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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 23 ottobre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    secondo un Rapporto pubblicato il 20 giugno 2014, dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni in tutto il mondo ha superato i 50 milioni di persone. Alla fine del 2013 si contavano 51,2 milioni di migranti forzati, quasi 6 milioni di persone in più rispetto al 2012 dovute al massiccio esodo dalla Siria;
    in Europa i Paesi che hanno il maggior numero di rifugiati sono la Germania (589.737; 0,72 per cento sulla popolazioni residente), la Francia (217.865; 0,33 per cento), il Regno Unito (149.765; 0,23 per cento), la Svezia (92.872; 0,97 per cento e l'Olanda (74.598; 0,44 per cento). L'Italia con oltre 65.000 rifugiati, 0,11 per cento sulla popolazione residente, si colloca al sesto posto;
    il numero delle vittime e delle violazioni dei diritti umani da parte dei trafficanti, negli anni, è considerevolmente aumentato (in generale, dal 2000 al 2013, sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di fuggire dai conflitti e di raggiungere l'Europa via mare o attraversando i confini del vecchio continente via terra: in media più di 1.600 l'anno);
    nonostante lo straordinario impegno del Governo italiano con l'operazione di soccorso denominata Mare Nostrum che ha salvato migliaia di vite umane i drammi e le violazioni dei diritti umani «continuano a perpetrarsi;
    la Marina militare, all'interno dell'operazione Mare Nostrum, dal 18 ottobre 2013, ha assicurato il costante pattugliamento aeronavale del Mediterraneo e dello Stretto di Sicilia; 5 unità navali, circa 5 mila uomini impegnati, uomini e donne che hanno assistito direttamente 149 mila migranti, recuperato a bordo di navi che stavano affondando 93 mila persone e che hanno consegnato alla giustizia più di 500 scafisti;
    a partire da giugno sono stati 80.000 i controlli sanitari a bordo svolti da medici della marina militare e del servizio sanitario nazionale sulle imbarcazioni di migranti soccorse nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum e, ove questo non è stato possibile i controlli sono stati svolti da medici a terra prima dello smistamento nei centri di accoglienza;
    tale operazione dovrebbe terminare a novembre, sostituita dall'operazione Triton che Frontex farà partire il primo novembre con il contributo di 26 stati, coordinata dalla stessa Italia e con un budget di 2,9 milioni di euro al mese;
    la gestione dell'accoglienza, dell'identificazione e dell'assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea presenta numerose criticità, data la consistenza del fenomeno e considerate le talvolta difficili condizioni sociali ed economiche dei Paesi riceventi, difficoltà che si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
    con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le materie concernenti l'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea hanno acquisito la qualifica di politica comune dell'Unione europea (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea); pertanto, la concreta regolamentazione di tali materie risulta un'applicazione del Trattato; tra il 2007 e il 2013 l'Unione europea ha speso quasi 2 miliardi di euro per proteggere le frontiere esterne e solo 700 milioni di euro per il miglioramento della situazione di richiedenti asilo e rifugiati;
    nell'ambito dell'accoglienza, il tema della tutela della salute è certamente importante tenendo conto della provenienza, dei motivi della migrazione spesso forzata e del percorso migratorio di queste persone, delle condizioni di viaggio e delle possibilità di inserimento sociale;
    se da una parte tutte le aziende sanitarie interessate sono state in vario modo coinvolte, sorprende che il dibattito veicolato dai mass media più che sulle tutele si sia focalizzato sui pericoli. Man mano che il fenomeno degli sbarchi si è consolidato nei numeri, i giornali hanno riportato con grande enfasi il rischio delle «solite» (da almeno 30 anni ci confrontiamo con questi allarmismi) tubercolosi e scabbia, ma soprattutto il pericolo dell'importazione dell'ebola, lebbra e vaiolo;
    la tendenza a fare delle malattie infettive uno strumento di discriminazione è parte della nostra storia recente per l'Aids e oggi per Ebola. L'uso di parole come nuova peste e catastrofe sanitaria, pandemia, malattia che non dà scampo vengono utilizzate spesso strumentalmente per evocare paure nella gente e concentrare le paure sugli stranieri come se un virus potesse distinguere un migrante da un turista, come veicolo di contagio;
    se è assolutamente corretto far risalire l'allerta, attivarsi e chiedere risorse per un'azione internazionale oltre a risolvere i focolai epidemici è anche necessario passare attraverso una corretta informazione. Il panico, la paura dello straniero, il cordone di difesa rispetto ai flussi migratori non è funzionale a questo obiettivo;
    le priorità di azione rispetto ad un focolaio epidemico, qualunque esso sia, sono la cura dei malati, l'isolamento del focolaio ed il controllo del percorso di contaminazione;
    l'isolamento del focolaio necessita, prioritariamente, di un'azione medica diretta sul focolaio, non di pura difesa dei nostri confini;
    l'intensificazione dei protocolli di ricerca, l'accelerazione del ritmo di lavoro per la realizzazione del vaccino, la risoluzione dell'epidemia del Senegal, il test negativi da oltre venti giorni in Nigeria e in Senegal, la sopravvivenza di personale sanitario contagiato in Spagna e in Norvegia, l'avvio di controlli di massa negli aeroporti internazionali sono il segno dell'attivazione organizzativa e dell'azione della medicina del mondo occidentale;
    diventa quindi, fondamentale, accelerare la ricerca di cure efficaci e di vaccini preventivi; contribuire alla revisione della politica dell'organizzazione mondiale della sanità sugli aiuti all'Africa, anche a sostegno del miglioramento dell'efficienza dei sistemi sanitari di quei Paesi poveri; chiedere l'intervento della FAO, perché non sia la fame a completare la strage che sta già compiendo Ebola;
    la risposta ad un'epidemia, la risposta ad un virus, la risposta alla diffusione di una malattia è fatta di medicina, affiancata a misure di polizia sanitaria, e corrette ed idonee procedure di manipolazione, diagnosi e cura. I virus, siano l'ebola, l'HIV o gli altri agenti patogeni, non si combattono né con i confini né con la paura: c’è solo uno strumento efficace ed è la scienza,

impegna il Governo:

   a predisporre in tempi rapidi, una campagna capillare e chiara di poche e semplici informazioni sul virus ebola, sulle modalità di contagio e sulle precauzioni igieniche, sulle disposizioni precise e tempestive che operatori della sanità devono utilizzare nel sospetto di infezione e l'approvvigionamento dei presidi da utilizzare nei casi sospetti dall'accettazione al trasferimento nella struttura di riferimento;
   a predisporre una rivisitazione su base scientifica delle nostre campagne vaccinali;
   a potenziare le misure di controllo nei principali porti ed aeroporti italiani;
   a rafforzare la rete delle unità operative di malattie infettive nel disegno già utilizzato con successo dalla campagna contro l'AIDS e, successivamente, depotenziato a seguito di riorganizzazioni e di tagli alla spesa nonché a potenziare gli ambulatori di prima accoglienza degli immigrati;
   ad attivarsi in sede europea affinché l'operazione «Triton» pur attuato nel pieno rispetto degli obblighi internazionali e dell'Unione europea tra cui il rispetto dei diritti fondamentali e del principio di non respingimento, che esclude le espulsioni, preveda anche il «salvataggio di vite umane» attraverso compiti di ricerca e soccorso;
   a predisporre in tempi rapidi un programma di interventi di emergenza per contrastare l'epidemia di Ebola che sta colpendo alcuni Paesi dell'Africa, prevedendo non solo adeguati stanziamenti economici ma anche l'invio di medici specializzati, di forniture di medicine e di attrezzature nonché il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza.
(1-00643) «Amato, Burtone, Lenzi, Albini, Beni, Carnevali, D'Incecco, Grassi, Patriarca, Miotto, Piccione, Capone».


   La Camera,
   premesso che:
    il 2 settembre 2014 in occasione dell'apertura della kermesse «Pizza Village» di Napoli, il già Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Pecoraro Scanio, insieme all'associazione «Pizziauoli Napoletani» hanno lanciato la petizione popolare sulla piattaforma «Change.org», con la quale si chiede all'Unesco di inserire l'arte della pizza napoletana nella speciale lista del patrimonio culturale immateriale che necessita di essere urgentemente salvaguardato. Ad oggi sono già state raccolte oltre 30.000 firme per sostenere la petizione e per sollecitare il consiglio direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l'Unesco ad indicare nella sua prossima seduta del marzo 2015 la designazione dell'arte della pizza napoletana quale patrimonio immateriale dell'umanità;
    va fatto presente al riguardo che il 26 Marzo 2011 è stato presentato ufficialmente il dossier di candidatura dell'Arte della Pizza al Segretariato del Patrimonio Culturale immateriale di Parigi, ma dal 2012 l'Unesco ha cambiato procedura e chiede ai singoli paesi di segnalare un solo dossier ogni anno per il patrimonio immateriale e quindi l’iter di esame dossier relativo all'arte della pizza napoletana quale patrimonio immateriale dell'umanità non è stato più avviato essendo rimasto in una fase di sospensione;
    nel corso del Forum internazionale dell'agricoltura e dell'alimentazione di Cernobbio, svoltosi nel mese di ottobre 2014, è stata messa in atto una importante iniziativa promossa dalla federazione agricola Coldiretti, volta a sensibilizzare il pubblico sui gravi danni che la speculazione alimentare arreca al patrimonio enogastronomico, storico e culturale della tradizione italiana;
    il caso posto all'attenzione dell'opinione pubblica è stata la perdita dell'identità culturale e dell'originarietà che subisce la pizza napoletana sui mercati, soprattutto su quelli internazionali;
    è stato realizzato un classico esempio di pizza napoletana taroccata con «Pomarola» del Brasile, olio «Pompeian» del Maryland e «Zottarella» venduta in Germania, ma anche pelati San Marzano fatti in California, messa a confronto con la tradizionale ed autentica pizza napoletana e rispetto alla quale ha perso rovinosamente il confronto;
    all'estero però la pizza napoletana è costantemente sotto attacco da parte di speculatori, di atti di pirateria alimentare e spesso di frodi che rischiano di compromettere la reputazione e la rinomanza di questo gioiello della cultura e della tradizione agroalimentare italiana;
    tratta di un rischio diffuso all'estero ma anche di una effettiva opacità di conoscenza presente pure in Italia, dove, secondo la predetta confederazione agricola, quasi due pizze su tre (63 per cento) sono ottenute da un insieme di farina, pomodoro, mozzarelle e olio provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori;
    secondo la Coldiretti troppo spesso si riscontrano prodotti preparati con mozzarelle ottenute non dal latte, ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall'est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo o addirittura olio di semi al posto dell'extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale. In Italia sarebbero stati importati nel 2013 — secondo la Coldiretti ben 481 milioni di chili di olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarelle, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli Usa e 29 milioni dalla Cina e 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all'aumento del 20 per cento nei primi due mesi del 2014. Una mole di materia prima che avrebbe purtroppo compromesso notevolmente l'originalità Made in Italy del prodotto servito nelle 50 mila pizzerie presenti in Italia che generano un fatturato stimato di 10 miliardi, ma non offrirebbero effettive garanzie al consumatore sulla provenienza degli ingredienti utilizzati;
    in realtà un primo riconoscimento della propria tradizionalità la pizza napoletana l'ha già conseguito nel 2010 con la registrazione a livello comunitario della STG, specialità tradizionale garantita ai sensi del Regolamento (UE) n. 97/2010;
    il regolamento in questione ha riconosciuto la specificità della ricetta della pizza napoletana la cui comparsa può essere fatta risalire ad un periodo storico che si colloca tra il 1715 ed il 1725. L'Oritano Vincenzo Corrado, Cuoco generale del Principe Emanuele di Francavilla, in un trattato sui cibi più comunemente utilizzati a Napoli, dichiara che il pomodoro veniva impiegato per condire la pizza e i maccheroni, accomunando due prodotti che hanno fatto nel tempo la fortuna di Napoli e la sua collocazione nella storia della cucina. Da ciò si riconduce la comparsa ufficiale della «pizza napoletana», un disco di pasta condito con il pomodoro;
    numerosi sono i documenti storici che attestano che la pizza è una delle specialità culinarie di Napoli, e lo scrittore Franco Salerno afferma che tale prodotto è una delle più grandi invenzioni della cucina napoletana;
    gli stessi dizionari della Lingua italiana e l'Enciclopedia Treccani parlano specificatamente di pizza napoletana. E il termine pizza napoletana viene citato addirittura in numerosi testi letterari. Le prime pizzerie, senza dubbio, sono nate a Napoli e fino a metà del 900 il prodotto era un'esclusiva di Napoli e delle Pizzerie. Fin dal 1700 erano attive nella città diverse botteghe, denominate «pizzerie», la cui fama era arrivata sino al re di Napoli, Ferdinando di Borbone, che per provare questo piatto tipico della tradizione napoletana, violò l'etichetta di corte entrando in una tra le più rinomate pizzerie. Da quel momento la «pizzeria» si trasformò in un locale alla moda, luogo deputato alla esclusiva preparazione della «pizza». Le pizze più popolari e famose a Napoli erano la «marinara» nata nel 1734 e la «margherita» del 1796 — 1810, che venne offerta alla Regina d'Italia in visita a Napoli nel 1889 proprio per il colore dei suoi condimenti (pomodoro, mozzarella e basilico) che ricordano la bandiera dell'Italia;
    nel tempo le Pizzerie sono nate in tutte le città d'Italia e anche all'estero, ma ognuna di queste, se sorta in una città diversa da Napoli, ha sempre legato la sua stessa esistenza alla dizione «Pizzeria Napoletana» o, in alternativa, utilizzando un termine che potesse rievocare in qualche modo il suo legame con Napoli, dove da quasi 300 anni questo prodotto è rimasto pressoché inalterato. Nel 1984 nel mese di maggio, quasi tutti i vecchi pizzaioli napoletani procedettero alla stesura di un breve disciplinare firmato da tutti e registrato con atto ufficiale davanti al notaio Antonio Carannante di Napoli;
    il termine «Pizza Napoletana» nei secoli si è talmente diffuso che ovunque, anche fuori dall'Europa, dall'America Centro Settentrionale (ad esempio Messico e Guatemala) all'Asia (ad esempio Thailandia e Malesia), pur non avendo in alcuni casi cognizione della collocazione geografica della città di Napoli, conoscono il prodotto in argomento con il nome di «Pizza Napoletana»;
    purtroppo, nonostante il riconoscimento della STG e pur in presenza di un notevole patrimonio storico e culturale, la pizza napoletana, come evidenziato, rischia di perdere la propria identità soprattutto all'estero, dove tra l'altro le protezioni previste dai regimi comunitari per la tutela delle denominazioni di origine e per la tutela delle specialità tradizionali dei prodotti agroalimentari non hanno potere giurisdizionale;
    uno strumento formidabile per superare tale criticità di protezione e per assicurare una elevata ed effettiva tutela della originarietà della vera pizza napoletana potrebbe essere quello del riconoscimento da parte dell'Unesco dell'Arte della Pizza Napoletana quale bene immateriale dell'umanità. Con tale riconoscimento si garantirebbero i consumatori sull'autenticità del prodotto e si farebbe anche definitivamente chiarezza sull'origine italiana degli ingredienti e sulle modalità di preparazione della pizza;
    l'iscrizione, da parte dell'Unesco, dell'arte della pizza napoletana nella Lista del patrimonio culturale immateriale che necessita di essere urgentemente salvaguardato, avrebbe un valore straordinario per l'Italia essendo il Paese dove è più radicata la cultura alimentare e la pizza rappresenta un simbolo dell'identità nazionale ma sarebbe anche un modo straordinario per garantire l'origine nazionale degli ingredienti e l'effettività delle modalità di lavorazione della pizza napoletana quali elementi peculiari della nostra storia e criterio di distintività nei confronti della concorrenza sleale;
    l'Unesco da oltre trent'anni sta operando per salvaguardare i valori delle manifestazioni culturali dell'uomo, sia se trattasi di beni del patrimonio materiale e naturale, sia se si tratta del patrimonio culturale immateriale. In tale ambito, nel 1972, ha approvato la Convenzione per la tutela del patrimonio culturale e dei beni naturali, mentre nel 2003 ha approvato la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale;
    con i cambiamenti geopolitici in atto, con l'estensione dell'economia di mercato, con le possibilità di riproduzione digitale ed il rapidissimo sviluppo delle tecnologie della comunicazione e della riproduzione non naturale delle biodiversità, è aumentato anche il fabbisogno di misure efficaci volte a tutelare ed a preservare la cultura tradizionale e in questo senso l'Unesco ha inteso adottare uno strumento giuridico vincolante per darvi riscontro;
    la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale è stata adottata il 17 ottobre 2003, nel corso della 32a sessione della Conferenza Generale dell'Unesco ed è entrata in vigore il 20 aprile 2006, dopo tre mesi dalla data di deposito del trentesimo strumento di ratifica. L'Italia ha ratificato la Convenzione ai sensi della legge 27 settembre 2007, n. 167;
    in base alla Convenzione del 2003, il patrimonio culturale immateriale, definito anche «patrimonio vivente», è considerato la base della diversità culturale e la sua tutela rappresenta la garanzia di continuità della creatività umana. Essa ha lo scopo di contribuire agli sviluppi socioeconomici duraturi e di rafforzare le identità culturali;
    gli scopi della Convenzione sono assicurare il rispetto per il patrimonio culturale immateriale delle comunità, dei gruppi e degli individui interessati e di promuovere la cooperazione internazionale;
    il patrimonio tutelato dalla Convenzione, inoltre, è tradizionale e vivente e comprende prassi, conoscenze e capacità, nonché gli strumenti, gli oggetti, i prodotti ad esse collegati;
    rientrano nell'ambito degli oggetti della Convenzione le conoscenze agricole ed alimentari tradizionali, spesso di rilevanza fondamentale per lo sviluppo sostenibile ed anche in quanto sono costantemente ricreati in risposta all'ambiente ed alla interazione con la natura e la storia, dando un senso di identità e di continuità;
    la Convenzione istituisce una Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell'umanità, per garantire maggiore visibilità a tale patrimonio e una Lista del patrimonio culturale che necessita di una salvaguardia urgente i cui elementi sono inseriti non già sulla base di un loro straordinario od universale valore, ma per il fatto che siano rappresentativi della creatività e della diversità culturale dell'umanità o che esprimano il patrimonio immateriale di gruppi e comunità;
    la Convenzione accorda agli Stati contraenti la possibilità di chiedere l'iscrizione delle voci dei loro patrimoni nella lista patrimonio culturale immateriale che necessita di essere urgentemente salvaguardato e fornisce l'assistenza internazionale per la realizzazione di programmi e progetti mettendo a disposizione un Fondo per finanziarli;
    l'arte della pizza napoletana può rientrare nel patrimonio culturale immateriale oggetto della Convenzione dell'Unesco,

impegna il Governo

a sostenere in tutte le sedi allo scopo competenti l'iscrizione dell'arte della pizza napoletana nella lista del patrimonio culturale immateriale che necessita di essere urgentemente salvaguardato di cui alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell'Unesco.
(1-00644) «Mongiello, Palma, Carloni, Sgambato, Monaco, Montroni, Mazzoli, Mognato, Terrosi, Martelli, Realacci, Chaouki, Grassi, Cenni».


   La Camera,
   premesso che:
    la malattia da virus ebola, precedentemente nota come febbre emorragica da virus ebola, apparsa per la prima volta nel 1976 è una malattia grave, con un tasso di mortalità che può arrivare fino al 90 per cento;
    nella popolazione umana il modo più comune con cui si contrae il virus è entrare in contatto con il sudore, la saliva o sangue, secrezioni, tessuti, organi o fluidi corporei di animali infetti o persona infettata o morta a causa della malattia; l'infezione può verificarsi anche in caso di ferite della pelle o delle mucose di una persona sana che entra in contatto con oggetti contaminati da fluidi infetti di un paziente con ebola, quali vestiti e biancheria da letto sporchi dei fluidi infetti o aghi usati, le persone sono contagiose fino a quando il sangue e le secrezioni contengono il virus, l'ebola non si diffonde via aria o con contatti casuali come sedersi vicino a una persona sull'autobus;
    durante un'epidemia le persone a più alto rischio di infezione sono: operatori sanitari, familiari o altre persone a stretto contatto con persone infette, persone che hanno contatto diretto con i corpi dei defunti, nelle cerimonie funebri, cacciatori nella foresta pluviale che entrano in contatto con animali trovati morti nella foresta;
    nonostante la valutazione del rischio di ebola del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie del 27 agosto 2014, la «Dichiarazione sull'epidemia di ebola» in Africa occidentale del Commissario per la salute Tonio Borg dell'8 agosto 2014 e la «Dichiarazione sulla risposta dell'Unione europea all'epidemia di ebola» del Commissario per lo sviluppo, Andris Piebalgs, e del Commissario per gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi, Kristalina Georgieva, del 15 settembre 2014, il 17 settembre 2014 si leggeva su un articolo pubblicato dal quotidiano Libero che il Ministro della salute interpellato circoscriveva con assoluta sicurezza l'allarme relativo al virus ebola, affermando che «non c’è nessun rischio ebola legato all'immigrazione, si tratta di un virus limitato ad alcuni territori»;
    nel corso dell'incontro informale dei Ministri, tenutosi il 22 e 23 settembre 2014, a Milano, presieduto dal Ministro interpellato nell'ambito del semestre europeo a presidenza italiana, i Ministri della salute dell'Unione europea sono stati concordi sul fatto che è necessario contrastare l'epidemia di ebola aumentando le risorse umane e finanziarie, affermando al contempo la necessità che gli Stati membri rispondano all'appello lanciato dall'Organizzazione mondiale della sanità, che ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale e ha pubblicato la tabella di marcia di risposta all'ebola, tenuto conto delle conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 30 agosto 2014, con ulteriori risorse umane e finanziarie, attraverso gli appositi meccanismi ed organismi;
    il Commissario europeo per la salute, Tonio Borg, ha dichiarato che il rischio ebola in Europa «rimane, comunque, basso perché una persona contagiata che abbia già i sintomi sarebbe troppo debole per viaggiare», che «la malattia non è contagiosa se non in alcune particolari condizioni, ma, nonostante tutto dobbiamo rimanere vigili, e non abbassare la guardia, con stringenti controlli negli aeroporti» e che «il nostro sistema di igiene e salute è di un livello particolarmente elevato»;
    la Commissione europea ha attivato il monitoraggio la situazione attraverso il proprio Centro di coordinamento della risposta alle emergenze, che dovrebbe fungere da piattaforma per il coordinamento dell'assistenza dell'Unione europea, al fine di mobilitare squadre di risposta immediata per assicurare la diagnosi precoce, l'isolamento (dei casi sospetti e dei casi confermati in reparti diversi), il monitoraggio delle persone entrate in contatto con i pazienti e la ricerca delle catene di trasmissione, misure relative ai funerali, l'educazione e il supporto locale;
    il virus dell'ebola «è una minaccia globale» e per combattere l'epidemia nei Paesi dell'Africa occidentale «c’è bisogno di tutto, ma soprattutto di personale medico», come ha sottolineato il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità Margaret Chan durante una conferenza in cui è stato annunciato l'impegno da parte del Governo cubano di inviare 165 operatori in Sierra Leone;
    le organizzazioni non governative più attive sul campo, tra queste Medici senza frontiere e la Federazione internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa, hanno criticato gli sforzi internazionali, definendoli pericolosamente inadeguati, in quanto le capacità estremamente limitate sul campo determinano carenze critiche in tutti gli aspetti della risposta: cure mediche di sostegno, formazione del personale sanitario, controllo dell'infezione, ricerca dei contatti, vigilanza epidemiologica, sistemi di allerta e segnalazione, educazione e mobilitazione delle comunità;
    per ridurre il numero dei casi e i decessi è fondamentale accrescere la consapevolezza dei fattori di rischio e adottare le migliori e adeguate misure di prevenzione;
    attualmente non esiste un vaccino autorizzato per la malattia da virus ebola. Diversi vaccini sono in fase di sperimentazione, ma nessuno è disponibile per uso clinico in questo momento;
    l'8 ottobre 2014 l'Oms stimava le vittime in 4.032. Nell'ultimo bollettino del 14 ottobre il numero è salito a 4.447: 415 in più, un incremento di quasi  l'11 per cento in una settimana. Nello stesso periodo, i casi accertati di contagio sono passati da 8.300 a 8.914. Solo un mese fa, il 18 settembre, l'Oms riportava 2.630 morti e 5.357 casi. Le cifre confermano dunque la temuta progressione dell'epidemia e rendono verosimili le previsioni più preoccupanti. Come se non bastasse, sempre dall'Oms si apprende che il tasso di mortalità è salito dal 50 a quasi il 70 per cento, considerando anche i decessi non accertati. Infatti l'agenzia delle Nazioni Unite concorda con altri organismi nel ritenere che il numero dei casi e delle vittime accertati sia sicuramente molto inferiore a quello reale: oltre alle persone ricoverate e decedute negli ospedali, moltissime altre, forse altrettante, sono quelle che si ammalano e muoiono a casa, assistite e sepolte dai parenti che a loro volta corrono quindi il serio rischio di contrarre la malattia;
    il sito del Ministero della salute, afferma che in Italia sarebbero state attivate tutte le possibili misure di preparazione e risposta a livello nazionale, regionale e locale, nel caso in cui che si debba gestire un sospetto caso di Ebola, in particolare, che sarebbero state adottate tutte le misure di profilassi internazionale, nei porti ed aeroporti, attraverso i competenti uffici del Ministero, dislocati su tutto il territorio e, anche nel caso di particolari minacce per la salute, il sistema di sanità pubblica sarebbe in grado di rispondere, in base alle indicazioni centrali, al contenimento della minaccia del virus, essendo presenti, sul territorio, due strutture dotate di laboratori di massima sicurezza e di stanze ad alto isolamento (INMI Spallanzani di Roma ed Ospedale Sacco di Milano), in conformità al protocollo per il trasporto in alto biocontenimento di pazienti affetti da febbri emorragiche virali;
    ma non tutto sembra così certo se Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato delle professioni infermieristiche Nursind, afferma che ad esempio. «Gli infermieri italiani non sono adeguatamente preparati a fare fronte ad eventuali casi di Ebola: non hanno ricevuto una formazione specifica né rispetto alla malattia né circa l'utilizzo dei dispositivi di protezione. Inoltre, in molti ospedali tali dispositivi, come tute e maschere, mancano ancora». Il segretario Nursind aggiunge «che in alcuni presidi mancherebbero le tute previste come dispositivi di protezione individuale anti-Ebola e siano quindi state riprese vecchie tute in dotazione contro la Sars; ma si tratta di tute diverse e non conformi a quelle previste invece nei protocolli relativi al trattamento dei pazienti con Ebola». Tali dispositivi, precisa, «sono stati ordinati ma ancora mancano in moltissimi ospedali e, soprattutto, ad oggi, non è prevista una formazione degli infermieri sul come utilizzarli»;
    l'Organizzazione mondiale della sanità ammette gli errori commessi in Africa nel contrastare Ebola. A rivelarlo è la bozza di un documento interno all'Oms ottenuto dall’Associated Press, nel quale si afferma che «quasi tutte» le persone coinvolte nel rispondere all'emergenza non hanno notato elementi di quella che è poi divenuta un'esplosione del virus. Staff incompetente, burocrazia e mancanza d'informazioni affidabili tra le cause. L'Oms non commenta il documento, limitandosi a dire che i «dettagli inclusi non saranno discussi fino a quando il documento non sarà completato e i fatti chiariti e provati. Siamo per la trasparenza e la responsabilità e pubblicheremo la revisione quando tutti i fatti saranno controllati»;
    l'ospedale di Dallas, dove è stato curato Thomas Eric Duncan, il paziente «zero» con Ebola (poi deceduto) e dove due infermiere sono state contagiate dal virus, in una lettera aperta pubblicata sul Dallas Morning e sullo Star Telegram, ammette che «nonostante le migliori intenzioni, non siamo riusciti a rispettare gli elevati standard che sono al centro della storia dell'ospedale, della sua missione e del suo impegno». La missiva è firmata dall'amministratore delegato del Texas Health Resources, Barclay Berdan. «Abbiamo fatto errori nell'affrontare una situazione difficile» ammette Berdan, precisando che da quando il primo caso è stato diagnosticato sono stati effettuate modifiche a tutela del personale medico. Le indagini su come le due infermiere, Nina Pham e Amber Vinson, siano state contagiate vanno avanti e arriveranno degli esperti esterni per stabilire l'accaduto,

impegna il Governo:

   a predispone un apposito capitolo di bilancio destinato ad affrontare la possibile emergenza derivante dall'eventuale epidemia di ebola e in particolare per sostenere e attivare tutte le iniziative necessarie alla attività di prevenzione e di supporto tecnico, logistico e strumentale per gli operatori che si dovesse ritenere necessario mobilitare;
   a prevedere che le risorse utilizzate per affrontare, in particolare, le attività di prevenzione nazionali e internazionali del virus ebola siano escluse dai vincoli europei e dal patto di stabilità previsto per i bilanci regionali;
   a predispone un piano nazionale finalizzato a modulare gli interventi sanitari a crescere, a seconda dell'evolversi dell'epidemia in Africa ovvero eventualmente in Europa e in Italia;
   a prevedere l'istituzione di ulteriori centri specializzati, oltre ai due già individuati (l'Inmi, Istituto nazionale malattie infettive – Spallanzani di Roma, e l'ospedale Sacco di Milano), anche nell'Italia meridionale dove poter ricoverare eventuali pazienti colpiti da ebola;
   a riattivizzare i centri di infettivologia oggi dismessi presso ospedali militari che sono in stato di non utilizzo;
   predisporre mezzi aerei e ambulanze fornite di strutture, personale specializzato e formato, nonché di dotazioni adeguate per affrontare l'assistenza a pazienti eventualmente malati di ebola conclamato o sospetto;
   a procedere alla immediata riorganizzazione del personale e della logistica sia civile che militare per renderlo idoneo alla terapia dei pazienti con patologia da Ebola anche attraverso una turnazione del lavoro che determini l'impossibilità di superare le otto ore di lavoro per il personale sia medico, che paramedico;
   a mettere in atto tutte le attività affinché sia possibile richiamare in servizio il personale medico e paramedico specializzato sia civile che militare anche in deroga alla normativa vigente in materia di congedi e pensionamento;
   ad incrementare e formare adeguatamente il personale medico di stanza negli aeroporti e nei porti;
   a prevedere l'istituzione di unità di crisi mobili per affrontate eventuali psicosi collettive sul territorio nazionale a causa di eventuali casi di cittadini italiani colpiti dal virus ebola;
   istituire una unità nazionale presso l'Istituto superiore di sanità con il compito di supporto e di coordinamento nel caso di emergenze sanitarie;
   ad incrementare ulteriormente l'invio di personale medico e paramedico nei Paesi africani dove si sono evidenziati casi di ebola, dotato di attrezzature idonee, adeguatamente remunerato al fine di affrontare il loco l'espansione della patologia;
   ad attivarsi in coordinamento con gli altri Paesi dell'Unione europea affinché le forme di prevenzione e le eventuali strutture sanitarie individuate siano tutte specializzate e con gli stessi standard di sicurezza, appropriatezza di cure e attrezzature anche in tutti i porti e aeroporti europei dell'est Europa;
   in accordo con i Ministri dell'Unione europea, a sostenere e incoraggiare l'Unione Africana per quanto concerne la necessità di un piano d'azione globale, in quanto la situazione africana continua a deteriorarsi rapidamente e incide sull'economia e sull'ordine pubblico dei Paesi interessati, dato che la crisi dell'ebola è diventata complessa, con implicazioni di natura politica e di sicurezza e di carattere economico e sociale che continueranno a ripercuotersi sulla regione ben oltre l'attuale emergenza sanitaria.
(1-00645) «Grillo, Silvia Giordano, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Lorefice, Mantero, Castelli, Sibilia, Baroni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la centrale termoelettrica di Vado Ligure-Quiliano (SV) è di proprietà della Tirreno Power spa, uno dei principali produttori di energia elettrica, con impianti in diversi siti, a livello nazionale;
   la centrale di Vado Ligure-Quiliano è costituita da un'unità a ciclo combinato (VL5-1 e VL5-2) in esercizio dal 2007 e realizzata sostituendo due vecchie unità alimentate a carbone ed olio combustibile, e da due unità da 330 megawatt cadauna (VL3 e VL4), alimentate a carbone (e a gasolio e olio combustibile nelle fasi di accensione) entrate in esercizio nel 1971. Con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 14 dicembre 2012, n. 227 è stata rilasciata una autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio della centrale, che faceva seguito all'intesa tra regione Liguria e azienda; obiettivo dell'intesa, da parte pubblica, era stato quello di realizzare il massimo di riduzione dell'impatto ambientale dei gruppi, attraverso interventi che avrebbero anche prodotto un aumento dell'efficienza degli impianti. La vetustà degli impianti stessi, insieme alle condizioni di esercizio, costituiscono ormai da tempo un fattore riconosciuto di grande criticità;
   l'11 marzo 2014 il giudice per le indagini preliminari di Savona, su richiesta della procura della Repubblica ha disposto il sequestro cautelativo dei gruppi VL3 e VL4 della centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado-Quiliano, e l'interruzione dell'esercizio;
   il provvedimento del giudice per le indagini preliminari contestava il mancato adeguamento alle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale e si era basato, tra l'altro, sulle risultanze di una perizia della procura sugli effetti ambientali e sanitari dell'attività della centrale Tirreno Power sulla popolazione locale;
   secondo tale perizia le emissioni della centrale a carbone di Vado avrebbero causato oltre 400 morti tra il 2000 e il 2007. Ci sarebbero stati anche «tra i 1700 e i 2000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d'asma tra il 2005 e il 2012». I consulenti della procura hanno mappato una «zona di ricaduta delle emissioni» della centrale ed hanno escluso come causa delle patologie il traffico automobilistico, altre aziende della zona e i fumi delle navi in porto. Il perimetro della mappa riguarda 23 comuni per un totale di circa 150000 abitanti;
   per quanto successivamente alla data del sequestro, il 14 marzo e il 17 marzo 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato all'azienda due distinte diffide per inadempienze rispetto all'autorizzazione integrata ambientale in vigore;
   nel mese di luglio 2014 si è tenuto un incontro tra i Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, istituzioni locali, organizzazioni sindacali e azienda, alla presenza dei Ministri Guidi e Galletti, con l'obiettivo di definire un percorso in grado di consentire la continuità produttiva ed occupazionale del sito, rendendo questa produzione pienamente compatibile con l'ambiente circostante. In tale incontro era stato affrontato anche il tema del rapporto tra le scelte per il sito di Vado e Quiliano e la strategia energetica nazionale. Ulteriore incontro avrebbe dovuto tenersi nel mese di settembre per verificare lo stato di avanzamento della situazione, ma non è stato convocato;
   la società, dopo il sequestro, aveva presentato istanza di rinnovo anticipato dell'autorizzazione integrata ambientale limitatamente ad interventi sui due gruppi esistenti alimentati a carbone, con un'adeguamento degli impianti in due fasi di intervento;
   gli enti locali e la regione Liguria, impegnati nello sforzo di garantire il raggiungimento di limiti alle emissioni stringenti e riferibili alle MTD, senza compromettere la continuità produttiva e dell'occupazione, hanno assunto le proprie delibere seguendo questo criterio ed assumendo sino in fondo le proprie responsabilità;
   il gruppo istruttore dell'autorizzazione integrata ambientale, a quanto risulta agli interpellanti con parere non unanime, ha prodotto un documento tecnico nel quale vengono indicati limiti di emissione per i loro valori e le tempistiche di adeguamento stringenti;
   alcune fonti definiscono tali vincoli non omogenei rispetto a quelli imposti ad impianti analoghi sul territorio nazionale;
   l'azienda ha dichiarato di non essere in grado di garantire, nei termini di tempo indicati, il rispetto dei limiti imposti, definendoli inapplicabili, e ha comunicato alle organizzazioni sindacali che, se verranno confermate quelle condizioni, non sarà in grado di far ripartite i due gruppi in questione;
   le conseguenze sull'occupazione e sul complesso dell'economia locale sarebbero gravissime;
   nei mesi scorsi l'azienda aveva riferito che nel caso i due gruppi a carbone non fossero stati in grado di riprendere la produzione, si presenterebbe un rischio significativo per la continuità dell'azienda stessa nel suo complesso e non solo per l'impianto di Vado-Quiliano;
   l'Arpa Liguria ha prodotto una «Elaborazione preliminare dei dati della qualità dell'aria in relazione al fermo del marzo 2014 dei gruppi a carbone della centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado Ligure» dalla quale risulta che:
    relativamente ai quattro mesi di chiusura degli impianti, «l'analisi dei dati rispetto ad analoghi periodi degli anni passati, è ancora poco significativa», e tuttavia alcune prime considerazioni sono possibili: TP è, nell'area di indagine e per gli inquinanti considerati, la principale fronte di biossido di zolfo, che quindi rappresenta il parametro più significativo per l'osservazione di eventuali variazioni di qualità dell'aria imputabili alla centrale. L'andamento di questo parametro nel periodo di chiusura sembrerebbe evidenziare la tendenza a una leggera diminuzione: la concentrazione media (microgrammi/m3) da 5,4 nel 2013, a fronte di 954 tonnellate di SO2 emesse nel periodo interessato, passa nel 2014, con i gruppi a carbone fermi, a 4,4; si ricorda che il limite previsto dalla normativa come media giornaliera sia di 125 microgrammi/m3, mentre l'OMS ha individuato 20 quale valore guida;
   l'Istituto superiore di sanità, su richiesta del Ministero della salute ha provveduto ad analizzare i dati di «mortalità per causa» rilasciato dall'Istat nel periodo 2003-2010, analisi condotta con la metodologia «Sentieri», dalla quale risulta che la mortalità generale della popolazione residente nel comune di Vado l. non si discosta da quella della popolazione della Liguria;
   in ogni caso, permane il fatto che i contenuti della perizia della procura preoccupano e condizionano evidentemente le valutazioni sull'impatto dell'impianto di Vado Quiliano rispetto ad altri siti;
   la perizia ambientale ed epidemiologica disposta dalla procura era stata acquisita riservatamente dal precedente Governo, tramite Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e trasmessa al Ministero della salute;
   il quadro programmatico in materia di produzione di energia è stato delineato dalla cosiddetta SEN, la Strategia energetica nazionale, che ha previsto, ferma restando la politica di diffusione delle fonti rinnovabili, il mantenimento dell'attuale quota di produzione a carbone, nel rispetto ovviamente delle norme in materia ambientale e tutela della salute;
   come risulta evidente, si intrecciano fortemente le questioni relative ai temi produttivi ed occupazionali, la necessità di un chiarimento sulle reali condizioni di salute della popolazione, e conseguentemente sui livelli, di emissioni tollerabili –:
   se, alla luce della complessità della vicenda, si ritenga che essa debba essere assunta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, come richiesto anche dalle istituzioni e forze sociali del territorio;
   se i Ministri interrogati o gli Istituti preposti abbiano realizzato proprie perizie, valutazioni e verifiche, ed eventualmente con quali risultati, e se si intendano realizzare iniziative, ulteriori rispetto a quelle già citate, per dare certezze sulla condizione sanitaria in quel territorio;
   se corrisponda al vero che i limiti per le emissioni e le tempistiche indicate per l'adeguamento a tali limiti nel sito di Vado Ligure-Quiliano siano non omogenei rispetto a quelli imposti ad impianti analoghi sul territorio nazionale, ed in questo caso quali ne siano le motivazioni;
   come, alla luce delle scelte sulle combinazioni delle fonti per la produzione di energia, si intenda gestire la prosecuzione dell'utilizzo del carbone e tempi e modi per l'eventuale superamento di tale utilizzo.
(2-00728) «Giacobbe, Basso, Carocci, Giuseppe Guerini, Mariani, Pastorino, Giorgio Piccolo, Tullo, Vazio, De Maria».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI e BARUFFI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2014, n. 50, dispone, nei confronti dei soggetti colpiti dagli eventi alluvionali del 17 e 19 gennaio 2014 nonché dagli eventi atmosferici avvenuti tra il 30 gennaio e il 18 febbraio 2014, la sospensione, sino al 31 ottobre 2014, dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari, inclusi quelli derivanti da cartelle di pagamento;
   il medesimo comma 2 dispone: «Nei confronti dei medesimi soggetti di cui al presente comma, sono altresì sospesi fino al 31 ottobre 2014: ... b) i termini per la notifica delle cartelle di pagamento e per la riscossione delle somme risultanti dagli atti di cui all'articolo 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché i termini di prescrizione e decadenza relativi all'attività degli uffici finanziari, ivi compresi quelli degli enti locali e della Regione»;
   la disposizione, pertanto, stabilisce, nei confronti dei soggetti colpiti dagli eventi alluvionali, la sospensione, sino al 31 ottobre 2014, dei termini di prescrizione e decadenza relativi all'attività degli uffici finanziari;
   la disposizione, essendo stata emanata per alleviare i cittadini e le imprese colpiti dall'alluvione del 2014 e già colpite, nel 2012, dagli eventi sismici, ad avviso degli scriventi, dovrebbe potersi interpretare nel senso che la sospensione dei termini opera a favore degli stessi e non a favore degli uffici finanziari;
   il decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, parrebbe invece sospendere i termini di prescrizione e decadenza relativamente all'attività degli uffici finanziari, ma non i termini di prescrizione e decadenza per l'opposizione ad atti impositivi emessi dai medesimi uffici nonché i termini processuali del contenzioso tributario per i soggetti colpiti dagli eventi alluvionali richiamati. Questa interpretazione letterale, peraltro, legittimerebbe una potenziale lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, infrangendo i principi di eguaglianza e proporzionalità;
   così interpretata, la norma terrebbe conto esclusivamente dei possibili disagi (causati dall'alluvione) nello svolgimento delle ordinarie funzioni di accertamento e riscossione degli uffici finanziari senza tenere conto dei disagi dei soggetti residenti in zone peraltro già in stato di sofferenza, dovuto al grave sisma del maggio 2012;
   una interpretazione che estenda, ai soggetti colpiti dagli eventi alluvionali e, precedentemente, dagli eventi sismici, la proroga dei termini di prescrizione e decadenza sarebbe quanto mai opportuna per la evidente necessità di garantire l'imparzialità della pubblica amministrazione e di riequilibrare la posizione degli uffici finanziari rispetto a quella dei contribuenti;
   tenendo conto del tenore complessivo della disposizione, e delle ragioni per le quali essa è stata adottata, a parere degli interroganti appare che questa sia la lettura più coerente che deve esserne data –:
   se il dettato normativo, così come formulato, possa includere, anche in via interpretativa, l'estensione, ai soggetti residenti o con sedi operative nei territori alluvionati, e già prima sconvolti dal sisma del maggio 2012, della sospensione dei termini di prescrizione e decadenza connessi ad atti impositivi oggetto dell'attività degli uffici finanziari nonché dei termini processuali del contenzioso tributario. (5-03858)


   DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il FOIA (Freedom of information act) è una normativa di origine statunitense che al fine di garantire la massima partecipazione e trasparenza possibile rispetto ai processi decisionali delle amministrazioni pubbliche consente, in estrema sintesi, a ciascun cittadino o gruppo esponenziale che ne faccia richiesta di ottenere informazioni e documenti dettagliati, anche per il tramite di strumenti informatici, in relazione alle attività delle stesse amministrazioni;
   nel tempo il FOIA ha rappresentato e rappresenta un modello di legislazione virtuosa tanto da essere adottato sotto varie forme e seguendo diverse modalità operative in circa 90 Paesi del mondo;
   il Presidente del Consiglio sin dal novembre del 2012, allorquando era candidato per le primarie del proprio partito, si è espresso a favore dell'adozione di una normativa sul modello del FOIA nordamericano in Italia;
   tale intendimento è stato ribadito, da ultimo, in occasione del discorso di insediamento del Presidente del Consiglio innanzi alle Camere;
   da tempo per iniziativa di associazioni della società civile si è avviato un processo di mobilitazione e partecipazione che ha condotto all'elaborazione di una bozza di proposta di legge disponibile sul sito web www.foia4italy.it;
   le vigenti disposizioni legislative italiane che disciplinano l'accesso dei cittadini agli atti delle pubbliche amministrazioni non consentono la possibilità dell'esercizio di un controllo generalizzato delle attività delle amministrazioni stesse e non appaiono, dunque, in linea con i principi ispiratori del FOIA –:
   quali iniziative intendano assumere il Presidente del Consiglio e il Ministro interrogato al fine di addivenire in tempi brevi all'adozione di disposizioni volte a consentire la massima trasparenza e partecipazione dei cittadini alle attività delle pubbliche amministrazioni sul modello del FOIA nordamericano. (5-03861)


   BONAVITACOLA, TINO IANNUZZI, CAPOZZOLO, VALIANTE e RAGOSTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi calamitosi verificatisi nella provincia di Salerno il 7 febbraio 2014 hanno originato un enorme smottamento franoso nel territorio del comune di Montecorvino Rovella;
   la frana ha causato uno slittamento della strada ex strada statale 164 per un fronte di circa ml 100 che ha riguardato una superficie totale di circa 30.000 metri quadrati;
   fra gli effetti gravissimi dell'evento si segnalano, principalmente, l'interruzione dei collegamenti stradali di Montecorvino Rovella con Acerno ed altri comuni limitrofi, l'isolamento di tre interi quartieri, l'inagibilità del percorso utilizzato da moltissimi fedeli di Montecorvino e Comuni limitrofi per raggiungere il Santuario Mariano, importante luogo di culto;
   in seguito, in data 22 settembre 2014, a causa di ulteriori e forti piogge, in località frazione San Martino (già colpita da un evento franoso del 16 marzo 2013), si è prodotto un aggravamento del dissesto, in immediata prossimità delle abitazioni site in zona e della Chiesa dello Spirito Santo, prestigioso edificio di culto risalente al 1600 e di recente interessato da un importante intervento di restauro conservativo;
   le situazioni descritte pongono i territori e le popolazioni interessate in una gravissima condizione di disagio e di pericolo per la incolumità pubblica e privata, oltre che d'ingente pregiudizio per lo svolgimento delle ordinarie attività economiche, sociali e civili della comunità interessata;
   in particolare, la prossimità dell'andamento franoso in atto con l'alveo del fiume Cornea, rende altamente prevedibile che il fronte interessato possa coinvolgere lo stesso corso d'acqua, causando esondazioni ed ulteriori situazioni di dissesto e stravolgimento dell'equilibrio ambientale, aggravando la già ampiamente critica situazione innanzi descritta;
   tale scenario acquista ancor più pregnante prevedibilità in considerazione dell'approssimarsi del periodo annuale correlato ad un fisiologico incremento delle giornate di pioggia e maltempo –:
   quali urgenti iniziative intendano attivare per quanto nelle rispettive competenze, anche mediante opportune intese collaborative ed operative fra Protezione civile e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché tramite gli opportuni raccordi con la regione Campania per le competenze ad essa spettanti, al fine di garantire:
    a) un immediato monitoraggio del dissesto in atto nei luoghi di cui in premessa;
    b) la messa in sicurezza urgente dei siti interessati, onde evitare ulteriori danni a persone e cose;
   quali urgenti iniziative intendano attivare, in ambito normativo ed amministrativo, per la semplificazione e l'efficientamento del quadro giuridico di settore, al fine di garantire la realizzazione degli interventi di risanamento e di riparazione, idonei a ripristinare condizioni di ordinaria agibilità e fruizione di luoghi danneggiati da eventi calamitosi del tipo descritto in premessa. (5-03863)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 14 aprile 2014 è stata divulgata dai media la notizia della nomina da parte del Governo del professor Guido Alpa quale componente del consiglio di amministrazione di Finmeccanica; il medesimo è già Presidente del Consiglio nazionale forense che, ai sensi degli articoli 35 e 36, svolge ampie attività amministrative ed addirittura giurisdizionali, nonché risulterebbe essere titolare delle seguenti quattro cattedre d'insegnamento e di un master presso l'università degli studi «Sapienza» di Roma (Diritto Civile, Istituzioni di diritto privato e Master universitario di II livello in «Diritto privato europeo»);
   ai sensi degli articoli 35 e 36 della legge n. 247 del 2012 il Consiglio nazionale forense ha notevoli competenze in esclusiva e concorrenti, fra i quali anche una competenza giurisdizionale;
   per l'articolo 39 della legge n. 247 del 2012 il Congresso nazionale forense: «Tratta e formula proposte sui temi della giustizia e della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, nonché le questioni che riguardano la professione forense»; per l'articolo 24, comma 1, della legge n. 247 del 2012 gli iscritti all'albo costituiscono l'ordinamento forense e quindi il congresso è al di sopra del Consiglio nazionale forense e degli ordini circondariali che ne sono delle mere articolazioni (ciò è confermato dal fatto che l'articolo 35, comma 1, lettera q), della legge n. 247 del 2012 recita che il Consiglio nazionale forense «esprime, su richiesta del Ministero della giustizia, pareri su proposte di legge e disegni di legge»);
   il Consiglio nazionale forense – pur rimanendo organo giurisdizionale disciplinare ex articolo 36 della legge n. 247 del 2012 – ha acquistato funzioni politiche di rappresentanza dell'avvocatura, creando così, ad avviso dell'interrogante, un sistema di tipo gerarchico e verticistico che mina l'autonomia e l'indipendenza degli ordini circondariali;
   il meccanismo di elezione per la formazione del Consiglio nazionale forense non assicura un criterio di proporzionalità nella composizione dell'organo –:
   se si ritenga opportuno che un membro del consiglio di amministrazione di Finmeccanica, seppur apprezzato nell'ambiente professionale, forense ed accademico, possa svolgere contemporaneamente così tanti incarichi;
   se sia compatibile la nomina nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica con la perdurante presidenza del Consiglio nazionale forense, essendo quanto meno discutibile che chi presiede un organo giurisdizionale possa al contempo essere espressione di parte e, comunque, di gradimento governativo;
   se sia opportuno, nell'attuale e perdurante momento di crisi congiunturale, che sia consentito un siffatto cumulo di compensi e cariche in capo al medesimo soggetto che, oltre a percepire i redditi derivanti dall'attività professionale quale avvocato, cumula anche quelli per l'attività di docenza, oltre all'indennità o ai rimborsi per la presidenza del Consiglio nazionale forense e quelli per la presenza nel board di Finmeccanica;
   se, infine, il grave ritardo del Consiglio nazionale forense nell'adottare i regolamenti previsti dalla legge di riforma della professione forense (legge n. 247 del 2012 in vigore dal 2 febbraio 2013) – che tra l'altro deve regolamentare l'ingresso di 60 mila avvocati con redditi medio-bassi fino ad oggi esclusi dalla Cassa di previdenza con tutte le problematiche ancora non risolte riguardo a quest'ultimi, quale l'armonizzazione della legge professionale del 2012 con la legge 11 febbraio 1992, n. 141, che modifica ed integra la legge 20 settembre 1980, n. 576, al fine di garantire ai nuovi ingressi quanto meno la pensione di vecchiaia – possa essere imputato in qualche modo proprio alle poliedriche e variegate attività svolte simultaneamente dal suo presidente. (4-06548)


   PRATAVIERA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SIMONETTI, GIAMMANCO, BIANCONI, PALESE, VALENTINI, OCCHIUTO, MOTTOLA, POLVERINI, MARGUERETTAZ, GIANCARLO GIORGETTI, MARTI, NIZZI, FUCCI, RIZZETTO e FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi a Roma il Premier cinese Li Keqiang e il Presidente del Consiglio Renzi hanno raggiunto una ventina di intese tra Italia e Cina per un valore, di circa 8 miliardi di euro;
   la Cina per il nostro Paese è il secondo partner commerciale extraeuropeo dopo gli Stati Uniti per un volume di affari di circa 32 miliardi di euro (dato al 2013). Nel primo semestre del 2014 l’export verso la Cina è aumentato dell'8,3 per cento;
   l'alleanza più rilevante di questa serie di accordi è quella fra la Cassa depositi e prestiti e China development bank con lo scopo di rafforzare la collaborazione fra i due istituti, per effettuare operazioni congiunte per complessivi 3 miliardi di euro nei prossimi 5 anni. La Cassa depositi e prestiti e China development bank esploreranno opportunità in diverse aree di attività, inclusi progetti infrastrutturali, investimenti azionari diretti e finanziamenti per l’export. È stato sottoscritto un Memorandum of understanding per operazioni di investimento tra Fondo strategico italiano e China Investment Corporation (CIC International). È stato firmato inoltre un protocollo d'intesa anche tra Enel e Istituto finanziario Bank of China Ltd leader nel settore bancario cinese;
   tra gli accordi siglati vi è anche un contratto da 400 milioni di euro tra Finmeccanica AgustaWestland il gruppo cinese Beijing Automotive Industrial Corporation (Baic) per la fornitura di 50 elicotteri di vari modelli che verranno destinati a compiti di pubblica utilità. Tra M&G International e Anhui Guonzhen Group arrivano poi una joint venture da circa 325 mila dollari per la produzione di 235.000 litri all'anno di etanolo cellulosico di seconda generazione a partire da residui agricoli e una da 250 mila dollari per la costruzione di un impianto di co-generazione di energia e vapore. E ancora, tra MeinlBank/Sogeap, società gestione aeroporto di Parma, American Global Fund e Izp Technologies Group è stata concordata un'intesa da 40 milioni di euro per l'acquisizione della quota di maggioranza di Sogeap. Silversea Cruise e Icbc Financial Leasing collaboreranno per l'espansione della flotta di Silversea con finanziamenti per le nuove navi costruite da Fincantieri. Intesa Sanpaolo e Export-Import Bank of China hanno firmato un accordo strategico di collaborazione per lo scambio di prodotti meccanici, elettronici e tecnologici. Gli ultimi tre memorandum vedono come firmatari Invitalia e The Export Bank of China; Twe Sistema Italia e West Hope Dekang Group (800 milioni di euro per investimenti nel settore agricolo) e Machinery e Zhejiang Rifa (accordo per acquisto di azioni);
   il presidente cinese ha affermato: «intendiamo importare più prodotti Made in Italy di alta tecnologia e creatività»; inoltre, ha sottolineato l'importanza di «investimenti reciproci» e di «incoraggiare le collaborazioni tra piccole e medie imprese» che riguarderà anche gli scambi di prodotti enogastronomici;
   è nell'intenzione dei Governi italiano e cinese intensificare i rapporti commerciali, in quanto dovrebbero essere una fonte di garanzia di continuità di sviluppo per le aziende. Ma la Cina è anche il principale Paese di origine dei prodotti contraffatti con il 66,1 per cento dei prodotti sequestrati, a cui si deve aggiungere un 13,3 per cento proveniente da Hong Kong;
   l'industria del falso è ormai un fenomeno di prima grandezza nell'economia mondiale che coinvolge tutti i Paesi, siano essi produttori o consumatori di beni contraffatti. Il volume complessivo del commercio mondiale di merci contraffatte ammonta a più di 200 miliardi di euro l'anno;
   nel 2013 le autorità doganali dell'Unione europea hanno effettuato 86.854 sequestri per 35,9 milioni di prodotti sospettati di violazione dei diritti di proprietà intellettuale, con un valore delle merci intercettate pari a 768 milioni di euro;
   la contraffazione è operata essenzialmente da Paesi extraeuropei e l'Estremo Oriente è indicato come la fonte principale delle falsificazioni ai danni del made in Italy;
   il settore più esposto alla contraffazione è quello dei prodotti della moda (circa il 60 per cento del fenomeno), il resto riguarda giocattoli, prodotti enogastronomici, prodotti di design, orologeria, componentistica, audiovisivi e software. La maggior parte dei prodotti spesse volte non rispetta le norme per la tutela della salute e sicurezza, mettendo in serio pericolo la salute del consumatore;
   la contraffazione provoca un danno economico, oltre che alle imprese anche al made in Italy in termini di mancate vendite, perdita di immagine e di credibilità del marchio e delle qualità del prodotto italiano, oltre che di spese per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, riduzione della redditività degli investimenti in ricerca, innovazione e marketing;
   la contraffazione a tavola è quella più temuta dagli italiani: sei italiani su dieci, il 60 per cento, la considerano, a ragione, più grave delle frodi fiscali e degli scandali finanziari;
   il termine «contraffare» consiste essenzialmente nel dare un'apparenza ingannevole della genuinità di un prodotto che è composto da materie prime e sostanze, in tutto o in parte, diverse per quantità o qualità da quelle che normalmente concorrono a formarlo;
   una tipologia di contraffazione è quella relativa al marchio o all'indicazione di provenienza geografica o alla denominazione di origine che ha comportato la nascita del fenomeno dell’Italian sounding ovvero tutti quei prodotti che fanno riferimento all'Italia e che sono in massima parte prodotti imitativi (fake italian) e che presentano un mix di nomi italiani, luoghi, immagini, slogan, colori, chiaramente e inequivocabilmente afferenti all'Italia. L'indicazione fuorviante dell'italianità di alcuni prodotti sui mercati esteri con inganno dei consumatori sulla esatta provenienza dei beni rappresenta un danno ingente per l'economia del nostro Paese e per l’export del made in Italy;
   la contraffazione alimentare è un crimine particolarmente odioso perché si fonda soprattutto sull'inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono stati costretti a tagliare la spesa alimentare e a optare per alimenti economici con prezzi troppo bassi per essere prodotti autentici, con conseguenze economiche e sanitarie di rilievo per i consumatori e per i produttori;
   le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
   l’Italian sounding a livello mondiale ha un giro d'affari stimabile in circa 54-55 miliardi euro (pari a quasi 2 volte il fatturato dell’export alimentare, pari per il 2012 a poco meno di 32 miliardi di euro) ed è la principale causa di mancato guadagno per l’export italiano, perché consente ad alcune aziende di avere un vantaggio competitivo immeritato, producendo a prezzi più bassi e collocando il prodotto su fasce di prezzo più alte grazie al richiamo all'Italia o all'italianità –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Governo di concerto con quello cinese per contrastare il commercio internazionale dei prodotti contraffatti made in Italy nonché dell’Italian sounding. (4-06551)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014, ha soppresso la Scuola superiore dell'economia e delle finanze che è confluita nella Scuola nazionale dell'amministrazione;
   in particolare, il comma 4 dell'articolo 21, prevede che i docenti ordinari e i ricercatori dei ruoli a esaurimento della Scuola superiore dell'economia e delle finanze, siano trasferiti alla Scuola nazionale dell'amministrazione e agli stessi venga applicato lo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari;
   secondo quanto si apprende dalla stampa tra coloro che hanno beneficiato dell'equiparazione con lo stato giuridico dei professori o ricercatori universitari vi sarebbero: Vincenzo Fortunato; già magistrato ordinario e del Tar, per un decennio ininterrotto capo di gabinetto con diversi Ministri, da Giulio Tremonti ad Antonio Di Pietro, oggi liquidatore della società Stretto di Messina e, negli anni scorsi, anche collaudatore del Mose; Marco Milanese, che, il 4 luglio 2014, sarebbe stato sottoposto ad un provvedimento di custodia cautelare in quanto indagato per corruzione nell'indagine relativa agli appalti del Mose di Venezia; nonché i docenti attualmente in servizio presso la Scuola superiore dell'economia e delle finanze;
   per «stato giuridico» di un professore universitario s'intendono tutti i doveri e diritti che fanno capo a quest'ultimo e che non sono relativi unicamente al trattamento economico. Sulla base del citato articolo 21, i soggetti che ne hanno beneficiato potrebbero insegnare presso qualsiasi università o, addirittura, essere chiamati, ad esempio, a far parte dei componenti del Consiglio superiore della magistratura o del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti o del Consiglio di Stato, in quanto; appunto, professori universitari;
   in considerazione dei requisiti e del superamento di prove concorsuali di norma richiesti dall'ordinamento per l'accesso alla carriera dei professori universitari, il citato articolo 21 pone dunque un'evidente disparità di trattamento e solleva fondati dubbi di legittimità costituzionale;
   diversa è stata la sorte subita dagli altri dipendenti. Come ha riferito nel corso dell'audizione del 10 luglio 2014 presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, Giovanni Tria, presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione: «circa il 70 per cento dell'attuale personale delle sedi e scuole soppresse uscirebbe dal sistema delle scuole pubbliche di formazione toccate dalla riforma». Inoltre, secondo quanto riportato dalla stampa alcuni di questi dipendenti sarebbero assorbiti dai rispettivi ministeri, mentre i dipendenti pubblici delle sedi di Acireale, Bologna e Reggio Calabria – circa 50 persone – sarebbero destinati ad altri enti con possibilità di vedere rideterminato il proprio trattamento economico e le proprie mansioni –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali provvedimenti intenda assumere per garantire che l'accesso alla carriera universitaria sia improntato a criteri di legalità e correttezza e nel rispetto delle procedure regolamentate dalla legge. (4-06569)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI, ZARDINI e CARRA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è notizia certa quella di un progetto per la realizzazione di «una discarica per rifiuti non pericolosi, in grado di smaltire rifiuti non pericolosi (RNP) e rifiuti contenenti amianto in matrice compatta (RCA)» e di un connesso «impianto di inertizzazione dei rifiuti contenenti amianto in matrice friabile» in località Bergantino (Rovigo), da parte della ditta «Bergantino srl» con sede a Treviso in via Feltrina 230/232;
   tale progetto altamente impattante, prevede l'utilizzo di una superficie di 17,5 ettari per un totale di un milione di metri cubi di rifiuti, 314 mila non pericolosi e 676 mila contenenti amianto con un ciclo di vita previsto di 12 anni, in grado di provocare un'ulteriore pressione ambientale in una zona già sottoposta, in passato ed anche al giorno d'oggi, ad un forte stress ed in evidente contrasto con quanto previsto nel piano d'area delle grandi valli veronesi, oltre che con la progettualità legata alla valorizzazione Po;
   il sito è vicino e poco distante dalla sponda destra del fiume Tartaro, nonché a distanza di circa 2 chilometri dal corso del Po, e le aree limitrofe sono interessate da attività agricole estensive, lasciando intuire che non sembrano essere caratteristiche ottimali per la collocazione di una discarica;
   al progetto della discarica la cittadinanza di Bergantino ha risposto in maniera negativa e così hanno fatto anche altri comuni e città confinanti o vicine;
   il 14 marzo 2014, il Parlamento europeo ha approvato la relazione dell'eurodeputato Stephen Hughes nella quale si invitava la Commissione, in considerazione della persistente insufficienza di controlli da parte di molti Stati membri, a vigilare sulla corretta applicazione della direttiva 1999/31/CE affinché qualsiasi rifiuto contenente amianto sia classificato come rifiuto pericoloso e pertanto smaltito solo ed esclusivamente in specifiche discariche per rifiuti pericolosi in modo da evitare la contaminazione dell'aria e delle sottostanti falde acquifere –:
   di quali elementi disponga circa il progetto di «una discarica per rifiuti non pericolosi, in grado di smaltire rifiuti non pericolosi (RNP) e rifiuti contenenti amianto in matrice compatta (RCA)» e di un connesso «impianto di inertizzazione dei rifiuti contenenti amianto in matrice friabile» in località Bergantino, alla luce dell'esigenza di evitare possibili violazioni della normativa europea e in considerazione della prossimità dell'area al bacino del fiume Po. (5-03864)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   QUARTAPELLE PROCOPIO e RAMPI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea aveva avviato una procedura di pre-infrazione (EU PILOT n. 4277/12/MARK) basata sulla violazione da parte dell'Italia della direttiva servizi 2006/123/CE perché la disciplina italiana prevedeva che l'abilitazione all'esercizio della professione di guida turistica avesse validità solo nella regione di rilascio;
   il Governo ha provveduto a sanare la situazione recependo la normativa europea sulle professioni turistiche e ha sancito, con la legge europea n. 97 del 6 agosto 2013, articolo 3, la validità nazionale dell'abilitazione alla professione di guida turistica, e il riconoscimento della qualifica conseguita dai cittadini dell'Unione europea con efficacia su tutto il territorio nazionale, in regime di libera prestazione;
   mancano ad oggi le disposizioni attuative del nuovo regime determinato dalla legge europea 2013;
   l'accesso alla professione di guida turistica in Lombardia è disciplinato dalla legge regionale n. 15 del 2007 e dal decreto legislativo n. 79 del 2011, che affidano alle province la facoltà di emanare bandi e svolgere le procedure di esame per l'abilitazione alle professioni turistiche;
   in attesa di una regolamentazione nazionale per le professioni turistiche, alcune regioni, quali la Campania e le Marche, hanno comunque pubblicato nuovi bandi per l'abilitazione alla professioni di guida turistica; sul sito della provincia di Milano, invece, si legge che gli esami potranno essere svolti soltanto quando verranno «definite le modalità attuative» delle nuove disposizioni nazionali;
   al fine di assicurare omogeneità ed unitarietà, il Governo è chiamato ad intervenire per regolamentare le professioni turistiche su tutto il territorio italiano e creare i relativi albi nazionali;
   tuttavia, mancano ormai pochi mesi all'inaugurazione di «Expo Milano 2015», evento che si prevede possa richiamare a Milano più di 20 milioni di visitatori;
   in un momento di grave crisi economica, il confluire di milioni di visitatori nel capoluogo lombardo si auspica possa rappresentare un'opportunità di occupazione per tutti coloro che dispongono delle competenze per illustrare il sito di «Expo Milano 2015», nonché le attrattive storiche, artistiche, monumentali, paesaggistiche e naturali di Milano –:
   se, in attesa della definizione delle modalità attuative delle nuove previsioni legislative, il Governo non intenda assumere iniziative normative urgenti per consentire agli enti preposti di avviare immediatamente le procedure per l'abilitazione delle guide turistiche;
   quali altre urgenti iniziative intenda adottare per offrire una soluzione a una situazione d'incertezza o di vuoto normativo che rischia di compromettere un'opportunità di occupazione per numerosi cittadini. (4-06561)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, PANNARALE e PIRAS. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da notizie di stampa locale e nazionale, il 14 ottobre 2014 ha preso il via in Salento la fase finale della esercitazione Nato denominata «Eagle Joker 14», nell'area addestrativa del poligono militare di Torre Veneri, con la partecipazione di oltre 270 mezzi, 200 container, 2 vettori navali, 4 aerei e più di 1600 uomini appartenenti alle 15 nazioni che compongono il comando «Nrcd-Ita» (Rapid deployable corps-Italy);
   Torre Veneri è una area protetta di interesse naturalistico di importanza comunitaria;
   in base a quanto si apprende da fonti di stampa e grazie alle denunce di associazioni del territorio, fra cui «Lecce Bene Comune», a Torre Veneri c’è un poligono militare dove quotidianamente, e secondo un calendario fittissimo, si svolgono esercitazioni che prevedono spari a ridosso del lido. Come diretta conseguenza, oltre al disagio arrecato agli abitanti di zona (dovuti anche agli orari notturni delle esercitazioni), la spiaggia ed il mare risultano piene di ogive e residui delle esplosioni che rischiano seriamente di distruggere l'ecosistema attuale;
   a conferma delle mancate bonifiche ci sono i verbali di alcuni ufficiali sentiti dai Carabinieri del NOE. In seguito ad una serie di esposti della sopra citata associazione «Lecce Bene Comune», la procura di Lecce ha aperto una inchiesta. Dopo alcuni mesi, il Pubblico ministero ha richiesto l'archiviazione ammettendo in maniera univoca una situazione di grave inquinamento ed una gestione dei rifiuti contrari alle disposizioni di legge, ma dichiarando l'estrema difficoltà nel riscontrare i responsabili certi fra i vertici dell'Esercito del poligono di Torre Veneri. A seguito di questo, il GIP ha disposto la non archiviazione del procedimento, disponendo una udienza per ascoltare le parti. Allo stato attuale, risulta un rinvio a dicembre 2014 per le conclusioni del GUP;
   in base a quanto si apprende dalle conclusioni delle analisi operate del nucleo NBC, si evincono concentrazioni di piombo e rame che superano i limiti stabiliti dal decreto legislativo 156 del 2006 (Codice dell'ambiente) per le aree destinate ad uso commerciale ed industriale usate come riferimento per le aree militari –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano fornire elementi in merito alla esercitazione «Eagle Joker 14», visti i possibili ulteriori rischi per un ecosistema già debilitato dalle continue esercitazioni;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano bloccare le esercitazioni che incidono sulla area di interesse naturalistico di Torre Veneri.
(5-03862)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO, RIZZO e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 giugno 2004 il giovane carabiniere Sergio Ragno, in servizio presso la Caserma dei Carabinieri di Borgognissanti in Firenze, perdeva la vita in seguito ad un tragico incidente stradale occorsogli alle ore 17,30 circa nei pressi della località «Le Cascine» sita in Firenze in via degli Olmi;
   il carabiniere Ragno, che la notte prima aveva svolto il turno di notte, si era recato in borghese e con la propria motocicletta in detta località, unitamente ad altri colleghi in borghese per l'espletamento di una missione che avrebbe dovuto portare all'arresto di uno o più soggetti coinvolti nello spaccio di sostanze stupefacenti, operazione predisposta sulla base delle informazioni ricevute da una persona tossicodipendente fermata la notte prima, fermo al quale aveva partecipato lo stesso carabiniere Ragno;
   detta operazione non si svolse perché i soggetti indicati dall'informatore non si presentarono all'ora indicata, conseguentemente i militari presenti sul posto decisero di prendere un caffè in un bar nelle vicinanze e di tornare, ognuno con i propri mezzi, alle loro abitazioni;
   proprio nell'allontanarsi da quel luogo si verificò l'incidente mortale con un'altra autovettura in cui il carabiniere Ragno perse la vita;
   in data 8 luglio 2014 i familiari del carabiniere Ragno hanno presentato un esposto alla, Procura militare di Roma chiedendo che vengano riaperte le indagini sul caso per accertare tutte le eventuali responsabilità in ordine alla morte del loro congiunto e per accertare se al carabiniere Ragno fosse stato ordinato di partecipare ad un'operazione in borghese nonostante avesse terminato il suo turno di servizio alle ore 7,00 della stessa giornata;
   in allegato all'esposto depositato sono state riportate trascrizioni di conversazioni telefoniche contenenti affermazioni che potrebbero essere in contrasto con alcuni punti della versione ufficiale fornita all'epoca dei fatti che portarono ad un'archiviazione da parte del tribunale di Firenze di un primo esposto presentato dalla famiglia Ragno –:
   se il Ministro della difesa, per quanto di competenza, non intenda avviare un'inchiesta interna alla luce del nuovo esposto depositato e se non vi siano gli estremi per il riconoscimento di pensione privilegiata al carabiniere Ragno, ovvero ai suoi familiari;
   non intenda assumere le iniziative di competenza per la concessione della speciale elargizione legata alle vittime del dovere. (4-06562)


   PILI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dall'analisi qui di seguito riportata emerge a parere dell'interrogante una preoccupante contiguità tra i vertici della Difesa e l'industria bellica e degli armamenti militari;
   è il caso ad esempio del generale Nazzareno Cardinali, capo del Corpo del genio aeronautico, direttore dell'amministrazione organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti) in Germania (Bonn), direttore generale della direzione generale armamenti aeronautici (Armaereo) sino al 2004/2007 e poi nominato presidente (non operativo) di Setex Communicatic società di comunicazioni per la Difesa;
   risultano in posizione apicale e poi destinati a società di primo piano nella produzione di armi anche i seguenti esponenti di primo piano della Difesa:
    a) generale C. Alberto Zignani comandante della Guardia di finanza ottobre 2003 e Presidente consorzio guerra elettronica Finmeccanica 2005;
    b) generale Sandro Ferracuti Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica nel 2004 e Presidente della Setex Sistemi integrali;
    c) ammiraglio Marcello De Donno Capo di Stato Maggiore Marina febbraio 2004 e Presidente dell'Agusta Spa dal novembre 2004;
    d) generale Mario Arpino Capo di Stato maggiore della difesa nel 2001, presidente operativo della Vitrociset dal 2003 al 2012, la società che di fatto governa gran parte degli approvvigionamenti delle basi militari della Sardegna;
    e) ammiraglio Umberto Guarnieri Capo di stato maggiore della Marina dal 1998 al 2001 e oggi presso Orizzonti Sistemi Navali dal 2003;
    f) generale Guido Bellini Capo di Stato Maggiore dei Carabinieri dal 2002 al 2004 e Presidente della società Marconi Selenia (oggi Selex);
    g) ammiraglio Guido Venturoni Capo di stato maggiore della Marina dal 1992, Capo di stato maggiore della difesa dal 1994 Presidente della Commissione militare Nato dal 1999 e Presidente della società Marconi Selenia (oggi Selex) dal 2002 e Finmeccanica 2008;
   i dati e i riferimenti oggetto di questo quadro d'insieme dimostrano secondo l'interrogante quanto sia indispensabile intervenire in una urgente quanto inderogabile azione di trasparenza al fine di fare chiarezza sulla gestione del rapporto pubblico privato, tra la difesa e l'industria bellica in Italia;
   appare evidente che tale rilevata situazione appare oggettivamente non solo discutibile sul piano politico ma riveste un rilievo istituzionale davvero preoccupante;
   i vertici di primo piano del Ministero della difesa hanno assunto con continuità che appare all'interrogante persino spregiudicata incarichi diretti e di primo piano nelle principali industrie belliche non solo italiane;
   appare a chi esamina nel dettaglio funzioni e ruoli in molti casi una coincidenza totale tra chi prima comprava e poi vendeva;
   incarichi di approvvigionamento degli armamenti per conto della difesa e non solo e poi a capo delle stesse società che vendevano gli armamenti;
   in questo caso emerge chiaro un riferimento ai missili di fabbricazione italiana, il Milan (Missile d'Infanterie Léger Antichar) un missile anticarro sviluppato a partire dal 1962 da Euromissile, joint-venture tra la francese Aérospatiale e la tedesca Deutsche Aerospace;
   si tratta di un missile subsonico filoguidato con testata HEAT normalmente utilizzato da un lanciatore su trepiede dalla fanteria. Il sistema di guida è SACLOS (Semi-Automatic Command to Line Of Sight), il che significa che, una volta lanciato, il lanciatore comunica attraverso le fibre ottiche collegate al missile, le correzioni che l'operatore apporta, mantenendo il mirino sul bersaglio. Il missile viene stoccato in un contenitore ermetico che viene inserito al momento dell'utilizzo sul lanciatore;
   in Italia il sistema è prodotto su licenza dall'Oto Melara. L'Esercito italiano ne acquistò un gran numero negli anni novanta, aggiornandolo poi alla versione Milan 2T. Gli Alpini li ebbero in dotazione nelle compagnie controcarri, affiancati ai TOW. Entrambi i sistemi sono stati teoricamente sostituiti dal sistema SPIKE. Nel giugno 2013 ad esempio la Brigata Meccanizzata «Granatieri di Sardegna» durante l'esercitazione «Quick Impact», utilizzò ancora i sistemi d'arma Milan;
   l'Esercito italiano ne acquista da Oto Melara migliaia;
   secondo alcune stime sarebbero 714 lanciatori con 17.163 missili consegnati nel 1990, 807 MILANO 2T ordinato nel 2004 e consegnato nel 2005;
   quest'ultimo approvvigionamento di Missili Milan 2T avviene nel 2004 quando alla guida dell'esercito in qualità di Capo Stato maggiore dell'esercito vi era il generale Giulio Fraticelli che assume l'incarico nel luglio del 2003 e lo lascia nel luglio del 2005;
   è lo stesso generale, già Capo di Stato maggiore dell'Esercito, ad assumere appena 8 mesi dopo la carica di Presidente della società Oto Melara, la stessa società produttrice del Missile Milan;
   è, dunque, accertato che vertici di primo piano del Ministero della difesa hanno assunto dopo pochi mesi dalla cessazione dell'incarico un ruolo chiave in società per azioni, passando quindi dalla funzione di utilizzatori/acquirenti a quello di venditori di armi;
   tutto questo anche per i risvolti legati all'utilizzo del Missile Milan e le possibili cause di patologie gravi sui militari che sono state più volte denunciate e documentate costituisce un elemento che merita un approfondimento terzo proprio per fare piena chiarezza sui rapporti intercorsi tra i vertici militari nelle rispettive posizioni apicali e le stesse società di produzione bellica;
   in questo contesto vanno attentamente esaminate le restrizioni della legge sul commercio delle armi, (legge n. 185 del 1990) che all'articolo 22 dispone:
    «Art. 22. Divieti a conferire cariche. I dipendenti pubblici civili e militari, preposti a qualsiasi titolo all'esercizio di funzioni amministrative connesse all'applicazione della presente legge nei due anni precedenti alla cessazione del rapporto di pubblico impiego non possono, per un periodo di tre anni successivo alla cessazione del rapporto stesso, a qualunque causa dovuta, far parte di consigli di amministrazione, assumere cariche di presidente, vice presidente, amministratore delegato, consigliere delegato, amministratore unico, e direttore generale nonché assumere incarichi di consulenza, fatti salvi quelli di carattere specificamente tecnico-operativo, relativi a progettazioni o collaudi, in imprese operanti nel settore degli armamenti.
  2. Le imprese che violano la disposizione del comma 1 sono sospese per due anni dal registro nazionale di cui all'articolo 3»;
   appare evidente che le date sulle cessazioni di incarico e l'assunzione del ruolo societario devono essere attentamente vagliate anche per valutare le eventuali sanzioni da comminare;
   in questo quadro riveste particolare attenzione anche il ruolo internazionale dei vari vertici militari, collocati anche in questo caso, in ruoli funzionali all'approvvigionamento di armi e armamenti vari;
   la gravissima sovrapposizione di ruoli tra carriera militare e cessazione della stessa rischia di ingenerare un conflitto d'interessi ben più rilevante per il sistema della difesa che di fatto risulta essere governato da un rapporto interno esterno davvero poco giustificabile;
   appare evidente che il mancato di rispetto di norme apposite o la stessa carenza di norme adeguate rende vulnerabile l'intero sistema che sfugge già per sua articolazione ad un controllo trasparente che risulta invece assolutamente necessario, urgente e indispensabile –:
   se non intenda fornire un elenco dettagliato delle funzioni ricoperte dai vertici militari cessati dal mandato in società legate e connesse all'industria bellica italiana ed estera;
   se non intenda accertare i rapporti intercorsi tra i richiamati vertici militari e le società nelle quali poi hanno assunto incarichi dirigenziali;
   se non ritenga di dover assumere un'iniziativa normativa che vieti l'assunzione a fine carriera di incarichi nell'ambito dell'industria bellica per tutti coloro che hanno avuto ruoli di rilievo nell'amministrazione della difesa;
   se non ritenga di dover fornire i rapporti di comando relativi all'acquisto dei missili Milan richiamati e le date relative agli ultimi ordini effettuati, con relativo costo e quantitativo. (4-06574)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Saipem spa, Società anonima italiana perforazioni e montaggi, è una società per azioni facente parte del gruppo Eni, costituita nel 1956 ed operante nel settore della prestazione di servizi per il settore petrolifero. La società è specializzata nella realizzazione di infrastrutture riguardanti la ricerca di giacimenti di idrocarburi, la perforazione e la messa in produzione di pozzi petroliferi, nonché la costruzione di oleodotti;
   nell'esercizio della propria attività si avvale della collaborazione di alcune società controllate, quali la Sonsub, l'Intermare Sarda e la Moss Maritime, ma anche di aziende e consulenze esterne che costituiscono, in alcune aree, un indotto significativo;
   nel 2006 Saipem ha acquisito la Snamprogetti (incorporandola definitivamente nel 2008), leader dei progetti onshore del settore, estendendo così la competenza anche ai progetti su terra;
   oggi la società è uno dei più importanti contractor a livello mondiale del settore della costruzione e manutenzione delle infrastrutture al servizio dell'industria petrolifera, con una operatività in tutti e cinque i continenti;
   la terza sede del gruppo per importanza, dopo quella centrale a Milano San Donato e la succursale parigina in Francia, si trova a Fano (PU), dove lavorano oltre mille tecnici di altissimo livello professionale, specializzati nel progettare e costruire pipe-line, oleodotti e gasdotti, in giro per il mondo;
   negli ultimi mesi, ed in particolare a partire da luglio 2014, si sono succedute diverse indiscrezioni su una possibile cessione del gruppo Saipem da parte della maggior azionista Eni che ne detiene il 43 per cento circa della azioni;
   tali indiscrezioni sono state rilanciate dapprima da autorevoli testate giornalistiche e successivamente confermate, il primo agosto 2014, da Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, il quale ha tracciato la nuova strategia del colosso petrolifero italiano;
   già il 22 luglio 2014, il quotidiano La Repubblica, tra gli altri, segnalava come diversi rumors riferissero di un mandato in questa direzione affidato alla banca d'affari statunitense Goldman Sachs, con conseguente sondaggio tra potenziali compratori, come i russi di Rosneft ma soprattutto i gruppi norvegesi Subsea 7 e Seadrill; 
   la direzione di Eni verso il probabile disimpegno da Saipem sembrerebbe avere la finalità di spostare sempre più il focus della società sulle operazioni cosiddette upstream, ovvero a più elevato ritorno economico;
   il Wall Street Journal del 21 luglio 2014 indicava, anche, una possibile revisione delle attività di raffinazione (sempre secondo quanto riferisce la stampa specializzata, infatti, il business Refining & Marketing di Eni avrebbe perso una media di 106 milioni di euro al trimestre dal 2009, come hanno rilevato gli analisti di Sanford C. Bernstepz, tanto che lo scorso anno la divisione R&M ha avuto un cash flow negativo che ha pesato per il 5 per cento sugli investimenti complessivi);
   la cessione di Saipem si presenterebbe, quindi, come una operazione volta a indirizzare le attività del gruppo Eni verso iniziative più remunerative per la società a discapito della finalità primaria dell’ approvvigionamento energetico – ad avviso dell'interrogante – che il gruppo dovrebbe perseguire, anche in virtù del fatto che l'azionista di maggioranza dell'Eni è il popolo italiano, seppure per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze, che a sua vota controlla la Cassa depositi e prestiti;
   come ha avuto modo di ribadire anche Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – società indipendente di ricerca in campo energetico e ambientale –, al quotidiano torinese La Stampa il primo agosto 2014, «Saipem è davvero un gioiello, è leader mondiale nella posa dei tubi, soprattutto sottomarini, e nelle piattaforme offshore». Sebbene in genere i colossi petroliferi acquistino tali servizi sul mercato, il fatto che Eni possieda la quota di maggioranza di Saipem consente di mantenere in mani italiane l'altissimo – e strategico – know how della società di progettazione; un eventuale disimpegno di Eni da Saipem potrebbe avere degli effetti particolarmente preoccupanti per la sopravvivenza della stessa società; 
   secondo gli analisti finanziari della banca d'investimento Equita, infatti, ci sono diverse incognite rispetto all'operazione di cessione, dovute innanzitutto al fatto che Saipem ha ancora progetti problematici per 5,8 miliardi di euro e poi l'ammontare significativo di debito infragruppo (il 90 per cento dei complessivi 4,5 miliardi) che in caso di cessione andrebbe rifinanziato; 
   evidentemente, come gli analisti finanziari rilevano, per Saipem trovare delle alternative alle sue fonti di finanziamento attuali potrebbe essere difficile e le stesse potrebbero essere più care;
   assolutamente non trascurabili sono poi i riflessi occupazionali per i territori interessati;
   in particolare, quello di Fano, dove a causa della crisi economica prolungata la città ha già perso, nel corso degli ultimi anni – e continua a perdere –, pezzi importanti delle sue professionalità e dell'economia;
   tra le indicazioni strategiche del gruppo Eni vi è anche la riduzione della sua presenza in Europa;
   almeno di fronte alla pubblica opinione, il Governo ribadisce costantemente la necessità e l'obiettivo di aumentare i livelli occupazionali e rilanciare l'economia mediante la leva dello sviluppo di attività ad alto tasso di innovazione e know how;
   la cessione di Saipem da parte di Eni – controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze – va in direzione opposta a tali dichiarazioni di intenti, privando l'Italia di una realtà ad elevatissimo know how, colpendo duramente i livelli occupazionali di un territorio già provato duramente dalla crisi economica e desertificando un indotto qualificato, che a traino di Saipem ha costruito a sua volta professionalità di livello altissimo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga l'iniziativa di Eni, di cedere Saipem, contraria agli interessi generali del Paese, individuati nella necessità di mantenere i livelli occupazionali e salvaguardare i know how strategici;
   quali iniziative intenda intraprendere per salvaguardare tali interessi;
   se non ritenga opportuno intervenire, attraverso gli strumenti riconosciuti dall'ordinamento, facendo valere nel gruppo Eni i legittimi interessi dell'azionista di maggioranza – il Paese tutto – esercitati per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze. (4-06544)


   COLLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Sogin S.p.A. è partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e il suo compito è quello di smaltire i rifiuti nucleari degli impianti italiani, un'attività di grande importanza per garantire la sicurezza dei cittadini, salvaguardare l'ambiente e tutelare le generazioni future;
   nella determinazione n. 21/2013, recante la «Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Società gestione impianti nucleari (SO.G.I.N. S.p.A.), per l'esercizio 2011», la Corte dei conti, in sezione di controllo sugli enti, ha precisato che: «Nel complesso, la SO.G.I.N. è passata dal 4 per cento di avanzamento delle attività di smantellamento a fine 2007 (0,6 per cento annuo), al 12 per cento a fine 2011, con una media di circa il 2 per cento annuo»;
   a causa dei continui rallentamenti dei lavori, secondo la «Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse», approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella seduta del 18 dicembre 2012, la spesa prevista attualmente è di 6,7 miliardi di euro. Per questi motivi il Movimento 5 Stelle, con l'interrogazione parlamentare n. 3-00335 a prima firma del senatore Girotto, a settembre 2013 aveva chiesto al Governo la definizione di un nuovo metodo di finanziamento i cui oneri non fossero posti a carico dei clienti finali del sistema elettrico;
   ogni anno Sogin spende milioni di euro in consulenze distribuite tra avvocati, ingegneri, tecnici e professionisti; i cronoprogrammi delle sue attività di smantellamento delle centrali nucleari e degli impianti avviati nel 2001 prevedevano il rilascio «a prato verde» dei siti nel 2020, a fronte di un costo previsto di 4,5 miliardi di euro, quasi interamente a carico dei contribuenti grazie al sovrapprezzo della bolletta elettrica;
   nella lista di incarichi, collaborazioni e consulenze di Sogin tra il 2012 e il 2014 compare l'avvocato Stefano Previti, figlio di Cesare Previti, il quale fu pagato il 28 gennaio 2013 per un incarico di consulenza da 6 mila euro per «assistenza legale stragiudiziale»;
   tra i consulenti legali figura anche Donato Bruno, avvocato, senatore di Forza Italia, che nelle intercettazioni dell'inchiesta sull'Expo (allargata ai lavori per il nucleare) viene indicato da Gianstefano Frigerio come «un altro amico» e quindi come parte della «squadra» composta anche da «Gianni Letta e Cesare Previti», in grado di condizionare le nomine nelle società pubbliche come Terna e Alitalia. Il 7 marzo del 2013 Donato Bruno, in qualità di legale, ha ricevuto dalla Sogin un incarico di consulenza da 30 mila euro per una non meglio precisata «assistenza legale stragiudiziale». Da notizie di stampa si apprende inoltre che Donato Bruno è compreso fra i possibili candidati ai due posti vacanti della Corte costituzionale;
   appare quanto mai singolare che le decine di consulenze legali esterne richieste dalla Sogin S.p.A. nel 2012 e 2013 si siano ridotte a una soltanto nel 2014, affidata all'avvocato Lorenzo Parola, per poco meno di 11 mila euro. Non si comprende come mai la necessità di trovare accordi e comporre liti fuori dai tribunali (assistenza legale stragiudiziale) sia stata tanto forte negli anni precedenti e sia praticamente cessata nel 2014 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se il Governo abbia verificato che le consulenze richieste dalla Sogin siano state tutte legittime e, in caso contrario, se ritenga opportuno informare la Corte dei Conti per accertare possibili profili di responsabilità al fine del ristoro degli eventuali danni subiti;
   se il Governo reputi necessario assumere iniziative per cambiare le modalità di finanziamento passando dall'attuale sistema di prelievo sulla bolletta elettrica a carico dei cittadini ad un sistema che consenta di erogare finanziamenti solamente in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, in tal modo beneficiandone sia lo Stato sia soprattutto, i cittadini. (4-06546)


   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto contenuto nel decreto firmato dal Ministro dell'economia e delle finanze il 2 luglio 2014, il fondo strategico italiano (controllato all'80 per cento da Cassa depositi e prestiti e il restante 20 per cento da Bankitalia), allargando il proprio perimetro, potrà investire anche in aziende del settore turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, nonché della gestione dei beni culturali e artistici;
   l'iniziativa si fonda sull'idea secondo cui tali settori rivestono particolare importanza per l'economia italiana, pur essendo penalizzati dalle ridotte dimensioni e da una certa frammentazione;
   nel dettaglio, il fondo potrà investire anche in società che non sono costituite in Italia, ma che controllano società presenti sul territorio nazionale, in possesso di particolari requisiti di fatturato (almeno 50 milioni di euro) e di dipendenti (non meno di 250). Inoltre, è confermata la possibilità, da parte del fondo, di acquisire partecipazioni in società, che, «pur non operando nei settori indicati, presentino un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro e un numero medio di dipendenti nell'ultimo esercizio non inferiore a 250, con un margine di ribasso del 20 per cento qualora l'attività della società risulti comunque rilevante in termini di indotto e di presenza di stabilimenti produttivi»;
   da articoli di stampa si apprende la notizia che il fondo strategico nazionale abbia intenzione di acquistare la catena alberghiera che fa capo a Rocco Forte — imprenditore inglese di origini italiane — che in questo momento ha in portafoglio 11 alberghi extralusso in giro per l'Europa, di cui tre in Italia: il Savoy a Firenze, il de Russie a Roma e il Verdura Golf Resort & Spa di Sciacca, in Sicilia;
   l'operazione è complessa, anche perché le singole strutture in Italia sono controllate da società differenti. Per capire, però, la ratio dell'intervento bisogna partire dalla struttura siciliana di Rocco Forte, ossia il «Verdura Resort», una struttura che, di recente, ha subito una serie di fibrillazioni che hanno fatto finire nel pantano tutta una serie di investimenti che Rocco Forte aveva in mente. Per esempio la costruzione di ben 52 villette per un importo complessivo di 100 milioni di euro, parte dei quali messi a disposizione dallo Stato italiano;
   notizie di stampa riferiscono, inoltre, che da anni Rocco Forte Hotels, tramite il Ministero dello sviluppo economico e Invitalia, percepisce contributi pubblici e che sull'evoluzione delle 52 villette sopracitate penda un piano paesaggistico locale che la catena alberghiera ritiene particolarmente penalizzante. E non è servita a sbloccare la situazione, la promessa che nell'operazione sarebbero stati coinvolti operai e artigiani locali;
   non c’è dubbio che l'operazione desta una serie di perplessità: c’è l'intervento dello Stato in un'impresa alberghiera a controllo estero e con diversi problemi «politici» in Italia –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa;
   quali siano i piani d'investimento che il fondo strategico italiano (FSI) intende adottare nel settore turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, nonché della gestione dei beni culturali e artistici. (4-06547)


   D'ARIENZO e ZARDINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   attualmente la commissione tributaria provinciale di Verona (CTP) e la sezione staccata di Verona della commissione tributaria regionale (CTR) sono dislocate in un immobile situato presso il centro del capoluogo scaligero;
   i due organismi tributari dovrebbero essere trasferiti in un immobile situato presso l'estrema periferia di Verona;
   in merito non risulta il coinvolgimento delle parti interessate. Al contrario, come è noto, le commissioni tributarie sono organi giurisdizionali, come riconosciuto dalla Corte costituzionale già dal 1974 e, pertanto, per quanto concerne l'organizzazione ed il funzionamento, le scelte dovrebbero essere discusse con le parti interessate all'amministrazione della giustizia;
   la sede periferica proposta non pare sia idonea a ospitare le attuali commissioni tributarie per varie ragioni:
    a) per la collocazione in estrema periferia, in zona scarsamente servita da mezzi pubblici;
    b) per i disagi per i dipendenti, per i giudici, ma anche e soprattutto per gli avvocati, i commercialisti, gli altri professionisti e per i cittadini utenti della giustizia tributaria;
    c) per gli spazi previsti, un ampio locale pressoché «open air», in cui dovrebbero trovare sistemazione un corridoio comune, archivi da insonorizzare, le stanze per il presidente e per il direttore e quattro stanze promiscue per tutti i servizi e le segreterie della commissione tributaria provinciale e della sezione della commissione tributaria regionale (tre sezioni composte di sei collegi e 18 giudici della CTP oltre ai due collegi della sezione CTR);
    d) per l'assenza di luoghi ove sistemare i terminali per il processo telematico dei 17 giudici della commissione tributaria provinciale e dei 5-6 giudici della sezione della commissione tributaria regionale e di spazi per i professionisti ed i cittadini in attesa della chiamata alle udienze;
   il giusto risparmio che si intende perseguire con la decisione in argomento non può andare a detrimento di una funzione essenziale di uno Stato di diritto;
   sia il presidente della commissione tributaria sia il sindaco della città di Verona si sono espressi negativamente sul trasferimento;
   al fine di individuare luoghi adeguati, possono essere valutate le opportunità offerte dall'articolo 56-bis del decreto-legge n. 69 del 2013 «decreto del fare», concernente i beni demaniali da concedere in uso agli enti locali e dall'articolo 26 del decreto-legge n. 133 del 2014 «decreto Sblocca Italia» concernente la dismissione di immobili demaniali e/o immobili in uso al Ministero della difesa –:
   se non ritenga necessario sospendere il provvedimento di trasferimento per favorire l'individuazione di un luogo maggiormente funzionale e pienamente idoneo a garantire la compiuta funzionalità della giustizia tributaria veronese. (4-06550)


   SANGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento n. 15921 del 22 ottobre 2013, il direttore generale delle finanze ha disposto la rotazione triennale degli incarichi di direzione degli uffici di segreteria delle commissioni tributarie non dirigenziali;
   tali incarichi, rinnovabili alla scadenza, sono attribuiti con atto scritto e motivato (ex articolo 1, comma secondo, del provvedimento);
   nella prima applicazione, gli incarichi in essere da più di 5 anni sono prorogati di un anno al 22 ottobre 2014, quelli in essere da meno di 5 anni sono prorogati di due anni al 22 ottobre 2015;
   all'articolo 2 viene stabilito che «la valutazione dei risultati delle attività svolte è una componente essenziale del conferimento dell'incarico di direzione... I criteri sono determinati nel rispetto dei principi di efficienza, trasparenza e oggettività tenendo conto dei risultati conseguiti e delle competenze dimostrate... In attesa della definizione dei predetti criteri la valutazione dei soggetti incaricati avverrà tenendo conto degli obiettivi raggiunti, della verifica infrannuale dell'andamento delle prestazioni, della valutazione delle competenze organizzative e delle attitudini dimostrate nell'assolvimento dell'incarico...»;
   con successivo provvedimento n. 6988 del 7 maggio 2014, a firma del direttore della direzione della giustizia tributaria viene avviata la procedura per la nuova attribuzione di 47 incarichi non dirigenziali di direttore di segreteria delle commissioni tributarie provinciali;
   è stabilito che «la Direzione procede all'individuazione dei dipendenti cui attribuire l'incarico sulla base degli elementi di giudizio desumibili dall'analisi dei curricula, dalle esperienze lavorative nonché da eventuali colloqui individuali finalizzati ad individuare le conoscenze tecnico-professionali e il possesso delle capacità organizzative in funzione della complessità dell'incarico da attribuire»;
   è di questi giorni la nomina da parte della direzione della giustizia tributaria dei nuovi direttori di segreteria;
   ciò è stato anticipato da una procedura che pare all'interrogante anomala: sembra infatti che, qualche giorno addietro, in luogo di provvedimenti formali ed ufficiali siano pervenuti nelle caselle di posta elettronica personale (dei singoli dipendenti) dei messaggi di nomina o di mancata riconferma assolutamente generici spesso senza protocollo ed in alcuni casi privi addirittura di firma del mittente. Circostanza questa agevolmente riscontrabile;
   dette modalità risultano alquanto discutibili per quei direttori non riconfermati che hanno assunto negli anni i rischi e le responsabilità di un ufficio senza peraltro una adeguata remunerazione (l'indennità di direzione corrisponde a 12 euro giornaliere LORDE per giorno di effettiva presenza in ufficio);
   per chiarezza è opportuno ricordare che i direttori degli uffici di segreteria delle CTP sono attualmente datori di lavoro, responsabili del servizio di liquidazione, accertamento e riscossione coattiva del contributo unificato tributario, responsabili per l'anticorruzione, responsabili della gestione dei fascicoli dei giudici dal punto di vista amministrativo ed economico, e altri –:
   quali siano i criteri con i quali la direzione della giustizia tributaria stia procedendo alla conferma/sostituzione dei direttori di 47 commissioni tributarie in Italia;
   se tali criteri di valutazione siano stati preventivamente notificati ai diretti interessati;
   perché i 47 direttori delle CTP, pur trovandosi nelle medesime condizioni (tutti con incarichi ultraquinquennali), siano stati solo parzialmente riconfermati e/o sostituiti;
   quali siano stati i criteri adottati dalla direzione della giustizia tributaria nella scelta dei direttori. (4-06558)


   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 14 ottobre 2014 il Fatto quotidiano online ha riportato la notizia che l'ex deputato del PdL e consigliere dell'allora Ministro dell'economia, Giulio Tremonti, Marco Milanese, percepisce dallo Stato un assegno annuo di 97.000 euro. Nonostante sia in carcere, arrestato il 4 ottobre per gli scandali del Mose, l'ex deputato continua a ricevere anche se in forma ridotta un cospicuo stipendio;
   lo prevede l'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, che così recita «All'impiegato sospeso è concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia»;
   secondo quanto affermato dal quotidiano online il Fatto quotidiano del 14 ottobre: «Il rettore, nel decretare la sospensione obbligatoria a Milanese, applica il miglior trattamento economico possibile, cioè 97 mila euro lordi annui. L'assegno alimentare è pari alla metà dello stipendio annuo che è di circa 194 mila euro. I docenti delle Scuole superiori sono destinati a passare nei ruoli dell'università: se non sarà condannato in via definitiva per reati incompatibili con la docenza, Tremonti l'avrà sistemato per tutta la vita»;
   le vicende giudiziarie che hanno colpito l'ex deputato secondo fonti di stampa sono ben note: il 7 luglio 2011 il giudice per le indagini preliminari di Napoli dispone la richiesta di arresto nei confronti del deputato Milanese per il reato di corruzione. L'accusa viene lanciata dall'avvocato Paolo Viscione, settantenne cervinarese che accusa di avere elargito allo stesso Milanese pagamenti non dovuti e costosi regali per un totale di circa un milione di euro. Tali elargizioni, erano il corrispettivo della rivelazione di notizie riservate e dei successivi interventi volti a rallentare le indagini condotte dalla Guardia di Finanza, in cui Milanese aveva buoni contatti avendo fatto parte, del Corpo stesso e grazie al suo ruolo di consigliere politico del Ministro dell'economia e delle finanze da cui dipende la Guardia di Finanza, sulle società dell'imprenditore Viscione;
   a causa delle pressioni mediatiche subite il 26 giugno 2011 Milanese rassegna le sue dimissioni da consigliere politico del Ministro dell'economia e finanze Giulio Tremonti. Il 9 marzo 2012 la procura di Napoli ha chiuso le indagini rinviando Milanese a giudizio;
   il 22 settembre 2011 la Camera dei deputati a scrutinio segreto nega l'autorizzazione ad eseguire misure cautelari nei confronti del deputato Milanese con 305 si 312 no e nessun astenuto;
   secondo numerose fonti di stampa il nome di Milanese emerge anche nell'inchiesta sugli appalti Enav e sui presunti fondi neri di Finmeccanica. L'imprenditore Fabrizio Testa è accusato di aver aiutato il deputato a procacciare un acquirente per il suo yacht con una cresta di circa 250.000 euro, per ottenere un appoggio che lo aiutasse a essere nuovamente confermato nel consiglio di amministrazione di Enav che però non fu riconfermato ma venne nominato dal Tesoro alla Presidenza di Techno Sky;
   il 10 marzo 2012 è sempre la stampa a far trapelare la notizia che la procura di Roma indaga, in relazione al filone Enav su favori e nomine, Milanese insieme all'ex Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti per finanziamento illecito di un deputato per l'appartamento in via Campo Marzio in Roma dove Tremonti avrebbe alloggiato da luglio 2010 a luglio 2011 con l'affitto pagato da Milanese;
   il 30 maggio 2012 Milanese risulta indagato dalla procura di Milano nell'inchiesta che ha portato all'arresto Massimo Ponzellini, ex presidente della Banca popolare di Milano e attuale presidente di Impregilo per delle tangenti da circa 6 milioni di euro. Il deputato è indagato per associazione per delinquere e corruzione, perché come risulta nell'ordinanza a carico dell'ex presidente di Bpm, si sarebbe speso da relatore parlamentare per l'introduzione di una legge sul gioco d'azzardo favorevole a Francesco Corallo, titolare della società Atlantis;
   il 5 giugno 2014 Milanese risulta tra gli oltre 100 indagati dalla procura di Venezia per le tangenti sullo scandalo Mose (che ha portato agli arresti anche il Sindaco Pd di Venezia Giorgio Orsoni e una richiesta di arresto alla Camera per l'ex Governatore del Veneto Giancarlo Galan). Secondo l'accusa avrebbe ricevuto una tangente di 500.000 euro dal Consorzio Venezia Nuovo per far sbloccare dal CIPE i fondi necessari per il Mose;
   il 4 luglio 2014 il giudice per le indagini preliminari di Venezia emette un'ordinanza che porta Milanese all'arresto per corruzione in seguito all'inchiesta sul Mose;
   tutto questo crea sconcerto dato che lo Stato, che dovrebbe sostenere esempi di etica, elargisce uno stipendio ad un uomo le cui vicende giudiziarie sono ben note –:
   se non si ritenga necessario, attraverso iniziative normative, inserire una clausola obbligatoria che preveda la sospensione immediata degli emolumenti pubblici percepiti da persone arrestate.
(4-06572)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale del 27 marzo 2014 il Ministero della giustizia ha disposto la soppressione della casa mandamentale di Macerata Feltria (Pu);
   la struttura, un piccolo istituto realizzato negli anni Settanta a circa 50 chilometri da Pesaro, è considerata unanimemente una delle esperienze di politica penitenziaria più avanzate dal punto di vista dell'attività rieducativa e riabilitativa dei detenuti;
   la casa mandamentale di Macerata Feltria, infatti, è un istituto a vigilanza attenuata che ospita detenuti a fine pena impegnati in lavori agricoli, assegnati al lavoro esterno ex articolo 21 O.P., e impiegati nel settore vitivinicolo con contratti a tempo indeterminato;
   nel corso degli ultimi anni sono stati fatti importanti investimenti al fine di potenziare le attività agricole nelle quali sono impegnati i soggetti ristretti, attività che vanno dalla florovivaistica in serra, all'apicoltura, alla coltivazione e produzione di zafferano;
   tali attività, che si svolgono in un'area di due ettari, sono il frutto di una intensa collaborazione tra diversi soggetti, pubblici e privati, a partire dal comune di Macerata Feltria – che si è, peraltro, reso disponibile ad estendere la concessione di terreni da adibire ad uso agricolo per tale progetto –, ma anche diversi enti locali, la direzione della casa circondariale di Pesaro, la cooperativa «La Mimosa» – che ha maturato nel tempo una grande esperienza di lavoro con soggetti svantaggiati –, la magistratura di sorveglianza – che ha favorito il progetto –, gli operatori di Pesaro, educatori, assistenti sociali e psicologi che si sono attivati per la riuscita dell'iniziativa, nonché il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – che ha finanziato il progetto occupandosi dell'impianto delle attività –, e la provincia di Pesaro con il FAI che hanno finanziato la formazione dei detenuti;
   la notizia della soppressione della casa mandamentale ha suscitato nel territorio marchigiano una reazione di incredulità che ha spinto le istituzioni territoriali ad intervenire pubblicamente al fine di salvare la struttura e l'esperienza maturata;
   si citano, in particolare, due mozioni a firma del presidente del consiglio regionale delle Marche Vittoriano Solazzi e del consigliere regionale dei verdi Adriano Cardogna;
   nella stessa direzione il Garante dei diritti dei detenuti delle Marche, Italo Tanoni, che ha inviato una lettera al Ministro interrogato, nella quale auspica il mantenimento della casa mandamentale di Macerata Feltria;
   il Ministro interrogato all'indomani del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa che accoglieva positivamente «l'impegno delle autorità italiane a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri in Italia»; dichiarava agli organi di stampa la sua soddisfazione, ammonendo però che «il fatto che non si parli più di condizioni degradanti non significa che siamo ancora ai livelli auspicabili nel sistema della pena e soprattutto è un'occasione per cambiarla, per utilizzare pene alternative, introdurre più lavoro in carcere»;
   la funzione Pubblica CGIL, preoccupata per i riflessi sui livelli occupazionali della chiusura della casa mandamentale e per la sorte dei 9 custodi civili, aveva caldeggiato, anche a livello nazionale, soluzioni capaci di garantire la continuità del sistema penitenziario nelle Marche anche mediante riconversione in struttura per detenuti-semiliberi o in lavoro all'esterno o, in alternativa – come proposto dal provveditore dottoressa Ilse Runsteni – in istituto a custodia Attenuata (ICAM) dedicata alle detenute madri di cui alla legge 21 aprile 2011 n. 62, che prevede «a decorrere dal 1o gennaio 2014, la permanenza di madri con prole sino a 6 anni in custodia cautelare o detenzione, presso Istituti dedicati a custodia attenuata per detenute madri» al fine di evitare ai bambini l'esperienza durissima della vita in carcere –:
   se non ritenga il Ministro, coerentemente con quanto dichiarato circa la necessità di introdurre più lavoro in carcere, di rendere in considerazione possibili ipotesi di riconversione della casa mandamentale di Macerata Feltria, evitando di smantellare una esperienza considerata dallo stesso Ministero un esempio a cui ispirarsi nel percorso di recupero dei detenuti, non disperdendo gli importanti investimenti effettuati negli anni nell'azienda agricola costituita nella struttura e salvaguardando i livelli occupazionali del territorio. (4-06565)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCUVERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tra le opere pubbliche prioritarie sul territorio lombardo è da annoverare il raddoppio del tratto di linea ferroviaria che da Milano va a Parona/Mortara;
   esiste un progetto di potenziamento della linea ferroviaria tra Milano e Mortara che prevedeva il raddoppio della linea di Milano S. Cristoforo e Mortara;
   tale progetto consta di 6 sottoprogetti dei quali è stato realizzato il sottoprogetto 1 (raddoppio tratta Milano S. Cristoforo Albairate/Vermezzo (ex Cascina Bruciata);
   la frequenza media sulla direttrice è di quasi 17.500 passeggeri al giorno;
   tale progetto è stato approvato in linea tecnica preliminare da parte del Cipe il 29 marzo 2006, ma l'avvio del progetto definitivo è tuttora sospeso in quanto in attesa di essere finanziato dal Cipe;
   le condizioni di viaggio che tutti i giorni i pendolari devono affrontare sono pessime –:
   quali iniziative il Ministro intenda promuovere per ripristinare i finanziamenti del progetto di cui in premessa e consentire così il raddoppio della tratta da Albairate a Parona. (5-03856)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, D'INCÀ, TURCO e BUSINAROLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del 6 settembre 2010, il consiglio comunale di Albettone, provincia di Vicenza, ha adottato una variante al piano regolatore generale al fine di permettere ai signori L.M. e S.N. di realizzare all'interno del comune stesso un poligono fisso;
   tale struttura, realizzata nel settembre 2012 si trova in una località facente parte del comprensorio del parco regionale dei Colli Euganei, al confine del vicino comune di Rovolon, in provincia di Padova;
   tale struttura è denominata «Alpha 22 Shooting Club» ed è, come si legge dal sito web http://www.alpha22shootingclub.com/, una «Associazione Sportiva Dilettantistica che riunisce tutte le persone con la passione comune per il tiro difensivo operativo e a lunga distanza»;
   secondo la valutazione di impatto acustico del gennaio 2011, a seguito di una relazione tecnica eseguita con carabina, il poligono di tiro risulterebbe in piena regola: infatti vengono espressamente citati i punti relativi al rispetto dei valori limite, di emissione, i differenziati, il rispetto del livello del rumore di fondo delle zone rurali, anche in condizioni climatiche sfavorevoli o per vento, il rispetto dell'orario previsto per l'attività sportiva diurna (06.00-22.00);
   nonostante le licenze e le autorizzazioni apparentemente del tutto regolari, viene segnalata una problematica da non poco conto da parte degli abitanti delle zone limitrofe, sia da parte dei cittadini del comune di Albettone (VI), sia da parte di quelli del comune di Rovolon (PD) che lamentano «forti esplosioni durante la notte e botti terrificanti» tant’è che, come si apprende dalla stampa locale, hanno provveduto a coinvolgere l'associazione di Federcontribuenti Veneto per dare impulso ad indagini sull'attività realmente svolta all'interno della struttura;
   «c’è da rimanere sconcertati a sentire i residenti che hanno la sfortuna di vivere nei pressi del poligono – commenta il dottor Paccagnella, Presidente dell'associazione – all'inizio pensavo si trattasse dell'esagerazione di un gruppo di persone abituate alla tranquillità della campagna, poi ho guardato in internet e sono stato sul posto ed ho capito che avevano ragione»;
   la preoccupazione maggiore riguarda il dubbio che vengano utilizzate armi illegali non consentite, a prova del fatto che i boati uditi dai residenti non possono essere quelli prodotti da armi di calibro consentito. Nello stesso sito internet sono presenti filmati che rappresentano l'utilizzo di lanciarazzi M72 LAW calibro 66 mm, fucili automatici a raffica, semiautomatici Barret M107;
   oltretutto, dal sito della struttura si apprende che tra le varie attività svolte, vi è anche la possibilità di svolgere Corsi di Tiro Tattico per le forze armate e forze dell'ordine;
   la preoccupazione segnalata è che al fine di migliorare le competenze di taluni soggetti, sia prevista la possibilità di «fornire corsi con argomenti ritagliati su misura a seconda della richiesta degli operatori.» Sorge quindi il dubbio, in base anche alle segnalazioni dei cittadini, che la struttura metta a disposizione anche armi da guerra;
   tutte queste segnalazioni sono state smentite da parte dei titolari del poligono di tiro, che dichiarano l'infondatezza delle accuse sollevate;
   la situazione appare comunque poco chiara;
   i residenti sono comprensibilmente intimoriti dalle attività del centro. A parere degli interroganti, appare poco prudente che determinate esercitazioni si volgano a poche centinaia di metri e da un gruppo di case, dato che si userebbero armi che hanno una gittata di oltre un chilometro;
   inoltre la struttura è a ridosso dell'autostrada A31 della Valdastico Sud, con rischi enormi per persone e cose –:
   se il Ministero sia a conoscenza della questione esposta in premessa;
   se si intendano effettuare dei controlli sulla struttura per assicurarsi che siano rispettati tutti i parametri di sicurezza e che vengano svolte attività conformi alla legge;
   se si intenda verificare se le armi utilizzate siano regolari. (5-03865)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DA VILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Venezia è autorizzato all'esercizio del gioco d'azzardo, in deroga ai divieti imposti dalle vigenti leggi penali, in forza del decreto del Ministero dell'interno, emanato il 30 luglio 1936, così come dei successivi decreti autorizzatori che, di volta in volta, hanno individuato le sedi idonee allo scopo;
   l'autorizzazione ministeriale risulta adottata in virtù del regio decreto-legge del 16 luglio 1936, n. 1404, convertito nella legge il 14 gennaio 1937, n. 62, che ha esteso al comune di Venezia le disposizioni del regio decreto-legge del 22 dicembre 1927, n. 2448, convertito nella legge 27 dicembre 1928, n. 3125, già recante analoghe disposizioni in favore del comune di San Remo;
   il regime derogatorio si giustifica, secondo il regio decreto-legge, in virtù della sussistenza di numerose ragioni (incremento turistico e di valuta estera, disincentivazione del flusso dei cittadini verso case da gioco nei Paesi di confine, sostegno dell'economia locale e regionale);
   la normativa antiriciclaggio e sulla «tracciabilità» dei pagamenti (decreto legislativo 21 novembre 2007 n. 231 e successive modificazioni) prevede, tra le altre cose, il divieto di trasferire somme in contanti oltre i 2.500 euro (dal 1o gennaio 2012 l'importo è ridotto a 1.000 euro) con l'obbligo conseguente dell'utilizzo di soli strumenti di pagamento attraverso i quali sia certa l'identificazione dei soggetti coinvolti nella transazione (assegni, bonifici, vaglia, moneta elettronica);
   la normativa succitata si applica, naturalmente, anche ai trasferimenti di denaro effettuati all'interno delle quattro case da gioco italiane (soldi vs fiches e viceversa);
   nel giornale locale La Nuova di Venezia, del 29 luglio 2014, v'era un articolo dal titolo «Casinò, 20 milioni di crediti verso clienti Vip» nel quale si raccontava, in particolare, la denuncia, da parte del sindacato USB, di alcuni spiacevoli fatti riguardanti la casa da gioco lagunare. Essa sarebbe frequentata spesso, stando all'articolo, da alcuni politici nazionali che giocherebbero «...utilizzando non la propria ma la carta di credito di altri per cambiare le fiches che si fanno poi pagare in contanti in caso di vincita, dalla Casa da Gioco anche se, quando essa è di un importo elevato dovrebbe essere erogata con bonifico o assegno». L'articolo prosegue poi affermando che il direttore generale della società gestrice, Vittorio Ravà, avrebbe risposto con un «no comment» alle domande del giornalista;
   poco più di un mese fa, la Casa da gioco veneziana è salita agli onori della cronaca per un altro caso similare: la procura dell'Aquila ha arrestato, per estorsione, l'imprenditore edile Alfonso di Tella, vicino al clan dei Casalesi. Ebbene, nella documentazione raccolta dalle Fiamme Gialle, si evince che l'arrestato, insieme ad altri membri di spicco del clan, fosse un assiduo frequentatore del casinò veneziano e che lì riuscisse a «lavare» denaro sporco tramite operazioni di cambio in palese violazione della normativa sopra ricordata;
   l'informativa della Guardia di finanza (La Repubblica, 26 giugno 2014) mostra come il clan sia riuscito a spendere oltre 13 milioni di euro, con almeno trecento ingressi a persona. E poi ancora si legge: «Di Tella intascava un'ingente quantitativo di denaro liquido e, per far questo, non poteva non godere della compiacenza dei responsabili della casa da gioco...»;
   il comune di Venezia è dotato di uno specifico servizio ispettivo comunale per il controllo dell'attività di gioco, anche rispetto al verificarsi illeciti penali ed amministrativi di cui alle norme sopra accennate. Accanto a ciò, l'amministrazione ha previsto, nella nuova convenzione con la società gestrice in house, un nucleo operativo di supporto presso la prefettura;
   il recente verificarsi di più casi di riciclaggio di denaro, da provenienza illecita, non può che destare forte preoccupazione, in considerazione anche del rilasciato parere assentivo di Codesto Ministero circa la possibile concessione a terzi privati della gestione del Casinò e, forse, un minor livello ancora di controllo –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza dei fatti in premessa e se e quali misure, nel rispetto dell'autonomia degli enti locali di cui all'articolo 114 della Costituzione, intenda attuare per far rispettare pienamente la normativa antiriciclaggio e sulla «tracciabilità» dei pagamenti nella casa da gioco veneziana;
   se ritenga applicabile alla società C.d.V.G. spa gestrice in house del casinò, le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, al pari di qualsiasi altra società;
   se, alla luce delle premesse di cui sopra, non si ritenga poi opportuno riconsiderare il decreto, prot. n. 17634 del 17 dicembre 2013, di autorizzazione dell’ «Affidamento in concessione a terzi del servizio di gestione della casa da gioco». (4-06545)


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ad un anno dall'inizio dell'operazione Mare Nostrum in merito ai natanti fermati, sequestrati e confiscati, l'unico dato ufficiale, alla luce di quanto riferito in Parlamento in occasione dell'informativa dal Ministro dell'interno, è di sei navi madre;
   le navi madre sono imbarcazioni utilizzate dalle organizzazioni criminali dedite alla tratta di persone per affrontare la parte di viaggio centrale più rischiosa;
   le navi madre sono il simbolo di un'organizzazione sistemica da parte delle organizzazioni criminali dei «viaggi della speranza». I migranti, infatti, dopo essere partiti dalla costa del loro Paese con imbarcazioni piccole e prima di essere abbandonati su altre imbarcazioni più piccole, calate a mare in prossimità del limite delle acque territoriali e della zona contigua, sottoposta a vigilanza delle unità militari dei Paesi di destinazione, vengono trasportati da queste grandi navi;
   la normativa vigente prevede che le imbarcazioni utilizzate per il trasporto dei migranti vengano sottoposte a sequestro, consequenziale confisca ed infine distruzione del bene mobile;
   da lungo tempo è in corso un dibattito politico sulla opportunità di considerare la possibilità di assegnare questi beni alle comunità locali che ne facciano richiesta per fini sociali;
   se da un lato è vero che queste imbarcazioni, nella stragrande maggioranza dei casi non hanno i requisiti per poter essere riutilizzate, dall'altro lato è irragionevole non prevedere prima della distruzione un riciclo dei materiali quali ferro, legno e altro, e al contempo provvedere alla vendita al fine di ricavarne risorse da utilizzare proprio nelle attività di contrasto all'immigrazione clandestina;
   non è dato sapere inoltre quante siano ad oggi le imbarcazioni sequestrate e quelle confiscate e a quanto ammontino i costi per la detenzione di tali beni e il relativo smaltimento –:
   quante siano le imbarcazioni sequestrate e confiscate dall'inizio dell'operazione Mare Nostrum ad oggi e quanti di questi beni siano soggetti a sequestro e quanti a confisca;
   a quanto ammontino i costi relativi al deposito delle imbarcazioni sequestrate e confiscate e quelli relativi alla consequenziale distruzione del bene;
   se i Ministri interrogati intendano considerare l'ipotesi della vendita all'asta dei beni confiscati che risultano essere in buono stato di conservazione destinando le risorse ottenute ai programmi di contrasto all'immigrazione clandestina;
   se il Governo non intenda considerare l'opportunità di destinare i beni soggetti a confisca alle comunità locali anche per quanto concerne l'utilizzo parziale dei materiali al fine di evitare lo sperpero di risorse e/o prevedere la vendita dei materiali riutilizzabili e destinare tali risorse alle operazioni di contrasto alla immigrazione clandestina. (4-06549)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in numerosi Paesi europei, tra i quali la Francia e la Gran Bretagna, ed extraeuropei, come gli Stati Uniti, l'epidemia di Ebola che ha colpito l'Africa occidentale ha determinato l'adozione di misure preventive significative;
   tra le misure preventive, tese ad impedire la propagazione del contagio, spiccano i controlli sanitari alle frontiere aeroportuali, effettuati da team specializzati con l'ausilio di apposita strumentazione, come i termometri a distanza, già in uso al John Fitzgerald Kennedy di New York;
   tra i Paesi che stanno ricorrendo a questo genere di misure non figura al momento l'Italia;
   le compagnie aeree del Belgio, della Francia e del Marocco continuano ad effettuare voli negli Stati maggiormente colpiti dall'epidemia;
   tra gli aeroporti del nostro Paese maggiormente a rischio, oltre a quello di Fiumicino, dove le misure preventive consistono al momento solo nel pre-posizionamento di un'autoambulanza attrezzata, ed agli scali di Malpensa e Linate, vi è il Marco Polo di Venezia, destinatario di un volume di traffico passeggeri assolutamente rilevante;
   il polo aeroportuale di Venezia, che comprende anche lo scalo di Treviso, ha avuto oltre 10,5 milioni di passeggeri nel 2013;
   a dispetto dell'ingente flusso turistico diretto a Venezia, al Marco Polo sarebbe operativa soltanto una task-force, di cui sono ignote dimensioni, capacità ed attività, e comunque non risulta che sia attivo alcuno screening dei passeggeri in arrivo da aree a rischio Ebola –:
   quale siano le ragioni per le quali il Governo italiano non ha finora adottato misure di controllo e di profilassi agli aeroporti simili a quelle deliberate dai Paesi dimostratisi più prudenti nel fronteggiare l'emergenza e cosa si attenda ancora a proteggere almeno gli scali interessati dai più grandi volumi di traffico, come il Marco Polo di Venezia, con precauzioni più significative ed incisive.
(4-06553)


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183 («collegato lavoro») ha previsto la specificità del ruolo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, delle Forze armate e delle Forze di polizia. Allo stesso modo è stata prevista la specificità dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti;
   l'articolo 1 comma 403 della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 ha previsto, per il solo personale delle Forze di polizia, la sostituzione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze con modalità alternative di accertamento dell'effettivo svolgimento e della durata del servizio reso ai fini dell'erogazione dei compensi per lavoro straordinario, estendendole anche al personale civile che presta servizio negli uffici o nei reparti specificamente individuati –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare ai fini dell'equiparazione al Corpo nazionale vigili del fuoco rispetto alla possibilità riconosciuta agli altri Corpi dello Stato di dotarsi di strumenti alternativi alla rilevazione automatica delle presenze, secondo analoghi criteri di razionalizzazione e contenimento della spesa. (4-06555)


   GALLINELLA e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il primo intervento normativo volto a disciplinare l'esistenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (CNVVF) è la legge 27 dicembre 1941, n. 1570, che lo istituisce e ne definisce compiti e ruolo all'interno della società; in particolare all'articolo 8, comma 1, la legge afferma che «gli appartenenti ai corpi dei vigili del fuoco, sia permanenti che volontari, sono agenti di pubblica sicurezza»;
   la legge 1570 del 1941 è stata successivamente aggiornata con la legge 13 maggio 1961, n. 469, che ha confermato il riconoscimento al personale del CNVVF di funzioni di polizia giudiziaria e amministrativa senza tuttavia ribadire le funzioni di pubblica sicurezza;
   il Nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza, legge 1° aprile 1981, n. 121, all'articolo 1 elenca le forze responsabili della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, assimilate alla Polizia di Stato, lasciando fuori il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Contribuendo così ad alimentare l'idea che i VVF pure considerando la legge 1570 del 1941, non fossero più «de facto» forze di pubblica sicurezza;
   dall'entrata in vigore della legge 121 del 1998, il CNVVF ha più volte espresso la propria perplessità e le criticità della norma a fronte del ruolo effettivamente svolto dai Vigili del fuoco quali responsabili, in prima persona, della sicurezza sia dei cittadini che soccorrono che del patrimonio ad essi appartenente; inoltre, il mancato riconoscimento tra le forze di polizia ha comportato inevitabili differenze nel trattamento economico dei vigili del fuoco rispetto alle altre forze di pubblica sicurezza, pur svolgendo mansioni che spesso comportano rischi dello stesso livello;
   molti sono stati i ricorsi ai tribunali amministrativi, e diversi anche i pronunciamenti costituzionali (tra tutti la sentenza 342 del 2000) che però hanno ribadito la forza della legge 121 rispetto ai precedenti normativi e confermato che i vigili del fuoco non sono assimilabili alle altre forze di polizia;
   nel 2006, un nuovo decreto, il n. 139 interviene ancora una volta sulle funzioni e i compiti del CNVVF, ribadendo che il rapportato di impiego del personale è disciplinato in regime di diritto pubblico e che il CNVVF svolge funzioni di polizia giudiziaria ma facendo inoltre salve, all'articolo 35, le disposizioni previste dal già citato articolo 8 comma 1 della legge 1570 del 1941;
   a fronte di tale evidente incertezza della norma nell'attribuire le funzioni di pubblica sicurezza o polizia al CNVVF sono all'ordine del giorno le proteste e le rivendicazioni sindacali del personale dei VVF, che vive ogni giorno nell'incertezza di come il proprio ruolo nella società debba essere inquadrato e sentendosi spesso penalizzato di fronte al trattamento, anche economico, delle altre forze di polizia che con vitale importanza contribuiscono a garantire la sicurezza dei cittadini e del territorio italiano –:
   se, in base a quanto esposto in premessa e alle rivendicazioni che negli anni hanno interessato il Corpo nazionale dei vigili del fuoco relativamente alla loro funzione di sicurezza pubblica nella società, non intenda chiarire definitivamente la funzione del CNVVF definendo la sua inclusione o meno tra le forze di polizia, con il conseguente adeguamento del trattamento del personale in servizio.
(4-06556)


   NACCARATO, D'ARIENZO, ROTTA, ZARDINI e DAL MORO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 21 ottobre 2014 la Guardia di finanza di Reggio Calabria, nel corso dell'operazione «Porto Franco» ha eseguito l'arresto di tredici persone affiliate alla cosca di ’ndrangheta della famiglia Pesce di Gioia Tauro;
   l'ordinanza di custodia cautelare, disposta dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, è stata notificata a Salvatore Pesce (26 anni), Gaetano Rao (59 anni), Marco Mazzitelli (31 anni), Giuseppe Comandé (31 anni), Domenico Franco (57 anni), Giuseppe Franco (54 anni), Antonio Franco (52 anni), Francesco Rachele (73 anni); Salvatore Rachele (36 anni), Rocco Rachele (46 anni), Bruno Stilo (48 anni), Domenico Canerossi (47 anni) e Nicola Filardo (55 anni);
   i tredici imprenditori sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio di proventi di illecita provenienza, trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, frode fiscale e di omesso versamento delle ritenute previdenziali;
   contestualmente è stato disposto il sequestro di ventitré società tra Calabria, Verona e Lombardia per un valore di 56 milioni di euro;
   le società coinvolte sono Meridional Trasporti dei F.lli Franco e Luccisano Salvatore S.n.c., Mediterranea Trasporti di Macrì e D'Agostino S.n.c., Universal Transport & Shipping S.a.s. di Zungri G. & C.; Ditta individuale «La Rosarnese di Rachele Francesco», Ditta individuale Sibio Domenico; Ditta individuale Comandé Giuseppe; F.C. Immobiliare S.r.l., Federpetroli Service S.r.l., Ditta individuale «Autosud di Filardo Nicola», Ga.Ri. S.a.s. di Gianluca Gaetano e C., Punto Uno Ingross Unipersonale S.r.l., Ditta individuale Chindamo Giuseppe, Ditta individuale Di Bartolo Salvatore, Tranz Veicom S.r.l., Verotransport S.r.l., Italspeedy Logistic S.r.l. e Luccisano Trasporti S.r.l.;
   la brillante operazione degli uomini della Guardia di finanza ricostruisce come la cosca Pesce sia riuscita ad infiltrarsi nel tessuto economico relativo ai servizi di supporto delle attività principali del porto di Gioia Tauro, costruendo una rete di soggetti compiacenti in grado di ripulire i proventi illeciti;
   secondo gli inquirenti le società cooperative avrebbero creato uno schermo giuridico alle imprese, le quali, una volta esternalizzati i propri lavoratori ed i servizi, avrebbero continuato ad operare non preoccupandosi del pagamento degli oneri erariali;
   le cooperative, di fatto inesistenti, avrebbero quindi fatturato prestazioni di servizi simulando contratti inesistenti e consentendo una ingente evasione dell'iva;
   secondo la procura di Reggio Calabria nel Veneto la famiglia Pesce si sarebbe infiltrata a Verona utilizzando l'imprenditore Giuseppe Franco, amministratore delegato di diverse società;
   gli arresti e i sequestri confermano le preoccupazioni degli interroganti circa la crescente e consolidata presenza delle organizzazioni criminali nel territorio del Veneto –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per prevenire e contrastare il radicamento della criminalità organizzata nel territorio e nel tessuto economico del Veneto. (4-06563)


   COSTANTINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'11 ottobre 2014, per l'anniversario della morte di Priebke, Forza Nuova decide di inaugurare una nuova sede presso il comune di Albano Laziale;
   alcuni rappresentanti dell'assemblea permanente antifascista dei Castelli Romani si recano presso la questura locale per chiedere, per lo stesso sabato 11, una piazza piuttosto vicina alla sede in questione. L'incaricato dichiara di non poter prendere alcuna decisione e manda i rappresentanti alla questura centrale di via Genova a Roma;
   le due piazze richieste vengono negate e ne vengono proposte altre 3, fuori zona rispetto all'evento di Forza Nuova;
   l'assemblea antifascista decide dunque di fare un volantinaggio, ma viene a sapere che, con protocollo 37966, i forzisti avevano chiesto al comune 7 piazze contemporaneamente;
   risulta agli interroganti che il 9 ottobre 2014 il sindaco Nicola Marini, abbia scritto al questore e al prefetto per chiedere di negare ogni autorizzazione a tutti gli schieramenti politici; i commercianti di via Cavour, via dell'allora inaugurando sede forzista, raccolgono le firme per evitare che si inauguri un luogo di chiara ispirazione fascista nella loro strada e le consegnano al locale commissariato e al comune. I forzisti decidono di far slittare così l'inaugurazione alla domenica 12, giorno di chiusura dei negozi, volantinando e pubblicizzando l'iniziativa il sabato precedente all'inaugurazione;
   domenica alle 15, giorno dell'inaugurazione, i rappresentanti dell'assemblea antifascista fanno partire il volantinaggio alla presenza di 18 automezzi delle forze dell'ordine e numerosi agenti in tenuta antisommossa;
   di lì a poco fuori dalla sede forzista viene montato un palco e viene diffusa musica;
   i contromanifestanti all'iniziativa di Forza Nuova decidono di bloccare l'Appia. A questa decisione le forze dell'ordine rispondono con una piccola carica di alleggerimento;
   quando alle 18 il segretario nazionale di Forza Nuova e il responsabile provinciale di Forza Nuova lasciano la sede dell'inaugurazione, assieme a una cinquantina di militanti, vengono scortati dagli agenti in un piccolo corteo per le vie cittadine, con tanto di bandiere nere e braccia tese;
   a quanto consta agli interroganti la stessa possibilità di corteo non viene concessa ai contromanifestanti, bambini, giovani, anziani, i quali dopo un presidio durato fino alle 19, si disperdono pacificamente –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti avvenuti e quali iniziative intenda intraprendere per verificare le motivazioni per cui il prefetto e il questore abbiano ritenuto di non dare seguito alle richieste di un sindaco consapevole dei problemi di ordine pubblico che si sarebbero creati in tali circostanze, e che già in passato lo stesso territorio aveva vissuto.
(4-06567)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Società Cooperativa Sociale «Futura», con sede legale in via Vittorio Emanuele n. 33, Monteleone di Puglia (FG) gestisce nella Capitanata sette centri di assistenza sanitaria per pazienti affetti da disturbi psichiatrici e mentali;
   la ASL-FG pare abbia corrisposto, alla suddetta cooperativa, le necessarie risorse finanziarie per l'erogazione dei servizi oggetto dei contratti per l'affidamento dei servizi assistenziali per gli utenti disabili psichici;
   la suddetta cooperativa pare essere insolvente nell'erogazione di 23 mensilità dovute a circa 100 dipendenti della stessa dal 2010;
   in data 21 luglio 2014, in sede di conciliazione dinnanzi al prefetto della provincia di Foggia, alla presenza dei sindacati, del vicepresidente della Coop e del direttore generale dell'Asl Foggia, pare sia stato deciso che fosse la stessa ASL FG a corrispondere direttamente le spettanze ai lavoratori –:
   se trovino conferma le notizie circa gli esiti del tentativo di conciliazione avvenuto innanzi al prefetto e quali eventuali ulteriori iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere al riguardo a tutela dei lavoratori. (4-06568)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 24, 25 e 26 ottobre 2014 si terrà, presso la Leopolda, a Firenze, la manifestazione organizzata da Matteo Renzi;
   il quotidiano «La Stampa» ha pubblicato l'elenco dei finanziatori dell'evento che, come noto, è organizzato dalla «Open Big Bang», la fondazione che si occupa della relativa raccolta fondi;
   trattasi, peraltro, di elenco «in chiaro», relativo ai soli finanziatori che hanno dato l'assenso a vedere pubblicato il loro nome;
   a parere dell'interrogante, in alcuni casi, in relazione alla posizione ricoperta dai donatori, non può che configurarsi un conflitto di interesse, come, ad esempio in quello dei 10 mila euro devoluti da Fabrizio Landi, nominato dal Governo nel cda di Finmeccanica;
   nell'elenco figura, inoltre, la donazione di 20 mila euro da parte della Simon Fiduciaria amministrata da Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, che ha avuto il sostegno di Renzi;
   analogamente, figurano Jacopo Mazzei, cda Aeroporto di Firenze e Fondazione Palazzo Strozzi, che ha donato 10.000 euro, Alberto Bianchi, cda ENEL, che ha donato 30.400 euro, Erasmo D'Angelis, coordinatore Unità di Missione #italiasicura contro dissesto idro c/o Presidenza del Consiglio che ha donato 6.400 euro, Antonio Campo dall'Orto, cda Poste, che ha donato 250 euro;
   la fondazione ha precisato che i 2 milioni raggiunti sono il frutto della raccolta dal 2012 al luglio 2014 e che «in base a un primo calcolo preventivo» il costo della Leopolda di quest'anno sarà di «circa 300 mila euro»;
   appaiono all'interrogante particolarmente inopportune donazioni, in alcuni casi anche ingenti, da parte di chi è stato nominato dal Governo nel cda di importanti aziende pubbliche ad una fondazione, quali l'Open Big Bang, facente capo al Presidente del Consiglio dei ministri –:
   se non ritengano che le donazioni effettuate da tali soggetti alla Open Big Bang, possano integrare casi di sostanziale conflitto di interessi;
   se, per quanto di competenza, alla luce dei rilievi esposti in premessa, non intendano mettere in atto opportune iniziative normative volte ad introdurre un codice etico che vieti le erogazioni da parte dei membri degli organi di governo delle società partecipate dallo Stato, o comunque di persone che svolgono incarichi per conto del Governo, a fondazioni per iniziative politico-culturali. (4-06573)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE, VACCA, D'UVA, DI BENEDETTO e MARZANA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 settembre 2014 è stato presentato il progetto «Sport di classe» riguardante le scuole primarie presenti su tutto il territorio italiano; il piano, nato per effetto di una intesa tra il Coni, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la Presidenza del Consiglio dei ministri con l'obiettivo di migliorare l'integrazione tra scuola e sport, dispone per l'anno scolastico 2014-2015 di risorse finanziarie complessive pari a 13.5 milioni di euro, così rispettivamente ripartite:
   Coni: 7.5 milioni di euro;
   Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: 2.5 milioni di euro;
   Presidenza del Consiglio dei ministri: 3.5 milioni di euro;
   «Sport di classe» rappresenta la diretta prosecuzione del progetto di alfabetizzazione motoria avviato per la prima volta (in via sperimentale) nell'anno scolastico 2010. Il nuovo sistema, nato a sostegno dell'attività motoria e sportiva nella scuola, promuove il riconoscimento in ambito scolastico del valore della pratica sportiva. Esso prevede il passaggio da un'ottica di sperimentazione (riservata ad un numero ristretto di classi) al coinvolgimento di tutte le scuole primarie; sulla base di una gestione condivisa sono infatti previste nel piano di offerta formativa due ore di educazione fisica settimanali per le classi terza, quarta e quinta a partire da novembre. Si prevede che dal 2015 l'offerta sarà ulteriormente potenziata con la possibilità di estensione alle classi prima e seconda, anche attraverso l'eventuale utilizzo di fondi europei;
   le tre istituzioni che hanno dato vita al progetto si occupano essenzialmente di pianificare le strategie d'intervento e di promuovere l'educazione fisica e sportiva in ambito scolastico, indicando le linee programmatiche e progettuali agli organismi regionali;
   peculiarità del progetto è rappresentata dal tutor sportivo all'interno del centro scolastico che sarebbe presente su tutte le classi della scuola primaria e opererebbe come collegamento tra il mondo scolastico e gli organismi sportivi;
   la figura appare in alcuni passaggi nebulosa e controversa. Da quanto si rileva nelle linee guida del progetto, il suindicato professionista dovrebbe svolgere un ruolo formativo di supporto nella collaborazione, nella progettazione e nelle scelte relative all'educazione fisica nella scuola nonché nella programmazione ed organizzazione dei giochi insieme ai docenti;
   nello specifico, la sua funzione consisterebbe nell'istruire, con apposita attività di formazione sul campo, i docenti sulla base di una lezione al mese frontale; conseguentemente, appare evidente come il docente titolare della cattedra potrà gestire discrezionalmente le ore di educazione motoria col paventato timore di un utilizzo delle succitate ore per fini diversi (recupero o approfondimenti di altre discipline scolastiche);
   altrettanto non chiari appaiono i requisiti richiesti per la figura de quo nonché l'inquadramento contrattuale e la quantificazione dei compensi da attribuire;
   «Sport di classe» si basa, inoltre, sulla organizzazione di giochi invernali e di fine anno grazie anche alla fruizione di un kit di materiale sportivo ottenuto tramite forme di finanziamento ad opera dei privati e degli enti locali che con risorse aggiuntive proprie prenderanno parte all'iniziativa;
   sono previsti, altresì, organismi provinciali e regionali di coordinamento, in raccordo con le strutture Coni, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e centri sportivi scolastici, per l'organizzazione delle attività e iniziative in ciascun istituto;
   a livello periferico, l'organismo regionale per lo sport scolastico ha il compito di pianificare e realizzare le azioni regionali nel rispetto delle indicazioni dell'organismo nazionale tramite accordi e protocolli con enti locali ed organismi sportivi, selezionando su scala regionale i tutor sportivi individuati sulla base di una candidatura nazionale;
   a livello provinciale, esiste un altro organismo che coordina le attività nel territorio e nei centri sportivi scolastici istituiti presso le scuole del territorio;
   «Sport di classe», di immediata attuazione, si prefigge il buon proposito di colmare una consolidata lacuna consistente nell'assenza di pratiche sportive nella scuola primaria; si tralascia, però, un elemento altrettanto rilevante e che consiste nel livello qualitativo e di sicurezza negli ambienti all'interno dei quali gli alunni dovrebbero praticare attività sportiva; dal XII rapporto nazionale presentato da Cittadinanzattiva relativo all'anno 2014 sulla sicurezza, qualità, accessibilità a scuola si evince che il 46 per cento delle scuole (quasi 1 scuola su 2) non dispone di una palestra propria. In questi casi le attività sportive o di educazione motoria si svolgono nei cortili (35 scuole), nelle palestre esterne (15 scuole) o non vengono svolte affatto (9 casi);
   il programma «La buona scuola» illustrato dal Governo nel mese di settembre 2014 (prevede il potenziamento dell'offerta formativa anche attraverso un piano straordinario di assunzioni da settembre 2015 di circa 150 mila docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento (GAE); tra questi docenti si individuano pure quelli iscritti per la classe di concorso afferente all'insegnamento dell'educazione fisica, per un totale di circa 5.300 unità. L'esigenza di introdurre l'educazione motoria a scuola, in particolare nella primaria, nasce dall'idea di promuovere la crescita sana ed equilibrata dei bambini. Nel confronto con i 27 Paesi OCSE l'Italia è ultima per numero di bambini che praticano quotidianamente attività fisica moderata o intensa. Questo ha un impatto sulla salute e la forma fisica davvero notevole: un bambino su tre tra i 5 e i 17 anni è in sovrappeso o obeso, con picchi che raggiungono anche il 40 per cento in alcune regioni. Il programma «La buona scuola» nello specifico dispone che i 5.300 soggetti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento per le classi di concorso «educazione fisica» (nelle scuole medie e nelle scuole secondarie) dovrebbero garantire un'ora a settimana di educazione fisica nelle classi dalla II alla V della scuola primaria –:
   come intenda conciliare «Sport di classe» (prosecuzione del vecchio progetto di alfabetizzazione motoria) con le linee guida tracciate da «La buona scuola» che prevedono la stabilizzazione e quindi l'immissione in ruolo a partire dal 2015 dei succitati cinquemila docenti appartenenti alla classe di concorso di educazione fisica;
   quali saranno le modalità con le quali interverranno al progetto sia gli enti locali che i privati;
   se la spesa relativa al kit di materiale sportivo rientri nella spesa prevista ovvero si tratti di un onere aggiuntivo rispetto ai fondi stanziati per il progetto, a quanto ammontino le spese per tale kit e a quali ditte sia stata appaltata, ovvero affidata direttamente la sua fornitura;
   quale sarà più nel dettaglio il ruolo del tutor sportivo annunziato per sommi capi nelle linee guida ministeriali sopra menzionate, quali i requisiti al fine dell'espletamento della sua funzione nonché l'inquadramento contrattuale e l'ammontare del compenso retributivo;
   se la partecipazione alle precedenti edizioni del progetto di alfabetizzazione motoria costituisce titolo preferenziale ai fini della selezione per il neo progetto «Sport di classe» e, soprattutto, ai fini di uno stabile e definitivo inserimento del docente di attività motoria in seno alla scuola primaria. (5-03857)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VENITTELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 25 marzo 2013, n. 81, che ha modificato il decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, è stato istituito il percorso formativo abilitante speciale (Pas-Tfa speciale) per consentire l'accesso al corso, senza superamento di prove di selezione, a docenti precari con almeno tre anni di servizio ma sprovvisti della relativa abilitazione;
   successivamente, con decreto del dirigente generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 25 luglio 2013, n. 58, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale — concorsi ed esami — il 30 luglio 2013, vengono attivati i corsi speciali per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento e aperti i termini per la presentazione della domanda;
   in data 6 giugno 2014 il Ministero competente con decreto n. 375 autorizzava l'iscrizione con riserva – nella seconda fascia delle graduatorie di istituto – a coloro che si sarebbero abilitati all'insegnamento (scienze della formazione primaria ovvero percorsi abilitanti speciali) o specializzati sul sostegno entro il 31 luglio, data in cui era prevista la chiusura delle domande di accesso agli elenchi per le supplenze;
   il termine del 31 luglio 2014, utile per l'accesso alla seconda fascia delle graduatorie di istituto e quindi per le domande di supplenza, avrebbe penalizzato i corsisti iscritti presso le università dei Molise e della Basilicata per i quali i corsi abilitanti si sarebbero, invece, conclusi a fine ottobre –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e – in tal caso – come intenda intervenire a tutela degli abilitati presso le università del Molise e della Basilicata ai quali è stata negata la possibilità di inserimento con riserva nella seconda fascia delle graduatorie di istituto. (4-06557)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2012 l'Istituto tecnico-professionale «Ettore Majorana» di Bari pubblica le graduatorie per l'assunzione a tempo determinato relative al triennio 2011-2014 di insegnanti tecnico-pratici;
   gli insegnanti «esclusi» inoltrano una richiesta di accesso agli atti che gli viene negata;
   si apprende a mezzo stampa che:
    il 19 aprile 2013 il dirigente scolastico e un gruppo di insegnanti scrivono al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in una istanza congiunta, chiedendo la regolarizzazione dei titoli; ne consegue che i titoli dei suddetti insegnanti risultavano dunque non essere «regolari», deduzione confermata successivamente dal Ministero che «conferma che il posto da insegnante tecnico-pratico non doveva in effetti essere assegnato a quei candidati»;
   ad agosto 2013 l'Istituto annulla la precedente graduatoria ed in novembre viene pubblicato un nuovo bando di concorso che tuttavia viene nuovamente vinto dagli stessi candidati precedentemente definiti «non regolari»;
   sembrerebbe inoltre che alcuni di questi vincitori, abbiano addirittura conseguito il diploma tecnico diversi mesi dopo l'avvio dell'insegnamento: ne consegue che per mesi hanno insegnato senza averne alcun titolo, accumulando in questi anni un punteggio da insegnanti che quindi risulta del tutto irregolare;
   ad oggi i suddetti docenti continuano ad insegnare;
   se il Ministro fosse a conoscenza delle vicende sopra descritte e quali iniziative intenda assumere per individuare gli eventuali responsabili, nonché come intenda operare affinché simili situazioni non debbano più verificarsi. (4-06564)


   SANNICANDRO, GIANCARLO GIORDANO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la situazione relativa sia alla formazione delle classi che alla costituzione dell'organico del personale docente del 9o circolo didattico «Manzoni» di Foggia risulta oggetto di esposti nonché di una richiesta di visita ispettiva da parte sindacale all'ufficio scolastico regionale per la Puglia e all'ufficio IX ambito territoriale della provincia di Foggia, oltre ad una segnalazione di irregolarità alla procura regionale della Corte dei conti di Bari, alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia e al comando provinciale della guardia di finanza;
   l'oggetto della controversia si riferisce all'esistenza presso il suddetto circolo, di classi «a tempo normale» e di classi che sperimentano il metodo didattico «Montessori» che devono seguire le specifiche disposizioni ministeriali nonché l'apposita convenzione siglata tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Opera Montessori;
   come evidenziato dalle denunce la pratica seguita dalla direzione didattica, considerata illegittima sotto il profilo giuridico-amministrativo in quanto non conforme alla normativa citata, sia nella gestione e nell'orientamento delle iscrizioni degli alunni sia per la formazione delle classi, avrebbe comportato l'incremento delle classi prime a tempo pieno con metodo montessoriano e il contemporaneo decremento di quelle di tipo «comune», la nomina continua di docenti precari specifici e perdita del posto di docenti di ruolo che privi di cattedra rientrano nella DOP: per l'anno scolastico in corso sarebbero stati conferiti ben 13 incarichi annuali a fronte del soprannumero di 7 docenti di ruolo in totale dall'a.s. 2009-2010;
   ad oggi nessuno delle istituzioni e organismi ufficialmente interessati ha mai fornito risposte o riscontri alle istanze presentate –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di cui in premessa e se non ritenga opportuno un intervento ministeriale diretto e urgente al fine di fare chiarezza nella situazione descritta. (4-06571)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, FRANCO BORDO e DANIELE FARINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   E-Care spa è una società che opera nel settore del Business Process Outsourcing e si occupa principalmente di attività di customer care, quali assistenza 24/24», supporto commerciale, tecnico e amministrativo, help desk, telesales, gestione reclami, gestione CPU (centro unico di prenotazione), telemarketing, indagini di mercato, sondaggi, recupero crediti, gestione contratti ed ordini per importanti aziende dei settori telecomunicazioni, bancario ed editoria;
   la società, che ha sede a Roma, opera sul territorio italiano attraverso sei unità produttive autonome e conta una forza lavoro complessiva di 1.833 dipendenti;
   la società applica il CCNL delle telecomunicazioni;
   alla fine di settembre 2014, E-Care ha comunicato alle organizzazioni sindacali, ai sensi della legge n. 223 del 1991, e successive modifiche e integrazioni, l'avvio della procedura di licenziamento collettivo per cessazione delle attività operative dell'unità produttiva di Cesano Boscone (MI), con conseguente collocazione in mobilità di 489 lavoratori;
   tra le motivazioni addotte dalla società vi è l'andamento negativo dei conti economici aziendali;
   in particolare, E-Care sottolinea come parte dell'andamento negativo dei conti sia dovuto alla commessa ricevuta in appalto dalla società Fastweb Spa, che a partire dal 2013 sarebbe stata caratterizzata da un modello contrattuale «a filiera», nel quale non vengono retribuite adeguatamente le singole attività, nonché per un affidamento di volumi di traffico fortemente inferiori rispetto a quelli pianificati in un accordo del 2013 con la stessa committente Fastweb;
   in data 30 settembre 2014 scadeva il contratto di appalto di Fastweb che non veniva rinnovato;
   la stessa E-Care spa chiarisce, tuttavia – nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo per cessazione delle attività, inviata ai sindacati – che i ricavi provenienti dalla commessa Fastweb ammontavano a 6 milioni di euro su un totale di 17,9 di fatturato complessivo dell'unità produttiva;
   il licenziamento collettivo di 489 lavoratori su un totale di 509 dell'unità produttiva di Cesano Boscone sarebbe necessario – si legge nella comunicazione della azienda – al fine di «avviare un radicale processo di riorganizzazione del centro operativo di Cesano Boscone mediante la cessazione di tutte le attività operative della struttura e conseguente ridimensionamento del personale di staff ivi impiegato»;
   E-Care ha inoltre spiegato che «i volumi residui dei servizi oggi gestiti nel Centro di Cesano Boscone verranno, ove possibile, gestiti negli altri centri della Società con auspicabile saturazione del personale impiegato»;
   la società sostiene che tutti gli strumenti contrattuali adottati per limitare gli effetti del calo di attività, come contratti di solidarietà, scarico ferie ed altri, si sono rilevati insufficienti, in quanto l'esubero del personale sarebbe di carattere strutturale;
   in data 20 ottobre 2014, la testata La Repubblica riporta una nota della società Fastweb spa che precisa come E-Care, per la commessa Fastweb, avrebbe impiegato un massimo di 150 lavoratori nell'ultimo anno, quindi meno di un terzo dei dipendenti che si vorrebbero licenziare con la procedura attivata;
   l'articolo stampa citato riporta anche la circostanza che Fastweb «già nel 2012 aveva comunicato ai vertici di E-Care che il contratto di customer care inbound non sarebbe stato rinnovato alla scadenza di settembre 2013 a seguito della razionalizzazione delle commesse di customer care. Ma su richiesta della stessa E-Care, Fastweb aveva accettato di prolungare il contratto di un ulteriore anno, sino a settembre 2014, per favorire una adeguata programmazione delle attività in vista della cessazione dell'accordo. E sempre per le medesime ragioni era stata proposta un'ulteriore ed ultima proroga contrattuale al 31 marzo 2015. Offerta però, precisa Fastweb, non accettata dal fornitore di servizi»;
   E-Care sostiene che senza la commessa Fastweb i costi della sede di Cesano Boscone sarebbero insostenibili;
   tuttavia, dalla stessa comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo redatta da E-Care, emerge come nell'unità produttiva di Cesano Boscone restino attualmente ancora in atto altre commesse per importanti aziende;
   fonti sindacali sottolineano come i lavoratori dell'unità produttiva di Cesano Boscone avevano già subìto notevoli decurtazioni alle retribuzioni con gli ammortizzatori sociali e con il blocco degli istituti economici di secondo livello;
   la circolare L/01 del 28 maggio 2001 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali afferma radicalmente l'esclusione dei licenziamenti comunicati a causa della cessazione di un appalto, qualunque sia il loro numero, dall'area di applicazione della disciplina dei licenziamenti per riduzione del personale dettata dalla legge n. 223 del 1991 considerandoli, invece, come licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo da assoggettare, quindi, alla disciplina della legge n. 604 del 1966;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nella citata circolare, ribadisce che nel settore dei servizi «il continuo turn over negli appalti sia assolutamente fisiologico essendo di norma gli appalti di durata limitata, con la conseguenza che la perdita di un determinato appalto non significa affatto riduzione stabile di attività, essendo possibile, anzi normale, che altri appalti siano aggiudicati a breve distanza temporale» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di evitare il licenziamento dei 489 lavoratori dell'unità produttiva di Cesano Boscone;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover convocare con urgenza un tavolo tra azienda e organizzazioni sindacali al fine di verificare la situazione di crisi aziendale e di agevolare una soluzione. (5-03860)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel solo anno 2013 i dati forniti dall'INPS, in materia di giudizi emessi in primo grado dai tribunali italiani, per contenziosi relativi ad assegni di invalidità, pensioni di invalidità e pensioni di inabilità, sono i seguenti:
    1) assegni di invalidità – 3703 sentenze in favore dell'INPS – 2412 a favore del cittadino;
    2) pensioni di invalidità – 82 sentenze a favore dell'INPS – 70 a favore del cittadino;
    3) pensioni di inabilità – 1662 sentenze a favore del cittadino – 1020 a favore del cittadino;
   è di tutta evidenza che esiste un corposo contenzioso e che, del contenzioso esistente, una significativa percentuale si risolve a favore del cittadino;
   tale contenzioso causa intasamento dei tribunali, spese processuali e per consulenti, ritardi e danni per i cittadini;
   l'esistenza di significative percentuali di contenziosi risolti a favore dei cittadini dimostra che vi è qualche problema di funzionamento nel meccanismo di valutazione, che poi causa il predetto contenzioso, con ingenti costi che gravano sullo Stato e danno per quei cittadini che hanno diritto alla prestazione –:
   se e quali iniziative si intendano intraprendere per intervenire sul funzionamento del meccanismo di valutazione per il riconoscimento di assegni di invalidità, pensioni di invalidità e pensioni di inabilità, al fine di ridurre ad un livello «fisiologico» il costoso e significativo contenzioso oggi esistente. (4-06552)


   PIRAS e PINNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della protesta di una rappresentanza dei lavoratori nel settore della ICT, che fanno capo alla società Akhela Srl, si sono svolte diverse manifestazioni finalizzate ad evidenziare la preoccupazione sulla tenuta dell'azienda per il rapido deteriorarsi della situazione economica e finanziaria e per la dismissione di diverse aree di business, a partire dalla cessione del ramo finance della sede di Roma, annunciato 10 giugno e perfezionato il 1o luglio 2014;
   mancano garanzie concrete da parte della direzione sulla tenuta occupazionale e sulle prospettive di espansione della stessa e dell'annuncio del 10 luglio 2014 da parte della direzione che conferma la presenza di esuberi, fino a oggi negati, concentrati sulla sede di Cagliari, con l'apertura di una procedura di mobilità per 48 dipendenti a tempo indeterminato e l'annuncio del mancato rinnovo per altri 16 con contratti a termine;
   su 48 posti dichiarati in esubero, a testimonianza che le azioni intraprese finora non hanno sortito gli effetti sperati, sono arrivate le prime lettere di licenziamento, 224 in totale, le prime sabato 4 ottobre 2014 hanno colpito i destinatari proprio nelle giornate dedicate al riposo e agli affetti familiari, le altre sarebbero state consegnate al gabbiotto delle guardie giurate all'ingresso dell'azienda e in presenza di un legale; un atto a giudizio degli interroganti indegno che non solo umilia i lavoratori, ma viene meno al rispetto della dignità della persona umana, valore che anima sia la Costituzione che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; 
   la Akhela Srl nacque nel 2004 dall'accorpamento in un'unica impresa di 8 di start-up (gruppo Atlantis) create grazie ai contributi pubblici ricevuti con i contratti di programma (CdP) che consentirono a Saras, a fronte della realizzazione di obiettivi di diversificazione dell'occupazione sul territorio sardo, di ammodernare i propri impianti e di rimanere competitiva nel proprio core business; nello specifico, Akhela Srl è nata all'interno del secondo contratto di programma che, seguendo le linee della new economy, investì nel settore della ricerca e della innovazione, permettendo ad Akhela di diventare una realtà di eccellenza nel settore ICT regionale e nazionale;
   la Saras è stata, nel panorama italiano, l'unica realtà produttiva ad aver chiuso 3 centri di produzione, denominati Saras1, Saras2 e Saras3, dei quali solo primo è arrivato al completamento; tali centri di produzione erano finalizzati a stimolare e sostenere lo sviluppo economico nelle zone depresse del Paese; con l'allontanamento dei risultati degli investimenti pubblici, viene meno la ragione stessa dei finanziamenti statali;
   nel marzo 2012 la Akhela Srl fu ceduta al gruppo Solgenia, un gruppo che già in passato è stato al centro di riserve e critiche sul mercato italiano, le cui attività sono oggi focalizzate nella progettazione e sviluppo di soluzioni software per i cloud computing e nei servizi professionali IT di infrastruttura, gestione, integrazione e sicurezza, con sedi operative in Italia ed in nord America;
   la cessione della Akhela Srl da parte dei Moratti preoccupò i lavoratori di Akhela, a causa della situazione economico-finanziaria dei gruppo Solgenia che già all'epoca dell'acquisto includeva aziende in sofferenza, come OIS, per il timore di eventuali tagli al personale o spostamenti delle attività in altre zone operative, lontane dall'Isola, timore rinnovato oggi, a seguito dell'annuncio da parte della direzione della volontà di aprire la procedura di mobilità per una parte significativa dei dipendenti di Cagliari;
   Akhela Srl dispone di 5 sedi operative in Italia: Cagliari, Roma, Torino, Maranello e Milano; le principali infrastrutture tecnologiche sono ospitate nella zona industriale di Cagliari, a Macchiareddu;
   il 16 giugno 2014 una rappresentanza dei 180 lavoratori sardi di Akhela ha presidiato i cancelli della Saras per manifestare le proprie preoccupazioni sul futuro della società, sostenuti dalla FIOM; tale azione è stata ripetuta più volte durante la procedura di mobilità conclusasi con un mancato accordo il 25 settembre 2014;
   in diverse occasioni, durante la procedura di mobilità una delegazione di lavoratori, sostenuta dalla FIOM, è stata ricevuta dall'assessorato regionale dell'industria esprimendo tutte le proprie preoccupazioni sulla società e la tenuta occupazionale e chiedendo impegni concreti perché non venisse, disperso patrimonio di competenze del personale Akhela in un settore, come quello dell’ information e communication technology ritenuto strategico dall'attuale giunta regionale;
   il 15 ottobre una delegazione di dipendenti sardi ha raggiunto gli uffici della Saras di Milano ed organizzato un presidio alla Galleria de Critoforis, per sensibilizzare i vertici Saras a riprendere in mano la vertenza, viste le difficoltà in cui versa oggi lo stabilimento Akhela;
   a quanto consta agli interroganti la direzione Akhela ha di fatto sempre rifiutato di presentare alle parti sociali un piano industriale che definisse la strategia aziendale e giustificasse esuberi dichiarati e ha sempre rifiutato le proposte del personale Akhela per un contratto di solidarietà che garantisse la tenuta occupazionale e consentisse il rilancio dell'azienda –:
   se siano a conoscenza della situazione in atto in questo settore importante per lo sviluppo della Sardegna, che ancora oggi rappresenta un settore trainante dell'economia mondiale, come messo in luce dalla stessa Unione europea;
   cosa intendano fare per vigilare e di quali strumenti, anche normativi, dispongano per tenere sotto controllo le intenzioni future di Solgenia, Saras e delle sue partecipate;
   quali iniziative intendano intraprendere per salvaguardare la totalità dei posti di lavoro occupati nel settore;
   se e come intendano agevolare attività di scouting ed esercitare un ruolo attivo nella ricerca di partner e investitori alternativi;
   se siano a conoscenza del comportamento a giudizio degli interroganti di dubbia legittimità sul piano sindacale e irrispettoso della dignità dei lavoratori utilizzato nel licenziamento di 224 dipendenti dello stabilimento di Macchiareddu. (4-06566)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRANCO BORDO e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministero dello sviluppo economico starebbero per emanare un decreto interministeriale con l'obiettivo di regolare la produzione e la vendita di alcuni salumi, modificando taluni standard qualitativi delle eccellenze del made in Italy;
   specificatamente, si tratta del prosciutto cotto che potrà essere prodotto anche utilizzando carne di altre specie creando confusione nei consumatori sul reale contenuto del prodotto acquistato. Questa eventualità sarebbe nefasta per l'agroalimentare italiano, come ha dimostrato la recente inchiesta sulla carne di cavallo venduta come manzo, perché alimenterebbe il rischio di frodi in un settore, come quello delle carni, dove dall'inizio della crisi a oggi i casi di sequestro sono aumentati del 150 per cento (secondo una analisi di Coldiretti sulla base dell'attività del Nuclei antisofisticazioni e sanità svolta nei primi nove mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo del 2008);
   nel decreto interministeriale sarebbe stata prevista la possibilità di un incremento del tasso di umidità per le tre categorie di prosciutto: prosciutto cotto, prosciutto cotto scelto e prosciutto cotto di alta qualità. Questa eventualità, se perseguita, minerebbe la qualità del prodotto a discapito del maiale italiano, le cui caratteristiche qualitative sono superiori a quelle dei maiali importati dai Paesi del nord Europa, penalizzando così gli allevatori italiani. Il decreto cancellerebbe il divieto di utilizzo di aromi chimici, consentendo così la possibilità di «correggere» gusto e sapore dei salumi fatti con materia prima scadente e di dubbia origine;
   il paradosso di quanto descritto è che viene mantenuta, invece, la possibilità di utilizzare cosce di maiale congelate per produrre il prosciutto crudo stagionato. A causa di questa norma due prosciutti su tre venduti sul mercato italiano provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna, senza che ciò venga evidenziato in etichetta a causa della non obbligatorietà di richiamare in etichetta il luogo di origine e di provenienza della materia prima;
   nel 2013 in Italia sono stati allevati meno di 8,7 milioni di maiali (nel 2012 erano 9,3 milioni) destinati per il 70 per cento alla produzione dei 36 salumi che hanno ottenuto dall'Unione Europea il riconoscimento DOP/IGP. Il settore della produzione di salumi e carne di maiale dalla stalla alla produzione ha un valore di 20 miliardi di euro e secondo i dati ISTAT le famiglie italiane spendono all'anno circa 280 euro per l'acquisto dei salumi;
   altra novità che desta una fortissima preoccupazione agli operatori del settore è che nel decreto sarebbe stata inserita la regolamentazione del culatello che sarà un prodotto industrializzato e non artigianale per il quale, per esempio, si potrà utilizzare un involucro artificiale al posto del tradizionale budello naturale;
   sarebbe più utile per il settore, nonché per la nostra economia, adoperarsi per l'attuazione della legge sull'etichettatura con l'indicazione obbligatoria del luogo di origine o di provenienza delle materie prime utilizzate, nonché le tipologie di allevamento al fine di rendere consapevole il consumatore al momento dell'acquisto. Il Parlamento italiano si è già espresso in questa direzione votando all'unanimità la mozione n. 1-00311;
   l'impostazione giuridica che i due ministeri starebbero perseguendo minerebbe la credibilità del patrimonio enogastronomico e culturale che il made in Italy rappresenta nel mondo, dove è preferibile perseguire politiche commerciali con cui aumentare la platea dei consumatori e non le situazioni di ulteriori possibili frodi e contraffazioni;
   l'Unione Europea dal canto suo non aiuta di certo le produzioni di qualità del mercato italiano come è accaduto nel caso di concedere di incorporare la polvere di caseina e caseinati, al posto del latte, nei formaggi fusi; di aumentare la gradazione alcolica del vino attraverso l'aggiunta di zucchero nei Paesi del Nord Europa o di produrlo da «polveri miracolose» contenute in wine-kit che promettono di ottenere in pochi giorni, con la semplice aggiunta di acqua, vini «prestigiosi» –:
   se corrisponda al vero che il Ministro interrogato starebbe concertando col Ministero dello sviluppo economico il decreto interministeriale narrato in premessa, in caso affermativo se non sia più adeguato rivedere la normativa del settore in modo restrittivo, ossia con una politica di merito che tuteli la sicurezza alimentare e valorizzi le specialità e le produzioni di qualità italiane;
   se non si ritenga più utile e urgente per il settore assumere iniziative corrette e vietare l'utilizzo di cosce di maiale congelate per produrre il prosciutto crudo stagionato al fine di valorizzare le caratteristiche delle carni suine stimolando, conseguentemente, il comparto suinicolo italiano;
   se il Ministro non intenda concertare col Ministro della salute (viste le dichiarazioni pubbliche in tal senso) al fine di far rimuovere il segreto e rendere pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall'estero, con lo scopo di far conoscere ai consumatori italiani i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri che, in verità, dopo la trasformazione vengono venduti come prodotti made in Italy;
   se il Governo, anziché deregolamentare in modo indiscriminato il settore della trasformazione delle carni suine senza i dovuti e opportuni confronti con gli operatori del settore, non consideri più utile adoperarsi con urgenza nel dare attuazione alla legge sull'etichettatura con l'indicazione obbligatoria del luogo di origine o di provenienza delle materie prime utilizzate. (5-03859)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, CECCONI, DI VITA e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   troppo frequentemente vengono approvati leggi e decreti-legge poi dichiarati incostituzionali. In materia sanitaria esemplare è il decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria» convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, i cui articoli 17, commi 1, lettera d) e 6, sono stati impugnati davanti la Corte Costituzionale dalla regione Veneto e dalla regione autonoma del Friuli Venezia-Giulia;
   la Corte Costituzionale con la sentenza n. 187 del 2012 dichiarava nel dispositivo l'illegittimità costituzionale dell'articolo 17 sopra citato, nella parte in cui prevede che le misure di compartecipazione siano introdotte «con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n. 400, su proposta del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze»;
   anche l'articolo 11, commi 13 e 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, norma che negava la rivalutazione dell'indennità integrativa speciale degli indennizzi corrisposti ex lege n. 210 del 1992 agli emodanneggiati, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 293 del 2011;
   la decisione della Corte è stata successivamente ripresa dalla stessa Corte, europea dei diritti dell'uomo che, con sentenza del 3 settembre 2013, divenuta definita il 3 dicembre 2013 non avendo lo Stato italiano proposto impugnazione nei confronti della stessa, ha statuito la rivalutazione integrale dell'indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e ha condannato l'Italia per aver leso i princìpi della preminenza del diritto nonché il diritto ad un processo equo, e per aver creato disparità di trattamento tra danneggiati da sangue infetto e danneggiati da talidomide;
   in questo specifico caso le norme incostituzionali hanno generato anche conseguenze sul piano triennale economico del Ministero della salute;
   in un'ottica di analisi economica del diritto, ossia di valutazione delle norme mediante l'uso di strumenti economici, sia con finalità normative con la conseguente elaborazione di soluzioni giuridiche migliori, sia con finalità predittive, cioè di previsione economica delle regole giuridiche, le leggi incostituzionali hanno un forte impatto economico sulla collettività nascente dalla distorta formazione della legge stessa –:
   quanto abbiano influito sul capitolo economico finanziario e di spesa del Ministero della salute le norme dichiarate incostituzionali e quanto lo Stato avrebbe risparmiato se si fosse posta in essere una normazione conforme ai dettami e ai princìpi costituzionali. (4-06559)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità dei servizi» stabilisce che le prestazioni del servizio postale universale sono fornite permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane;
   l'articolo 12 del menzionato decreto legislativo dispone che l'autorità di regolamentazione del settore postale stabilisce gli standard qualitativi del servizio postale universale, adeguandoli a quelli realizzati a livello europeo;
   l'unico ufficio postale presente nel comune di Nuragus (CA) fornisce il servizio a circa mille residenti (il 28,2 per cento dei quali rappresentato da pensionati ultra sessantacinquenni) solo nei giorni dispari;
   il territorio comunale, comprensivo della frazione di Lixius, presenta forti criticità, tra le quali l'inefficiente sistema di trasporto pubblico locale, l'isolamento e l'insufficiente copertura della rete internet;
   l'operatività nei soli giorni dispari rischia di compromettere il regolare svolgimento del servizio postale universale che dovrebbe essere assicurato a tutti i cittadini, con particolare riguardo alle zone svantaggiate del Paese colpite ormai da anni da un irreversibile fenomeno di spopolamento e, proprio per questo, fortemente penalizzate;
   nel comune di Nuragus ed in altre località dell'entroterra sardo l'insufficienza dei servizi di pubblica utilità non si limita ai soli sportelli postali, ma riguarda anche quelli bancari, ai quali si aggiunge l'assenza di scuole secondarie di primo grado e di prospettive occupazionali per le giovani generazioni, tutto ciò costituendo una concreta prospettiva di fine certa per numerose piccole comunità e territori dell'isola –:
   se, nell'ambito delle competenze del Ministero dello sviluppo economico ferme restando che le funzioni di regolazione e vigilanza del servizio postale sono state trasferite all'Autorità garante per le comunicazioni con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, intenda avviare un'azione di sensibilizzazione nei confronti della concessionaria Poste italiane, relativamente alla rimodulazione dei giorni di apertura al pubblico degli sportelli postali nel comune di Nuragus, in quanto area disagiata. (4-06554)


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da organi di stampa, le indagini della procura di Milano su Expo 2015 hanno rivelato fenomeni di corruzione piuttosto rilevanti negli appalti relativi a Sogin. Sogin è la società statale che si occupa dello smantellamento degli impianti, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze che opera secondo gli indirizzi strategici formulati dal Ministero dello sviluppo economico, alla quale è stata affidato il compito di dismettere le centrali nucleari chiuse dopo il referendum del 1987;
   nonostante le confessioni di molti inquisiti, le indagini non hanno ancora potuto smascherare i destinatari finali dei fenomeni di corruzione, per un totale accertato di 300 mila euro. La procura della Repubblica continua a indagare, quindi, in un quadro che sta portando gli inquirenti a sospettare che nei giri di «denaro nero», siano coinvolti altri complici potenti, ma ancora sconosciuti;
   secondo da quanto si apprende, gli arrestati, nonostante numerose contraddizioni contestate dai pubblici ministeri, continuano infatti a sostenere di aver organizzato tre diversi sistemi di tangenti, del valore di più di tre milioni di euro, con lo scopo di truccare gare d'appalto per centinaia di milioni di euro. In particolare uno degli arrestati nello scorso maggio aveva rapporti riservati con i dirigenti della Sogin, dichiarando di aver incassato in contanti per la gara d'appalto della Sogin 490 mila euro, trattenendosi 300 mila euro e dividendo il resto tra lui ed altri soggetti;
   queste tangenti erano il prezzo incassato dai faccendieri per favorire una particolare impresa nell'appalto per la discarica nucleare di Saluggia (VC);
   nel sito di Saluggia, in provincia di Vercelli, sono ospitati oltre i quattro quinti di tutte le scorie nucleari ad elevata radioattività presenti in Italia;
   come è noto, non esiste in Italia un deposito centralizzato per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi di seconda categoria e per lo stoccaggio a lungo termine di quelli di terza. L'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha pubblicato, con notevole ritardo, la guida tecnica n. 29 relativa ai criteri per l'individuazione del sito per la realizzazione del deposito unico nazionale per le scorie nucleari –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intenda intraprendere per garantire la massima trasparenza rispetto alle metodologie e alle tempistiche del decommissioning del sito vercellese e rispetto all'individuazione del sito unico nazionale.
(4-06560)


   FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sta venendo alla luce in questi giorni una situazione finanziaria finora inimmaginabile nel sistema patrimoniale delle cooperative operaie di Trieste: una enorme bolla fatta di cessioni di immobili a società controllate dalle stesse cooperative operaie, che avrebbe determinato ad oggi un passivo di 37 milioni di euro, ponendo le cooperative in condizione di fallimento con la conseguenza non solo di mettere a rischio 600 posti di lavoro nel capoluogo giuliano ma anche di lasciare sul lastrico decine di migliaia di risparmiatori (sarebbero 17 mila) che hanno affidato al sistema delle cooperative i loro soldi;
   il trucco contabile – per il quale è indagato l'ex presidente Livio Marchetti – ha consentito, secondo le indagini dei pm di «gonfiare il patrimonio netto e di rientrare – solo fittiziamente – nei parametri per il prestito sociale, la cui entità non deve superare il quintuplo del patrimonio netto stesso». Sono quattro le operazioni accertate dal consulente della procura attraverso le quali le cooperative di Trieste avrebbero conferito ad altre cooperative dello stesso sistema immobili di proprietà, in cambio di mutui ipotecari; queste operazioni hanno consentito alle Coop di realizzare due importanti plusvalenze – meramente cartacee – pari a oltre 15 milioni di euro;
   le Coop si sono addossate anche l'onere di pagare (a se stesse) gli affitti degli immobili. Il dissesto dei conti è iniziato fin dal 2007. In quell'anno il buco è ammontato a 2,8 milioni. L'anno successivo ha raggiunto 5,5 milioni di euro. E poi nel 2010, 3 milioni dei euro; nel 2011, 4,5 milioni di euro, nel 2012 6,9 milioni di euro e nel 2013 è esploso a oltre 9 milioni di euro. Nei primi mesi del 2014 sono stati persi altri 6 milioni di euro;
   con questo sistema, secondo la procura, sono stati realizzati i bilanci falsi. Rendiconti corretti solo formalmente che in realtà erano appoggiati alla cassaforte del prestito sociale. La bolla immobiliare è stata scoperta nel novembre 2013 da un socio, che in un esposto alla procura aveva evidenziato alcune operazioni di compravendita non chiare;
   a questo buco, si legge nel provvedimento in cui la procura chiede al tribunale civile il fallimento delle cooperative operaie e l'immediata adozione di provvedimenti per tutelare il patrimonio con la nomina di un amministratore giudiziario, «si aggiunge l'emorragia del prestito sociale sceso da 122 a 103 milioni nei primi mesi del 2014». Ma, continua il provvedimento, «questi 103 milioni di euro le Coop non li hanno. Si reggevano sulla speranza che i prestatori se ne rimanessero buoni a casa e non venisse a quasi nessuno in mente di recarsi allo sportello di via Gallina a chiedere di ritirare il proprio denaro». Ieri lo sportello era chiuso per «guasto tecnico»;
   le Coop Nord Est hanno un'ipoteca pesantissima sull'immobile delle Torri d'Europa. Lo ha rivelato ai pm Federico Frezza e Matteo Tripani l'ex direttore generale Pier Paolo Della Valle. Nell'interrogatorio come persona informata sui fatti Della Valle ha spiegato quale è la posta in gioco dietro al prestito complessivo di 8 milioni di euro concesso con la garanzia delle Coop Nord Est dal Consorzio cooperativo finanziario per lo sviluppo, la holding di Reggio Emilia riconducibile alla LegaCoop di Bologna e all'universo delle cooperative «rosse», di cui interpreti primarie sono appunto le Coop Nordest;
   si tratta di un prestito che deve essere restituito entro la fine dell'anno. «Nel contratto – ha spiegato Della Valle c’è una clausola per cui in caso di mancata restituzione del denaro, il garante Coop Nord Est ha una prelazione sull'immobile delle Torri d'Europa». L'articolo 3 del contratto infatti prevede che il finanziamento iniziale di 5 milioni di euro debba essere restituito, maggiorato degli interessi, in un'unica soluzione decorsi 6 mesi dalla data della prima erogazione, il 27 giugno. Quindi entro il 26 dicembre le cooperative operaie dovrebbero reperire altri 5 milioni di euro da restituire con gli interessi. Un'ipotesi difficile dal momento che il 25 settembre 2014 le Coop Operaie hanno chiesto al medesimo consorzio altri 3 milioni di euro;
   il presidente delle cooperative Nord Est, Paolo Cattabiani nel suo interrogatorio non ha fatto mistero dei piani della holding, della LegaCoop. «Il nostro proposito – ha detto il manager durante l'interrogatorio in Procura – è di costituire una società immobiliare che acquisti dalle cooperative) operaie 25 negozi, poco più della metà degli esistenti. Con il denaro che le cooperative operaie percepirebbero (circa 60 milioni di euro) dovrebbero far fronte ai debiti con i fornitori e al prestito sociale. I negozi verrebbero affittati dalla società immobiliare alle cooperative operaie che quindi proseguirebbero con la gestione ordinaria. Gli altri negozi (in tutto sono 45) verrebbero venduti a terzi o chiusi» –:
   di quali elementi disponga in relazione alla vicenda esposta in premessa e se intenda promuovere un'iniziativa ispettiva in relazione alla situazione patrimoniale delle citate cooperative;
   se sia noto a cosa sia dovuta la riduzione da 122 a 103 milioni di euro, all'inizio del 2014, del capitale versato dai soci, e in particolare quali componenti siano venute a mancare. (4-06570)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Pes e altri n. 5-02128, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Blazina.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Prataviera n. 2-00726 del 21 ottobre 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Colletti n. 5-03044 del 19 giugno 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06548;
   interrogazione a risposta in Commissione Fantinati n. 5-03298 del 23 luglio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06547;
   interrogazione a risposta in Commissione Colletti n. 5-03331 del 24 luglio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06546;
   interrogazione a risposta in Commissione Da Villa n. 5-03411 del 1o agosto 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06545;
   interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti n. 5-03553 del 16 settembre 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06544.