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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 28 ottobre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 20 ottobre 2014, il Consiglio degli affari esteri a Lussemburgo ha affrontato il tema dell'adozione di misure coordinate per contrastare la diffusione del virus Ebola, che, secondo le ultime stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, ha già causato oltre 4.500 vittime nei Paesi dell'Africa occidentale colpiti;
    l'idea sarebbe quella di articolare gli aiuti internazionali attorno a tre Paesi leader: gli Stati Uniti per la Liberia, la Gran Bretagna per la Sierra Leone e la Francia per la Guinea, mentre Francia e Germania insistono per la messa a punto di un dispositivo coordinato di evacuazione sanitaria, giudicato indispensabile per assicurare il flusso dei rinforzi europei;
    il virus Ebola ha un tasso di mortalità del cinquanta per cento e si sta diffondendo in modo epidemiologico principalmente in Guinea, Sierra Leone e Liberia, ai quali si sono aggiunti casi isolati in altri Paesi, l'ultimo dei quali in Spagna;
    dai dati in merito ai precedenti casi di diffusione del virus, nel 1995 e nel 2007, in cui i morti complessivamente sono stati meno di trecento, si evince la particolare gravità della situazione in atto;
    già nei mesi scorsi sia gli Stati Uniti, sia diversi Paesi europei hanno deciso di alzare il livello di allerta, adottando misure precauzionali in materia sanitaria e di trasporto, soprattutto aereo;
   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità la priorità deve proprio essere quella dei controlli aeroportuali in partenza dai Paesi africani colpiti;
    secondo il sito del Ministero della salute «In Italia sono state attivate tutte le possibili misure di preparazione e risposta a livello nazionale, regionale e locale, nell'evenienza che si debba gestire un sospetto caso di EVD», e «anche nel caso di particolari minacce per la salute, il sistema di sanità pubblica è in grado di rispondere, in base alle indicazioni centrali, al loro contenimento, essendo presenti, sul territorio, due strutture dotate di laboratori di massima sicurezza e di stanze ad alto isolamento, nonché il protocollo per il trasporto in alto biocontenimento di pazienti affetti da febbri emorragiche virali»;
    appena un paio di giorni fa, tuttavia, il segretario nazionale del sindacato delle professioni infermieristiche ha denunciato come gli infermieri italiani non siano adeguatamente preparati «a fare fronte ad eventuali casi di Ebola: non hanno ricevuto una formazione specifica né rispetto alla malattia né circa l'utilizzo dei dispositivi di protezione», dispositivi che peraltro, in molti ospedali mancano ancora;
    il nostro Paese è particolarmente esposto ad un rischio contagio se si tiene conto del costante flusso di immigrati che arrivano proprio da Paesi africani attraverso gli sbarchi di clandestini sulle nostre coste;
    in occasione di uno sbarco di migranti irregolari avvenuto a Trapani nel mese di maggio 2014 si era già ipotizzata la presenza di una persona affetta dal virus Ebola, come anche di alcuni casi di tubercolosi;
    a parte il personale delle navi che effettuano i salvataggi in mare, ad ogni sbarco di clandestini sulle banchine dei porti si trovano ad attenderli carabinieri, agenti di polizia, militari della guardia costiera e della guardia di finanza, nonché associazioni di volontariato e protezione civile, tutti esposti al rischio di contagio per qualunque tipo di infezione che abbia colpito i migranti, ma solitamente dotati solamente di guanti in lattice e mascherine;
    è un fatto che l'alto numero di migranti che arrivano quasi quotidianamente sulle coste italiane e la mancanza di controlli preventivi operati a bordo delle navi militari, fanno si che questi migranti costituiscano un evidente rischio epidemiologico, e non è da escludere che qualche migrante possa sfuggire al calcolo probabilistico legato ai tempi d'incubazione dell'Ebola;
    oltre al possibile contagio da Ebola, a preoccupare gli operatori dell'emergenza immigrazione c’è anche la tubercolosi, la cui diffusione negli ultimi anni è aumentata di quasi il 50 per cento, passando da quattro a seimila casi all'anno, dopo che negli anni Ottanta era stata quasi debellata;
    la causa di tale aumento è la crescente immigrazione da Paesi ad alta endemia, unita al fatto che la terapia seguita sin qui nel contrasto alla malattia, basata su massicce dosi di antibiotici, sta selezionando ceppi batterici che diventano sempre più resistenti alle cure;
    nel nostro Paese l'incidenza di tubercolosi tra gli immigrati si ipotizza che sia di cinquanta casi su centomila persone, circa cinque volte superiore all'incidenza nella popolazione italiana;
    secondo gli studi condotti sullo stato di salute degli immigrati che arrivano in Italia, su di essi si può osservare il cosiddetto «effetto migrante sano», che dipende dal fatto che solo i soggetti più forti e sani tendono a optare per il difficile percorso migratorio, auto-selezionandosi quindi già nei Paesi di origine, ma ciononostante, «lo stato di benessere di questi migranti “pionieri” può esaurirsi nel tempo a causa di condizioni di vita e di lavoro precarie e dello scarso accesso ai servizi sanitari nel Paese ospite»;
    sempre secondo gli studi effettuati in merito dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute è tuttavia «verosimile che nel tempo la rilevanza dell’“effetto migrante sano” in Italia tenda a diminuire. Infatti con la stabilizzazione del fenomeno migratorio, i nuovi immigrati giungeranno seguendo percorsi già attuati da parenti o amici che si trovano in Italia. Questo tragitto, più semplice e meno rischioso, richiede una minore autoselezione iniziale ed è motivato oltre che dalla ricerca di lavoro anche dall'opportunità di ricongiungimento familiare. I nuovi arrivi presenteranno quindi caratteristiche più eterogenee dal punto di vista demografico e dello stato di salute»;
    alcune patologie ad alta endemia in Paesi a forte spinta migratoria, come l'epatite B e la tubercolosi, possono essere asintomatiche al momento dell'arrivo in un Paese di immigrazione, ma manifestarsi in seguito a causa delle cattive condizioni di vita dell'individuo, abitative, igieniche o alimentari, che esercitano un ruolo rilevante nel favorirne la progressione;
    nonostante l'introduzione da numerosi anni di un vaccino sicuro ed efficace, l'epatite B rimane ancora oggi una patologia associata ad elevate morbilità e mortalità, con una diffusione globale di circa 400 milioni di persone infettate cronicamente, con un'incidenza in alcune aree geografiche pari o oltre l'otto per cento;
    tra le regioni a più alta endemia per l'infezione da epatite B figura la Cina, posto che, secondo gli ultimi dati epidemiologici, la prevalenza di tale infezione nella popolazione cinese e del Sud-est asiatico va dall'otto al venti per cento ed è una delle principali cause di morte;
    tra le popolazioni immigrate nel nostro Paese quella cinese è sicuramente ben rappresentata e, anzi, in alcune aree si è assistito ad una crescita esponenziale della popolazione cinese, giunta nel dicembre 2013 a contare oltre trecentoventimila persone, e mancano informazioni riguardo agli individui non regolarizzati;
    recentemente il sindacato di polizia Consap ha lanciato l'allarme per il contagio da tubercolosi occorso a numerosi poliziotti impiegati nell'ambito della gestione dell'immigrazione clandestina;
    al momento degli sbarchi gli immigrati sono sottoposti ad una visita medica, a dir poco approssimativa, di pochi minuti, nel corso della quale è possibile accertare solo patologie già conclamate e visibili ad occhio nudo;
    dopo lo sbarco i clandestini, una volta assegnati ai diversi centri di accoglienza dislocati nel territorio nazionale, vengono trasportati, prevalentemente in pullman, verso tali centri, sempre accompagnati da alcuni agenti di polizia;
    nel corso di tutte le operazioni che svolgono sia nell'ambito del servizio immigrazione, sia all'interno dei centri di identificazione ed espulsione e dei centri di accoglienza per i richiedenti asilo, i poliziotti, come anche tutti gli altri operatori impiegati e coinvolti, non sono dotati di un equipaggiamento idoneo, ai fini della protezione sanitaria;
    il citato sindacato di polizia, insieme ad Assotutela, ha anche promosso una class action contro il Ministero dell'interno per chiedere l'interruzione dell'operazione Mare Nostrum perché «il nostro sistema sanitario e i mezzi di cui disponiamo non ci permettono di affrontare tali rischi»;
    sarebbero, infatti, già circa quaranta i poliziotti che hanno contratto la tubercolosi nello svolgimento del proprio servizio nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum;
    il segretario nazionale della Consap ha stigmatizzato come la profilassi per la salvaguardia e la tutela dei poliziotti non solo sia insufficiente ma sia anche «ben al di sotto degli standard di altri Paesi», mentre Assotutela ha sottolineato come vi sia stata, da parte degli organi preposti, una «reiterata violazione della normativa in materia di protezione del personale impegnato nelle attività di Mare Nostrum o comunque per ragioni di servizio costantemente a contatto con fonti epidemiologiche, con un danno alla salute, morale e biologico del soggetto colpito e della propria famiglia, ma anche erariale ed economico in un Paese dove la Sanità ha già ritardi cronici irreversibili,

impegna il Governo:

   a disporre, in concomitanza dell'avvio dell'operazione Triton promossa in ambito europeo, la definitiva cessazione delle attività dell'operazione Mare Nostrum;
   a fornire tempestivamente ogni elemento circa gli esiti del Consiglio degli affari esteri del 20 ottobre 2014 con riferimento al contrasto della diffusione del virus Ebola;
   ad adottare con urgenza tutte le misure precauzionali necessarie a contrastare la diffusione del virus Ebola e di ogni altra patologia infettiva sul territorio nazionale, con particolare riferimento alla gestione dei flussi di immigrati irregolari;
   ad elaborare, nell'ambito di tale quadro, un sistema di sorveglianza e di allerta precoce, che preveda una valutazione dello stato di salute dei migranti all'ingresso e un suo monitoraggio nei centri di immigrazione, nonché ad individuare procedure che favoriscano l'accesso ai servizi sanitari per le popolazioni migranti che consentano la diagnosi precoce di eventuali patologie ed una efficace strategia vaccinale;
   a disporre l'adozione di ogni misura utile a prevenire il rischio di contagio da patologie per tutti i soggetti impiegati nelle attività di accoglienza e gestione degli immigrati, soprattutto nella primissima fase del loro arrivo sul territorio nazionale, provvedendo altresì alla redazione delle norme di prevenzione e profilassi a ciò necessarie e prevedendo la dotazione di un adeguato equipaggiamento.
(1-00646) «Rampelli, Cirielli, Giorgia Meloni, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 45 della Costituzione Italiana stabilisce che «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità»;
    l'articolo 2512 del codice civile definisce i criteri qualitativi delle cooperative a mutualità prevalente stabilendo che sono considerate tali esclusivamente le cooperative in cui il servizio verso i soci o il loro apporto lavorativo o ancora il loro apporto di beni e servizi risulta prevalente rispetto al resto dell'attività nel suo complesso;
    il successivo articolo 2513 del codice civile definisce i parametri contabili che debbono essere rispettati affinché sia oggettivamente documentata la condizione di prevalenza del fine mutualistico;
    ai fini dell'attestazione della mutualità prevalente è previsto altresì (all'articolo 2514 del codice civile) che le cooperative a mutualità prevalente inseriscano nei propri statuti le seguenti clausole:
     a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato;
     b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi;
     c) il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori;
     d) l'obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento (o trasformazione o perdita dei requisiti di mutualità prevalente) della società, dell'intero patrimonio sociale, dedotto solo il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione;
    le cooperative a mutualità prevalente sono destinatarie di uno specifico regime agevolato ai fini tributari, modificato da ultimo con il decreto-legge n. 138 del 2011 (articolo 2, commi dal 36-bis al 36-quater). Per la generalità di esse la quota di utili assoggettata a Ires è del 40 per cento; per le cooperative di consumo essa sale al 65 per cento; per quelle agricole e della piccola pesca la quota si riduce al 20 per cento. A tali percentuali va aggiunto un 3 per cento che deriva dal fatto che è stato assoggettato ad Ires il 10 per cento delle somme destinate alla riserva minima obbligatoria delle cooperative (prima del decreto-legge n. 138 del 2011 vi era una esenzione totale delle somme destinate alla riserva minima obbligatoria che è del 30 per cento). La restante quota di utili netti può beneficiare delle disposizioni specifiche per le cooperative che prevedono che non concorrono a formare il reddito imponibile le somme che sono destinate a: riserve indivisibili (articolo 12 della legge n. 904 del 1977); rivalutazione gratuita delle quote o delle azioni (articolo 7 della legge n. 59 del 1992); fondi mutualistici nella misura massima del 3 per cento degli utili netti conseguiti (articolo 11 della legge n. 59 del 1992). Per le cooperative che non hanno il requisito della mutualità prevalente la quota assoggettata a Ires è del 70 per cento, a condizione che la restante quota sia destinata ad una riserva indivisibile;
    il decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, disciplina le norme in materia di vigilanza sugli enti cooperativi. Al Ministero dello sviluppo economico è affidato il compito di ispezione ordinaria e straordinaria delle cooperative. Nei casi in cui però queste cooperative siano iscritte ad associazioni giuridicamente riconosciute, le ispezioni sono effettuate dalle suddette associazioni e non dal Ministero. L'attività di vigilanza si attua attraverso revisioni periodiche ed è volta a garantire la trasparenza nella gestione ed il corretto funzionamento amministrativo della cooperativa, oltre che ad assicurare che le società e gli enti che si definiscono «mutualistici», perseguano effettivamente tali finalità. In particolare ai sensi dell'articolo 4 del menzionato decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, la revisione cooperativa è finalizzata ad accertare, anche attraverso una verifica della gestione amministrativo-contabile, la natura mutualistica dell'ente, verificando l'effettività della base sociale, la partecipazione dei soci alla vita sociale ed allo scambio mutualistico con l'ente, la qualità di tale partecipazione, l'assenza di scopi di lucro dell'ente, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, e la legittimazione dell'ente a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura;
    ai fini della verifica dell'assenza di scopo di lucro – requisito costituzionalmente previsto a garanzia del corretto funzionamento dell'istituto cooperativistico ed espressamente annoverato tra i parametri assoggettati a vigilanza dall'articolo 4 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220 – non è sufficiente rilevare la mera assenza della divisione diretta di utili, ma è altresì fondamentale e più importante asseverare che non si proceda in nessun caso, alla distribuzione indiretta di avanzi, fondi e riserve attraverso artifici quali, ad esempio, l'acquisto di beni e servizi a prezzi ingiustificatamente elevati, il pagamento di stipendi e compensi dirigenziali in misura superiore ai minimi stabiliti dai contratti di categoria e metodiche elusive similari;
    secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte di Cassazione, l'amministrazione finanziaria ha il diritto di disconoscere le eventuali agevolazioni fiscali fruite dalle cooperative qualora, sulla base di dati concreti, si dimostri che la veste «mutualistica» funge da copertura ad una normale attività imprenditoriale (Corte di Cassazione sentenza 10544/2006 e n. 1328/2005);
    la vigente normativa civilistica e tributaria in materia di cooperative difetta di una espressa nozione riguardo alla distribuzione indiretta degli utili a differenza di quanto accade per altre organizzazioni parimenti caratterizzate dall'assenza di scopo di lucro, come le ONLUS e le stesse cooperative sociali, per le quali soccorrono i criteri espressamente stabiliti dall'articolo 10, comma 6, del decreto legislativo n. 460 del 1997,

impegna il Governo:

   ad assumere le necessarie iniziative normative affinché:
    a) siano individuate le fattispecie che costituiscono distribuzione indiretta di utili o avanzi di gestione nelle cooperative beneficiarie di agevolazioni fiscali;
    b) siano considerati, in ogni caso, distribuzione indiretta di utili o di avanzi di gestione:
     1) l'acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;
     2) la corresponsione ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di emolumenti individuali annui superiori al compenso massimo previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1994, n. 645, e dal decreto-legge 21 giugno 1995, n. 239, convertito dalla legge 3 agosto 1995 n. 336, e successive modificazioni e integrazioni, per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni;
     3) la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di 4 punti al tasso ufficiale di sconto.
(1-00647) «Spadoni, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    le anticipazioni sulle previsioni 2014-2015 contenute nel Rapporto Svimez 2014 evidenziano ancora una volta un Paese segnato da un sud sempre più arretrato economicamente. Nel 2013 il divario di Prodotto interno lordo pro capite è tornato ai livelli di dieci anni fa. Negli anni 2008-2013 i consumi delle famiglie sono crollati del 13 per cento circa, gli investimenti nell'industria addirittura del 53 per cento, i tassi di iscrizione all'università tornano ai primi anni del duemila e per la prima volta il numero di occupati ha sfondato, al ribasso, la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977. In cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443.000 a 1.014.000; sono in diminuzione anche i consumi (-2,4 per cento) e gli investimenti fissi lordi (-5,2 per cento);
    tra il 2008 e il 2013 l'occupazione nel Mezzogiorno è diminuita del 9 per cento, a fronte del -2,4 per cento del Centro-Nord. Delle 985.000 persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, 583.000 sono residenti nelle regioni meridionali. Una flessione che riporta il numero degli occupati del Sud, per la prima volta nella storia, a 5,8 milioni, il livello più basso dal 1977;
    i dati INPS sulle politiche attive per il lavoro evidenziano una sostanziale prevalenza in Campania di provvedimenti volti all'assunzione agevolata di disoccupati o beneficiari di Cig straordinaria da almeno 24 mesi o di giovani già impegnati in borse di lavoro;
    purtroppo, la Youth Guarantee – destinata ad incrementare l'occupazione dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni e che ha portato in dote alla Campania un tesoretto di circa 200 milioni (spalmato su iniziative di vario genere) – non ha, al momento, raggiunto gli obiettivi auspicati. Ciò fa ritenere che sarebbe stato più efficace – forse – destinare questi fondi a poche ma incisive iniziative, anziché ad una frammentata serie, anche alla luce delle due negative peculiarità che incidono sul quadro occupazionale della Campania: il lavoro nero e la criminalità organizzata. In quest'ottica, meritevole di straordinaria attenzione è, da un lato, l'apprendistato scuola-lavoro che ha la precipua finalità di formare i giovani tra i banchi di scuola (in quella delicata età in cui sono più facilmente vittime delle lusinghe della criminalità organizzata), dall'altro, un oculato utilizzo della leva degli sgravi fiscali e contributivi in favore delle imprese per l'assunzione dei giovani, anche in chiave di disincentivo al lavoro nero;
    peraltro, l'attuazione della Youth Guarantee è stata per lo più affidata a strutture obsolete e talora inefficienti, anche per mancanza di risorse, come i centri per l'impiego, che riescono ad intermediare solamente il 2 per cento del lavoro in Italia. Certo occorre anche ricordare che lo Stato investe su essi solamente circa 500 milioni di euro, contro i 5,6 miliardi della Francia e i 9 miliardi della Germania;
    il Pil dell'Italia non è più aumentato dal secondo trimestre del 2011 e anche per il secondo semestre di quest'anno risulta in ulteriore diminuzione (l'Istat conferma il dato tendenziale in lieve peggioramento: dal -0,2 per cento al -0,3 per cento). Da una parte, dunque, abbiamo il Nord del Paese che riparte, anche se in maniera non particolarmente incisiva, dall'altra il Sud che, pur arrestando la caduta, presenta dati ancora in negativo;
    la stessa dinamica si prevede per il 2015 e, in questo quadro generale, il Mezzogiorno perde ancora giovani e vive quasi una seconda grande migrazione: fenomeno che dal 2001 ha prodotto un saldo netto di 708.000 persone, di cui 494.000 tra 15 e 34 anni;
    in questa situazione, di per sé già grave, il rapporto Svimez sottolinea che non è solo la recessione ad accentuare il divario tra Nord e Sud, ma anche la spesa pubblica per investimenti che è calata in misura ancor maggiore. Nel 2012, la spesa aggiuntiva per la macroarea è infatti diminuita del 67,3 per cento del totale nazionale, ampiamente al di sotto della quota dell'80 per cento fissata per la ripartizione delle risorse aggiuntive tra aree depresse;
    nel Sud esistono poli di eccellenza da sviluppare e sostenere (si pensi, ad esempio, al CEINGE, il centro di ricerca in biotecnologie avanzate di Napoli impegnato in ricerche su un antidoto per il virus ebola). Su questi innovativi poli scientifici e tecnologici occorre investire per creare le premesse per una maggiore attrattività per il Sud, considerando anche i possibili interessi degli investitori internazionali;
    purtroppo, la crisi persistente ha determinato, invece, un processo di disinvestimento con conseguente ridimensionamento dell'apparato produttivo che ha innescato il rischio, nel Mezzogiorno d'Italia, di una vera e propria desertificazione industriale;
    è diventato, dunque, improcrastinabile promuovere la competitività del Paese attraverso investimenti mirati in infrastrutture su tutto il territorio nazionale e, soprattutto, nel Mezzogiorno ed in Campania, ben oltre gli stanziamenti decisi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: su una tranche di 15 opere infrastrutturali per 1.664 milioni di euro, ricadono nel Mezzogiorno solamente 90 milioni di euro per la metropolitana di Napoli, 60 milioni di euro per la rete ferroviaria pugliese e 143 milioni di euro per la Sardegna per sicurezza svincoli stradali: vale a dire appena il 17,8 per cento del totale (ciò al di là dei limiti dimostrati dalle regioni meridionali nella spesa dei fondi veicolati dalle politiche di coesione europee, come nella spesa ai fini delle opere di manutenzione per le quali è tristemente noto che su 16.640 mila chilometri di rete ferroviaria in Italia, il Mezzogiorno ne detiene 5.730 ma con il più alto numero di chilometri a binario singolo e con il 41 per cento di rete non elettrificata);
    sotto altro profilo, è diventato improcrastinabile promuovere la competitività del Mezzogiorno attraverso investimenti in innovazione e formazione;
    in particolare, il Mezzogiorno si compone per la gran parte di piccole e medie imprese che, se da un lato brillano per la qualità dei risultati, come emerge da un recente rapporto di Confartiginato (Progetto Sud), dall'altro non tendono all'internazionalizzazione stentando per esempio ad avviare importanti processi di digitalizzazione, né tantomeno investono in formazione interna, che è fondamentale componente della produttività;
    nel rapporto su «L'economia della Campania» pubblicato nel Rapporto annuale della Banca d'Italia (giugno 2014) è emerso che nel settore industriale in Campania, il fatturato è aumentato soprattutto per le imprese con elevata propensione all’export e gli investimenti hanno mostrato una dinamica migliore rispetto agli anni recenti, seppure limitatamente alle aziende di maggiore dimensione. Nell'edilizia, il calo di attività è stato più netto per le imprese fortemente dipendenti dalla domanda di opere pubbliche;
    sul mercato del credito, la dinamica dei prestiti si presenta assai negativa e si sono acuite le difficoltà di rimborso: alla fine del 2013 oltre un terzo dei prestiti erogati alle piccole imprese campane e circa un quarto di quelli erogati alle medio-grandi imprese erano classificati in sofferenza. È emersa tuttavia una lieve attenuazione della restrizione nelle condizioni di accesso al credito probabilmente dovuta ad una migliorata situazione di liquidità, favorita anche dal rimborso dei crediti commerciali verso la pubblica amministrazione;
    lo scorso anno, più del 60 per cento delle famiglie campane ha giudicato inadeguate le proprie risorse economiche: il dato è conseguenza, soprattutto, dell'alta disoccupazione e della debolezza dei salari, con l'aggravio di un carico fiscale che, nelle componenti legate all'autonomia impositiva degli enti locali, è superiore alla media nazionale;
    secondo l'indagine campionaria sul turismo internazionale della Banca d'Italia, nel 2013 sono aumentati sia gli arrivi sia le presenze di turisti stranieri in Campania (7,7 per cento e 4 per cento sull'anno precedente, rispettivamente). Rispetto al 2012 sono tornate a crescere presenze presso strutture alberghiere o case in affitto; inoltre, la spesa sostenuta dai viaggiatori stranieri sul territorio regionale è lievemente aumentata (1 per cento). Nel 2013 la spesa dei turisti stranieri ha rappresentato il 4,3 per cento del totale nazionale e l'1,5 per cento del Pil regionale (2,1 per cento in Italia). Tutto ciò rende evidente la necessità di maggiori investimenti nel settore turistico, attualmente più attrattivo rispetto ad altri settori;
    la situazione dei trasporti risulta assai problematica:  limitandoci all'analisi del solo traffico passeggeri negli scali portuali campani, esso è diminuito del 6,5 per cento lo scorso anno (-1,2 per cento nel 2012); contemporaneamente è proseguito il calo dei crocieristi (-3,4 per cento), nonostante l'aumento rilevato nel porto di Salerno. Le merci movimentate sono cresciute del 3,8 per cento, mentre è diminuito del 2 per cento il traffico di container, consolidando una tendenza in atto dal 2008. La quota di mercato campana del traffico container italiano è calata negli ultimi dodici anni di 3 punti percentuali (dal 10,3 per cento del 2001 al 7,4 per cento del 2013), a fronte di una sostanziale stabilità della quota meridionale. Il calo è stato in buona parte determinato, da un lato, dal mancato adeguamento dell'infrastruttura portuale napoletana al fenomeno del gigantismo navale, dall'altro, dalla mancanza di programmi e governance in grado di consentirne un efficace ed efficiente funzionamento, rischiando in tal modo anche la dispersione dei fondi europei;
    sotto il profilo degli investimenti, secondo i dati del Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici (Siope), che rileva gli incassi e i pagamenti effettuati dalle PA, nel 2013 i pagamenti per investimenti sostenuti dalle amministrazioni locali campane sono diminuiti del 3,6 per cento rispetto all'anno precedente;
    il 2013 è stato il settimo anno di attuazione del ciclo di programmazione 2007-2013: le risorse a disposizione della Campania, la cui certificazione dovrà essere completata entro la fine del 2015 pena il loro disimpegno, sono gestite nell'ambito di due Programmi operativi regionali (POR), uno relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e l'altro al Fondo sociale europeo (FSE). Dalla fine del 2011 il sensibile ritardo nell'attuazione finanziaria dei due programmi ha reso necessaria l'adozione di interventi correttivi concordati tra Governo e regione, tra i quali ingenti riduzioni di quote di cofinanziamento nazionale. La dotazione finanziaria complessiva dei POR, inizialmente di 8 miliardi, è così scesa a 5,4 miliardi a dicembre del 2013 (poco meno di 4,6 miliardi per il FESR e di 900 milioni per il FSE);
    l'irrisolta questione legata al rischio ambientale in Campania – si consideri nello specifico il territorio della cosiddetta Terra dei Fuochi – reca grave pregiudizio per un realistico rilancio del settore industriale e turistico: risulta perciò improcrastinabile un efficace sostegno alle politiche ambientali del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

   ad attivare un puntuale sistema di monitoraggio sullo stato di attuazione e di avanzamento degli interventi finanziati con i Fondi strutturali, al fine di impedirne la dispersione e garantirne un utilizzo efficace e rispondente alle reali esigenze territoriali;
   a promuovere un più tempestivo utilizzo delle disponibilità finanziarie provenienti dai fondi strutturali dell'Unione europea al fine di attenuare gli effetti del calo della domanda interna in tutto il Paese, con particolare riferimento alla regione Campania;
   a garantire, con la massima tempestività risorse adeguate per le politiche di recupero e promozione del patrimonio culturale e paesaggistico del Sud, ponendo particolare attenzione ai siti UNESCO e attingendo, se necessario, alla dotazione residua della programmazione 2007-2013;
   a potenziare i finanziamenti a favore della ricerca scientifica e industriale, dell'innovazione tecnologica e del settore infrastrutturale, programmando parte della dotazione prevista attraverso i Fondi aggiuntivi comunitari e nazionali (FESR, FSE, PAC, FSC e FSR), nel rispetto dei principi di semplificazione e di trasparenza dei procedimenti amministrativi, e provvedendo ad effettuare i controlli e ad erogare, le risorse finalizzate a tali interventi;
   a predisporre programmi e risorse adeguati per mettere in sicurezza e garantire una più efficiente gestione del traffico passeggeri e merci negli scali portuali campani, in particolare in quello di Napoli, superando l'annosa questione della governance;
   ad avviare politiche di sostegno alla creazione di filiere produttive con particolare attenzione al comparto turistico e al settore della green economy;
   a destinare con maggiore incisività i Fondi strutturali a progetti legati all'innovazione, all'occupazione e all'inclusione sociale al fine di garantire una maggiore attenzione alle politiche attive del lavoro;
   a favorire la diffusione delle informazioni per un più facile accesso agli aggiornamenti sullo stato delle destinazioni più rilevanti dei finanziamenti comunitari;
   ad adottare opportune iniziative per la realizzazione di interventi che consentano la totale messa in sicurezza dei territori italiani, riservando particolare attenzione al meridione e alla Campania, sia sul fronte del dissesto idrogeologico che su quello dell'inquinamento ambientale, garantendo, con risorse adeguate, il prosieguo dei processi di bonifica in corso;
   a porre particolare attenzione, attraverso un monitoraggio continuo, allo stato di salute delle piccole e medie imprese, attualmente in forti difficoltà, disponendo ogni utile iniziativa atta ad agevolare l'accesso al microcredito, che è quello che negli ultimi anni ha permesso di rilanciare l'economia di Paesi in crisi.
(1-00648) «Antimo Cesaro, Catania, Cimmino, D'Agostino, Sottanelli, Mazziotti Di Celso, Matarrese, Vargiu, Librandi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale crisi economica e politica ha generato un aggravio insostenibile per il Paese andando a ledere nel profondo i diritti sanciti dalla nostra Costituzione per tutti i cittadini. Condizioni di vita, opportunità lavorative, integrazione, salute, rete di protezione, sostegno, cura, rispetto, ogni giorno, troppo spesso, vengono lesi;
    oggi più che mai a rischio è non solo il benessere del nostro Paese ma, in troppi casi, addirittura la stessa sopravvivenza delle persone. Le emergenze sociali, a cui assistiamo ogni giorno, richiedono mia grande sforzo da parte delle Istituzioni, sforzo che i nostri concittadini faticano a percepire;
    le difficoltà degli italiani rischiano di diventare insormontabili a causa delle condizioni di crisi economica, sociale e dell'attuale immobilismo politico. Troppo spesso mancano concreti ed efficienti punti di riferimento, programmi di sostegno e assistenza. Queste lacune sono direttamente proporzionali al rischio dell'aumento di fenomeni quali emarginazione, abbandono, solitudine;
    è dalla capacità di contrastare detti meccanismi degenerativi che si misura il grado di civiltà di un Paese e delle sue istituzioni, ed è proprio in tale contesto che spicca il ruolo del dipartimento per le Pari opportunità, che ha il compito prendere in carico le situazioni di disagio sociale e di individuare e fornire gli strumenti adatti al superamento degli ostacoli che impediscono il conseguimento di uguaglianza ed equità sociale;
    per meglio comprendere l'emergenza in corso, di seguito sono indicate alcune delle principali mancanze, o danni, derivanti dalla situazione attuale, che si tramutano poi in difficoltà pratiche per la vita degli italiani:
    la cronaca nazionale riporta, sempre più spesso, episodi di femminicidio, maltrattamenti, bullismo omofobico, razzismo, stalking, e discriminazione;
    gli episodi di abuso e violenza contro le donne sono in perdurante crescita. Ciò nonostante siano state introdotte leggi come quella per il contrasto della violenza di genere (decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119) o la ratifica della Convenzione del Consiglio europeo per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, meglio nota come Convenzione di Istanbul;
    la Convenzione di Istanbul reca, tra le sue principali finalità, quella di «prevenire e contrastare la violenza intrafamiliare e altre specifiche forme di violenza contro le donne, di proteggere e fornire sostegno alle vittime di questa violenza nonché di perseguire gli autori»: essa, dunque, costituisce un importante strumento di precauzione e tutela in quanto vincola giuridicamente gli Stati in materia di violenza sulle donne e violenza domestica;
    in sintesi, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul devono mettere in campo adeguate risorse finanziarie ed umane in modo da realizzare i programmi e le politiche volte a combattere il fenomeno della violenza sulle donne e sono tenuti ad istituire un organismo che coordini e monitori tutte le misure destinate allo scopo previsto della Convenzione medesima;
    ulteriori profili connessi al tema del divieto di discriminazioni e delle pari opportunità quali, la tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale, la tutela dei diversamente abili, la rimozione delle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, sull'età, sulla religione, sulle convinzioni personali e, in via generale, tutte le tematiche connesse ai diritti civili sono state secondo i firmatari del presente atto palesemente ignorate dal Governo;
    ugualmente attuali e rilevanti sono le problematiche collegate alla rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e sull'origine etnica, acuitesi a seguito del massiccio afflusso di stranieri che ha trovato il nostro ordinamento gravemente impreparato, sotto il profilo sia istituzionale – amministrativo che socioculturale;
    le politiche relative ai temi appena citati sono particolarmente promosse e veicolate dall'UNAR (Ufficio antidiscriminazioni razziali), istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43 CE, che opera nell'ambito del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri. UNAR, in particolare, ha la funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di vigilare sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e di contribuire alla loro rimozione;
    a seguito del programma promosso dal Consiglio d'Europa «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», per l'attuazione e l'implementazione della Raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, al quale l'UNAR ha aderito estendendo, così, le sue competenze, è stata elaborata la Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, predisposta e coordinata dall'UNAR, in collaborazione con le diverse realtà istituzionali, le Associazioni LGBT e le parti sociali; la strategia nazionale, in base agli impegni comunitari, è finalizzata alla realizzazione di un piano triennale di azioni pilota (2013-2015), integrate e multidisciplinari, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni in tale ambito;
    rileva in proposito sottolineare e ribadire l'impegno assunto dall'Italia a rispettare quanto stabilito in sede europea con l'ultima relazione prodotta dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Relazione 8 gennaio 2014, relatore Ulrike Lunacek, sulla tabella di marcia dell'Unione europea contro l'omofobia e la discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere (2013/2183(INI)), in cui si «invitano gli Stati membri a rispettare gli obblighi previsti dal diritto dell'Unione europea e dalla raccomandazione del Consiglio d'Europa sulle misure per combattere la discriminazione basata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere»;
    l'aggravarsi della condizione della situazione occupazionale, specie con riferimento alla presenza delle donne nel mercato del lavoro, richiede una ottimizzazione del lavoro e del contributo prodotto, in ambito nazionale, dalla Consigliera nazionale di parità e dalle consigliere presenti nei territori anche attraverso un'attività di razionalizzazione, indirizzo e coordinamento degli organismi di pari opportunità e degli altri attori istituzionali che, ciascuno per la competenza attribuita, sono chiamati ad intervenire nella materia in esame, nella specie: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Comitato per l'imprenditoria femminile, le Commissioni per le pari opportunità regionali e provinciali, istituite presso i consigli regionali e provinciali, il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG) istituito nelle pubbliche amministrazioni (CUG), introdotto dall'articolo 21 della legge n. 183 del 4 novembre 2010;
    secondo un'indagine sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie condotta dall'Istat, nel 2012, il 29,9 per cento delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020. L'indicatore deriva dalla combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2011), della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro. L'indicatore adottato da Europa 2020 viene definito dalla quota di popolazione che sperimenta almeno una delle suddette condizioni. Rispetto al 2011, l'indicatore cresce di 1,7 punti percentuali, per l'aumento della quota di persone in famiglie severamente deprivate;
    il rischio di povertà o esclusione sociale è di 5,1 punti percentuali più elevato rispetto a quello medio europeo (pari al 24,8 per cento) come conseguenza della più elevata diffusione della severa deprivazione (14,5 per cento contro una media del 9,9 per cento) e del rischio di povertà (19,4 per cento contro 16,9 per cento). L'aumento della severa deprivazione, rispetto al 2011, è determinato dalla più elevata quota di individui in famiglie che non possono permettersi durante l'anno una settimana di ferie lontano da casa (dal 46,7 per cento al 50,8 per cento), che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 18,0 per cento al 21,2 per cento), che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6 per cento al 42,5 per cento) o che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 12,4 per cento al 16,8 per cento). Quasi la metà (il 48 per cento) dei residenti nel Mezzogiorno è a rischio di povertà ed esclusione mentre il rischio di povertà o esclusione sociale è più alto per le famiglie numerose (39,5 per cento) o monoreddito (48,3 per cento); aumenti significativi, tra il 2011 e il 2012, si registrano tra gli anziani soli, i monogenitori, le famiglie con tre o più figli;
    la metà delle famiglie residenti in Italia ha percepito, nel 2011, un reddito netto non superiore a 24.634 euro l'anno (circa 2.053 al mese);
    con riferimento al principio di parità di genere nel mondo del lavoro, si osserva che la perdurante carenza di effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro ha concorso all'aumento della disoccupazione femminile con effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
    recenti dati Istat, riferiti al primo trimestre del 2014, confermano il progressivo aumento della disoccupazione delle donne: a fronte di un impercettibile rialzo dell'occupazione maschile si registra, difatti, una significativa diminuzione di quella femminile (rispettivamente più 0,6 e meno 0,3 su base congiunturale; più 0,3 e meno 1,0 su base annua). Ad aprile 2014 le donne occupate erano 9.311.000, a maggio 9.263.000. Mentre il tasso di occupazione maschile sale al 64,8 per cento quello femminile scende al 46,3 per cento: il tasso di disoccupazione femminile dal 13,3 per cento sale al 13,8 per cento;
    in questo contesto di evidente criticità, le misure varate dal Governo non hanno dedicato spazio alcuno alle politiche finalizzate a rimuovere gli ostacoli strutturali alla realizzazione di pari opportunità e di effettiva conciliazione tra cura della famiglia e lavoro ma, all'opposto, hanno finito per incrementare il trend involutivo sopra evidenziato;
    le entrate dei comuni hanno subito una drastica diminuzione per effetto dei tagli e della riduzione dei fondi regionali distribuiti tramite le province; in particolare, le predette misure economiche hanno indotto molti comuni a ridurre drasticamente, se non addirittura ad eliminare, l'offerta di servizi pubblici, quali asili nido, scuole a tempo pieno, centri di assistenza agli anziani e disabili;
    la perdurante riduzione dei fondi da destinare alle spese nel settore dei servizi alla famiglia, reca effetti negativi sulla occupazione femminile, a causa delle evidenti difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, nonché effetti diretti sul personale impiegato nel settore dell'assistenza educativa;
    in assenza di serie e concrete politiche per la crescita, la disoccupazione dei giovani che sono costretti a vivere in famiglia imporrà ancora più carico di lavoro alle donne «anziane» che, con l'incremento dell'età pensionabile prevista dalla cosiddetta «Legge Fornero», dovranno conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni: un vero e proprio cortocircuito che deve essere arrestato;
    le dimensioni e la gravità del fenomeno analizzato impongono l'adozione di interventi normativi strutturali ed idonei ad invertire rapidamente la tendenza in atto in maniera tale da aumentare la presenza delle donne sul mercato del lavoro e ad eliminare i descritti divari di genere;
    bisogna provvedere ad una rivisitazione dell'istituto degli assegni per il nucleo familiare perché venga concesso anche alle lavoratrici autonome così come risulta opportuno introdurre ogni misura utile ad incentivare il lavoro a tempo parziale ed il lavoro autonomo;
    a ciò deve affiancarsi l'introduzione di adeguati incentivi fiscali e sgravi contributivi sia per i genitori che assumono direttamente personale specializzato per la cura dei bambini e delle persone adulte non autosufficienti, sia per i datori che assumono personale in sostituzione dei lavoratori in congedo; politiche ad hoc e risorse devono, inoltre, prevedersi per i datori di lavoro che investono nella realizzazione di asili o baby parking aziendali ovvero che stipulano convenzioni con ludoteche o asili privati;
    la partecipazione al processo di integrazione comunitaria, si ricorda, impone all'Italia un vincolo a sviluppare le politiche antidiscriminatorie e di pari opportunità, particolarmente sentite dall'Europa;
    in merito alle questioni citate, per converso, si registra in particolare il mancato, parziale o non corretto recepimento da parte del nostro Paese, di alcune direttive comunitarie di particolare rilievo. Il riferimento è in particolare alla direttiva 2000/78/CE (Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) e alla non conformità della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Riforma delle pensioni) con la normativa dell'Unione europea in materia di parità di trattamento tra uomini e donne (direttiva 2006/54/CE). È ridondante, a tal proposito, dover ricordare che più volte il nostro Paese è stato richiamato dall'Europa, anche con atti ben precisi (procedure d'infrazione e sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo), soprattutto relativamente alle quasi inesistenti politiche per la parità di genere e per l'inclusione lavorativa delle persone disabili;
    proprio relativamente a quest'ultima categoria di soggetti ed alle relative tutele e politiche inclusive e antidiscriminatorie, si registra ancora la mancata realizzazione del Piano d'azione biennale per la disabilità adottato dal Consiglio dei Ministri nel 2013, che prevede 7 linee di intervento;
    in tale ambito, in particolare, il contributo del dipartimento per le pari opportunità è espressamente previsto nella prima linea di intervento relativa alla riforma della procedura di riconoscimento dell'invalidità, ma il suo apporto è richiesto anche per le restanti linee, trattando queste di tematiche quali lavoro, inclusione nella società, inclusione scolastica. Al momento, il lavoro relativo alla realizzazione di tali linee di intervento non sembra essere stato neppure avviato;
    da ultimo, è altresì opportuno segnalare la mancata approvazione del Piano nazionale per gli interventi contro la tratta di esseri umani previsto nel decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24 («Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime») di recepimento della direttiva 2011/36/EU all'articolo 9, che doveva essere emanato entro la fine di giugno su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'interno. Al pari, nel medesimo provvedimento all'articolo 8 si prevede entro la fine di settembre 2014 la definizione, sulla base del mancante. Piano nazionale antitratta, del programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale delle vittime di tratta, che con tutta evidenza non si avrà modo di vedere nei termini previsti dalla legge. Assenze importanti e preoccupanti se si pensa che solo in Italia, nel 2010, le presunte vittime di tratta e quelle che si è riusciti a identificare ammontano a circa 2.400, ovvero il dato più alto dell'area euro, compresi i sette paesi che hanno chiesto di entrare in Europa; mentre a livello globale i dati oscillano tra le 600 mila e le 800 mila vittime annuali per un introito malavitoso pari a 32 miliardi di dollari. Secondo i dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e dell'ufficio delle nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), oltre il 70 per cento delle vittime di tratta sarebbe composto di donne, adulte e minori;
    sovente il Parlamento e le sue Commissioni si sono trovati ad affrontare questioni inerenti il Dipartimento per le pari opportunità;
    da parte del Gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle sono stati presentati nel corso della legislatura numerosi atti parlamentari che affrontavano alcune delle questione citate, a partire da due risoluzioni che, anzitutto, si proponevano di impegnare il Governo, già in tempi non sospetti, a nominare un nuovo Ministro per le pari opportunità; in particolare la prima (Risoluzione in commissione 7-00147 del 29 ottobre 2013, seduta n. 107), depositata in Commissione affari sociali, proponeva infatti, all'indomani delle dimissioni del Ministro per le pari opportunità Josefa Idem, di individuare un nuovo Ministro al quale assegnare anche la delega alla famiglia, avendo questa materia molte attinenze con le competenze del dipartimento;
    purtroppo, tali iniziative parlamentari e sollecitazioni sono rimaste inascoltate, non avendo ricevuto alcun riscontro, se non qualche cenno di apprezzamento e condivisione sfociati poi, numerose volte, in un nulla di fatto;
    lo scorso luglio è stata avviata dalla scrivente la petizione on-line «Si nomini subito un ministro per le Pari Opportunità» (sul sito www.change.org), diretta in special modo al premier Matteo Renzi, in cui vengono elencate le principali emergenze inerenti le pari opportunità segnalate da cittadini, giornalisti, associazioni, politici, che il Governo ha il dovere di affrontare al più presto;
    in tale prospettiva conforta riscontrare che detta iniziativa, lungi dal voler rincorrere l'obiettivo futile di dare meriti particolari ad una forza politica piuttosto che a un'altra, aspirando bensì a dar vita ad una battaglia trasversale che unisca cittadini e istituzioni, abbia finora superato le 2.500 adesioni da parte di cittadini e associazioni quali O.N.Da – Osservatorio nazionale sulla salute della Donna, ADUSBEF, Equality Italia, Arcigay Palermo, ANDDOS, Dol's Magazine – donne online dal 1999, Toponomastica femminile, Le nostre figlie non sono in vendita, Rispetto per le donne. L'agenda delle donne per l'Italia nazione europea, Arcigay Napoli, Gaynet, e due soli colleghi deputati, l'onorevole Kronbilcher e l'onorevole Fitzgerald;
    è opportuno ricordare, infine, che è appena stato inaugurato il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, dedicato proprio al tema delle pari opportunità. Quale migliore occasione, dunque, per rimetterci al passo, non solo per il bene del nostro Paese ma anche per dare all'Europa il segnale di un'Italia che su questi temi non deve prendere lezioni da nessuno,

impegna il Governo:

   a fornire ogni utile elemento alle Camere sull'attuale stato di elaborazione ed attuazione del Piano antiviolenza di cui al citato articolo 5, comma 1, del decreto «femminicidio», provvedendo inoltre nel più breve tempo possibile a stabilire una data ufficiale per l'emanazione del Piano medesimo;
   a ricorrere al coinvolgimento tempestivo delle associazioni di settore e dei centri antiviolenza di maggior esperienza dislocati nel Paese per la redazione e parere finale sul Piano antiviolenza così come sancito dagli articoli 7, 8 e 9 della Convenzione di Istanbul e dagli articoli 5 e 5-bis del decreto «femminicidio»;
   a riconoscere e attribuire piena indipendenza e implementazione del raggio d'azione dell'UNAR, estendendone la sfera di competenza a tutte le forme di discriminazione, non solo quelle razziali, provvedendo altresì a modificare anche la sua stessa denominazione, ormai anacronistica, in «UNA» (Ufficio nazionale antidiscriminazioni), dal momento che in Italia l'emergenza dei diritti civili resta ancora molto alta, nonché pone in essere le opportune attività, anche di carattere normativo, allo scopo di rimediare alla mancata previsione di garanzie adeguate e di una corretta educazione scolastica in tale ambito, come prescritto dalla normativa europea;
   a fornire la relazione sulle attività realizzate in virtù del Protocollo di intesa siglato il 30 gennaio 2013 tra UNAR e MIUR;
   a fornire la relazione dettagliata dei dati relativi ai rapporti prodotti dal Gruppo di monitoraggio e supporto alla costituzione e sperimentazione dei Comitati unici di garanzia per le pari opportunità ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto interdipartimentale (dipartimenti della funzione pubblica e delle pari opportunità) del 18 aprile 2012, illustrando, più in generale, gli eventuali risultati prodotti e i conseguenti miglioramenti delle condizioni lavorative, nonché l'andamento delle attività in corso, a distanza di tre anni dalla costituzione dei C.U.G.;
   a garantire l'effettiva attuazione del Piano d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, adottato dal Consiglio dei ministri nel dicembre 2013, ove il contributo del dipartimento per le pari opportunità, in particolare, è previsto espressamente nella prima linea di intervento, riguardante la revisione del sistema di accesso, del riconoscimento e della certificazione della condizione di disabilità e l'intervento a livello sociosanitario, assicurando i relativi stanziamenti, così come da impegno del Sottosegretario al lavoro e politiche sociali onorevole Franca Biondelli, nonché per le restanti linee di intervento, trattando queste di tematiche quali lavoro, inclusione nella società, inclusione scolastica;
   a provvedere urgentemente all'approvazione del Piano nazionale per gli interventi contro la tratta di esseri umani ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo) 4 marzo 2014, n. 24 («Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime») nonché alla conseguente adozione del programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale delle vittime di tratta previsto all'articolo 8 del medesimo decreto legislativo;
   a porre in essere opportune attività di adeguamento della normativa nazionale, ottemperando così agli impegni assunti in sede comunitaria, con particolare riferimento all'implementazione della Direttiva 2000/78/CE (Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) e alla non conformità della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Riforma delle pensioni) con la normativa dell'Unione europea in materia di parità di trattamento tra uomini e donne (direttiva 2006/54/CE);
   a prevedere un coordinamento operativo a livello centrale e nazionale al fine di una razionalizzazione e valorizzazione degli organismi nazionali e territoriali preposti, a vario titolo, al monitoraggio delle politiche di pari opportunità e alla rimozione delle discriminazioni e degli ostacoli che minano l'effettiva realizzazione della parità di genere;
   ad assumere, in tempi rapidi, ogni iniziativa di competenza per introdurre misure volte a contrastare la violenza psicologica in ambito familiare e le molteplici forme di diseguaglianza, con particolare riguardo a quelle che si presentano tra cittadini del nord e cittadini del sud Italia, che risultano in sensibile aumento per effetto della crisi economica in atto;
   ad introdurre nuove e concrete politiche per la conciliazione tra la cura della famiglia e l'attività lavorativa incentivando particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part-time, il telelavoro, il lavoro autonomo e imprenditoriale, introducendo la possibilità di un uso flessibile e personalizzato dei congedi obbligatori e facoltativi unitamente alla previsione di sgravi contributivi ed agevolazioni fiscali per il genitore lavoratore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza della persona;
   ad adottare in tempi rapidi le opportune iniziative volte a introdurre misure di sostegno, anche tramite forme di incentivazione fiscale e contributiva, a favore di tutti i datori di lavoro – privati e pubblici – che istituiscono asili nido aziendali o altre iniziative informali (baby sitting o baby parking).
(1-00649) «Di Vita, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Baroni, Dall'Osso, Cecconi, Di Benedetto, Lupo, Chimienti, Businarolo, Dadone, Spadoni, Mucci, Villarosa, Luigi Di Maio, Nuti, Nesci, Bechis, Massimiliano Bernini, Ciprini, Lombardi, Tofalo, Basilio».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni IX e XIII,
   premesso che:
    una delle principali misure per garantire la crescita dal punto di vista sociale, economico, occupazionale e culturale delle nostre comunità è quella di essere inclusi nei rapidi e profondi processi di innovazione e di sviluppo tecnologico che sono da tempo ormai in atto nella società, con particolare rilevanza nel campo delle comunicazioni e delle informazioni;
    risulta quindi indispensabile ed urgente incentivare l'opportunità di effettuare la connessione ad internet mediante l'infrastruttura telematica a «banda larga» al fine di poter usufruire, in modo rapido, efficace e qualitativamente ed economicamente sostenibile di tutti i servizi che si sono sviluppati in rete (dall’e-government, all’e-business, all’e-commerce, all’e-learning e all’e-health);
    la Commissione europea con decisione C(2010) 2956 del 30 aprile 2010 ha approvato il regime di aiuto n. 646/2009 concernente l'attuazione del progetto di intervento pubblico «banda larga nelle aree rurali d'Italia» nell'ambito dei programmi di sviluppo rurale 2007-2013 e con decisione C(2012) 9833 del 18 dicembre 2012 ha varato il Progetto strategico banda ultralarga;
    nel 2008 è stato varato Il Piano nazionale banda larga con l'obiettivo di eliminare entro il 2013 il deficit infrastrutturale presente in oltre 6 mila località del paese (prevalentemente a carattere rurale e marginale), i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato, poiché economicamente non redditizie;
    tale Piano (si legge nel sito internet dello sviluppo economico) «nasce dall'esigenza di avere un'unica strategia nazionale per abbattere il digital divide, ai sensi dell'articolo 1 della legge 18 giugno 2009, n. 69 che attribuisce al Ministero dello sviluppo economico il coordinamento di tutti i programmi d'intervento avviati nel territorio italiano volti all'implementazione delle reti a banda larga. L'intervento è coordinato dal Dipartimento per le comunicazioni del Ministero dello sviluppo economico mediante accordi di Programma con le regioni, e attuato dalla società in-house Infratel Italia»;
    successivamente con la legge numero 134 del 2012 e la Legge numero 221 del 2012, è stata istituita e definita la realizzazione dell'Agenda digitale. Sulla base della strategia varata nel 2010 dalla Commissione europea («Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva»), l'Agenda mira a rendere liberamente disponibili i dati delle pubbliche amministrazioni; si propone di incentivare la trasparenza, la responsabilità e l'efficienza del settore pubblico; punta ad alimentare l'innovazione e stimolare la crescita economica. Il termine ultimo per la realizzazione è il 2020; entro questa data dovranno essere portati a compimento numerosi obiettivi. Tra questi, l'uso sociale della tecnologia, la realizzazione delle reti di nuova generazione e, più in generale, l'alfabetizzazione digitale;
    nonostante queste misure, secondo gli ultimi dati resi noti, l'Italia è infatti tra i paesi più lontani dal raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Agenda digitale europea; il nostro Paese è addirittura al 57o posto tra i fruitori «abituali» di internet che si assestano ad oggi al 58 per cento della popolazione;
    tale gap viene amplificato nei territori marginali e nella aree rurali dove soltanto il 17 per cento degli abitanti può contare su una connessione costante e di qualità (contro l'89 per cento dei centri urbani);
    emerge come tale situazione pesi in maniera grave e perdurante nella crescita e nella competitività dell'intero settore primario (uno dei principali volani del «made in Italy») che ha rappresentato fino ad oggi, pur nella crisi economica, un settore anticiclico per quanto riguarda la promozione di fatturati e di occupazione;
    nello specifico da recenti studi è emerso come le aziende agricole «informatizzate» siano circa 61 mila (3,8 per cento del totale). Tale quota raggiunge i livelli massimi nel Nord-Ovest (10,9 per cento) e nel Nord-Est (8,1 per cento), mentre tocca valori minimi nelle Isole (2 per cento) e nel Sud (1,3 per cento);
    si tratta quindi di numeri che certificano come ad oggi le imprese agricole non siano nelle condizioni di cogliere tutte le opportunità di crescita e di snellimento amministrativo e burocratico che sarebbe invece in grado di offrire uno sviluppo infrastrutturale digitale omogeneo ed efficace sull'interno territorio nazionale;
    con la legge n. 98 del 2013 la «cabina di regia» istituzionale per l'attuazione dell'agenda digitale (disposta con l'articolo 47, comma 2, della legge 35 del 2012) è stata aperta al contributo del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con l'obiettivo fondamentale di favorire l'accesso ad internet nelle zone rurali;
    secondo quanto dichiarato recentemente a mezzo stampa dal viceministro dello sviluppo economico, Antonio Catricalà, nelle scorse settimane, il Governo «reinserirà nella Legge di Stabilità i 20 milioni di euro per l'agenda digitale che erano stati tagliati nel Decreto del Fare e usati per le tv locali»;
    appare quindi evidente la volontà dell'attuale esecutivo di emanare provvedimenti mirati e stanziare finanziamenti utili per promuovere l'Agenda digitale e lo sviluppo della banda larga, in particolare nelle zone marginali;
    sono disponibili, attraverso la nuova Pac 2014/2020 risorse economiche specifiche per promuovere la competitività dell'agricoltura e lo sviluppo equilibrato delle zone agricole. I Fondi europei per lo sviluppo rurale (Fears) per l'Italia ammontano a circa 10,5 miliardi di euro a cui si aggiunge il cofinanziamento nazionale che porterà a 21 miliardi di euro il totale delle risorse disponibili;
    si sta definendo in questi giorni l'accordo di partenariato, che contiene le linee guida attraverso le quali il nostro Paese s'impegna a declinare le politiche di sviluppo rurale;
    il 25 settembre 2012 la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione (numero 8-00013 «Sulla politica di sviluppo rurale in relazione all'Accordo di partenariato sulla programmazione dei fondi europei per il periodo 2014-2020») che impegna il Governo «a garantire che le priorità strategiche indicate nell'Accordo di partenariato si traducano in azioni concrete per l'impiego efficace delle risorse finanziarie disponibili» anche nella realizzazione della «banda larga, contenuta tra gli obiettivi strategici dell'Agenda digitale, nelle aree lontane dai centri urbani, ancora escluse e prive di interesse economico proprio per l'assenza di una rete efficace»,

impegna il Governo:

   a completare entro le scadenze previste, coerentemente con gli impegni già assunti e gli investimenti già stanziati in sede comunitaria e nazionale (a partire da piano nazionale banda larga e l'agenda digitale), l'infrastruttura digitale su tutto il territorio nazionale al fine di consentire anche alle zone marginali, rurali ed agricole uno sviluppo sociale, economico ed occupazionale compatibile con le peculiarità, le vocazioni e le risorse territoriali;
   ad avviare con urgenza gli interventi necessari per superare il digital divide nelle aree svantaggiate del Paese e ad indirizzare le politiche ed i progetti delle amministrazioni centrali e regionali per intervenire nelle aree a fallimento di mercato;
   a garantire – anche nell'ambito della manovra per il 2014 – la conservazione in bilancio degli somme necessarie alla realizzazione del Piano, per l'intero importo inizialmente stanziato;
   a concertare, assieme alla conferenza delle regioni, indirizzi per utilizzare al meglio le opportunità previste nei piani di sviluppo rurale per il superamento del digital divide;
   ad adottare tutti provvedimenti necessari alla semplificazione, allo snellimento e all'accelerazione degli adempimenti amministrativi richiesti per l'attuazione di tutti gli interventi del piano, anche mediante concertazione delle amministrazioni locali e territoriali interessate.
(7-00502) «Cenni, Valiante, Oliverio, Fiorio, Cova, Luciano Agostini, Terrosi, Tentori, Antezza, Covello, Coppola, Carra, Zanin».


   La III Commissione,
   premesso che:
    in data 22 settembre 2014, il Comitato permanente per i diritti umani istituito presso la Commissione affari esteri della Camera dei deputati, ha audito l'audizione il professor Mukesh Kapila, rappresentante speciale per l'Aegis Trust per la prevenzione dei crimini contro l'umanità;
    sono ormai trascorsi più di dieci anni dall'inizio del conflitto, nel 2003, ed è tuttora difficile calcolare esattamente il numero dei morti di questo genocidio di cui si è reso responsabile il Governo sudanese;
    l'attuale situazione nel Sudan occidentale è tuttora segnata da diffusa violenza e impunità. Nonostante due accordi di pace, il Darfur è ancora lontano da una vera pace e la regione è segnata invece da miseria e consistenti ondate di profughi che tentano di lasciare il Darfur;
    la situazione attuale nei Monti Nuba appare molto più drammatica di quella in Darfur di 10 anni fa. I livelli di violenza in Darfur erano certamente elevati, ma i modi di portare avanti il conflitto erano più rudimentali: i Janjaweed (letteralmente «demoni a cavallo», un gruppo di miliziani arabi reclutati fra i membri delle locali tribù nomadi dei Baggara) si muovevano a dorso di cammelli con bombe di tipo rudimentale. Oggi, sotto altro nome, guidano Land Cruisers, sono armati di caccia bombardieri che lanciano missili balistici, bombe a grappolo, mine e anche carri armati; dunque, confrontando il Sudan di oggi con quello di 10 anni fa se ne può concludere che la violenza è aumentata e si è espansa ad altre regioni oltre al Darfur, dove la violenza continua, ovvero ad altre regioni di confine abitate da popolazione di origine tribale nera africana: la regione del Nilo Blu, dei Monti Nuba e di Abiey;
    nella regione dei Monti Nuba, un milione di persone vive dentro a grotte, poiché i bombardamenti sono costanti. I quattro ospedali nella zona controllata dai ribelli sono stati tutti bombardati dal Governo sudanese nel mese di giugno 2014. Questa è una chiara violazione della legge umanitaria internazionale, è un crimine di guerra e un attacco alla dignità umana. Cose simili accadono anche nella regione del Nilo Blu. Poiché si è registrato in questi anni un fallimento dell'intervento internazionale in Darfur, il regime sudanese si è ovviamente sentito incoraggiato a perpetrare i suoi crimini;
    in Sudan ci sono approssimativamente 7 milioni di persone coinvolte da un tentativo di pulizia etnica in diverse zone del Paese; ciò significa che la criticità della situazione umanitaria in termini di diritti umani in Sudan risulta essere tra le peggiori al mondo. In Darfur ci sono 2 milioni di persone incarcerate in campi per rifugiati interni, dove vivono come prigionieri. Le donne che escono dal campo vengono stuprate costantemente e sistematicamente ormai da dieci anni;
    le missioni di peacekeeping dell'ONU in Sudan hanno fallito gravemente nella protezione dei civili e i processi politici in Sudan risultano frammentati. Parte attiva di alcuni processi sono le Nazioni Unite, mentre di altri processi è l'Unione africana. C’è un processo separato per la regione di Abiey, un processo separato per il Darfur, un processo separato per il resto del Sudan e il presidente sudanese Omar al Bashir, di fatto non coopera né con l'Unione africana né con le Nazioni Unite, perché nel momento in cui dovesse essere adottato un approccio onnicomprensivo, egli dovrebbe rispondere di tutto quello che ha fatto;
    al momento, il Sudan è una minaccia per la sicurezza dell'Africa, e del mondo in generale, poiché nel regime del Sudan proliferano terrorismo, malattie e armi leggere. Anche la pace in Sud Sudan è altamente dipendente dalla pace in Sudan. La situazione nella Repubblica centroafricana (RCA) è anch'essa legata al Sudan, poiché il regime di Khai-tounn offre rifugio ai combattenti più estremisti della RCA;
    il Sudan oggi è in grado di permettersi l'acquisto di aerei moderni e armi moderne, alcuni dei quali fabbricati in Sudan, ma per la maggior parte importati. Le sanzioni applicate dagli Stati Uniti e da parte dell'Unione europea risultano essere non chiare, vaghe e facilmente eludibili; infatti, diversi Paesi promuovono singolarmente diverse azioni commerciali, alcuni segretamente, altri addirittura ignorano completamente e pubblicamente le sanzioni. Vengono inoltre tenute conferenze che incoraggiano il commercio tra il Sudan e i Paesi dell'Unione europea;
    ci sono molte organizzazioni umanitarie che non portano aiuto nelle aree dove l'accesso viene negato dal regime sudanese. Tali organizzazioni, temendo il regime, non intendono infrangere le restrizioni del Governo sudanese con il risultato che i fondi raccolti vanno a finanziare l'organizzazione invece che l'assistenza alla popolazione,

impegna il Governo:

   a promuovere, nelle sedi internazionali, un approccio onnicomprensivo verso i processi politici in Sudan al fine di unificare e risolvere tutti i problemi assieme dal momento che non è possibile risolverli singolarmente;
   a supportare i mandati di arresto della Corte criminale internazionale contro Omar al-Bashir e altri esponenti del regime di Khartoum;
   a promuovere presso le Nazioni Unite, sanzioni economiche, finanziarie, commerciali e sugli armamenti contro il Sudan per favorire la riduzione dei mezzi del regime sudanese utilizzati per fare guerra al proprio popolo e per assicurare che il regime di Khartoum non continui a rafforzarsi attraverso le risorse che derivano dal petrolio e da altri mezzi, grazie alle quali può approvvigionarsi di armi per il controllo del suo popolo;
   a ritirare l'ambasciatore italiano a Khartoum e, al fine di isolare dal punto di vista diplomatico il regime sudanese, ad adoperarsi affinché tutti gli Stati membri dell'Unione europea avviino un'analoga azione che preveda il ritiro gli ambasciatori europei in missione diplomatica sostituendoli con ufficiali incaricati di minor livello, per mandare un segnale politico molto forte, facendo capire al regime che i Paesi europei non sono più disposti a tollerare il comportamento tenuto nell'ultimo decennio;
   a promuovere, nelle opportune sedi internazionali, iniziative umanitarie indirizzate anche alle aree meno accessibili, assicurando che i fondi raccolti siano utilizzati per assistere la popolazione con particolare attenzione alle persone maggiormente in difficoltà.
(7-00501) «Scagliusi, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Sibilia, Del Grosso, Grande».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'applicazione delle direttiva nitrati (91/676/CEE) che l'Italia ha adottato nel 2006 a seguito di una procedura di infrazione per mancato recepimento, ha comportato l'obbligo da parte di tutte le regioni di predispone specifici piani di azione, che definiscono quantitativi, modalità e periodi per la distribuzione dei fertilizzanti, e di perimetrare le «zone vulnerabili ai nitrati» che hanno compreso la totalità dei comprensori nazionali a più alta vocazione zootecnica. In queste aree, la possibilità di utilizzare azoto organico sui terreni viene ridotta della metà, passando dai 340 kg/ha/anno delle aree «non vulnerabili» alla quantità di 170 kg/ha/anno delle «aree vulnerabili»;
    nel 2011, al termine di un negoziato che si è protratto per oltre due anni, la Commissione Europea ha autorizzato una deroga ad un gruppo di regioni della pianura padana (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto) che sono state autorizzate ad elevare la quantità di azoto utilizzabile nelle aree vulnerabili, su richiesta dei singoli agricoltori e sotto condizioni di gestione molto rigorose e stringenti, da 170 a 250 kg/ha/anno;
    i parametri di utilizzo dell'azoto organico sui terreni previsti dalla direttiva nitrati sono molto stringenti e, all'epoca dell'emanazione della direttiva, calcolati facendo riferimento alle condizioni pedoclimatiche e zootecniche delle regioni del nord Europa. A titolo di esempio, è stato possibile dimostrare che nelle zone della pianura padana le condizioni di gestione imposte per la deroga permettono di migliorare il livello di assorbimento dell'azoto rispetto ai parametri della direttiva, pur in presenza di un incremento da 170 a 250 kg/ha (+ 50 per cento circa). Da rilevare poi che la medesima direttiva, pur precisando limiti così stringenti per l'azoto organico, nulla dice dell'utilizzo dell'azoto chimico, sostanzialmente libero;
     in realtà, sulla base di ricerche condotte dalla regione Lombardia con l'università di Milano, la sovrapposizione della mappa delle zone vulnerabili con quella dei punti di superamento della concentrazione dei nitrati rivela che ci sono intere zone designate che non presentano alcun superamento della soglia dei 50 mg/l, necessaria a giustificare la designazione come vulnerabile dell'area. Altre aree mostrano, invece, un diffuso superamento della soglia dei 50 mg/l, ma non risulta che rivesta un ruolo realmente significativo il carico zootecnico, quanto, invece, la pressione delle acque reflue urbane in relazione alle criticità depurative o delle acque reflue di origine industriale;
    ciò nonostante, la perimetrazione delle aree vulnerabili copre ampie aree del nord Italia, mettendo in enorme difficoltà le attività di allevamento, pur in presenza di una concentrazione urbana ed antropica che ha certamente effetti importanti e decisivi sulla qualità delle acque superficiali e sotterranee, tenuto anche conto come l'Italia sia stata condannata per avere omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire il rispetto delle prescrizioni comunitarie riguardo agli scarichi civili ed industriali (sentenza della Corte di Giustizia, 10 aprile 2014 – causa C-85/13 Commissione europea/Italia);
    nell'area padana, ma non solo, le aziende agricole non sono in condizione di rientrare in tempi brevissimi neppure nei parametri di deroga (e tanto meno nei parametri delle aree vulnerabili), in quanto mancano letteralmente superfici agricole in quantità sufficiente a sostenere il carico zootecnico, che peraltro non potrebbe essere distribuito in misura sostanziale nelle altre aree del Paese;
    l'articolo 36, comma 7-ter, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 pone a carico delle regioni e delle province autonome l'obbligo di provvedere all'aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, secondo quanto concordato sulla base dell'Accordo Stato-regioni, stipulato il 5 maggio 2011 ed in conformità ai criteri ivi indicate;
    l'accordo citato, in particolare, prevedeva, tra l'altro, la predisposizione di uno studio da parte di ISPRA, finalizzato alla verifica della congruità dell'attuale perimetrazione rispetto ai monitoraggi ed alla definizione dei carichi inquinanti attribuibili ai diversi settori civili e produttivi, per una razionale ed equa ripartizione delle rispettive responsabilità e dei conseguenti oneri. La norma assegnava alle regioni ed alle province autonome il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (termine scaduto il 18 marzo 2013), prevedendo che, in caso di inerzia degli enti competenti, il Governo dovesse esercitare il potere sostitutivo entro un anno dalla data di entrata in vigore della medesima legge di conversione (termine scaduto il 18 dicembre 2013). La decorrenza infruttuosa dei termini lascia irrisolto il problema della necessaria rivisitazione delle zone vulnerabili e dei relativi criteri di individuazione, con conseguenze onerosissime sulle imprese agricole che operano all'interno dei territori designate;
    Ispra, in attuazione dell'Accordo, ha avviato gli studi e, a febbraio 2014, ha prodotto i primi risultati. Obiettivo del lavoro è stato quello di predispone un quadro sinottico complessivo, per cinque regioni indagate (Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna), della potenziale pericolosità sino alla scala comunale, a cui sono esposte le acque sotterranee in ragione delle pressioni esercitate sul suolo dal territorio e da alcune attività antropiche;
    dai primi risultati prodotti, applicando differenti metodologie di analisi, è emerso che circa il 50 per cento del territorio può essere descritto da un basso grado di pericolo e che la maggior parte del territorio, indipendentemente dal grado di pericolo ad esso associabile, è prevalentemente soggetto alla presenza di sorgenti multiple. Il quadro sinottico complessivo evidenzia, inoltre, come il contributo «prevalente» di natura «zootecnica», così come soprattutto quello «civile» interessino non più del 10 per cento delle superfici regionali (tranne nel Piemonte in cui il primo raggiunge il 19 per cento), né interessano le aree esposte a pericolo alto ed elevato d'impatto, se non per limitatissime percentuali delle superficie regionale in Piemonte ed in Lombardia. Tale risultato evidenzia la non attribuibilità a tali tipologie di sorgenti, cioè allo «zootecnico prevalente» ed al «civile prevalente», di una comunemente e aprioristicamente assunta, unica e significativa responsabilità del processo di contaminazione da nitrati;
    nella sostanza, quindi, il settore agricolo, ancora oggi, paga un prezzo pesantissimo in termini di limitazioni e costi produttivi e della sovrapposizione, nei valori rilevati dalle analisi periodicamente comunicate alla Commissione europea, degli scarichi civili con quelli agricoli;
    la ricerca nel campo propone sempre diverse e più efficaci tecnologie per la gestione degli effluenti di allevamento e per il miglioramento dell'efficienza della gestione delle componenti azotate nelle aziende agricole;
    le possibili soluzioni alla problematica degli eccessi di nutrienti sul territorio incidono anche per gli aspetti economici sull'economia dell'azienda;
    ultimamente alcune tecnologie avanzate utilizzano specifici prodotti nelle lettiere per neutralizzare i nitrati e arrivano ad abbattere anche del 50 per cento le componenti azotate degli effluenti con significative riduzioni dei costi di gestione delle aziende;
    l'articolo 26 del decreto ministeriale 7 aprile 2006 prevede che nel periodo dal 1o novembre al 28 febbraio sia vietato lo spandimento degli effluenti zootecnici e delle acque reflue nonché dei concimi azotati e degli ammendanti organici di cui alla legge n. 748 del 1984, quindi all'interno di un periodo di 120 giorni sono previsti 90 di blocco;
    è in corso da alcuni anni, ma in particolare dal maggio 2014, la revisione del suddetto decreto ministeriale riguardo una significativa modifica del fermo invernale, che prevede una apertura al digestato equiparabile, elaborata dalle regioni e condivisa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sottoposta ora al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    il 5 agosto 2014 si è svolta una riunione del tavolo nitrati nazionale nella quale sembrava in dirittura di arrivo la modifica al decreto e che sarebbe stato esaminato in conferenza Stato regioni entro il mese di settembre. Al momento, però, questo non è ancora avvenuto e quindi c’è il rischio fondato che le regole da applicare al prossimo divieto invernale siano quelle in vigore e non quelle nuove proposte,

impegna il Governo:

   individuare ed attuare efficaci strumenti per garantire la proporzionalità e l'adeguatezza delle misure di contenimento dell'apporto di nitrati applicate al settore agricolo;
   ad adottare le opportune iniziative per promuovere tecniche innovative per l'abbattimento dei nitrati provenienti dalla gestione degli effluenti di allevamento, allo scopo di prevenire i rischi di inquinamento del territorio e delle falde derivanti dall'attività agraria, con costi sostenuti per le aziende;
   ad intervenire affinché si proceda, in tempi utili per consentire alle regioni di applicarlo prima dell'inizio della brutta stagione, alla revisione del decreto ministeriale 7 aprile 2006 per le parti di interesse delle imprese agricole allo scopo di dare maggiore elasticità alle aziende nel periodo invernale;
   a porre in essere le seguenti azioni prioritarie:
    a) assicurare tramite lo studio ISPRA, la tempestiva analisi dell'inquinamento da nitrati e delle fonti di pressione, distinguendo la responsabilità del sistema agricolo rispetto ai sistemi civili ed industriali;
    b) ad assumere ogni iniziativa di competenza per la tempestiva revisione dell'estensione delle aree vulnerabili basata su dati scientifici innovativi ed aggiornati, da presentare alla Commissione europea;
    c) assumere un'iniziativa normativa, in modo da inserire, tra i criteri di riferimento per la perimetrazione delle zone vulnerabili, l'obbligo di valutazione, da parte delle regioni, delle concorrenti fonti di pressione;
    d) provvedere ad una revisione, delle modalità di calcolo degli apporti di azoto provenienti dalle diverse tipologie di allevamento, definendo le riduzioni percentuali da applicare in caso di accertata concorrenza di altri fattori di pressione;
    e) sollecitare l'Unione europea, al fine di rivedere, sulla base dei dati scientifici oggi disponibili e dei monitoraggi effettuati puntualmente negli ultimi venti anni, la direttiva 91/676/CEE, distinguendo i limiti in funzione almeno delle macro regioni agricole europee;
    f) provvedere alla revisione del programma nazionale nitrati, in modo da aggiornarne le opzioni alla realtà tecnologica attuale ed ai dati oggi disponibili e dare finalmente il via, d'intesa tra i Ministeri coinvolti, a semplificazioni e razionalizzazioni normative anche funzionali alla realizzazione degli investimenti necessari, da inserire nelle previsioni dei piani di sviluppo rurale regionali.
(7-00500) «Caon, Guidesi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità nazionale anticorruzione ha accolto le argomentazioni depositate dagli avvocati Arrigo Allegri e Pietro De Angelis che evidenziano che l’iter di realizzazione e di gestione dell'inceneritore di Parma violava la libera concorrenza;
   il 22 ottobre 2014 il presidente dell'Anac Raffaele Cantone in audizione di fronte alla Commissione parlamentare sulle ecomafie ha affermato di aver inviato una richiesta di chiarimenti al comune, alla provincia e a Iren sull’iter di realizzazione del termovalorizzatore di Parma e sulle sue procedure soffermandosi sulla società che in partenza era pubblica e poi è diventata un spa;
   si legge nel testo di Anac firmata dall'ingegner Filippo Romano il 22 ottobre 2014: «Si considera che gli eventi che hanno caratterizzato la realizzazione del Pai, con particolare riferimento alle modifiche statutarie all'ex municipalizzata e all'originaria estensione della privata comunale sui rifiuti allo smaltimento, abbiano causato una distorsione della concorrenza e comportato una posizione di vantaggio di Iren rispetto ad altri potenziali operatori economici, ciò sia per la realizzazione del termovalorizzatore, di cui poteva essere di fatto l'unico proponente, sia per le future attività di gestione stessa del ciclo integrato dei rifiuti nell'area parmense»;
   l'affidamento ad Enia della costruzione e gestione dell'impianto è avvenuta senza alcuna gara d'appalto;
   tutte queste operazioni, in questi anni sono state condivise politicamente dalla regione Emilia Romagna a guida di Errani e del Pd. La giunta del Pd non rispose mai nel merito alle interrogazioni del Movimento 5 Stelle in regione;
   il 24 novembre 2011 l'allora Commissario europeo alla trasparenza Michel Barnier nella sua lettera di messa in mora all'Italia denunciò poca trasparenza sui costi dell'inceneritore, oltre alle violazioni delle norme in tema di concorrenza, non solo per l'appalto, ma anche per quanto riguardava il servizio di raccolta rifiuti a Parma, Reggio Emilia e Piacenza –:
   quale sia lo status della procedura d'infrazione aperta contro l'Italia inviata dal Commissario europeo alla trasparenza al Governo italiano nel novembre 2011;
   quali nuove iniziative normative il Governo intenda attuare per garantire massima trasparenza e per prevenire possibili fenomeni di sprechi di denaro e corruzione nell'assegnazione di appalti pubblici. (4-06620)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI e CHIMIENTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Alitalia-CAI (Compagnia aerea italiana) spa, la principale compagnia aerea italiana che rappresenta uno degli asset strategici del nostro Paese, risulta attraversare un difficile periodo di crisi economica che ha colpito e colpisce a tutt'oggi anche il personale dell'azienda;
   in data 12 luglio 2014, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in Roma, le società del gruppo Alitalia, i sindacati e le istituzioni si sono riunite definendo il programma di gestione della crisi aziendale e degli esuberi tramite l'accordo quadro tra gruppo Alitalia ed Etihad Airways con l'acquisizione, da parte di quest'ultima, del 49 per cento delle azioni;
   in tale accordo, le parti interessate hanno stabilito l'esubero inizialmente di 2.251 risorse successivamente scese a 1.635, del Gruppo Alitalia-CAI con diverse modalità tra le quali, solo per citarne alcune, un'incentivazione di euro 10.000 lordi a chi manifesti la non opposizione alla risoluzione del rapporto di lavoro, la ricollocazione in società che partecipano agli utili con la medesima azienda, la riqualificazione di 200 unità da destinarsi all'impiego in attività aeroportuali di terra;
   in data 7 ottobre 2014, sul sito «fattoquotidiano.it» veniva riportata la notizia che, a discrezione del sindacato Usb, Etihad Airways stia avviando procedure di nuove, assunzioni senza considerare eventuali riassorbimenti del personale rientrante negli esuberi avviati dall'accordo quadro del 12 luglio 2014;
   in data 1o luglio 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, onorevole Maurizio Lupi, in risposta all'interrogazione a risposta immediata in assemblea (n. 3-00918) dell'onorevole Laffranco, aveva affermato che l'obiettivo del Governo sia quello di rilanciare Alitalia entrando nel merito degli esuberi e dando il minore impatto sociale che questi esuberi possano avere, con particolari attenzioni riguardo ad esternalizzazioni e mettendo a disposizione gli ammortizzatori sociali e gli strumenti preposti –:
   se sia noto con quali criteri siano stati selezionati i lavoratori del gruppo Alitalia-CAI rientranti negli esuberi;
   se per il personale più anziano in servizio, prossimo alla pensione e rientrante negli esuberi annunciati, venga preferito lo strumento della cassa integrazione rispetto al criterio della mobilità;
   in cosa consista il programma di ricollocazione delle 200 unità da destinarsi all'impiego in attività aeroportuali di terra e, a parità di requisiti indicati nell'accordo quadro e nel caso le unità indicate fossero superiori al numero stabilito, con quali criteri verranno assegnati i 200 posti disponibili;
   se risulti confermata la notizia che la compagnia Etihad Airways, non intende porre in essere eventuali riassorbimenti del personale in esubero dal Gruppo Alitalia e, nel caso la notizia sia confermata, quale posizione ritenga eventualmente di assumere il Governo a riguardo. (4-06624)


   SORIAL, CARINELLI, CASO, COMINARDI, PETRAROLI, TONINELLI e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da l'Espresso, Giandomenico Maltauro, finito agli arresti domiciliari con l'accusa di corruzione e turbativa d'asta nell'ambito dell'inchiesta sull'Expo 2015, in un verbale del mese di maggio 2014 avrebbe dichiarato che l'ex funzionario Pci e l'ex parlamentare Dc Frigerio avevano «riferimenti politici»;
   precisamente Maltauro avrebbe spiegato: «Intendo essere più preciso su questi riferimenti politici e al riguardo specifico che Greganti nelle occasioni in cui ho avuto modo di discutere direttamente con lui, e comunque per quello che sul punto mi hanno anche riferito gli altri indagati come Frigerio e Sergio Cattozzo, manteneva ancora un'assidua frequentazione politica con personaggi appartenenti alla vecchia guardia del Partito Democratico, con i quali sapevo che manteneva rapporti anche nell'attualità. Tra questi, egli (Greganti) mi ha fatto i nomi di Bersani, Fassino, Burlando e Sposetti». Inoltre, sempre stando al verbale di Maltauro, «Frigerio mi diceva innanzitutto che il suo punto di riferimento politico era Silvio Berlusconi, con il quale aveva una certa frequentazione; tuttavia egli mi fece parola anche di altri personaggi di quell'area politica, tra cui Gianni Letta, il ministro Lupi, Maroni, Fitto, il presidente della provincia di Milano Podestà e l'assessore alla sanità della Regione Lombardia Mantovani»;
   in un altro verbale, datato 23 luglio l'ex direttore generale di Ilspa, Antonio Rognoni, tra gli imputati nell'inchiesta sulla presunta «cupola degli appalti», ha raccontato ai pubblici ministeri di Milano di una presunta frequentazione tra Giuseppe Sala e l'ex senatore Grillo;
   nessuno dei politici nominati dall'imprenditore Maltauro o dall'ex direttore generale Rognoni risulterebbe indagato;
   dalle prime ricostruzioni degli inquirenti l'attribuzione dei lavori all'impresa Maltauro per la realizzazione delle strutture di servizio per l'Expo risulterebbe, che sia stata pilotata in favore del gruppo «direttamente collegato all'opera e all'intervento di «faccendieri» presso gli enti pubblici» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e non ritenga intervenire, per quanto di competenza, considerando che tali dichiarazioni possono instillare nei cittadini un pericoloso clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni;
   se non consideri altresì necessario promuovere iniziative normative volte a rendere più stringente il controllo contro eventuali commistioni tra politica e criminalità soprattutto quando ci sono in gioco appalti per eventi di rilievo nazionale, attorno ai quali gravitano ingenti risorse economiche. (4-06629)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, SEGONI, DE ROSA, MANNINO, DAGA, MICILLO, BUSTO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le notizie delle alluvioni che ancora una volta sono arrivate da Genova, dalla Toscana e dall'Emilia in queste prime settimane della stagione autunnale hanno provocato forti preoccupazioni anche nelle altre regioni italiane che negli ultimi anni hanno subito lo stesso destino di quei territori;
   la fragilità del territorio che si è mostrata per l'ennesima volta in tutta la sua gravità fa sorgere preoccupanti interrogativi ai quali la popolazione chiede di ricevere risposta nel più breve tempo possibile;
   infatti, le misure messe in atto dai Governi in collaborazione con gli enti locali per monitorare e classificare le aree a rischio, quali ad esempio il PAI (Piano di assetto idrogeologico), non appaiono sufficienti a garantire la sicurezza dei cittadini che a ogni annuncio di una pioggia abbondante sono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni o comunque ad assistere impotenti all'evolversi della situazione;
   emblematico a questo proposito è il caso del progetto di realizzazione di un impianto per la produzione di energia elettrica e termica mediante digestione anaerobica nel comune di Ostra presentato in data 22 aprile 2010 dalla società En-Ergon Srl;
   la localizzazione dell'impianto ricade all'interno della zona Zipa a Casine di Ostra, più precisamente nella pianura alluvionale del Torrente Nevola che dista appena 200 metri dal lotto, ed a poco più di 900 metri dal punto in cui lo stesso confluisce nel Misa;
   il lotto risulta essere in un'area esondabile non cartografata dal Piano di assetto idrogeologico delle Marche, ma che presenta tutti i caratteri di esondabilità. In effetti già nel 2011 è stata oggetto di evento calamitoso come è possibile verificare dalla documentazione fotografica raccolta dalle testate giornalistiche locali e dai comitati e rintracciabile in rete;
   il 3 maggio 2014 tutta la zona Zipa, insediata e quella soggetta ad ampliamento, è stata di nuovo sommersa dall'acqua, come documentato nelle diverse diffide inviate dai comitati agli enti preposti per chiedere la riperimetrizzazione del Piano di assetto idrogeologico. In particolare nel lotto dove dovrà sorgere la centrale vi era più di un metro di acqua;
   la regione Marche ha classificato l'esondazione avvenuta nel 2014 individuando l'entità dei tempi di ritorno come quarantennale, il che significa che valutando il tempo di ritorno centennale come richiesto per l'elaborazione delle mappe del rischio alluvioni dalla direttiva europea 2007/60 all'articolo 6, comma 3, lettera b), la quantità di acqua che potrebbe riversarsi sulla stessa area sarebbe pari a circa il doppio;
   questo scenario rappresenta un grave e reale pericolo per la salute dei cittadini che abitano nell'area circostante la zona interessata dal progetto e che potrebbero subire direttamente le conseguenze dell'inquinamento diffuso provocato dal trasporto dei reflui e delle sostanze legate all'attività dell'impianto in progetto per mezzo dell'acqua di esondazione;
   il Governo ha già prodotto degli indirizzi operativi, validi in tutto l'ambito territoriale nazionale in accordo con le amministrazioni regionali, raccolti appunto nel documento conclusivo del tavolo tecnico Stato-regioni «indirizzi operativi per l'attuazione della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione ed alla gestione dei rischi da alluvioni con riferimento alla predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni (decreto legislativo n. 49 del 2010)»;
   nel caso specifico della regione Marche con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 marzo 2011 è stato nominato il dottor Antonio Senni commissario straordinario per la mitigazione del dissesto idrogeologico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se siano state stimate le ricadute sul sistema idrogeologico dell'area sulla quale insisterebbe l'impianto;
   se il Ministro, per quanto di competenza, non ritenga necessario intervenire con accertamenti in grado di stabilire se in questo caso specifico sia stato rispettato fino in fondo quanto indicato nel documento conclusivo del tavolo tecnico Stato-regioni «indirizzi operativi per l'attuazione della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione ed alla gestione dei rischi da alluvioni con riferimento alla predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni (decreto legislativo n. 49 del 2010)»;
   di quali elementi e dati il Ministro interrogato disponga circa il rischio idrogeologico del territorio della regione Marche;
   quali tipi di controllo il Ministero abbia messo in atto al fine di verificare l'operatività dei commissari straordinari per la mitigazione del dissesto idrogeologico nominati su tutto il territorio nazionale;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario intervenire a livello normativo per fare in modo che in fase di rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione di opere come quelle indicate in premessa sia richiesta una valutazione dei possibili rischi di inquinamento diffuso provocati da eventi calamitosi come le alluvioni.
(3-01118)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2012 la polizia municipale di Ostuni (BR) scopre, in località Lamacornola all'interno di una vecchia cava di tufi ormai in disuso da tempo, una discarica abusiva e pone l'area sotto sequestro avviando, contestualmente, le opportune indagini sulle provenienza dei rifiuti sversati e sui responsabili dell'illegale sversamento;
   l'area interessata dalla discarica abusiva si trova all'interno del parco regionale «Dune costiere da Torre Canne a Torre S. Leonardo», istituito con legge regionale n. 31 del 27 ottobre;
   i terreni circostanti l'area sono utilizzati ai fini agricoli per la coltura di ortaggi e per l'irrigazione degli stessi viene utilizzata acqua proveniente dal pozzo freatico che si trova proprio al fianco della citata area;
   i terreni in cui si trova la discarica abusiva sono di proprietà della curia di Brindisi;
   ad oggi non risultano bonifiche dell'area, né da parte dei proprietari dei terreni, né da parte dell'ente parco, né da parte del comune di Ostuni;
   i rifiuti ivi sversati, totalmente esposti agli agenti atmosferici, si stanno disgregando in minuscoli frammenti che, col vento, potrebbero essere trasportati anche in aree lontane dal sito in questione;
   nello stesso sito è possibile notare irregolari dossi, ormai ricoperti di vegetazione spontanea, che potrebbero essere meritevoli di carotaggi per verificare la presenza di rifiuti sversati e ricoperti da cumuli di terra –:
   quali iniziative di competenza intenda mettere in campo per occuparsi del sito in questione, in virtù delle problematiche esposte in premessa e se, in particolare, intenda promuovere una verifica da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente. (4-06625)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è stato assegnato alla città di Matera il titolo di città «Capitale europea della cultura 2019»;
   tale nomina è avvenuta dopo anni in cui molte città candidate sono arrivate ad una fase finale con sei finaliste;
   tra le città finaliste figuravano anche Lecce, Ravenna, Cagliari, Siena e Perugia;
   ormai da mesi molte voci, sia tra gli addetti ai lavori, sia circolate mediante la rete ed i social network, e financo le società di scommesse, davano la città di Matera come sicura vincitrice del titolo, cosa avvenuta poi lo scorso 17 ottobre 2014;
   nel gruppo dirigente vicino al Presidente del Consiglio Renzi figurano molti esponenti politici della Basilicata, tra i quali l'onorevole Gianni Pittella, Presidente del gruppo dei democratici in Europa e Vicepresidente del Parlamento Europeo, gli onorevoli De Filippo e Bubbico, componenti del Governo, e Giampaolo D'Andrea, già Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e attuale capo di gabinetto del Ministro dei beni culturali onorevole Dario Franceschini;
   anche alcuni giornali nazionali si sono occupati di tale questione, come il «Fatto Quotidiano» del 19 ottobre 2014 con un articolo a firma di Antonello Caporale nel quale si legge testualmente: «La terra dove Cultura fa rima con Petrolio Matera diventa capitale europea nel 2019 ma con lo "sblocca Italia" il governo ha dato Ok alle trivellazioni selvagge. E se fosse uno scambio ?», e dove si rincara la dose con riferimenti ai fratelli Pittella. Caporale scrive che «Lo scambio, è accusa senza prove però, sarebbe: tu mi fai bucare e io ti premio. Certo è che la classe dirigente che governa la Regione non è stata mai — dai tempi di Emilio Colombo, un dominus democristiano che per un trentennio interpretò le istanze di quella terra remota — così vicina al cuore del potere. La famiglia Pittella ha messo radici a Strasburgo, dove con Gianni guida il gruppo parlamentare europeo, e a Potenza domina la regione con il fratello minore Marcello»; ed è ancora Caporale che scrive che «La famiglia Pittella ha messo radici a Strasburgo e a Potenza domina la regione (con un'adesione totale alla linea dei tagli di Renzi) imprevidenza. Ma forse quelle parole così avventate erano frutto dell'entusiasmo (o figlie del debito da saldare);
   ma la Basilicata a Roma gode di altri sponsor eccellenti: due ex governatori oggi al governo (De Filippo alla Salute, Bubbico all'Interno) e poi, distanziato negli affetti del leader, il capogruppo alla Camera del Pd Roberto Speranza»;
   comunque la città di Matera, già riconosciuta patrimonio mondiale dell'UNESCO, è un gioiello da valorizzare ed ha una storia di tutto rispetto con le meraviglie dei «sassi», e aveva tutti i requisiti per poter ottenere questo nuovo importante riconoscimento –:
   di quali elementi disponga il Governo, nell'ambito delle sue competenze, sui fatti esposti in premessa. (4-06627)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la base USAF di San Vito dei Normanni (San Vito dei Normanni Air Station) era una struttura militare dell'aeronautica degli Stati Uniti d'America (United States air force security service) situata a circa 10 chilometri a nord ovest di Brindisi, in una posizione intermedia fra il porto di Brindisi e la città di San Vito dei Normanni;
   San Vito dei Normanni Air Station è stata attivata grazie ad un accordo segreto tra il Governo italiano e gli Stati Uniti d'America, in piena Guerra Fredda il 1o novembre 1960. Nel 1959 arrivarono i primi americani a San Vito dei Normanni e dopo aver recintato i 117 ettari in località Pozzo de Vito, diedero il via alla costruzione delle installazioni logistiche che permisero poi al 6917oradio squadron mobile nel novembre del 1960 di entrare in attività. Nel 1963 questo reparto cambiava denominazione in quella più appropriata di 6917oelectronic security group, affiancato in seguito dal 2113ocommunication squadron da una sezione distaccata della marina americana, la naval security group activity. Nel frattempo si procedeva alla costruzione della struttura che prese il nome di «The elephant's cage» (la gabbia dell'elefante), antenna radiogoniometrica ad alta frequenza AN/FRLG-9 che entrò in funzione nel 1964. Nel 1967 l'attività di spionaggio della base passò alle dipendenze operative alla NSA (National security agency). Nel 1967 nella base vi erano circa 5000 cittadini statunitensi, tra operativi e famiglie, che in parte furono ospitati nei 280 alloggi interni alla base, ma molti altri nei paesi circostanti. All'inizio degli anni ottanta conseguentemente all'affermazione della tecnologia satellitare che rendeva superflue ed antiquate le grandi installazioni fisse come San Vito. La guerra del golfo del ‘91 fu l'ultima operazione convenzionale alla quale partecipò la base e con il disfacimento del Patto di Varsavia, arrivò l'ordine di smobilitazione della base che da aprile 1993 cessò di operare con lo scioglimento del 6917oSecurity Group e del gruppo di Sicurezza Navale. Alla partenza degli specialisti del 6917o, l'Aviazione americana (USAF) non abbandonò San Vito, per decidere invece l'istituzione del 775oair base group che, con qualche centinaio di militari ebbe il compito di sorvegliare le apparecchiature rimaste, la grande antenna, alcune strutture importanti per la NSA ed il sistema Echelon, come la stessa stazione di osservazione solare, importantissima per il controllo del funzionamento dei sistemi satellitari militari e civili. Alla fine del 1993, a seguito della guerra civile nella ex Yugoslavia, la base USAF si trasformò in un punto di appoggio logistico e di stazionamento per le missioni «Deny flight» e «Provide Promise». Il 12 agosto 1994 il 775oair group cessò di esistere e con esso gran parte delle attività che avevano mantenuto sino allora efficiente la piccola cittadella americana, gli alloggi, le scuole, gli impianti sportivi e tutte le attività collaterali alle quali erano interessati anche i circa 350 impiegati civili italiani. Contemporaneamente, nasceva un altro reparto dell'aviazione USAF, il 775o Air Base Squadron composto da circa 200 uomini e dipendente dal 616o gruppo di Aviano. Con la fine della guerra del Kosovo, partirono i Navy Seal, i loro aerei ed elicotteri, ad eccezione di un reparto addetto alla sorveglianza del perimetro esterno e all'efficienza della stazione di osservazione solare della NSA. Fu subito istituita una commissione paritetica USA – Italia, il cui capo delegazione per parte italiana, il colonnello Giorgio Serravalle, trattò la cessione della base dagli USA al Ministero della difesa italiano. La grande antenna che, in un primo momento, a causa degli alti costi di rimozione, sembrava fosse destinata a rimanere lì, fu smantellata. Dal gennaio 2001, dopo che gli USA comunicarono l'intenzione di non utilizzare più la base, è iniziata la procedura per la restituzione del terreno e la cessione delle strutture, che doveva compiersi al prezzo nominale di un dollaro entro tre anni;
   il 24 luglio 2003 nella base americana di Ramstein, in Germania, con una cerimonia ufficiale, alla presenza del colonnello Casertano (per lo Stato maggiore dell'aereonautica militare) e del comandante dell'aeroporto di Brindisi, Rolando Tempesta, è stato sancito il passaggio della base di San Vito dall'Aeronautica USA a quella italiana;
   solo una piccola porzione della base, pari a 712 ettari, resta in uso agli Stati Uniti d'America, con un recinto autonomo ed è quella che ospita il Solar Observatory (osservatorio solare), una delle sei strutture a livello mondiale dell'Air Force Solar Electro – Optical Network (SEON), la quale ha dislocato in tutto il mondo questi siti per assicurare il controllo del sole 24 ore su 24;
   il Governo italiano, dopo la visita del segretario dell'ONU alla ex base USAF, ha deciso di donare parte della struttura (15 ettari) allo United Nations World Food Programme (WFP) come supporto logistico della base operativa delle Nazioni Unite di Brindisi;
   i restanti 90 ettari, attualmente in gestione all'Aereonautica militare italiana, sono stati oggetto di alcuni interventi di bonifica. Le operazioni di raccolta, rimozione e conferimento a discarica di materiale di risulta, costituito essenzialmente da lastre di copertura in cemento-amianto, sono state eseguite durante la fase di messa in sicurezza di emergenza ed in particolare a partire dal 5 ottobre 2011 e fino al 24 febbraio 2012. Le restanti operazioni di bonifica conseguenti alla conferenza dei servizi del 25 maggio 2012 di approvazione del piano di caratterizzazione, sono state condotte a partire dal 29 luglio 1013 e fino al 04 ottobre 2013. Tali interventi hanno riguardato tutte le criticità di cui al citato piano di caratterizzazione ed in particolare: lavori di bonifica aree contaminate da idrocarburi pesanti (compreso rimozione serbatoi e smaltimento terreno contaminato); lavori di rimozione e smaltimento trasformatori contenenti fluidi dielettrici additivati con PCB; lavori di bonifica e smaltimento rifiuti misti provenienti dal crollo di fabbricati;
   il 26 ottobre 2013 una delegazione di parlamentari del M5S composta dal vicepresidente della Commissione difesa della Camera dei deputati Massimo Artini, dai deputati Paolo Bernini e Gianluca Rizzo ha compiuto una visita ex base USAF di San Vito dei Normanni (Br). In quell'occasione è stato possibile visitare i vecchi alloggi dei militari USA, gli edifici del comando militare, le strutture utilizzate a suo tempo per accogliere una comunità di oltre 3000 mila militari, compresa una clinica ora abbandonata ma che versa, nonostante la più che ventennale chiusura, in uno stato non di degrado. La delegazione ha inoltre verificato che la bonifica dall'amianto e degli altri materiali pericolosi operata dal Ministero della difesa di concerto con le autorità locali è terminata il 4 ottobre 2013 –:
   quali iniziative s'intendano porre in essere per la ex base USAF di San Vito dei Normanni, specificando se la stessa rimarrà nella disponibilità del demanio militare o sarà dismessa per confluire nel demanio civile. (4-06619)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


   BRUNETTA e PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è tenuta a Firenze la quinta edizione della «Leopolda», la convention ideata dal Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi. Una manifestazione di tre giorni di discussione su temi dell'attualità politica italiana, che non si professa ufficialmente «kermesse di partito», ma che è in ogni caso indissolubilmente legata al Presidente Renzi, che è anche segretario nazionale del Partito democratico;
   una convention, quindi, necessariamente collegata alla politica e, in particolare, al Partito democratico, vista anche la presenza di buona parte dei Ministri del Partito democratico che compongono l'Esecutivo del Presidente Renzi, e di numerosissimi parlamentari del Partito democratico;
   tra gli ospiti che hanno preso parte alla manifestazione fiorentina spicca anche il direttore dell'Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, che, con tutto il rispetto per il ruolo ricoperto, non avrebbe una «giustificazione ufficiale» per la propria partecipazione al suddetto evento;
   si tratta, infatti, di un ruolo di alto profilo che, per correttezza istituzionale e deontologia professionale, non potrebbe prendere parte a manifestazioni direttamente riconducibili a partiti politici: la sua presenza alla «Leopolda» rischia, infatti, di politicizzare una figura che dovrebbe essere super partes, con il solo obiettivo di servire il Paese e i cittadini italiani –:
   se sia coerente con il ruolo ricoperto la partecipazione alla manifestazione della «Leopolda» da parte del direttore dell'Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, o se, al contrario, la sua presenza abbia potuto politicizzare una figura istituzionale super partes che, proprio per l'attività svolta, non potrebbe in alcun modo risultare legata alla politica, né tantomeno ad uno specifico partito. (3-01119)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla riforma dei ministeri prevista dal decreto legislativo n. 300 del 1999, nacque il Ministero dell'economia e delle finanze che accorpò i Ministeri del tesoro e del bilancio. A coordinare l'attività del nuovo Ministero (noto pure con l'acronimo MEF) furono create quattro agenzie fiscali (entrate, territorio, dogane e monopoli di Stato). In sostanza il MEF amministra la politica economica, la politica finanziaria e di bilancio, il coordinamento della spesa pubblica, le politiche fiscali e il sistema tributario, demanio e patrimonio dello Stato, catasto e dogane e la programmazione;
   in seguito alla cosiddetta spending review avviata dal Governo Monti sul finire del 2011, si è proceduto con la incorporazione dell'Agenzia del territorio in quella delle entrate e dei monopoli di Stato nell'Agenzia delle dogane;
   tale operazione sembrerebbe più di facciata che non di sostanza, come sostengono gli esperti e gli operatori del settore che negano il conseguimento di risparmi apprezzabili in termini quantitativi, quanto invece temono che ibride ammucchiate possano ulteriormente compromettere il funzionamento della macchina fiscale;
   in effetti, al deputato interrogante vengono segnalati disagi e disservizi presso le agenzie provinciali del territorio, soprattutto visto che a tutt'oggi solo sulla carta è avvenuta l'unificazione con le entrate, mentre mancano istruzioni operative e quindi sono in sofferenza importanti servizi di istituto, specialmente quelli vincolati ai termini di decadenza;
   occorre a questo proposito evidenziare come, secondo quanto segnalato al deputato interrogante, fosse stato previsto tempestivamente rappresentato il rischio del blocco, al punto che la stesse commissioni parlamentari competenti se ne erano rese conto ed avevano chiesto invano una pausa di riflessione;
   occorre peraltro segnalare che l'unificazione tra Agenzia delle entrate e del territorio ha concentrato in un unico soggetto (il direttore dell'Agenzia medesima) un potere immenso che va dalla gestione di una corposa platea di personale all'accertamento ed alla determinazione delle coerenze catastali ed alla gestione delle imposte immobiliari. Secondo quanto segnalato al deputato interrogante, una tale concentrazione di potere rappresenta un unicum negli ordinamenti europei dove l'ente accertatore non si identifica con l'ente impositore;
   le agenzie fiscali sono caratterizzate da competenze e professionalità diverse in quanti operano in distinti settori danni enormi ne derivano da una grande confusione di personale eterogeneo dai diversi sistemi di lavoro, dalla peculiarità del servizio di pubblicità immobiliare, alla riforma del catasto;
   occorre peraltro ribadire che non risultano economie, in quanto nulla è cambiato: i dipendenti occupano gli stessi locali precedenti alle fusioni e i dirigenti dell'ex Agenzia del territorio sono diventati aggiunti dell'Agenzia delle entrate con le stesse retribuzioni e con minori responsabilità rispetto alle precedenti gestioni in quanto la loro funzione risulta alquanto marginale nella attività quotidiana;
   secondo quanto riportato da fonti di stampa, peraltro, la fusione tra monopoli e Agenzia delle dogane ha un costo annuale di 10 milioni di euro solo per gli adeguamenti stipendiali –:
   se non ritenga urgente e necessario elaborare un adeguato monitoraggio circa la sussistenza di risparmi, se esistenti, sia con riferimento alle economie conseguite sia quelle conseguibili nel medio-lungo periodo;
   se vi sia il rischio che tali accorpamenti delle Agenzie, che l'interrogante giudica maldresti, oltre a non produrre alcun risparmio di spesa, possano incidere negativamente non solo sulla loro funzionalità ed efficienza, ma soprattutto sulla lotta all'evasione fiscale, quanto mai necessaria in questa contingenza storico-economica. (4-06617)


   VILLAROSA, BARBANTI e RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 maggio 2014 viene presentata, all'assemblea ordinaria dei partecipanti, la relazione annuale di Banca d'Italia. Da questo importante documento si viene a conoscenza dell'ammontare degli elevatissimi stipendi dei dirigenti della Banca d'Italia;
   il direttore generale percepisce 450.000 euro l'anno, ognuno dei tre vicedirettori generali 315.000 euro, un funzionario generale 130.000 euro ed il Governatore ben 495.000 euro. Per quanto riguarda i compensi per organi collegiali centrali e periferici, gli emolumenti attribuiti al complesso dei Consiglieri superiori, sono pari a 371.020 euro per il Collegio sindacale e 137.430 euro per il Direttorio;
   nel complesso, il piccolo «esercito» di oltre 7.000 persone alle dipendenze della Banca d'Italia, costa ogni anno 1,2 miliardi di euro, infatti la Banca d'Italia, nelle sue 58 filiali, dispone di 606 dirigenti, 1.449 funzionari, 1.317 coadiutori, 3.697 dipendenti;
   nel 2013 l'ammontare totale degli stipendi (599 milioni di euro), sommati agli oneri (155 milioni di euro), altre spese per il personale (47 milioni di euro) è stato di 801 milioni di euro, cui si aggiungono pensioni e indennità di fine rapporto (293 milioni), adeguamento contributi ed altri oneri (63 milioni), spese amministrazione (441 milioni di euro), per un totale, sommando anche gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali ed immateriali e la voce generica «altre spese», di 1,8 miliardi di euro alla voce spese ed oneri diversi;
   da un articolo, di wallstreetitalia del 15 ottobre 2014, si apprende la notizia che il Governatore Visco stia per consegnare, ai dirigenti di Banca d'Italia, carte di credito «aziendali» con un tetto di spesa da 7.500 fino a 10.000 euro mensili per ogni carta e, quindi, per ogni dirigente, tale novità è avvalorata dalla presenza di documenti relativi alla gara di appalto indetta da «Palazzo Koch» che cerca un fornitore per le circa 1.000 carte «aziendali» destinate ai dirigenti;
   il Governatore Visco spesso esprime la sua opinione sui temi della disoccupazione, tagli alla spesa sociale, pensioni e tutto ciò che riguarda e preoccupa la cittadinanza in questo particolare periodo storico, ma mai, sembra, abbia cercato di arginare i privilegi e l'ingente utilizzo delle risorse economiche dell'Istituzione da lui governata;
   agli interroganti appare altresì non congruo e non attuale l'ammontare degli emolumenti poco sopra indicati che collidono palesemente con la situazione socio-economica e socio-politica attualmente riscontrabile nel nostro Paese;
   l'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, nello stabilire un limite massimo alle retribuzioni nella pubblica amministrazione, recita esplicitamente che: «la Banca d'Italia, nella sua autonomia organizzativa e finanziaria, adegua il suo ordinamento ai principi di cui al presente articolo –:
   se risulti al Governo come si sia proceduto all'attuazione di quanto disposto ai sensi dell'articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 66 del 2014. (4-06628)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il Ministro della giustizia, rispondendo all'interrogazione a risposta immediata in assemblea n. 3-00854, discussa in data 4 giugno 2014, riferì che era intenzione del Ministero verificare le conseguenze dell'applicazione della riforma delle circoscrizioni giudiziarie, in particolare per quanto concerneva gli 8 tribunali individuati nel decreto ministeriale 13 settembre 2013, tenendo conto anche delle conclusioni cui sarebbe pervenuto il Gruppo di lavoro, di verifica e di monitoraggio appositamente costituito che, a quel momento, non aveva ancora presentato la relazione conclusiva;
   nella stessa occasione il Ministro non escluse la possibilità di adottare provvedimenti di correzione della geografia delle sedi giudiziarie, disegnata dalla riforma, avvalendosi della delega conferita, a suo tempo, dal Parlamento il cui termine di esercizio sarebbe scaduto il 14 settembre 2014;
   il Governo non si è avvalso di tale facoltà e dalle comunità locali si sono levate voci di protesta volte ad evidenziare i disservizi provocati, in alcuni casi, dall'applicazione della riforma. In risposta alle sollecitazioni provenienti dai territori interessati, il Ministro ha, in più di una circostanza, ipotizzato un nuovo intervento volto a correggere alcune sperequazioni – una sorta di «tagliando» alla riforma – da adottare in concomitanza della annunciata revisione degli ambiti territoriali delle corti di appello. Si ricorda, fra i tanti, l'intervento svolto nel 32o Congresso nazionale forense tenutosi a Venezia l'11 ottobre scorso che, anche per la rilevanza dell'evento, ha suscitato particolar attenzione e rinnovato la speranza di un provvedimento di modifica della più volte citata riforma;
   per dare corpo alle intenzioni si confidava in una delega che il Parlamento avrebbe potuto conferire al Governo in sede di conversione del decreto-legge 12 settembre 2014, n.132, in materia di processo civile. Nel testo della legge di conversione approvato dal Senato della Repubblica, non vi è traccia di tale delega, ma in compenso si interviene sugli uffici del giudice di Pace di Barra e Ostia;
   tra le cause della mancata emanazione dei provvedimenti adottabili entro la data del 14 settembre, è ragionevole inserire le conclusioni del già citato gruppo di lavoro che tendono a minimizzare i disagi lamentati, negli ambiti territoriali di alcuni dei tribunali soppressi;
   nello specifico, il caso del tribunale di Alba costituiva uno dei più evidenti errori di valutazione della riforma, tant’è che già in un articolo apparso sul Sole-24 Ore dell'11 giugno veniva individuato come uno dei sette tribunali che avrebbero potuto essere recuperati o eventualmente trasformati in sezioni staccate. I fatti succedutisi da allora, hanno dimostrato quanto frettolose fossero le conclusioni cui era giunto il Gruppo di lavoro ministeriale – secondo il quale l'accorpamento al tribunale di Asti sarebbe avvenuto senza particolari problemi – e quanto contrastanti con l'opinione del mondo forense e delle comunità locali, che lamentano una rilevante serie di disservizi. Si cita, in particolare il quotidiano La Stampa che nelle pagine dedicate alla provincia di Cuneo evidenzia, in data 22 settembre, che oggi il tribunale di Asti impiega 4 mesi per l'emissione di un decreto ingiuntivo, mentre in precedenza il tribunale di Alba vi provvedeva in quattro giorni;
   ancora più eclatante il caso apparso, in data 18 ottobre 2014, sul quotidiano online «Targato CN», che descrive le peripezie di un'azienda alimentare con sede a Narzole (CN) e stabilimenti a Narzole (CN) ed ad Ivrea (TO) che rischia il fallimento, poiché a tutt'oggi non ha avuto risposta ad un'istanza di concordato, depositata nel febbraio 2014, presso il tribunale di Asti;
   l'articolo sopra citato descrive il fatto come emblematico delle inefficienze della giustizia italiana e delle ricadute che queste spesso hanno sulla vita delle aziende ed appare molto significativo che la doglianza provenga da un'impresa con sede legale nel territorio dell’ex tribunale di Alba, che era, quindi, abituata ad attendersi ben altra sollecitudine –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare per dare corpo alle intenzioni più volte dichiarate di rimediare alle distorsioni della riforma delle circoscrizioni giudiziarie, con particolare riferimento al tribunale di Alba, al fine di evitare l'ennesima discrasia fra intenzioni proclamate ed azioni intraprese, malattia antica della politica che in questi ultimi anni si è aggravata sino a divenire la principale ragione delle scollamento tra i cittadini e le istituzioni.
(2-00732) «Monchiero, Rabino, Mazziotti Di Celso».

Interrogazioni a risposta scritta:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI e CHIMIENTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 ottobre 2014, veniva pubblicato sul quotidiano online «Il Giorno-Monza Brianza» e il giorno successivo sui siti «Monza Today» e «Infonodo.org», la notizia riguardante i disagi della polizia penitenziaria della casa circondariale di Monza, sita in via San Quirico, 6;
   per voce del segretario regionale Uil di polizia penitenziaria, Domenico Benemia, secondo una nuova disposizione diramata a livello regionale, la P.D.G. 11 marzo 2014 nonché la più recente circolare GDAP-0179260 del 21 maggio 2014, vi sarebbe la possibilità che molte delle guardie carcerarie della stessa casa circondariale possano, a breve, pagare per soggiornare nelle stanze della caserma di via San Quirico e in quella esterna, la Pastrengo, sita in via Lecco sempre a Monza, gratuite sino al momento della nuova disposizione;
   ad aggiungersi al malcontento dei circa 100 poliziotti (su circa 350 operativi) che vivono in caserma a Monza, le fatiscenti condizioni delle stanze stesse e l'eccessivo canone di locazione mensile richiesto agli agenti, al momento solo ufficioso, che varia da 40 a 100 euro a seconda della sistemazione, per delle stanze che avrebbero problemi di riscaldamento non funzionante e infiltrazioni d'acqua che, abbinati ai problemi inerenti all'acqua calda non presente anche nelle docce caratterizzate, inoltre, da continui problemi di perdite, rendono la situazione insostenibile;
   gli stessi agenti, denunciano anche di non ricevere il pagamento degli straordinari effettuati, l'acquisto con soldi propri delle calzature d'ordinanza, le divise dissimili tra loro nel modello e nel colore e l'avanzato degrado dei mezzi per il trasporto detenuti;
   sempre per voce del segretario regionale Uil, nella struttura di via San Quirico vi sarebbero svariate criticità strutturali riguardanti infiltrazioni di acqua piovana in alcune aule di lavorazione, nel teatro, nella palestra, nella chiesa, nell'ufficio matricola e in una parte della mensa degli agenti. La situazione è migliore alla caserma Pastrengo, dove però da anni il viale che conduce alla caserma è tanto dissestato da creare pericoli reali per il transito dei blindati e dei mezzi di avvocati e assistenti sociali che quotidianamente frequentano il carcere. Lo stesso problema è presente anche nel cortile della stessa struttura dove si è aperta una vera e propria voragine mai ripristinata;
   la direzione del carcere ha avvisato il personale impiegato nelle strutture che al momento non vi sono previsioni di spesa programmati per risolvere le problematiche su indicate;
   alle questioni irrisolte, si somma il cronico problema di sovraffollamento della casa circondariale progettata per l'accoglienza di circa 400 detenuti ma che, allo stato attuale, ne accoglie circa 600;
   gli agenti della casa circondariale di Monza, tramite il sindacato Uil penitenziaria, hanno inviato una lettera ai capi dipartimento della direzione amministrativa penitenziaria di Roma e al provveditore regionale, dove vengono indicate le criticità sopra elencate, con particolare riferimento alla nuova disposizione riguardante le spese d'affitto delle stanze da parte del personale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire per stanziare fondi per poter risolvere tutte le criticità strutturali dei due plessi sopra indicati; per assicurare il pagamento degli straordinari alle guardie carcerarie assicurando loro l'abbigliamento di ordinanza completo e gratuito e la manutenzione puntuale dei mezzi adibiti al trasporto dei detenuti;
   se intende assumere iniziative affinché gli alloggi del personale siano rispondenti alle norme strutturali, igieniche e sanitarie e non pagati da chi svolge servizio presso la struttura. (4-06621)


   FRACCARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la casa circondariale di Trento con avviso del 7 febbraio 2014, ha indetto un interpello per l'assegnazione di alloggi demaniali riservati ai dipendenti dell'amministrazione penitenziaria in forza allo stesso istituto di pena posti nelle vicinanze del penitenziario. Il 16 aprile 2014, al termine della fase istruttoria tesa alla valutazione delle posizioni dei diversi concorrenti, il provveditore regionale ha comunicato la graduatoria di merito e disposto che si procedesse all'assegnazione degli appartamenti agli aventi diritto;
   successivamente, il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria per il Triveneto, con nota del 7 maggio 2014, ha disposto l'annullamento in autotutela del bando del 17 febbraio 2014, ordinano alla direzione della casa circondariale di Trento di predisporre un nuovo apposito interpello che prevedesse la partecipazione del personale in ragione della composizione del nucleo familiare;
   la direzione della casa circondariale di Trento ha quindi pubblicato un nuovo bando in data 28 maggio 2014 con il quale con il quale sono stati posti a concorso gli stessi alloggi oggetto della precedente procedura;
   successivamente, la commissione prevista dall'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 15 novembre 2006, istituita in seno al provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria del Triveneto con la nota del 23 luglio 2014, ha predisposto la nuova graduatoria di merito escludendo dalla procedura, per alcune tipologie di immobili, i nuclei familiari superiori alle due unità; ciò è accaduto a differenza dalla precedente aggiudicazione avvenuta nello stesso anno. Di conseguenza, gli esclusi hanno inoltrato istanza di sospensione. Ciò nonostante, l'8 agosto 2014 il provveditorato regionale ha assegnato i predetti immobili, ad avviso dell'interrogante senza giustificare adeguatamente con apposito provvedimento i motivi del rigetto delle istanze di sospensione inoltrate dagli esclusi;
   contrariamente a quanto avvenuto nella predetta procedura di assegnazione, l'articolo 6 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 2006 attribuisce al solo direttore generale delle risorse materiali presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il compito di fissare i criteri per l'aggiudicazione degli immobili da affidare in concessione ai dipendenti, che li adotta sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative intenda assumere per garantire il rispetto della procedura prevista dalla legge e il perseguimento dell'interesse pubblico, nonché la salvaguardia dei nuclei familiari che si trovano in condizioni di maggior disagio. (4-06623)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO, AIRAUDO, PLACIDO, RICCIATTI, FERRARA, MARCON, DURANTI, PIRAS, FRATOIANNI, MELILLA, QUARANTA, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MATARRELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in numerosi articoli di stampa nazionale e locale dello scorso mese si legge che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'onorevole Maurizio Lupi, ha dichiarato che «Il Ponte sullo Stretto di Messina è assolutamente indispensabile e necessario. Nel momento in cui disegniamo un piano strategico infrastrutturale per il Paese, parlo dell'alta velocità della ferrovia che dovrà arrivare fino a Reggio Calabria, il raddoppio ferroviario della Messina-Palermo-Catania, la Bari-Napoli, è pensabile che non si prenda in considerazione il completamento dell'opera strategica per una distanza di tre km ?». «Le infrastrutture si portano dove c’è domanda, ma le infrastrutture generano sviluppo e domanda» «Se investiamo sull'Alta velocità fino a Reggio Calabria, e non mi si dica che non c’è la domanda, perché le infrastrutture creano la domanda, se investiamo sul raddoppio della Messina-Catania-Palermo, riducendo da 4 a 2 ore la percorrenza, è evidente che il Ponte sullo Stretto è una infrastruttura che completa questo sforzo». «Sono stato a Lisbona. Hanno costruito — ha aggiunto — un ponte di 17 chilometri, certo in una condizione diversa dallo Stretto, ma è un esempio che ci dice che si può fare. D'altronde, la nostra posizione sul Ponte, come Ncd, è nota da tempo»;
   ancora più recentemente nell'ambito di una risposta fornita dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in data 3 ottobre 2014 all'interrogazione n. 4-06143 pubblicata in data 25 settembre 2014 si legge che «La realizzazione del ponte sullo stretto di Messina ha da sempre rappresentato per il nostro Paese una sfida di innovazione ingegneristica e, al tempo stesso, di coesione economica e territoriale». E ancora, «In primo luogo le motivazioni di questa opera risalgono alla scelta operata a suo tempo e ancora oggi attuale di connettere due aree metropolitane del Mezzogiorno, di risanare l'assetto urbanistico della città di Messina e del litorale reggino, di razionalizzare l'offerta di servizi metropolitani ferroviari del vasto hinterland di Messina e di quello di Reggio Calabria nonché l'intera offerta ferroviaria sui due versanti. Si ricorda che — per quanto riguarda il versante siciliano — anche recentissimamente il decreto legge «Sblocca Italia» riconferma una scelta di forte impegno del Governo: quest'opera godrà, infatti, delle attività di un commissario delegato con poteri speciali per la sua realizzazione. Si ricorda, inoltre, che — benché il ponte sullo stretto di Messina si collochi lungo la direttrice tirrenica nord sud che da sempre rappresenta la massima densità della popolazione italiana residente — la realizzazione di quest'opera avrebbe l'effetto di aumentare la coesione economica, di rendere stabile l'accessibilità interna dei territori del Mezzogiorno, di dare piena attuazione ad altri investimenti di direzione ovest est, a partire dalla Napoli-Bari fino alla realizzazione della strada statale Ionica e del suo innesto con la nuova Salerno Reggio Calabria sul versante calabrese (tutte opere strategiche in corso di realizzazione). Quando si parla di coesione sociale occorre considerare a fondo tutte le implicazioni di tale espressione: la spinta che la realizzazione del ponte sullo stretto può contribuire — anche in termini di inclusione sociale — a creare quell'anello mancante della percorribilità ad alta velocità e frequenza dei collegamenti interni ai territori della Sicilia e della Calabria che dovrebbe rappresentare la vera motivazione a riflettere sugli scenari futuri del Paese senza l'assillo dei vincoli finanziari ma con obiettivi finalmente economici. Quale Paese vogliamo da qui ai prossimi venti anni ? A questa domanda la realizzazione del ponte sullo stretto offre una risposta perché si identifica, senza troppe ideologie, come una invariante infrastrutturale per lo sviluppo duraturo del Mezzogiorno, un'occasione unica per l'emersione dal sottosviluppo urbano del sud. E infine: «Oggi non si può riparlare del Ponte senza valutare attentamente la dimensione transnazionale di quest'opera e il suo ruolo nella prospettiva dei grandi corridoi europei e, soprattutto, il suo valore strategico nella proiezione del continente europeo — e dell'Italia — verso l'intero bacino Mediterraneo e la sponda nord del continente africano: aree geografiche che saranno protagoniste del futuro. Nell'area del Mediterraneo sono in campo ipotesi molto ambiziose (come il progetto Ferrmed che mira a convogliare il grande traffico merci verso la Spagna attraverso un apposito corridoio ferroviario a 4 binari) che minacciano di marginalizzare completamente non solo il Mezzogiorno, ma l'Italia intera. Sono questi i motivi per i quali l'idea del ponte sullo stretto di Messina non può, su un piano strategico e trasportistico, ritenersi archiviata»;
   il decreto–legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, aveva previsto, all'articolo 4, comma 4-quater, un finanziamento, qualificato «contributo in conto impianti», pari a 1,3 miliardi di euro in favore della società Stretto di Messina, da imputarsi sulle risorse del Fondo previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera b), del decreto–legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 298;
   tale finanziamento, come noto e come emerge dall'anagrafe revoche e riassegnazioni curata dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) con aggiornamento al 31 luglio 2014, era stato revocato;
   purtuttavia si deve rilevare che nell'ambito della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 Doc LVII n.2-bis Allegato III (Programma delle infrastrutture strategiche) aggiornato al mese di settembre 2014 e trasmesso alla Presidenza della Camera dei Deputati in data 3 ottobre 2014, a pagina 19 del documento stesso, nell'ambito della tabella n. 1, ovvero la tabella delle revoche e delle riassegnazioni della legge obiettivo compare come reimpiego di legge obiettivo, l'assegnazione alla Società Stretto di Messina SpA (decreto–legge n. 78 del 2009 convertito dalla legge n. 102; del 3 agosto 2009) di una quota pari a 1 miliardo e 287 milioni di euro (segnatamente 1.87.324.000 euro);
   quanto precede, ad avviso degli interroganti, appare di eccezionale gravità considerato che l'allegato infrastrutture rappresenta il documento programmatico del Governo per eccellenza in materia infrastrutturale ed il sospetto che detta riassegnazione possa essere varata anche successivamente alla discussione della legge di stabilità 2015, considerate le esternazioni recentemente rese dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in favore della realizzazione del Ponte stesso –:
   se il Ministro interrogato non intenda correggere immediatamente, quello che si auspica si tratti di un grossolano errore contenuto nella tabella n. 1 della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2014 Doc LVII n. 2-bis allegato III (programma delle infrastrutture strategiche) e chiarire in via definitiva che questo Governo non intende in alcun modo riaprire il dossier teso alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina. (4-06614)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 3 luglio 2014 veniva presentata l'interrogazione a risposta scritta n. 4-05367, concernente il degrado delle condizioni dell'ordine pubblico nel quartiere Roma della città di Piacenza, causa di grave pregiudizio per le possibilità di successo di un progetto di recupero dell'area, denominato Porta Galera 3.0; l'interrogazione non ha ancora ricevuto risposta;
   nelle more la situazione nella zona in questione si è ulteriormente deteriorata, facendo registrare il frequente scoppio di risse ed anche accoltellamenti;
   è quindi più che mai necessaria una reazione, che passi attraverso l'incremento delle capacità di controllo del territorio piacentino da parte delle forze dell'ordine –:
   quali ragioni siano alla base del silenzio e dell'inazione del Governo a Piacenza, quali misure si conti di assumere per ripristinare la legalità nel quartiere Roma di Piacenza e in quali tempi.
(4-06611)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la distribuzione degli immigrati extracomunitari raccolti dalle navi della Marina militare continua ad essere alla base di gravi problemi nei territori d'accoglienza, che li ricevono al di fuori di una programmazione che tenga conto delle strutture effettivamente disponibili;
   non di rado ne derivano tensioni, in ragione del fatto che non è sempre possibile tempestivamente assegnare rapidamente i singoli immigrati a strutture pre-identificate;
   talvolta, poi, si verificano anche ingiustificabili resistenze all'identificazione, fenomeno che induce a dubitare sull'effettiva qualifica di rifugiato che molti di questi immigrati rivendicano;
   a Lodi, in particolare, un gruppo di dodici stranieri che rifiutava di sottoporsi al rilievo delle impronte digitali è giunto il 24 ottobre 2014 a simulare malori e prodursi autolesioni, determinando l'intervento nella locale questura di ben sei pattuglie e del 118, chiamato quattro volte a prestare i propri servizi di soccorso –:
   se le autorità della questura siano poi effettivamente riuscite a prelevare i dati necessari all'identificazione degli stranieri che opponevano resistenza, se deriveranno conseguenze a carico di questi ultimi e quali misure si conti di assumere per scongiurare il ripetersi sistematico delle situazioni generalizzate nella premessa.
(4-06612)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni le politiche di mancato turn over, dipendenti dalla carenza di assunzioni e da una revisione generale della spesa pubblica, hanno comportato per la polizia di Stato un drastico ridimensionamento di risorse umane;
   in particolare, la questura di Piacenza, in base ad una pianta organica del 1989, mai revisionata in relazione alla crescita demografica e dei fenomeni delinquenziali locali, negli ultimi anni ha subito una forte riduzione di organico all'interno dei propri ruoli basilari, quantificabile attualmente con i seguenti dati: 104 agenti ed assistenti rispetto ai 119 previsti (-15); 19 sovrintendenti sui 40 previsti (-21); 6 funzionari sui 7 previsti (-1); 2 primi dirigenti sui 3 previsti (-1);
   il ruolo ispettori, invece, fino alla qualifica apicale di sostituto commissario conta 30 unità, 5 in più di quelle previste;
   le attività investigative, a causa all'esiguità di personale, sono svolte troppo spesso in regime di straordinario;
   il depauperamento dei ruoli basilari e la crescita dei fenomeni criminosi — che solo negli ultimi 6 mesi hanno fatto registrare una forte impennata di furti, aggressioni e violenze, con ben 4 omicidi e 2 suicidi negli ultimi cinque mesi, paragonabili numericamente ai dati degli ultimi 15 anni — sono alla radice di un sovraccarico di lavoro per tutti gli operatori della polizia di Stato, costretti all'espletamento di servizi ordinari e straordinari in una condizione precaria, derivante dall'esiguità delle pattuglie sul territorio e dalla mancanza di strumentazioni idonee all'autodifesa;
   il Sindacato autonomo di polizia piacentino ha avviato con un certo successo una raccolta di firme tra i cittadini piacentini, a sostegno di una petizione rivolta alle istituzioni competenti affinché il locale presidio della polizia di Stato venga adeguatamente rinforzato –:
   quali misure il Governo intenda assumere per garantire il presidio del territorio piacentino da parte delle forze dell'ordine, che attualmente soffrono a causa di organici insufficienti in rapporto alle sfide da fronteggiare. (4-06613)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel giorno di sabato 18 ottobre 2014 la città di Bologna ha vissuto un giorno di forte tensione, culminato in ripetuti scontri fra forze dell'ordine e manifestanti, con feriti da ambo le parti;
   tale situazione è stata originata dall'autorizzazione concessa a Forza Nuova di sfilare in città, in una manifestazione culminata nel comizio di Roberto Fiore;
   la presenza di neofascisti a Bologna seguiva la situazione già problematica sul piano dell'ordine pubblico venutasi a determinare la settimana precedente, nel contesto della manifestazione delle cosiddette sentinelle in piedi, cui partecipavano anche militanti dell'estrema destra;
   lo stesso sindaco di Bologna aveva espresso la propria contrarietà a un raduno neo-fascista nella città medaglia d'oro per la Resistenza, e lo stesso avevano fatto tante altre associazioni democratiche;
   in un simile contesto doveva essere chiaro il carattere secondo l'interrogante apertamente provocatorio dell'iniziativa di Forza Nuova, denunciato come tale dallo stesso Roberto Fiore, che parlava di città da riprendere;
   si poteva quindi prevedere che la situazione potesse divenire problematica sotto il profilo dell'ordine pubblico, vista l'espressa volontà del coordinamento antifascista di risparmiare a Bologna l'oltraggio rappresentato dalla manifestazione di Forza Nuova;
   la prevenzione di episodi di violenza di piazza dovrebbe passare dalla cura del contesto, molto più che dall'utilizzo della forza pubblica, anche a tutela dei poliziotti impiegati in funzione di ordine pubblico;
   a Bologna si rende ora assolutamente indispensabile ricreare condizioni normali di agibilità democratica, che prescindano tanto dall'esercizio della violenza, quanto dalla criminalizzazione del conflitto e da inutili semplificazioni mediatiche –:
   se non si ritenga che siano stati commessi errori o sottovalutazioni nella gestione dell'autorizzazione a manifestare a partiti neofascisti da parte degli organi preposti ed eventualmente quali provvedimenti si intendano adottare per evitare in futuro il ripetersi di simili episodi.
(4-06615)


   CASTELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 21 ottobre 2014 appare sul sito della Guardia di finanza il seguente comunicato: Operazione Miliardo – il Nucleo speciale polizia valutaria ha sequestrato beni per centinaia di milioni di euro. I finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria coordinati dal pool di magistrati della procura di Roma del Gruppo economia stanno eseguendo un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per oltre 100 milioni di euro, emesso dal giudice per le indagini preliminari di Roma, (dottor Valerio Savio, nei confronti di Gesconet, attualmente sono indagati 62 soggetti per reati di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, riciclaggio e reati tributari;
   l'evasione sarebbe stata perpetrata dal consorzio di cooperative Gesconet, la cui figura apicale effettiva appare essere Pierino Tulli;
   la cooperativa si occupa di trasporti, facchinaggio, pulizie e vigilanza privata; la contestazione della Guardia di finanza riguarda fatture false per operazioni inesistenti, bancarotta fraudolenta e riciclaggio;
   nel corso delle indagini è stata individuata anche una contabilità parallela prevedibilmente usata per pagare mazzette a funzionari della pubblica amministrazione. Le mancate entrate per il fisco sono valutate in 1,7 miliardi di euro;
   sul sito si legge ancora «che sul territorio nazionale sono state effettuate perquisizioni locali e domiciliari nelle regioni Lazio, Lombardia, Piemonte, Veneto e Sardegna – e finalizzate ad individuare e sottoporre a vincolo cautelare circa novanta immobili tra uffici, unità residenziali ed opifici, due aziende, nonché numerosi mandati fiduciari ed oltre cento rapporti bancari e che sono stati sequestrati beni per centinaia di milioni di euro;
   il meccanismo fraudolento utilizzato dal 2001 alla data odierna consisteva generalmente nell'affidamento di servizi in subappalto a società cooperative appositamente costituite, da parte delle società consortili amministrate dagli indagati, che si aggiudicavano gli appalti sia da enti pubblici, sia da società private di rilevanza nazionale; le società cooperative, a loro volta, mediante l'emissione di fatture per operazioni inesistenti – accertate dalle Fiamme gialle per circa 400 milioni di euro – accreditavano il denaro ricevuto ad ulteriori cooperative cosiddette “finali”, i cui conti venivano progressivamente svuotati mediante prelevamenti in contante, non giustificati da alcuna logica commerciale; si parla cioè di in cosiddetto ciclo cartiere/truffe carosello»;
   tale denaro veniva poi illecitamente distratto e veicolato, da parte dei responsabili delle organizzazioni, su conti correnti intestati a società fiduciarie di San Marino e del Lussemburgo, per il successivo reimpiego nel settore immobiliare;
   le cooperative cosiddette «finali», quindi, dopo essere state così svuotate e depauperate, venivano poste in liquidazione e sostituite da ulteriori società neocostituite, che ciclicamente subivano il medesimo iter di svuotamento ed abbandono;
   ciò ha consentito ai due imprenditori di conseguire un illecito cospicuo profitto, determinando, inoltre, pesanti effetti distorsivi della concorrenza nei settori ove operava il loro gruppo imprenditoriale, che, grazie alle maggiori risorse disponibili ed ai conseguenti maggiori ribassi praticati nelle procedure di affidamento, riusciva ad ottenere numerosi appalti;
   Tilli era già noto per essere stato presidente del Consorzio interporto di Fiumicino, poi finito in liquidazione; è in liquidazione anche la Ifitel, fallita nel 2012;
   il 19 luglio 2011 Il Fatto Quotidiano titolava «TNT Piacenza, dopo le minacce ai lavoratori l'ombra della criminalità organizzata. Tregua tra facchini e azienda dopo proteste per le buste paga false e i contratti in nero. Intanto emerge che la Gesconet, consorzio che gestisce le cooperative Stella e Vega per conto dell'azienda leader nella logistica, sarebbe coinvolta in indagini di mafia». Nello stesso articolo testualmente si riportava «dall'aprile scorso, sei filiali lombarde della Tnt sono sotto la lente della magistratura per possibili infiltrazioni della ’ndrangheta visto che, secondo gli inquirenti “la scalata agli affari della Tnt è una tipica manifestazione della criminalità mafiosa, realizzata grazie a relazioni particolari”. Al quartier generale di San Mauro arrivavano in visita di lavoro personaggi con un pedigree di tutto rispetto, a cominciare da Davide Flachi, figlio di Pepè, uno dei capi clan della ’ndrangheta radicata al Nord, cognome pesante, decine di pagine di cronaca nera spese per raccontare le sue imprese criminali. A San Mauro veniva anche un personaggio insospettabile, un ex colonnello dei carabinieri passato alla security privata, ritenuto troppo amico dei rampolli delle ’ndrine»;
   il 22 ottobre 2014 il Corriere della Sera titola «I fondi neri e la lista delle mazzette “I conti che portano alla politica”, tra i clienti la Camera dei deputati, il Campidoglio e la regione Piemonte»;
   il Fatto del 23 ottobre 2014 così scrive «Pierino Tulli, romano del ’41, nato come edicolante e finito nel business dei trasporti. Adesso è accusato dalla procura di Roma di essersi appropriato, insieme al suo braccio destro, “di 160 milioni di euro di denaro distratto che invece sarebbe dovuto finire nelle casse dello Stato». Solo due giorni fa, infatti, gli agenti del Nucleo valutano della Guardia di finanza, guidata da Giuseppe Bottillo, hanno effettuato un sequestro preventivo di oltre 100 milioni di euro, dopo aver scoperto un'evasione miliardaria fatta dalla Gesconet, un consorzio di cooperative di Tulli e il suo braccio destro Maurizio Ladaga. La Gesconet aveva anche vinto un appalto per il servizio di facchinaggio da 1,4 milioni di euro nel 2011 alla Camera. Sono gli anni durante i quali secondo gli investigatori (precisamente tra il 2010 e il 2012) si sarebbe creata una “contabilità parallela con somme erogate ad appartenenti a pubbliche amministrazioni per finalità illecite». Presunte tangenti. E infatti nelle perquisizioni è stato trovato un file proprio con la contabilità parallela: non ci sarebbero i nomi di politici, né di partiti, ma l'elenco degli intermediari che avrebbero fatto pressioni. Ipotesi tutte da riscontrare, anche perché il reato di corruzione non è contestato a nessuno dei 62 indagati dell'inchiesta. Che Pierino Tulli avesse qualche interesse in politica viene fuori dalle dichiarazioni disgiunte presentate alla Camera: nel 2005 finanzia con 15 mila euro i Ds di Roma. E sono gli stessi Ds che lo appoggiavano quando mirava ad acquistare la Lazio. Già dal 2004, infatti, le cronache calcistiche iniziano a raccontare i retroscena della scalata alla Lazio, contesa tra Tulli e Claudio Lotito, che ha avuto la meglio. Nel frattempo però Pierino Tulli non ha abbandonato questa passione, diventando proprietario della squadra romana Lodigiani, rinominata poi Cisco Roma, come la sua società»;
   il Tempo online nell'edizione del 22 ottobre 2014 delle ore 6.03 riporta tra gli indagati dell'operazione Miliardo anche Enrico Maria Pasquini;
   Enrico Maria Pasquini era stato coinvolto nello scandalo MPS, tant’è che Fiano scrive sul Corriere della sera del 24 luglio 2013 «La “banda del 5 per cento” di Mps, prima ancora che la “fama” giudiziaria la raggiungesse per il “buco” nei conti del Monte Paschi, era un cliente di spicco nel portafoglio del conte romano Enrico Maria Pasquini. E grazie a lui e alla sua San Marino Investimenti (Smi) aveva trasferito all'estero per nasconderli ed eventualmente riciclarli, specialità della casa, 32 milioni di euro, 13 dei quali del solo Alessandro Toccafondi, l’ex numero due dell'area finanziaria della banca stretto collaboratore di quel Gianluca Baldassarri arrestato a Siena»;
   d'altronde l'Espresso del 23 aprile 2014 riporta pure «Quattro anni di carcere per reati finanziari da queste parti non si sono mai visti. Il record della Repubblica di San Marino spetta al conte Enrico Maria Pasquini, classe 1948, condannato in primo grado martedì 8 aprile per i guai della sua Smi (San Marino investimenti), crocevia di tangenti, scudi fiscali fuori tempo massimo, doppie intestazioni fiduciarie, intrecci societari fra Vanuatu e Madeira e movimenti di liquidi con i principali istituti di credito italiani che i giudici stimano nell'ordine di un miliardo di euro all'anno. Dalla Smi, la più antica finanziaria sanmarinese, sono transitate le mazzette dei manager Atac Gioacchino Gabbuti e Antonio Cassano, gli investimenti esteri scudati della banda del “5 per cento” del Monte dei Paschi di Siena, le dazioni ambientali della Mantovani, impresa regina del Mose e dell'Expo 2015» (...). Per l'appello al verdetto dell'8 aprile se ne parlerà dopo l'estate. Ma altri due processi potrebbero mettere in difficoltà il conte. Il primo, sempre al tribunale di San Marino, è per riciclaggio ed è tenuto sotto stretto segreto istruttorio. Il secondo è a Roma, se ne occupa il pm Perla Lori ed è incentrato su Amphora, la fiduciaria italiana impiegata da Pasquini per le sponde con la Repubblica del Titano dove il nobile romano, per completare la sua offerta di servizi alla clientela, si era intestato anche la San Marino International Bank (Smib), nata sulle ceneri della Banca del Titano, fallita dopo essere stata per anni il punto di riferimento dell'evasione fiscale italiana. E qui, ancora un processo: quello contro i vertici della Tercas, la Cassa di Teramo, che si sarebbero serviti della struttura di Pasquini per acquisire la Smib senza comunicarlo a Bankitalia, contraria all'operazione;
   su Libertas, noto blog di San Marino, si trova scritto il 20 settembre 2014, ore 14.40, «di recente poi ha lasciato perplessi il caso della Amphora fiduciaria di Roma, sponda italiana della sammarinese Smi, che pur avendo generato molteplici inchieste della magistratura, non risulta essere stata mai sanzionata, né sottoposta a Lca, ma si è limitata a cambiare la propria ragione sociale (è diventata Mia Fiduciaria) e a traslocare (a Padova) senza che l'organo di vigilanza intervenisse» –:
   se, a seguito delle plurime attività anomale in materia di gestione del personale, a partire dalla vicenda TNT Piacenza, siano intervenuti gli ispettori del lavoro sulla galassia societaria Gesconet e con quali risultanze;
   se le società e cooperative della galassia Gesconet, rispetto alle quali le notizie di stampa danno conto di possibili connessioni con il crimine organizzato, siano tutte dotate di certificazione antimafia e quali iniziative siano state assunte ai fini della revoca della stessa, alla luce di quanto descritto in premessa;
   se l’ex colonnello dei carabinieri citato in premessa è in pensione o solo in congedo ovvero in aspettativa;
   se non si ritenga che i meccanismi normativi di contrasto alle cartiere, alle «bare fiscali» e alle truffe carosello non debbano essere profondamente revisionati nell'ordinamento giuridico nazionale, dopo episodi clamorosi degli ultimi anni a partire dai casi Mythos Arkè e Phuncard ad arrivare oggi all'operazione MILIARDO;
   quale sia la cifra reale dell'evasione fiscale riconducibile a Gesconet;
   se l'autorità anticorruzione e il dottor Cantone siano già allertati sulla vastità della vicenda dell'operazione «MILIARDO»;
   se siano note al Ministro dell'economia e delle finanze le risultanze delle attività ispettive della Banca d'Italia rispetto ad Amphora, Mia Fiduciaria e lo stesso Enrico Maria Pasquini. (4-06626)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   SPADONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con circolare ministeriale n. 7957 del 7 agosto 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha autorizzato le immissioni in ruolo di 4599 unità di personale Ata e nella stessa circolare operativa veniva stabilito che «per permettere l'utilizzo di eventuali aspiranti ancora presenti nelle graduatorie per responsabile amministrativo previste dalle legge 124 del 1999 o in altre graduatorie non ancora esaurite o per sanare eventuali contenziosi, è stato assegnato un apposito contingente per la nomina dei DSGA»;
   nella circolare si legge, «si fa presente, inoltre, che possono essere effettuate compensazioni a livello provinciale fra i vari profili professionali della medesima area professionale o in subordine in altra area professionale, nel caso in cui non possono essere disposte nel profilo interessato tutte le assunzioni autorizzate per assenza di graduatorie concorsuali o per avvenute coperture di tutte le disponibilità»;
   l'ufficio scolastico provinciale di Reggio Emilia, su indicazione dell'ufficio scolastico regionale per l'Emilia Romagna, ha a quanto consta all'interrogante disatteso a tale procedura rimettendosi ad eventuali chiarimenti da parte degli uffici superiori preposti;
   gli uffici scolastici provinciali di altre città hanno rispettato quanto il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva disposto secondo la legittima compensazione dei posti disponibili e non utilizzati per il profilo di (Dsga) sul profilo assistente amministrativo;
   Il diniego da parte dell'ufficio scolastico regionale dell'Emilia Romagna ha di fatto portato in un uno stato di attesa gli aspiranti inseriti a pieno titolo nelle graduatorie di assistente amministrativo che sono a loro malgrado coinvolti in scelte e particolarismi non uniformi con l'operato nazionale –:
   se non sia fondamentale intervenire immediatamente in modo da uniformare l'operato dei diversi uffici scolastici presenti sul territorio nazionale;
   come intenda procedere il Ministro per vigilare sull'operato degli uffici scolastici al fine di evitare attese e lungaggini burocratiche che si ripercuoterebbero negativamente sull'organizzazione funzionale delle segreterie scolastiche e che darebbero adito ad eventuali contenziosi.
(4-06616)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER, SCHULLIAN e OTTOBRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, ha introdotto per il triennio 2013-2015 la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere voucher per l'acquisto di servizi di baby sitting, ovvero un contributo per fare fronte agli oneri degli asili nido della rete pubblica o dei privati accreditati, per un massimo di sei mesi, al termine del congedo di maternità ed entro gli undici mesi successivi, in alternativa al congedo parentale;
   con decreto del 22 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 37 del 13 febbraio 2013, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ha definito i criteri di accesso e le modalità di utilizzo del contributo per l'acquisto dei servizi per l'infanzia, nel limite di spesa di 20 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015;
   il beneficio consisteva in un contributo di 300 euro mensili, erogato per un periodo massimo di sei mesi (tre mesi per le lavoratrici iscritte alla gestione separata), in alternativa alla fruizione del congedo parentale, comportando conseguentemente la rinuncia dello stesso da parte della lavoratrice e a tale beneficio potevano accedere anche le lavoratrici part-time in misura riproporzionata alla ridotta entità della prestazione lavorativa;
   tuttavia per poter accedere al beneficio, da richiedere all'Inps attraverso il sito web istituzionale, bisognava attendere l'emanazione di un bando dell'istituto stesso, nel quale venissero stabiliti i tempi e le modalità di presentazione della domanda da parte delle lavoratrici madri, nonché tutte le informazioni relative alla procedura concorsuale e agli adempimenti conseguenti alla formazione della graduatoria;
   tale bando per il 2013 è stato emanato con la circolare n. 48 del 28 marzo 2013, anche se non adeguatamente pubblicizzato per cui le madri lavoratrici non hanno potuto usufruire del beneficio, mentre per il 2014 il bando non è mai stato pubblicato, considerando che ormai si è al mese di novembre –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere affinché le madri lavoratrici possano beneficiare del cosiddetto voucher baby sitting per il 2014, ormai andato perduto, eventualmente con altre misure compensative, se a tale beneficio siano state ammesse anche le lavoratrici dipendenti delle pubbliche amministrazioni con un apposito decreto e se possa vigilare affinché per il 2015 l'Inps si attivi prontamente ad inizio anno per emanare il bando e per pubblicizzarlo in misura adeguata in modo da permettere ai beneficiari di venirne a conoscenza. (3-01126)


   PIRAS, SCOTTO, FERRARA e RICCIATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Meridiana è un vettore strategico per il trasporto aereo da e per la Sardegna, il primo vettore privato della storia dell'aviazione civile italiana, che ha storicamente accompagnato lo sviluppo dell'isola, con particolare riferimento al nord-est della stessa;
   tuttora essa riveste un ruolo cruciale per il territorio e per l'afflusso turistico in particolare e gestisce in regime di continuità territoriale le tratte principali per Olbia;
   Meridiana è un'azienda che dà lavoro a migliaia di persone e che negli anni più recenti ha operato una serie di attività di ristrutturazione volte ad abbattere il costo del lavoro, con particolare riferimento all'assorbimento del gruppo Air Italy ed al ruolo che tale azienda opera in tal senso;
   nonostante tutti i dati in possesso mostrino un attivo nei bilanci della compagnia e le recenti rilevazioni sui principali scali sardi ove opera la compagnia mostrino un incremento del numero dei passeggeri, con quello Olbia in particolare che registrava un + 9 per cento rispetto all'anno precedente, la compagnia ha annunciato la procedura di mobilità prima per 1.634 lavoratori, poi – in seguito ai primi incontri fra le parti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – ridimensionati a 1.366;
   una conclusione in questo senso della vertenza rappresenterebbe un ulteriore grave danno occupazionale per una regione come la Sardegna, già violentemente colpita dalla crisi economica, dalla deindustrializzazione e da tassi di disoccupazione elevatissimi, e non trova alcuna rispondenza nei dati economici reali che mostrano una linea di ristrutturazione dell'azienda Meridiana completamente priva di responsabilità sociale e totalmente centrata sulla riduzione dei costi del personale più anziano;
   il rapporto fra Meridiana e Air Italy si configura, ad avviso degli interroganti, come un vero e proprio dualismo aziendale, prefigurando una sorta di bad company, con un travaso di attività dalla prima sulla seconda (esempio: gestione voli) e con Meridiana che interviene sui costi sostenuti da Air Italy;
   nonostante in verità si tratti di un'unica azienda e i rappresentanti sindacali chiedano con forza che gli esuberi vengano individuati su un'unica lista, la compagnia da cui si attingono i nominativi sui quali insiste la procedura di mobilità è solo la prima;
   l'azienda ha beneficiato per quattro anni di risorse pubbliche finalizzate alla cassa integrazione;
   la procura di Tempio Pausania ha aperto un'inchiesta sul tema del dualismo aziendale e sulla legittimità del comportamento di Meridiana;
   su segnalazione dei sindacati la Guardia di finanza ha aperto – come già pubblicamente trapelato su alcuni autorevoli media sardi – un'indagine nei confronti di Meridiana per truffa ai danni dello Stato, con riferimento all'utilizzo fatto delle risorse pubbliche destinate alla cassa integrazione –:
   come intenda intervenire il Governo per garantire l'occupazione dei dipendenti di Meridiana e per contrastare manovre strumentali dell'azienda. (3-01127)


   BALDASSARRE, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, ROSTELLATO, BECHIS, CIPRINI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 settembre 2014 è stato nominato commissario straordinario per l'Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps) il professor Tiziano Treu;
   come si evince da un articolo del 30 settembre 2014 de Il Sole 24 ore, Tiziano Treu sarebbe socio di un famoso studio professionale «Crowe Horwarth», «associazione che potrebbe far storcere il naso a chi teme ci sia un nuovo conflitto di interessi», come riportato dall'articolo stesso;
   ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, è vietato alle amministrazioni pubbliche conferire a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo;
   a parere degli interroganti emergono numerose criticità per i fatti sopra esposti che meritano sicuramente maggiore attenzione da parte del Ministro interrogato, considerata altresì l'importanza dell'Istituto nazionale di previdenza sociale;
   a parere degli interroganti sarebbe auspicabile adottare iniziative di natura normativa, quali una revisione della governance dell'Inps, che prevedano l'incompatibilità del ruolo di presidente/commissario dell'Inps contemporaneamente all'esercizio di qualsiasi altro incarico o funzione, sancendo così il vincolo di esclusività di tale carica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di consulenze, incarichi o altri tipi di rapporto che possano configurare un conflitto di interessi tra il nuovo commissario Tiziano Treu e l'Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps), con particolare attenzione all'associazione «Crowe Horwarth» – di cui sarebbe socio il nuovo commissario straordinario – tenendo conto altresì dello stato di quiescenza del medesimo neo commissario, alla luce delle disposizioni di cui al decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90. (3-01128)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto dei Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze è stato nominato il Professor Tiziano Treu commissario straordinario dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS);
   dall'articolo 2 del suddetto decreto si evince che: «Al commissario straordinario è corrisposta un'indennità mensile pari a quella spettante al Presidente dell'Istituto»;
   come si evince da più organi di informazione l'indennità che riceverà il professor Treu sarebbe di 216.711 euro;
   ai sensi dell'articolo 6 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, è vietato alle amministrazioni pubbliche conferire a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo e altresì «incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione»;
   a parere dell'interrogante emergono numerose criticità per i fatti su esposti e meritano sicuramente maggiore attenzioni da parte dei Ministri interrogati, considerata altresì l'importanza dell'istituto nazionale di previdenza sociale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti;
   se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, possano definire in maniera univoca se il professor Tiziano Treu riceverà o meno l'indennità in qualità di commissario straordinario INPS – come definito nel decreto in premessa – con specifica attenzione all'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, che stabilisce che sarebbero ammesse con riguardo al personale in quiescenza solo ed esclusivamente «incarichi e collaborazioni (...) esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno (...)»;
   se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, abbiano valutato con attenzione le attuali condizioni della nomina del professor Tiziano Treu, anche alla luce della sua posizione di quiescenza e le criticità che si vengono a creare come esposto su in premessa. (5-03882)

Interrogazione a risposta scritta:


   PLACIDO e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato l'interrogazione a risposta scritta 4-06341, a cui il Ministro interrogato non ha ancora risposto, sulla materia oggetto del presente atto di sindacato ispettivo;
   nella predetta interrogazione si rappresentava che la società Tessival Sud srl, in liquidazione volontaria a seguito di cessazione di ogni attività per effetto di una grave crisi industriale, aveva fatto ricorso ad interventi di cassa integrazione guadagni, cassa integrazione guadagni straordinaria e poi di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, per il periodo che va dal 5 maggio 2008 al 31 dicembre 2013;
   veniva poi ricordato che l'INPS, con il messaggio n. 14963 del 8 giugno 2010, ha affermato che non è previsto il rimborso delle quote di TFR maturate nel periodo di sospensione per intervento della cassa integrazione guadagni «in deroga», alle aziende in cui non vi sia ripresa dell'attività produttiva al termine del periodo di fruizione, in quanto non vi sarebbe norma che lo preveda specificamente;
   si chiedeva, tra l'altro, se il Ministro interrogato non ritenga che — in considerazione della finalità dell'istituto — agli ammortizzatori sociali in deroga si applichi la disposizione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 464 1972 che prevede a favore delle aziende il rimborso delle quote di TFR maturate durante il periodo di cassa integrazione guadagni e dovute ai lavoratori ininterrottamente sospesi e licenziati nel corso o al termine del periodo integrato;
   con verbale di accertamento INPS, redatto in data 30 luglio 2014, n. 426246, e successivo provvedimento di rettifica dello stesso ente del 7 ottobre 2014, n. 172507, alla Tessival Sud è stato confermato il diniego di rimborso della quota di TFR durante il periodo di concessione della cassa integrazione in deroga, limitando il rimborso solo alle quote relative ai periodi di cassa integrazione straordinaria;
   l'esito dell'accertamento è erroneo ove si consideri che per l'intero periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria e cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga la Tessival Sud su richiesta mensile dell'INPS ha effettuato il versamento del contributo addizionale ai sensi della legge 12 maggio 1988, n. 160, articolo 8, come previsto dalla legge 20 maggio 1975, n. 164, articolo 12, n. 2, che ha formalmente determinato l'entità dell'onere a carico dell'azienda ai fini della maturazione del TFR in detto periodo;
   l'INPS ritiene che il periodo di Cassa integrazione in deroga non rientri nella sua gestione diretta, ma che la natura dell'intervento vada ricondotta alla competenza di chi li ha finanziati: il Ministero del lavoro con il Fondo sociale per l'occupazione e la Regione Campania con i fondi PSE-POR;
   atteso, pertanto, il regime di deroga (concesso con decreti ministeriali e regionali) e il silenzio normativo in ordine al soggetto obbligato per il TFR in tale periodo, l'INPS ritiene non imputabile alla Cassa integrazione guadagni l'onere relativo al rimborso richiesto dall'Azienda perché le relative somme sarebbero state gestite dall'Istituto quale mero soggetto erogatore e non quale soggetto gestore;
   da tale ricostruzione, deriverebbe l'obbligo della Tessival Sud di restituire all'INPS la somma di TFR compensata nel periodo di cassa integrazione in deroga. Tuttavia, la cassa in deroga va inquadrata nella previsione normativa del decreto-legge n. 2 del 2009, articolo 18, comma 1, lettera a), che ha attribuito all'INPS la gestione del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, oltre che nelle previsioni di cui alla legge n. 223/91;
   l'INPS inspiegabilmente si definisce mero erogatore delle integrazioni salariali, laddove la normativa innanzi richiamata le affida espressamente la gestione dei fondi stanziati dal Ministero del lavoro, nonché il Fondo di Tesoreria INPS che viene gestito dal medesimo Istituto per conto dello Stato su conto acceso presso la Tesoreria dello Stato, senza esclusione degli obblighi di cui alla legge n. 223 1991, per quanto riguarda il TFR a carico dell'INPS, che nella fattispecie è stato versato dalla Tessival Sud nel Fondo di tesoreria, compresi i periodi di cassa integrazione guadagni in deroga;
   se l'INPS fosse mero erogatore non sarebbe competente a svolgere i controlli effettuati, non sussistendo espressa delega dei supposti Ministeri competenti, né sussiste specifica norma sul punto; se, di contro, l'INPS è organo di controllo della legittimità delle istanze di rimborso, ciò deriva dal più ampio potere di gestione che gli è riconosciuto da tutta la normativa in materia dalla legge 464/72 in poi e non ultimo dalla legge n. 223 1991 istitutiva della cassa integrazione guadagni straordinaria, che espressamente pone a carico — dell'INPS l'obbligo di corrispondere il TFR maturato in detto periodo a favore dei lavoratori licenziati al termine della cassa integrazione guadagni straordinaria, nonché dalla legge n. 296 2006, articolo 1, comma 756;
   inoltre, ritenere indebita la compensazione effettuata dall'Azienda nel periodo di cassa in deroga nei confronti dell'INPS pone il quesito di chi sarebbe il soggetto obbligato al rimborso nei confronti dell'azienda che, in detto periodo, ha maturato un ingente credito per i versamenti effettuati in assenza di attività lavorativa;
   la risposta trova il suo fondamento nella legge n. 223 1991 e nella giurisprudenza (Cass. n. 15978 dell'8 luglio 2009) che ha dichiarato il carattere non unitario del TFR per rimarcare la possibile, eteronoma e complessa formazione di tale compendio;
   non giova invocare la deroga alla normativa vigente per giustificare il diniego del rimborso poiché è normativa vigente anche la legge n. 223 1991 che pone a carico dell'INPS il pagamento del TFR ai lavoratori licenziati al termine del periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria; senza alcuna ulteriore specificazione;
   occorre applicare una interpretazione estensiva della norma che trova attuazione nei rapporti intercorrenti tra azienda ed INPS anche nel periodo di cassa in deroga, stante la ratio legis che è quella di garantire il TFR al lavoratore per l'intera durata del rapporto con il concorso finanziario dell'azienda e dello Stato, tramite l'apporto gestionale dell'INPS;
   da ultimo, va evidenziata la natura dell'integrazione salariale corrisposta ai lavoratori nel periodo di cassa in deroga. Se l'integrazione ha carattere retributivo matura anche il diritto alla relativa quota di TFR; se è un mero sostegno al reddito e ha la funzione di ammortizzatore sociale, il TFR non matura per mancanza di causa. Pertanto, se l'INPS non effettua il rimborso, le somme comunque accreditate al Fondo di tesoreria, gestito da INPS, finiscono per configurare un indebito oggettivo;
   la vicenda della Tessival Sud è emblematica di una condotta dell'INPS che reca gravissimo pregiudizio alle aziende nel momento di crisi e determina una situazione insostenibile rispetto alla quale il Ministero interrogato non può disinteressarsi, ma ha la necessità di intervenire per ristabilire corretta e uniforme applicazione delle norme e per riportare equità nella gestione di complesse vicende che rischiano di essere derubricate a mere pratiche burocratiche –:
   se non ritenga di intervenire con proprio provvedimento a chiarire che nei periodi di cassa integrazione straordinaria in deroga alle aziende in cui non vi sia ripresa dell'attività produttiva al termine del periodo di fruizione spetta il rimborso delle quote di TFR maturate. (4-06608)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione di dismissione dei terreni agricoli demaniali, denominata «Terrevive», il cui intervento fortemente voluto dal Ministro interrogato, ed introdotto dal precedente Ministro Romano, finalizzato ad agevolare le giovani generazioni nell'acquisto delle aree rurali (che accanto al credito rappresenta un fattore produttivo fondamentale), si sta rivelando deludente;
   l'articolo pubblicato sul quotidiano Il Sole 24 Ore, lo scorso 25 ottobre, riporta infatti, che le proposte relative alla cosiddetta: «fase 1», gestita dall'Agenzia del demanio, non risultano né di qualità, né tantomeno di possibile interesse per gli under 40;
   l'analisi effettuata tra i bandi, evidenzia una nota del demanio, contenuta del suindicato articolo di stampa, (che interessano complessivamente 12 lotti situati in 7 regioni compresa la Sicilia, con una base d'asta superiore a 100 mila euro, per un valore complessivo di 2,9 milioni di euro), rileva come nel complesso, tra le complicazioni derivanti dai possibili contenziosi che caratterizzano i patti agrari ed i criteri utilizzati per l'aggiudicazione dei lotti che appaiono non economicamente allettanti, non sembrano suscitare l'interesse dei giovani all'acquisto del patrimonio fondiario;
   nella regione siciliana, prosegue l'articolo del quotidiano economico, secondo i requisiti previsti per l'assegnazione degli ettari di terreno agricolo, colui che acquista un terreno libero, ad esempio a Trapani, è costretto a fronteggiare una serie di problemi con un'ex polveriera e ruderi di manufatti militari da demolire;
   la situazione complessivamente negativa riportata da Il Sole 24 Ore, sembra essere confermata dallo stesso Ministero interrogato, intenzionato a firmare un nuovo protocollo d'intesa con le regioni, i comuni, l'Ismea e l'Agenzia del demanio, per la vendita e la locazione dei terreni agricoli degli enti locali, per coordinare meglio e a condizioni di maggiore favore la dismissione delle aree rurali;
   a giudizio del Ministro interrogato, secondo quanto evidenzia il medesimo articolo, occorre insistere nelle misure agevolative per i giovani che intendono svolgere l'attività agricola come imprenditori, come dimostrano gli interventi in Campolibero, previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014, e dalla legge di stabilità con i mutui a tasso zero per gli under 40 e gli sconti sugli affitti;
   le intenzioni del Ministro interrogato, a giudizio dell'interrogante, per quanto condivisibili, rappresentano tuttavia dei semplici propositi, le cui linee guida quando vengono definite in atti concreti come quello della vendita dei terreni agricoli, attraverso i bandi pubblicati dal demanio, si dimostrano estremamente complicate, a causa di meccanismi procedurali difficili e farraginosi e non determinano alcun significativo impatto reale per migliorare l'economia agricola e rilanciare il settore delle imprese, specie quelle di nuova nascita;
   necessitano pertanto a parere dell'interrogante, interventi legislativi, più snelli, con meno soggetti decisionali d'intermediazione coinvolti, volti a semplificare le procedure dei bandi e autorizzative, anche attraverso una migliore mappatura delle aree agricole disponibili, al fine di velocizzare il sistema di cessione, attraverso la piattaforma delle aste online nella quale passeranno vendite e affitti dei terreni agricoli –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa, in particolare con riferimento alle criticità evidenziate dall'articolo del quotidiano Il Sole 24 Ore, secondo il quale l'avvio per la cessione dei terreni agricoli è stato nella sostanza deludente a causa delle procedure di assegnazione lente e complicate;
   quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di porre rimedio ai rilievi in precedenza riportati, se ad esempio, come accade in Sicilia, porzioni di terra liberi ed incolti, sono occupati da manufatti militari, attraversati all'interno da strade poderali, i cui confini non sono delimitati, rendendo di fatto scarsamente appetibili gli acquisti da parte dei giovani imprenditori agricoli, sia per la Sicilia che per le altre regioni italiane. (4-06610)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   dall'8 all'11 ottobre 2014 si svolto il Media Forum Internazionale di Greenaccord presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli;
   l'11 ottobre 2014 nel corso del Media Forum Internazionale di Greenaccord mentre interveniva il dottor Mantovani dell'Istituto superiore di sanità un gruppo di cittadini provenienti dalla Terra dei Fuochi interrompeva i lavori contestando con forza la posizione del Ministro della salute in merito alla mancanza di nesso tra siti a rischio e aumento delle patologie;
   il dottor Mantovani dirigente dell'Istituto superiore di sanità, nel corso della contestazione ha rilasciato una video intervista a Fanpage nella quale ha reso dichiarazioni molto precise sul nesso tra aumento delle patologie e siti a rischio quali la «Terra dei Fuochi»,
   il dottor Mantovani ha dichiarato infatti che «la correlazione tra siti a rischio e aumento delle patologie è evidente e dimostrata da dati scientifici, in possesso dell'Istituto superiore di sanità, incontrovertibili»;
   le dichiarazioni del dottor Mantovani smentiscono in maniera inequivocabile e inconfutabile quanto dichiarato più volte dal Ministro interpellato secondo cui l'aumento delle gravi patologie riscontrate nella Terra dei Fuochi sarebbe addebitabile ad uno scorretto stile di vita in particolare alimentare;
   il dottor Mantovani ha altresì dichiarato che se fosse stato un residente della Terra dei Fuochi anche lui probabilmente avrebbe manifestato insieme agli altri cittadini e che le patologie riscontrate nei siti inquinati non derivano dagli stili di vita o alimentari della popolazione residente –:
   se siano a conoscenza dei dati scientifici in possesso dell'Istituto superiore di sanità, e se non si intenda renderli noti unitamente al numero dei malati suddiviso per zone;
   a fronte dei dati scientifici incontrovertibili in possesso dell'Istituto superiore di sanità, se non intendano avviare immediate iniziative per proseguire ed implementare il monitoraggio epidemiologico delle aree relative alla cosiddetta Terra dei Fuochi, con particolare riferimento alla popolazione dei minori e accelerare le procedure di bonifica;
   quali ulteriori iniziative, di concerto con gli altri Ministri competenti, si intendano avviare al fine intervenire con maggiore rigore ed efficacia e contrastare i fenomeni criminali che ruotano attorno al business dei rifiuti;
   se non si ritenga necessario avviare un piano straordinario di recupero e bonifica dei territori interessati dagli incendi garantendo il ripristino della legalità e il massimo livello di tutela per la salute delle persone e dell'ambiente;
   quali siano i siti a rischio nei quali ad oggi effettivamente sono in corso bonifiche, ovvero a che punto siano le gare pubbliche di appalto ed eventualmente lo stato di avanzamento dei lavori nonché l'ammontare delle risorse disponibili per le bonifiche, in quanto appare evidente che le bonifiche hanno una stretta attinenza con le patologie e il loro incremento ed ogni ritardo si riverbera sui cittadini e soprattutto sulla loro salute;
   se non si ritenga improcrastinabile assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, al fine di istituire un registro nazionale dei tumori allo scopo di monitorare e contrastare efficacemente il fenomeno delle patologie in relazione ai siti a rischio.
(2-00731) «Silvia Giordano, Baroni, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti, Turco, Basilio, Artini, Paolo Bernini, Corda, Frusone, Rizzo, Tofalo, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Spadoni, Scagliusi, Ruocco, Pisano».

Interrogazioni a risposta immediata:


   ROCCELLA, CALABRÒ e PAGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita;
   nel mese di agosto 2014 il Ministro interrogato ha inviato una nota ai capigruppo di Camera e Senato in cui si dà conto dell'esito del Consiglio dei ministri, nel quale si era ravvisata la necessità di intervenire per via legislativa al fine di regolamentare la fecondazione eterologa in Italia e di percorrere la via parlamentare e non quella del decreto governativo proposta dal Ministro stesso;
   le regioni hanno invece ritenuto opportuno, il 3 settembre 2014, predisporre un documento di indirizzo condiviso al quale ogni regione potesse fare riferimento per rendere accessibile, mediante delibera regionale, la fecondazione eterologa nel proprio territorio;
   provvedimenti di tipo amministrativo da parte delle regioni non possono comunque garantire la tracciabilità donatore-nato, né istituire il registro nazionale dei donatori e tantomeno completare il recepimento delle normative europee necessarie;
   nonostante le linee di indirizzo sulle fecondazione eterologa siano state condivise dalla totalità dei presidenti delle regioni, permane una notevole disparità fra le regioni italiane circa l'effettivo accesso alla pratica della fecondazione eterologa, riguardo alle strutture del servizio sanitario nazionale ed ai relativi ticket;
   è stato recentemente reso noto che presso il Careggi di Firenze è stata eseguita una fecondazione eterologa con gameti importati da una banca estera, presumibilmente acquistati;
   da fonti di stampa sembrerebbe che la regione Toscana, che per prima ha approvato una delibera che rendeva praticabile la fecondazione eterologa e che pure ha aderito, successivamente, al comune documento delle regioni, abbia recentemente modificato la propria delibera rendendo addirittura inaccessibile, nelle strutture pubbliche, la fecondazione eterologa alle donne con età superiore ai 43 anni, anche a pagamento;
   circa il 70 per cento delle richieste di eterologa viene da donne con un'età superiore ai 43 anni e questa decisione della Toscana indirizzerebbe inevitabilmente le donne di questa regione verso cliniche private, nonostante la sentenza della Corte costituzionale abbia chiaramente stigmatizzato le discriminazioni economiche a carico delle coppie che dovevano rivolgersi a cliniche straniere, a pagamento, quando vigeva il divieto di eterologa nel nostro Paese;
   amministratori e presidenti di diverse regioni nei mesi scorsi hanno pubblicamente dichiarato accessibile in tempi brevi e a tutti l'eterologa nelle strutture pubbliche da loro stessi amministrate, lasciando pensare di essere in grado di fornire tale servizio, quando invece ancora sembrano lontane dall'esserlo;
   questa situazione, sempre da notizie di stampa, sembra aver portato alla formazione di lunghe liste di attesa che, nel caso della Toscana, dovranno essere di nuovo ampiamente modificate e che, in generale, non riescono neppure a garantire e quantificare concretamente i tempi di attesa delle coppie –:
   quali iniziative intenda avviare il Ministro interrogato per monitorare la situazione che si è venuta a creare riguardo all'applicazione della sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale, informando al tempo stesso i cittadini del reale stato dei fatti. (3-01120)


   BINETTI, GIGLI, BUTTIGLIONE, SBERNA e D'ALIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 21 settembre 2014 è stata la giornata mondiale dell'Alzheimer, la 21o da quando è stata istituita; essa costituisce una manifestazione a livello globale con l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento, combattendo lo stigma che spesso circonda la malattia, per individuare strategie di azione collettive e ridurne il peso complessivo;
   attualmente, 44 milioni di persone soffrono della malattia e l'obiettivo è quello di ridurre il rischio del 25 per cento a livello globale entro il 2025, ma il World Alzheimer report 2014, il rapporto mondiale realizzato dal Alzheimer disease international (Adi), stima che entro il 2025 il numero potrebbe raddoppiare ed entro il 2050 triplicare;
   secondo le stime, nel 2050 il 71 per cento dei soggetti con demenza vivranno in aree più povere e culturalmente meno sviluppate. La realizzazione di campagne di salute pubblica efficaci può contribuire a ridurre il rischio globale;
   i cinque elementi fondamentali per abbassare il rischio di demenza, secondo il World Alzheimer report 2014, sono: attenzione alla salute cardiaca, esercizio fisico e mentale, dieta bilanciata e partecipazione ad attività sociali;
   «Possiamo ridurre il rischio?» è il tema del 2014 che sarà trattato durante il mese mondiale dell'Alzheimer (World Alzheimer's month 2014), che tradizionalmente ricorre in settembre;
   età e caratteristiche genetiche rientrano tra i fattori di rischio, ma l'astinenza dal fumo, il consumo di cibi più sani, l'attività fisica e una buona istruzione, associati all'abitudine di mantenere il cervello in esercizio, contribuiscono in misura significativa a contenere al minimo le possibilità di soffrire di demenza, afferma Graham Stokes, direttore generale di Dementia care;
   anche i momenti di socializzazione potrebbero abbassare il rischio di demenza, ma soltanto il 17 per cento della popolazione è a conoscenza di questo fattore. Uno stile di vita di questo tipo giova anche alle persone che soffrono già di demenza o che presentano segnali della malattia, contribuendo a rallentarne la progressione;
   il costo globale per questa malattia, stimato nel 2010, è risultato pari a circa 600 milioni di dollari; numerosi studi indicano che l'incidenza della demenza è in calo nei Paesi ad alto reddito, grazie al miglioramento dell'istruzione e della salute cardiovascolare;
   secondo Martin Prince, autore del rapporto, «dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere per accentuare questa tendenza. Con un costo globale di oltre 600 miliardi di dollari, la posta in gioco non potrebbe essere più alta»;
   uno dei punti su cui si cerca di intervenire a livello mondiale è la salute cardiaca, come è possibile rilevare dalle informazioni disponibili sul sito ufficiale http://www.alz.co.uk/, a cui occorre prestare attenzione per ridurre il rischio individuale di demenza; in particolare, i fumatori rispetto ai non fumatori presentano un rischio di demenza aumentato del 45 per cento;
   il World Alzheimer report 2014 chiede che la demenza sia inserita nei piani nazionali di salute pubblica come altre malattie; in Italia il 27 giugno 2014 il piano demenze è stato presentato al Ministro interrogato ed il 14 novembre 2014 si terrà, presso il Ministero della salute, la Conferenza internazionale sulla demenza, cui partecipa anche la Federazione Alzheimer Italia –:
   quando il piano entrerà in vigore, al fine di aiutare i malati e i loro familiari e creare una rete di servizi ad hoc, ormai diventata indispensabile, e cosa si stia facendo in Italia per ridurre il rischio complessivo di demenza del 25 per cento entro il 2025, come previsto dal World Alzheimer report 2014. (3-01121)


   LENZI, ALBINI, AMATO, ARGENTIN, BECATTINI, BENI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, MARIANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso i quotidiani italiani riportano notizie allarmati su possibili casi sospetti di ebola anche in Italia, su persone che per precauzione vengono messe in quarantena, come quella dei soldati americani di stanza alla base militare di Vicenza, di ritorno dalla missione anti-virus in Liberia, o di persone isolate o escluse dalla vita sociale per la paura che siano portatrici del virus, come è accaduto a Fiumicino nel caso della bambina di tre anni che, una volta rientrata in Italia da una vacanza in Uganda, Paese peraltro non contagiato dalla epidemia di ebola, non ha potuto rientrare subito a scuola perché gli altri genitori avevano paura che potesse essere infetta;
   questi fatti provocano tensioni e paure, come tensioni e paure provocano le notizie di contagio di tubercolosi per operatori a contatto con i migranti in arrivo, notizie smentite dalla stessa Polizia di Stato, in un recente comunicato;
   la malattia da virus Ebola, precedentemente nota come febbre emorragica da virus ebola, è una malattia grave, spesso fatale. La malattia colpisce gli uomini e i primati (scimmie, gorilla, scimpanzé);
   l'ebola è apparsa la prima volta nel 1976 in due focolai contemporanei: in un villaggio nei pressi del fiume ebola nella Repubblica democratica del Congo e in una zona remota del Sudan;
   il 13 settembre 2014 il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità ha affermato che finora l'epidemia di ebola in Africa Occidentale – e in particolare in Guinea, Sierra Leone e Liberia – ha ucciso più di 2.400 persone su 4.784 contagiate. Chan ha aggiunto che l'epidemia continua a espandersi a una velocità maggiore di quanto le autorità siano pronte ad affrontare e che i dati sul numero dei morti potrebbero essere molto sottostimati a causa delle difficoltà nella registrazione dei nuovi casi: gran parte dei malati non è ricoverata in un strutture mediche e non rientra, quindi, in alcun bilancio ufficiale;
   nel mese di settembre 2014 l'Organizzazione mondiale della sanità si era detta fiduciosa di poter arginare l'epidemia entro nove mesi, ricorda il New York Times, e aveva previsto che a quel punto il numero delle persone contagiate avrebbe potuto aggirarsi intorno alle 20 mila;
   anche la tubercolosi è una malattia contagiosa che si trasmette per via aerea mediante un batterio, il mycobacterium tuberculosis. Il contagio può avvenire per trasmissione da un individuo malato, tramite saliva, starnuto o colpo di tosse. Per trasmettere l'infezione bastano pochissimi bacilli anche se non necessariamente tutte le persone contagiate dai batteri della tubercolosi si ammalano subito. Il sistema immunitario, infatti, può far fronte all'infezione e il batterio può rimanere quiescente per anni, pronto a sviluppare la malattia al primo abbassamento delle difese. Si calcola che solo il 10-15 per cento delle persone infettate dal batterio sviluppa la malattia nel corso della sua vita. Un individuo malato, però, se non è sottoposto a cure adeguate può infettare, nell'arco di un anno, una media di 10-15 persone –:
   quali misure urgenti il Ministro interrogato abbia adottato o intenda adottare non solo per prevenire ogni possibile ed eventuale diffusione di queste due malattie in Italia, ma anche perché ci sia una corretta informazione che eviti ogni inutile allarmismo e paura. (3-01122)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la formazione di un medico specialista impegna oggi non meno di 10 anni e in alcuni casi possono essere necessari anche 12 anni, come accade con alcune scuole di specializzazione particolarmente lunghe, come sono molte di quelle dell'area chirurgica. Servono sei anni per laurearsi e poi una media di 5 anni per socializzarsi, sempre che si acceda alla scuola di specializzazione subito dopo aver conseguito il titolo accademico di dottore in medicina e chirurgia;
   la Federazione degli Ordini denuncia da tempo il rischio di un vero e proprio spopolamento medico, data l'alta età media della categoria. Tra 10 anni, nel 2024, ossia nel tempo che trascorre tra l'attuale 2014 e la conclusione dell'iter di studi e di specializzazione di quanti si sono matricolati proprio questo anno, si rischia di avere 34 mila chirurghi in meno, pediatri e specialisti ambulatoriali ridotti di un terzo. E molto probabilmente tra i 2 e i 3 milioni di italiani corrono il rischio di rimanere senza medico di famiglia. A questi dati va aggiunta anche la crisi economica che bloccando il turn over di professionisti qualificati non consente assunzioni a tipo indeterminato. Nel 2010 il numero di chirurghi generali assunti a tempo indeterminato ha coperto il 10 per cento del fabbisogno e quello di chirurghi specialistici il 20 per cento. Nell'area delle «medicine», inoltre, tra il 2005 e il 2012 c’è stata un'analoga riduzione del 7 per cento assunzioni a tempo indeterminato;
   il problema più rilevante resta quello dei giovani laureati che non hanno accesso né alle scuole di specializzazione né alle scuole di medicina generale per mancata disponibilità di borse di studio, o meglio di veri e propri contratti di formazione, per cui cresce l'elenco di medici «generici» che non diventeranno mai né medici di famiglia né specialisti per carenza di posti nelle rispettive scuole. Un numero rilevante di giovani professionisti per i quali lo spazio di un inserimento professionale qualificato si assottiglia sempre di più;
   già la forbice di questo anno è particolarmente significativa: gli studenti iscritti in base a graduatoria nazionale sono 10.000, le borse di studio disponibili per i loro colleghi neo laureati, iscritti sei anni prima, la metà. Risultano solo 5000 contratti di formazione e per di più ottenuti con lunghe ed estenuanti trattative con il Ministero dell'economia e delle finanze Ai 10.000 studenti previsti vanno inoltre aggiunti tutti coloro che avendo fatto ricorso al TAR hanno o ottenuto risposta positiva per reali o presunte irregolarità al momento dello svolgimento degli esami. Finora si tratta almeno di 3000 ricorrenti, ma non è affatto detto che ci si fermi a questi numeri;
   quando si parla di formazione della futura classe medica il problema non è solo il numero, ma anche la qualità specifica, le competenze che hanno acquisito i neo-specialisti, il loro livello di autonomia e il giusto equilibrio tra le diverse specializzazioni, includendo anche la formazione di medicina generale, per garantire sicurezza al paziente e solidità al servizio sanitario nazionale. Evidentemente va rifatta una seria programmazione da parte del Ministero della salute e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dopo aver sentito la Conferenza Stato-regioni e la Fnomceo. Una programmazione che deve avere una proiezione almeno decennale, dal momento che dieci sono gli anni necessari a formare un medico specialista o un medico di medicina generale –:
   quali siano gli impedimenti del Ministro rispetto a tale situazione e alle proiezioni citate avendo come parametro di riferimento il numero di studenti realmente immatricolati nell'anno accademico 2014-2015 (programmati più ricorrenti al TAR) e le loro concrete opportunità di formazione specialistica, misurate in contratti di formazione. (5-03879)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 ha introdotto nell'ordinamento amministrativo la vicedirigenza nella pubblica amministrazione istituendo una apposita area separata della vicedirigenza stessa nella quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3 che abbia maturato cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento;
   il predetto articolo è stato ripreso nel decreto attuativo alla legge delega n. 15 del 2009 relativa al pubblico impiego pertanto l'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 è rimasto invariato; con la riforma della dirigenza-attuata dalla legge 15 luglio 2002 n. 145 si introduce l'area separata della vicedirigenza che modifica sostanzialmente la struttura del pubblico impiego che, prima della introduzione di detta area, vedeva i dipendenti pubblici suddivisi nei due blocchi contrapposti di dirigenti e degli altri dipendenti in unico sistema di contrattazione collettiva;
   l'introduzione del termine «separata» per l'area della vicedirigenza rappresenta la volontà del legislatore di non ricomprendere questi dipendenti nel contratto di comparto bensì in una contrattazione specifica in considerazione di una categoria intermedia tra quella dirigenziale e quella impiegatizia;
   la ratio della norma consiste nella impossibilità di definire il rapporto di lavoro con gli stessi strumenti utilizzati dal contratto di comparto in quanto il personale direttivo espleta compiti più vicini a quelli dei dirigenti piuttosto che a quelli degli impiegati; la figura del vicedirigente, indispensabile in una organizzazione efficiente ed efficace, dovrebbe in altre parole rappresentare l'area dei quadri direttivi della pubblica amministrazione;
   tuttavia, a dispetto della legittima aspettativa degli aventi diritto, la pubblica amministrazione ha sempre ignorato quanto previsto dalla legge, nonostante sentenze favorevoli, preferendo non parlare più di vicedirigenza. Fu tanto grave la penalizzazione scaturitane che gli interessati si videro costretti ad adire il contenzioso amministrativo culminato con la sentenza del TAR Lazio 10 maggio 2007 n. 4266 recante l'ordine ad attuare il dettato legislativo. Ciò non fu sufficiente, tant’è che si rese necessario un nuovo intervento del giudice amministrativo che, con sentenza n. 4391 del 16 maggio 2012 del TAR del Lazio, nominò un commissario ad acta per dare pieno adempimento alla sentenza n. 4266 del 10 maggio 2007;
   successivamente, il giudizio di ottemperanza fu bloccato da un intervento legislativo: il comma 13 dell'articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, così come convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha soppresso la vicedirigenza, di fatto caducando l'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 e vanificando quindi gli effetti del terzo comma dell'articolo della legge n. 145 del 2002;
   tuttavia, il contenzioso è proseguito fino a che il 16 aprile 2014 il Consiglio di Stato ha emesso l'ordinanza n. 4211/2013 con la quale ha sollevato questione di legittimità costituzionale dinnanzi alla Corte costituzionale dell'articolo 5, comma 13, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha disposto l'abrogazione dell'articolo 17-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che aveva previsto l'istituzione previa contrattazione collettiva della vicedirigenza;
   in detta ordinanza, il Consiglio di Stato massimo organo della giurisdizione amministrativa ha fatto uso di parole così forti nei confronti di una simile metodica politica ormai divenuta prassi corrente, ma che, nel caso di specie, aveva un unico obiettivo: impedire la effettiva ottemperanza ad una sentenza passata in giudicato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga per motivi di opportunità amministrativa e politica di promuovere, una modifica normativa nel senso auspicato prima che si pronunci la Corte costituzionale. (4-06618)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   PRATAVIERA, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, anche a seguito di interventi normativi approvati dal Parlamento, la società Ilva con sede in Taranto, soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Riva Fire spa, si trova attualmente sottoposta a commissariamento straordinario ai sensi di quanto previsto dal decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89;
   benché i media abbiano spesso focalizzato l'attenzione sulla necessità, legittima, di tutelare i lavoratori dell’Ilva, occorre parimenti riconoscere l'esistenza di un notevole numero di aziende ed artigiani (più di tremila) che sono a loro volta fornitori della società, il cosiddetto «indotto» e che contrariamente a quanto si pensa comunemente, solo in piccola parte, meno del 40 per cento, hanno la loro sede nell'area tarantina e pugliese;
   questa enorme realtà produttiva merita di essere tutelata, in quanto a propria volta consiste di lavoratori e posti di lavoro che sono stati posti a rischio dalla crisi dell’Ilva al pari dei dipendenti diretti;
   i provvedimenti prima giudiziari, poi legislativi e oggi commissariali che si sono succeduti nella gestione dell’Ilva hanno alterato profondamente la gestione finanziaria dell'azienda, bloccando dapprima e poi rallentando enormemente il sistema dei pagamenti delle forniture rispetto alla loro naturale scadenza; ad oggi si registrano debiti da fornitura di durata pari o superiore ad un anno, in alcuni casi;
   risulta, in base a documenti pubblicati anche sul sito internet della società, che dal 19 settembre 2014 sarebbero in corso i pagamenti dei fornitori dell’Ilva che hanno la sede nella provincia di Taranto. La scelta appare agli interroganti di dubbia legittimità ed inspiegabilmente lesiva dei basilari principi di eguaglianza dei creditori, a maggiore ragione se perpetrata da un commissario di nomina governativa e, come riportato dal sito su istanze di «autorità istituzionali e religiose» e con il placet di Confindustria, per far fronte allo stato di crisi, che sta colpendo tutto il Paese e non certo la sola provincia di Taranto;
   nulla al momento è stato in grado di garantire il Governo, attraverso il proprio commissario, riguardo ai tempi e alle certezze dei pagamenti delle altre aziende non pugliesi che sono in sofferenza a causa del mancato pagamento dei propri debiti da parte dell’Ilva –:
   quali misure intenda assumere il Ministro interrogato, anche per il tramite del commissario, per garantire uguaglianza di trattamento a tutte le aziende che lavorano con l’Ilva, indipendentemente dalla loro sede geografica, e in quali modi e tempi saranno saldati i debiti pregressi verso tutti i fornitori. (3-01123)


   VITELLI e GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore del metano per autotrazione occupa in Italia – tra segmento commerciale ed industriale – circa 20.000 addetti, ognuno dei quali contribuisce a sviluppare un giro d'affari complessivo pari a circa 1,8 miliardi euro all'anno. L'industria italiana del gas naturale per il trasporto è riconosciuta a livello mondiale come il punto di riferimento nel suo settore di attività. Nel corso degli anni l'industria ha sostenuto e sviluppato progetti di mobilità sostenibile a basso impatto ambientale, sia per i settori del trasporto pubblico che per quello privato. L'Italia è l'unico Paese europeo ad avere una rete abbastanza diffusa sul territorio, parimenti correlata ad un parco circolante di una certa rilevanza;
   a ciò si aggiunge che l'aumento dei prezzi dei carburanti e il calo generalizzato dei consumi, incluso quelli di benzina e gasolio, hanno spinto gli acquirenti verso modelli ad alimentazione alternativa, le cui vendite sono passate dal 5,6 per cento di quota del 2011 al 15,3 per cento del 2013;
   a livello europeo la politica dei trasporti prevede obiettivi di lungo periodo per ricercare, in tutte le scelte strategiche, un equilibrio fra crescita economica, benessere sociale e protezione dell'ambiente. La politica comunitaria dei trasporti ha, inoltre, il fine di integrare gli impegni internazionali in materia ambientale, nonché di contribuire a realizzare gli obiettivi della politica energetica europea, soprattutto in relazione alla sicurezza dell'approvvigionamento e alla sostenibilità;
   i veicoli a gas presentano emissioni inquinanti (PM, NOx, HC) e producono emissioni climalteranti (anidride carbonica) inferiori a quelle di un analogo veicolo tradizionale, soprattutto se si considera l'intero ciclo vita dei carburanti. Essi contribuiscono ad assicurare un percorso virtuoso verso la decarbonizzazione nel rispetto dei vincoli in materia di qualità dell'aria;
   l'adozione del metano, sia per quanto riguarda le immatricolazioni che per le conversioni, ha contribuito fortemente a ridurre le emissioni medie di anidride carbonica delle automobili italiane. Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, negli anni 2011-2013 è continuata la tendenza alla riduzione delle emissioni specifiche di anidride carbonica delle autovetture nuove. In particolare, la media ponderata delle emissioni sul mercato italiano è scesa dai 132,7 grammi per chilometro del 2010 a 129,5 grammi per chilometro nel 2011, raggiungendo in anticipo l'obiettivo europeo già previsto per il 2015, ed è ulteriormente migliorata nel 2012, attestandosi a 126,2 grammi per chilometro e registrando un'ulteriore diminuzione nel 2013, secondo dati provvisori;
   in tale ottica, il 20 marzo 2014 Parlamento e Consiglio dell'Unione europea hanno raggiunto un accordo sul testo finale della direttiva riguardante la realizzazione di infrastrutture per carburanti alternativi. La proposta, parte del pacchetto Clean power for transport, prevede l'elaborazione di quadri strategici nazionali al fine di promuovere la diffusione sul mercato dei combustibili alternativi;
   inoltre, l'8 novembre 2012 la Commissione europea – sotto la responsabilità del Commissario Tajani – ha pubblicato la comunicazione «CARS 2020: piano d'azione per un'industria automobilistica competitiva e sostenibile in Europa», con l'obiettivo di proporre una serie di misure specifiche volte a rilanciare la competitività di questo settore industriale. Tra i quattro pilastri ai quali è stata attribuita alta priorità c’è la promozione «degli investimenti nelle tecnologie avanzate e nell'innovazione in funzione per i veicoli puliti»;
   dal 2011 l'Unione europea sta discutendo una proposta per l'armonizzazione delle accise minime tra i carburanti, volta a modificare la direttiva 2003/96/CE, con il duplice obiettivo di razionalizzare la tassazione del valore energetico dei combustibili e, in particolare, di introdurre una componente che valorizzi le esternalità negative legate alle emissioni di carbonio, da un lato, e di coordinare la tassazione energetica con il sistema «EU ETS», dall'altro;
   la proposta iniziale è stata più volte rimaneggiata in sede di negoziati tra i Paesi membri, ma ogni nuova versione rischia comunque di minare la leva universalmente impiegata per consentire la diffusione su larga scala dell'utilizzo del metano per autotrazione: il regime di fiscalità favorevole, che fa sì che ad oggi il metano abbia un prezzo alla pompa di 0,99 euro al chilogrammo (da paragonarsi a 1,5 litri di benzina);
   stando a quanto affermato dal Viceministro dell'economia e delle finanze pro tempore Legnini in un'audizione presso le Commissioni riunite ambiente, territorio e lavori pubblici ed attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati, nel secondo semestre 2012 alcuni punti cardine della proposta iniziale della Commissione europea, tra cui la concatenazione delle aliquote che di fatto limitava fortemente la sovranità fiscale degli Stati membri, sono stati stralciati. È, invece, stato confermato che i livelli minimi di tassazione previsti nella nuova direttiva dovranno tener conto sia del contenuto energetico dei prodotti sia delle relative emissioni di anidride carbonica, fermo restando che gli Stati membri manterranno completa flessibilità nel determinare le aliquote di tassazione nel rispetto dei livelli minimi comunitari e potranno conservare nelle legislazioni nazionali un'imposta unica (senza distinguere tra le due componenti);
   l'agenda dell'Ecofin del 14 ottobre 2014 prevede la discussione della sopra menzionata direttiva, per chiedere ai Ministri europei un input per sbloccare lo stallo dei negoziati a livello tecnico –:
   in che modo il Governo intenda impegnarsi al fine di tutelare il settore del metano per autotrazione, assoluta eccellenza italiana riconosciuta in tutto il mondo, e se, alla luce del semestre di presidenza del Consiglio dell'Unione europea, intenda adoperarsi per la revisione dell'attuale proposta di direttiva sulla tassazione energetica, al fine di assicurare la sostenibilità economica dell'aliquota sul metano e la dilazione temporale dell'innalzamento della tassazione, anche sulla base delle politiche ambientali dell'Unione europea, che si impegnano alla maggiore diffusione della mobilità sostenibile. (3-01124)


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi alluvionali che hanno colpito la città di Genova nelle giornate dal 9 al 13 ottobre 2014 avrebbero provocato danni gravissimi complessivamente stimati in un miliardo di euro;
   in particolare, i danni stimati per le opere pubbliche ammonterebbero a circa quattrocento milioni di euro, quelli per le imprese a circa trecentocinquanta milioni di euro ed i danni relativi alle famiglie a circa duecento milioni di euro;
   la drammatica alluvione non solo ha distrutto numerose imprese, ma ha anche messo a rischio la prosecuzione di tantissime altre, già duramente provate dalla crisi economica in atto –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di tutelare e sostenere le imprese colpite e l'intero tessuto produttivo della zona, anche attraverso la sospensione dei pagamenti di tasse ed imposte, nonché attraverso il coinvolgimento del sistema bancario e creditizio nell'erogazione agevolata di crediti per la ricostruzione. (3-01125)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni i circa 100 dipendenti delle «Fonderie Meridionali» di Bari stanno protestando in merito ai rischi di chiusura dello stabilimento di proprietà del gruppo Ceco DT;
   l'azienda starebbe valutando la doppia opzione o della vendita dell'impianto o della ristrutturazione e, comunque, in entrambe le ipotesi a rischio vi sarebbero molti posti di lavoro;
   un eventuale chiusura dell'impianto avrebbe ripercussioni negative anche per l'indotto industriale di Bari a partire dalla General Elettric;
   Regione Puglia e comune di Bari hanno già manifestato la piena disponibilità per quelle che sono le proprie competenze, a fare di tutto per scongiurare la nefasta ipotesi di chiusura e hanno chiesto l'attivazione di un tavolo tecnico in sede ministeriale;
   tra le criticità emerse vi sarebbero quelle legate a lungaggini burocratiche nelle procedure di affidamento di gare e appalti;
   va evitato un ulteriore ridimensionamento del tessuto industriale presente a Bari in considerazione della già difficile situazione produttiva ed occupazionale –:
   se il Ministro intenda raccogliere la richiesta effettuata da Comune di Bari e regione Puglia per l'attivazione immediata di un tavolo ministeriale con l'azienda al fine di scongiurare la chiusura dell'impianto delle Fonderie Meridionali di Bari e la conseguente salvaguardia dei livelli occupazionali. (5-03880)


   TULLO, BASSO, CAROCCI, GIACOBBE e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 21 ottobre 2014 si è svolta presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati l'audizione dell'amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti sulle strategie complessive del gruppo, anche in preparazione del prossimo piano industriale;
   nel corso dell'audizione l'amministratore delegato ha confermato la trasformazione della holding Finmeccanica da finanziaria ad industriale, ridisegnando il perimetro e i campi di azione delle aziende del gruppo, ipotizzando con il nuovo piano industriale eventuali nuove cessioni al fine di potenziare i prodotti che saranno definiti strategici, in particolare per quanto riguarda il settore militare (aerospazio e difesa);
   è stata inoltre confermata la volontà di procedere alla cessione di Ansaldo Breda e Ansaldo STS, e criticità sono state espresse su Selex Es;
   durante l'audizione da parte di molti parlamentari sono stati sottolineati elementi di criticità alla cessione di fatto del settore trasporti di Finmeccanica, ed è stata espressa grande preoccupazione per questa scelta anche intravedendo ricadute negative per quanto riguarda Selex Es;
   Selex Es, a Genova conta circa 2.000 persone di cui 1.200 che si occupano di attività prettamente civili quali: automazione postale, automazione industriale (infrastrutture critiche e trasporti), material handing (automazione aereoportuale e corriverò), Ict, soluzioni per il trasporto intelligente (ticket ing) smart soluzione, telecomunicazioni professionali. Per quanto riguarda la parte militare che occupa circa 600 lavoratori le aree di competenza riguardano: sistemi di tiro radar e optoelettronici, sistemi di navigazione e di comunicazione, componenti forza NEC, sistemi dual use (FOB, Archimede) protezione basi e porti, sistemi di simulazione – integrated Test Bed;
   oggi Selex Es compete sui mercati internazionali grazie alla sua dimensione industriale e alle razionalizzazioni compiute nel passato che hanno portato tre realtà distinte ad integrarsi, razionalizzazioni che hanno comportato esuberi e cassa integrazione; il rilancio di Selex Es ha visto protagonisti i lavoratori, che oggi sono giustamente preoccupati per il futuro dell'azienda ed in particolare di un suo indebolimento, attraverso magari cessioni parziali e indiscriminate di settori di attività della stessa:
   il Viceministro  dello sviluppo economico Claudio De Vincenti rispondendo il 10 ottobre 2014 ad una interpellanza dei deputati del Partito Democratico in relazione al piano industriale di Finmeccanica affermava tra l'altro «il piano industriale di Finmeccanica prevede, appunto, la concentrazione in settori ad elevata innovazione tecnologica, in particolare quelli dell'aereo spazio, difesa e sicurezza. E sottolineo come all'interno di questo gruppo di settori, non abbiamo solo a che fare con il militare, ma abbiamo una presenza amplissima di produzioni per il civile. Basti pensare alle attività di Selex, alle attività di Telespazio, alle attività di Avio e Aeremacchi è così via. Noi pensiamo che questi settori in cui sia assolutamente necessario rafforzare la presenza italiana è che Finmeccanica sia l'operatore chiave di questa operazione» –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo quale principale azionista di riferimento del gruppo Finmeccanica, nonché nelle sue responsabilità di indirizzo e programmazione per tutelare le capacità e la forza industriale di Selex Es e gli attuali posti di lavoro. (5-03881)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da uno studio pubblicato sul quotidiano Il Sole 24 Ore il 6 ottobre 2014, è emerso che l'Italia risulta essere al primo posto per le frodi realizzate nell'ambito dei finanziamenti dell'Unione Europea;
   a indicare con precisione la classifica con i dati numerici, è la Relazione annuale presentata dal Comitato per la lotta contro le frodi nei confronti dell'Unione europea (Colaf), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, coadiuvato dal nucleo antifrode della Guardia di finanza;
   secondo la suddetta relazione, nel 2013 sono stati 439 i casi di frode segnalati dal nostro Governo alla Commissione europea: per l'Italia si tratta quindi di un totale di 80,9 milioni di euro sottratti in maniera illegittima dal bilancio dell'Europa e per il nostro Paese, ove non recuperati, rappresenteranno di conseguenza una perdita finanziaria;
   il numero delle frodi segnalate, peraltro, è più che raddoppiato dal 2012, anno nel quale il numero di queste ultime era di 198, mentre la cifra attuale colloca l'Italia in cima a questa impietosa classifica europea;
   la quota più consistente degli illeciti segnalati, pari al 70 per cento del totale, ha avuto in particolare come oggetto la Politica agricola comune (PAC);
   sul versante dei fondi strutturali, invece, il maggior numero di irregolarità amministrative è stato riscontrato nell'ambito dei fondi gestiti proprio dal Ministero interrogato, per un ammontare di oltre 15 milioni di euro su un totale complessivo di 59,8;
   seguono nella classifica relativa alle frodi in ambito di fondi strutturali la Calabria per un importo praticamente pari a quello del Ministero dello sviluppo economico (euro 15.250.97,00) e, al terzo posto con un importo decisamente inferiore, sebbene comunque cospicuo, la Sicilia con 8.395.059;
   la maggior parte (41 per cento) di violazioni riscontrante nell'ambito dei fondi strutturali riguarda violazione delle norme relative alla disciplina degli appalti pubblici, come il mancato rispetto dei termini di pubblicazione del bando di gara o il frazionamento artificioso delle attività di progettazione;
   gli effetti negativi e penalizzanti delle frodi sull'economia nazionale, risultano pertanto evidenti e l'interrogante per brevità sintetizza di seguito:
    a) la mancata realizzazione degli obiettivi di crescita e occupazione;
    b) la perdita finanziaria per lo Stato Membro in caso di mancato recupero;
    c) l'alimentazione dei flussi dell'economia illegale;
    d) l'influenza negativa del rapporto fiduciario tra cittadini ed istituzioni europee;
   anche se la Relazione in precedenza esposta, analizzata nella sua interezza, contiene elementi riportati in tono ottimistico, in linea con l'attuale atteggiamento del Governo, i numeri riportati sono chiari ed evidenziano che il totale delle frodi commesse è praticamente triplicato in un solo anno, passando come ricordato da 198 nel 2012 a 439 nel 2013;
   a giudizio dell'interrogante pertanto si avverte l'esigenza di conferire una maggiore efficacia alla vigilanza del fenomeno e, altresì, un determinante impulso alle attività di coordinamento delle amministrazioni e degli enti locali e territoriali, preposti alla gestione delle risorse dell'Unione europea –:
   quali iniziative, alla luce delle considerazioni suesposte sull'evidente e improrogabile necessità di adottare misure dissuasive sempre più efficaci, tali da permettere una protezione effettiva, intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie rispettive competenze, al fine di combattere un fenomeno che, come incontrovertibilmente dimostrato dai dati, mostra la pericolosa tendenza ad aumentare triplicando addirittura i valori in un solo anno, complice anche una generale crisi economica dell'intera eurozona che incentiva comportamenti illeciti;
   se siano in possesso di ulteriori elementi specifici, oltre a quelli riportati in premessa, che riguardano in particolare la regione Sicilia, connessi alle violazioni riscontrate nell'ambito dell'utilizzo dei fondi strutturali comunitari, i cui comportamenti scorretti si ripercuotono in maniera negativa per la contabilità nazionale, nell'ambito delle regole bilancio derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e degli accordi internazionali intrapresi. (4-06609)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sui Bollettini ufficiali degli idrocarburi e delle georisorse di gennaio e febbraio del corrente anno, la società Global MED LLC ha presentato al Ministero dello sviluppo economico numero 6 istanze di permesso di ricerca idrocarburi offshore nel mar Ionio;
   l'area coinvolta da queste 6 richieste andrebbe ad interessare la Puglia, la Basilicata e la Calabria per un totale di 4.457 chilometri quadrati. Nello specifico, le estensioni relative a suddette richieste risultano essere le seguenti: 737,5 chilometri quadrati a 13,7 miglia dalla costa di Capo Rizzuto, 748,4 chilometri quadrati a 12,7 miglia dalla costa tra Crotone e Cirò Marina, 744,6 chilometri quadrati a 13,9 miglia dalla costa di Santa Maria di Leuca, un'altra area di 748,6 chilometri quadrati a 24,6 miglia dalla costa di Crotone, altri 749,1 chilometri quadrati a 25,9 miglia dalla costa di Santa Maria di Leuca e un'ulteriore area di 729,2 chilometri quadrati a sud di Santa Maria di Leuca (Lecce);
   queste nuove istanze portano a 16 il numero totale di richieste di ricerca di idrocarburi esistenti ad oggi per il Mar Jonio, alle quali sono da aggiungere numero 4 concessioni già attribuite lungo la costa calabrese;
   tali istanze sono state presentate dalla società americana Global Med Llc, con sede a Littleton, in Colorado. Da quanto si apprende dalla scheda depositata presso il Ministero dello sviluppo economico, la Global Med è un'appendice della Global Group, società americana fondata e guidata da Randall C. Thompson e riconducibile, per come riportato da alcuni organi di stampa, alla potenza mineraria inglese Bhp Billiton;
   nei giorni scorsi, la Global Med Llc ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare numero 5 istanze di valutazione di impatto ambientale che interessano un'area complessiva di 3.728 chilometri quadrati nel Mar Jonio;
   su queste aree è interesse della Global Med «l'individuazione di nuove riserve di giacimenti offshore, per una successiva fase di sfruttamento». Nello specifico, le ricerche che intende svolgere la Global Med saranno effettuate non attraverso la trivellazione dei fondali, bensì mediante il ricorso alla tecnica dell’«air gun», ossia un meccanismo che produce onde sismiche;
   gli effetti derivanti da questo sistema di ricerca sono ritenuti, dalla comunità scientifica, esiziali per la fauna marina;
   l'8 ottobre 2014 in occasione della riunione a Bruxelles dell'EU Strategy for the Adriatic and Ionian Region (Eusair), i presidenti delle regioni Puglia, Molise, Abruzzo e Marche hanno ribadito la loro totale contrarietà alla trivellazione dell'Adriatico per la ricerca degli idrocarburi;
   numerose sono le iniziative e le mobilitazioni da parte di cittadini, associazioni ambientaliste, rappresentanti degli enti locali e parlamentari che chiedono di rivedere totalmente la linea impressa dal Governo sulle trivellazioni in Adriatico e nello Ionio;
   i dati forniti circa i giacimenti petroliferi presenti in Italia, riportati nella BP Statistical Review del giugno 2014, riferiscono che le riserve di combustibili fossili sfruttabili nel nostro Paese si attestano attorno ai 290 Mtep. Poiché il consumo di energia primaria annuale dell'Italia è stimato in circa 159 Mtep, queste supposte riserve corrispondono al consumo di meno di due anni;
   l'inquinamento sistematico e il rischio di incidente proprio a queste attività di ricerca e di estrazione mettono a rischio aree di pregio naturalistico e paesaggistico, dove si svolgono attività economiche legate ai settori delle pesca e del turismo, attualmente non severamente colpite dai morsi della crisi economica;
   la regione Puglia, in particolar modo, negli ultimi 10 anni, ha fortemente investito nel settore della pesca rendendolo una delle componenti fondamentali della sua economia, nonché nel turismo che è diventato un vero e proprio settore trainante e strategico per l'intera economia regionale;
   queste realtà economiche che si basano sulla tutela della qualità del mare, della costa e dell'ambiente, sono incompatibili con la prospettiva di qualunque tipo di attività estrattiva, che potrebbe avere conseguenze catastrofiche a livello ambientale, economico e sociale;
   si presenta pertanto come necessario e non eludibile il criterio della cautela e precauzione nell'assumere scelte riguardo alla ricerca degli idrocarburi in mare, al fine di evitare il ricorso a concessioni ed autorizzazioni per iniziative le cui conseguenze non sono totalmente chiare e i cui impatti, a breve e a lungo termine sull'ecosistema marino, non sono completamente disponibili;
   la regione Puglia, le amministrazioni locali interessate, numerosi comitati ed associazioni hanno già, in più occasioni, rigettato le richieste di ricerche di idrocarburi pervenute negli ultimi mesi, evidenziando la contrarietà ad una scelta di politica energetica ed economica, nettamente in contrasto con la direzione intrapresa a livello locale che punta alla sostenibilità ambientale;
   appare preoccupante per l'intero sistema marino il ricorso alla tecnologia dell’air gun relativamente alla ricerca degli idrocarburi a largo delle coste ioniche –:
   se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga opportuno promuovere, mediante scelte politiche appropriate, l'uso di fonti energetiche alternative, considerato che attualmente le energie rinnovabili non sono più una fonte marginale ma producono il 22 per cento dell'energia elettrica su scala mondiale, e il 40 per cento in Italia, come riportato da un gruppo di docenti e ricercatori dell'università e dei centri di ricerca di Bologna;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover seguire il principio di precauzione rivedendo, in senso restrittivo le modalità per la concessione dei permessi alle ricerche di idrocarburi nella macroregione adriatico-ionica, considerate le peculiarità della maggior parte delle economie locali, basate su pesca e turismo, e il non convincente rapporto costi-benefici. (4-06622)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Iacono e altri n. 5-03776, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.
  L'interrogazione a risposta scritta Palazzotto n. 4-06605, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nicchi.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Binetti n. 5-03607 del 23 settembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Vitelli n. 4-06364 del 10 ottobre 2014;
   interpellanza urgente Prataviera n. 2-00723 del 21 ottobre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Scotto n. 5-03837 del 21 ottobre 2014;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Polverini n. 5-03846 del 22 ottobre 2014.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Sanga e altri n. 4-06542 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 315 del 22 ottobre 2014. Alla pagina 17813, seconda colonna, alla riga ventiquattresima, deve leggersi: «di Tavernola Bergamasca», e non «di Taversona Bergamasca», come stampato.

  Interrogazione a risposta in Commissione Rostellato e altri n. 5-03865 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 316 del 23 ottobre 2014. Alla pagina 17895, prima colonna, dalla riga trentacinquesima alla riga trentaseiesima, deve leggersi: «parte del pre-parco regionale dei Colli Euganei, al confine del» e non «parte del comprensorio del parco regionale dei Colli Euganei, al confine del», come stampato.