Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 3 dicembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le telecomunicazioni costituiscono un settore strategico per lo sviluppo economico, dell'Italia, stimolando l'occupazione, aumentando la produttività delle imprese e della pubblica amministrazione e contribuendo, inoltre, alla sostenibilità ambientale;
   occorre superare gli ostacoli e i ritardi strutturali che attualmente caratterizzano la diffusione delle nuove reti di comunicazioni: gli investimenti in questo campo, infatti, hanno rappresentato negli ultimi venti anni il più importante fattore di crescita, determinando fino allo 0,6 per cento dell'aumento del prodotto interno lordo dei Paesi più avanzati;
    come rilevato da uno studio recente dell'ex commissario per l'Agenda digitale, gli investimenti necessari per la realizzazione di una moderna rete in fibra non risultano sufficienti per raggiungere gli obiettivi della digital agenda 2020;
    su un universo di circa un milione di piccole e medie imprese, circa 300 mila sono dislocate in aree che necessitano di banda ultra larga; sviluppare moderne infrastrutture di nuova generazione consentirebbe l'interconnessione di tutte le 10 mila aziende con una maggiore priorità;
    è necessaria una forte azione governativa, affinché, grazie ad una cooperazione tra settore pubblico e privato, l'Italia colmi il digital divide che la separa dagli altri Paesi ed economia avanzata (che da tempo si sono dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di accesso di nuova generazione, in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea che anche la Commissione europea considera elemento base della sostenibilità socioeconomica), attraverso investimenti sia sulla rete mobile che su quella fissa;
    bisogna attuare iniziative di stimolo e di impulso che favoriscano la domanda di servizi digitali, anche tenuto conto che il nostro livello di alfabetizzazione digitale risulta notevolmente basso, come scarso risulta ancora il numero di utilizzatori di Internet, unitamente al tasso di diffusione del pc nelle famiglie: solo così l'Italia può recuperare il ruolo storico di esempio di imprenditorialità e leadership nella produzione di ricerca, sapere e innovazione, oltre che generare un tessuto economico e sociale capace di valorizzare il talento, il merito e la competenza;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche tenendo conto delle raccomandazioni europee, ha chiesto misure di semplificazione degli adempimenti burocratici e amministrativi, nonché iniziative per facilitare la creazione di un ecosistema digitale; interventi che dovrebbero essere completati dall'adozione di politiche di valorizzazione delle risorse frequenziali, liberando più risorse per la banda larga;
    come riportato dalla recente ricerca dell'Osservatorio agenda digitale della School of management del Politecnico di Milano, ad oggi sono stati adottati solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi, tra regolamenti e regole tecniche, previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale,

impegna il Governo:

   ad elaborare una visione strategica nazionale per il settore delle telecomunicazioni, tale da soddisfare la funzione di interesse generale dell'infrastruttura di telecomunicazioni e fornire il quadro di riferimento per gli operatori, con la possibilità di prevedere forme di societarizzazione interna ovvero aperta a tutti gli operatori per la gestione della rete di accesso, ove la sola concorrenza non sia in grado di perseguire l'interesse generale;
   a sostenere il progetto di costituzione di una one network in fibra ottica nelle zone a fallimento di mercato, ovvero in quelle aree ove non sia possibile la creazione di una rete fissa alternativa, attraverso una società in cui potranno essere coinvolti investitori finanziari specializzati, a partire, ad esempio, dalla Cassa depositi e prestiti;
   ad incentivare la realizzazione di un'unica infrastruttura di rete fissa a banda ultralarga, aperta, efficiente, neutrale, economica e già pronta per evoluzioni future, garantendo, il rispetto delle regole di libero mercato e concorrenza nella fornitura di accesso e servizi agli utenti finali privati ed imprese, con un'unica rete all'ingrosso e concorrenza al dettaglio;
   a promuovere una tempestiva migrazione dalla rete in rame a quella in fibra ottica, alla cui realizzazione dovranno partecipare e contribuire tutti gli operatori;
   a valutare le strategie più efficaci e praticabili atte a consentire lo sviluppo dell'infrastruttura di rete e della relativa governance, in modo da assicurare la piena concorrenza tra operatori nei confronti dei clienti finali;
   a favorire ogni iniziativa volta alla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali e alla sperimentazione dei relativi vantaggi, attuando politiche volte a diffondere l'uso di Internet tra i cittadini, anche mediante apposite previsioni nel contratto di servizio RAI;
   a provvedere alla celere revisione dei decreti attuativi necessari all'implementazione dell'Agenda digitate, al fine di valutarne l'attualità e rimuovere adempimenti burocratici e previsioni non più attuali.
(1-00681) «Galgano, Matarrese, Molea, Sottanelli, Vargiu, Vezzali, Vitelli, Monchiero, Rabino, Falcone, Oliaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la tecnologia e le telecomunicazioni sono parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini, e in questo scenario la banda ultralarga sarà l'infrastruttura portante dell'intero sistema economico e sociale, su cui sviluppare la futura competitività del Paese;
    dai dati pubblicati nel mese di maggio 2014 dalla Commissione europea con riferimento alla penetrazione della banda larga in Italia, emerge che solo il 21 per cento delle abitazioni è raggiunto da una rete di accesso veloce ad internet (almeno a 30 megabit per secondo), con una marcata differenza tra le regioni settentrionali e meridionali, a fronte di una media europea del 62 per cento e a dati di alcuni Paesi europei, quali Regno Unito o Spagna, che si attestano sopra la media, rispettivamente all'82 e al 65 per cento di penetrazione e che, nei prossimi anni, prevedono di raggiungere il 100 per cento di copertura;
    l'Italia risulta all'ultimo posto in Europa per velocità media delle connessioni ad internet, con appena 4,4 megabit al secondo, contro i 5,2 di Francia e Spagna, i 6,9 della Germania, i 7,9 del Regno Unito, fino ai 10,1 della Svizzera;
    i ritardi dell'Italia nella velocità di connessione, ad internet possono essere in larga parte attribuiti al divario digitale interno, il cosiddetto digital divide, ovvero alla differenza esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (in particolare personal computer e internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale;
    nel maggio 2010 la Commissione europea ha presentato l'Agenda digitale europea, con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività e nel mese di settembre dello stesso anno la Commissione ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda, tra le quali la comunicazione che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 Mbitps (banda ultralarga) e per almeno il 50 per cento delle famiglie con velocità superiore a 100 Mbitps;
    in attuazione dell'Agenda digitale europea, in ambito nazionale il 1o marzo 2012 è stata istituita l'Agenda digitale italiana (ADI), contestualmente ad un'apposita cabina di regia con il compito di accelerare il percorso di attuazione dell'Agenda digitale italiana e di definirne le strategie;
    inoltre, con il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, è stata istituita anche l'Agenzia per l'Italia Digitale, preposta alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla cabina di regia, con particolare riferimento allo sviluppo delle reti di nuova generazione e dell'interoperabilità tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni e tra questi e quelli dell'Unione europea;
    allo stato, l'Agenzia risulta in grande difficoltà a causa di irregolarità nella gestione, sia per quanto attiene al personale, sia per quanto riguarda il profilo finanziario, che ha determinato la nomina di un apposito commissario per l'attuazione dell'agenda digitale;
    ai fini del superamento del digital divide sono considerati essenziali lo sviluppo ed il potenziamento della banda ultralarga, e agli stessi fini è stato adottato il piano nazionale banda larga, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico, che mira all'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre seimila località del Paese ed i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato;
    il rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide» presentato il 30 gennaio 2014 da Francesco Caio nella sua qualità di commissario per l'attuazione dell'agenda digitale, rispetto all'obiettivo della copertura a 30 Mbps per il 100 per cento della popolazione entro il 2020, si rileva che le prime stime indicano una copertura raggiungibile in tale data del 70 per cento con piani di dettaglio che arrivano al più fino al 2016-2017 con coperture al 50 per cento;
    lo stesso rapporto, inoltre, prevede che il raggiungimento completo degli obiettivi fissati dall'Unione europea richieda ulteriori azioni complesse di tipo finanziario e di coordinamento tra i soggetti in campo;
    i provvedimenti legislativi introdotti nell'ambito del potenziamento delle fibre ottiche e dell'agenda digitale si sono rivelati nel complesso insufficienti ai fini del potenziamento effettivo dei servizi di connessione ad internet ed in particolare nella velocità di collegamento;
    è opportuno rilevare, infatti, che oltre alla mancanza di un'adeguata dotazione finanziaria, tali provvedimenti risentono della bassissima percentuale di decreti attuativi emanati;
    dal monitoraggio dell'attuazione dell'Agenda digitale italiana si evince che del 5 marzo dall'aggiornamento della ricognizione ora effettuato risulta che dei 55 adempimenti considerati ne sono stati adottati 17 e che per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere;
    l'infrastruttura della rete di telecomunicazione è un fattore di competitività del Paese che alimenta l'innovazione, e la rete italiana è un monopolio naturale che con lo sviluppo delle nuove reti ultra-broadband rischia di acquisire importanza ancora maggiore;
    la separazione funzionale della rete di accesso, oltre che rafforzare l'assetto concorrenziale del mercato a vantaggio dei cittadini, appare una precondizione per consentire l'ingresso di nuovi capitali che siano in grado di sostenere gli investimenti necessari per l'ammodernamento della rete ed il passaggio alla fibra ottica in linea con gli obiettivi fissati nell'Agenda digitale europea;
    dopo un primo progetto di societarizzazione della rete di accesso, nella seduta del 7 novembre 2013, in relazione al progetto di scorporo della rete, il consiglio di amministrazione di Telecom Italia ha deciso di dare priorità alla realizzazione del modello di parità di trattamento, denominato a livello europeo di Equivalence of Input (Eol), attraverso la separazione funzionale e non societaria;
    nel frattempo il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, emanato in attuazione delle nuove norme relative all'esercizio da parte dello Stato dei cosiddetti «poteri speciali», attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici, di cui al decreto-legge n. 21 del 2012, all'articolo 3, recante l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica nel settore comunicazioni, ha stabilito che tra essi rientrino anche gli impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga, e nei relativi rapporti convenzionali,

impegna il Governo:

   nell'ipotesi di societarizzazione della infrastruttura della rete di telecomunicazione, a garantire che la gestione della stessa sia rispondente a finalità di interesse generale e di tutela degli operatori e consumatori, se del caso esercitando i poteri speciali a garanzia degli interessi strategici previsti dalla vigente normativa;
   ad intraprendere le iniziative necessarie al fine di potenziare l'intero sistema di connessione ad internet e della banda larga a livello nazionale, le cui insufficienze e i cui ritardi determinano inevitabili conseguenze anche sul livello di competitività del sistema-Paese;
   in tale ambito a procedere alla tempestiva attuazione di tutte le norme già vigenti in materia di Agenda digitale italiana;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a garantire l'accesso alla rete di telecomunicazioni da parte degli operatori secondo princìpi di equità e non discriminazione.
(1-00682) «Rampelli, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    le norme che hanno istituito e regolamentato il canone radiotelevisivo sono state introdotte nel nostro ordinamento dal regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, all'articolo 1, stabilendo che la detenzione stessa di «uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni» comporti l'obbligo del pagamento del canone di abbonamento;
    nonostante i profondi cambiamenti sociali, economici e tecnologici intervenuti, così come più volte ribadito dalla Corte costituzionale, permangono tutti i presupposti giuridici e di fatto per la legittimità del canone. Al riguardo, la nota sentenza n. 284 del 2002 rileva, tra l'altro, che: «Il venir meno del monopolio statale delle emissioni televisive (...) non ha fatto venir meno l'esistenza e la giustificazione costituzionale dello specifico “servizio pubblico radiotelevisivo” esercitato da un apposito concessionario rientrante, per struttura e modo di formazione degli organi di indirizzo e di gestione, nella sfera pubblica; l'esercizio “si giustifica però solo in quanto chi esercita tale servizio sia tenuto ad operare non come uno qualsiasi dei soggetti del limitato pluralismo di emittenti, nel rispetto, da tutti dovuto, dei principi generali del sistema (si confronti, in proposito, la sentenza n. 155 del 2002), bensì svolgendo una funzione specifica per il miglior soddisfacimento del diritto dei cittadini all'informazione e per la diffusione della cultura, col fine di “ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese” (...) e imponga alla concessionaria l'obbligo di assicurare una informazione completa, di adeguato livello professionale e rigorosamente imparziale nel riflettere il dibattito fra i diversi orientamenti politici che si confrontano nel Paese, nonché di curare la specifica funzione di promozione culturale ad essa affidata e l'apertura dei programmi alle più significative realtà culturali»;
    il richiamato regio decreto-legge disciplina, altresì, le modalità per disdire l'abbonamento (articolo 10) e le modalità di riscossione e versamento dei canoni (articolo 25), disposizioni mai novellate dal 1938;
    in materia di obblighi del pagamento del canone radiotelevisivo, il legislatore è intervenuto dapprima con l'articolo 1, comma 132, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (legge finanziaria per il 2008) finalizzato ad esentare dal pagamento, relativamente agli apparecchi presenti nel luogo di residenza, i soggetti di età superiore ai 75 anni, con un reddito personale e del coniuge non superiore a 516,46 euro per tredici mensilità; successivamente, con l'articolo 17, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, introducendo l'obbligo per le società e le imprese di indicare nelle rispettive dichiarazioni dei redditi gli estremi dell'abbonamento speciale alla radio o alla televisione, al fine di rendere più agevole la verifica dell'effettivo pagamento;
    nel corso degli ultimi tempi, sempre più spesso si lamentano difficoltà burocratiche e procedurali sia nell'esercizio del diritto all'esenzione del pagamento da parte dei cittadini ultra settantacinquenni, nonostante sia stata emanata la circolare 46/E da parte dell'Agenzia delle entrate - Direzione centrale normativa, sia con riferimento alla possibilità di procedere al suggellamento degli apparecchi e alle conseguenti modalità di verifica da parte degli incaricati della concessionaria. Tali complessità e incertezze applicative non favoriscono l'affermarsi di un clima di condivisione con l'utenza degli obiettivi e delle funzioni proprie della concessionaria pubblica, nonostante non manchino continui riconoscimenti di gradimento delle produzioni Rai;
    nonostante il costo del canone risulti ben al di sotto di quanto richiesto in altri Paesi europei, la quota di evasione del nostro Paese è tra le più alte del continente, fatta eccezione per la Macedonia, la Serbia e la Polonia, con una media che si attesta intorno al 30 per cento in Italia, contro una media dell'8 per cento in Europa;
    il tema del riordino della disciplina del canone televisivo va inquadrato nel più ampio e urgente ridisegno del sistema radiotelevisivo e di gestione della concessionaria pubblica,

impegna il Governo

ad adottare, per quanto di competenza, anche a seguito di un proficuo confronto con la società concessionaria e con le organizzazioni di rappresentanza degli utenti, i necessari provvedimenti volti a rivedere e semplificare le modalità di esercizio del diritto all'esenzione ai sensi del citato articolo 1, comma 132, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), nonché le modalità di disdetta ai sensi dell'articolo 10 del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246.
(1-00683) «Peluffo, Tullo, Benamati, Anzaldi, Bonaccorsi, Garofani, Ginoble, Orfini, Montroni, Petitti, Bargero, Basso, Senaldi».


   La Camera,
   premesso che:
    i recenti fatti di cronaca pongono ulteriormente al centro dell'attenzione del Governo, del Parlamento e degli enti di prossimità il tema della vivibilità nelle aree urbane periferiche, delle grandi metropoli. In questi quadranti delle città spesso si riscontrano problematicità comuni che vanno dal disagio sociale, abitativo e scolastico, dalla percezione di insicurezza, dovuta anche alla presenza di fenomeni di micro e macro criminalità, e dalla persistenza di un degrado urbano che riguarda i vari aspetti della quotidianità e dei servizi al cittadino, dal verde alla manutenzione delle strade, alle scuole, ai centri di aggregazione, a tutto ciò si aggiunge poi spesso una carenza di interventi in tema di politiche sociali;
    in questi ultimi anni tale situazione si è ulteriormente aggravata anche a causa della grave crisi economica che ha aumentato il disagio, la sofferenza sociale ed il senso di abbandono in zone in cui spesso lo Stato e l'amministrazione pubblica fanno fatica ad intervenire. Tutto ciò è avvenuto nell'assenza ormai da troppi anni di interventi legislativi e finanziari nazionali tesi a definire nuovi strumenti di azione per il governo delle aree urbane metropolitane. Le ultime norme organiche e programmi sistematici a sostegno del governo delle città e per il recupero urbano e sociale risalgono infatti agli anni novanta come ad esempio i programmi previsti dall'articolo 11 della legge n. 493 del 1993, i «contratti di quartiere» previsti dall'articolo 2, legge n. 662 del 1996, i fondi ex gescal interrotti nel 1992 per l'edilizia popolare, i finanziamenti per i programmi della legge n. 285 del 1997, e altro. Inoltre al venir meno di queste politiche e finanziamenti nazionali si è registrato un ritardo accumulato da alcuni enti locali nell'applicazione di tali programmi e nella realizzazione di interventi di decoro urbano e di assistenza sociale, a volte a causa di risorse non adeguate e negli ultimi anni anche per il blocco degli investimenti imposti dal patto di stabilità;
    la situazione in alcune grandi aree periferiche e metropolitane sta diventando insostenibile. È necessario, quindi, ripensare un programma nazionale di interventi per le politiche urbane, per aiutare gli enti locali a governare le contraddizioni socio culturali ed economiche che si sono prodotte nelle grandi e medie aree urbane. È indispensabile, infatti, recuperare il tempo perso in quasi venti anni di assenza di politiche per le città;
    la situazione incandescente riscontrata in alcuni quartieri periferici di alcune grandi città italiane impone un'immediata risposta da parte delle istituzioni e una programmazione di interventi organici per il governo delle città e delle aree metropolitane;
    gli interventi estemporanei o sporadici, o semplicemente fiscali non sono sicuramente più sufficienti per garantire il governo da parte degli enti locali delle crescenti contraddizioni e conseguente richiesta sempre più ampia di servizi da parte dei cittadini, ma è evidente che serve un programma organico di interventi che agisca su più fronti: normativo, sociale, economico, culturale e di recupero urbano,

impegna il Governo:

   a predisporre per le periferie e le aree urbane degradate un piano nazionale straordinario che preveda una serie di interventi tra i quali:
    a) con riferimento al recupero urbano: iniziative per il rifinanziamento delle leggi in materia, semplificando anche le procedure, per il recupero urbano (articolo 11 della legge n. 493 del 1993) e per i contratti di quartiere per le aree periferiche (articolo 2 legge n. 662 del 1996);
    b) con riferimento al diritto alla casa, l'elaborazione e il finanziamento di un nuovo programma per l'edilizia sociale, per l'acquisto, la riconversione e la costruzione di alloggi anche attraverso l'introduzione di una tassazione di scopo, senza l'aumento della pressione fiscale per i cittadini, ma utilizzando una quota parte delle risorse provenienti dalla imposte già in essere;
    c) con riferimento alla lotta alla disoccupazione e al degrado, la previsione di incentivi per la costituzione di soggetti per combattere la disoccupazione e l'avvio di processi di compartecipazione urbana nei quartieri, finalizzati al recupero e riuso a fini pubblici di aree e strutture e alle attività riguardanti la manutenzione dei territori, anche utilizzando le procedure previste dall'articolo 24 del decreto-legge n. 133 del 2014 (Sblocca Italia);
    d) con riferimento ai servizi ai cittadini, iniziative per il potenziamento delle strutture e dei servizi socio-assistenziali e scolastici nelle zone periferiche e l'attivazione di un programma di manutenzione straordinaria anche utilizzando sia le risorse derivanti dai Fondi nazionale per la costruzione e per la riqualificazione delle strutture socio-scolastico sia quelle previste dall'articolo 27 del decreto-legge n. 133 del 2014 (Sblocca Italia), prevedendo anche una specifica iniziativa normativa e finanziaria per realizzare una rete di asili nido al fine di garantire l'accesso a tutti bambini;
    e) con riferimento al patrimonio pubblico, l'avvio di interventi di valorizzazione del patrimonio pubblico presente nelle aree periferiche e degradate, nonché di recupero o di trasformazione dei complessi di edilizia residenziale pubblica;
    f) con riferimento all'accoglienza, la previsione, attraverso la concertazione con gli enti locali, di una programmazione e di una redistribuzione del sistema di accoglienza al fine di non gravare sempre sugli stessi territori, superando al contempo il meccanismo emergenziale che rischia di alimentare fenomeni di intolleranza;
    g) con riferimento alla sicurezza, iniziative per favorire una riorganizzazione delle forze dell'ordine nei quartieri per garantire un maggiore radicamento e un controllo del territorio costante al fine di favorire azioni di prevenzione e contrasto di fenomeni di micro e macro criminalità, prevedendo anche l'utilizzo di strutture messe a disposizione dai comuni al fine di modificare la presenza delle forze di sicurezza sul territorio, oggi mal distribuita rispetto al processo di espansione della città registrato negli ultimi decenni;
    h) con riferimento alla cultura e allo sport: la previsione di un programma di interventi di recupero e valorizzazione di strutture destinate alle attività culturali e alle attività sportive nei quartieri periferici;
    i) con riferimento al volontariato e alla partecipazione dei cittadini, l'incentivazione di esperienze che vedano il coinvolgimento di associazioni di volontariato e dei cittadini per favorire, con apposito finanziamento, progetti che prevedano attività socio-culturali;
    l) l'istituzione di una struttura di coordinamento e concertazione degli interventi attraverso una cabina di regia tra i comuni e il Governo al fine di attuare e monitorare il programma del Piano straordinario per le periferie e le aree degradate.
(1-00684) «Marroni, Tino Iannuzzi, Bonaccorsi, Campana, Amendola, Stumpo, Ferro, Tidei, Orfini, Fassina, Gregori, Mognato, Verini, Mariano, Minnucci, Mongiello, Giulietti, Mauri, Manfredi, Carloni, Ribaudo, Lodolini, Mazzoli, Marzano, Scuvera, Castricone, Fabbri, Carella, Moscatt, Patriarca, Iacono, Meta, Mariani, Zardini, Roberta Agostini, Cominelli, Venittelli».


   La Camera,
   premesso che:
    come riporta la Svimez nel suo Rapporto sull'economia del Mezzogiorno per l'anno 2014 ci si trova di fronte ad un Sud dove si continua a: emigrare (116 mila abitanti nel solo 2013); non fare figli (continuano nel 2013 a esserci più decessi che nascite); impoverirsi (+40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno i consumi delle famiglie crollano di quasi il 13 per cento in cinque anni) perché manca il lavoro;
    dall'inizio della crisi (fine 2008) il prodotto interno lordo meridionale è caduto di quasi 14 punti percentuali, contro poco più di 5 nel resto del Paese (attualmente il prodotto interno lordo pro capite meridionale è pari ad appena il 56 per cento di quello del Centro-Nord, come negli anni Cinquanta). Gli investimenti fissi lordi meridionali sono caduti, sempre da inizio crisi, di oltre trenta punti percentuali, con punte di quasi il 50 per cento nel settore industriale. Nel Sud, dove vive circa il 30 per cento dell'intera popolazione italiana, vi è più del 50 per cento dell'intero stock di disoccupati italiani (e il tasso di disoccupazione è doppio rispetto a quello italiano);
    fino ad oggi, come richiamato anche dalla stessa Commissione europea, la dispersione e la parcellizzazione delle risorse in un numero eccessivo di progetti, la mancanza delle condizionalità ex ante, che mirano a garantire efficacia ed efficienza, la scarsa capacità amministrativa e l'assenza di piani specifici settoriali sono state le criticità che hanno caratterizzato la gestione dei fondi europei nel nostro Paese;
    in conseguenza degli effetti del patto di stabilità interno e delle limitazioni della finanza pubblica, tra i principali strumenti per il finanziamento di tali interventi, un ruolo cruciale è svolto dalle risorse destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione che, come noto, ha l'obiettivo di colmare i ritardi ancora rilevanti nell'attuazione e, al contempo, rafforzare l'efficacia degli interventi, in attuazione degli impegni assunti con la lettera del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore al presidente della Commissione europea e al presidente del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011 e in conformità alle conclusioni del vertice dei «Paesi euro» dello stesso 26 ottobre 2011, impegnando quindi le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, garantendo una forte concentrazione delle risorse su alcune priorità;
    sul tema del rilancio economico e sociale del Mezzogiorno, nella seduta dell'11 novembre 2014, la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1-00612 che prevedeva l'impegno del Governo a:
      a) velocizzare l’iter per rendere pienamente operativa l'Agenzia per la coesione territoriale con adeguata dotazione di personale, al fine di migliorare la capacità di impiego dei fondi strutturali sia per quanto riguarda la parte rimanente della programmazione 2010-2013, sia in relazione alla prossima programmazione;
     b) proporre al Cipe, entro 30 giorni dall'approvazione della presente mozione, l'adozione di un'apposita delibera per la formalizzazione delle questioni legate al cofinanziamento, assicurando che tutte le risorse nazionali destinate al cofinanziamento rimangano comunque a disposizione delle regioni a cui erano originariamente destinate;
     c) relazionare al Parlamento semestralmente circa l'impiego delle citate risorse;
     d) attivare una procedura concertativa con le regioni volta ad individuare i meccanismi correttivi e perequativi che consentano al Mezzogiorno di superare le criticità della «spesa storica» in materia di welfare;
     e) procedere rapidamente ad un censimento delle risorse ancora disponibili e non ancora utilizzate nell'ambito degli strumenti della programmazione negoziata, finalizzato alla predisposizione di un piano di rilancio industriale, improntato sulle specificità e le eccellenze produttive presenti nel Mezzogiorno, avviando una nuova stagione di utilizzo degli strumenti della programmazione negoziata, ivi compresi i contratti d'area, i patti territoriali, i contratti di programma e i contratti di localizzazione, sulla base delle migliori pratiche e delle esperienze di successo del passato;
     f) rafforzare, ulteriormente, i progetti in materia di sicurezza e legalità per contrastare la presenza dei fenomeni criminali, prima vera condizione per il rilancio delle politiche di sviluppo;
     g) creare un apposito osservatorio sulle infrastrutture del Mezzogiorno con l'obiettivo di velocizzare gli investimenti in atto e individuare le priorità per la connessione del Sud ai principali corridoi di comunicazione europei;
     h) potenziare i progetti concernenti il contrasto alla povertà come previsto dall'Obiettivo tematico n. 9, mettendoli in relazione agli strumenti per la realizzazione di politiche attive di lavoro ed inserimento professionale per la creazione di un nuovo welfare;
     i) concentrare la dovuta attenzione, nell'ambito della prossima programmazione, nei confronti di progetti legati alla messa in sicurezza del territorio e al contrasto dei fenomeni di dissesto idrogeologico che caratterizzano il Mezzogiorno;
     l) valorizzare il patrimonio culturale e paesaggistico del Sud, riservando parte della dotazione disponibile a partire dal residuo della programmazione 2007-2013 per le politiche di recupero e promozione, mettendo in rete i grandi poli di attrazione e i siti Unesco;
     m) riservare alle regioni del Sud parte della dotazione disponibile per quanto riguarda la programmazione 2014-2020 per le politiche ambientali nonché per il prosieguo dei processi di bonifica e messa in sicurezza dei siti di interesse nazionale e dei siti caratterizzati da particolari lavorazioni;
    si è trattato di impegni che rappresentano un punto di svolta dopo anni in cui il Mezzogiorno è stato, di fatto, derubricato dalle priorità politiche e di governo;
    in questi mesi l'attività dell'Esecutivo Renzi ha consentito al Sud di rientrare nell'agenda del Governo e lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri non ha mancato di manifestare la sua attenzione, monitorando l'andamento dell'utilizzo dei fondi strutturali da parte delle regioni meridionali e visitando personalmente, insieme al Sottosegretario di Stato Delrio diverse realtà complesse e, allo stesso tempo, ricche di opportunità del Sud, come Pompei, Bagnoli, Termini Imerese, Mola di Bari, Catania, Reggio Calabria, Morra De Sanctis solo per citarne alcune;
    è evidente l'urgenza di una policy specifica per attirare gli investimenti nel Mezzogiorno e consolidare le realtà produttive già presenti; è opportuno, a tal proposito, tenere presente due importanti elementi: a) nel Sud, nonostante la crisi che l'ha colpito, sono tuttora rinvenibili agglomerati industriali significativi. Basti pensare all'elettronica nell'area di L'Aquila e Avezzano; l'aerospaziale in Campania e in Puglia; le aziende attive nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione a Cagliari; la meccatronica a Bari e l'elettronica a Catania. In questi poli, nel complesso, trovano occupazione più di 40 mila addetti; il fatturato totale (2011) supera gli 8,5 miliardi di euro, di cui circa un terzo destinato all'esportazione; relativamente ampio è il ricorso a ricercatori e personale qualificato; b) sono in corso fenomeni di reshoring, ovvero ritorno in Italia (ed anche nei Paesi di più antica industrializzazione) di produzioni precedentemente delocalizzate, anche in produzioni cosiddette «tradizionali». Il Sud potrebbe intercettare parte di questo movimento;
    appare ragionevole e condivisibile scongiurare il rischio che vadano inutilizzate le risorse europee non ancora impegnate, ed è non solo auspicabile, ma assolutamente necessario, dare corso a tutte le misure volte a superare i ritardi e le inefficienze sin qui registrate nell'utilizzo delle risorse dei fondi strutturali e, in ogni caso, individuare i meccanismi, anche di carattere sostitutivo da parte dello Stato, finalizzati ad assicurare per il futuro la realizzazione nei territori del Mezzogiorno di quegli interventi indispensabili per il suo riscatto;
    è essenziale, quindi, assumere provvedimenti anche urgenti al fine di assicurare interventi concreti in favore dei territori del Mezzogiorno, nella convinzione che, se non ripartirà l'economia del Mezzogiorno, è l'intero Paese che rimarrà più povero e più fragile sul piano della concorrenza internazionale, oltre che più ingiusto,

impegna il Governo:

   a promuovere interventi aventi per obiettivo quello di potenziare le strutture nel Mezzogiorno finalizzate a facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in particolare per i giovani;
   a promuovere lo sviluppo di un sistema creditizio e finanziario in grado di sostenere e supportare le imprese, con particolare attenzione ai settori ad alta capacità di innovazione, nonché a procedere ad un riordino complessivo, e ad un loro effettivo coordinamento, di enti e strutture, a partire dalla Banca del Mezzogiorno, che operano nel settore;
   a favorire, d'intesa con le regioni interessate, piani di formazione permanente a beneficio dei lavoratori ultracinquantenni al fine di promuovere politiche attive di reinserimento lavorativo;
   a rendere pienamente operativi e a rafforzare gli strumenti di contrasto del disagio sociale presente in ampie fasce della società meridionale;
   ad attivare politiche generali e di promozione locale finalizzate ad una nuova residenzialità nei territori caratterizzati, in questi ultimi anni, da un forte calo demografico, prevedendo politiche sperimentali in favore dei piccoli comuni, situati nelle zone svantaggiate e nelle aree interne;
   ad individuare, nel quadro di un ampio confronto con le regioni e le amministrazioni del Mezzogiorno, le opportune soluzioni, anche di carattere normativo, volte ad assicurare il tempestivo utilizzo delle risorse dei fondi strutturali della Politica agricola comune per interventi e progetti da realizzarsi esclusivamente nelle regioni obiettivo-convergenza del Sud, facendo ricorso, ove necessario, all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle amministrazioni che si dovessero rivelare inadempienti;
   ad indire, entro il mese di marzo 2015, una conferenza nazionale di governo sul Mezzogiorno con la quale coinvolgere tutti i soggetti istituzionali e sociali del Sud nella redazione di misure finalizzate al rilancio economico e sociale del meridione.
(1-00685) «Famiglietti, Covello, Mura, Valiante, Mariano, Ventricelli, Tino Iannuzzi, Sgambato, Greco, Oliverio, Mura, Grassi, Capone, Venittelli, Iacono, Tartaglione, Schirò, Moscatt, Magorno, Migliore, Censore».


   La Camera,
   premesso che:
    la disciplina dell’«abbonamento alle radioaudizioni», che regola le modalità di calcolo, corresponsione ed esonero dal pagamento del canone di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo, è dettata dal regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, che, in termini generali, all'articolo 1, prevede che è tenuto al pagamento del sopradetto canone di abbonamento «(...) chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni»;
    la disciplina citata, oggetto di minime modifiche nel corso dei 76 anni di sua vigenza, prevede, allo stesso articolo che: «La presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici» pone a carico dei soggetti interessati una presunzione di possesso di un apparecchio atto alla ricezione delle radioaudizioni;
    nel corso degli anni si è molto discusso, tra i commentatori e in giurisprudenza, sulla natura giuridica del canone e sulla legittimità e gli ambiti della sua imposizione e con la sentenza 26 giugno 2002, n. 284, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina citata «(...) nella parte in cui collega (...) l'imposizione del canone (...) al semplice possesso dell'apparecchio, indipendentemente dalla effettiva fruizione dei servizi, e a favore del solo concessionario del “servizio pubblico” RAI-Radiotelevisione italiana e nella parte in cui prevede una disparità di trattamento fra chi riceve le trasmissioni televisive attraverso l'apparecchio televisivo e chi le riceve con altri mezzi tecnici, quali il computer con l'apposita scheda, oppure non le riceve affatto»;
    il giudice delle leggi in quell'occasione ha avuto modo di chiarire che tale imposizione risulta giustificata dalla funzione che dovrebbe essere svolta dal servizio pubblico radiotelevisivo, vale a dire «(...) il miglior soddisfacimento del diritto dei cittadini all'informazione e per la diffusione della cultura, col fine di ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese». Da qui gli obblighi della Rai ad assicurare un'informazione completa, di adeguato livello professionale e rigorosamente imparziale nel riflettere il dibattito fra i diversi orientamenti politici che si confrontano nel Paese, nonché di curare la specifica funzione di promozione culturale ad essa affidata e l'apertura dei programmi alle più significative realtà sociali e culturali;
    in tempi recenti, la legittimità dell'imposizione del sopradetto canone è tornata di attualità con riferimento alla possibile imposizione dello stesso nei confronti di possessori di apparecchi, diversi dai televisori, idonei, in ogni caso, a captare il segnale radiotelevisivo e con nota del 22 febbraio 2012, trasmessa dal Ministero dello sviluppo economico all'allora direttore dell'Agenzia delle entrate è stato chiarito che il possesso di un personal computer privo di un sintonizzatore, di un monitor per pc, di casse acustiche o di un videocitofono non legittima l'imposizione del canone, pure richiesto illegittimamente dalla Rai nei confronti di diversi cittadini e imprese, in quanto apparecchi non atti, né adattabili alla ricezione del segnale televisivo;
    nel corso del tempo sono state previste misure di esonero dal pagamento del canone per i cittadini ultra settantacinquenni con determinati requisiti reddituali, ad integrazione della disciplina generale di esonero dal pagamento del canone prevista dall'articolo 10 del regio decreto-legge citato;
    le procedure per ottenere la possibilità di essere esonerati dal pagamento del canone appaiono francamente anacronistiche: è richiesto il versamento di 5,16 euro per ogni apparecchio da chiudere in involucro, come prevede il regio decreto-legge; tale procedura consiste nella chiusura in appositi involucri di tutti gli apparecchi detenuti dal titolare del canone tv e dagli appartenenti al suo nucleo familiare presso qualsiasi luogo di loro residenza o dimora;
    le sopradette procedure per ottenere l'esonero appaiono particolarmente gravose ed inefficienti, in grado, quindi, di ostacolare in via di fatto l'esercizio di un diritto riconosciuto dalla legge;
    il sistema di imposizione del canone Rai, legato al possesso di un qualsiasi apparecchio atto o adattabile alla ricezione di un segnale televisivo, appare fortemente pregiudizievole per coloro i quali non usufruiscono dei servizi offerti dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, e, in ogni caso, non idoneo a scongiurare, né attenuare il rilevante fenomeno di evasione dal pagamento del canone;
    tale sistema di imposizione, fondandosi sul mero possesso di un bene o più beni di largo consumo e ormai accessibili pressoché a chiunque, non tiene nella minima considerazione la reale capacità contributiva dei cittadini obbligati al pagamento, non differenziando il canone dovuto tra chi ha i mezzi e le capacità per affrontare tale esborso e chi, al contrario, nel periodo di grave crisi che attraversa il Paese, non è in condizione di sostenere tale spesa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per modificare la disciplina vigente, svincolando l'obbligo di pagamento del canone Rai dal possesso di un apparecchio atto a ricevere il segnale televisivo e legando tale obbligo all'effettiva fruizione dei servizi offerti dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
   ad assumere ogni iniziativa volta ad allargare la platea dei soggetti esonerati dal pagamento del canone o, comunque, a prevedere forme di differenziazione nell'entità del canone dovuto in considerazione della capacità contributiva di ciascun cittadino.
(1-00686) «Liuzzi, Nesci, Fico, Brescia, Dell'Orco, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Paolo Nicolò Romano, Cristian Iannuzzi, Spessotto».


   La Camera,
   premesso che:
    il pagamento del canone per il servizio televisivo pubblico, istituito con regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti;
    la Corte costituzionale ha riconosciuto in diverse sentenze la natura sostanziale d'imposta del canone, per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;
    nei giorni scorsi i quotidiani hanno riportato la notizia secondo la quale potrebbe essere prossimo il varo della riforma del canone Rai, che dovrebbe essere pagato insieme alla bolletta della luce e contestualmente rimodulato nell'importo, che sarà in media di sessanta euro;
    il nuovo canone diventerebbe un «contributo al servizio pubblico radio-tv», dovuto da tutti i contribuenti appunto, e per non pagare la tassa diventerà compito dell'utente dimostrare di non possedere una televisione o anche un qualsiasi strumento che permetta di accedere ai programmi del servizio pubblico, come tablet, iPad, smartphone o personal computer;
    in merito alla nuova modalità di pagamento del canone ipotizzata è già intervenuta l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico che ha definito un «uso improprio» quello del canone in bolletta e ha sollevato alcune perplessità legate alla privacy;
    la riforma garantirà alla Rai un gettito annuo di 1,8 miliardi di euro, importo sostanzialmente invariato rispetto a quanto incassato ogni anno sino ad oggi;
    ciononostante le difficoltà di bilancio dell'azienda hanno determinato la dismissione di una quota pari al 49 per cento di Rai Way, la società controllata che detiene l'infrastruttura pubblica di trasmissione;
    Rai Way, negli ultimi cinque anni, ha investito quasi 350 milioni di euro (ma il piano pluriennale di investimenti è di oltre 600 milioni di euro) per passare dall'analogico al digitale, connettere con la fibra buona parte dei siti tecnici e costruirsi così un futuro che potrebbe svilupparsi fino alla telefonia mobile e all'internet wireless seguendo un progetto che è già stato definito nelle linee guida all'interno di Rai Way;
    negli scorsi mesi di maggio e giugno 2014 migliaia di artigiani, imprenditori e liberi professionisti hanno ricevuto, via posta tradizionale, una comunicazione dalla Rai, completa di bollettino, con cui si esigeva il pagamento del canone speciale, con tanto di importo precompilato, pari a poco più di quattrocento euro;
    alle proteste espresse dai destinatari la Rai ha risposto con un comunicato stampa, diramato il 28 giugno 2014, nel quale dichiarava che le lettere spedite erano «comunicazioni informative prive di connotati precettivi o intimativi, nelle quali si descrive con chiarezza il presupposto dell'obbligazione di pagamento. In nessun passaggio della lettera Rai si dà per presupposta la detenzione di apparecchi tv, anzi si invita esplicitamente il destinatario ad effettuare il versamento soltanto qualora ricorra tale presupposto»;
    tale situazione si era già verificata nel 2012, quando la Rai aveva inviato indistintamente a imprese, società, studi professionali ed altri un bollettino postale per provvedere al pagamento dell'abbonamento speciale, specificando che lo stesso era dovuto, oltre che per il possesso di un apparecchio televisivo, anche in presenza di strumenti «atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni»;
    in entrambi i casi, tuttavia, le richieste di pagamento sono state spedite senza fare le opportune preventive verifiche rispetto a chi era davvero debitore del canone e chi non soggiaceva a quest'obbligo, con l'obiettivo, si presume, di recuperare risorse a danno dei cittadini;
    altre irregolarità si sono verificate con riferimento ai casi di esenzione e di disdetta dal pagamento del canone, laddove privati cittadini si sono trovati a dover sopportare un lungo contenzioso con l'azienda concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico che non riconosceva il loro diritto a non corrispondere il canone;
    il contrasto all'evasione rispetto al pagamento del canone radiotelevisivo, di recente sollecitato anche dalla Corte dei conti, e che priva la Rai di circa il trenta per cento degli introiti a tale titolo, non può passare attraverso iniziative o misure che danneggino il cittadino, o, addirittura, ledano i suoi diritti, come avviene nel caso di funzionari che chiedono di entrare nelle case per verificare la eventuale presenza di televisori senza averne diritto;
    inoltre, a fronte del pagamento del canone richiesto ai cittadini, l'azienda dovrebbe compiere uno sforzo, soprattutto nell'attuale fase di difficile congiuntura economica che ha imposto dei sacrifici anche alla stessa Rai, per il contenimento dei costi;
    sono molteplici, infatti, le voci di spesa non più sostenibili a fronte dell'attuale situazione di bilancio in cui versa l'azienda, prima tra tutte i cachet milionari corrisposti a taluni soggetti per le apparizioni televisive;
    è assolutamente indispensabile, inoltre, che sia drasticamente abbattuto il numero delle consulenze e che, comunque, sia individuato un tetto massimo alle stesse, e che si limiti alle effettive necessità il ricorso a servizi esterni, spesso utilizzato in spregio alle professionalità regolarmente presenti nell'azienda;
    nell'ambito del ricorso ai servizi esterni, inoltre, l'azienda dovrebbe agire con maggiore prudenza, evitando di esporsi a contenziosi come quello che attualmente sopporta per il mancato riconoscimento dell'opera prestata dai telecineoperatori di società esterne nelle trasmissioni messe in onda;
    il direttore generale della Rai ha elaborato un piano per l'accorpamento delle sei testate giornalistiche con l'istituzione di una new room unica, con l'obiettivo di razionalizzare, valorizzare e rilanciare l'informazione attraverso la tecnologia digitale;
    l'avvenuto accorpamento di Radio Rai 1, Radio Rai 2 e Radio Rai 3 non ha prodotto, allo stato, risparmi sensibili, mentre ha causato la riduzione del numero degli ascoltatori, dimostrando che se l'ottimizzazione delle risorse è certamente un dato positivo, questa rischia, tuttavia, di risolversi in una perdita di competitività sul mercato e, quindi, in un oggettivo danno economico;
    inoltre, un accorpamento realizzato con invarianza di personale rischia di non portare comunque a risparmi significativi;
    le trasmissioni regionali rappresentano una delle eccellenze della Rai, posto che nessun'altra rete recepisce e rappresenta in maniera così efficace le specificità territoriali ed è assolutamente necessario garantire il turnover nelle redazioni provinciali attraverso l'assunzione di nuovi professionisti in sostituzione di quelli che terminano la propria carriera,

impegna il Governo:

   ad intraprendere ogni iniziativa utile a chiarire i presupposti per la richiesta di pagamento del canone ai cittadini, nonché le eventuali esenzioni o riduzioni e le modalità per fruirne, secondo modalità che non comportino per gli stessi complessità procedurali, anche al fine di migliorare il rapporto tra i cittadini e l'azienda impositrice;
   ad elaborare un progetto di riforma del canone per il servizio radiotelevisivo pubblico che determini il contributo richiesto in base alle capacità reddituali dei singoli utenti e salvaguardando le esenzioni già previste.
(1-00687) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    i non performing loans (NPL) – o prestiti non performanti – rappresentano quell'insieme di attività ché non, riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori, trattandosi in buona sostanza di crediti per i quali la riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza sia in termini di ammontare dell'esposizione;
    nell'ambito del linguaggio bancario i non performing loans (NPL) vengono anche chiamati crediti deteriorati e si distinguono in varie categorie fra le quali spiccano, in particolare, gli incagli e le sofferenze;
    le sofferenze sono definite dalla Banca d'Italia come quei crediti la cui riscossione non è certa da parte degli intermediari che hanno erogato i finanziamenti perché i soggetti debitori risultano in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni equiparabili. Per ovviare a questo genere di rischi gli intermediari creditizi accantonano di regola delle riserve apposite in proporzione al credito a rischio e alla sua condizione. Gli incagli, invece, rappresentano delle esposizioni nei confronti di soggetti in situazione di difficoltà obiettiva, ma temporanea. A differenza delle sofferenze, pertanto, gli incagli rappresentano dei crediti che in un congruo periodo di tempo si suppongono recuperabili. In una scala del rischio, dunque, gli incagli si pongono un gradino al di sotto delle sofferenze e richiedono pertanto accantonamenti inferiori nelle riserve contro il rischio;
    un altro genere di crediti deteriorati è costituito dalle esposizioni ristrutturate. Si tratta in genere di esposizioni che una banca (da sola o in pool) modifica cambiando le condizioni contrattuali e subendo una perdita. Il cambiamento è dettato da un deterioramento delle condizioni finanziarie del debitore e può risolversi, per esempio, in un riscadenzamento del debito;
    un altro tipo di credito deteriorato è costituito dalle esposizioni scadute e/o sconfinanti: si tratta in genere di esposizioni che non risultano inquadrabili nelle categorie precedenti e risultano non onorate da oltre 180 giorni. Per alcuni crediti di questo tipo le disposizioni di vigilanza fissano in 90 giorni soltanto il termine massimo;
    per sorvegliare il rischio a livello sistemico la Banca d'Italia ha creato la Centrale dei rischi, un archivio nel quale confluiscono le posizioni debitorie di ogni soggetto nei confronti di tutti gli intermediari permettendo per ogni debitore il calcolo della posizione globale di rischio e consentendo ai singoli intermediari di controllare la solvibilità dei clienti;
    secondo quanto evidenziato dalla stampa economica specializzata i non performing loans (NPL) italiani, che tanto preoccupano le banche italiane che li annoverano tra i loro bilanci, si rivelano un'opportunità altamente profittevole per speculatori finanziari soprattutto esteri (o estero-vestiti);
    tra i crediti problematici, a suscitare le maggiori preoccupazioni sono le sofferenze, cioè i prestiti, come si è detto, ritenuti ormai difficilmente recuperabili dall'istituto di credito;
    l'Associazione Bancaria Italiana (Abi) segnala che ad aprile 2014 il conto il Italia è arrivato a 166 miliardi di euro, un quarto in più nell'arco di dodici mesi;
    in un articolo di Repubblica apparso ad agosto 2014 si legge, in particolare: «L'ammontare continua a crescere e gli istituti di credito si interrogano su cosa fare di questi crediti, se provare cioè a valorizzarli all'interno, siglare partnership con operatori specializzati nella gestione di questi portafogli o cederli a fondi con esperienza nel campo dei npl», spiega Domenico Torini, associate partner Kpmg Corporate Finance. L'ultima strada trova i maggiori consensi, complice la carenza di professionalità specifiche all'interno delle banche italiane. Secondo un recente studio di Deloitte, nei prossimi 24 mesi gli istituti della Penisola venderanno tra i 10 e i 16 miliardi di euro di sofferenze, valori di gran lunga superiori rispetto ai pacchetti ceduti fino a questo momento, circa 5,7 miliardi di euro. Il problema maggiore è legato al fatto che la vendita comporta una contabilizzazione delle perdite, che zavorra i bilanci e rende più precaria la posizione dei top manager, per questa ragione particolarmente prudenti. La valorizzazione dei portafogli cambia di caso in caso. Per farsi un'idea, nei giorni scorsi Banca Ifis ha acquistato dal veicolo Iustitia Futura un portafoglio di non performing loans da 1,3 miliardi di euro pagando un prezzo intorno al 2-3 per cento del valore nominale. «Questa focalizzazione ci consente di assorbire poco patrimonio e liquidità, dato che il costo di acquisizione dei portafogli è mediamente più basso rispetto a crediti di altra natura, come quelli immobiliari». La gestione dei npl è il filone di maggior crescita per Banca Ifis (+70 per cento in Borsa nell'ultimo anno), tanto che il piano industriale prevede di raddoppiare dall'attuale 10 al 20 per cento entro il 2016 il suo contributo al margine di intermediazione complessivo. Il business fa gola anche a Banca Sistema, che nei mesi scorsi è entrata nel capitale di Candia, attiva nel settore dei crediti in sofferenza. «Si tratta di un'attività complementare al core business della banca, rappresentato dall'acquisto di crediti commerciali vantati nei confronti della pubblica amministrazione», spiega il coo Massimiliano Ciferri. Nella gestione dei crediti problematici rinvenienti dal credito al consumo sono attivi anche diversi operatori internazionali come la norvegese Aktiv Capital (entrata nel mercato italiano con l'acquisizione di un pacchetto da Intesa San Paolo Personal Finance) e Cerberus (operazione simile con Unicredit), mentre diverso è il ruolo di grandi fondi che hanno interesse in particolare a crediti con collateral immobiliari come Blackstone (interessata soprattutto alle dismissioni del mattone di Stato), Pimco (che ha guardato il dossier Release). «Dato che le acquisizioni di questi operatori avvengono con un impegno di equity intorno al 20-30 per cento», spiega Torini, «i portafogli di solito vengono spacchettati, con la banca d'affari finanziatrice che partecipa con i finanziamenti senior e l'operatore di npl che si concentra sulla parte di puro rischio». Da segnalare anche l'intesa per la fusione tra la Sgr di Prelios e quella di Fortress con l'obiettivo primario di investire nei non performing loans di carattere immobiliare. I due principali gruppi bancari italiani, Unicredit e Intesa San-Paolo, sembrano invece orientati a far confluire la maggior parte delle loro sofferenze in un veicolo ad hoc, pronto a decollare dopo l'estate con la partecipazione di Kkr e Alvarez & Marsal: una soluzione che consente di contare su competenze specialistiche, senza comunque rinunciare del tutto a un controllo sui crediti e sulla relativa contabilizzazione. I crediti problematici si sono più che triplicati dal 2008 al 2013 Le sofferenze vere e proprie sono passate da 42 a 156 miliardi nello stesso arco di tempo»;
    recentissimamente, il direttore del Centro tutela consumatori e utenti, Walther Andreaus, il legale dell'associazione, avvocato Massimo Cerniglia, e l'analista finanziario Alfonso Scarano hanno pubblicamente manifestato l'intenzione di presentare un progetto di legge di iniziativa popolare per meglio disciplinare il riscatto dei credito in sofferenza delle banche, ovvero i non performing loans (NPL), al fine di arginare un fenomeno che rischia di ripercuotersi in modo particolarmente pregiudizievole nei confronti di numerosissimi consumatori e famiglie;
    come è noto, infatti, le Banche italiane, anche in forza delle recenti norme della Banca centrale europea, sono indotte a cedere i suddetti crediti a percentuali dell'importo residuo del credito pari anche al 5-8-10 per cento. I suddetti crediti vengono ceduti a fondi speculativi anche chiamati «fondi locusta» con chiara qualificazione del loro agire;
    tali fondi, con procedure varie, e spesso molto invasive, che vanno dalle telefonate, alle lettere raccomandate, alle visite a domicilio o anche nei luoghi di lavoro, alle ingiunzioni, cercano di convincere i debitori, spesso consumatori, a sanare la posizione debitoria, soprattutto quando i crediti in questione sono assistiti da garanzie reali;
    i suddetti fondi locusta sono altamente speculativi e la loro costruzione si basa su un'attesa di rendimento di almeno il 15-20 per cento annuo;
    si tratta, quindi, di una questione che sta assumendo un rilevante peso sociale, in quanto i debitori che per la maggior parte sono rappresentati da famiglie e consumatori, sono afflitti da pressioni e procedure anche esecutive da parte dei fondi locusta per il pagamento di tutto il debito oltre interessi, a fronte dell'acquisto da parte dei fondi anche al 5-8-10 per cento del valore nominale del debito stesso;
    ad avviso del Centro tutela dei consumatori potrebbe essere introdotto un obbligo di legge da parte delle Banche di offrire in prelazione agli obbligati i debiti da cedere ad un prezzo pari a quello fissato in caso di successiva cessione ai fondi specializzati in non performing loans (i cosiddetti fondi locusta). Il prezzo di cessione offerto in prelazione potrebbe anche essere leggermente superiore a quello offerto ai fondi locusta in considerazione del fatto che un conto è vendere in blocco ad un unico fondo, un conto è chiudere singole transazioni con i consumatori;
    in questo modo, aggiunge l'associazione, si potrebbe ritrovare un clima di fiducia fra clienti e banche ed evitare una possibile alluvione di procedimenti giudiziari ed esecutivi con beneficio per la giustizia civile, si potrebbero allentare gli oneri che pesano sulle famiglie e disinnescare un meccanismo normativo che, di fatto, favorisce prodotti finanziari di natura speculativa con forte impatto sociale,

impegna il Governo:

   a valutare con particolare attenzione gli effetti applicativi derivanti dall'introduzione dell'obbligo in questione al fine di evitare un rischio di danno e dissesto sociale che un'azione di recupero crediti, massiccia, accanita e di grandi dimensioni, possa causare sulle già fragili risorse materiali di consumatori e famiglie e al fine di comunque salvaguardare la possibilità della banche di realizzare lo stesso l'ammontare che otterrebbe dalla cessione di tali crediti ai fondi speculativi;
   a porre in essere ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata rimuovere qualsiasi meccanismo o presupposto giuridico teso a favorire, di fatto, la diffusione di prodotti finanziari di natura speculativa con forte ed aggravato impatto sociale destinati a peggiorare il merito di credito di numerosissimi consumatori e famiglie.
(7-00541) «Paglia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese sono sempre più visibili gli effetti dei cambiamenti climatici e che le ripercussioni sull'agricoltura sono gravissime;
   si calcola che solo quest'anno i danni provocati al settore agricolo ammontano a circa lo 0,5 per cento del Pil;
   nel 2014 si è verificato un crollo senza precedenti nella produzione di miele, olio (con un calo della produzione del 40 per cento rispetto allo scorso anno) e castagne (circa la metà della produzione), ma anche per l'uva e il vino (–15 per cento come media nazionale, e fino a –30 per cento al sud);
   molte conseguenze del cambiamento climatico sull'agricoltura derivano dall'acqua, la cui mancanza avrà un più grave impatto sulla produzione agricola e sul paesaggio europeo;
   è di tutta evidenza che sarà necessario cambiare le tecniche d'irrigazione, almeno in Europa meridionale;
   il cambiamento climatico ha un impatto anche sui prezzi alimentari e sulla stabilità dei prezzi stessi;
   al surriscaldamento e alla desertificazione, si aggiunge anche l'urbanizzazione, che «mangia» terreno agricolo restituendo cemento: in Italia vengono bruciati così 500 chilometri quadrati di suolo coltivabile all'anno;
   la sfida del cambiamento climatico rappresenta una significativa minaccia perché i suoi effetti sull'agricoltura, passando attraverso le componenti socio-economiche ad essa collegate, impattano negativamente e in maniera incisiva sul benessere della popolazione, in particolare in quelle aree del paese dove il settore primario è spesso la principale fonte di reddito e di occupazione;
   alcuni Paesi europei hanno definito strategie, programmi e piani di adattamento ai cambiamenti climatici, allo scopo di assicurare al proprio territorio un futuro sviluppo sostenibile;
   l'Italia è in forte ritardo sulla strategia d'adattamento ai cambiamenti del clima, obbligo imposto dall'Europa ai propri Stati membri fin dal 2005;
   gli agricoltori non possono affrontare da soli il peso dei cambiamenti climatici. La politica comune deve dare il giusto supporto per permettere agli agricoltori di adattare le strutture ed i metodi di produzione delle proprie aziende agricole e di continuare a fornire servizi all'ambiente rurale –:
   quali iniziative intendano adottare al fine di salvaguardare le aziende agricole che hanno visto compromessa la produzione con forti ripercussioni sull'economia;
   quali azioni intendano assumere per sostenere la produttività agricola come principale mezzo per affrontare le problematiche poste dagli eventi climatici, anche integrando i programmi dell'Unione europea con misure adeguate in ragione dell'importanza che il settore occupa nel sistema produttivo nazionale;
   se non ritengano opportuno, per contrastare gli effetti negativi sul settore agricolo italiano, integrare le attuali politiche di sviluppo rurale, incoraggiando, anche attraverso nuovi investimenti, una migliore gestione del terreno e delle risorse d'acqua da parte degli agricoltori;
   se non ritenga necessario aiutare gli agricoltori ad accedere agli strumenti di gestione dei rischi, come ad esempio i piani di assicurazione, per affrontare le perdite dovute a disastri ambientali legati al cambiamento climatico. (5-04198)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'osservatorio CNF, con il contributo di alcuni partner come Acea, Assolombarda, Enel, Federutility, Ferrovie dello Stato italiane, Hera, Mediterranea delle Acque e Terna, ha monitorato la realizzazione di infrastrutture in sette settori chiave per lo sviluppo, come ferrovie, telecomunicazioni, viabilità, logistica, energia, idrico e rifiuti;
   secondo il Rapporto «Costo del Non Fare 2014», realizzato da Agici finanza d'impresa, se l'Italia non sarà in grado di far ripartire gli investimenti in settori strategici, dall'energia alle telecomunicazioni, passando per strade e ferrovie, nei prossimi 17 anni subirà un danno che supererà gli 800 miliardi di euro, circa la metà del Prodotto interno lordo in un anno;
   nel biennio 2012-2013 questo danno è stato di 82 miliardi di euro, persi a causa del rinvio delle decisioni su progetti fondamentali per lo sviluppo del Paese;
   un peso rilevante in questa sconfitta lo hanno avuto anche le incompiute dei trasporti: mancanza fisica di infrastrutture e assenza di misure di programmazione e regolarizzazione;
   il «non» ammodernamento delle tratte ferroviarie, sia di alta velocità che convenzionali, costerà 113 miliardi, quello di autostrade e tangenziali 74,7 miliardi;
   secondo gli studi sopra citati, all'Italia serviranno altri 47 chilometri di tangenziale, 842 chilometri di autostrada a rilevanza regionale e 419 a rilevanza nazionale. Il costo del non fare sarebbe di 84 miliardi e mezzo, ma una contemporanea crescita della banda larga – che ridurrà la mobilità – porterà una diminuzione a 74,7 miliardi;
   nel 2030 dovrà crescere la rete ferroviaria di 937 chilometri per l'alta velocità e alta capacità e di 435 chilometri per le tratte convenzionali (di cui 320 chilometri di nuove realizzazioni) –:
   se non ritengano opportuno predisporre un piano di investimenti – che il rapporto «Costo del non fare» quantifica in 185 miliardi di euro – con una fetta importante da destinare alle infrastrutture ferroviarie;
   quali azioni intendano assumere per rispettare il trend dell'ultimo biennio (13 miliardi di euro l'anno), ricalibrando gli investimenti in favore delle ferrovie e della viabilità;
   quali provvedimenti intendano adottare per far crescere la rete ferroviaria per l'alta velocità e alta capacità, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia, e per le tratte convenzionali, comprese le nuove realizzazioni;
   se non ritengano urgente, per la completa realizzazione delle opere in cantiere, privilegiare gli interventi di miglioramento delle infrastrutture, quindi ammodernamenti, manutenzioni e upgrade tecnologici e sviluppare strumenti di finanziamento standardizzati per attrarre i capitali di assicurazioni e fondi pensione. (5-04201)

Interrogazione a risposta scritta:


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014 rinvia a specifico decreto ministeriale l'individuazione, sulla base dell'altitudine, dei terreni esenti da IMU;
   è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze che rivede la tassazione IMU sui terreni agricoli montani e collinari;
   la nuova normativa prevede l'esenzione per i proprietari dei terreni dei comuni situati oltre i 600 metri di altitudine mentre per quelli i cui beni sono situati tra i 281 e i 600 metri sul livello del mare l'esenzione sarà limitata ai terreni posseduti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali;
   fino a 280 metri, invece, tutti dovranno presentarsi a pagare entro il prossimo 16 dicembre 2014, versando l'intera imposta dovuta per il 2014;
   fino al decreto del Ministero dell'economia e delle finanze erano esenti dall'imposta tutti i proprietari dei beni che si trovavano nelle zone montane e collinari, senza distinzione tra terreni agricoli e quelli con altra destinazione, come quelli incolti;
   le nuove norme contraddicono le intenzioni del Governo di voler tutelare i piccoli comuni situati nelle aree svantaggiate, in particolare quelli delle zone montane, collinari e in via di spopolamento;
   la decisione del Governo è contraria a quanto concordato in più occasioni con l'Associazione nazionale comuni d'Italia;
   si tratta di una stangata per i territori montani e rurali che vede ancora una volta penalizzate le aree che più di altre hanno bisogno di attenzione e sostegno;
   la norma considera l'altitudine della sede comunale e non l'orografia del territorio;
   non si tiene conto del fatto che ci sono comuni il cui territorio è quasi totalmente montano ma il centro abitato, con tutti gli uffici amministrativi, si trova a un'altitudine che, secondo la nuova normativa, impedirebbe ai proprietari e alle aziende che producono nel territorio di avere l'esenzione totale dell'imposta;
   malgrado l'esenzione per i proprietari coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, gli importi calcolati dai Ministeri competenti (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e Ministero dell'interno) indicano un presunto gettito per i comuni delle aree montane e collinari interessati dalla nuova normativa tale da configurare una vera e propria stangata nei loro confronti;
   la novità ministeriale interviene in una fase di vita dei comuni molto particolare. Tutti i comuni italiani, ai sensi dell'articolo 175, comma 3 che stabilisce che «Le variazioni al bilancio possono essere deliberate non oltre il 30 novembre di ciascun anno», hanno già deliberato l'assestamento di bilancio;
   per cui il mancato trasferimento delle risorse, che i comuni dovrebbero incamerare sotto forma di gettito IMU, si configurerebbe come un vero e proprio ammanco di risorse dai bilanci comunali con tutte le conseguenze che ne derivano, e quindi con il venir meno della veridicità, uno fra i principi fondamentali di redazione dei bilanci;
   i comuni, considerato il 16 dicembre quale termine per il pagamento dell'IMU sui terreni agricoli, si trovano impossibilitati a predisporre le procedure per assolvimento dell'onere da parte dei contribuenti;
   la Camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a tenere in considerazione le peculiarità dei territori agricoli montani adeguando gli indici e i criteri per l'individuazione dei comuni montani –:
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per rivedere la nuova norma che penalizza le aree che più di altre hanno bisogno di attenzione e sostegno, imponendo una ingiusta tassazione in territori dove l'agricoltura è spesso l'unico settore in grado di creare sviluppo e occupazione;
   per quali ragioni il nuovo decreto non sia stato adottato senza un preventivo confronto con i rappresentanti dei comuni e delle associazioni di categoria che più di altre conoscono le peculiarità e le debolezze di territori che hanno bisogno di aiuti e non di un aumento della pressione fiscale;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per prorogare il termine del 16 dicembre del 2014 per dare la possibilità ai comuni di adottare i provvedimenti amministrativi necessari a garantire la riscossione dell'imposta, anche in attesa di un eventuale confronto tra Ministero e comuni fissi nuove modalità per la tassazione IMU sui terreni agricoli;
   quali azioni intendano assumere, vista anche l'approvazione di un ordine del giorno da parte della Camera dei deputati, per tutelare le peculiarità dei territori agricoli montani e adeguare gli indici e i criteri per l'individuazione dei comuni montani;
   se non ritengano opportuno applicare i criteri già previsti dall'articolo 1 della legge n. 991 del 1992, che individuava come comuni montani i comuni situati per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri. (4-07129)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   GRANDE, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, SIBILIA e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il conflitto armato che ha avuto luogo nei territori dell'est dell'Ucraina ha finora registrato circa 2000 vittime, la maggior parte delle quali sono stati civili bombardati nelle proprie case o uccisi da truppe di terra appartenenti a differenti fazioni antagoniste fra loro;
   secondo un recente report di Amnesty International, dall'inizio del conflitto, diverse sono state le esecuzioni di massa a cui fa seguito la presenza di molteplici fosse comuni ad esse riconducibili, mentre in più occasioni sono stati riscontrati segni di tortura sui corpi rinvenuti, evidenziando pertanto nettamente la brutalità dei trattamenti inferti alle vittime anche prima dell'esecuzione;
   l'articolo 7 dello statuto di Roma della Corte penale internazionale recita testualmente: «Ai fini del presente Statuto, per crimine contro l'umanità s'intende uno degli atti di seguito elencati, se commesso nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco:
    a) omicidio;
    b) sterminio;
    c) riduzione in schiavitù;
    d) deportazione o trasferimento forzato della popolazione;
    e) imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale;
    f) tortura;
    g) stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità;
    h) persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale ai sensi del paragrafo 3, o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permissibili ai sensi del diritto internazionale, collegate ad atti preveduti dalle disposizioni del presente paragrafo o a crimini di competenza della Corte;
    i) sparizione forzata delle persone;
    j) apartheid;
    k) altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all'integrità fisica o alla salute fisica o mentale;
   relativamente alle vittime civili, cadute principalmente nelle regioni del Donesk e Lugansk, potrebbe sussistere un principio territoriale se non addirittura etnico, eventualmente valutabile come genocidio stando almeno all'articolo 6 del citato Statuto che fa riferimento a atti commessi nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso;
   la Corte ha competenza sui crimini di guerra, intesi come gravi violazioni dell'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all'interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali;
   la questione dell'annessione della Crimea da parte della Federazione Russa ancora non è stata definita giuridicamente ma potrebbe essere valutata come competenza dalla stessa Corte penale internazionale quale crimine di aggressione. Allo stesso tempo questa divisione amministrativa, insieme a quelle delle regioni autoproclamatesi russe, lascia presupporre che esista uno degli elementi base per la procedibilità della Corte, ovvero che «(...) (lo Stato) non abbia la capacità di svolgerle (le indagini) correttamente o di intentare un procedimento» così come enunciato nell'articolo 17 del citato Statuto, poiché le zone teatro di scontri registrano, di fatto, una scissione politica e amministrativa;
   episodi come la strage di Odessa creano ancora un ampio e complesso dibattito internazionale circa la piena attribuzione delle responsabilità dei decessi, ne è prova lo stesso report di giugno 2014 delle Nazioni Unite nel quale si accerta per la prima volta l'intento pacifico delle manifestazioni che ebbero luogo proprio di fronte al palazzo dei sindacati, rimettendo inevitabilmente in discussione la dinamica dell'accaduto;
   la diplomazia internazionale non ha saputo proteggere la popolazione civile e la stessa Unione europea si è limitata a imporre sanzioni risultate, allo stato dell'arte, non in grado di contrastare le violazioni del «cessate il fuoco» che a tutt'oggi vengono sistematicamente perpetrate;
   la III Commissione ha più volte audite varie delegazioni per comprendere e monitorare gli scontri e la situazione in Ucraina, oltre ad aver inviato una delegazione ufficiale di parlamentari a Kiev per incontrare gli esponenti politici del paese, con ciò manifestando l'intenzione di un costante monitoraggio delle fasi del conflitto –:
   se l'Italia intenda adire la Corte penale internazionale affinché si faccia piena luce su quanto accaduto, tanto sui crimini quanto sui responsabili diretti, così da poter schierare il nostro Paese in prima linea contro siffatte, intollerabili efferatezze, che non possono essere perpetrate né tantomeno lasciate impunite ancor di più sul suolo europeo. (5-04211)


   LOCATELLI e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 10 del decreto-legge n. 109 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge 1o ottobre 2014, n. 141, sono state autorizzate le elezioni per il rinnovo dei Comites, dopo che erano state ripetutamente rinviate in attesa di una riforma complessiva dei nostri organi di rappresentanza all'estero, ma anche, più prosaicamente, per la difficoltà di reperire i fondi necessari;
   l'articolo 10 del decreto-legge n. 109 del 2014 della legge 141 del 2014 introduce nuove disposizioni per il rinnovo dei suddetti Comitati con l'ammissione al voto dei soli elettori che ne facciano preventiva richiesta iscrivendosi ad appositi registri elettorali presso i consolati di riferimento;
   in poco più di due settimane (il termine per la presentazione delle liste scadeva infatti il 19 ottobre 2014), nonostante la fattiva collaborazione della maggior parte delle sedi all'estero che con encomiabile senso di responsabilità hanno messo a disposizione il personale dipendente anche al di fuori dei normali orari di servizio, in molte circoscrizioni non era stato possibile presentare nemmeno una lista;
   i tempi ristrettissimi infatti, coniugati con la normativa che vuole la sottoscrizione da parte di almeno 100 cittadini nelle circoscrizioni con meno di 50.000 iscritti all'AIRE e di almeno 200 cittadini nelle circoscrizioni con più di 50.000 iscritti, hanno vanificato gli sforzi di numerosi cittadini che avrebbero voluto partecipare alla competizione elettorale;
   quale conseguenza di quanto sopra sono state forzatamente annullate le elezioni in quelle circoscrizioni dove non è stato possibile presentare alcuna lista, tra cui Bucarest, Edimburgo, Detroit, Chicago, San Francisco, Praga, Bangkok, Oslo, Vienna, Atene, Stoccolma, Lisbona, Barcellona, Nizza, Dublino, Perth, San José di Costarica, solo per citarne al alcune;
   la circostanza rappresenta un grave vulnus della democrazia in quanto, per complicazioni non dipendenti dalla volontà dei cittadini, molti sono stati privati del loro diritto di voto attivo e passivo;
   parimenti, i tempi ristrettissimi per l'iscrizione nelle liste elettorali e la scarsa informazione sulle nuove modalità di voto hanno consentito l'iscrizione nei registri elettorali presso i consolati di riferimento di un numero estremamente esiguo di cittadini elettori –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare alla luce delle criticità esposte in premessa. (5-04212)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   DORINA BIANCHI e PISO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la questione del prolungamento del molo foraneo del porto della città di Crotone è vicenda di cui si dibatte da molto tempo senza venire ad alcuna soluzione. Il mancato prolungamento del molo foraneo, a causa delle continue ondate di maltempo, costituisce un problema di sicurezza che sta mettendo a serio rischio le strutture del porto turistico di Crotone e la vita degli operatori che lavorano ogni giorno in questa infrastruttura;
   l'anno scorso, proprio la Lega navale di Crotone si era fatta promotrice di un incontro tra le autorità preposte (comune, provincia, regione, camera di commercio, autorità portuale di Gioia Tauro e capitaneria di porto, soprintendenza archeologica della Calabria) per fare il punto sullo stato della procedura;
   in quell'occasione, era emerso che il progetto e i fondi necessari per la realizzazione delle opere di messa in sicurezza erano stati preservati e l'autorizzazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici si prevedeva potesse essere ricevuta entro marzo/aprile scorsi;
   a quanto consta agli interroganti l'autorità portuale ed i progettisti avrebbero presentato delle bozze su cui sarebbero stati formulati da più parti alcuni rilievi critici;
   il porto industriale di Crotone, già Sito d'interesse nazionale in quanto inquinato, stando a quanto previsto dal progetto dell'autorità portuale, resterebbe a forte presenza di sostanze inquinanti, circostanza questa che non potrebbe incontrare l'approvazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in particolare, sempre nel corso del suddetto incontro era venuto alla luce che un ostacolo al prolungamento del molo foraneo era da ravvisarsi nell'approfondimento della ricognizione fatta dalla Soprintendenza ai beni archeologici;
   anche per tale approfondimento i fondi erano stati già individuati, già programmati e sarebbe dovuto partire a marzo/aprile scorsi appena la situazione meteo marina lo avrebbe consentito –:
   se vi sia stato da parte dell'autorità portuale il coinvolgimento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, in tal caso, quale sia l'orientamento del Ministero interrogato, in particolare per quanto riguarda la messa in sicurezza del modo foraneo. (5-04213)


   MARIASTELLA BIANCHI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   uno sversamento di cherosene da un serbatoio di carburante dell'ENI avvenuto il 6 novembre 2014 a nord del comune di Fiumicino ha contaminato il Rio Tre Cannelle e, da Palidoro a Maccarese, la rete interna di canali agricoli e di bonifica che irrigano i campi e che confluiscono nel fiume Arrone fino alla sua foce presso il Villaggio dei pescatori di Fregene. Un disastro ambientale ed ecologico che sta avendo un impatto devastante per l'ecosistema della riserva e delle oasi naturalistiche del litorale romano e per le aree coltivate;
   l'onda di cherosene ha inquinato decine di ettari di terreni agricoli e le aree naturalistiche della zona, facendo strage di animali e specie protette. Oltre alla moria di pesci lungo i canali della zona numerosi altri animali, tra cui testuggini, gallinelle d'acqua, germani reali, garzette, nutrie, sono stati trovati morti nelle perlustrazioni dei volontari del Wwf e della Lipu nei canali di Maccarese. Il carburante finito nei corsi d'acqua ha infatti intaccato la catena alimentare: i predatori che si nutrono dei pesci o degli animali morti ingerendo a loro volta quantità letali di carburante; c’è molta preoccupazione anche per la falda acquifera della zona che potrebbe essere stata raggiunta dal combustibile filtrato dal terreno; inoltre, l'ondata di maltempo prevista per i prossimi giorni potrebbe aumentare la portata del danno. Un innalzamento delle acque, infatti, potrebbe spargere ulteriormente il cherosene nelle zone circostanti aumentando il raggio dell'area colpita, oltre a far defluire le carcasse degli animali e il cherosene anche verso il mare;
   l'allarme è scattato in ogni caso anche negli altri comuni costieri del litorale romano, poiché chiazze oleose trasportate dalle correnti marine sarebbero già arrivate a Ladispoli e Cerveteri. L'Eni ha diminuito la pressione d'esercizio sulla linea per ridurre la fuoriuscita di cherosene. Al momento si sta operando per chiudere la perdita, nel frattempo sono state posizionate panne galleggianti per assorbire il carburante svernato nell'Arrone;
   a quanto risulta, rimane qualche incertezza sulla causa che ha provocato la fuoriuscita di cherosene originata dal deposito dell'Eni collocato a monte del corso d'acqua, vicino allo svincolo dell'autostrada. La fuoriuscita che ha prodotto l'imponente contaminazione è stata causata da un tentativo di furto di carburante finito male, come segnalato anche dalla stessa società Eni. Alcuni organi di stampa hanno paventato, però, un possibile guasto dell'oleodotto, che dà Civitavecchia arriva a Fiumicino, viste le grandi proporzioni del danno –:
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, con somma urgenza, al fine di verificare la situazione ambientale dei luoghi e l'impatto che lo sversamento di carburante ha avuto sulle aree agricole e sulle oasi naturalistiche della zona del litorale romano nonché la loro eventuale, compromissione, in particolare nell'area del fiume Arrone e nella zona di costa adiacente alla sua foce, e allo stesso tempo, di verificare le cause e l'entità della fuoriuscita di cherosene e affinché si proceda al ripristino ambientale e alla messa in sicurezza dei siti interessati, oltre che per dare sostegno alle comunità coinvolte. (5-04214)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da anni ormai si assiste, pressoché inerti, alle conseguenze del gravissimo disastro ambientale che si è consumato nell'area industriale di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, determinando una situazione di altrettanto grave e concreto rischio per la salute delle popolazioni che vivono in quel territorio;
   nell'arco di circa venti anni si sono susseguiti diversi provvedimenti, statali e regionali, finalizzati al recupero e al risanamento ambientale di quei luoghi, senza però mai raggiungere tale risultato;
   ad oggi, per fare solo un esempio, non si è ancora grado di affermare con precisione quali sostanze tossiche, ed in che quantità, siano presenti nel sottosuolo di Priolo, le quali stanno inquinando da circa mezzo secolo le relative falde acquifere;
   al contrario, i recenti monitoraggi condotti sulle popolazioni che vivono nei pressi del suddetto polo industriale continuano a segnalare un preoccupante eccesso di patologie tumorali, cardiovascolari e respiratorie;
   sebbene, a fronte di ciò, la procura della Repubblica di Siracusa abbia recentemente avviato delle indagini, la macchina statale, nell'ambito delle proprie competenze, continua, a non prendere nella dovuta considerazione la grave situazione che si è venuta determinando in quei luoghi;
   la perdurante assenza di una risposta statale, decisa e ben coordinata con l'ente regionale e gli altri enti locali, la quale ponga le basi, burocratiche e finanziarie, per il recupero e la riconversione di questo polo industriale, delinea un quadro preoccupante, che non lascia ben sperare –:
   quali siano i dati in possesso del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa la situazione ambientale del sito industriale di Priolo Gargallo, in particolare se non ritenga opportuno nell'ambito delle proprie competenze, adottare iniziative volte ad elaborare ed avviare, d'intesa con gli altri enti presenti sul territorio, un piano per la bonifica del suddetto sito. (5-04215)


   ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la SOGESID spa, il cui capitale sociale è interamente del Ministero dell'economia e delle finanze, in origine costituita ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 9 aprile 1993, n. 96, ha modificato la sua missione, divenendo un organismo strumentale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e successivamente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM);
   ai sensi dell'articolo 1, comma 503, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, essa è soggetto strumentale alle esigenze e finalità del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e dunque si configura come società «in house providing» del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è inquadrabile tra gli organismi di diritto pubblico secondo la normativa comunitaria, in quanto persegue un fine pubblico ed è interamente partecipata dallo Stato;
   alla società inizialmente veniva affidata la gestione degli impianti idrici già detenuti dalla Cassa del Mezzogiorno, ma nel corso del tempo le sue competenze sono state ampliate tanto che oggi l'attività della Sogesid riguarda, tra le altre cose, il monitoraggio e vigilanza in materia di rifiuti, la programmazione ed attuazione degli interventi di bonifica finalizzati al risanamento ambientale e da ultimo il dissesto idrogeologico, nonché fornire alla pubblica amministrazione la progettazione e il coordinamento di azioni mirate a soddisfare la necessità di assistenza tecnica;
   in base a quanto già rilevato dalla Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla legittimità degli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, nel testo della deliberazione 16 aprile 2014, n. 7 trasmessa al Parlamento, emerge come la maggior parte dell'attività della società è costituita dal supporto e dall'assistenza tecnica alle direzioni generali del Ministero dell'ambiente, che si realizza mediante personale Sogesid, che presta la sua opera direttamente presso dette direzioni generali, secondo apposite convenzioni. I corrispettivi di tali attività hanno determinato nel 2012 ben il 60 per cento dell'intero valore della produzione;
   le convenzioni per tali attività di supporto, svolte mediante risorse umane direttamente impiegate presso diverse direzioni generali del Ministero, avrebbero comportato il trasferimento di 13,7 milioni di euro da parte del Ministero alla società SOGESID, per esigenze cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dovrebbe far fronte mediante il proprio organico;
   l'impiego di personale della SOGESID direttamente presso le strutture del Ministero può prestarsi ad essere utilizzato come mezzo elusivo delle modalità di selezione e dei vincoli all'assunzione di personale nella pubblica amministrazione, come rilevato dalla relazione della Corte dei conti;
   analogamente a quanto si è appena detto a proposito del personale dipendente, gran parte degli incarichi per consulenze e collaborazioni esterne cui la Sogesid ha fatto ricorso, con contratto di lavoro autonomo, è impegnato nelle attività di supporto tecnico alle direzioni generali del Ministero dell'ambiente e gli oggetti di tali incarichi corrispondono a mansioni interne all'organizzazione o attinenti all'ordinario svolgimento dei compiti istituzionali del Ministero, circostanza che parrebbe determinare un mezzo improprio per non conformarsi alla limitazioni e alle condizioni per il conferimento di incarichi per prestazioni di servizi;
   in fase di conversione del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, la legge 7 agosto n. 135 all'articolo 4, comma 3 (Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche) ha previsto che le norme sullo scioglimento delle società in house di cui al comma 1 non si applicano società come la Sogesid, in quanto produttrice di servizi di interesse generale, strumentali al perseguimento delle finalità istituzionali del Ministero;
   il 26 agosto 2014 è stato nominato nuovo presidente della Sogesid l'ingegner Marco Staderini, già amministratore delegato e presidente di Lottomatica, presidente della Sogei, presidente dell'Inpdap, per due volte membro del consiglio di amministrazione della Rai e amministratore delegato dell'Acea spa; secondo quanto scritto in un articolo apparso su l'Espresso del 30 ottobre 2014, a firma Marco Damilano «...ancora nel 2014, mentre il Governo imponeva nuovi tagli agli uffici statali, Sogesid ha potuto spendere due milioni e 617 mila euro in consulenti»;
   il 4 luglio 2013, in risposta all'interrogazione n. 5-00526 in VIII Commissione, riguardante la SOGESID e il suo operato, il rappresentante del Governo in merito ai quesiti posti dai medesimi interroganti di cui al presente atto, ha affermato: «Tali tematiche sono tra le priorità poste all'attenzione e allo studio del Ministero. Infatti è attribuito particolare rilievo, tra i diversi obiettivi: 1) alla necessità di rafforzare il “controllo analogo” e 2) alla opportunità di revisionare i rapporti convenzionali posti in essere con la predetta società» –:
   quali iniziative siano state intraprese a seguito dell'impegno preso in risposta all'interrogazione n. 5-00526 in VIII Commissione di cui in premessa, e in base a quali criteri e competenze sia stato nominato il nuovo presidente della Sogesid spa, ingegner Staderini. (5-04216)


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società SOGESID spa, è stata istituita, ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 3 aprile 1993, n. 96, successivamente modificato dall'articolo 20 del decreto-legge 8 febbraio 1995, n. 32, convertito, dalla legge del 7 aprile 1995, n. 104, allo scopo di affidare alla stessa, in regime di concessione, gli impianti idrici già detenuti dalla Cassa del Mezzogiorno; ha una sede centrale a Roma ed è dotata di piccole unità territoriali a Napoli, Bari, Palermo, Catanzaro Lido, Siracusa e Matera;
   le attività della SOGESID spa si sono progressivamente intensificate, interessando numerosi settori quali l'assistenza tecnica alle varie direzioni generali del Ministero, inclusa la direzione di valutazione di impatto ambientale; la definizione di interventi di messa in sicurezza e bonifica di siti contaminati di interesse nazionale, il supporto alla redazione dei piani di tutela delle acque e talvolta a quelli di monitoraggio, senza peraltro il coinvolgimento delle ARPA, che di tali attività sono titolari, la partecipazione a tavoli tecnici, forum e progetti internazionali in materia di risorse idriche, anche con funzioni di rappresentanza, lo svolgimento di campagne informative in materia ambientale, il monitoraggio e la vigilanza in materia di rifiuti;
   la SOGESID spa grazie alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), articolo 1, comma 503, è stata trasformata in una società in-house, cioè un ente strumentale alle finalità ed alle esigenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, consentendo, in forza di tale trasformazione, che ad essa fossero trasferite molte competenze istituzionali del Ministero;
   le attività affidate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a SOGESID spa, nella maggioranza dei casi sono subappaltate da quest'ultima a soggetti terzi;
   secondo quanto riportato dal periodico L'Espresso del 28 giugno 2014, la SOGESID spa, dal 2008 al 2011 ha assorbito dal Ministero 426 milioni di euro, attivando 1.600 consulenze per un totale di 35 milioni di euro, oltre ai propri 126 dipendenti e 315 collaboratori a progetto, mentre al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono state decurtate risorse fino al 72 per cento ed eseguiti tagli molto consistenti del personale;
   la SOGESID spa rientra nel novero di quei soggetti che, secondo l'articolo 3 del decreto legislativo n. 163 del 2006, non sono tenuti ad espletare le procedure di evidenza pubblica per lo svolgimento delle attività ad essa affidate; tale deroga le consente progetti costosi e irrealizzabili e le citate consulenze milionarie, che hanno destato più di una volta l'attenzione dei magistrati, visti i criteri d'azione, ad avviso degli interroganti, lontanissimi dall'obiettivo di bonificare i veleni d'Italia. Uno su tutti, la depurazione dei laghi di Mantova, minacciati dall'onda di petrolio ereditata da vecchi impianti di idrocarburi, il cui progetto è costato allo Stato un milione e 413 mila euro e, se realizzato, avrebbe costi di manutenzione di 110 milioni annui;
   la SOGESID spa riceverebbe, inoltre, un compenso forfettario pari al 26,50 per cento dell'intero importo finanziato, oltre ai corrispettivi ad essa riconosciuti con riferimento ai quadri economici dei singoli progetti ed interventi;
   alla luce delle incongruenze sopra rilevate, nel corso dell'audizione in VIII Commissione della Camera dei deputati del 18 luglio 2012 sulla spending review, e come riportato dalle agenzie di stampa, il Ministro pro tempore Corrado Clini aveva affermato che si preparava alla chiusura della SOGESID spa, attraverso una fase transitoria con una gestione commissariale;
   tuttavia il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, come convertito dalla legge 7 agosto, n. 135, l'articolo 4, comma 3 (Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche), ha previsto che le norme sullo scioglimento delle società in house di cui al comma 1 non si applicano a società come la SOGESID spa, in quanto produttrice di servizi di interesse generale, strumentali al perseguimento delle finalità istituzionali del Ministero;
   la SOGESID spa ha operato, ad avviso degli interroganti, non nell'interesse generale, anche per la presenza di dirigenti quale Luigi Pelaggi, indagato per corruzione nell'ambito dell'inchiesta sullo smaltimento illegale dei rifiuti dall'area ex Sisas di Pioltello-Rodano, alla periferia di Milano, discariche di cui si occupa la stessa Sogesid e di consulenti quali l’ex direttore generale Gianfranco Mascazzini, indagato in Campania per l'avvelenamento di Bagnoli, il quale, dopo essere andato in pensione, ha preso lo stipendio da Sogesid;
   secondo quanto riportato da una richiesta di accesso agli atti formulata dall'Unione sindacale di base del 19 novembre 2014, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gianluca Galletti sta per sottoscrivere una convenzione quadro con la SOGESID, attraverso la quale affida alla stessa società tutte le attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in tale contesto, il Ministro Galletti avrebbe inviato al Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, una proposta di modifica regolamentare dell'organico del personale di ruolo al Ministero che sembrerebbe prevedere l'ampliamento di 250 unità di personale suddiviso sulle diverse aree e di 15 ulteriori unità dirigenziali un non meglio definito ampliamento dell'organico al Ministero;
   tale personale è già individuabile, secondo la nuova riforma della pubblica amministrazione, varata dal Governo Renzi, nelle unità rese disponibili dalla soppressione delle province e dall'esubero di personale in altri Ministeri;
   già oggi, le consulenze fornite dalla Sogesid contano un numero di personale applicato all'interno del Ministero, superiore a quello del personale di ruolo, il cui operato non corrisponde ad un reale, piano di fabbisogno per lo svolgimento delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che viene, inoltre, portato avanti in mancanza di una mappatura delle professionalità interne nonché in assenza di una trasparente programmazione e successiva valutazione degli obiettivi che le singole direzioni generali dovrebbero perseguire;
   secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riorganizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, paiono ingiustificate ed eccessive sette nuove direzioni generali, sei vice capo di gabinetto, novanta unità di personale addetto agli uffici di diretta collaborazione, di cui nove, estranei, percepiscono indennità cospicue, a fronte, peraltro di una riduzione della dotazione organica del personale di 556 unità –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di confermare l'imminente sottoscrizione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di una convenzione quadro con la SOGESID che rischia di moltiplicare cariche dirigenziali, privando di fatto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle sue funzioni e della sua struttura per affidarne le attività, delicatissime per l'equilibrio sociale ed economico del nostro Paese, quali le bonifiche, il dissesto idrogeologico, il contrasto ai cambiamenti climatici e la gestione del ciclo dei rifiuti, ad una società che risulta essere, secondo inchieste documentate, poco trasparente ed efficiente. (5-04217)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 91 del 2014, convertito con modificazioni nella legge n. 116 del 2014 – il cosiddetto decreto competitività – ha soppresso tutte le soglie dimensionali previste all'Allegato IV del decreto legislativo 152 del 2006, parte II, per l'accesso alla procedura di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale;
   inoltre il decreto competitività ha stabilito che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emani un decreto, attualmente in fase di stesura, con i nuovi criteri per la sottoposizione valutazione di impatto ambientale che tengano conto di quanto prescritto dall'allegato V del Codice dell'ambiente, e in particolare dell'impatto cumulato degli impianti, della densità abitativa, dell'eventuale presenza di aree protette;
   il combinato disposto tra la soppressione e il ritardo nell'emanazione del suddetto decreto sta comportando di fatto che ogni progetto di qualsiasi dimensione: dall'impianto fotovoltaico da 2 kw alla caldaia; dalla biomasse da 10 kWth all'eolico da 50 kW; dall'inceneritore di rifiuti al termocamino a pellet, dovranno ora essere soggetti, prima dell'autorizzazione, ad una esigente procedura ambientale del tutto sproporzionata all'entità del progetto stesso;
   questo grido d'allarme arriva dall'associazione FREE che denuncia: «...che progetti il cui costo era di poche migliaia di euro ora saranno gravati da procedure amministrative che costeranno tre/quattro volte più dell'impianto (...) e che migliaia di progetti saranno abbandonati ancora prima di essere concepiti, centinaia di milioni di euro di investimenti (nel solo FV senza incentivi sono stati promossi nel 2014 progetti per circa un miliardo di nuovi investimenti e 800 MW di nuova potenza installata) andranno persi...»;
   questa nuova procedura non interessa, però, solo le fonti rinnovabili ma anche ad esempio: progetti di irrigazione e drenaggio dei suoli agricoli, il cambiamento d'uso dei suoli non coltivati ad uso agricolo intensivo, gli impianti per allevamento, la ricomposizione fondiaria; i gasdotti; gli impianti industriali per una grandissima varietà di tecnologie ed applicazioni; caseifici, birrifici, impianti di fabbricazione di pannelli, cellulosa; derivazioni acque, strade, acquedotti, canalizzazioni e bonifiche, porti turistici; elettrodotti aerei privati; villaggi turistici, alberghi, stoccaggi prodotti petroliferi – come un serbatoio di gasolio a servizio di una caldaia – terreni di campeggio... e tutto questo senza soglia di dimensione minima –:
   quali siano i motivi per cui ad oggi ancora non è stato emanato il suddetto decreto e se non si intenda, intervenire perché nello stesso vengano coniugati i criteri di proporzionalità con la giusta attenzione alla specificità di ogni progetto calandolo nel suo reale contesto senza inserire complessi e farraginosi meccanismi burocratici che di fatto finiscono per bloccare centinaia di progetti. (4-07126)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   GIOVANNA SANNA e SCANU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto del 2014, n. 171, regolamento di riorganizzazione del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo (Gazzetta Ufficiale generale n. 274 del 25 novembre 2014) prevede per la Sardegna:
    a) segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Sardegna, con sede a Cagliari;
    b) soprintendenza archeologica della Sardegna, con sede a Cagliari;
    c) soprintendenza, belle arti e paesaggio per le province di Cagliari, Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra, con sede a Cagliari;
    d) soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro, con sede a Sassari;
    e) polo museale della Sardegna, con sede a Cagliari;
    f) soprintendenza archivistica della Sardegna, con sede a Cagliari;
   in base a questa suddivisione degli uffici dirigenziali previsti per la Sardegna, cinque sarebbero ubicati a Cagliari e solo uno a Sassari, la soprintendenza belle arti paesaggio per le province di Sassari, Olbia-Tempio, Nuoro, di cui peraltro è prevista l'analoga sede anche a Cagliari, per le province di Cagliari, Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra;
   inoltre, la stessa riorganizzazione prevede la creazione di un 610 museale regionale, ugualmente con sede a Cagliari, al quale faranno capo tutti i musei statali tra i quali cinque su sette sono operanti nella Sardegna settentrionale: museo archeologico nazionale G.A. Sanna di Sassari, pinacoteca nazionale Mus'A di Sassari, Antiquarium Turritano di Porto Torres, compendio Garibaldino di Caprera, Museo Archeologico G. Asproni di Nuoro;
   la soprintendenza di Sassari e Nuoro, istituita nel 1958, gestisce attualmente la tutela archeologica in ben 189 comuni, coprendo circa 2/3 del territorio regionale. Ad essa afferiscono 3 musei archeologici statali, a fronte dell'unico a Cagliari. Inoltre, la soprintendenza di Sassari è dotata di un prestigioso centro di Restauro dei beni culturali di livello regionale, dove tra l'altro sono state restaurate di recente le sculture giganti di Mont'e Prama, riconosciuto dal 2006 dalla regione autonoma della Sardegna che ha investito e sta investendo ingenti risorse per il suo potenziamento e per l'istituzione presso di esso di una scuola di alta formazione per restauratori;
   per questi motivi, nel primo tentativo di accorpamento delle due soprintendenza archeologiche e delle due BAPSAE avviato dal il 1° aprile 2008 al 1° settembre 2009, la sede centrale archeologica era stata stabilita a Sassari e quella della BAPSAE a Cagliari. Per altro i problemi di distanza e le difficoltà di omologazione degli enti avevano poi portato il Ministero alla decisione di ripristinare le quattro sedi. Oggi, con la nuova riorganizzazione, Sassari rimarrebbe sede esclusivamente della locale soprintendenza ai BAPSAE, mentre a Cagliari farebbero capo tutte le altre strutture dirigenziali;
   per quanto attiene al polo museale regionale, esso da Cagliari dovrebbe gestire le attività di musei nazionali ubicati soprattutto nella parte settentrionale dell'isola e strettamente legati al territorio, come il Museo archeologico nazionale G.A. Sanna. Anche l'università di Sassari ha uno stretto legame con il museo, per attività di studio ma anche per stages e tirocini, che coinvolgono spesso anche i depositi archeologici della soprintendenza ospitati nei sotterranei della struttura: tutte attività difficilmente gestibili da un organismo staccato e diverso dalla locale soprintendenza;
   inoltre, attualmente è in corso un importante progetto di ristrutturazione del Museo e di riordino delle collezioni, che fa capo per tutti gli aspetti scientifici, di progettazione, e di direzione dei lavori a personale della soprintendenza –:
   se il Ministro interrogato alla luce delle motivazioni richiamate in premessa, non valuti necessario ed opportuno modificare la ripartizione delle strutture prevista per la Sardegna, mantenendo gli accorpamenti stabiliti nella nuova articolazione ma prevedendo che il polo museale e la soprintendenza archeologica abbiano sede a Sassari concentrando a Cagliari la soprintendenza per i beni architettonici e quella archivistica, in ogni caso sentendo in merito il parere della regione Sardegna, che in materia di beni e attività culturali, ha assunto scelte importanti con lo stanziamento di significative risorse e tenendo conto che la modifica prospettata è già stata adottata per altre regioni, ad esempio in Veneto, dove la soprintendenza archeologica non ha sede a Venezia ma a Padova con uffici distaccati nel resto del territorio. (4-07132)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI, DE MENECH, SANGA, MORANI, OLIVERIO, MONGIELLO, ANTEZZA, DAL MORO, CENNI, ANZALDI, BURTONE, ZANIN, CARRA, ROMANINI, GINEFRA, TERROSI, SANI e RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la popolazione residente nelle province interamente montane è quotidianamente esposta a una peculiare condizione di disagio, a causa delle generali difficoltà di spostamento sul territorio e delle frequenti interruzioni o limitazioni dei collegamenti viari, in particolare nei periodi invernali;
   buona parte degli appezzamenti di terreno posti in zone interamente montane sono irraggiungibili per gran parte dell'anno, a causa del gelo e delle precipitazioni nevose;
   i proprietari di appezzamenti di terreno in zone interamente montane sono spesso a proprie spese — in prima linea nella salvaguardia dell'ambiente e nell'azione contro il rischio idrogeologico e gli incendi boschivi, tramite la costruzione e la manutenzione di canali, muri a secco, terrazzamenti, strade consortili e altri presidi volti a preservare il patrimonio comune;
   la produzione di beni alimentari in terreni posti in zone montane risulta molto più onerosa e dispendiosa di quanto non accada per analoghi terreni posti in zone di pianura, tanto che la produzione vitivinicola in queste zone è fino a quattro volte più costosa di quella di pianura, venendo perciò comunemente definita «viticoltura eroica»;
   in relazione a queste particolari condizioni, il legislatore ha riconosciuto uno speciale trattamento fiscale a tali territori, disponendo — attraverso l'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 504 del 1992 — la totale esenzione dall'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina;
   il comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012, come sostituito dall'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, ha disposto la revisione del regime di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, al fine di ampliare — già dall'anno d'imposta in corso e dunque con effetto sostanzialmente retroattivo — la platea dei contribuenti assoggettati all'imposta;
   in particolare, la citata disposizione prevede che, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministro dell'interno, siano rideterminati i comuni nei quali si applica la prevista esenzione IMU «sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)»;
   per le predette difficoltà di collegamento, nella maggior parte dei comuni di montagna la sede della casa comunale è stata nel tempo spostata o costruita ab initio a fondovalle; pertanto, la sua altitudine — assunta dall'ISTAT a riferimento per la classificazione statistica dei comuni — non può ritenersi un indice minimamente idoneo a definire la natura «montana» di un comune, a maggior ragione se tale definizione è posta a fondamento di un trattamento fiscale differenziato per i contribuenti;
   con un comunicato pubblicato sul sito web del Ministero dell'economia e delle finanze si informa che con il decreto interministeriale 28 novembre 2014, in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, è stata rimodulata l'applicazione dell'esenzione dall'IMU, in attuazione di quanto previsto dal citato articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012, novellato dal decreto-legge n. 66 del 2014;
   in base a tale decreto interministeriale i soggetti obbligati al versamento per l'anno 2014 dell'IMU relativa ai terreni agricoli ubicati nei comuni montani devono effettuarlo in un'unica rata entro il 16 dicembre 2014, a pochissimi giorni dalla pubblicazione del decreto stesso;
   il decreto medesimo stabilisce che sono esenti dall'imposta:
    i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell’«Elenco comuni italiani», pubblicato sul sito internet dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)»;
    i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, dei comuni ubicati a un'altitudine compresa fra 281 metri e 600 metri, individuati sulla base del medesimo elenco;
   la decisione di assumere il solo indice dell'altitudine (determinata prendendo a riferimento l'altitudine del centro) quale nuovo riferimento per l'individuazione dei comuni montani esonerati dall'applicazione dell'IMU agricola, determinerà, in via di fatto, un'irragionevole disparità di trattamento tra territori del tutto omogenei, anche in quanto essa è basata su un dato del tutto accidentale, quale la collocazione in quota della casa comunale;
   sarebbe invece più opportuno adottare a tal fine i criteri già previsti dall'articolo 1 della legge n. 991 del 1952 (Provvedimenti agevolati in favore dei territori montani), che individuava come montani i comuni «situati per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri», posto che tale criterio, già lungamente utilizzato dal legislatore, consentirebbe una più obiettiva e puntuale valutazione delle condizioni di ciascun comune ai fini dell'esenzione dalla IMU per i territori agricoli;
   in tale ambito merita altresì ricordare che l'articolo 1, comma 3, della legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio») riconosce e tutela la specificità degli enti di area vasta interamente montani e confinanti con Paesi stranieri, prevedendo in capo ad essi la cura e la valorizzazione del territorio e assegnando ad essi particolari forme di autonomia;
   ad esempio, le province di Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola, i cui comuni sono tutti riconosciuti dall'ISTAT come totalmente montani, dovrebbero ritenersi assoggettati a questo particolare regime di autonomia, manifestamente incompatibile con l'assimilazione di trattamento fiscale disposta dal decreto-legge n. 66 del 2014;
   analoghe esigenze e preoccupazioni sono state avanzate anche con riferimento a molte altre aree montane del territorio nazionale, sia alpine sia appenniniche –:
   se, in sede di attuazione del comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012, come sostituito dall'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, non ritenga di dover tenere in adeguata considerazione le esigenze di peculiare tutela poste dallo status di territorio agricolo montano, in particolare utilizzando criteri per l'individuazione dei comuni montani basati su indici obiettivi e adeguati a cogliere tale specialità, valutando l'opportunità di adottare a tal fine i criteri, sopra richiamati, indicati dall'articolo 1 della legge n. 991 del 1952, con ciò scongiurando il rischio che si instaurino contenziosi diffusi, destinati a pregiudicare la stessa efficacia della nuova disciplina fiscale, nonché l'entità del gettito atteso, e se non ritenga in tale contesto opportuno rinviare all'anno di imposta 2015 l'applicazione della nuova normativa — in ottemperanza al principio di non retroattività delle norme fiscali, — anche in modo da consentire ai comuni di adottare i provvedimenti amministrativi necessari a garantire la riscossione in modo ordinato dell'imposta. (5-04202)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato nei giorni scorsi da Eutekne.info – Il Quotidiano del commercialista, sta destando una certa preoccupazione tra imprese e professionisti una disposizione inserita in sede di conversione decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia») relativa alla tracciabilità dei flussi finanziari nel settore del trasporto ed operativa dallo scorso 12 novembre;
   nello specifico, ai sensi dell'articolo 32-bis, comma 4, del citato provvedimento, al fine di assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari per prevenire infiltrazioni criminali e riciclaggio di denaro derivante da traffici illegali, tutti i soggetti della filiera dei trasporti provvedono al pagamento del corrispettivo per le prestazioni rese in adempimento di un contratto di trasporto di merci su strada, di cui al decreto legislativo n. 286 del 2005, utilizzando mezzi elettronici di pagamento o il canale bancario postale, o altri strumenti comunque tracciabili, indipendentemente dall'ammontare;
   inoltre, il medesimo comma introduce un ulteriore adempimento cui sono obbligati i commercialisti, in quanto prevede altresì l'applicazione degli obblighi di comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze delle violazioni alle limitazioni all'uso del contante disposte dal decreto legislativo n. 231 del 2007 in funzione antiriciclaggio;
   infatti, in base all'articolo 32-bis, comma 4, del citato decreto-legge, il nuovo divieto dell'uso del contante non prevede sanzioni per coloro che commettono la violazione, ma solo per i professionisti che in relazione ai loro compiti abbiano notizia dell'infrazione ed omettono di riferirla entro trenta giorni al Ministero dell'economia e delle finanze, i quali sono soggetti ad una sanzione che va dal 3 per cento al 30 per cento dell'importo pagato in maniera illecita, con un minimo di 3.000 per ogni violazione non segnalata;
   pertanto il legislatore non ha sanzionato chi viola la norma introdotta, ma non i professionisti che in qualche modo siano venuti a conoscenza dell'illecito senza farne tempestiva denuncia;
   tutto questo si inserisce in uno schema sanzionatorio che avrebbe del surreale: infatti, laddove la sanzione si applica (pagamenti con utilizzo di contanti pari o superiori a mille euro), colui che ha commesso l'infrazione è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria, ex articolo 58, comma 1, del decreto legislativo n. 231 del 2007, che va dall'1 per cento al 40 per cento dell'importo trasferito, anche in questo caso con un minimo di 3.000 euro (per importi superiori a 50.000 euro la sanzione minima è invece aumentata di cinque volte), ma può fruire dell'oblazione, posto che l'articolo 60, comma 2, del decreto legislativo n. 231 del 2007 rende applicabile l'articolo 16 della legge n. 689 del 1981, secondo cui è ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari al doppio del minimo edittale, ossia il 2 per cento (infatti le circolari del Ministero dell'economia e delle finanze 5 agosto 2010 prot. n. 281178 e 16 gennaio 2012, n. 2, non attribuiscono a tali fini rilievo alla sanzione minima di 3.000 euro); colui che invece ha il compito di sorvegliare è colpito con una sanzione dal 3 per cento al 30 per cento dell'importo pagato in modo illecito, con un minimo di 3.000 euro, ma non può fruire dell'oblazione;
   ne deriva quindi che chi, ad esempio, ha effettuato un pagamento in contanti di un importo pari a 2.500 euro, sana la violazione pagando 50 euro (il 2 per cento dell'importo trasferito, il doppio del minimo), mentre il commercialista o il revisore che non lo ha segnalato è sanzionato nella misura di 3.000 euro, cioè con un importo superiore a quello della violazione, peraltro commessa da un altro –:
   se non ritenga opportuno fornire chiarimenti in merito all'esatto ambito di applicazione della disciplina e soprattutto in ordine ad un impianto sanzionatorio che, così come descritto, appare del tutto insensato, in quanto eccessivo soprattutto per i professionisti, nonché se non ritenga opportuno assumere iniziative per apportare modifiche a tale disposizione o persino abrogarla. (5-04203)


   BUSIN e GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sin dalla sua prima applicazione l'imposta municipale non è mai stata applicata ai terreni incolti montani, infatti il decreto legislativo n. 23 del 2011, nel quadro del federalismo fiscale, nel suo spirito originario definito dal Governo nel 2011 prima dell'avvenuto del Governo dei tecnici del Premier Mario Monti, prevedeva all'articolo 9, comma 8, la conferma delle esenzioni contemplate prima dall'ICI: in particolare, disciplina l'esenzione dal tributo locale per terreni agricoli, ricadenti in aree montane o collinari, così come delimitate dall'articolo 15 della legge n. 984 del 1977, e individuate dall'elenco allegato alla circolare n. 9 del 14 giugno 1993: alcune regioni, peraltro, hanno approvato in materia di competenza legislativa primaria di agricoltura, dei provvedimenti atti ad individuare con propria deliberazione i territori agricoli ricadenti in aree montane, di collina o svantaggiate;
   successivamente con il decreto-legge n.16 del 2012, cosiddetto «Decreto semplificazioni», all'articolo 4, comma 5-bis, è stato previsto che con un apposito decreto ministeriale, venissero individuati i comuni nei quali dal 2014, si sarebbe applicata l'esenzione, sulla base: – dell'altitudine, riportata nell'elenco ISTAT; – e dei soggetti che li detengono (CD o IAP iscritti alla previdenza agricola o meno);
   la successiva circolare 11 marzo 2013, n. 5, dell'Agenzia delle entrate confermava che tutti i terreni incolti montani o di collina dovevano erano esenti da IMU, a prescindere dalla qualificazione agricola degli stessi, determinando invece l'assoggettamento a IRPEF e alle addizionali sul reddito dominicale;
   con il decreto-legge n. 66 del 2014, adottato il 24 aprile 2014 e convertito solo il 24 giugno successivo, si è intervenuti a metà dell'anno ed in maniera retroattiva, cioè a valere sull'intera annualità 2014, rideterminando, in senso peggiorativo, i criteri di imposizione fiscale, imponendo un aggravio inaspettato sia per i proprietari sia per i comuni interessati;
   l'articolo 22 del citato decreto infatti, riducendo tutta una serie di agevolazioni fino ad allora riconosciute al settore agricolo, interviene, al comma 2, anche in materia di IMU sui terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, prevedendo che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze siano rivisti i criteri di applicazione; non si tratta di una revisione meramente formale, né di un aggiornamento, ma di una volontaria penalizzazione, perché il vero scopo del decreto è ottenere dai terreni montani un maggiore gettito annuo pari ad almeno 350 milioni di euro, e come già detto, con impatto retroattivo al 2014; unico scopo della revisione è dunque drenare ulteriori risorse locali;
   il comma 2 del citato articolo 22 novella il comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012, prevedendo che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, e dell'interno, siano individuati i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si applica l'esenzione dall'IMU sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'ISTAT;
   il decreto Ministeriale che individua il nuovo elenco di comuni montani e collinari per i quali è prevista l'esenzione totale, parziale o al pagamento dell'intera imposta a partire dal 2014, al momento in cui è presentata la presente interrogazione, non risulta ancora pubblicato;
   al contrario il Ministero dell'interno, sul sito relativo alla finanza locale, ha comunicato l'aggiornamento delle assegnazioni finanziarie agli enti locali aggiornata al 28 novembre 2014, in cui si evidenzia una decurtazione del Fondo di solidarietà comunale per i comuni di collina e montagna appartenenti alle comunità collinari, per «riduzione maggiori introiti IMU terreni agricoli ai sensi del citato articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge n.16 del 2012, indirettamente imponendo ai comuni di incassare la nuova IMU dai proprietari di terreni incolti fino ad oggi esenti, la cui scadenza è fissata al 16 dicembre 2014;
   la norma determina quindi almeno 350 milioni di maggiori tasse a danno di proprietari di terreni di montagna, dal quale non ricavano alcun reddito, e che fino ad oggi erano stati esentati anche in considerazione del fatto che si tratta di aree disagiate, e al fine di scoraggiarne l'abbandono;
   determina al momento incertezza e la mancata definizione degli ambiti di applicazione, alla vigilia della scadenza del pagamento;
   determina inoltre difficoltà per gli stessi comuni, dovute all'assenza di banche dati dei terreni agricoli, con il dubbio che debbano essere inclusi in tale definizione anche quelli boschivi, in quanto sempre esenti da ICI e IMU;
   in mancanza del decreto ministeriale gli stessi comuni non sono in grado di informare i cittadini che sono nuovi soggetti IMU ledendo anche il principio di fiducia e collaborazione comune-cittadini che in queste zone è tutt'ora forte e positivo;
   non è infine chiaro quali criteri siano stati utilizzati dal Governo per definire i tagli ai comuni, dato che esistono rilevazioni di gettito precedenti su cui effettuare le stime;
   i comuni, trovandosi a gestire questa novità dopo la chiusura dei bilanci preventivi, e non avendo deliberato l'aliquota IMU per i suddetti terreni incolti prima esenti, sarebbero costretti ad applicare automaticamente l'aliquota base dello 0,76 per cento; si sottolinea come i comuni, chiudendo i bilanci al 30 novembre, pur essendo al corrente della possibilità di riclassificazione dei terreni montani, non erano al corrente del taglio del fondo di solidarietà comunale che ha comportato, da parte dello Stato, il mero ribaltamento dell'onere di ottenere il maggiore gettito di 350 milioni dallo Stato ai comuni; inoltre, soprattutto per quel che riguarda le proprietà collettive, sarà impossibile per i comuni ottenere effettivamente l'intero gettito dell'IMU, laddove si tratta, concretamente, di boschi posseduti da 8 o 10 proprietari, spesso deceduti o non più rintracciabili, che dato lo scarsissimo valore dei terreni, se ne sono disinteressati –:
   alla luce dei ritardi nel predisporre il decreto ministeriale e del taglio al fondo di solidarietà per i comuni di montagna avvenuto a ridosso della predisposizione dei bilanci previsionali dei comuni, nonché dei maggiori ed ingiustificati oneri che sarebbero imposti ai proprietari, se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative per evitare relativamente all'anno in corso l'applicazione retroattiva dell'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014 ed i conseguenti tagli nei trasferimenti ai comuni e superare definitivamente l'imposizione relativa ai medesimi terreni nell'ambito della ridefinizione della fiscalità immobiliare a decorrere dal 1o gennaio 2015. (5-04204)


   PESCO, CORDA, CANCELLERI, RUOCCO, BARBANTI, VILLAROSA, PISANO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 38, comma 2, lettera a), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha modificato l'articolo 4, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, includendo tra le attività non commerciali «le operazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell'ambito di attività di pubblica autorità»: Con tale intervento, il legislatore ha recepito espressamente il principio contenuto nell'articolo 13 della direttiva 2006/112/CE, secondo il quale gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi IVA per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando in relazione a tali attività od operazioni percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni;
   sempre l'articolo 38, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, alla lettera b) ha modificato l'articolo 10, comma 1, n. 5), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, eliminando la disposizione che stabiliva l'esenzione da IVA per le operazioni relative alla «riscossione dei tributi», in quanto incompatibile con l'ordinamento comunitario; con tale seconda disposizione, dunque, si è stabilita l'applicazione dell'IVA sugli aggi applicati sulle attività di riscossione dei tributi, il cui aggio è soggetto ad IVA con aliquota ordinaria, sopprimendo il regime di esenzione dall'imposta;
   è noto infatti che l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 13 aprile 1999, così come modificato dal decreto-legge n. 185 del 2008, stabilisce che l'attività dei concessionari è remunerata con un aggio pari all'8 per cento (per i ruoli emessi a partire dal 1o gennaio 2013) delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora: il pagamento dell'aggio è a carico del debitore in misura pari al 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, nell'ipotesi di pagamento entro il 60o giorno dalla notifica della cartella; ovvero integralmente, nell'ipotesi di mancato pagamento; con la modifica introdotta dall'articolo 38, comma 2, dunque, sull'aggio da corrispondere ai concessionari verrà applicata l'IVA nella misura ordinaria del 22 per cento;
   in sostanza, come chiarito dalla risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 56/E del 30 maggio 2014, l'imponibilità ricorre sia nell'ipotesi di «riscossione coattiva» – attività che ordinariamente deriva dall'iscrizione a ruolo di somme derivanti da inadempienza del contribuente – sia nell'ipotesi di «riscossione spontanea» – attività che abitualmente genera l'emissione di avvisi di pagamento, ovvero l'iscrizione a ruolo di somme non connesse a inadempimenti del contribuente;
   nel testo della relazione tecnica relativa alla sopra citata disposizione si legge che «Sulla base dei dati forniti da Equitalia risulta un ammontare annuo di aggi, attualmente in esenzione di IVA, di circa 600 milioni di euro che la modifica normativa in esame assoggettata ad IVA, determinando un recupero di gettito di circa 80 milioni di euro, al netto dell'effetto negativo dovuto alla detraibilità degli acquisti»; inoltre si prevedono ulteriori 20 milioni provenienti da «altri soggetti terzi che svolgono attività di riscossione per conto degli enti territoriali»: il Governo ha dunque previsto «un recupero di gettito di circa 100 milioni di euro su base annua»;
   tuttavia, non sono ben chiare le modalità attraverso le quali gli agenti della riscossione versano tale tributo alle casse dello Stato ed in particolare su chi grava di fatto il pagamento dell'imposta; al riguardo, non dovrebbe esser dubbio che se il concessionario è obbligato a versare l'IVA sul «compenso» (riconosciuto dall'ente creditore che si avvale della sua prestazione di recupero), sarà proprio il committente (ovvero l'ente creditore) a dover corrispondere l'IVA sulla percentuale degli importi di ogni cartella esattoriale: in altre parole, sebbene sia vero che il debitore è il contribuente inadempiente, è pur sempre l'ente che si rivolge all'Agenzia di recupero crediti e non certo il contribuente, che pertanto non può essere gravato di alcun onere –:
   se confermi che l'imposta dovuta sugli aggi dei concessionari non venga da quest'ultimi addebitata ai contribuenti quale componente aggiuntiva ai compensi di riscossione, evidenziando pertanto quali siano le modalità di applicazione e liquidazione dell'imposta, e se confermi altresì il regolare versamento del tributo da parte dei concessionari, specificando il maggior gettito ad oggi conseguito. (5-04205)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la Consulta dei Centri di assistenza fiscale ha lanciato l'allarme circa il fatto che, con riferimento all'avvio della sperimentazione del cosiddetto modello 730 precompilato che partirà dal prossimo anno e che riguarderà i redditi per il 2014, è nei fatti impossibile da parte loro, stante le innumerevoli novità introdotte dalla normativa ed il fortissimo ritardo con il quale il Governo ha emanato il relativo regolamento di attuazione, programmare l'attività di assistenza fiscale per l'anno 2015;
   a fronte di un preciso impegno del Governo ad emanare il decreto che stabilisce i compensi per l'attività di assistenza e trasmissione dei modelli 730 precompilati entro il 30 di novembre, la stessa Consulta rileva il colpevole ritardo nell'emanazione dello stesso, nonostante i Caf, in tempo utile, si siano resi disponibili ad un proficuo percorso di collaborazione con l'Agenzia delle entrate e con il Ministero dell'economia e delle finanze al fine di valutare tutti gli aspetti tecnici utili a far partire la sperimentazione del nuovo modello 730 e suggerire possibili soluzioni per migliorare l'impatto della nuova modalità di dichiarazione dei redditi a vantaggio sia dei contribuenti sia della pubblica amministrazione;
   i Caf, che prevedono l'assalto, in piena «campagna fiscale» da parte di tutti quei contribuenti, soprattutto anziani, poco avvezzi alle modalità telematiche, che chiederanno assistenza per il calcolo dei tributi che si effettuerà esclusivamente per via telematica, con procedure di registrazione non molto semplici, non sono a tutt'oggi in condizione di stabilire alcun elemento della pianificazione dell'attività 2015: essi non possono decidere quanti lavoratori stagionali reclutare, né possono programmare la relativa formazione che va conclusa entro aprile;
   gli stessi Caf registrano un disinteresse da parte del Governo su questi aspetti, non certo irrilevanti, visto che è anche grazie al loro contributo se questo progetto innovativo si è realizzato in tempi così stretti –:
   se non ritenga di dover urgentemente approvare, nelle forme e nei tempi concordati, anche al fine di avviare nel migliore dei modi la sperimentazione del cosiddetto modello «730 precompilato», il decreto che definisce i compensi per i centri di assistenza fiscale. (5-04206)


   PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la popolazione residente nei comuni montani è quotidianamente sottoposta a una peculiare condizione di oggettivo disagio, dovuta, tra l'altro, alle difficoltà di spostamento sul territorio e alle frequenti interruzioni o limitazioni dei collegamenti, in particolare nei periodi invernali;
   tali difficoltà risultano ancor più gravi per coloro che, in tali aree, esercitano attività agricole;
   gli agricoltori impegnati nelle aree montane svolgono al tempo stesso un ruolo insostituibile nella salvaguardia dell'ambiente, costituendo il primo presidio contro il dissesto idrogeologico e gli incendi boschivi;
   la produzione agricola nei terreni montani risulta al tempo stesso molto più onerosa che nelle aree di pianura;
   in relazione a tali particolari condizioni di disagio, il legislatore ha riconosciuto uno speciale trattamento fiscale a tali territori, disponendo, all'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 504 del 1992, la totale esenzione dall'ICI, e poi dall'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina;
   il comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012, come sostituito dall'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, ha previsto la revisione del regime di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, al fine di ampliare — già dall'anno d'imposta in corso e dunque con effetto sostanzialmente retroattivo — la platea dei contribuenti assoggettati all'imposta;
   in particolare, la citata disposizione prevede che, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e il Ministro dell'interno, siano rideterminati i comuni nei quali si applica la prevista esenzione IMU «sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)»;
   nella maggior parte dei comuni di montagna la casa comunale è posta a fondovalle; pertanto, la sua altitudine — assunta dall'ISTAT a riferimento per la classificazione statistica dei comuni — non può costituire un indice idoneo a definire la natura «montana» di un comune, a maggior ragione se tale definizione è posta a fondamento di un trattamento fiscale differenziato per i contribuenti;
   con un comunicato pubblicato sul sito web del Ministero dell'economia e delle finanze si informa che con il decreto interministeriale 28 novembre 2014, ancora non pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, è stata rimodulata l'applicazione dell'esenzione dall'IMU, in attuazione di quanto previsto dal citato articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012, novellato dal decreto-legge n. 66 del 2014;
   in base a tale decreto interministeriale i soggetti obbligati al versamento per l'anno 2014 dell'IMU relativa ai terreni agricoli ubicati nei comuni montani devono effettuarlo in un'unica rata entro il 16 dicembre 2014, a pochissimi giorni dalla pubblicazione del decreto stesso;
   il decreto medesimo stabilisce che sono esenti dall'imposta:
    a) i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell’«Elenco comuni italiani», pubblicato sul sito internet dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)»;
    b) i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, dei comuni ubicati a un'altitudine compresa fra 281 metri e 600 metri, individuati sulla base del medesimo elenco;
   la decisione di assumere il solo indice dell'altitudine (determinata prendendo a riferimento l'altitudine del centro) quale riferimento per l'individuazione dei comuni montani nei quali i terreni agricoli sono esonerati dall'applicazione dell'IMU agricola, determinerà un'inaccettabile disparità di trattamento, essendo su un dato del tutto accidentale, quale la collocazione della casa comunale;
   in tutti i comuni interessati dall'estensione dell'imposta sono naturalmente insorte gravi preoccupazioni per gli effetti negativi che una modifica retroattiva della disciplina avrà sugli equilibri e sulla stessa sopravvivenza dell'agricoltura nelle aree montane;
   appare inoltre inaccettabile che, a pochi giorni dalla scadenza del pagamento, non sia ancora stato pubblicato il relativo decreto attuativo, in spregio del principio di irretroattività delle norme tributarie sancito dallo Statuto dei diritti del contribuente, ponendo i contribuenti nella necessità di sopportare improvvisamente un nuovo onere tributario, e costringendo i comuni a organizzare in pochi giorni la riscossione del tributo;
   è dunque evidente la necessità che il Governo intervenga urgentemente sulla questione per evitare una situazione di caos che, oltre a colpire gravemente un settore, quello dell'agricoltura di montagna e di collina, già in condizione di particolare debolezza, costituirebbe l'ennesimo colpo sulla correttezza dei rapporti tra Fisco e contribuenti –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per venire incontro alle specifiche esigenze dei territori agricoli montani, in particolare utilizzando, ai fini del regime IMU dei terreni agricoli ubicati in montagna, criteri per l'individuazione dei comuni montani basati su indici obiettivi, adeguati a cogliere tale specificità, diversi da quelli al momento previsti, e se non ritenga in tale ambito opportuno posticipare l'applicazione della nuova disciplina IMU sui terreni agricoli, in ottemperanza al principio di non retroattività delle norme fiscali, consentendo ai comuni coinvolti di garantire una ordinata riscossione del tributo. (5-04207)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIULIETTI e LODOLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale è stato stabilito di estendere il pagamento dell'IMU sui terreni agricoli anche a chi precedentemente era esente utilizzando il parametro altimetrico come unico elemento di valutazione;
   il pagamento dovrebbe avvenire entro il 16 del corrente mese senza che i cittadini siano stati avvertiti in tempo congruo sulla base dello statuto del contribuente e senza aver dato ai Comuni il tempo necessario ad organizzarsi;
   detto decreto rischia di essere insostenibile per la gran parte dei comuni italiani, ed in molti casi i bilanci degli stessi comuni rischiano di «saltare»;
   l'applicazione dell'IMU sui terreni agricoli con queste modalità potrebbe incorrere anche nei principi basilari dei diritti costituzionali;
   considerare il contesto economico e sociale ma definire i presupposti di marginalità solo sulla base della revisione dei fattori altimetrici non solo è sbagliato ma profondamente ingiusto e rischia di scaricare le difficoltà di tanti contribuenti sui comuni che restano un fondamentale presidio della democrazia e della rappresentanza –:
   quali iniziative il Ministro intenda mettere in atto affinché la norma prevista dal decreto ministeriale che modifica il regime d'esenzione dell'IMU sui terreni agricoli venga quanto meno rinviata al 2015 in attesa che la norma sia rivista completamente anche alla luce della probabile introduzione della local tax che dovrebbe unificare in un'unica voce le diverse voci tributarie degli enti locali. (4-07134)


   TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza del 4 settembre 2012, n. 4685, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso sollevato dai Signori Tagliamonte contro il comune dell'isola di Ponza per la costruzione, a una distanza non conforme ai limiti di legge rispetto ad un manufatto di loro proprietà, della stazione marittima in via Banchina Nuova;
   con la citata sentenza il Consiglio di Stato ha condannato il comune di Ponza e il demanio all'abbattimento dei locali;
   in seguito alla sentenza il comune di Ponza ha stipulato un verbale di preaccordo con i signori Tagliamonte, in base al quale essi avrebbero ricevuto una somma in denaro pari a 75.000 euro liquidi e due locali di proprietà della stazione marittima, già individuati entro il perimetro di dieci metri dal fabbricato oggetto del ricorso;
   a tale accordo non si è, tuttavia, potuto dare corso per l'impossibilità di alienare locali pubblici manifestata dal demanio;
   di conseguenza fu stipulato un nuovo accordo tra il comune e i signori Tagliamonte che prevedeva il risarcimento della somma di 50.000 euro, e il riconoscimento, da parte del demanio, della concessione in uso ventennale, con possibilità di rinnovo e di subaffitto, di tre locali della stazione marittima in questione, già individuati;
   l'attuazione di tale accordo e l'erogazione del risarcimento erano previsti entro il mese di settembre 2014, con il parere favorevole dell'avvocatura dello stato del demanio, ma ad oggi nulla di ciò è avvenuto, nel completo silenzio e disinteresse del demanio –:
   di quali elementi dispongano in relazione ai fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per una rapida e positiva conclusione della vicenda. (4-07141)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Giunta Capitolina, nel dicembre 2009, ridefiniva, con delibera n. 422, la dotazione organica di diritto, il fabbisogno di personale, il piano assunzionale 2010-2012 ed indiceva 22 procedure selettive per titoli ed esami soprannominate «concorsone» tra cui figurava quella d'istruttore amministrativo – Categoria C – pos. ec. C1 – Famiglia economico amministrativa, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 febbraio 2010, per il quale venivano messi a concorso 300 posti;
   il termine per la presentazione delle domande di partecipazione scadeva nel mese di marzo 2010 ma l'inizio delle prove avveniva nel 2012, due anni dopo. Il ritardo fu legato a problemi relativi all'incarico della società che avrebbe dovuto occuparsi della gestione delle selezioni;
   poiché il numero di domande di partecipazione era superiore rispetto ai posti messi a concorso venivano svolte le prove preselettive nel mese di luglio 2012. Il 21 dicembre 2012, si espletavano le prove scritte per coloro che avevano superato la preselettiva e ad ottobre 2013 iniziavano le prove orali per circa 2000 concorsisti;
   il 10 luglio 2014 veniva pubblicata la graduatoria ufficiale definitiva con determinazione dirigenziale n. 1298 recante il seguente risultato: 1745 idonei, di cui i primi 300 dichiarati vincitori;
   con la conversione in legge del decreto-legge n. 101 del 2013 (legge n. 125 del 2013), il legislatore dispone all'articolo 4, commi 3-5 – «Disposizioni urgenti in tema di immissione in servizio di idonei e vincitori di concorsi, nonché di limitazioni a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego» – che, fino al 31 dicembre 2016, l'autorizzazione all'avvio di nuovi concorsi, per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo (nonché per le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca), sia subordinata alla verifica dell'assenza di graduatorie concorsuali approvate dal 1° gennaio 2008, per ciascun soggetto pubblico interessato, relative alle professionalità necessarie, anche secondo criteri di equivalenza. Resta in ogni caso fermo che, prima di avviare nuovi concorsi, le amministrazioni possano utilizzare le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate e devono attivare procedure di mobilità. In relazione a ciò, si proroga al 31 dicembre 2016 l'efficacia delle graduatorie concorsuali vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge, con esclusione delle graduatorie già prorogate di ulteriori 5 anni oltre la loro vigenza ordinaria. Infine, si prevede che il Dipartimento della funzione pubblica avvii, entro il 30 settembre 2013, un monitoraggio telematico dell'attuazione delle misure;
   ai sensi della legge n. 350 del 2003, come richiamata dalla legge di conversione del decreto-legge n. 101 del 2013 in materia di pubblica amministrazione e pubblico impiego, le amministrazioni pubbliche possono reclutare le risorse umane attraverso l'utilizzo delle graduatorie vigenti approvate da altre amministrazioni con un accordo che può avvenire anche ex post rispetto al momento dell'indizione della procedura concorsuale e/o della formale approvazione della graduatoria. La giurisprudenza amministrativa e contabile è concorde nel ritenere che ciò che davvero rileva, ai fini della corretta applicazione delle disposizioni in rassegna, non è tanto (e non è solo) la data in cui le «amministrazioni interessate» devono raggiungere il «previo accordo», quanto piuttosto che l’«accordo» stesso, che può essere successivo all'approvazione della graduatoria, deve intervenire prima dell'utilizzazione della graduatoria: accordo che può avvenire anche con uno scambio di lettere a sancire l'intesa ed il consenso delle due amministrazioni in ordine all'utilizzo, da parte di una di esse, della graduatoria concorsuale in corso di validità, relativamente a posti di uguale profilo e categoria professionale, rispetto a quello per cui opera il suddetto utilizzo. L'altro elemento necessario è che il profilo e la categoria professionale del posto che si intende coprire devono essere del tutto corrispondenti a quelli dei posti per i quali è stato bandito il concorso la cui graduatoria si intende utilizzare;
   il Ministro della giustizia, lo scorso settembre, a Foggia, al congresso dell'associazione italiana giovani avvocati, affermava: «Sono convinto che pur in una stagione di ristrettezze e di tagli noi faremo la nostra parte per raggiungere quell'obiettivo del 3 per cento della riduzione della spesa ministeriale ma la condizione che io ho posto è che dal 2015 ci sia il reclutamento di almeno 1000, tra personale amministrativo e di cancelleria. Perché, diversamente, qualsiasi tipo di riforma sarebbe sospesa nel vuoto; il Ministro ha anche annunciato che il Governo sta lavorando per determinare procedure di mobilità da altri reparti della Pubblica Amministrazione»;
   l'utilizzo delle graduatorie (al pari dello lo scorrimento, vedasi sentenza del Consiglio di Stato n. 4329/2012 e n. 6560/2012) trova causa nell'obiettivo di ridurre la spesa pubblica, evitando l'indizione di nuovi concorsi per il reclutamento del personale e quindi senza gravare il bilancio dei costi di una nuova selezione e contestualmente attua i principi di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa, tenuto conto del costo e dei tempi per l'esperimento di procedure concorsuali, compresa la procedura di mobilità. «La mobilità esterna – come precisato da recente pronuncia del Consiglio di Stato – non comporta alcun risparmio di spesa, attesa la maggior spesa per la nuova procedura, mentre sotto gli altri aspetti (migliore razionalità dell'organizzazione pubblica e della funzionalità dei suoi uffici), le due procedure di assunzione si equivalgono, attesa la garanzia di professionalità o già formate in ambito amministrativo per il personale in mobilità o accertata a mezzo regolare concorso per gli idonei –:
   come intenda affrontare la questione del reclutamento di almeno 1000 figure professionali tra personale amministrativo e di cancelleria e se non ritenga, per non gravare il bilancio dei costi di una nuova selezione, che queste risorse possano essere individuate tra i 1745 vincitori ed idonei della procedura selettiva del comune di Roma per 300 istruttori amministrativi – Categoria C – pos. ec. C1 – famiglia economico amministrativa risultanti dalla determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 1298 del 10 luglio 2014 di approvazione della graduatoria finale;
   se non ritenga opportuno, mediante condivisione/cessione delle graduatorie anche in altri comparti, ricollocare ed avviare al lavoro tali figure professionali altamente qualificate risultanti dalle selezioni della procedura esposta nelle premesse considerando che il piano assunzionale predisposto dal comune di Roma prevede numeri che non copriranno nei prossimi tre anni neanche la metà dei soli vincitori. (4-07130)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 27 novembre 2014 da quanto si è appreso dagli organi di stampa locali il passaggio a livello in località Baricetta del comune di Adria sarebbe rimasto aperto al transito del treno;
   tale malfunzionamento, seppur con il segnale rosso acceso, ha generato paura e timore tra le persone coinvolte;
   tale situazione ha generato un disagio tra i residenti nelle aree ove è presente un passaggio a livello per la paura che una anomalia simile possa riaccadere;
   da quanto appreso non solo le barriere ferroviarie sono rimaste alzate, ma gli automatismi di sicurezza dei quali dovrebbe essere provvista la rete ferroviaria, locale o regionale, non hanno funzionato anch'essi a dovere, determinando l'arresto o un segnale di anomalia dei treno in transito;
   la società Rete ferroviaria italiana (RFI) nel caso specifico non ha fornito nessuna comunicazione ufficiale e sembrerebbe che tale accadimento non sia stato nemmeno considerato come una non conformità delle procedure e dei sistemi di sicurezza;
   anche nel 2009 nella medesima linea ferroviaria in località Valliera di Adria si verificò un disguido alle sbarre ferroviarie dei medesimo tipo;
   tali accadimenti provocano una forte insicurezza alle persone e alle famiglie che vivono nei pressi del passaggio a livello;
   la linea ferrata in questione è una linea storica ed importante per il collegamento tra la provincia veneziana e quella rodigina e per la morfologia del territorio in questione sono numerosi gli incroci tra le strade statali, regionali e provinciali ed i binari del treno –:
   se si intenda verificare lo stato dell'efficienza dei sistemi e delle procedure di sicurezza dei passaggi a livello e non secondariamente la sicurezza durante le operazioni di transito dei treni lungo la linea ferrata che attraversa il Polesine collegando Rovigo a Chioggia in provincia di Venezia. (5-04199)


   LIUZZI, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, PETRAROLI, SPESSOTTO e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   numerose segnalazioni online e a mezzo stampa evidenziano come i treni AV Italo maturino ritardi a causa delle probabili priorità di transito accordate agli AV di Trenitalia, nonostante viaggino spesso sullo stesso binario-tratta e con il medesimo tempo di percorrenza;
   in un articolo di stampa online de «L'intraprendente» pubblicato il 18 settembre 2013 si legge che a Torino, presso la stazione di Torino Porta Susa, i passeggeri in attesa per l'AV Italo diretto a Salerno, siano partiti con 10 minuti di ritardo, per consentire il passaggio sullo stesso binario prima del Freccia Rossa con la stessa rotta e le stesse fermate, poi del Tgv ed infine di un treno regionale per Ivrea;
   altre denunce di passeggeri presenti su diversi blog e forum, si aggiungono a quella succitata e raccontano esperienze simili anche in altre stazioni importanti quali ad esempio Roma e Salerno;
   lo Stato italiano, con il recepimento della direttiva CEE n. 440 del 1991 ha separato i vari rami di attività di competenza delle Ferrovie dello Stato (FS) affidando la gestione del servizio passeggeri a Trenitalia e la gestione delle linee ferroviarie al gestore Rete Ferroviaria Italiana (RFI). Tuttavia sia Trenitalia che RFI sono controllate al 100 per cento dal gruppo Ferrovie dello Stato;
   a detta dell'interrogante, per assicurare la necessaria terzietà del gestore della rete e per evitare barriere all'ingresso, alle compagnie ferroviarie che vogliono entrare nel mercato italiano è necessario separare la holding del Gruppo Ferrovie dello Stato da Rete ferroviaria italiana e Trenitalia;
   le direttive europee 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE hanno introdotto nei vari Stati europei, il principio per cui una pluralità di operatori (imprese ferroviarie) utilizzano le stesse infrastrutture ferroviarie;
   i decreti-legge n. 146 del 1999 e n. 188 del 2003 hanno recepito le direttive succitate;
   il Regolamento (CE) n. 1371 del 2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, tutela i diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario;
   l'articolo 16 della Costituzione tutela la libera circolazione dei cittadini e la mobilità –:
   quale criterio venga applicato per determinare la priorità di passaggio tra i treni AV Italo e AV Freccia Rossa e per quale ragione;
   se il Governo non ritenga opportuno procedere allo scorporo della rete dalle Ferrovie dello Stato, separando RFI da Trenitalia, per risolvere al meglio qualsiasi problema concorrenziale tra Italo e Trenitalia. (5-04200)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di novembre 2003, il consiglio di amministrazione di ANAS spa approvava il progetto preliminare relativo alla realizzazione dell'opera di collegamento autostradale Brescia-Bergamo-Milano, per un totale di 49,7 Km e un costo stimato in 866,185 milioni euro. L'opera rientra tra le infrastrutture strategiche identificate con delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001;
   l'aggiudicatario, per la concessione dei lavori di realizzazione del collegamento autostradale è l'ATI Brebemi spa, società con la quale, in data 24 luglio 2003, ANAS spa ha sottoscritto la convenzione per la progettazione definitiva ed esecutiva, la realizzazione e la gestione dell'opera;
   l'articolo 1, comma 977 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, ha disposto la costituzione in forma societaria di un soggetto di diritto pubblico, CAL spa, partecipato al 50 per cento dalla società Anas spa e per il restante 50 per cento dalla regione Lombardia, per l'espletamento delle funzioni e dei poteri di soggetto concedente ed aggiudicatore ai fini della realizzazione di infrastrutture autostradali nel sul territorio lombardo, tra le quali la Brescia-Bergamo-Milano;
   il costo originariamente stimato per la realizzazione dell'opera, come sopra specificato, è pari a 866,185 milioni di euro, mentre il costo di realizzazione effettivo è stato pari a circa 2 miliardi e 400 milioni di euro (38 milioni di euro per ogni chilometro di asfalto);
   la formula di finanziamento adottata per la realizzazione dell'opera è quella del cosiddetta project financing, operazione diretta alla identificazione di forme di sviluppo sostenibile, mediante la quale le società che realizzano le opere pubbliche possono recuperare i costi di realizzazione dalle attività di gestione dell'opera realizzata, dunque, sostanzialmente, dalla gestione ed incasso dei pedaggi per il periodo di estensione temporale della concessione;
   per l'attivazione ed avvio dei lavori, secondo quanto emerge anche da recenti inchieste giornalistiche, la società aggiudicatrice si sarebbe avvalsa di un prestito pari a 1 miliardo e 818 milioni di euro, di cui oltre l'83,6 per cento di natura pubblica (820 milioni di euro da Cassa depositi e prestiti e 700 milioni di euro dal Banca europea degli investimenti, con garanzia di SACE spa). Per il recupero dei costi e per l'estinzione del debito, la società avrebbe puntato proprio sulla gestione dei pedaggi e del traffico quotidiano, stimato per i primi sei mesi in 40.000 accessi quotidiani, per assestarsi successivamente sulla soglia di 60.000 accessi;
   sempre secondo fonti stampa, le stime non sarebbero state però confortate dai dati effettivi e gli accessi quotidiani, a tre mesi dall'inaugurazione dell'opera e dal momento in cui la stessa è divenuta operativa e fruibile dagli utenti, si attesterebbero intorno alla soglia di 18.000 unità;
   dalla successione dei fatti descritti, inerenti la realizzazione dell'autostrada Brescia-Bergamo-Milano, e data la portata dei molteplici profili di pubblico interesse sui quali verte la vicenda (dallo sviluppo infrastrutturale al coinvolgimento di risorse finanziarie di natura pubblicistica nella realizzazione dell'opera) l'interrogante sottolinea l'urgenza di chiarimenti in ordine alle modalità di esercizio di tale attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori, di costruzione e di approvazione dei progetti dei lavori oggetto di concessione da parte di ANAS spa, soprattutto in considerazione dello spread significativo tra i costi previsti e stimati per la realizzazione dell'opera e delle previsioni di lungo periodo sulle stime degli accessi giornalieri, le quali si discosterebbero profondamente rispetto all'effettivo traffico automobilistico registrato;
   l'interrogante ritiene utile rimarcare che, sino al 1o ottobre 2012, tali attività di vigilanza, controllo ed approvazione dei progetti sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione, erano in capo ad ANAS, salvo poi essere trasferite al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per effetto del disposto dell'articolo 36 del decreto-legge del 6 luglio 2011, n. 98 e successive modificazioni e dell'articolo 11 del decreto legge del 29 dicembre 2011, n. 216 –:
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia in possesso dei dati effettivi sul traffico quotidiano autostradale realmente registrato sul tratto autostradale Brescia-Bergamo-Milano e se sia dunque in grado di verificare se sia vero che il totale degli accessi si attesti ben al di sotto della soglia stimata in fase di realizzazione dell'opera;
   se il Ministero dell'economia e delle finanze non ritenga opportuno, nei limiti dei propri poteri di coordinamento e controllo sulla destinazione delle risorse finanziarie pubbliche di pertinenza, destinate al supporto dello sviluppo infrastrutturale del Paese, porre in essere azioni di verifica sulle modalità di esercizio dei poteri di approvazione dei progetti, di vigilanza e controllo sui lavori dati in concessione da ANAS, per il caso di specie;
   quali interventi il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro dell'economia e delle finanze ritengano di poter adottare, anche congiuntamente e coerentemente al loro ruolo di impulso e sostegno ai processi di armonico sviluppo infrastrutturale del Paese, per favorire l'identificazione di strumenti che impediscano, limitino o contrastino i meccanismi che determinano la lievitazione dei costi necessari per la realizzazione delle opere, rispetto ai costi previsti nell'ambito dei procedimenti di aggiudicazione delle opere. (4-07131)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la prefettura di Como ha disposto l'assegnazione di otto profughi nigeriani ad un'abitazione privata situata nel territorio del comune di Lurago d'Erba;
   alla base della deliberazione risulta esservi soltanto un accordo diretto intervenuto tra la prefettura ed una cooperativa, denominata «I Girasoli»;
   della decisione assunta dal prefetto di Como non è stata data al sindaco di Lurago d'Erba neanche preventiva comunicazione. Il sindaco risulta invece aver appreso la determinazione solo dopo l'arrivo a Lurago dei profughi, avvenuto il 18 novembre 2014;
   dell'assegnazione a quanto consta all'interrogante non pare abbiano avuto notizia neanche le unità delle forze dell'ordine presenti sul territorio;
   sono ignoti all'interrogante gli eventuali precedenti penali e le condizioni di salute dei profughi ospitati –:
   se il Governo sia a conoscenza delle ragioni che hanno indotto il prefetto di Como a comportarsi nel modo generalizzato in premessa;
   quali siano le condizioni di salute dei profughi ospitati da Lurago d'Erba e se abbiano o meno precedenti penali. (4-07124)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è stato intrapreso un complesso processo di ridimensionamento e ristrutturazione dei presidi delle forze dell'ordine sul territorio nazionale, che sta implicando la chiusura di 267 tra stazioni e distaccamenti di varia consistenza proprio mentre aumentano le minacce alla sicurezza ed all'ordine pubblico nel Paese;
   tra i siti colpiti dai provvedimenti di chiusura adottati dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno vi sono i presidi viterbesi della polizia postale e quello della polizia ferroviaria alla stazione di Porta Fiorentina;
   l'importanza della polizia postale è in crescita costante insieme al fenomeno dei reati informatici, della criminalità cibernetica e dei delitti posti in essere tramite adescamento sul web o perpetrati con forme informatiche di bullismo;
   la polizia ferroviaria svolge invece un ruolo decisivo nella lotta al degrado che spesso s'impadronisce delle stazioni nonché nel contrasto al terrorismo, al quale ha pagato nel corso degli anni un pesante tributo di sangue;
   sotto quest'ultimo profilo, è da sottolineare il carattere strategico del presidio viterbese della polizia ferroviaria ai fini della sicurezza della tratta Orte-Roma –:
   se il Governo non ritenga opportuno riconsiderare il piano di soppressione dei presidi delle forze dell'ordine ed in particolare sottoporre a revisione gli aspetti che concernono quelli viterbesi della polizia postale e della polizia ferroviaria. (4-07125)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il reparto a cavallo della polizia di Stato che ha sede nell'antico edificio degli Acquaviva di Carmignano situato nel bosco di Capodimonte, a Napoli, fu operativo dal 1961 fino al 1974, quando venne soppresso per motivi logistici e poi riaperto nel 1987 allo scopo di prevenire e reprimere i reati e vigilare sulle opere monumentali;
   tale reparto si è rivelato una fondamentale garanzia di sicurezza nel parco, prevenendo e contrastando negli anni numerosi reati, anche particolarmente gravi ed esecrabili;
   il binomio uomo-cavallo costituisce un perfetto strumento per le operazioni di perlustrazione di quei luoghi meno facilmente accessibili della selva in questione come i sentieri scoscesi, gli anfratti, le cupe, le grotte e tutti gli altri elementi tipici della naturale conformazione di un bosco;
   è noto quanto aree verdi di tal fatta siano appetibili ad una vasta platea di delinquenti che vede, nella vastità e nella particolare composizione della selva, il luogo ideale per attività criminose;
   finora è stata proprio la presenza del reparto a cavallo che ha evitato tale proliferare di microcriminalità;
   in conseguenza dei tagli governativi, il reparto in questione verrà chiuso e costretto a traslocare a Roma;
   i residenti della zona stanno protestando vivacemente, ed hanno anche avviato una raccolta firme per scongiurare la chiusura del nucleo stanziato presso bosco;
   non si comprende la necessità di tale decisione da parte del Governo e l'utilità che da questa scelta deriverebbe, anche considerato l'esiguo impegno economico che il mantenimento del reparto in questione comporta a confronto di somme ben più impegnative concesse a inutili istituzioni per l'atavico raggiungimento di non meglio precisati obiettivi;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, in un articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano «Il Mattino» del 19 novembre 2014 dal titolo «Napoli. Addio alla polizia a cavallo, rabbia a Capodimonte: “Sicurezza a rischio”» –:
   quali siano i motivi alla base della decisione di trasferire il reparto a cavallo della polizia di Stato stanziato presso il bosco di Capodimonte, chiudendo tale presidio;
   se non si ritenga opportuno sospendere l'operatività della scelta in questione e di rivederla alla luce dell'importanza che il reparto a cavallo della polizia di Stato ha per il mantenimento del rispetto della legalità sul territorio. (4-07128)


   BENAMATI e BERGONZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia stradale, pur rappresentando circa il 10 per cento dell'intera polizia di Stato, è quella che riscontra il maggior numero di decessi e di feriti per lavoro;
   l'impegno nella polizia stradale richiede un'elevata preparazione e professionalità e una costante dedizione con conoscenza approfondita delle regole comportamentali e delle realtà territoriali;
   la preparazione e la formazione degli agenti della polizia stradale rappresenta un prezioso strumento operativo di efficienza di questo Corpo e un requisito necessario anche a tutela della incolumità degli agenti medesimi nell'espletamento del loro lavoro;
   appare quindi oltremodo importante che la formazione e la conoscenza del territorio costituiscano un bagaglio essenziale degli agenti in servizio;
   la sottosezione della polizia stradale di Pian del Voglio conta una forza di 43 persone (di cui 2 distaccate) e ha il compito di controllare uno dei tratti più delicati, da molti punti di vista, dell'autostrada Milano Napoli A1;
   l'impegno encomiabile e la professionalità dei poliziotti in servizio presso tale distaccamento è fondamentale per garantire sicurezza su uno dei tratti più rischiosi e difficili dell'Autosole con nuovi e più gravosi impegni all'orizzonte previsti dall'apertura della «variante di valico»;
   questa sottosezione, sull'organico di cui sopra, conta ad oggi ben 55 avvicendamenti, di cui 21 per la provincia di Bologna;
   le ragioni di tali avvicendamenti e delle richieste di trasferimento sono anche da riscontarsi nell'ubicazione «disagiata» della sede di Pian del Voglio;
   è chiaro, però, che un elevato numero di avvicendamenti può costituire un problema nella formazione di pattuglie ed equipaggi esperti di elevata operatività cosa che deve essere spesso sopperita con il sacrifico degli agenti e dei graduati di esperienza presenti;
   tale situazione si protrae da diverso tempo –:
   se quanto in premessa corrisponda al vero e se il Ministro sia a conoscenza dei disagi provocati dagli avvicendamenti che si verificano nella sottosezione della polizia stradale di Pian del Voglio e se sia possibile l'assegnazione di nuovi agenti che permangano nella sottosezione per alcuni anni consentendo loro di acquisire una certa esperienza anche in vista dell'apertura della variante di valico prevista per la fine del 2015. (4-07133)


   BLAZINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con una interrogazione presentata dalla scrivente nel corso della XVI legislatura era stato già portato all'attenzione del Governo pro-tempore il tema dei disagi che incontrano i cittadini italiani di lingua slovena possessori di carta d'identità bilingue, a causa dell'assegnazione da parte degli uffici ministeriali della stessa numerazione che viene data sia alle carte d'identità bilingue del Friuli Venezia Giulia che a quelle della Valle d'Aosta;
   al fine di risolvere il problema è stato emanato – come preannunciato nella risposta all'interrogazione – il decreto ministeriale del 12 dicembre 2011, con il quale si procedeva ad approvare i modelli di carte d'identità bilingue, contenenti un nuovo criterio di numerazione seriale;
   in tale decreto era previsto che i comuni avrebbero continuato a rilasciare carte d'identità conformi ai precedenti modelli fino all'esaurimento degli esemplari già loro distribuiti;
   a distanza di tre anni risulta che in diversi comuni del Friuli Venezia Giulia tali giacenze ad oggi non siano in via di esaurimento a causa anche dell'esiguità della popolazione residente, e di conseguenza gli stessi non hanno la possibilità di utilizzare i nuovi modelli;
   tutto ciò continua a provocare notevoli disagi ai cittadini che richiedono la carta d'identità bilingue italiana-slovena, come emerge dai diversi casi segnalati alla scrivente e riportati recentemente dai quotidiani locali –:
   se il Ministro sia a conoscenza del permanere dei gravi disguidi a danno dei cittadini italiani titolari delle carte d'identità bilingue, il che lede i loro diritti, previsti dalla legge 23 febbraio 2001, n. 38;
   quali urgenti iniziative intenda adottare per porre rimedio a tale grave situazione, e quali misure intenda mettere in campo al fine di dotare i comuni interessati degli strumenti necessari per poter rilasciare da subito le carte d'identità bilingui conformi ai modelli approvati con il decreto ministeriale del 12 dicembre 2011. (4-07135)


   SPESSOTTO, SCAGLIUSI, D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Emra Gasi è un ragazzo di 22 anni nato a Napoli da genitori serbi, da sempre vissuto in Italia e attualmente detenuto al centro di identificazione ed espulsione di Bari, in attesa che il decreto di espulsione notificatogli dalla prefettura di Venezia diventi esecutivo;
   come si apprende dalle recenti notizie di stampa, Emra Gasi è stato fermato la scorsa settimana a San Donà di Piave, in provincia di Venezia, città in cui risiede dal 2000, per un ordinario controllo di polizia; era in possesso della sua carta di identità italiana ma le autorità di polizia hanno contestato al ragazzo la mancanza del permesso di soggiorno;
   a seguito del fermo di polizia, il prefetto di Venezia ha firmato lo scorso 25 novembre un decreto di espulsione per Emra Gasi e il 27 novembre 2014 è stata convalidata dal giudice di pace di Bari la sentenza di trattenimento del ragazzo presso il Cie di Bari, dove egli risulta trattenuto dallo scorso 25 novembre 2014, mentre si avviano le procedure per il rimpatrio nel paese d'origine dei suoi genitori, la Serbia;
   ma il decreto di espulsione a cui è stato sottoposto Emra Gasi, come sostenuto dall'avvocato difensore del ragazzo, presenterebbe gravi profili di illegittimità dal momento che nel provvedimento è stato inserito il numero di passaporto della madre di Emra, nata in Serbia, e non gli estremi del documento del ragazzo, in possesso di un regolare certificato di nascita e carta di identità italiani;
   Emra Gasi risulta d'altronde sconosciuto alle autorità serbe e la Repubblica di Serbia ha comunicato all'avvocato e ai familiari del ragazzo che non è mai stato registrato presso la loro anagrafe;
   inoltre, per quanto a conoscenza degli interroganti, Emra Gasi risultò essere stato già fermato nel 2013 dalla stessa questura di Venezia ma in quell'occasione, alla contestazione del mancato possesso del permesso di soggiorno, erano seguiti alcuni accertamenti che avevano dimostrato come il ragazzo fosse nato regolarmente in Italia; al contrario, a seguito del nuovo ultimo fermo di polizia non sono stati invece effettuati ulteriori accertamenti ed è stato emesso un decreto di espulsione riportante luogo di nascita ed estremi del passaporto non corrispondenti a quelli del ragazzo;
   fino a che è stato minorenne Emra Gasi era regolarmente registrato sul passaporti della madre; al compimento della maggiore età avrebbe dovuto presentare richiesta di cittadinanza italiana ma, a causa di un contesto sociale altamente disagiato e di un ritardo mentale certificato dall'ULSS 10, il ragazzo non è stato in grado di sbrigare tale pratica burocratica;
   Emra Gasi risulta positivo all'epatite C, ha un handicap cognitivo certificato dal suo medico curante e le sue condizioni di salute appaiono incompatibili con la detenzione presso il centro di identificazione ed espulsione di Bari, necessitando il ragazzo di urgenti cure mediche –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'intera questione nella sua complessità relativa alla vicenda di Emra Gasi e se non ritenga necessario ed oltremodo urgente, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, assumere al più presto tutte le iniziative di competenza che consentano il rilascio di Emra e il suo ritorno a casa;
   se non ritenga infine opportuno, alla luce delle predette considerazioni e delle gravi responsabilità che sembrano configurarsi in merito alla gestione di tale vicenda, assumere le opportune iniziative presso la prefettura di Venezia affinché venga revocato il decreto di espulsione a carico di Emra Gasi e sia altresì avviata, con l'urgenza richiesta dal caso un'indagine ministeriale che faccia luce sul caso di Emra. (4-07136)


   MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, n. 378 disciplina le procedure di raccolta, accesso, comunicazione, correzione, cancellazione ed integrazione dei dati e delle informazioni, registrati negli archivi magnetici del centro elaborazione dati interforze del dipartimento della pubblica sicurezza di cui all'articolo 8 della legge 1o aprile 1981, n. 121 (CED);
   l'articolo 16-quater del decreto-legge 18 gennaio 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68 ha previsto l'ampliamento del novero dei soggetti autorizzati ad accedere alle informazioni registrate nel CED;
   nello specifico, il sopraccitato articolo, novellato dal comma 1 dell'articolo 8 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, ha esteso al personale della polizia municipale in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza e addetto ai servizi di polizia la facoltà di accesso, oltre che allo schedario CED dei veicoli rubati (come già previsto) anche allo schedario CED dei documenti di identità rubati e smarriti nonché alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati;
   il comma 1-bis dello stesso articolo 16-quater ha previsto altresì l'abilitazione, dei medesimi soggetti, all'inserimento, presso il CED dei dati relativi ai veicoli rubati e ai documenti rubati o smarriti acquisiti autonomamente;
   l'articolo 8-bis del decreto-legge 92/2008 ha attribuito anche agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto la facoltà di accedere ai dati registrati nel CED per finalità di sicurezza portuale e dei trasporti marittimi, limitatamente a quelli correlati alle funzioni attribuite agli stessi ufficiali e agenti di polizia giudiziaria; anche in questo caso la disposizione normativa autorizza il medesimo personale ad inserire nel CED i corrispondenti dati se autonomamente acquisiti;
   il 3 ottobre 2013 l'Autorità garante per la protezione dei dati personali ha espresso parere favorevole (registro provvedimenti n. 427) sullo schema di regolamento di modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982 per il recepimento delle modifiche legislative intercorse;
   benché il provvedimento sia particolarmente atteso soprattutto dai corpi di polizia locale chiamati, spesso, a sopperire alle funzioni proprie delle forze di polizia nazionale nonché a supportarle in circostanze sempre più frequenti, a quanto risulta, lo schema di regolamento di modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982, non è ancora stato definito e deliberato;
   la sua sollecita deliberazione consentirebbe di sviluppare, finalmente un sistema integrato di sicurezza e consentirebbe di rendere più utile ed efficace la presenza delle forze dell'ordine sul territorio, a partire dalla possibilità di condividere le proprie basi dati –:
   per quali ragioni lo schema di regolamento di modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982 non sia stato ancora compiutamente definito e deliberato e se il Ministro interrogato non ritenga di adoperarsi affinché nel più breve tempo possa essere data piena attuazione alle modifiche regolamentari da tempo attese dai corpi di polizia locale e dai cittadini. (4-07137)


   COLONNESE, DE LORENZIS e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   risulta agli interroganti che il consiglio d'amministrazione della Gesac – aeroporto di Napoli, partecipata della provincia di Napoli, siede un ex consigliere provinciale, non più in carica per effetto dello scioglimento dei consiglio provinciale, avvenuto nel marzo 2013 con decreto del Presidente della Repubblica, cinque mesi dopo le dimissioni da presidente della provincia di Luigi Cesaro;
   in base all'articolo 141, comma 5, del decreto legislativo 267 del 2000, i consiglieri provinciali cessati dalla carica a seguito dello scioglimento dei consigli provinciali, continuano ad esercitare eventuali incarichi esterni loro attribuiti, fino alla nomina del successore;
   in attesa del successore, il consigliere provinciale, mantiene ormai da diversi mesi l'incarico in Gesac, attribuitogli nel precedente mandato, pur non avendo alcun ruolo nella nuova città metropolitana;
   il 21 ottobre 2014 veniva pubblicata una lettera al direttore sul quotidiano on line, «Il Giornale del Friuli» con la quale un cittadino chiedeva spiegazioni in ordine al fatto che il presidente della provincia, Antonio Pentangelo, ancora nel pieno esercizio delle proprie funzioni, non provvedesse a nominare subito il successore –:
   se sia al corrente di quanto in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa affinché i consiglieri provinciali cessati dalla carica a seguito dello scioglimento dei consigli non possono esercitare, da quella data, eventuali incarichi esterni loro attribuiti.
(4-07140)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, MALPEZZI, RAMPI, MANZI, BLAZINA, NARDUOLO, VENTRICELLI, PES e D'OTTAVIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 31 ottobre 2014 – come riporta il sito ufficiale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – risulta essere stato firmato il decreto ministeriale di ripartizione del Fondo per il finanziamento ordinario (FFO) delle università statali per l'anno 2014, che introduce, per la prima volta, il «costo standard di formazione per studente in corso» nel calcolo per la ripartizione tra gli atenei del 20 per cento della cosiddetta quota base del Fondo per il finanziamento ordinario;
   i pareri espressi sullo schema di decreto da parte della CRUI, del CUN e del CNSU avanzano esplicite riserve sulla mancanza di informazioni precise sulla metodologia di calcolo del citato costo standard e sui possibili effetti distorsivi che potrebbero rapidamente generarsi nel sistema universitario col nuovo modello di ripartizione, mai sperimentato e largamente ignoto nei dettagli, tenendo conto che la parte del Fondo per il finanziamento ordinario a cui si applicherà tale modello pari a poco meno di un miliardo di euro, con effetti che saranno dunque determinanti sui bilanci degli atenei, addirittura dell'anno corrente e degli anni futuri;
   nei giorni scorsi accreditati organi di stampa hanno inoltre riportato la notizia – tempestivamente smentita dal Ministro Giannini – secondo cui la Corte dei conti, a seguito di un confronto con la ragioneria generale dello Stato, avrebbe espresso molte perplessità sull'impianto generale del decreto in relazione alle risorse preventivate;
   non risulta comunque ancora pubblicato il testo definitivo del decreto –:
   quali siano i criteri e i parametri con cui sarà determinato il costo standard di formazione per studente in corso e, più in generale, quali siano le caratteristiche del nuova modello di ripartizione del Fondo per il finanziamento ordinario e quali i tempi di pubblicazione del decreto di ripartizione del Fondo per il finanziamento ordinario per l'anno 2014. (5-04197)


   PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data primo dicembre il sottosegretario all'istruzione, Davide Faraone, è intervenuto sul quotidiano La Stampa sul tema delle occupazioni degli edifici scolastici. Faraone ha sostenuto che le occupazioni e le autogestioni scolastiche sono «esperienze di grande partecipazione democratica» e che «in alcuni casi sono più formative di ore passate in classe»;
   il Sottosegretario ha affermato che istituzionalizzerebbe questi «momenti democratici» e che «il governo crede così tanto nell'autonomia scolastica che pensiamo che i singoli istituti potrebbero prevedere, se lo ritenessero utile, momenti simili, di autogestione programmata, come esperienza curricolare da far fare ai ragazzi»;
   nel suo intervento, Faraone ha fatto intendere chiaramente che la classe dirigente di questo paese si è formata proprio durante queste esperienze. «Chissà quanti hanno cominciato a fare politica, o vita associativa, o hanno scoperto la passione civile, proprio partendo da questa esperienza», ha scritto. «O ancora, quanti sono diventati leader in un'azienda, dopo essere stati leader durante un'occupazione studentesca. Anche in quei contesti si seleziona la classe dirigente»;
   se la linea politica del Ministro sia conforme alle affermazioni del Sottosegretario. (5-04209)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, BATTELLI, DALL'OSSO, GRILLO, LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, VACCA, SIBILIA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base agli articoli 3 e 34 della Costituzione, a tutti sono garantiti il diritto alla salute e quello all'istruzione, intesi come un unico diritto alla tutela della persona. Misure come la docenza di sostegno, la scuola in ospedale e l'istruzione domiciliare per gli studenti degli istituti scolastici di ogni ordine e grado (che, negli ultimi due casi, si vedono inoltre impossibilitati alla frequenza scolastica) costituiscono la risposta della società alle esigenze di crescita e di benessere;
   la legge n. 104 del 1992, che riconosce e tutela, per i disabili, la partecipazione alla vita sociale specie in luoghi quali la scuola, all'articolo 12, individua la diagnosi funzionale (DF), il profilo dinamico nazionale (PDF) e il piano educativo individualizzato (PEI) come strumenti necessari all'effettiva integrazione degli alunni con disabilità. Come precisato nel decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 1994, tali documenti, redatti in collaborazione con il Servizio Sanitario Nazionale, hanno lo scopo di riscontrare le potenzialità funzionali dell'alunno con disabilità e sulla base di queste costruire adeguati percorsi di autonomia, di socializzazione e di apprendimento;
   l'articolo 40 della legge n. 449 del 1997 prevedeva l'attivazione di un posto in organico per il sostegno ogni 138 alunni frequentanti le scuole pubbliche della provincia. La legge n. 296 del 2006 e la legge n. 244 del 2007 (Finanziaria 2008) hanno abrogato tale criterio per la formazione dell'organico di diritto dei posti di sostegno, individuando un nuovo parametro che, a livello nazionale, non può superare il rapporto medio di un insegnante ogni due alunni con disabilità obbligando così al mancato del rispetto del principio fondamentale (con finalità di integrazione e inclusione) per cui non debba esserci più di un alunno disabile per classe;
   nell'anno scolastico 2013/2014 gli alunni con disabilità erano 209.814. Per l'anno scolastico appena iniziato il numero salirà a 210.909. A fronte di questo incremento, il contingente finale è comunque previsto in non più di 110 mila professori e maestri (con una probabile riduzione rispetto ai 110.216 dell'anno scorso). In Italia il rapporto medio di docenti/alunni continua ad essere quello di 1:2, con alcune punte di 1:3 alle scuole superiori di secondo grado di alcune regioni. In Campania, per 21.305 alunni con disabilità, l'organico di insegnanti di sostegno si attesta a 10.596, lasciando «scoperta» più della metà degli alunni aventi diritto. Nel nostro Paese, infatti, uno studente con disabilità è costretto a partecipare, in media, a sole 14 ore di didattica a scuola, a fronte delle 30 complessive;
   per quanto concerne i nuovi posti in organico di diritto ai sensi del decreto-legge n. 104 del 2013, con le note protocollo nn. 7955 e 7957 del 7 agosto 2014, analizzando i dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca delle immissioni in ruolo 2014/2015 per il personale docente (compreso quello di sostegno) e ATA, si è assistito ad un notevole disquilibrio geografico nella ripartizione del contingente. Il nord si aggiudica il 45,59 per cento del totale, a dispetto del centro, del sud e delle isole, rispettivamente al 27,26 per cento, 17,65 per cento e 9,49 per cento. Le regioni più penalizzate sono la Campania, la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Basilicata;
   per quanto concerne gli interventi formativi a domicilio per gli alunni colpiti da gravi patologie o impediti a frequentare la scuola per un periodo di almeno trenta giorni, il cui riferimento imprescindibile è il Vademecum per l'istruzione domiciliare del 2003, vi sono specifici finanziamenti ministeriali, da definire per ciascun anno scolastico (legge n. 440 del 1997). Il Vademecum del 2003 sottolinea gli aspetti essenziali ed oggettivi che concedono la possibilità di erogare il servizio di istruzione domiciliare senza che vi possa essere reticenza alcuna da parte dell'istituzione scolastica. In primo luogo perché esplicita quali siano le patologie effettive di fronte alle quali il servizio diventa una necessità tangibile per l'alunno e non sia possibile in alcun modo recedere, ignorando del tutto l'evento gravoso della malattia o della terapia invalidante che, seppur temporanea, impedisce la fruizione del diritto all'educazione e all'istruzione; in secondo luogo perché il documento richiamato precisa quali debbano essere gli atti formali da adempiere per la gestione del servizio. La circolare ministeriale n. 60 del 16 luglio 2012, nota prot. n. 4439, a proposito di istruzione domiciliare, sottolinea che «in casi di necessità e per periodi temporanei, al fine di evitare che prolungate assenze per malattie possano pregiudicare l'esito finale dell'anno scolastico, e considerato, altresì, il positivo impatto psicologico che la scuola ha sul percorso terapeutico del minore malato, è consentito il ricorso all'istruzione domiciliare, secondo i criteri e le indicazioni riportati nel “Vademecum per l'istruzione domiciliare”, che continua ad essere il riferimento per la procedura da attivare». La questione resta sempre disciplinata da detto Vademecum che diventa strumento orientativo delle scuole, anche se, oltre all'indicazione delle patologie che permettono di leggere chiaramente in quali condizioni il servizio di istruzione domiciliare diventi un diritto, nel documento viene altresì specificato che «il servizio di istruzione domiciliare può essere erogato nei confronti di alunni, iscritti a scuole di ogni ordine e grado, i quali, già ospedalizzati a causa di gravi patologie, siano sottoposti a terapie domiciliari che impediscono la frequenza della scuola per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni. Il servizio in questione può essere erogato anche nel caso in cui il periodo temporale, comunque non inferiore a 30 giorni, non sia continuativo, qualora siano previsti cicli di cura ospedaliera alternati a cicli di cura domiciliare oppure siano previsti ed autorizzati dalla struttura sanitaria eventuali rientri a scuola durante i periodi di cura domiciliare» e che gli organi competenti alla gestione del servizio sono gli uffici scolastici regionali ai quali le scuole possono rivolgersi per ottenere le risorse necessarie. «La scuola interessata dovrà elaborare un progetto di offerta formativa nei confronti dell'alunno impedito alla frequenza scolastica, con l'indicazione del numero dei docenti coinvolti e delle ore di lezione previste. Il progetto dovrà essere approvato dal collegio dei docenti e dal consiglio d'Istituto, in apposite sedute d'urgenza previste dal dirigente scolastico, ed inserito nel POF. La richiesta, con allegata certificazione sanitaria, e il progetto elaborato verranno presentati al competente ufficio scolastico regionale che procederà alla valutazione della documentazione presentata, ai fini dell'approvazione e della successiva assegnazione delle risorse. Poiché potrebbero essere più d'una le richieste avanzate e non tutte presentate all'inizio dell'anno scolastico, le direzioni generali regionali procederanno, eventualmente attraverso un'apposita commissione di valutazione, ad elaborare un elenco di priorità degli interventi, anche in considerazione delle risorse finanziarie disponibili»;
   la direttiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 27 dicembre 2012 «Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica» e la relativa C.M. del 6 marzo 2013 n. 8, che ne stabilisce le indicazioni operative, hanno delineato le strategie inclusive della scuola italiana per gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà con l'espresso intento di completare il tradizionale approccio all'integrazione scolastica, basato sulla certificazione della disabilità, estendendo il campo di intervento e di responsabilità della comunità educante all'intera area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), comprendente: «svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse». Appare evidente, però, che gli alunni in difficoltà che ricadono nelle succitate categorie non avranno diritto né al sostegno specializzato né ad un PEI (Piano educativo individualizzato), bensì solamente un PDP (piano didattico personalizzato, in estensione a quanto previsto dalla legge 8 ottobre 2010 n. 170) che sarà attuato dagli stessi insegnanti in classe. Se la normativa da un lato ha il merito di porre l'accento su tali bisogni (DSA, ADHD, Funzionamento intellettivo limite o FIL, ecc.), dall'altra esclude de facto tali allievi, che rappresentano una fetta significativa della popolazione studentesca totale, dall'opportunità di usufruire di un sostegno specializzato, che viene preservato solo per le disabilità gravi. A tal proposito, si fa presente che, al fine di vedersi riconosciuti i benefici di cui alla legge n. 104 del 1992, le famiglie degli allievi sono obbligate ad un complesso e oneroso, oltre che faticoso, iter burocratico;
   come diffuso da numerose testate giornalistiche in data 9 ottobre 2014, Angela Marra, mamma della piccola Karol (di 6 anni e che dovrebbe frequentare la seconda elementare dell'istituto Ferdinando Russo di Pianura, Napoli) che, ammalatasi per la seconda volta di leucemia e attualmente alle prese con terapie chemioterapiche, si è vista negare la possibilità di usufruire dell'insegnamento domiciliare e quindi, del diritto allo studio previsto dalla Costituzione. Angela Marra ha dunque scritto una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, spiegando che l'istituzione scolastica e il provveditorato, ad oggi, sostengono che non vi siano fondi sufficienti per un insegnante domiciliare per la propria figlia, malgrado possieda i requisiti di cui sopra in base alla legge n. 104 del 1992 e alla normativa, vigente in materia di istruzione domiciliare;
   malgrado quanto stabilito dalla normativa finora citata, con particolare riferimento alla Risoluzione approvata dalla 7a Commissione permanente del Senato della Repubblica in data 31 luglio 2014 – Doc. XXIV n. 32 –, che, ponendo l'accento sul ruolo cruciale della continuità didattica ed educativa al fine di garantire e tutelare l'effettivo godimento del diritto all'istruzione per tutti i cittadini, con particolare attenzione, a quanti hanno oggettive, difficoltà, impegna il Governo ad un maggiore tempestività nell'assegnazione delle risorse professionali di supporto agli alunni con disabilità e che tenga conto del fabbisogno di organico e delle effettive esigenze di ciascuno, si verificano tuttora casi inaccettabili come quello del Liceo Artistico Statale «SS. Apostoli» di Napoli ove il Dirigente Scolastico ha inviato, con prot. n. 836/B8 del 17 febbraio 2014, i genitori degli alunni con disabilità ad occuparsi essi stessi dei bisogni materiali dei propri figli a scuola e/o ad autotassarsi al fine di individuare un assistente materiale privato manifestando successivamente, con prot. n. 4475 del 2 ottobre 2014 (comunicazione al Presidente del Consiglio di Istituto), di non ritenere la continuità didattica condizione fondamentale per l'attribuzione classi; la tutela del diritto ad un'istruzione continuativa è stata manifestata anche dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (sezione ottava) che, con ordinanza n. 857/14, ha accolto l'istanza cautelare dei genitori di un alunno con disabilità grave malgrado il carattere d'urgenza del ricorso, depositato in data 21 novembre 2013 (numero di registro generale 5934/13), tale ordinanza di assegnazione delle ore di sostegno è stata pronunciata solo alla fine dell'anno scolastico, anche a causa del ritardo dell'istituto scolastico nel depositare il P.E.I. dando esecuzione alle ordinanze istruttorie del tribunale (n. 1149/2014 e 2155/2014); tale istituto scolastico, per l'elaborazione dei piani educativi individualizzati non ha coinvolto, come previsto dall'articolo 12 della legge n. 104 del 1992 e dal conseguente atto di indirizzo emanato con decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 1994, articolo 5 comma 2 («Il P.E.I. è redatto, ai sensi del comma 5 del predetto articolo 12, congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dalla USL e/o USSL e dal personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola e, ove presente, con la partecipazione dell'insegnante operatore psicopedagogico, in collaborazione con i genitori o gli esercenti la potestà parentale dell'alunno»), né i genitori degli alunni né esperti esterni al fine di dare vita ad un vero dialogo utile all'individuazione del progetto educativo/didattico migliore per il minore con disabilità, come evidenziato dall'invito all'incontro dei GLH inoltrato dal dirigente scolastico con prot. n. 4463/B8 del 2 ottobre 2014;
   tra le attività previste dal Centro nazionale per le ricerche, nell'anno 2014, è presente il progetto TRIS (Tecnologie di Rete e Inclusione Scolastica) che sperimenterà, su base nazionale, modelli per l'inclusione scolastica di studenti con difficoltà alla normale frequenza a causa di specifiche patologie invalidanti, permanenti o temporanee. La sperimentazione riguarderà 5 casi rappresentativi scelti dal MIUR. Come è possibile consultare al sito del CNR, le attività previste dal programma sono: – progettazione e conduzione delle attività sperimentali, indicando per ciascuno approccio didattico-metodologico e conseguente set tecnologico da utilizzare; – coordinamento e supporto agli insegnanti in loco o a distanza; – stesura dei protocolli sperimentali per il monitoraggio della sperimentazione; – sviluppo dell'ambiente online di supporto alla comunicazione didattico-organizzativa fra i soggetti coinvolti; – monitoraggio delle sperimentazioni e analisi dei dati; – formazione on-the-job dei docenti coinvolti; – inserimento di nuovi casi sperimentali oltre i 5 iniziali. Secondo le previsioni del CNR, TRIS produrrà risultati su due piani, quello dello studente e quello delle reti sociali. «Sul piano dello studente si avranno risultati in termini di accoglienza e inserimento degli studenti coinvolti nella sperimentazione nella vita sociale della classe; la rimozione dei pregiudizi di tipo culturale o legati alla diversità dovuta alla disabilità o allo stato di salute; l'apprendimento da parte di tutti i soggetti coinvolti di modalità di apprendimento collaborativo attraverso cui favorire il coinvolgimento dello studente nelle attività della classe quando il disagio impedisce la regolare frequenza. Sul piano delle reti sociali, i risultati riguardano l'interazione fra i docenti del consiglio di classe finalizzata a una programmazione didattica che tenga conto di particolari situazioni; le dinamiche di self-help fra tutti coloro che sono coinvolti, direttamente o indirettamente, nei processi di inclusione educativa (genitori, amici, volontari); il collegamento con le risorse educative extra-scolastiche offerte sul territorio; i processi di apprendimento mutuato/informale all'interno di comunità online (formatori, ricercatori, sociologi, operatori socio-culturali)» –:
   se si ritenga urgente assumere un'iniziativa normativa al fine di risolvere i nodi tuttora irrisolti relativi alla gestione e al potenziamento delle iniziative concernenti gli insegnamenti di sostegno e domiciliari, nonché le politiche sociali rivolte ai disabili, al fine di garantire una scuola della qualità e dell'inclusione;
   se si ritenga di dover impegnare un fondo di finanziamento apposito per la formazione dei docenti di sostegno nonché dei dirigenti scolastici e dei docenti curriculari;
   per quali ragioni la distribuzione delle assunzioni del personale di sostegno per l'anno scolastico 2014/15 non abbia preso in considerazione le esigenze specifiche degli istituti scolastici a livello regionale e sia stato fortemente penalizzante per le scuole del sud;
   se si ritenga redigere un solido programma di intervento a favore delle politiche sociali finalizzato all'effettivo affiancamento degli enti locali e territoriali nell'erogazione dei servizi fondamentali per gli studenti disabili e se non sia opportuno, per disabilità gravi, introdurre interventi normativi tali da garantire un insegnante di sostegno per l'intero orario curriculare;
   se, con riferimento a quanto stabilito nel direttiva del 27 dicembre 2012 «Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica» (e relativa C.M. del 6 marzo 2013 n. 8), il Ministero per l'istruzione, l'università e la ricerca intenda prevedere misure di intervento specializzate e individualizzate finalizzate alla copertura dell'intero monte ore d'insegnamento settimanale anche per casi di difficoltà che non rientrano nella legge n. 104 del 1992 (quali ad esempio DSA, ADHD, FIL e svantaggiati) con finanziamenti all'uopo dedicati;
   se ritenga sia dato giusto peso alle valutazioni sulle reali esigenze didattiche evidenziate dai gruppi di lavoro per l'inclusione che elaborano ogni anno il PAI, il quale viene discusso e deliberato dal collegio dei docenti e inviato agli uffici scolastici regionali che assegnano ai singoli istituti scolastici le risorse di sostegno secondo quanto stabilito all'articolo 19, comma 11 della legge n. 111 del 2011;
   se ritenga opportuno, come stabilito dalla legge n. 104 del 1992 (per cui il diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap) e dal comma 2 dell'articolo 34 della Costituzione (secondo il quale l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita), che l'acquisizione della documentazione necessaria a garanzia del diritto all'educazione e all'istruzione avvenga senza alcun onere a carico delle famiglie con figli con disabilità gravi;
   se si sia a conoscenza del caso di Karol sopra citato e quali siano le iniziative che si intendono attuare al fine di restituire alla stessa il diritto allo studio sancito dalla Costituzione e quali siano le motivazioni che portano al verificarsi di questa come altre situazioni analoghe;
   quali siano, in riferimento alla risoluzione approvata dalla 7a Commissione permanente del Senato della Repubblica in data 31 luglio 2014 Doc. XXIV n. 32, le iniziative del Governo, per quanto possibile dettagliando le tempistiche relative, atte ad assicurare la continuità didattica ed educativa per gli alunni con oggettive difficoltà, ivi compresi lo stato di sviluppo del software che dovrebbe rilevare le esigenze degli alunni con disabilità e disturbi specifici dell'apprendimento nel territorio nazionale con lo scopo di rendere il servizio più efficiente, e quali segnali intenda dare agli istituti ed uffici scolastici che non si mostrino ricettivi rispetto a quanto stabilito dalla normativa vigente;
   se la responsabilità delle situazioni sopra descritte sia da attribuire alle singole istituzioni/uffici scolastici locali oppure se conseguenza della scarsità di fondi e se il Governo ritenga urgente intervenire al fine di una immediata risoluzione e con quali modalità;
   se, infine, per i casi singoli nonché nelle regioni in cui le difficoltà finora descritte, tra cui quella di Karol, si verificano con maggiore frequenza, possa rivelarsi risolutiva rendere sistema tutte le esperienze innovative come quelle del succitato TRIS del CNR mediante finanziamenti all'uopo riservati. (4-07139)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Pali Italia (ex Tecnopali), ditta specializzata nel settore illuminazione, telecomunicazioni e alta tensione che opera a Parma e ad Anagni (Frosinone) da oltre trent'anni, a fronte del calo della domanda di mercato e della necessità di ristrutturare la propria posizione debitoria nei confronti delle banche, culminata nel gennaio 2013 con la richiesta di concordato preventivo, ha prospettato nei mesi scorsi la definizione di un nuovo piano industriale che avrebbe reso necessario un forte ridimensionamento dell'organico;
   il 12 febbraio 2014, al termine dell'incontro tra l'azienda e le organizzazioni sindacali, tenutosi presso la sede dell'Unione parmense degli industriali, Pali Italia ha assunto l'impegno di far ricorso, nei limiti resi possibili dalla legge, all'utilizzo degli ammortizzatori sociali (cigs) per attenuare l'impatto occupazionale della propria necessaria ristrutturazione;
   il 20 marzo 2014 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si è svolto un incontro nel corso del quale l'azienda si è impegnata ad avanzare formale richiesta di proroga della cassa integrazione straordinaria in scadenza il 19 maggio;
   il 29 aprile 2014 le organizzazioni sindacali hanno denunciato l'intenzione dell'azienda di condizionare la richiesta di proroga della cassa integrazione guadagni straordinaria all'accordo sulle procedure di mobilità che prevedono 72 lavoratori in esubero nel solo polo produttivo di Parma –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e se non ritenga di convocare con la massima sollecitudine l'azienda e le organizzazioni sindacali al fine di valutare ogni più utile azione che consenta di assicurare le condizioni per il mantenimento in attività del sito produttivo di Parma dell'azienda Pali Italia, di scongiurare i prospettati esuberi e di avviare le procedure per la proroga della cassa integrazione straordinaria.
(5-04208)

Interrogazione a risposta scritta:


   PIRAS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Sardegna oltre 15.300 lavoratori sardi in indennità di mobilità in deroga, hanno atteso oltre 22 mesi per aver ragione del saldo delle indennità di mobilità in deroga spettanti per l'annualità 2013;
   all'atto della messa a saldo delle spettanze si sono visti applicare alle somme erogate l'IRPEF al 23 per cento;
   le somme sono state erogate oltre l'anno di competenza, quindi 2013, esattamente nel mese di ottobre 2014;
   allo stato attuale i 15.300 lavoratori in indennità di mobilità in deroga non risultano aver percepito le indennità relative all'anno in corso 2014 ed in particolare, come previsto dal decreto interministeriale del 1o agosto, nelle modalità di cui all'articolo 3 lettere AB dello stesso. Quindi 5 mesi più 3 per coloro che alla data di decorrenza del trattamento abbiano già beneficiato di prestazioni di mobilità in deroga per almeno tre anni anche non continuativi e 7 mesi più 3 per coloro che alla data di decorrenza del trattamento abbiano già beneficiato di prestazioni di mobilità in deroga per un periodo inferiore ai tre anni. Nelle condizioni di cui alla lettera a) dell'articolo 3 del decreto risultano esser oltre 4 mila dei 15 mila lavoratori, lasciando gli stessi privi di ogni forma di sostegno del reddito;
   si sottolinea il consistente rischio che le nuove disposizioni determinino un aggravio della già grave crisi occupazionale per la Sardegna, territorio che registra tassi di disoccupazione superiore a quelli medi nazionali ed allarmanti per la tenuta economica e sociale. Nel mese di luglio 2014, la regione Sardegna, annuncia lo sblocco di 17 milioni e 300 mila euro per consentire il pagamento di almeno una mensilità per tutti i 15.300 aventi diritto. Somme che ad oggi risultano non esser stati erogate. Nei giorni scorsi, la RAS ha annunciato un piano Flexicurity di 26 milioni di euro destinato ai 4 mila lavoratori, ad oggi nulla ancora si sa dell'avvio dello stesso –:
   quali siano le procedure tecniche che si intendono adottare per risolvere la drammatica situazione in cui versano i 15.300 lavoratori della Sardegna che aspettano da 11 mesi di incassare quanto loro dovuto e, soprattutto, entro quali termini, con certezza, saranno disponibili tali fondi;
   come s'intenda, all'interno di una risposta più generalizzata sull'aumento, della disoccupazione nel nostro Paese, intervenire, in raccordo con le istituzioni locali, nella regione Sardegna che ha raggiunto, nel 2014 , il traguardo negativo del 18 per cento di senza lavoro e che, in mancanza di un piano di rilancio economico complessivo dell'isola, a partire dalle risorse naturali della stessa, rischia di precipitare in una profonda crisi sociale;
   quali siano le procedure tecniche che si intendono adottare per scongiurare l'applicazione della tassazione IRPEF al 23 per cento anche sulle mensilità del 2014 che allo stato attuale non dato sapere quando verranno erogate e non certo per cause attribuibili ai lavoratori aventi diritto. (4-07127)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   VALIANTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni passati si è registrato un ennesimo caso di disservizio diagnostico riguardante l'ospedale di Vallo della Lucania «San Luca»: un infartuato è stato trasferito presso l'ospedale di Salerno «Ruggi» poiché l'angiografo in dotazione era guasto;
   negli ultimi mesi la stessa apparecchiatura, ormai obsoleta essendo in uso da più di 12 anni, ha funzionato a singhiozzo andando spesso in blocco;
   analoghi problemi si sono verificati all'apparecchiatura per la Tac. L'utilizzo corretto e tempestivo di macchinari diagnostici appare di primaria importanza per poter intervenire sui pazienti soprattutto se in condizioni critiche. Con un angiografo, ad esempio, attraverso l'esame della coronografia, si può diagnosticare un infarto e procedere ad un angioplastica per liberare l'arteria e salvare il paziente. Quanto appena descritto è tanto più veritiero considerando che l'ospedale in questione è classificato come Dea di III livello e, in seguito alla chiusura del nosocomio di Agropoli, ha subito un considerevole aumento di bacino di utenza. Il dipartimento d'emergenza e accettazione (Dea) indica un dipartimento dell'ospedale che assicura le funzioni di più alta qualificazione legate all'emergenza, tra cui la cardiochirurgia, la neurochirurgia, la terapia intensiva neonatale, la chirurgia vascolare, la chirurgia toracica, secondo le indicazioni stabilite dalla programmazione regionale in modo da garantire una equilibrata distribuzione sul territorio. L'ospedale «San Luca» è destinatario di un nuovo macchinario angiografo e di uno per le Tac promessi e garantiti dall'Asl di Salerno ma l'attesa, causa lungaggini burocratiche, si sta protraendo da oltre un anno –:
   di quali elementi disponga, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, in merito alla situazione descritta in premessa. (4-07123)


   RICCIATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 novembre 2014 la testata Corriere Adriatico, in un articolo a firma del giornalista Lorenzo Furlani, riportava la notizia di un intervento di terapia chirurgica all'ospedale Santa Croce di Fano (Pu) saltato a causa della mancanza di un farmaco indispensabile per l'intervento, dopo che il paziente era già stato anestetizzato;
   il fatto risalirebbe a al 25 novembre 2014;
   secondo le dichiarazioni del primario dottor Migliori, rilasciate al Corriere Adriatico, ad operazione iniziata si sarebbe reso conto che la confezione che avrebbe dovuto contenere il farmaco era vuota, pur essendo ancora sigillata. Il primario sostiene, altresì, di aver segnalato all'azienda ospedaliera Marche Nord il difetto di produzione del farmaco;
   a seguito della scoperta, era stato allertato il servizio di farmacia dell'azienda ospedaliera per reperire un'altra confezione. Tramite il 118 veniva recapitato, poco dopo da Pesaro, un farmaco alternativo, non ritenuto tuttavia idoneo dal primario e dalla sua équipe all'intervento, con l'esito poco piacevole per il paziente di essere stato anestetizzato inutilmente e rimandato a casa dopo una notte di ricovero in ospedale;
   l'interrogante ritiene la vicenda allarmante, non solo per l'evidente disservizio subito dal paziente, ma anche per la difficoltà nel reperire una nuova confezione del farmaco stesso; la vicenda avrebbe potuto avere risvolti sensibilmente più gravi se il farmaco difettoso fosse stato un medicinale salva vita –:
   se il Ministro interrogato non intenda verificare la dinamica dei fatti riportati, in premessa ed in particolare se risultino confermate le dichiarazioni rilasciate dal primario, dottor Migliori, circa il difetto di produzione del farmaco quale causa del disservizio;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per individuare le responsabilità per quanto riguarda l'eventuale difetto di produzione. (4-07138)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le Agenzie Eni sono da oltre 50 anni l'interfaccia dell'Eni spa sul territorio nazionale;
   le attività svolte dalle suddette agenzie nello specifico sono le seguenti:
    commercializzazione di prodotti petroliferi e non, su tutte le stazioni di servizio Eni assistenza e commercializzazione di prodotti petroliferi su clientela extrarete (lubrificanti per mezzi a trazione ed industriali e altri prodotti speciali), assistenza e commercializzazione di carte di pagamento a clientela dotata di flotte di automezzi leggeri e pesanti;
   per lo svolgimento delle indicate attività le Agenzie si avvalgono di personale qualificato suddiviso per settori che operano da sempre con grande professionalità e contribuendo al business carburanti e lubrificanti di ENI, nonché ad una presenza prestigiosa sul territorio del marchi nazionale Eni;
   in questi giorni le organizzazioni sindacali hanno appreso ufficialmente della chiusura o del possibile accorpamento di alcune Agenzie con gravi ripercussioni sul quel personale di Agenzie di fatto escluso dalla ventilata riorganizzazione unilaterale da parte dell'Eni;
   se venisse confermata tale inquietante prospettiva ipotizzata da Eni, tutto o quasi il personale delle agenzie chiuse sarebbe a breve ad alto rischio occupazionale, lasciando in tal modo più di 400 famiglie senza un futuro e tutto questo nell'assoluto silenzio degli organi di stampa e di comunicazione, pur trattandosi di un colosso strategico a capitale pubblico e che ha generato forti utili negli anni precedenti;
   a tal proposito le organizzazioni sindacali hanno chiesto, per mezzo della FILCAMS CGIL, «l'intervento della politica in una fase delicata come questa, che ha visto un'azienda di Stato non sottrarsi a ricevere i continui contributi nazionali. Appare evidente che la prassi seguita sinora potrebbe generare soluzioni a danno dei lavoratori interessati e dei valori meritocratici espressi in questi anni dal personale delle Agenzie della struttura nazionale che coinvolgerà numerose famiglie» –:
   se sia a conoscenza di tali circostanze;
   se non ritenga opportuno avviare un immediato confronto di merito fra tutte le istituzioni coinvolte, finalizzato alla salvaguardia dei posti di lavoro e del ruolo fondamentale delle Agenzie Eni. (5-04196)


   L'ABBATE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo vetrario Sangalli rappresenta il primo produttore di vetro piano in Italia (copre circa il 30 per cento del mercato), con siti produttivi a Monte Sant'Angelo (Foggia) e San Giorgio di Nogaro (Udine), con una produzione di circa 1.300 tonnellate al giorno ed impiegando complessivamente oltre 400 addetti. Res nota est che tale Gruppo versi in grave dissesto finanziario;
   quasi tutte le società del Gruppo (in particolare Sangalli Vetro Manfredonia — già Manfredonia Vetro, Sangalli Vetro, Sangalli Vetro Porto Nogaro, Sangalli Vetro Satinato) hanno ricevuto contributi pubblici in conto capitale (e non) sia grazie ai tre Protocolli al contratto d'area di Manfredonia sia grazie a risorse del Fondo di rotazione per iniziative economiche del Friuli Venezia Giulia, come dimostrato dalla presenza di Friulia spa al 35 per cento nel capitale sociale di una delle anzidette società. La finanziaria regionale Friulia spa, come è noto, opera soltanto con l'ausilio di un patto parasociale che, in questo caso, è stato disdettato e poi rinnovato;
   in aggiunta ai finanziamenti di cui sopra, a fine 2013, Sangalli Vetro Manfredonia è stata ammessa al beneficio di ulteriori agevolazioni dalla regione Puglia per euro 6.889.323,60 quale contributo al rifacimento del fornofloat. Va, tuttavia, tenuto presente però che l'Unione europea fissa un tetto massimo ai contributi pubblici per la regione Puglia nella misura del 70 per cento delle somme ammesse a contributo;
   ad oggi, le condizioni finanziarie del Gruppo sono di sofferenza se non addirittura di insolvenza, in quanto al 31 dicembre 2013 gli amministratori riportavano un indebitamento verso gli istituti di credito per 128,4 milioni di euro, superiore al fatturato complessivo che risulta in peggioramento rispetto all'esercizio precedente, con perdite complessive per 11,3 milioni di euro relative all'esercizio 2013;
   al 13 ottobre 2014, l'impianto più moderno e più remunerativo del Gruppo, appartenente alla società Sangalli Vetro Magnetronico di Monte S. Angelo (Foggia), uno dei due impianti coater in Italia, scontava un periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria di 15 giorni per tutte le 26 risorse, che si aggiunge ai periodi precedenti. Stante il contributo pubblico già deliberato dalla regione Puglia in data 19 novembre 2013 (pubblicazione B.U.R.P. n. 159 del 4 dicembre 2013) a questo scopo, fonti aziendali riportano che la fermata dell'impianto float di Monte S. Angelo (Foggia) è prevista per fine anno 2014;
   tuttavia si teme che tale fermata venga in un primo tempo prorogata per poi diventare definitiva;
   alla luce della situazione attuale, pare non abbia trovato un esito positivo l'accordo di riscadenziamento dell'indebitamento complessivo, siglato in data 20 novembre 2013 che prevedeva l'ingresso di un nuovo socio russo, attraverso la società lussemburghese Glasswall. Alla luce di quanto detto ad avviso dell'interrogante non è da escludere la presentazione della richiesta di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ai sensi del decreto legislativo 270 del 1999 (cosiddetto Prodibis) per i seguenti motivi: la società ha superato, anche se di poco, la soglia necessaria dei 200 dipendenti, l'indebitamento complessivo supera (e di molto) i due terzi sia del totale dell'attivo dello stato patrimoniale sia dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio. Appare evidente che l'accordo del 20 novembre 2013 sia divenuto inefficace giacché la holding italiana del Gruppo (Vetro Partecipazioni di Susegana, Treviso), unica società che registra la presenza del nuovo socio Glasswall, risulta ancora oggi inattiva;
   secondo quanto riportato nel relativo verbale, si evince che il bilancio 2013 di Sangalli Vetro Manfredonia sia stato approvato dai manager russi addirittura per telefono e che il consiglio d'amministrazione era ed è composto da un numero di componenti superiore a quanto previsto dallo Statuto. Da ultimo, si constata che il Presidente del collegio sindacale, dottor Gianbattista Rossetti (già arrestato per tentata corruzione nel 1984 e poi amnistiato), risulta essere membro della «Commissione Amministrazione Straordinaria per le Grandi Imprese in Crisi», istituita presso il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ed Esperti Contabili;
   si richiama l'interrogazione a risposta scritta 4-02323 e la relativa risposta –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, siano a conoscenza della descritta situazione in seno al gruppo industriale tutto, ed in particolare di, quella relativa al polo produttivo di Monte S. Angelo (Foggia) e se l'eventuale ricorso allo strumento dell'amministrazione straordinaria ex decreto legislativo 270 del 1999, visto alla luce della recente posizione della commissione europea in tema di amministrazione straordinaria, non rischierebbe di essere considerato alla stregua di un aiuto di Stato (come già accaduto in vari casi), anche in considerazione delle erogazioni già percepite dal gruppo e dei precedenti per frode fiscale del patron del Gruppo, Giorgio Sangalli;
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano assumere per promuovere il dialogo con la proprietà (e gli istituti di credito), allo scopo di predispone un piano industriale efficace per la salvaguardia della produzione e dei livelli occupazionali, anche nell'ipotesi in cui si dovesse nominare un commissario straordinario, al fine di evitare (o almeno limitare) le ripercussioni in seno al comparto vetrario italiano;
   se i Ministri interrogati intendano comunicare notizie riguardanti la situazione debitoria attuale e quella relativa alle eventuali controversie pendenti nei confronti dell'Agenzia delle entrate e dell'autorità giudiziaria e se gli aiuti stanziati dalla regione Puglia verranno erogati ad avanzamento o a fine lavori di rifacimento del forno float di Manfredonia, come ragionevolmente ci si aspetterebbe stante l'elevato rischio di fallimento della società singola e dell'intero gruppo vetrario.
(5-04210)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Nicoletti e altri n. 1-00603, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Alfreider, Patriarca.

  La mozione Bruno Bossio e altri n. 1-00678, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Alfreider.

  La mozione Garofalo e altri n. 1-00679, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Calabrò, Sammarco.

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza urgente D'Alia e Dellai n. 2-00762, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Binetti.

  L'interpellanza urgente Bossa e altri n. 2-00769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carocci.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Speranza e altri n. 3-01199, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputati Basso.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fiorio e altri n. 5-04193, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Montroni, Tentori, Iacono.

Cambio di presentatore di interpellanza urgente.

  Interpellanza urgente n. 2-00751, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, è da intendersi presentata dall'On. Ricciatti, già cofirmatario della stessa.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Scotto n. 1-00680, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 343 del 2 dicembre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    la Svimez con il suo recentissimo rapporto sull'economia del Mezzogiorno ha ricordato che questa fase del Mezzogiorno è la peggiore dal dopoguerra in poi. Le previsioni lasciano intravedere ancora altri due anni di recessione (si arriverà così ad 8 anni consecutivi). Eppure questa situazione così drammatica non viene affatto percepita come tale dal mondo politico ed imprenditoriale;
    non si può sottovalutare il fenomeno dell'impoverimento industriale e fisico del Mezzogiorno che, in assenza di contromisure, condurrà le regioni meridionali, oggi le più ricche di giovani, a un drammatico invecchiamento se i giovani laureati e competenti continueranno ad abbandonare le città del Sud al ritmo di più di centomila all'anno;
    tutti i dati – da quelli di Banca d'Italia a quelli di Unioncamere, di Svimez e Istat – concordano nell'analisi di una realtà non ferma, ma in profonda regressione dal punto di vista sociale, dal punto di vista economico, dal punto di vista culturale e civile. I dati su occupazione, procedure fallimentari, liquidazione e scioglimenti di società di persone e di capitale convergono tutti nella direzione di descrivere una condizione che, negli anni, ha visto crisi sovrapporsi a crisi, fino ad incrociare la crisi perfetta che si sta vivendo in questi tempi;
    l'Esecutivo ha confermato la sua politica di totale disimpegno nei confronti di un'area del Paese, il Mezzogiorno, che con la sua produzione contribuisce ad un quarto del prodotto interno nazionale, dimostrando in tal modo di sottovalutare la dimensione nazionale e le ricadute della questione meridionale e l'impossibilità per una nazione di mantenere la propria unità, se parti di essa procedono a velocità diverse, accentuando fra loro il disequilibrio;
    sarebbe auspicabile che il Governo facesse un'inversione di rotta e ricomprendesse nella sua agenda politica le istanze e le energie delle tante forze vive presenti nel tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno, al fine di farle emergere ed esprimersi nei contesti internazionali e sui mercati con maggiore facilità, senza rimanere penalizzate, come troppo spesso oggi accade, da fattori di contesto;
    d'altra parte, nel corso degli anni le politiche per il Mezzogiorno hanno oscillato tra due paradigmi, quello assistenziale e quello compensativo, in funzione della diminuzione più o meno graduale del gap con il Centro-Nord, e che si sono rivelati fallimentari e non premianti;
    il Mezzogiorno ha subito più del Centro-Nord le conseguenze della crisi economica, con una caduta maggiore del prodotto interno lordo e una riduzione ancora più pesante dell'occupazione nel biennio di recessione 2008-2009, mentre la debole ripresa del successivo biennio 2010-2011 è stata nell'area troppo incerta e insufficiente;
    tra il 2007 e il 2011 il prodotto interno lordo meridionale ha subito una riduzione in termini reali del 6,1 per cento, a fronte di una riduzione del 4,1 per cento nel Centro-Nord;
    il Mezzogiorno è a rischio desertificazione umana e industriale, si continua a emigrare (116 mila abitanti nel solo 2013) e a non fare figli, infatti nel 2013 continuano a esserci più morti che nati. Nel Sud la popolazione continua a impoverirsi, con un aumento del 40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno. Sono alcuni dati che emergono dal rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014 presentato il 28 ottobre a Roma;
    nel 2013 al Sud i decessi hanno superato le nascite, confermando il trend già in atto dall'anno precedente. Un fenomeno così grave si era verificato solo nel 1867 e nel 1918, cioè alla fine di due guerre, la terza guerra d'indipendenza e la prima Guerra mondiale: «Nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177 mila, il valore più basso mai registrato dal 1861». «Il Sud – sottolinea la Svimez – sarà interessato nei prossimi anni da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27 per cento sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3 per cento»;
    la Svimez sottolinea come gli investimenti produttivi nel Sud sono crollati del 53 per cento;
    la Calabria, come si evince dalla drammaticità e dalla crudezza del dato statistico, confermato da altri autorevoli centri di ricerca istituzionali, evidenzia sul piano socio-economico una drammatica specificità negativa, continuando inesorabilmente a declinare in un lento processo di separazione anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno: i dati dei centri di ricerca evidenziano, sul piano socio-economico, una forte specificità negativa, anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno;
    la Calabria si conferma, infatti, la regione più povera d'Italia con un prodotto interno lordo pro capite che nel 2013 si è fermato a 15.989 euro, meno della metà delle regioni più ricche come Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia. Nel Mezzogiorno la regione con il prodotto interno lordo pro capite più elevato è stata l'Abruzzo (21.845 euro). Seguono il Molise (19.374 euro), la Sardegna (18.620), la Basilicata (17.006 euro), la Puglia (16.512 euro), la Campania (16.291 euro), la Sicilia (16.152 euro) e la Calabria (15.989 euro). In generale, in termini di prodotto interno lordo pro capite, il Mezzogiorno nel 2013 è sceso al 56,6 per cento del valore del Centro-Nord, tornando ai livelli del 2003, con un prodotto interno lordo pro capite pari a 16.888 euro. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 25.457 euro, risultante dalla media tra i 29.837 euro del Centro-Nord e i 16.888 euro del Mezzogiorno;
    nel Sud appena il 21,6 per cento delle donne sotto i 34 anni è occupata contro il 43,0 per cento del Centro-Nord e una media nazionale del 34,7 per cento. Il confronto con la media dell'Unione europea evidenzia il divario. Nell'Europa a 27 Stati le donne sotto i 34 anni che lavorano sono il 50,9 per cento. Le donne che rientrano, o entrano per la prima volta, nel mercato del lavoro, vanno a ricoprire posizioni poco qualificate. Dal 2008 al 2013 le professioni qualificate femminili sono scese dell'11,7 per cento, mentre sono aumentati del 15 per cento i posti di lavoro nelle professioni poco qualificate;
    il prodotto interno lordo si attesterà a -0,4 per cento nel 2014, come «risultato tra la stazionarietà del Centro-Nord (0 per cento) e la flessione del Sud (-1,5 per cento)». Per il Sud è il settimo anno di recessione. Forbice ancora divaricata nel 2015: il prodotto interno lordo nazionale, secondo le stime Svimez, è previsto a +0,8 per cento, quale risultato tra il +1,3 per cento del Centro-Nord e il -0,7 per cento del Sud;
    nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, peggiorando la flessione dell'anno precedente (-3,2 per cento), con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4 per cento). Il peggior andamento del prodotto interno lordo meridionale nel 2013 è dovuto soprattutto a una più sfavorevole dinamica della domanda interna con i consumi in calo del 2,4 per cento e gli investimenti crollati del 5,2 per cento. Da segnalare l'ulteriore perdita di posti di lavoro scesi sempre nel Mezzogiorno del 3,8 per cento. In un panorama fortemente negativo, le esportazioni nel 2013 hanno segnato -0,6 per cento al Sud. Tra il 2008 e il 2013 i redditi al Sud sono crollati del 15 per cento e i posti di lavoro sono diminuiti di circa 800 mila persone;
    al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443 mila (il 5,8 per cento del totale) a 1 milione 14 mila (il 12,5 per cento del totale), cioè il 40 per cento in più solo nell'ultimo anno. È quanto emerge dal rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014. Secondo il rapporto, in Italia, dal 2008 al 2012, sono aumentate del 7 per cento le famiglie in stato di «deprivazione materiale severa», cioè che non riescono, ad esempio, a pagare l'affitto o il mutuo, fare una vacanza di una settimana una volta l'anno fuori casa, pagare il riscaldamento, fronteggiare spese inaspettate, e che magari non hanno l'automobile, la lavatrice, il telefono, la TV, e fanno fatica a fare un pasto di carne o pesce ogni due giorni. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di povertà assoluta, equamente divise tra Centro-Nord e Sud (1 milione e 14 mila famiglie per ripartizione), con un aumento di 1 milione e 150 mila famiglie rispetto al 2007;
    tra il 2008 e il 2013 delle 985 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583 mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, pur essendo presente appena il 26 per cento degli occupati italiani si concentra il 60 per cento delle perdite determinate dalla crisi. Nel solo 2013 sono andati persi 478 mila posti di lavoro in Italia, di cui 282 mila al Sud. La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche basi di dati. Nel primo trimestre 2014 il Sud ha perso 170 mila posti di lavoro rispetto all'anno precedente, contro -41 mila nel Centro-Nord. A fronte di una quota di occupati pari a circa un quarto dell'occupazione complessiva, tra il primo trimestre del 2013 e il primo trimestre del 2014 l'80 per cento delle perdite di posti di lavoro in Italia si è concentrata al Sud;
    l'ultimo rilevamento dell'Istat del 28 novembre 2014 certifica una volta di più che il tasso disoccupazione nel Mezzogiorno nel mese di ottobre 2014 supera il 20 per cento (rispetto ad un dato nazionale, pur preoccupante, del 13,3 per cento);
    in questo scenario, rischiano di apparire come semplice palliativo anche strumenti e programmi, che avevano rappresentato almeno una speranza per i territori del Sud, come «Garanzia giovani»: quelle risorse rischiano di essere utili più a chi fa dell'intermediazione del lavoro o dell'intermediazione finanziaria la propria attività, piuttosto che per creare lavoro e reddito in quelle aree;
    il tessuto sociale si presenta sempre più lacerato e le manifestazioni di insofferenza e di conflitto, che si allargano giorno dopo giorno, sono i sintomi di una malattia che potrebbe rendere instabile sia la coesione sociale che la forza stessa delle istituzioni;
    di fronte a questa drammatica realtà tutto il dibattito sul Sud sembra appuntarsi sui fondi comunitari, come se questi fossero da soli in grado di portare il Mezzogiorno fuori dalle sue difficoltà attuali. Molti studiosi, viceversa, concordano sul fatto che lo sviluppo del Sud non può essere delegato interamente alle politiche di coesione dell'Europa;
    basti riflettere che per il quadro strategico 2007-2013 restano da spendere da qui al 31 dicembre 2015 quasi 15 miliardi di euro tra Ministeri, regioni e privati. Per centrare l'obiettivo bisognerebbe spendere un miliardo al mese. Ma tale spesa è in larga misura inibita dal patto di stabilità interno. Secondo uno studio di Confindustria, nel 2015 per cinque regioni (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Molise) il cofinanziamento nazionale e il fondo di coesione supereranno il 60 per cento della spesa massima consentita dal loro patto di stabilità, rendendo nei fatti impossibile il completo utilizzo delle risorse europee;
    il Governo continua ad indicare la spesa dei fondi come unica via per uscire dalla crisi, ma esso sa bene che nel patto di stabilità non ci sono le condizioni finanziarie sufficienti ad effettuare i pagamenti. Quel poco che c'era (500 milioni di euro) nella legge di stabilità per il 2015 di esclusione dal patto di stabilità interno per il cofinanziamento delle regioni è stato, in seguito ai richiami della Commissione europea, addirittura soppresso;
    inoltre, l'articolo 12 della legge di stabilità per finanziare gli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato ha ridotto di un miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l'anno 2018 le risorse del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione che, dal sistema di monitoraggio del dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, risultano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014;
    in pratica, si tratta di risorse tolte al Mezzogiorno per finanziare gli sgravi contributivi per supposte nuove assunzioni, sgravi che saranno attribuiti prevalentemente al Centro-Nord;
    infine, non è ancora entrata in funzione l'Agenzia per la coesione a cui in tanti guardavano come una possibilità di aiuto per le regioni e i Ministeri, in questa ultima e difficile fase di completamento del programma comunitario 2007/2013;
    l'incremento della dotazione infrastrutturale diventa pertanto assolutamente prioritario ed indilazionabile per rendere il Mezzogiorno area capace di creare e di attrarre investimenti e a farsi partecipe del nuovo ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Africa, Medio Oriente ed Asia, e che, sfruttando la sua collocazione geografica, è chiamato ad assumere nello scacchiere euromediterraneo, anche raccogliendo le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale che torneranno a presentarsi dopo la tregua di tutti i conflitti del Nord Africa;
    la sopradetta collocazione geopolitica del Meridione, crocevia geografico naturale e storico degli interessi e degli scambi economici e culturali tra Europa e Nord Africa e punto di approdo più vicino ai rivolgimenti in atto in quella regione, lo trova però costretto a fare i conti con quella che oramai è considerata una grande emergenza umanitaria e cioè l'esplosione del fenomeno immigratorio;
    l'immigrazione non può essere arrestata, perché è parte della storia dell'umanità, ma va gestita nell'interesse dei Paesi di origine e di quelli di destinazione dei flussi migratori, anche e soprattutto per impedire il rischio di una deriva razzista, rischio che impone una rinnovata tensione ed un'azione pedagogica che si fondino su valori quali il rispetto della dignità umana, la solidarietà e la condivisione tra i popoli, tutti presupposti sui quali costruire una nuova politica dell'accoglienza di un territorio che, nonostante la sua grande vocazione solidale, è costretto a mettere a disposizione risorse logistiche, umane ed economiche necessarie per evitare il collasso del suo territorio, e che in questo sforzo ha dovuto e potuto contare solo sulle proprie forze che a volte sono risultate deboli e inadeguate per affrontare l'emergenza;
    il Mezzogiorno, più che soldi, chiede più politica e più intelligenza. Il Mezzogiorno ha bisogno di un bacino produttivo autocentrato, esteso dal napoletano alla Sicilia;
    sul versante della formazione i sistemi scolastico ed universitario del Meridione esprimono professionalità con buoni livelli di qualifica che il tessuto produttivo locale non riesce però ad assorbire e valorizzare adeguatamente, relegando molti giovani nella condizione di dover scegliere fra l'emigrazione o l'inattività. Infatti, il mancato superamento dei vincoli costituiti da un apparato produttivo debole e da un sistema sociale bloccato, nonostante i progressi raggiunti nella formazione scolastica ed universitaria, condanna il Mezzogiorno al ruolo di fornitore di risorse umane qualificate al resto del Paese, ed i suoi migliori giovani a cercare altrove le modalità per mettere a frutto le proprie competenze e realizzare i propri sogni;
    occorre affrontare il declino italiano partendo dalla debolezza dell'economia meridionale: un deficit commerciale – quasi tutto in prodotti industriali – che è quasi il 20 per cento del suo prodotto interno lordo. Le numerose aree di eccellenza di cui è costellato il Mezzogiorno confermano che, al di là della retorica, quel territorio può costituire una risorsa per l'Italia, purché riesca a valorizzare ed esprimere pienamente le sue potenzialità, a partire da quelle umane e naturali,

impegna il Governo:

   a prevedere a favore delle regioni ad obiettivo convergenza:
     a) la messa a regime di forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
    b) lo sfruttamento del potenziale che ha il Sud per la produzione di energie tramite fonti rinnovabili attraverso il riconoscimento di significative tariffe incentivanti, come attualmente previsto dal V conto energia, ma limitato ai parchi solari su terreni delle pubbliche amministrazioni e sui tetti e le serre fotovoltaiche, per evitare ulteriori speculazioni sui terreni agricoli;
    c) l'avvio di un'innovativa programmazione del fondi strutturali europei, non solo per accelerare la capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, attraverso la concentrazione degli stessi su alcuni obiettivi, come scuola, formazione, ferrovie, agenda digitale, occupazione, servizi di cura per bambini e anziani, anche attraverso una maggiore responsabilizzazione delle strutture politico-amministrative centrali, con un orientamento ai risultati tramite obiettivi misurabili, e con la concentrazione su alcuni obiettivi prioritari senza comunque prescindere dall'ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di collocamento geo-strategico che ne fanno il crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici nord-sud e est-ovest;
   a rilanciare gli investimenti in infrastrutture, la riqualificazione del territorio, la rigenerazione delle città, con uno specifico programma di risanamento urbano per le città capitali del Sud a partire dalla città di Napoli, e l'ammodernamento della rete dei trasporti e tutti gli interventi in grado di aumentare la competitività delle aree meridionali: gli assi viari, i collegamenti ferroviari tra le città del Mezzogiorno, le opere di consolidamento idrogeologico, di adeguamento statico e di efficientamento energetico degli edifici e di risanamento dell'edilizia pubblica e scolastica e il risanamento dei centri storici e delle periferie;
   a mettere in essere una politica industriale articolata per la promozione delle energie rinnovabili, dell’hi-tech e delle infrastrutture immateriali;
   a sostenere con politiche specifiche l'industria della cultura ed il turismo sostenibile e promuovere i territori e i diffusi «know how» locali;
   a realizzare la linea ferroviaria di alta capacità Napoli-Reggio Calabria, facendo sì che la nuova linea – proprio perché è alta capacità e non alta velocità – sia spina dorsale di tutto il territorio meridionale, in grado di assicurare quasi dovunque frequentazioni giornaliere, con un tracciato che attraversi i territori interni, in cui sono storicamente situati gli insediamenti più rilevanti, e non – come il Governo sembra preferire – la costa tirrenica o, peggio, la costa ionica, tenendo conto che Potenza, in particolare, appare un nodo ferroviario irrinunciabile;
   a realizzare la linea Alta velocità/Alta capacità Napoli-Bari ed a prevedere un raccordo ferroviario con Matera, città europea della cultura per il 2019;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, nell'ottica della creazione di tre nuove città policentriche, per un adeguato servizio ferroviario regionale che, in sinergia con l'alta capacità, leghi in relazioni urbane (60 minuti) due gruppi di comuni, uno in Basilicata e Puglia (Potenza, Tricarico, Ferrandina, Matera, Altamura, Gravina, Genzano) e l'altro in Calabria (Cosenza, Rogliano, Serrastretta, Catanzaro, più gli insediamenti limitrofi);
   ad assumere le iniziative di competenza per realizzare la terza città policentrica con baricentro nel bipolo Reggio Calabria-Messina, nonché il tracciato anulare della città policentrica apulolucana (peraltro, in parte già realizzato ma mai completato), mentre il tracciato lineare della città calabrese sarebbe a costo zero (coincidendo con quello dell'alta capacità), considerato che il nuovo assetto territoriale aprirebbe una prospettiva industriale oggi impensabile;
   a costruire, grazie alla potenza delle economie di agglomerazione messe in gioco e le filiere produttive (prime fra tutte quelle distrettuali del made in Italy) che potrebbero agevolmente superare la loro frammentazione, configurando articolate relazioni intersettoriali ed integrando vecchie e nuove attività, un bacino produttivo aperto ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo, in grado di offrire tutto ciò che occorra ad un loro appropriato sviluppo;
   ad intraprendere le opportune iniziative per fare diventare i porti di Taranto, Gioia Tauro e Crotone – in coordinamento con Genova e Trieste – il nodo esclusivo dei flussi commerciali tra Oriente e Occidente e, quindi, sedi di nuove rilevanti attività manifatturiere, in modo che si possano trasformare, grazie al gigantismo navale e alle crescenti economie di scala con cui stanno facendo i conti le grandi compagnie di navigazione, i porti che diverrebbero luoghi appetibili non solo per le attività indotte dalla movimentazione container (assemblaggio, imballaggio ed altro), ma anche per altre attività cui sia strategico l'accesso al mare, potendosi creare nei retro-porti un polo specializzato della meccanica strumentale pesante;
   a confermare la percentuale di riparto del Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnando l'85 per cento delle risorse al Sud e il 15 per cento al Centro-Nord;
   a dare rapida attuazione agli interventi a favore dei lavoratori in mobilità, dei licenziati, dei giovani e delle donne disoccupati, degli inattivi e di coloro che né lavorano, né svolgono un'inattività di studio o formazione (neet) del Mezzogiorno, nonché ad aumentare gli sforzi per creare un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, utilizzando parte significativa delle risorse derivanti dalla terza e ultima riprogrammazione dei fondi comunitari;
   a finanziare misure di agevolazione fiscale de minimis per le micro e le piccole imprese, con particolare attenzione alle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile e femminile, operative nelle città con aree a più elevata criticità economico-sociale del Meridione;
   a promuovere, coerentemente con quanto recita l'articolo 119, quinto comma, della Carta costituzionale, «la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona», con un forte presidio nazionale degli interventi finanziati con il Piano di azione coesione, con particolare riferimento ai servizi di cura per la prima infanzia e gli anziani, verificando, in tale contesto di promozione dei diritti di cittadinanza, la possibilità di concentrare le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per gli obiettivi di servizio sugli interventi volti ad aumentare i servizi socio-assistenziali per bambini ed anziani nei comuni, nonché l'opportunità di estendere la sperimentazione della nuova social card familiare a tutti i comuni del Sud o, in alternativa, ai soli comuni capoluogo e valutando ogni altro adempimento, di competenza del Governo, necessario a migliorare l'efficienza delle strutture ospedaliere;
   a promuovere l'internazionalizzazione delle imprese meridionali, in particolare attraverso interventi mirati a sostegno della capacità di penetrazione nei mercati esteri dei settori di specializzazione e l'attivazione di forme di tutoraggio a vantaggio delle piccole e medie imprese dei settori ad elevato potenziale;
   a promuovere, attraverso un tavolo permanente Cipe-regioni del Mezzogiorno e Trenitalia o altri concessionari, un efficace monitoraggio della qualità del servizio di trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, anche con riferimento al contratto di servizio con Rete ferroviaria italiana, nel più ampio tema della mobilità nel Mezzogiorno e dal Sud verso il Centro-Nord e viceversa, che interessi anche la razionalizzazione e il rafforzamento del sistema portuale e aeroportuale calabrese, anche attraverso un progetto che preveda l'utilizzo in modo integrato e intermodale dell'attuale assetto del trasporto (treni, aliscafi, bus e aerei), per rendere più efficiente ed economica la gestione del sistema stesso, in sinergia con il sistema dei trasporti della Sicilia;
   a sostenere per le regioni obiettivo convergenza, nell'ambito dei negoziati per la riforma della politica agricola comune, una riforma non penalizzante dei pagamenti diretti, favorendo l'inserimento nel greening anche dell'olivicoltura e dell'agrumicoltura, nonché una riforma che preveda un aiuto specifico in favore delle coltivazioni tipiche di tali aree, anche sotto forma di maggiorazione degli aiuti diretti della politica agricola comune;
   a sollecitare la realizzazione di interventi per lo sviluppo dei principali siti archeologici ed un programma specifico per i siti Unesco del Mezzogiorno, anche per accrescere l'offerta turistica, rendendola adeguata e competitiva, attraverso, in particolare, il potenziamento dei servizi di accoglienza delle aree archeologiche, nel quadro dell'ampia riprogrammazione dell'intervento per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale delle regioni del Sud, finanziato attraverso le risorse dei fondi strutturali comunitari;
   a riprogrammare le risorse disponibili mantenendole integralmente al Mezzogiorno, ivi incluse quelle derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale;
   ad indirizzare interventi adeguati nelle agglomerazioni produttive vitali, industriali e agricole, del Mezzogiorno allo scopo di rafforzare soprattutto il contesto territoriale nelle aree capaci di esportare e di cogliere così i benefici della domanda mondiale;
   a compensare i maggiori costi unitari delle imprese del Mezzogiorno e le loro difficoltà nell'accesso al credito, sia rilanciando lo strumento del fondo di garanzia, sia sbloccando i contratti di sviluppo, sia rifinanziando gli strumenti volti al sostegno dell'imprenditoria giovanile, sia infine, ricorrendo, previa intesa con la Commissione europea, ai crediti d'imposta per l'occupazione e gli investimenti destinando una quota significativa di risorse;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per rafforzare i servizi per la cura dell'infanzia e degli anziani non autosufficienti, ambito nel quale gli interventi possono migliorare significativamente la condizione dei cittadini specie in una fase di forte compressione del reddito disponibile dalle famiglie del Mezzogiorno;
   ad assumere iniziative per reintegrare, nell'ambito del riparto e della programmazione 2014-2020 delle risorse comunitarie e del Fondo per lo sviluppo e la coesione, le risorse che il Mezzogiorno ha perduto negli ultimi anni.
(1-00680)
(Nuova formulazione) «Scotto, Costantino, Sannicandro, Palazzotto, Duranti, Piras, Giancarlo Giordano, Ferrara, Placido, Matarrelli, Pannarale».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Maestri n. 4-04697 del 5 maggio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04208;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate n. 4-06513 del 21 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04210.