imprescindibile alla negoziazione e conclusione di qualsiasi accordo internazionale la garanzia della controparte che al proprio interno sia assicurata la libertà di professare qualunque religione e la libertà di cambiare religione o credo;
   a farsi promotore, nelle sedi comunitarie ed internazionali, della sospensione di ogni accordo multilaterale verso i Paesi nei quali è applicata, anche parzialmente o su porzioni di territorio, la legge islamica, fino alla reale rimozione da parte di questi Paesi di ogni impedimento alla libera professione religiosa e alla cessazione di episodi di violenza contro comunità o singoli non islamici presenti sul territorio.
(1-00692) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».

Risoluzione in Commissione:


   La I Commissione,

   premesso che:
    attualmente il voto elettorale a livello nazionale si svolge con schede cartacee e tale modalità di voto è soggetta a facili brogli elettorali;
    il voto elettronico offline (cosiddetto eVoting) permette, invece, di diminuire fortemente la possibilità di brogli elettorali grazie ad un doppio controllo: telematico e cartaceo. Attraverso tale modalità di voto vengono installati dentro ciascun seggio elettorale uno o più totem elettronici con un monitor touch screen dove l'elettore – dopo essere stato identificato dagli scrutatori con la procedura abituale – può indicare la propria intenzione di voto in maniera del tutto anonima;
    al termine dell'indicazione di voto sul monitor del totem appare un riepilogo delle scelte effettuate che l'elettore controlla prima di confermare definitivamente il proprio voto, stampare dal totem la scheda cartacea del voto e inserire la scheda cartacea nella classica urna elettorale. Il voto è anonimo perché la macchina non ha alcuna informazione riguardo l'elettore. Il voto è segreto ed inalterabile grazie all'applicazione di funzioni di cifratura nella conservazione del voto nella memoria della macchina (disco rigido) e di funzioni di firma digitale per il trasferimento dei dati di spoglio verso il sistema centrale di calcolo e di pubblicazione dei risultati;
    attraverso l’eVoting si avrebbero questi vantaggi:
     a) i dati di ogni seggio ed il risultato finale della votazione sono disponibili immediatamente, attraverso il collegamento diretto con il database del Viminale;
     b) i costi vengono ridotti dato che sono necessari meno scrutatori e per minor tempo, riducendo ampiamente il lavoro necessario per adibire il seggio il giorno prima delle elezioni;
     c) vi sono maggiori garanzie sulla trasparenza delle operazioni elettorali e sul loro controllo, con un monitoraggio continuo durante tutto il periodo di voto;
     d) si velocizzano le fasi di computo dei voti; si annullano i margini di interpretazione delle schede, dovuti ad esempio alla difficoltà di decifrare alcune calligrafie;
     e) non vi sono più errori di trascrizione nei registri, né problemi di duplicazione di schede elettorali o di perdita delle stesse; si impediscono alcuni specifici errori nella compilazione delle schede da parte degli elettori, quali il voto disgiunto o il voto per più liste;
     f) possono votare anche gli elettori ciechi mettendo, ad esempio, insieme al touch screen, un riconoscimento vocale e delle cuffie;
    il valore legale del voto sarà dato però esclusivamente dalle schede cartacee;
    in Italia i primi e più rilevanti tentativi di utilizzare il voto elettronico sono stati fatti dalla Provincia autonoma di Trento attraverso il progetto ProVotE, in attuazione dell'articolo 84 della legge n. 2 del 2003 della Provincia autonoma di Trento che ha disposto l'automatizzazione delle procedure connesse con le elezioni ed i referendum disciplinati dalla legge provinciale, in particolare per quanto riguarda i sistemi di votazione e scrutinio. Le sperimentazioni, senza valore legale, si sono svolte in occasione delle elezioni comunali a maggio e novembre 2005 e a maggio 2006 ed hanno coinvolto 8 comuni, 20 seggi elettorali e circa 13.500 elettori trentini che hanno provato il sistema di voto elettronico ProVotE. I risultati emersi dalle sperimentazioni hanno dimostrato che: già allora larga parte della popolazione trentina possedeva competenze tecniche sufficienti per utilizzare il voto elettronico, vi è stata corrispondenza tra gli esiti del voto elettronico e quelli del voto cartaceo e vi è stata una notevole riduzione dei tempi relativi alla fase dello scrutinio e del computo dei voti, nonché l'assenza di voti contestati e quindi di possibili divergenti interpretazioni dei voti espressi. La piattaforma è stata anche utilizzata – stavolta con valore legale – nel 2006 da un liceo scientifico cittadino per le elezioni studentesche e nel 2007 dai comuni di Campolongo al Torre e Tapogliano del Friuli Venezia Giulia in contesti referendari;
    il 9 novembre 2008 – sempre all'interno del progetto ProVotE – in occasioni delle elezioni provinciali della provincia autonoma di Trento, è stata nuovamente messa a disposizione degli elettori di 55 sezioni elettorali un'urna elettronica per effettuare il voto, senza attribuirgli valore legale, ma con l'obiettivo di completare e consolidare l'automazione della procedura di votazione e scrutinio. Anche questa seconda sperimentazione, a cui hanno partecipato 9.000 elettori, ha confermato i risultati della prima: una buona accettazione dello strumento, riduzione degli errori e coerenza nell'espressione del voto fra cartaceo e digitale. Si è così concluso il progetto sperimentale teso a valutare l'impatto del nuovo strumento per esprimere il voto;
    in un'indagine telefonica condotta dai responsabili del progetto ProVotE – una settimana dopo la sperimentazione del 9 novembre 2008 – su 866 sperimentatori: il 62,8 per cento ha descritto come «molto facile», il 30,6 per cento come «abbastanza facile», il 5,9 per cento come «abbastanza difficoltoso» e lo 0,3 per cento come «molto difficoltoso». Alla domanda: «Se dal 2009 si votasse solo con il modo elettronico Lei sarebbe... ?» prima della sperimentazione il 56,7 per cento degli sperimentatori era favorevole, dopo la sperimentazione ben il 75,9 per cento era favorevole;
    come emerge dalla ricerca del progetto ProVotE, a giocare un ruolo determinante nel voto elettronico è il modo in cui i cittadini si pongono attraverso un atteggiamento di fiducia o, al contrario, di diffidenza. In particolare, chi si sente rassicurato dall'affidabilità del voto elettronico e ne vede i benefici soprattutto nella fase dello scrutinio – che viene notevolmente agevolato e reso meno sensibile agli errori umani – è di conseguenza anche più disponibile ad utilizzarlo per esprimere la propria scelta elettorale. Quanti invece temono che non vi siano sufficienti garanzie ma, al contrario, aumentino le possibilità di brogli, guardano con molto sospetto all'introduzione di questo strumento. È dunque necessaria un'adeguata campagna di informazione sulla sicurezza e sui vantaggi pratici dell'eVoting per consentire ai cittadini di accettare il voto elettronico come mezzo per esprimere le proprie preferenze politiche;
    a valle di una collaborazione congiunta tra la provincia autonoma di Trento e il Ministero federale dell'interno del Belgio avviata nel 2008, la Commissione europea sul voto elettronico ha giudicato il Sistema ProVotE come valido sistema applicabile nel rispetto della sicurezza e della validità probatoria, principalmente grazie alla produzione della prova cartacea del voto espresso dall'elettore;
    il 5 maggio 2013 i comuni di Martignano e Melpignano (provincia di Lecce), all'interno del progetto Salento eVoting, per un referendum consultivo hanno utilizzato l'urna elettronica sviluppata presso lo Stato di Jalisco (Messico) – già testata nel Paese centro-americano alle elezioni di luglio 2012 – con specifico nulla osta da parte del Ministero dell'interno (dipartimento affari interni e territoriali, direzione centrale dei servizi elettorali) con nota protocollo 4829 del 29 novembre 2012. Tale referendum consultivo nei due comuni ha coinvolto complessivamente 542 elettori e si è svolto senza alcuna problematica di gestione delle attività nei seggi e di scrutinio, in totale assenza di schede elettorali cartacee, i dati elettorali finali sono stati comunicati ai cittadini tramite una piattaforma dedicata online consultabile anche tramite dispositivi mobili, pochi istanti dopo la chiusura dei seggi (circa un minuto dopo): Per garantire la sicurezza dell'operazione, gli organizzatori di Salento eVoting si sono rivolti alla Clio spa  società concessionaria del sistema pubblico di connettività. Dal 2005 a oggi la rete non è mai stata hackerata ed è utilizzata da tutti i Ministeri, compreso quello dell'interno, per gestire i dati;
    come segnalato dai responsabili del progetto Salento eVoting, la normativa in tema di elezioni degli italiani all'estero permette già l'eVoting, appare quindi discriminatorio che il diritto di votare elettronicamente non venga riconosciuto anche agli italiani residenti sul territorio nazionale. Il diritto di voto degli italiani all'estero ha vissuto un inizio secolo di continue e profonde innovazioni, alle quali non ha fatto eco un'eguale innovazione nel voto per i residenti in Italia, configurando una sorta di paradosso: oggi appare sempre più tutelato e al passo con i tempi il diritto di voto degli italiani all'estero rispetto a chi vive sul territorio nazionale,

impegna il Governo:

   ad assumere un'iniziativa che disciplini compiutamente il voto elettronico in ossequio ai principi di buon andamento della pubblica amministrazione ex articolo 97 della Costituzione e di quelli di efficacia, efficienza ed economicità amministrativa di cui alla legge n. 241 del 1990;
   ad informare l'opinione pubblica e quindi gli elettori – la cui fiducia nel sistema elettronico risulta imprescindibile – sui benefici e la sicurezza dell’eVoting;
   ad assumere iniziative volte a favorire la sperimentazione del voto elettronico, così come previsto in premessa, nelle prossime elezioni comunali, provinciali o nazionali, al fine di introdurre in maniera progressiva il voto elettronico con pieno valore legale anche per le elezioni regionali, politiche ed europee.
(7-00555) «Dadone, Colletti, Cozzolino, Lombardi, Fraccaro, Businarolo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   i sindaci di alcuni comuni italiani, tra i quali Roma, Milano, Livorno, Bologna e Udine nel corso delle ultime settimane, hanno disposto, la trascrizione, nei registri dello stato civile, di atti di matrimonio, celebrati all'estero, fra persone dello stesso sesso;
   il Ministro dell'interno, con propria circolare n. 40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, ha disposto che i prefetti invitino i sindaci che hanno proceduto a trascrivere matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso a cancellarli e, in caso non vi procedano, ad attivarsi, anche in via sostitutiva, per la cancellazione, d'ufficio, delle trascrizioni «ai sensi del combinato disposto dell'articolo 21-nonies della legge 241 del 1990 e dell'articolo 54, commi 3 e 11, del decreto legislativo n. 267 del 2001»;
   i sindaci di alcuni comuni hanno continuato a trascrivere matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso, anche successivamente all'adozione della circolare ministeriale;
   il prefetto di Udine, nominato un commissario ad acta, il giorno 29 aprile 2014, ha proceduto ad annotare nel registro dello stato civile di Udine, a margine della trascrizione d'un matrimonio celebrato fra due donne in Sudafrica, la cancellazione da lui disposta d'ufficio;
   investita della questione sull'individuazione dell'eventuale sussistenza di profili di responsabilità penale, in capo ai soggetti attori dell'intervento di cancellazione della trascrizione, la procura di Udine, con provvedimento di richiesta di archiviazione del 25 novembre 2014, nell'escludere la violazione di norme penali per mancanza dell'elemento soggettivo, quindi, per mancanza del solo dolo, nel merito ha, invece, esplicitamente, riconosciuto che il Prefetto... non ha e non aveva compiti sostanzialmente abrogativi né poteri di cancellazione che spettano ex lege all'Autorità Giudiziaria;
   purtuttavia, nonostante anche la procura di Udine abbia riconosciuto che i prefetti, così come i sindaci stessi, non possono procedere alla cancellazione di atti trascritti, i prefetti di Udine, Bologna, Pordenone, Roma ed Empoli, hanno proceduto ad annotare nei registri dello stato civile, a margine delle trascrizioni dei matrimoni omosessuali effettuate, l'annullamento d'ufficio;
   i prefetti, su ordine illegittimo del Ministro dell'interno, stanno esercitando una funzione che è riservata chiaramente ed esclusivamente alla magistratura –:
   se il Governo non ritenga opportuno ed urgente assumere con la massima sollecitudine le opportune iniziative, anche di carattere normativo, volte a far cessare la situazione di sostanziale illegittimità – come confermata in premessa – che si è venuta a creare a seguito dell'adozione da parte del Ministro dell'interno della circolare n. 40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014 e a disporre che i prefetti cessino immediatamente di procedere alle cancellazioni d'ufficio delle trascrizioni dei matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso, ristabilendo così il rispetto delle prerogative costituzionalmente riservate alla magistratura.
(2-00794) «Locatelli, Di Lello, Artini, Capua, Carloni, Catalano, Civati, Di Gioia, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Furnari, Giancarlo Giordano, Labriola, Marzano, Matarrelli, Melilla, Misiani, Molea, Nesi, Ottobre, Pastorelli, Pellegrino, Pinna, Piras, Quaranta, Rabino, Ricciatti, Schirò, Scotto, Tinagli, Vecchio, Zaratti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IACONO e CAUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'emergenza umanitaria che ha interessato l'isola di Lampedusa nel 2011 e dovuta all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa –, con l'articolo 3, comma 2 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3947 del 16 giugno 2011, seguito dal decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 e dalla legge n. 135 del 2012 veniva concessa, a tutti i soggetti di imposta aventi il domicilio fiscale nel comune di Lampedusa, la facoltà di sospendere fino alla data del 1o dicembre 2012, il pagamento di tutti gli adempimenti e versamenti tributari;
   con la legge 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) veniva ulteriormente prorogato con il comma 612, il termine di sospensione dal pagamento delle tasse per tutti i soggetti di imposta con domicilio fiscale nell'isola di Lampedusa fino al 31 dicembre 2013;
   veniva inoltre stabilito come peraltro riportato nei provvedimenti originari di sospensione che delle somme dovute a titolo d'imposta non avrebbe previsto l'applicazione di sanzioni (comma 614), nonché che le comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 147 del 27 dicembre 2013, ai sensi dell'articolo 36 decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973, articolo 54-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973, dovevano considerarsi prive d'efficacia;
   veniva inoltre stabilita la possibilità per i contribuente interessati di presentare istanza di dilazione per le imposte sospese nelle annualità precedenti senza specificare in alcun modo modalità e tempi;
   nel corso dell'anno 2014, a seguito dell'invasamento dei ruoli (nei fatti sospesi) da parte dell'agenzia delle entrate di Agrigento, la Serit Sicilia spa provvedeva a notificare alla generalità dei contribuenti le relative cartelle esattoriali aventi ad oggetto le imposte sospese per l'anno 2010, con applicazione di sanzioni, interessi ed aggi, in contrasto con quanto sancito dalla legge di stabilità. Infatti il presupposto impositivo delle cartelle era costituito dalle comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 147 del 27 dicembre 2013, ai sensi dell'articolo 36-bis decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973, articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973, comunicazioni dichiarate inefficaci e dunque prive di valenza giuridica;
   in esito ai ricorsi/mediazione presentati dai contribuenti l'Agenzia delle entrate ad oggi, propone di mantenere l'applicazione delle sanzioni nella misura del 30 per cento, prospettando la semplice rimodulazione degli interessi dovuti, per il periodo di sospensione;
   in realtà oggi i contribuenti interessati alla ripresa dei versamenti sospesi mediante la dilazione dei pagamenti, non hanno potuto di fatto presentare alcuna istanza, in mancanza dell'emanazione dei provvedimenti urgenti previsti nei casi di eventi eccezionali, così come peraltro specificato nelle stesse istruzioni ministeriali relative, a titolo d'esempio, al modello unico 2012, rigo RN 37, acconti; laddove espressamente cita alla colonna 1, indicare l'importo degli acconti dovuti, ma non versati se si è goduto della sospensione dei termini sulla base di specifici provvedimenti emanati per eventi eccezionali. L'importo di questi acconti sarà versato dal contribuente con le modalità e nei termini che saranno previsti da un apposito decreto per la ripresa della riscossione delle somme sospese;
   nonostante i provvedimenti governativi abbiano disposto la ripresa dei versamenti prevedendo, nelle linee generali, la possibilità per il contribuente di presentare istanze di dilazione all'Agenzia delle entrate, la stessa non ha successivamente fornito alcuna istruzione in merito:
    alle annualità per le quali presentare l'istanza;
    ai codici tributo da utilizzare per il versamento delle somme dovute;
    al numero delle rate concesse per la restituzione;
    ai termini entro i quali presentare istanza;
   il comune di Lampedusa in data 28 maggio 2013 in rappresentanza dei contribuenti interessati dalla sospensione, ha richiesto all'agenzia delle entrate di Agrigento chiarimenti e l'emanazione di un apposito provvedimento esplicativo, in merito ai termini e alle modalità di versamento dei tributi sospesi, atteso che alla data del 28 maggio 2013 erano già trascorsi oltre 5 mesi dalla scadenza dei termini della seconda proroga della sospensione;
   il perdurare della crisi economica che imperversa il nostro sistema Paese ha forti ripercussioni sull'economia locale dell'isola basata prevalentemente sul turismo italiano, già provata dagli eventi calamitosi di cui in commento, che hanno legittimato il perdurare e le proroghe della sospensione dei versamenti dall'anno 2011 a tutto il 2013;
   alla data odierna i contribuenti lampedusani sono stati in massima parte raggiunti dalle notifiche di avvisi bonari e cartelle esecutive per l'anno d'imposta 2011 –:
   se il Governo abbia programmato, così come in precedenza già fatto per casi analoghi (terremoto L'Aquila):
    a) l'emanazione di un provvedimento ad hoc che disciplini tempi e modalità di rateizzazione delle somme sospese per gli anni d'imposta che vanno dal 2010 al 2013, in 120 rate senza applicazione di oneri ed interessi;
    b) abbandonare il contenzioso intrapreso a seguito della notifica delle cartelle di pagamento inerenti le imposte riferite alle sospese annualità;
    c) nelle more di annullare gli avvisi bonari emessi per il controllo automatizzato delle dichiarazioni ai sensi dell'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973 per l'anno di imposta 2011 e successive annualità.
(5-04373)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   le attribuzioni e i compiti degli uffici territoriali del Governo e in particolare del prefetto dovrebbero comprendere un controllo e una garanzia delle attività amministrative degli enti locali, in particolare il decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139 stabilisce per la struttura prefettizia tra gli altri l'esercizio dei compiti connessi alla responsabilità del prefetto a garanzia della legalità amministrativa ovvero finalizzati alla mediazione dei conflitti sociali e alla salvaguardia dei servizi essenziali;
   ancora maggiore sarebbe dovuto essere il ruolo di controllo e garanzia da parte dell'uffici territoriali del Governo nelle attività relative alle procedure d'urgenza, come per esempio gli interventi inerenti i campi nomadi e la gestione dell'immigrazione, nei quali l'ufficio di Roma ha svolto negli ultimi anni un ruolo determinante;
   considerata la rete di malaffare che si sta palesando in questi giorni in riferimento all'inchiesta nota come «Mafia capitale» nel territorio di Roma Capitale, inchiesta che da quanto si apprende da fonti giornalistiche riguarda in larga parte una serie di procedure nelle quali l'ufficio territoriale del Governo, avrebbe comunque dovuto vigilare fortemente per garantire la trasparenza e soprattutto l'efficienza e l'economicità di alcuni interventi, considerati anche gli ampi poteri conferitigli dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, che all'articolo 11 tra le altre cose indica testualmente che: «Nell'esercizio delle funzioni di coordinamento previste dai commi 2 e 3 il Prefetto, sia in sede di conferenza provinciale sia con interventi diretti, può richiedere ai responsabili delle strutture amministrative periferiche dello Stato l'adozione di provvedimenti volti ad evitare un grave pregiudizio alla qualità dei servizi resi alla cittadinanza anche ai fini del rispetto della leale collaborazione con le autonomie territoriali» –:
   se l'ufficio territoriale del Governo di Roma in questi anni avrebbe conferito incarichi tramite appalti ovvero con affidamento diretto, nell'ambito delle procedure emergenziali legate all'immigrazione e se gli affidatari fossero direttamente o indirettamente riconducibili alle imprese coinvolte nell'inchiesta;
   se non si ritenga opportuno provvedere all'avvicendamento delle cariche apicali dell'ufficio territoriale del Governo di Roma e anche di ridefinire e riconsiderare i compiti e l'effettiva utilità di questa struttura. (4-07382)


   BRUNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il consigliere comunale di minoranza Pietro di Lorenzo del comune di Limatola in provincia di Benevento, lamenta la sistematica violazione dei diritti che la legge riconosce ai consiglieri comunali in merito all'acquisizione di documenti e notizie necessari all'espletamento del mandato;
   da quanto si apprende, numerosi altri consiglieri di minoranza di comuni in provincia di Benevento, si trovano nelle stesse condizioni con evidenti difficoltà a poter esercitare, con pienezza, il loro mandato elettorale;
   sempre più di frequente si rende necessario, da parte loro, il ricorso al prefetto o, in alcuni casi, alla giustizia ordinaria, al fine di poter esercitare in maniera compiuta ed informata il mandato elettorale e per farsi riconoscere quanto, ai sensi di legge e regolamenti degli enti locali, è un loro diritto;
   inoltre, l'articolo 43, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 recita testualmente: «I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato...»;
   il ripetersi di situazioni ostruzionistiche e di comportamenti omissivi del genere, oltre a non fare bene sicuramente alla democrazia in genere, potrebbe far considerare la possibilità dell'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000 ovvero lo scioglimento del consiglio comunale –:
   se non si intendano assumere iniziative normative per rafforzare la tutela delle minoranze consiliari ed, in generale, rendere più incisivo il ruolo di controllo dei consiglieri comunali in modo da assicurare un adeguato bilanciamento tra esigenze di governabilità ed esigenze di tutela delle prerogative del consiglio comunale. (4-07386)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il capo della società russa Gazprom Alexey Miller nei giorni scorsi in riferimento al gasdotto «South Stream» ha dichiarato che il «progetto è finito, il progetto è chiuso»;
   nei giorni scorsi il Presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che la Russia nelle circostanze attuali non può continuare l'attuazione del progetto «South Stream»;
   il gasdotto doveva collegare la Russia all'Europa meridionale, passando sotto il Mar Nero;
   il presidente russo Vladimir Putin avrebbe deciso di dichiarare chiuso il progetto «South Stream» a causa della posizione dell'Unione europea;
   le divergenti posizioni rispetto a South Stream — al quale, oltre a Gazprom, partecipano l'italiana Eni, la tedesca Wintershall e la francese EDF — contribuiscono a spiegare il forte ritardo accumulato dal progetto, caduto sotto la lente d'ingrandimento della Commissione europea per l'incompatibilità con le norme europee fissate nel Terzo Pacchetto Energia;
   nel 2013 la Russia ha esportato in Europa 137 miliardi di metri cubi (Bcm) di gas naturale, la maggior parte dei quali — circa 80 Bcm — hanno raggiunto i mercati europei attraverso la rete ucraina;
   ulteriori rotte di transito sono la pipeline sottomarina Nord Stream — che collega Vyborg in Russia a Greifswald in Germania e ha una capacità totale di 55 Bcm — e il gasdotto Yamal che attraversa la Bielorussia e approda in Polonia con capacità massima di 33 Bcm annui;
   i principali clienti di Gazprom sono la Germania con 40 Bcm e l'Italia con 25 Bcm: insieme assorbono circa il 50 per cento delle esportazioni russe verso l'Europa;
   il gas russo contribuisce al 42 per cento delle importazioni tedesche e al 44 per cento quelle italiane;
   la decisiva interdipendenza energetica con la Russia giustifica la partecipazione delle compagnie nazionali Wintershall ed Eni alla sezione offshore del progetto South Stream, della quale detengono rispettivamente il 15 per cento e 20 per cento delle azioni;
   la maggior parte delle importazioni tedesche è garantita da Nord Stream, la totalità delle forniture di Gazprom all'Italia transita per la rete ucraina ed è soggetta allo scontro tra Mosca e Kiev;
   il progetto prevedeva per questo motivo l'aggiramento del territorio ucraino, questo avrebbe consentito a South Stream di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici;
   Gazprom esporta in Europa centro-orientale poco più di 30 Bcm di gas all'anno, circa il 23 per cento delle esportazioni totali russe in Europa;
   il nodo della questione è la posizione di South Stream nei confronti del Terzo Pacchetto Energia dell'Unione europea che prevede l'applicazione del meccanismo di separazione proprietaria e del principio dell'accesso a parti terze, nonché restrizioni in materia tariffaria;
   non riconoscendo la natura strategica del progetto per l'Ue, la Commissione rifiuta di garantirne l'esenzione dallo schema regolatorio europeo;
   il direttore generale della Dg Energia Dominique Ristori ha annunciato la sospensione del progetto, vincolando qualsiasi negoziato (di natura regolatoria) sul gasdotto alla risoluzione delle ostilità tra Mosca e Kiev;
   in questo scenario assume rilevanza strategica energetica, economica e politica il metanodotto Galsi, già approvato dalla Commissione europea che lo ha da tempo inserito tra quelli di natura strategica per l'approvvigionamento di Gas per l'Europa;
   tale progetto che collega il Nord Africa con l'Algeria, attraverso la Sardegna, l'Italia e l'Europa rappresenta oggi un'opportunità rilevante anche sul piano politico;
   il Galsi riveste importanza strategica per la Sardegna, unica regione europea non connessa con la rete dei metanodotti e priva di gas con tutte le ricadute devastanti sia sul piano economico che sociale;
   il 9 gennaio 2003 si è costituita la società Galsi spa per sviluppare lo studio di fattibilità di una nuova infrastruttura di importazione di gas naturale dall'Algeria all'Italia, nelle quote azionarie entra a far parte anche la regione Sardegna, attraverso le controllate Sfirs e Progemisa;
   il 31 luglio 2008 la società Galsi presenta l'istanza di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio del gasdotto presso i Ministeri competenti dando avvio alla procedura autorizzativa;
   il 25 luglio 2011 il dipartimento per l'energia direzione generale per la sicurezza dell'approvvigionamento e le infrastrutture energetiche divisione VI ha pubblicato l'avviso di procedimento;
   la società Galsi spa ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio, per la parte ricadente nelle aree di giurisdizione italiana, di un metanodotto per l'importazione di gas dall'Algeria;
   l'istanza è stata presentata ai sensi dell'articolo 52-quinquies, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 330 del 2004 relativamente alle espropriazioni per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche;
   l'autorizzazione rilasciata comprende anche la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza naturalistico ambientale, l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni interessati e la variazione degli strumenti urbanistici;
   il provvedimento finale comprende inoltre l'approvazione del progetto definitivo e determina l'avvio del procedimento di esproprio;
   dopo oltre 4 anni il 22 dicembre 2011 si è concluso l’iter autorizzativo con la convocazione da parte del responsabile del procedimento della conferenza dei servizi per l'autorizzazione finale;
   tale autorizzazione risultava indispensabile agli investitori internazionali per poter avviare entro il mese di gennaio la definizione degli investimenti e nel contempo dall'esigenza di non perdere lo stanziamento di 120 milioni di euro dell'Unione europea il cui termine ultimo fissato era fissato al 31 dicembre 2011 –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dello sviluppo economico nell'ambito del semestre europeo, così come già richiesto, non intendano mettere in essere tutte le azioni necessarie per l'avvio della realizzazione del metanodotto che risulta essere l'unico autorizzato sotto ogni punto di vista;
   se non intenda attivarsi con gli operatori internazionali al fine di definire entro il mese di gennaio il planning operativo per l'avvio della realizzazione del metanodotto;
   se il Governo non intenda attivarsi al fine di richiedere all'Unione europea un'azione tale che consenta nelle more della crisi internazionale di mettere in campo azioni che consentano la più rapida realizzazione del metanodotto. (4-07388)


   DI VITA, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, CECCONI, DALL'OSSO, NUTI, MANNINO, LUPO, DI BENEDETTO, TOFALO, LIUZZI, DE LORENZIS, BASILIO, TERZONI, GAGNARLI e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   l'attività conoscitiva e la funzione di controllo sull'operato del Governo rientrano tradizionalmente tra le principali prerogative attribuite al Parlamento dalla Carta costituzionale;
   il controllo parlamentare assume rilevante carattere politico, consistendo in un insieme di attività e di procedure attraverso le quali le Camere verificano l'azione del Governo e la sua rispondenza agli obiettivi stabiliti nelle leggi o in altri atti di indirizzo, e comporta il potere di far valere la responsabilità politica dell'Esecutivo mediante l'approvazione di una mozione di sfiducia;
   ciò avviene, in special modo, attraverso le interrogazioni che deputati e senatori rivolgono ai Ministri;
   molteplici e concorrenti sono le finalità degli atti di indirizzo e controllo, tra cui: formulare orientamenti al Governo; evidenziare problemi ed esigenze che non sono affrontate nell'attività legislativa, anche al fine di auspicare un intervento normativo; in particolare, se presentati dall'opposizione, esprimere valutazioni, critiche, denunce (nel caso della mozione di sfiducia, finalità sanzionatoria); richiamare l'attenzione del dibattito parlamentare e dell'opinione pubblica su questioni ritenute rilevanti; indurre il Governo ad assumere una posizione ufficiale sulla questione sollevata;
   l'articolo 64, comma 4, della Costituzione, prevede il diritto dei Ministri, ma anche l'obbligo degli stessi su richiesta parlamentare, di assistere alle sedute e di essere sentiti su propria iniziativa;
   ai sensi dell'articolo 128, comma 2, del Regolamento della Camera, l'interrogazione consiste nella semplice domanda, rivolta per iscritto, se un fatto sia vero, se alcuna informazione sia giunta al Governo, o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla Camera documenti o notizie o abbia preso o stia per prendere alcun provvedimento su un oggetto determinato;
   il successivo articolo 129 del Regolamento stabilisce che le interrogazioni sono svolte dopo che siano trascorse due settimane dalla loro presentazione;
   l'incaricato del Governo ha la facoltà di dichiarare di non poter rispondere indicandone il motivo. Se dichiara di dover differire la risposta, precisa in quale giorno, entro il termine di un mese, è disposto a rispondere (articolo 131);
   nonostante la chiarezza e la perentorietà del dettato regolamentare, occorre segnalare che gran parte delle interrogazioni presentate spesso non ricevono risposta;
   a confermare il dato è un articolo pubblicato il 1o settembre sul sito internet openpolis.it dal titolo «Interrogazioni, quei Ministri che non rispondono mai», di carattere prettamente statistico, in cui nello specifico si evidenzia come nel corso della XVII legislatura siano oltre diecimila le interrogazioni parlamentari in attesa di risposta su un totale di quindicimila presentate alla Camera e al Senato (http://blog.openpolis.it);
   dopo un anno e mezzo di legislatura, dunque, oltre il 60 per cento delle interrogazioni restano in attesa di risposta e solo un terzo circa risulta andato buon fine;
   di un certo rilievo, inoltre, sono i dati relativi al confronto fra i diversi Ministeri e membri del Governo chiamati a rispondere: ultima in classifica la Presidenza del Consiglio dei ministri, che su un totale di 633 interrogazioni, ha risposto solamente a 102 (16,11 per cento) lasciando oltre l'80 per cento di esse cadere nel vuoto; segue il Ministero della giustizia, con una percentuale di risposta del 17,53 per cento; terzo posto a quello dell'economia e delle finanze (24,93 per cento);
   per l'espletamento della diversa funzione di indirizzo dell'azione del Governo le Camere utilizzano tre distinti strumenti: le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno di istruzione al Governo per l'attuazione delle leggi;
   interpellato il 22 ottobre 2014 su alcune statistiche relative a quest'ultima tipologia di atti, segnatamente in relazione al numero degli atti di indirizzo segnalati ai Ministeri ai fini della loro attuazione, l'ufficio «Servizio per il controllo parlamentare» della Camera forniva alla prima firmataria i seguenti dati:
    ordini del giorno: totale atti segnalati 2.450 totale atti attuati 92;
    risoluzioni in Assemblea o in Commissione: totale atti segnalati 115, totale atti attuati 15;
    mozioni: totale atti segnalati 186, totale atti attuati 18;
    totale atti di indirizzo segnalati 2751, totale atti attuati 125;
   l'ufficio «Servizio per il controllo parlamentare» forniva contestualmente le seguenti precisazioni in relazione ai dati trasmessi: 1) vengono segnalati ai Ministeri ritenuti competenti gli atti di indirizzi accolti dal Governo (nel caso degli ordini del giorno anche accolti come raccomandazione) e/o approvati dall'Assemblea o dalle Commissioni parlamentari; 2) i Ministeri cui è stato segnalato un atto di indirizzo possono dare attuazione all'impegno in esso contenuto senza che necessariamente tale attuazione venga comunicata alla Camera con nota indirizzata al servizio per il controllo parlamentare, non sussistendo alcun obbligo in tal senso;
   a fronte di questi dati che, nonostante le anzidette precisazioni, ben si potrebbero definire sconfortanti nel loro complesso, preme ricordare in questa sede che gli atti di indirizzo e controllo rappresentano uno strumento principe del confronto democratico, rivolto in particolare all'opinione pubblica, potendo riuscire soprattutto a dare forte risonanza presso i mezzi di comunicazione a questioni rimaste in ombra o, viceversa, a portare nel dibattito parlamentare avvenimenti di attualità, su cui si concentra l'attenzione dei mezzi di comunicazione;
   questo «malfunzionamento» contribuisce seriamente a depauperare e frustrare il lavoro di parlamentari che, in base alle proprie prerogative e attraverso gli strumenti forniti loro dalla legge, tentano di far emergere specifiche problematiche di rilievo nazionale attraverso appositi quesiti che però, purtroppo non di rado, restano inevasi, con conseguente alto senso di frustrazione e inutilità; ancor peggio qualora si tratti di atti di indirizzo, vincolanti per il Governo, che seppur approvati, ovvero accettati dalla maggioranza dei rappresentanti del popolo, non vengono successivamente attuati;
   in tale ottica, la valutazione o la risposta del Governo rileva non tanto nel rapporto di indirizzo e controllo tra Parlamento e Governo quanto come posizione ufficiale che può essere fatta valere pubblicamente –:
   se sia a conoscenza di quanto osservato in premessa;
   se possa indicare precisamente quali siano attualmente le cause che contribuiscono a determinare tale elevato numero di atti di indirizzo e controllo inevasi;
   quali attività governative anche di carattere normativo, siano state intraprese, o si intendano intraprendere, al fine di ottemperare alla citata normativa regolamentare e costituzionale;
   se non ritenga che la problematica sollevata col presente atto, in sintesi identificabile nel restringimento delle prerogative parlamentari, possa determinare di riflesso un danno oggettivo ai cittadini italiani, conseguente alla limitazione di fatto della rappresentanza in Parlamento delle preoccupazioni e delle istanze dei medesimi, oltre a denotare in generale uno scarso senso di responsabilità degli organi istituzionali e di governo preposti a ottemperare agli obblighi scaturenti dalla disciplina relativa all'attività parlamentare di indirizzo e controllo. (4-07395)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, DE LORENZIS e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da alcuni recenti articoli di stampa, la procura di Roma ha avviato un nuovo filone di inchiesta, nell'ambito delle indagini riguardanti il Mose e il Consorzio Venezia Nuova, relativo ad una truffa su una serie di bonifiche inesistenti, a cominciare da quelle della laguna di Venezia;
   secondi i pubblici ministeri romani, alcuni indagati avrebbero costretto numerosi imprenditori proprietari di immobili, siti nel sito di interesse nazionale (SIN) di Venezia Porto Marghera, ad aderire alle cosiddette «transazioni ambientali» – accordi economici tra il Ministero dell'ambiente e il proprietario di un terreno, il quale viene liberato dall'onere delle bonifiche su aree inquinate – che portavano nelle casse del Ministero dell'ambiente ingenti somme di denaro poi riversate al Consorzio Venezia Nuova;
   in particolare, secondo le autorità giudiziarie, Gianfranco Mascazzini, direttore generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fino al 2009, con la complicità del Consorzio Venezia Nuova, avrebbe fatto ricorso alle minacce di ispezioni da parte di enti ministeriali (Ispra) nonché di denunce varie all'autorità giudiziaria, per indurre numerosi imprenditori, i cui immobili insistevano all'interno del SIN di Porto Marghera, «ad aderire alle transazioni per effetto della stipula delle quali venivano versate ingenti somme al Ministero dell'Ambiente che a sua volta le riversava al Consorzio Venezia Nuova per alimentare la struttura»;
   tali somme di denaro venivano girate attraverso il Magistrato alle Acque di Venezia al Consorzio Venezia Nuova e da questo alle Società Thetis e Studio Altieri, individuate e imposte da Mascazzini quali commesse per attività progettuali, e all'Icram per alimentare e sostenere i soggetti inseriti in tale struttura;
   dai verbali emerge inoltre che, per effetto di tali accordi, «l'obbligo di bonifica si trasferiva sul Ministero dell'ambiente che sistematicamente non vi provvedeva, così determinando un perdurare del danno ambientale esistente» mentre alle aziende venivano prospettati inquinamenti che in realtà non erano accertati, di modo che le aziende pagassero anche per poter avere la libertà di valorizzare i terreni;
   tale meccanismo, assurto a un vero e proprio sistema di potere che da Roma si diramava in tutta Italia, sarebbe stato confermato dalle dichiarazioni rese dall'ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e dall'ex presidente della Mantovani Costruzioni, Piergiorgio Baita, entrambi coinvolti nell'inchiesta sul Mose –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, anche normative, intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di scongiurare il verificarsi di nuovi illeciti ambientali collegati alla gestione delle bonifiche dei siti inquinati, ai danni dello Stato, come sembrerebbe emergere dalle indagini attualmente in corso condotte dalla procura di Roma sul grande affare delle bonifiche a Porto Marghera.
(5-04368)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'area della laguna di Grado e Marano e nel bacino scolante della bassa pianura friulana gravitano importanti interessi di carattere economico e di significativa valenza sociale;
   con il decreto del 12 dicembre 2012 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Corrado Clini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013, è stato ridefinito in riduzione il perimetro del sito inquinato nazionale della laguna di Grado e Marano;
   si è proceduto alla verifica dei contenuti della relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia in data 12 dicembre 2012, predisposta dalla «Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti»;
   sono stati richiamati in particolare i contenuti formalmente espressi dagli organi di supporto tecnico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ISS e ISPRA che, nel merito, hanno rispettivamente individuato (proprio nel 2012) importanti criticità di carattere sanitario e ambientale per la presenza di significative concentrazioni di mercurio nei sedimenti lagunari;
   si è verificato che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Corrado Clini ha ignorato questi pareri che concludono «in senso nettamente diverso rispetto a quanto rappresentato dal Ministro», come affermato a pagina 401 della citata relazione della Commissione;
   il Ministro pro tempore Clini ha operato la relativa citata decretazione di de-perimetrazione del SIN con significative riduzioni areali, corrispondenti all'area della laguna, ai fiumi Ausa e Corno, e alle aree contermini, rimettendo alle competenze della regione Friuli Venezia Giulia, come previsto all'articolo 2 del citato decreto, le «necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle porzioni di territorio già compreso nella perimetrazione» precedente;
   i documenti specifici redatti da tali organi tecnici sulla questione non sono stati mai smentiti restando invece, da ormai oltre due anni, come riferimento prescrittivo per la gestione della laguna e degli interventi di dragaggio dei sedimenti dei canali;
   anche ARPA FVG in merito alle attività di dragaggio in laguna si era espressa in linea con quanto affermato da detti organi tecnici nazionali affermando nella «relazione di caratterizzazione ambientale di settembre 2012» (allegato III alla delibera della giunta regionale del FVG n. 1737) che «una delle maggiori problematicità attuali è l'impossibilità di traslocare il materiale dragato ai lati dei canali, in ottemperanza alla legislazione nazionale;
   nella regione autonoma Friuli Venezia Giulia vengono approvati dalla giunta regionale progetti di dragaggio che non tengono conto completamente di tale documentazione tecnica, interamente redatta a partire da maggio 2012; quindi con un regime normativo che, successivamente a tale data, non ha avuto al riguardo alcuna modifica;
   le attività previste dal citato decreto del 3 gennaio 2013 di «necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle porzioni di territorio già compreso nella perimetrazione precedente», non risultano realizzate, e quindi le aree deperimetrate non sono state di nuovo adibite ai legittimi usi;
   i citati progetti relativi agli interventi di dragaggio, vengono realizzati nonostante un dettato normativo che ne vieta la realizzazione, con grave danno all'ambiente lagunare, non certo garantito con modesti interventi di monitoraggio privi di significato scientifico (considerata la accertata mobilità dei sedimenti inquinati da mercurio, sostanza pericolosa prioritaria) –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
   perché vengano ignorate le citate documentazioni tecniche redatte da ISS e ISPRA;
   se, considerata la dichiarata assenza di istruttoria tecnica nella formulazione di tale decreto, non si ritenga di procedere al suo ritiro/abrogazione anche a fini di autotutela, in considerazione di quella che l'interrogante giudica la sua palese illegittimità;
   se risulti agli atti sulla base di quali presupposti si sia proceduto all'emanazione del decreto citato in premessa.
(4-07375)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO e LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il «Progetto di adeguamento delle strutture della raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato «Tempa Rossa» dell'ENI spa, ha avuto il rilascio della valutazione d'impatto ambientale il 27 ottobre del 2011 con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Nel suddetto decreto di autorizzazione risulta assente il parere della regione Puglia. Nel novembre del 2011, in ritardo rispetto i tempi definiti per legge, la regione Puglia rilascia parere favorevole con prescrizioni e nella delibera di giunta risultano anche i pareri favorevoli al progetto di comune e provincia di Taranto;
   dal comitato Legamjonici di Taranto si apprende che il progetto «Tempa Rossa» in questione, è stato sottoposto a valutazione del rapporto preliminare di sicurezza da parte del CTR (comitato tecnico regionale) in applicazione della legge 334 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni che recepisce la «direttiva Seveso» su prevenzione e controllo dei rischi di incidenti rilevanti. Il CTR ha dato, in questa prima fase, parere positivo al rilascio del nulla osta di fattibilità con pesanti prescrizioni che pongono seri dubbi sulla sicurezza degli impianti previsti per il progetto «Tempa Rossa»;
   la provincia di Taranto è soggetta anche a fenomeni meteorologici definiti «tornado» o «trombe d'aria», come testimoniato dal devastante tornado del 2012 che colpì Taranto e Statte e dai recenti fenomeni che hanno investito la provincia nelle località di Ginosa e Grottaglie;
   nella fase di consultazione del pubblico interessato, il comitato Legamjonici nel febbraio del 2013 aveva presentato delle osservazioni tecniche che sono state accolte dal comitato tecnico regionale ed inserite come prescrizioni a cui ottemperare categoricamente nel «Rapporto definitivo di sicurezza»;
   le suddette osservazioni riguardano in particolare l'aumento del «rischio di incidente rilevante» a causa di fenomeni meteorologici. Nello specifico la resistenza degli impianti ad una potenza del vento superiore a 97,2 km/h (una tromba d'aria di grado F2 è pari alla potenza di 180/250 km/h) non è garantita –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e possano riferire in che fase si trova la stesura del rapporto definitivo di sicurezza su «Tempa Rossa»;
   quali siano i tempi utili per la presentazione agli organi competenti del «rapporto definitivo di sicurezza» affinché si possa avviare la costruzione degli impianti e l'esercizio dell'attività.
(4-07379)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO, LIUZZI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 5 novembre 2011, il consiglio comunale di Taranto ha approvato una delibera sulla variante al piano regolatore portuale in cui si escludono dal piano alcune delle opere necessarie alla realizzazione del progetto «Tempa Rossa» a Taranto come il prolungamento del pontile petroli e i due serbatoi nei quali il greggio dovrà essere stoccato;
   il comitato cittadino di Taranto «Legamjonici» ha specificato che:
    l'autorità portuale ha annunciato un eventuale ricorso al Tar contro la delibera comunale del 5 novembre 2014 che ha espresso parere negativo al prolungamento del pontile Eni, sostenendo che esso era già previsto in quanto funzionale alla raffineria, indipendentemente dalla realizzazione del progetto «Tempa Rossa»;
    la necessità di prolungare il pontile è giustificata dal piano regolatore portuale solo se è previsto un aumento della produzione o dell’export di greggio;
    nel 2000 l'Agip chiedeva al Ministero dell'ambiente pronuncia di compatibilità ambientale per un progetto «Agip 2000» che prevedeva tra l'altro l'ampliamento della capacità di stoccaggio degli idrocarburi nel sito di Taranto con la costruzione di 4 nuovi serbatoi, 3 di 123.000 metri cubi ciascuno più uno da 58.000, per un totale di 427.000 metri cubi e il prolungamento del pontile dici a 325 metri. Tuttavia il Ministero dei beni culturali esprimeva parere negativo per la presenza della chiesa di Santa Maria della Giustizia, sottolineando la necessità di una riqualificazione dell'area e quindi anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esprimeva parere negativo al progetto;
    nel 2007 Eni ha presentato il progetto «Taranto Plus» prevedendo un raddoppio della capacità di raffinazione del sito di Taranto da 6.5 a 11 milioni di t/a, con conseguente aumento delle emissioni inquinanti, ma l'autorizzazione venne negata a causa delle criticità ambientali del sito di Taranto;
    i suddetti progetti del 2000 e del 2007 non sono stati autorizzati dagli enti competenti, progetti che rendevano necessario l'allungamento del pontile petroli. Non sono chiari pertanto i motivi che giustificano l'opposizione da parte dell'autorità portuale alla delibera comunale del 5 novembre 2014;
    ad esclusione del progetto «Tempa Rossa» a Taranto, non sembrano previsti altri ampliamenti della capacità di movimentazione e/o raffinazione del sito Eni di Taranto anche se nel progetto «Tempa Rossa» si fa riferimento, nello studio di impatto ambientale (SIA), alla movimentazione del greggio Val d'Agri che tramite l'oleodotto esistente già giunge nella raffineria di Taranto. Si legge infatti nello studio di impatto ambientale che: «Contemporaneamente il potenziamento sarà reso usufruibile per la movimentazione già esistente del greggio Val d'Agri al fine di migliorare e rendere più flessibile il sistema di export della Raffineria»;
    l'aggiornamento dello studio Sentieri del 2014, per quanto riguarda Taranto richiede l'applicazione del principio di precauzione in modo tale che «sia rafforzata l'attività di prevenzione rispetto ai rischi ambientali per la salute infantile, evitando esposizioni indebite dei bambini a inquinanti ambientali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se si possano adoperare per effettuare gli opportuni accertamenti sugli effettivi quantitativi di greggio oggi movimentato dalla Val d'Agri verso la raffineria di Taranto e destinati allo stoccaggio ed all’export verso altre raffinerie;
   se il prolungamento del pontile petroli di Eni a Taranto sia funzionale solo al progetto «Tempa Rossa» ovvero ad altri progetti che prevedono l'aumento della capacità di movimentazione del petrolio proveniente dal giacimento «Val D'Agri»;
   quali siano le motivazioni che hanno consentito in passato all'autorità portuale di Taranto, ovvero ad altri enti competenti, di inserire ugualmente il prolungamento del pontile petroli di Eni nel piano regolatore portuale, nonostante i progetti «Agip 2000» e «Taranto Plus», ai quali il pontile petroli era funzionale, non abbiano ricevuto parere positivo di compatibilità ambientale e quindi non abbiano comportato nessun ampliamento delle attività Eni;
   se sia legittimo inserire all'interno di un procedimento riguardante nello specifico il progetto «Tempa Rossa» anche riferimenti alla movimentazione del greggio Val D'Agri;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a fronte dell'aggiornamento dello studio Sentieri del 2014, intenda revocare la via rilasciata nel 2011 al progetto «Tempa Rossa» a Taranto. (4-07380)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e BRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
    la società A2A spa è la multiutility nata il 1° gennaio 2008 dalla fusione tra AEM spa Milano e ASM spa Brescia con l'apporto di Amsa ed Ecodeco, le due società ambientali acquisite dal Gruppo;
   il gruppo A2A al 31 dicembre 2013 deteneva il 71 per cento delle quote della società Edipower che risulta quindi una società soggetta all'attività di direzione e coordinamento di A2A spa;
   Edipower detiene, tra l'altro, una centrale termoelettrica situata nella zona industriale di Brindisi, ad est del centro cittadino, con potenza lorda in esercizio è attualmente di 640 megawatt, con due gruppi convenzionali in funzione, alimentati esclusivamente con carbone;
   la convenzione del 1996 integralmente recepita nel decreto del Presidente della Repubblica nell'aprile del 1998 che approvava il piano di risanamento dell'area a rischio di crisi ambientale, prescriveva la chiusura del primo e secondo gruppo alla fine del 2000, l'alimentazione a metano dei gruppi 3 e 4 dalla stessa data e fino alla chiusura dell'intero impianto alla fine del 2004, ma successivamente sono stati eseguiti provvedimenti governativi che prevedevano la variazione delle disposizioni impartite;
   la centrale termoelettrica di Edipower ha acquisito l'autorizzazione all'esercizio a seguito della pronuncia di compatibilità ambientale (VIA) rilasciata dal decreto ex DSA-DEC-2009-1634 del 12 novembre 2009, come successivamente integrata ed aggiornata dall'atto prot. DVA-2010-0028308 del 23 novembre 2010 e la stessa centrale ha ottenuto decreto di autorizzazione integrata ambientale (AIA prot. DVA-DEC-2012-0000434, entrato in vigore il 13 settembre 2012;
   il 4 ottobre 2013 è stata presentata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiesta da parte di Edipower spa di procedura coordinata per il rilascio di via-aia per cui attualmente la centrale termoelettrica di Brindisi, è composta di 4 gruppi termoelettrici da 320 MWe, alimentati a carbone, di cui due (BR1 e BR2) messi fuori servizio dal 2001. Il progetto prevede lo spegnimento e la messa in conservazione del gruppo 3 e la realizzazione di interventi sul gruppo 4 rendendo possibile la combustione contemporanea di carbone e CSS combustibile (rapporto co-combustione fino ad un massimo del 10 per cento in input termico);
   la stessa società nello studio di impatto ambientale ammette che «nell'attuale situazione del mercato dell'energia elettrica nonché dell'assetto impiantisco e di funzionamento della Centrale non rendono attuabile l'adeguamento della stessa alle prescrizioni di cui al punto 10.i del decreto AIA con le modalità previste dal progetto già destinatario di Decreto di compatibilità ambientale prot. DSA-DEC-2009-1634 del 12 novembre 2009, come modificato dal decreto prot. DVA-2010-0028308 del 23 novembre 2010», per cui aggiunge che «il Progetto di co-combustione del carbone con Combustibile Solido Secondario combustibile (di seguito “CSS Combustibile”) è pertanto proposto in alternativa allo scenario AIA 36 mesi economicamente non sostenibile nelle condizioni attuali del mercato dell'energia elettrica»;
   secondo le osservazioni della provincia di Brindisi depositate in data 15 gennaio 2014, le osservazioni di Lega Ambiente in data 21 gennaio 2014 e le osservazioni dell'Associazione salute pubblica in Brindisi in data 13 marzo 2014, effettuate durante la fase di consultazione della procedura sopraccitata si evince fra l'altro quanto segue:
    1)  in merito all'approvvigionamento dei CSS, il gestore non ha fornito indicazioni circa la quantità, la qualità e il bacino di provenienza e il sito di produzione di tale combustibile; inoltre il gestore non ha sviluppato alcuna considerazione in merito al Piano regionale dei rifiuti urbani approvato dalla regione con delibera di giunta regionale n. 959 del 13 maggio 2013 che è lo strumento di riferimento normativo per la produzione e l'utilizzo anche del CSS-combustibile; la regione prevede nel piano che tutti gli impianti di trattamento degli RSU e delle raccolte differenziate, siano dotati di trattamento a freddo, in grado di prevedere il quasi totale recupero della varie componenti limitando al solo 5 per cento il conferimento in discarica ed al 18 per cento il quantitativo non direttamente riciclabile. Per questa ultima componente non direttamente riciclabile e riferibile appunto al CSS, la regione ha ritenuto che questa possa ancora essere, con adeguati trattamenti, riciclabile e quindi con recupero di materia, non contemplando la possibilità di realizzare nuovi impianti pubblici dedicati al trattamento termico/combustione; inoltre si deduce che Edipower propone di portare in combustione a Brindisi un CSS-combustibile che è, nei contenuti di cloro e mercurio, qualitativamente peggiore rispetto a quello prodotto in Puglia negli impianti esistenti, il CSS-combustibile proposto da Edipower (classi 3,3,2) rappresenta il peggiore fra quelli producibili e quindi non risponde alle indicazioni del decreto 22 del 2013 ed a quelle stesse della normativa comunitaria che impongono l'uso di un «prodotto», di «alta qualità»;
    2) le evidenze di danno sanitario connesso alle emissioni industriali ed in particolare energetiche considerando anche che l'impianto risulta estremamente vicino agli abitati della Materdomini;
    3) i gruppi 1 e 2 sono fermi dal 2001 ed il decreto AIA del 7 agosto 2012 prescrive lo smantellamento di questi entro 36 mesi. A distanza di 17 mesi dal decreto autorizzativo AIA i lavori di demolizione non sono ancora stati avviati o, per meglio dire, non è stata avviata alcuna richiesta di autorizzazione ed Edipower annuncia l'intenzione di formulare tale richiesta nell'ambito dello Sia, ciò che, al di là delle dichiarazioni, testimonia ad avviso degli interroganti la volontà di rimettere l'attuazione della richiesta di autorizzazione della demolizione all'esito della procedura VIA in corso;
    4) il gruppo 3, così come il 4, per il quale si chiede l'autorizzazione del nuovo progetto, è attualmente fermo a causa della estrema criticità ambientale dell'intero ciclo produttivo (sono attualmente in corso il risanamento e la bonifica del vecchio carbonile su area di proprietà dell'Enel verso cui, come Edipower evidenzia, il carbone è trasportato con camion);
   il 25 marzo 2014 la A2A Ambiente, facente capo ad A2A Apa ha presentato alla provincia di Brindisi, al comune, all'ARPA, all'ASL, al Consorzio ASI ed al comando provinciale dei Vigili del fuoco: «Istanza di Valutazione di Impatto Ambientale e contestuali istanze di Autorizzazione saggistica e di Autorizzazione Unica alla realizzazione e all'esercizio di un impianto di trattamento di rifiuti speciali non pericolosi, sito nella zona industriale di Brindisi» finalizzato alla produzione di CSS ai sensi del decreto ministeriale 22 del 14 febbraio 2013 che, fatta salva la verifica qualitativa, è da portare in co-combustione nell'adiacente centrale a carbone;
   tuttavia, la società A2A non ha presentato richiesta di rilascio di autorizzazione integrata ambientale nonostante il decreto legislativo n. 46 del 2014 del 4 marzo 2014 (G.U. n. 72 del 27 marzo 2014) estenda, tramite modifica all'Allegato VIII della Parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativa alla VIA-VAS e AIA, le attività di autorizzazione integrata ambientale ad impianti che trattano rifiuti «non pericolosi» con capacità superiore a 75 tonnellate giornaliere, come quello del progetto di A2A, definendone i quantitativi giornalieri da trattare; quindi la richiesta del proponente non può essere limitata alla sola VIA, alla autorizzazione paesaggistica ed alla autorizzazione unica ambientale, ma deve prevedere anche l'autorizzazione integrata ambientale (AIA);
   i due proponenti, A2A ambiente e Edipower Spa, facenti capo ad un unico gruppo imprenditoriale, A2A SpA, presentano due differenti progetti, il primo – riguardante la centrare termoelettrica per bruciare CSS – al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il secondo – riguardante l'impianto di trasformazione dei rifiuti in CSS – alla provincia giustificando e facendo riferimento nel secondo progetto ad un procedimento ancora in corso – il primo – senza il quale il secondo progetto non avrebbe senso di esistere, per cui a detta dell'interrogante, sarebbe stato opportuno presentare un unico procedimento che prevedesse gli impatti ambientali complessivi derivanti dall'unico progetto imprenditoriale così come previsto in questi casi ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e ribadito in diverse sentenze del TAR;
   secondo i dati Terna, nel 2013 la regione Puglia ha prodotto 35.431,3 GWh di energia elettrica netta (37.381,7 GWh lorda) destinata al consumo di cui 27.903 GWh prodotta dalle 75 centrali termoelettriche tradizionali presenti nel territorio regionale, 3.883 GWh prodotta dai 475 impianti di eolico, 3.640,5 GWh prodotta dai 38.951 impianti di fotovoltaico;
   secondo i dati Terna, il consumo di energia elettrica nel 2013 in Puglia è stato di 18.961,2 GWh con consumo pro capite per abitante di 4.188 kWh, con un «Supero» della produzione rispetto alla richiesta di 16.470,1 GWh quindi l'86,9 per cento della produzione di energia elettrica prodotta in più rispetto alla richiesta;
   la significativa riduzione della domanda di energia causata dalla crisi economica e il forte aumento della produzione da fonti rinnovabili, aventi priorità di dispacciamento rispetto agli impianti termoelettrici che operano sul mercato dell'energia elettrica, hanno determinato una drastica riduzione delle ore di funzionamento della centrale Edipower di Brindisi;
   il territorio di Brindisi è stato considerato come area ad alto rischio di crisi ambientale per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico ed in particolare il luogo in cui è compresa l'area industriale in questione;
   la legge n. 426 del 1998 ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e articolo 15 del decreto ministeriale Ambiente n. 471 del 1999, dichiara Brindisi sito interesse nazionale da bonificare per l'elevato inquinamento già prodotto dalle attività industriali a conferma della crisi ambientale correlata da dati sanitari allarmanti della popolazione;
   nello studio di impatto ambientale proposto al Ministero vi è inoltre riportato che con la modifica richiesta, il rendimento, inteso come efficienza energetica della centrale passerebbe dal 33,4 per cento al 35,1 per cento e quindi sarebbe ben lontano dall'efficienza energetica del 65 per cento prevista dalla direttiva europea 98/2008 recepita dall'ordinamento italiano per catalogare l'attività di combustione come recupero energetico per cui, a detta dell'interrogante, l'attività della centrale termoelettrica di Brindisi sarebbe catalogata, al pari di una qualsiasi discarica, come smaltimento. Inoltre, l'impianto non  essendo un impianto di recupero energetico, non rientrerebbe tra gli impianti previsti dall'articolo 35, comma 6, del decreto-legge n. 133 del 2014 che prevede per i soli impianti di recupero energetico la non sussistenza dei vincoli di bacino al trattamento dei rifiuti urbani, rendendo tale impianto inidoneo ad accogliere materiale proveniente da fuori regione;
   a detta dell'interrogante vi è forte contrasto con le previsioni del piano regionale dei rifiuti urbani e la richiesta di Edipower di portare in combustione il CSS-combustibile e ciò anche in virtù di quanto proposto nella istanza presentata alla provincia in merito alla realizzazione di un apposito impianto adiacente alla centrale dalla centrale, destinato alla produzione del CSS-combustibile –:
   se il Governo intenda dare parere negativo nella procedura di valutazione di impatto ambientale di propria competenza per tutto ciò che è espresso in premessa;
   se siano state rispettate le prescrizioni impartite dal decreto AIA del 7 agosto 2012, per la centrale termoelettrica;
   se il Governo intenda verificare lo stato degli impianti dismessi, la loro messa in sicurezza e disporre l'avvio, realmente «separato», delle procedure autorizzative dei lavori di smantellamento, anche in considerazione degli impegni assunti da Edipower all'atto della stipula dell'accordo di programma finalizzato alla bonifica del sito dimesso, nell'ambito del SIN di Brindisi i cui proventi sono già stati incassati dallo stesso Ministero;
   quale sia lo stato di avanzamento della caratterizzazione, della messa in sicurezza e della bonifica nel SIN di Brindisi e quali iniziative intenda adottare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per attuare il prima possibile le bonifiche. (4-07385)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio umbro insistono sei discariche e l'Arpa ha recentemente diffuso i dati relativi al monitoraggio dell'anno 2014, evidenziando uno stato di salute carente per le aree che risiedono intorno ai siti;
   lo studio dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente riporta dati preoccupanti, anche a fronte del fatto che la regione Umbria ha recentemente stanziato 9 milioni di euro da Fondi Fas da ripartire tra gli Ati (ambiti territoriali integrati) umbri proprio per lo sviluppo e il potenziamento dell'impiantistica di trattamento e recupero dei rifiuti urbani, ma evidentemente al momento i lavori di miglioramento non sono ancora stati effettuati, né, in alcuni casi, esistono i progetti;
   in particolare, nella discarica di Belladanza gli esami hanno confermato «la presenza di composti organici aromatici ed alifatici clorurati nelle acque sotterranee sia nei pozzi a monte che in quelli a valle della discarica», confermando le problematiche rilevate negli anni precedenti; nel corso dell'anno è stata inoltre rilevata «la presenza di ferro, zinco e manganese nelle acque di ruscellamento»;
   i controlli effettuati nella prima metà del 2013 «hanno confermato il peggioramento di alcuni parametri nel monitoraggio delle emissioni diffuse, nonché, per la terza volta in quattro anni, un superamento dei livelli di guardia del parametro cromo»;
   non godono di migliore situazione le discariche di Borgogiglione, Colognola, Le Crete, Pietramelina e Sant'Orsola;
   da diversi anni si parla di un progetto per l'ampliamento della discarica di Belladanza, già raddoppiata rispetto alle dimensioni originali, che dovrebbe comprendere la realizzazione di un'intera zona industriale per il trattamento rifiuti, posta a mezza collina in una zona a forte impatto paesaggistico ed ambientale, in particolare un'impiantistica di pretrattamento dei rifiuti urbani indifferenziati e un biodigestore da ubicare sopra la vecchia discarica comunale che, secondo legge, dovrebbe essere riambientata e ripiantumata;
   diversi comitati cittadini ritengono questo nuovo progetto «inutile, perché non garantisce nessuna autonomia, tecnologicamente obsoleto, perché mentre l'Europa multa l'Italia per la presenza di discariche inquinanti noi raddoppiamo Belladanza già molto inquinata e progettiamo impianti già vecchi in zone a forte impatto paesaggistico ed ambientale con costi esagerati che ricadranno direttamente nelle bollette già salate e scellerato, perché nuovamente non si pensa affatto alla salute della popolazione»;
   alla luce di quanto affermato in premessa, appare evidente che la bonifica o comunque il contenimento del sito di Belladanza, siano la soluzione migliore per la gestione del sito, anche considerando che la stessa regione Umbria lo ha classificato quale sito inquinato che necessita di interventi di bonifica –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, relativamente alla discarica di Belladanza, non ritenga opportuno, per quanto di propria competenza, procedere al monitoraggio del sito da parte dei NOE, affinché siano riscontrate le problematiche lamentate da cittadini e comitati, che potrebbero peggiorare con l'eventuale ampliamento previsto. (4-07401)


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della laguna di Grado e Marano è localizzato in Italia nel mare Adriatico in Friuli Venezia Giulia, a breve distanza dalla Repubblica di Slovenia. Si tratta di un'area di circa 160 chilometri quadrati di superficie d'acqua con poca profondità, con aree in emersione perenne (barene) e aree in emersione in bassa marea (piane di marea), interessata da importanti utilità di carattere economico, riguardanti da tempo le attività della pesca, esercitate dalle comunità locali, e della navigazione, di traffici portuali e di diportismo sviluppatisi intensamente negli ultimi cinquant'anni;
   la laguna di Grado e Marano presenta notevoli pregi naturalistici ed ambientali: essa, infatti, è tutelata quale SIC (sito di interesse comunitario) e ZPS (zona di protezione speciale) ai sensi delle direttiva comunitarie 92/43/CEE «Habitat» e della 79/409/CEE «Uccelli» ed è tutelata anche quale zona umida ai sensi della Convenzione di «Ramsar»;
   come risulta da ampia documentazione scientifica questo areale marino-costiero è conosciuto come ecosistema contaminato da mercurio (Hg): metallo pesante e riconosciuta sostanza pericolosa prioritaria, il cui interesse è noto, in particolare, per la significativa neurotossicità della forma organica metilmercurio e per le proprietà di bioaccumulo e biomagnificazione lungo l'intera catena trofica sino all'uomo;
   i valori riscontrati di mercurio in loco nel biota e nei sedimenti sono ben superiori a quelli del fondo naturale e a quello dello standard di qualità ambientale indicato dalla Comunità europea e recepito dall'Italia;
   nella parte di Grado, soprattutto, il fenomeno è stato determinato dall'apporto prodotto dal dilavamento di materiale minerale residuo dalla coltivazione condotta per secoli nella miniera di Idrijca, in Slovenia, oggi dismessa;
   il trasporto dei residui di lavorazione è avvenuto, e avviene tuttora, tramite il deflusso del torrente Idrijca nel fiume Isonzo, che scarica i sedimenti nel Golfo di Trieste: essi entrano poi in Laguna per l'azione delle correnti di marea;
   nella parte di Marano si sono sovrapposti ulteriori effetti di inquinamento: il fenomeno in questione risale a metà del secolo scorso, alimentato sino a circa trent'anni orsono, causa degli scarichi industriali, in un corso d'acqua collegato con la Laguna, da reflui contenenti mercurio, provenienti da uno stabilimento di produzione di cellulosa presente nell'immediato entroterra in comune di Torviscosa;
   tali fenomeni di contaminazione sono stati posti all'attenzione delle valutazioni di organi di competenza sanitaria già a partire dai primi anni settanta: essi hanno accertato il coinvolgimento delle catene trofiche lagunari, anche con possibili riscontri a livello umano, come accertato in passato e anche recentemente in campioni di soggetti esposti delle comunità locali, sottoposti a controllo epidemiologico;
   da tempo, è forte la preoccupazione per la salute per le manifestazioni che alimenti contaminati da mercurio, e in particolare il pesce, possono provocare in generale e, in particolare, nei soggetti più vulnerabili. Vanno rilevati al riguardo gli effetti da assunzione di alimenti che, anche a livello comunitario, hanno indotto l'Agenzia per la Sicurezza Alimentare EFSA a inizio 2013 ad indicare di diminuire il valore delle dosi settimanali tollerabili delle principali forme di mercurio negli alimenti, metilmercurio e mercurio inorganico, precedentemente stabilito dal comitato misto di esperti Fao/Oms sugli additivi alimentari. Il valore tollerato che fino al 2003 era di 3,3 microgrammi per chilogrammi di peso corporeo umano è passato nel 2004 a 1,6 e nel 2013 a 1,3, con una ulteriore diminuzione del 20 per cento e una diminuzione complessiva in dieci anni di circa il 60 per cento;
   anche a fronte di tali indicazioni restano comunque particolarmente esposte le donne in gravidanza e i bambini per i quali sono necessarie raccomandazioni, formali e aggiornate, e controlli frequenti;
   con riguardo alla presenza di concentrazioni di mercurio, sostanza pericolosa prioritaria, nei sedimenti della Laguna di Grado e Marano il presidente della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia ha affermato in sintesi:
    «... superare i problemi ambientali evidenziatisi nell'area della laguna... poiché sussiste... un pericolo concreto di ulteriore accumulo di sostanze inquinanti nei sedimenti anche nelle parti della laguna non ricomprese nel sito di interesse nazionale»;
    «È pertanto necessario pianificare, progettare, realizzare opere di dragaggio...»;
    «si chiede inoltre, di assicurare il supporto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché gli interventi siano progettati e realizzati con la necessaria attenzione all'ecosistema lagunare, assicurando le adeguate compensazioni ambientali»;
    «Come è noto, infatti la laguna di Grado e Marano rappresenta un ambiente di straordinaria valenza naturalistica...»;
   tra le strategie comunitarie per l'ambiente marino risulta prevalente quella che consiglia di prevenire e di ridurre gli apporti nell'ambiente marino, nell'ottica di eliminare progressivamente l'inquinamento;
   l'inquinamento è definito anche come introduzione diretta o indiretta, conseguente ad attività umane, di sostanze che provocano e possono provocare effetti deleteri come danni alle risorse biologiche e agli ecosistemi e pericoli per la salute umana; l'inquinamento stesso risulta provocato e alimentato dai materiali oggetto di trasporto solido quali sopra indicati;
   ad oggi la gestione di tale territorio è, ancora e da tempo, priva del piano di gestione del SIC Laguna di Grado e Marano, previsto dalla direttiva habitat per i siti della rete di Natura 2000, e del Piano di Tutela delle Acque, previsto dal decreto legislativo n. 152 del 1999 e dalla Direttiva Comunitaria 2000/60/CE appena in fase di adozione e per il quale il termine di approvazione risulta scaduto il 31 dicembre 2008 (entrambi non ancora approvati dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia);
   ad oggi sono realizzati interventi di dragaggio di sedimenti lagunari inquinati da mercurio, (ricordiamo: sostanza pericolosa prioritaria), con loro conferimento in acque lagunari e marine senza alcuna precauzione di tipo ambientale e sanitario, scientifica e permanente. Tali interventi avvengono in assenza di alcun trattamento fisico-chimico di trattamento dell'inquinante e nemmeno delle soluzioni di contenimento dei sedimenti inquinati in casse di colmata come avveniva sino ad alcuni anni orsono;
   non sono stati eseguiti interventi di risanamento ambientale nei due siti di origine dei fenomeni di inquinamento e nei loro immediati intorni;
   non sono stati eseguiti interventi sui sedimenti inquinati nella parte lagunare già inserita all'interno del Sito inquinato nazionale della laguna di Grado e Marano, contrariamente a quanto previsto dal piano regionale delle bonifiche dei siti inquinati del Friuli Venezia Giulia, con il risultato che ampia parte della laguna non è stata restituita agli usi legittimi e risulta vincolata;
   devono essere perseguiti gli obiettivi ambientali della direttiva 2000/60/CE che prevedono che gli stati membri proteggano, migliorino e ripristinino tutti i corpi idrici superficiali entro 15 anni dall'entrata in vigore della stessa Direttiva (2015) e che nel caso in questione la laguna di Grado e Marano venga salvaguardata come area protetta insieme al suo habitat ed alle specie presenti;
   devono essere garantiti i diritti e gli interessi delle comunità di pescatori locali che subiscono da anni un enorme per non poter operare estesamente in laguna causa il conosciuto fenomeno di inquinamento da mercurio;
   devono essere garantiti, altresì, anche i diritti e gli interessi degli operatori e dei fruitori dei traffici e servizi portuali e della nautica da diporto, comunitari e non, con regolari attività di dragaggio dei canali lagunari, anche in considerazione delle importanti ricadute che queste attività hanno per l'economia locale;
   sembra che siano e rilevabili e in atto gravi inadempienze e violazioni alle norme di diritto dell'Unione europea, in particolare riguardo all'assenza completa di iniziative e interventi ai sensi della Direttiva 2008/105/CE, come recepita in Italia dal decreto legislativa n. 219 del 2010. Tale Direttiva sottolinea infatti espressamente la gravità del problema dell'accumulo delle sostanze pericolose prioritarie, (tra cui il mercurio negli ecosistemi e la perdita di habitat e di biodiversità, animale e vegetale), per cui ha definito standard di qualità ambientale che per sedimenti e biota della Laguna di Grado e Marano sono generalmente superati per valori significativi;
   deve essere verificato il rispetto dei principi della politica comunitaria nell'interesse della sussistenza delle garanzie ambientali e sanitarie dell'ambiente acquatico per le comunità locali di Grado e Marano e anche per gli altri fruitori;
   sembra che vi siano dei ritardi della regione Friuli Venezia Giulia per ottenere il completamento e l'approvazione dei Piani di Tutela delle Acque del Friuli Venezia Giulia e del piano di gestione della Laguna di Grado e Marano;
   la mancata attivazione degli interventi di trattamento dei sedimenti lagunari inquinati e la mancata rimozione dei vincoli all'uso legittimo di ampia parte dell'area lagunare hanno comportato danni economici alle comunità locali di Grado e Marano lagunare;
   anche la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nella Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia, non ha fatto mancare i suoi rilievi sulla forte contaminazione industriale dell'ambiente acquatico di Grado e di Marano –:
   se, con riferimento al mancato adeguamento alle disposizioni dell'Unione europea in tema di gestione dei siti di interesse comunitario e delle zone di protezione speciale, il Governo intenda intervenire ed in che modo, anche al fine di evitare l'apertura di procedure d'infrazione da parte dell'Unione europea;
   se, con riguardo alle operazioni di dragaggio, proprio per la rilevanza delle operazioni prodotte, non si siano verificati danni ambientale;
   se il Governo non intenda rivedere il decreto ministeriale del Ministro dell'ambiente del 2012 con il quale è stato riperimetrato il sito di bonifica di interesse nazionale di laguna di Grado e Marano.
(4-07403)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese vanta uno dei patrimoni artistici, architettonici e culturali più estesi e di pregio al mondo, sebbene spesso tanta ricchezza non venga valorizzata né tanto meno tutelata nella giusta maniera;
   da fonti stampa si apprende che in data 4 novembre 2014 comune di Castrignano dei Greci ha diffuso un progetto di presunta riqualificazione urbana per un'area pedonale, e ha avviato le fasi iniziali dei lavori preparatori volti alla demolizione di un palazzo storico in stile liberty e pietra leccese sito nel centro storico di Castrignano dei Greci che ospitava il vecchio cinema cittadino, chiamato anche da alcuni cittadini «il palazzo della cultura» per sottolinearne il valore;
   dalle medesime fonti stampa si comprende come, il palazzo in questione, dovrebbe essere demolito per valorizzare il prospetto del Castello De Gualtieris e la demolizione farebbe parte del progetto Rigenera Castrignano che, come si legge dal cartellone pubblicitario posto nell'aerea interessata, «consiste nella riqualificazione dell'area antistante il Castello De Gualtieris attraverso la demolizione di due immobili siti in via Umberto I, all'epoca costruiti quasi in aderenza al Castello e che di fatto ne hanno sempre impedito la visuale al cui posto sarà realizzata una piazza pedonale in basoli di Apricena, basolatura che proseguirà lungo tutta la via Umberto I»;
   sempre da fonti stampa si apprende che il «Coordinamento Civico apartitico per la Tutela del Territorio e della Salute del Cittadino», rete d'azione apartitica coordinativa di associazioni, comitati e movimenti locali e non, ambientalisti, culturali e socio-assistenziali, e il «Forum Ambiente e Salute del Grande Salento», rete apartitica coordinativa di movimenti, comitati ed associazioni a difesa del territorio e della salute delle persone hanno redatto un dossier inviato alla regione Puglia e Ministeri competenti tra i quali quello destinatario del presente atto;
   la regione Puglia settore «Aree politiche per la mobilità e qualità urbana – servizio assetto del territorio», con lettera p.e.c. posta certificata, in data 5 novembre 2014, ha chiesto al Comune di Castrignano dei Greci, in via cautelativa, in regime di tutela, di sospendere i lavori di demolizione dell'immobile e ha convocato un incontro per il giorno 12 novembre, ore 10, presso la sede del servizio assetto del territorio;
   nel cartellone pubblicitario di cantiere dove si illustra il progetto di abbattimento si accenna al fatto che avrebbe ospitato la sede di un'associazione di tifoseria sportiva, in affitto per anni, e non invece le sue originarie e molteplici funzioni;
   da fonti stampa si apprende che, al posto del suddetto palazzo, il progetto prevedeva la realizzazione di una spianata basolata con pietra di Apricena, pertanto neanche una pietra locale;
   dalle medesime fonti stampa si apprende che trattandosi di un vecchio cinema potrebbero persino esservi all'interno suppellettili di notevole interesse museale. Ad avviso dell'interrogante, un loro recupero sarebbe opportuno poiché si tratterebbe di un patrimonio appartenente a tutti i cittadini, soprattutto ora che l'edificio è passato al patrimonio pubblico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del dossier inviato dal coordinamento civico apartitico per la tutela del territorio e della salute del cittadino dal Forum ambiente e salute del Grande Salento e se non ritenga opportuno agire con la massima rapidità per salvare quello che è stato battezzato ormai come il «Palazzo della cultura di Castrignano dei Greci» soprattutto per la estrema valenza del suo progetto architettonico dalle suggestioni neo-classiche, la grande rilevanza dei ricchi decori liberty, e del complessivo respiro di art nouveau in un edificio interamente realizzato e cesellato nella preziosa e ormai sempre più rara «pietra leccese». (5-04358)


   PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   al fine di promuovere la realizzazione di circuiti nazionali di eccellenza a sostegno dell'offerta turistica e del sistema Italia e accelerare il rilascio da parte delle amministrazioni competenti dei relativi permessi, nulla osta, autorizzazioni, licenze e atti di assenso comunque denominati – il comma 2 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014 noto come «decreto Cultura», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 29 luglio 2014 e relativo a disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo – stabilisce che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in qualità di amministrazione procedente, convoca delle apposite conferenze di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni;
   per le medesime finalità di cui al comma 2 del sopracitato articolo 11, nonché per favorire la realizzazione di percorsi pedonali, ciclabili, equestri, mototuristici, fluviali e ferroviari, il comma 3 dell'articolo 11 del menzionato decreto-legge stabilisce che le case cantoniere, i caselli e le stazioni ferroviarie o marittime, le fortificazioni, i fari e altri immobili pubblici non utilizzati o non utilizzabili a scopi istituzionali, possono essere concessi in uso gratuito per un massimo di nove anni – rinnovabili per altri nove anni – a imprese, cooperative e associazioni – costituite in prevalenza da soggetti fino a 40 anni – con oneri di manutenzione straordinaria a carico del concessionario;
   durante l'esame del provvedimento, sarebbe stato opportuno l'inserimento della previsione di un periodo sperimentale per le disposizioni summenzionate, oltre alla esplicitazione di un termine temporale certo entro il quale le amministrazioni competenti avrebbero dovuto stabilire «le procedure concessorie nel rispetto dei principi di pubblicità, economicità, trasparenza, sostenibilità ambientale, efficienza energetica e valutazione dell'opportunità turistica»;
   la norma attualmente in vigore non prevede nessun termine per l'applicazione delle disposizioni previste dal summenzionato comma 3, circostanza che rischia di rendere vano il contenuto a danno dell'intero reparto turistico –:
   quanti e quali conferenze di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni siano state promosse in attuazione di quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 83 del 2014;
   se siano state avviate le procedure ad evidenza pubblica per rendere operative le disposizioni di cui al comma 3 del summenzionato articolo 11 e, in caso contrario, quando s'intenda sanare questa mancanza che reca un serio pregiudizio alle politiche volte alla promozione del turismo. (5-04366)


   TURCO, ROSTELLATO, COZZOLINO, BRUGNEROTTO, BECHIS, CHIMIENTI, MUCCI, RIZZETTO e COMINARDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   alcuni organi di stampa locale riportano una notizia sulla fondazione Arena di Verona, che gestisce le rappresentazioni liriche dell'antico anfiteatro «Arena» e del Teatro Filarmonico, secondo la quale questo ente avrebbe intenzione di assumere o incaricare un nuovo maestro del coro;
   tale fatto è stato oggetto di richieste di informazioni da parte di alcuni consiglieri comunali di Verona alle cui domande non sono seguite, tuttavia, risposte concrete e puntuali, da parte del sovrintendente;
   tali richieste evidenziavano la circostanza che l'ente lirico ha già nel suo organico un maestro del coro di notevole levatura, Andrea Cristofolini, vincitore di regolare concorso e musicista straordinario, che svolge il suo incarico con elevata qualità professionale, riconosciuta da critici musicali quali Cesare Galla che ne tesse gli elogi sul quotidiano L'Arena di Verona del 23 ottobre 2011 per la rappresentazione della «Creazione» di Haydn e vanta al suo attivo una memorabile edizione del «Rosamunde» di Schubert con i musicisti diretti da Cristofolini stesso, per citare alcuni esempi;
   appare, quindi, quanto mai, singolare che la fondazione Arena di Verona, quando già può contare su di una risorsa di provata esperienza ed eccellente qualità professionale, ritenga di voler incaricare un ulteriore maestro del coro, attingendo da risorse esterne alla struttura dell'ente, soprattutto in un momento come questo, nel quale l'attività della pubblica amministrazione dovrebbe essere improntata al massimo risparmio di spesa assumendo un comportamento virtuoso di taglio dei costi con invarianza dei servizi ai cittadini come, tra l'altro, imposto dal decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
   com’è noto la norma contenuta all'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012 vieta alle pubbliche amministrazioni di «attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza» –:
   se sia a conoscenza della situazione prospettata;
   quali siano i criteri d'opportunità amministrativa seguiti, ovvero le esigenze tecniche riscontrate, tali da giustificare la determinazione di assumere ovvero incaricare necessariamente un ulteriore maestro del coro presso la fondazione Arena di Verona;
   se ritenga che in questo caso siano state rispettate le disposizioni del decreto-legge n. 95 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
   se disponga di dati aggiornati relativamente a quanti siano i consulenti all'interno di fondazione Arena di Verona, quale essenziale incarico svolgano e con quale remunerazione annua, e se eventualmente si riscontrino soggetti che ricadano nelle prescrizioni di cui all'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012;
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali alla fondazione Arena di Verona ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza. (5-04371)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA e ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, tra i tanti monumenti che ricordano i fasti antichi, esiste, nei pressi della stazione Termini, il Museo nazionale romano delle Terme di Diocleziano;
   già solo passando accanto si nota a vista uno stato generale di degrado e di abbandono, ma da notizie stampa si apprende che le condizioni dello stato generale degli ingressi e delle aree antistanti il museo sono particolarmente critiche;
   l'ingresso su viale Enrico De Nicola, al limite del piazzale della stazione Termini, è malfrequentato, poco illuminato, privo di segnalazioni esterne, inoltre risulta seminascosto da alti lecci che sono anch'essi in cattivo stato;
   le Terme, che sono le più grandi e meglio conservate dell'impero romano, con un museo straordinario di epigrafia e protostoria, aule con enormi sepolcri integri e il porticato interno rinascimentale vengono soffocati dall'allineamento di bancarelle fisse che vendono di tutto; sullo stesso marciapiede, che pure è zona sottoposta a vincolo, ci sono ben tre edicole, un bar e due rivendite che espongono borse, souvenir e altro; presumibilmente le bancarelle e le edicole sono là più per la vicinanza con la stazione Termini che per la poco nota presenza di un monumento di tale valore;
   benché, si apprende da fonti giornalistiche, sia stato interessato il comune di Roma, non si riescono a individuare le soluzioni per migliorare l'area circostante, in alcuni tratti sporca e in condizioni indecenti e per valorizzare un monumento e un museo che potrebbe aumentare il valore artistico culturale della zona facilitato dal fatto che la vicinanza con due linee metropolitane e la stazione Termini lo rendano uno dei luoghi culturali più facilmente raggiungibili coi mezzi pubblici –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro per garantire le condizioni minime di decenza dell'area limitrofa al monumento e se non si ritenga opportuno promuovere intese con il Comune di Roma, anche attraverso l'intervento dell'ufficio territoriale del Governo, al fine di trovare collocazioni alternative per le bancarelle e per le edicole e per attuare un intervento straordinario di pulizia e riqualificazione urbana per salvaguardare il monumento e il suo decoro.
(4-07377)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della difesa, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   come si evince da numerosi articoli di stampa nazionale e locale, lo stabilimento Alenia Aermacchi-Cameri-Finmeccanica spa di Cameri (Novara) è stato scelto come polo di manutenzione per tutti i velivoli F-35 operanti in Europa. La notizia è stata diffusa direttamente pochi giorni fa dal Ministro della difesa, Roberta Pinotti e dall'ambasciatore americano John Philips a Roma. «Tra i molti Paesi è stata scelta l'Italia come polo di manutenzione per tutti gli F-35 che voleranno in Europa. Sia quelli acquistati dai Paesi europei che quelli americani che voleranno qui», ha precisato, in particolare, il Ministro della Difesa sottolineando il «risultato straordinario» per lo stabilimento di Cameri dove tutto questo significherebbe «lavoro, tecnologia e ricadute positive per l'indotto». Il riconoscimento del sito di Cameri quale unica struttura in Europa per le attività di logistica e manutenzione ad alto contenuto tecnologico degli F-35, ad avviso dell'amministratore delegato e direttore generale della società, Mauro Moretti, «rappresenta un'ulteriore conferma dei livelli di eccellenza di Finmeccanica in campo aeronautico» che ha auspicato i coinvolgimento di Finmeccanica anche su altre componenti di qualità dell'aereo, come l'avionica e l'elettronica;
   in data 15 dicembre 2014 FIOM-CGIL Torino, alla luce di tale notizia, ha diffuso un comunicato dal quale si evince, con tutta evidenza, come la commessa in questione non diminuisca affatto le preoccupazioni da parte dei lavoratori in relazione al mantenimento degli attuali livelli produttivi e occupazionali per il settore aeronauti nell'ambito dell'intero territorio piemontese;
   gli attuali livelli occupazionali di Alenia Aermacchi in Piemonte corrispondono a 1173 dipendenti presso lo stabilimento di Torino, 1958 dipendenti presso lo stabilimento di Caselle, di cui 250 settimanalmente in trasferta a Cameri (da Torino e Caselle) e, infine, 180 dipendenti presso lo stabilimento di Cameri;
   da quanto precede discende come per i due siti maggiori della regione Piemonte (e segnatamente quelli di Torino e Caselle) l'acquisizione della commessa relativa agli F35 potrebbe non comportare alcun beneficio, ma anzi rivelarsi controproducente se non addirittura un vero e proprio «boomerang» rispetto ai risultati auspicati, dal momento che, per quanto risulta all'interpellante, i lavoratori non sembrerebbero stati coinvolti sin dal principio nelle funzioni di progettazione, disegnazione e condivisione nella fattibilità del progetto e della redazione di manualistica: il che significa, in buona sostanza, che non esistono grandi possibilità di partecipare ad attività manutentive e di revisione di velivoli;
   le attività e le commesse su cui attualmente risultano impegnati i lavoratori torinesi, ad esempio, sembrerebbero essere altre e, in ogni caso, su queste Alenia Aermacchi non ha fornito sino ad oggi prospettive di sviluppo che vadano oltre la fine del 2016 per Caselle e la fine 2015 per Torino. In tale situazione, quindi, già dal 2016 nello stabilimento di Torino potrebbero presentarsi i primi rischi di sofferenza sul piano occupazionale visto che, attualmente, entrambi gli stabilimenti di Torino e Caselle si occupano di commesse legate principalmente alla progettazione e alla produzione di Eurofighter (l'attuale caccia di concezione e produzione del consorzio europeo, al cui progetto partecipano Germania, Regno Unito, Spagna e Italia), oltre che alla partecipazione a progetti di velivoli senza pilota e a varie attività di ricerca, alla realizzazione del C27J (velivolo militare da trasporto e controllo del territorio), alle revisioni dei Tornado e alla costruzione dei Falcon;
   la previsione fatta dal nostro Paese di dotarsi per il futuro di caccia di progettazione e produzione Americana (F35), dal punto di vista della politica industriale del nostro Paese prelude ad un grave ridimensionamento del settore aerospaziale legato alla difesa;
   con tale scelta, ad avviso dell'interpellante, potrebbero non esservi ricadute positive in termini di incremento dello sviluppo industriale per tutta la progettazione presente nello stabilimento di Torino, ma neanche per quello di Caselle, in quanto le produzioni dei sottogruppi degli F35 ricadranno esclusivamente sullo stabilimento di Cameri;
   il timore è che la nuova commessa relativa agli F35 possa andare nella direzione di distrarre investimenti, tagliare competenze e capacità produttive all'attuale filiera italiana legata all'aeronautica militare, configurandosi come un mero tentativo di affossare tutte le collaborazioni europee sinora sviluppatesi con i programmi Tornado e Eurofighter, in controtendenza rispetto all'esigenza di rafforzare, un settore industriale strategico per qualsiasi Paese che voglia mantenere un livello di eccellenza nel settore difesa e nelle produzioni tecnologicamente avanzate;
   come noto, la fortissima preoccupazione dei lavoratori è stata portata alla ribalta dell'opinione pubblica durante la manifestazione del 24 novembre 2014, giornata in cui i dipendenti delle aziende torinesi del gruppo Finmeccanica si sono recati nel centro della città di Torino, ottenendo un incontro, per il tramite della rappresentanza sindacale, direttamente con il Presidente della regione Piemonte Sergio Chiamparino che, a sua volta, si è impegnato ad interagire sia con i vertici di Finmeccanica sia con i rappresentanti del Governo, affinché vengano mantenuti gli attuali livelli occupazionali e produttivi degli stabilimenti sopra citati;
   del resto, l'enfasi data, da parte dal Governo ad una commessa già nota da diversi anni in quanto citata negli accordi del 2011 sulla riorganizzazione di Alenia Aermacchi, potrebbe celare di fatto l'evidente incapacità dello stesso di promuovere e attuare una politica pubblica di programmazione industriale basata su investimenti mirati che sviluppino commesse e programmi di know-how italiano proprietà attraverso alleanze con altri Paesi europei che consentirebbero senza alcun dubbio una maggiore redditività, nonché il mantenimento e la valorizzazione delle competenze ed eccellenze nazionali;
   nell'ambito dell'industria ad alta tecnologia ruolo preminente hanno i comparti dell'aerospazio e dell'elettronica professionale, che sono in tutti i Paesi considerati strategici anche ai fini della crescita del sistema economico, in quanto costituiscono un concreto asset di nuove tecnologie di prodotto e di processo. Tali tecnologie, oltre ad essere suscettibili di impieghi duali al servizio della difesa, della sicurezza e del soddisfacimento di esigenze prioritarie della comunità, sono in molti casi oggetto di trasferimenti di tecnologie a vantaggio di altri settori dell'industria e dell'economia generando una preziosa fertilizzazione nel sistema;
   in Italia, infatti, le industrie dell'aerospazio e dell'elettronica high-tech rappresentano una realtà primaria nel settore delle alte tecnologie con un consistente patrimonio di tecnologie strategiche e con capacità di ricerca e di produzione adeguate;
   la legge di stabilità 2015 autorizza la spesa di 60 milioni di euro per l'anno 2016 e di 170 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 per la partecipazione italiana ai programmi dell'Agenzia spaziale europea e per i programmi spaziali nazionali di rilevanza strategica. Risorse del tutto risibili a fronte di quelle ragionevolmente necessarie per il rilancio della politica industriale nel settore dell'aerospazio;
   si osserva, poi, che sempre con riferimento alla legge di stabilità 2015 è prevista nel bilancio a legislazione vigente una consistente riduzione del capitolo 8000 (Fondo per lo sviluppo e la coesione, nuova denominazione del Fondo per le aree sottoutilizzate — FAS), con una dotazione di competenza di 6.611,1 milioni di euro per il 2015, 2.185,2 milioni per il 2016 e 981,7 nel 2017. A tal proposito l'andamento fortemente decrescente nel tempo del Fondo per lo sviluppo e la coesione è un elemento che merita un approfondimento. Infatti, considerato che un nuovo ciclo di programmazione di fondi europei è iniziato nel 2014 e termina nel 2020, il basso profilo di stanziamenti nel 2016 e, ancor di più, nel 2017 – se non giustificato da un'allocazione di risorse in altre voci di bilancio – sembrerebbe segnalare il rischio che anche questa volta l'assorbimento dei fondi strutturali all'inizio del ciclo di programmazione sarà molto basso con la conseguenza di dover poi assorbire la gran parte dei fondi negli ultimi anni del settennato per evitare di perdere le risorse destinate al Paese;
   Finmeccanica è il primo gruppo industriale italiano nel settore dell'alta tecnologia e tra i primi player mondiali in difesa, aerospazio e sicurezza, il cui maggiore azionista è rappresentato dal Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quali iniziative urgenti il Governo, nella sua qualità di azionista di maggioranza di Finmeccanica intenda assumere affinché venga data piena evidenza e trasparenza sulle prospettive di sviluppo industriale degli stabilimenti di Torino e Caselle la cui situazione produttiva e occupazionale, come già esposto in premessa, non potrà essere ovviamente legata alla sola citata commessa relativa alla revisione di velivoli F35;
   quali concrete iniziative il Governo intenda assumere per rafforzare anche attraverso l'impiego efficiente dei fondi strutturali, le misure di sostegno ai programmi nazionali di ricerca nel settore dello spazio e dell'aerospazio, in considerazione dell'elevato interesse a conservare un posizionamento competitivo dell'industria italiana nel quadro europeo e internazionale, a garanzia di ritorni significativi sul prodotto potenziale;
   quali iniziative intenda assumere per realizzare una politica industriale per il settore aerospaziale e dell'elettronica ad alta tecnologia finalizzata all'obiettivo di difendere e consolidare la presenza nazionale in tale settore evitando che in conseguenza di una ridotta incidenza delle azioni di governo le imprese italiane si trovino a soccombere di fronte alla aggressiva concorrenza di industrie straniere che fruiscono di un forte ed efficace supporto da parte delle autorità dei loro Paesi, salvaguardando in tal modo l'autonomia del Paese in aree strategiche, il suo posizionamento in ambito europeo e internazionale e insieme investimenti fatti e posti di lavoro altamente specializzati e qualificati;
   quali iniziative il Governo abbia assunto sino ad oggi per respingere qualsiasi ipotesi di intesa transatlantica suscettibile di cristallizzare ed amplificare i vantaggi competitivi di cui le imprese nordamericane godono nei confronti di quelle italiane ed europee in numerosi comparti, come ad esempio quello dell'aerospazio.
(2-00793) «Airaudo, Marcon, Duranti, Scotto, Ferrara, Ricciatti, Giancarlo Giordano, Melilla, Piras».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BORGHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la popolazione residente nelle province interamente montane è quotidianamente esposta a una peculiare condizione di disagio, a causa delle generali difficoltà di spostamento sul territorio e delle frequenti interruzioni o limitazioni dei collegamenti viari, in particolare nei periodi invernali;
   buona parte degli appezzamenti di terreno posti in zone interamente montane sono irraggiungibili per gran parte dell'anno a causa del gelo e delle precipitazioni nevose;
   i proprietari di appezzamenti di terreno in zone interamente montane sono – spesso a proprie spese – in prima linea nella salvaguardia dell'ambiente e nell'azione contro il rischio idrogeologico e gli incendi boschivi, tramite la costruzione e la manutenzione di canali, muri a secco, terrazzamenti, strade consortili e altri presìdi volti a preservare il patrimonio comune;
   la produzione di beni alimentari in terreni posti in zone montane risulta molto più onerosa e dispendiosa di quanto non accada per analoghi terreni posti in zone di pianura, tanto che la produzione vitivinicola in queste zone è fino a quattro volte più costosa di quella di pianura, venendo perciò comunemente definita «viticoltura eroica»;
   in relazione a queste particolari condizioni, il legislatore ha riconosciuto uno speciale trattamento fiscale a tali territori, disponendo – attraverso l'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 504 del 1992 – la totale esenzione dall'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina;
   l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, ha disposto una revisione del regime di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, destinata ad ampliare – già dall'anno d'imposta in corso e dunque con effetto sostanzialmente retroattivo – la platea dei contribuenti assoggettati all'imposta;
   in particolare, la citata disposizione ha previsto che, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministro dell'interno, siano rideterminati i comuni nei quali si applica la prevista esenzione IMU «sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)»;
   per le predette difficoltà di collegamento, nella maggior parte dei comuni di montagna la sede della casa comunale è stata nel tempo spostata o costruita ab initio a fondovalle; pertanto, la sua altitudine – assunta dall'ISTAT a riferimento per la classificazione statistica dei comuni – non può ritenersi un indice minimamente idoneo a definire la natura «montana» di un comune, a maggior ragione se tale definizione è posta a fondamento di un trattamento fiscale differenziato per i contribuenti;
   pertanto, se il suddetto decreto ministeriale – a tutt'oggi in via di emanazione – assumesse tale indice come nuovo riferimento per l'individuazione dei comuni montani esonerati dalla riscossione dell'IMU agricola si determinerebbe, in via di fatto, un'irragionevole disparità di trattamento tra territori del tutto omogenei, basata su un dato del tutto accidentale quale la collocazione in quota della casa comunale;
   inoltre, l'articolo 1, comma 3, della legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio») riconosce e tutela la specificità degli enti di area vasta interamente montani e confinanti con Paesi stranieri, prevedendo in capo ad essi la cura e la valorizzazione del territorio e assegnando ad essi particolari forme di autonomia;
   in tal senso, le province di Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola, i cui comuni sono tutti riconosciuti dall'ISTAT come totalmente montani, dovrebbero ritenersi assoggettati a questo particolare regime di autonomia, manifestamente incompatibile con l'assimilazione di trattamento fiscale disposta dal decreto-legge n. 66 del 2014 –:
   se il Governo – in sede di adozione del decreto attuativo dell'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014 – abbia tenuto in adeguata considerazione le esigenze di peculiare tutela poste dallo status di territorio agricolo montano, in particolare attraverso l'adozione di criteri per l'individuazione dei comuni montani basati su indici obiettivi e adeguati a cogliere tale specialità;
   in particolare, se i Ministri competenti abbiano valutato l'opportunità di adottare a tal fine i criteri già previsti dall'articolo 1 della legge n. 991 del 1992 (Provvedimenti agevolati in favore dei territori montani), che individuava come montani i «comuni situati per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri»;
   tale criterio, già lungamente utilizzato dal legislatore, consentirebbe una più obiettiva e puntuale valutazione delle condizioni di ciascun comune ai fini dell'esenzione dalla IMU per i territori agricoli, con ciò scongiurando il rischio di instaurazione di contenziosi destinati a pregiudicare la stessa efficacia della nuova disciplina fiscale, nonché l'entità del gettito atteso;
   in ogni caso, se il Governo non ritenga opportuno rinviare all'esercizio di imposta 2015 l'applicazione della nuova disciplina – in ottemperanza al principio di non retroattività delle norme fiscali, di cui alla legge n. 212 del 2000 (cosiddetto «Statuto del contribuente») – anche in modo da consentire ai comuni di adottare i provvedimenti amministrativi necessari a garantire la riscossione dell'imposta;
   se non ritenga indispensabile assumere iniziative per riconoscere il peculiare status di autonomia recentemente attribuito alle province interamente montane e confinanti con Paesi stranieri, ai sensi della legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio»), attraverso un'espressa esclusione dei comuni interamente montani delle province di Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola dall'ambito di applicazione della nuova disciplina fiscale. (5-04372)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANTEZZA, AMODDIO, COVA, D'INCECCO, VENITTELLI, ARLOTTI e IORI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19, comma 4-bis, del testo unico delle imposte sui redditi – TUIR – di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 prevedeva che «per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'età di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, l'imposta si applicasse con l'aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità ordinarie»;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza emessa il 21 luglio 2005 nella causa C-207/04, Vergani, ha affermato che tale disposizione si pone in contrasto con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro;
   l'articolo 36, comma 23, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha quindi abrogato il citato comma 4-bis, disponendo tuttavia che tale disciplina continui ad applicarsi con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima del 4 luglio 2006 – data di entrata in vigore del medesimo decreto –, nonché con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti o accordi, aventi data certa, anteriori alla medesima data del 4 luglio 2006;
   l'Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 112/E del 13 ottobre 2006 ha espresso l'avviso che le istanze di rimborso proposte in base alla suddetta sentenza della Corte di giustizia europea non potessero essere accolte sulla base dell'assunto che non necessariamente l'adeguamento alla legislazione nazionale alla statuizione della Corte europea si sarebbe dovuto risolvere nell'applicazione agli uomini del più favorevole limite di età di accesso al beneficio previsto per le donne (50 anni);
   la Corte di giustizia, nuovamente investita della questione, con ordinanza del 16 gennaio 2008, nelle cause riunite da C-128/07 a C-131/07, Molinari e altri, ha statuito che «Qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il Giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza dover chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell'altra categoria»;
   l'Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 62/E del 29 dicembre 2008, ha definitivamente preso atto di quanto stabilito dalla Corte di giustizia europea;
   la questione della decorrenza del termine per l'esercizio del diritto al rimborso di somme versate in applicazione di una norma impositiva dichiarata in contrasto col diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia è stata decisa in senso difforme da pronunce della sezione tributaria;
   da ultimo, la Corte, a sezioni unite, con la sentenza n. 13676/14, depositata il 16 giugno 2014, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate avverso la sentenza della commissione tributaria regionale del Veneto dichiarando non dovuto il rimborso per l'anno 2001 della maggiore Irpef che era stata trattenuta dal datore di lavoro sulle somme corrisposte al dipendente dal 2001 al 2004 a titolo di incentivo alle dimissioni ai sensi del citato articolo 17, comma 4-bis del Tuir considerato che la domanda di rimborso è stata presentata in data 1o febbraio 2006 sulla base della citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 21 luglio 2005;
   è necessario stabilire in via uniforme e definitiva se il termine di decadenza, previsto dalla normativa tributaria – nella specie, trattandosi di imposta sui redditi, dall'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 – per l'esercizio, attraverso la presentazione di apposita istanza, del diritto al rimborso di un'imposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva all'indebito versamento, incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia, decorra dalla data del detto versamento, oppure da quella in cui è intervenuta la pronuncia che ne ha sancito la contrarietà all'ordinamento comunitario;
   come ha considerato in diritto anche la Corte di cassazione: «gli istituti della prescrizione e della decadenza sono posti a presidio del principio, irrinunciabile in ogni ordinamento giuridico, della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche, con il corollario della conseguente intangibilità dei cosiddetti rapporti esauriti»; «Per quanto riguarda la fissazione della durata del termine di prescrizione dei diritti, o di decadenza dagli stessi, il legislatore gode di ampia discrezionalità, con l'unico limite dell'eventuale irragionevolezza, qualora esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e quindi inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso»;
   l'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a quo nella «data del versamento» o in quella «in cui la ritenuta è stata operata»;
   deroghe al detto principio sono state individuate tuttavia, in applicazione dell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, nei casi di procedimenti di riconoscimento di agevolazioni tributarie, poiché è dal momento della conclusione di tale procedimento che sorge per il contribuente il diritto alla restituzione della differenza tra l'imposta versata nella misura ordinaria e quella risultante dall'applicazione dei benefici fiscali, con la conseguenza che la domanda di rimborso deve essere presentata nel termine di due anni, decorrente dall'anzidetto momento; oppure nel caso in cui una legge sopravvenuta aveva introdotto, con effetto retroattivo, un beneficio fiscale prima non previsto;
   molti contribuenti sono coinvolti in un estenuante contenzioso con l'Agenzia delle entrate per vedersi riconosciuto il diritto al rimborso delle maggiori somme trattenute dal datore di lavoro sulle somme corrisposte al dipendente a titolo di incentivo alle dimissioni, in quanto ritengono che il termine di decadenza per la presentazione di apposita istanza decorra dal giorno in cui il diritto possa essere fatto valere ovvero dalla data in cui è intervenuta la prima pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea (21 luglio 2005) o dalla data in cui è intervenuta la seconda pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea (16 gennaio 2008), tenuto conto delle interpretazioni fornite dall'Amministrazione finanziaria con la citata risoluzione n. 112/E del 13 ottobre 2006 –:
   quale sia l'orientamento del Ministro in merito al termine di decadenza per la presentazione dell'istanza al rimborso da parte dell'Agenzia delle entrate delle maggiori somme trattenute dal datore di lavoro sulle somme corrisposte al dipendente a titolo di incentivo alle dimissioni e se non ritenga di assumere iniziative nell'ambito della discrezionalità normativa riconosciuta anche dalla Corte di cassazione, per la fissazione della durata del termine di prescrizione dei diritti, o di decadenza dagli stessi riconoscendo di fatto un diritto che il contribuente non avrebbe potuto far valere prima della prima pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea (21 luglio 2005) ovvero dalla seconda pronuncia della stessa Corte (16 gennaio 2008). (4-07391)


   L'ABBATE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un contesto caratterizzato dai recenti scandali che hanno colpito il triveneto (Mose, Passante di Mestre, commissariamento CVN e Maltauro, Mantovani Costruzioni, De Eccher e altro) vi è la Friulia s.p.a. finanziaria regionale del Friuli-Venezia-Giulia controllata dalla regione e dal Mediocredito FVG con accanto alcuni soci privati quali Mps, Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza, Assicurazioni Generali ed altri;
   la Holding Friulia gestisce una settantina di partecipazioni societarie, tutte accompagnate da patti parasociali, tra le quali si trovano «Costruzioni Meccaniche s.p.a.», «Autovie Venete», «Autoservizi Fvg», «Gruppo Sangalli», «Opit s.p.a.», e altri. Di recente, il presidente del Friuli-Venezia-Giulia Debora Serracchiani e il presidente di Friulia, il dottor Pietro Del Fabbro, hanno dichiarato che, in futuro, Friulia non finanzierà aziende «decotte». La finanziaria regionale oggi sconta circa 36 milioni di euro di perdite, a fronte di bilanci trascorsi sempre in utile;
   nella primavera 2014, vari manager di Friulia e l'ex amministratore delegato Marescotti sono stati rinviati a giudizio per bancarotta fraudolenta e altri 19 capi d'imputazione per il crac della «Fadalti s.p.a.», società di costruzioni di Sacile (PN), in concorso coi soggetti apicali dell'azienda fallita. La prima udienza, presso il giudice penale, è fissata per febbraio 2015. Vari manager rinviati a giudizio sono ancora al loro posto. In particolare, Franco Biasutti continua di fatto a gestire i rapporti con Sangalli, contribuendo ad approvare bilanci in perdita nonostante l'esposizione di 73 milioni di euro e in pendenza di richiesta di concordato preventivo (anche se non ancora formalmente depositato) del Gruppo Sangalli. La carica di presidente di Friulia, dal gennaio 2014, è ricoperta dal dottor Pietro Del Fabbro, commercialista di Udine già amministratore delegato di «Autovie Venete s.p.a.», società concessionaria di varie tratte autostradali nel triveneto a partecipazione pubblica dal 1950 involta di recente nello scandalo «Mose». Vi sono state indagini e perquisizioni da parte della direzione investigativa antimafia, su indicazione della quale è stato già emesso un provvedimento di interdizione per la «Rizzani De Eccher s.p.a.» per infiltrazioni mafiose. A seguito di tali notizie, e di un finanziamento di 1,5 miliardi di euro da parte di Cassa depositi e prestiti, pare che molti soci privati vogliano esercitare il diritto di opzione e convertire le quote di Friulia in Autovie Venete. Il dottor Del Fabbro, oltre che presidente della succitata finanziaria regionale, è il titolare, tra le altre cariche, di una società di consulenza finanziaria «Del Fabbro e Associati s.r.l.» con sede ad Udine;
   nell'attuale contesto recessivo, noti ai più, e soprattutto nel triveneto, l'esplosione dei ricorsi allo strumento del concordato preventivo, anche a quello cosiddetto «in bianco», ed i relativi abusi. L'abuso di tale strumento, infatti, sul quale è più volte intervenuta la magistratura, è stato definito dal presidente Zaia addirittura «criminale»;
   nel caso di Friulia (con i suoi partner Mediocredito FVG e Friuliadria), esposta per oltre 70 milioni di euro solo nei confronti del gruppo Sangalli (pari a quasi il 60 per cento del totale), il ricorso a tale strumento affrancato da una ristrutturazione del debito potrebbe a giudizio dell'interrogante essere assai rischioso per vari motivi: (i) il ricorso al concordato non elimina il rischio di fallimento e non garantisce il rientro dei capitali. Garantisce, tuttavia, ad avviso dell'interrogante una certa sfera di impunità in ambito penale; (ii) va altresì considerato che i fidi accordati ad un soggetto privato da parte di una finanziaria regionale, cioè pubblici, se non restituiti, possono facilmente essere considerati alla stregua di finanziamenti pubblici in conto capitale, creando potenziali conflitti con la normativa europea riguardante gli aiuti di Stato;
   essendo Friulia (tramite FRIE) il debitore principale (prossimo al 60 per cento dell'intero ammontare del debito), l'accettazione del piano di ristrutturazione del gruppo Sangalli e del/i relativo/i concordato/i (in bianco, liquidatorio, in continuità con la creazione di una newco o con fitto di ramo d'azienda) dipende pressoché interamente da Friulia che ad avviso dell'interrogante, nel caso estremo, vedrebbe crescere rapidamente le proprie perdite fino a oltre 100 milioni di euro in caso di fallimento del gruppo Sangalli;
   non dissimile sarebbe l'ipotesi in cui il piano concordatario prevedesse una dilazione del capitale in tempi molto lunghi: 15-30 anni. È necessario precisare che le decisioni riguardanti tale empasse finanziaria vede protagonisti i vertici di Friulia s.p.a., le regioni Friuli-Venezia-Giulia e Puglia, le organizzazioni sindacali, il Ministero dello sviluppo economico, la famiglia Sangalli ed il partner russo Glasswall che non ha ancora preso posizione. Non certo le 400 famiglie dei dipendenti dell'ormai inattivo impianto Sangalli di Manfredonia, in sciopero permanente manzi lo stabilimento sipontino da giorni. Sul tema è intervenuto il Ministero dello sviluppo economico nel mese di dicembre 2014;
   si richiamano, il proposito, le interrogazioni parlamentari 4/06513 del 21 ottobre 2014 trasformata in 5/04210; 5-03601 del 19 settembre 2014; 4/05268 del 24 giugno 2014; 4-02323 del 28 ottobre 2013; 4-11494 del 5 aprile 2011 –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, siano a conoscenza o meno della situazione descritta e siano consapevoli delle implicazioni economico-finanziarie relative al tessuto delle regioni coinvolte, al distretto industriale di Manfredonia ed all'intero comparto del vetro piano;
   quali iniziative urgenti i Ministri intendano assumere per promuovere il dialogo tra le istituzioni coinvolte, il ceto bancario e la proprietà Sangalli allo scopo di salvaguardare la produzione ed i livelli occupazionali. (4-07393)


   GIACHETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la situazione del sistema bancario abruzzese presenta notevoli criticità;
   si apprende da quanto trasmesso dalla emittente televisiva locale «Teleponte», in data 13 novembre 2014, nel TG delle ore 14:00, nel servizio dal titolo «Banca di Teramo – il comitato dei soci scontenti accusa tassi usurari ai clienti e c’è chi minaccia vantando coperture», che la politica della Banca di Teramo di Credito Cooperativo società cooperativa, altra banca abruzzese, è stata oggetto di ripetute e severe contestazioni da parte di alcuni suoi soci, per lo più piccoli imprenditori, i quali, costituitisi in comitato, hanno denunciato:
    a) la circostanza secondo cui sarebbero stati obbligati ad acquistare quote azionarie per poter così accedere ai finanziamenti, quote che poi la Banca non avrebbe accettato a ristoro dei crediti;
    b) l'imposizione di «tassi di usura»;
    c) l'avere alcuni componenti del C.D.A. «vantato coperture da parte della magistratura e da parte di Bankitalia», condotta che potrebbe integrare gli estremi del reato di «millantato credito»;
    d) l'inopportunità dell'elezione, quale presidente del collegio dei revisori dei conti del commercialista dottor Giovanni Chiodi, socio di studio del dottor Carmine Tancredi, membro del consiglio d'amministrazione della banca;
   il giorno 14 novembre 2014, la stessa emittente televisiva ha trasmesso un ulteriore servizio, sempre nel Tg delle ore 14:00, in cui a stata data più precisa notizia di un'attività d'indagine già «da tempo» avviata dalla procura di Teramo;
   notizie analoghe a quelle sopra riportate possibile leggerle sul quotidiano «on line» denominato «emmelle», nell'edizione datata 13 novembre 2014 nel quale si dà conto di «una iniziativa giudiziaria su alcuni atteggiamenti «aggressivi» nella gestione degli interessi sui prestiti ma soprattutto su episodi di millantato credito che coinvolgerebbero la magistratura teramana, nei rapporti con un imprenditore-socio»; si dà conto del ricorso anomalo alla proposta di sottoscrizione di quote azionarie dell'istituto bancario a fronte dell'erogazione di mutui o linee di fido; ci sarebbe stato chi avrebbe reagito nei confronti di rappresentanti dell'istituto di credito ma sarebbe stato zittito con la presunta «vicinanza» alla magistratura locale quale deterrente di qualsiasi iniziativa di attacco penale; sul caso esisterebbe già un fascicolo aperto dalla procura che ha delegato le indagini a una forza di polizia giudiziaria;
   che nell'attività di gestione della Banca di Teramo siano state riscontrate possibili anomalie ed irregolarità lo si apprendeva già dalla lettura del quotidiano Il Centro che dava conto delle dimissioni in blocco rassegnate a fine luglio dall'intero collegio sindacale della Banca di Teramo;
   un successivo articolo del citato quotidiano, pubblicato il 4 settembre 2014, evidenziava che la relazione al bilancio che i tre sindaci Antonio Bucciarelli, Elio Ciaffi e Alberto Davide avevano rimesso all'assemblea dei soci il 15 aprile, chiarirebbe le ragioni delle dimissioni; nell'articolo si fa specificamente riferimento ad un passaggio del documento: «Il Collegio sindacale ha preso atto del rapporto ispettivo della Banca notificato il 28 marzo 2014, nel quale si evidenziavano delle divergenze valutative in merito ad alcune posizioni creditizie, rispetto alle collocazioni effettuate dalla banca. Esse sono state dettagliatamente esplicitate nella relazione sulla Gestione al bilancio di esercizio al 31 dicembre 2013, nella quale si specifica che, qualora dette ulteriori rettifiche, oggetto di analitico approfondimento, fossero state integralmente recepite nel bilancio al 31 dicembre 2013, avrebbero fatto emergere una perdita di 2,1 milioni di euro con conseguenze sul Patrimonio di Vigilanza che si sarebbe attestato su 13,2 milioni di euro»; l'articolo pertanto conclude «per la Banca d'Italia pertanto alcune posizioni creditizie sarebbero dovute essere iscritte diversamente nel bilancio, presumibilmente tra i crediti inesigibili, ma questo oltre a comportare una perdita superiore ai 2 milioni avrebbe inciso sia sul patrimonio, che sulla capacity stessa dell'istituto di concedere il credito. Capacity misurata proprio in relazione al patrimonio di vigilanza, che secondo i sindaci ne sarebbe uscito intaccato. Le divergenze, e dunque le rettifiche chieste da Bankitalia non sarebbero state tutte recepite per evitare la perdita e per consentire alla Banca di chiudere con un utile di esercizio superiore ai 36 mila euro. Va anche detto che i controlli ispettivi di Bankitalia sono stati effettuati a fine marzo, quando l'impianto del bilancio era sostanzialmente costruito. Questo spiegherebbe probabili frizioni che avrebbero portato alle dimissioni dei sindaci, e fa luce su un'ottica di rigore che la Banca sta portando avanti per il suo risanamento proprio attraverso l'uomo di fiducia di Bankitalia, il direttore Fernando De Flaviis»;
   sempre in Abruzzo è stata da più parti denunciata la gravissima situazione della banca Tercas di Teramo, fino a poco tempo fa la più importante d'Abruzzo, che ha subito un tracollo finanziario, con un grave danno per i risparmiatori, gli azionisti e l'intera economia abruzzese, a seguito di una gestione dissennata da parte dei suoi organi amministrativi e del direttore generale arrestato nello scorso dicembre 2013 con accuse gravissime;
   alla luce di tali fatti e considerazioni appare evidente che la situazione del credito nella provincia di Teramo e, in generale, nella regione Abruzzo presenta evidenti criticità di sistema che coinvolgono due dei più importanti istituti bancari della regione –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze disponga di elementi in merito a quanto descritto in premessa, con particolare riguardo agli effetti sulla tutela dei risparmiatori e del tessuto imprenditoriale della provincia di Teramo e della regione Abruzzo delle vicende che hanno coinvolto la Banca di Teramo di Credito Cooperativo società cooperativa e la banca TERCAS in una fase economica nella quale gli indicatori danno conto di una situazione già grave di credit crunch;
   se si intendano assumere iniziative normative per rafforzare i controlli sul sistema bancario, con specifico riferimento alle banche di credito cooperativo, in modo da contrastare con maggiore efficacia condotte quali quelle descritte in premessa. (4-07394)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da organi di stampa, durante lo svolgimento degli esami di abilitazione professionale degli avvocati, che si sono tenuti a Bari il 17 dicembre 2014, sono state rilevate alcune irregolarità da parte di sei candidati;
   gli aspiranti avvocati iscritti all'esame, circa 1.500, hanno sostenuto le prove scritte in questi giorni e nell'ultimo giorno degli scritti, i carabinieri sono intervenuti intercettando una busta contenente i compiti già svolti diretti a sei candidati;
   a ciò che si apprende dalle prime indagini, sarebbe stato un dipendente della corte di appello, con il compito di sorvegliare lo svolgimento della prova durante i tre giorni, a consegnare la busta con le tracce a un dirigente dell'università il quale, dopo alcune ore, gli avrebbe restituito la busta con all'interno i compiti corretti e un biglietto con i sei nomi a cui consegnare i temi; nello stesso momento del passaggio sono intervenuti i carabinieri, che pedinavano il dirigente fin dal primo giorno, dopo aver ricevuto una segnalazione;
   la busta con i compiti svolti è stata sequestrata dai carabinieri, che hanno condotto i due uomini in caserma per essere interrogati: al momento sono indagati a piede libero per la violazione della legge n. 475 del 1925 sugli esami di abilitazione professionale che stabilisce che: «chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l'abilitazione all'insegnamento ed all'esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno», in attesa di verificare anche la posizione dei sei aspiranti avvocati destinatari delle tracce e quella di altre persone eventualmente coinvolte nella vicenda –:
   come intenda agire per verificare, per quanto di competenza, il coinvolgimento di chi avrebbe dovuto vigilare su una così importante prova d'esame;
   come intenda salvaguardare coloro che hanno svolto la loro prova nella completa correttezza e legalità. (5-04365)


   TURCO, ROSTELLATO, BRUGNEROTTO, BECHIS, COMINARDI, CHIMIENTI e MUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale – 5a Serie Speciale – Contratti Pubblici n. 141 del 10 dicembre 2014, a pagina 119, è stato pubblicato l'avviso d'aggiudicazione di un appalto pubblico indetto dal Ministero della giustizia dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale delle risorse materiali dei beni e dei servizi, ufficio contratti di lavori, forniture e servizi relativo alla fornitura di 2.000 magliette a favore della polizia penitenziaria, modello polo a manica corta in tessuto ignifugo (resistente al fuoco) con la scritta ricamata «Polizia Penitenziaria»;
   tale avviso d'aggiudicazione si affianca ad altri due, parimenti pubblicati nella stessa Gazzetta Ufficiale alle pagine 117 e 122, quindi complessivamente sono tre forniture a favore della polizia penitenziaria;
   si sottolinea che la fornitura delle 2.000 polo in tessuto ignifugo abbia un valore piuttosto alto, se rapportato all'esiguo numero di magliette della fornitura, poiché il valore dell'aggiudicazione è di euro 793.000,00, iva esclusa;
   il costo unitario di ciascuna delle polo, pertanto, peserà sui contribuenti ben 395,50 euro, naturalmente oltre iva;
   oltre a ciò si evidenzia che l'impresa aggiudicataria La Griffe Srl con sede in Ascoli Piceno è stata l'unica impresa a presentarsi alla gara d'appalto, vincendolo;
   per quanto riguarda le altre due forniture, ciascuna per 80.000 magliette:
    per il modello polo a manica corta con la scritta ricamata Polizia Penitenziaria in tessuto sintetico con un prezzo di 2.212.000 euro iva esclusa, presenta un costo unitario di 27,65 euro ogni maglietta, anche questa gara è stata vinta dalla La Griffe Srl;
    per il modello in tessuto sintetico a manica corta con la scritta Polizia Penitenziaria ricamata è stato aggiudicato per 1.188.000 euro iva esclusa, alla ditta Car Abbigliamento, anche in questo caso l'unica partecipante alla gara, al costo unitario di 14,85 euro iva esclusa –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se ritenga che la spesa di 793.000,00 euro, iva esclusa, per la fornitura di 2.000 magliette modello polo a manica corta in tessuto ignifugo con la scritta ricamata «Polizia Penitenziaria» sia congrua in relazione all'elevato costo unitario, di oltre quattrocento euro, anche relativamente alla circostanza della presentazione di un'unica offerta in gara pubblica;
   se e quali provvedimenti intenda e/o possa attuare, anche in via straordinaria, al fine di ottenere un abbassamento dei costi di tale fornitura che appaiono del tutto sproporzionati se raffrontati al bene fornito all'amministrazione;
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale delle risorse materiali dei beni e dei servizi, ufficio contratti di lavori, forniture e servizi, ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza. (5-04369)


   TURCO, BRUGNEROTTO, BECHIS, COMINARDI, CHIMIENTI, BALDASSARRE, MUCCI, RIZZETTO e ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il presidente del tribunale di Verona, dottor Gianfranco Gilardi, ha recentemente emesso un provvedimento nel quale limita ad un'udienza a settimana l'attività di ciascun giudice monocratico penale, nell'intento di poter vedere una riduzione dei tempi decisionali dall'agosto 2016;
   seppure restino fissate le udienze già in calendario, per le prossime date di fissazione d'udienza, si dovrà tener conto della riduzione;
   allo stato attuale, ciascun giudice penale monocratico celebra un'udienza a settimana e altre due al mese, per un totale di sei udienze al mese ciascuno;
   nel tribunale di Verona operano otto magistrati monocratici e due magistrati onorari, unitamente al tribunale collegiale che tiene quattro udienze al mese per ogni collegio, oltre alle udienze straordinarie: ogni mese, quindi, vengono tenute tra 90 e 110 udienze penali;
   la riduzione del numero di udienze sarebbe da imputare alla carenza di personale non giudicante; poiché è obbligatoria la presenza di un assistente in aula, che deve necessariamente assistere alle udienze, questo viene però distolto dal lavoro di cancelleria, quale preparare le udienze, notificare gli avvisi e scaricare le sentenze;
   ed è proprio la carenza di personale nelle cancellerie il dato con cui il tribunale si deve confrontare;
   lo stesso presidente del tribunale di Verona, dottor Gianfranco Gilardi, in un'intervista spiega che «La chiusura delle sezioni distaccate non ha risolto molto perché ci sono comunque i pensionamenti ai quali non seguono nuove assunzioni, così inesorabilmente i numeri calano e al momento l'unica cosa da fare era quella di ridurre il numero delle udienze»;
   i tempi medi per la fissazione dell'udienza «filtro», tranne nei procedimenti con detenuti, sono di sei mesi, ed il processo vero e proprio slitta di almeno altri 6-7 mesi prima di entrare nel vivo dell'esame dei testimoni;
   tenendo conto che al giudice monocratico arrivano una percentuale altissima di fascicoli con reati che a breve si prescriveranno, se non nel primo grado di giudizio, di sicuro in Appello, conseguentemente la soluzione adottata è stata quella di fissare due udienze in meno al mese per consentire al personale delle cancellerie di fare il proprio lavoro senza affanno;
   il presidente della sezione penale, dottor Sandro Sperandio, comunque, rassicura «[...] la produttività della sezione penale è superiore a quella stabilita dai cosiddetti »flussi«: a Verona ogni magistrato emette 300 sentenze all'anno, qualcuno le supera, e le statistiche in Italia ne prevederebbero la metà.» –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se e quali elementi abbia attualmente a disposizione, per poter quantificare e fornire dati aggiornati sulla consistenza numerica del personale di cancelleria in ruolo, rispetto al numero previsto dalla pianta organica del tribunale di Verona, quanti di essi svolgano le proprie funzioni effettivamente presso il tribunale, quanti siano invece eventualmente assegnati ad altri compiti;
   se e quali provvedimenti intenda promuovere in merito alla necessità di garantire una effettiva efficiente organizzazione delle attività di cancelleria presso il tribunale di Verona;
   se e per mezzo di quali provvedimenti ritenga opportuno intervenire al fine d'incrementare l'organico del personale non giudicante nel tribunale di Verona onde ovviare alla carenza d'organico venutasi a determinare. (5-04370)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, LIUZZI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa del quotidiano on-line «Foggia Today» dal titolo «Voli Foggia – Milano, Zifaro è un fiume in piena: “Ecco come stanno realmente le cose”» si apprende che nell'aeroporto foggiano «Gino Lisa» contrariamente a quanto avviene negli aeroporti di categoria maggiore, per decollare, le compagnie aeree pagano una cifra al gestore aeroportuale – Aeroporti di Puglia Spa – a causa delle decisioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che nell'ambito del piano nazionale di sviluppo aeroportuale ha escluso l'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia dall'elenco degli scali di interesse nazionale;
   si apprende inoltre dalla stessa fonte stampa che il servizio della «torre di controllo» non è sempre garantito perché l'Enav assicura il servizio della «torre di controllo» solo dalle ore 8:00 alle ore 16:00, servizio che è stato prorogato per tutta la giornata solo il lunedì e il venerdì. Questa situazione non permette alle compagnie aeree di avere l'agibilità completa dell'aeroporto, rendendo non economico l'utilizzo dell'aeroporto «Gino Lisa» da parte dei vettori privati;
   l'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia è stato inserito nelle strategie transfrontaliere dell'Unione europea;
   da fonti stampa sembrerebbe che la regione Puglia e la società Aeroporti di Puglia stiano sottraendo risorse agli aeroporti di Foggia e di Taranto per dirottarle verso gli aeroporti di Brindisi e Bari –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa, se questi corrispondano al vero e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per valorizzare l'aeroporto Gino Lisa di Foggia;
   per quale motivo l'aeroporto Gino Lisa sia stato declassato nel piano nazionale degli aeroporti e quali procedure permetterebbero un aumento di classe dell'aeroporto in questione nel suddetto piano;
   per quale motivo l'Enac garantisca un servizio di «torre di controllo» solamente per orari limitati e non per tutta la giornata e se il Ministro abbia intenzione di assumere iniziative per estendere tali orari di servizio tutti i giorni almeno fino alle ore 24:00. (5-04357)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e BRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i servizi di comunicazione mobile a bordo degli aeromobili consentono ai passeggeri di utilizzare il telefono cellulare a bordo mentre sono in volo sull'Europa tramite la decisione 2008/294/CE della Commissione europea, del 7 aprile 2008, sulle condizioni armonizzate dell'uso dello spettro per il funzionamento dei servizi di comunicazione mobile a bordo degli aeromobili (servizi MCA) nella Unione europea;
   dal sito di Enac (Ente nazionale per l'aviazione civile), in particolare dalla pubblicazione di «dati di traffico 2013» che rappresentano una fotografia dello stato attuale del trasporto aereo nazionale, si comprende, i dati delle principali compagnie e il numero dei passeggeri. Alitalia gruppo CAI – Italia: 23.993.486 passeggeri e Ryanair – Irlanda: 23.041.752 passeggeri;
   le linee guida dell'Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA) consentono l'utilizzo dei dispositivi elettronici personali (tablet, smartphone, e-reader e lettori mp3) durante tutte le fasi del viaggio aereo. I dispositivi, infatti, devono essere in «modalità aereo», e devono avere tutte le funzioni di trasmissione disattivate;
   Ryanair sulla suddetta questione ha fatto sapere, tramite un comunicato stampa pubblicato in data 6 febbraio 2014 che «tutti i clienti Ryanair possono – con effetto immediato – utilizzare i propri dispositivi elettronici portatili (inclusi tablet, smartphone, e-reader e lettori MP3) per l'intera durata del volo, a condizione che sia stata attivata la modalità “in volo” e che tutte le dimostrazioni/indicazioni sulla sicurezza siano rispettate»;
   la società Alitalia consente ai propri clienti di utilizzare i medesimi dispositivi radiomobili solo durante la fase di crociera in volo in quota, i mentre impone di tenerli spenti anche dopo l'atterraggio vietando categoricamente di accendere i dispositivi, anche esclusivamente in modalità «in volo», fino a quando le porte dell'aeromobile non sono aperte;
   a quanto consta all'interrogante molti passeggeri non rispettano le disposizioni della compagnia Alitalia, disattivando solo le connessioni gps, bluetooth, wi-fi e telefoniche (dati e voce su gsm, umts);
   la differenza dei comportamenti che i passeggeri devono tenere in relazione alla compagnia con la quale volano, può generare facilmente confusione e di conseguenza indurre a disattendere le indicazioni più restrittive adottate da talune compagnie;
   i rischi di interferenze con la strumentazione di bordo degli aeromobili potrebbero comportare il verificarsi di incidenti con conseguenti decessi;
   le compagnie e i fornitori di strumentazione per la navigazione e l'assistenza al volo si dotano secondo standard internazionali di procedure e tecnologie per ridurre al minimo potenziali situazioni di malfunzionamento dovuto alla mancata osservanza da parte dei passeggeri delle indicazioni citate;
   a detta dell'interrogante le sanzioni a carico di coloro che non rispettano le norme sono molto onerose avendo giustamente l'obiettivo di dissuadere i passeggeri dall'adozione di un errato comportamento che possa provocare rischi di notevole entità per la sicurezza aerea –:
   se i ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di competenza intendano porre in essere al fine di evitare i rischi di interferenze, di cui alla presente interrogazione, tra apparecchiature elettroniche e la strumentazione di bordo degli aeromobili;
   se i Ministri non intendano sollecitare, tramite un atto proprio o delle autorità preposte, le compagnie aeree al recepimento delle normative internazionali citate in premessa al fine di rendere omogenea la loro applicazione indipendentemente dalla compagnia aerea;
   se i Ministri, tramite le autorità preposte, non intendano verificare il rispetto delle normative internazionali citate in premessa al fine di rendere omogenea la loro applicazione indipendentemente dalla compagnia aerea. (5-04359)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e BRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'articolo 30, comma 1, della legge regionale pugliese n. 18 del 2002 «È facoltà della Regione e degli enti locali disporre agevolazioni o gratuità tariffarie in favore di determinate categorie di utenti a condizione che i relativi atti dispositivi provvedano contestualmente a coprire i minori ricavi del traffico derivanti alle imprese di trasporto dalle predette agevolazioni»;
   da fonti stampa si apprende che in data 17 novembre 2014 è stata sospesa da parte di Trenitalia s.p.a. la concessione che consente ai cittadini pugliesi diversamente abili di viaggiare gratuitamente sui treni regionali;
   dalle medesime fonti stampa si evince come Trenitalia s.p.a. attraverso la suddetta decisione pare aver spazzato via le agevolazioni in questione, con grave pregiudizio per la categoria di persone interessate –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano opportuno assumere ogni iniziativa di competenza, anche incrementando le risorse per il trasporto locale, al fine di garantire ai cittadini diversamente abili il diritto alle mobilità evitando di arrecare ulteriori disagi alle fasce più deboli della popolazione. (5-04361)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, LIUZZI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa di Brindisi Report dal titolo «Piattaforma idrovolanti addio: smontata dopo 18 mesi e portata via» si apprende che la famosa piattaforma di attracco per idrovolanti installata nell'estate del 2013 è stata rimossa;
   il progetto sperimentale Adri-Seaplanes che aveva una dotazione complessiva di due milioni di euro, coinvolgeva la provincia di Teramo capofila, l'Enac, l'autorità portuale di Brindisi, la prefettura di Corfù (Grecia), il porto di Bar (Montenegro), la regione Puglia – assessorato ai trasporti, l'autorità portuale di Pula (Croazia), il porto di Valona (Albania), il Ministero dei trasporti del Montenegro;
   l'installazione per l'attracco dell'idrovolante a Brindisi è raggiungibile tramite un tratto di banchina ristrutturato e ha avuto come volo solamente quello del 4 luglio 2013 a causa della scelta del sito in quanto vi sono interferenze reciproche tra le manovre di atterraggio e decollo dell'idrovolante e il traffico del porticciolo turistico, manifestatesi per l'appunto nell'unico volo effettuato;
   a causa di un percorso di rollaggio troppo lungo per essere accettato ed omologato per trasferimenti turistici, il servizio verrà trasferito ad Ancona –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e possa chiarire quale ruolo abbia avuto ENAC in questa sperimentazione costata 2 milioni di euro e risultata negativa;
   se il Ministro non ravveda elementi di inefficiente impiego di risorse pubbliche al riguardo;
   se la spesa economica effettuata per questa sperimentazione sia totalmente ovvero parzialmente a carico dello Stato;
   quali siano state le aziende che hanno beneficiato ed eseguito i lavori per la realizzazione del progetto in questione. (5-04362)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da domenica 14 dicembre nella rete ferroviaria sarda è in vigore una nuova gravissima riduzione delle corse dei treni;
   diverse tratte sono state soppresse creando enormi disagi ai passeggeri sardi;
   molte corse sono state soppresse;
   i disagi saranno ancora maggiori nel periodo estivo perché ulteriori treni verranno soppressi dal 12 giugno con un prevedibile danno non solo all'utenza quotidiana ma anche a quella turistica;
    le nuove disposizione prevedrebbero: un solo treno per la tratta Cagliari-Sassari; la mancata attivazione del servizio metropolitano Cagliari-Decimo; la gestione dell'acquisto che l'interrogante ritiene inaccettabile e la mancata immissione in servizio di nuovi treni pendolino fermi alla stazione di Cagliari da oltre 150 giorni;
   tra la partenza da Cagliari per Sassari delle 6,22 e la successiva delle 12,22 i collegamenti ferroviari risultano scoperti per ben per ben sei ore;
   dopo le 20,35 verso Oristano e dopo le 20,45 verso l'Iglesiente, non esistono treni in partenza da Cagliari nonostante le esigenze di molti;
   a tutto ciò si aggiunge che l'indice infrastrutturale delle ferrovie in Sardegna è in assoluto il più basso in Italia, fatta base 100 la media nazionale la rete ferroviaria della Sardegna è a 15;
   una situazione che ha responsabilità dello Stato fin troppo chiare, alle quali si aggiungono l'incapacità regionale di pretendere e proporre una revisione dell'accordo di programma quadro elaborato nel 2003 e che aveva avviato opere ferroviarie per 500 milioni di euro e che era stato poi fatto esaurire senza proseguire nell'opera di rifacimento e miglioramento dei rettifili ferroviari sia sul piano della sicurezza che dell'efficienza nella percorrenza;
   la situazione della rete ferroviaria sarda è gravissima;
   risulta depositato agli atti della Camera dei deputati il rapporto per l'anno 2009 dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF), sulle condizioni di sicurezza della rete ferroviaria, con specifico riferimento all'assetto idrogeologico del territorio;
   tra le competenze che sono state attribuite dalla direttiva comunitaria, così come recepita dal decreto legislativo n. 162 del 2007, l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie si occupa di infrastrutture, ma solo in relazione all'esercizio del trasporto ferroviario. Per questo motivo anche la tematica del dissesto idrogeologico è stata affrontata dal punto di vista dell'esercizio ferroviario;
   la relazione depositata agli atti della Camera fa il punto sullo stato dei fenomeni di dissesto idrogeologico che interessano l'infrastruttura ferroviaria nazionale, ossia la rete in gestione a Rete ferroviaria italiana;
   nella relazione risultano definite le varie tipologie di frane, le erosioni costiere, i fenomeni alluvionali, le subsidenze e gli sprofondamenti riguardanti il tracciato ferroviario; fra i documenti che sono stati resi disponibili vi è la carta dei punti di criticità lungo la rete ferroviaria;
   in questa analisi vengono individuati come elemento critico dell'infrastruttura ferroviaria quelli che vengono definiti come «punto singolare»;
   ogni punto singolare è caratterizzato dalla presenza di quelli che vengono chiamati «oggetti» e che dovrebbero essere inseriti in un programma manutentivo, secondo gli standard adottati dal gestore dell'infrastruttura; vengono classificati come punti singolari le frane, la caduta massi, l'erosione, le piattaforme e i rilevati cedevoli;
   a questi punti singolari vengono associati degli oggetti che vengono inseriti nel programma di manutenzione. Tali oggetti possono essere, ad esempio, un tratto stradale, una paratia, piuttosto che un muro, opere paramassi e paravalanghe, scogliere o rivestimenti;
   nell'ultimo dato disponibile che risulta essere disponibile agli atti della Camera, i punti singolari lungo la rete in gestione a Rete ferroviaria italiana sono ripartiti in 205 frane, 166 fenomeni di caduta massi, 131 fenomeni di erosione fluviale o marina e 688 casi di piattaforme e rilevati cedevoli;
   negli atti depositati alla Camera sono riportate in maniera esaustiva le tabelle con i dati riferiti ai punti singolari lungo tutta la rete gestita da Rete ferroviaria italiana; per ogni punto singolare è individuato il compartimento ferroviario di giurisdizione, la linea e la tratta in cui è presente il punto singolare, la definizione dello stesso e la tipologia di monitoraggio che su di esso è eseguita;
   il decreto legislativo n. 162 del 2007 prevede espressamente che i gestori dell'infrastruttura elaborino propri sistemi di gestione della sicurezza, garantendo il controllo di tutti i rischi connessi alle loro attività. Tuttavia, il decreto legislativo n. 162 dice anche che il sistema di gestione della sicurezza deve tenere conto, ove appropriato e ragionevole, dei rischi generati da attività di terzi;
   nell'aprile del 2009, l'Agenzia per la sicurezza ferroviaria ha previsto che, fra le altre incombenze, gli operatori, in questo caso RFI, nei casi in cui nel corso dell'esercizio rilevino situazioni che possano anche potenzialmente pregiudicare la sicurezza, devono adottare i necessari provvedimenti di urgenza, di natura cautelativa, dandone immediata notizia all'Agenzia;
   l'Agenzia ha disposto che vengano adottate da parte di RFI alcune misure che consentano di tenere sotto controllo il fenomeno con la messa in sicurezza dei versanti contigui alla sede ferroviaria, completando il programma di interventi che è già stato individuato e monitorando l'efficacia delle misure adottate;
   l'Agenzia ha poi ribadito la fondamentale esigenza di un incremento sostanziale dei sistemi di monitoraggio strumentale dei fenomeni di dissesto idrogeologico che, in rapporto alla diffusione e all'entità dei punti singolari, risultano essere in numero troppo esiguo; stando ai dati attualmente disponibili risulta che, a fronte di circa mille punti singolari, ci troviamo circa una ventina di impianti di monitoraggio strumentale;
   dal quadro di dettaglio emerge una situazione riguardante la regione Sardegna assolutamente più grave del resto del Paese, considerato che oltre a non aver previsto per la rete ferroviaria sarda nessun investimento la concentrazione di punti singolari appare notevolmente superiore alla media nazionale;
   in particolar modo risultano in Italia 688 piattaforme e rilevati cedevoli, quasi 70 sono individuati solo in Sardegna;
   sono catalogate come piattaforme e rilevati cedevoli e quindi soggetti a grave rischio gran parte dei tratti delle ferrovie della Sardegna;
   nel dettaglio di competenza del compartimento Sardegna-Cagliari sono individuate le seguenti tratte a rischio piattaforma cedevole:
    1. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 124; 2. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 127 A; 3. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 127 B; 4. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 127 C; 5. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 127 D; 6. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 128 A; 7. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 128 B; 8. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 128 C; 9. Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 129; 10. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 131; 11. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 132 A; 12. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 133 A; 13. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 133 B; 14. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 134 A; 15. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 134 B; 16. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 134 C; 17. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 134 D; 18. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 135 A; 19. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 135 B; 20. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 135 C; 21. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 135 D; 22. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 135 E; 23. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 135 F; 24. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 136 A; 25. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 136 B; 26. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 136 C; 27. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 136 D; 28. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 136 E; 29. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 137 A; 30. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 137 B; 31. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 137 C; 32. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 137 D; 33. Borore-Abbasanta piattaforma cedevole 137 E; 34. Elmas-S. Gilla; 35. Campeda-Macomer piattaforma cedevole 166+585; 36. Chirialza-Monti piattaforma cedevole 263 A; 37. Chirialza-Monti piattaforma cedevole 263 B; 38. Chirialza-Monti piattaforma cedevole 263 C; 39. Chirialza-Monti piattaforma cedevole 263 D; 40. Mores-Torralba piattaforma cedevole 199; 41. Oristano-S. Anna piattaforma cedevole 88; 42. Oristano-S. Anna piattaforma cedevole 91 A; 43. Oristano-S. Anna piattaforma cedevole 91 B; 44. Oristano-S. Anna piattaforma cedevole 91 C; 45. Oristano-S. Anna piattaforma cedevole 92 A; 46. Oristano-S. Anna piattaforma cedevole 92 B; 47. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 113 A; 48. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 113 B; 49. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 113 C; 50. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 113 D; 51. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 113 E; 52. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 113 F; 53. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 114; 54. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 115 A; 55. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 115 B; 56. Paulilatino-Bauladu piattaforma cedevole 123; 57. Samassi-Serramanna piattaforma cedevole; 58. Sanluri-Samassi piattaforma cedevole 39; 59. Sanluri-Samassi piattaforma cedevole 38; 60. Sanluri-Samassi piattaforma cedevole 41; 61. Uras-Pabillonis piattaforma cedevole 60; 62. Uras-Pabillonis piattaforma cedevole 61; 63. Uras-Pabillonis piattaforma cedevole 62 A; 64. Uras-Pabillonis piattaforma cedevole 62 B; 65. Uras-Pabillonis piattaforma cedevole 64 A; 66. Uras-Pabillonis piattaforma cedevole 64 B; risultano aree a rischio cadute massi nel compartimento Sardegna i seguenti tracciati ferroviari: 1. Abbasanta-Paulilatino caduta massi km 127; 2. Bauladu-Milis caduta massi km 110; 3. Bauladu-Solarussa km 110; 4. Campeda-Macomer caduta massi km 164; 5. Giave-Bonorva caduta massi km 182; 6. Paulilatino-Bauladu caduta massi km 117; 7. Paulilatino-Bauladu caduta massi km 119; 8. Paulilatino-Bauladu caduta massi km 121; risultano aree rischio erosione in capo al compartimento Sardegna-Cagliari le seguenti tratte ferroviarie: 1. Bauladu-Solarussa erosione 106 A; 2. Bauladu-Solarussa erosione 106 B; 3. Bauladu-Solarussa erosione 106 C; 4. Mandras-Berchidda erosione 245; 5. Mores-Torralba erosione 200 A; 6. Mores-Torralba erosione 200 B; 7. Mores-Torralba erosione 200 C; 8. Mores-Torralba erosione 200 D; 9. Mores-Torralba erosione 200 E; 10. Mores-Torralba erosione 200 F; 11. Mores-Torralba erosione 201 A; 12. Mores-Torralba erosione 201 B; 13. Mores-Torralba erosione 202; 14. Mores-Torralba erosione 203;
   la Sardegna rispetto al resto del Paese risulta essere la maggiormente gravata da fenomeni di pericolo e la sicurezza delle tratte ferroviarie oggetto delle rilevazioni dei rischi risulta interessare l'intero tracciato ferroviario sardo; in nessuno dei punti rilevati in Sardegna esiste alcun tipo di monitoraggio automatizzato come invece richiesto dall'Agenzia di sicurezza delle Ferrovie; si registrano in Sardegna incidenti ferroviarie tra cui due recenti mortali;
   in data 15 giugno 2007 lungo la tratta a scartamento ridotto Nuoro-Macomer, nel quale hanno perso la vita due passeggeri e un macchinista; in data 27 dicembre 2009 lungo la tratta a scartamento ordinario Chilivani-Sassari, nel quale ha perso la vita un macchinista –:
   se non ritenga di fornire con urgenza elementi sulla situazione della sicurezza ferroviaria della rete ferroviaria della Sardegna;
   se non intenda disporre attraverso i vertici di RFI una urgente ricognizione dei luoghi indicati nel rapporto dell'Agenzia per la sicurezza delle ferrovie relativamente alle ferrovie sarde;
   se non ritenga di dover disporre con proprio atto la richiesta di rimodulazione del contratto di programma restituendo alla regione Sardegna tutte le risorse finanziarie spettantigli in base a tutti i parametri minimi di riparto per un ammontare di 629.876.683 euro;
   se non ritenga di dover immediatamente intervenire per riassegnare alla Sardegna tutti i fondi che devono essere attribuiti in base al rinnovo del contratto di programma con RFI;
   se non ritenga di dover intervenire, proprio in virtù di un piano di recupero del mancato stanziamento delle risorse necessarie da parte dello Stato e l'assoluta assenza di un riparto equo nazionale delle risorse;
   se non ritenga di dover chiarire la posizione del Governo rispetto all'esigenza di predisporre un nuovo stanziamento a favore dell'accordo di programma quadro relativo alla mobilità in Sardegna in chiave di riequilibrio e compensazione delle risorse pregresse non concesse in base a parametri oggettivi;
   se sia a conoscenza delle ragioni per le quali i treni pendolini acquistati dalla regione Sardegna sono da 150 giorni ad oggi fermi nella stazione ferroviaria di Cagliari. (5-04363)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO, LIUZZI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che Aeroporti di Puglia che ha aggiudicato la gara per la pubblicità negli scali di Bari, Brindisi, Foggia e Taranto;
   un raggruppamento di imprese, unico partecipante alla suddetta gara, di cui fanno parte la Digitaly di Milano una società di pubblicità, la Imecon Engineering di Cremona una azienda di informatica, e la barese Spazio Eventi, ha vinto la gara in questione;
   dalle medesime fonti stampa si apprende che la società Digitaly di Milano risulta essere stata fondata l'11 luglio del 2014, tre giorni prima della pubblicazione del bando di gara, da Paolo Casti che è stato in passato direttore marketing di Clear Channel;
   il primo bando, scaduto a maggio 2014, prevedeva la subconcessione degli spazi nei quattro aeroporti pugliesi e chiedeva ai concorrenti un'offerta al rialzo sul canone di 700 mila euro l'anno pagato dal precedente concessionario; il bando in questione, constatata la cifra troppa elevata, non aveva ricevuto nessuna offerta;
   Aeroporti di Puglia ha cambiato piano passando da un servizio di «consulenza commerciale», con canone fisso ad una percentuale, passando dunque, dai precedenti 700 mila euro all'anno a 2,7 milioni di euro, ovvero la metà;
   nel bando di gara era previsto, tra i requisiti, che figurasse un fatturato per «la realizzazione di manufatti e gestione di spazi pubblicitari e impianti per la comunicazione digitale» pari a 10 milioni di euro;
   da fonti stampa si apprende come Aeroporti di Puglia abbia chiarito che «il livello di fatturato minimo richiesto può essere determinato in maniera disgiunta anche solo alcune delle attività indicate nel bando»;
   nel raggruppamento che ha vinto la gara, l'unica azienda con il fatturato richiesto è stata la «Imecom» di Cremona, che non si occupa di pubblicità ma di impianti di comunicazione digitale, un ambito che differisce da quello pubblicitario;
   sempre da fonti stampa si apprende che la società in questione, sembra sia stata fondata apposta per partecipare all'appalto;
   appare tuttavia, alquanto singolare, il fatto che il 6 novembre 2014, il «Daily Media», un quotidiano di settore, abbia pubblicato un articolo dal titolo «Paolo Casti fonda Digitaly: alla società la gara per la pubblicità all'interno degli Aeroporti di Puglia», esattamente 20 giorni prima della pubblicazione dell'esito del bando di gara, visto che, pur essendo gli unici partecipanti, questo non assicurava loro l'aggiudicazione della gara;
   da parte della Corte dei conti è stata aperta un'inchiesta sull'operato di Aeroporti di Puglia, per verificare se le scelte operate da tale ente non abbiano provocato aggravi di spese, soprattutto per quanto concerne gli affidamenti avvenuti senza gara di appalto –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione alle criticità esposte in premessa, e quali iniziative intendano intraprendere, anche alla luce dei poteri di verifica e ispezione attribuiti all'ENAL, in particolare sulle gare per gli spazi pubblicitari all'interno degli scali aeroportuali. (4-07384)


   LUIGI DI MAIO e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è in corso di emanazione un decreto dirigenziale al fine di adottare le nuove istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego delle barriere stradali di sicurezza; il decreto è stato trasmesso dal Ministero dei trasporti al Ministero per lo sviluppo economico, che ha provveduto all'inoltro per la notifica in sede europea (n. di notifica 2014/483/I del 6 ottobre 2014) prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale;
   secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, il suddetto decreto non garantisce gli standard di sicurezza previsti invece dalle istruzioni tecniche attualmente in vigore e, considerando che la fuoriuscita di strada è la seconda causa di morte sulle strade extraurbane, ciò risulta in contrasto con l'impegno preso dal nostro Paese in sede europea di ridurre del 50 per cento entro il 2020 il numero delle vittime stradali;
   sempre secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, l'abbassamento della soglia di attenzione verso la sicurezza stradale è evidente già nelle finalità a cui devono essere preposte le barriere di ritenuta stradale: mentre infatti nelle attuali istruzioni di cui al decreto ministeriale n. 223 del 18 febbraio 1992 l'intento è complessivamente quello «di realizzare le condizioni di maggior sicurezza possibile», nell'articolo 3 del decreto in approvazione si parla più specificatamente di «evitare la fuoriuscita dalla piattaforma stradale», restringendo poi ulteriormente il campo ai soli casi in cui ci si trovi nelle condizioni d'urto contemplate dalla norma UNI EN 1317-2. Questa formulazione a parere degli interroganti non giova certo al miglioramento della sicurezza, ma piuttosto va verso una diminuzione delle responsabilità degli operatori;
   passando poi ad analizzare le vere e proprie prescrizioni della norma, ai deputati interroganti è stata segnalata una generale riduzione dei livelli minimi di contenimento delle barriere prescritte in tutti i casi e in tutte le condizioni, non considerando la sicurezza dei conducenti dei veicoli pesanti né l'intrinseca pericolosità di alcuni siti. Tale riduzione dei livelli minimi di contenimento sembra, tra l'altro, in contrasto con studi che dimostrano al contrario la necessità di aumentare i livelli di contenimento come quello commissionato da Autostrade per l'Italia e pubblicato dal professore Marchionna sulla rivista Le Strade (4/2009) che indica che mediamente il 95o percentile dell'energia di impatto è pari a circa 1000 kJ. Questo valore del percentile è quello che comunemente si adopera per definire il valore caratteristico delle azioni per le costruzioni civili;
   sempre secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, sul bordo ponte delle autostrade la prossima norma prevede una capacità di contenimento pari ad H2 su più di 2000 chilometri di autostrada. Su questi stessi tratti l'attuale norma prevede, di contro, una capacità di contenimento pari ad H3. La scelta della nuova norma sarebbe fortemente a svantaggio della sicurezza in tutti quei casi in cui la maggior parte dei veicoli pesanti circolanti sono del tipo autocarro pesante, autotreno o autoarticolato. Ciò accade perché l'energia di impatto di questi ultimi può essere facilmente maggiore di quella corrispondente al livello H2. Secondo le segnalazioni inoltrate ai deputati interroganti, considerando i possibili angoli di fuoriuscita e le possibili velocità di impatto (tutte compatibili con i limiti di velocità esistenti), si avrebbe che più della metà degli autoarticolati e degli autotreni a pieno carico hanno una energia di fuoriuscita maggiore di quella contenibile con il livello H2. Se si adopera il criterio impiegato nello studio commissionato da Autostrade per l'Italia, si ha che i veicoli sopraindicati sarebbero ancora meno cautelati. Prendendo in considerazione l'autostrada A16, sulla quale il giorno 29 luglio 2013 hanno perso la vita 39 persone a seguito dello sfondamento di una barriera bordo ponte, la prossima norma consentirebbe di impiegare una barriera di classe H2 (287 kJ) contro le attuali H3-H4 (462-724 kJ) richieste dalla norma in vigore. In relazione a tale incidente, la geometria della carreggiata, il tipo di veicolo e la possibile velocità più volte riportate dai giornali portano a ritenere che l'energia di impatto del mezzo possa essere stata maggiore di 300 kJ (fino a 450 kJ circa). Da ciò si evincerebbe facilmente che la nuova norma renderebbe «legale» il mancato contenimento di un impatto identico a quello di fine luglio 2013;
   sul bordo laterale delle autostrade e delle strade extraurbane principali si prevede sempre e comunque il livello di contenimento H2, anche sui rilevati molto alti e sui muri di sostegno. Tale scelta, anche in questo caso secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, si porrebbe fortemente a svantaggio della sicurezza in tutti quei casi in cui la maggior parte dei veicoli pesanti circolanti sono del tipo autocarro pesante, autotreno o autoarticolato. Ciò accade perché, come sopra detto, l'energia di impatto di questi ultimi può essere facilmente maggiore di quella corrispondente al livello H2;
   altra questione di particolare rilievo segnalata ai deputati interroganti è il fatto che rispetto alla normativa oggi in vigore, non si pone alcun limite all'impiego di barriere con elevato livello di severità per l'urto delle autovettura (classe C). Ciò è stato fatto trascurando del tutto la circostanza che le vetture, come mostrato da alcuni crash test TB11 contemplati nella UNI EN 1317, possono deformarsi in maniera molto pericolosa per gli occupanti nel caso di barriere con elevato livello di severità e non considerando in alcun modo che in tutti i Paesi europei l'impiego di tale livello viene consentito soltanto in casi eccezionali. A ciò bisogna anche aggiungere che vi sarebbe un numero limitatissimo di barriere di produttori italiani con livello C e l'impiego di quest'ultimo aprirebbe ulteriormente il mercato italiano a produttori esteri. Da una indagine effettuata da alcuni docenti sulle barriere presenti sul mercato italiano risulta che le barriere con Livello C siano soltanto 3, su un insieme che conta circa 100 modelli. Di queste, due di esse sono destinate ad impieghi quasi del tutto «particolari»;
   la nuova normativa inoltre consentirebbe che, nel caso delle strade esistenti, le ruote dei veicoli pesanti finiscano nella scarpata anche per più di un metro e ciò ne aumenta enormemente il rischio di ribaltamento;
   l'impiego dei terminali speciali viene posto in secondo piano rispetto ai terminali «semplici» di avvio, ciò senza considerare che questi ultimi rispetto ai primi non offrono alcuna minima certezza riguardo alla sicurezza dell'impatto dei veicoli leggeri;
   un'ultima considerazione riguarda infine la mancanza di indicazioni per le strade urbane locali e di quartiere. Sebbene infatti le istruzioni siano destinate a strade con velocità di progetto maggiore o uguale a 70 km/h, per la sicurezza dei cittadini si ritiene che non si possa lasciare del tutto prive di qualsiasi regola le strade urbane locali. Tra l'altro le precedenti istruzioni tecniche unitamente alla circolare del giugno 2010 (6o capoverso del paragrafo 3) fornivano le basi per regolare l'installazione delle barriere di sicurezza anche in questi casi –:
   quale sia stato il motivo di revisione al ribasso delle istruzioni tecniche e se ciò sia stato fatto sulla scorta di studi, basati anche sull'analisi degli incidenti realmente accaduti e di quanto accadrebbe per i veicoli molto pesanti (quali autotreni ed autoarticolati), che dimostrano inequivocabilmente l'utilità di ridurre le attuali prescrizioni;
   se il Ministro interrogato non ritenga che le istruzioni in corso di approvazione deresponsabilizzeranno gli operatori in tutti i casi in cui l'urto non avvenga nelle esatte condizioni della UNI EN 1317, anche a parità di energia trasversale;
   se il Ministro voglia fornire alcuni dati che evidenzino i possibili effetti dell'apertura all'impiego di barriere con elevato livello di severità (classe C), sia in termini di diffusione sulle strade sia in termini di produttori presenti sul mercato, anche considerato che la norma è stata notificata senza una valutazione di impatto;
   se non si ritenga in funzione di un generale miglioramento della sicurezza stradale e in funzione del raggiungimento dell'obiettivo in sede europea della riduzione del 50 per cento delle vittime stradali entro il 2020, di valutare la possibilità di modificare la normativa in corso di approvazione aumentando il livello di contenimento delle barriere previsto, introducendo un limite all'impiego delle barriere con elevato livello di severità (classe C), riducendo la possibile deflessione dinamica delle barriere nel caso di scarpata;
   se il Ministro non ritenga di dover modificare o integrare le normative tecniche in corso di approvazione con indicazioni anche per strade urbane locali che non rientrino nel campo di applicazione delle predette istruzioni tecniche, prescrivendo comunque per i progettisti il riferimento alla tabella C e alla tabella 3.6.III delle norme tecniche di costruzione del 2008. (4-07400)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e BRESCIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 1980, n. 930 ha sancito la nascita del servizio antincendi aeroportuale e con essa, vennero indetti corsi specifici per operatori aeroportuali e contestualmente tutti gli aeroporti civili furono dotati di una struttura vigili del fuoco;
   la particolare natura delle esigenze che si verrebbero a creare in caso di incidente aereo deve prevedere un intervento rapido ed efficace per cui l'operatività delle sedi distaccate aeroportuali è regolata dalla lettera prot. n. 2110/3405/C del 30 novembre 2005 dell'area attività di soccorso speciale – soccorso aeroportuale – che disciplina la classificazione degli aeroporti, la dotazione dei veicoli e gli organici necessari;
   secondo fonti stampa la direttiva prot. n. 5614/S183 del 24 novembre 2014 del Ministero dell'interno ripartisce il personale dei vigili del fuoco in tutta Italia tra cui anche quelli di istanza presso gli aeroporti;
   all'aeroporto Arlotta di Grottaglie (TA) è stata assegnata una categoria A5 che prevede l'impiego di 61 uomini, a Bari categoria A9, mentre a Brindisi A7;
   il servizio antincendio è fornito dallo Stato gratuitamente per gli aeroporti di Bari, Brindisi e Taranto, mentre per l'aeroporto di Foggia il servizio viene sovvenzionato dalla regione Puglia;
   il velivolo 747-400 LCF denominato Dreamlifter, viene utilizzato per prelevare dall'aeroporto di Taranto-Grottaglie, appositamente modificato nella lunghezza della pista e nelle strutture aeroportuali, le sezioni centrale e posteriore di fusoliera del Boeing 787 assemblate dal locale stabilimento Alenia Aeronautica;
   nell'aeroporto Arlotta di Grottaglie, circa ogni 15 giorni ovvero quando atterra il Boeing DreamLifter, la categoria di sicurezza, a quanto risulta all'interrogante, verrebbe elevata ad A9, categoria che richiede l'impiego di 77 uomini –:
   se trovi conferma quanto esposto in premessa e quali siano le motivazioni per cui l'aeroporto di Grottaglie avrebbe questa variazione di categoria A5/A9, che avviene sempre a spese dello Stato, per prestare servizio ad un unico vettore privato;
   se la variazione di categoria espressa in premessa sia conforme alla normativa di settore. (5-04356)


   MARANTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 luglio 2013, Laura Prati, sindaca del comune di Cardano al Campo, all'interno del suo ufficio comunale, fu aggredita a colpi di pistola insieme al vice sindaco Costantino Iametti, da un dipendente sospeso a seguito di provvedimento disciplinare e, nonostante un delicato intervento chirurgico e diversi giorni di ricovero presso ospedale di Circolo di Varese, moriva nella mattina del 22 luglio;
   il gravissimo episodio ha destato una profonda commozione nella cittadinanza e nelle istituzioni locali, a testimonianza del legame e della stima di cui godeva Laura Prati, dopo anni di impegno politico, sociale e istituzionale, sempre praticato con passione, competenza e moralità;
   in data 30 aprile 2014, la giunta comunale di Cardano al Campo ha approvato all'unanimità la delibera volta ad avviare la procedura prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 6 novembre 1960, n. 1616, finalizzata alla concessione della ricompensa al valor civile nei confronti della sindaca deceduta, alla luce della dinamica dei fatti e del suo curriculum;
   anche a seguito dei numerosi attestati di cordoglio e stima che si registrarono nell'imminenza dei fatti sopra esposti, tra i quali, per tutti, si ricordano quello del Presidente della Repubblica, dell'allora Presidente del Consiglio dei ministri e quello del presidente dell'ANCI della Lombardia, la figura di Laura Prati è diventata il simbolo di tutti quegli amministratori locali che, per la profonda crisi sociale e valoriale che sta coinvolgendo il nostro Paese svolgono il proprio ruolo istituzionale in «trincea» e silenziosamente impegnano la propria vita per costruire il futuro delle proprie comunità –:
   quale sia lo stato di esame della richiesta di concessione della ricompensa al valor civile nei confronti della sindaca Laura Prati, avviata dal Comune di Cardano al Campo. (5-04360)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCON, AIRAUDO, FRANCO BORDO e PLACIDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 dicembre 2014 al Senato veniva approvato definitivamente il disegno di legge recante «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro» (Jobs Act);
   nella stessa data veniva organizzata una manifestazione di dissenso a tale atto;
   alla manifestazione, regolarmente autorizzata dalla questura di Roma con percorso da Colosseo a Sant'Andrea della Valle, partecipavano diverse centinaia di persone, in prevalenza studenti, precari del mondo del lavoro, sindacati base;
   la manifestazione, scortata da un ingente schieramento di forze dell'ordine, sfilava in maniera pacifica fino a Sant'Andrea della Valle;
   dopo essere arrivati in piazza ed aver tenuto una assemblea in una piazza totalmente militarizzata dalla massiccia presenza delle forze dell'ordine, i manifestanti provavano ad avvicinarsi al Senato senza però che si venissero a creare particolari incidenti;
   ad ogni modo i manifestanti venivano, subito dopo questi tentativi, spinti dalle forze dell'ordine ad abbandonare la piazza e venivano «chiusi» all'altezza di via Florida, nei pressi di largo di Torre Argentina, per circa un'ora, senza possibilità di poter tornare alla piazza precedentemente autorizzata;
   dopo una lunga trattativa e immediatamente all'arrivo degli interroganti, i dirigenti della polizia di Stato presenti in piazza, autorizzavano un corteo per recarsi alla metro Colosseo, luogo di inizio del corteo;
   tuttavia, nonostante l'autorizzazione al corteo, le forze dell'ordine schierate all'inizio di via delle Botteghe Oscure, angolo via del Collegio Romano tardavano a spostarsi per consentire il passaggio del corteo e addirittura, ad un certo punto, veniva effettuato un cambio del personale del reparto mobile senza che si liberasse la strada;
   ne nascevano ingiustificati ed incomprensibili momenti di tensione, culminati in quella che agli interroganti appare una immotivata violenta carica, dei reparti di polizia e carabinieri, prima frontale e poi alle spalle ed ai lati dei manifestanti;
   le violente cariche, ben documentate dal video disponibile sul sito internet del Corriere.it, procuravano ferite gravi a due studenti e un precario, mentre un'altra quindicina di manifestanti avrebbero riportato ematomi sul volto, braccia e gambe;
   oltre alla presenza sul posto degli interroganti, queste notizie sono state riportate da diversi organi di informazione, corredate da numerosi dettagli sull'intervento violento delle forze dell'ordine;
   nelle cariche venivano fermati due attivisti, i quali dopo l'identificazione venivano rilasciati senza alcun addebito;
   nel comunicato diffuso dalla questura di Roma si legge, al riguardo della circostanza della carica avvenuta all'inizio di via delle Botteghe Oscure, angolo via del Collegio Romano: «Dopo una trattativa con le forze dell'ordine hanno ottenuto (i manifestanti, ndr) l'autorizzazione per un nuovo corteo in direzione del Colosseo, durante il quale alcuni gruppi, travisati e con caschi, hanno nuovamente tentato di deviare dal percorso stabilito, lanciando petardi e bulloni. I manifestanti sono stati respinti con una carica di alleggerimento»;
   a tal riguardo, si segnala che i manifestanti non hanno in alcun modo tentato di deviare il corteo, come dimostrano le immagini, ma erano determinati a raggiungere il Colosseo e, ad opinione degli interroganti, una carica frontale, alle spalle e ai lati è qualcosa in più di una «carica di alleggerimento», come definita dalla questura di Roma;
   si segnala a questo riguardo il non episodico atteggiamento delle forze dell'ordine, rispetto all'interpretazione della volontà dei manifestanti di deviare il percorso attuata da dirigenti di polizia di Stato a Roma. Tale interpretazione è stata alla base delle violente cariche del 29 ottobre 2014 a piazza Indipendenza sempre a Roma –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se ritenga che tali azioni delle forze dell'ordine siano in linea con le direttive eventualmente impartite e quali siano tali direttive, anche alla luce dei fatti del 29 ottobre 2014;
   quali iniziative intenda intraprendere affinché una gestione di questo tipo dell'ordine pubblico, basata sull'interpretazione della volontà dei manifestanti da parte delle autorità di polizia di Stato, cessi immediatamente. (4-07378)


   GRECO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento al provvedimento che coinvolge n. 20-21 prefetture che verranno abolite;
   l'unica in Sicilia sarebbe proprio quella di Enna. Questura, comando dei carabinieri, della guardia di finanza, dei vigili del fuoco saranno trasferiti di conseguenza altrove, perché verrà a mancare il comitato per la sicurezza che il prefetto presiede;
   non appare plausibile parlare di difesa del territorio, di controllo, di tutto quanto la legge n. 121 del 1981 stabiliva in capo alle prefetture. Ci si chiede chi penserà ad irrogare le sanzioni che una volta erano penali ed ora sono amministrative e chi come e soprattutto quando penserà all'esatto utilizzo dei beni confiscati alla mafia;
   senza una prefettura presente a 360 gradi sul territorio si perderà un presidio di legalità insostituibile. Se il provvedimento fosse rientrato nel quadro della prossima riforma della pubblica amministrazione articolo 1, comma 147, della legge 56 del 2014, per quanto discutibile essa sia, avrebbe potuto essere giustificato, considerando anche che i prefetti sarebbero rimasti con compiti di presidio, coordinando lo sportello unico dello Stato;
   appare inspiegabile che la prefettura di Enna sia accorpata da quella di Caltanissetta né tanto meno può convincere il sistematico ricorso alla razionalizzazione della spesa. Lo Stato in materia di pubblica sicurezza non può avere una visione aziendale;
   il 6 dicembre 2014 ad Enna si è festeggiato l'85° anniversario della Provincia; oggi non solo questa non esiste più per via di una riforma che non si capisce se ci sia ed in che cosa consista, ma si rischia seriamente di non avere più la prefettura, presenza forte e vicina dello Stato –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere il provvedimento soppressivo di che trattasi fino alla riforma della pubblica amministrazione.
(4-07381)


   GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, NASTRI, TOTARO, RAMPELLI, CORSARO, MAIETTA e TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 dicembre 2014 avrebbe dovuto svolgersi un convegno su «Giorgio Almirante e il Trentino Alto-Adige», che però è stato annullato all'ultimo minuto perché la giunta ed il consiglio regionale del Trentino Alto-Adige hanno ritirato la concessione della sala che avrebbe dovuto ospitare l'evento;
   le motivazioni alla base della decisione della giunta di revocare in extremis la concessione della sala si baserebbe, a quanto risulta agli interroganti, su asserite motivazioni di ordine pubblico che però sembrano contrastare con la tutela garantita all'evento da parte della questura;
   la decisione sembrerebbe invece agli interroganti influenzata da alcune manifestazioni di protesta contro l'evento e, quindi, più da una situazione di conflitto ideologico che non dovrebbe trovare posto nella decisione relativa allo svolgimento di un evento di tipo storico-istituzionale –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se si siano verificate questioni di ordine pubblico tali da influire sullo svolgimento dell'evento. (4-07390)


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 18 dicembre 2011 la Camera dei deputati all'unanimità ha approvato definitivamente in seconda lettura la proposta di legge recante «Modifica all'articolo 635 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e altre disposizioni in materia di parametri fisici per l'ammissione ai concorsi per il reclutamento nelle Forze armate, nelle Forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco»;
   nel corso dell'esame svolto in commissione il capo della polizia prefetto Alessandro Pansa, con nota del 2 ottobre 2014, esprimeva un parere critico, con il solo riferimento alle forze di Polizia, nei confronti della proposta di legge in esame. Il Capo della Polizia nella sua nota definisce indispensabile «che, ai fini del reclutamento del personale delle forze di Polizia, si continui a poter fare affidamento sui limiti minimi di altezza, nonché sugli altri requisiti previsti dalle disposizioni in vigore, evidenziando che un'eventuale riduzione dei parametri richiesti per la partecipazione ai concorsi nelle carriere iniziali delle Forze di Polizia determinerebbe, in chiave prospettica, evidenti profili di criticità, con riferimento alla deterrenza, all'operatività e all'efficacia, del dispositivo di contrasto alle attività delittuose e, più in generale, alla difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica»);
   successivamente, come comunicato dal Presidente della Commissione difesa in data 21 ottobre 2014, anche il Capo di stato maggiore della difesa ha inviato un parere sulla proposta di legge in esame. Parere nel quale esprime la contrarietà delle Forze Armate al merito del provvedimento;
   il Governo, inoltre, sia nel corso dell'iter svolto in commissione, sia nel corso dell'esame svolto in aula in seduta plenaria, in maniera assolutamente insolita rispetto alla prassi ordinaria, non ha mai espresso alcun parere né, tanto meno, la sua posizione politica sul testo della proposta di legge in esame alla luce dei pareri negativi inviati da parte del Capo della Polizia e del Capo di stato Maggiore della difesa;
   il Capo della polizia e il Capo di Stato maggiore della difesa, per l'incarico e le funzioni che ricoprono, quando esprimono legittimamente un parere su una proposta di legge all'esame del Parlamento, e soprattutto quando questo parere tecnico si pone in aperto contrasto con la volontà politica manifestatasi all'interno degli organi parlamentari, è presumibile che lo facciano se non in accordo con gli organi politici dei rispettivi ministeri di riferimento, quanto meno informandoli preventivamente;
   la condotta assunta alla Camera dai rappresentanti del Governo nel corso dell’iter legislativo della proposta di legge citata in precedenza, e soprattutto in riferimento alle posizioni assunte ufficialmente dal Capo della Polizia e dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, è, a giudizio degli interroganti, ambigua e può lasciare spazio all'ipotesi di una netta differenza di posizione tra il Governo e i due altissimi dirigenti del Ministero dell'interno e del Ministero della difesa, il che verrebbe a porre un problema politico di non poco conto –:
   se i Ministri interrogati fossero stati preventivamente informati, prima del loro deposito in commissione, del contenuto del parere che il capo della polizia e il capo di stato maggiore hanno depositato ufficialmente presso le Commissioni Affari Costituzionali e Difesa, o se ne siano venuti a conoscenza in quella sede;
   se la scelta del Governo di non esprimere alcuna considerazione o parere, nonostante espliciti solleciti in tal senso, né sulle dure critiche politiche rivolte al parere tecnico espresso dal capo della polizia, sul provvedimento di cui si tratta a fronte di un manifesto e unanime favore da parte di tutte i gruppi parlamentari, stia ad indicare un dissenso di merito, sia tecnico che politico, nei confronti dei pareri espressi rispettivamente dal Capo della Polizia e dal Capo di stato maggiore della Difesa. (4-07397)


   COCCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la signora Maria Antonietta Rosa, riconosciuta cieca parziale, senza revisione, dalla competente commissione per l'accertamento delle condizioni visive, ha chiesto 1'8 maggio 2014, esibendo il verbale della commissione medica specialistica, all'ufficio elettorale del comune di Sant'Arsenio (SA), l'apposizione del timbro sulla tessera elettorale attestante il diritto permanente ad essere assistita da un elettore di sua fiducia per esprimere il voto in cabina, come previsto dall'articolo 41, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960 e dalla legge n. 17 del 2003, per i ciechi (totali e parziali), come definiti dalla legge n. 138 del 2001, articolo 2 e 3;
   l'apposizione di detto timbro (AVD) viene effettuata dagli uffici elettorali degli altri comuni d'Italia, ad esempio Firenze, Milano, e altri, a seguito dell'esibizione del verbale della commissione attestante la qualifica di cieco (totale o parziale) dell'elettore;
   in questo caso alla signora Rosa veniva notificato dal Comune di Sant'Arsenio (SA) alle ore 9,10 del 25 maggio 2014, l'atto di diniego all'apposizione del timbro (AVD) sulla tessera elettorale, con l'invito a recarsi dalle ore 9,30 alle ore 10,30 presso il seggio elettorale d'iscrizione, dove avrebbe trovato un medico incaricato dell'ASL per l'accertamento del diritto ad esprimere il voto assistito da un altro elettore, in occasione delle operazioni di voto già iniziate alle ore 7 e che sarebbero terminate alle ore 23 dello stesso giorno 25 maggio 2014;
   per l'effettuazione dell'accertamento medico, il seggio elettorale non è un luogo idoneo in cui un medico dell'ASL, non specialista in oculistica, può effettuare un accertamento medico-legale, non essendo né uno studio medico né un ambulatorio –:
   se il comportamento dell'ufficio elettorale del comune di Sant'Arsenio che ha impedito, a differenza di quanto avviene negli altri comuni d'Italia, l'esercizio del voto, diritto garantito dall'articolo 48 della Costituzione, ad una cittadina riconosciuta, tra l'altro, portatrice di handicap grave ai sensi della legge n. 104 del 1992, per la sua condizione di cieca, sia stato rispondente a quanto previsto dalla legge. (4-07398)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, dispone sui «Richiami in servizio del personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco», tra cui il personale volontario che viene richiamato in servizio per periodi di 20 giorni e che in precedenza aveva la denominazione di «vigile del fuoco discontinuo»;
   l'articolo 10 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, prevede che «per l'intera durata di tale richiamo, spetta il trattamento economico iniziale del personale permanente di corrispondente qualifica, il trattamento di missione, i compensi inerenti alle prestazioni di lavoro straordinario» nonché all'articolo 8, comma 3, del medesimo decreto si prevede che «Al personale volontario nel periodo di richiamo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di doveri, attribuzioni e responsabilità previste per il personale permanente di corrispondente qualifica», così sancendo equipollenza di doveri e di retribuzione tra il personale permanente e quello volontario, ovvero equipollenza di risorse finanziarie occorrenti per garantire la presenza in servizio;
   in particolare, detto decreto, all'articolo 9, comma 2, lettera a), prevede che il personale volontario dei vigili del fuoco può essere richiamato in servizio «in caso di particolari necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale», specificando altresì che tali richiami «sono disposti nel limite di centosessanta giorni all'anno per le emergenze di protezione civile e per le esigenze dei comandi provinciali dei vigili del fuoco nei quali il personale volontario sia numericamente insufficiente»;
   secondo quanto riferisce il sindacato Conapo dei vigili del fuoco, a causa della sistematica carenza di personale operativo dovuta anche alle limitazioni al turnover, i richiami di personale volontario/discontinuo sono stati nel passato disposti non solo nei casi di «particolari necessità», ma in via sistematica, così da costituire, negli ultimi anni, una forza costante di quasi il 15 per cento dell'organico effettivo con una spesa sistematica di oltre 110 milioni di euro all'anno, tanto da indurre il sindacato a chiedere di arginare il fenomeno e di utilizzare le corrispondenti risorse per assunzioni a tempo indeterminato e di riformare il servizio mediante l'istituzione di una «ferma biennale» con analogie al modello dei volontari in ferma breve delle forze armate;
   con l'articolo 8 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e con l'articolo 3, comma 3-octies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, la dotazione organica della qualifica di vigile del fuoco è stata incrementata per un totale di 2.000 unità, allo scopo proprio utilizzando le risorse finanziarie derivanti dalla corrispondente riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, iscritti nello stato di previsione del Ministero dell'interno, nell'ambito della missione «Soccorso civile», così riducendo il ricorso a rapporti di lavoro di tipo precario a tutto vantaggio della professionalizzazione del soccorso pubblico, della occupazione, e soprattutto senza alcun aggravio di spesa a carico dell'erario;
   a seguito di quanto sopra esposto, l'impiego del personale volontario dei vigili del fuoco ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è stato limitato all'autorizzazione annuale di spesa di euro 31.075.700 a decorrere dall'anno 2016;
   inoltre, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è destinatario di provvedimenti legislativi di limitazione del turnover che stanno determinando carenza di personale e difficoltà operative, oltre ad un pericoloso innalzamento dell'età media degli appartenenti al Corpo ormai prossima ai 50 anni, e quindi incompatibile con i livelli di efficienza operativa dei decenni passati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno continuare con le azioni di riduzione del precariato e di contestuale potenziamento dell'organico permanente dei vigili del fuoco, nell'ambito della missione «Soccorso civile»;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno attuare una riforma del servizio volontario/discontinuo dei vigili del fuoco, valutando anche l'opportunità di sostituire tale servizio precario di richiamo a tempo determinato per 20 giorni, con una sorta di «ferma biennale» propedeutica ad un primo inquadramento e valutazione professionale degli aspiranti vigili del fuoco, cui riservare una riserva di posti nei concorsi pubblici per l'assunzione nei vigili del fuoco, in similitudine ai volontari in ferma breve (VFB) delle forze armate;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per sbloccare ulteriormente le limitazioni al turnover dei vigili del fuoco che sono causa di forte limitazione dell'organico e di conseguente impoverimento dell'azione di sicurezza e soccorso pubblico che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, con abnegazione, garantisce quotidianamente alla popolazione italiana. (4-07399)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al deputato interrogante è stata segnalata l'esistenza di un by pass interrato realizzato nel territorio del comune di Acerra (Napoli) lungo la via che collega la strada principale via Tappia al depuratore Pellini del suo ingresso principale. Tale dispositivo idraulico con tutta probabilità sarebbe stato costruito sul condotto che dalla vasca di depurazione ubicata all'interno dello stabilimento immette direttamente i tubi nel collettore idrico superficiale dei regi lagni. Il dispositivo stesso veniva utilizzato solitamente in caso di eccessivo conferimento di autobotti che superavano di gran lunga la capacità dell'impianto;
   tale circostanza sarebbe confermata dalle immagini registrate da un elicottero e trasmesse dalla trasmissione televisiva Report in data 9 marzo 2008: dalle immagini, infatti, si nota con estrema facilità che il corso del lagno – dopo aver intersecato la condotta della rete fognaria proveniente dalla suddetta stradina, ovvero presumibilmente il «bypass» sopra citato – cambia nettamente colore; nel filmato viene altresì chiaramente mostrato che il colore delle acque risulta ad occhio nudo molto simile al colore dei liquami contenuti all'interno delle vasche che dalle immagini vengono mostrate all'interno del depuratore di proprietà della famiglia Pellini;
   allo stesso modo in tali denunce si segnala che vi è la presenza di una conduttura sottotraccia che assolverebbe anche in questo caso a condurre liquami (che andrebbero depurati) direttamente nella conduttura fognaria del condotto ASI e che in corrispondenza delle cabine di trasformazione ENEL lungo il muro perimetrale adiacente, al di sotto vi sarebbe questa conduttura;
   nelle denunce portate a conoscenza del deputato interrogante, si ribadisce altresì che analogamente l'opificio ATR risulta essere stato edificato sopra un sito oggetto di interramento di rifiuti pericolosi quali scarti di fonderia e liquami provenienti da depuratori;
   viene, infatti, segnalata la presenza di rifiuti tossici frammisti alla malta cementizia utilizzata nella realizzazione della struttura del sito industriale attualmente denominato ATR ubicato nel comprensorio ASI della città di Acerra. Secondo i denuncianti, l'opificio normalmente adibito al trattamento dei rifiuti risulta riconducibile alla holding Pellini che ne realizzarono le opere importanti ed infrastrutture interne avvalendosi anche del contributo di ditte appaltatrici;
   peraltro, sempre secondo le medesime fonti, all'atto della realizzazione delle fondamenta la concentrazione di sostanze tossiche nel cemento raggiunse valori tali che la platea inverosimilmente si presentava di una colorazione tendente al rosso. Tale circostanza avrebbe preoccupato non poco gli esperti operatori e relative maestranze edili che deliberarono di procedere alla stesura di un ulteriore strato di malta fornito dall'azienda di betonaggio distinto dall'analogo impianto gestito dei committenti dell'opera stessa (sempre gli stessi fratelli Pellini) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto denunciato in premessa e quale sia il loro orientamento in merito;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover inviare il comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di verificare i fatti denunciati in premessa. (4-07404)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio scolastico provinciale di Rovigo ha da sempre rappresentato un'istituzione di riferimento per il comparto istruzione e per i comuni di una provincia con peculiarità territoriali che rendono di fondamentale importanza un ufficio di presidio. La provincia di Rovigo infatti si sviluppa, geograficamente, come una striscia stretta e lunga tra i due principali fiumi italiani, con delle zone a rarefazione insediativa, come quelle del delta, che vedono una distribuzione di plessi e istituti nell'arco di svariati chilometri, tra paesi e frazioni che distano anche decine di chilometri dal comune di riferimento;
   non va sottovalutato inoltre il fenomeno delle migrazioni di studenti da e verso le province vicine, che rendono quella di Rovigo una situazione dalla gestione complessa anche per la rete dei trasporti e per l'armonizzazione degli interventi amministrativi da mettere in campo per un buon governo e per l'efficienza delle scuole. Nel tempo, la salvaguardia di quelli che si possono definire, a ragione, autentici baluardi sociali per il territorio, ha sempre visto l'ufficio scolastico provinciale in prima linea nella difesa delle caratteristiche della scuola polesana, al fianco di sindaci e amministratori che hanno attuato una battaglia per non vedere plessi e istituzioni formative soccombere di fronte a tagli più o meno indiscriminati;
   l'ufficio scolastico provinciale di Rovigo ha saputo farsi interprete di tutte le azioni e di tutti i sacrifici chiesti dal Ministero agli enti locali: ha coadiuvato la provincia di Rovigo e i comuni nell'azione di dimensionamento e nella valutazione delle specifiche individualità di poli e plessi scolastici, ha favorito il dialogo con i sindacati e con le associazioni di categoria, garantendo, nel complesso di un territorio meno sviluppato rispetto al resto del Veneto, tutte quelle iniziative di sviluppo e prospettiva fondamentali per il mantenimento della qualità delle scuole, per l'aggiornamento e la capacità di restare al passo con i tempi. Il risultato di queste sinergie è stato che la provincia di Rovigo ha saputo chiudere, prima di tutte le province venete, la trasformazione delle vecchie direzioni didattiche in istituti comprensivi, ha saputo completare, prima tra le province del Veneto, il piano di dimensionamento e razionalizzazione degli istituti secondari di secondo grado, ha saputo contraddistinguersi come laboratorio di buone politiche per la scuola;
   si apprende oggi, con preoccupazione, che un nuovo piano di razionalizzazione della spesa, promosso dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, porterebbe alla soppressione dell'ufficio scolastico provinciale di Rovigo, nel piano di una complessa opera di accorpamenti che prevedrebbe però, per la regione, la soppressione di quello di Rovigo come unico ufficio scolastico del Veneto. Si ritiene questa una evidente sottovalutazione dell'importanza del ruolo e delle azioni descritte, oltre che un'azione di scarso rispetto per un territorio che ha saputo dare, in merito alle politiche di sacrificio chieste dal Governo centrale, prove di sostegno e buona volontà. La perdita dell'ufficio scolastico provinciale comporterebbe tra l'altro, proprio per le sfavorevoli condizioni geografiche, grossi problemi per i docenti o il personale della scuola che dovesse rivolgersi ai competenti uffici. Lo spostamento su Padova, Venezia o Verona, obbligherebbe molti docenti a sobbarcarsi viaggi di oltre cento chilometri per il raggiungimento della sede –:
   se sia vera la notizia che in Veneto si propone la chiusura del solo ufficio scolastico provinciale di Rovigo;
   se si siano valutate le conseguenze che tale azione comporterebbe per gli occupati dello stesso. (5-04364)

Interrogazione a risposta scritta:


   BERRETTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il conservatorio di Santa Cecilia è una istituzione culturale tra le a più antiche del Paese; il suo riconoscimento da parte del Ministero risale al 1875;
   allo stato attuale, non risulta ancora completata la formazione delle classi di insegnamento;
   tali procedure devono essere espletate entro la fine del mese di ottobre, al fine di consentire il sereno avvio dell'anno accademico, entro i primi giorni di novembre;
   in assenza di tale atto dovuto, che è alla base del funzionamento didattico dell'istituzione, i docenti, regolarmente presenti in servizio, hanno fino ad oggi prestato il proprio servizio senza aver alcuna certezza sul numero e sulla distribuzione esatta degli studenti per anno accademico;
   gli studenti, che devono ricevere un numero ben definito (e non riducibile) di ore di lezione (corrispondenti ai crediti da cumulare), sono così privati di ben due mesi di lezione;
   tutte queste ore non computabili dovranno essere comunque svolte dagli studenti, con conseguente necessità di aggiungere ore al monte ore standard degli insegnanti;
   per quanto su esposto o gli studenti avranno meno ore di lezione, con conseguente grave danno didattico, o i docenti dovranno fare più ore di lezione di quanto previsto dai loro obblighi di servizio;
   il conseguente grave danno si deve moltiplicare per i circa 160 docenti del conservatorio;
   l'attuale direzione del Conservatorio sembrerebbe distinguersi per scelte ad avviso dell'interrogante discutibili;
   a tal riguardo la classe di «direzione d'orchestra» avrebbe una attribuzione notevole di quanto presente in bilancio, mentre alla corrispondente classe di «direzione del repertorio vocale e sacro» non verrebbe neppure assegnato il pianista accompagnatore;
   il direttore dirigerebbe a quanto consta all'interrogante più gruppi orchestrali del conservatorio, pur essendo titolare della sola cattedra di sassofono;
   tutta questa programmazione, come gran parte della programmazione artistica dell'istituzione, con connessi costi, dovrebbe essere sottoposta preventivamente al collegio dei professori e al consiglio accademico, che a norma del decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003 «determina il piano di indirizzo e la programmazione delle attività didattiche, scientifiche, artistiche e di ricerca, tenuto conto delle disponibilità di bilancio relative all'esercizio finanziario di riferimento»;
   all'inizio dell'anno accademico 2014-2015 non risultano all'interrogante ancora noti quali incarichi siano stati affidati nell'anno accademico precedente, a chi e per quali cifre siano stati assegnati –:
   quali iniziative intenda approntare per verificare che la gestione del conservatorio S. Cecilia sia rispondente alle normative vigenti e improntata a criteri di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa;
   di quali elementi disponga circa la gestione dei fondi del conservatorio e l'attribuzione degli incarichi di collaborazione esterna di cui lo stesso conservatorio si avvale. (4-07392)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIACOBBE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la finanziaria per il 2004 – legge 24 dicembre 2003, n. 350, all'articolo 3, comma 133, statuiva che i benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, venissero estesi anche ai lavoratori esposti al rischio chimico da cloro, nitro e ammine dello stabilimento ex ACNA di Cengio, indipendente dagli anni di esposizione, a decorrere dal 2004;
   la legge 27 marzo 1992, n. 257, all'articolo 13, comma 8, disponeva che per i lavoratori esposti ad amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL, venisse moltiplicato per il coefficiente 1,50 ai fini delle prestazione pensionistica;
   l'articolo 47 del decreto legge n.269 del 2003, convertito dalla legge n.326 del 2003, prevede che a decorrere dal l'ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, che disciplina il pensionamento anticipato dei lavoratori esposti all'amianto, venga ridotto da 1,50 a 1, 25, specificando che tale coefficiente moltiplicatore dovrà però essere applicato ai soli fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle stesse;
   con circolare dell'Inps, n.78 del 2004, sono stati forniti i criteri applicativi del citato comma 133, ed è stato precisato che in applicazione della disposizione citata, tenuto conto della modifica operata dall'articolo 47, comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, in favore dei lavoratori interessati, il periodo di esposizione al rischio chimico da cloro, nitro e ammine indipendentemente dagli anni di esposizione, è moltiplicato per il coefficiente di 1,25, solo ai fini della determinazione dell'importo della prestazione pensionistica e non anche ai fini della maturazione del diritto di accesso alla medesima;
   successivamente, l'Inps con circolare n. 116 del giorno 11 novembre 2005 ha modificato il proprio orientamento uniformandosi a quanto prescritto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la nota del 21 ottobre 2005 che ha precisato che «la disciplina applicabile, ai fini della individuazione del contenuto del beneficio previdenziale, di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257/1992 riconosciuto dall'articolo 3, comma 133, della legge n. 350 del 2003 ai lavoratori dello stabilimento ex Acna di Cengio, è quella recata dalle disposizioni previdenti alla data del 2 ottobre 2003». Pertanto in favore dei lavoratori dello stabilimento ex Acna di Cengio, il periodo di esposizione al rischio chimico da cloro, nitro e ammine, indipendentemente dagli anni di esposizione è moltiplicato per il coefficiente di 1,5 sia ai fini della maturazione del diritto di accesso alla prestazione pensionistica sia ai fini della determinazione dell'importo della medesima;
   sul punto, nel corso degli anni, si è registrato un mutevole orientamento giurisprudenziale, dapprima volto a confermare il trattamento di maggior favore per detti lavoratori; successivamente vi sono state pronunce più restrittive rispetto a quanto stabilito dall'Inps con la richiamata circolare n. 116;
   molti lavoratori basandosi sul riconoscimento amministrativo dell'Inps, hanno accettato situazioni di mobilità volontaria, oppure in mancanza di lavoro, stanno versando la contribuzione inerente anni mancanti per l'accesso al pensionamento. Inoltre, ai lavoratori delle imprese esterne ancora in causa potrebbe essere applicato un coefficiente diverso da quello applicato ai loro colleghi dell'Acna precedentemente –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare la possibilità di assumere iniziative di competenza, anche mediante di natura interpretativa, volte a confermare quanto già fatto dall'Inps su disposizioni a suo tempo emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, direzione politiche previdenziali. (5-04355)


   PRATAVIERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata su Il Gazzettino Nordest del 22 dicembre 2014 quella di una donna costretta a pagare una rilevante somma per essere assunta da una cooperativa e licenziata dopo un mese dal rinnovo del contratto perché incinta;
   secondo quanto riportato dall'articolo di stampa, la donna ha pagato mille euro a fondo perduto e tremila euro come quota sociale per poter lavorare con Codess sociale, una cooperativa di Padova che aderisce alla lega delle coop;
   la donna, pur di essere assunta alla Casa di riposo Villa Fiorita di Spinea, ha accettato qualunque richiesta, sottoscrivendo peraltro un contratto che prevedeva innumerevoli clausole e vincoli, nonché l'inquadramento ad una categoria inferiore;
   dopo neanche un anno di lavoro, ad ottobre scorso, la donna resta incinta, le viene comunque rinnovato il contratto, in scadenza a fine ottobre, ma solo per un mese; da novembre la donna è senza lavoro e neanche più incinta, avendo subito, forse per colpa dello stress, un aborto spontaneo –:
   se il Ministro non ritenga doveroso appurare la veridicità dei fatti riportati in premessa;
   se e quali provvedimenti di propria competenza intenda adottare, in generale, per intervenire sul sistema delle cooperative che appare all'interrogante inquinato e, con riguardo al caso specifico, a tutela della lavoratrice raggirata;
   se ritenga opportuno, alla luce dei continui scandali che investono il mondo delle cooperative, intensificare i controlli orientandoli specificatamente su quelle false e malsane, e che hanno rapporti border line con vere e proprie associazioni criminali, che molto esso operano speculazioni sui soggetti più deboli e bisognosi. (5-04367)

Interrogazione a risposta scritta:


   BARONI, LOMBARDI, DI BATTISTA, DAGA, RUOCCO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, DI VITA, DALL'OSSO, MANTERO, CECCONI, LOREFICE e BATTELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   CNS CONSORZIO NAZIONALE SERVIZI società cooperativa ha sede legale a Bologna ed ha, come previsto anche dallo Statuto, numerose associate su tutto il territorio italiano;
   fra queste spiccano la 29 GIUGNO Cooperativa sociale arl onlus e la 29 GIUGNO SERVIZI società cooperativa di produzione e lavoro, entrambe facenti capo a Salvatore Buzzi, recentemente coinvolto nell'inchiesta «Mondo di Mezzo» istruita dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma che ha messo in luce gli intrecci fra il mondo delle cooperative, ambienti mafiosi, della criminalità comune e ambienti politici capitolini;
   il Buzzi faceva parte, fino al momento dell'arresto, anche del Consiglio di Sorveglianza del suddetto CNS CONSORZIO NAZIONALE SERVIZI, che insieme alla SEA SUD srl, in data 22 luglio 2011 si è aggiudicata l'appalto delle pulizie del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per 3.562.188 euro IVA esclusa con possibilità di subappalto nel limite del 30 per cento del suo valore per le sedi di Flavia 6, via Fornovo 8 e via Cesare de Lollis 12;
   sul sito del Ministero non compaiono nella apposita sezione eventuali ditte che abbiano successivamente concorso a subappalti derivanti dalla suddetta gara;
   all'interrogante risulta che, in un primo momento, la ditta in subappalto fosse la società cooperativa Antares la quale successivamente è stata esclusa a causa del mancato pagamento dei contributi previdenziali ad un dipendente per un periodo di otto mesi e che a questa sia subentrata la 29 GIUGNO SERVIZI società cooperativa facente capo al Buzzi per chiamata diretta e che la società cooperativa Antares sia stata contestualmente esclusa anche dal far parte delle aziende associate al CNS CONSORZIO NAZIONALE SERVIZI;
   il direttore commerciale per il Centro Italia del CNS era, fino allo scoppio dello scandalo in cui è indagato per turbativa d'asta, Salvatore Forlenza, grande amico di Salvatore Buzzi con cui aveva altri interessi in comune fra cui appalti con AMA, partecipata del Comune di Roma, specificatamente nel ramo della raccolta differenziata oltre che per il Comune di Latina –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se il Ministro ritenga che si sia ottemperato a tutte le prescrizioni di legge nella sostituzione in subappalto della società cooperativa Antares con la 29 GIUGNO SERVIZI società cooperativa di produzione e lavoro;
   se risponde a verità che il Ministero fosse a conoscenza della irregolarità nel pagamento dei contributi da parte della società cooperativa Antares e da quando, visto che non ha per tempo attivato i necessari e stringenti controlli sulla Antares dato che il mancato pagamento durava da ben 8 mesi;
   se il Ministro sia a conoscenza che i dati dell'appalto e dei relativi subappalti sono parziali sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in apparente contrasto con la deliberazione dell'autorità vigilanza contratti pubblici n. 26 del 22 maggio 2013 che discende dall'articolo 1 comma 32, della legge 190 del 2012.
(4-07402)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI BATTISTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Giovanna Fatello era una bambina di 10 anni che, la mattina del 29 marzo 2014, si doveva sottoporre ad una timpanoplastica presso la clinica privata romana Villa Mafalda;
   Giovanna entra in sala operatoria «perfettamente sana», come stabilirà in seguito l'autopsia, ma durante l'intervento sopraggiungono delle complicanze;
   l'operazione, intervento di routine che di norma ha una durata di quaranta minuti circa, inizia, infatti, alle 9:30, ma dopo quattro ore, alle 13:40, viene purtroppo dichiarato il suo decesso per «arresto cardiaco in asistolia»;
   la consulente della clinica privata, Luisa Regimenti, ha immediatamente escluso qualsivoglia responsabilità in capo ai medici della struttura: «Nessun errore. Il cuore della bimba ha smesso di battere come succede, purtroppo, in un caso su un milione. Il dolore per la sua scomparsa ha travolto i proprietari della clinica per primi»;
   la procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, nella persona del pubblico ministero Mario Ardigò, ha invece aperto un'indagine per omicidio colposo, nella quale risultano ad oggi indagate dieci persone, tra le quali il chirurgo Giuseppe Magliulo, gli infermieri, gli assistenti e gli anestesisti Pierfrancesco Dauri e Federico Santilli;
   la consulenza medico-legale, disposta nel corso delle indagini, ha accertato, come riportato da alcuni organi di stampa, una serie di «lacune descrittive ed errori di gestione delle diverse fasi del procedimento anestesiologico», nonché l'esistenza di «elementi idonei a correlare l'asistolia (blocco della circolazione sanguigna, ndr) a un periodo non quantificabile di ipossia (mancanza di ossigeno, ndr) di cui è responsabile l'anestesista e un ritardo nell'inizio delle manovre di rianimazione»;
   a ciò si aggiunga che nella cartella clinica, sequestrata dai carabinieri, non si rinviene la descrizione di oltre due ore di attività all'interno della sala operatoria;
   è inoltre agli atti che l'anestesista Pierfrancesco Dauri, durante l'intervento, è uscito dalla sala operatoria;
   come riportato da alcuni articoli di stampa, la principale pista investigativa sembra essere quella dell'emorragia;
   tale ricostruzione appare avvalorata da alcune circostanze: il tasso di emoglobina sarebbe sceso da 12 a 6 punti ed inoltre la clinica privata avrebbe presentato, a mezzo fax, una richiesta di tre sacche di sangue diretta al Policlinico Umberto I, che specifica il nome della paziente: Giovanna Fatello;
   anche in una dichiarazione rilasciata ad organi di stampa dal padre di Giovanna, si fa riferimento a numerose incongruenze e probabili mancanze da parte dell’équipe di Villa Mafalda: «Nel corpo di mia figlia... sono stati trovati dei farmaci e dei liquidi di cui non c’è traccia nella cartella clinica, praticamente vuota. Dauri inoltre, come dichiara l'altro anestesista Santilli davanti al pm, si è allontanato dalla sala tra le dieci e le dieci e mezza. Perché ? E perché gli altri indagati hanno negato questa circostanza ? Il macchinario che segnalava i parametri vitali era malfunzionante, ed è stato resettato il 31 marzo. Perché ? Pure il saturimetro, che indica l'ossigenazione, era rotto. Perché la procura ha aspettato sette mesi per interrogare gli infermieri e il personale di sala ?»;
   la maggioranza degli indagati, però, ha deciso di restare in silenzio di fronte alle domande degli inquirenti, in quanto, ad eccezione del chirurgo Giuseppe Magliulo, gli altri si sono tutti avvalsi della facoltà di non rispondere;
   in una recente intervista ad un quotidiano, la mamma di Giovanna ha affermato di non aver avuto alcuna risposta dalla clinica né dai medici: «Nessuno di quelli che erano in sala, né subito dopo la morte di mia figlia, né per i successivi otto mesi. Nessuno ha avuto il coraggio o la coscienza di venire a spiegare ai genitori di una bambina morta quello che è successo dalle 10 alle 13.40, da quando è cominciata l'ipossia a quando hanno cessato le manovre di rianimazione»;
   l'interrogante ha appreso da organi di stampa che anche gli ispettori del Ministero della salute, inviati in loco per le verifiche del caso, hanno constatato una scarsa collaborazione da parte dei vertici di Villa Mafalda;
   alla data odierna non risulta all'interrogante che la relazione degli ispettori del Ministero sia stata resa pubblica;
   da organi di stampa è anche emerso che Villa Mafalda è al centro di altre inchieste condotte dalla procura della Repubblica di Roma, quella relativa alle cure fornite ad Alberto Bevilacqua, un'indagine che ipotizza il reato di truffa per interventi di chirurgia plastica veicolati come operazioni urgenti, nonché quella in merito ad alcuni casi di false neoplasie diagnosticate a persone in buono stato di salute per spingerle a sottoporsi alla chemio o alla radio terapia;
   fermo restando che l'indagine della magistratura sulla morte della piccola Giovanna dovrà, ovviamente, seguire il suo corso, l'interrogante ritiene indispensabile appurare alcune circostanze in quanto è necessario fare il possibile per tentare di dare una risposta alle domande di verità e di giustizia dei genitori di Giovanna –:
   se gli ispettori del Ministero abbiano provveduto a redigere la relazione sui risultati dell'ispezione e se il Ministro intenda renderne pubblico il contenuto;
   quali siano le risultanze delle verifiche effettuate dagli ispettori del Ministero;
   se corrisponda al vero che durante le verifiche degli ispettori del Ministero i vertici di Villa Mafalda non abbiano collaborato ed in cosa sia consistita la mancanza di collaborazione;
   se gli ispettori del Ministero siano stati inviati, presso la clinica privata Villa Mafalda, anche in relazione ai fatti che sono oggetto delle altre indagini di cui in premessa, e se, in caso di risposta affermativa, intenda rendere di pubblico dominio le risultanze delle verifiche ispettive. (4-07383)


   MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, PARENTELA, SEGONI, TERZONI, GALLINELLA, ROSTELLATO, BUSTO, CRISTIAN IANNUZZI, BRESCIA, VACCA, CHIMIENTI, DAGA, COZZOLINO, VIGNAROLI, BENEDETTI, L'ABBATE, RIZZO, BASILIO, FRUSONE, VEZZALI, FRANCO BORDO e ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il diclofenac è un farmaco anti-infiammatorio non steroideo (FANS), derivato dell'acido acetico ed utilizzato negli esseri umani come anti-infiammatorio, antireumatico e soprattutto come analgesico;
   nel corso del 2013 la Sanco (Direzione generale Sanità) della Commissione europea, ha rilasciato i permessi affinché in Italia e Spagna il diclofenac in ambito veterinario sia consentito;
   se utilizzato in campo veterinario, il diclofenac persiste nelle carcasse degli animali ai quali il farmaco è stato somministrato, causando la morte di quegli animali cosiddetti saprofagi che entrando in contatto con le carcasse stesse, potrebbero nutrirsene rimanendone avvelenati;
   il Governo indiano ha espressamente bandito l'impiego veterinario del diclofenac dopo che l'utilizzo del farmaco ha causato una grave moria, in pochi decenni, tra le popolazioni di grifone del bengala (Gyps bengalensis), che popola le aree himalayane di India e Nepal, del grifone indiano (Gyps indicus) e dell'avvoltoio becco sottile (Gyps tenuirostris) che si sono ridotte in modo drammatico fino al 99 per cento, portando questi volatili quasi sull'orlo dell'estinzione;
   alcune associazioni ambientaliste europee, tra le quali la LIPU Onlus (Lega italiana protezione uccelli), hanno denunciato che il rilascio dei permessi per utilizzare il diclofenac in Italia e Spagna, potrebbe mettere in grave pericolo le uniche quattro specie di avvoltoi presenti in Europa; il capovaccaio, l'avvoltoio monaco, il grifone e il gipeto, già inseriti nella lista rossa «iucn» come specie in pericolo;
   le stesse associazioni affermano che in commercio sarebbero presenti farmaci analoghi testati come sicuri per i rapaci ed efficaci nell'uso veterinario del bestiame domestico;
   nonostante in Europa la gestione degli animali morti, e dei cadaveri in generale, è differente da quella indiana e i rischi di ingestione da parte di uccelli saprofagi di carcasse contaminate potrebbe essere inferiore rispetto a quanto accaduto in India, questo assunto non mette al riparo le popolazioni di avvoltoi europei dal rischio di avvelenamento, così come rimarcato dalle associazioni protezionistiche europee e da molti istituti scientifici come, in Italia, l'Ispra;
   solo un mese fa l'undicesima conferenza delle parti della Convenzione per le specie migratrici che si è svolta a Quito, in Ecuador, ha chiesto il bando del diclofenac oltre che del piombo dalle munizioni;
   come riporta un comunicato stampa della LIPU, secondo il Cvmp, il Comitato per i prodotti medicinali a uso veterinario che opera all'interno dell'Ema (Agenzia europea del farmaco), «il diclofenac mette a rischio gli avvoltoi nell'Unione europea perché essi si alimentano delle carcasse di animali trattati con questo farmaco» –:
   se sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se intenda per quanto di sua competenza, avviare delle azioni di salvaguardia degli avvoltoi europei dal pericolo provocato dall'utilizzo del diclofenac in ambito veterinario. (4-07387)


   SCOTTO e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 18 dicembre 2014 una giovane donna di trent'anni e di origini africane, Mary Jacob, è deceduta all'ospedale «San Paolo» di Napoli;
   la morte è stata causata da un infarto;
   la donna, originaria dello Zimbabwe, era residente a Castel Volturno;
   già svariate ore prima (circa cinque, secondo le ricostruzioni fatte finora) la donna aveva accusato i primi sintomi e malori, ed era stata trasportata all'ospedale «Santa Maria delle Grazie», sito in Pozzuoli, in provincia di Napoli;
   a quanto pare, tuttavia, alla donna l'accesso al pronto soccorso del «Santa Maria delle Grazie» sarebbe stato vietato dalle guardie giurate presenti all'ingresso della struttura;
   a Mary Jacob sarebbe stata, dunque, negata ogni possibilità di essere visitata;
   una volta arrivata al «San Paolo» le sue condizioni sono state valutate da codice rosso, ma ormai era troppo tardi, e nonostante le siano state praticate tutte le terapie del caso, Mary Jacob è deceduta nel giro di pochi minuti;
   non si tratta della prima segnalazione di atti di intolleranza nei confronti di extracomunitari che ha come protagonista il «Santa Maria delle Grazie»;
   se a Mary Jacob non fosse stato negato l'accesso al pronto soccorso del «Santa Maria delle Grazie», ella sarebbe con ogni probabilità ancora viva;
   laddove i fatti narrati corrispondessero a precisa verità, si tratterebbe di una violazione di numerose leggi e di tutti i principi alla base della Costituzione del nostro Paese;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, nell'articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano La Repubblica del 19 dicembre 2014 con il titolo «Le guardie giurate dell'ospedale le negano il pronto soccorso: muore donna immigrata» –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per contribuire a fare chiarezza sulla vicenda;
   se risultino altri casi analoghi a quello descritto e se intenda promuovere ogni iniziativa di competenza affinché eventi del genere non si ripetano più.
(4-07389)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha previsto un taglio delle risorse finanziarie alle province di un miliardo di euro che provocherà con certezza il dissesto della gran parte di esse che non potranno continuare ad erogare servizi essenziali come la manutenzione delle strade provinciali, delle scuole, il trasporto pubblico locale, il monitoraggio, la tutela dell'ambiente e la prevenzione del dissesto idrogeologico;
   la situazione dei dipendenti della provincia di Crotone è ancora più aggravata dalle condizioni economiche in cui versa lo stesso ente territoriale, ormai impossibilitato non solo ad erogare i minimi servizi (manca il gasolio per le scuole ed il catrame per le strade), ma addirittura a pagare gli stipendi: essi non hanno percepito lo stipendio di novembre 2014 ed è quasi certo che non avranno né quello di dicembre 2014 né tantomeno la tredicesima mensilità, aggravando una situazione economica e sociale già particolarmente depressa;
   l'azione del Governo, a giudizio dell'interrogante, in palese contraddizione con quanto stabilito dalla legge di «riforma Delrio», avrà anche conseguenze pesantissime sul personale. Se dovesse continuare in questa direzione, la riduzione di spesa del personale della provincia del 50 per cento metterebbe in discussione non solo il mantenimento dei servizi pubblici essenziali, ma avvierebbe anche un processo di mobilità assurda e senza logica per il personale, che sarebbe posto immediatamente in soprannumero e difficilmente potrebbe essere ricollocato presso altri enti. Infatti, detta ricollocazione è subordinata al rispetto di una serie di condizioni tali da escludere, di fatto, tale soluzione per la maggior parte del personale coinvolto e, conseguentemente, se ne prevede il licenziamento;
   si determinerà, pertanto, in brevissimo tempo l'allontanamento dal lavoro da parte dello Stato di migliaia di persone, del tutto incolpevoli, che saranno i soli a pagare il prezzo della manovra economica e della riforma della pubblica amministrazione. Con loro tutto il personale a tempo determinato delle province (spesso in servizio da molti anni e che ha contribuito a garantire i servizi) che a differenza di quello di tutti gli altri enti pubblici, per il quale è stata prevista la stabilizzazione, verrà letteralmente abbandonato ed avviato alla disoccupazione;
   l'operazione in argomento comporterà, inoltre, la soppressione di fondamentali servizi pubblici con grave danno per la comunità amministrata. Infatti, con la messa in disponibilità del personale, dotato delle necessarie professionalità, verranno meno repentinamente servizi pubblici essenziali;
   conseguentemente, lo snellimento delle province non può che passare attraverso un percorso graduale che veda il riassorbimento per fasi delle funzioni esercitate con il relativo personale –:
   se il Governo sia al corrente di quanto descritto in premessa;
   se non sia possibile dare piena attuazione alla «riforma Delrio» che aveva posto una serie di elementi di garanzia per la tutela dei dipendenti delle province;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere il «taglio» delle risorse finanziarie delle province, al momento posto in un miliardo di euro, nonché il taglio alle province che abbiano deliberato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale ex articolo 243-bis del TUEL;
   se non si ritenga opportuno assumere ogni iniziative di competenza per garantire agli enti di area vasta, al fine di assicurare la corretta attuazione della «riforma Delrio», le risorse finanziarie necessarie allo svolgimento delle funzioni fondamentali;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per bloccare tutte le assunzioni presso le pubbliche amministrazioni di ogni tipo fino all'esito dell’iter della riforma delle province, al fine di concorrere al riassorbimento, con procedura diretta, del personale delle stesse. (3-01237)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 19 dicembre del 2012 l'ufficio postale di Serrano, frazione di Carpignano salentino, ha chiuso definitivamente gli sportelli per «decisione unilaterale di Poste Italiane spa», affermarono i rappresentanti delle istituzioni territoriali, privando i circa duemila cittadini della frazione di servizi essenziali;
   a nulla, valsero, all'epoca, le sollecitazioni a ripristinare lo status quo ante espresse dall'amministrazione comunale né ebbe alcun esito, successivamente, la raccolta di oltre 600 firme di cittadini della frazione contro la chiusura dell'ufficio né, ancora successivamente, reiterati appelli ancora da parte della locale amministrazione comunale. In una lettera alle istituzioni (prefetto di Lecce, Ministro dello sviluppo economico, governatore pugliese, presidente della provincia, Anci Puglia, Anpci Puglia, segreteria regionale Agcom, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lecce e amministrazione di Poste Italiane spa), vennero puntualizzate, punto per punto, le gravissime ricadute e gli innumerevoli disagi per la popolazione;
   nello specifico, si ribadiva il carattere unilaterale della decisione e inoltre si sottolineava come la chiusura «provocasse un danno inqualificabile a tutta la cittadinanza, con riduzione dei servizi al cittadino e conseguente incidenza negativa sulla qualità della vita della popolazione residente, specie in capo alle fasce più deboli. In particolare, anziani e diversamente abili, sono fortemente penalizzati anche dalla mancanza di collegamenti con l'ufficio postale più vicino sito in Carpignano Salentino»;
   ancor più grave, infatti, appariva e appare la decisione di Poste Centrali in relazione sia al numero di cittadini rimasti privi di un servizio essenziale, costretti a recarsi nel vicino paese di Carpignano (circa due chilometri), sia alla composizione sociale della frazione, abitata in numero rilevantissimo da pensionati, molto spesso impossibilitati a spostarsi, sia ancora all'erogazione dello stesso Ufficio anche di servizi bancari (libretti di risparmio, conti correnti, servizio bancomat, erogazione di prestiti, fidi), in assenza di altri sportelli bancari, condizione che evidenzia ulteriormente, se mai ce ne fosse il bisogno, la funzione sociale e di garanzia di elementari diritti che lo sportello svolgeva all'interno della comunità serranese;
   d'altra parte, la decisione, sembrava «dettata non da una effettiva esigenza di eliminare gli sprechi e di razionalizzare i costi, bensì da una spregiudicata logica mercantile e di mero calcolo economico che ha come conseguenza la soppressione di un diritto del cittadino-consumatore»;
   su questa, come di altre, situazioni di grave disagio, verificatesi sul nostro territorio, con la chiusura di numerosi uffici, poste italiane non ha mai, sebbene siano state effettuate sollecitazioni anche con diversi atti parlamentari, fornito ragioni, tranne procedere alla rimodulazione – ovvero alla riduzione dei servizi – in alcuni uffici e alla chiusura di altre sedi;
   tali decisioni penalizzanti per i cittadini appaiono all'interrogante in totale contraddizione con il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008 avente per oggetto «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla Rete pubblica italiana». All'articolo 2 comma 4, il decreto riporta l'impossibilità nei comuni con unico presidio postale di effettuare soppressioni di uffici postali e al comma 5 prevede per i comuni sopra citati che l'apertura degli uffici postali non debba essere inferiore a tre giorni e a diciotto ore settimanali –:
   se il Ministro non ritenga di dover intervenire accertando le motivazioni per cui nella filiale delle Poste italiane di Lecce non si ottemperi a quanto previsto nel decreto del 7 ottobre 2008; se non ritenga di dover assumere iniziative perché Poste Italiane ripristini il servizio dell'ufficio postale di Serrano, come anche di altri comuni, rispondendo così ad una fortissima esigenza territoriale e ripristinando un servizio essenziale per quella comunità. (5-04354)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, DI BATTISTA, SPADONI, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 maggio 2010 è stato sottoscritto da Terna e dagli altri undici gestori di rete delle regioni Centro-Sud Europa e Centro-Ovest Europa un Memorandum of Understanding per l'allocazione coordinata della capacità d'interconnessione transfrontaliera per mezzo della società Capacity Allocating Service Company S.A.;
   in data 30 novembre 2010 il Ministro dello sviluppo economico, con lettera prot. 26246, ha riconosciuto alla Repubblica di San Marino il rinnovo della riserva di capacità di trasporto di energia elettrica sulle interconnessioni dell'Italia con l'estero a favore della Repubblica di San Marino per 10 anni a decorrere dal 1o gennaio 2011, per una capacità massima di 54 megawatt e comunque in misura strettamente necessaria a soddisfare i consumi della Repubblica;
   dal 1o aprile 2011 la gestione dell'allocazione esplicita della capacità annuale, mensile e giornaliera sulle interconnessioni tra l'Italia e la Francia, la Svizzera, l'Austria, la Slovenia e la Grecia è stata delegata da Terna alla società CASC-EU, come unico soggetto operativo per la gestione delle aste nelle regioni Centro-Sud e Centro-Ovest Europa. Sono applicate delle modalità di assegnazione dei diritti di utilizzo della capacità di trasporto sulle interconnessioni con i Paesi dell'Unione europea secondo le disposizioni introdotte con il regolamento n. 714/2009, attraverso l'adozione di meccanismi di mercato e metodi di allocazione congiunta della capacità di trasporto;
   il decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 93, in materia di «Attuazione delle direttive 2005/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE», all'articolo 37, comma 3, prevede che «il Ministro dello sviluppo economico, sentita l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con proprio decreto individua le modalità e condizioni delle importazioni ed esportazioni di energia elettrica a mezzo della rete di trasmissione nazionale anche al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti nonché la gestione unitaria delle importazioni ed esportazioni di energia elettrica sia nei confronti dei Paesi membri che dei Paesi non appartenenti all'Unione europea, nel rispetto degli accordi internazionali assunti e dei progetti comuni definiti con questi ultimi Paesi»;
   con decreto del 20 dicembre 2012, Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2013, il Ministero dello sviluppo economico ha attribuito al Vaticano e a San Marino una capacità di transito annuale rispettivamente di 50 megawatt e 54 megawatt, prevedendo all'articolo 3 (Assegnazione di capacità di trasporto per l'anno 2013 inottemperanza ad accordi internazionali) che «Terna, secondo quanto disciplinato dalla deliberazione ARG/elt 162/11, distinguendo per operatore di sistema in ragione della provenienza dell'energia elettrica sulla frontiera con la Francia o la Svizzera, e sulla base delle richieste della Repubblica di San Marino e dello Stato della Città del Vaticano, assegna, per l'anno 2013, alla Repubblica di San Marino e allo Stato della Città del Vaticano una riserva sulla capacità di interconnessione assegnabile sulla frontiera svizzera, ovvero riconosce ai medesimi Stati quote di ripartizione dei proventi delle assegnazioni dei diritti di utilizzo della capacità di trasporto sulla frontiera francese in modo da garantire effetti economici equivalenti all'assegnazione di una riserva sulla capacità di trasporto. I diritti complessivi, sia in termini di riserva di capacità che di quote di ripartizione, sono riconosciuti a ciascuno Stato nella misura massima di cui alle note ministeriali 30 novembre 2010 e 30 novembre 2012 citate in premessa e salvo l'esito delle verifiche che si svolgeranno ai sensi del comma 2, e comunque nella misura strettamente necessaria a soddisfare esclusivamente i consumi di ciascuno Stato» (comma 1) e che «L'energia immessa nel sistema elettrico italiano in utilizzo della capacità di trasporto di cui al comma 1 può essere utilizzata, pena la decadenza del diritto, esclusivamente all'interno degli Stati cui è stata assegnata la predetta capacità di trasporto. Terna verifica, sulla base di criteri definiti dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con cadenza mensile, il rispetto di detta condizione, anche avvalendosi delle imprese distributrici stabilite sul territorio nazionale, e ne trasmette gli esiti al Ministero dello sviluppo economico e all'Autorità» (comma 2);
   nel 2013 il Ministero dello sviluppo economico, sentita l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, ha provveduto, attraverso l'adozione di meccanismi di mercato e metodi di allocazione congiunta, ad assegnare i diritti per il 2014, escludendo il Vaticano, la cui richiesta di utilizzo della riserva era relativa al solo anno 2013;
   mettendo all'asta tali diritti (annuale mensile e giornaliero), si ottengono dei proventi che da quanto si legge all'articolo 1 del decreto 19 dicembre 2013, con cui si stabiliscono modalità e criteri per le importazioni di energia elettrica per il 2014, sono utilizzati, nel rispetto di quanto disposto dal regolamento (CE) n. 714/2009, a salvaguardia dell'economicità delle forniture per i clienti finali attraverso la riduzione dei corrispettivi di accesso alla rete;
   con nota del 27 gennaio 2014 il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ha richiesto per un arco di tempo pluriennale una riserva di transito di 50 megawatt;
   con nota del 6 agosto 2014 (prot. 19224) il Ministero dello sviluppo economico ha disposto, sulla base della richiesta avanzata, relativamente all'anno 2014 una riserva di 50 megawatt della capacità di transito dell'Italia con l'estero a favore dello Stato della Città del Vaticano, secondo modalità analoghe a quelle adottate per l'anno 2013, rinviando ad ulteriori accordi la definizione per gli anni successivi delle modalità di importazione di energia elettrica;
   con parere 18 settembre 2014 445/2014/I/EEL l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico si è espressa favorevolmente sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico recante integrazione al decreto 19 dicembre 2013, proponendo di riconoscere, per i mesi pregressi dell'anno, allo Stato Città del Vaticano una quota di ripartizione dei proventi delle assegnazioni dei diritti di utilizzo esclusivamente sulla capacità di trasporto della frontiera francese, per evitare una eccessiva riduzione della capacità nelle assegnazioni ancora da svolgere per gli ultimi mesi dell'anno sulle frontiere disponibili;
   con decreto ministeriale del 15 ottobre 2014 il Ministero dello sviluppo economico ha previsto all'articolo 1 (assegnazione di capacità di trasporto per l'anno 2014 allo Stato Città del Vaticano) che «Terna Spa riconosce, per l'anno 2014, allo Stato Città del Vaticano una riserva di 50 MW sulla capacità di transito dell'Italia con l'estero, attraverso una quota di ripartizione dei proventi delle assegnazioni dei diritti di utilizzo della capacità di trasporto sulla frontiera francese, in modo da garantire effetti economici equivalenti all'assegnazione di una riserva sulla capacità di trasporto» –:
   per quali anni prima del 2010 e in virtù di quali disposizioni normative la Repubblica di San Marino e lo Stato di Città del Vaticano abbiano goduto di una riserva di capacità di trasporto dell'energia elettrica;
   se siano state effettuate e con quali esiti le verifiche che, ex articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale del Ministero dello sviluppo economico del 19 dicembre 2013, Terna spa deve porre in essere, sulla base dei criteri definiti dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, con cadenza mensile, tra la capacità di energia elettrica riconosciuta dall'Italia e il soddisfacimento dei consumi all'interno degli Stati beneficiari;
   se sia mai stato calcolato il costo sostenuto dal sistema elettrico per i mancati proventi d'asta della capacità riservata alla Repubblica di San Marino e allo Stato di Città del Vaticano;
   quali siano gli enti o gli organi a cui fa riferimento la nota del 6 agosto 2014 (prot. 19224) del Ministero dello sviluppo economico e che dovrebbero concludere ulteriori accordi per la definizione per gli inni successivi delle modalità di importazione di energia elettrica;
   se ritenga opportuno che due Stati esteri, pur non avendo partecipato ai costi di investimento, godano dei proventi derivanti dall'utilizzo delle opere di connessione o possano acquistare energia elettrica ad un prezzo più basso rispetto a quello che si determina sul mercato italiano. (4-07376)


   BARONI, DI BATTISTA, LOMBARDI, VIGNAROLI, DAGA e FRUSONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda relativa all'inchiesta «Mondo di Mezzo» appare per molti versi inquietante, sollevando tra l'altro pesanti interrogativi sul sistema delle cooperative;
   dal sito del comune di Roma, a tutt'oggi non risulta allegato, da parte del sindaco Ignazio Marino il rendiconto, ex lege n. 515 del 1993, articoli 6 e 7, delle spese elettorali sostenute e dei contributi ricevuti completo di tutte le voci, ma risulterebbe scritta a penna solamente la somma delle spese effettuate divisa per capitoli piuttosto generici;
   dalle risultanze dell'inchiesta «Mondo di Mezzo» istruita dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma risultano due bonifici uno di 10.000 (diecimila) euro proveniente dalla Cooperativa 29 Giugno e uno di 20.000 (ventimila) euro proveniente dal consorzio Eriches 29, entrambi facenti capo a Salvatore Buzzi arrestato nel corso della medesima inchiesta che sarebbero finiti a finanziare la campagna elettorale del futuro sindaco Ignazio Marino;
   da fonti di stampa si apprende che, con apposita delibera (n. 312 del 2014) il comune di Roma ha dato in concessione alla Cooperativa 29 Giugno l'immobile di Via Pomona 63/65, una delle sedi della cooperativa stessa, ad un prezzo di 14.752,80, ben l'80 per cento al di sotto dei prezzi di mercato di quella zona, valutato dall'ufficio stime del Campidoglio in 73.764 euro, e, sebbene lui si sia difeso dicendo che in precedenza la coop 29 Giugno occupasse quegli stessi locali a titolo gratuito vale qui la pena ricordare la legge n. 241 del 1990 che all'articolo 12 modificato dal decreto legislativo n. 33 del 2013 sulla pubblicità e trasparenza nella pubblica amministrazione che così recita: «La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi» e che è stata totalmente mancante –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se abbia attivato i necessari controlli sulla coop 29 Giugno che devono necessariamente riguardare anche il costo di locazione dell'immobile ove è ubicata la sua sede principale. (4-07396)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Di Lello n. 4-07264, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Chaouki Khalid e altri n. 5-04348, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Scuvera, Giuseppe Guerini, Bray, Bonomo, Cani, Casellato, Fava, Piccione, Pinna, Castricone.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Antezza e altri n. 5-03526 dell'11 settembre 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-07391.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BOLOGNESI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il regio decreto 4 novembre 1932, n. 1423, recante Nuove disposizioni per la concessione delle medaglie e della croce di guerra al valor militare, e successive modificazioni, individua la tipologia delle decorazioni e degli atti che possono dare luogo ad un'onorificenza al valor militare;
   nell'articolo 3 indica quegli atti di coraggio in imprese belliche, non richiesti dal puro e semplice compimento del dovere che comportano un grave rischio personale, e costituenti esempi da imitare. Il citato regio decreto n. 1423 del 1932 contempla la concessione di analogo riconoscimento anche per atti della stessa specie compiuti in tempo di pace;
   la disciplina delle ricompense connesse a decorazioni al valor militare è stata da ultimo modificata, e i relativi assegni rivalutati, dalla legge 27 giugno 1991, n. 199, recante Riordino e rivalutazione degli assegni straordinari annessi alle decorazioni al valor militare;
   la sopracitata legge n. 199 del 1991 ha disposto che, a decorrere dal 1° luglio 1991, detti assegni straordinari, anche se conferiti in tempo di pace, siano considerati esenti da ogni imposizione fiscale e corrisposti nella misura annua indicata all'articolo 1. I suddetti assegni per l'anno 2013 risultano pari a: euro 4.810,53 per la medaglia d'oro, euro 855,19 per quella d'argento, euro 267,25 per la medaglia di bronzo, euro 160,33 per la croce di guerra;
   le misure sopra indicate rivelano una grande differenza tra l'importo attualmente previsto per gli assegni connessi alle medaglie d'oro da quelli previsti per gli assegni connessi alle medaglie d'argento, alle medaglie di bronzo e alla croce di guerra;
   i differenti comportamenti che sottintendono alla concessione delle varie onorificenze non giustificano così rilevanti differenze nei valori degli assegni corrisposti, che risultano comunque di modesta entità –:
   se il Governo intenda adoperarsi per riconoscere, con un'apposita iniziativa normativa, anche nell'ambito della prossima legge di stabilità, una rivalutazione di tutti gli assegni, a partire da quello per la medaglia d'oro, con il duplice obiettivo di ridurne le differenze tra le varie tipologie e incrementarne il valore in modo che l'assegno per la medaglia dell'argento non risulti inferiore al 50 per cento di quello previsto per la medaglia d'oro, quello per la medaglia di bronzo non inferiore al 30 per cento di quello per la medaglia d'argento e quello per la croce di guerra non inferiore alla metà di quello corrisposto per la medaglia di bronzo. (4-04968)

  Risposta. — Le decorazioni al valor militare sono istituite per esaltare gli atti di eroismo militare, conferendo pubblici onori agli autori e suscitando contestualmente lo spirito di emulazione dei militari davanti a un tale esempio di virtù militari.
  L'articolo 1414, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il Codice dell'ordinamento militare, stabilisce che «il grado della decorazione al valor militare si commisura alla entità dell'atto di valore compiuto, quale è determinata dagli elementi che lo costituiscono e, segnatamente, dalla elevatezza degli intendimenti dell'autore, dalla gravità del rischio e dal modo con il quale esso è stato affrontato, e dalla somma dei risultati conseguiti».
  Con il comma 2 dello stesso articolo viene, altresì, chiarito che la valutazione dell'impresa compiuta deve essere effettuata tenuto conto del complesso di tutti gli elementi probanti.
  A tal fine le decorazioni al valor militare sono differenziate nelle seguenti tipologie in ordine decrescente di importanza:
   la medaglia d'oro;
   la medaglia d'argento;
   la medaglia di bronzo.
  Esiste poi la croce al valor militare, che assume la denominazione di croce di guerra al valor militare quando si conferisce per fatti compiuti durante lo stato di guerra o di grave crisi internazionale.
  Il codice, nel riassettare all'articolo 1925 gli importi recati dalla previgente legge n. 199 del 1991, ha previsto che a ciascuna medaglia al valor militare sia annesso un assegno straordinario annuo (esente da ogni imposizione fiscale) il cui ammontare viene adeguato annualmente con circolare del Ministero dell'economia e delle finanze sulla base della variazione percentuale degli indici delle retribuzioni contrattuali degli operai dell'industria, e il cui importo, per l'anno 2014 risulta il seguente:
   a) la medaglia d'oro: 4.911,10 euro;
   b) la medaglia d'argento: 873,06 euro;
   c) la medaglia di bronzo: 272,84 euro;
   d) la croce al valor militare: 163,68 euro.
  La prospettiva di assumere un'iniziativa volta a rivalutare tali assegni e a individuare una diversa proporzione tra gli importi degli stessi è certamente meritevole di ogni attenzione e richiede di essere confrontata con le reali disponibilità finanziarie in un ambito interministeriale, con la necessaria condivisione del Parlamento.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   CHIARELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 7, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'11 febbraio 2014 reca «Disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale ed organizzativo delle Forze armate ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettere a), b) e d) della legge 31 dicembre 2012, n. 244;
   il provvedimento prevede, tra l'altro, che il comando servizi base di Taranto, entro il 31 marzo 2014, sia riconfigurato in comando stazione navale Taranto (MARISTANAV), in ragione della rideterminazione e razionalizzazione delle relative attribuzioni conseguenti all'accorpamento e all'assorbimento delle funzioni della direzione del supporto diretto (DSD) dell'Arsenale militare marittimo di Taranto;
   la citata direzione del supporto diretto interviene per la manutenzione/riparazione delle unità navali pronte, attività svolte con l'ausilio di altri reparti di lavorazione dell'Arsenale (DSC e DSN) che concorrono per migliaia di ore di lavoro l'anno;
   l'Arsenale militare marittimo di Taranto, entro il 31 dicembre 2015, è riconfigurato in ragione del nuovo assetto ordinamentale e quindi opererà esclusivamente su unità navali a programma;
   la tabella organica dell'Arsenale provvisoria risale a maggio 2013 e non tiene conto del successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che recupera nella dotazione organica complessiva del personale civile del Ministero della difesa i dipendenti della prima area (circa 70 dipendenti da inserire nell'organico dell'Arsenale M.M. di Taranto attualmente ancora esclusi); non sono noti inoltre gli effetti sulla dotazione organica in riduzione a causa del prospettato transito della direzione del supporto diretto al MARISTANAV;
   l'organizzazione sindacale UGL-INTESA in sede di consultazione locale con il dipartimento militare marittimo ha rappresentato all'amministrazione che a seguito di tale riconfigurazione l'Arsenale di Taranto, perdendo una sua peculiare funzione, sarebbe inevitabilmente declassato e che con simile disposizione non si persegue la maggiore produttività; la stessa organizzazione sindacale ha paventato il rischio che in siffatto contesto le attività della direzione del supporto diretto possano essere esternalizzate con maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che la probabile ennesima contrazione dell'organico dell'Arsenale non consentirà l'oramai improcrastinabile turn-over con conseguenti ricadute negative sul territorio anche in riferimento ai riordini in chiave restrittiva che riguardano altri enti della difesa –:
   se intenda assumere iniziative normative per sospendere l'adozione del provvedimento da adottare entro il 31 marzo 2014, al fine di rivedere e non mutare le attribuzioni funzionali e l'assetto dell'Arsenale M.M. di Taranto nonché di definire la tabella organica in ragione della «missione» e del ruolo che storicamente caratterizza e assicura lo stabilimento, grazie alle proprie maestranze, a garanzia della difesa e della sicurezza nazionale nonché delle missioni internazionali. (4-03952)

  Risposta. — La riorganizzazione degli arsenali è stata calendarizzata entro la fine dell'anno 2015 dal decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 7, discendente dalla legge n. 244 del 2012.
  Per gli arsenali è stato elaborato un piano di efficientamento con il fine di associare un razionale accorpamento delle lavorazioni con l'adeguamento delle infrastrutture e degli impianti sotto il profilo tecnologico e della sicurezza.
  Tanto allo scopo di ottenere minori costi di gestione e perseguire la concentrazione delle attività sul core-business delle manutenzioni navali, secondo il concetto del raggruppamento delle attività omogenee in officine polifunzionali.
  Il progetto è incentrato su: dimensionamento della manodopera mirato al progressivo recupero delle capacità di in-sourcing attraverso la scelta di soluzioni produttive individuate secondo i criteri di convenienza economica (make or buy); auspicato aumento della produttività; mantenimento dei livelli occupazionali.
  In tale quadro, era stato predisposto un piano di assunzioni di personale tecnico a favore degli arsenali da svilupparsi nel triennio 2012-2014 con l'acquisizione di 310 professionalità tecniche prioritariamente della 2a area funzionale, che però ancora non ha potuto trovare concreta attuazione per effetto del blocco delle assunzioni imposto dalla spending review salvo che per una piccola parte, con l'approvazione, fortemente voluta, di 24 assunzioni di assistenti tecnici (ex articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, come convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114).
  Inoltre, il decreto-legge n. 212 del 29 dicembre 2014 recante proroga delle missioni internazionali, convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2012, n. 13, prevede che, al fine di consentire l'attuazione dei processi di ristrutturazione e di incremento dell'efficienza degli arsenali della Marina in ciascuno degli anni 2014-2016, il Ministero della difesa riservi al personale appartenente ai profili tecnici il 60 per cento del numero complessivo consentito di assunzioni.
  Tali disposizioni sono state prorogate fino al 2019 con il decreto legislativo n. 8 del 28 gennaio 2014, discendente dalla legge n. 244 del 2012.
  Per quanto riguarda la scelta di operare una riconfigurazione della stazione navale di Taranto che, dal 31 marzo 2014, ha assunto anche le funzioni svolte in passato dalla direzione di supporto diretto dell'arsenale (DSD), questa non prevede un cambiamento dei volumi finanziari, ma solo della responsabilità di gestione.
  Essa va nella direzione di ottimizzare l'efficacia della logistica di aderenza in virtù della maggiore integrazione con lo strumento operativo, per un maggiore coordinamento delle attività e un migliore controllo delle priorità.
  La percentuale delle manutenzioni esternalizzate non ha subito né subirà alcun incremento a seguito di tale riorganizzazione. Continueranno quindi ad essere esternalizzate, come in passato, le sole attività manutentive di 3° e 4° livello, su base di necessità.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   CORSARO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Arbus, sulla costa sud occidentale della Sardegna, dalla metà degli anni cinquanta sorge il poligono di tiro di Capo Frasca, che con un'area di 14 km quadrati è il terzo d'Europa per estensione territoriale;
   il poligono di Capo Frasca costituisce una articolazione logistico-organizzativa dell'aeroporto militare di Decimomannu, la base militare più attiva e trafficata d'Europa, ed è utilizzato da aeronautica e marina militare italiane, Nato e tedesche, per esercitazioni di tiro a fuoco aria-terra e mare-terra;
   il poligono impegna una vasta area di sicurezza a mare interdetta alla navigazione e la segnalata presenza di ordigni inesplosi a terra e, soprattutto, in mare, fanno ricadere su ampia parte del territorio circostante il divieto di esercitare la pesca, coinvolgendo e penalizzando quindi in maniera diretta le popolazioni e i pescatori della zona;
   inoltre, il turismo in quella parte dell'isola è gravemente penalizzato dal continuo sorvolo degli arerei militari;
   le villae maritimae romane, due importanti pezzi di cultura e storia, essendo situate all'interno del poligono non sono visitabili o in altro modo fruibili per uno sviluppo turistico e culturale in quanto ricadono nel territorio in concessione alla NATO;
   nonostante il fatto che il territorio del poligono subisca da cinquanta anni i bombardamenti delle esercitazioni militari su di esso non è mai stata effettuata alcuna analisi epidemiologica e ambientale;
   il comune di Arbus non riceve alcun vantaggio dalla presenza militare e dalla servitù su un'area vastissima, se non la poco più che simbolica cifra di 1.400.000 euro corrisposta circa ogni cinque anni a titolo d'indennizzo, ai sensi della legge n. 898 del 1976;
   la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, che ha svolto i propri lavori nel corso della XVI legislatura, nella «Relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro», approvata nel maggio 2012, ha rilevato come occorra «chiedersi se l'attuale sistema di poligoni di tiro sia ancora necessario alle esigenze di difesa del territorio nazionale ed all'adempimento degli obblighi derivanti dalle alleanze sottoscritte con accordi internazionali», tenendo presente che «un tale sistema è stato progettato e realizzato a metà degli anni ’50, in un quadro internazionale dominato dalla divisione bipolare del mondo, in cui la frontiera orientale dell'Italia costituiva una delle frontiere del blocco occidentale e la Sardegna era concepita come un grande retroterra operativo»;
   nella relazione, inoltre, la Commissione ha formulato alcune proposte ed indicazioni, tra cui: il «ridimensionamento delle servitù militari in Sardegna, anche mediante la progressiva riduzione dei poligoni di Capo Frasca e di Capo Teulada»; l'individuazione, «nell'ambito dello Stato Maggiore della Difesa ed eventualmente degli Stati Maggiori di Arma, le funzioni preposte alla programmazione, al coordinamento ed all'attuazione delle bonifiche dei poligoni di tiro, in tutta Italia, procedendo ad una ricognizione a carattere nazionale sulla situazione ambientale delle aree dove sono insediate tali installazioni»; il coordinamento con le altre amministrazioni, con le regioni e con gli enti locali, il pieno mantenimento dei livelli occupazionali presenti nelle aree e nelle zone limitrofe ai poligoni interessati a forme di riconversione o di ristrutturazione; l'impegno al Governo per l'inserimento nelle leggi di stabilità di un congruo ed adeguato finanziamento pluriennale dedicato alle opere di bonifica dei poligoni militari;
   anche tenuto conto delle proposte formulate dalla citata Commissione, si pone per i comuni sardi interessati dalla presenza di servitù militari l'esigenza di impostare da subito azioni strategiche, concordate ai diversi livelli istituzionali, nella prospettiva del superamento delle stesse servitù, e al fine di prevedere gli stanziamenti adeguati per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo dei territori;
   sotto altro profilo appare necessario che siano estese anche alle aree interessate dal poligono di Capo Frasca le indagini ambientali e il lavoro di caratterizzazione già svolto per gli altri poligoni siti in Sardegna, al fine di poter poi realizzare la bonifica del territorio;
   inoltre, sarebbe opportuno che fosse disposta la cessazione delle esercitazioni militari di sorvolo almeno nel corso del quadrimestre giugno-settembre, al fine di permettere lo sviluppo del turismo costiero;
   infine, l'indennizzo corrisposto in base alla legge n. 898 del 1976 sulla regolamentazione delle servitù militari, dovrebbe essere rivalutato in considerazione dell'importanza strategica del poligono e del mancato guadagno che la sua esistenza determina per le comunità locali, nonché dovrebbe essere escluso dai vincoli del patto di stabilità interno –:
   se non ritenga di predisporre un piano operativo per la progressiva riduzione delle aree della regione Sardegna soggette a servitù militare, e per la dismissione del poligono di Capo Frasca;
   quali iniziative urgenti intendano adottare per la bonifica delle aree sinora sottoposte ad intensa attività militare e per la contestuale riqualificazione delle aree non più soggette a vincolo, prevedendo anche l'insediamento di attività alternative di adeguato livello qualitativo che garantiscano il mantenimento degli attuali livelli occupazionali;
   se e con quale tempistica intenda disporre l'equiparazione delle marinerie della costa arburese e del golfo di Oristano alle altre marinerie operanti in aree soggette a servitù militari in termini di indennizzi, come già formalmente richiesto dalle locali autorità. (4-04407)

  Risposta. — Il poligono di Capo Frasca provvede alle necessarie predisposizioni per consentire lo svolgimento delle seguenti attività:
   operative e addestrative nazionali/internazionali;
   di prova e standardizzazione di tecniche e tattiche di tiro aria/suolo e aria/aria che prevedano il solo rilascio di armamento inerte e/o da esercitazione;
   congiunte all'industria nazionale/internazionale sempre per armamento inerte e/o da esercitazione.
  Nel poligono, che non è utilizzato per esercitazioni di tiro a fuoco mare-terra, viene impiegato esclusivamente munizionamento inerte che, essendo privo di carica esplosiva, non produce deflagrazione.
  La disciplina relativa all'uso delle aree e dei relativi ripristini è stata recentemente aggiornata con l'edizione del nuovo «Disciplinare per la tutela ambientale del poligono di Capo Frasca» (aprile 2014), che subordina l'effettuazione di tutte le attività esercitative e di carattere innovativo/sperimentale, alla redazione di «schede di sicurezza ambientale», comprendenti le specifiche tecniche di ogni tipo di munizionamento da impiegare. Questo consente di valutare a priori la sostenibilità delle varie attività in riferimento alla tutela dell'ambiente e della salute umana.
  In tale contesto, ai fini della salvaguardia ambientale, viene anche effettuata periodicamente una ricerca dei materiali dispersi che vengono poi recuperati, se tecnicamente fattibile.
  In aggiunta, dagli esiti delle analisi di laboratorio effettuate nell'ambito della specifica «Attività di indagine preliminare sulle aree interessate da depositi di rifiuti di Capo Frasca», risulta che i terreni delle tre aree oggetto d'indagine non risultano contaminati, in quanto i valori analitici dei contaminanti analizzati rientrano tutti entro i valori limite delle concentrazioni soglia contaminazione, di cui al decreto legislativo del 2006, recante norme in materia ambientale.
  Riguardo agli aspetti legati alla «dismissione del poligono di Capo Frasca», va osservato che tale poligono ha caratteristiche uniche nel panorama nazionale per la capacità di soddisfare esigenze addestrative e sperimentali, considerate necessarie per il corretto approntamento dello strumento militare e per l'addestramento del personale militare.
  D'altra parte, l'attività addestrativa reale non può essere del tutto sostituita dall'addestramento virtuale, sebbene da alcuni anni molto si stia facendo per diminuirla, mediante l'impiego di simulatori di ultima generazione.
  La rilocazione in altre aree del territorio nazionale delle attività che si svolgono presso Capo Frasca, comunque allo studio, incontra obiettive difficoltà anche per l'attuale fase congiunturale caratterizzata da una esiguità di risorse finanziarie. E, d'altra parte, tale situazione non consente di prefigurare soluzioni alternative in Paesi esteri.
  Tutto ciò, comunque, non fa venir meno l'intendimento di procedere, d'intesa con la regione autonoma della Sardegna, a una attenta verifica dell'effettivo perdurare dell'esigenza militare su tutte le porzioni dei poligoni della Sardegna, finalizzata a valutare ogni possibilità di un loro progressivo ridimensionamento, alla bonifica e alla riqualificazione delle aree.
  Con riferimento agli indennizzi dovuti al comune di Arbus, il suo territorio non è gravato da imposizioni militari e, pertanto, non è compreso tra i comuni destinatari di tali benefici, mentre gli è stato riconosciuto, da ultimo per l'anno 2012, il contributo pari a 15.890 euro previsto dall'articolo 330, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 2010, in ragione della presenza nel proprio territorio di un'area demaniale destinata ad attività addestrative.
  Per quanto attiene, infine, alla richiesta connessa con il pagamento degli indennizzi alle «marinerie della costa arburese e del golfo di Oristano», premesso che la Difesa è disponibile a svolgere le opportune verifiche al riguardo, è necessario che venga stipulato uno specifico protocollo d'intesa tra l'Amministrazione e la regione Sardegna. Infatti, il protocollo d'intesa tra la regione Sardegna e il Ministero della difesa, sottoscritto il 9 agosto 1999 e il successivo protocollo integrativo in data 8 settembre 2005, prevedono l'erogazione degli indennizzi agli operatori marittimi dei comuni compresi nei compartimenti o uffici marittimi di Sant'Antioco, Arbatax, Siniscola e Cala Gonone, interessati dalle attività addestrative effettuate presso i poligoni di Capo San Lorenzo (poligono interforze di Salto di Quirra – PISQ) e di Capo Teulada.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Il maresciallo dei Carabinieri Saverio Masi, capo scorta del giudice Nino Di Matteo, è stato interessato da un processo per tentata truffa e per falso materiale per una sanzione stradale di 106 euro subita mentre era in servizio;
   il giudice Nino Di Matteo è noto per essere un magistrato che indaga sulla nefasta trattativa Stato-Mafia che, pare, fu causa delle stragi del 1992. Quindi, come magistrato esposto in prima linea, si suppone debba avere il massimo della collaborazione e del supporto da parte di tutte le istituzioni, a partire da quelle interrogate con il presente atto;
   fermo restando gli sviluppi assolutamente insindacabili del processo in corso per il maresciallo Saverio Masi, resta fondamentale comprendere se il citato Masi gode ancora della assoluta fiducia del giudice Nino Di Matteo e, nel caso, se sia utile per la stessa attività di indagine del magistrato citato; in tal caso sarebbe più che opportuna, a meno che non esistano altri fatti gravi non a conoscenza dello scrivente, l'assegnazione del maresciallo ad un reparto ove possa essere utilizzato per esperire attività di indagine oltre ad esplicare l'attività di capo-scorta –:
   quali iniziative si intendono intraprendere in relazione alla situazione riportata in premessa. (4-05539)

  Risposta. — In premessa si rappresenta che il dicastero ha già fornito risposta alla vicenda richiamata dall'interrogante in data 17 settembre 2014, in sede di risposta in Commissione difesa all'atto Senato n. 3/01115.
  Coerentemente a quanto esposto in detta occasione, si rende noto che nel corso della conferenza stampa tenutasi il 14 maggio 2013, il legale del sottufficiale menzionato nell'atto ha riproposto il contenuto di alcune denunce presentate, nel mese di maggio dello stesso anno, dal suo assistito presso gli uffici della polizia di Stato e della guardia di finanza, in merito ad asserite omissioni e a presunti comportamenti illeciti tenuti dai suoi superiori, dal 2001 al 2010 (quando era effettivo al reparto operativo di Palermo), finalizzati ad ostacolare la cattura di Bernardo Provenzano e di Matteo Messina Denaro.
  Il 4 giugno 2013, alcune agenzie di stampa hanno pubblicato le dichiarazioni con le quali l'ufficiale superiore che comandava in quel periodo il reparto operativo di Palermo smentiva la versione del sottufficiale, preannunciando iniziative legali a tutela.
  Nel periodo tra l'11 giugno e il 22 luglio 2013, l'allora comandante del reparto operativo di Palermo e un altro ufficiale, all'epoca dei fatti anch'egli in forza allo stesso reparto operativo, hanno depositato – direttamente presso le procure della Repubblica competenti – delle querele per diffamazione a mezzo stampa e calunnia nei confronti del sottufficiale, nonché degli autori degli articoli di stampa e dei direttori delle testate giornalistiche, responsabili, a vario titolo, di aver divulgato e/o commentato le informazioni diffuse nella citata conferenza stampa.
  Nel merito, si fa presente che nella sentenza n. 4035/13 emessa in data 17 luglio 2013 e depositata il successivo 14 ottobre – con cui il tribunale di Palermo ha assolto i due ufficiali dell'Arma dei carabinieri in congedo dall'accusa di aver favorito l'attività di cosa nostra e la latitanza di Bernardo Provenzano «perché il fatto non costituisce reato» – vengono, tra l'altro, evidenziate le motivazioni per le quali la testimonianza resa dal maresciallo dell'Arma dei carabinieri richiamato nell'atto non sia stata ritenuta sufficientemente attendibile.
  Riguardo, poi, alla possibilità di assegnare l'interessato a un reparto ove possa essere impiegato per svolgere «attività di indagine», si fa presente che a seguito del suo deferimento all'autorità giudiziaria per «falsità ideologica», «falsità materiale» e «tentata truffa» (in quanto ritenuto responsabile di aver chiesto alla locale sezione della polizia stradale l'annullamento di una contravvenzione al codice della strada, producendo una attestazione del proprio comando ritenuta falsa) sono state avviate le procedure di trasferimento per incompatibilità ambientale, conclusesi, nel dicembre 2008, con il reimpiego del sottufficiale – a domanda – presso il reparto servizi magistratura di Palermo, dove svolge tuttora servizio. Il militare non ha presentato altre istanze di trasferimento.
  Si rappresenta, in ultimo, che l'8 ottobre 2013, la corte d'appello di Palermo ha ridotto la condanna a carico dell'interessato, emessa in primo grado dal tribunale di Palermo, da otto a sei mesi di reclusione per i reati di «falsità materiale» e «tentata truffa», assolvendolo dal rimanente capo d'imputazione («falsità ideologica»).
  Il militare ha impugnato la sentenza innanzi alla Corte di Cassazione; la relativa udienza, fissata per il 30 ottobre 2014, è stata successivamente rinviata a data da definire.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   D'INCÀ. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del Bellunese nell'ultimo periodo, in particolare dalla metà di giugno 2014, gli abitanti denunciano l'intensificazione di frastuono e rumori molto forti causati da jet militari che arrivano nelle Dolomiti per esercitazioni;
   le apprensioni degli abitanti della zona stanno aumentando, in quanto, recentemente essi hanno notato che, gli aerei che solitamente sorvolano la zona in questione arrivano sempre più a basa quota con manovre spesso pericolose;
   da più parti e dalle istituzioni locali sono state presentate richieste di fermare o quantomeno di ridurre tali esercitazioni, che riportano alla memoria degli abitanti del Bellunese i disastri aerei, di cui la provincia è già stata teatro, come quello del Lagazuoi nel 1987 e della Valzoldana nel 2007 o la strage del Cermis nella vicina Val di Fiemme –:
   se il Ministro sia a conoscenza del fatto suesposto;
   se e quali iniziative intenda intraprendere per verificare se nel caso in questione siano rispettate le normative vigenti in termini di spazi aerei, con la speranza che non si verifichi un nuovo incidente che concretizzi le preoccupazioni degli abitanti del Bellunese. (4-05772)

  Risposta. — In via preliminare, occorre sottolineare che l'attività di volo militare risulta compiutamente disciplinata in ogni suo aspetto ed in particolare con riguardo all'incolumità dei terzi sorvolati.
  L'attività di volo operativa ed addestrativa condotta nei cieli d'Italia, compresa la regione Veneto, viene svolta nel pieno rispetto delle vigenti normative concernenti l'impatto ambientale ed antirumore.
  In particolare, tale attività viene condotta evitando il sorvolo di centri urbani e, laddove ciò non fosse possibile, tale sorvolo avviene a quote superiori a circa 500 metri (1.500 piedi), ad una distanza minima di 3 chilometri ed a velocità tali da ridurne l'impatto acustico.
  In relazione alla particolare connotazione degli ambienti alpini, la quota minima di volo per tali aree, invece, è fissata a circa 660 metri (2000 piedi), mentre sul territorio nazionale è di circa 330 metri (1000 piedi).
  Tale disciplina si applica parimenti e senza alcuna deroga, a tutti gli aeromobili stranieri autorizzati al sorvolo dello spazio aereo nazionale, ivi inclusi gli aeromobili appartenenti ai reparti di nazionalità estera permanentemente rischierati nel Paese.
  Ciò è avvenuto anche nel periodo indicato dall'interrogante quando, solo temporaneamente, per ragioni di carattere addestrativo, si è verificata una intensificazione dell'attività di volo militare.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   CRISTIAN IANNUZZI, BARBANTI, GRANDE, MASSIMILIANO BERNINI e RIZZO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Gaeta è una città antica e dalle grandi tradizioni storiche che ha rappresentato per secoli una posizione strategico-militare di importante rilievo. Ad oggi sono presenti sul territorio numerose caserme ed ex officine militari le cui strutture sono quasi tutte dismesse ed abbandonate. Molte di queste costruzioni sono risalenti ai secoli scorsi;
   all'incuria del tempo si sono aggiunti gli atti sconsiderati da parte di coloro che hanno ulteriormente saccheggiato e deturpato il patrimonio storico presente in quelle proprietà demaniali, che, interdette per molto tempo alla collettività, non hanno potuto ricevere quella cura e quella attenzione che le avrebbe potuto preservare e salvaguardare dalla rovina;
   tra i moltissimi beni demaniali che a Gaeta sono in stato di abbandono e degrado compaiono: la Casa Tosti ed il cortile retrostante, la Casina dell'ex Villa Reale, l'edificio della Gran Guardia, il Torrione Francese, la Caserma Cialdini, la Caserma Gattola ed il Forte Emilio Savio;
   l'amministrazione comunale di Gaeta precedente a quella attuale elaborò un programma di ristrutturazioni e di utilizzazioni di tali beni tenendo conto della vocazione e delle esigenze della città e della sua popolazione. La stessa amministrazione comunale, inoltre, considerato che per il recupero e la sistemazione di gran parte dei suddetti beni si sarebbe vista obbligata a far fronte alla necessità di trovare i fondi attraverso non solo i canali istituzionali, ma anche attraverso forme di finanziamento europeo e privato, aveva allacciato stretti rapporti con l'ATER di Latina per la realizzazione di diversi alloggi di «edilizia convenzionata» in varie strutture di quelle sopraindicate. Ciò, soprattutto in considerazione del fatto che a causa delle gravissime carenze abitative lamentate nella città di Gaeta e per i conseguenti alti prezzi delle locazioni, circa 6 mila cittadini gaetani si sono visti costretti ad emigrare nei comuni circostanti. L'ATER di Latina, ritenendo degne di apprezzamento le proposte dell'amministrazione comunale dell'epoca, dichiarò la sua disponibilità a realizzare un piano di realizzazione di edilizia per il soddisfacimento delle esigenze della cittadinanza di Gaeta;
   oltre alla realizzazione di alloggi per il soddisfacimento delle esigenze dei cittadini gaetani e dell'intero territorio, il recupero e l'utilizzo di tutti i beni demaniali oggi abbandonati ed in rovina potrebbero dar vita, attraverso un concorso di idee, ad un imponente programma di attività di natura soprattutto culturale e turistica tale da poter soddisfare anche le esigenze lavorative non solo della città di Gaeta ma anche dell'area ad essa circostante con la creazione di centinaia di posti di lavoro –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti, come esposti in premessa;
   se intendano adottare un'iniziativa volta al trasferimento al comune di Gaeta di tutti quei beni del demanio militare ormai in stato di decadenza e di abbandono;
   se i Ministri intendano da ultimo istituire, tramite gli uffici territorialmente competenti, un tavolo istituzionale con l'amministrazione comunale, con il coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni, per valutare la destinazione più idonea dei beni in questione. (4-05559)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesto di conoscere la sorte di alcune infrastrutture, elencate nell'atto, per le quali «l'amministrazione comunale di Gaeta precedente a quella attuale elaborò un programma di ristrutturazioni e di utilizzazioni di tali beni tenendo conto della vocazione e delle esigenze della città e della sua popolazione».
  Al riguardo, si rende noto che i beni oggetto dell'interrogazione in argomento, ubicati presso la città di Gaeta, risultano già da tempo dismessi definitivamente e retrocessi alla competente amministrazione finanziaria – agenzia del demanio, alla quale compete ogni decisione in merito alla relativa destinazione finale.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   LA RUSSA e RAMPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il sacrario militare di Redipuglia, in provincia di Gorizia, dedicato alla memoria dei soldati italiani caduti durante la prima guerra mondiale è il più grande sacrario militare d'Italia e uno dei più grandi al mondo;
   il monumento ai caduti costituisce il fulcro di un parco commemorativo di oltre 100 ettari che comprende una parte del Carso Triestino, teatro durante la grande guerra di durissime battaglie;
   oggi, proprio nell'anno in cui ricorre il centenario della grande guerra la parte monumentale del sacrario versa in condizioni di grave degrado, mentre la parte museale è quasi sempre inaccessibile al pubblico a causa di carenze d'organico;
   il sacrario è visitato ogni anno da circa duecentomila persone, e si stima che quest'anno, in occasione del centenario, tale numero aumenterà in modo considerevole –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di ripristinare il decoro dei luoghi di cui in premessa, disponendo le necessarie misure di manutenzione del monumento e del parco circostante, nonché provvedendo affinché siano resi accessibili e fruibili al pubblico gli spazi espositivi e museali del complesso.
(4-05518)

  Risposta. — La Difesa e la Presidenza del Consiglio dei ministri hanno sottoscritto, il 18 aprile 2013, un «Protocollo di Intesa per la commemorazione del centenario della prima Guerra Mondiale», per la riqualificazione dei più significativi siti e musei militari, nonché per la realizzazione di eventi celebrativi.
  In attuazione di quanto previsto dall'articolo 3 del protocollo – che individua l'area monumentale di Redipuglia quale sito principale oggetto di indagine progettuale – il commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra (Onorcaduti) ha elaborato un programma, condiviso dalla Presidenza del Consiglio, che prevede una serie di interventi infrastrutturali finalizzati:
   alla realizzazione del memoriale di Redipuglia – progetto del museo diffuso della grande guerra per la ristrutturazione della casa III armata;
   al restauro conservativo e alla messa in sicurezza delle gradinate laterali e dei pianerottoli intermedi e al ripristino della funzionalità della rete di raccolta e smaltimento delle acque meteoriche (importo programmato 4.655.000 euro);
   alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei servizi igienici per i visitatori, del posto ristoro e dei magazzini presso il complesso edilizio della casa III armata;
   al rifacimento dell'impianto elettrico primario, secondario e degli impianti ausiliari, oltre all'abbattimento delle barriere architettoniche e alle principali misure antinfortunistiche.
  Per tali lavori, che comprendono anche le opere per l'abbattimento delle barriere architettoniche e le principali misure antinfortunistiche, sono stati stanziati circa 5,2 milioni di euro per il biennio 2014-2015 nell'ambito dello stanziamento complessivo di 28 milioni di euro previsti per il quinquennio 2014-2018 dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) per la celebrazione del centenario della grande guerra.
  La realizzazione delle opere rientra nelle competenze della Presidenza del Consiglio dei ministri che, attraverso la specifica struttura di missione, provvede alla progettazione, all'affidamento e alla esecuzione di ciascun intervento.
  Per quanto concerne i giorni e gli orari di apertura, premesso che il sacrario militare dove sono custodite le spoglie dei caduti è permanentemente aperto, nell'ambito delle azioni tese alla valorizzazione e alla fruibilità del complesso monumentale di Redipuglia, è in fase di finalizzazione un accordo tra Onorcaduti e le associazioni nazionale alpini e marinai d'Italia per un concorso alle attività di guardiania che consentirà di ampliare l'orario di apertura del museo e delle sale espositive in modo da renderle maggiormente fruibili alla popolazione.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   NASTRI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'ondata di avvistamenti di oggetti volanti non identificati (OVNI) avvenuta nel 1978, l'allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti designò l'Aeronautica militare quale organismo istituzionale deputato a raccogliere, verificare e monitorizzare le segnalazioni inerenti gli OVNI;
   l'attività di controllo e di osservazione costante, attualmente è svolta dal reparto generale sicurezza dello Stato Maggiore dell'Aeronautica, la cui struttura, si occupa di questa materia per garantire adeguati livelli di sicurezza del volo nazionale, custodendo al contempo, le segnalazioni degli avvistamenti, in genere quelli provenienti da testimoni che hanno denunciato l'avvenimento alle forze dell'ordine;
   il medesimo reparto, a seguito delle indicazioni ricevute, avvia con l'ausilio del servizio meteo e dei comandi operativi, un'indagine tecnica, al fine di verificare se l'oggetto misterioso avvistato, sia un pallone sonda meteorologico, un velivolo convenzionale, un aeroplano tracciato dai radar o, comunque un fenomeno noto, oppure un evento non conosciuto e pertanto classificato oggetto volante non identificato (OVNI), ovvero un UFO, dall'acronimo inglese unidentified flying object o unknown flying object;
   dai faldoni «declassificati» custoditi presso il suesposto reparto generale sicurezza, pubblicati recentemente da un libro, «Ufo i dossier italiani», emerge un quadro inedito, secondo il quale nell'anno 2013, ci sono stati 7 avvistamenti registrati, per un totale di 56 negli ultimi 4 anni e con una forte espansione di 22 casi nell'anno 2010 e un calo nell'anno 2011 pari a 17 avvistamenti, mentre 10 sono quelli registrati nell'anno 2012;
   l'attività di verifica e di indagine tecnica da parte dell'Aeronautica militare è finalizzata all'accertamento dell'esistenza di una correlazione con eventi umani e/o fenomeni naturali in grado, se necessario, di coinvolgere anche altri organi competenti presenti sul territorio nazionale;
   il compito di ricerca non intende stabilire se vi siano altre forme di vita intelligente provenienti da altri pianeti, ma si limita a individuare se è stata possibile, oppure no, una giustificazione tecnica o naturale ad un determinato avvistamento nello spazio aereo;
   l'Aeronautica militare, fornendo ulteriori precisazioni, ribadisce che non è previsto alcun compito da parte del reparto generale sicurezza dello Stato Maggiore, nell'esprimersi sull'attendibilità degli avvistamenti, avendo tuttavia riscontrato nello spazio aereo nazionale nel passato, oggetti volanti non identificati di varie forme, da semplici oggetti luminosi a vere e proprie «flottiglie» di OVNI, ricevendo addirittura la segnalazione di un «umanoide», presente nel nostro Paese;
   le fonti, secondo quanto riportato dalla stessa Aeronautica militare, rilevano che gli avvistamenti in tutta Italia, provengono da «privati cittadini», forze dell'ordine, piloti e perfino preti, i quali attraverso la compilazione di uno specifico e dettagliato modulo, determinano l'avvio dell'indagine;
   l'interrogante segnala che, oltre ai riferimenti numerici degli avvistamenti, in precedenza riportati, vi è tuttavia un ulteriore aspetto del fenomeno i cui dati raccolti dall'Aeronautica militare, andrebbero resi noti e riconducibili alle segnalazioni pervenute da piloti civili e militari e da militari dell'Esercito nonché, dai controllori di volo ed altre fonti attendibili di coinvolgimento di piloti civili e militari, di avvistamenti e addirittura inseguimenti per intercettazione di velivolo sconosciuto introdottosi negli spazi aerei italiani;
   nel corso del recente passato, gli organi di stampa hanno addirittura citato episodi in cui i velivoli della Aeronautica militare, sono stati inseguiti da OVNI o avvenimenti di mancata collisione denunciati dai piloti delle compagnie aeree italiane e straniere che operano sul territorio italiano, con oggetti volanti dalla natura sconosciuta;
   nella maggioranza dei casi, i piloti hanno segnalato dei velivoli aventi luci di posizione completamente differenti da quelle in uso da parte di aerei da trasporto passeggeri, aerei postali o militari ed hanno descritto evoluzioni effettuate da questi OVNI che nulla hanno a che vedere con l'odierna conoscenza in campo aeronautico;
   a giudizio dell'interrogante, occorre rendere noto all'opinione pubblica, eventuali ulteriori informazioni oltre a quelle di recente divulgate, al fine di far conoscere in modo completo e definito, anche attraverso il coinvolgimento della società della ricerca scientifica e accademica, la natura di un fenomeno, il cui mistero dura da decenni e che alla base pone la domanda dell'esistenza di altre civiltà extraterrestri –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda rivelare i documenti declassificati, ed in possesso presso il reparto generale sicurezza dell'Aeronautica militare, relativi agli avvistamenti di oggetti volanti non identificati – OVNI, avvenuti nel corso degli ultimi anni nel nostro Paese;
   se intenda altresì rendere noti ulteriori documenti relativi a segnalazioni, pervenute da parte di piloti militari o civili, di avvistamenti di OVNI, all'interno dello spazio aereo italiano, che stando a quanto pubblicato dagli organi di stampa nel corso del recente passato, hanno addirittura citato avvenimenti di mancata collisione;
   se intenda infine confermare l'attenzione da parte del Governo, sul fenomeno degli oggetti volanti non identificati ed in caso affermativo, quale sia il sistema organizzativo operante in Italia. (4-03820)

  Risposta. — In via preliminare, va detto che l'Aeronautica militare riserva costante attenzione alla questione delle segnalazioni di oggetti volanti non identificati (O.V.N.I.), nell'ottica di condurre, secondo una consolidata procedura, le necessarie verifiche di eventuali impatti sulla sicurezza dell'attività aerea.
  Per quanto concerne la struttura operativa operante in Italia, come peraltro citato dall'interrogante, si conferma che la responsabilità della raccolta, della verifica e del monitoraggio di tutte le segnalazioni riguardanti gli oggetti volanti non identificati rientra nella competenza del reparto generale sicurezza dello stato maggiore dell'Aeronautica Militare, quale organo istituzionale designato a suo tempo per questo tipo di attività.
  Tutte le diverse informazioni in possesso di tale reparto riguardanti gli O.V.N.I., comprese le segnalazioni provenienti da piloti, civili e militari, ormai da diverso tempo sono accessibili al pubblico.
  Infatti, sul portale internet dell'Aeronautica militare, alla voce «Oggetti Volanti Non Identificati», è possibile consultare un'aggiornata sintesi statistica relativa alle attività di verifica delle segnalazioni di O.V.N.I. pervenute nonché alle relative risultanze.
  Presso il citato reparto dello stato maggiore dell'Aeronautica è altresì accessibile a titolo gratuito, a tutti coloro che, per motivi istituzionali, di studio o di divulgazione scientifica, anche attraverso i media, ne facciano espressa richiesta, l'intero archivio, che è stato completamente declassificato.
  Ogni segnalazione proveniente da piloti, civili e militari, o da singoli cittadini, viene analizzata e processata da personale dell'Aeronautica, che avvia un'indagine tecnica per identificare l'esistenza di una correlazione con eventi umani o fenomeni naturali coinvolgendo, se necessario, anche altri organi competenti presenti sul territorio nazionale. Tale attività ha lo scopo di garantire la sicurezza del volo e nazionale. Una volta terminati gli accertamenti, gli episodi vengono pubblicati alla voce "Avvistamenti" della citata pagina web e, se non è stato possibile individuare una giustificazione tecnica o naturale, si classifica l'episodio come avvistamento di oggetto volante non identificato.
  Gli eventi citati dall'interrogante, ripresi nel libro «UFO – I dossier italiani» i cui autori hanno avuto pieno accesso all'archivio dell'Aeronautica militare – risultano essere gli unici disponibili presso il citato reparto generale sicurezza che, sempre nell'ottica della massima trasparenza, ne ha consentito la divulgazione al pubblico.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   PAGANI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in una nota informativa, divulgata da Unfodifesa (portale di informazione per il comparto sicurezza e difesa), il Consiglio centrale di rappresentanza dei carabinieri ha informato che l'Arma sta perseguendo un progetto di razionalizzazione delle diverse linee organizzative e di riduzione delle spese;
   il progetto riguarda in particolare la soppressione di sei compagnie tra le quali quella di Lugo (RA), nonché l'accorpamento di numerose stazioni, tra le quali quella di Lavezzola;
   il Comando compagnia dei carabinieri svolge compiti importanti nel coordinamento delle attività volte a garantire la sicurezza dei cittadini e la salvaguardia e tutela del territorio della Bassa Romagna;
   la chiusura del Comando di compagnia di Lugo e di altri presidi procurerebbe una drastica riduzione delle sicurezza dei nostri cittadini e minerebbe fortemente la tutela della legalità nel territorio citato –:
   se le notizie circa la volontà dell'Arma dei carabinieri di procedere a piani di razionalizzazione in questo territorio siano veritiere e se il Ministro non intenda, nel caso, rivedere questa scelta per l'evidente necessità di mantenere il presidio dell'Arma sul territorio comunale di Lugo. (4-04238)

  Risposta. — L'Arma dei carabinieri, nell'ambito del processo di razionalizzazione e di ottimizzazione del dispositivo territoriale, valuta periodicamente la distribuzione dei propri presidi, privilegiando le aree maggiormente interessate da problematiche di sicurezza con una loro mirata ricollocazione, in piena sintonia con le altre forze di polizia.
  In tale ottica, il gruppo di lavoro costituito presso il dipartimento di pubblica sicurezza ha ipotizzato, per il territorio del comune di Lugo:
   la soppressione della compagnia Carabinieri di Lugo, con contestuale accorpamento della locale stazione a quella di San Lorenzo di Lugo;
   l'accorpamento della stazione di Lavezzola con quella di Conselice, nonché della stazione di Brisighella con quella di Fognano.
  Tali provvedimenti, attualmente al vaglio del competente comando legione, sono stati oggetto di una approfondita analisi che tiene conto di parametri riferiti alla popolazione, alla delittuosità, agli aspetti di carattere infrastrutturale e logistico e alla mobilità.
  Inoltre, non pregiudicherebbero in alcun modo l'efficienza della componente territoriale delle forze di polizia, tantomeno la sicurezza dei cittadini che, nel caso specifico, continuerebbe a essere garantita dal personale impiegato nella stazione carabinieri di San Lorenzo di Lugo (distante da Lugo poco più di 6 chilometri) e, tra l'altro, consentirebbero un risparmio economico per oneri locativi pari a circa 140.000 euro annui.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   PRODANI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia regionale per la protezione ambientale del Friuli Venezia Giulia (ARPA) nello scorso dicembre ha comunicato alle amministrazioni locali i dati delle analisi effettuate nel poligono militare «Cellina-Meduna» in provincia di Pordenone (Cordenons);
   secondo l'ARPA in 4 degli 8 bersagli statici presenti nel poligono — delle carcasse di carri armati utilizzati per l'addestramento al fuoco —, è stata riscontrata la presenza di torio 232 molto superiore alla norma, di origine artificiale e presumibilmente collegata alle attività militari;
   la presenza di questa sostanza radioattiva è compatibile con le attività addestrative svolte negli anni ’80 e ’90 nel sito. Tra il 1986 e il 2003, infatti, l'Esercito ha utilizzato il missile anticarro MILAN (Missile d'Infanterie Léger ANtichar) in grado di rilasciare l'isotopo radioattivo summenzionato;
   il Comando della brigata Ariete, che gestisce il poligono a ridosso del sito d'interesse comunitario (Sic), ha già effettuato monitoraggi ambientali e rilevato limiti superiori alla soglia consentita di cadmio, antimonio, piombo, nichel, zinco, rame e vanadio in 3 degli 8 siti utilizzati dai militari per gli addestramenti;
   le aree interessate dal campionamento sono state recintate per impedirne l'accesso, e la zona sarà preclusa ad ulteriori attività di addestramento per evitare incrementi dei valori di soglia;
   attualmente è in corso la caratterizzazione del sito per la sua bonifica, ai sensi del Codice dell'ambiente (dlgs; n. 152/2006) e del decreto ministeriale 22 ottobre 2009, il cui piano è stato approvato dalla conferenza dei servizi il 12 giugno 2013;
   sull'inquinamento del poligono di Cordenons l'interrogante ha già presentato un atto di sindacato ispettivo — l'interrogazione a risposta scritta 4-00846 — con il quale si è chiesto di avviare la verifica dello stato d'inquinamento dell'aerea, a tutela dell'ecosistema e della popolazione che vi risiede;
   nella risposta pubblicata nell'Allegato B della seduta d'Aula del 18 ottobre 2013, il ministro della difesa Mario Mauro ha fatto presente che «le esercitazioni presso i poligoni vengono sempre effettuate nel pieno rispetto di precise norme di legge, volte ad assicurare la salvaguardia della popolazione e la tutela dell'ambiente». Inoltre, ha concluso il Ministro, «ogni attività viene preventivamente valutata e autorizzata solo dopo un esame dell'impatto ambientale e previa consultazione del Comitato misto paritetico, la cui attività è finalizzata proprio ad instaurare, nell'ambito di ogni regione, un rapporto permanente di collaborazione con le Forze armate, al fine di armonizzare le esigenze della Difesa con le esigenze del tessuto civile e sociale della vita comunitaria» –:
   quali iniziative urgenti, d'intesa con gli enti locali, s'intendano adottare a seguito dei dati allarmanti resi pubblici dall'ARPA Friuli Venezia Giulia;
   quali siano i criteri utilizzati dal Ministero della difesa per valutare l'impatto ambientale delle esercitazioni e quanti e quali tipi di munizionamento utilizzati dalle Forze armate possono determinare il rilascio di isotopi radioattivi. (4-03112)

  Risposta. — Nell'ambito dell'accertamento dei livelli di contaminazione radioattiva, condotto dall'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) del Friuli Venezia Giulia nell'area su cui insiste il poligono di Cellina Meduna, i primi risultati hanno evidenziato, in 4 degli 8 bersagli statici presi in esame, la presenza di torio in «quantità nettamente superiore» a quella presente nel fondo ambientale della zona.
  La contaminazione, presumibilmente connessa ad attività risalenti nel tempo, è circoscritta a piccole aree all'interno del poligono, delle dimensioni di alcune centinaia di metri quadrati.
  Nondimeno, l'ARPA sta procedendo all'effettuazione di ulteriori indagini finalizzate ad approfondire il quadro di distribuzione del torio nell'area addestrativa, all'esito delle quali, non appena saranno noti i risultati tecnici, saranno avviate le azioni più idonee per la bonifica e per il ripristino ambientale del poligono, sulla base delle indicazioni espresse dalla conferenza dei servizi tenutasi il 12 giugno 2013.
  Riguardo, poi, ai «criteri utilizzati dal Ministero della difesa per valutare d'impatto ambientale», le esercitazioni vengono oggi effettuate in applicazione del «Disciplinare Ambientale» che, nel rispetto della normativa vigente, regolamenta le procedure per autorizzare le attività all'interno dei poligoni.
  Il disciplinare prevede che ogni attività sia oggetto di una valutazione preventiva basata sulla documentazione tecnica del materiale da utilizzare, di un controllo di coerenza tra le attività pianificate e quelle effettuate durante le esercitazioni e le sperimentazioni – da tenersi in coordinamento tra personale del poligono e utenti – e, infine, di un controllo successivo alla esercitazione o sperimentazione, durante il quale si interviene con la bonifica, qualora ne emerga l'esigenza.
  Dai dati in possesso, inoltre, risulta che nessun tipo di munizionamento attualmente in uso all'Esercito italiano contiene materiale radioattivo; ciò esclude, pertanto, l'eventualità di una qualsiasi futura contaminazione correlata all'impiego di munizionamento che possa «determinare il rilascio di isotopi radioattivi».
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   SCAGLIUSI, SPADONI e RIZZO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si stanno accrescendo gli allarmi diffusi sul potenziale propagarsi di malattie tra gli uomini che partecipano all'operazione Mare Nostrum;
   gli sbarchi di migranti sulle coste italiane hanno raggiunto un livello senza precedenti, tanto che solo a Taranto, per citare un esempio, si sono avuti tre sbarchi in tre giorni;
   tra la popolazione soccorsa sono stati segnalati casi di tubercolosi, di scabbia ed altre patologie potenzialmente infettive;
   il tema della protezione della salute delle forze dell'ordine, volontari civili e dei militari impegnati nelle operazioni di soccorso dei migranti è da tempo all'attenzione dei ministeri coinvolti;
   la settimana scorsa, si è tenuto un apposito incontro al dicastero della salute e altri sono previsti con l'obiettivo di individuare rapidamente un protocollo unico per tutto il personale civile e militare impegnato nelle operazioni di soccorso. Si tratta infatti di impartire istruzioni precise per un'unica profilassi e per dotare il personale di strumenti adeguati al fine di garantire i necessari requisiti di sicurezza sanitaria;
   il personale della Marina militare è sottoposto a screening per l'individuazione di eventuali malattie infettive. Secondo quanto riferito dal Capo di Stato Maggiore della Marina militare ammiraglio De Giorgi proprio otto marinai sarebbero risultati positivi al test della tubercolosi, anche se le cause di questa positività, non sono immediatamente riconducibili alle operazioni di soccorso dei migranti –:
   quali ulteriori misure il Governo intenda adottare per garantire la piena tutela della salute del personale civile e militare impegnato nelle operazioni di soccorso e prima accoglienza ed in particolare per evitare la trasmissione o il contagio di eventuali malattie infettive;
   su quale unità abbiano prestato servizio gli otto militari risultati positivi al test della tubercolosi, negli ultimi quattro mesi;
   se il Governo sia al corrente di altri casi di positività alla tubercolosi tra i militari coinvolti in missioni internazionali, specialmente in luoghi dove il focolaio della tubercolosi è ancora latente e non del tutto debellato. (4-05158)

  Risposta. — La problematica concernente il rischio di contrarre malattie infettive da parte del personale dipendente è stata più volte affrontata, in ambito Difesa, sia con disposizioni a carattere generale sia con direttive specifiche contenenti misure di prevenzione finalizzate alla minimizzazione dei possibili rischi biologici, in relazione alla gestione dei flussi immigratori.
  In particolare la Marina militare, in collaborazione con il Ministero della salute, ha avviato un programma di sorveglianza sindromica che vede impegnato il personale sanitario di bordo responsabile dell'assistenza sanitaria.
  Tale programma non costituisce un sistema di diagnosi di malattie infettive, ma è finalizzato al rapido riconoscimento di segni e sintomi di «alert» per le più importanti malattie infettive oggetto di attenzione da parte sia della sanità militare e civile nazionale che del regolamento sanitario internazionale.
  I casi che rientrano nelle possibilità di allerta, vengono, poi, segnalati e presi a carico dalla sanità civile per gli approfondimenti clinico-diagnostici e terapeutici necessari.
  Con riferimento, più in generale, alle «ulteriori misure» che il «Governo intende adottare» per tutelare la salute del personale militare e civile, si osserva che nell'ottica dell'abbattimento dei rischi lavorativi, non solo di quelli infettivi, viene messo in atto ogni intervento di valutazione dei rischi medesimi e la successiva applicazione di tutte le misure di profilassi che prevedono l'informazione, la formazione, la sorveglianza e la riabilitazione.
  Tutto il personale preposto a determinate attività, come nel caso di Mare Nostrum, viene sottoposto a visita medica preventiva pre-impiego, previa accurata valutazione dei rischi per la salute del singolo e della collettività.
  Oltre a essere sottoposto a vaccinazione e/o altra profilassi secondo i dettami di specifiche direttive tecniche, il personale viene anche informato sugli eventuali rischi lavorativi contingenti, adeguatamente formato e dotato dei necessari dispositivi di protezione individuale, quali: guanti, mascherine filtranti, occhiali, tute monouso e copri-scarpe, secondo esigenza.
  Peraltro, nelle linee guida nazionali del Ministero della salute sulla tubercolosi – che forniscono raccomandazioni basate su evidenze scientifiche concernenti le procedure diagnostiche della malattia – è chiaramente indicato che l'adozione di tali dispositivi, adeguati al livello di rischio, elimina la possibilità di contagio, al punto che decade anche la definizione epidemiologica di «contatto».
  Nel corso dell'operazione Mare Nostrum, ritenuta a possibile rischio d'infezione tubercolare, sono stati inoltre effettuati a tutto il personale interessato, dei test test secondo Mantoux»), con gli eventuali approfondimenti del caso. Altrettanto avviene per le attività di settore avviate dal 1o novembre 2014. Durante le operazioni di soccorso in mare, i naufraghi sono stati, di massima, sottoposti a sorveglianza sanitaria e ad isolamento, quando ritenuto necessario, anche a bordo delle navi militari.
  Per quanto riguarda gli otto marinai, tutti imbarcati su nave Grecale impegnata in operazione Mare Nostrum, che nel mese di giugno 2014 sono risultati positivi al test di Mantoux, va specificato che la positività implica il solo contatto con il batterio, ma non lo sviluppo della malattia tubercolare.
  Riguardo, infine, ad eventuali altri casi di «positività alla tubercolosi tra i militari coinvolti in missioni internazionali», ad oggi, non sono stati notificati dall'osservatorio epidemiologico della Difesa ulteriori casi.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   SPESSOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2010, la piena del fiume Piave ha fatto franare le sponde del fiume in vari punti, facendo riemergere allo scoperto, lungo il suo corso, alcuni frammenti ossei che, come sostenuto da diverse fonti locali e notizie di cronaca, apparterrebbero a soldati italiani Caduti in servizio durante la prima guerra mondiale;
   tali ossa, rinvenute insieme ad alcuni bossoli, un moschetto di fabbricazione italiana ed altro materiale bellico, dopo essere state opportunamente fotografate, sono state consegnate ai carabinieri San Donà di Piave per la loro custodia e tutti i necessari accertamenti del caso;
   tale frana, avvenuta poco distante da un'altra frana che, poche settimane prima aveva fatto rinvenire le salme di altri tre caduti, faceva presupporre, secondo gli esperti, che l'area dei crolli potesse coincidere con quella di una trincea militare collocata nel tratto del Piave dov'era il fronte italiano e dove venne combattuta la Battaglia del Solstizio che permise all'esercito tricolore di fermare l'avanzata austriaca;
   di questo ritrovamento ne davano notizia diversi organi di stampa locale, tra cui: Il Gazzettino («Resti di soldati riaffiorano dal Piave», 17 gennaio 2011), La nuova («Nuove frane sulle sponde del Piave», 17 gennaio 2011), Il Corriere del Veneto («Dal Piave riaffiorano i morti della grande guerra», 18 gennaio 2011);
   nonostante le segnalazioni di alcuni cittadini alle autorità competenti, risulta agli interroganti che le ossa ritrovate lungo il Piave siano rimaste senza nome e senza sepoltura, con la conseguenza che l'acqua del fiume ne abbia portata via una parte consistente, disperdendole definitivamente;
   in particolare, con comunicazione del commissariato generale – onoranze caduti in guerra – del 23 aprile 2013, in risposta alla segnalazione del signor Giovanni Cancellier di Musile del Piave, le ossa riemerse venivano, definite «resti ossei» non riconducibili a militari deceduti nel corso del 1° conflitto mondiale, stando alle informazioni riferite dalle autorità competenti;
   in base alle conclusioni del CTU dottor Andrea Galassi, le ossa ritrovate sarebbero relative a donne e fanciulli dell'antico cimitero di Croce, risalenti al 1700, ma, in base alle informazioni in possesso degli interroganti, risulta che il cimitero in quella zona distasse almeno un centinaio di metri a nord ovest rispetto alla frana in cui sono stati fatti i ritrovamenti e si trovasse inoltre ad una quota significativamente inferiore rispetto a quella delle trincee del 1918;
   la presenza di resti umani risalenti al 1700 non escluderebbe, in ogni caso la presenza di resti ossei appartenenti ai soldati impegnati a combattere durante la prima guerra mondiale proprio in quella zona; inoltre la relazione del dottor Galassi non spiegherebbe la presenza del materiale d'uso militare ritrovato nella zona della frana, così come attestato da fonti giornalistiche locali;
   la legge 9 gennaio 1951, n. 204, recante «Onoranze ai Caduti in guerra», affida ad un commissario generale per le onoranze ai caduti in guerra, alle dirette dipendenze del Ministro della difesa, il compito di provvedere al censimento, ricerca, sistemazione provvisoria e successiva sistemazione definitiva delle salme dei militari, militarizzati e civili deceduti in conseguenza della guerra dal 10 giugno 1940 al 15 aprile 1946;
   in particolare il commissariato generale provvede al censimento delle sepolture dei caduti italiani per causa di guerra e alla ricerca e definitiva sistemazione in Italia ed all'estero delle loro spoglie in sepolcreti; alla ricerca, sistemazione e conservazione di cimeli appartenenti ai caduti in guerra; alla conservazione e tutela delle zone monumentali della 1° guerra mondiale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra descritti e se possa riferire ulteriori informazioni in merito agli accertamenti medici compiuti sui reperti ossei di cui in premessa e sulle motivazioni che escluderebbero la riconducibilità di tali ossa a militari deceduti nel corso del 1° conflitto mondiale;
   alla luce delle considerazioni esposte, se intenda disporre ulteriori accertamenti, accompagnati da analisi scientifiche quali analisi al carbonio e sul DNA, tali da stabilire con certezza l'età e la provenienza dei reperti ossei rinvenuti lungo il Piave nel dicembre del 2011 e quali iniziative intenda intraprendere per il recupero dei frammenti che ancora giacciono lungo le sponde. (4-05748)

  Risposta. — La questione delineata dall'interrogante è all'attenzione del commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra (Onorcaduti) già dal 2011, quando comando compagnia Carabinieri di San Donà di Piave comunicò l'avvenuto ritrovamento di ossa umane e di reperti, presumibilmente risalenti al periodo della 1a guerra mondiale, in località Croce, frazione del comune di Musile di Piave, a seguito di uno smottamento degli argini del fiume dovuto alle forti piogge.
  In particolare, la perizia medico legale eseguita dal consulente tecnico, incaricato dall'autorità giudiziaria di effettuare un esame antropologico dei resti umani, ha evidenziato la presenza di almeno nove soggetti, di entrambi i sessi e di età compresa dai sei anni fino all'età senile, la cui morte sarebbe da collocarsi anteriormente al XIX secolo, non riconducibili, quindi, a militari deceduti nel corso del 1o conflitto mondiale.
  Sui resti non sono state rinvenute tracce di lesioni prodotte con armi e l'assenza di oggetti indica che i corpi sono stati sepolti con indumenti realizzati in fibre naturali che potrebbero essere stati completamente degradati, mentre una totale degradazione non sarebbe avvenuta nel caso di calzature militari in cuoio conciato o in materiale sintetico.
  Si osserva che l'area richiamata in premessa all'atto, oltre a essere stata teatro di combattimenti nel corso della 1a guerra mondiale, è stata caratterizzata, in passato, dalla presenza di un cimitero annesso a una chiesa parrocchiale risalente al XV secolo.
  Questo spiegherebbe la presenza di numerose lesioni post-mortali, in quanto la ricostruzione della chiesa parrocchiale avvenne sull'area del cimitero e, quindi, è possibile che il dissodamento del terreno abbia provocato le lesioni nel materiale osseo scavato e spostato.
  Parte dei resti rinvenuti sono stati tumulati presso la tomba-ossario comune del cimitero di Croce di Musile di Piave, mentre alcuni campioni ossei sono conservati presso il laboratorio del dipartimento di medicina legale di Vicenza.
  La perizia medico legale è stata ritenuta dall'autorità giudiziaria sufficiente per stabilire l'epoca alla quale ricondurre i reperti ossei, senza ravvisare l'opportunità di procedere a esami scientifici con l'impiego del carbonio.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   VARGIU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della difesa bandisce annualmente un concorso per la selezione di volontari a ferma breve per la durata di un anno (VFP1), da arruolare nell'Esercito;
   anche a causa della crisi economica ed occupazionale, particolarmente acuta e diffusa in Sardegna, l'interesse per l'arruolamento nell'Esercito da parte di giovani ambosessi residenti nell'isola è comprensibilmente crescente, per cui ogni anno sono migliaia le domande di partecipazione presentate dai candidati sardi;
   dallo scorso 26 giugno 2013, il centro di selezione VFP1 di Cagliari (istituito presso la caserma «Maggiore Carlo Ederle M.O.V.M.»), ove venivano abitualmente espletati gli accertamenti sanitari e psico-attitudinali, ha cessato la propria attività per cui da quella data gli stessi accertamenti degli aspiranti VFP1 sardi vengono effettuati nel centro di selezione di Roma;
   la chiusura del centro di Cagliari, pur essendo giustificata nell'ambito di un generale riordino delle attività di arruolamento e della razionalizzazione delle risorse, non tiene tuttavia in giusta considerazione i disagi e le gravose spese che i giovani candidati residenti in Sardegna devono sopportare per raggiungere la capitale per sostenere le prove concorsuali;
   le spese di trasporto e di soggiorno sono talmente elevate che molti giovani disoccupati sardi si vedono costretti a desistere, rinunciando a partecipare ai predetti concorsi e, di fatto, perdendo una preziosa opportunità occupazionale;
   al termine della ferma annuale, gli aspiranti al trattenimento in servizio che intendono accedere alla ferma quadriennale, vengono convocati per gli accertamenti concorsuali presso il centro di selezione nazionale di Foligno;
   tutti gli accertamenti sanitari e psico-attitudinali dei giovani candidati residenti in Sardegna potrebbero essere effettuati presso il DMML – Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari (l'ex ospedale militare) che possiede tutte le professionalità e le strutture tecniche indispensabili per l'espletamento degli accertamenti di legge;
   la esecuzione nel contesto del Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari di tutte le attività selettive ora svolte a Roma e Foligno comporterebbe un sicuro risparmio di tempo e di denaro per le famiglie sarde, senza nessun aggravio di costi per l'amministrazione militaresche riuscirebbe anzi a garantire un più ampio utilizzo delle strutture militari del Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari, oggi ampiamente sotto utilizzate rispetto alle proprie potenzialità –:
   se intenda prendere in considerazione, in deroga alle disposizioni vigenti, la possibilità di istituire in via sperimentale una sede selettiva distaccata per la Sardegna presso il Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari, dipendente dal centro di selezione di Roma, che gestisca tutta l'attività relativa alla selezione degli aspiranti VFB1 sardi, attualmente svolta a Roma;
   se intenda prendere in considerazione la possibilità di effettuare, presso lo stesso Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari e sempre in via sperimentale, le prove selettive relative ai bandi per i volontari a ferma prefissata di quattro anni, in servizio e/o residenti in Sardegna, che attualmente vengono svolte a Foligno. (4-01453)

  Risposta. — La soppressione in data 26 giugno 2013 del centro di selezione VFP1 di Cagliari muove essenzialmente da considerazioni sia di carattere finanziario che di natura organico-funzionale.
  Infatti, la scelta operata in tal senso dall'Esercito è stata influenzata dal notevole impatto che i diversi provvedimenti, varati nel corso degli ultimi anni ai fini del risanamento della finanza pubblica, hanno avuto sui vari settori di spesa, compreso quello relativo alla selezione del personale, nonché dalla verosimile prospettiva di improbabile incremento delle risorse disponibili, stante il perdurare della difficile congiuntura finanziaria.
  Nel contempo la Forza armata, oltre alla preventiva valutazione di tutti gli intrinseci aspetti storici, sociali, ed infrastrutturali, ha dovuto necessariamente tenere conto degli effetti scaturenti dalla spending review e dai decreti legislativi discendenti dalla legge n. 244 del 2012 sulla revisione dello strumento militare che, come noto, impongono sia notevoli riduzioni degli organici del personale militare e civile sia una consistente razionalizzazione delle strutture delle Forze armate.
  A tali valutazioni si è aggiunta, inoltre, la considerazione di non poco conto che attraverso tale soppressione si sarebbe realizzato (dal 2014) un risparmio annuo superiore ai 170.000 euro, con una contrazione degli oneri pari a circa il 7 per cento.
  In relazione a tale decisione, l'Esercito ha previsto alcune misure tese a mitigare i disagi per i candidati smistati dal centro di selezione di Cagliari a quello di Roma, come ad esempio l'accasermamento nella medesima sede di effettuazione delle prove selettive.
  In tale quadro, dunque, le ipotesi prospettate dall'interrogante di costituire presso il DMML di Cagliari un distaccamento del centro di selezione VFP1 di Roma per la selezione degli aspiranti VFP1 sardi e di effettuarvi le prove selettive dei candidati VFP4 in servizio e/o residenti in Sardegna, non appaiono coerenti con le predette misure in chiave riduttiva introdotte dalla spending review e dalla normativa sulla revisione dello strumento militare e, allo stesso tempo, si tradurrebbero in una disparità di trattamento nei confronti dei giovani aspiranti provenienti dalle regioni settentrionali italiane.
  Tali ipotesi, tra l'altro, sono di difficile praticabilità anche sotto il profilo funzionale, non rientrando la selezione ed il reclutamento del personale tra i compiti istituzionali dei DMML, i quali, invece, espletano principalmente funzioni di tipo medico-legale e forniscono consulenza specialistica per la medicina del lavoro ed esercitano funzioni di supporto sanitario di tipo diagnostico/specialistico a favore della fascia di aderenza della Forza armata.
  Infine, pare opportuno evidenziare che, sulla base dei dati indicati dalla Forza armata, presso il DMML di Cagliari viene svolta un'intensa attività che, nell'anno 2013, è consistita nella definizione di 1.265 pratiche di carattere medico-legale e nell'effettuazione di 1.896 visite di idoneità.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.