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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 6 novembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e XI,
   premesso che:
    la Carta dei Diritti dell'Uomo all'articolo 23 comma i stabilisce che «Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione» e al comma 3 «Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale»;
    la medesima Carta all'articolo 25 comma 1 afferma che «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà»;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea all'articolo 31 «Condizioni di lavoro giuste ed eque» comma 1 sancisce che «Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose»;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'articolo 35 «Protezione della salute» dichiara «Ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana»;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'articolo 37 «Tutela dell'ambiente» stabilisce che «Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile»;
    la Costituzione Italiana all'articolo 4 sancisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»;
    la Costituzione Italiana all'articolo 32 comma i sancisce che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
    la Costituzione Italiana all'articolo 41 salicisce che «L'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali»;
   la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 30 novembre 1990, indice che il territorio della provincia di Taranto è stato dichiarato area ad elevato rischio di crisi ambientale;
    la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione dell'11 luglio 1997, rinnova la predetta dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambientale;
    il 26 luglio 2012, su richiesta della procura di Taranto, il Gip Patrizia Todisco dispone il sequestro preventivo, senza facoltà d'uso, degli impianti dell'area a caldo dell'Ilva parlando di disastro ambientale. Nell'ordinanza viene inoltre affermato che «chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza» e, con specifico riferimento al problema delle polveri, che, con precedenti sentenze del tribunale, «è stato chiaramente ribadito che tutte le misure introdotte si sono rivelate, a tutto concedere, un'abile opera di maquillage, verosimilmente dettata dall'intento di lanciare un segnale per allentare la pressione sociale e/o delle autorità locali ed ambientali ma non possono essere considerati il massimo in termini di rimedi che si potevano esigere, nel caso concreto, al cospetto della conclamata inefficacia dei presidi in atto ad eliminare drasticamente il fenomeno dello spolverio» ed inoltre si aggiunge che «le conclusioni della perizia medica sono sin troppo chiare. Non solo, anche le concentrazioni di diossina rinvenute nei terreni e negli animali abbattuti costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica ove si consideri che tutti gli animali abbattuti erano destinati all'alimentazione umana su scala commerciale e non, ovvero alla produzione di formaggi e latte;
    nell'indagine epidemiologica utilizzata dalla procura di Taranto nell'ambito dell'incidente probatorio, nelle conclusioni i periti chiariscono che «si può affermare cime gli inquinanti si presentano in concentrazioni più elevate in prossimità dell'impianto e nei territori limitrofi, in particolare nei rioni Tamburi, Paolo VI, Borgo e Statte»;
    il decreto-legge n. 207 del 2012 che contiene sia la disciplina generale dell'attività degli stabilimenti di interesse strategico nazionale sottoposti ad Aia riesaminata, sia la diretta individuazione dell'Ilva di Taranto come destinataria di tale normativa ha sancito che il disposto dal giudice per le indagini preliminari, ha perduto il presupposto giuridico, che consisteva nell'inibizione, derivante dal sequestro, della facoltà d'uso dello stabilimento;
    il giudice per le indagini preliminari del tribunale ordinario di Taranto ha sollevato, con ordinanza depositata in data 22 gennaio 2013 (ro n. 19 del 2013), questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 3 della legge 24 dicembre 2012, n. 231 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207);
    la sentenza del Corte costituzionale n. 85 del 2013 sul giudizio di legittimità Costituzionale in via incidentale sopraccitato, afferma che «La ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (articolo 32 Cost.), da cui deriva il diritto all'ambiente salubre, e al lavoro (articolo 4 Cost.), da cui deriva l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso. Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona;
    il Governo risulta ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo dal luglio 2013, totalmente inadempiente agli obblighi di legge, giacché la legge 231 del 24 dicembre 2012 prevedeva, entro 6 mesi dalla sua entrata in vigore, la stesura di un documento che delineasse la strategia industriale per la filiera produttiva dell'acciaio;
    il decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, recante nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, prevede all'articolo 1 l'istituto del commissariamento straordinario delle imprese che impieghino un numero di dipendenti non inferiori a mille e che gestiscano almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, la cui attività produttiva abbia comportato e comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute, a causa dell'inosservanza reiterata dell'autorizzazione integrata ambientale e il successivo articolo 2 riconosce espressamente che i presupposti per il commissariamento di cui all'articolo 1 sussistono per la società ILVA spa;
    il comma 11 dell'articolo 1 del citato decreto-legge prevede la possibilità per il giudice competente di svincolare le somme per le quali in sede penale sia stato disposto il sequestro in danno dei soggetti nei cui confronti l'autorità amministrativa abbia disposto l'esecuzione degli obblighi di attuazione delle prescrizioni dell'AIA e di messa in sicurezza, risanamento e bonifica ambientale, in relazione a reati comunque connessi allo svolgimento dell'attività di impresa; il medesimo comma 11 dispone che le predette somme siano messe a disposizione del commissario straordinario e vincolate alle finalità sopra richiamate;
    il comma 4-quinquies dell'articolo 2 del decreto-legge del 10 dicembre 2013, n. 136 «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali e a favorire lo sviluppo delle aree interessate» stabilisce che: «la regione Puglia, su proposta dell'istituto superiore di sanità, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, definisce, nei limiti delle risorse di cui al comma 4-octies, per gli anni 2014 e 2015, anche ai fini dei conseguenti eventuali accertamenti, modalità di offerta di esami per la prevenzione e per il controllo dello stato di salute della popolazione residente nei comuni di Taranto e di Statte»;
    durante la conversione in legge del decreto 101 del 31 agosto 2013 il Governo, nella seduta n. 104 del 24 ottobre 2013, ha accolto l'impegno contenuto nell'ordine del giorno 9/01682-A/049 a prima firma del deputato del MoVimento 5 Stelle Giuseppe D'Ambrosio, volto a valutare l'opportunità della programmazione di tutti gli interventi possibili al fine di definire con precisione quali sostanze siano state smaltite nelle discariche di rifiuti speciali della provincia di Taranto, a cominciare da quelle in località Mater Gratiae;
    durante la conversione in legge dei decreto n. 101 del 31 agosto 2013 il Governo, nella seduta n. 104 del 24 ottobre 2013, ha accolto gli impegni contenuti nell'ordine del giorno 9/01682-A/050 a prima firma del deputato del MoVimento 5 Stelle Giuseppe L'Abbate, tra i quali la possibilità di predisporre un piano che contempli la chiusura dell'area a caldo dello stabilimento siderurgico ovvero una riduzione consistente della capacità produttiva della medesima ovvero l'adozione delle migliori tecnologie in assoluto e di altre tecnologie produttive con minore impatto ambientale;
    durante la conversione in legge del decreto 101 del 31 agosto 2013 il Governo, nella seduta n. 104 del 24 ottobre 2013, ha accolto gli impegni contenuti nell'ordine del giorno 9/01682-A/OSO a prima firma del deputato del MoVimento 5 Stelle Giuseppe L'Abbate tra i quali la pianificazione di una conversione economica del territorio, concordata con le popolazioni e gli enti locali e che sia in linea con gli standard di conversione economiche basate sulla tutela e sulla riqualificazione ambientale, sulla valorizzazione delle vocazioni storiche territoriali;
    la procedura d'infrazione n. 2013/2177 del 26 settembre 2013, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato, per violazione del diritto dell'Unione europea in riferimento allo stabilimento siderurgico ILVA di Taranto, secondo L'Unione Europea l'Italia non ha provveduto a far sì che l'ILVA funzioni in conformità alla normativa Unione europea in materia di emissioni industriali, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute umana e per l'ambiente, la Commissione aveva già inviato all'Italia due lettere di costituzione in mora, nel settembre 2013 e nell'aprile 2014, con le quali invitava le autorità italiane ad adottare misure per assicurare che l'esercizio dell'impianto ILVA venisse messo in conformità con la direttiva sulle emissioni industriali e con altre norme Unione europea in vigore in materia ambientale e il 16 ottobre 2014 invia il parere motivato, che riguarda carenze quali l'inosservanza delle condizioni stabilite nelle autorizzazioni, l'inadeguata gestione dei sottoprodotti e dei rifiuti e protezione e monitoraggio insufficienti del suolo e delle acque sotterranee, la Commissione concede all'Italia due mesi per rispondere;
    sulle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale dell'Ilva, si registrano forti ritardi, e secondo la relazione inviata alla procura di Taranto dal giudice Patrizia Todisco e resa nota da fonti stampa nell'ottobre 2014, in merito alla prosecuzione dell'attività industriale e al suo impatto sulla salute pubblica con le emissioni inquinanti, si conferma che l'attività criminosa del siderurgico non si è mai interrotta;
    il comitato d'indagine sulla green economy delle Commissioni riunite ambiente e attività produttive della Camera dei deputati della legislatura in corso, attraverso l'indagine conoscitiva sulla green economy ha confermato che si stanno moltiplicando gli studi scientifici che dimostrano come la sostenibilità ambientale sia direttamente proporzionata a quella economica e sociale, anche sul versante occupazionale. A partire dagli articoli di stampa apparsi sul Sole24ore nel febbraio 2012, è noto che investimenti di un miliardo di euro in riqualificazione energetica garantiscono oltre 13.000 posti di lavoro, che salgono a 18.000 nello studio dell'ENEA del 2009, contro i 700 per investimenti in fonti energetiche fossili o grandi opere inutili. Il CRESME ha confermato, durante le audizioni il corso sulla valutazione dei risultati dell’ecobonus al 65 per cento, che sono stati generati oltre 340.000 posti di lavoro con un mercato di 20 miliardi di euro; il capo della struttura contro il dissesto idrogeologico Erasmo D'Angelis ha stimato in 7.000 i posti di lavoro per miliardo di euro per interventi contro il dissesto idrogeologico; Giordano Mancini, del Movimento della decrescita felice ha stimato in 4.000 posti per miliardo di euro investito in energia solare fotovoltaica. Tutti documenti inseriti nel testo del comitato di indagine sulla green economy, recentemente concluso;
    le opere di risanamento e bonifica ambientale, per avere reale efficacia, devono essere effettuate successivamente all'arresto di tutte le fonti inquinanti;
    da notizie di stampa si apprende che la magistratura ha provveduto a svincolare le somme oggetto di sequestro in danno della famiglia Riva per presunti reati fiscali e valutari, per un ammontare pari a 1,2 miliardi di euro,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a stanziare le risorse dissequestrate richiamate in premessa, unicamente per:
    a) le opere di messa in sicurezza d'emergenza per salvaguardare le falde acquifere sottostanti lo stabilimento Ilva;
    b) la caratterizzazione, messa in sicurezza e la bonifica ambientale dei terreni, dei sedimenti e delle falde contaminate dalle attività industriali di Ilva nei comuni di Taranto e di Statte, valutando con accurati studi resi pubblici, «l'opzione zero» ovvero metodi alternativi al dragaggio dei sedimenti per il Mar Piccolo;
    c) la creazione di un fondo presso il Ministero della salute che la regione Puglia possa utilizzare per l'esenzione del ticket sanitario per i cittadini di Taranto e Statte per almeno 5 anni;
    d) la formazione e la riqualificazione professionale dei dipendenti Ilva al fine di una ricollocazione in attività alternative ambientalmente sostenibili e socialmente responsabili, cosiddetti green jobs»;
    e)
misure di sostegno al reddito che tutelino i lavoratori che non dovessero rientrare tra gli occupati nelle opere di dismissione, di riconversione e di bonifica dello stabilimento Ilva, in quelle di bonifica dei territori circostanti o per i dipendenti che non dovessero trovare impiego nei green jobs.
(7-00514) «Segoni, Rizzetto, De Lorenzis, Terzoni, De Rosa, Micillo, Mannino, Busto, Brescia, L'Abbate, Scagliusi, Cariello, Parentela, Nicola Bianchi, Ciprini, Agostinelli, Bonafede, Fico, Frusone, Battelli, Simone Valente, Mantero, Vignaroli, Nesci, Dall'Osso, Cozzolino, Daga, Mucci, Lupo, Manlio Di Stefano, Vallascas, Da Villa, Crippa, Della Valle, Di Battista, Silvia Giordano, Cecconi, Baroni, Gallinella, Toninelli, Gagnarli, Sibilia, Luigi Gallo, Lorefice, Pisano, Barbanti, Del Grosso, Liuzzi, Massimiliano Bernini, Fraccaro, D'Ambrosio, Sarti, Villarosa, Pesco, Alberti, Corda, Vacca, Businarolo, Ruocco, Bechis, Rostellato, Marzana, Grande, Sorial, Paolo Bernini, Castelli, Spessotto, Dell'Orco, Caso, D'Incà, Tripiedi, Grillo».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    in data 27 dicembre 2002, in sede di esame della variante generale al piano regolatore adottato dal consiglio comunale di Ciampino (Roma), la soprintendenza per i beni e le attività culturali del Lazio ha definito le ville e i casali storici, come quello dei Monaci, Maruffi e dei Francesi, la presenza storico-monumentale più significativa del comune di Ciampino;
    l'area Mura dei Francesi sita nel territorio del comune di Ciampino (Roma), tra la strada provinciale 217 Via dei Laghi, via del Sassone e via dell'Ospedaletto, costituita dal complesso dei casali secenteschi, dalla «Chiesuola» e da un'estesa superficie agricola di rilevante valore ambientale, con presenza di ulivi secolari è delimitata da una struttura perimetrale muraria seicentesca, impreziosita dal monumentale Portale, gioiello dell'arte barocca del XVII secolo, opera di Girolamo Rainaldi, l'architetto che portò a termine i lavori del Campidoglio dopo la morte di Michelangelo;
    detto Portale già dichiarato di rilevante interesse e sottoposto a tutela ai sensi della legge 20 giugno 1909, n. 364 con decreto 9 febbraio 1935, è oggetto dal dicembre 2013 di lavori di restauro da parte della soprintendenza per i beni e le attività culturali del Lazio a seguito di crollo avvenuto nell'aprile del 2011 per incuria e abbandono da parte della proprietà, mentre l'intera cinta muraria risulta in più punti pericolosamente lesionata, così come la «Chiesuola» che ha recentemente subito il crollo del tetto;
    la struttura muraria segna i confini di quella che fu la tenuta Colonna, che comprendeva un giardino privato (Parco/Barco) e la «Casina-buen ritiro» del cardinale Ascanio Colonna, Viceré di Aragona, dove fu accolto Papa Clemente VIII Aldobrandini, primo Papa a villeggiare nella campagna romana dai tempi di Sisto V;
    nell'area delle Mura dei Francesi, il tribuno Cola di Rienzo, nel 1347, fece accampare il proprio esercito durante la guerra intrapresa contro gli Orsini di Marino e la stessa area fu teatro dell'epica battaglia di Marino, vinta da Alberico da Barbiano contro i «francesi» della famigerata compagnia bretone al soldo dell'antipapa Clemente VII, all'epoca dello Scisma d'Occidente;
    l'intera area è stata poi inserita dal World Monuments Fund (WMF) di New York nel World Monuments Watch, tra i 67 siti culturali del mondo considerati a rischio nel 2014, da tutelare e preservare per le prossime generazioni;
    con deliberazione di consiglio comunale n. 63 del 22 aprile 2010, l'amministrazione comunale di Ciampino ha approvato, ai sensi della legge 18 aprile 1962 n. 167, il piano di zona per l'edilizia economica e popolare (PEEP) in località «Muri dei Francesi» – Zona C23 e successivamente con deliberazione di consiglio comunale n. 105 del 25 maggio 2010 e n. 119 del 20 luglio 2010, la stessa amministrazione ha approvato, ai sensi della legge 18 aprile 1962 n. 167, il piano di zona per piano edilizia economica e popolare (PEEP) in località «Muri dei Francesi» – Zona C23A;
    il 4 febbraio 2008, la soprintendenza per beni architettonici e del paesaggio del Lazio, con nota n. 37350/B, ha comunicato ai proprietari delle aree e al comune di Ciampino l'avvio della procedura per l'individuazione di un'arena di rispetto del bene denominato portale seicentesco e mura dei francesi, avente come finalità la conservazione dello scenario e dei residuali connotati della tenuta Colonna, garantendone l'integrità e la fruibilità pubblica;
    il comune di Ciampino, in data 6 marzo 2008, con nota inviata alla direzione regionale per i beni e le attività culturali del Lazio e alla soprintendenza per i beni architettonici e del paesaggio del Lazio, opponendosi al vincolo sull'intera area, ha confermato la volontà di realizzare il piano edilizia economica e popolare (PEEP) per soddisfare contemporaneamente sia i bisogni della soprintendenza che del comune, entrambi generati da pubblico interesse;
    in data 3 febbraio 2009, il CO.RE.CO. della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, proponendo l'ampliamento dell'area di tutela, ha confermato all'unanimità le prescrizioni indicate nella comunicazione di avvio del procedimento (non modificabilità dello stato dei luoghi con particolare riferimento ai coni visivi che si aprono sui Colli Albani, la conservazione delle alberature esistenti e l'edificabilità destinata al solo uso agricolo);
    il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'epoca, come risulta dal verbale, concordò con le decisioni del CO.RE.CO, ma successivamente, in data 15 giugno 2009, decretò il vincolo solo per i portali e la cinta muraria, rendendo di fatto possibile la costruzione degli edifici dei PEEP in un'area di grande rilevanza paesaggistica, storica e culturale;
    nel corso delle indagini archeologiche, preventive alla realizzazione del piano edilizia economica e popolare (PEEP), nell'estate del 2012 sono stati rinvenuti i ricchi ambienti di una grande villa romana, di fatto attribuita a Valerio Corvino Messalla, console del 31 avanti Cristo e mecenate augusteo delle arti letterarie, uno dei personaggi più influenti della cultura di età augustea del cui circolo letterario Tibullo e Ovidio furono principali esponenti;
    nel corso della campagna di sondaggi preventivi ad opera dell’équipe della soprintendenza ai beni archeologici del Lazio è stato rinvenuto un repertorio statuario che illustra il mito di Niobe e dei Niobidi, costituito da sette statue d'età augustea integre, con alcune mutilazioni ricostruibili, di oltre due metri d'altezza;
    la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio – soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo con decreto di vincolo del 20 novembre 2013 rep. n. 126/2013, notificato in data 5 dicembre 2013 al comune di Ciampino, ha disposto la tutela indiretta, mediante tre fasce di rispetto del muro dei francesi, rendendo di fatto 2,4 ettari dei 7,7 destinati al piano edilizia economica e popolare (PEEP), inibiti all'edificazione;
    in data 4 febbraio 2014 il comune di Ciampino si è costituito al fianco delle cooperative edilizie preassegnatarie di aree per la realizzazione dei PEEP, in giudizio davanti al Tar del Lazio avverso il decreto di vincolo del 20 novembre 2013 rep. n. 126/2013 posto dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio – soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo;
    con deliberazione di consiglio comunale n. 22 del 9 aprile 2014 la stessa amministrazione comunale si è impegnata ad individuare nuove aree per la localizzazione degli interventi PEEP C23 e C23A e ad assegnare agli operatori già preassegnatari di un lotto, che non abbiano potuto edificare per sopravvenuti impedimenti esterni, una nuova area disponibile in un altro piano di Zona approvato o da approvare ex novo, secondo la posizione occupata nella graduatoria vigente;
    l'esigenza di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico, culturale, archeologico e paesaggistico del territorio è fortemente avvertita dalla popolazione e da numerosi studiosi del settore quali Filippo Coarelli, Lorenzo Quilici, Giuseppina Pisani Sartorio, Salvatore Settis, Adriano La Regina, Bernard Andreae, Henner von Hesberg che hanno firmato un appello al Ministro dei beni e le attività culturali, alla direzione regionale per i beni culturali, alle soprintendenze e al sindaco di Ciampino;
    l'area Mura dei Francesi sembra poter rispondere pienamente alla definizione di Parco archeologico di cui all'articolo 101, comma 2, lettera e) del decreto legislativo n. 42 del 2004: «quale ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all'aperto»;
    l'articolo 9 della Costituzione individua la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione tra i compiti fondamentali della Repubblica Italiana;
    va inoltre considerato il disposto del decreto ministeriale 18 aprile 2012 – «Adozione delle linee guida per la costituzione e la valorizzazione dei parchi archeologici»,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative di competenza necessarie:
    a) a tutelare la godibilità pubblica di tutta l'area compresa nelle antiche Mura dei Francesi, garantendone l'integrità dei luoghi, verificando con la competente direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio la possibilità di estendere l'assetto dei vincoli esistenti all'intera area compresa all'interno delle Mura dei Francesi;
    b) a garantire con adeguate risorse finanziarie le opere di consolidamento e restauro indispensabili per la tutela e la conservazione dei beni presenti nell'area;
    c) a promuovere secondo le linee guida per la costituzione e la valorizzazione dei parchi archeologici di cui al decreto ministeriale 18 aprile 2012 di concerto con la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, la regione Lazio e gli enti locali interessati la costituzione del Parco archeologico e culturale mura dei Francesi per favorire la piena fruibilità pubblica del ricco patrimonio storico, archeologico, culturale, paesaggistico ed ambientale presente in quell'area, da porre in continuità con il vicino parco regionale dell'Appia Antica.
(7-00515) «Giancarlo Giordano, Zaratti, Pellegrino, Fratoianni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sul catanese si è abbattuta a partire dalla sera del 4 novembre 2014 una intensa perturbazione con intensi fenomeni di pioggia e vento;
   particolarmente colpiti risultano alcuni comuni come Aci Castello, Acireale e la stessa città di Catania dove per puro caso è stata evitata una tragedia con un albero che si è abbattuto sulla tettoia di un distributore di benzina;
   numerosi sono stati gli interventi del 118 e dei vigili del fuoco;
   l'ondata di maltempo durerà anche nei prossimi giorni;
   il presidente della giunta regionale ha annunciato che si sta procedendo per il riconoscimento dello stato di calamità –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda altresì velocizzare le procedure affinché il riconoscimento dello stato di emergenza e di calamità nei confronti dei territori colpiti possa essere riconosciuto con la massima celerità anche da parte del Governo centrale. (3-01143)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATTUCA, ARLOTTI, BERLINGHIERI, BINI, COCCIA, GIULIETTI, IACONO, IORI, LODOLINI, MAESTRI, MANFREDI, PAGANI e ROMANINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è un Paese che, oltre a detenere una quota rilevantissima del patrimonio artistico e culturale mondiale, possiede oltre 5 mila chilometri di costa balneabile, caratteristica che lo contraddistingue dalla maggior parte dei paesi membri. Il turismo balneare, in un Paese come il nostro, con più coste di chiunque altro in Europa, rappresenta dunque uno dei punti di forza della nostra economia; ne sono prova i recenti dati forniti dall'Osservatorio nazionale sul turismo italiano (Isnart-Unioncamere), secondo i quali la domanda turistica balneare, pur nel contingente momento di crisi economica, non ha subìto negli ultimi anni grandi flessioni rispetto ad altre tipologie di aree turistiche; un settore che rimane il primo prodotto per la domanda turistica italiana e il secondo prodotto – dopo le città d'arte – per quella dei turisti stranieri;
   gli stabilimenti balneari italiani e le aziende ad uso turistico-ricreativo costituiscono una realtà fondamentale per il sistema turistico nazionale e non è di secondaria importanza il fatto che tale settore balneare sia costituito nella quasi totalità da imprese di tipo familiare che operano nell'ambito di piccole concessioni, che negli anni hanno effettuato consistenti investimenti per offrire sempre migliori servizi, contribuendo ad innalzare l'immagine dell'intero comparto;
   in particolare, gli stabilimenti balneari in Emilia Romagna sono circa 1.800 e sulle aree demaniali insistono altre strutture ricettive in grado, si stima, di garantire occupazione diretta a 7.000 unità fra concessionari e familiari a cui si aggiungono circa 25.000 dipendenti;
   il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con il quale l'Italia ha recepito la direttiva 2006/123/CE («direttiva servizi», cosiddetti Bolkestein), stabilisce che dal 1o gennaio 2016, le concessioni demaniali non potranno più essere rinnovate automaticamente (non valendo più il diritto di insistenza) ma dovranno essere oggetto di un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione;
   l'obiettivo del legislatore comunitario attraverso la «direttiva servizi» è quello di eliminare le barriere economiche e strutturali che di fatto ostacolano la libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e la libera circolazione dei servizi tra i medesimi Stati e di garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica per l'effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali previste dai trattati europei;
   la direttiva servizi, essendo rivolta ai servizi pubblici, ossia a quelle attività che Stati o Enti territoriali delegano a loro «partecipate» o a imprese private per svolgere «servizi diretti» a favore della collettività, (ferrovie, poste, ospedali, e altro), non appare, pertanto, idonea a disciplinare le «imprese balneari», che utilizzano una pubblica superficie quale strumento aziendale per offrire un servizio privato e non pubblico;
   senza adeguati correttivi, in grado di considerare le peculiarità e le specificità di tale settore e del territorio italiano, l'applicazione di tale direttiva rischia di penalizzare gli attuali concessionari che difficilmente potrebbero competere con eventuali gruppi economico-finanziari stranieri;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, e successive modificazioni, come modificato dall'articolo 1, comma 547, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del citato decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2020; il comma 732 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) aveva fissato al 15 ottobre 2014 il termine temporale previsto per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime;
   il termine del 15 ottobre 2014 è stato superato senza che siano intervenute ulteriori modificazioni legislative; secondo alcune informali anticipazioni, il Governo starebbe lavorando alla predisposizione di un disegno di legge ad hoc per un riordino della materia sul demanio turistico-ricreativo che, tuttavia, anticiperebbe al 2017 la scadenza delle concessioni in essere senza riconoscere alcun diritto di opzione per i concessionari;
   l'esigenza di pervenire a un nuovo quadro normativo per un settore così strategico per la nostra economia non solo è urgente ma richiede l'opportunità di un percorso condiviso, anche mediante tavoli tecnici, anche da parte delle associazioni di categoria, affinché siano garantite alcune certezze per gli operatori del settore tali da favorire gli investimenti e la crescita delle imprese interessate;
   un segnale positivo era giunto dalla Commissaria europea uscente per gli affari marittimi e le coste, Maria Damanaki (con la nuova Commissione UE guidata da Junker, la DG Ambiente (ENV) è stata fusa con la DG Affari marittimi e pesca (MARE) per formare la nuova DG Ambiente, affari marittimi e pesca guidata dal maltese Karmenu Vella, in sostituzione del commissario ENV, Janez Potocnik, e del commissario MARE, Maria Damanaki), secondo la quale la Commissione europea sarebbe stata disponibile a modificare la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, nella parte riguardante le spiagge in particolare per ciò che attiene ai vincoli applicati alle concessioni demaniali troppo rigidi, per giungere a una nuova disciplina improntata a maggiore flessibilità per i singoli Stati al fine di tener conto delle peculiarità delle proprie coste –:
   se non ritenga il Governo di attivarsi in sede europea al fine di esperire tutte le azioni e gli approfondimenti necessari atti a salvaguardare gli attuali soggetti concessionari del settore, al fine di risolvere le problematiche della durata e del rinnovo delle concessioni demaniali marittime, tutelando gli investimenti e i manufatti da questi ultimi già realizzati e per assicurare la coerenza della disciplina europea del turismo balneare con le specificità nazionali e la salvaguardia dell'interesse pubblico generale, garantito anche dai servizi di salvamento in mare, tutela delle coste, primo soccorso e organizzazione dell'arenile;
   quale sia l'intendimento del Governo circa la predisposizione di un disegno di legge di riordino in materia di demanio turistico-ricreativo e se non ritenga opportuno prevedere in quest'ultimo talune misure che, nell'ambito della definizione di nuovi criteri e modalità di rilascio e cessazione delle concessioni demaniali, e nel rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario in materia di concorrenza e di trasparenza, definiscano ulteriori parametri ed elementi passibili di comparazione delle offerte progettuali concorrenti, allo scopo di selezionare la migliore proposta non solo da un punto di vista economico ma dal lato della tutela delle peculiarità delle imprese turistico-balneari italiane operanti nel settore. (5-03984)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DALL'OSSO, LOREFICE, GRILLO e SILVIA GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per esercitare la professione di infermiere è necessario il titolo di studio della laurea (decreto ministeriale 2 aprile del 2001 e successivo decreto n. 270 del 2004);
   il decreto ministeriale n. 509 del 1999 varò la laurea di 1o livello per detta professione, e ancora prima con il decreto ministeriale n. 24 luglio 1996 il titolo di Infermiere era un diploma universitario, per arrivare al decreto legislativo n. 502 del 1992, che prevedeva già il requisito del diploma di maturità per l'accesso ai corsi di infermiere;
   l'infermiere della Polizia di Stato, nonostante l'accesso ai ruoli, avviene previo conseguimento della laurea, è destinato alla carriera esecutiva, ossia quella riservata agli assunti con la licenza media e perfino a questi ultimi subordinato, ciò, si ribadisce, in applicazione del decreto ministeriale interno 18 luglio 1985 (Profili professionali ruoli tecnici), sebbene vi siano stati provvedimenti legislativi successivi e di rango superiore (lex superior e lex posterior) che hanno contribuito alla valorizzazione della laurea e della professione infermieristica e che avrebbero dovuto far evolvere automaticamente, con lo strumento razionale della discrezionalità amministrativa, la professione del dottor infermiere;
   la valutazione giuridica e lavorativa dell'infermiere determinata dal decreto ministeriale 18 luglio 1985 si riverbera sperequativamente anche nella comparazione con le altre figure professionali sanitarie non mediche del medesimo dipartimento PS (Fisioterapisti, Tecnici di laboratorio, tecnici di neurofisiopatologia, e altro), determinando una posizione di pieno ed insormontabile subordine dell'Infermiere nei confronti di questi operatori, di pari dignità accademica, giuridica e professionale, che viceversa, a differenza dell'Infermiere che viene equiparato a maniscalchi, calzolai e carpentieri; vengono inseriti nel superiore ruolo carriera dei periti, determinando nei confronti del dottor Infermiere, una fruibilità gerarchica e operativa. In netta contraddizione ai principi di buon andamento, ragionevolezza e legalità della pubblica amministrazione e in netta distonia con il resto della sanità pubblica e privata italiana ed europea, dove viceversa, i titoli e le professioni sanitarie non mediche sono corrispondenti;
   ancora più palese è la sperequazione che avviene, rispetto all'inquadramento lavorativo e giuridico, con gli assunti in possesso del diploma di scuola media superiore, che accedono ai superiori ruoli di perito e ispettore della stessa Polizia di Stato (articoli 25-bis, commi 1 e 2 e 25-ter, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982 emanato ai sensi dell'articolo 1, ultimo comma, legge n. 121 del 1981, decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982, decreto ministeriale n. 243 del 1999, decreto legislativo n. 53 del 2001, decreto ministeriale n. 129 del 2005), viceversa, l'infermiere laureato è inquadrato nella carriera dei revisori, ossia a quella ad essi subordinata, determinando che un laureato abbia accesso alla qualifica subordinata alla posizione riservata all'accesso con il diploma di scuola media superiore, ossia alla carriera prevista per la licenza media o per le qualifiche professionali di tipo regionale e a quest'ultimi, si riafferma, sia peraltro ulteriormente subordinato;
   ancora più difficile è accogliere, che il medesimo ordinamento della Polizia di Stato, preveda il ruolo tecnico direttivo speciale (decreto legislativo n. 334 del 2000) dove si accede con il diploma di scuola media superiore, quando come già indicato, viceversa, i laureati sono inquadrati nel ruolo Esecutivo dei revisori (decreto ministeriale 18 luglio 1985);
   la legge n. 42 del 1999 «Articolo 1 comma 1 – La denominazione «professione sanitaria ausiliaria» nel testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio-decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla denominazione professione sanitaria, che equipara l'esercizio della professione infermieristica a professione sanitaria, al pari dei medici e degli altri professionisti sanitari. Inoltre all'articolo 4 della medesima legge, rendendo equipollenti ai fini della formazione post-base e dell'esercizio professionale, i titoli conseguiti con i precedenti ordinamenti;
   la legge n. 43 del 2006, che definisce la denominazione di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, ossia, quelle previste ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, e del decreto del Ministro della sanità 29 marzo 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2001, i cui operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione. Indicando il titolo universitario per il conseguimento e l'esercizio della professione sanitaria infermieristica e di altre;
   il decreto ministeriale Salute n. 739 del 1994, che indica il profilo professionale dell'infermiere, abrogando il precedente mansionario, che il decreto ministeriale 18 luglio 1985 ancora, indirettamente, legittima;
   il nesso tra qualifica/carriera/ruolo e titolo di studio, affonda le sue radici nel decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 (carriere: Direttiva, Concetto, Esecutiva, Ausiliaria), si è rinnovato con l'avvento della legge n. 312 del 1980 introducente le qualifiche funzionali, anch'esse estrinsecazione del titolo di studio posseduto (articolo 108 legge n. 312 del 1980), è continuato con il CNNL 2006/09 del comparto ministeri, mantenendo l'accesso alla carriera di funzionario con il possesso della Laurea [già triennale – vedasi il Ministero dell'interno, nella classificazione del personale prevede l'accesso all'area 3o funzionario (ex carriera direttiva – funzionario) con la laurea (triennale)], e a tutt'oggi, in ossequio al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 70, (articolo 4 «Reclutamento dei funzionari nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo e negli enti pubblici non economici), si stabilisce nella laurea (anche triennale) il requisito per l'accesso alla carriera direttiva (vedasi note del dipartimento della Funzione Pubblica, 1) n. 0011963 del 21 marzo 2012 e 2) n. 0027780 del 16 giugno 2008 e sentenza Tar Lazio – Roma n. 430 del 16 gennaio 2012) –:
   perché, a tutt'oggi, sia ancora palesemente ammessa e tollerata, e non sia stata ancora oggetto d'intervento e risoluzione, la manifesta iniquità e discriminazione che continua a perpetrarsi a danno del personale laureato in infermieristica, in servizio nel comparto sanitario della Polizia di Stato e scaturente dalla lapalissiana constatazione che l'attuale inquadramento giuridico, lavorativo e professionale dei dottori in infermieristica, determinato dal decreto ministeriale 18 luglio 1985) è, a differenza di tutte le amministrazioni pubbliche e private dove si prevede un riconoscimento lavorativo nel ruolo funzionari (area 3o) o ad esso equipollente, inserito in un'inopportuna ed impropria Carriera/Ruolo avente mansioni prettamente esecutive (decreto ministeriale interno del 18 luglio 1985 – articolo 20-ter decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982 ruolo revisori) equiparato ad un generico, sia giuridicamente che professionalmente;
   come intenda agire il Governo al fine di colmare tale discrepanza normativa e garantire l'equipollenza e l'uguaglianza nello svolgimento di professioni eguali. (4-06777)


   POLVERINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 28 e 29 ottobre 2014 si è riunito a Montesilvano il Consiglio nazionale dell'Unione Generale del Lavoro (UGL) per eleggere il nuovo segretario generale a seguito delle dimissioni di Geremia Mancini;
   l'assemblea, pur vedendo due schieramenti contrapposti, si era svolta in maniera pacifica sino al momento della proclamazione del nuovo segretario generale allorquando alcuni esponenti del gruppo facente parte della minoranza assaltavano il tavolo della presidenza provocando l'interruzione della seduta;
   poco prima degli incidenti di cui sopra facevano ingresso nella sala del consiglio alcuni agenti in divisa della polizia di Stato che si qualificavano come appartenenti alla Digos di Pescara;
   nell'albergo erano presenti anche alcuni carabinieri ai quali spettava la competenza territoriale circa la sicurezza;
   le tre volanti della polizia giunte da Pescara erano state chiamate con tutta evidenza prima dello scoppio degli incidenti;
   come è possibile documentare dalle foto e dalle testimonianze, gli agenti della Digos intervenuti invece di preoccuparsi di riportare l'ordine nella sala si dirigevano – durante la rissa ormai in corso tra alcuni delegati – verso la postazione ufficiale della Confederazione da dove si stavano riprendendo i lavori del consiglio e tentavano di appropriarsi dei macchinari di ripresa e delle borse dei cine operatori;
   a quel punto intervenivano alcuni delegati per chiedere conto dell'inusuale comportamento delle forze dell'ordine e subito dopo anche l'interrogante – pure delegata – sedendosi su una delle borse di cui sopra domandava agli agenti quali fossero gli ordini ricevuti o le intenzioni;
   l'agente che probabilmente comandava le pattuglie a quel punto smentiva, di fronte a diversi testimoni, di voler sequestrare il materiale fotografico e, non sapendo più come rispondere del suo operato, si allontanava senza operare alcun «sequestro» mentre in sala intervenivano numerosi carabinieri chiamati dall'interrogante, tra i quali anche il comandante provinciale dell'Arma;
   nelle concitate fasi successive agli scontri molti sindacalisti chiedevano conto agli agenti della Digos del loro intervento e alcuni, compresa l'interrogante, si recavano presso la stazione dei carabinieri di Montesilvano per sporgere circostanziate denunce sui fatti avvenuti e sulle aggressioni subite;
   l'interrogante ha avuto modo di parlare con la responsabile della Digos di Pescara e con il questore che nel frattempo, a circa un'ora dagli incidenti, avevano raggiunto la sede del consiglio;
   la responsabile della polizia non risulta avesse impartito alcun ordine di sequestro e dunque quanto accaduto sembrerebbe poter essere ricondotto all'iniziativa del personale intervenuto;
   durante una conferenza stampa tenutasi a Roma il giorno 3 novembre 2014 uno dei poliziotti iscritti al sindacato e presente in sala in quanto membro del consiglio rilasciava la seguente dichiarazione alle agenzie di stampa: «Abbiamo chiamato la Polizia per identificare gli estranei che erano nella sala – spiega Paolo Varesi, consigliere nazionale Ugl – questi hanno notato la telecamera e volevano prendere le registrazioni per identificare le persone e valutare possibili reati. A questo punto Polverini si è lanciata di peso sulla telecamera dicendo “sono un deputato questa non esce di qui”, fino a che da dietro non hanno portato via la cassetta»;
   emerge dalla dinamica dei fatti un intervento, ad avviso dell'interrogante scomposto e irrituale, da parte della Digos;
   l'anomala presenza nell'UGL di diversi esponenti della polizia di Stato che, ad avviso dell'interrogante in palese difformità rispetto alla legge, non ricoprono i ruoli meramente di categoria consentiti dalla normativa in vigore, è stata più volte segnalata e denunciata direttamente al capo della polizia;
   in un precedente Consiglio nazionale del mese di luglio 2014 circa trenta agenti di polizia in borghese stazionavano per due giorni nell'albergo di Pomezia dove si teneva l'assemblea del sindacato provocando le rimostranze di numerosi delegati per l'atteggiamento, a giudizio dell'interrogante intimidatorio, di una presenza che di fatto ha finito per dare sostegno al solito gruppo di dirigenti UGL appartenenti al Corpo;
   anche in quella occasione si era sfiorata la rissa con queste persone e l'interrogante era stata costretta a chiedere l'intervento del prefetto di Roma al fine di garantire il corretto e democratico svolgimento della vita interna del sindacato –:
   quali fossero gli ordini dati agli agenti di polizia intervenuti all'interno della sala dove si celebrava il Consiglio Nazionale dell'UGL il 29 ottobre 2014;
   come mai nello stesso giorno in cui a Roma accadevano gravi incidenti con altri lavoratori e sindacalisti, a Montesilvano la Digos assumeva atteggiamenti che l'interrogante giudica chiaramente provocatori e che probabilmente solo grazie all'intervento dell'interrogante stessa non hanno portato a più pesanti conseguenze; a che ora e da chi sia stato richiesto l'intervento della Digos di Pescara;
   per quale motivo, se si era ritenuto esistesse un problema di ordine pubblico, non siano stati subito fatti intervenire i carabinieri della locale stazione;
   se e chi abbia dato l'ordine agli agenti intervenuti di sequestrare il materiale fotografico e le registrazioni inerenti all'assemblea dell'UGL;
   quali siano i motivi per cui gli agenti intervenuti nella sala al momento degli incidenti non hanno ritenuto loro dovere separare i contendenti e provare a riportare la calma a giudizio dell'interrogante di fatto disinteressandosi di quello che doveva essere il primo e principale dovere;
   come mai in un atto di diffida significata al nuovo segretario generale dell'UGL Paolo Capone, a firma anche di tre agenti di polizia presenti in sala in quanto membri del Consiglio Nazionale – signori Paolo Varesi, Antonio Scolletta e Cristiano Leggeri – si portino a sostegno di quella che all'interrogante appare una fantasiosa ricostruzione dei fatti «i verbali redatti dalle forze dell'ordine intervenute in loco», come se i sottoscrittori avessero avuto la possibilità di accesso agli stessi; come mai il capo della polizia nonostante le numerose sollecitazioni e gli allarmi circa la situazione che si stava delineando e che coinvolgeva personale a lui sottoposto non sia intervenuto. (4-06782)


   DALL'OSSO, PAOLO BERNINI, LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DELL'ORCO e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dal 2005 presso l'università di Modena è in atto una linea di ricerca che riguarda gli aspetti cognitivi e motori di una parte del cervello dell'animale, e che si concludono con la sua soppressione effettuata su una colonia di 15 primati non umani (Macaca fascicularis), appositamente allevati presso lo stabulario della stessa, implicante esperimenti estremamente invasivi e cruenti che si concludono inevitabilmente con la l'uccisione dell'animale;
   nel mese di agosto del 2012 uno degli individui della colonia è già stato dato in affidamento al centro di recupero fauna esotica di Monte Adone in provincia di Bologna con un protocollo sottoscritto dalle parti in collaborazione con il comune di Modena;
   tale documento impegna lo stabulario dell'università di Modena e Reggio Emilia a non acquisire nuovi individui, nell'ottica di una progressiva riduzione del numero dei primati;
   il decreto legislativo n. 26 del 2014 sulla sperimentazione animale entrato in vigore il 29 marzo 2014 fa divieto di allevare cani, gatti e primati per la sperimentazione animale;
   numerose associazioni animaliste hanno più volte ribadito la propria disponibilità a farsi carico macachi superstiti per metterli a dimora in un parco faunistico adatto alle loro caratteristiche etologiche senza alcun onere per l'università –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale situazione;
   se si intenda immediatamente revocare l'autorizzazione alla sperimentazione su primati presso lo stabulario dell'università di Modena e Reggio Emilia, agevolando per quanto di competenza la dismissione di tutti i primati stabulati e la cessione a un centro di recupero idoneo a garantire il benessere psico-fisico degli animali;
   se sia intenzione del Governo esprimere, anche nel contesto del Parlamento europeo tramite i propri rappresentanti ed in occasione della riunione del Consilium, parere contrario ex nunc all'uso di tutti i primati non umani nella ricerca di base sul territorio italiano. (4-06783)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   COMINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il Corriere della sera ha avviato una nuova inchiesta video-giornalistica a puntate, a firma Amalia De Simone, sulla vicenda dei traffici illeciti di rifiuti provenienti dall'estero in Lombardia, soprattutto nel territorio bresciano. Si tratta di un fenomeno di particolare gravità, che come emerso nelle tante indagini portate avanti negli anni dalle Forze dell'ordine e dalle relazioni parlamentari della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha riguardato vaste aree del territorio, dove l'attività delle organizzazioni criminali ha trovato terreno fertile nell'alleanza con imprenditori senza scrupoli che hanno minato il futuro dell'ambiente e della salute dei cittadini. La portata del fenomeno è di tale gravità al punto di essere definita dai media la «Nuova Terra dei Fuochi del Nord» per le evidenti similitudini e connessioni con il tristemente famoso territorio posto tra le province di Caserta e Napoli;
   secondo quanto si legge nell'articolo «si tratta di rifiuti tossici dall'Australia, dalla Slovenia e dagli altri paesi dell'Est, finiti tutti in Lombardia che arrivano in container ma anche su rotaie, quelle delle linee semi dismesse dei distretti industriali. I rifiuti dall'Australia arrivavano in container trasportati con delle navi attraverso l'oceano Indiano e il canale di Suez. Si tratta prevalentemente di carichi di ceneri e scarti di demolizione con concentrazioni di cianuri, fluoruri e bauxite. Un carico arrivato a Porto Marghera e finito nel bresciano fu individuato e sequestrato ma si indaga su altri possibili carichi e rotte. Lo rivela il procuratore generale di Brescia Pier Luigi Maria Dell'Osso che aggiunge: «Viaggiano in cargo o di notte sui vagoni. Il distretto bresciano e quello contiguo milanese sono il punto di riferimento di tutto il traffico di rifiuti di ogni tipo e di ogni genere che si è spostato da Sud a Nord». Le associazioni ambientaliste parlano di oltre 30 milioni di tonnellate di scorie accumulate sul territorio bresciano dal dopoguerra ad oggi»;
   secondo quanto riportato nell'articolo e nelle dichiarazioni del procuratore Dall'Osso, una serie di indagini hanno portato gli inquirenti ad individuare traffico avveniva attraverso una serie di triangolazioni societarie, cartiere e un giro di false fatturazioni. «Questo avviene perché chiaramente il problema dei rifiuti è un problema per tutti i paesi – spiega Dell'Osso – il fatto che il territorio bresciano abbia una grossa esperienza di cui faremo volentieri a meno, ed una articolazione territoriale di discariche lecite e illecite, fa sì che diventi un territorio particolarmente appetibile. Infatti può essere competitivo dal punto di vista dei costi perché è una realtà di grandissima estensione ed evidentemente ha anche una organizzazione che rende più sicure le consorterie criminali mafiose che operano in questo settore. Un settore che è un vero business e su cui anche la nuova `ndrangheta, quella di ultima generazione capace di infiltrarsi nel mondo economico e finanziario, vuole mettere le mani»;
   nell'intervista riportata da Corriere, il procuratore svela inoltre che per il trasporto dei rifiuti tossici in Lombardia si preferiscono i treni essendoci una rete ferroviaria molto fitta che attraversa il distretto industriale: «Vengono utilizzate le linee poco usate ma ancora attive. I controlli sono poco efficaci perché possono avvenire solo in entrata o in uscita dalle stazioni e di notte c’è un via vai di vagoni carichi di rifiuti tossici»;
   le tristi analogie con la terra dei fuochi campana, riguardano anche la contaminazione dei terreni agricoli attigua all'area delle discariche illegali di Montichiari. Secondo gli inquirenti negli anni ’90 i liquami industriali venivano spacciati addirittura per ammendanti agricoli e le autobotti, approfittando della pioggia aprivano i bocchettoni lungo le strade e spargevano via i liquami che finivano nei campi coltivati;
   anche in questa zona l'incidenza dei tumori è molto alta anche se non è stata mai fatta una indagine epidemiologica specifica sul territorio, sebbene appaia evidente il rischio per la salute dei cittadini e dell'ambiente e come evidenziato in altre interrogazioni parlamentari presentate dalla sottoscritta, non sembri più procrastinabile un intervento del Governo per fare chiarezza sulla situazione, anche con l'avvio di un'indagine specifica sul territorio bresciano della Commissione bicamerale d'inchiesta sui traffici illeciti di rifiuti;
   in questo scenario oltremodo preoccupante e dove sarebbe necessario da parte delle forze dell'ordine un monitoraggio costante, sia per contrastare nuovi crimini sia per indagare su quanto avvenuto nel passato, sarebbe auspicabile un'implementazione del personale in forza ai carabinieri del Noe di Brescia, al momento sottodimensionato per un contesto così impegnativo, anche in vista dell'Expo 2015, momento in cui i riflettori di tutto il mondo si rivolgeranno verso il nostro paese e dove, come dimostrano alcune indagini già in corso si stanno attivando gli appetiti delle organizzazioni criminali e per l'apertura dei cantieri di una grande opera come la Tav –:
   se non intendano assumere le iniziative necessarie per attivare sul territorio bresciano una speciale cabina di regia per procedere a controlli urgenti e immediati per verificare l'entità e la diffusione della presenza delle situazioni più critiche ai fini di tutelare la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente;
   se non si intenda procedere nell'immediato ad un'integrazione del numero del personale in forza al Noe di Brescia che presenta un gravissimo deficit numerico di personale e che opera, come è del tutto evidente, in un territorio complesso, già segnato da numerosi casi di emergenze ambientali e dove sarebbe necessario incrementare l'azione di indagine e di contrasto da parte delle forze dell'ordine. (4-06779)


   AGOSTINELLI e BONAFEDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i siti di interesse nazionale in Italia sono stati istituiti a partire dal 1998 con la legge 9 dicembre 1998, n. 426;
   attualmente la disciplina dei Sin è contenuta nel testo unico ambientale (decreto legislativo n. 52 del 2006);
   l'articolo 252 del testo unico ambientale attribuisce al Ministero dell'ambiente sia la titolarità del procedimento di bonifica (articolo 252, comma 4) che i poteri sostitutivi per il caso di inerzia nell'esecuzione degli interventi da parte del responsabile dell'inquinamento o da parte del proprietario del sito contaminato (articolo 252, comma 5);
   i siti di interesse nazionale presenti nel territorio delle Marche sono il sito di «Falconara Marittima» e quello del «Basso Bacino del fiume Chienti»;
   il Sin di Falconara è stato istituito con legge n. 179 del 2002 e successivamente perimetrato con decreto ministeriale 26 febbraio 2003; con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 25 marzo 2004 il sito è stato anche sottoposto a vincolo architettonico, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 490 del 1999;
   nel sito di interesse nazionale di Falconara è compreso anche lo stabilimento della ex Montedison;
   la fabbrica nacque intorno al 1920 con la ragione sociale «Società Prodotti Chimici Colla e Concimi Anonima», divenendo poi, nel 1929, di proprietà della «Montecatini» e, successivamente, «Montedison». Nel 1989 lo stabilimento ha cessato ogni attività;
   attualmente i proprietari dell'area ex Montedison sono tre:
    a) l'Immobiliare Del Poggio, proprietaria della parte più estesa dell'area (area stabilimento di 11,29 ettari su 11,80);
    b) l'Agricola92, proprietaria di una piccola frazione (area attigua allo stabilimento di 0,51 ettari);
    c) la Rocca Mare, proprietaria dell'arenile;
   nel 2001 la procura della Repubblica di Ancona, in seguito alla segnalazione di alcune anomalie riscontrate nelle acque di un pozzo poco distante, disponeva il sequestro del sito (procedimento n. 4181/01 14 RGNR mod. U), conferendo incarico di consulenza tecnica al dottor Nedo Biancani;
   nella relazione del consulente si concludeva che «l'intera area abbisogna di un intervento di bonifica e/o di messa in sicurezza in conformità al decreto ministeriale n. 471 del 1999», stimando il costo dell'intervento in 70 milioni di euro;
   nonostante l'approvazione dei piani di caratterizzazione in due apposite conferenze di servizi (una in data 11 gennaio 2005 per l'area di proprietà della immobiliare Del Poggio e l'altra in data 7 marzo 2007 per le aree di proprietà della Agricola92 srl e della azienda Rocca Mare), è mancata, ad oggi, la doverosa presentazione dei risultati della analisi di rischio che i proprietari dei siti inquinati sono tenuti a fornire, entro 6 mesi dalla approvazione del piano di caratterizzazione ai sensi dell'articolo 242 comma 4 del testo unico delle norme in materia ambientale;
   le indagini di caratterizzazione parziali condotte dalle aziende proprietarie riportano la presenza di metalli pesanti cancerogeni, per valori in alcuni casi superiori di quasi seicento volte rispetto ai limiti di legge, evidenziando in particolare le seguenti criticità:
    a) presenza di grandi quantità di rifiuti e scorie di lavorazione;
    b) nei terreni eccedenze rispetto ai limiti della colonna A, tabella 1, allegato 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per i seguenti parametri: arsenico, cadmio, cobalto, mercurio, piombo, rame, zinco, solfati, floruri, fosfati, idrocarburi leggeri e pesanti, PCB e PCDD/PCDF; risultava in particolare la presenza di 59.626 milligrammi di piombo per ogni chilo di terra su un limite legale di 100; 260 milligrammi di mercurio quando il limite legale è 1; 10 milligrammi di Pcb su un limite legale di 0,06;
    c) nelle acque di falda superamento dei limiti fissati nella tabella 2 dell'allegato 5 al titolo V, parte quinta, del decreto legislativo n. 152 del 2006, in particolare una presenza di piombo in quantità 6 volte superiori rispetto al limite legale (63 μg/l rispetto al limite di 10 μg/l), di manganese 15 volte superiore (valore massimo 780 μg/l rispetto al limite di 50 μg/l) ed una presenza di ferro addirittura 24 volte più invasiva (4895 μg/l rispetto al limite di 200 μg/l);
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con lettera del 10 luglio 2010, a fronte della perdurante inerzia delle aziende proprietarie nel fornire i risultati completi delle indagini di caratterizzazione (cosiddette analisi di rischio sito specifica ex articolo 252, comma 4, TUA), rilevata altresì l'inottemperanza delle stesse anche in relazione alle attività di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati, metteva formalmente in mora i proprietari dell'area, disponendo che: «...in caso di ulteriore inadempienza da parte di codeste Aziende attiverà, previa formale messa in mora, i poteri sostitutivi in danno delle medesime società inadempienti...» e richiedendo ad ISPRA «di valutare il danno ambientale relativo al sito di interesse nazionale di Falconara Marittima, a cominciare dalle aree ex Montedison»;
   da allora, nonostante la perdurante inerzia dei proprietari, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha omesso il doveroso esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'articolo 252, comma 5, testo unico delle norme in materia ambientale, con conseguente grave nocumento per l'ambiente e la salute dei cittadini;
   si apprende da fonti stampa che l'area è interessata da un progetto di recupero che prevede la realizzazione di un parco integrato turistico commerciale, pur non essendo ancora stati eseguiti i doverosi interventi di messa in sicurezza e bonifica;
   il promotore dell'iniziativa è la società General consulting srl che ha già a presentare il progetto nei comuni di Falconara Marittima e Montemarciano e che agirebbe per conto di investitori stranieri, la cui identità non è stata resa nota;
   l'investimento previsto per la realizzazione dell'intervento di recupero è di circa 140 milioni di euro, di cui 5 milioni destinati alla realizzazione degli interventi di bonifica;
   il progetto prevede, oltre alla costruzione di un polo commerciale e di altre strutture permanenti, anche l'integrale bonifica del sito;
   secondo le dichiarazioni rilasciate dall'amministratore delegato della General Consulting, le operazioni di bonifica avverranno nel rispetto del vincolo di interesse archeologico apposto nel 2004 dal Ministero per i beni e delle attività culturali; quindi tutte le strutture saranno mantenute e sarà ricostruita per intero anche la struttura Le Arche, la più importante da un punto di vista architettonico, crollata la scorsa primavera;
   i 5 milioni previsti per la bonifica del sito potrebbero essere assolutamente insufficienti e, ciò, non solo alla luce della citata relazione peritale del dottor Nedo Biancani, redatta nel 2001 su incarico della Procura di Ancona (che stimava un costo di 70 milioni di euro), ma anche in considerazione della circostanza che il mantenimento dei manufatti esistenti, necessario per rispettare il vincolo archeologico apposto nel 2004 dalla sovrintendenza, comporta una notevole lievitazione dei costi di bonifica –:
   per quali ragioni, ad oggi, non siano stati ancora realizzati i necessari interventi di bonifica e nemmeno adottate, quam minime, le misure per la messa in sicurezza del sito;
   per quali ragioni, ad oggi, a fronte della perdurante inerzia dei proprietari, anche con riguardo alla omessa trasmissione della analisi rischio specifica, non siano stati ancora attivati da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i poteri sostitutivi di cui all'articolo 252, comma 5, testo unico delle norme in materia ambientale;
   a che punto sia la procedura di valutazione del danno ambientale già attivata presso l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale con lettera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 10 luglio del 2010;
   quali provvedimenti intendano adottare, anche sul piano sanzionatorio, oltre che nei confronti degli attuali proprietari del sito, anche nei confronti dei precedenti proprietari e dei responsabili dell'inquinamento, in specie alla luce del principio comunitario «chi inquina paga»;
   ove ne siano già a conoscenza, se intendano rendere noti i nomi degli investitori stranieri per conto dei quali agisce la General Consulting, non essendo ravvisabili ragioni ostative alla divulgazione, essendo il parco integrato turistico commerciale un intervento di recupero rispondente ad un interesse generale, certamente prevalente rispetto non meglio definite esigenze di privacy;
   se ritengano congrui i 5 milioni di euro previsti dal progetto della General Consulting per la realizzazione degli interventi di bonifica inclusi nella realizzazione del parco integrato turistico commerciale e, ciò, soprattutto alla luce della relazione peritale redatta nel 2001, su incarico della procura di Ancona, che invece stimava i costi di bonifica in 70 milioni di euro;
   se la bonifica del sito, anche in funzione di una consistente riduzione dei costi, non richieda l'abbattimento dei manufatti esistenti e, quindi, se sia opportuno il mantenimento del vincolo archeologico apposto con il decreto ministeriale del 25 marzo 2004. (4-06784)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   PES. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'area archeologica di Cornus (Cuglieri-Oristano), importantissima necropoli tardo antica, le cui prime campagne di scavo risalgono al 1950, è in uno stato di progressivo degrado e necessita di urgenti interventi di consolidamento delle strutture e di valorizzazione, al fine di renderla accessibile e fruibile da turisti e studiosi;
   le condizioni precarie di Cornus sono state denunciate anche sulla stampa in cui si riferisce di strutture fatiscenti di accesso al sito e di un abbandono diffuso che caratterizza l'intera area archeologica;
   questo sito è considerato di eccezionale interesse dagli studiosi di archeologia medievale. A questo proposito vogliamo citare l'intervento pubblicato in «trentacinque anni di Archeologia medievale alla Sapienza», della professoressa Letizia Pani Ermini, ordinaria di archeologia medievale presso l'università degli studi di Roma «La Sapienza» e direttore del dipartimento di scienze storiche archeologiche e antropologiche dell'antichità, nella rivista di «Scienze Umanistiche», n. 1 del 2005, che con testuali parole descrive l'importanza di Cornus nel panorama archeologico della Nazione: «...dal 1976, su affidamento della Soprintendenza ai beni archeologici di Cagliari, chi scrive ... ha condotto annualmente campagne di scavo che hanno portato alla rimessa in luce del complesso episcopale dell'antica città punica e romana di Cornus, unico esempio in Italia sul piano archeologico di un’insula episcopalis completa nelle sue strutture, con la chiesa vescovile, il battistero, la basilica funeraria, l'area cimiteriale sub divo, il palazzo episcopale, gli impianti artigianali, un complesso rimasto in vita dal IV almeno all'VIII secolo». Dunque un sito eccezionale per la sua completezza e unicità;
   inoltre gli studi sin qui condotti ci mostrano un'area archeologica fortemente stratificata, infatti affermano che Cornus venne fondata dai Cartaginesi alla fine del IV secolo avanti Cristo e che ebbe una continuità di vita sino al periodo tardo-antico. La fase punica è testimoniata dalla cinta muraria, dalle sepolture e dai tanti reperti recuperati dagli scavi;
   al periodo tardo antico, si fa risalire il complesso cristiano detto Columbaris, infatti, al III secolo e all'inizio del IV secolo dopo Cristo appartiene una vasta area cimiteriale nella quale sono presenti tombe a «cappuccina», sepolture dette a «enkytrismos» e il rinvenimento di «mensae» per il rito funebre del «refrigerium». A questo periodo appartiene anche la costruzione di una prima basilica con battistero dove trovarono sepoltura in sarcofagi di pietra i membri più importanti della comunità. I resti di alcune basiliche risalenti al V e VI secolo dopo Cristo conservano ancora visibili i tratti connotativi dell'architettura basilicale tardo-antica;
   all'inizio del Novecento, il noto archeologo e accademico dei Lincei Antonio Taramelli, nell'ambito delle sue ricerche approfondite sul territorio sardo, fece una prima concreta ricognizione delle evidenze archeologiche, seguita poi dagli studi condotti dall'università degli studi di Sassari, che sulla base dei dati storici ed epigrafici, oltre che dai rilievi archeologi, resero possibile una ricostruzione storica e topografica di Corpus;
   l'area archeologica di Cornus risulta per quanto esposto essere un sito di grande valore storico-artistico dove, le differenti civiltà cartaginese prima e romana poi hanno lasciato ingenti segni materiali della propria cultura, ai quali in seguito si sono aggiunte le importantissime strutture tardo antiche, rari esempi di architetture basilicali paleocristiane nell'isola sarda, che per la particolare composizione rendono questo sito unico;
   secondo quanto stimato dalla soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano ammonterebbe a circa 150.000 euro il sostegno economico di cui il sito archeologico necessiterebbe per vedere garantita la sua tutela e valorizzazione –:
   quali iniziative il Ministero, per quanto esposto e in considerazione delle eccezionali caratteristiche di Cornus, della sua specificità e unicità, possa prevedere per arginare lo stato di degrado in cui versa il sito valorizzarlo e tutelarlo, anche a seguito dell'ordine del giorno sottoscritto dall'interrogante e accolto nell'ambito della conversione in legge del decreto-legge n. 83 del 2014. (4-06773)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BRANDOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 marzo 2014 l'ammiraglio di squadra Franco Paoli ha ultimato l'incarico di presidente nazionale della Lega navale italiana per scadenza del mandato triennale e che, in data 14 maggio, è scaduta la proroga di 45 giorni prevista dall'articolo 3 comma 1 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293;
   solo in data 30 giugno 2014, ben oltre quindi la data di scadenza della predetta proroga, il Consiglio dei ministri ha deliberato la nomina dell'ammiraglio di squadra Giuseppe Lertora a presidente della Lega navale italiana;
   alla data odierna non risulta formalizzato il decreto del Presidente della Repubblica previsto per tale nomina dall'articolo 69, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, e pertanto, la Lega navale italiana, ente pubblico non economico, a base associativa e senza finalità di lucro, è materialmente impedita da oltre 5 mesi a condurre le attività connesse con i propri fini istituzionali tra i quali prevalgono quelli di protezione ambientale e di promozione e utilità sociale;
   la Lega navale italiana, che opera attraverso una struttura periferica di circa 250 sezioni, delegazioni e centri nautici distribuiti sull'intero territorio nazionale e alla quale aderiscono circa 60.000 Soci, quale ente a base associativa non gravante sulla finanza pubblica, rientra nella previsione normativa di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 –:
   se sia vero che l'ufficio legislativo del Ministero della difesa abbia richiesto, in data 15 settembre 2014 allo Stato maggiore della marina militare di acquisire e trasmettere, al medesimo ufficio, una formale rinuncia scritta e non condizionata a qualsivoglia indennità/compenso da parte dell'ammiraglio Lertora, senza la quale non si sarebbe potuto procedere a perfezionare il provvedimento di nomina, a titolo gratuito e solo per un anno;
   se sia vero che tale richiesta sia stata originata dal convincimento che l'incarico di presidente nazionale della Lega navale italiana rientri nella previsione normativa di cui all'articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012 – così come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014, nonostante il predetto articolo 5 sia rubricato «Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni» e che il citato articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013 sancisca, tra l'altro, che gli enti aventi natura associativa si adeguino con propri regolamenti ai princìpi di razionalizzazione e contenimento della spesa in quanto non gravanti sulla finanza pubblica;
   quali siano le motivazioni che hanno indotto a mantenere la designazione dell'ammiraglio Lertora a presidente della Lega navale italiana per un anno con possibile pregiudizio nelle attività della Lega navale italiana e non invece, giusta articolo 69, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, che fissa in tre anni la durata della carica, a designare altro nominativo in possesso dei requisiti richiesti;
   quali iniziative intenda promuovere per sbloccare la situazione di «impasse» che si è creata nella procedura di nomina del presidente nazionale della Lega navale italiana – parallelamente in quella del vice presidente nazionale per il quale valgono fatti e considerazioni analoghi – atteso, tra l'altro, che se le nomine fossero avvenute entro i termini previsti, la stessa avrebbe preceduto l'entrata in vigore del decreto-legge n. 90 del 2014;
   se la modifica introdotta dall'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014 all'articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012 debba essere interpretata nel senso che essa non si applica agli enti di natura associativa in quanto tali enti non rientrano nell'ambito delle amministrazioni pubbliche di cui all'elenco ISTAT e pertanto non incidono sul rispetto dei vincoli di finanza pubblica. (4-06764)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio nazionale dei commercialisti, segnala che il nuovo modello precompilato per la dichiarazione dei redditi conseguiti nel 2014, approvato la scorsa settimana, la cui operatività sarà pertanto nel 2015, necessiterà per almeno due anni, essere largamente precompilato;
   l'intervento normativo, per quanto condivisibile, sostiene il presidente del suesposto Consiglio, in considerazione che la nuova disciplina ha il pregio di non disperdere l'imponente patrimonio informativo di cui l'amministrazione finanziaria dispone, occorrerà tuttavia essere integrato da aggiornamenti, dati e adempimenti, con cui completare il modello;
   l'obiettivo finale, a giudizio dei professionisti economico-aziendali, che converge comunque nella giusta direzione, quello della semplificazione, potrà essere migliorato ulteriormente soltanto fra circa due anni infatti, in quanto come riporta un articolo pubblicato dal quotidiano: Il Corriere della sera, lo scorso 1o novembre, per il 2015 è stimato che su circa 20 milioni di modelli 730 precompilati, il 71,7 per cento); (pari a 14 milioni) di essi, avrà bisogno di essere completato in maniera aggiuntiva, senza contare le correzioni che si renderanno necessarie per il restante 28,3 per cento (che equivale a 5 milioni e mezzo);
   anche per il 2016 non sarà prevista l'autonomia totale, in quanto le precompilazioni da integrare sebbene si ridurranno, rimarranno comunque il 45,2 per cento del totale, equivalenti a più di 9 milioni di modelli 730;
   il processo di semplificazione porta con sé nuovi obblighi di comunicazione a carico dei sostituti d'imposta, evidenzia il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, che dovranno trasmettere entro il 7 marzo di ogni anno, all'Agenzia delle entrate, le certificazioni attestanti i redditi erogati, le ritenute, le detrazioni d'imposta effettuate e i contributi previdenziali e assistenziali trattenuti, con il rischio che, con l'intento di semplificare la presentazione del modello 730, i sostituti d'imposta saranno sottoposti a sforzi prolungati ed oltremodo impegnativi, che finirebbero per scaricare su questi ultimi, il peso e i costi di tale semplificazione, in un quadro di adempimenti attualmente già troppo gravoso o oneroso per imprese e professionisti;
   questi ultimi insieme ai centri di assistenza fiscale, saranno tenuti ad effettuare una comunicazione in via telematica per l'inserimento dei dati nella dichiarazione dei redditi precompilata, che dovrà essere resa disponibile entro il 15 aprile di ogni anno;
   la norma prevede anche una sanzione di 100 euro per ogni certificazione omessa, tardiva o errata, con il timore da parte dei commercialisti, evidenzia Il Corriere della sera, che in considerazione dei nuovi obblighi, diventa essenziale che l'Agenzia delle entrate, tramite la Sogei, metta a disposizione sin dall'inizio dell'anno, i software e le altre procedure, necessarie per trasmettere le certificazioni minime per evitare a sostituti e professionisti di lavorare in condizioni d'emergenza, con il rischio anche di essere sanzionati in caso di omesso, errato o tardivo invio della comunicazione;
   in definitiva, a giudizio dell'interrogante, il funzionamento relativo all'introduzione del nuovo sistema della dichiarazione dei redditi precompilato per quanto impostato in una prospettiva di semplificazione, volta a migliorare un sistema di adempimenti fiscali nel nostro Paese, esageratamente complicato che evidenzia un netto divario tra l'elevato numero di imposte e tributi da adempiere da parte del contribuente, rispetto ai servizi che riceve dall'amministrazione statale, rischia di determinare effetti paradossalmente negativi e per i quali occorrono misure correttive di miglioramento –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se intenda condividere le criticità esposte adottando iniziative in tempi rapidi al fine di correggere le criticità in precedenza riportate. (4-06763)


   D'INCÀ, ROSTELLATO, BUSINAROLO, SPESSOTTO, COZZOLINO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 12 e 13 giugno 2011 con l'approvazione, a larga maggioranza, dei referendum per l'acqua bene comune le italiane e gli italiani hanno espresso chiaramente, con il proprio voto, la volontà di sottrarre la gestione dell'acqua e tutti i servizi pubblici a logiche di mercato e di profitto e di mantenerla sotto il controllo pubblico;
   l'indirizzo del Governo però, sottolineato di recente ed in diverse occasioni, esprime la necessità di mettere in campo realtà di valore nazionale nel settore delle aziende multiutilities e delle società partecipate;
   tale processo potrebbe subire una netta accelerazione a causa delle intenzioni del Governo, volte a facilitare le aggregazioni delle ex municipalizzate attraverso incentivi per quegli enti che dismettono quote, consentendo l'utilizzo dei proventi delle vendite delle partecipazioni al di fuori del patto di stabilità. Ciò indurrebbe gli enti locali a vendere, o svendere, le proprie azioni consegnando, o regalando, quote anche di maggioranza ai privati in cambio della possibilità di spendere per il comune il ricavato;
   l'indirizzo annunciato dal Governo è condiviso da alcuni sindaci di importanti capoluoghi di regione del nord tra cui Fassino e Pisapia, che stante le dichiarazioni su vari organi di stampa, prefigurano la nascita della cosiddetta «multiutility del nord» fusione tra A2A, la società dei servizi che opera in Lombardia detenuta a maggioranza dai comuni di Milano e Brescia, e Iren, definendola un «obiettivo strategico» per far crescere e sviluppare delle forme di cooperazione e di alleanza. Tale progetto contribuirebbe a rafforzare ancora di più grandi società come A2A e Iren che dovranno avere sempre di più avere la forza e la capacità di una presenza sul mercato nazionale e internazionale, prefigurandone inoltre la necessità della quotazione in borsa;
   infatti Piero Fassino attuale sindaco di Torino e anche presidente dell'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani, quando parla di società partecipate dagli enti locali dice – in un'intervista al quotidiano La Stampa, di fine agosto – che per lui la strada è quella della Borsa, perché «solo così le si costringerà a razionalizzarsi e a ristrutturarsi per presentarsi con i conti in ordine e, una volta quotate, attingere dal mercato quei capitali che servono loro per la propria attività»;
   l'innesco di un tale processo, mediante l'apertura al mercato dei capitali, porterebbe ad una finanziarizzazione sempre più spinta della società che gestiscono servizi pubblici locali, che sarebbero esposte ai rischi e alle regole del mercato e all'ingresso dei privati nella gestione delle stesse, contravvenendo così all'esito della consultazione referendaria del 2011;
   per contro anche i risultati della gestione di alcune società partecipate totalmente dagli enti territoriali presentano della criticità importanti, così come riportato dall'indagine sui risultati della gestione delle società partecipate dagli enti territoriali svolto dalla Corte dei conti, a livello centrale e territoriale, per la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio degli enti proprietari. L'indagine svolta dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti ha esaminato gli organismi censiti nella banca dati SIQUEL della Corte dei conti nei loro dati di bilancio, che sono posti in relazione con i flussi finanziari erogati dai soggetti pubblici partecipanti e/o controllanti. La gestione finanziaria dimostra una netta prevalenza dei debiti sui crediti, in tutti gli organismi oggetto della indagine;
   a titolo di esempio, la regione Veneto ha dato attuazione alla normativa nazionale sul servizio idrico integrato individuando otto ambiti territoriali ottimali ed un nono ambito, l'ATO Lemene, di carattere interregionale (legge regionale 27 marzo 1998, n. 5 sostituita dalla legge regionale 27 aprile 2012, n. 17);
   la gestione diretta del servizio idrico integrato, nei comuni che compongono l'ATO Alto Veneto nella provincia di Belluno, è affidato dal 1o gennaio 2004 alla società BIM GSP di Belluno. Partecipano al capitale sociale, in quote paritetiche, i 67 comuni della provincia di Belluno appartenenti al Bacino imbrifero montano del Piave. Il capitale sociale è interamente composto da n. 4.020 azioni ordinarie, del valore nominale unitario di euro 500;
   dall'ultimo bilancio societario depositato, l'ente BIM GSP di Belluno risulta avere al 31 dicembre 2012 un debito di circa 89 milioni di euro nei confronti di banche e fornitori, dovuto ad errate valutazioni sui quantitativi di acqua consumata che hanno portato alla redazione di piani industriali sbagliati;
   tale situazione emerge pubblicamente nel 2011, quando BIM GSP rinvia l'approvazione del bilancio poiché «ha un'esposizione di 50 milioni di euro dei quali pressoché nessun amministratore locale era a conoscenza»;
   tali criticità hanno comportato che dal 1o gennaio 2013 BIM GSP ha modificato il piano tariffario, aumentando del 29,4 per cento gli importi unitari e applicando in bolletta l'anticipo sui consumi futuri, per «coprire integralmente i costi di gestione e recuperare i costi sostenuti dal gestore per investimenti e servizi già effettuati in assenza di adeguata tariffa» (da comunicazione di BIM GSP in bolletta);
   moltissime utenze, soprattutto attività alberghiere, si sono viste recapitare bollette con importi anche doppi rispetto gli anni precedenti –:
   se e come intendano orientare le scelte di politica economica generale, nell'ambito dei settori delicati della gestione dei servizi pubblici locali;
   se non ritengano opportuno valutare con attenzione le criticità emerse rispetto alla creazione di grandi società partecipate operanti nel settore delle public utilities in considerazione del sempre più diffuso aumento delle tariffe. (4-06780)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sulla rivista dell'Associazione degli psicologi americani (APA) è stato pubblicato recentemente un articolo scientifico che contiene una revisione metanalitica dei più autorevoli studi mondiali sul tema dell'affido condiviso di bambini sotto i 4 anni. Hildegunde Suenderhauf ha selezionato gli unici 50 studi sulle modalità di affido dei minori pubblicati tra il 1977 e il 2014 su riviste internazionali scientificamente riconosciute. Nella sua metanalisi l'autrice ha analizzato in modo rigoroso le conclusioni dei singoli studi e le loro interazioni, traendone una valutazione complessiva, le cui considerazioni finali appaiono inequivocabili;
   due studi (4 per cento) hanno dato risultati negativi rispetto all'affido materialmente condiviso; in undici studi sono stati segnalati effetti negativi neutralizzati da altri effetti positivi; mentre trentasette degli articoli presi in considerazione (74 per cento), hanno prodotto inequivocabili risultati positivi per l'affido materialmente condiviso. L'articolo conclude testualmente: «In generale i risultati degli studi rivisitati in questo documento sono favorevoli ai piani genitoriali che bilanciano il tempo dei bambini piccoli tra le due case in modo il più uguale possibile. Il pernottamento dei bambini nella casa del papà non crea problemi, ma favorisce nei bambini la consapevolezza che l'accudimento è compito di entrambi i genitori e non di uno solo di loro (Warshak, 2014)»;
   la distribuzione dei tempi di coabitazione in uso presso i tribunali italiani non segue però queste linee scientifiche e, come si può vedere anche dalle bozze di separazione consensuale pubblicate sui siti di alcuni tribunali, essa non si discosta da distribuzioni standard molto asimmetriche: circa l'83-85 per cento del tempo con un genitore, quasi sempre la madre, e circa il 17-15 per cento con l'altro genitore, quasi sempre il papà. Ciò comporta facilmente la perdita di una figura genitoriale con danni di natura psicologica e sociale, che appaiono già nei primi anni, ma spesso si accentuano nell'età della adolescenza: dispersione scolastica, gravidanze indesiderate, povertà, tabagismo, tossicodipendenza, microcriminalità e altro. Con questo orientamento l'Italia si colloca agli ultimi posti in Europa in quanto a difesa del diritto alla bigenitorialità;
   uno studio su 164.580 ragazzi svedesi di 12 e 15 anni, figli di genitori separati, ha evidenziato che i parametri migliori relativamente al benessere fisico, psicologico e sociale alla soddisfazione sulle relazioni coi propri genitori separati, sono quelli dei minori che spendono tempi sostanzialmente eguali presso i due genitori (Bergström et al. 2013), confermando i risultati di una precedente ricerca di Jablonska e Lindbergh su 15.428 minori che aveva evidenziato, con significatività statistica, livelli di stress mentale più alto nelle famiglie monogenitoriali;
   un'altra ricerca pubblicata su Children & Society nel 2012 e condotta da ricercatori indipendenti delle università di Bethesda, della Groenlandia, di Stoccolma, di Yvaskula (Finlandia), di Copenaghen, di Akureyri (Islanda), di Goteborg, su 184.496 minori in 36 società occidentali (Italia inclusa) (Bjarnason et al.2012) ha osservato che i bambini che vivono in sistemazione di collocamento materialmente congiunto (suddivisione approssimativamente paritaria dei tempi) riportano un più alto livello di soddisfazione di vita rispetto ad ogni altra sistemazione di famiglia separata, solo un quarto di rango (-0,26) più basso dei bambini nelle famiglie unite –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati al riguardo e se non ritengano di adottare iniziative conseguenti di fronte a questa evidente contraddizione tra risultanze scientifiche e prassi giuridiche per tutelare le generazioni future che sempre più spesso si trovano a dovere fronteggiare la separazione della propria coppia genitoriale (circa 80-90.000 minori ogni anno). (3-01144)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIRAS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 1983, la SFAP Monastir è attiva come scuola di formazione e aggiornamento per il personale del Corpo degli agenti di custodia;
   dal 1983 al 2012 sono stati organizzati 32 corsi per allievi di agenti di Polizia penitenziaria per un totale di 4032 poliziotti formati dalla scuola di Monastir;
   nello stesso periodo di tempo, sono stati anche svolti 7 corsi per sottufficiali, con 700 sottufficiali formati, oltre che altri corsi di svariate tipologie: sicurezza nel posto di lavoro, guida per agenti e – in convenzione con la Asl n. 8 di Cagliari – per tutti i conduttori delle autoambulanze presenti nel territorio;
   l'attività dal 1983 ad oggi è stata portata avanti con grande efficienza e nonostante la strutturale carenza organica di personale in servizio superiore al 50 per cento;
   la SFAP di Monastir è dotata delle seguenti strutture: 2 aule didattiche da 60 posti, un'aula informatica da 24 posti, un auditorium da 130 posti, 14 stanze da 2 posti, 26 stanze da 3 posti, 10 stanze da 5 posti, 1 stanza da 6 posti, palestra completa di attrezzature, campo di calcetto, un capannone in cui sono custodite gran parte delle autovetture dell'amministrazione penitenziaria di Cagliari, un magazzino vestiario che contiene e fornisce tutte le divise del Corpo di polizia penitenziaria della Sardegna, una mensa da 200 posti;
   nella struttura è presente un poligono di tiro dove si esercitano tutte le forze dell'ordine presenti nella provincia di Cagliari, la più utilizzata dell'intera regione Sardegna;
   con comunicazioni del Dap si riferisce che la struttura di Monastir verrà dismessa ed adibita a CSPA/CARA, ipotizzando il trasferimento degli uffici da Monastir al carcere di Buoncamino a Cagliari, struttura detentiva per la quale è prevista la dismissione;
   in merito a tale progetto si sottolinea la contrarietà espressa sul piano «tecnico» dagli operatori della struttura, adducendo in particolare motivazioni inerenti la sicurezza della medesima e la effettiva rispondenza della stessa alle necessarie caratteristiche di accoglienza nel pieno rispetto dei diritti umani;
   con riferimento al trasferimento delle attività fin qui svolte in altra sede si sottolinea l'entità dei costi che si dovrebbero sostenere, assolutamente superiori a quelli che deriverebbero da un nuovo investimento per il potenziamento della struttura e una sua riqualificazione;
   nel carcere di Buoncammino – in via di dismissione – si ipotizza il trasferimento degli uffici amministrativi della Polizia Penitenziaria e del carcere minorile di Quartucciu;
   l'amministrazione comunale di Cagliari, capoluogo della regione Sardegna, ha già manifestato contrarietà all'ipotesi del riutilizzo di Buoncammino da parte del Ministero della giustizia, avanzando proposte di riqualificazione con diversa destinazione per la crescita economica, culturale e sociale della città e del territorio;
   il consiglio comunale di Cagliari, in data 4 novembre, ha approvato due ordini del giorno all'unanimità nei quali si chiede l'assegnazione alla città della struttura;
   la struttura detentiva di Buoncammino è un edificio storico che insiste su un'area di particolare pregio architettonico, archeologico, identitario e paesaggistico, contigua al castello di Cagliari, al polo universitario di Viale Fra Ignazio e di Sa Duchessa, all'area dell'anfiteatro romano e limitrofa al sito dei «Giardini sotto le mura», per tali ragioni appaiono del tutto evidenti le potenzialità della struttura medesima, che risulterebbe del tutto sacrificata e sottoutilizzata qualora la esclusiva destinazione fosse quella della sede della Dap;
   per avviso dei lavoratori, la chiusura della scuola di polizia penitenziaria di Monastir non ha ragioni economiche, e risulterebbe essere una grave perdita per il personale dell'amministrazione penitenziaria, a quel punto costretto a recarsi nella penisola per la formazione;
   il personale della SFAP di Monastir avanzano altresì interessanti proposte di alternative ed integrative rispetto all'utilizzo attuale: oltre al trasferimento il loco della Dap la creazione un luogo di formazione e crescita stabile per tutto il personale della pubblica amministrazione della Sardegna, attraverso sinergie con le altre amministrazioni pubbliche, dando una sorta di moderna «Cittadella Penitenziaria» che potrebbe ospitare provveditorato, Uepe, Centro di giustizia minorile e una piccola sezione adibita alla detenzione dei minori –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopracitati riguardanti la dismissione della SFAP di Monastir;
   se non ritenga necessario un maggiore approfondimento della questione, trovando una sintesi tra le proposte in campo che possa essere razionale, economica e funzionale alla crescita del territorio della provincia di Cagliari;
   se non ritenga utile incontrare, insieme alle istituzioni della regione Sardegna, le organizzazioni dei lavoratori e le proposte che essi avanzano. (4-06765)


   CARRESCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 14 settembre 2011, n. 148 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, il Parlamento ha delegato al Governo la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
   il Consiglio dei ministri n. 7 del 16 dicembre 2011 ha approvato in prima lettura lo schema del primo dei decreti legislativi di attuazione della delega sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, riferito agli uffici dei giudici di pace, che sarà trasmesso alle Camere per i relativi pareri;
   il 12 settembre 2012 è stato pubblicato il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 recante «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», entrato in vigore il 13 settembre 2012;
   l'articolo 1 del suddetto schema di decreto legislativo relativo alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie – uffici dei giudici di pace ha previsto la soppressione degli uffici del giudice di pace di cui alla tabella A allegata al decreto;
   ricompreso nella tabella A vi è anche l'ufficio del giudice di pace di Osimo;
   il decreto legislativo n. 156 del 2012 ha previsto, all'articolo 2, comma 1, lettera a), punto 2 che con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, sentiti il consiglio giudiziario ed i comuni interessati, possono essere istituite sedi distaccate;
   al successivo articolo 3, comma 2, è previsto che entro 60 giorni dalla pubblicazione della tabella gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi;
   il comma 3 dell'articolo di cui sopra ha stabilito che entro il termine di 12 mesi successivi ai 60 giorni dalla pubblicazione, il Ministro della giustizia, valutata la rispondenza delle richieste e degli impegni pervenuti, può apportare con proprio decreto le conseguenti modifiche alla tabella;
   nel caso di mantenimento dell'ufficio rimarrebbe a carico dell'amministrazione giudiziaria unicamente la determinazione dell'organico del personale di magistratura onoraria entro i limiti della dotazione nazionale complessiva;
   il comune di Osimo, per le note difficoltà in cui versano le finanze degli enti locali e stante la necessità di definire accordi con quelli limitrofi della Valmusone per la condivisione delle spese, pur avendo già sostenuto i costi per l'acquisto e la sistemazione della sede per gli uffici del giudice di pace, non aveva inoltrato, in un primo momento, la domanda per il mantenimento della sede per l'impossibilità di sostenerne da solo gli oneri;
   con decreto ministeriale 7 marzo 2014, sono stati individuati gli uffici definitivamente soppressi fra i quali quello di Osimo e i 285 che, in accoglimento delle istanze formulate dagli enti locali che se ne sono assunti l'onere vengono mantenuti;
   né il decreto legislativo n. 156 del 2012 né il citato decreto ministeriale disciplinano l'ipotesi della richiesta da parte degli enti locali, originariamente indisponibili, di ripristino della sede del giudice di pace assumendone gli oneri a proprio carico;
   questo vuoto legislativo appare incoerente e non ragionevole con la ratio legis, tenuto conto che, in tale ipotesi, i costi degli uffici sarebbero trasferito agli enti locali con il contenimento della spesa per lo Stato centrale;
   la chiusura dell'ufficio giudiziario sta privando la città di Osimo di un importante presidio di legalità e di sicurezza su un vasto territorio, quella della Valmusone; infatti l'ufficio del giudice di pace di Osimo esplicava la propria competenza territoriale, oltre che per l'intero territorio Osimano (33.500 abitanti) anche per i comuni di Agugliano (4.300 abitanti), Castelfidardo (18.600 abitanti), Filottrano (9.745 abitanti), Loreto (12.325 abitanti), Offagna (1.857 abitanti) e Polverigi (4.035 abitanti);
   la soppressione del medesimo ufficio comporta inesorabilmente un forte disagio ai cittadini di Osimo ed a quelli delle città ricomprese nella competenza del soppresso giudice di pace di Osimo, il trasferimento degli studi di molti professionisti, minori incassi per tutte le attività commerciali durante i giorni dedicati alle udienze, fattori che hanno indotto i comuni della Valmusone ad avanzare il 3 ottobre 2014 richiesta al Ministro della giustizia di riapertura dei termini per consentire il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Osimo, a servizio dei comuni della Valmusone, anche eventualmente come sede distaccata di quello di Ancona –:
   se il Governo intenda disciplinare l'ipotesi della sopravvenuta disponibilità degli enti locali a sostenere le spese per il ripristino di sedi soppresse del giudice di pace e comunque adottare, nelle more della definizione di norme per il ripristino di sedi soppresse delle quali si assumano gli oneri gli enti locali, tutti gli atti necessari, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 156 del 2012, per la riapertura della sede del giudice di pace di Osimo, quale sede distaccata di quello di Ancona, con spese a carico dei comuni della Valmusone.
(4-06774)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Area di gestione e coordinamento 14 della regione Campania – trasporti e viabilità – settore demanio marittimo – navigazione – porti, aeroporti e opere marittime, con il decreto dirigenziale n. 238 del 30 dicembre 2009 – pubblicato sul BURC n. 5 del 18 gennaio 2010, ha decretato l'approvazione dell'elenco delle aree demaniali marittime e del mare territoriale di preminente interesse nazionale, ai sensi dell'articolo n. 59, decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1997, n. 616, e dell'articolo 105, comma 2, lettera l), decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della revisione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 1995, inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero della difesa, all'Esercito italiano, all'Aeronautica militare, alla Marina militare, al Ministero delle infrastrutture e trasporti, alla direzione marittima di Napoli, all'autorità portuale di Napoli, all'autorità portuale di Salerno e ai comuni costieri nel cui ambito territoriale insistono interesse i beni di interesse statale indicati nell'elenco, allo stesso allegato;
   il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 1995 aveva approvato l'elenco delle aree demaniali marittime riconosciute «di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima», come tali escluse dalla delega delle funzioni amministrative a favore delle regioni prevista dall'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 «quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative;
   contrariamente a quanto riportato dal citato elenco delle aree demaniali marittime e del mare territoriale di preminente interesse nazionale risultano di fatto, relativamente al comune di Bacoli (Napoli), «Aree con finalità turistico ricreative», il cui uso spropositato, ovvero dell'utilizzo di «lidi balneari» per i militari, ma gestito da società private per i militari e per i cosiddetti ospiti o «civili» (cittadinanza bacolese e dell'intera provincia), sta danneggiando l'economia locale, per concorrenza sleale in quanto hanno costi di gestione molto più bassi di queste società di gestione, ma soprattutto, disattende l'articolo 4 del regolamento di gestione del demanio marittimo del comune di Bacoli, che sul dispositivo della legge nazionale, tra l'altro, prevede: «1. In ogni ambito comunale, va riservata alla libera e gratuita fruizione una quota percentuale di arenile non inferiore al 20 per cento della superficie complessiva della spiaggia esistente destinata alle finalità turistico-ricreative, evitando sequenze ininterrotte di aree in concessione» (disposizione già prevista dal PUAD della regione Campania, in ottemperanza dell'articolo 1, comma 254, legge 27 dicembre 2006, n. 296), e per l'effetto, danneggia il diritto della popolazione locale e dell'intera provincia di Napoli di godere del proprio territorio, ovvero di disporre di arenili liberamente fruibili, ai sensi del citato articolo 1, comma 254, legge 27 dicembre 2006, n. 296;
   la destinazione e motivazione dell'inclusione nel nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, delle aree di cui all'elenco, non appaiono realisticamente motivate in quanto si è persa la memoria della loro apparente destinazione d'uso a basi logistiche, per corsi di sopravvivenza o per organismi di protezione sociale, o per altre attività militari; né risultano nella realtà aree militari recintate con sorveglianza militare, come espongono i cartelli;
   la cittadinanza locale è privata del diritto di godere del proprio territorio, ovvero di disporre di arenili liberamente fruibili, ai sensi del citato articolo 1, comma 254, legge 27 dicembre 2006, n. 296, ed è fortemente discriminata da società a gestione privata di quelle aree «di preminente interesse nazionale, in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato» che altro non sono che «Lidi Militari», che a partire dall'estate 2010 hanno accentuato la loro finalità «turistica ricreativa» a favore di tutte le forze dell'ordine, con impari trattamento economico nei confronti di cittadini classificati come ospiti, rispetto ai militari, restando così ai «civili», in alternativa al totale divieto di accesso o al salasso economico, le piccole e offensive «riserve»;
   tale situazione da luogo a conseguenze di disordine noto alle forze dell'ordine locali le quali, svestite delle rispettive divise, usufruiscono a loro volta dell'arenile bacolese. Da qui il timore che un presumibile circolo vizioso abbia potuto condizionare o indurre in errore la composizione del citato elenco dell'area di gestione e coordinamento 14 della regione Campania;
   prima della revisione decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 1995 alla cittadinanza bacolese e alla cittadinanza dell'intera provincia era consentito su queste aree la libera fruizione degli arenili su tutto il fronte mare, delimitando le aree (costituite dalla zona dei lidi con cabine ed arenile) riservate ai militari da una semplice corda distante dalla battigia circa 30 metri;
   le sentenze nn. 89 e 90 del 2006 della Corte costituzionale, nel conflitto di attribuzione sollevato rispettivamente dalle regioni Toscana e Campania in materia di competenza amministrativa relativa alla gestione del demanio marittimo, nell'escludere la competenza statale sui porti non di rilevanza internazionale e nazionale, hanno rimesso in discussione la piena vigenza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 1995, proponendo una lettura di tale atto amministrativo in maniera costituzionalmente orientata secondo il nuovo articolo 117 Costituzione. Il pensiero della Corte, al riguardo, avrebbe rimarcato la natura meramente strumentale del decreto indicante le zone di esclusione dalla delega, interpretazione recentemente ribadita anche dagli ulteriori due interventi della Corte costituzionale (sentenza n. 255 del 2007 e sentenza n. 344 del 2007). In altre parole, secondo la posizione assunta dalla Consulta, l'interesse regionale o interregionale delle aree portuali si sarebbe determinato dinamicamente e non cristallizzato «nel tempo in seno alle catalogazioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione» –:
   se alla luce di quanto sopra esposto il Ministro non ritenga necessaria una ulteriore revisione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 1995, tramite l'intervento delle autorità marittime interessate, per il passaggio di competenze alle regioni delle aree già ricomprese nel citato elenco allegato al decreto dirigenziale dall'area di gestione e coordinamento 14 della regione Campania n. 238 del 30 dicembre 2009 – pubblicato sul BURC n. 5 del 18 gennaio 2010, dopo aver prima compiuto una effettiva ricognizione e «zonizzazione» delle aree stesse, di concerto con le locali articolazioni dell'amministrazione della difesa, anche in virtù delle leggi n. 886 del 1931, n. 1095 del 1935 e n. 898 del 1976 e successive modifiche ed integrazioni, dal cui testo normativo si desume che, in relazione a possibili innovazioni dell'assetto demaniale marittimo delle cosiddette zone militarmente importanti, sono tutelati in maniera forte e precipua gli interessi militari, strategici e della sicurezza dello Stato;
   se, in alternativa, non ritenga necessario, sentite le autorità marittime interessate e di concerto con le locali articolazioni dell'amministrazione della difesa, ripristinare le preesistenti condizioni di pacifica condivisione di tali aree tra militari e «civili», limitando i privilegi dei primi a quelli del passato: cabina, ombrellone, sdraio e spaccio «interno», sebbene tale alternativa penalizzi comunque la cittadinanza bacolese e l'economia locale che potrebbe trarre un forte impulso dalla destinazione turistico-ricreativa di dette aree. (4-06766)


   CIRACÌ, MARTI, CHIARELLI e FUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alle trattative tra Alitalia-Air One e Ethiad Airway per l'acquisizione da parte di quest'ultima del 49 per cento delle quote della compagnia aerea italiana, era stato annunciato un piano di riorganizzazione del personale in esubero necessario a sostenere il buon esito della partnership internazionale fra i due gruppi;
   questo piano di riorganizzazione calcolava un esubero strutturale di 2251 unità lavorative in Alitalia, poi ridotto a 2171 così ripartite: 1625 personale di terra, 126 personale navigante tecnico, 420 personale navigante di cabina;
   in data 12 luglio 2014 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Alitalia ha siglato un accordo quadro con le rappresentanze sindacali di FILT-CGIL, FIT-CISL, UIL-TRASPORTI, UGL TRASPORTI al fine di condividere percorso e modalità necessarie ad attuare il piano di gestione degli esuberi ricalcolati in 1635 risorse umane;
   in data 23 luglio 2014 è stato stipulato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un accordo che ha definito la conversione della cassa integrazione guadagni straordinaria per riorganizzazione aziendale, di cui agli accordi ministeriali del 26 febbraio 2014, in cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale ex articolo 1 della legge n. 223 del 1991 successive modificazioni e integrazioni e decreto ministeriale del 18 dicembre 2002 per le società Alitalia – Compagnia Area italiana, Air One spa, CAI First spa, CAI Second spa e Alitalia Loyalty spa, con decorrenza dal 1o luglio 2014 e sino al 28 febbraio 2015, accompagnata da una procedura di mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 per i lavoratori individuati secondo il criterio della «non opposizione» ovvero pensionabili nell'arco temporale complessivo di fruizione di misure di sostegno al reddito per il periodo successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro;
   visto l'accordo del 24 ottobre 2014 la Società ha proceduto, dal 31 ottobre, alla comunicazione di collocazione in mobilità di tutto il personale in esubero e, con il medesimo provvedimento, ha rappresentato alle organizzazioni sindacali l'identificazione delle opportunità di ricollocazione a tempo indeterminato per un totale di circa 500 risorse –:
   visto che il personale della regione Puglia è limitato a sole 3 unità capo scalo di servizio, se intenda favorire le iniziative di ricollocazione di tali unità presso società, la cui operatività è connessa in modo diretto al processo produttivo di Alitalia come, ad esempio, le società che operano su tale scalo (SEAP aeroporti di Puglia, GH HANDLER), anche al fine di soddisfare le normative sulla sicurezza degli scali stessi (Brindisi-Bari). (4-06776)


   RIGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la trattativa tra Alitalia e Etihad, con l'ingresso della compagnia degli Emirati nel vettore italiano, ha l'obiettivo di definire una strategia comune per l'investimento di Etihad Airways in Alitalia e di risolvere alcuni questioni essenziali e concrete del negoziato, tra cui, in particolare, la riorganizzazione del personale e la disciplina da applicare per regolare i voli nei cieli italiani, nel più ampio contesto europeo e internazionale;
   secondo notizie di stampa l'intesa tra Alitalia e Etihad porterà a costituire da una parte una società sana, ben capitalizzata e senza debiti, dall'altra una old company, nelle mani dei soci privati, che dovrebbe subentrare nel debito bancario, nel contenzioso legale e fiscale e nei rapporti con i dipendenti individuati come esuberi;
   la nuova compagnia dovrebbe ereditare la cosiddetta «operatività industriale» (slot e voli) e circa 10 mila dipendenti; non meno di 3 mila dipendenti – considerati in eccesso rispetto agli obiettivi di costo del personale della NewCo – verranno invece assegnati alla old company costituita dai soci privati della «vecchia» Alitalia (tra cui Poste, Atlanta, Colaninno, Intesa, Unicredit e altro) che avrà il compito di gestire gli esuberi oltre ai rischi finanziari e al debito bancario;
   in merito al personale, l'accordo del 13 luglio 2014 tra Alitalia-CAI e organizzazioni sindacali ha previsto la mobilità per circa 2000 unità, di cui circa 681 da ricollocare con «possibili» forme di esternalizzazione, 616 all'interno della nuova Alitalia e circa 900 in mobilità mediante sperimentazione di «contratti di ricollocazione» non definiti, peraltro, negli aspetti attuativi ed organizzativi; una situazione molto precaria ed incerta per numerosi dipendenti, sia in relazione al posto di lavoro sia in considerazione dell'incertezza sui tempi e sulle condizioni contrattuali di una possibile ricollocazione;
   in base agli accordi del 30-31 ottobre 2008 sottoscritti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri dalla CAI – Compagnia Aerea Italiana – dal Governo e dalle organizzazioni sindacali, CAI avrebbe dovuto dotarsi di un organico complessivo, incluse anche le risorse dipendenti da società acquisite o controllate, di 12.639 risorse umane; in particolare, negli accordi del 30-31 ottobre 2008 veniva previsto che: «CAI, ai fini della realizzazione del proprio piano industriale, assumerà tra il personale attualmente alle dipendenze di Alitalia e AirOne, 12500 risorse umane (1.550 piloti; 3.300 a. V.; 7.650 operai, impiegati quadri e dirigenti» ed inoltre che i criteri di selezione per Piloti ed Assistenti di Volo avrebbero tenuto in debito conto, anche e tra l'altro, dell'anzianità aziendale maturata nelle aziende di provenienza (AZ, XM, VE e AP, intendendosi per AZ: l'Alitalia LAI SPA in A.S., per XM: l'Alitalia Express SPA in A.S, per VE: Volare SPA in A.S e per AP: AirOne);
   gli accordi dell'ottobre 2008 escludevano espressamente l'applicazione dell'articolo 2112 c.c., sul mantenimento dei diritti, dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda (il citato articolo 2112 c.c., prevede che in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continui con il cessionario e che il lavoratore conservi tutti i diritti che ne derivano il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario) lo stesso articolo stabilisce che ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento;
   il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119 c.c., primo comma;
   tali accordi prevedevano per Alitalia CAI l'impegno, direttamente o tramite società controllate, ad assumere dalle società del Gruppo Alitalia in amministrazione straordinaria le risorse necessarie all'avvio del Piano Industriale in numero non inferiore a 10.150 risorse e, comunque, nel rispetto dell'organico complessivo convenuto tra le parti;
   le risorse che Cai in tal modo avrebbe assunto dalle società del gruppo Alitalia in amministrazione straordinaria sarebbero state impiegate in società controllate compatibilmente con le esigenze organizzative e produttive del piano industriale; le risorse da assumere dovevano essere selezionate in applicazione dei criteri di scelta concordati il 31 ottobre 2008;
   in tal modo i rapporti di lavoro del personale così selezionato venivano instaurati ex novo con piena soluzione di continuità e regolamentati dai Ccl sottoscritti il 31 ottobre 2008 nel rispetto degli accordi tra le parti;
   nei medesimi accordi si prevedeva che le «risorse» umane cui non fosse stata formulata una proposta di assunzione in applicazione dei criteri di scelta, fossero in ogni caso alle dipendenze delle società del Gruppo Alitalia in amministrazione straordinaria beneficiando degli ammortizzatori sociali a tal fine attivati ai sensi della legge n. 166 del 2008;
   con l'accordo dell'ottobre del 2008 le parti – CAI – Compagnia Aerea Italiana-Governo e organizzazioni sindacali – si impegnavano a porre in essere un'attività di monitoraggio congiunto e di verifica dell'applicazione delle intese raggiunte;
   in contrasto con gli accordi sottoscritti, Alitalia CAI spa alla data del 31 dicembre 2009 aveva assunto solo 1204 piloti, in luogo delle 1689 unita piloti concordate, e senza pubblicare, come previsto, alla data di avvio della nuova gestione (13 gennaio 2009) la lista graduatoria degli assunti;
   dal 2009 in poi l'Alitalia CAI Spa ha assunto iniziative che hanno determinato un costante sottodimensionamento dell'organico piloti (come l'appalto di alcune rotte nazionali a compagnie straniere – tra cui la Carpatair –; il ricorso all'istituto del contratto a termine oltre i limiti stabiliti dalla legge); la mancata assunzione determina un pregiudizio evidente dell'esperienza, affidabilità e competenza dei piloti;
   la professionalità dei piloti richiede l'esercizio costante dell'attività di volo, che garantisce anche un aggiornamento continuo rispetto alle nuove tecnologie e all'organizzazione del lavoro;
   dei 485 piloti non assunti da Alitalia CAI circa 60 piloti stanno cercando – con grande difficoltà e allontanandosi dalla proprie famiglie – di trovare occupazione all'estero, anche in Paesi lontani quali Cina e Giappone, per mantenere requisito – richiesto ai piloti – di attività di volo «recente ed effettiva»;
   gli impegni in merito all'assunzione del personale con i negoziati e con gli accordi sottoscritti erano da intendersi prescrittivi anche in considerazione dei congrui incentivi economici, tra cui la fiscalizzazione degli oneri sociali, integrazioni salariali e quant'altro ottenuti da Alitalia CAI Spa in contropartita dell'impegno a garantire l'assunzione e la stabilizzazione dei lavoratori delle società in crisi; diversamente quanto ottenuto da Alitalia CAI deve essere considerato in violazione delle norme in materia di aiuti di Stato di cui all'articolo 87, paragrafo 1 del trattato CE e non una deroga a tali disposizioni ammissibile in quanto aiuti all'occupazione per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà;
   la trattativa tra Alitalia CAI Spa – ed Etihad con la costituzione di una bad company in cui far confluire tutti i debiti, le passività e il contenzioso legale, che dovrà gestire gli esuberi nuovi, rende ancora più difficile la condizione dei piloti non assunti da CAI per il mancato rispetto degli accordi del 2008 –:
   se sussistano violazioni degli accordi del 2008 sottoscritti da Alitalia CAI Spa e come si intenda garantire – anche mediante il corretto adempimento da parte di Alitalia CAI degli impegni assunti con gli accordi dell'ottobre 2008 – l'assunzione dei dipendenti e, in particolare, dei piloti delle aziende in crisi;
   se con riferimento agli impegni in materia di personale trovino conferma iniziative di dubbia legittimità quali esternalizzazioni di alcune tratte e l'impiego, con modalità non conformi alla normativa, di personale – in particolare piloti – non esperto e non adeguatamente formato. (4-06785)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DA VILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Venezia è precipitato, negli ultimi anni, in una crescente spirale di criminalità, degrado, malgoverno che pare aver raggiunto la scorsa estate livelli mai visti prima, almeno per taluni aspetti;
   nella stampa locale le notizie di reati, spesso molto gravi, si sprecano: furti rapine, tentativi di stupro, omicidi, violenze, truffe (anche a danno dei turisti, con l'inevitabile danno d'immagine internazionale), minacce, violazioni di domicilio, danneggiamenti vari.
  A questi vanno aggiunti la malavita organizzata che vuole mettere le mani sul grande business del turismo e i reati collegati alla sfera della pubblica amministrazione: oltre alle tangenti legate alla costruzione del MoSE, v’è stato il caso «Albergopoli» col famoso geometra Bertoncello, gli episodi di «cresta sui biglietti» da parte di dipendenti dell'azienda di trasporto pubblico locale, le assegnazioni di case dell'ATER dietro il pagamento di tangenti, i vari casi di riciclaggio di denaro al Casinò;
   a quanto sopra deve aggiungersi una miriade di comportamenti indecorosi e degradanti che si stanno moltiplicando sempre più: turisti che fanno la doccia in Canal Grande e orinano nei cestini della spazzatura, persone accampate in piazza San Marco con il fornelletto da campeggio, venditori abusivi in ogni angolo del centro storico, persone che si scambiano intime effusioni in una piazza centrale di Mestre, finti accattoni che molestano i turisti all'arrivo a Venezia, cumuli di spazzatura in ogni angolo;
   il comune di Venezia ha un'estensione di quasi 420 chilometri, 156 se si escludono le superfici della laguna che peraltro sono variamente utilizzate (traffico navale, turistico, pesca, eccetera) e quindi abbisognano anch'esse di adeguati controlli da parte delle forze dell'ordine. All'interno di questo territorio, che ospita circa 30 milioni di turisti l'anno, v’è il terzo aeroporto d'Italia e due tra le prime dieci stazioni ferroviarie per flusso di passeggeri;
   la particolare conformazione urbanistica di Venezia (centro storico) richiederebbe, a parità di territorio e abitanti e al di là delle necessità connesse al numero di turisti e al notevole pendolarismo giornaliero, una presenza supplementare di forze dell'ordine a presidio del territorio che, altrimenti, rischia di sentirsi, ed essere, abbandonato. Basti pensare che il 7 agosto scorso circa trecento abitanti hanno «preso d'assalto» il consiglio di quartiere del Lido di Venezia per sollevare la questione «sicurezza» e denunciare che l'isola, famosa per la Mostra del Cinema, resta spesso del tutto scoperta nelle ore notturne. Insomma, i circa 22 mila abitanti di Lido e Pellestrina, se necessario, devono attendere la pattuglia più vicina che è presso la questura di S. Chiara, a Piazzale Roma, e che quindi riesce ad intervenire in loco solo muovendo la barca, in non meno di 35/40 minuti. Lo stesso ragionamento vale, a maggior ragione, per le isole minori (Murano, Burano, e altro);
   le risorse della polizia di Stato sono sottodimensionate rispetto al fabbisogno previsto nella pianta organica: alla questura di Venezia mancherebbero, secondo i dati dell'UGL, 37 agenti e, al posto delle sedici volanti in dotazione, ne sono in realtà operative appena quattro. A ciò si aggiunge la carenza dei più banali strumenti di lavoro: abbigliamento, benzina per il rifornimento dei mezzi, etilometri, e altro;
   ulteriore elemento di difficoltà, per un'attenta e proficua attività di controllo del territorio, è il fatto che in Italia esistano ben 5 forze di polizia indipendenti: polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e polizia penitenziaria. Ciò significa cinque divise diverse, cinque sale operative, cinque macchine diverse, cinque addestramenti diversi eccetera. A queste poi si aggiungono la polizia locale, quella provinciale, eccetera. Tale frammentazione rischia di essere d'intralcio ad un efficace e efficiente svolgimento dei servizi assegnati: ad esempio, le frequenze radio sono tutte diverse e le varie forze faticano a parlare tra loro;
   i dati a livello nazionale attestano tuttavia che il numero di agenti in Italia è ben più alto di altri Paesi europei (561 ogni centomila abitanti rispetto ai 385 e 300 di, rispettivamente, Francia e Germania): ne deriva che le forze di pubblica sicurezza nostrane sono governate male e dovrebbero essere riorganizzate. Purtroppo, nel decreto-legge n. 90 del 2011 sulla pubblica amministrazione, convertito in legge con l'ennesimo voto di fiducia, si prevedono solo tagli alle nuove assunzioni ma nessuna seria misura di organizzazione efficace e efficiente dell'intero comparto «sicurezza»;
   l'abbandono, più reale che percepito, dei cittadini del comune di Venezia (e non solo) da parte dello Stato, circa i suoi primari compiti di difesa e presidio del territorio, non può che condurre a un acuirsi dei fenomeni di intolleranza verso certe etnie, considerate magari più coinvolte nella commissione di reati, a una maggior diffidenza reciproca tra cittadini, a un diffuso malessere sociale e infine a derive di autodifesa o, peggio, ispirate al farsi giustizia da sé –:
   se il Ministero interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa, circa la realtà del comune di Venezia;
   se e quali misure urgenti, alla luce delle premesse fatte, intenda assumere il Ministro per ripristinare minime condizioni di sicurezza nella città capoluogo della regione del Veneto e meta apprezzata dai turisti di tutto il mondo, ad esempio sviluppando, in tempi brevi, una centrale operativa unificata, con numero di emergenza unico, che potrebbe fungere anche da esperienza-pilota;
   se esista, e con quali caratteristiche e risultati, un protocollo d'intesa siglato presso la prefettura di Venezia per l'attuazione di un sistema di «sicurezza condivisa» per la ripartizione dei compiti tra le diverse forze di polizia presenti nel territorio;
   quale sia la situazione, sotto il profilo dell'organico e dei mezzi a disposizione, delle forze di pubblica sicurezza riconducibili nel novero delle forze armate di stanza nel territorio comunale;
   se, nonostante le promesse di riforma, improntate secondo l'interrogante più sull'aspetto ragionieristico, vi sia allo studio presso il Ministero dell'interno un processo di efficace riorganizzazione dei servizi di pubblica sicurezza sull'intero territorio italiano;
   se, infine, alla luce della palese analogia dei compiti svolti, vi sia in esame una qualche riforma finalizzata a correggere il diverso e iniquo trattamento (aspetti pensionistici, dell'equo indennizzo per causa di servizio, e altro) di quella parte di agenti di polizia locale che svolgono realmente e stabilmente mansioni di pubblica sicurezza, rispetto agli agenti della Polizia di Stato e del personale militare. (5-03983)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BERRETTA, GIULIETTI, GRECO, IACONO e LEVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 ottobre 2014 il primo firmatario del presente atto si è recato presso il «Palaspedini» di Catania per verificare le condizioni di accoglienza dei migranti minori non accompagnati;
   al Palaspedini sono ospitati 70 minori non accompagnati di diverse nazionalità in numero di 68 ragazzi e due ragazze;
   a seguito di tale visita il primo firmatario del presente atto ha riscontrato numerose carenze nella gestione dell'accoglienza: dall'impraticabilità dei servizi e delle docce alla assenza di ricambi nel vestiario e nelle scarpe, alla mancanza di figure essenziali come quelle dei mediatori culturali;
   la notte i giovani migranti sono costretti su giacigli di fortuna realizzati con cartoni e materassini da palestra;
   a ciò si aggiunga una inadeguata assistenza sanitaria: assenza di medicinali sopra ogni altra cosa –:
   quali iniziative intenda intraprendere per ripristinare, nel più breve tempo possibile, le condizioni basilari per l'accoglienza di questi migranti minori non accompagnati e per assicurare standard dignitosi di trattamento;
   quali verifiche intenda intraprendere per verificare il corretto utilizzo dei fondi destinati alla accoglienza dei minori.
(4-06767)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la scuola per allievi agenti di polizia di Vibo Valentia è uno dei maggiori centri per la formazione di ingresso nei ruoli della polizia di Stato e per l'aggiornamento professionale anche di altre forze di polizia;
   la scuola rappresenta una risorsa di fondamentale rilevanza sia per le funzioni di addestramento e formazione che svolge a favore del personale della polizia di Stato sia per il prestigio e l'impatto sulla economia locale e sui servizi offerti alla città;
   secondo quanto denunciato dal sindacato di Polizia Siulp già nella lettera del 30 settembre 2014, l'immobile è di primaria importanza perché «ad oggi riesce ad ospitare circa 330 Allievi», cosa che rende l'istituto una «Scuola per il Sud». Come se non bastasse, la struttura ospita non solo la scuola allievi agenti, ma anche «il Reparto Prevenzione Crimine, l'Ufficio Amministrativo della Questura, la Squadra Cinofili e gli Artificieri»;
   oltre ai servizi specifici e relativi alla formazione e all'addestramento degli agenti, si legge ancora nella missiva succitata, «vi è collocata l'unica mensa della città che eroga mediamente oltre 500 pasti al giorno (non solo per gli Allievi Agenti ma anche per tanti appartenenti alle forze dell'ordine della provincia); è presente l'unico erogatore di carburante «gasolio» che rifornisce tutti i veicoli Polizia della città e grazie alla vicinanza con l'A3, anche tantissimi veicoli di servizio in transito; la struttura è stata individuata quale Centro di Soccorso Pubblico per le emergenze ambientali, infatti è stata preziosissima nella gestione delle alluvioni nel 2006 a Vibo Marina e nel 2009 a Maierato per il salvataggio delle popolazioni colpite, avendo ospitato centinaia di persone che vi mangiavano e vi dormivano fino all'agibilità delle proprie abitazioni, ed i cui bambini frequentavano persino la scuola dell'obbligo all'interno dell'Istituto»;
   il 4 marzo 2014, il vice capo vicario della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, con una delegazione composta anche dal direttore dell'ufficio per le relazioni sindacali vice prefetto Ricciardi e dal direttore centrale degli affari generali prefetto Truzzi, ha illustrato le linee guida del progetto di spending review riguardante il comparto di sicurezza;
   il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio» comporterebbe la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia. In particolare il piano porterebbe alla chiusura di 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di PS, 73 Uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni di polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni sommozzatori, 50 squadre nautiche oltre agli accorpamenti e alla rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   già allora, a marzo, si presentava la possibilità concreta che la scuola di polizia potesse chiudere, come emerge dagli articoli di cronaca del periodo (Il Quotidiano della Calabria del 9 marzo 2014, Strettoweb del 10 marzo 2014);
   tale rischio oggi torna d'attualità dopo le parole del dottor Vincenzo Roca, direttore centrale per gli istituti di istruzione, pronunciate in occasione della Cerimonia del giuramento degli Agenti del 189° corso. Nonostante il dottor Roca, infatti, abbia espresso lodi per la Scuola di Vibo Valentia, ritenuta un «fiore all'occhiello della formazione» degli allievi agenti, secondo quanto riportato da La Gazzetta del Sud del 20 settembre 2014, ha anche detto chiaramente che «il futuro di Vibo dipenderà dal sistema Italia perché la scelta seguirà una sua coerenza. L'intenzione è quella di riorganizzare nella totalità le strutture dedicate all'organizzazione del sistema sicurezza»;
   tali dichiarazioni, ovviamente, hanno messo in allarme le forze dell'ordine e i sindacati di categoria in quanto, si legge ancora nella summenzionata missiva, «la scelta di chiudere l'Istituto di istruzione di piazza D'armi non arreca alcun vantaggio ai bilanci statali in termini di riduzione delle spese. La chiusura importerebbe, al contrario, solo svantaggi. Nessun vantaggio per la Polizia di Stato che perderebbe un Istituto di formazione di primordine nel panorama nazionale, pubblicamente e ripetutamente lodato da politici, amministratori, prefetti, autorità civili/militari, gente comune, ecc. Nessun vantaggio per i cittadini che si ritroverebbero meno sicuri, considerato il venir meno di 200 poliziotti sulle strade cittadine e nessun vantaggio per la comunità vibonese ed il suo substrato economico e produttivo che perderebbe la presenza dei «poliziotti corsisti». Ma soprattutto nessun vantaggio per lo Stato «colui che sta al di sopra», in quanto dimostrerebbe la debolezza nel cancellare un presidio che inculca la cultura della legalità in un territorio dove viene collocata una delle principali cosche di ‘ndrangheta del panorama nazionale»;
   è necessario tener conto del fatto che prima del 2004 l'immobile era di proprietà demaniale. È stato poi ceduto al fondo comune di investimento immobiliare «Patrimonio Uno», gestito allora dalla BNL Fondi Immobiliari SGR Spa, per un valore di apporto di euro 9.630.000. Da allora lo Stato è costretto a pagare un canone di locazione che ammonta a euro 1.010.000, verrà pagato. Qui andrebbero ritrovate le ragioni del perché il Governo sia intenzionato a tagliare questa struttura;
   come denunciato dal Siulp, però, tale cifra verrebbe comunque versata al fondo immobiliare «Patrimonio Uno», dato che «il contratto di locazione di nove anni pur scadente nel dicembre 2014, non è stato disdetto (nei termini indicati) e quindi verrà rinnovato automaticamente fino al dicembre 2023»;
   a parere dell'interrogante, dunque, non ci sarebbero nemmeno le ragioni economiche per chiudere una scuola essenziale, in una terra martoriata, peraltro, dalle pesanti infiltrazioni mafiose. Senza dimenticare che la chiusura di tale struttura, come denunciato dai sindacati di categoria, comporterebbe la perdita di 80 posti di lavoro;
   nonostante quanto detto sino ad ora, è notizia di questi giorni il fatto che il ministero dell'Interno ha intanto previsto corsi per Allievi Agenti solo nelle sedi del Nord Italia di Alessandria, Trieste e Brescia. Secondo quanto riportato da Il Quotidiano della Calabria del 3 novembre 2014, «notizie poco confortanti giungono sul destino della Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato. Il ministero dell'interno ha infatti provveduto all'assegnazione degli Allievi del 192° corso e del 193° corso alle scuole di Alessandria, Brescia e Trieste, lasciando fuori dunque la struttura vibonese»;
   a giudizio dell'interrogante, avere assegnato i corsi (192 e 193) solo alle scuole di Alessandria (395 allievi), Brescia (113 allievi) e Trieste (345 allievi) significa che di fatto viene sempre meno per il ministero dell'interno, nonostante quanto detto in premessa, la volontà di continuare a mantenere nel circuito degli istituti di formazione la caserma Andrea Campagna –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative intenda adottare per evitare la chiusura della scuola di polizia di Vibo, in considerazione sia dell'eccellenza della struttura nella formazione del personale delle forze dell'ordine e sia dell'apporto socio-economico che la scuola stessa garantisce ad una terra condizionata dalla forte presenza criminale;
   se sia intenzione del Governo promuovere un tavolo di trattative con la società proprietaria dell'immobile al fine di individuare una soluzione condivisa per valorizzare la struttura e il personale operante e ottimizzare i costi. (4-06769)


   MOSCATT. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il rappresentante provinciale della UIL vigili del fuoco di Agrigento con comunicazione dell'11 luglio 2014, ha ribadito la preoccupazione che il distaccamento di Santa Margherita di Belìce venga declassato;
   altre sedi con numero di interventi decisamente inferiori non sono state interessate da iniziative analoghe;
   tale distaccamento riveste un'importanza strategica, perché serve un vasto territorio ad altissimo rischio sismico, ricco di vegetazione con estese aree boschive e che dista oltre 100 chilometri dalla sede centrale;
   gli interventi di spending review non possono trovare giustificazione laddove si rischia di mettere a repentaglio la sicurezza dei cittadini;
   un provvedimento teso a declassare il distaccamento dei vigili del fuoco di Santa Margherita di Belìce risulterebbe privo di qualsiasi motivazione;
   a difesa di tale distaccamento si sono mobilitati i sindaci ed i cittadini dei comuni del comprensorio interessato, ovvero Menfi, Santa Margherita di Belìce, Sambuca di Sicilia e Montevago –:
   se tale declassamento risulti veritiero e, se così fosse, se non ritenga utile, opportuno e necessario porre in essere tutte le iniziative necessarie per scongiurare tale soluzione. (4-06770)


   CARINELLI, CASO, DE ROSA, MANLIO DI STEFANO e PESCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la pista ciclabile del Naviglio Grande è da tempo meta ideale di cicloamatori. Il percorso inizia dalla Darsena di Milano, vicino la stazione ferroviaria di Porta Genova mantenendo il Naviglio a sinistra, è interamente in pianura e adatto anche a podisti. Superato Corsico dove il Naviglio scorre tranquillo per arrivare a Trezzano sul Naviglio inizia la pista ciclabile vera e propria parallela alla tangenziale;
   tuttavia questa pista ha dei punti pericolosi oltre che oscuri che minano la tranquillità e la sicurezza dei cittadini e degli sportivi. Ne costituiscono esempi le aree dismesse a ridosso dello scalo ferroviario di San Cristoforo dove la recinzione in muratura affaccia sulla ciclabile ed in molti punti è sfondata e i buchi permettono il passaggio in modo agevole dei nomadi che vivono nelle aree;
   il 29 ottobre del 2014, si è registrato un gravissimo episodio di violenza: in pieno giorno, alle 13.00, una donna di 40 anni, è stata aggredita da un gruppo di sconosciuti mentre stava facendo jogging, sul Naviglio Grande, nel parco ex Area Pozzi;
   i suoi aguzzini dopo averla sbattuta contro un muro e averla picchiata, sfregiata con un vetro su braccia, gambe, ventre e viso, forse pronti a stuprarla, l'hanno lasciata lì, piangente e urlante;
   questo è solo l'ultimo episodio di una serie di aggressioni lungo la pista ciclopedonale che collega Milano a Corsico;
   il primissimo episodio di aggressione a un runner risale al 29 aprile 2011;
   sono circa una quarantina solamente gli episodi denunciati ai carabinieri a partire dal 2012, tra aggressioni e rapine ai danni di ciclisti, normali passanti e cittadini impegnati ad andare in bicicletta o a fare jogging lungo il Naviglio Grande;
   Corsico è un comune di 33.669 abitanti, con una superficie estesa più di 5 chilometri quadrati, con una concentrazione media di circa 6.600 abitanti per chilometro quadrato, una compagnia e una stazione di carabinieri e non vi è dubbio che vi sia una scarsità di forze dell'ordine, perché è anomalo che un territorio così sensibile e vasto, come quello che va da Corsico a Locate, sia gestito da una sola compagnia dei carabinieri con due sole volanti operative;
   c’è il rischio che a fronte della mancanza di risposte concrete da parte delle autorità preposte a garantire la sicurezza, i cittadini che giustamente vogliono vivere con maggiore tranquillità nelle zone di residenza, perdano la fiducia e cercando una via alternativa alla giustizia, si organizzino autonomamente;
   è un diritto fruire in sicurezza di uno spazio concepito per essere luogo di sport e di vita all'area aperta, che però già negli anni scorsi ha finito per far parlare di sé anche per fatti di cronaca –:
   se il Ministro interrogato ritenga sufficienti una compagnia e una stazione di carabinieri per la messa in sicurezza di un vasto territorio e per fronteggiare il problema della sicurezza pubblica;
   se non ritenga con urgenza di intensificare il monitoraggio del percorso ciclopedonale con un rafforzamento delle forze dell'ordine;
   se, in particolare, il Ministro non ritenga di dover dotare con urgenza il comune di Corsico, che ne è attualmente sprovvisto, di un commissariato di polizia. (4-06775)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   che in data 3 novembre 2014 Lucia Borgonzoni, consigliere comunale eletta a Bologna nelle liste della Lega Nord, è stata aggredita da una donna rom mentre visitava il campo nomadi di via Erbosa insieme ad Alan Fabbri, candidato alla presidenza della regione Emilia-Romagna;
   Lucia Borgonzoni è stata insultata e colpita con calci e pugni in faccia ed ha sporto denuncia contro la donna rom che l'ha aggredita;
   il campo nomadi bolognese di via Erbosa ha ricevuto tra il 2007 ed il 2012 cospicui fondi pubblici per il pagamento delle utenze di cui i suoi occupanti hanno beneficiato, denaro al quale vanno aggiunte le spese sostenute dalla regione Emilia-Romagna per coprire i costi dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria nella struttura, nonché quelli per i servizi eseguiti dalle cooperative locali –:
   se alla luce dei fatti generalizzati nella premessa, il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative volte a potenziare le misure di controllo in relazione al campo nomadi bolognese di via Erbosa, al fine di prevenire ulteriori criticità sul piano dell'ordine pubblico. (4-06778)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   CIRACÌ, DISTASO, FUCCI, ALTIERI e MARTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'INVALSI è Ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico la cui attività, secondo la normativa vigente, è incentrata soprattutto sugli aspetti valutativi e qualitativi del sistema scolastico;
   l'Istituto, tra gli scopi che gli sono affidati prevede anche: lo svolgimento di verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni di istruzione e di istruzione e formazione professionale, anche nel contesto dell'apprendimento permanente; in particolare gestisce il Sistema nazionale di valutazione (SNV);
   in materia di valutazione, è affidata all'INVALSI anche il compito di formulare proposte per la piena attuazione del sistema di valutazione dei dirigenti scolastici, di definire le procedure da seguire per la loro valutazione, e di realizza il monitoraggio sullo sviluppo e sugli esiti del sistema di valutazione;
   l'INVALSI è soggetto alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che individua le priorità strategiche delle quali l'istituto tiene conto per programmare la propria attività. La valutazione delle priorità tecnico-scientifiche è riservata all'istituto;
   che l'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 80 del 2013, prevede che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca emani, con periodicità almeno triennale, la direttiva con la quale vengono individuate le priorità strategiche della valutazione del sistema educativo di istruzione, che costituiscono il riferimento per le funzioni di coordinamento svolte dall'INVALSI, nonché i criteri generali per assicurare l'autonomia del contingente ispettivo e per la valorizzazione del ruolo delle scuole nel processo autovalutazione;
   in data 21 ottobre è stata pubblicata sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la direttiva n. 11 del 18 settembre 2014, relativa alle «Priorità strategiche del Sistema Nazionale di Valutazione per gli anni scolastici 2014/2015, 2015/2016 e 2016/2017»;
   la predetta direttiva prevede degli specifici adempimenti distribuiti su un arco temporale di tre anni;
   nella direttiva si afferma che «L'avvio del SNV richiede un adeguato supporto in termini di formazione di tutti gli operatori scolastici e, in particolare, di coloro che saranno coinvolti direttamente nel procedimento di valutazione»;
   la direttiva stabilisce un preciso cronoprogramma che prevede l'avvio immediato di alcune attività (ad esempio l'autovalutazione che deve partire dall'anno scolastico in corso, o, per ciò che concerne l'INVALSI, la predisposizione la predisposizione del format del «Rapporto di autovalutazione»);
   al momento le attività vengono svolte in assenza di finanziamento;
   la direttiva prevede anche il coinvolgimento di un contingente ispettivo che «concorre, assieme agli altri soggetti, a realizzare gli obiettivi del Sistema Nazionale di Valutazione, un'attività ispettiva svolta da personale»;
   per le attività relative alla valutazione viene previsto anche il coinvolgimento dell'INDIRE che «metterà a disposizione delle scuole strumenti ed esperti qualificati per predisporre i piani di miglioramento»;
   la direttiva non identifica le risorse che saranno rispettivamente assegnate a INVALSI e INDIRE;
   l'INVALSI assume un ruolo centrale nell'intero sistema delineato dalla direttiva, sia in termini procedurali che di apporto di personale altamente qualificato, con esperienza specifica, non reperibile all'interno degli istituti scolastici coinvolti nel processo;
   l'INVALSI, oltre alle attività relative al sistema di valutazione, svolge anche altre importanti funzioni, tra cui la predisposizione annuale dei testi della nuova prova scritta, a carattere nazionale, volta a verificare i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti dagli studenti nell'esame di Stato al terzo anno della scuola secondaria di primo grado; svolge, inoltre, attività di ricerca, sia su propria iniziativa che su mandato di enti pubblici e privati, assicurando anche la partecipazione italiana a progetti di ricerca europea e internazionale in campo valutativo;
   per lo svolgimento delle proprie attività, l'Istituto si avvale dal 2009, in via eccezionale e temporanea e per far fronte a specifiche esigenze, di diverse unità di personale a tempo determinato (62 persone su un totale di 92 persone, cioè il 67 per cento) in scadenza il 31 dicembre 2014;
   i lavoratori a tempo determinato sono stati già più volte prorogati, sicché 32 di loro hanno un'anzianità superiore a tre anni ed alcuni annoverano fino ad una decina di anni di precariato. Nel quadro normativo attuale, questi lavoratori a termine non possono essere ulteriormente prorogati, soprattutto in assenza della collaterale procedura concorsuale di assunzione che dovrebbe completare il piano straordinario di assunzione del Ministro pro tempore Gelmini;
   non si è proceduto al completamento del predetto piano di assunzioni dell'INVALSI (come dell'INDIRE) del Ministro Gelmini, non per assenza di risorse, che erano già state individuate e acquisite al bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'INVALSI stesso ma per l'affastellamento di provvedimenti successivi al 2011 che hanno bloccato tutte le assunzioni nella pubblica amministrazione, non tenendo conto che quello dell'INVALSI era un piano già coperto con risorse certe;
   il piano straordinario di reclutamento, oltre a rappresentare uno strumento per la stabilizzazione dei lavoratori precari dell'Istituto, dava una risposta alle esigenze gestionali dell'Istituto per evitare pregiudizio nel corretto e regolare svolgimento dei suo compiti istituzionali;
   il completamento del piano straordinario avrebbe consentito, finalmente, di completare un percorso di riorganizzazione avviato circa 2 anni fa e volto a potenziare l'Istituto all'interno di una strategia più generale di rafforzamento del sistema di valutazione scolastica;
   la direttiva, su base triennale, rischia di rimanere carta morta laddove non supportata dai necessari investimenti, soprattutto per lo sviluppo e il consolidamento del sistema di valutazione;
   l'attuale dotazione organica dell'Istituto, tenuto conto delle sole unità di personale a tempo indeterminato, di cui la maggior parte con un profilo di tipo amministrativo, non è oggettivamente sufficiente a svolgere il complesso delle attività;
   in mancanza di risorse disponibili, non si può procedere alle assunzioni e alla stabilizzazione dei precari dell'INVALSI, alimentando il clima di incertezza per le sorti dei lavoratori e l'effettiva funzionalità dell'istituto –:
   se i Ministri interrogati confermino quanto esposto in premessa;
   se i Ministri interrogati siano coscienti dell'insufficienza delle risorse;
   quali provvedimenti si intendono adottare per dare risposta alle problematiche esposte in premessa;
   se non si ritenga prevedere uno stanziamento almeno triennale per dare certezza dell'effettiva possibilità di realizzare le attività previste dalla direttiva ministeriale sulla valutazione;
   con quali risorse economiche, umane e strumentali si intenda provvedere per lo svolgimento delle attività assegnate all'Istituto dalla legge e previste dalla direttiva sulla valutazione. (3-01145)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COPPOLA, CATALANO, PELUFFO, GADDA, BRUNO BOSSIO, DE LORENZIS e LIUZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Garr-X progress è un progetto di infrastrutturazione digitale in fibra ottica per collegare tra loro gli istituti di ricerca italiani, promosso dal Consortium Garr che gestisce la rete italiana dell'università e della ricerca;
   la rete a banda ultralarga già disponibile e fornita da Garr conta ad oggi 8.500 chilometri di fibra, tra dorsale di rete e infrastruttura di accesso e permette di connettere oltre 2,5 milioni di utenti (ricercatori, insegnanti, studenti) appartenenti alla comunità scientifica italiana;
   i link di dorsale hanno una capacità compresa tra 10 e i 100 Gbps, mentre i collegamenti di accesso hanno capacità minima di 100 Mbps simmetrici (dati ufficiali presenti all'indirizzo web www.garr.it), numeri altamente superiori e non paragonabili ai servizi offerti dagli operatori commerciali;
   tale sistema di infrastrutturazione permette, oltre ad un reale collegamento di tutto il sistema di ricerca nazionale, un collegamento con le reti di ricerca mondiali vista la completa interoperabilità con le infrastrutture delle altre reti della ricerca in Europa e nel resto del mondo, fornendo un servizio più rapido, immediato e sicuro rispetto agli operatori commerciali;
   è nota da alcuni giorni, e presente sugli organi di stampa, la vicenda dei 220 istituti scolastici, su 260 interpellati, di quattro regioni del sud Italia, Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, facenti parte delle regioni obiettivo convergenza all'interno della programmazione europea 2007-2013, che hanno rifiutato la proposta di aderire alla rete in fibra messa a disposizione da Garr;
   il progetto di infrastrutturazione rientra nella prima delle tre linee di intervento sulle quali si è concentrata l'azione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e stabilita con decreto direttoriale 274 del 15 febbraio 2013 (A – interventi coordinati di adeguamento e rafforzamento strutturale di reti telematiche e infrastrutture digitali ICT), che attraverso il Piano di azione e coesione ha messo a disposizione 46,5 milioni di euro per le cosiddette regioni della convergenza. Il progetto Garr-X è finanziato con 6 milioni di euro all'interno di queste risorse;
   il progetto di infrastrutturazione presentato da Garr chiedeva, a fronte di un collegamento gratuito degli istituti alla rete, un canone di gestione annuo a carico degli istituti pari a 3.000 euro, che è decisamente inferiore rispetto alla potenzialità del servizio offerto ed è tale anche addirittura nei confronti di un servizio Adsl di qualunque operatore; pare, altresì, che la quota di manutenzione annua sia risultata uno dei maggiori deterrenti rispetto all'adesione al progetto da parte degli istituti;
   il termine ultimo per la spesa dei fondi destinati è fissato al 31 marzo 2015, superato il quale queste risorse verranno restituite e non più utilizzate;
   il progetto di riforma scolastica del Governo, «La Buona Scuola», è incentrato molto sulla connettività e sulla scuola digitale prevedendo «piani di co-investimento per portare a tutte le scuole la banda larga veloce e il wifi. Disegnare insieme i nuovi servizi digitali per la scuola, per aumentarne la trasparenza e diminuirne i costi», e trattandosi in questo caso in un progetto rientrante totalmente all'interno delle finalità previste dalla riforma –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intenda mettere in campo per evitare il rischio di mancato utilizzo dei fondi sopracitati e, in generale, per collegare le scuole a internet ad alta velocità. (5-03981)


   COCCIA, MALPEZZI e GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 4 novembre 2014 è stato emanato un avviso pubblico per l'assegnazione dell'incarico di tutor sportivo scolastico (di seguito indicato come tutor) nell'ambito del progetto nazionale «Sport di Classe» per l'anno scolastico 2014/2015 ai sensi della nota ministeriale n. 6263 del 3 novembre 2014 visibile sul portale del progetto nazionale;
   il progetto coinvolge tutte le classi terze, quarte e quinte delle istituzioni scolastiche ed educative sedi di scuola primaria per l'anno scolastico 2014/15 a partire da dicembre 2014 e prevede:
    a) insegnamento dell'educazione fisica per due ore settimanali impartite dall'insegnante titolare della classe;
    b) inserimento della figura del «Tutor Sportivo Scolastico» all'interno del centro sportivo scolastico per la scuola primaria;
    c) piano di informazione/formazione iniziale ed in itinere dell'insegnante titolare della classe;
    d) realizzazione di attività che prevedono percorsi d'integrazione degli alunni con «Bisogni Educativi Speciali» (BES);
    e) realizzazione dei Giochi invernali e dei Giochi di fine anno scolastico;
    f) coinvolgimento delle regioni e degli enti locali per possibili implementazioni del progetto e l'estensione anche alle classi prime e seconde;
   i tutor stipuleranno un contratto di prestazione d'opera, per svolgere le attività nelle Istituzioni scolastiche loro assegnate, con il presidente del comitato regionale del CONI competente per territorio cui è demandata la corresponsione economica prevista. I tutor dovranno partecipare alle sessioni regionali di formazione/aggiornamento i cui dettagli saranno successivamente comunicati dai competenti organismi regionali per lo sport a scuola. I candidati tutor devono rendersi pienamente disponibili per lo svolgimento dell'incarico, in relazione alle attività – didattiche, di progettazione e per gli incontri periodici – che si potranno effettuare sia in orario antimeridiano che pomeridiano;
   a differenza del progetto nazionale alfabetizzazione motoria prima e progetto primaria dopo, i laureati in scienze motorie o diplomati ISEF non saranno presenti durante le lezioni di educazione fisica nella scuola primaria ma dovranno solo programmare le attività che poi le maestre dovranno svolgere;
   questo appare un evidente passo indietro rispetto ai progetti sopraindicati e si pone in netto contrasto con le linee guida descritte nel rapporto governativo la Buona scuola in merito alla introduzione dell'educazione motoria nelle classi dalla II alla V della scuola primaria;
   sarebbe stato opportuno dare continuità e una giusta valutazione agli anni di esperienza per i progetti svolti negli ultimi 5 anni di alfabetizzazione motoria e progetto primaria;
   tale circolare appare farraginosa e disorganica e presenta anche evidenti problemi per ciò che riguarda la tempistica con l'inserimento di tale progetto nel piano dell'offerta formativa a due mesi dall'inizio delle lezioni –:
   come intenda ovviare alle incongruenze segnalate in premessa e tutelare i progetti di cui sopra dando continuità ad essi. (5-03982)


   SEGONI, MARZANA, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, BATTELLI, BRESCIA, VACCA, DI BENEDETTO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 3, della legge n. 240 del 2010 (cosiddetta legge Gelmini), in tema di assegni di ricerca, impone che «la durata complessiva dei rapporti instaurati ai sensi del presente articolo, compresi gli eventuali rinnovi, non può comunque essere superiore a quattro anni»;
   l'impianto della sopracitata legge n. 240 del 2010 prevede, come naturale sbocco per gli assegnisti, i contratti da ricercatore a tempo determinato (RTD);
   appare tuttavia evidente che non tutti gli assegnisti in scadenza possono essere assorbiti come ricercatori a tempo determinato (verosimilmente tra i 500 e i 1000 l'anno), né, in virtù del curriculum formativo maturato in soli 4 anni dal conseguimento del titolo di dottorato, pare verosimilmente possibile ottenere un SIR (a cui concorrono ricercatori con attività fino a 6 anni dal dottorato) o uno starting grant dell'ERC (a cui concorrono ricercatori con attività tra i 2 e gli 8 anni dal dottorato);
   in questi giorni si stanno verificando i primi casi (qualche centinaio) di assegnisti in scadenza estromessi di fatto dal mondo della ricerca universitaria, che nell'arco di un biennio diverranno verosimilmente migliaia;
   nel 2012, le rilevazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca davano circa 14.000 assegnisti, quindi con assegni attivati nel biennio 2011-2012. Conseguentemente, nel biennio 2015-2016 tutti questi contratti andranno in scadenza e, se si considera l'attuale capacità degli atenei di assorbire tali figure professionali con contratti RTD, è possibile stimare prudenzialmente che circa il 70 per cento degli assegnisti ogni anno sarà di fatto escluso dal mondo della ricerca, con ridotte possibilità di assorbimento da parte di aziende o enti di ricerca, favorendo di fatto una massiccia fuga all'estero;
   quella degli assegnisti è una categoria priva di rappresentanze sindacali, assente in molti atenei dalle sedi dell'amministrazione accademica, priva di garanzie assistenziali (come il diritto all'indennità di disoccupazione), caratterizzata dalla pressoché totale impossibilità di gestire autonomamente i fondi di ricerca;
   nonostante gli assegnisti siano personale non strutturato esterno all'organico delle università, svolgono ruoli fondamentali nella ricerca, nella produzione scientifica e nell'attività didattica;
   gli assegnisti di ricerca post-dottorati sono figure altamente specializzate su cui lo Stato ha investito ingenti risorse per garantire una formazione superiore, una titolo di laurea, un titolo post-laurea come il dottorato di ricerca, senza contare l'esperienza maturata nei 4 anni di post-dottorato;
   professori e gruppi di ricerca basati in università italiane, anche quando vincitori di finanziamenti esterni, possono vedersi costretti a dovere ignorare giovani ricercatori italiani, anche se in possesso di titoli idonei, perché impossibilitati ad assumerli a causa del blocco dei quattro anni, senza contare che gli assegni di ricerca gravano completamente sul budget dei progetti di ricerca, senza oneri aggiuntivi per lo Stato –:
   quali provvedimenti intenda intraprendere per evitare che il meccanismo citato in premessa impatti negativamente sulla vita di migliaia di giovani assegnisti di ricerca privi di garanzie assistenziali e contribuisca ad una perdita di competitività in campo internazionale della ricerca italiana, estromettendo di fatto proprio gli assegnisti post-doc con maggiore esperienza e spingendo figure altamente specializzate, sulla cui formazione sono state investite ingenti risorse pubbliche italiane, a proseguire la loro carriera all'estero.
   (5-03986)


   VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base alla normativa vigente sono definite «scuole paritarie» le istituzioni scolastiche non statali che, a partire dalla scuola dell'infanzia, sono coerenti con gli ordinamenti generali dell'istruzione e posseggono i requisiti fissati dalla legge 1.0 marzo 2000, n. 62;
   tra i requisiti necessari da rispettare per ottenere il riconoscimento della parità scolastica da parte dello Stato vi e l'impiego di personale docente fornito del titolo di abilitazione;
   la parità è riconosciuta con provvedimento adottato dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale competente per territorio, previo accertamento della sussistenza dei requisiti normativi vigenti;
   la nota del MIUR prot. 1878 del 30 agosto 2013 avente come oggetto le istruzioni e indicazioni operative in materia di supplenze al personale docente, educativo ed ATA per l'anno scolastico 2013/2014 chiarisce che qualora, dopo lo scorrimento di tutte le graduatorie occorra ancora procedere alla copertura di personale docente, i dirigenti scolastici potranno far ricorso a personale, sempre fornito di titolo idoneo, che abbia presentato istanza di messa a disposizione;
   la nota del MIUR prot. 9594 del 2013 prevede che, qualora in un istituto siano presentate più domande di messa a disposizione, i dirigenti scolastici daranno precedenza ai docenti abilitati, secondo il punteggio previsto nelle tabelle di valutazione della seconda fascia di istituto, rispetto ai docenti non abilitati;
   sia le scuole statali che le scuole paritarie sono tenute a rispettare le note del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in tema di supplenze;
   il 26 agosto 2013 presso la scuola media paritaria «Sacro Cuore» di Avezzano un docente abilitato nella classe A033 ha presentato la disponibilità all'insegnamento nei modi previsti dalla normativa vigente;
   tale docente abilitato non è stato mai chiamato ad insegnare la disciplina A033, nonostante fosse più che probabile che nella scuola media paritaria «Sacro Cuore» l'insegnamento della disciplina A033 fosse sfato assegnato, un docente privo, di abilitazione della classe di concorso A033 e non avente il titolo di laurea necessario per l'insegnamento della disciplina;
   in seguito a ciò, il docente interessato, che aveva presentato l'istanza di messa a disposizione, ha sollevato la questione dell'incarico di insegnamento della disciplina afferente alla A033 nella scuola media paritaria «Sacro Cuore» di Avezzano presso l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo. Tale rimostranze sono state avanzate in un primo momento verbalmente e, successivamente il 31 ottobre 2013, inoltrando la richiesta di accesso agli atti all'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo, relativa al fascicolo del docente incaricato ad insegnare la disciplina A033, ma privo di abilitazione al fine di accertare che la scuola abbia incaricato un docente avente titolo;
   l'istanza di accesso agli atti chiedeva i seguenti documenti:
    a) il fascicolo riguardante il docente incaricato ad insegnare la disciplina A033;
    b) i requisiti di abilitazione dell'intero corpo docente della scuola paritaria in questione;
    c) la dichiarazione del legale rappresentante della scuola, attestante di aver incaricato docenti non abilitati a seguito di verifica dell'impossibilità di reperire personale abilitato;
   l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo negava l'accesso agli atti, con nota prot. 10015 del 13 novembre 2014 con le seguenti motivazioni:
    a) il fascicolo del docente non è in possesso ufficio scolastico regionale;
    b) non si ritiene ammissibile l'istanza di accesso preordinata ad un controllo generalizzato dell'operato della pubblica amministrazione;
    c) nessuna dichiarazione relativa al reperimento di personale abilitato è stata prodotta dalla scuola;
   il 13 novembre 2014 l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo invitava il legale rappresentante della scuola paritaria «Sacro Cuore» di Avezzano a sanare le irregolarità riscontrate a seguito della verifica effettuata sulla documentazione prodotta dalla stessa e cioè la presenza di personale con abilitazione diversa da quella richiesta per la materia insegnata;
   l'11 dicembre 2013 la legale rappresentante dell'ente «Apostole del S. Cuore di Gesù», gestore della scuola paritaria «sacro Cuore» risponde alla missiva dell'ufficio regionale dell'Abruzzo affermando che il docente con l'incarico di insegnamento di educazione tecnica era stato chiamato a completare la propria cattedra di disegno e storia dell'arte per la quale era abilitato specificando che all'istituzione scolastica non risultavano docenti abilitati disponibili;
   nella stessa missiva si faceva cenno alla circolare ministeriale n. 4420 dell'11 luglio 2012 nella quale si legittima, per carenza di personale disponibile, la chiamata di docenti, non abilitati per le nomine nelle istituzioni scolastiche paritarie;
   l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo in data 23 gennaio 2014 dirama una circolare avente come oggetto il piano di vigilanza per l'accertamento del possesso dei requisiti prescritti per il mantenimento della parità scolastica presso le istituzioni scolastiche paritarie, come varie segnalazioni pervenute presso l'ufficio scolastico regionale da parte di docenti in possesso di specifica abilitazione all'insegnamento, che avevano prodotto richiesta di assunzione in servizio presso talune scuole paritarie senza essere state accolte, nonostante la presenza di personale docente in servizio e sprovvisto dei titoli previsti idonei;
   nonostante la circolare dell'ufficio scolastico regionale Abruzzo, il docente privo di abilitazione e del titolo di studio necessario per insegnare la disciplina della classe A033, continua a svolgere il proprio servizio presso la scuola Paritaria del Sacro Cuore di Avezzano;
   in seguito a ciò, la docente che è stata esclusa dalla presa in servizio, invia, il 27 maggio 2014, un documento all'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo, al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al Capo di gabinetto dott. Alessandro Fusacchia, alla dirigente dottoressa Sabrina Bono, al dirigente dottor Luciano Chiappetta e alla procura della Repubblica de L'Aquila in cui ricostruisce la vicenda chiedendo di accertare:
    come mai ispettori e responsabili del procedimento non avessero riscontrato, per l'anno scolastico 2012/2013 e per l'anno scolastico 2013/2014 l'assenza del requisito di base per insegnare una disciplina, da parte del docente privo di abilitazione e titolo di studio idoneo;
    come mai gli stessi ispettori e responsabili del procedimento non si fossero accorti della mancanza della dichiarazione relativa al reperimento di personale abilitato, da parte della scuola che aveva assegnato incarichi a diversi docenti privi di abilitazione;
    come mai, dopo la puntuale e tempestiva nonché esatta, segnalazione, l'ufficio scolastico regionale Abruzzo non avesse messo in atto quanto previsto dalla normativa vigente;
    come mai, pur avendone diritto, l'ufficio scolastico regionale Abruzzo abbia negato alla richiedente l'accesso agli atti;
    se vi siano stati interessi personali, collusioni, accordi, tesi al tacito consenso di illeciti da parte delle scuole paritarie;
    la responsabilità dell'USR relativa ai ritardi rispetto ai tempi previsti dalla legge;
    il rispetto della, legalità e dell'applicazione delle sanzioni;
   in seguito a ciò, il 25 luglio 2014, il direttore generale ufficio scolastico regionale Abruzzo Ernesto Pellecchia risponde all'esposto, dichiarando che la scuola in questione aveva comunicato, in data 27 giugno 2014, la revoca dell'incarico al docente in servizio per la classe di concorso A033 e la sostituzione dello stesso con personale fornito sia di titolo di studio che della specifica abilitazione all'insegnamento; nella risposta il direttore conclude che la condotta della scuola paritaria in questione non sia illegittima alla luce della missiva dell'11 dicembre 2013 e della circolare ministeriale n. 4420 dell'11 luglio 2012, la quale disponeva la possibilità, per i gestori delle scuole paritarie, di conferire incarichi anche a personale fornito solo del prescritto titolo di studio qualora ricorrano le situazioni di indisponibilità di personale abilitato. Nella stessa nota, però, si specifica che tale possibilità e garantita fino al termine del tirocinio formativo attivo in quanto, tale corso, consentirà di disporre di un maggior numero di docenti in possesso di abilitazione all'insegnamento;
   non è chiaro per quale motivo il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo non abbia ritenuto illegittima la condotta della scuola paritaria, tenendo presente che:
    a) la circolare n. 4420/2012 indicava la possibilità di conferimento di incarichi a docenti con titolo di studio prescritto;
    b) la circolare n. 4420/2012 esplicitava comunque la mancata disponibilità di docenti abilitati all'insegnamento;
    c) la circolare n. 4420/2012 indicava un limite temporale;
    d) esistevano docenti disponibili, tant’è che anche l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo ne era a conoscenza;
   attualmente sembrerebbe che la condotta della scuola paritaria non si discosti da quella degli anni precedenti;
   il punto 5.10 del decreto ministeriale n. 83 del 10 ottobre 2008 prescrive che la revoca del riconoscimento della, parità scolastica ha effetto dall'inizio dell'anno scolastico successivo ed è disposta dal direttore dell'ufficio scolastico regionale competente per territorio in caso di perdita anche di uno solo dei requisiti di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62 ovvero ad avere personale docente fornito del titolo di abilitazione –:
   se per la scuola in questione non ricorrano gli estremi per la revoca della parità;
   quali provvedimenti intenda avviare il Ministro per rendere efficiente, efficace e tempestivo lo strumento di verifica dei requisiti di parità delle istituzioni scolastiche private, così che possa essere revocata la parità alle istituzioni scolastiche che non rispettano tali requisiti, compresa l'assunzione di personale sprovvisto di abilitazione in presenza della disponibilità di docenti abilitati;
   se il Ministro intenda emanare un atto indirizzato agli uffici scolastici regionali per rendere automatico, in presenza di una o più segnalazioni come quella in premessa, e con tempi contenuti, la verifica dei requisiti per la parità previsti dalle norme;
   se il Ministro intenda verificare l'operato dell'ufficio scolastico regionale Abruzzo, il quale, a giudizio del Ministro interrogato in presenza di segnalazioni così dettagliate, avrebbe dovuto invitare la scuola a sanare la propria posizione e, in caso contrario, revocare la parità come previsto dalla norma. (5-03989)


   SCHIRÒ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013, recante «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca» ha autorizzato l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ad avviare, già dal 2014, un piano quinquennale di assunzioni suddiviso in scaglioni annuali di 40 unità tra tecnici e ricercatori;
   tale intervento si è reso necessario al fine di fronteggiare gli interventi urgenti connessi all'attività di protezione civile, concernenti la sorveglianza sismica e vulcanica e la manutenzione delle reti strutturali di monitoraggio del territorio;
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) svolge un lavoro fondamentale per la sicurezza dei cittadini, la prevenzione, l'osservazione e la ricerca sui fenomeni sismici in un Paese ad alto rischio come l'Italia;
   risulterebbe — come riportato da alcuni quotidiani di settore — che l'avvio della prima tranche del succitato piano di assunzioni potrebbe non avvenire in conseguenza delle azioni avviate dal collegio dei revisori dei conti dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia in seguito a presunte incompatibilità riguardanti i membri del consiglio di amministrazione dell'istituto;
   dalle conclusioni della revisione, trasmesse al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca — con protocollo INGV n. 0015303 del 9 settembre 2014 — risulterebbe che «(...) la quasi totalità dei membri del CDA sia incompatibile e richiede all'ente di assumere le opportune iniziative volte a rimuovere tutte le cause di incompatibilità» e invita il Ministero dell'istruzione e dell'università «(...) a procedere alle opportune valutazioni (...)»;
   il collegio revisore ha, inoltre, invitato il consiglio di amministrazione a «limitare l'esercizio delle proprie funzioni (...) e in particolare quelle in conflitto di interesse rispetto al ruolo istituzionale deliberando su tematiche delicate come in merito al piano straordinario di assunzione (...)»;
   tale situazione, oltre a minare il futuro del personale precario dell'INGV (ricercatori, tecnologi, tecnici e amministrativi) che da circa dieci anni attende la stabilizzazione, metterà in gravissima difficoltà il servizio di sorveglianza sismica e vulcanica del territorio nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, in tal caso, se non ritenga urgente intervenire — nell'ambito delle proprie competenze — affinché si proceda all'avvio della prima tranche del succitato piano di assunzioni di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013.
(5-03990)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che la Germacar Udine spa, concessionaria Mercedes-Benz di veicoli commerciali e industriali con sede a Tavagnacco e Villesse, chiude poiché sembra siano venuti meno i presupposti economici per il proseguimento dell'attività. La decisione è stata comunicata il 4 novembre 2014 dai suoi amministratori che hanno reso nota la scelta dell'assemblea dei soci che è quella di porre in liquidazione la società;
   ai lavoratori della sede di Udine sono state fornite dagli amministratori rassicurazioni circa il pagamento della retribuzione di settembre, ancora non erogata, mentre i lavoratori di Villesse sono già in cassa integrazione in deroga da qualche mese poiché la filiale è già stata chiusa;
   i 35 lavoratori della concessionaria sono stati informati della chiusura del sito nel corso dell'assemblea sindacale alla quale ha partecipato anche uno degli amministratori, nominato liquidatore dell'impresa medesima;
   il segretario provinciale della Filcams Cgil di Udine, Francesco Buonopane, ha dichiarato la gravità del fatto che un marchio come Mercedes-Benz abbandoni il territorio friulano, augurandosi che vi possano essere imprenditori interessati a rilevare l'attività di vendita e di manutenzione ad oggi svolta da Germacar Udine, affinché venga garantita la continuità ed il mantenimento dell'occupazione;
   il segretario ha inoltre evidenziato che in tale vicenda vi sono delle responsabilità, poiché era stato avviato, già nei primi mesi del 2014, un piano di riorganizzazione aziendale per scongiurare la chiusura che ha poi subito un improvviso arresto, del quale non sono emerse le motivazioni;
   l'interrogante mette in rilievo che questa è l'ennesima crisi aziendale che colpisce l'economia friulana. Già con precedenti atti di sindacato ispettivo è stato messo in evidenza come la regione Friuli subisca da tempo una gravosa perdita dell'occupazione che dipende, in particolare, dal massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali (incompatibili con nuove assunzioni) e dall'intenso fenomeno della delocalizzazione;
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro per individuare possibili soluzioni per la chiusura Germacar Udine spa, considerando tuttavia che non è stato portato a compimento il piano di riorganizzazione;
   se e quali provvedimenti intenda intraprendere a tutela dei lavoratori della Germacar Udine spa;
   se e quali iniziative intenda promuovere ad hoc individuando un piano che possa risollevare il mercato occupazionale del Friuli Venezia Giulia, nonché salvaguardare i livelli occupazionali già esistenti, anche considerando che la crisi del mercato del lavoro di questo territorio dipende, tra l'altro, da un massiccio ricorso delle imprese agli ammortizzatori sociali e dal fenomeno di delocalizzazione della produzione. (5-03988)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 ottobre 2014 presso il tribunale ordinario di Roma è stato archiviato il procedimento penale avviato nei confronti di un giornalista per un articolo pubblicato il 22 febbraio 2013;
   dal decreto di archiviazione si leggono diversi rilievi a carico dell'Ente nazionale sordi, ente a finalità pubbliche finanziato dallo Stato, così come constatato anche dalla sezione controllo della Corte dei conti;
   la Corte dei conti ha presentato ai Presidenti di Camera e Senato relazione su come siano stati spesi i contributi pubblici dell'ENS (provenienti dallo Stato in aggiunta ai contributi dei comuni, delle province e delle regioni elargiti a vario titolo);
   la stessa Corte dei conti ha dichiarato che dal 2006 al 2010 non sono stati presentati bilanci da parte dell'Ente nazionale sordi e che quelli precedenti non erano congrui e non seguivano le regole richieste dalla legge;
   nel delicato comparto sociale sono state costituite numerose associazioni di sostegno che, allo stato, essendosi staccate dall'ENS non percepiscono contributi;
   sarebbe opportuno un nuovo intervento della Corte dei conti per il periodo dal 2010 ad oggi –:
   se non ritenga utile assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a fare chiarezza sulla gestione dell'ENS (patrimonio attuale, mobiliare e immobiliare, alienazioni e acquisizioni, contributi ricevuti a vario titolo);
   se intenda o meno assumere iniziative per rivalutare, attesa la pluralità di soggetti che rappresentano gli interessi dei sordi italiani, il riconoscimento concesso all'ENS in base alla legge 21 agosto 1950, n. 698 seguita dal decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo 1979.
(4-06781)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI, DI LELLO, DI GIOIA, LOCATELLI e MELILLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto, la produzione di olio extravergine di oliva nell'attuale stagione 2014-2015 sta subendo un gravissimo arresto su tutto il territorio nazionale;
   il parassita batrocera oleae, meglio noto come mosca dell'olivo, ha infatti distrutto pressoché interi raccolti, mettendo in grave crisi quelle aziende agricole che incentrano la propria attività sul commercio e, molto spesso, sull'esportazione di olio extravergine di oliva;
   sebbene tale gravissima situazione abbia interessato molte zone del territorio italiano, la stessa si è manifestata con particolare recrudescenza nella provincia di Rieti, ed in particolare in Sabina;
   l'olio prodotto in questo territorio è di rara qualità anche se ancora stenta ad emergere nel mercato internazionale, essendo ancora giovane e frammentaria la filiera produttiva preposta alla sua commercializzazione;
   se si pensa che territori con filiere produttive economicamente più attrezzate (perché da più tempo attive nel mercato olivicolo, si pensi alla Toscana) si sono già mosse per chiedere supporto al Governo rispetto alle gravissime conseguenze economiche di tale fenomeno, chiedendo la dichiarazione dello stato di calamità;
   a fronte di ciò, dunque, un simile intervento a sostegno delle piccole e piccolissime imprese agricole che in Sabina portano avanti una produzione olivicola di indubbia qualità sembra più che mai necessario e giustificato;
   tale intervento sembra, poi, tanto più urgente con riferimento a quelle realtà imprenditoriali che proprio in Sabina, adottando tecniche di coltivazione prive di agenti chimici e pesticidi, fanno dell'agricoltura biologica la loro principale attività, essendo queste condizionate più di altri da tali eventi straordinari;
   non mancano precedenti vicini (si pensi alla crisi della produzione castanicola in Campania) e lontani (si pensi alla produzione vinicola in Sicilia nel 2008), perché il Governo intervenga a sostegno delle realtà imprenditoriali agricole della regione Lazio e della Sabina in particolare;
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa, con particolare riferimento alla prevedibilità per questa stagione di tale fenomeno sul territorio laziale;
   se non reputi necessario, data la gravità della situazione e nell'ambito delle proprie competenze, anche di tipo normativo, attivare – di concerto con le regioni e con gli enti locali interessati – strumenti di rimborso o comunque di indennizzo delle imprese agricole del Lazio danneggiate dagli eventi dedotti in premessa, anche proponendo, di alleggerire il carico fiscale su tali soggetti. (4-06768)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il responsabile del 118 salentino dalle colonne del periodico online sanitàsalento ha lanciato l'allarme sulla difficoltà, in Puglia, a reperire materiale di protezione contro il virus dell'Ebola dal momento che «mentre sarebbe stata fatta incetta sull'intero territorio nazionale la Puglia sarebbe a secco di misure di sicurezza»;
   secondo lo stesso responsabile nella regione si incontrerebbero «difficoltà a reperire l'attrezzatura di protezione per medici e infermieri che potrebbero fare i conti con il terribile virus dalla febbre emorragica». Da notizie stampa emerge inoltre che anche in diversi ospedali territoriali la situazione non sarebbe differente. Sia a Galatina che a Lecce, infatti, sarebbe stata avanzata richiesta delle attrezzature per il personale di malattie infettive e pronto soccorso, i più esposti al rischio di contagio, con nessun risultato;
   nel frattempo, l'attenzione mediatica sul virus in Sierra Leone non conosce soste. E sebbene una Ong come Msf sul suo sito informi che l'Europa non corra rischi di alcun genere, nell'ottobre scorso la Società italiana di malattie infettive e tropicali ha avvertito che in Italia a rischiare di più sono le zone costiere, dove gli sbarchi di immigrati sono più frequenti: la Sicilia innanzitutto, ma anche la Puglia. A Bari, infatti, riportano ancora i media, «si starebbe pensando di effettuare un acquisto centralizzato dei dispositivi di sicurezza, in modo da poter ordinare un quantitativo maggiore a un costo inferiore e avere più facilità nel reperimento del materiale, ma ancora niente»;
   rispondendo nei giorni scorsi a una interrogazione a risposta immediata in Assemblea, prima firmataria la collega Murer, che vedeva anche il sottoscritto tra i proponenti, il Ministro ha già affrontato la questione dando risposte esaurienti, illustrando il modo in cui il nostro Paese si è predisposto e si sta predisponendo, informando sui continui aggiornamenti dei protocolli di screening, valutazione clinica, assistenza medica infermieristica a favore degli operatori umanitari italiani e del personale civile e militare, di rientro dai periodi di servizio svolti nei Paese in situazione epidemica; sulla proposta di un sistema di tracciatura dei movimenti e dei contatti di soggetti a rischio nei singoli Paesi con la possibilità di geolocalizzare i viaggiatori internazionali che abbiano come meta Paesi terzi rispetto all'aeroporto di entrata come misura cautelativa ulteriore rispetto agli screening sanitari effettuati in uscita dagli aeroporti locali; sullo stanziamento di risorse adeguate per l'acquisto di ulteriori dispositivi di protezione individuale per il personale medico e paramedico. Purtuttavia è evidente come allarmi del tipo evidenziato sopra possano ingenerare panico nella popolazione;
   oltre che, eventualmente, evidenziare carenze territoriali per ovvie ragioni sconosciute agli uffici ministeriali –:
   se il Ministro abbia contezza delle difficoltà, se tali sono, denunciate di reperire da parte dei nosocomi materiale di protezione contro il virus;
   se il Ministro intenda avviare una campagna di monitoraggio per comprendere come, regione per regione e soprattutto nelle regioni più sensibili, si stiano sviluppando programmi di prevenzione o quanto altro in base alle direttive del Ministero;
   se il Ministro ritenga di assumere iniziative rispetto al caso specifico per evitare che allarmi di questo tipo possano ingenerare soprattutto in quei territori meta quotidiana di sbarchi di migranti panico tra i cittadini e anche nel personale sanitario. (5-03985)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   FIORONI, MARRONI, MARCO DI STEFANO, VALIANTE, FIORIO, PARIS, BARGERO, GRIBAUDO, MARIANI, D'OTTAVIO, GIULIETTI, FASSINA, D'ATTORRE, GIORGIS, LEVA, GIANNI FARINA, CARLO GALLI, CHAOUKI, MOSCATT, GULLO, MIGLIORE, CIVATI, ALBINI, STUMPO, GIUSEPPE GUERINI, CARRA, BENAMATI, INCERTI, GASPARINI, LATTUCA, ZOGGIA e GRASSI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione rendono esplicite le intenzioni del Governo di prorogare ancora per un anno il blocco della contrattazione di contenuto economico, prolungando quanto previsto, in origine dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e successivamente dal decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, in attuazione della previsione di cui all'articolo 16 del decreto-legge n. 98 del 2011;
   per la prima volta nella storia della Repubblica il contratto nazionale dei dipendenti pubblici e la loro retribuzione resta fissata a quella prevista dal contratto 2006-2009, sei anni senza rinnovo contrattuale e di adeguamento alle retribuzioni;
   nel comparto privato, nonostante la crisi e con la responsabilità di tutte le parti, si stanno rinnovando i contratti con innovazioni importanti e per niente scontate in tema di retribuzione, di produttività, di funzioni della contrattazione aziendale;
   è condivisibile la preoccupazione riguardo ai bilanci dello stato e alla dinamica della spesa pubblica. La spesa consolidata delle pubbliche amministrazioni ha infatti superato la soglia degli 800 miliardi di euro con una previsione per il 2014 di quasi 810 miliardi. Il contenimento della spesa è una priorità del Paese. La revisione dei bilanci e la ristrutturazione delle uscite comporta un impegno che non si può eludere. Tuttavia, la linea di rigore e la «politica della lesina», deve seguire un'analisi approfondita delle voci di spesa, secondo i criteri di una ben intesa spending review, e un'attenzione forte all'equità e alle esigenze della crescita economica;
    mentre l'aggregato della spesa pubblica aumenta progressivamente, la componente di spesa legata alle retribuzioni dei dipendenti pubblici è in costante flessione. Dal 2010, anno in cui è stato introdotto il blocco della contrattazione, al 2013 la spesa è scesa di 8 miliardi, consegnando al risanamento oltre mezzo punto in termini di rapporto spesa/Pil. Nel solo 2013, rispetto al 2012, la spesa per redditi da lavoro dipendente si è ridotta dello 0,7 per cento;
   le misure di forte limitazione al turn-over nei settori pubblici, dal 2006 al 2012 hanno fatto scendere i lavoratori pubblici di 310 mila unità. Una riduzione che ha alleggerito i costi del personale, senza tuttavia essere seguita da una necessaria razionalizzazione delle risorse umane e da una reale riorganizzazione dei servizi in base ai mutati bisogni di persone, imprese e comunità;
   rispetto all'Europa i numeri del pubblico impiego nel nostro Paese sono virtuosi, la quota di spesa pubblica sul PIL al netto degli interessi nel 2013 è stata pari al 45,55 per cento del PIL, circa un punto e mezzo sotto il livello medio dell'area euro;
   i dati di comparazione delle retribuzioni secondo l'Ocse evidenziano in Italia una spesa di quasi tre volte la media europea per i livelli più elevati della dirigenza e di contro registrano una penalizzazione per i funzionari italiani, personale per lo più laureato e comunque con professionalità medio-alta, con retribuzioni comparativamente più basse a livello internazionale;
   il problema della spesa pubblica, dunque, non è legato al costo del pubblico impiego ma a fattori di altra natura. A partire dal decentramento fallito risoltosi in un policentrismo anarchico che ha condotto all'irrigidimento della spesa corrente destinata ai costi di funzionamento della macchina pubblica, drenando risorse destinate ai servizi e alla innovazione, e ad un progressivo aumento del prelievo fiscale. Tra il 1997 e il 2014, i tributi centrali, pari al 78 per cento del gettito totale, sono aumentati del 42,4 per cento (in termini assoluti pari a 112 miliardi). I tributi locali, invece, hanno registrato un incremento del 190,9 per cento (pari, in termini assoluti, a + 69,5 miliardi di euro), con un gettito che nel 2014 sfiorerà i 106 miliardi di euro. La pletora di «apparati ombra» e la duplicazione di centri decisionali, oltre ad una conseguente frammentazione dell'azione amministrativa, spiegano altresì l'anomalia della spesa per acquisti di beni e servizi, un capitolo che pesa 132 miliardi l'anno, e quella delle oltre 10.000 società partecipate pubbliche che hanno generato perdite dirette per 1,2 miliardi;
   così procedendo il Governo sceglierebbe, ancora una volta, di colpire una categoria già fortemente penalizzata dalle misure di rigore adottate nell'ultimo quinquennio: i dipendenti pubblici, cittadini soggetti al pari di altri ad una insostenibile pressione fiscale (44 per cento), hanno perso in questi anni, per mancati rinnovi, una quota di reddito che va – a seconda dei comparti – dai 2.800 ai 5.600 euro. Cifre consistenti se riportate ai livelli retributivi medi che sono compresi fra i 26 e i 42 mila euro lordi e che, in questi anni, hanno subito una forte perdita del potere d'acquisto (-8,4 per cento fino al 2013). Effetti negativi, questi ultimi, non compensati dal bonus fiscale che non ha inciso in modo determinante, sia perché non ha sanato le perdite legate al mancato rinnovo, sia perché ha riguardato solo una parte dei dipendenti pubblici oltre ad essere stato assorbito dall'inasprimento fiscale;
   il Governo perseguendo nella medesima direzione, quella di un blocco contrattuale che continua a rinviare ulteriormente il riassetto complessivo del sistema della contrattazione pubblica, ovvero la revisione e l'aggiornamento di istituti contrattuali che vanno a sostegno di processi di innovazione tecnologica, organizzativa e di sviluppo, ha rinunciato ad uno strumento importante di modernizzazione della pubblica amministrazione. I reiterati tagli lineari agli organici hanno obbligato le amministrazioni ad una continua attività di revisione degli assetti organizzativi ma hanno di fatto impedito il consolidamento di procedure, competenze e professionalità, con inevitabili, negativi riflessi sulla quantità e qualità dei servizi erogati;
   le esigenze connesse agli obiettivi di bilancio devono in ogni caso essere perseguite con criteri di proporzionalità e ragionevolezza e nel rispetto del principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione e conformemente agli altri valori tutelati dalla Costituzione, a partire da quelli definiti dagli articoli 36 e 97. L'articolo 36 della Costituzione attribuisce infatti al lavoratore «il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro» e che è legittimo che i lavoratori abbiano adeguamenti contrattuali correlati all'andamento dell'inflazione. Inoltre, l'articolo 39 anche tenuto conto di quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 142 del 1980 e n. 34 del 1985), esprime i due principi della libertà sindacale e dell'autonomia collettiva, garantendo ai cittadini la libertà di organizzarsi in sindacati e ai sindacati la libertà di agire nell'interesse dei lavoratori;
   il prolungamento della situazione di blocco della contrattazione a contenuto retributivo porta alla corresponsione di retribuzioni diverse a dipendenti che svolgono la medesima attività – ma che hanno maturato una progressione di carriera in momenti temporali diversi – e andrebbe valutata alla luce del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 97 della Costituzione oltre che del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione; e pertanto, accorre tenere conto del fatto che l'allungamento temporale della misura del blocco dell'adeguamento retributivo rischia di trasformare l'intervento eccezionale in una vera e propria deroga al meccanismo medesimo, da valutare attentamente rispetto alle previsioni costituzionali;
   appare, inoltre, necessario ricordare ancora che il regime delle proroghe dei blocchi contrattuali, imposto ormai da quattro anni escludendo l'intervento del Governo previsto per tutto il 2015, contrasta, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale, con il carattere di eccezionalità e di temporaneità proprio di interventi urgenti. Una ulteriore proroga del blocco dei contratti, inoltre, si presenta significativamente punitiva per una sola categoria sociale – quella dei dipendenti pubblici – già fortemente colpita da un progressivo processo di oggettivo impoverimento –:
   quali azioni concrete il Governo intenda intraprendere per evitare la reiterazione di una norma che si presenterebbe con tutta evidenza iniqua e contraddittoria;
   perché si intenda rinunciare, per un altro anno, al rinnovo del contratto, principale leva di innovazione del welfare e del sistema pubblico;
   come si intendano affrontare le conseguenze recessive a livello macroeconomico di una compressione ulteriore dei redditi medio bassi di una così ampia categoria sociale. (4-06771)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, SORIAL, TURCO, ROSTELLATO, SPESSOTTO, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, COZZOLINO e DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tra circa due mesi il progetto che prevede la realizzazione dell'alta velocità Brescia-Verona sarà pronto per essere messo in cantiere con l'acquisizione delle aree interessate, come si apprende dall'avviso di pubblica utilità del 26 settembre scorso di Italferr;
   si tratta di un'opera il cui progetto preliminare risale al lontano 1996, con una valutazione di impatto ambientale del 2002, mentre il progetto definitivo dell'opera è stato approvato con delibera CIPE in data 5 dicembre 2003;
   in data 1o ottobre 2014 è stato pubblicato sul giornale L'Arena di Verona l'avviso di «comunicazione dell'avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale» per il progetto definitivo della LINEA FERROVIARIA AV/AC Torino-Venezia, tratta Milano-Verona: lotto funzionale Brescia-Verona;
   tutte le amministrazioni comunali interessate, ad eccezione di Verona, hanno richiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una nuova valutazione di impatto ambientale, proprio in considerazione delle mutate condizioni socio-economiche intervenute in venti anni oltre ai cambiamenti urbanistici con nuove zone residenziali che sarebbero spazzate via dalla nuova infrastruttura;
   la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza sarà giuridicamente operativa soltanto dopo l'approvazione del progetto definitivo, che sarà approvato dal Cipe soltanto dopo l'istruttoria positiva della Commissione speciale Via del Matt e del trasferimento del parere da parte del Ministro dell'ambiente al Cipe;
   manca, nella documentazione ripresentata, sia il VAN (valore attuale netto) che il Sir (saggio interno di rendimento) richiesto dalla vigente normativa sulla Via;
   la progettata tratta ferroviaria ad alta velocità causerà notevoli disagi anche alla popolazione locale, senza che con essa siano stati avviati tavoli di discussione;
   la tratta Brescia-Verona ha un costo di 2747 milioni di euro, mentre ne risultano disponibili soltanto 80 milioni. La tratta appartiene ai ridefiniti corridoi delle Ten-T e segnatamente al corridoio mediterraneo (vedasi allegato Programma delle infrastrutture strategiche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti legge n. 443 del 2001 articolo 1, comma 1 al Def 2014 dello scorso aprile);
   ulteriori potenziali risorse derivano dal comma 76 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2013), che prevede l'autorizzazione di spesa mediante erogazione diretta di 120 milioni di euro l'anno per ciascuno degli anni dal 2015 al 2029 per le tratte av Milano/Venezia, Apice/Orsara e della linea Napoli/Bari, realizzate con le modalità del cd. «lotto costruttivo», le cui condizioni di finanziamento sono legate all'esistenza di un progetto definitivo approvato e la sussistenza di risorse finanziarie per almeno il 10 per cento del costo complessivo dell'opera;
   il rischio connesso all'accelerazione delle procedure sulla tratta Verona-Brescia è quello di mantenere il vincolo al preordino degli espropri per i sette anni della «innovazione», come previsto dalle modifiche al Codice degli Appalti apportate durante il Governo Monti. Limite ulteriormente reiterabile;
   dal quadro ambientale del Sia emerge chiaramente la notevole rilevanza degli impatti e la loro irreversibilità soprattutto sulle acque superficiali e sui circuiti idrici delle acque sotterranee;
   la tav andrà ad interessare prevalentemente la zona del Lugana, andando a sottrarre circa 300 ettari di vigneti sui 1100 in produzione, un tratto di territorio caratterizzato da elementi naturalistici splendidi e unici, alla base di un'importante economia enogastronomica di carattere nazionale ed internazionale;
   vi sono inoltre altre produzioni tipiche di eccellenza che rischiano di subire gravi danni: dalle aziende a vocazione lattiero casearia per la produzione di Grana Padano, alle aziende florovivaistiche, nonché le numerose imprese agricole produttrici di frutta e verdura di qualità;
   un altro aspetto non trascurabile per la sostenibilità del territorio e delle imprese rese agricole è la necessità di salvare i territori, l'economia e la movimentazione dei flussi turistici, dei cittadini e delle merci;
   per i lavori sono previste sette nuove cave di prestito, nonostante il territorio sia pieno di ambiti estrattivi non ancora esauriti –:
   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto esposto in premessa, intendano verificare se le risorse già stanziate siano realmente disponibili e sufficienti per la realizzazione della tratta a/v Brescia-Verona e se ritengano opportuno produrre una nuova valutazione di impatto ambientale o, in alternativa, si intendano prorogare il termine, fissato al 6 novembre 2014, per consentire ai cittadini ed alle amministrazioni locali di esaminare completamente la documentazione depositata. (5-03987)

Interrogazione a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'audizione informale in relazione all'esame dell'atto n. 376 (Affare assegnato Strategie nuovi vertici Società partecipate Stato) in 10a Commissione permanente «Industria, Commercio, Turismo» del Senato, mercoledì 5 novembre 2014, l'amministratore delegato di Poste italiane Francesco Caio ha annunciato l'intenzione di tagliare da 500 a 600 sportelli;
   stando a quanto riportato dagli organi di stampa, lo stesso Caio ha affermato che la misura è stata condivisa con l'Autorità garante per le telecomunicazioni – AGCOM;
   la delibera n. 342/14/CONS dell'AGCOM «Punti di accesso alla rete postale: modifica dei criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane» ha modificato i criteri di distribuzione degli uffici postali fissati dall'articolo 2 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, integrandoli con specifiche previsioni a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone remote del Paese;
   in particolare la suddetta delibera introduce specifici divieti di chiusura di uffici postali al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, di cui Poste italiane dovrà tener conto nella redazione del piano annuale di razionalizzazione degli uffici postali, e si prevedono particolari garanzie per i comuni che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa (dati demografici e classificazioni ISTAT) e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale;
   Poste italiane spa è una società per azioni il cui capitale sociale è attualmente posseduto per il 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, che in base al contratto di programma stipulato con lo Stato, è tenuta a garantire il servizio universale fino al 2026 attraverso la sua rete di uffici distribuiti su tutto il territorio nazionale;
   tale servizio disciplinato dall'articolo 3, decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, prevede che «è assicurata la fornitura del servizio universale e delle prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, da fornire permanentemente in tutto il territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali montane, a prezzi accessibili all'utenza» e che, «il servizio universale risponde alla necessità di assicurare alla generalità dei cittadini, su tutto il territorio nazionale, il diritto di fruire dei servizi postali in esso ricompresi, sulla base di determinati standard di qualità e di tariffe orientate ai costi, sottoposti al controllo dell'Autorità di regolamentazione»;
   nel contratto di programma che Poste italiane spa ha stipulato con lo Stato il servizio universale è definito con alcuni criteri minimi che vanno dalla garanzia di recapito della corrispondenza in un massimo di 5 giorni, all'apertura di almeno 18 ore settimanali degli uffici postali, a standard minimi di servizio durante i mesi estivi, alla presenza di almeno un ufficio postale in ogni comune;
   nella direttiva europea 6/2008 si riconosce che le reti postali anche se in zone rurali e scarsamente popolate soddisfano interessi pubblici rilevanti, consentono l'integrazione degli operatori economici con l'economia globale ed anzi, per il loro contributo alla coesione sociale, sono più necessari proprio in quelle aree;
   con decreto ministeriale del 7 ottobre 2008 il Ministero dello sviluppo economico approvava le condizioni generali per l'espletamento del servizio postale universale i cui criteri di distribuzione degli uffici postali legavano la presenza dei punti di accesso alla rete alla percentuale dei residenti e quindi in evidente contrasto con la direttiva dell'Unione europea 6/2008, recepita nel diritto interno con il decreto legislativo n. 58 del 2011;
   nel luglio del 2012 Poste italiane spa annunciava la chiusura di 1156 uffici postali in tutta Italia (poi indicati in 1.096), con motivazioni individuate nella scarsa redditività di questi uffici, per lo più situati in zone montane, rurali o scarsamente popolate al fine di operare una «razionalizzazione» della rete;
   con sentenza n. 1117 del 29 gennaio 2014, il TAR del Lazio accoglieva il ricorso del comune di San Pietro in Guarano (Cosenza) avverso alla chiusura dell'ufficio postale della frazione di Redipiano, con la motivazione che «la direttiva comunitaria ed il decreto legislativo (in particolare articolo 3, comma 5, lettera c) del decreto legislativo n. 261 del 1999 come modificato dal decreto legislativo n. 58 del 2011), hanno posto un particolare accento anche sulle esigenze degli utenti, in particolare delle zone rurali e di quelle scarsamente popolate; esigenze che non avrebbero rispettate col solo criterio di ragionevolezza basato sull'equilibrio economico come presupposto per la permanenza di uffici postali in territori particolarmente disagiati» e che «è quasi superfluo rilevare come nell'ambito di un servizio pubblico l'equilibrio economico non possa assumere la stessa determinante rilevanza che assume nella gestione di una impresa privata»;
   il TAR del Lazio, pertanto, richiamava Poste italiane spa ad operare scelte organizzative che seguano innanzitutto il principio della garanzia del «pubblico servizio» sottolineando che anche in periodi di spending review gli interessi sociali non possono essere sottomessi all'esasperata ricerca dell'utile;
   la capillare presenza territoriale di Poste italiane, rappresentata da 13.000 sportelli, è un valore da salvaguardare e il taglio dovrebbe essere fatto tenendo conto dei vincoli normativi che impongono all'azienda una presenza minima nella comunità rurali e montane e nei comuni remoti, dove viene servita una popolazione residente composta principalmente da anziani;
   le chiusure di uffici postali periferici in atto in tutta Italia da parte di Poste italiane comportano una limitazione di diritti dei cittadini di alcune aree del Paese ad avere un servizio efficace ed efficiente e limitano la capacità di mantenere degli standard minimi di qualità per il servizio universale, in evidente contrasto con il contratto di programma sottoscritto da Poste italiane spa con lo Stato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti su esposti;
   quali azioni intenda intraprendere per richiamare Poste italiane spa, società interamente finanziata dallo Stato, alla sua mission fondamentale di erogatrice di un servizio di pubblica utilità, anche alla luce del pronunciamento del TAR del Lazio citato in premessa, e far sì che Poste italiane garantisca i suddetti standard minimi. (4-06772)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Mongiello e altri n. 1-00556, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pastorelli.

  La mozione Grillo e altri n. 1-00645, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Spadoni.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Gregori e altri n. 7-00509, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Argentin.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Schirò n. 3-01087, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ghizzoni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rocchi e Carocci n. 5-03965, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Malisani.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Scuvera n. 2-00740, già pubblicata nell'allegato della B ai resoconti della seduta n. 324 del 4 novembre 2014.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   secondo i dati riportati da alcuni organi di stampa, le proiezioni del primo semestre 2014 riportano il record negativo di 930-950 minori autorizzati all'ingresso in Italia, con un crollo rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente che sfiora il 30 per cento; emerge dunque che dal 2010, quando fu raggiunto il picco massimo di 4130 minori autorizzati a entrare in Italia, al primo semestre del 2014, il numero di bambini stranieri adottati in Italia ha subito un vero e proprio crollo;
   negli ultimi anni sono intervenute alcune criticità, a partire da varie problematiche nel rapporto con i Paesi d'origine dei minori; in alcuni di questi Stati lo sviluppo socio-economico ha contribuito a rendere residuale l'adozione internazionale rispetto alle possibilità offerte all'interno del Paese, attraverso sia adozioni interne sia soluzioni di affido che, comunque, mantengono l'identità e il radicamento del bambino nel proprio Paese; in altri Paesi talvolta si assiste ad improvvise chiusure o limitazioni nelle procedure di adozione in corso, anche a causa delle incerte condizioni sociali e politiche;
   in questa casistica rientra la decisione da parte della direzione nazionale delle migrazioni della Repubblica del Congo di sospendere per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, le operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   nel mese di maggio 2014, il lavoro messo in atto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha determinato l'esito positivo della vicenda che vedeva 24 famiglie inizialmente bloccate a Kinshasa, poiché i permessi di uscita per i minori venivano loro negati, e successivamente separate dai bambini, ciò malgrado l’iter di adozione fosse stato regolarmente completato in Italia e in Congo;
   allo scadere dei 12 mesi di sospensione annunciati, tuttavia, il 26 settembre del 2014 il Ministero dell'interno e della sicurezza della Repubblica democratica del Congo ha dichiarato che «la misura di sospensione dei visti d'uscita dei minori congolesi adottati da genitori stranieri è estesa fino a nuovo ordine»;
   il presidente Kabila e il Governo congolese hanno affermato che il motivo della sospensione risiede nell'esigenza di operare una revisione delle procedure di adozione, al fine di aumentare il livello di tutela e di salvaguardia dei bambini congolesi destinati all'adozione; i tempi necessari per tale intervento restano incerti;
   tale decisione incide gravemente sulla vita delle circa 130 coppie che hanno regolarmente avviato, e in alcuni casi addirittura completato l’iter di adozione, ma che sono soggette al blocco dei permessi d'uscita dei minori da parte delle autorità congolesi;
   avere un figlio adottivo è aprire nella propria famiglia uno spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale e di cuore per consentire ad alcuni bambini la possibilità di un futuro migliore; il protrarsi del blocco dei permessi d'uscita da parte delle autorità congolesi determina dunque per decine di famiglie un'insostenibile situazione di incertezza che si rivela progressivamente sempre più insopportabile per la vita privata e familiare degli interessati;
   in tale contesto di profonda difficoltà, le famiglie coinvolte lamentano il mancato sostegno da parte della Commissione adozioni internazionali, la quale avrebbe mancato di fornire loro ogni forma di comunicazione circa gli eventuali sviluppi della situazione e avrebbe anche omesso di offrire le necessarie informazioni e le opportune rassicurazioni circa la salute dei bambini già abbinati alle famiglie, ma ancora bloccati in un Paese che conosce ripetuti stati di emergenza, tra cui recentemente anche quello legato alla diffusione del virus Ebola;
   la mozione Quartapelle Procopio ed altri, n. 1-00326, approvata all'unanimità il 15 luglio 2014, ha impegnato il Governo a dare rinnovata, palese e concreta attenzione alle politiche in materia di adozioni internazionali, alla CAI, agli enti e alle famiglie adottive, e «a sostenere con convinzione ogni iniziativa volta a sbloccare le pratiche adottive di famiglie italiane in quei Paesi nei quali per ragioni sociali e politiche queste hanno subito un rallentamento» –:
   come intenda operare il Governo per assicurare il sollecito congiungimento dei bambini congolesi con le famiglie adottive e se, considerato il perdurante e insostenibile quadro di incertezza che colpisce le famiglie coinvolte, non sia possibile consentire loro di reindirizzare la procedura di adozione internazionale verso altri Paesi che offrono un quadro giuridico e istituzionale più sicuro, eventualmente avvalendosi dei decreti di idoneità ad esse già rilasciati dal tribunale per i minorenni.
(2-00740)
«Scuvera, Quartapelle Procopio, Rampi, Sereni, Piccione, Manzi, Malpezzi, Palmieri, Sbrollini, Pes, Mariani, Rossomando, Leva, Pelillo, Petitti, Lodolini, Richetti, De Menech, Zampa, Preziosi, Raciti, Piccoli Nardelli, Misiani, Casati, Cova, Cassano, Miotto, Mariastella Bianchi, Galperti, Sanga, Parrini, Palma, Gitti, Iori, Zanin, Mattiello, Bonomo, Porta».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Businarolo n. 5-02710 del 29 aprile 2014;
   interpellanza urgente Fioroni n. 2-00683 del 17 settembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta n. 4-06596 del 27 ottobre 2014;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
  interrogazione a risposta orale Schirò e Ghizzoni n. 3-01087 del 13 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03990;

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Lupo n. 4-06755 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 325 del 5 novembre 2014.
  Alla pagina 18376, seconda colonna, dalla riga trentaduesima alla riga trentatreesima deve leggersi: «per l'occasione fu ampliato lo stadio comunale “La Favorita” oggi rinominato» e non «per l'occasione fu costruito lo stadio comunale “De La Favorita” oggi rinominato», come stampato.