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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 2 dicembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le reti di accesso di nuova generazione cablate, costituite in tutto o in parte in fibra ottica, sono in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga e ultra larga molto più avanzati – grazie ad una maggiore capacità di trasmissione – rispetto alle reti in rame esistenti;
    le tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono il settore che più di ogni altro dà impulso e sostiene la crescita e lo sviluppo di un Paese: come è noto, le reti di nuova generazione – fisse e mobili – contribuiscono fattivamente alla crescita economica: secondo la Banca mondiale nella misura dell'1,3 per cento di prodotto interno lordo per ciascuna quota aggiuntiva del 10 per cento nella diffusione della banda larga;
    l'infrastruttura di nuova generazione rappresenta, pertanto, una priorità di investimento perché contribuisce a sviluppare quell’«ecosistema digitale» necessario per recuperare produttività, attrarre investimenti, rivitalizzare la competitività internazionale e creare nuova occupazione qualificata;
    la percentuale di investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione sul prodotto interno lordo in Europa è, in media, pari a circa il 6 per cento, mentre in Italia non supera il 4,5 per cento. È ampiamente dimostrato che i Paesi che hanno un rapporto investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione/prodotto interno lordo più elevato hanno più alti livelli di produttività; metà della crescita della produttività degli ultimi anni negli Stati Uniti è delegata al contributo degli investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione; in Europa gli investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione contribuiscono alla crescita della produttività per il 40 per cento, mentre in Italia per non più del 23 per cento;
    la capacità di crescita delle aziende è sempre più inserita e condizionata dal contesto del sistema Paese: le possibilità di sviluppo delle aziende passano sia dalla capacità di individuare nuovi paradigmi e/o modelli di business, ai quali contribuisce l'investimento in tecnologie dell'informazione e della comunicazione, sia dal contesto in cui operano in termini di servizi tecnologici fruibili nel proprio territorio;
    l'Agenda digitale non deve puntare a smaterializzare la carta, ma a far materializzare nuovi processi organizzativi e finanziari più coerenti con l'attuale contesto economico. La scelta dello switch-off (ovvero il passaggio totale dall'analogico al digitale) rappresenta l'unico modo per arrivare finalmente alla totale digitalizzazione delle comunicazioni interne alla pubblica amministrazione e tra questa e i cittadini e le imprese, inoltre è la chiave per spingere anche il nostro Paese a sviluppi rapidi sul digitale, agevolando al contempo l'alfabetizzazione digitale;
    l'Agenda digitale europea ha fissato ambiziosi obiettivi in termini di reti e di servizi da conseguire entro il 2020: a) il 100 per cento di copertura con un collegamento a velocità superiore a 30 megabit al secondo e almeno il 50 per cento di popolazione connessa a 100 megabit al secondo; b) il 50 per cento della popolazione europea dovrà comunicare ed interagire con la pubblica amministrazione con modalità di rete; c) il 50 per cento dei cittadini dovrà abitualmente utilizzare l’e-commerce e il 75 per cento dovrà regolarmente ricorrere a internet; d) almeno il 33 per cento delle piccole e medie imprese dovrà vendere i propri prodotti o servizi mediante internet;
    l'Italia ha, da un lato, un'insufficiente dotazione di questa fondamentale infrastruttura per cui occorre attivare tutte le iniziative necessarie per accelerarne lo sviluppo, e, dall'altro, una sovrabbondanza di infrastrutture di rete realizzate nel corso degli anni da enti locali, aree metropolitane e società miste, fuori dal controllo degli operatori di telecomunicazioni che duplicano infrastrutture esistenti spesso rimaste del tutto inattive;
    l'Italia sconta un grave ritardo nella realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale europea, anche a seguito di uno sterile confronto tra disponibilità prioritaria dell'infrastruttura o quella dei nuovi servizi digitali, che non ha contribuito né a sviluppare nuovi servizi (sganciandoli definitivamente dalle precedenti modalità fisiche o analogiche) né ad ottimizzare le pur considerevoli dotazioni dell'attuale infrastruttura di rete intesa complessivamente, pubblica e privata;
    l'Italia sconta una grave arretratezza su cultura e competenze digitali; dalla capacità d'uso, la cosiddetta «cittadinanza digitale», alle competenze digitali per il lavoro (tutti i lavori), la cosiddetta e-leadership, per finire, non ultimo, alle competenze specialistiche necessarie allo sviluppo di sistemi e servizi, sviluppo che consentirebbe al Paese di spostarsi da mero mercato consumer a Paese produttore di tecnologie;
    la recente indagine conoscitiva sulla concorrenza statica e dinamica nel mercato dei servizi di accesso e sulle prospettive di investimento nelle reti di telecomunicazioni a banda larga e ultra-larga condotta congiuntamente dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha suggerito quattro ipotetiche forme di intervento pubblico per lo sviluppo delle reti di comunicazioni a banda ultra larga, distinte in funzione del grado di indirizzo esercitato dalla politica pubblica sul processo di sviluppo delle infrastrutture e del livello di investimento pubblico per la realizzazione delle reti, ovvero: a) le politiche di sostegno indiretto degli investimenti sia dal lato dell'offerta che della domanda; b) l'attività di coordinamento, controllo e monitoraggio dei processi di sviluppo delle reti («oversight»); c) l'investimento pubblico nella realizzazione delle reti nelle aree a «fallimento di mercato»; d) l’«accelerazione» del processo di sviluppo tecnologico;
    la medesima indagine conoscitiva ha sottolineato che nel caso di costituzione di una rete nga (next generation access) di tipo Fttc, Fiber to the cabinet, sarebbe riutilizzabile solo il 36 per cento delle infrastrutture civili esistenti nella sezione primaria della rete di accesso in rame;
    il Governo, in attuazione dei piani previsti nell'accordo di partenariato 2014-2020, ha recentemente presentato il piano «Crescita Digitale» e il «Piano nazionale Banda Ultra Larga», i cui obiettivi strategici sono strettamente collegati. Piani che saranno sottoposti a una consultazione con gli stakeholder del settore;
    il Piano strategico banda ultra larga (Bul) prevede, entro il 2020, la copertura per l'85 per cento della popolazione con connettività di almeno 100 megabit al secondo e per il restante 15 per cento almeno 30 megabit al secondo attraverso investimenti per 6 miliardi di euro pubblici e 2 miliardi di euro privati;
    in particolare, il Piano strategico banda ultra larga prevede che – oltre i 2 miliardi di euro di investimenti privati – le fonti di finanziamento saranno pubbliche e per lo più in programmi europei. In particolare, 419 milioni di euro dal Piano strategico banda ultra larga; 2,4 miliardi di euro da programmi operativi regionali a valere sul Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e sul Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (Feasr); 230 milioni di euro da programmi operativi nazionali Fesr, fino a 5 miliardi di euro dal Fondo sviluppo e coesione (2014-2020),

impegna il Governo:

   a promuovere la realizzazione di reti di accesso di nuova generazione aperte, efficienti, neutrali, economiche e pronte per evoluzioni future, garantendo il rispetto delle regole di libero mercato e concorrenza, anche attraverso azioni di coordinamento e di governance;
   a favorire e sostenere gli investimenti delle imprese di telecomunicazioni, degli investitori istituzionali, delle utility in un'infrastruttura di accesso di nuova generazione aperta, efficiente e pro competitiva, anche favorendo amministrativamente la posa di reti di comunicazione, assumendo iniziative per ridurre i tempi per il rilascio dei relativi permessi ed escludendo il pagamento di oneri o indennizzi, fermo restando il solo obbligo di ripristino dello stato dei luoghi;
   a incrementare, in un'ottica di efficienza della governance, il catasto di ogni infrastruttura, del sotto e sopra suolo, funzionale alla realizzazione di reti di banda ultra larga, siano esse in titolarità di operatori di comunicazione elettronica o di organismi pubblici e di concessionari pubblici;
   a prevedere nelle cosiddette «zone a fallimento di mercato» e nelle quali non saranno previsti investimenti con fondi pubblici la possibilità di incentivare l'utilizzo di tecnologie alternative ai fini di ridurre il digital divide;
   a realizzare concretamente tutti gli interventi necessari all'Agenda digitale nazionale, che consentano il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale europea, mediante tutti gli strumenti di guida, che assolvano funzione di trasparenza delle procedure e di controllo dell'efficacia delle azioni dell'intera catena decisionale e realizzativa dei soggetti cointeressati (Governo, regioni, enti locali e autorità regolatorie);
   a favorire lo sviluppo degli obiettivi del Piano strategico di crescita digitale, anche attraverso apposita iniziativa normativa che attui gli obiettivi del Piano, in particolare quelli relativi al programma «Italia login», e riduca le barriere d'ingresso ai servizi digitali anche attraverso un'azione di accompagnamento volta a ridurre il cosiddetto analfabetismo digitale;
   a favorire la diffusione dell'utilizzo della rete e l'alfabetizzazione digitale anche attraverso una pianificazione dello switch-off dei servizi analogici della pubblica amministrazione verso servizi esclusivamente digitali, accompagnando cittadini e imprese nel processo di transizione con interventi coordinati di sviluppo delle competenze digitali in grado di stimolare anche la domanda di servizi e la capacità di integrarli nel cambiamento del Paese ed infine di realizzarli.
(1-00678) «Bruno Bossio, Carbone, Boccadutri, Tullo, Martella, Coppola, Bonaccorsi, Bargero, Lodolini, Mauri, Aiello, Losacco».


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del canone è solo una delle problematiche relative alla «questione Rai»: non sfugge a nessuno, infatti, come sia essenziale e non più rinviabile procedere alla riforma «complessiva» della Rai che, al momento, sembra assolvere solo in parte al suo ruolo di servizio pubblico risultando poco attrattiva nei confronti degli utenti in generale e delle nuove generazioni in particolare;
    per affrontare un tale percorso appare fondamentale che l'azienda sia guidata da personalità con competenze gestionali ed editoriali di alto profilo, in condizione di dar vita ad un piano editoriale di rilevante livello ed in linea con i relativi obblighi di servizio pubblico;
    l'individuazione dei manager che debbono guidare la Rai in questo percorso virtuoso debbono essere selezionati con la massima trasparenza e, soprattutto, effettuando una valutazione approfondita delle loro qualità professionali;
    nel prendere in esame il tema della riforma del canone Rai non si può non partire dalla considerazione che esso costituisce un'imposta di scopo e, in quanto tale, non può prescindere dalla qualità del servizio offerto;
    non è possibile affidare a soluzioni estemporanee e di discutibile fattibilità (inserendo, ad esempio, una tassa in una tariffa) un tema tanto delicato e particolarmente avvertito dai cittadini, che affronterebbero diversamente la questione se la Rai svolgesse in termini reali, virtuosi e con alti standard di qualità il suo ruolo di servizio pubblico;
    l'articolo 1 del regio decreto-legge n. 246 del 1938, convertito dalla legge n. 880 del 1938, ha disposto che chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento;
    l'articolo 27, comma 8, primo periodo, della legge n. 488 del 1999, ha poi disposto che il canone di abbonamento alla televisione è attribuito per intero alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo ad eccezione della quota pari all'1 per cento già spettante all'Accademia di Santa Cecilia;
    la Corte costituzionale, pronunciandosi sulla legittimità dell'imposizione del canone radiotelevisivo prevista dall'articolo 1 del regio decreto-legge n. 246 del 1938 ha chiarito con la sentenza n. 284 del 2002 che lo stesso costituisce in sostanza un'imposta di scopo destinato come esso è, quasi per intero (a parte la modesta quota ancora assegnata all'Accademia nazionale di Santa Cecilia) alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
    la sentenza citata, infatti, giustifica l'esistenza di una forma di finanziamento, sia pure non esclusiva, del servizio pubblico mediante ricorso all'imposizione tributaria e, quindi, dell'imposizione del canone in virtù della funzione svolta dalla Rai che svolge un servizio specifico per il soddisfacimento del diritto dei cittadini all'informazione e per la diffusione della cultura, con il fine di ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese;
    in seguito l'articolo 47 del decreto legislativo n. 177 del 2005, riprendendo i contenuti dell'articolo 18 della legge n. 112 del 2004 e disciplinando il finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo ha disposto, in particolare, che entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni, con proprio decreto, stabilisce l'ammontare dei canoni di abbonamento in vigore dal 1o gennaio dell'anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo. Ha, altresì, previsto che è fatto divieto alla società concessionaria di utilizzare direttamente o indirettamente i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo;
    dai dati comunicati l'11 febbraio 2014 in VI Commissione (Finanze) dal Governo risulta che il 27 per cento delle famiglie italiane non paghi il canone Rai: a fronte di 22,7 milioni di euro di nuclei familiari tenuti al pagamento del tributo, circa 5,9 milioni di euro non sono in regola con il saldo. L'entità di tale fenomeno è differenziata tra le diverse regioni: si va dal 18 per cento dell'Emilia Romagna al 43 per cento della Campania. Tali cifre rilevano che l'evasione del canone Rai è superiore per quasi 19 punti percentuali alla media europea;
    sempre in base ai dati forniti dal Governo, nell'ambito delle attività finalizzate al recupero dei canoni dovuti e non spontaneamente pagati da parte dei contribuenti morosi, sono stati inviati, nell'anno 2012, oltre 3 milioni di avvisi di pagamento e di solleciti, nonché iscritte a ruolo oltre 500 mila posizioni per il recupero coattivo delle somme non pagate. Sono stati, inoltre, effettuati incroci tra gli archivi degli «abbonati» e quelli delle anagrafi comunali, con l'emissione di oltre 5 milioni di comunicazioni finalizzate all'acquisizione di nuovi abbonati;
    tali attività appaiono insufficienti a contrastare il fenomeno dell'evasione del canone Rai e il danno è stato quantificato in circa 650 milioni di euro annui di mancato gettito;
    negli scorsi anni è stata avanzata l'ipotesi di far pagare il canone radiotelevisivo integrandolo con la bolletta per la fornitura dell'energia elettrica; tale misura, tuttavia, oltre a configurare una stortura di sistema, in quanto si carica una tassa su una tariffa, ad essere invisa alla popolazione e ad essere osteggiata dalle associazioni consumeristiche, non consente di commisurare il canone alle condizioni economiche dei nuclei familiari che ne usufruiscono; inoltre, la sussistenza di una pluralità di fornitori del servizio elettrico crea anche problemi di contabilizzazione delle somme spettanti; infine, si configura il rischio che, essendo gli ultrasettantacinquenni esentati dal canone, una rilevante quota di contratti elettrici si sposti verso fascia di popolazione, che peraltro in Italia è sovrarappresentata;
    il regime di controlli sull'evasione del canone produce risultati del tutto insufficienti in relazione ai costi sostenuti; addirittura la procedura dell’«insaccamento» dell'apparecchio radiotelevisivo, utilizzata sin dagli anni Cinquanta per gli abbonati che disdicevano il canone, e ancora in uso, ha perso totalmente di significato in quanto il prezzo degli apparecchi radiotelevisivi si è drasticamente ridotto nel corso degli anni ed è quindi estremamente facile per gli evasori sostituire l'apparecchio «insaccato» con un nuovo apparecchio ad un prezzo inferiore a quello del canone;
    è pertanto necessario intervenire al fine di promuovere efficaci interventi diretti a ridurre l'evasione del pagamento del canone, dando certezza di risorse alla concessionaria radiotelevisiva, sia pure in un quadro di complessiva ristrutturazione della stessa, in termini di minori costi generali e di un più proficuo utilizzo di risorse,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di assumere iniziative per riformare il canone Rai, valutando se non sia opportuno trasformarlo, nel pieno rispetto della sentenza n. 284 del 2002 della Corte costituzionale, in imposta collegata e ricompresa nelle imposte sui redditi, quindi con gli opportuni criteri di progressività, sopprimendo integralmente un regime di controlli costoso e poco produttivo e in tal modo riducendone significativamente l'importo e collegando altresì tale intervento ad una riforma complessiva della Rai.
(1-00679) «Garofalo, De Girolamo, Dorina Bianchi, Pizzolante, Minardo, Piso, Pagano, Vignali».


   La Camera,
   premesso che:
    la Svimez con il suo recentissimo rapporto sull'economia del Mezzogiorno ha ricordato che questa fase del Mezzogiorno è la peggiore dal dopoguerra in poi. Le previsioni lasciano intravedere ancora altri due anni di recessione (si arriverà così ad 8 anni consecutivi). Eppure questa situazione così drammatica non viene affatto percepita come tale dal mondo politico ed imprenditoriale;
    non si può sottovalutare il fenomeno dell'impoverimento industriale e fisico del Mezzogiorno che, in assenza di contromisure, condurrà le regioni meridionali, oggi le più ricche di giovani, a un drammatico invecchiamento se i giovani laureati e competenti continueranno ad abbandonare le città del Sud al ritmo di più di centomila all'anno;
    tutti i dati – da quelli di Banca d'Italia a quelli di Unioncamere, di Svimez e Istat – concordano nell'analisi di una realtà non ferma, ma in profonda regressione dal punto di vista sociale, dal punto di vista economico, dal punto di vista culturale e civile. I dati su occupazione, procedure fallimentari, liquidazione e scioglimenti di società di persone e di capitale convergono tutti nella direzione di descrivere una condizione che, negli anni, ha visto crisi sovrapporsi a crisi, fino ad incrociare la crisi perfetta che si sta vivendo in questi tempi;
    l'Esecutivo ha confermato la sua politica di totale disimpegno nei confronti di un'area del Paese, il Mezzogiorno, che con la sua produzione contribuisce ad un quarto del prodotto interno nazionale, dimostrando in tal modo di sottovalutare la dimensione nazionale e le ricadute della questione meridionale e l'impossibilità per una nazione di mantenere la propria unità, se parti di essa procedono a velocità diverse, accentuando fra loro il disequilibrio;
    sarebbe auspicabile che il Governo facesse un'inversione di rotta e ricomprendesse nella sua agenda politica le istanze e le energie delle tante forze vive presenti nel tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno, al fine di farle emergere ed esprimersi nei contesti internazionali e sui mercati con maggiore facilità, senza rimanere penalizzate, come troppo spesso oggi accade, da fattori di contesto;
    d'altra parte, nel corso degli anni le politiche per il Mezzogiorno hanno oscillato tra due paradigmi, quello assistenziale e quello compensativo, in funzione della diminuzione più o meno graduale del gap con il Centro-Nord, e che si sono rivelati fallimentari e non premianti;
    il Mezzogiorno ha subito più del Centro-Nord le conseguenze della crisi economica, con una caduta maggiore del prodotto interno lordo e una riduzione ancora più pesante dell'occupazione nel biennio di recessione 2008-2009, mentre la debole ripresa del successivo biennio 2010-2011 è stata nell'area troppo incerta e insufficiente;
    tra il 2007 e il 2011 il prodotto interno lordo meridionale ha subito una riduzione in termini reali del 6,1 per cento, a fronte di una riduzione del 4,1 per cento nel Centro-Nord;
    il Mezzogiorno è a rischio desertificazione umana e industriale, si continua a emigrare (116 mila abitanti nel solo 2013) e a non fare figli, infatti nel 2013 continuano a esserci più morti che nati. Nel Sud la popolazione continua a impoverirsi, con un aumento del 40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno. Sono alcuni dati che emergono dal rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014 presentato il 28 ottobre a Roma;
    nel 2013 al Sud i decessi hanno superato le nascite, confermando il trend già in atto dall'anno precedente. Un fenomeno così grave si era verificato solo nel 1867 e nel 1918, cioè alla fine di due guerre, la terza guerra d'indipendenza e la prima Guerra mondiale: «Nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177 mila, il valore più basso mai registrato dal 1861». «Il Sud – sottolinea la Svimez – sarà interessato nei prossimi anni da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27 per cento sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3 per cento»;
    la Svimez sottolinea come gli investimenti produttivi nel Sud sono crollati del 53 per cento;
    la Calabria, come si evince dalla drammaticità e dalla crudezza del dato statistico, confermato da altri autorevoli centri di ricerca istituzionali, evidenzia sul piano socio-economico una drammatica specificità negativa, continuando inesorabilmente a declinare in un lento processo di separazione anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno: i dati dei centri di ricerca evidenziano, sul piano socio-economico, una forte specificità negativa, anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno;
    la Calabria si conferma, infatti, la regione più povera d'Italia con un prodotto interno lordo pro capite che nel 2013 si è fermato a 15.989 euro, meno della metà delle regioni più ricche come Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia. Nel Mezzogiorno la regione con il prodotto interno lordo pro capite più elevato è stata l'Abruzzo (21.845 euro). Seguono il Molise (19.374 euro), la Sardegna (18.620), la Basilicata (17.006 euro), la Puglia (16.512 euro), la Campania (16.291 euro), la Sicilia (16.152 euro) e la Calabria (15.989 euro). In generale, in termini di prodotto interno lordo pro capite, il Mezzogiorno nel 2013 è sceso al 56,6 per cento del valore del Centro-Nord, tornando ai livelli del 2003, con un prodotto interno lordo pro capite pari a 16.888 euro. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 25.457 euro, risultante dalla media tra i 29.837 euro del Centro-Nord e i 16.888 euro del Mezzogiorno;
    nel Sud appena il 21,6 per cento delle donne sotto i 34 anni è occupata contro il 43,0 per cento del Centro-Nord e una media nazionale del 34,7 per cento. Il confronto con la media dell'Unione europea evidenzia il divario. Nell'Europa a 27 Stati le donne sotto i 34 anni che lavorano sono il 50,9 per cento. Le donne che rientrano, o entrano per la prima volta, nel mercato del lavoro, vanno a ricoprire posizioni poco qualificate. Dal 2008 al 2013 le professioni qualificate femminili sono scese dell'11,7 per cento, mentre sono aumentati del 15 per cento i posti di lavoro nelle professioni poco qualificate;
    il prodotto interno lordo si attesterà a -0,4 per cento nel 2014, come «risultato tra la stazionarietà del Centro-Nord (0 per cento) e la flessione del Sud (-1,5 per cento)». Per il Sud è il settimo anno di recessione. Forbice ancora divaricata nel 2015: il prodotto interno lordo nazionale, secondo le stime Svimez, è previsto a +0,8 per cento, quale risultato tra il +1,3 per cento del Centro-Nord e il -0,7 per cento del Sud;
    nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, peggiorando la flessione dell'anno precedente (-3,2 per cento), con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4 per cento). Il peggior andamento del prodotto interno lordo meridionale nel 2013 è dovuto soprattutto a una più sfavorevole dinamica della domanda interna con i consumi in calo del 2,4 per cento e gli investimenti crollati del 5,2 per cento. Da segnalare l'ulteriore perdita di posti di lavoro scesi sempre nel Mezzogiorno del 3,8 per cento. In un panorama fortemente negativo, le esportazioni nel 2013 hanno segnato -0,6 per cento al Sud. Tra il 2008 e il 2013 i redditi al Sud sono crollati del 15 per cento e i posti di lavoro sono diminuiti di circa 800 mila persone;
    al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443 mila (il 5,8 per cento del totale) a 1 milione 14 mila (il 12,5 per cento del totale), cioè il 40 per cento in più solo nell'ultimo anno. È quanto emerge dal rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014. Secondo il rapporto, in Italia, dal 2008 al 2012, sono aumentate del 7 per cento le famiglie in stato di «deprivazione materiale severa», cioè che non riescono, ad esempio, a pagare l'affitto o il mutuo, fare una vacanza di una settimana una volta l'anno fuori casa, pagare il riscaldamento, fronteggiare spese inaspettate, e che magari non hanno l'automobile, la lavatrice, il telefono, la TV, e fanno fatica a fare un pasto di carne o pesce ogni due giorni. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di povertà assoluta, equamente divise tra Centro-Nord e Sud (1 milione e 14 mila famiglie per ripartizione), con un aumento di 1 milione e 150 mila famiglie rispetto al 2007;
    tra il 2008 e il 2013 delle 985 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583 mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, pur essendo presente appena il 26 per cento degli occupati italiani si concentra il 60 per cento delle perdite determinate dalla crisi. Nel solo 2013 sono andati persi 478 mila posti di lavoro in Italia, di cui 282 mila al Sud. La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche basi di dati. Nel primo trimestre 2014 il Sud ha perso 170 mila posti di lavoro rispetto all'anno precedente, contro -41mila nel Centro-Nord. A fronte di una quota di occupati pari a circa un quarto dell'occupazione complessiva, tra il primo trimestre del 2013 e il primo trimestre del 2014 l'80 per cento delle perdite di posti di lavoro in Italia si è concentrata al Sud;
    l'ultimo rilevamento dell'Istat del 28 novembre 2014 certifica una volta di più che il tasso disoccupazione nel Mezzogiorno nel mese di ottobre 2014 supera il 20 per cento (rispetto ad un dato nazionale, pur preoccupante, del 13,3 per cento);
    in questo scenario, rischiano di apparire come semplice palliativo anche strumenti e programmi, che avevano rappresentato almeno una speranza per i territori del Sud, come «Garanzia giovani»: quelle risorse rischiano di essere utili più a chi fa dell'intermediazione del lavoro o dell'intermediazione finanziaria la propria attività, piuttosto che per creare lavoro e reddito in quelle aree;
    il tessuto sociale si presenta sempre più lacerato e le manifestazioni di insofferenza e di conflitto, che si allargano giorno dopo giorno, sono i sintomi di una malattia che potrebbe rendere instabile sia la coesione sociale che la forza stessa delle istituzioni;
    di fronte a questa drammatica realtà tutto il dibattito sul Sud sembra appuntarsi sui fondi comunitari, come se questi fossero da soli in grado di portare il Mezzogiorno fuori dalle sue difficoltà attuali. Molti studiosi, viceversa, concordano sul fatto che lo sviluppo del Sud non può essere delegato interamente alle politiche di coesione dell'Europa;
    basti riflettere che per il quadro strategico 2007-2013 restano da spendere da qui al 31 dicembre 2015 quasi 15 miliardi di euro tra Ministeri, regioni e privati. Per centrare l'obiettivo bisognerebbe spendere un miliardo al mese. Ma tale spesa è in larga misura inibita dal patto di stabilità interno. Secondo uno studio di Confindustria, nel 2015 per cinque regioni (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Molise) il cofinanziamento nazionale e il fondo di coesione supereranno il 60 per cento della spesa massima consentita dal loro patto di stabilità, rendendo nei fatti impossibile il completo utilizzo delle risorse europee;
    il Governo continua ad indicare la spesa dei fondi come unica via per uscire dalla crisi, ma esso sa bene che nel patto di stabilità non ci sono le condizioni finanziarie sufficienti ad effettuare i pagamenti. Quel poco che c'era (500 milioni di euro) nella legge di stabilità per il 2015 di esclusione dal patto di stabilità interno per il cofinanziamento delle regioni è stato, in seguito ai richiami della Commissione europea, addirittura soppresso;
    inoltre, l'articolo 12 della legge di stabilità per finanziare gli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato ha ridotto di un miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l'anno 2018 le risorse del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione che, dal sistema di monitoraggio del dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, risultano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014;
    in pratica, si tratta di risorse tolte al Mezzogiorno per finanziare gli sgravi contributivi per supposte nuove assunzioni, sgravi che saranno attribuiti prevalentemente al Centro-Nord;
    infine, non è ancora entrata in funzione l'Agenzia per la coesione a cui in tanti guardavano come una possibilità di aiuto per le regioni e i Ministeri, in questa ultima e difficile fase di completamento del programma comunitario 2007/2013;
    l'incremento della dotazione infrastrutturale diventa pertanto assolutamente prioritario ed indilazionabile per rendere il Mezzogiorno area capace di creare e di attrarre investimenti e a farsi partecipe del nuovo ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Africa, Medio Oriente ed Asia, e che, sfruttando la sua collocazione geografica, è chiamato ad assumere nello scacchiere euromediterraneo, anche raccogliendo le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale che torneranno a presentarsi dopo la tregua di tutti i conflitti del Nord Africa;
    la sopradetta collocazione geopolitica del Meridione, crocevia geografico naturale e storico degli interessi e degli scambi economici e culturali tra Europa e Nord Africa e punto di approdo più vicino ai rivolgimenti in atto in quella regione, lo trova però costretto a fare i conti con quella che oramai è considerata una grande emergenza umanitaria e cioè l'esplosione del fenomeno immigratorio;
    l'immigrazione non può essere arrestata, perché è parte della storia dell'umanità, ma va gestita nell'interesse dei Paesi di origine e di quelli di destinazione dei flussi migratori, anche e soprattutto per impedire il rischio di una deriva razzista, rischio che impone una rinnovata tensione ed un'azione pedagogica che si fondino su valori quali il rispetto della dignità umana, la solidarietà e la condivisione tra i popoli, tutti presupposti sui quali costruire una nuova politica dell'accoglienza di un territorio che, nonostante la sua grande vocazione solidale, è costretto a mettere a disposizione risorse logistiche, umane ed economiche necessarie per evitare il collasso del suo territorio, e che in questo sforzo ha dovuto e potuto contare solo sulle proprie forze che a volte sono risultate deboli e inadeguate per affrontare l'emergenza;
    il Mezzogiorno, più che soldi, chiede più politica e più intelligenza. Il Mezzogiorno ha bisogno di un bacino produttivo autocentrato, esteso dal napoletano alla Sicilia;
    sul versante della formazione i sistemi scolastico ed universitario del Meridione esprimono professionalità con buoni livelli di qualifica che il tessuto produttivo locale non riesce però ad assorbire e valorizzare adeguatamente, relegando molti giovani nella condizione di dover scegliere fra l'emigrazione o l'inattività. Infatti, il mancato superamento dei vincoli costituiti da un apparato produttivo debole e da un sistema sociale bloccato, nonostante i progressi raggiunti nella formazione scolastica ed universitaria, condanna il Mezzogiorno al ruolo di fornitore di risorse umane qualificate al resto del Paese, ed i suoi migliori giovani a cercare altrove le modalità per mettere a frutto le proprie competenze e realizzare i propri sogni;
    occorre affrontare il declino italiano partendo dalla debolezza dell'economia meridionale: un deficit commerciale - quasi tutto in prodotti industriali - che è quasi il 20 per cento del suo prodotto interno lordo. Le numerose aree di eccellenza di cui è costellato il Mezzogiorno confermano che, al di là della retorica, quel territorio può costituire una risorsa per l'Italia, purché riesca a valorizzare ed esprimere pienamente le sue potenzialità, a partire da quelle umane e naturali,

impegna il Governo:

   a prevedere a favore delle regioni ad obiettivo convergenza:
    a) la messa a regime di forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
    b) lo sfruttamento del potenziale che ha il Sud per la produzione di energie tramite fonti rinnovabili attraverso il riconoscimento di significative tariffe incentivanti, come attualmente previsto dal V conto energia, ma limitato ai parchi solari su terreni delle pubbliche amministrazioni e sui tetti e le serre fotovoltaiche, per evitare ulteriori speculazioni sui terreni agricoli;
    c) l'avvio di un'innovativa programmazione del fondi strutturali europei, non solo per accelerare la capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, attraverso la concentrazione degli stessi su alcuni obiettivi, come scuola, formazione, ferrovie, agenda digitale, occupazione, servizi di cura per bambini e anziani, anche attraverso una maggiore responsabilizzazione delle strutture politico-amministrative centrali, con un orientamento ai risultati tramite obiettivi misurabili, e con la concentrazione su alcuni obiettivi prioritari senza comunque prescindere dall'ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di collocamento geo-strategico che ne fanno il crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici nord-sud e est-ovest;
   a rilanciare gli investimenti in infrastrutture, la riqualificazione del territorio, la rigenerazione delle città e l'ammodernamento della rete dei trasporti e tutti gli interventi in grado di aumentare la competitività delle aree meridionali: gli assi viari, i collegamenti ferroviari tra le città del Mezzogiorno, le opere di consolidamento idrogeologico, di adeguamento statico e di efficientamento energetico degli edifici e di risanamento dell'edilizia pubblica e scolastica e il risanamento dei centri storici e delle periferie;
   a mettere in essere una politica industriale articolata per la promozione delle energie rinnovabili, dell’hi-tech e delle infrastrutture immateriali;
   a sostenere con politiche specifiche l'industria della cultura ed il turismo sostenibile e promuovere i territori e i diffusi «know how» locali;
   a realizzare la linea ferroviaria di alta capacità Napoli-Reggio Calabria, facendo sì che la nuova linea – proprio perché è alta capacità e non alta velocità – sia spina dorsale di tutto il territorio meridionale, in grado di assicurare quasi dovunque frequentazioni giornaliere, con un tracciato che attraversi i territori interni, in cui sono storicamente situati gli insediamenti più rilevanti, e non – come il Governo sembra preferire – la costa tirrenica o, peggio, la costa ionica, tenendo conto che Potenza, in particolare, appare un nodo ferroviario irrinunciabile;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, nell'ottica della creazione di tre nuove città policentriche, per un adeguato servizio ferroviario regionale che, in sinergia con l'alta capacità, leghi in relazioni urbane (60 minuti) due gruppi di comuni, uno in Basilicata e Puglia (Potenza, Tricarico, Ferrandina, Matera, Altamura, Gravina, Genzano) e l'altro in Calabria (Cosenza, Rogliano, Serrastretta, Catanzaro, più gli insediamenti limitrofi);
   ad assumere le iniziative di competenza per realizzare la terza città policentrica con baricentro nel bipolo Reggio Calabria-Messina, nonché il tracciato anulare della città policentrica apulolucana (peraltro, in parte già realizzato ma mai completato), mentre il tracciato lineare della città calabrese sarebbe a costo zero (coincidendo con quello dell'alta capacità), considerato che il nuovo assetto territoriale aprirebbe una prospettiva industriale oggi impensabile;
   a costruire, grazie alla potenza delle economie di agglomerazione messe in gioco e le filiere produttive (prime fra tutte quelle distrettuali del made in Italy) che potrebbero agevolmente superare la loro frammentazione, configurando articolate relazioni intersettoriali ed integrando vecchie e nuove attività, un bacino produttivo aperto ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo, in grado di offrire tutto ciò che occorra ad un loro appropriato sviluppo;
   ad intraprendere le opportune iniziative per fare diventare i porti di Taranto, Gioia Tauro e Crotone – in coordinamento con Genova e Trieste – il nodo esclusivo dei flussi commerciali tra Oriente e Occidente e, quindi, sedi di nuove rilevanti attività manifatturiere, in modo che si possano trasformare, grazie al gigantismo navale e alle crescenti economie di scala con cui stanno facendo i conti le grandi compagnie di navigazione, i porti che diverrebbero luoghi appetibili non solo per le attività indotte dalla movimentazione container (assemblaggio, imballaggio ed altro), ma anche per altre attività cui sia strategico l'accesso al mare, potendosi creare nei retro-porti un polo specializzato della meccanica strumentale pesante;
   a confermare la percentuale di riparto del Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnando l'85 per cento delle risorse al Sud e il 15 per cento al Centro-Nord;
   a dare rapida attuazione agli interventi a favore dei lavoratori in mobilità, dei licenziati, dei giovani e delle donne disoccupati, degli inattivi e di coloro che né lavorano, né svolgono un'inattività di studio o formazione (neet) del Mezzogiorno, nonché ad aumentare gli sforzi per creare un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, utilizzando parte significativa delle risorse derivanti dalla terza e ultima riprogrammazione dei fondi comunitari;
   a finanziare misure di agevolazione fiscale de minimis per le micro e le piccole imprese, con particolare attenzione alle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile e femminile, operative nelle città con aree a più elevata criticità economico-sociale del Meridione;
   a promuovere, coerentemente con quanto recita l'articolo 119, quinto comma, della Carta costituzionale, «la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona», con un forte presidio nazionale degli interventi finanziati con il Piano di azione coesione, con particolare riferimento ai servizi di cura per la prima infanzia e gli anziani, verificando, in tale contesto di promozione dei diritti di cittadinanza, la possibilità di concentrare le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per gli obiettivi di servizio sugli interventi volti ad aumentare i servizi socio-assistenziali per bambini ed anziani nei comuni, nonché l'opportunità di estendere la sperimentazione della nuova social card familiare a tutti i comuni del Sud o, in alternativa, ai soli comuni capoluogo e valutando ogni altro adempimento, di competenza del Governo, necessario a migliorare l'efficienza delle strutture ospedaliere;
   a promuovere l'internazionalizzazione delle imprese meridionali, in particolare attraverso interventi mirati a sostegno della capacità di penetrazione nei mercati esteri dei settori di specializzazione e l'attivazione di forme di tutoraggio a vantaggio delle piccole e medie imprese dei settori ad elevato potenziale;
   a promuovere, attraverso un tavolo permanente Cipe-regioni del Mezzogiorno e Trenitalia o altri concessionari, un efficace monitoraggio della qualità del servizio di trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, anche con riferimento al contratto di servizio con Rete ferroviaria italiana, nel più ampio tema della mobilità nel Mezzogiorno e dal Sud verso il Centro-Nord e viceversa, che interessi anche la razionalizzazione e il rafforzamento del sistema portuale e aeroportuale calabrese, anche attraverso un progetto che preveda l'utilizzo in modo integrato e intermodale dell'attuale assetto del trasporto (treni, aliscafi, bus e aerei), per rendere più efficiente ed economica la gestione del sistema stesso, in sinergia con il sistema dei trasporti della Sicilia;
   a sostenere per le regioni obiettivo convergenza, nell'ambito dei negoziati per la riforma della politica agricola comune, una riforma non penalizzante dei pagamenti diretti, favorendo l'inserimento nel greening anche dell'olivicoltura e dell'agrumicoltura, nonché una riforma che preveda un aiuto specifico in favore delle coltivazioni tipiche di tali aree, anche sotto forma di maggiorazione degli aiuti diretti della politica agricola comune;
   a sollecitare la realizzazione di interventi per lo sviluppo dei principali siti archeologici anche per accrescere l'offerta turistica, rendendola adeguata e competitiva, attraverso, in particolare, il potenziamento dei servizi di accoglienza delle aree archeologiche, nel quadro dell'ampia riprogrammazione dell'intervento per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale delle regioni del Sud, finanziato attraverso le risorse dei fondi strutturali comunitari;
   a riprogrammare le risorse disponibili mantenendole integralmente al Mezzogiorno, ivi incluse quelle derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale;
   ad indirizzare interventi adeguati nelle agglomerazioni produttive vitali, industriali e agricole, del Mezzogiorno allo scopo di rafforzare soprattutto il contesto territoriale nelle aree capaci di esportare e di cogliere così i benefici della domanda mondiale;
   a compensare i maggiori costi unitari delle imprese del Mezzogiorno e le loro difficoltà nell'accesso al credito, sia rilanciando lo strumento del fondo di garanzia, sia sbloccando i contratti di sviluppo, sia rifinanziando gli strumenti volti al sostegno dell'imprenditoria giovanile, sia infine, ricorrendo, previa intesa con la Commissione europea, ai crediti d'imposta per l'occupazione e gli investimenti destinando una quota significativa di risorse;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per rafforzare i servizi per la cura dell'infanzia e degli anziani non autosufficienti, ambito nel quale gli interventi possono migliorare significativamente la condizione dei cittadini specie in una fase di forte compressione del reddito disponibile dalle famiglie del Mezzogiorno;
   ad assumere iniziative per reintegrare, nell'ambito del riparto e della programmazione 2014-2020 delle risorse comunitarie e del Fondo per lo sviluppo e la coesione, le risorse che il Mezzogiorno ha perduto negli ultimi anni.
(1-00680) «Scotto, Costantino, Sannicandro, Palazzotto, Duranti, Piras, Giancarlo Giordano, Ferrara, Placido, Matarrelli, Pannarale».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    è stato accolto, in fase di discussione del decreto-legge di proroga delle missioni internazionali (decreto-legge 1o agosto 2014, n. 109, convertito dalla legge n. 141 del 1o ottobre 2014), l'ordine del giorno 9/02598-AR/033, a prima firma Luca Frusone, ove si richiedeva espressamente «a chiedere nelle sedi opportune che ogni iniziativa sul territorio siriano della coalizione anti-Isis sia autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con il più largo consenso della comunità internazionale e che siano evitate iniziative unilaterali che possano mettere a rischio la compattezza stessa del fronte anti-Isis»;
    il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è espresso in maniera molto chiara sulla crisi siriana, approvando all'unanimità la risoluzione, n. 2170 del 15 agosto 2014 e n. 2178 del 24 settembre 2014, ai sensi del capitolo VII della Carta dell'ONU;
    dalle autorità della regione autonoma siriana del Rojava, della quale fanno parte la provincia e la città di Kobane, si apprende come risultino mancare autoambulanze, strutture mediche e medicinali, mentre l'imminente arrivo dell'inverno espone oltre 1 milione e mezzo di profughi e sfollati ospitati nella regione in condizioni di drammatico disagio;
    una delegazione della III Commissione della Camera dei deputati ha svolto una missione a Erbil dal 2 al 5 novembre 2014 con l'obiettivo di approfondire le dinamiche connesse alla crisi in atto nella regione del Kurdistan iracheno; in particolare, con un sopralluogo al campo sfollati di Baharka la delegazione ha potuto constatare in quali condizioni precarie e al limite della dignità umana vivano gli oltre 3000 sfollati, in campi di accoglienza ormai insufficienti e messi alla prova dall'arrivo dell'inverno e dai fenomeni di sfruttamento di donne e bambini in una rete criminale di mercati di schiavi;
    è stato possibile, sempre durante la citata missione a Erbil, incontrare componenti delle forze peshmerga, che hanno richiesto alle forze internazionali, tra le altre cose, un particolare supporto di intelligence, equipaggiamenti difensivi e possibilità di formazione del loro personale per lo sminamento;
    è opportuno ricevere un mandato da parte del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in modo che le operazioni della coalizione internazionale contro l'Isis possano ancorarsi al diritto internazionale, coordinate dal segretario generale delle Nazioni Unite e possano estendersi anche ad altri Paesi e svilupparsi nel rispetto delle sovranità statuali riconosciute;
    sul piano umanitario l'impegno che attende la comunità internazionale riveste un carattere straordinario, alla luce della condizione in cui versano i circa 1,5 milioni di sfollati affluiti in Kurdistan. Al riguardo, occorre evidenziare il particolare disagio che segna la condizione della minoranza yazida che, a differenza di quella cristiana, non può contare su alcuna forma di organizzazione interna o rete di assistenza; attualmente, sarebbero 400 mila i rifugiati yazidi in Kurdistan, per lo più fuggiti in regioni di montagna; inoltre, sarebbero circa 3 mila le donne attualmente rapite e sotto il controllo dell'Isis, destinate al mercato degli schiavi, dove il prezzo medio di ogni singola donna è fissato in 650 dollari, elevato a 20 mila dollari qualora ONG o soggetti intermediari intendano riscattare le donne yazide;
    il 30 novembre 2014, nel corso dell'approvazione della legge di stabilità 2015 nel suo primo passaggio alla Camera dei deputati, è stato accolto un ordine del giorno a prima firma Spadoni in cui si impegna il Governo «ad assicurare un pieno sostegno all'azione italiana in termini di aiuti umanitari, all'azione dell'Unhcr e un contributo specifico in termini di strutture specializzate nell'accoglienza e nel supporto soprattutto psicologico alle vittime delle violenze»,

impegna il Governo:

   a prevedere un piano straordinario di aiuti umanitari, di mezzi di soccorso e di attrezzature mediche, da concordare con le organizzazioni umanitarie internazionali e con le organizzazioni non governative italiane ed europee, da inviare in Iraq e in Siria, nelle zone interessate dal conflitto o che ospitino campi di accoglienza dei profughi e degli sfollati dalle città teatro della guerra, senza distinzioni tra minoranze religiose;
   a prevedere l'avvio di progetti di sostegno psicologico per le donne fatte oggetto di compravendita e vittime di violenza sessuale;
   ad assumere un'iniziativa internazionale per il cessate il fuoco, la smilitarizzazione delle città contese, l'apertura di corridoi umanitari, il ripristino delle forniture di acqua potabile e di energia elettrica, il sostegno e l'accoglienza ai profughi come precondizione per il ritorno in sicurezza degli stessi nei loro villaggi e case;
   a chiedere agli «Amici della Siria» di cessare immediatamente di fornire finanziamenti e supporto ai gruppi jihadisti e, in caso di risposta negativa, a far uscire l'Italia da questa organizzazione;
   ad assumere iniziative affinché il governo Turco ponga fine all'embargo economico con le regioni libere di Rojava, consentendo la piena fruizione dei valichi di frontiera non controllati dall'ISIS e ad operare affinché la sperimentazione democratica dei tre cantoni di Rojava in Siria possa rafforzarsi dentro la prospettiva di un Paese libero, democratico e pluriconfessionale;
   a promuovere, in ultima istanza, un'indagine in sede ONU per la ricerca e la tracciabilità di tutte le fonti monetarie che finanziano forze armate irregolari e/o non riconosciute ufficialmente nell'area oggetto della risoluzione.
(7-00540) «Scagliusi, Spadoni, Manlio Di Stefano, Grande, Di Battista, Sibilia, Del Grosso».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    il diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale;
    in questo periodo di crisi, in cui precarietà e disoccupazione non garantiscono più nessuna copertura sociale, sempre più vaste aree di popolazione si sono trovate in emergenza abitativa tanto che questa situazione investe, non solo le fasce sociali più deboli, ma una sempre più ampia «fascia grigia» fatta di persone sole, nuclei familiari mono-genitori, giovani coppie, lavoratori precari, immigrati, studenti, anziani soli;
    in Italia abbiamo la necessità, secondo i dati degli ultimi censimenti, di almeno 700.000 case popolari. Si legge in una nota del Sindacato degli Inquilini che sono 40.000 le case popolari lasciate al degrado, che solo a Milano oltre 9.000 appartamenti sono chiusi, mentre a Roma centinaia di alloggi hanno urgenti necessità di manutenzione;
    oggi l'abitazione è un lusso per tutte le persone che, con redditi bassi o occupazioni intermittenti, tentano di costruirsi un'esistenza dignitosa, un lusso concesso solo a chi può comprarla a caro prezzo;
    per rispondere ai bisogni di milioni di cittadini occorre, invece, utilizzare l'immenso patrimonio immobiliare pubblico, che va ristrutturato e riutilizzato, per essere messo a disposizione delle famiglie bisognose che, massacrate dalla crisi economica, non hanno le risorse per accedere al libero mercato della locazione;
    lo scorso maggio, con la conversione in legge del decreto-legge n. 47 del 2014, è stato modificato il decreto-legge n. 112 del 2008, prevedendo che, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l'accesso alla proprietà dell'abitazione, entro il 30 giugno 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa della Conferenza unificata avrebbero approvato le procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli Istituti autonomi per le case popolari, tenendo conto anche della possibilità di favorire la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all'edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale e che le risorse derivanti dalle alienazioni dovranno essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente;
    nella riunione del 16 ottobre 2014 la Conferenza unificata ha sancito l'intesa prevista dall'articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 47 del 2014, convertito in legge n. 80 del 2014, sullo schema di decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, recante la definizione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati;
    i sindacati degli inquilini hanno chiesto il ritiro del decreto ed hanno organizzato mobilitazioni ed assemblee in tutte le città;
    la regione Campania approvando la mozione del PD sull'emergenza abitativa ha chiesto il ritiro del decreto, impegnando la giunta del presidente Caldoro «ad assumere ogni iniziativa utile nei confronti del Governo nazionale per ottenere il ritiro del decreto e la sua modifica al fine di eliminare la previsione di vendita all'asta del patrimonio pubblico.»;
    anche la regione Lazio tramite una nota dell'assessore Refrigeri si è espresso contro la vendita all'asta delle case popolari affermando che «la forma ipotizzata di vendita all'asta pubblica e con poche garanzie, così come la mobilità per coloro che non acquistano sono elementi che generano forti timori»;
    l'agenzia ADN Kronos il 15 novembre 2014 ha dato notizia che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato un comunicato nel quale si afferma che «non vi è alcun decreto attuativo» ma che, in accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze e con la Conferenza unificata, si «sta lavorando al testo di un decreto attuativo del cosiddetto “Piano casa” che prevede, per gli enti proprietari in accordo con le Regioni, la possibilità di messa in vendita degli alloggi di edilizia popolare la cui manutenzione sia economicamente onerosa». Pertanto continua la nota – «non è assolutamente previsto» che le abitazioni vengano messe in vendita «al valore di mercato» e che «il decreto in elaborazione, oltre che tentare di sanare la disastrosa situazione economica degli enti che gestiscono case popolari, permetterà agli inquilini di poter acquistare l'alloggio in cui vivono con diritto di prelazione e a condizioni vantaggiose» e che «nessun alloggio potrà essere venduto se all'inquilino che rinuncia alla prelazione non verrà offerta dall'ente proprietario una riallocazione in abitazione equivalente»;
    l'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014 convertito dalla legge n. 80 del 2014 prevede con una tempistica ben chiara l'approvazione di un decreto attuativo volto a promuovere un Programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica: «Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, d'intesa con la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approvano con decreto i criteri per la formulazione di un Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei comuni e degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, costituiti anche in forma societaria, e degli enti di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli IACP sia attraverso il ripristino di alloggi di risulta sia per il tramite della manutenzione straordinaria degli alloggi anche ai fini dell'adeguamento energetico, impiantistico statico e del miglioramento sismico degli immobili;
    entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni trasmettono al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti gli elenchi, predisposti dai comuni e dagli IACP, comunque denominati, delle unità immobiliari che, con interventi di manutenzione ed efficientamento di non rilevante entità, siano resi prontamente disponibili per le assegnazioni;
    con il decreto interministeriale di cui al comma 1 sono definiti i criteri di ripartizione delle risorse di cui al comma 5 tra le regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano che provvedono entro due mesi all'assegnazione delle risorse ai Comuni e agli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, nonché agli enti di edilizia residenziale aventi le stesse finalità degli IACP;
    il Governo riferisce alle competenti Commissioni parlamentari circa lo stato di attuazione del Programma di recupero di cui al presente articolo decorsi sei mesi dall'emanazione del decreto di cui al comma 1 e successivamente ogni sei mesi, fino alla completa attuazione del Programma»,

impegna il Governo:

   a sospendere le procedure di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e a modificare il decreto attuativo relativo all'articolo 3.1 del decreto-legge n. 47 del 2014 convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2014, al fine di procedere alla cancellazione della previsione di vendita all'asta delle case popolari, evitando così una pesantissima ricaduta in termini di ampliamento della precarietà abitativa in Italia;
    a prevedere nella nuova formulazione del decreto attuativo che gli inquilini assegnatari abbiano la possibilità di scegliere se comprare o no la casa come previsto dalla legge 24 dicembre 1993, n. 560;
    a restituire il pieno controllo del patrimonio immobiliare nella disponibilità dei cittadini, applicando il principio di trasparenza in tutte le fasi di gestione di tale patrimonio;
    a utilizzare, per tamponare l'emergenza abitativa il patrimonio immobiliare pubblico e quello privato che non risulti abitato, quello degli enti previdenziali e dei fondi immobiliari e bloccare le vendite speculative (ovvero a prezzi superiori a quelli di mercato) del patrimonio immobiliare pubblico;
    a prevedere l'aumento dell'offerta di alloggi a canone sociale;
    a provvedere quanto prima all'approvazione del decreto ministeriale contenente i criteri per la formulazione di un Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei comuni e degli Istituti, autonomi per le case popolari come previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014 convertito in legge n. 80 del 2014;
    a prevedere che tale programma abbia fondi certi per il recupero e l'autorecupero del patrimonio pubblico per la realizzazione di progetti per il riuso delle città secondo politiche volte al consumo di «suolo zero», nell'ottica di una concreta rigenerazione urbana, anche attraverso il meccanismo dell'autorecupero;
    a chiarire a quanto ammontino i fondi previsti per l'attuazione dell'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014 convertito in legge n. 80 del 2014;
    a dare quanto prima attuazione a quanto previsto dagli articoli 26 e 27 del decreto-legge sblocca Italia (decreto-legge n. 133 del 2014 convertito nella legge n. 164 del 2014) contenenti misure finalizzate alla valorizzazione degli immobili demaniali inutilizzati, con priorità di valutazione ai progetti di recupero di immobili a fini di edilizia residenziale pubblica (ERP), da destinare a nuclei familiari utilmente collocati nelle graduatorie comunali per l'accesso ad alloggi di edilizia economica e popolare e a nuclei sottoposti a provvedimenti di rilascio per morosità incolpevole nonché agli immobili da destinare ad autorecupero, affidati a cooperative composte esclusivamente da soggetti aventi i requisiti per l'accesso all'ERP ed a interventi per la bonifica dell'amianto e per la messa in sicurezza e l'incremento dell'efficienza energetica di scuole, asili nido, strutture socio-sanitarie, edilizia residenziale pubblica.
(7-00539) «Daga, Segoni, Zolezzi, Terzoni, De Rosa, Micillo, Mannino, Busto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta immediata:


   PIZZOLANTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento per l'informazione e l'editoria, nell'ambito dei propri compiti istituzionali, stipula contratti con le agenzie di stampa, per l'acquisto di servizi giornalistici ed informativi, come previsto dalla legge 15 maggio 1954, n. 237, secondo l'interpretazione autentica recata dall'articolo 55, comma 24, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;
   l'acquisto di tali servizi avviene tramite procedura negoziata ai sensi dell'articolo 57, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici);
   per l'individuazione dei contraenti abilitati a fornire i servizi di agenzia alle pubbliche amministrazioni statali, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha selezionato le sole agenzie a diffusione nazionale sulla base dei parametri indicati dall'articolo 2, comma 122, della legge 24 novembre 2006, n. 286 (che ha sostituito l'articolo 27, comma 2, della legge 5 agosto 1981, n. 416);
   in tale ambito normativo, anche per l'anno 2014 sono state stipulate convenzioni con 11 agenzie di stampa per la fornitura, alle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, di 6.333 postazioni per l'accesso ai servizi giornalistici, oltre a 112 postazioni «full» che consentono agli utenti di fruire di collegamenti per un numero illimitato di postazioni;
   si apprende che il dipartimento per l'informazione e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, in totale controtendenza con i proclami a favore del sostegno della libera informazione e dei lavoratori del settore, ha intenzione di modificare radicalmente i criteri in base ai quali sono stipulati i rapporti di convenzione tra le agenzie di stampa e la Presidenza del Consiglio dei ministri, senza procedere ad alcun tipo di confronto –:
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri ritenga utile instaurare il confronto con le parti sociali al fine di giungere ad una soluzione condivisa e di stabilire nuovi criteri per la stipula delle convenzioni con l'obiettivo di razionalizzare ed ottimizzare le spese, garantire la pluralità dell'informazione primaria e la sua specializzazione, evitare di favorire il costituirsi di posizioni dominanti in un mercato di fondamentale valore per il pluralismo dell'informazione e, infine, permettere a centinaia di professionisti di conservare il posto di lavoro. (3-01192)


   PANNARALE, NICCHI, MATARRELLI, ZARATTI, SCOTTO, AIRAUDO, DURANTI, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, PAGLIA, PALAZZOTTO, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   tutti gli indicatori economico-sociali evidenziano che il nostro Paese è ancora lontano dall'aver imboccato la strada giusta per contribuire a raggiungere, nell'ambito della strategia «Europa 2020», l'obiettivo europeo della riduzione entro quell'anno di almeno 20 milioni del numero di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale. In Italia infatti, secondo gli ultimi dati Istat, ammontano a circa 10 milioni i poveri relativi e tra questi circa 6 milioni sono quelli assoluti, coloro, cioè, che non hanno i mezzi finanziari per condurre una vita dignitosa o per accedere a beni e servizi di base; anche il ceto medio e quei gruppi sociali tradizionalmente estranei al disagio sociale sono sempre più coinvolti dalla vulnerabilità economica e stanno gradualmente scivolando verso forme d'indigenza. Sempre l'Istat, ma a mezzo del suo presidente, dottor Giorgio Alleva, ha affermato che il cosiddetto bonus irpef da 80 euro «porterebbe a una lieve riduzione della diseguaglianza economica e del numero di poveri» e che la relativa spesa relativa, circa 10 miliardi di euro l'anno, «andrebbe a beneficiare individui per circa due terzi in famiglie con redditi medio-alti e avrebbe un'incidenza di beneficiari maggiore tra le coppie con figli»;
   anche il nuovo rapporto Caritas 2014 (novembre) su povertà ed esclusione sociale in Italia, dal titolo «False partenze», viene in soccorso a questa visione, aprendo, dal suo punto di osservazione e di ascolto, una finestra sul fenomeno della povertà in Italia confermando i suddetti dati. Nel corso del 2013, il problema bisogno più frequente degli utenti dei 220 centri di ascolto delle Caritas diocesiane è stato quello della povertà economica (59,2 per cento del totale degli utenti), seguito dai problemi di lavoro (47,3 per cento) e dai problemi abitativi (16,2 per cento). Tra gli italiani l'incidenza della povertà economica è molto più pronunciata rispetto a quanto accade tra gli stranieri (65,4 per cento contro il 55,3 per cento). Più elevata la presenza di problemi occupazionali tra gli immigrati rispetto agli italiani (49,5 per cento contro il 43,8 per cento). Interessante notare come i problemi familiari siano più diffusi tra gli italiani (13,1 per cento rispetto al 5,7 per cento degli stranieri), mentre la situazione appare rovesciata per quanto riguarda i problemi abitativi, più diffusi nella componente straniera dell'utenza (17,2 per cento contro il 14,6 per cento). Una fetta cospicua di utenti richiede beni e servizi materiali (34 per cento);
   stesso scenario, ma da un'altra prospettiva, è quello delineato dal recente dossier della Coldiretti sulle «Nuove povertà del Belpaese. Gli italiani che aiutano», ove si legge che per effetto della crisi economica si registra un aumento esponenziale degli italiani senza risorse sufficienti neanche per sfamarsi, che in Italia nel 2013 4.068.250 poveri sono stati costretti a chiedere aiuto per ottenere cibo con un aumento del 10 per cento rispetto al 2012 e del 47 per cento rispetto al 2010, ovvero ben 1.304.871 persone in più negli ultimi tre anni, e che ci sono 428.587 bambini con meno di cinque anni che nel 2013 hanno necessitato di aiuto per poter consumare latte e cibo. Sempre dal medesimo dossier emerge che ben 578.583 anziani over 65 sono dovuti ricorrere ad aiuti alimentari, con un aumento del 14 per cento rispetto al 2012;
   secondo la relazione sul «Piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti 2013» realizzata dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, Agea, gli italiani indigenti che hanno ricevuto pacchi alimentari o pasti gratuiti attraverso i canali no profit che distribuiscono le eccedenze alimentari hanno raggiunto il numero di 4,1 milioni di persone. Le risorse ad oggi assegnate dal Governo per dette finalità si confermano ad avviso degli interroganti del tutto inadeguate;
   resta immutato il problema di fondo rispetto al modo in cui nel nostro Paese si contrasta, poco o per niente, la povertà. Le stesse politiche sociali, infatti, sono spesso pensate in modo da non raggiungere gli strati più poveri della popolazione. Il bonus 80 euro rappresenta uno dei paradossi più recenti, essendo questa misura solo l'ultima applicazione recente di un diffuso modo di operare che tende a concentrare su interventi di natura fiscale il peso delle politiche sociali, con il risultato però di escludere, nonostante i roboanti proclami del Presidente del Consiglio dei ministri di allargarne la platea dei beneficiari, da detto beneficio proprio gli incapienti, non raggiunti né dal bonus, né da eventuali altri sgravi o agevolazioni fiscali;
   per la povertà estrema rimangono gli stanziamenti, insufficienti (40 euro mensili) e stigmatizzati, della «social card» o «carta acquisti», che peraltro raggiungono una platea ridotta di beneficiari, nonché l'assegno sociale, destinato agli anziani ultrasessantacinquenni in condizioni economiche disagiate, e le pensioni di inabilità. Per il resto, e cioè per la gran parte dei poveri in età da lavoro, non rimane che rivolgersi ai servizi sociali dei comuni, che hanno però, a loro volta, i bilanci impoveriti dai tagli e dalle regole della stabilità finanziaria, oppure, più frequentemente, rivolgersi ai gruppi caritativi, «laici» o religiosamente ispirati;
   quella fin qui rappresentata è una realtà drammatica che il Governo dovrebbe affrontare, ribaltando la sua agenda politica, con misure coraggiose alle quali accompagnare una riflessione di fondo sulla natura stessa dell'economia italiana. L'espansione della povertà, che nell'ultimo biennio ha assunto livelli preoccupanti, mina, infatti, la stessa ripresa economica del Paese –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative urgenti e di carattere strutturale al fine di superare tutte le forme di povertà e sostenere chi è in difficoltà, anche adottando, come hanno già fatto quasi tutti gli altri Paesi europei, un piano nazionale di lotta contro la povertà.
(3-01193)


   BRUNETTA e PALESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la proposta del piano di investimenti da 315 miliardi di euro del Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, si è rivelato secondo gli interroganti un vero e proprio «imbroglio», finalizzato a coprire, come un'inutile mascheratura, l'egoismo egemonico tedesco e i tragici errori di politica economica nella gestione della crisi della Commissione europea dal 2008 a oggi;
   come dice con grande onestà intellettuale anche l'ex Ministro Pd Vincenzo Visco: «Sarebbe necessario che qualcuno si alzasse a dire esplicitamente che la linea di politica economica seguita in Europa negli ultimi anni è sbagliata e autolesionistica e che bisogna effettivamente cambiare verso. (...) Il semestre italiano è stato un'occasione perduta»;
   insomma, per coprire la non reflazione tedesca (più domanda, più investimenti, meno surplus), Juncker lancia il suo piano di investimenti ad avviso degli interroganti ridicolo. E il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, presidenti di turno dell'Unione europea, a dirsi sostanzialmente soddisfatti;
   purtroppo, non c’è nulla di cui essere soddisfatti: i 315 miliardi di euro di cui si parla sono costituiti solo da 21 miliardi «veri», a carico degli Stati, versati in un fondo apposito che dovrebbe a sua volta emettere obbligazioni per ottenere dal mercato le risorse mancanti, con una leva finanziaria di 1 a 15 assolutamente poco credibile;
   si ipotizza che gli investimenti da finanziare, essenzialmente infrastrutture, siano in grado di produrre un reddito sufficiente a remunerare gli investitori privati, anch'essi coinvolti nel meccanismo della leva finanziaria. Questo significa che i privati, per realizzare redditi dall'operazione, selezioneranno con grande cura i progetti da finanziare, riducendone drasticamente il numero possibile. Resteranno, pertanto, escluse tutte le opere pubbliche non suscettibili di produrre un reddito direttamente quantificabile, per esempio quelle relative al recupero del territorio, mentre i progetti che verranno sostenuti dai privati, in quanto remunerativi, sarebbero comunque stati finanziati dal mercato, anche senza l'intervento del fondo della Commissione europea, che si rivela, pertanto, del tutto inutile;
   la vera risposta per superare la crisi nell'eurozona è una e una sola: la reflazione in Germania. Vale a dire rilancio della domanda interna; stimolo a consumi e investimenti; aumento dei salari; aumento dell'inflazione fino al suo livello fisiologico (2 per cento), con conseguente aumento dei rendimenti dei titoli del debito pubblico tedesco; relativa svalutazione dell'euro, troppo forte nei confronti delle altre monete –:
   quali iniziative in sede europea il Governo intenda adottare, al fine di sollecitare la Germania a ridurre i suoi squilibri macroeconomici, in particolare il surplus della bilancia dei pagamenti, e reflazionare, cosa che l'Italia in Europa finora, nonostante il semestre di presidenza dell'Unione europea, non ha fatto, tutta preoccupata di farsi perdonare la sua politica economica secondo gli interroganti fallimentare. (3-01194)


   MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99, prevede che entro sessanta giorni dalla data di trasmissione al Governo della relazione annuale dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il Governo, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, deve presentare alle Camere il disegno di legge annuale per la concorrenza;
   il disegno di legge sulla concorrenza deve contenere disposizioni di immediata applicazione finalizzate a rimuovere gli ostacoli all'apertura dei mercati, promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche con riferimento alle funzioni pubbliche e ai costi regolatori condizionanti l'esercizio delle attività economiche private, nonché a garantire la tutela dei consumatori, anche in relazione ai pareri e alle segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché alle indicazioni contenute nelle relazioni annuali dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e delle altre autorità amministrative indipendenti;
   nel 2013 il disegno di legge annuale per la concorrenza non è stato presentato dal Governo Letta;
   in data 4 luglio 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha trasmesso al Governo le proprie proposte di riforma concorrenziale, ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza; il termine previsto dalla legge è, quindi, scaduto da circa 90 giorni;
   nelle sue proposte, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato richiede interventi in una serie di settori strategici e di particolare rilevanza per il sistema economico e per i consumatori: tra questi, distributori di carburanti, banche, comunicazioni, mercato dei farmaci, infrastrutture e servizi portuali e aeroportuali, assicurazioni, energia, servizi sanitari, servizio postale, rifiuti, ordini professionali, servizi pubblici locali, società pubbliche;
   nello specifico, appaiono di particolare rilevanza gli interventi raccomandati in materia di assicurazioni, distributori di carburante (visto l'anomalo andamento del prezzo della benzina, pur in presenza del calo del prezzo del petrolio), maggiore liberalizzazione del settore farmaceutico e degli ordini professionali, riforma dei servizi pubblici locali e delle società pubbliche, che sono oggi numerosissime, costosissime e spesso dannosamente in concorrenza con gli imprenditori privati;
   secondo il rapporto annuale dell'Istituto Bruno Leoni sull'indice delle liberalizzazioni, l'Italia è all'ultimo posto in Europa quanto a liberalizzazione dei mercati: una situazione che, secondo studi di Banca d'Italia, costa al nostro Paese l'8 per cento del prodotto interno lordo;
   la raccomandazione del Consiglio europeo del 2 giugno 2014 sul programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia, al punto 7, invita espressamente il nostro Paese a «promuovere l'apertura del mercato e rimuovere gli ostacoli rimanenti e le restrizioni alla concorrenza nei settori dei servizi professionali e dei servizi pubblici locali, delle assicurazioni, della distribuzione dei carburanti, del commercio al dettaglio e dei servizi postali; potenziare l'efficienza degli appalti pubblici, specialmente tramite la semplificazione delle procedure attraverso l'uso degli appalti elettronici, la razionalizzazione delle centrali d'acquisto e la garanzia della corretta applicazione delle regole relative alle fasi precedenti e successive all'aggiudicazione; in materia di servizi pubblici locali, applicare con rigore la normativa che impone di rettificare entro il 31 dicembre 2014 i contratti che non ottemperano alle disposizioni sugli affidamenti in house»;
   fino ad oggi, l'azione del Governo non ha incluso alcun intervento diretto di liberalizzazione, o comunque finalizzato allo sviluppo di una maggiore concorrenza nel mercato italiano –:
   se il Governo, considerando prioritaria la liberalizzazione dei mercati, intenda presentare rapidamente il disegno di legge annuale per la concorrenza, recependo, in particolare, gli interventi proposti dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nei settori assicurativo, degli ordini professionali, dei distributori di carburante, dei farmaci, dei servizi pubblici locali e delle società pubbliche. (3-01195)


   PISICCHIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, come il Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato intervenendo al Senato della Repubblica alla 52esima riunione del Cosac, spende tra i dieci e gli undici miliardi di euro di fondi europei a fronte di un contributo annuo doppio, di venti miliardi;
   questa circostanza pone, dunque, il nostro Paese nella condizione paradossale di importante «finanziatore» dell'Unione europea ma di minore percettore di risorse, recuperate per dimensione, pari a quasi alla metà di ciò che viene erogato;
   d'altro canto il rischio di deflazione nell'area euro, come dichiarato dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, resta molto elevato e creerebbe un ulteriore ostacolo alla crescita dell'economia ed alla creazione di nuovi posti di lavoro, nonostante l'avvio del cosiddetto piano Junker, che comunque rappresenta un primo importante segnale nella direzione di una visione «sociale» e non solo finanziaria dell'Europa;
   in una recente intervista ad un importante quotidiano il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che sarebbe favorevole ad un intervento diretto dello Stato per risolvere la drammatica questione dell'Ilva;
   la dichiarazione d'intenti sull'Ilva è, dunque, indicativa di una volontà di intervento nelle aree meridionali e nelle strutture industriali di base, ma in qualche modo rivendicherebbe un'autonomia di azione del Governo italiano, che fa leva anche sull'importante ruolo che il nostro Paese svolge in Europa;
   tuttavia, la dichiarazione sull'Ilva sembrerebbe, però, non compatibile con la riduzione del cofinanziamento per i fondi di sviluppo europei nelle regioni del Sud;
   in particolare, sembrerebbe che tre miliardi e mezzo di cofinanziamento sarebbero dirottati dalle regioni del Sud per finanziare le assunzioni a tempo indeterminato, rappresentando, così, un unico «calderone» nazionale –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere, anche nelle competenti sedi europee, per dare effetto all'intento manifestato dal Presidente del Consiglio dei ministri di realizzare interventi statali sul piano dell'industria siderurgica e se, per quel che concerne l'occupazione giovanile nel Mezzogiorno, non ritenga di promuovere iniziative vincolando le risorse rivenienti dal budget del cofinanziamento alla creazione di posti di lavoro nelle aree meridionali, al fine di sostenerne la crescita. (3-01196)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 del decreto-legge n. 201/2011, cosiddetto «salva Italia», di riforma delle regole di accesso al pensionamento, ha disposto, in sintesi, l'abolizione delle pensioni di anzianità, l'innalzamento repentino dei requisiti anagrafici per accedere alla pensione di vecchiaia, le penalizzazioni per le pensioni anticipate (età inferiore a 62 anni a prescindere dall'anzianità contributiva) ed il calcolo col sistema contributivo di tutte le pensioni a decorrere dal 1o gennaio 2012;
   trattasi della tristemente nota «riforma Fornero», che ha creato non poche piaghe sociali; basti pensare agli esodati, intendendo con tale terminologia anche tutti quei lavoratori sottoposti ad ammortizzatori sociali o addirittura licenziati e che erano prossimi alla pensione secondo le regole previgenti o al personale della scuola cosiddetto «quota ’96», vale a dire gli oltre tremila docenti in procinto di maturare, appunto, la quota 96 quale somma di età anagrafica e contributiva, ma che si son visti sfumare il diritto a pensione per un errore tecnico dell'allora Governo Monti di prendere in considerazione l'anno solare invece che quello scolastico;
   proprio riguardo agli esodati, l'ultimo report diffuso dall'Inps il 27 ottobre 2014, relativo alle procedure di monitoraggio dei lavoratori beneficiari di salvaguardia, denuncia che la questione è tutt'altro che chiusa, sia per il numero degli aventi diritto certificati dall'istituto rispetto ai posti disponibili e sia per l'esclusione, in tutte e sei le salvaguardie, di talune categorie di lavoratori;
   in occasione dell'esame parlamentare del provvedimento relativo alla sesta salvaguardia, il sottosegretario Bobba, nella seduta della Commissione lavoro della Camera dei deputati il 24 giugno 2014, aveva preannunciato soluzioni strutturali;
   parimenti, anche con il personale della scuola «quota ’96» il Governo si è impegnato ripetutamente nelle aule parlamentari ad addivenire ad una soluzione, rinviandone ogni volta l'intervento normativo al provvedimento successivo a quello in discussione;
   la «riforma Fornero» ha colpito duramente anche i lavoratori addetti a mansioni usuranti, stravolgendo i requisiti per la pensione anticipata con un sistema di quote meno favorevole, trasformando quello che per loro era un diritto in un miraggio;
   l'ultima problematica, in ordine di notizia a mezzo stampa, causata dalla «riforma Fornero» è il rischio per l'Inps di un buco di 2 milioni di euro nel 2014 e di quasi 500 milioni di euro fra dieci anni, derivante dalla previsione di legge di calcolare tutte le pensioni col sistema contributivo, senza porre un tetto a quelle più alte; caso quest'ultimo sottovalutato dal Governo in carica e dai suoi predecessori nonostante i ripetuti solleciti della Lega Nord con proposte di legge e mozioni, salvo correre ai ripari con interventi last minute, salvaguardando comunque i trattamenti dei pensionati d'oro dell'ultimo triennio;
   è indubbio, peraltro, che la crescita esponenziale del tasso di disoccupazione – pari al 13,2 per cento fra i più altri dell'eurozona ed il più alto in assoluto degli ultimi 37 anni – sia dovuta non soltanto alla fase recessiva che il nostro Paese sta vivendo, bensì anche e soprattutto alla «riforma Fornero» che, prolungando la permanenza al lavoro con l'innalzamento dell'età pensionabile, ha di fatto bloccato il ricambio generazionale, portando la disoccupazione giovanile al 43,3 per cento –:
   se, considerato quanto esposto in premessa con riguardo alle innumerevoli «falle» contenute nella riforma previdenziale «targata Fornero» ed ai disastrosi risultati prodotti, il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per pervenire nel più breve tempo possibile all'abrogazione dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 ed al ripristino della normativa pensionistica previgente.
(3-01197)


   CECCONI, PESCO, CASTELLI, DADONE, RUOCCO, SORIAL, CANCELLERI, CASO, BARBANTI, BRUGNEROTTO, ALBERTI, CARIELLO, PISANO, COLONNESE, VILLAROSA, CURRÒ e D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in alcuni Stati, come gli Stati Uniti d'America, il Governo si astiene dallo stipulare contratti relativi a «derivati», soprattutto in seguito all'aver accertato i gravissimi rischi nei quali è possibile incorrere. L'Italia al contrario – come si apprende da fonti stampa – sembrerebbe essere il maggior utilizzatore di strumenti derivati;
   gli strumenti derivati sono contratti o titoli il cui prezzo dipende da un altro strumento finanziario, definito «sottostante», il cui valore è relazionato ad una vera e propria «scommessa». L'incertezza della scommessa determina la rischiosità degli strumenti derivati. Come attività sottostanti si riscontrano diverse tipologie di parametri, ad esempio azioni, obbligazioni, indici finanziari, commodity come il petrolio o anche di un altro derivato, ma esistono derivati basati sulle più diverse variabili, perfino sulla quantità di neve caduta in una determinata zona o sulle precipitazioni in genere. Il derivato si sostanzia, in determinati casi, anche in una vera e propria scommessa, rischiosa e speculativa, basata su un evento incerto futuro;
   nella seduta della Camera dei deputati n. 605 del 15 marzo 2012, il Sottosegretario Marco Rossi Doria, in risposta a interrogazione parlamentare, ha dichiarato che, alla data suddetta, il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammontava a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. All'epoca, quindi, il nozionale ammontava a circa il 10 per cento dei titoli in circolazione; «degli strumenti derivati in essere», affermava il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, «circa 100 miliardi erano interest rate swap, 36 miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi degli swap ex Ispa»;
   secondo fonti giornalistiche, nei primi otto anni di utilizzo degli strumenti derivati le finanze pubbliche hanno beneficiato di quasi 8 miliardi di euro di guadagni, mentre a partire dal 2006 la tendenza si è invertita e le perdite sono state sempre più consistenti. Da elaborazioni di la Repubblica e Financial Times (svolte sulla base di una relazione del Ministero dell'economia e delle finanze sul debito pubblico, inviata alla Corte dei conti a inizio 2013) emerge che un rilevante numero di derivati (del valore di 31 miliardi di euro), ristrutturati nel 2012, ha generato circa 8 miliardi di euro di minusvalenze di mercato. Le perdite si sono concretizzate nell'ipotesi di scadenze o risoluzione anticipata;
   l'intenzione del Governo sembra essere quella di permettere che, in futuro, vengano predisposte delle garanzie su «conti ad hoc», immunizzando dal rischio le banche. Infatti, nel caso in cui l'Italia andasse in default, le banche riceverebbero automaticamente le liquidità poste a garanzia, di fatto qualificandosi come creditori privilegiati rispetto ai detentori di titoli pubblici (btp), che ormai in gran parte sono in possesso di investitori italiani;
   è doveroso precisare che nell’«eurozona» solo Portogallo ed Irlanda hanno posto in essere accordi di garanzia bilaterale sul «debito» e l'Italia potrebbe essere la terza in ordine cronologico di adesione al sistema prescritto;
   dopo la rivalutazione delle quote azionarie di Banca d'Italia, che di fatto ha generato circa 7 miliardi di euro di plusvalenze per pochi istituti bancari, bilanciate solo da un miliardo di maggiori entrate fiscali, e dopo la deducibilità ai fini irap delle «perdite» sui crediti in 5 anni (rispetto ai 18 originari) che ha consentito alle sei principali banche di ricevere ulteriori sgravi per 514 milioni di euro, sembra eccessivo concedere alle banche un ulteriore privilegio, visto che, contemporaneamente, agli italiani – in piena crisi economica – è stato chiesto l'ennesimo sacrificio pur consci che il livello di tassazione effettiva sfiora ormai il 55 per cento del prodotto interno lordo;
   non si dispone di dati ufficiali dai quali sia possibile evincere il valore nozionale degli strumenti derivati sottoscritti fino ad oggi dallo Stato italiano, l'ammontare dei flussi di cassa in entrata e uscita, con quali banche siano stati sottoscritti e quale sia il capitale di riferimento, quale sia la tipologia tecnica e quale sia il valore complessivo delle garanzie che verranno eventualmente stipulate relativamente ad operazioni in strumenti derivati;
   recenti iniziative del Governo sembrerebbero riferirsi a possibili garanzie su strumenti derivati già stipulati; non si comprendono le ragioni di una modifica di un contratto già stipulato e conseguentemente le ragioni di una modifica contrattuale a favore delle banche con le quali sono stati stipulati i medesimi strumenti derivati –:
   quale sia il valore complessivo degli accordi di garanzia bilaterale in relazione alle operazioni in strumenti derivati e quale siano le ragioni che hanno portato a preferire la scelta di destinare tali risorse come garanzia sulle operazioni in strumenti derivati a discapito dell'opportunità di destinare le medesime risorse al finanziamento delle politiche sociali, che risultano particolarmente necessarie nell'attuale contesto economico e sociale.
(3-01198)


   SPERANZA, MARTELLA, ROSATO, FREGOLENT, GRASSI, MORANI, TARANTO, EPIFANI, BENAMATI, BINI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dall'inizio della «grande crisi», se il settore manifatturiero ha registrato, a livello europeo, la perdita di quasi quattro milioni di posti di lavoro e una caduta degli investimenti di circa 350 miliardi di euro, l’export industriale europeo si conferma positivo con un surplus, nel 2013, di circa 365 miliardi di euro e circa l'80 per cento dell'innovazione nel settore privato risulta comunque generato dal comparto industriale;
   per quel che riguarda l'Italia, fatto 100 l'indice della produzione industriale del gennaio 2008, esso risultava pari a 76 già a dicembre del 2012 e l'occupazione nel settore registrava, a giugno del 2013, una diminuzione di oltre 500 mila unità. Nonostante ciò, a settembre 2014 si è registrato un surplus manifatturiero, sul versante dell’export, che ha toccato la quota record di 100 miliardi di euro e, secondo recenti analisi, circa il 27 per cento dell'occupazione e circa il 40 per cento del prodotto interno lordo (percentuali superiori alla media dell'Unione europea) trarrebbero origine, nel nostro Paese, da imprese altamente innovative;
   nel complesso scenario della globalizzazione, si sono registrati – tanto a livello europeo, quanto a livello nazionale – forti processi di polarizzazione che, per l'Italia, evidenziano come fattori particolarmente critici: i rischi di desertificazione industriale della macro-area territoriale del Mezzogiorno; il posizionamento di molte imprese, rispetto alle grandi catene globali del valore, in un ruolo di subfornitura, seppure caratterizzata da elevati livelli di qualità e di complessità tecnologica; il basso grado di partecipazione del tessuto diffuso delle piccole e medie imprese ai processi di internazionalizzazione ed innovazione;
   al quadro del sistema industriale fin qui delineato, il Governo ha anzitutto risposto con una strategia – bene espressa, tra l'altro, dal disegno di legge di stabilità per il 2015 – ispirata al perseguimento di una più efficace interazione tra riforme strutturali e politica di bilancio, tra misure volte al rafforzamento del potenziale dell'economia e misure dedicate al sostegno della domanda aggregata, nonché agendo per l'avanzamento di una simile impostazione complessiva anche a livello europeo;
   quanto al più specifico terreno delle politiche industriali, l'operato del Governo mostra di essersi sviluppato in coerenza con la strategia europea per il perseguimento dell'obiettivo 2020 di innalzamento della quota del prodotto interno lordo generata dall'industria dall'attuale 15 per cento al 20 per cento, strategia che si basa su quattro fondamentali assi operativi:
    a) più mercato interno ed internazionale;
    b) un più agevole accesso ai mezzi di produzione (energia, materie prime, capitali);
    c) più intelligenza e più sostenibilità attraverso più innovazione;
    d) una regolamentazione più «amichevole»;
   alle difficoltà del sistema industriale italiano si è cercato di dare risposta anche attraverso la task-force istituita presso il Ministero dello sviluppo economico, incaricata della gestione delle vertenze più complesse e rilevanti, con appositi tavoli di confronto;
   in questi mesi, anche attraverso la suddetta task-force, diverse vertenze, alcune delle quali particolarmente critiche, hanno trovato uno sbocco positivo come nei casi del tavolo Electrolux e del tavolo Eni, che ha registrato, nel corso del mese di novembre 2014, la firma dei protocolli d'intesa per la riconversione della raffineria di Gela e per il rilancio della chimica e della raffinazione di Porto Marghera; proseguono i lavori del tavolo concernente il futuro del sito ex Fiat di Termini Imerese ai fini dell'avvio della produzione di auto ibride ed elettriche;
   sono, altresì, in corso trattative circa le vertenze del settore dell'acciaio, a partire dalla vicenda Ast-ThyssenKrupp di Terni, così come, contestualmente, si registra, da parte dell'algerina Cevital, l'aggiudicazione del bando per la vendita degli asset della Lucchini di Piombino;
   la collaborazione tra pubblico e privato emerge, quindi, come profilo distintivo di una politica industriale adeguata alle sfide in campo, portando, come annunciato dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, a valutare, nel caso dell'Ilva, anche la possibilità di un transitorio intervento pubblico e, ancora ad esempio della capacità di fare sistema, provando a rilanciare il tema dell'investimento sul trasporto pubblico locale anche in relazione alle prospettive dell'ex Irisbus –:
   quali iniziative il Governo intenda promuovere in materia di politiche industriali per la definizione di possibili soluzioni di alcune importanti vertenze, nonché per l'elaborazione di un industrial-compact italiano, anche sulla scorta di quanto emerso nell'ambito delle riunioni del «Consiglio competitività», svoltesi durante la presidenza del semestre dell'Unione europea, contribuendo così al rafforzamento della competitività del nostro Paese e dell'attrattività del suo settore industriale, anche in termini di investimenti esteri. (3-01199)


   MARAZZITI, BUTTIGLIONE, GIGLI, BINETTI, SANTERINI e SBERNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di ottobre 2014 la bandiera nera dello Stato islamico sventola nella città di Derna in Libia, che ha ripreso l'antico nome di Barqa ed è oggi il primo califfato che l'Isis è riuscita a proclamare nel Mediterraneo;
   è stato lo sceicco yemenita Mohammed Abdullah (nome di battaglia Abu al Baraa al Azdi) a proclamare la «provincia della Cirenaica», in arabo Wilayat Barka, con l'aiuto di 800 miliziani. Oltre al Consiglio della Shura, altre brigate partecipano al controllo della nuova provincia affiliata al califfo, tra le quali «Lo scudo libico», Rafallah al Sahati, i «Martiri della brigata del 17 febbraio» e Jaish al Mujahideen;
   secondo Human rights watch, gli 80.000 abitanti di Derna sono tenuti in pugno dai miliziani dell'Isis con i medesimi sistemi usati in Iraq e Siria: impiccagioni, decapitazioni, flagellazioni in pubblico, distruzione di moschee e tombe, assassinii;
   un regno del terrore a circa 430 miglia nautiche dall'Italia, poco meno di 800 chilometri, meno della distanza esistente tra Torino e Napoli o da Milano a Bari;
   il Consiglio della Shura ha annunciato di avere cellule diffuse in svariate città della Libia, tra cui la capitale Tripoli, ma, al momento, Derna si afferma come il punto principale anche per il reclutamento di jihadisti provenienti dal Maghreb e, in particolare, dalla Tunisia, Paese che conta già 3.000 cittadini arruolati nello Stato islamico –:
   se il Governo stia monitorando la situazione e quali iniziative, anche in ambito europeo, intenda adottare tenuto conto che il califfato di Barqa rappresenta uno dei punti cruciali per l'espansione dello Stato islamico in Nord Africa.
(3-01200)


   GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dai dati del Ministero dell'interno emerge l'eccezionalità del 2014 per quanto riguarda gli sbarchi sulle coste italiane, che dall'inizio dell'anno ha portato a quota 130 mila il numero dei migranti giunti in Italia, oltre il triplo del 2013 e il doppio rispetto al 2011, anno dell'emergenza Nord Africa;
   a fronte di questi dati non va dimenticato che i centri di accoglienza in Italia possono accogliere attualmente appena cinquantamila persone e quindi, di fatto, alcune regioni si trovano a dover gestire un numero di migranti nettamente superiore rispetto a quello previsto;
   l'eccezionale afflusso di immigrati trae origine dalle difficili e pericolose condizioni di vita che esistono nei Paesi dai quali queste persone si trovano costrette a fuggire;
   il criterio del Paese di primo approdo stabilito dal «regolamento di Dublino» per la presentazione delle domande di asilo ha causato in Italia un incremento del 144 per cento dei richiedenti;
   solo nell'ultimo anno il numero accertato delle persone morte in mare cercando di raggiungere l'Italia è triplicato;
   l'unico modo per evitare altre tragedie in mare è un'attività di prevenzione che possa scongiurare non solo le partenze dalle coste libiche, ma anche i viaggi che queste persone sono costrette ad effettuare per giungere nei «porti di partenza» in mano ad organizzazioni criminali e in condizioni disumane;
   non è noto per quali motivi all'atto della riforma del «regolamento di Dublino» non si sia intervenuti al fine di modificare il criterio del Paese di primo approdo per la presentazione delle domande di asilo –:
   se non ritenga di attivarsi affinché sia promossa una missione internazionale europea che permetta di prevenire le tragedie legate all'immigrazione clandestina attraverso l'istituzione di appositi presidi nei Paesi dai quali partono i maggiori flussi migratori che siano in grado di effettuare una valutazione preventiva delle possibilità dei soggetti migranti di ottenere le previste forme di protezione internazionale nei Paesi dell'Unione europea, anche al fine di garantire un'adeguata distribuzione tra i Paesi stessi dei migranti e dei costi relativi alla gestione della loro accoglienza.
(3-01201)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Val d'Astico, una delle più belle e verdi vallate vicentine, rischia di essere deturpata dalla realizzazione del tratto autostradale A31 Valdastico Nord, opera caratterizzata da un elevato costo di realizzazione, stimato in oltre due miliardi di euro (49 milioni di euro al chilometro) con previsione di flussi di traffico modesti e danni ambientali gravissimi e difficili da contenere;
   il tratto autostradale «Valdastico» sarebbe, infatti, solo una costosissima scorciatoia (2/3 del tracciato sarebbero in galleria) fra Vicenza e Trento del percorso autostradale già esistente via Verona ed avrebbe, inoltre, l'effetto di vanificare gli investimenti già fatti attorno a Verona per convogliare in ferrovia anziché in autostrada parte del traffico pesante che vuole attraversare le Alpi lungo la valle dell'Adige;
   l'opera è finanziariamente insostenibile, destinata a non pagarsi mai anche secondo il piano finanziano della società proponente, che prevede dal 2022 (apertura) al 2046 incassi su quel tratto per 638.286.862,00 milioni di euro, nemmeno 1/3 dei costi di costruzione previsti (bollettino «Informiamoci» n. 8 del Comitato vicentino contro la Valdastico);
   i costi di costruzione e poi di gestione della Valdastico verrebbero, pertanto, caricati stabilmente, tramite aumento dei pedaggi, sul traffico che passa a sud, lungo il tragitto Brescia-Padova, su cui passa praticamente tutta l'economia del Nord-est, di cui verrebbero aggravati dunque i costi;
   la realizzazione di un'autostrada inutile sarebbe un investimento in perdita, invece che un moltiplicatore economico. Realizzare investimenti dello stesso importo per esempio nella messa in sicurezza del territorio avrebbe gli stessi effetti benefici sul prodotto interno lordo, distribuirebbe risorse ai lavoratori e preverrebbe i disastri economici, sociali ed ambientali dovuti a dissesto idrogeologico, evitando di tartassare ancor di più i costi di trasporto delle imprese del Nord-est, quindi la loro competitività;
   in merito alla concessione autostradale in carico alla società A4 Holding, l'Autorità di regolazione per i trasporti, secondo quanto riportato dall'articolo «Il governo commissaria la Valdastico Nord», apparso il 13 novembre 2014 sul sito di Altreconomia, ha spiegato che «per evitare che la concessione scadesse al 30 giugno 2013, il ministero delle Infrastrutture e trasporti ha chiesto alla Commissione una proroga “tecnica” di due anni fino al 2015, finalizzata all'approvazione del progetto definitivo della Valdastico Nord e la Commissione UE ha espresso parere favorevole». La proroga è in scadenza il prossimo 30 giugno, e allora – spiega la stessa Autorità ad Altreconomia. «La convenzione dovrebbe ritenersi scaduta»;
   il CIPE, il 10 novembre 2014, è intervenuto a modificare l’iter autorizzativo del progetto della Valdastico Nord al fine di «proseguire nello svolgimento della apposita procedura prevista dall'articolo 165, comma 6, lett. a) del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici)» (come si legge in uno stesso comunicato del CIPE);
   alle riunioni del CIPE, compresa quella del 10 novembre 2014, che ha di fatto «commissariato l'iter della Valdastico Nord», come osserva l'articolo di Altreconomia, partecipa, in quanto membro di diritto del Comitato, anche il presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, presidente della regione Piemonte;
   Chiamparino, come si legge su altreconomia.it: «prima di candidarsi nella primavera del 2014 a guidare il Piemonte è stato, dal 2012, presidente della Compagnia di San Paolo, che è, a sua volta, il primo azionista di Intesa Sanpaolo, di cui controlla il 9.888 delle azioni (Consob, 13 novembre 2014)»;
   intesa Sanpaolo controlla, attraverso Re Consult Infrastrutture ed Equiter, il 35,35 per cento di A4 Holding, la società concessionaria dell'A31. Quella che vuole realizzare a tutti i costi l'A31 Nord, perché non perda così il diritto a gestire anche la trafficatissima A4, nella tratta tra Brescia e Padova –:
   se il Governo non ritenga, alla luce di quanto sopra esposto, di assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare per il futuro situazioni come quella descritta che appaiono gravemente inopportune e pregiudizievoli per gli interessi economici e sociali del territorio, posto che ad avviso degli interroganti si profila un gravissimo conflitto di interessi;
   se il Governo non ritenga doveroso rendere pubblica la documentazione relativa a questa richiesta di proroga, e spiegare le ragioni della stessa, e se essa sia stata fatta nell'interesse del Paese, considerando che l'autostrada Valdastico Nord non rientra tra i corridoi strategici della Rete TEN-T o in quello del gestore autostradale. (5-04195)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 novembre 2014 sul quotidiano La Stampa è apparso un articolo dal titolo «Intercettazioni, le spese pazze delle procure» a firma di Francesco Grignetti di cui si riportano di seguito alcuni stralci:
    «Catania paga il doppio di Roma con un terzo delle utenze controllate. (...) Roma quest'anno ha intercettato 18.777 bersagli; Catania, 6217. Eppure, anche se i bersagli dei romani sono il triplo, Roma ha speso la metà di Catania (5,7 milioni di euro contro 10 milioni). (...) «C’è da riflettere dice il viceministro Enrico Costa, Ncd – sulle enormi discrepanze di prezzo per singola intercettazione che si registra da procura a procura».
    (...) a Bari (3794 bersagli) oppure a Lecce (3409 bersagli) si spende più o meno quanto a Roma (18.777 bersagli). «Il problema è che il meccanismo degli appalti è farraginoso – spiega ancora Costa – in quanto ogni singolo ufficio giudiziario è una stazione appaltante. Così accade che da qualche parte si faccia una gara, altrove una trattativa privata. A parità di difficoltà, capita che da una parte si spende 3 e da un'altra si spende 15. Ci sono procure virtuose, e altre che fanno fatica a ottimizzare i costi».
    (...) C’è addirittura una associazione, la Iliia, che riunisce le particolarissime aziende che si occupano di «installazione, produzione, assistenza tecnica e servizi di noleggio di attrezzature per l'intercettazione telefonica, ambientale e video su disposizione dell'Autorità Giudiziaria». La filiera vanta oltre 1000 dipendenti.
    «Considerando che l'unico committente per queste aziende non può essere altro che lo Stato conclude Costa – l'attuale parcellizzazione degli appalti è assolutamente antieconomica».
   l'interrogante ritiene che sia incomprensibile pagare per lo stesso servizio fino a 5 volte rispetto al prezzo più basso del mercato –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare questo spreco di risorse pubbliche. (4-07110)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è di queste settimane la notizia dei 262 lavoratori siciliani di Accenture outsourcing in servizio a Palermo che corrono, nella peggiore delle ipotesi, il serio pericolo di perdere il posto di lavoro o, nella migliore delle ipotesi, di vedersi ridurre le condizioni economiche e giuridiche del proprio rapporto di lavoro senza alcuna prospettiva di mantenimento dello stesso nell'immediato futuro;
   i lavoratori sono stati assunti nel 2000 con contratto di formazione lavoro, nel 2002 sono stati assunti a tempo indeterminato dall'allora Albacom (oggi British Telecom), e nel 2005 sono stati oggetto di una cessione di ramo d'azienda ed assunti da Accenture outsourcing, continuando a lavorare sempre per il cliente British Telecom;
   Accenture, per assumere detto personale, ha utilizzato gli incentivi allora disponibili presso la regione siciliana e financo la compartecipazione con la stessa regione sulla ditta Sicilia e servizi, partecipazione oggi conclusa in maniera conflittuale;
   negli anni passati, Accenture ha creato un polo «gemello» a Napoli, dove ha «rigirato» commesse di competenza del call-center di Palermo, impiegando lavoratori a tempo determinato grazie agli incentivi sull'occupazione erogati dalla regione Campania;
   nel 2012 i lavoratori hanno già dovuto affrontare un taglio di benefit e salario per far fronte a precise richieste aziendali e all'apertura, nel settembre 2012, di una procedura di mobilità, poi rientrata con la stesura di un accordo a dicembre 2012 con il quale i lavoratori rinunciavano ad un'ulteriore parte di salario a fronte dell'impegno aziendale di portare nuovo lavoro sul sito di Palermo;
   Accenture non ha mantenuto l'impegno ma secondo l'interrogante ha «approfittato» del contratto di solidarietà a danno dei lavoratori, contratto che era alla base dell'impegno a portare nuove commesse al call center di Palermo;
   nel mese di gennaio 2014, British Telecom ha formalizzato la disdetta anticipata del contratto basandosi su presunte inefficienze sui servizi erogati dal centro di Palermo e sulla necessità di abbattere i costi;
   i numerosi incontri tra le parti, anche in presenza di funzionari del Governo regionale e nazionale non hanno portato a nulla se non ad uno slittamento di due mesi della disdetta, (ovvero fino al 31 ottobre 2014);
   questa vicenda è il paradigma dei comportamenti delle grandi multinazionali e dei grandi operatori telefonici che approfittano, senza alcuno scrupolo, degli incentivi all'assunzione che vengono riconosciuti nel tempo e «scappano» appena questi incentivi vanno a scadere o quando altri «luoghi geografici» in giro per l'Europa ed il mondo ne riconoscono di maggiori e migliori;
   questi operatori, però, continuano ad avere lauti e costosi, almeno per le casse pubbliche, compensi e commesse senza che gliene si presenti il conto;
   British Telecom, Accenture e altri, nello stesso momento in cui «minacciano» di licenziare ed andar via continuano a percepire milioni di euro da Ministeri, regioni ed enti pubblici per i vari servizi erogati;
   a giudizio dell'interrogante, il Governo, nella sua collegialità, dovrebbe avocare a sé l'intera problematica dei call center italiani ed impedire, con iniziative normative tali comportamenti;
   British Telecom ed Accenture, nello specifico, devono essere richiamati alle proprie responsabilità. Non si possono «risparmiare» milioni di euro in mancati pagamenti di contribuzione previdenziali e scaricare sui lavoratori impiegati la fine degli ammortizzatori sociali e dei benefici all'assunzione –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-07121)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   secondo uno studio del Gruppo Intesa Sanpaolo del 2013 «osservando le forme societarie dei gestori del servizio idrico integrato, prevalgono le società per azioni 86/115; inoltre le utility che operano nel servizio idrico integrato evidenziano, infatti, ritmi di crescita sostenuti nel triennio 2009-11 nonostante la fase congiunturale negativa: la domanda risulta, infatti, scarsamente correlata alla produzione e ai consumi e legata piuttosto alla variabile demografica e si conferma pertanto aciclica. Anche i margini del comparto si confermano su livelli elevati e in sensibile crescita in entrambi i trienni esaminati. Le local utility mostrano un miglioramento nella loro capacità di generare utili ed evidenziano indici di redditività elevati e in crescita»;
   si apprende in questi giorni, dalle pagine economiche di tutti i giornali l'approvazione da parte dell'AEEGSI del metodo tariffario idrico e delle nuove tariffe che ne conseguono per cui si prevede un aumento tariffario medio del 9 per cento circa da qui al 2015 (suddiviso in un 3,9 per cento nel 2014 e in un 4,8 per cento nel 2015);
   tali aumenti tariffari in 4 anni dovrebbero portare investimenti per 4,5 miliardi per nuove infrastrutture, tutela ambientale e miglioramento dei servizi;
   le competenze di regolazione e controllo nei servizi idrici sono state attribuite all'Autorità per l'energia dal decreto-legge n. 201 del 2011 cosiddetto «Salva Italia» e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012;
   il decreto-legge Sblocca Italia prevede l'istituzione di uno specifico fondo finalizzato alla promozione degli investimenti per la risorsa idrica;
   la legge di stabilità 2015 prevede principi generali che favoriscono i processi di aggregazione sia relativamente all'affidamento del servizio, sia con riferimento ai soggetti gestori;
   si legge sempre nella relazione presentata dal Presidente Bortoni alla Terza Conferenza nazionale sui servizi idrici svoltasi a Milano lo scorso 24 novembre che l'MTI è impostato in funzione delle decisioni delle amministrazioni sul fabbisogno di investimenti nei prossimi 4 anni, in rapporto al valore delle infrastrutture esistenti. L'attenzione viene posta sulle ricadute dei diversi interventi sugli attori coinvolti, in termini di efficacia, efficienza e di tre parametri-chiave: la protezione e le garanzie per i consumatori, gli stimoli alla minimizzazione dei costi per i gestori, la stabilità e l'affidabilità per i finanziatori;
   il referendum del 12 e 13 giugno 2011 affermò che la maggioranza assoluta delle italiane e degli italiani è a favore della fuoriuscita dell'acqua da una logica di mercato e di profitto;
   l'abrogazione della parte del comma 1 dell'articolo 154 (decreto legislativo n. 152 del 2006) relativa all'adeguata remunerazione del capitale investito ha eliminato la possibilità per il gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa. Anche in questo caso la Corte costituzionale (sentenza n. 26/2011) ha decretato che la nuova tariffa è immediatamente applicabile e deve prevedere esclusivamente la copertura dei costi a partire dalla data pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 116;
   nella delibera 643/2013/R/ della AEEGSI viene disposto che per tutti i contratti in essere, dunque non solo per i nuovi, ogni utente debba versare quello che hanno definito un «deposito cauzionale»;
   tale deposito cauzionale dovrebbe essere addebitato in due bollette, con voci generiche, come «addebiti/accrediti diversi», mascherandone così la natura ed ingenerando confusione. Le bollette in questione, risultano così essere «ibride», contenendo sia la quota relativa al consumo che tale voce di costo, che di fatto risulta «mascherata». In particolare, tale deposito dovrebbe essere scisso in due rate di circa trenta euro ciascuna;
   tale voce di costo appare agli interroganti di dubbia legittimità, posto che si utilizza e si introduce surrettiziamente un nuovo costo a carico della cittadinanza, mascherandolo come garanzia per l'adempimento della morosità, che invece altro non è che uno strumento con cui carpire soldi alle utenze;
   il deposito cauzionale non è deputato a coprire l'inadempimento della prestazione, ma a limitare gli eventuali danni verificati a seguito della chiusura di un contratto;
   non ha senso, infatti, per i contratti in corso, chiedere una prestazione che si sarebbe potuta chiedere al momento della stipula con il singolo utente. L'imposizione unilaterale non è ammissibile in un rapporto contrattuale paritetico;
   nel 2013, il 12,6 per cento delle famiglie è in condizione di povertà relativa (per un totale di 3 milioni 230 mila) e il 7,9 per cento lo è in termini assoluti (2 milioni 28 mila). Le persone in povertà relativa sono il 16,6 per cento della popolazione (10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta il 9,9 per cento (6 milioni 20 mila);
   la povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 6,6 all'8,3 per cento), quattro (dall'8,3 all'11,8 per cento) e cinque o più componenti (dal 17,2 al 22,1 per cento). Peggiora la condizione delle coppie con figli: dal 5,9 al 7,5 per cento se il figlio è uno solo, dal 7,8 al 10,9 per cento se sono due e dal 16,2 al 21,3 se i figli sono tre o più, soprattutto se almeno un figlio è minore. Nel 2013, 1 milione 434 mila minori sono poveri in termini assoluti (erano 1 milione 58 mila nel 2012);
   l'incidenza della povertà assoluta cresce tra le famiglie con persona di riferimento con titolo di studio medio-basso (dal 9,3 all'11,1 per cento se con licenza media inferiore, dal 10 al 12,1 per cento se con al massimo la licenza elementare), operaia (dal 9,4 all'11,8 per cento) o in cerca di occupazione (dal 23,6 al 28 per cento); aumenta anche tra le coppie di anziani (dal 4 al 6,1 per cento) e tra le famiglie con almeno due anziani (dal 5,1 al 7,4 per cento): i poveri assoluti tra gli ultrasessantacinquenni sono 888 mila (erano 728 mila nel 2012);
   la disoccupazione in Italia sale e il tasso si assesta al 13 per cento, quella giovanile, che riguarda le persone tra i 15 e i 24 anni, è pari al 42,3 per cento e l'incremento dei disoccupati registrato in Italia, stando ai dati Eurostat, è il terzo più alto dei Paesi della Ue-18, dopo quelli di Cipro, passata dal 14,7 per cento al 16,7 per cento, e della Grecia, dove i senza lavoro sono passati dal 26,3 per cento al 27,5 per cento;
   mentre la crisi economica avanza, insieme a povertà e disoccupazione in Italia i gestori del Servizio idrico integrato hanno avviato una campagna di distacchi che sta colpendo migliaia di famiglie;
   è il caso del signor Salvatore Tafuro, che l'8 novembre 2014 a Lucca Sicula, in provincia di Agrigento, è deceduto d'infarto mentre gli operai della società «La Girgenti Acque S.p.A.» (il gestore del Servizio idrico integrato dei comuni della provincia di Agrigento) gli effettuavano il distacco della fornitura dell'acqua della propria abitazione;
   è il caso di Roma dove i distacchi sono migliaia a settimana e molto spesso fuori ogni procedura di preavviso o riallaccio immediato nel caso di pagamento della morosità da parte dell'utente;
   con il provvedimento n. 19618 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deliberato che la pratica commerciale consistente nella interruzione del servizio idrico senza sollecito e preavviso qualifica una «pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20 e 22 del codice del consumo» e di conseguenza condannava l'ACEA ATO2 al pagamento di una sanzione amministrativa pari a 150.000 euro;
   a proposito di tutela delle fasce in disagio economico afferma l'AEEGSI, sempre nella relazione presentata il 24 novembre 2014, che sta realizzando una indagine conoscitiva sui diversi sistemi di agevolazione esistenti per chi vive condizioni economiche svantaggiate, propedeutica all'introduzione di misure che assicurino agli utenti domestici a basso reddito l'accesso agevolato alla quantità di acqua necessaria ai bisogni fondamentali;
   ad avviso degli interroganti dopo il referendum del 2011 diversi interventi ed iniziative normative hanno favorito i gestori e non gli utenti –:
   cosa intenda fare il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativamente alla tutela delle fasce di popolazione in situazione di disagio economico;
   se non intenda assumere un'iniziativa normativa al fine di prevedere di concerto con la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno una moratoria sui distacchi per morosità incolpevole dato il grave aumento della povertà e della disoccupazione nel nostro Paese.
(2-00771) «Daga, Segoni, Zolezzi, Terzoni, Micillo, Busto, Mannino, De Rosa».

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARANTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il piano territoriale di coordinamento paesistico della regione Liguria (dcr n. 6/90) classifica l'area del Porto di Santa Margherita come area urbana di «mantenimento» e prescrive di evitare che vadano perdute quelle testimonianze dell'assetto preesistente che contribuiscono a determinare la qualità ambientale della struttura urbana attuale;
   il suddetto porto è sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, con decreto ministeriale 11 giugno 1954 che ne protegge, oltre alle vedute panoramiche, la ricca vegetazione arborea e le singolarità geologiche, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
   come confermato dalla stessa recente variante di aggiornamento al piano territoriale di coordinamento paesistico della COSTA, approvata con Dgr n. 936 del 29 luglio 2011, il porto di Santa Margherita Ligure è tuttora classificato quale «porto rifugio» che deve «garantire l'accessibilità in sicurezza in ogni condizione di mare...»;
   il piano della costa vigente, approvato nel dicembre 2000, prevede una sistemazione del porto con un limitato allungamento della diga esistente funzionale alle opere di difesa a mare;
   con tale obiettivo viene realizzata nel 2010, da parte del provveditorato alle OO.PP, il prolungamento della diga foranea che raggiunge oggi complessivamente circa 80 metri;
   in data 20 febbraio 2014 il, comune di Santa Margherita pubblica un avviso di bando riguardante la richiesta concorrente di concessione demaniale cinquantennale presentata dalla, soc. Santa Benessere & Social Srl (ora spa) per la realizzazione di opere di riqualificazione, di messa in sicurezza e di adeguamento funzionale degli ormeggi e del litorale sud con la realizzazione di attività ed opere connesse alla portualità turistica del Porto di Santa Margherita Ligure;
   il progetto è contestato dall'associazione Tuteliamo Santa (ente avente quale propria finalità il contribuire alla conservazione ed alla tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico, storico e culturale del Comune di Santa Margherita) che in una serie di osservazioni riguardanti il progetto scrive: «L'intervento proposto, facendosi scudo di obiettivi funzionali che richiamano strumentalmente l'esigenza di una maggiore sicurezza (e di una riqualificazione del litorale sud che prevede in realtà l'introduzione di nuove incombenti e non necessarie volumetrie), minaccia di fare scempio dei principi richiamati, riduce il porto ad appendice funzionale, spazio di esclusione, e priva la città del suo più ampio e suggestivo spazio pubblico: così come a Portofino, una vera e propria piazza d'acqua». Gli elementi più critici risultano in breve essere: 59 posti macchina interrati che si andrebbero ad aggiungere ai 40 già esistenti (tot. posti 100), l'eliminazione della caratteristica storica scogliera a mare sotto il castello che oggi serve anche a contenimento delle mareggiate, in fine, la spiaggia di Ghiaia subirebbe enormi danni in termini di balneabilità e insabbiamento;
   oltre al progetto della Società Santa Benessere & Social Srl (ora Spa) è stato presentato anche un progetto alternativo, denominato «Porto Cavour» e proposto dall'associazione temporanea di imprese che operano nei porto, ovvero As. Ve.m, Centro Nautico Ligure, Gi.Di.Mar, Motomarine Tigullio e Ma.mi associate, Operatori nautici e portuali e Otam. In definitiva, la Santa Benessere & Social spa chiede 179.288 metri quadrati (di cui 145.209 di specchio acqueo e 33.079 di aree terra); 180.219 i metri quadrati invece per l'Ati Porto Cavour (di cui 156.832 di specchio acqueo e 23.387 di aree a terra). Entrambe le società chiedono il rilascio della concessione demaniale marittima per un periodo di 50 anni;
   dal 2000 si sono succeduti diversi progetti tutti non approvati in quanto sono state via via rilevate problematicità tecniche e per non essere conformi al già citato piano paesaggistico né ai vincoli gravanti sull'area ai sensi del sopracitato decreto legislativo n.  42 del 2004;
   va segnalata la risposta scritta dell'allora Ministro per i beni e le attività culturali, Giancarlo Galan, pubblicata mercoledì 3 agosto 2011 nell'allegato B della seduta della Camera dei deputati n. 512, all'Interrogazione 4-11156 presentata lunedì 7 marzo 2011, seduta n. 444, dagli onorevoli Elisabetta Zamparutti, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci e Maurizio Turco, relativa al progetto di ampliamento del porto di Santa Margherita Ligure. Dal testo si legge: «La competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria ha evidenziato la contrarietà dell'ufficio ad ogni intervento di trasformazione dello storico porto di Santa Margherita Ligure. Va, altresì, segnalato che non più di due anni fa la stessa Soprintendenza aveva reso parere negativo su di un altro progetto, che prevedeva un maggiore prolungamento del molo di sopraflutto e la formazione di un altro molo, ad esso perpendicolare leggermente emergente e la realizzazione di diversi pontili. Già allora si era avuto modo di evidenziare come l'intervento avrebbe chiuso ed intasato lo specchio acqueo originale che da sempre caratterizza lo storico porto rifugio di Santa Margherita. Si era riscontrato, infatti, che oltre a venire stravolta la conformazione tipica di un porto da sempre connotato al ricovero delle imbarcazioni di passaggio, privandolo quindi della sua configurazione storica, si sarebbero alterate e danneggiate le visuali panoramiche che si percepiscono dai numerosi punti di belvedere pubblici oggetto dei decreti ministeriali con cui il territorio è stato sottoposto a tutela paesaggistica ex lege n. 1497 del 1939, oggi decreto legislativo n. 42 del 2004, parte III. Pertanto, pur non avendo ancora reso alcun parere su di un progetto definitivo, si ribadisce fermamente l'intenzione e la volontà di mantenere intatta ed inalterata la conformazione storica del porto e, dunque, di evitare la modifica di quegli elementi che rendono unica nel suo genere la costa del Tigullio»;
   già nel 2007 interpellato sull'allora progetto di ampliamento del porto di Santa Margherita, Renzo Piano in una lettera indirizzata all'Associazione Tuteliamo Santa scriveva: «è un autentico stravolgimento anche se motivato dalla sicurezza. Sono certo che esista una soluzione che risolva la sicurezza e non tradisca l'anima del luogo, trasformandolo in un'ennesima marina senz'anima». E ancora si legge: «La topografia di questo nuovo porto-pareheggio tradisce profondamente l'identità del luogo. Santa Margherita come altre perle del Golfo Ligure è un luogo unico in cui esiste una coerenza direi quasi una complicità secolare, tra la forma del porto e la topografia egli ormeggi: è la prima che ha suggerito la seconda. È questa ragione che rende unici porti come Santa Margherita. Il progetto che ho visto (perfetto, geometrizzato, irregimentato), rompe questo patto e tradisce la naturalezza del luogo. Trovo inoltre grave che il porto di Santa Margherita dimentichi il suo antico ruolo ospitale per banche in transito (quelle previste dal progetto sono pochissime, tanto da trasformare il porto in deposito invernale»;
   gli attuali progetti, secondo l'Associazione Tuteliamo Santa – sono analoghi a quello presentato nel 2007 a cui si riferisce Piano e poi bloccati da soprintendenza, comune e Regione, in più prevedono una vasta cementificazione della spiaggia del retroporto;
   il 9 dicembre 2014 si terrà la conferenza dei servizi in sede deliberante –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno consultare i suoi uffici distaccati per conoscere il loro parere;
   visti gli esiti dei precedenti progetti, quello del 2006 rigettato dalla soprintendenza, quello del 2011 bloccato dall'allora Ministro per i beni e le attività culturali Galan, non ritenga necessaria una valutazione più approfondita vista la natura fortemente impattante delle opere in progetto;
   se i due progetti, che secondo l'interrogante trasformano il porticciolo da «storico» porto rifugio in una ennesima «marina senz'anima», possano alterare l'aspetto paesistico della cittadina rivierasca – come sottolineato da più parti e dallo stesso piano – rappresentando di fatto la perdita di identità per un luogo come Santa Margherita. (4-07102)


   FOLINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Chiesa di Santa Maria del Poggio – danneggiata dopo gli eventi sismici del 1980 e del 1998 – è stata ad oggi oggetto di interventi limitati ad una fase iniziale di messa in sicurezza e di ristrutturazione, risultati provvisori, che non hanno permesso, negli ultimi anni, la fruizione del monumento, pregevole testimonianza della storia e dell'arte legata al territorio lucano;
   per il recupero dell'intero complesso monumentale necessitano ancora diversi interventi di consolidamento dell'edificio, di ripresentazione estetica sia della facciata che degli interni, compreso il restauro degli altari;
   il recupero di un complesso monumentale, oltre ad essere un bene del territorio e dei propri cittadini, è comunque un bene comune –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dello stato dell'arte degli interventi di ristrutturazione e messa in sicurezza del complesso monumentale della Chiesa di Santa Maria del Poggio e, in tal caso, se non ritenga – rilevata l'importanza storica e culturale del monumento — intervenire al fine di agevolare e completarne il restauro. (4-07103)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 30 luglio 1999, n. 311, «Regolamento recante norme per l'individuazione delle modalità e delle condizioni cui è subordinata la detrazione degli interessi passivi in dipendenza di mutui contratti per la costruzione dell'abitazione principale» prevede agli articoli 1-2 e 3:
    1. Gli interessi passivi e relativi oneri accessori, nonché le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione, pagati a soggetti residenti nel territorio dello Stato o di uno Stato membro della Comunità europea, ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca e contratti per la costruzione dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale si detraggono, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e fino alla concorrenza del suo ammontare, per un importo pari al 19 per cento dell'ammontare complessivo non superiore a 5 milioni di lire. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente dimora abitualmente.
    2. La detrazione di cui al comma 1 si applica relativamente ai contratti di mutuo stipulati, a partire dal 1o gennaio 1998, ai sensi dell'articolo 1813 del codice civile, ed assistiti da ipoteca, e compete limitatamente agli interessi e relativi oneri accessori, nonché alle quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione riferibili all'importo del mutuo effettivamente destinato alla costruzione dell'immobile.
    3. La detrazione è ammessa a condizione che i lavori di costruzione abbiano inizio nei sei mesi antecedenti o successivi alla data di stipula del contratto di mutuo da parte del soggetto che sarà il possessore a titolo di proprietà o altro diritto reale dell'unità immobiliare da costruire e che quest'ultima sia adibita ad abitazione principale entro sei mesi dal termine dei predetti lavori.
    2. 1. Il diritto alla detrazione viene meno a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in cui l'immobile non è più utilizzato per abitazione principale; non si tiene conto delle variazioni dipendenti da trasferimenti per motivi di lavoro.
    2. La mancata destinazione ad abitazione principale dell'unità immobiliare entro sei mesi dalla data di conclusione dei lavori di costruzione della stessa comporta la perdita del diritto alla detrazione e da tale data decorre il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi da parte dell'amministrazione finanziaria.
    3. La detrazione non spetta se i lavori di costruzione dell'unità immobiliare non sono iniziati nei sei mesi antecedenti o successivi alla data di stipula del contratto di mutuo; la detrazione non spetta, altresì, se i detti lavori non sono ultimati entro il termine stabilito dalla concessione edilizia per la costruzione dell'immobile o in quello successivamente prorogato e da tale data inizia a decorrere il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi da parte dell'amministrazione finanziaria. Il diritto alla detrazione non viene meno se i termini previsti nel precedente periodo non sono rispettati per ritardi imputabili esclusivamente all'amministrazione comunale nel rilascio delle abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia.
    3. 1. Per fruire della detrazione di cui all'articolo 1 è necessario conservare ed esibire o trasmettere anche in copia, a richiesta degli uffici finanziari, le quietanze di pagamento degli interessi passivi relativi al mutuo, il contratto di mutuo ipotecario dal quale risulti che lo stesso è assistito da ipoteca e che è stato stipulato per la costruzione dell'immobile da destinare ad abitazione principale, le abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia, nonché copia delle fatture o ricevute fiscali comprovanti le spese effettivamente sostenute per la costruzione dell'immobile stesso.»;
   la circolare n. 38/E del 28 settembre 2012 dell'Agenzia delle entrate avente per oggetto chiarimenti relative all'articolo 2, comma 1, 2, 3 e 3-bis, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (cosiddetto «Decreto semplificazioni fiscali e Decreto semplificazioni tributarie»), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, introduce una particolare forma di ravvedimento operoso (cosiddetto remissione in bonis) volto ad evitare che, mere dimenticanze relative a comunicazioni ovvero, in
generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali;
   secondo l'interpretazione dell'Agenzia delle entrate, la previsione in esame, in presenza di alcuni presupposti di natura sostanziale, intende «salvaguardare il contribuente in buona fede e la sua scelta di assolvere l'adempimento richiesto tardivamente»;
   alcuni cittadini interessati dall'accensione di un mutuo di lungo periodo per la ristrutturazione della propria abitazione si sono visti negare il diritto alla detrazione degli interessi passivi sul suddetto mutuo poiché non avevano completato nei sei mesi dalla data di conclusione dei lavori, il passaggio di residenza nell'abitazione suddetta –:
   se il ravvedimento operoso (cosiddetto remissione in bonis) come citato dalla circolare suddetta dell'Agenzia delle entrate possa applicarsi anche nel caso specifico suesposto e, diversamente, cosa intenda fare per scongiurare che quei cittadini titolari di mutuo perdano il diritto di detrarre gli interessi passivi per meri ritardi procedurali.
(2-00768) «Fragomeli, Ermini, Carnevali, Grassi, Fanucci, Crimì, Boccadutri, Giuseppe Guerini, Miccoli, Patriarca, Lodolini, Zampa, Arlotti, Luciano Agostini, Lattuca, Chaouki, Carra, Colaninno, Galperti, Tentori, Francesco Sanna, Preziosi, Marantelli, Sanga, Dallai, Marchi, Guerra, Manfredi, Andrea Romano, Albini, Giovanna Sanna».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIORIO, CENNI e CARRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 22 della legge numero 89 del 2014, il Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, è chiamato ad emanare un decreto per individuare i parametri per l'applicazione dell'Imu per l'anno 2014, nelle zone montane e/o svantaggiate al di sotto dei 600 metri;
   tale decreto, che si pone l'obiettivo di recuperare un maggior gettito complessivo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014, prevede l'esenzione dell'Imu esclusivamente sulla base dell'altitudine in cui incidono i terreni;
   secondo quanto emergerebbe da fonti di informazione gli unici terreni esenti dal pagamento dell'Imu sarebbero quelli situati nei comuni che hanno un'altitudine di almeno 600 metri; tra i 280 e i 600 metri, verrebbero esentati i terreni posseduti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, mentre fino a 280 metri, tutti i cittadini e le imprese possessori di terreni agricoli dovrebbero pagare l'intera imposta per il 2014;
   in questo modo sarebbero tutelati soltanto circa 1500 comuni italiani, mentre per circa 2500 sarebbe prevista una esenzione parziale e per i rimanenti 4000 nessuna esenzione;
   tale discriminazione violerebbe i principi di equità e di equa tassazione previsti dalla Costituzione, dal momento che i soli parametri di altitudine non possono individuare le zone «svantaggiate»: la ricca e diversificata differenziazione morfologica e logistica del territorio nazionale dimostra infatti ampiamente come i caratteri di marginalità sono causati anche da altri fattori come la mancanza di infrastrutture moderne ed efficaci, di servizi efficienti o da una situazione demografica frastagliata;
   alcune associazioni agricole hanno rimarcato come moltissimi comuni, che non rientrano nei parametri di esenzione dell'Imu «agricola», siano stati colpiti dai «disastrosi effetti del maltempo, sia di recente che durante tutto il 2014» e «in un momento contrassegnato dalla grave crisi economica, con difficoltà di accesso al credito, ci si aspetta dal governo interventi di sostegno alle imprese agricole e non certo ulteriori aggravi fiscali»;
   tale decreto dovrà essere emanato necessariamente in vista della scadenza del 16 dicembre 2014, data ultima prevista per il versamento dell'Imu;
   ad oggi, lunedì 2 dicembre 2014 ed a quanto risulta all'interrogante il decreto citato non è stato ancora approvato. È quindi evidente che il decreto arriverà a ridosso della scadenza dei termini di pagamento obbligando i proprietari dei terreni a pagare in un'unica soluzione (a differenza di quanto prevede ad oggi la legislazione sull'Imu), in tempi strettissimi ed in palese violazione dello «Statuto del contribuente» che vieta di prevedere adempimenti a carico dei contribuenti prima di 60 giorni dalla entrata in vigore di provvedimenti di attuazione di nuove leggi;
   il 30 novembre 2014 presso la Camera dei deputati  è stato accolto dal Governo un ordine del giorno alla legge di stabilità 2015 (atto numero 9/2679-bis-A/272) che impegna l'esecutivo «in sede di adozione del decreto attuativo dell'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014»:
    a) a valutare l'opportunità di adottare a tal fine i criteri già previsti dall'articolo 1 della legge n. 991 del 1992 (Provvedimenti agevolati in favore dei territori montani), che individuava come montani i «comuni situati per almeno 180 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri». Tale criterio, già lungamente utilizzato dal legislatore, consentirebbe una più obiettiva e puntuale valutazione delle condizioni di ciascun comune ai fini dell'esenzione dalla Imu per i territori agricoli, con ciò scongiurando il rischio di instaurazione di contenziosi destinati a pregiudicare la stessa efficacia della nuova disciplina fiscale, nonché l'entità del gettito atteso;
    a valutare l'opportunità, in ogni caso, di rinviare all'esercizio di imposta 2015 l'applicazione della nuova disciplina – in ottemperanza al principio di non retroattività delle norme fiscali, di cui alla legge n. 212 del 2000 (cosiddetta «Statuto del contribuente») – anche in modo da consentire ai comuni di adottare i provvedimenti amministrativi necessari a garantire a riscossione dell'imposta –:
   quando verrà emanato il decreto previsto dal comma 2 dell'articolo 22 della legge n. 89 del 2014;
   se il Governo ritenga, in relazione a quanto espresso in premessa e rispetto agli impegni assunti con il citato ordine del giorno numero 9/2679-bis-A/272, di prendere in relazione (nella stesura del suddetto decreto) altri parametri oltre a quelli esclusivamente altimetrici;
   se l'eventuale pagamento (in una unica soluzione) dell'Imu disposta in concomitanza con la scadenza del 16 dicembre 2014 non violi palesemente i principi costituzionali e le norme previste dallo «statuto del contribuente». (5-04193)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dall'inizio di quest'anno, a seguito del decreto legislativo n. 231 del 2007 in tema di prevenzione del fenomeno del riciclaggio e finanziamento al terrorismo, tutti i correntisti bancari sono chiamati a fornire una serie di informazioni che gli istituti stanno richiedendo, pena il rischio di vedersi bloccare ogni operazione o addirittura chiudere il conto e venire segnalati alle autorità e organi di vigilanza;
   ai titolari di conti correnti bancari sta arrivando, da parte della propria banca, una lettera in cui si sollecita la fornitura di «informazioni ulteriori rispetto a quelle già fornite in fase di accertamento iniziale». Si tratta di un obbligo normativo per le banche per valutare correttamente l'operatività della propria clientela e individuare eventuali comportamenti non coerenti rispetto alle informazioni in possesso della banca, che possono far sospettare attività di riciclaggio;
   mentre per i nuovi clienti l'acquisizione delle ulteriori informazioni è contestuale all'apertura del conto, per i conti già in essere è necessario una ulteriore procedura burocratica, tra l'altro non uniforme perché si tratta di una non meglio chiarita integrazione delle informazioni già in possesso della banca;
   le banche avevano già proceduto negli anni a contattare prima di tutto i clienti che presentavano profili più critici o con comportamenti economici più rilevanti, per completare poi l'adeguata verifica della clientela con riguardo ai clienti che presentano profili meno rischiosi;
   la Banca d'Italia ha chiarito che tra le ulteriori informazioni da acquisire ci sono «l'origine dei fondi utilizzati nel rapporto, le relazioni d'affari e i rapporti con altri destinatari, la situazione economica (fonti di reddito) e patrimoniali, la situazione lavorativa, economica e patrimoniale di familiari e conviventi». Una circolare della Banca Italia aggiunge che «oltre ai documenti sopra indicati, possono essere acquisiti bilanci, dichiarazioni Iva e dei redditi, documenti e dichiarazioni provenienti dal datore di lavoro, da intermediari o altri soggetti». E questo quando le stesse banche «rilevino, secondo un approccio in base al rischio, elementi che potrebbero configurare un elevato rischio di riciclaggio»;
   da parte delle banche c’è l'assicurazione che le informazioni raccolte non debbono e non possono essere diffuse in base al rispetto degli obblighi di riservatezza ai sensi del decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, in materia di protezione dei dati personali. Ma – viene poi puntualizzato – possono essere comunicate ad Autorità e Organi di vigilanza e controllo, nei casi previsti dalla legge;
   nel caso risulti l'impossibilità di contattare il cliente o volontà dello stesso di non fornire le informazioni richieste, in base a quanto prevede il decreto antiriciclaggio, la banca sarà obbligata ad astenersi dall'eseguire ulteriori operazioni richieste, a revocare l'eventuale convenzione di assegno e, infine a chiudere i rapporti contrattuali. In tale circostanza, è previsto che le disponibilità del cliente siano trasferite presso un'altra banca indicata dal cliente stesso e che la causale del bonifico riporti il riferimento all'impossibilità di adempiere agli obblighi di adeguata verifica;
   nulla chiarisce la normativa riguardo alla fattispecie in cui il medesimo correntista sia titolare di più conti correnti presso istituti diversi, tanto che al momento ciascun istituto sta richiedendo le medesime informazioni allo stesso soggetto, comportando un onere a carico del correntista, una inutile duplicazione nella raccolta delle informazioni e la possibilità di moltiplicare i sempre possibili errori comunicativi e delle banche dati; l'aggravio è accentuato dal fatto che molti istituti di credito pretendono, al fine di raccogliere i dati, la presenza fisica in filiale da parte del correntista non concedendo alcuna altra possibilità di inoltrare le informazioni né in via telematica né attraverso lettera raccomandata o tramite un delegato;
   ogni correntista è già univocamente identificato presso la centrale rischi della Banca d'Italia –:
   se il Ministro intenda adottare le opportune iniziative, se del caso normative, al fine di ricondurre gli adempimenti per i correntisti ad una sola comunicazione ad un unico istituto, permettendo agli altri istituti di visionare le informazioni relative al proprio correntista presso la centrale rischi. (4-07100)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il M.A.R.S. (microgravity advanced research and support center) è nato come consorzio tra Alenia Spazio e l'università degli studi di Napoli «Federico II» nel 1988 per volontà del docente universitario Luigi Napolitano;
   l'obiettivo perseguito era quello di creare un centro di eccellenza nel campo della microgravità, con particolare attenzione agli studi di fisica dei fluidi;
   da allora il MARS ha raccolto numerosi successi internazionali, riuscendo a proporsi con l'E.S.A. (Agenzia spaziale europea) sia come centro di controllo e supporto per esperimenti in microgravità, sia in qualità di propositore di esperimenti scientifici che si sono svolti su piattaforme orbitanti;
   nel 1992 i tecnici e gli scienziati napoletani del MARS hanno inviato comandi alla navicella spaziale Space Shuttle (prima squadra non statunitense a farlo);
   il MARS annovera una cospicua produzione scientifica di livello internazionale;
   nel 2007 il MARS ha operato per la prima volta su una delle attrezzature installate a bordo della stazione spaziale internazionale, il Fluid Science Laboratory a bordo del Columbus, e le operazioni sono proseguite fino all'agosto 2014;
   il MARS è divenuto anche centro di supporto alle operazioni per l'ASI e la NASA, l'USOC italiano;
   il 5 maggio del 2009 il MARS è stato fuso per incorporazione in Telespazio spa, società del gruppo Finmeccanica con sede a Roma;
   allora al MARS venne tuttavia riconosciuto il mantenimento della sede di Napoli della Telespazio, divenendo il centro fisico dove risiedeva l'unità programmi scientifici di Telespazio;
   è iniziata in questo modo anche una collaborazione con altri gruppi di lavoro di Telespazio appartenenti alle sedi di Roma, Scanzano e Matera;
   dopo una decisione dell'ASI a valle della ministeriale del 2012, è stato deciso il trasferimento in Belgio delle attività inerenti la gestione degli esperimenti a bordo della stazione spaziale;
   il 5 maggio del 2014, a 5 anni esatti dalla fusione, l'amministratore delegato di Telespazio, e cioè l'ingegner Luigi Pasquali, ha ribadito, in occasione di una visita presso la sede di Napoli, l'importanza della missione della sede di Napoli, rassicurando i lavoratori sul fatto che l'azienda aveva già individuato percorsi alternativi per colmare il progetto perso;
   il 3 novembre 2014 una delegazione aziendale costituita dal direttore generale e dal responsabile delle risorse umane ha comunicato alla sede di Napoli la decisione di chiudere la sede, adducendo come motivazioni la necessità di contenere i costi di gestione e di creare le sinergie tra i lavoratori della Telespazio;
   la sede di Napoli, dunque, in meno di 6 mesi è passata dall'essere una risorsa a diventare un problema, per Telespazio;
   le rappresentanze sindacali unitarie hanno da subito manifestato perplessità per le motivazioni addotte, dimostrando, numeri alla mano, che anche rimanendo presso la stessa sede si sarebbero potuti abbattere i costi di gestione del 50 per cento e che, per quanto concernente le sinergie, le attività in essere e quelle pregresse erano state portate avanti con successo senza alcun problema e senza risentire della lontananza fisica di 200 chilometri;
   peraltro l'idea che una distanza di circa 200 chilometri impedisca la creazione di sinergie, nell'era del telelavoro e per un'azienda che si occupa di telecomunicazioni, è a dir poco paradossale;
   durante un'audizione in regione Campania dell'11 novembre 2014, presieduta dall'onorevole Angelo Consoli, vicepresidente della commissione attività produttiva, per discutere la decisione di Telespazio di chiudere dal 2 dicembre gli uffici napoletani e trasferire i 33 dipendenti nello stabilimento di Roma, è intervenuta una delegazione dei lavoratori per spiegare che quella della direzione aziendale è una decisione inaccettabile, anche in considerazione del fatto che sarebbe assurdo che la regione Campania, che spende 300 milioni di euro in ricerca e innovazione, consenta la chiusura di un'azienda come Telespazio;
   la preoccupazione è anche che Finmeccanica cominci a tagliare Telespazio Napoli per poi passare alle Alenie, alla WASS, alla Ansaldobreda, alla MBDA e ad altro ancora;
   tale preoccupazione nasce anche dalle anticipazioni riportate sulla stampa del piano di spending review del gruppo Finmeccanica, che sembrano andare proprio in questa direzione;
   l'enorme rischio è che si vada verso l'ennesimo atto di depauperamento nei confronti del Mezzogiorno, ed in particolare della Campania;
   Telespazio, peraltro, ha aderito al distretto aerospaziale campano e promuove il progetto MISTRAL per 11 milioni di euro a valere su finanziamenti europei e della regione Campania, e quindi chiudere la sede di Napoli potrebbe comportare la fuoriuscita dell'azienda dal DAC e la perdita dei finanziamenti previsti per le attività di ricerca da sviluppare nella regione Campania;
   il 24 novembre si è tenuto un incontro presso l'unione industriali di Roma tra azienda ed organizzazioni sindacali, ma non s’è trovata convergenza in merito alla vertenza;
   ci sarà un nuovo incontro il 15 dicembre 2014, e nel frattempo è, di fatto, sospesa;
   la chiusura del sito di Telespazio Napoli comporterebbe la perdita di un centro di ricerca spaziale che, per la sua esperienza e specificità maturata negli ultimi decenni, è unica in Italia;
   la volontà aziendale di chiudere la sede senza però trasferire le attività da Napoli a Roma comporta la perdita di una reale possibilità di sviluppo sul territorio di eccellenze quali il progetto MISTRAL (micro satellite), approvato e pronto a partire (manca solo la firma del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca), che vede la sede napoletana di Telespazio come capofila ed annovera tra le aziende partecipanti il CIRA, l'università degli studi di Napoli «Federico II» ed aziende campane del settore;
   la chiusura della sede a dicembre comporterebbe, perciò, la perdita del progetto (di circa 11 milioni di euro) e, di conseguenza, la perdita di fondi per il settore e l'occasione per circa 16 risorse di essere formate;
   la sede di Telespazio Napoli ha permesso a decine di neolaureati di inserirsi nel mondo del lavoro, per poi trovare una propria allocazione in altre realtà lavorative campane, italiane o internazionali;
   l'azione intrapresa può essere vista come l'ennesimo scippo che impoverisce e marginalizza un territorio già martoriato come quello campano, poiché incide su uno dei nodi di eccellenza e costringe alla emigrazione nuclei familiari a più alto tasso di scolarizzazione;
   il Governo malgrado gli impegni assunti ai vari livelli, non ha previsto il finanziamento del settore spazio nel 2015;
   lasciare il 2015 senza contributi per lo spazio, significa interrompere diversi programmi in corso, rischiare concretamente la cassa integrazione nelle varie aziende e disperdere molte professionalità non riproducibili verso la concorrenza;
   fermare i programmi significa far esplodere anche i costi, con la conseguenza che, per risparmiare oggi, si spenderà molto di più in futuro;
   la conseguenza di questo approccio del Governo è che le risorse non saranno più sufficienti neanche in futuro e che non è detto, data la praticamente sicura dispersione di risorse professionali, che all'arrivo dei finanziamenti i programmi possano ripartire;
   sui fatti narrati è stata già presentata l'interrogazione a risposta scritta 4-06889 –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano opportuno verificare le reali necessità di chiusura della sede di Napoli di Telespazio e se, invece, non sussistano condizioni per collocare Telespazio in altre strutture campane afferenti a Finmeccanica, come Selex o WASS, alzando quindi il livello della contrattazione a quello nazionale;
   se i Ministri interrogati non intendano verificare se i piani di spending review messi in campo da Finmeccanica non rischino di depauperare un Mezzogiorno già gravemente afflitto dalla crisi economica ma da sempre motore dell'eccellenza scientifica italiana. (4-07113)


   PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   CISCRA spa, nota impresa grafica ed editoriale, nell'anno 2013 (nel periodo maggio-agosto) è stata soggetta a una verifica fiscale generale per i periodi di imposta 2009 e 2010;
   in particolare la Guardia di finanza di Rovigo aveva ritenuto in un primo momento di effettuare un controllo sulla corretta applicazione dell'IVA ridotta al 4 per cento sui prodotti editoriali venduti da CISCRA spa, sebbene fosse già in corso presso l'impresa, nel maggio 2013, una verifica da parte dell'Agenzia delle entrate di Rovigo, decidendo successivamente di soprassedere al controllo e di lasciare campo libero all'Agenzia delle entrate;
   il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Rovigo ha tuttavia ripreso la sua attività di controllo presso la predetta impresa il 22 luglio del 2014, operando il citato controllo IVA per gli anni 2011 e 2012;
   nel successivo mese di agosto 2014 tale «controllo» diviene «verifica» e le annualità esaminate vengono estese agli anni 2009-2010 e 2013-2014;
   la predetta verifica si è chiusa in data 20 ottobre 2014 con la contestazione all'impresa stessa, da parte dei verbalizzanti, dell'errata applicazione dell'IVA ridotta al 4 per cento anziché all'aliquota ordinaria, evidenziando una maggiore imposta complessiva pari a euro 1.248.037,67;
   la motivazione addotta dai controllori è che «... i contenuti espressi nei prodotti editoriali in esame risultano assolutamente marginali.» (verbale della Guardia di finanza del 20 ottobre 14 – pagina 28);
   in merito a tale vicenda si segnala:
    1) a quanto consta all'interrogante per l'anno d'imposta 2010 l'Agenzia delle entrate, a seguito di verifica generale, non ebbe a rilevare nulla in merito all'applicazione dell'IVA al 4 per cento sui prodotti editoriali venduti da CISCRA spa;
    2) la contestazione della Guardia di finanza si sia rivolta solo ai prodotti editoriali stampati direttamente da CISCRA spa e non anche ad altri due prodotti similari (IL DIARIO DELL'INSEGNANTE e L'AGENDA CASA GIORNALIERA) che CISCRA spa acquista e rivende;
    3) la Guardia di finanza abbia potuto entrare nel merito del contenuto del prodotto editoriale e, a pagina 22 del succitato verbale, abbia potuto affermare che «... un'agenda composta da 144 pagine stampate, di cui solo 19 dedicate al tema “Vivere bene ai tempi della crisi”...», in quanto il contenuto divulgativo che qualifica un prodotto editoriale meritevole di IVA al 4 per cento non può certo essere misurato in base al numero di righe e pagine;
   a quanto consta all'interrogante, molti operatori del mercato editoriale commercializzano agende e calendari utilizzando il regime agevolato IVA del 4 per cento;
   in particolare due operatori, fornitori di CISCRA, commercializzano agende in tutto simili a quelle che la Guardia di finanza ha contestato con il regime agevolato dell'editoria –:
   su quali basi sia stata condotta la valutazione di merito sui contenuti informativi e divulgativi del prodotto editoriale operata dai militari della Guardia di finanza;
   se la mancanza di rilievi nell'applicazione dell'IVA al 4 per cento formalizzata nelle conclusioni alla verifica generale operata dall'Agenzia delle entrate di Rovigo per l'anno 2010 nei confronti di CISCRA spa non contraddica quanto contestato dalla Guardia di finanza per il medesimo anno;
   come si spieghi la disparità di trattamento nell'applicazione dell'aliquota IVA ridotta al 4 per cento riservata ai diversi operatori. (4-07122)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   1. il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità (decreto legislativo 235 del 2012, cosiddetta legge Severino) prevede, all'articolo 1, che non possano essere candidati e non possano comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:
    a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
    b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale;
    c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell'articolo 278 del codice di procedura penale;
   2. analogamente i medesimi limiti al diritto di elettorato passivo sono estesi alla carica di parlamentare europeo (articolo 4) e per gli incarichi di Governo (articolo 5);
   3. l'articolo 10, infine e per quanto qui interessa, individua le fattispecie di incandidabilità per le competizioni elettorali locali. Nello specifico prevedendo che:
   «alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, presidente e componente degli organi delle comunità montane:
    a) coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale o per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto di cui all'articolo 73 del citato testo unico concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, la vendita o cessione, nonché, nei casi in cui sia inflitta la pena della reclusione non inferiore ad un anno, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni o materie esplodenti, o per il delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a taluno dei predetti reati;
    b) coloro che hanno riportato condanne definitive per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, diversi da quelli indicati alla lettera a);
    c) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326, 331, secondo comma, 334, 346-bis del codice penale;
    d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera c);
    e) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo;
    f) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
   la legge poi (articolo 13) stabilisce che la sanzione di incandidabilità abbia una durata limitata nel tempo, fissandola nel doppio della durata della pena accessoria dell'interdizione ai pubblici uffici se irrogata o, in caso di mancanza di pena, accessoria, nel massimo di sei anni, a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna; tale limitazione temporale è però prevista per le sole cariche di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo;
   la legge niente dispone in riferimento alle cariche locali di cui all'articolo 10, né in verità relativamente alle cariche regionali di cui all'articolo 7, con l'effetto che, per queste e soltanto per queste, l'incandidabilità risulterebbe, limitandosi ad una lettura testuale della norma, quale sanzione definitiva e sine die;
   tale «doppio binario», in forza del quale dopo un periodo massimo di sei anni dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna un cittadino potrebbe ricoprire la carica di deputato o Senatore della Repubblica ma non già quella di consigliere comunale o circoscrizionale, appare irragionevole e contrario a fondamentali norme costituzionali (il principio di uguaglianza e non discriminazione di cui all'articolo 3, il principio della rieducazione cui devono tendere le pene di cui all'articolo 27, il diritto di ogni cittadino di accedere alle cariche elettive di cui all'articolo 51);
   che tale discrasia normativa ha già creato contenziosi giudiziali, che potrebbero sfociare in una istanza rivolta alla Corte Costituzionale –:
   se non ritengano opportuno intervenire tramite un'apposita iniziativa normativa del Governo per emendare il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità (decreto legislativo 235 del 2012 cosiddetta Legge Severino) nella parte in cui non preveda, anche per le cariche locali (consiglieri comunali, circoscrizionali, provinciali e regionali), un termine alla sanzione di incandidabilità analogamente a quanto previsto per gli uffici di Senatore, deputato e Parlamentare europeo. (4-07104)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», attribuisce al Governo la facoltà, tra le altre, di operare una articolata depenalizzazione;
   in base alla legge delega, con l'emanazione dei decreti delegati, prevista entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge, il Governo dovrà procedere all'abrogazione di specifici articoli del Codice penale, sostituendo le pene detentive attualmente previste con sanzioni pecuniarie civili;
   tra gli articoli del Codice penale da abrogare figura anche quello previsto dall'articolo 633, primo comma, che disciplina l'invasione di terreni o edifici altrui, «pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto»;
   la successiva esclusione delle ipotesi di cui all'articolo 639-bis del Codice penale, lascia intendere che non dovrebbero essere depenalizzate i casi di occupazione per le quali si procede d'ufficio, vale a dire i casi in cui si tratti di «acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico»;
   dopo anni di crisi economica l'Italia sta affrontando una vera e propria emergenza sociale nella quale la mancanza di alloggi sta diventando un ulteriore fattore di crisi;
   negli ultimi mesi si è assistito, infatti, al vertiginoso aumento del fenomeno delle occupazioni abusive di immobili, e la depenalizzazione del relativo reato, seppur circoscritto ai soli immobili di proprietà privata, appare suscettibile di creare ulteriore allarme sociale e conseguenze drammatiche –:
   se non ritenga, in sede di attuazione della citata delega, di rivedere le fattispecie di reato rispetto alle quali intervenire nel senso di una depenalizzazione, con particolare riferimento al tema delle occupazioni abusive di beni altrui. (4-07111)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DAGA, SEGONI, ZOLEZZI, TERZONI, MICILLO, MANNINO, BUSTO e DE ROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il diritto all'abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale;
   in questo periodo di crisi, in cui precarietà e disoccupazione non garantiscono più nessuna copertura sociale, sempre più vaste aree di popolazione si sono trovate in emergenza abitativa tanto che questa situazione investe, non solo le fasce sociali più deboli, ma una sempre più ampia «fascia grigia» fatta di persone sole, nuclei familiari mono-genitori, giovani coppie, lavoratori precari, immigrati, studenti, anziani soli;
   in Italia abbiamo la necessità, secondo i dati degli ultimi censimenti, di almeno 700.000 case popolari. Si legge in una nota del Sindacato degli Inquilini che sono 40.000 le case popolari lasciate al degrado, che solo a Milano oltre 9000 appartamenti sono chiusi, mentre a Roma centinaia di alloggi hanno urgenti necessità di manutenzione;
   lo scorso maggio, con la conversione in legge del decreto-legge 47 del 2014, è stato modificato il decreto-legge n. 112 del 2008, prevedendo che, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l'accesso alla proprietà dell'abitazione, entro il 30 giugno 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa della Conferenza unificata avrebbero approvato le procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli Istituti autonomi per le case popolari, tenendo conto anche della possibilità di favorire la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all'edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale e che le risorse derivanti dalle alienazioni dovranno essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente;
   nella riunione del 16 ottobre 2014 la Conferenza unificata ha sancito l'intesa prevista dall'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 47 del 2014 convertito dalla legge 80 del 2014, sullo schema di decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, recante la definizione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati;
   i sindacati degli inquilini hanno chiesto il ritiro del decreto ed hanno organizzato mobilitazioni ed assemblee in tutte le città;
   la regione Campania approvando la mozione del PD sull'emergenza abitativa ha chiesto il ritiro del Decreto, impegnando la giunta del presidente Caldoro «ad assumere ogni iniziativa utile nei confronti del Governo nazionale per ottenere il ritiro del decreto e la sua modifica al fine di eliminare la previsione di vendita all'asta del patrimonio pubblico.»;
   l'agenzia ADN Kronos il 15 novembre 2014 ha dato notizia che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato un comunicato nel quale si afferma che «non vi è alcun decreto attuativo» ma che, in accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze e con la Conferenza unificata, si «sta lavorando al testo di un decreto attuativo del cosiddetto “Piano casa” che prevede, per gli enti proprietari in accordo con le Regioni, la possibilità di messa in vendita degli alloggi di edilizia popolare la cui manutenzione sia economicamente onerosa». Pertanto – continua la nota – «non è assolutamente previsto» che le abitazioni vengano messe in vendita «al valore di mercato» e che «il decreto in elaborazione, oltre che tentare di sanare la disastrosa situazione economica degli enti che gestiscono case popolari, permetterà agli inquilini di poter acquistare l'alloggio in cui vivono con diritto di prelazione e a condizioni vantaggiose» e che «nessun alloggio potrà essere venduto se all'inquilino che rinuncia alla prelazione non verrà offerta dall'ente proprietario una riallocazione in abitazione equivalente»;
   l'articolo 4 del decreto-legge 47 del 2014 convertito in legge 80 del 2014 prevede con una tempistica ben chiara l'approvazione di un decreto attuativo volto a promuovere un Programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica:
    «Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, d'intesa con la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approvano con decreto i criteri per la formulazione di un Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei comuni e degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, costituiti anche in forma societaria, e degli enti di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli IACP sia attraverso il ripristino di alloggi di risulta sia per il tramite della manutenzione straordinaria degli alloggi anche ai fini dell'adeguamento energetico, impiantistico statico e del miglioramento sismico degli immobili;
    entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni trasmettono al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti gli elenchi, predisposti dai comuni e dagli IACP, comunque denominati, delle unità immobiliari che, con interventi di manutenzione ed efficientamento di non rilevante entità, siano resi prontamente disponibili per le assegnazioni;
    con il decreto interministeriale di cui al comma 1 sono definiti i criteri di ripartizione delle risorse di cui al comma 5 tra le regioni e le province Autonome di Trento e Bolzano che provvedono entro due mesi all'assegnazione delle risorse ai comuni e agli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, nonché agli enti di edilizia residenziale aventi le stesse finalità degli IACP;
    il Governo riferisce alle competenti Commissioni parlamentari circa lo stato di attuazione del Programma di recupero di cui al presente articolo decorsi sei mesi dall'emanazione del decreto di cui al comma 1 e successivamente ogni sei mesi, fino alla completa attuazione del Programma» –:
   se il decreto sia stato firmato lunedì 3 novembre dal Ministro interrogato come affermato nell'intervista rilasciata al Corriere della Sera del 2 novembre, e sia in attesa di pubblicazione;
   se il comunicato stampa del 15 novembre 2014 prefiguri un ritorno del decreto alla Conferenza unificata per un ulteriore approfondimento;
   se l'affermazione contenuta nel comunicato stampa del 15 novembre 2014 secondo cui agli inquilini è riconosciuto il diritto di prelazione prefigura una modifica del decreto con l'inserimento della preventiva richiesta all'inquilino di esercizio del diritto di prelazione;
   se nel frattempo siano state avviate le procedure per l'approvazione del decreto ministeriale contenente i criteri per la formulazione di un Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei comuni e degli Istituti autonomi per le case popolari come previsto all'articolo 4 del decreto-legge 47 del 2014 convertito in legge 80 del 2014 che prevede lo stanziamento di fondi per il recupero e l'autorecupero del patrimonio pubblico e quanti siano realmente i fondi a disposizione (5-04189)


   DE LORENZIS, TOFALO e L'ABBATE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Atlantica di Navigazione S.p.a. (società del Gruppo Grimaldi Compagnia di navigazione spa) ha presentato un'istanza in data 19 agosto 2014 ai sensi e per gli effetti attraverso un'istanza in data 19 agosto 2014 ai sensi dell'articolo 18 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione;
   attraverso tale istanza la società Atlantica di Navigazione spa ha richiesto il rilascio, ai sensi della legge n. 84 del 1994, della concessione demaniale marittima della zona portuale ubicata nel porto medio, unitamente al terminal passeggeri ivi esistente ed ai relativi fabbricati accessori, per una estensione di aree coperte pertinenziali pari a metri quadrati 2.074,50 per l'esercizio, in conto proprio ed in conto terzi, delle operazioni portuali di cui all'articolo 16 della legge n. 84 del 1994, e segnatamente quelle operazioni portuali connesse con il traffico traghetti da passeggeri (ivi incluse le attività di assistenza) e ro-ro per la durata di anni venti;
   la società richiedente ha specificato che tale richiesta è subordinata al riconoscimento dell'esonero, per tutta la durata della concessione richiesta, dall'obbligo del versamento dei cosiddetti diritti portuali, di cui ai provvedimenti emanati dall'autorità portuale di Brindisi;
   da fonti stampa si comprende come, in questa situazione, il porto di Brindisi dipenderebbe, per quanto concerne il traffico passeggeri e ro-ro, solo da un unico operatore. Un operatore che ha chiesto contestualmente al rilascio della concessione ventennale dell'intera area di Punta delle Terrare e delle strutture esistenti (rampe, banchine e prefabbricato), anche la necessaria autorizzazione di terminalista (articolo 18 della legge n. 84 del 1994), e infine quella di impresa portuale (articolo 16 della medesima legge) –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda porre in essere proprio in una fase di riorganizzazione amministrativa e logistica delle autorità portuali, considerando che, con la situazione descritta in premessa, la nuova programmazione dei traffici sarebbe limitata, in quanto si potrebbe verificare la nascita di un nuovo monopolio nel porto di Brindisi che chiuderebbe le porte ad altre compagnie marittime. (5-04192)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FERRARI, FERRO e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un'indagine di agosto 2014 della rivista specializzata Quattroruote ha accertato che circa la metà dei lampioni della più trafficata strada di Roma, il Grande Raccordo Anulare, è spenta;
   la medesima situazione si riscontra per gli impianti di illuminazione dell'autostrada Roma-Fiumicino che risulta essere al buio addirittura per l'80 per cento del percorso;
   la gestione e la manutenzione dei suddetti tratti autostradali è di competenza dell'ANAS spa;
   in una recente intervista il Presidente dell'ANAS spa, dottore ingegnere Pietro Ciucci, ha dichiarato che la causa della mancanza del sistema di illuminazione è data dai continui furti di rame che rendono inservibili gli impianti e hanno causato nell'ultimo anno un danno economico per l'ente pari a circa 6 milioni di euro soltanto nella Capitale;
   questa situazione di grave allarme era peraltro già nota al gestore stradale che nel settembre 2011 in un comunicato stampa dichiarava di voler «implementare ulteriori strumenti di tutela, per evitare che tali episodi criminosi possano portare ad un abbassamento dei livelli di servizio delle arterie, ed in particolare degli impianti di illuminazione e di altre apparecchiature deputate a garantire la sicurezza stradale»;
   la discontinuità nella illuminazione con luce artificiale dei tratti stradali interessati da questo fenomeno pone in grave rischio gli automobilisti rendendo molto pericolosa la circolazione nelle ore notturne;
   sembra che i rimedi attuati dall'ente gestore per prevenire i furti, come le telecamere a circuito chiuso installate lungo il percorso, non siano sufficienti;
   il fenomeno criminoso ha assunto una preoccupante rilevanza in tutto il Paese, sia per l'entità dei danni materiali ed economici che per la compromissione della sicurezza stradale;
   nell'ambito del Ministero dell'interno, da alcuni anni, è stato istituito l'osservatorio nazionale sui furti di rame che tra i suoi compiti specifici ha quello di elaborare idonee strategie di prevenzione e contrasto al fenomeno illecito –:
   quali urgenti ed immediate iniziative si intendano intraprendere per ripristinare il servizio di illuminazione stradale nei tratti di strada indicati;
   quali rimedi siano attualmente in fase di studio atti a prevenire e disincentivare comportamenti criminosi;
   se non ritengano opportuno incrementare la sorveglianza dei tratti stradali citati con apposita vigilanza, specialmente nelle ore notturne, al fine di prevenire i furti e di dotare i tratti stradali più esposti di telecamere intelligenti che si attivino inviando alla sala operativa della polizia e dell'ANAS le segnalazioni in caso di manomissione degli impianti di illuminazione;
   se non ritengano necessario acquisire gli studi e le strategie del predetto Osservatorio nazionale sui furti di rame al fine di implementare e rendere operativi i mezzi che detto organismo propone.
(4-07099)


   SISTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un emendamento presentato e approvato al «decreto del fare» (decreto-legge n. 69 del 2013) dall'interrogante, relatore del provvedimento, unitamente al collega onorevole Francesco Boccia, in tema di «misure urgenti di settore in materia di infrastrutture e trasporti» ha previsto che fondi Cipe siano destinati «agli interventi di soppressione ed automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria mediante costruzione di idonei manufatti sostitutivi o deviazioni stradali o di miglioramento delle condizioni di esercizio di passaggi a livello non eliminabili, individuati, con priorità per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce»;
   dal 1990 ad oggi in Italia è stato soppresso il 43 per cento dei passaggi a livello, ma nella tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce sono ancora presenti ben 46 passaggi a livello, di cui 40 nella sola regione Puglia;
   la Puglia (con la provincia di Matera) è una delle regioni italiane con il maggior numero di passaggi a livello: sono 266, quasi il 5 per cento di tutti i 5.600 attraversamenti esistenti sulla linea ferroviaria nazionale: un numero altissimo, che non tiene conto delle ulteriori decine esistenti sulle linee secondarie e che costituisce, almeno in parte, una spiegazione dei numerosi incidenti che si verificano ogni anno;
   la zona nord di Bari, Palese-Santo Spirito, è divisa a metà dalla Rete ferroviaria italiana, con l'aggravante che non vi sono né sottopassaggi, né cavalcavia. I residenti subiscono da anni la presenza di binari e passaggi a livello (con seri problemi per la sicurezza, causati dal passaggio quotidiano di circa duecento treni in pieno centro abitato con velocità superiore ai 100 chilometri orari). I passaggi a livello sono spesso chiusi anche per più di 30 minuti di fila, con tutti i disagi che ne derivano e causando, oltre ad un costante inquinamento acustico, anche numerosi pericoli, a volte purtroppo mortali: sono noti i tanti tragici accadimenti su questa tratta ferroviaria;
   l'elevato numero di attraversamenti ferroviari nella regione, e in particolare nella provincia di Bari, che ne conta ben 30 (7 attraversamenti sono presenti nella circoscrizione di Palese), ha causato una quantità di morti non più tollerabile;
   i passaggi a livello restano una delle maggiori fonti di rischio nel trasporto ferroviario, e la soluzione del problema non può che essere la loro soppressione –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia intrapreso e quali intenda intraprendere – in via d'emergenza – per affrontare tempestivamente il problema strutturale dei passaggi a livello nella tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce, visto anche l'ormai avvenuto stanziamento dei fondi necessari per le relative infrastrutture;
   quante siano le risorse attualmente disponibili secondo l'articolo 18, comma 11, del decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013, per gli interventi di cui sopra. (4-07116)


   BONAFEDE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo 2007, per un valore complessivo dei lavori di 710 milioni di euro – ad oggi, 770 per varianti intervenute – Coopsette, in qualità di general contractor si è aggiudicata l'affidamento delle attività di progettazione esecutiva, direzione dei lavori, realizzazione del passante ferroviario alta velocità del nodo di Firenze, della nuova stazione AV, delle opere infrastrutturali connesse alla fluidificazione del traffico ferroviario (Scavalco), nonché le opere propedeutiche, funzionali ai due lotti in cui è articolata l'opera;
   per la realizzazione delle attività menzionate, l'affidataria costituì, nel maggio 2007, NODAVIA Società consortile per azioni, partecipata al 70 per cento dalla stessa Coopsette;
   relativamente alla realizzazione delle predette opere, la procura di Firenze ha aperto delle indagini penali relative ai reati di associazione a delinquere, truffa, corruzione, abuso d'ufficio, traffico illecito di rifiuti, frode in pubbliche forniture, e violazione delle norme paesaggistiche, nei confronti dei vertici della società affidataria, della committente, e funzionari pubblici, che hanno determinato l'emissione a loro carico di provvedimenti cautelari, nonché, il sostanziale fermo dei lavori;
   in base al più recente bilancio 2013, riferito all'anno 2014, della società Nodavia, soggetto attuatore dei lavori per il «passante» e lo «scavalco» dell'alta velocità ferroviaria fiorentina, si evince non solo un andamento dei costi in sensibile aumento al valore delle opere, ma si elencano inoltre criticità tali da compromettere, a detta della stessa società, la fattibilità stessa dell'opera;
   in particolare, nella sezione «relazione sulla gestione» del documento bilancio, viene ripercorsa una dettagliata cronistoria dei lavori, in cui si ricorda che Nodavia, avrebbe ripetutamente chiesto la sospensione totale dei lavori al committente (RFI - Rete ferroviaria Italiana, interamente controllata da Ferrovie dello Stato, le cui quote azionarie sono detenute dal Ministero dell'economia e delle finanze), mentre Italferr, la società di progettazione di Ferrovie dello Stato, avrebbe invece insistito per la prosecuzione di quei lavori che non erano bloccati dai sequestri e/o dalla mancanza di autorizzazioni;
   le principali opere oggi realizzate sarebbero, dunque, le piazzole di stoccaggio delle terre a Santa Barbara e i pali di ancoraggio della stazione AV ai Macelli, questi ultimi, secondo molti tecnici, sovradimensionati alle necessità; vi sarebbe poi un'imminente fase di scavo per la nuova stazione con l'abbassamento di cinque metri della stessa e la rimozione di circa tremila metri cubi di terra da conferire in discarica;
   nel documento di Nodavia si precisa che al 31 dicembre 2013 lo stato di avanzamento dei lavori era pari a euro 209.179.654;
   nel citato documento, al capitolo sulle «riserve», corrispondenti alla richiesta da parte del costruttore di maggiori prestazioni economiche dovute ad aumenti dei costi, ovvero quanto viene preteso in più rispetto agli accordi fatti, Nodavia rivendica un notevole aumento di costi, attribuendone la responsabilità al committente (RFI), a causa del procedere rallentato dei lavori, quali la sotto-utilizzazione del cantiere, l'impossibilità di smaltire le terre di scavo come previsto, la mancanza di autorizzazione paesaggistica, la mancata definizione di alcune varianti economiche e progettuali, il tutto aggravato dal mancato stop richiesto ai lavori, individuando pertanto «riserve» ammontanti a euro 421.384.866 (quattrocento milioni) al 31 ottobre 2013, euro 528.184.977 (cinquecentoventotto milioni) al 30 aprile 2014;
   questi sommari conti mostrerebbero come i costi dei lavori del passante comportino un aumento di oltre il 500 per cento, laddove, in 6 mesi, le «riserve» sono aumentate di euro 106.800.111 (oltre cento milioni);
   allorquando si individuano «riserve» nell'esecuzione di un'opera, di solito è il direttore dei lavori che stabilisce la congruità della richiesta e tale figura sarebbe a garanzia degli interessi del committente e da questo pagato, mentre, nel caso in questione, il direttore dei lavori è alle dipendenze dello stesso costruttore, generando fondati dubbi sulla pienezza della tutela degli interessi (pubblici e privati) concorrenti;
   il considerevole ammontare delle «riserve», connesso all'aumento dei costi, cui potrebbe aggiungersi l'impatto delle penali dovute all'eventuale disdetta dell'opera – laddove irrealizzabile, disegna un quadro di straordinario esborso a parte del committente RFI/Ferrovie dello Stato, società interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze in ragione di un'opera che, oltre a diffusi rischi ambientali, non solamente rappresenta un rischio oggettivo per l'integrità di intere aree di una città classificata dall'Unesco «patrimonio dell'unanimità» come Firenze, ma che, ad oggi, non è stata neanche iniziata, laddove la stessa Nodavia indica l'inizio dei lavori di scavo veri e propri tra gennaio e giugno 2015;
   come evidenziato anche da una recente inchiesta pubblicata da L'Espresso la vicenda, già fortemente interessata questioni giudiziarie, è attualmente oggetto di attenzione, sia per le attività di smaltimento fanghi che per i requisiti del raggruppamento societario del general contractor, dell'Autorità nazionale, anti corruzione (ANAC);
   studi dell'Università di Firenze, in luogo del rischioso e dispendioso programma di sottoattraversamento della città di Firenze per 7,5 chilometri, hanno da tempo prospettato un progetto alternativo, di superficie, dai costi complessivi entro 400 milioni di euro in grado di garantire un minore impatto urbanistico, ambientale, economico e sociale e di potenziare tutto il nodo ferroviario fiorentino quale straordinaria opportunità per la mobilità sostenibile dell'area metropolitana fiorentina –:
   se non ritengano indispensabile, sulla base di una precisa valutazione economica, ambientale e sociale, dar luogo ad un sostanziale ripensamento dell'opera stabilendo un piano finanziario sostenibile per l'abbandono della stessa e la conversione dell'attuale progetto in un alternativo che preveda il passaggio «in superficie» dell'alta velocità ferroviaria da Firenze, al fine di evitare un incontrollato impiego di risorse pubbliche e di interrompere i lavori di scavo, dagli imprevedibili esiti, del tratto in sottoattraversamento della città;
   se il Governo non reputi di dover intervenire in qualità di azionista unico di RFI spa tramite Ferrovie dello Stato spa, per verificare presso il consiglio di amministrazione di tale società la sostenibilità economico-finanziaria di un'operazione come quella del sottoattraversamento fiorentino dell'alta velocità, i cui costi appaiono fuori controllo. (4-07118)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   le navi militari denominate M/N Altinia e la M/N Maior appartengono alla compagnia Giovanni Visentini trasporti Fluvio Marittimi S.r.l. M/N Altinia è una ro-ro cargo ship, costruita nel 1992 e parte dai vari porti italiani proseguendo nella tratta oltre il canale di Suez fino a Dubai. M/N Maior è un pusher tug, costruita nel 2001 ed effettua viaggi nazionali;
   a quanto consta all'interrogante, le suddette navi sono noleggiate dalla Saima Avandero S.p.A ed entrambe presentano degli standard di sicurezza al di sotto della media. La compagnia Giovanni Visentini S.r.l., infatti, ha effettuato tagli del personale impiegato nel settore della sicurezza su entrambe le navi, danneggiando conseguentemente la salvaguardia degli equipaggi che si susseguono a bordo;
   nel 2011, la nave M/N Altinia, durante l'attraversamento del canale di Suez, ha subito la rottura dell'asse dell'elica a seguito del quale fu rimorchiata fino in Italia. Nonostante le visite annuali, biennali e quinquennali previste dalla Solas (Safety of Life at Sea), effettuate da ufficiali della Marina militare italiana e dal Rina (Registro italiano navale) la situazione, sempre ad avviso dell'interrogante, è rimasta invariata;
   da fonti stampa si apprende che, lo scorso maggio, la nave M/N Altinia ha preso fuoco mentre navigava nel golfo di Aden, davanti alla Somalia, mentre riportava a casa dall'Afghanistan modernissimi blindati Lince, semoventi e altri mezzi dell'Esercito italiano. L'equipaggio è stato per ore in balia dei pirati presenti in quelle acque, ed è stato salvato da una fregata cinese;
   dalle medesime fonti stampa si apprende come, secondo la fregata cinese, la suddetta nave, fosse già in panne qualche mese prima sulla stessa rotta;
   sempre da fonti stampa emerge come sia il suddetto incendio in sala macchine della vecchia «Altinia» non sia imputabile al caso, ma sia la logica conseguenza di una gestione che punta più sul risparmio e non sulla sicurezza e l'affidabilità dei mezzi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione;
   quali iniziative, di propria competenza, intendano porre in essere per quanto riguarda il rispetto dei parametri relativi a sicurezza ed affidabilità degli equipaggi. (4-07119)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel documento di economia e finanza (DEF) 2014, approvato in via definitiva dalle Camere il 17 aprile 2014, il Governo manifesta l'intenzione di attuare un piano di privatizzazioni mediante la dismissione di partecipazioni in società controllate anche indirettamente dallo Stato e l'attivazione di strumenti per consentire le dismissioni anche da parte degli enti territoriali; come riportato nel programma nazionale di riforma contenuto nello stesso documento, le società coinvolte nell'operazione includono società a partecipazione diretta nelle quali rientra Enav Ente spa nazionale di Assistenza al Volo;
   i proventi del piano di privatizzazioni sono stimati nel medesimo DEF in circa 0,7 punti percentuali di prodotto interno lordo all'anno nel periodo 2014-2017;
   nel Consiglio dei ministri n. 16 del 16 maggio 2014 è stato approvato il decreto (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 78) che determinano i criteri per la privatizzazione e le modalità di alienazione della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze del capitale di ENAV spa, fino al 49 per cento;
   da fonti stampa si apprende che, il processo di privatizzazione di Enav spa, risulta al momento, instabile e sospeso sebbene l'ingresso in borsa fosse previsto non prima del 2015;
   l'assemblea ha approvato il 5 agosto 2014, il bilancio, chiuso con un utile di 50,5 milioni di euro;
   la società controllata al 100 per cento dal dipartimento del tesoro, non ha ancora un consiglio di amministrazione completo perché durante l'assemblea del 5 agosto 2014, non si è proceduto alla nomina del nuovo amministratore delegato e degli altri consiglieri;
   in data 19 settembre 2014, il Ministero dell'economia e delle finanze, che esercita il controllo esclusivo sulla società, ha nominato un consiglio di amministrazione dimezzato per il triennio 2014/2016 nelle persone della dottoressa Maria Teresa Di Matteo in qualità di Presidente e dell'avvocato Alessandro Tonetti e dell'avvocato Nicola Maione in qualità di consiglieri d'amministrazione, riservandosi, in ultimo, di ampliarlo fino al massimo numero di consiglieri e di nominare contestualmente l'amministratore delegato;
   il Ministero dell'economia ha inviato nei giorni scorsi una lettera ad Enav spa chiedendo una riduzione del capitale che, sempre dalle medesime fonti stampa, si aggirerebbe intorno ai 200 – 300 milioni. Tale operazione risulterebbe «propedeutica» al processo di privatizzazione, in quanto, la società al momento è troppo capitalizzata per accedere nel mercato azionario;
   nella strategia europea del «Cielo Unico Europeo», la Commissione europea ha stabilito il 20 aprile del 2012 che la costituzione del FAB (functional air block) è un elemento fondamentale prevedendo l'istituzione di 9 FAB;
   l'Italia è capofila nel FAB denominato BlueMed istituito insieme a Malta, Grecia, Cipro con Paesi osservatori Egitto, Tunisia, Albania, Giordania;
   sempre da fonti stampa si apprende che il Governo risulti interessato al capitale di Enav spa. In particolare, nel decreto-legge n. 133 del 2015, un emendamento dell'Esecutivo, giudicato successivamente inammissibile, chiedeva una riduzione del capitale sociale di Enav spa indicando che l'eccedenza sarebbe finita nel fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intendano procedere sulla questione della privatizzazione, la quale potrebbe determinare l'indebolimento delle potenzialità industriali nazionali, senza peraltro un sostanziale effetto di diminuzione del debito pubblico, ma con una riduzione delle entrate fornite al bilancio dello Stato dai dividendi della stessa società;
   per quale ragione il Governo ritenga propedeutico la riduzione del capitale per poter quotare in borsa la società;
   se per attuare la strategia europea Single European Sky, non ritengano opportuno procedere velocemente e prioritariamente al completamento del consiglio di amministrazione;
   se e quando i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, intendano provvedere alla nomina dell'amministratore delegato di ENAV, in modo da poter dare alla società nazionale di assistenza di volo, che svolge un compito delicatissimo legato alla sicurezza, un nuovo vertice aziendale che sia di provata competenza in questo settore e di assoluta discontinuità con le passate gestioni. (4-07120)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il segretario nazionale del Sap (Sindacato autonomo di polizia, Gianni Tonelli, nei giorni scorsi si è rivolto al Ministero dell'interno affinché non si proceda alla chiusura degli uffici della polizia ferroviaria e della polizia postale della città di Crotone;
   il su citato sindacato ha evidenziato come i tagli lineari del Governo, anziché apportare dei vantaggi alla cittadinanza, siano contro producenti ed ha, inoltre, sottolineato come sia possibile ottenere risparmi in altri modi, ovvero tagliando le numerose sale operative che agiscono in determinati territori, oppure agendo sulle circa quattromila «pensioni d'oro» di Stato;
   dal sindacato è anche emerso il rischio che possa essere smantellata, sempre in riferimento alla città di Crotone, la squadra mobile, che nel corso degli anni ha riportato degli ottimi risultati nella lotta alla criminalità organizzata;
   anche la costruzione del nuovo edificio che dovrebbe ospitare la questura di Crotone andrebbe nella direzione di privare i cittadini di servizi essenziali, nel caso essa venisse realizzata solo dopo una appropriata operazione di tagli effettivamente necessari, in grado di eliminare sperperi di danaro che pesano sulla comunità e sugli operatori del settore –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno rivedere il piano dei tagli lineari, per quanto di sua competenza, al fine di evitare la chiusura degli uffici locali della polizia ferroviaria e della polizia postale di Crotone, ovvero di una città del meridione da sempre alle prese con fenomeni di criminalità organizzata che, quindi, richiede a maggior ragione la presenza costante e semmai rafforzata dello Stato e non certamente una riduzione degli uffici che lo rappresentano. (3-01191)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella struttura dell'ex «Villa Green», a Torre del Greco, in provincia di Napoli, vi è attualmente un centro di accoglienza per rifugiati gestito da una cooperativa locale, la «Santa Croce»;
   il centro in questione accoglie, attualmente, solo tre immigrati nigeriani, ma può garantire spazi per circa una cinquantina di rifugiati, ed è difatti previsto l'arrivo di altri 47 richiedenti asilo nelle prossime settimane;
   l'assegnazione dello spazio in questione alla cooperativa «Santa Croce» per il progetto di creazione del centro di accoglienza è stata di competenza della prefettura;
   l'amministrazione comunale torrese ha effettuato diversi controlli per verificare la compatibilità della struttura con le norme igienico-sanitarie vigenti, senza porre ad oggi alcun dubbio sulla regolarità di quanto messo in campo dalla cooperativa «Santa Croce»;
   i tre giovani attualmente accolti nel centro in questione, tutti tra i 25 ed i 26 anni, vengono da situazioni drammatiche ed hanno perso le loro famiglie e tutte le certezze della loro esistenza;
   essi, come tutti coloro i quali approderanno al centro di accoglienza, desiderano solo provare a costruirsi un futuro lavorando onestamente;
   i responsabili del centro insegneranno loro l'italiano per facilitargli il processo di integrazione con la comunità;
   «CasaPound Italia», organizzazione politica dichiaratamente neofascista e tristemente nota per essere stata autrice, negli ultimi anni, di decine di atti violenti nei confronti di omosessuali, immigrati e militanti di sinistra, ha indetto un presidio a Torre del Greco contro il centro di accoglienza della cooperativa «Santa Croce»;
   tale presidio si terrà sabato 29 novembre 2014;
   appare evidente il contenuto razzista di tale presidio e l'istigazione all'odio razziale insito nella convocazione di un evento di tal fatta;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, nell'articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano «Metropolis» del 24 novembre 2014 dal titolo «I rifugiati di villa Green: “Vogliamo solo tornare a vivere”»;
   Torre del Greco, città di mare, nella sua storia è sempre stata un luogo inclusivo ed in grado di accettare ed integrare culture diversissime tra loro, e da sempre rifiuta il razzismo –:
   sulla base di quali valutazioni non sia stata vietata una manifestazione del genere, ad avviso dell'interrogante dal contenuto razzista. (4-07114)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'avvio dell'anno scolastico, in Campania, è gravato dall'affidamento in reggenza di circa 170 scuole;
   tale circostanza impedisce la corretta gestione di istituzioni scolastiche autonome normodimensionate e di grande complessità che necessiterebbero della presenza a tempo pieno del dirigente scolastico;
   una simile situazione rappresenta un ulteriore svantaggio in danno di una popolazione scolastica che già presenta fra i più alti livelli di disagio e dispersione scolastica del Paese;
   con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, 4a Serie Speciale, n. 56 del 15 luglio 2011, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indetto una procedura concorsuale, per esami e titoli, per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi, per n. 2.386 posti complessivi, di cui n. 224 per la regione Campania;
   la legge speciale del concorso stabiliva che i candidati che avessero superato la prova preselettiva di carattere culturale e professionale, avrebbero poi dovuto sostenere due prove scritte e una prova orale;
   la procedura selettiva anzidetta si è svolta, in Campania, con notevole ritardo rispetto ai tempi previsti dal bando e rispetto a quanto accaduto in altre regioni, attesa la intervenuta sospensione del concorso campano, in sede cautelare, disposta dal TAR della Campania a fronte di numerosi ricorsi proposto da candidati dichiarati non idonei a sostenere gli orali;
   i ricorsi in questione sono stati, poi, respinti, nel merito, dal TAR Campania, nel luglio 2013, e nello scorso settembre 2014 sono altresì respinti gli appelli proposti avverso le sentenze di rigetto del TAR;
   le prove orali del concorso erano frattanto riprese, il 3 ottobre 2013, per concludersi il 18 febbraio 2014, ma a tutt'oggi l'ufficio scolastico regionale per la Campania non ha provveduto alla pubblicazione delle graduatorie di merito;
   risulta essere stato proposto ulteriore ricorso al TAR per la Campania, proprio avverso il silenzio tenuto dall'amministrazione scolastica all'esito delle prove orali, inteso all'ottenimento della pubblicazione delle ripetuta graduatoria, a fronte del quale l'ufficio scolastico regionale per la Campania ha dichiarato l'impossibilità ad effettuare la pubblicazione della graduatoria per la asserita indisponibilità degli atti del concorso, essendo gli atti in questione stati sequestrati, il 25 febbraio 2014, dalla Guardia di finanza, in esecuzione del decreto di sequestro preventivo degli atti del concorso emesso dalla procura di Napoli;
   il TAR Campania, con la sentenza della  sezione VIII n. 5634/2014, ha non di meno accolto il ricorso avverso l'anzidetto silenzio, essendo risultato che, in realtà, il competente pubblico ministero aveva concesso rilascio di copia conforme degli atti sequestrati, con provvedimento debitamente noto all'amministrazione scolastica, sin dal 29 maggio 2014;
   lo stesso TAR, con la sentenza citata, assunta il 4 novembre 2014, ha, pertanto, accertato e dichiarato l'obbligo dell'ufficio scolastico regionale della Campania di provvedere alla pubblicazione delle graduatorie del concorso, con assegnazione di apposito termine e con condanna alla rifusione delle spese di lite;
   tale situazione dell'ufficio scolastico regionale della Campania ha già determinato riflessi oltremodo negativi sul pubblico interesse, in aggiunta a quanto lamentato dai vincitori del concorso, e non può essere protratta oltre;
   dal comunicato in data 18 novembre 2014, emesso dal segretario generale della UIL Scuola Napoli, si evince, invece, che il direttore dell'ufficio scolastico regionale Campania, nell'incontro con la detta organizzazione sindacale, ha affermato che la pubblicazione della graduatoria di merito è prevista entro il prossimo mese di dicembre;
   la mancanza di una data certa di pubblicazione, nonché l'approssimarsi della fine dell'anno solare in corso, rischiano, pertanto, di far slittare la stipula dei contratti con i vincitori del concorso al prossimo anno scolastico, in considerazione della vigente normativa di settore in materia di assunzioni –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e della data per la pubblicazione della suddetta graduatoria;
   quali iniziative intenda eventualmente assumere, nell'ambito delle sue competenze, per la immediata pubblicazione della graduatoria e per l'immissione in ruolo dei dirigenti scolastici risultati vincitori.
(2-00769) «Bossa, Valeria Valente, Tino Iannuzzi, Roberta Agostini, Palma, Carloni, Sgambato, Famiglietti, Bonavitacola, Giorgio Piccolo, Migliore, Di Lello, Salvatore Piccolo, Vaccaro, Coccia, D'Ottavio, Moscatt, Epifani, Minnucci, Paris, Tartaglione, Michele Bordo, Bargero, Rossomando, Fiorio, Petitti, Misiani, Impegno, Culotta, Berretta».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il 26 novembre 2014 la terza sezione della Corte di giustizia europea ha emesso una sentenza sulle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13, C-418/13 Raffaella Mascolo e altri contro il Ministero dell'istruzione, dell'università, e della ricerca, a favore di 250 mila precari italiani, secondo la quale le norme italiane sui contratti a tempo determinato applicate al personale della scuola violano la direttiva comunitaria n. 1999/70/CE e in particolare la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato;
   la motivazione della sentenza emessa il 26 novembre recita «La clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali che autorizzi, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali corrisponda effettivamente ad un'esigenza reale, sia idoneo a prevedere nessun'altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti a tempo determinato»;
   secondo la Corte di giustizia europea la normativa italiana viola la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato dal momento che esclude il risarcimento del danno subito a causa del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore dell'insegnamento. Tale abuso non consente neppure la trasformazione di tali contratti in contratti a tempo indeterminato;
   secondo la Corte di giustizia il fatto che un lavoratore che abbia effettuato supplenze non possa ottenere un contratto a tempo indeterminato se non con l'immissione in ruolo per effetto dell'avanzamento in graduatoria è aleatorio e non costituisce quindi una sanzione sufficientemente effettiva e dissuasiva ai fini di garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro;
   l'Italia ha recepito la direttiva UE 1999/70/CE nella normativa nazionale con il decreto legislativo n. 368 del 2001. L'articolo 4 di tale decreto specifica che un contratto a tempo determinato può essere prorogato non più di una volta e che la durata totale di uno o più contratti a tempo determinato non può superare i tre anni. L'articolo 5, comma 4-bis prevede che uno o più contratti di durata superiore ai tre anni siano considerati contratti a durata indeterminata;
   l'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche dispone quanto segue: «1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35. 2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato (...). 5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative (...)»;
   l'utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato, al fine di prevenire discriminazioni e abusi, deve essere necessariamente basato su ragioni oggettive, come chiarisce l'articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001, in cui si afferma che «è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro»;
   nel settore pubblico l'articolo 49 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha sostituito l'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, imponendo alle amministrazioni pubbliche l'obbligo di «assumere esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato» in presenza di «esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario», e ripristinando la possibilità di avvalersi di forme contrattuali flessibili unicamente «per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali», con disciplina, dunque, più restrittiva, nella proclamazione del superamento del «lavoro precario»;
   ai sensi dell'articolo 10, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 368 del 2001, come modificato dall'articolo 9, comma 18, del decreto-legge del 13 maggio 2011, n. 70 «(...) sono altresì esclusi dall'applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA [amministrativo, tecnico ed ausiliario], considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminata ed anche determinato. In ogni caso non si applica l'articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto»;
   il fenomeno del precariato risulta particolarmente diffuso in ambito scolastico, un settore in cui i numeri sono impietosi e parlano di 118.468 docenti assunti con contratti a tempo determinato e di 18.428 unità assunte a tempo determinato come personale amministrativo, tecnico e ausiliario: cifre che fotografano un ulteriore aumento rispetto al 2013;
   il precariato scolastico risulta avere un'incidenza negativa non solo sulla condizione di incertezza lavorativa ed economica del personale scolastico, ma anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell'insegnamento, che risultano fortemente penalizzate;
   il 21 novembre 2013, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato, utilizzando i supplenti con contratti a termine «continuativi», che durano anche molti anni e lasciandoli così «in condizioni precarie nonostante svolgano un lavoro permanente come gli altri»;
   il Governo ha previsto nel documento «La Buona Scuola» lo stanziamento di 1 miliardo di euro nel 2015 e di 3 miliardi di euro a partire dal 2016 per la realizzazione di un piano di assunzioni del personale scolastico e del potenziamento dell'alternanza scuola-lavoro;
   tale piano straordinario di immissioni in ruolo riguarderà il personale docente attualmente iscritto nelle graduatorie ad esaurimento (GAE), che secondo le stime del Governo consta di 148.000 unità;
   attualmente risultano provvisti di abilitazione o in procinto di acquisirla altri 166 mila docenti, di cui 55 mila diplomati magistrali, 69 mila abilitati con i Pas, 10.500 abilitati con il primo ciclo del Tfa, 22.500 abilitati con il secondo ciclo di Tfa, 8.900 laureati in scienze della formazione primaria che hanno conseguito la laurea dopo il 2010-2011;
   tali docenti sono stati formati dallo Stato e, nella gran parte dei casi, hanno già acquisito un'esperienza di insegnamento pari o superiore ai 36 mesi, ma non vengono considerati dal Governo al fine di una stabilizzazione –:
   in che termini e secondo quali modalità il Governo intenda recepire nel nostro ordinamento la sentenza della Corte di giustizia europea di cui in premessa, garantendo al personale scolastico interessato dal dispositivo l'assunzione a tempo indeterminato;
   se non ritenga opportuno considerare ai fini della stabilizzazione e contrariamente a quanto disposto nel documento «La Buona Scuola» anche i docenti della seconda fascia delle graduatorie d'istituto, provvisti di abilitazione, dal momento che secondo quanto disposto dalla terza sezione della Corte di giustizia, la normativa italiana «non riserva l'accesso ai posti permanenti nelle scuole statali al personale vincitore di concorso, poiché essa consente altresì, nell'ambito del sistema del doppio canale, l'immissione in ruolo di docenti che abbiano unicamente frequentato corsi di abilitazione»;
   se non ritenga opportuno attuare, nelle more delle procedure di stabilizzazione dei docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, un censimento che verifichi il numero complessivo di giorni di insegnamento di tali iscritti, anche al fine di escludere dalla stabilizzazione chi non abbia svolto un solo giorno di servizio effettivo dal momento dell'iscrizione nelle suddette graduatorie.
(2-00773) «Chimienti, Simone Valente, Marzana, Brescia, D'Uva, Di Benedetto, Luigi Gallo, Vacca, Vignaroli, Carinelli, Fico, Nesci, Petraroli, Battelli, Luigi Di Maio, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Ciprini, Cominardi, Rostellato, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, D'Ambrosio».

Interrogazione a risposta scritta:


   PALESE e CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Avvocatura dello Stato di Palermo, disattendendo di fatto la posizione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (nota 22 settembre 2014, prot. N. 24848 «ravvisata la necessità di prestare acquiescenza alle ordinanze del T.A.R. in maniera uniforme») e dell'Avvocatura generale dello Stato che, a fronte di 5.000 ammissioni decretate dal T.A.R. Lazio ha ritenuto opportuno non proporre appello cautelare, ha proposto appello avverso l'ordinanza del T.A.R. Palermo che ha decretato l'ammissione di «soli» 20 studenti ai corsi di laurea in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2014/2015;
   la posizione dell'Avvocatura generale dello Stato si è, invero, dimostrata lungimirante giacché il Consiglio di Stato, in sede consultiva, sezione II, con oltre 50 pareri emessi nelle adunanze dell'8, 22 ottobre e 5 novembre, ha parimenti ammesso all'immediata frequenza dei corsi ulteriori 1.500 studenti, confermando così la correttezza della posizione del T.A.R. Lazio, ritenendo che «il ricorso è assistito dal necessario fumus boni juris, in considerazione dei molteplici precedenti giurisdizionali in tema di anonimato della prova, ivi compreso il parere n. 7690 del 2012 reso da questa sezione nell'Adunanza del 3 luglio 2013, le AA.PP. nn. 26, 27 e 28 del 20 novembre 2013 e l'ordinanza n. 499 del 2014 del C.G.A. Regione siciliana in sede giurisdizionale»;
   nonostante ciò, in data 7 novembre 2014, l'avvocatura distrettuale di Palermo, affermando di agire nell'interesse del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (che però il 22 settembre ha scritto di voler prestare acquiescenza), dell'università di Palermo (che, invece, il 20 novembre ha dichiarato in consiglio di dipartimento di medicina di aver «ufficialmente istituito il canale Spallanzani in data odierna e che sono state fissate le date di lezioni e di appelli», nonché chiarito che «l'Avvocatura dello Stato vieta di fare controricorso, perché sarebbe solo dannoso. La situazione potrebbe cambiare con una sola legge, ma dipende dal Parlamento e la proposta di legge non è stata ancora fatta») e del CINECA, ha proposto appello;
   l'appello proposto, esclusivamente nei confronti di 20 studenti, non è neanche motivato in ragione dell'ingente numero di studenti ammessi a Palermo, giacché l'ateneo sta serenamente ospitando oltre 1.000 matricole, ma, esclusivamente, sulla presunta correttezza della procedura di concorso smentita unanimemente da tutti i giudici uditi sino ad ora;
   trattasi dunque di un gesto ad avviso dell'interrogante inopportuno, oltre che profondamente sbagliato nel merito; inopportuno, perché i ragazzi si sono già iscritti ed hanno rinunciato ad altri corsi di laurea, e, di conseguenza, un eventuale accoglimento del ricorso li porterebbe a perdere un anno. Le famiglie si sono sacrificate comprando libri, pagando le tasse e organizzando la propria vita in ragione di una situazione che sembrava consolidata e che, di fatto, lo è per tutti tranne che per questi 20 studenti;
   senza contare che, stante il fatto che per oltre 4.000 ammessi, i termini per la medesima impugnazione sono scaduti, si dovrà giustificare il motivo per il quale si è deciso di espellerne solo alcuni (20) e non tutti (oltre 5.000). Inoltre, non è da sottovalutare il fatto che, considerando i precedenti sfavorevoli del Consiglio di Stato e comunque l'oscillante orientamento del massimo organo di giustizia amministrativa, diviso tra l'ammissione soprannumeraria seguita dal Tar e l'annullamento del concorso, l'appello a lezioni oramai da tempo iniziate scontenterebbe tutti, ivi compresi gli aspiranti medici ammessi;
   l'appello è sbagliato soprattutto nel merito, perché le sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato in sede consultiva scaturiscono da test, non solo oggetto delle attenzioni della magistratura amministrativa, ma anche di quella penale, per pochi plichi aperti a Bari e altrove e su cui ben cinque procure indagano;
   ci si deve rendere conto una volta per tutte, che il sistema dei test di accesso è sbagliato e ingiusto; le sentenze hanno solo messo in evidenza questa semplice verità di cui il Parlamento e il Governo devono prendere atto, individuando nuove, più efficaci e più eque forme di selezione e di valorizzazione del merito per i ragazzi che si accingono ad intraprendere gli studi di medicina o di altre facoltà;
   è necessario che il Ministro interrogato dia dunque seguito a quanto più volte dallo stesso annunciato, per fare in modo che dal 2015 i test di accesso siano soltanto un brutto ricordo per tanti giovani e per le loro famiglie –:
   se vi sia stata effettivamente una direttiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'Avvocatura generale dello Stato secondo quanto esposto in premessa, per quali ragioni essa non sia stata osservata a Palermo, e come possa tollerarsi, in una materia tanto delicata e costituzionalmente tutelata come quella del diritto allo studio, una così evidente e intollerabile disparità di trattamento nei confronti di venti giovani siciliani e delle loro famiglie. (4-07101)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   i congedi straordinari di due anni, disciplinati dall'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001, sono – assieme ai permessi lavorativi mensili previsti dall'articolo 33 della legge n. 104 del 1992 – un'agevolazione lavorativa di grande interesse per i familiari di persone con grave disabilità;
   la norma istitutiva (legge n. 388 del 2000, articolo 80, comma 2) ammetteva al beneficio solo i genitori di persone con handicap grave e – in casi eccezionali – i fratelli e le sorelle conviventi con il disabile, due successive sentenze della Corte costituzionale (n. 158 del 2007 e n. 19 del 2009) hanno esteso anche al coniuge e ai figli la facoltà di avvalersi del congedo retribuito di due anni: in questi due casi la Corte ha posto come condizione la convivenza con il familiare da assistere, prerequisito che già valeva per fratelli e le sorelle. Per i figli che assistono i genitori – va sottolineato – la Corte aggiunge anche un'altra condizione: i congedi possono essere concessi «in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave»;
   sul significato da attribuire al concetto di «convivenza» tuttavia, sono emersi da subito dei dubbi interpretativi e, conseguentemente, applicativi. La Corte costituzionale, rifacendosi alla norma istitutiva, parla genericamente di «convivenza», senza entrare nel merito delle più precise definizioni del Codice civile che distingue nettamente fra residenza e domicilio;
   una prima indicazione in tal senso è stata fornita dall'INPS, sentito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il messaggio n. 19583 del 2 settembre 2009, in cui si stabiliva che – alla luce della necessità di una assistenza continuativa – per convivenza si deve fare riferimento, in via esclusiva, alla residenza, luogo in cui la persona ha la dimora abituale, ai sensi dell'articolo 43 del Codice civile, non potendo «ritenersi conciliabile con la predetta necessità la condizione di domicilio né la mera elezione di domicilio speciale previsto per determinati atti o affari dall'articolo 47 del Codice civile»;
   l'INPS, nella sua modulistica in merito, non richiede la presentazione del certificato anagrafico di residenza, ma chiede al lavoratore una dichiarazione di responsabilità in, cui si sottoscrive la convivenza intesa come dimora abituale comune alla persona da assistere, guardando, quindi, alla sostanza della situazione e non alla formalizzazione «anagrafica»;
   si facevano salve in tal modo le situazioni «ibride», quali – ad esempio – il caso delle coabitazioni di fatto senza trasferimento ufficiale di residenza, ma al contempo era possibile far pesare, già in fase istruttoria, la evidente assenza di continuità derivante da diversi «domicili», pur in presenza di formale residenza. In sostanza: il congedo poteva essere negato a chi pur risiedendo formalmente assieme al familiare da assistere, fosse impiegato in un'altra città o magari in un'altra regione;
   in sede applicativa, però, gli stessi uffici periferici dell'INPS, in questi mesi, hanno preso in considerazione strettamente la residenza effettiva comune, unica condizione effettivamente verificabile attraverso un controllo incrociato all'anagrafe comunale di riferimento, prestando però il fianco a prevedibili contestazioni di lavoratori i quali hanno interpellato il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   si chiede, in particolare, se il familiare abita allo stesso numero civico, ma non allo stesso interno, secondo questa logica strettamente letterale, veniva escluso dalla concessione dei benefici;
   su questo aspetto è, quindi, intervenuto nuovamente il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la lettera circolare del 18 febbraio 2010, protocollo 3884, che prevede la concessione dei congedi anche nel caso il familiare da assistere, abiti nello stesso condominio del lavoratore che richiede il congedo (stesso numero civico) ma in un appartamento diverso (altro interno);
   il Ministero premette: «è di tutta evidenza che la residenza nel medesimo stabile, sia pure in interni diversi, non pregiudica in alcun modo l'effettività e la continuità dell'assistenza al genitore disabile. [...] Ancorare, quindi, la concessione del diritto esclusivamente alla coabitazione priverebbe in molti casi il disabile della indispensabile assistenza atteso che, il più delle volte, gli aventi diritto hanno già conseguito una propria indipendenza»;
   tale premessa è contraddetta nella forma e nella sostanza dalla disposizione successiva: «al fine di addivenire ad una interpretazione del concetto di convivenza che faccia salvi i diritti del disabile e del soggetto che lo assiste, rispondendo, nel contempo, alla necessità di contenere possibili abusi e un uso distorto del beneficio, si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assiste abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo»;
   il Ministero dispone ad avviso degli interpellanti arbitrariamente un limite (abitare nello stesso stabile allo stesso stabile, anche se non nello stesso appartamento, in sostanza), ma esclude altri casi simili, come ad esempio: i residenti in condomini contigui, i residenti in abitazioni comuni (esempio ville a schiera, ville bi-familiari) con numeri civici diversi, i residenti nello stesso stabile che abbia due ingressi differenti, oltre a tutti i casi in cui le due abitazioni si trovino a pur breve distanza;
   il Ministero, legando strettamente la concessione dei congedi alla formalità dei riscontri anagrafici al fine di contenere abusi, potrebbe aprire a ben altri abusi, ingenerando una potenziale eterogenesi dei fini tutt'affatto particolare: con questa indicazione avranno diritto alla concessione dei congedi i lavoratori formalmente residenti con l'assistito, ma che di fatto potrebbero avere un domicilio molto distante;
   l'indicazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è cogente sia per il comparto pubblico che per quello privato: l'INPS ha, comunque, ripreso le indicazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il proprio Messaggio n. 6512 del 4 marzo 2010;
   sarebbe di gran lunga preferibile un'impostazione sostanzialista in merito alla risoluzione della criticità interpretativa sopra riportata per quanto concerne la corretta definizione del concetto di coabitazione, in luogo dell'impostazione formalista ora cogente che potrebbe però comportare potenziali abusi sopra evidenziati;
   ulteriori criticità si riscontrano in merito alla frazionabilità oraria dei permessi, di cui all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992;
   il comma 6 dell'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, consente al lavoratore con handicap grave di fruire mensilmente ed alternativamente di 3 giorni di permesso oppure della riduzione oraria giornaliera. Il terzo comma dello stesso articolo da diritto a coloro che assistono un familiare in situazione di gravità, solo ai 3 giorni di permesso mensile;
   mentre in molti contratti del pubblico impiego è espressamente prevista la riconduzione ad ore dei permessi giornalieri, nel settore scolastico, pur prevista nel contratto del 1995, non è stata specificata nel CCNL vigente, ma al riguardo però vi è parere favorevole dell'INPDAP e dell'INPS;
   la frazionabilità oraria è prevista in molti contratti del pubblico impiego e, nella scuola, in particolare, era previsto dal contratto del 1995;
   per dare soluzione unitaria al problema della frazionabilità dei permessi lavorativi dei familiari di portatori di handicap grave, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con propria circolare, ha ammesso la possibilità di fruire dei tre giorni di permesso previsti all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, anche frazionandoli in permessi orari;
   sulla scorta di detta circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche l'INPS applica ora la soluzione già adottata dall'INPDAP sulla possibilità di frazionare in ore i permessi mensili previsti all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, precisando, con messaggio 15995 del 18 giugno 2007, che i beneficiari dei tre giorni di permesso possono frazionare le assenze fino ad un massimo di 18 ore, se svolgono attività a tempo pieno (per chi svolge un tempo parziale il monte ore frazionabile viene proporzionato alle ore effettivamente lavorate);
   il limite delle 18 ore non si applica a quei lavoratori che abbiano diritto alle due ore di permesso giornaliero, ovvero ai lavoratori disabili o ai genitori di persone di età inferiore ai tre anni;
   dopo il messaggio 15995 del 18 giugno 2007, di cui sopra, l'INPS è tornata sulla questione della frazionabilità oraria dei permessi mensili: con messaggio 16866 del 28 giugno 2007, ove l'ente ribadisce che il limite massimo previsto opera esclusivamente quando i tre giorni di permesso vengono frazionati, anche parzialmente, in ore: si precisa, inoltre, che il limite di 18 ore è riferito ai casi in cui l'orario di lavoro sia di 36 ore suddiviso in sei giorni lavorativi;
   le circolari del dipartimento funzione pubblica n. 7 del 17 luglio 2008 e n. 8 del 5 settembre 2008, nel richiamare il disposto di cui al comma 4 dell'articolo 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, stabiliscono che i permessi possono essere fruiti anche con frazionamento orario ed è stato fissato il contingente massimo di ore 18: tale possibilità è applicabile solo se i contratti collettivi vigenti prevedono l'alternatività tra la fruizione a giornate e quella ad ore dei permessi;
   l'articolo 15 del contratto collettivo nazionale scolastico del 2007 disciplina a giorni i permessi del dipendente che assiste un familiare in situazione di gravità: pertanto la frazionabilità oraria non sarebbe prevista, tuttavia l'INPS, con messaggio n. 15995 del 18 giugno 2007, ha comunicato che il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con propria circolare, ha ammesso la possibilità di fruire dei tre giorni di permesso di cui al comma 3 della legge n. 104 del 1992 anche frazionandoli in permessi orari;
   permangono quindi evidenti difficoltà in merito all'interpretazione ed alla concreta attuazione per quanto concerne il frazionamento orario dei congedi retribuiti per assistenza familiare in situazione di gravità, in particolare per quanto concerne il settore scolastico: si palesa infatti grave incertezza sulla possibilità per i docenti che assistono un familiare in situazione di grave disabilità di frazionare in ore i tre giorni di permesso, sulle modalità di tale eventuale frazionamento, nonché infine in merito al tempo di preavviso della programmazione dei permessi –:
   se il Ministro sia al corrente delle criticità riportate in premessa in merito all'interpretazione ed all'applicazione concreta delle norme citate;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda porre in essere al fine di sanare i dubbi interpretativi e le criticità riportate in premessa per quanto concerne la corretta interpretazione della normativa citata in materia di congedi retribuiti per assistenza familiare in situazione di gravità.
(2-00767) «De Mita, Binetti».

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, disciplina l'adozione da parte di Roma Capitale di un «piano triennale per la riduzione del disavanzo e per il riequilibrio strutturale di bilancio al cui interno sono indicate le misure per il contenimento dei costi e la valorizzazione degli attivi di Roma Capitale prevedendo a tali fini l'adozione di specifiche azioni amministrative»;
   tra le citate azioni amministrative si prevede anche l'applicazione delle «disposizioni finanziarie e di bilancio, nonché i vincoli in materia di acquisto di beni e servizi e di assunzioni di personale, previsti dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147, a tutte le società controllate con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati»;
   tra le società partecipate dal comune di Roma figura anche la società Roma Multiservizi, costituita nel 1994, di proprietà dell'Ama al 51 per cento e per il restante 49 per cento della Manutencoop S.p.a. — La Veneta, che ha un valore di produzione annuale pari a circa ottanta milioni di euro e non risulta, allo stato, in perdita;
   attualmente la Roma Multiservizi gestisce per conto di Roma Capitale, tra gli altri, i servizi di pulizia e manutenzione del verde delle scuole dell'infanzia e degli asili nido e di accompagnamento scolastico;
   nel piano di riequilibrio concordato tra la giunta di Roma Capitale ed il Governo, con riferimento alla società Roma Multiservizi è prevista la dismissione totale della partecipazione detenuta, da attuare coerentemente con le modalità di legge e l'attenzione rivolta alla salvaguardia dei livelli occupazionali;
   inoltre, Roma Capitale non ha effettuato il rinnovo del contratto di servizio con la suddetta società, scegliendo di aderire, a decorrere dal 1o settembre 2014 alle convenzioni Consip;
   a causa del presunto esubero derivante dal mancato rinnovo di tale contratto, la Roma Multiservizi ha disposto il licenziamento di oltre cinquanta lavoratori;
   i tavoli tecnici convocati sin qui e le riunioni della commissione consiliare permanente controllo, garanzia e trasparenza sul caso dei lavoratori licenziati dalla società Multiservizi, come anche le proposte per un reimpiego degli stessi lavoratori ma con livello, monte ore da lavorare e retribuzione inferiore, ad oggi non hanno dato alcun esito positivo –:
   quali iniziative intenda assumere a tutela dei lavoratori della società Roma Multiservizi, nel pieno rispetto della normativa relativa al piano di riequilibrio di Roma Capitale che espressamente prevede, con riferimento alle società partecipate, la salvaguardia dei livelli occupazionali.
(4-07112)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, TRIPIEDI, BENEDETTI, GALLINELLA, LUPO, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Aethina tumida (Murray) meglio conosciuta come il coleottero degli alveari è un insetto della famiglia dei pulitori o coleotteri scavatori, originario del Sudafrica recentemente diffuso negli Usa ed in Australia, Paesi in cui ha avuto un effetto devastante sull'ape europea (apis mellifera);
   i principali mezzi di diffusione sono i pacchi d'api e le colonie di api, ma può anche essere trasmesso inavvertitamente attraverso sciami trasportati via mare o via aerea o, ancora, in partite di frutta, cera grezza e attrezzatura apistica usata;
   l'insetto adulto che assume colori dal marrone scuro al nero ha una lunghezza di circa mezzo centimetro e può vivere fino a 6 mesi. Le femmine del coleottero depongono le uova in buchi o crepe presenti nell'alveare. Le uova si schiudono in 2-3 giorni e da esse escono delle piccole larve che si nutrono di polline e miele, danneggiando i favi. Dopo 10-16 giorni le larve, ormai mature, lasciano l'alveare e, dopo 3-4 settimane, diventate adulte, cercano altri alveari in cui deporre nuove uova. I coleotteri degli alveari possono avere anche 4 o 5 generazioni l'anno durante le stagioni calde;
   il danno principale alle colonie di api avviene attraverso l'attività nutritiva delle larve che si cibano di polline, miele e uova. Il coleottero, inoltre, scavando dei veri e propri tunnel – sono state contate fino a 30 mila larve per alveare – danneggia o distrugge, nei casi più gravi, i favi causando la fuoriuscita del miele e la sua fermentazione. La fermentazione e le feci delle larve, hanno effetti diretti sul miele che, a detta degli esperti, prenderebbe un caratteristico odore di arance marce e cambierebbe persino il colore diventando così invendibile. Grosse infestazioni, come segnalato dagli apicoltori, causerebbero un rapido collasso anche di colonie molto forti;
   l'impatto economico che ne è risultato sull'attività apistica negli USA è stato notevole. In due anni dalla sua scoperta, almeno 20.000 colonie sono state distrutte dallo scarafaggio, con danni di svariati milioni di dollari;
   la presenza di Aethina tumida è stata confermata per la prima volta in Italia il 5 settembre 2014 nel comune di Gioia Tauro, in un apiario dell'università di agraria posto in località Sovereto (Reggio Calabria);
   da notizie di stampa si apprende che il professor Vincenzo Palmeri dell'università di Reggio Calabria, autore del ritrovamento e dell'identificazione del parassita esotico, abbia già segnalato la problematica sopra esposta al Ministro della salute ed al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali chiedendo di intervenire attivando le misure necessarie atte a circoscrivere ed eradicare eventuali ulteriori altri focolai nonché impedire la diffusione del parassita sul territorio nazionale;
   l'Unione nazionale associazione apicoltori italiani (Unaapi), congiuntamente alla Federazione apicoltori italiani (Fai), ha inviato alla dottoressa Gaetana Ferri, Direttore Generale della Sanità Animale del Ministero della Salute, una lettera con la quale si offre la piena collaborazione a procedere all'eradicazione del parassita rilevato in Calabria. Inoltre, nella lettera, si sottolinea la necessita di attivare procedure – peraltro previste e attivate in zootecnia in analoghe emergenze sanitarie – che prevedano un adeguato indennizzo per gli apicoltori ai quali viene richiesta la distruzione dei propri alveari colpiti dal parassita;
   non si è in grado di circoscrivere con esattezza il fenomeno che, se fosse iniziato questa primavera, oggi non sarebbe inverosimile pensare – come sostiene Luca Bonizzoni, apicoltore professionista, dirigente della rete Unaapi – ad una diffusione in un raggio di 20 o di 100 chilometri dal primo insediamento dell'insetto. «Se fosse questa la realtà» — afferma Bonizzoni in una lettera inviata all'Unaapi — «gli apicoltori italiani dovranno imparare a coesistere con un nuovo gravissimo nemico e, dobbiamo solo sperare che le autorità la dichiarino endemica rapidamente, così almeno possiamo continuare a lavorare (altrimenti il blocco degli spostamenti su tutta Italia bloccherebbe la produzione) e comunque la sua diffusione creerebbe danni gravissimi: ai biologici (totalmente rovinati), alla produzione di regine e di sciami (o impossibile o difficilissima – si difendono le famiglie forti), alla esportazione di api (totalmente bloccata)» –:
   se non si ritenga opportuno intervenire urgentemente affinché vengano attivate tutte le procedure necessarie per circoscrivere ed eradicare eventuali ulteriori altri focolai nonché impedire la diffusione del parassita sul territorio nazionale;
   se rientri fra gli intendimenti del Governo valutare, anche nell'ambito di specifici provvedimenti di natura economico finanziaria, un'adeguata quota di risorse finanziarie da riconoscere come indennizzo agli apicoltori che dovessero essere chiamati ad adempiere ad un'ordinanza di abbattimento dei propri alveari;
   quali iniziative di natura normativa intenda prendere il Governo in merito alla regolamentazione delle importazioni che è la principale difesa contro l'introduzione e la diffusione dell’Aethina tumida.
(5-04187)


   PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, LUPO, L'ABBATE, GAGNARLI e GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato in data 26 settembre 2014 un atto di sindacato ispettivo n. 4-06168, ad oggi senza risposta, in merito all’«Aethina tumida», un coleottero parassita degli alveari, originario del Sudafrica ma da pochi mesi conosciuto anche alle nostre latitudini, in grado di determinare notevoli danni, dal consumo delle scorte di polline e miele fino ad arrivare alla distruzione dell'intera covata;
   il Centro di referenza nazionale per l'apicoltura dell'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie ha confermato lo scorso 11 settembre il primo accertamento in Italia di Aethina tumida, presente in un nucleo esca nel comune di Gioia Tauro in località Sovereto (Reggio Calabria) nelle vicinanze del porto – ritenuto un possibile sito di introduzione del parassita nel nostro Paese – ivi posizionato dal personale dell'università di agraria di Reggio Calabria che ha provveduto al rinvenimento del parassita in data 5 settembre 2014;
   con nota n. 18842 del 12 settembre 2014 il Ministero della salute ha disposto le seguenti misure di controllo e prevenzione:
    1) rintraccio e controllo a destino degli apiari che hanno effettuato attività di nomadismo durante il periodo primaverile-estivo in regione Calabria;
    2) sequestro di miele, favi e qualsiasi altro materiale veicolo di contagio in caso di rilevamento di adulti o stadi larvali negli alveari;
    3) distruzione degli apiari infestati e contestuale trattamento del terreno circostante con sostanze anti larvali dopo aratura a 20 centimetri;
   con decreto n. 94 del 19 settembre 2014, pubblicato sul BURC n. 50 del 14 ottobre 2014, il presidente della giunta regionale ha emesso «Ordinanza contingibile ed urgente a tutela del patrimonio apistico Regionale e Comunitario per rinvenimento di “Aethina Tumida” in alveari del territorio di Gioia Tauro». Tale ordinanza, dopo aver previsto una «zona di protezione» per un raggio di 20 chilometri e una «zona di sorveglianza» per un raggio di 100 chilometri – con coinvolgimento di quasi la totalità del territorio calabrese – ha indicato una serie di misure per controllare gli allevamenti apistici e ha disposto che «in caso di rilevamento di adulti o stadi larvali di A. Tumida si dovrà disporre la chiusura delle aperture d'accesso di tutte le arnie, l'immediato sequestro dell'intero apiario e, successivamente previa tempestiva emanazione di apposita ordinanza da parte dell'autorità competente locale (D.G. delle ASP), provvedere alla distruzione dell'intero apiario» (...) «L'abbattimento delle api dovrà avvenire con fumigazione a base di zolfo. Tutte le arnie, compresi i melari, dovranno essere prima distrutti col fuoco e poi, i relativi resti, interrati in loco». In base alla succitata ordinanza della regione Calabria, pertanto, anche la presenza di un unico coleottero all'interno di un solo alveare, determina la necessaria distruzione dell'intero apiario, a prescindere dall'effettiva presenza di parassiti negli altri alveari;
   il decreto n. 94 del 19 settembre 2014 risulta palesemente in contrasto con quanto previsto all'articolo 155 del decreto del Presidente della Repubblica n. 320 del 1954. Infatti secondo la normativa vigente, non è prevista né la distruzione dell'intero apiario (insieme unitario di alveari), né la distruzione dell'alveare (vale a dire dell'arnia contenente una famiglia di api), bensì la sola «distruzione delle famiglie delle arnie infette. Le api così uccise nonché i favi ed i bugni villici che hanno contenuto covate o resti di larve devono essere bruciati, i favi privi di covata fusi, le arnie e gli attrezzi disinfettati. Il terreno circostante deve essere vangato o disinfettato»;
   gli apicoltori che hanno la sventura di avere anche un solo coleottero in una sola arnia, sono costretti a subire la distruzione di tutto il loro intero apiario, con danni incalcolabili non solo per la loro attività attuale e futura, ma anche per la salvaguardia dell'ecosistema, tenendo presente l'ineliminabile funzione di salvaguardia ambientale svolta dalle api;
   l'ANAI (Associazione nazionale apicoltori italiani) si è espressa contro questo sistema di lotta, mentre l'UNA-API (Unione nazionale associazioni apicoltori italiani), con nota del 12 novembre 2014, ha sottolineato che «misure draconiane e improvvide quali la distruzione massiva di alveari e la limitazione della movimentazione di apiari, hanno grande e drammatica rilevanza economica e occupazionale per la sopravvivenza di apicoltori e apicoltura, ma soprattutto per l'impollinazione e quindi per gran parte delle importantissime produzioni agrarie di quei territori»;
   ad oggi gli apiari «bruciati» a seguito del rinvenimento del coleottero sono circa 3.000 con un danno economico che supera il milione e mezzo di euro e la situazione può solo peggiorare considerando che l'ordinanza non prevede un termine agli interventi di distruzione ma opererà «sino alle indicazioni di revoca che saranno disposte dal Ministero della salute»;
   la distruzione degli interi apiari, oltre a determinare un danno incommensurabile ad apicoltori e ambiente, è illogica e inefficace, in quanto stermina gli apiari ma non eradica il coleottero che è un insetto con capacità di volo di oltre 10 chilometri e che vive anche al di fuori dell'alveare passando da larva a pupa e poi ad insetto adulto proprio nel terreno. Il fuoco, tra l'altro, fa scappare i coleotteri vivi presenti nelle arnie; la conferma di ciò è data dal fatto che, a distanza di quasi due mesi, vengano rinvenuti coleotteri giornalmente, nonostante i roghi non siano di certo cessati;
   gli esperti dicono che, l’Aethina è arrivata in Europa e oramai ci rimarrà stabilmente. Ne è convinto, ad esempio, il presidente della rete internazionale di ricercatori sulle api, professor Peter Neumann dell'associazione Coloss, tra i massimi esperti di studi sul coleottero il quale, in un recente comunicato, afferma che la scoperta di Aethina in Italia «significa l'inizio della presenza stabile di questo insetto nocivo in Europa. È inevitabile che si diffonda ad altri Paesi, ma non possiamo ancora prevedere quali saranno i suoi effetti sull'apicoltura»;
   da quanto finora asserito ne consegue che la soluzione non può di certo essere la distruzione degli apiari bensì l'intervento diretto sul coleottero, la limitazione del proliferare delle popolazioni tramite le trappole per il controllo degli adulti, i trattamenti larvicidi nonché l'utilizzo della lotta integrata. L'insetto – che non è dannoso per l'uomo – è tenuto, infatti, sotto controllo dagli apicoltori nei paesi quali USA, Sud Africa, Australia, Costarica, Canada, dove vive ormai da anni;
   lo scorso 7 novembre 2014 è stato confermato dall'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie il secondo caso di Aethina tumida, questa volta in Sicilia –:
   se non ritenga opportuno, sulla base di quanto esposto nelle premesse al più presto, riformulare le misure di contratto e prevenzione in merito alle procedure da attivare per circoscrivere il fenomeno così che possano essere, disposte d'urgenza con opportune nuove ordinanze da parte dei presidenti di giunta delle regioni Calabria e Sicilia contribuendo, a differenza di quanto avvenuto, a salvaguardare l'ecosistema e la sopravvivenza di apicoltori e apicoltura nel nostro Paese con ricadute in termini di reddito e posti di lavoro.
(5-04188)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2014 il consorzio Casalasco annunciava la sua scelta di chiusura dello stabilimento di Felegara (Parma), con conseguente proposta di trasferimento ad altro plesso delle 66 lavoratrici e lavoratori a tempo indeterminato;
   a seguito di tale decisione unilaterale si apriva una fase di conflitto, che portava nell'agosto del 2014 ad un accordo con le organizzazioni sindacali, che prevedeva il mantenimento. Felegara di un polo logistico e il trasferimento della produzione nei siti di Fontanellato e Rivarolo, con ricollocamento di tutti i dipendenti ad esclusione di quelli che avessero accettato la mobilità incentivata;
   a oltre tre mesi di distanza da tale accordo, 12 dipendenti, fra cui 7 donne, hanno accettato la mobilità e 29, fra cui 4 donne, hanno ripreso servizio a Fontanellato, mentre 22, 11 delle quali donne e 4 su 5 di quelli appartenenti alle fasce deboli, sono ancora in attesa di una chiamata, che dovrebbe comunque riguardare lo stabilimento di Rivarolo;
   Fontanellato è il sito a più elevata capacità di assorbimento di personale, che parrebbe ancora non esaurita, mentre Rivarolo è il più lontano dalla residenza delle lavoratrici e dei lavoratori potenzialmente coinvolti, distando circa 120 chilometri fra andata e ritorno;
   risulta evidente che una tale distanza rappresenta un'oggettivo ostacolo al mantenimento del posto di lavoro per le lavoratrici donne, che lavorando su turni dovrebbero gestire una assenza fino a 14 ore, incompatibile col lavoro di cura che la nostra società continua ad imporre loro, in assenza di una rete di welfare sufficiente;
   le stesse difficoltà possono essere rappresentate per i dipendenti appartenenti alle fasce protette;
   ci si chiede quindi se le modalità con cui Casalasco abbia gestito l'applicazione dell'accordo rispondano fino in fondo allo spirito dello stesso, o se piuttosto la concentrazione nello stabilimento più lontano delle lavoratrici e lavoratori più in difficoltà non rappresenti in realtà una spinta impropria alla mobilità volontaria;
   Casalasco ha sottoscritto a gennaio un accordo con ISA (Istituto di sviluppo agroalimentare, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), finalizzato ad ottenere una partecipazione al capitale sociale pari a 12 milioni di euro, da versarsi in due tranche di 6 milioni cadauna a gennaio 2014 e maggio 2015, che porterà ISA a essere di fatto il maggior partecipante al consorzio, pur avendo diritto come da statuto solo al 10 per cento dei diritti di voto;
   proprio in virtù di questa partecipazione il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali era stato parte attiva dell'accordo raggiunto in agosto 2014, della cui piena applicazione dovrebbe quindi essere garante;
   purtroppo è frequente la prassi di utilizzare le crisi aziendali per scaricare le lavoratrici donne, i dipendenti appartenenti alle fasce deboli, nonché quelli più impegnati nelle lotte che accompagnano le fasi di ristrutturazione o comunque quelli ritenuti più scomodi, e tale prassi non sarà certo disincentivata dall'evoluzione in atto della normativa sul lavoro –:
   quali azioni i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano adottare a garanzia del pieno rispetto dell'accordo di agosto e della non discriminazione sul luogo di lavoro, tanto più in una fase delicata come quella che segue una ristrutturazione produttiva. (4-07106)

SALUTE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   l'Aifa ha recentemente vietato l'utilizzo di due lotti del vaccino antinfluenzale «Fluad» di Novartis, Vaccines and Diagnostics s.r.l, dopo che si sono verificati alcuni decessi;
   la decisione è stata presa, esclusivamente a titolo cautelativo, a seguito delle segnalazioni degli eventi avversi gravi o fatali che si sono verificati in concomitanza temporale con la somministrazione di dosi di vaccino provenienti dai due lotti 142701 e 143301 del vaccino antinfluenzale;
   l'Aifa è in attesa di disporre degli elementi necessari per valutare un eventuale nesso di causalità e in particolare di disporre degli elementi necessari, tra i quali l'esito degli accertamenti sui campioni già prelevati;
   l'Aifa ha quindi invitato i pazienti che abbiano in casa confezioni del vaccino Fluad a verificare sulla confezione il numero di lotto e, se corrispondente a uno di quelli per i quali è stato disposto il divieto di utilizzo, a contattare il proprio medico per la valutazione di un'alternativa vaccinale;
   l'ente regolatorio ha specificato che gli eventi ad esito fatale hanno avuto esordio entro le 48 ore dalla somministrazione delle dosi dei due lotti del vaccino, mentre l'ultimo decesso è avvenuto a distanza di tre giorni dalla somministrazione del vaccino;
   secondo Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale: «Non è giustificabile l'allarmismo generalizzato, si tratta di un evento circoscritto» ed ha aggiunto «Il nostro obiettivo è la salvaguardia dei cittadini, ma non è giustificabile l'allarmismo generalizzato. Invitiamo tutti gli operatori sanitari e i cittadini a controllare l'eventuale presenza nei frigoriferi dei lotti di vaccino anti-influenzale a rischio. I medici di medicina generale di questo Paese sono stati avvertiti, ma non deve diffondersi il panico» –:
   quali informazioni siano state acquisite finora sullo specifico lotto di vaccino incriminato e in che misura si intenda procedere nei confronti delle famiglie degli anziani deceduti;
   in che modo si intenda procedere per evitare tra gli anziani e i soggetti fragili un allarmismo che li distolga dal mettere in atto una pratica positiva, come quella della vaccinazione, sempre e solo dopo che il farmaco sia stato opportunamente testato.
(2-00770) «Dellai, Binetti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   Fluad è un vaccino somministrato per prevenire l'influenza negli anziani, di età pari o superiore a 65 anni, specialmente in soggetti con un maggior rischio di complicazioni associate ad esempio soggetti affetti da malattie croniche come diabete, disturbi cardiovascolari e respiratori;
   il 27 novembre 2014, l'AIFA ha sospeso l'utilizzo di due lotti del vaccino antinfluenzale Fluad, a seguito delle segnalazioni di quattro eventi avversi gravi o fatali, verificatisi in concomitanza temporale con la somministrazione di dosi provenienti dai due lotti 142701 e 143301 del vaccino prodotto dalla Novartis Vaccines and Diagnostics srl;
   fino al 27 novembre 2014 erano stati segnalati tre decessi avvenuti tra il 7 e il 18 novembre;
   il 12 novembre è morto Ivo Mingozzi di 68 anni, un quarto d'ora dopo l'iniezione del vaccino, per arresto circolatorio;
   il 16 novembre è morto un uomo di 87, a 48 ore dopo la somministrazione, per un problema dei centri nervosi: encefalite;
   entrambi non avevano patologie gravi, ma solo uno era affetto da patologie comuni quali glicemia e tiroidite;
   il 18 novembre 2014 è deceduta Rosa Zara di 79 anni, di San Felice del Molise, che aveva fatto il vaccino il 14 novembre ed è arrivata in ospedale il 17 in stato comatoso per poi decedere il giorno successivo;
   il 29 novembre 2014 l'Aifa informa che le morti segnalate alla rete nazionale di farmaco vigilanza sono aumentate a 13 e i lotti ritirati dal commercio sono passati da 2 a 6 per un totale di 1.357.399 dosi;
   dei tredici decessi segnalati RFV otto sono avvenuti nelle 24 ore successive alla somministrazione del vaccino e otto per problemi cardiovascolari;
   le segnalazioni dei decessi provengono da sei regioni: Sicilia (2); Molise (1); Puglia (2); Toscana (2); Emilia Romagna (2); Lombardia (2); Lazio (1);
   l'AIFA sottolinea che il provvedimento emanato, che dispone il divieto di utilizzo dei lotti del medicinale Fluad, sia stato assunto a scopo esclusivamente cautelativo, a seguito di segnalazioni pervenute all'Agenzia dalla rete nazionale di farmacovigilanza;
   l'Agenzia ha ammesso che, nei casi in questione, sono state riportate reazioni avverse, successivamente alla somministrazione del vaccino, ma al momento, non è certo se si trattasse di una casualità, o se vi sia un nesso con la vaccinazione. Bensì, un quadro completo potrà essere fornito solo dopo aver analizzato tutti gli elementi di contesto, tra i quali, ad esempio, lo stato di salute dei pazienti, la loro età ed eventuali patologie da cui erano affetti;
   nonostante ciò, l'AIFA rinnova in ogni caso l'invito, a chi si sia già sottoposto a vaccinazione con uno dei lotti oggetto del divieto di utilizzo, a contattare il proprio medico curante e invita chiunque abbia in casa un vaccino Fluad a verificare sulla confezione se il numero del lotto corrisponda a uno dei due posti oggetto di divieto;
   il presidente dall'AIFA, Luca Pani, ha dichiarato agli organi di stampa che «Continua ad esserci una concomitanza temporale tra il vaccino e il momento del decesso, ma non c’è un rapporto causa-effetto»;
   la Novartis ha ribadito la bontà dei suoi prodotti: «I vaccini antinfluenzali sono sicuri ed efficaci. Abbiamo subito avviato una revisione preliminare dei lotti interessati», confermando la qualità e la conformità del Fluad;
   nell'ottobre 2012, tuttavia, già il Ministro pro tempore Balduzzi fermò tre milioni di dosi per quattro vaccini Novartis, tra cui lo stesso Fluad;
   il 29 novembre 2014 il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin accusa alcune Asl di aver segnalato, alla rete nazionale di farmacovigilanza, il decesso dopo la somministrazione della vaccinazione col prodotto Fluad con un ritardo di quindici giorni;
   l'ultimo bollettino, del pomeriggio di lunedì 1o dicembre 2014, conta complessivamente 19 decessi di pazienti anziani su cui fare chiarezza, distribuiti in 7 regioni –:
   a quanto ammonti il costo sostenuto dallo Stato italiano per l'acquisto delle 3,5 milioni di dosi di FLUAD;
   quale sia stata la spesa totale sostenuta dallo Stato italiano nel 2013 e nel 2014 per tutti i vaccini antinfluenzali, quali siano i tipi di vaccino acquistati, quanti siano i lotti acquistati e da quali aziende farmaceutiche;
   sulla base di quale letteratura scientifica AIFA abbia valutato l'efficacia della vaccinazione antinfluenzale nella prevenzione delle epidemie influenzali del virus di sottotipo A(H3N2), circolante nel periodo compreso tra settembre 2013 e gennaio 2014 in particolare nella popolazione con età superiore agli 80 anni;
   quale sia stato l'esito della relazione che l'azienda Novartis avrebbe dovuto produrre entro le ore 13 del 1o dicembre 2014;
   quale sia stato l'esito della discussione del caso al Comitato europeo per la farmacovigilanza (PRAC) dell'Agenzia europea dei medicinali (EMA), che è iniziata lunedì 1o dicembre 2014 e la cui conclusione è prevista per giovedì 4 dicembre 2014
   se Aifa abbia disposto in precedenza verifiche sui lotti 142701 e 143301 del vaccino antinfluenzale FLUAD e se siano state riscontrate presenze di sostanze nocive per la salute;
   per quale motivo il divieto «cautelativo» sia stato disposto dall'Aifa solo il 27 novembre 2014 se i primi casi di decessi sospetti sono avvenuti tra il 12 e il 18 novembre 2014, con un ritardo dunque di dieci giorni;
   tenuto conto che il vaccino Fluad viene somministrato in particolare ad anziani ultrasessantacinquenni con malattie croniche, se sul vaccino antinfluenzale Fluad della Novartis siano stati effettuate analisi e ricerche sugli effetti della vaccinazione in relazione alla diverse malattie croniche quali ad esempio diabete, disturbi cardiovascolari e respiratori.
(2-00772) «Silvia Giordano, Grillo, Baroni, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Lorefice, Mantero, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Frusone, Rizzo, Tofalo, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti, Turco, Spessotto, Terzoni».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AMATO e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la campagna vaccinale antinfluenzale ha come obiettivo la riduzione della incidenza di contrarre il virus in particolare in soggetti defedati e immunologicamente a rischio, nonché della riduzione delle complicanze severe e letali;
   l'Agenzia del farmaco ha vietato la vendita di due lotti del vaccino antinfluenzale Fluad dopo il decesso sospetto di quattro persone alle quali era appena stato somministrato;
   i due lotti sottoposti a divieto sono il «142701» e il «143301» del vaccino antinfluenzale Fluad prodotto dalla Novartis Vaccines and Diagnostics, che non è stato distribuito all'estero, ma solo in Italia, e che è in commercio da oltre dieci anni;
   per quanto appreso dalla farmacovigilanza l'AIFA ha comunicato che al 30 novembre il numero di morti sale a 13. Le segnalazioni riguardano 7 Regioni: Sicilia (2); Molise (1); Puglia (2); Toscana (2); Emilia Romagna(2); Lombardia (2); Lazio (1) e Umbria (1)
   attraverso la stampa si apprende di ulteriori 3 morti sospette in Abruzzo e ancora 1 in Umbria;
   nonostante dai primi esami sui lotti di vaccini antinfluenzali bloccati dall'Aifa risulti che non ci sono evidenze che ci sia una contaminazione del prodotto, lo stesso direttore dell'Aifa Luca Pani dichiara che «I risultati finali delle analisi sui lotti saranno pronti entro una settimana, dieci giorni»;
   malgrado le rassicurazioni di gran parte del mondo scientifico, dei Governatori delle regioni in cui sono stati segnalati gli eventi avversi e dello stesso Ministro della salute, si rileva una crescente diffidenza dell'utenza ed una riduzione degli accessi alle pratiche vaccinali;
   la situazione di incertezza che si somma ad una cultura progressivamente resistente alla convinzione dell'efficacia dei vaccini in senso lato ed alla diffusione della fobia per il rischio di effetti collaterali;
   l'ansia crescente dei pazienti e l'intervento delle procure alimenta i timori dei medici e di chi somministra il vaccino, esaltando anche in questo campo reazioni dettate da un approccio difensivo;
   la efficacia preventiva della campagna vaccinale antinfluenzale è direttamente proporzionale al numero di individui vaccinati –:
   quale sia il percorso del risk management dal rilievo della complicanza al ritiro dei lotti 142701 e 143301;
   quale sia l'utilizzo di corretti moduli di consenso informato e degli standard delle procedure, chiarendo i diversi livelli di responsabilità attraverso un canale di comunicazione ufficiale;
   se non ritenga di sospendere temporaneamente la campagna vaccinale per il breve intervallo di tempo ancora necessario per accertare il nesso di causalità tra i decessi e la somministrazione del vaccino antinfluenzale al fine di scongiurare, attraverso una comunicazione chiara e senza incertezze, la riduzione della efficacia preventiva della campagna preventiva. (5-04191)


   D'ALIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile del 2009 è stata approvata la legge regionale di riforma che prevede la riduzione del numero delle aziende sanitarie della regione siciliana da 29 a 17 attraverso una serie di accorpamenti tra aziende esistenti, per cui, a Messina, l'azienda ospedaliera Piemonte è stata accorpata all'azienda ospedaliera Papardo (a partire dal 1o settembre 2009);
   in ragione delle particolari condizioni strutturali dell'ospedale Piemonte di Messina, che, rispondendo ai criteri architettonici dei primi anni del ’900, presenta un elevato rischio sismico, il 25 febbraio 2010 si è svolta un'audizione presso la Commissione Parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, istituita dal Senato della Repubblica, dell'assessore regionale pro-tempore alla sanità, del direttore generale pro-tempore alla sanità, dal direttore generale pro-tempore dell'azienda Papardo-Piemonte, del dirigente generale pro-tempore della protezione civile della regione Siciliana e dell'assessore ai lavori pubblici pro-tempore del comune di Messina;
   dalle audizioni svolte nel corso dell'inchiesta parlamentare, è, tra l'altro, emerso che:
    a) presso il PO Ospedale Piemonte è necessario eseguire lavori di adeguamento e miglioramento sismico;
   è consigliabile mantenere al centro della città di Messina, che possiede una particolare conformazione allungata, presso l'Ospedale Piemonte, una struttura sanitaria di secondo livello per l'emergenza/urgenza e di importanza strategica anche nelle operazioni di protezione civile;
   poiché l'ospedale Papardo dista circa 12 chilometri, dal centro cittadino al quale è mal collegato, la soluzione ideale sarebbe quella di eseguire gli interventi medici di elezione all'ospedale Papardo, mentre quelli che contemplano un aspetto di emergenza all'ospedale Piemonte con il PSG ed i più importanti reparti ad esso collegati (anestesia, rianimazione, diagnostica, blocco operatorio, cardiologia, chirurgia, traumatologia, ortopedia, e altro);
   la scelta di trasferire il polo materno-infantile nella sua interezza all'ospedale Papardo è quasi obbligata: lì c’è già uno spazio pronto e con piccoli lavori di ristrutturazione si può realizzare un polo materno-infantile unico;
   dopo il sopralluogo effettuato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta presso il nosocomio messinese è stato previsto per la «A.O. Ospedali Riuniti Papardo-Piemonte di Messina» un numero di posti letto pari a 422 per il Papardo e 78 per il Piemonte più 43 posti letti che verranno attivati successivamente, nonché la chiusura di diversi padiglioni del PO Piemonte ed il trasferimento di diverse unità operative al PO Papardo, infine, su espressa richiesta dell'assessorato regionale alla sanità, è stata istituita una commissione interna sanitario-amministrativa che ha concluso i suoi lavori sostenendo la necessità del mantenimento del PO Piemonte e proponendo una rimodulazione dei posti letto previsti e che venisse realizzato non un semplice «pronto soccorso» che smista i pazienti ma il trattamento in loco di quasi tutte le urgenze tranne quelle che, effettivamente, richiedono reparti ultraspecializzati già presenti al PO Papardo (come cardiochirurgia o neurochirurgia);
   il nuovo direttore generale dell'azienda Papardo-Piemonte, insediatosi il 1o luglio 2014 ha comunicato il disegno di realizzare il Punto nascita di 2o livello, presso il PO Ospedale Piemonte, ed ha, altresì, dichiarato che si dovrà procedere alla dismissione del pronto soccorso generale dell'ospedale Piemonte che «al momento, non riesce a trattare prontamente né infarti né ictus perché manca dei servizi di Emodinamica e di Neurologia... Il pronto soccorso al Piemonte dunque rappresenta solo un pericolo... un parcheggio dannoso per il paziente»;
   le dichiarazioni in questione hanno destato un grave allarme sociale e smentite dai dati sul trattamento degli infartuati soccorsi al PSG del PO Piemonte nel primo semestre 2014 e trasferiti al Papardo per eseguire interventi urgenti di emodinamica avviene entro i tempi previsti dalle linee guida internazionali e dal fatto che la maggior parte degli ospedali italiani non ha la neurochirurgia e quindi si trovano nelle stesse condizioni di rischio dell'ospedale Piemonte per i pazienti affetti da ictus;
   inoltre, le suddette dichiarazioni del direttore generale, oltre che con gli atti e le decisioni assunte in precedenza, contrastano in maniera evidente con le dichiarazioni dell'assessore regionale alla sanità rese sia agli organi di stampa che nelle sedi istituzionali (audizione del 22 luglio 2014 dei sindacati presso la 6a commissione permanente dell'Ars);
   nonostante i fatti e i dati sopra riportati, si è comunque proceduto all'accorpamento dei reparti di ostetricia dei due presidii al PO Piemonte a far data dall'11 agosto 2014 penalizzando fortemente i cittadini della popolosa zona nord, in quanto vi sono due punti nascita allocati nella zona sud e concentrati in poco meno di 2 chilometri (Policlinico Universitario-Ospedale Piemonte) e nonostante una relazione del 22 ottobre 2013 che dichiara entrambi i punti nascita gli atti in questione rischiano di compromettere tutta la programmazione finanziaria e infrastrutturale decisa dal Governo centrale e da quello regionale per far fronte alle primarie esigenze di un servizio sanitario efficiente nella città di Messina con evidenti danni anche dal punto di vista contabile;
   gli atti in questione non sono coordinati con la programmazione delle attività e dei servizi sanitari resi dall'ASP di Messina e dall'azienda policlinico universitario di Messina con la inevitabile conseguenza di non offrire alla cittadinanza servizi efficienti a costi inferiori perché offerti in maniera coordinata dalle diverse autorità sanitarie preposte ai servizi ospedalieri e territoriali –:
   quali iniziative, nell'ambito delle sue specifiche competenze, intenda assumere per garantire il rispetto della programmazione infrastrutturale posta in essere dallo Stato, con particolare riguardo al PO Piemonte di Messina, anche sulla base dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale istituita presso il Senato della Repubblica nella passata legislatura. (5-04194)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultima settimana di novembre 2014 in Italia sono stati registrati 13 casi di morti sospette – l'ultima lo scorso 30 novembre a Terni – a seguito dell'assunzione del farmaco Fluad, utilizzato per la campagna di vaccinazione vaccino antinfluenzale e prodotto dalla casa farmaceutica Novartis;
   i casi hanno coinvolto in 6 regioni, 2 lotti di vaccini bloccati in 12 regioni, 4 inchieste attualmente aperte (a Siena, Siracusa, Prato, Parma e Chieti) e migliaia di persone che temono per la loro salute e quella dei loro cari;
   il Ministro interrogato ha dichiarato, dopo i primi casi, che la situazione deve essere ancora chiarita, ma che si è comunque riscontrata una scarsa collaborazione da parte delle ragioni relativamente alle comunicazione dei casi sospetti all'AIFA;
   allo stesso tempo le regioni invitano il Ministero ad assumersi le proprie responsabilità, ma nel frattempo tra i cittadini vaccinati e non sta scattando una vera e propria psicosi collettiva;
   le dosi di Fluad attualmente distribuite nel nostro Paese sono 3,5 milioni e dovrebbero esserne state assunte circa 1 milione –:
   quali iniziative urgenti intenda porre in essere il Ministro interrogato al fine di assicurare al più presto l'innocuità dal vaccino Fluad, attualmente distribuito in Italia e tutelare la salute dei cittadini italiani. (4-07105)


   GRILLO, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, DAGA e MANNINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 novembre 2014 a Lucca Sicula, in provincia di Agrigento, Salvatore Tafuro è deceduto d'infarto mentre gli operai della società «La Girgenti Acque S.p.A.» (il gestore del servizio idrico integrato dei comuni della provincia di Agrigento) effettuavano il distacco della fornitura dell'acqua dell'abitazione, come riportato l'8 novembre 2014 dall'agenzia stampa ADN KRONOS e dal Corriere della Sera il 9 novembre 2014;
   Salvatore Tafuro, pensionato di sessantotto anni, aveva chiesto una rateizzazione della bolletta dell'acqua alla società poiché utente moroso e, a causa delle difficoltà economiche, non sarebbe riuscito a pagare l'ultima rata di ottobre, pari a un importo di circa 150 euro;
   la Girgenti Acque s.p.a., è stata di recente sotto i riflettori da parte di sindaci dei paesi del comprensorio agrigentino, tanto che alcuni primi cittadini, ad agosto 2014, inscenarono una manifestazione sotto la sede della regione a Palermo, dal tema «basta con la gestione privata del servizio idrico»;
   il tragico caso Salvatore Tafuro non è un episodio isolato, ma da echi di cronaca si apprenda che molti anziani non riuscirebbero a stare dietro agli aumenti delle tariffe dei servizi;
   nel Paese e in settori dell'opinione pubblica, a detta degli interroganti, è in corso una discussione pubblica in merito agli indirizzi per la riduzione del fenomeno delle morosità delle utenze dell'acqua; la sopracitata discussione sosterrebbe una tesi per cui bisognerebbe garantire comunque l'erogazione del quantitativo minimo di sussistenza di acqua per abitante/giorno;
   in vasti ambiti dell'opinione pubblica italiana, a detta degli interroganti, è presente, altresì, una discussione pubblica, che sostiene riguardo ai casi di morosità nel pagamento di forniture di utenze di acqua che queste ultime non debbano essere sospese ma che il gestore della rete idrica debba installare un apposito meccanismo limitatore dell'erogazione, garantendo, comunque, il minimo di sussistenza di acqua –:
   se non si intendano assumere iniziative normative volte ad assicurare, nei casi di morosità del pagamento, l'erogazione di una fornitura d'acqua giornaliera di sussistenza. (4-07108)


   RAMPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la signora S.S. in data 25 novembre 2008 presso l'ospedale Busacca di Scicli ha subito un intervento per l'impianto di una protesi d'anca prodotta dalla ditta «De Puy»;
   in data 28 marzo 2012 la signora ha ricevuto a mezzo raccomandata n. 141766843007 una lettera datata 15 marzo 2012 (n. prot. U-0006784) da parte dell'ASP di Ragusa in cui veniva convocata per effettuare una visita ortopedica e delle analisi, poi entrambe effettuate il successivo 21 maggio, ma rispetto agli esiti delle quali non le è mai stata data alcuna comunicazione;
   nell'agosto del 2013 la signora ha ricevuto una seconda convocazione per ulteriori accertamenti che a tutt'oggi non sono mai stati effettuati perché nei contratti telefonici, previamente previsti, le è stato comunicato che il laboratorio di Londra non era ancora pronto a ricevere i prelievi;
   nel mese di ottobre 2013 attraverso la trasmissione televisiva «Mi manda Rai Tre», la signora è venuta a conoscenza del fatto che le protesi De Puy sono state ritirate dal mercato perché difettose;
   di tali protesi, come confermato anche dal Ministero della salute, in Italia ne sono state impiantate circa 4500, settanta delle quali nella provincia di Ragusa;
   nella citata trasmissione televisiva era presente il funzionario Pietro Colanea del Ministero della salute che asseriva che tali protesi non erano state testate;
   a fronte di tali notizie la signora ha chiesto copia della cartella clinica ma le è stato risposto che la cartella era stata smarrita, e recandosi al centro trasfusionale dell'ospedale civico di Ragusa dove aveva effettuato il prelievo del sangue, apprendeva che seppur risultava il suo nominativo non era disponibile l'esito dello stesso prelievo;
   successivamente, la signora riusciva poi ad attenere una fotocopia dell'esito delle analisi effettuate il 21 maggio 2012, dalla quale risultavano valori elevati di cromo e cobalto nel sangue;
   preoccupata dal risultato e considerato che l'ASP 7 di Ragusa continuava a non fornirle supporto, la signora si è rivolta al chirurgo ortopedico di Milano professor Enzo Meani, membro della Commissione medica per la valutazione della dannosità delle protesi De Puy, che le ha fatto rifare tutti gli accertamenti, dai quali sono continuati ad emergere valori di cromo e cobalto sempre elevati;
   inoltre, su sollecitazione dello stesso medico, la Signora ha accertato che non esisteva un protocollo d'intesa tra la De Puy e la regione Sicilia;
   la signora non è attualmente nelle condizioni di effettuare un ulteriore intervento chirurgico per procedere all'espianto della protesi, ma dovendo monitorare periodicamente i valori di cromo e cobalto, la stessa si è rivolta al centro veleni della fondazione Salvatore Maugeri – servizio di tossicologia di Pavia;
   le spese ad oggi sostenute dalla signora S.S. a causa dell'impianto della protesi difettosa ammontano a circa 5 mila euro;
   da notizie di stampa si apprende che per quanto riguarda le protesi De Puy, l'azienda stessa ha ritirato dai mercati internazionali i prodotti «incriminati», nell'agosto 2010 (Italia compresa), dopo che il Registro nazionale inglese aveva segnalato tassi di revisione chirurgica superiori alle attese, sostanzialmente per i problemi, anche gravi, causati dai detriti di metallo (cromo-cobalto) prodotti dal malfunzionamento degli impianti, e che cinque amministratori della De Puy Italia sono stati indagati dalla procura di Torino per frode e commercializzazione di prodotti dannosi per la salute;
   si apprende, inoltre, che secondo il Ministero della salute sarebbero circa 4.500 le protesi De Puy difettose impiantate, 250 delle quali sarebbero state sostituite, ma che l'aspetto più preoccupante sarebbe proprio l'anomala presenza di ioni cobalto e cromo nel sangue, riscontrata anche nella Signora S.S., a causa degli eventuali effetti cancerogeni dei metalli –:
   di quali informazioni sia in possesso rispetto al caso in esame;
   quali iniziative siano state assunte o intenda assumere al fine di tutelare i pazienti che hanno subito l'impianto delle protesi difettose, sia sotto il profilo sanitario, sia sotto quello economico e a fini risarcitori. (4-07115)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'ultimo anno i 16 milioni di utenti che hanno fatto acquisti via web si sono affidati in larga parte ai colossi statunitensi, le «dot-com»: 20 grandi gruppi, da Amazon in poi, che stanno monopolizzando il mercato;
   secondo un'indagine di Netcomm, consorzio del commercio elettronico italiano, i giganti internazionali pesano per il 54 per cento delle vendite, un numero che sfonda il 70 per cento se si considerano solo i prodotti e non i servizi (dal turismo alle assicurazioni);
   anche secondo la Banca Mondiale per le Pmi la via della crescita è legata indissolubilmente con l’e-commerce: spese basse, magazzini più snelli, un miliardo di potenziali consumatori;
   gli operatori italiani, nonostante gli elevati livelli raggiunti in termini di attrattività e di qualità dei prodotti, presentano ancora molte difficoltà nell'approcciare-mercati europei ed internazionali a causa della mancanza del know-how specifico relativamente a sistemi di pagamento, logistica distributiva, abitudini/comportamenti di acquisto, comunicazione online;
   la gran parte dei siti e-commerce italiani vende poco, deludendo le aspettative iniziali;
   ad oggi sono già in molti i venditori che hanno trasferito totalmente la loro attività online, aprendo un account sui siti di dot-com quali Ebay e Amazon;
   sembra che ci siano diversi venditori che da qualche tempo lamentano le cosiddette sospensioni facili da parte dei siti d'aste e che il contratto di sottoscrizione per diventare venditore su tali piattaforme presentino clausole vessatorie tra cui il potere per l’auction provider di recedere unilateralmente dal contratto concluso con l'utenza e la mancanza di specifica approvazione per iscritto ex articolo 1341 codice civile, a cui devono necessariamente aderire tutti coloro che intendono registrarsi al sito;
   la chiusura non ponderata di un account da parte di una «dot-com», che ha la possibilità fin troppo arbitraria e illegittima di sospendere e escludere dalla piattaforma nei fatti a tempo indeterminato il venditore, senza che ci sia l'accertamento di grave violazione delle regole del sito, può mettere in ginocchio l'economia di un'azienda, arrecando un serio pregiudizio economico;
   a mero titolo esemplificativo, si ricorda che con provvedimento 6 luglio 2010 il giudice delegato del tribunale di Messina, ha ordinato a eBay Europe S.a.r.l. di riattivare l’account della società messinese Arcapel Srl specializzata nell’import-export di vari prodotti, nonostante lo status di «power seller» e un punteggio di feedback sostanzialmente positivo, che si è vista letteralmente chiudere le porte da eBay.it, dopo due commenti negativi su un totale di 449 giudizi ricevuti dai vari utenti, condannando tra l'altro il colosso delle aste online alle spese del procedimento d'urgenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato, in premessa;
   se il Governo, per quanto di competenza, intenda intervenire con misure di monitoraggio affinché i colossi delle aste online, assumano comportamenti in linea, con le norme nazionali ed europee a tutela non solo dei consumatori ma anche dei venditori;
   se il Ministro interrogato intenda intervenire con iniziative che colmino le lacune normative italiane in materia di aste online, del ruolo e della responsabilità di chi gestisce queste ultime. (5-04190)

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARANTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 1o dicembre 2014 è stato proclamato uno sciopero da parte di SINAGI affiliato SLC-CGIL, SNAG CONFCOMMERCIO, USIAGI UGL per richiamare attenzione a livello nazionale sulla situazione dei rivenditori di giornali (edicolanti);
   negli ultimi 6/7 anni hanno chiuso oltre 14.000 edicole (inizialmente erano 42.000) e ogni giorno, purtroppo, in Italia sono a rischio di chiusura decine di punti vendita;
   anche Caterina Bagnardi, Presidente File (Federazione italiana liberi editori), nel corso della sua audizione alla Commissione cultura alla Camera dei deputati ha affermato che il risultato della liberalizzazione della vendita dei giornali ha portato, invece che all'apertura di nuovi esercizi, alle chiusure di cui sopra; ha inoltre sostenuto che «il sistema della distribuzione nazionale e locale è collassato con numerosi fallimenti, che oltre ad incidere in maniera pesante sui conti già disastrati dei giornali hanno aumentato i costi della distribuzione»;
   le sigle sindacali denunciano come «liberalizzazione della rete di vendita ha devastato il settore, consegnandolo nelle mani di pochi potenti che detengono il monopolio di fatto della distribuzione di quotidiani e periodici e, di conseguenza, azzerando la parità di trattamento e di diffusione dell'editoria che dovrebbe essere a favore dei cittadini-lettori in base all'effettivo fabbisogno, e non a vantaggio solo di logiche puramente economiche delle agenzie di distribuzione locale»;
   il Governo Letta aveva presentato un disegno di legge che attuava i principi contenuti nel decreto legislativo 170 del 2001 e che recepivano le osservazioni dei sindacati degli edicolanti, il Governo Renzi pare abbia intenzioni di segno opposto annunciando la cancellazione del decreto n. 170 del 2001 e aprendo alla liberalizzazione senza regole del settore;
   i sindacati hanno inoltre annunciato che intendono ricorrere all'Unione europea, affinché verifichi se il finanziamento pubblico all'editoria, così come è impostato oggi, sia in linea con le normative europee –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato a tutela del settore dei rivenditori di giornali e se non ritenga necessario sostenere il settore dell'editoria attraverso il finanziamento l'intera filiera e non solo i gruppi editoriali. (4-07107)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia opera la società Spumador spa, storico player del mercato delle bibite analcoliche e delle acque minerali, con 440 dipendenti operanti in 5 stabilimenti e 22 linee produttive, dotato di marchi propri e con un'importante attività B2B;
   l'assetto societario vede dal 2011 la presenza maggioritaria della multinazionale olandese Refresco con il 76 per cento acquisito dal fondo LBMB, e le famiglie Verga e Colombo con il 24 per cento;
   l'11 novembre 2014 la società ha comunicato l'intenzione di cessare entro dicembre 2014 la produzione nello stabilimento di Sant'Andrea Bagni (PR), salvo poi concordare in sede di trattativa sindacale un rinvio a settembre 2015, senza che questo rappresenti la chiusura della vertenza;
   attualmente le organizzazioni sindacali sono impegnate per garantire ai 48 lavoratori impiegati, cui si aggiungono 25 stagionali, almeno l'accesso agli ammortizzatori sociali;
   lo stabilimento di Sant'Andrea Bagni opera nell'imbottigliamento di acque minerali, grazie alla presenza di una fonte locale, di cui all'aut. min. san. 1759 dell'11 dicembre 1978;
   la società ha acquisito nel 2011 da Campari spa uno stabilimento in Sulmona (AQ), dove avrebbe effettuato, importanti investimenti, anche grazie a incentivi di natura fiscale e extrafiscale;
   Sant'Andrea Bagni è situato nel comune di Medesano, che insiste nella valle del Taro e del Ceno, zona già penalizzata sotto il profilo occupazionale e recentemente colpita anche dalla chiusura di uno stabilimento conserviero ad opera di Casalasco, di cui lo scrivente ha già dato notizia in altra interrogazione –:
   quali misure si intendano adottare a tutela della continuità occupazionale e produttiva dello stabilimento di Sant'Andrea Bagni, e in particolare se non si ritenga utile e necessaria la revoca della concessione sulla fonte di acque minerali e la sua re-attribuzione ad un soggetto interessato a continuare la produzione. (4-07109)


   SCOTTO, RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fin dagli anni sessanta in Italia la consegna dell'energia elettrica è stata effettuata in regime di monopolio pubblico. La distribuzione dell'energia era, infatti, gestita solo da Enel cui il consumatore faceva riferimento per qualsiasi ambito riguardasse il servizio di erogazione di energia elettrica (contratti di fornitura, servizi commerciali, ecc.). Negli anni novanta è avvenuta una progressiva liberalizzazione del mercato a più gestori, con il decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999, noto come decreto Bersani, e il successivo decreto-legge n. 73 del 2007, basati entrambi sulle direttive del Parlamento dell'Unione europea sull'argomento (direttiva UE 96/92/CE). Dal 1o luglio 2007 la posizione dell'Italia al riguardo si è allineata al resto dell'Unione europea, completando la liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica, a sostituzione del sistema di monopolio. Da allora molteplici aziende, sia private che municipalizzate, producono energia in maniera autonoma o la acquistano da produttori e trasportatori, per poter erogare il servizio all'utente finale;
   nel mercato libero dell'energia, esiste un regime di concorrenza tra gli operatori regolato da obblighi a tutela del consumatore stabiliti dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG), che dovrebbe garantire una maggiore efficienza del mercato e assicurare al consumatore finale libertà di scelta tra una pluralità di fornitori;
   acquisto, vendita, produzione e importazione dell'energia elettrica sono resi liberi grazie ai cambiamenti legislativi che si sono susseguiti in questi anni. Il servizio di trasporto e distribuzione dell'elettricità, invece, resa in gestione a società (regolate da tariffe fissate dall'Autorità AEEG) dette soggetti concessionari, in regime detto di monopolio naturale o di concessione, a causa della difficoltà tecnica ed onerosità della riproduzione delle infrastrutture idonee a tali attività;
   il consumatore finale, quindi, interagisce e corrisponde la retribuzione per il servizio completo direttamente ai fornitori, i quali si occupano di gestire tutto il processo di trasporto, distribuzione e fornitura di energia elettrica;
   ovviamente, le attività di distribuzione e trasporto non sono oggetto di negoziazione tra venditore e cliente, ma hanno tariffe stabilite per legge e uguali per tutti i fornitori, in quanto regolamentante dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
   la «contrattazione» tra fornitore e utente finale avviene per il prezzo di acquisto dell'energia, che varia a seconda del fornitore scelto e delle condizioni contrattuali che il consumatore stipula con esso;
   è, dunque, in questa parte del processo che è intervenuta la liberalizzazione del mercato, permettendo al fornitore di stabilire le proprie tariffe ed al cliente di poter scegliere l'offerta più adatta;
   in definitiva, il mercato libero in linea di principio, dovrebbe permette al consumatore domestico di poter scegliere il fornitore dal quale acquistare energia elettrica alle condizioni contrattuali più favorevoli e convenienti rispetto alle proprie esigenze, in maniera totalmente autonoma e consapevole;
   pur tuttavia, si deve rilevare che le tariffe del mercato libero, per quanto risulta agli interroganti, non sempre risultano convenienti nei confronti dei consumatori, perché non sempre la riduzione di spesa promessa in fase di contrattazione, successivamente, risulta in diminuzione. I risparmi massimi ottenibili rispetto al regime di maggior tutela, infatti, anziché aumentare, negli ultimi anni sono calati e, in media, chi è passato al mercato libero paga l'energia il 12,8 per cento di più di chi è rimasto o è tornato sotto la tutela dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
   una eccellente fotografia di tale situazione viene fornita da una ricerca presentata dalla Federconsumatori nei mesi scorsi. L'associazione, in particolare, ha comparato, per tre profili di consumo diversi – 1.800, 2.700 e 3.500 kWh annui – le offerte di 14 venditori diversi, usando il comparatore «Trova Offerte» dell'AEEG o, per le offerte non inserite sul portale dell'Autorità, consultando i siti dei venditori;
   si tratta questa di una indagine che Federconsumatori effettua con le stesse modalità da anni e i cui risultati parlano chiaro: specie per le offerte variabili le possibilità di risparmio offerte dal mercato libero sono diminuite significativamente;
   prendendo il profilo di consumo da 2700 kWh anni, si vede ad esempio che nel 2010 la tariffa del mercato libero più conveniente permetteva di risparmiare 47 euro l'anno, mentre in questa ultima rilevazione il risparmio si riduce poco meno di 18 euro. Ragionando in percentuali, per le offerte variabili il risparmio possibile è letteralmente dimezzato: dal 10,70 per cento del 2010 si è arrivati al 5,16 per cento rilevato a febbraio 2014;
   bisogna, poi, evidenziare, al netto di quanto rilevato da Federconsumatori, che secondo le 18 associazioni di consumatori che hanno dato vita al progetto «Energia: diritti a viva voce», dal settembre 2011, nei 31 sportelli creati sul territorio nazionale per ascoltare domande e lamentele degli utenti, e presso il numero verde attivato (800821212), sono arrivate 33.000 segnalazioni di cui il 54,61 per cento relative al mercato dell'energia elettrica, il 32,14 per cento quello del gas e il 13,25 per cento entrambi i settori. Di tutte le segnalazioni pervenute, poi, la stragrande maggioranza riguarda il mercato libero (68,15 per cento);
   a fronte di un aumento delle offerte e delle opportunità di scelta riservato ai consumatori aumentano disservizi, errori e truffe, dal momento che le segnalazioni più frequenti (45,53 per cento) riguardano i problemi di fatturazione, ovvero ritardi nell'invio delle bollette, consumi che non hanno alcun reale corrispettivo nella realtà, prezzi più alti di quelli concordati e conguagli astronomici;
   inoltre, secondo l'Autorità per l'energia elettrica e il gas che ha destinato al progetto «Energia: diritti a viva voce» oltre 4 milioni di euro, ricavati dalle sanzioni comminate alle aziende che hanno violato i diritti del consumatore, il mercato libero è ancora foriero di una gran quantità di problemi a 7 anni dalla sua entrata in vigore perché si tratta di un mercato molto rigido, dove la metà dei costi in bolletta sono dovuti a costi fissi e tassazioni, quindi il margine su cui è possibile intervenire con offerte tariffarie diverse è ridotto;
   da ultimo, si segnala come anche in Parlamento giungano segnalazioni da parte di utenti che – passati dal mercato tutelato a quello libero – hanno evidenziato come i contratti vengano stipulati telefonicamente e registrati soltanto nella parte relativa alla conferma, ovvero la «prova» relativa alla conclusione del contratto, mentre non esiste prova della discussione, della presentazione, delle contestazioni, dei dubbi, delle domande, e di quanto, anche, in modo subdolo, in alcuni casi, i promotori promettono al cliente per convincerlo della convenienza della proposta;
   ne consegue il totale venir meno di qualsiasi possibilità per gli utenti finali di dimostrare le modalità attraverso le quali si è giunti alla conclusione di un contratto e se vi sia stata una asimmetria informativa tale da aver tratto in inganno quella che con tutta evidenza appare la parte più debole del rapporto contrattuale, ovverosia il consumatore –:
   quali iniziative, anche normative, si intendano assumere alla luce di quanto descritto in premessa;
   quali strumenti il Governo, per quanto di competenza e ferme restando le competenze dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico, intenda utilizzare per impedire che i consumatori vengano tratti in inganno nel momento in cui valutano le offerte proposte per il passaggio al mercato libero dell'energia, così da permettere ai cittadini di poter scegliere il fornitore dal quale acquistare energia elettrica alle condizioni contrattuali più favorevoli e convenienti rispetto alle proprie esigenze, in maniera pienamente e totalmente autonoma e consapevole. (4-07117)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Di Gioia e altri n. 1-00602, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Gigli, Bernardo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Migliore n. 4-06928, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piazzoni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Silvia Giordano e altri n. 5-04141, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Colonnese.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Oliverio  e altri n. 5-04170, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Massa.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Fragomeli n. 5-01934 del 22 gennaio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Binetti n. 5-04179 del 29 novembre 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Parentela e altri n. 4-06168 del 26 settembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04187;
   interrogazione a risposta scritta Parentela e altri n. 4-07015 del 25 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04188.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Costantino e Zaratti n. 4-06997 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 337 del 24 novembre 2014.
  Alla pagina 19072, seconda colonna, alla riga quarantaseiesima deve leggersi: «almeno euro 212.630.00;» e non «almeno euro 12.630.00;», come stampato.