Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 10 ottobre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    tra le varie forme di violenza e discriminazione vi sono sovente attacchi alla donna. Suscita allarme il fatto che gli episodi di abuso e violenza contro le donne siano in perdurante crescita, nonostante siano state introdotte fondamentali leggi, come quella per il contrasto della violenza di genere (decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119) o la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, meglio nota come Convenzione di Istanbul; in particolare, occorre rilevare che l'articolo 7 della suddetta Convenzione prevede che lo Stato ratificante adotti misure legislative, e di altro tipo, necessarie per predisporre e attuare politiche nazionali efficaci, globali e coordinate, comprendenti tutte le misure adeguate destinate a prevenire e combattere ogni forma di violenza che rientri nel campo di applicazione della predetta Convenzione ed a fornire una risposta globale al problema della violenza contro le donne. In buona sostanza, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul devono mettere in campo adeguate risorse finanziarie ed umane tali da realizzare i programmi e le politiche volte a combattere il fenomeno della violenza sulle donne, essendo altresì tenuti ad istituire un organismo che coordini e monitori tutte le misure destinate allo scopo in quanto previste della Convenzione medesima;
    fatta questa dovuta premessa appare chiaro che il terreno di coltura della violenza e del sopruso affondi le radici sul piano culturale e alla luce di ciò vada pertanto aggredito e sconfitto attraverso la definitiva emancipazione della donna in tutti gli ambiti del vivere comune e sociale, con specifico riferimento non solo alla famiglia, ma anche e sopratutto al lavoro. Le pari opportunità nel mondo del lavoro costituiscono, tra le altre cose, l’humus necessario a contrastare ogni forma di violenza a danno della donna, in quanto trattasi di violenza psicologica finalizzata alla subordinazione e alla prevaricazione, che nella maggior parte dei casi costituisce l'incubatore della violenza fisica vera e propria;
    si tenga conto che la violenza psicologica a danno della donna attecchisce in primis in ambito familiare con comportamenti del partner, solitamente l'uomo, caratterizzati da una sottile, ripetuta e perversa forma di violenza, appunto, psicologica, che, protratta nel tempo, tende ad annullare la personalità della vittima sino al suo annientamento; si tratta di una fattispecie poco esplorata sia dalla sociologia che dalla giurisprudenza, a cui non si è prestata sufficiente attenzione, ma che riveste, sotto il profilo della incidenza sociale, significativo rilievo e che deve essere urgentemente affrontata con tutti i mezzi a disposizione. Di più, tale tipologia di violenza si interseca con quella perpetrata sui luoghi di lavoro dove la figura della donna appare ancora in molti casi posta in una posizione di fragilità e/o subordinazione rispetto all'uomo. La normativa giuslavoristica non pare sia riuscita ad oggi a valicare i vari problemi legati alle ipotesi di mobbing, talora basate sul ricatto, che ruotano attorno alla figura femminile e sarebbe pertanto opportuno determinare delle fattispecie normative ad hoc, tanto in relazione alla violenza psicologica endofamiliare quanto rispetto a quella che si perpetra nei luoghi di lavoro;
    anche sulla base dei sopraddetti retaggi sociologici e culturali, proliferano le criticità legate alle opportunità occupazionali nell'universo femminile che risultano palesemente più limitate rispetto a quelle offerte alle figure maschili. Si consideri che in Italia sono donne soltanto il 6,5 per cento degli ambasciatori, il 31,3 per cento dei prefetti, il 14,6 per cento dei primari, il 20,3 per cento dei professori ordinari e – nei ministeri – il 33,8 per cento dei dirigenti di prima fascia. Sempre in Italia, più di 5 donne su 10 sono senza reddito da lavoro e, per quelle che il reddito lo hanno, la retribuzione media pro capite (calcolata tra impiegate e operaie) si ferma sotto i 25 mila euro annui, mentre quella di un uomo sfonda il tetto dei 31 mila euro. Peraltro, ostacoli e pregiudizi, talora inconsapevoli, condizionano le scelte formative delle ragazze e, di conseguenza, il loro inserimento nel mercato del lavoro. Pure la ricerca di un lavoro coerente con il proprio percorso di studi è molto più ardua per le donne: a fronte di un 18 per cento dei maschi che non ha trovato un impiego coerente con il proprio ambito di studi, la percentuale sale di oltre dieci punti percentuali nel caso delle donne. V’è da sottolineare che gli indirizzi scolastici universitari privilegiati dalle donne risultano essere spesso disallineati rispetto alle opportunità offerte dal mondo del lavoro. Un problema serio è anche quello relativo all'orientamento scolastico e universitario laddove gli indirizzi scolastici e universitari privilegiati dalle donne presentano tassi di occupazione ridotti e salari modesti (circa 1.200 euro netti al mese a 5 anni dalla laurea), mentre solo il 20-30 per cento opta per una formazione tecnico scientifica (1.500 euro netti mensili a 5 anni dalla laurea) che attualmente schiude in misura maggiore le opportunità occupazionali;
    in questo quadro, già di per sé tutt'altro che confortante, si inseriscono discriminazioni nelle discriminazioni che colpiscono le donne residenti nel Sud d'Italia: basti pensare che quasi la metà (il 48 per cento) dei residenti nel Mezzogiorno è a rischio di povertà. Nel Meridione e nelle Isole il 50 per cento delle famiglie percepisce meno di 20.129 euro (circa 1.677 euro mensili), il reddito medio delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno è pari al 73 per cento di quello delle famiglie residenti al Nord. Da varie indagini si evince che la situazione lavorativa del Sud Italia è molto più difficile rispetto a quella del Centro e del Nord Italia, sia dal punto di vista occupazionale sia da quello retributivo; in particolare, si registra un elevato differenziale tra la disoccupazione del Sud e del Nord, un aumento del flusso migratorio dalle regioni del Sud verso Nord ed una significativa disparità retributiva, atteso che, per chi lavorava al Nord, la retribuzione risulta superiore dell'8,2 per cento rispetto a chi lavorava nel Meridione;
    ancora con riferimento alla principio di parità di genere nel mondo del lavoro, si osserva che la perdurante carenza di effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro ha concorso all'aumento della disoccupazione femminile, con effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
    i dati illustrati nel rapporto Save the children del 2012 evidenziano che, già nel biennio 2008-2010, l'occupazione femminile è fortemente diminuita a fronte di un incremento dell'occupazione non qualificata rispetto a quella qualificata; in particolare:
     a) il dato dell'occupazione delle donne e mamme nel 2010 si attesta al 50,6 per cento per le donne senza figli – ben al di sotto della media europea pari al 62,1 per cento – ma scende al 45,5 per cento già al primo figlio (di età inferiore ai 15 anni), per perdere quasi 10 punti (35,9 per cento) se i figli sono 2 e toccare quota 31,3 per cento nel caso di 3 o più figli;
     b) se l'interruzione del rapporto di lavoro per nascita di un figlio è tra le ragioni principali della fuoriuscita dal mercato del lavoro delle donne, bisogna considerare che spesso non si tratta di una loro libera scelta: nel solo periodo tra il 2008 e il 2009 ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni in tal senso in occasione o a seguito di una gravidanza, anche grazie all'odioso strumento delle «dimissioni in bianco»;
     c) le interruzioni del lavoro poste in essere in concomitanza della nascita di un figlio, che erano il 2 per cento nel 2003, sono quadruplicate nel 2009, diventando l'8,7 per cento del totale delle interruzioni di lavoro;
    i predetti allarmanti dati trovano triste continuità nei recenti dati forniti da Istat e riferiti al primo trimestre del 2014, che confermano il progressivo aumento della disoccupazione delle donne: a fronte di un impercettibile rialzo dell'occupazione maschile si registra, difatti, una significativa diminuzione di quella femminile (rispettivamente più 0,6 e meno 0,3 su base congiunturale; più 0,3 e meno 1,0 su base annua). Ad aprile 2014 le donne occupate erano 9.311.000, a maggio 9.263.000. Mentre il tasso di occupazione maschile sale al 64,8 per cento, quello femminile scende al 46,3 per cento: il tasso di disoccupazione femminile dal 13,3 per cento sale al 13,8 per cento. Oltre al dato disoccupazionale deve considerarsi un'altra anomalia della partecipazione delle donne al mercato del lavoro ovvero la presenza di una forte segregazione orizzontale. Da un'indagine condotta dall'Isfol nel 2012, recante «Analisi di genere del mercato del lavoro», risulta che le donne sono presenti massicciamente in specifici settori di servizi ritenuti «naturalmente femminili», che le confinano nelle qualifiche contrattuali più basse oltretutto con tipologie contrattuali non standard, quali il contratto a termine, l'associazione in partecipazione e la collaborazione continuata e continuativa. Inoltre, l'elevata presenza femminile nei lavori non standard presenta effetti di medio periodo differenti tra lavoratore e lavoratrice, in termini di prospettive di «stabilizzazione». L'Isfol rileva, difatti, che, tra gli uomini che nel 2008 avevano un contratto di lavoro atipico, il 59,4 per cento dopo due anni ha visto una trasformazione in contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, mentre lo stesso fenomeno ha riguardato solo il 48,4 per cento delle donne. La cosiddetta trappola dell'atipicità risulta più gravosa per le donne che per gli uomini. Sempre l'Isfol sottolinea che le cause della disoccupazione femminile risiedono, oltre che in una diseguale divisione tra i partner dei carichi di lavoro familiari, nell'inadeguatezza dell'attuale modello di welfare, connotato dalla carenza di servizi pubblici per l'infanzia, oltreché di reti informali di supporto, e con un'organizzazione del lavoro poco conciliante e caratterizzata dalla rigidità dei tempi e degli orari, specie in relazione al periodo successivo al parto; in questo contesto di evidente criticità, le misure varate dal Governo non hanno dedicato spazio alcuno alle politiche finalizzate a rimuovere gli ostacoli strutturali alla realizzazione di pari opportunità e di effettiva conciliazione tra cura della famiglia e lavoro, ma, all'opposto, hanno finito per incrementare il trend involutivo sopra evidenziato;
    in ordine alle politiche di incentivo alle assunzioni – ivi comprese quelle delle donne – le misure introdotte dalla cosiddetta riforma Giovannini si sono rilevate fallimentari, a causa delle notevoli restrizioni agli sgravi fiscali previsti, che ne hanno, di fatto, reso impossibile l'utilizzo; anche il successivo intervento dell'attuale Governo, messo a punto con l'iniziativa «Garanzia giovani», non ha sortito alcun effetto positivo sull'occupazione delle donne: oltre ad una scarsa informazione sul contenuto dei piani attuativi regionali e sulla data di avvio del programma, va detto che l'offerta di posti di lavoro è disomogenea, frammentata e disorganica, in quanto ogni regione decide, in autonomia ed in base allo stanziamento di sua competenza, quali azioni finanziare tra quelle previste dal piano nazionale. Sul piano del diritto sostanziale, le modifiche introdotte dal Jobs act sulla disciplina del contratto a termine reso «acasuale» hanno solo incrementato il lavoro precario ed introdotto minori garanzie in caso di interruzione del rapporto per maternità: la flessibilità così concepita è unicamente finalizzata ad incrementare le performance aziendali e non tiene conto delle esigenze delle lavoratrici madri;
    le entrate dei comuni hanno subito una drastica diminuzione per effetto di tagli che hanno indotto molti comuni a ridurre drasticamente, se non addirittura ad eliminare l'offerta di servizi pubblici, quali asili nido, scuole a tempo pieno e centri di assistenza di supporto alle donne e alle mamme. Tale perdurante riduzione dei fondi da destinare alle spese nel settore dei servizi alla famiglia reca effetti negativi sull'occupazione femminile, a causa delle evidenti difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, nonché effetti diretti sul personale impiegato nel settore dell'assistenza educativa;
    a fronte del quadro descritto, non sembra che abbia fornito risposte risolutive la misura del voucher, prevista dalla cosiddetta riforma Fornero, ovvero la possibilità per le madri lavoratrici di utilizzare, in alternativa al congedo parentale, «buoni» per l'acquisto di servizi di baby sitting per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati; lo strumento del voucher non è risultato in grado di compensare la diminuzione di offerta di servizi pubblici oggi in atto in considerazione dell'esiguità delle risorse stanziate, pari a soli venti milioni di euro l'anno, della farraginosità della procedura di assegnazione del «buono» e della circostanza che si tratta di un intervento sperimentale, destinato a concludersi nel 2015, non promosso a sufficienza;
    questa assenza di serie e concrete politiche per la crescita, la disoccupazione dei giovani che sono costretti a vivere in famiglia imporranno ancora più carico di lavoro alle donne «anziane», che, con l'incremento dell'età pensionabile prevista dalla cosiddetta «legge Fornero», dovranno conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni: un vero e proprio cortocircuito che deve essere arrestato;
    le dimensioni e la gravità del fenomeno analizzato impongono l'adozione di interventi normativi strutturali ed idonei ad invertire rapidamente la tendenza in atto, in maniera tale da aumentare la presenza delle donne sul mercato del lavoro ed eliminare i descritti divari di genere;
    il Jobs act contiene cinque deleghe che spaziano dalla revisione degli ammortizzatori sociali, alle politiche attive, alla semplificazione nella gestione dei contratti, al riordino delle forme contrattuali, alle tutele per la maternità: è questa la sede per introdurre in via definitiva concrete misure di promozione dell'occupazione femminile, anche attraverso nuovi strumenti di conciliazione tra attività di cura e lavoro, tra le misure «flessibili», in funzione conciliativa delle esigenze delle lavoratrici, non potranno non considerarsi le opportunità che riserva il telelavoro, il quale, grazie all'uso della tecnologia, permette un elevato grado di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi e nei tempi. L'invocata flessibilità, finalizzata alla conciliazione dei bisogni familiari con i tempi di lavoro, deve riguardare anche l'attuale disciplina del congedo obbligatorio, introducendo la possibilità di utilizzare i congedi a tempo pieno per un certo numero di mesi e per la parte restante in modalità a tempo parziale, affinché si pervenga ad un bilanciamento tra l'esigenza della lavoratrice di conservare il proprio patrimonio professionale, evitando periodi troppo lunghi di assenza dal lavoro, e la volontà di dedicarsi ai figli per una certa parte della giornata o della settimana. Bisogna, altresì, provvedere ad una rivisitazione dell'istituto degli assegni per il nucleo familiare perché venga concesso anche alle lavoratrici autonome, così come risulta opportuno introdurre ogni misura utile ad incentivare il lavoro a tempo parziale ed il lavoro autonomo;
    a ciò deve affiancarsi il rafforzamento di adeguati incentivi fiscali e sgravi contributivi sia per i genitori che assumono direttamente personale specializzato per la cura dei bambini e delle persone adulte non autosufficienti, sia per i datori che assumono personale in sostituzione dei lavoratori in congedo; politiche ad hoc e risorse devono, inoltre, prevedersi per i datori di lavoro che investono nella realizzazione di asili o baby parking aziendali ovvero che stipulano convenzioni con ludoteche o asili privati;
    in questo quadro desolante, nonostante gli impegni sottoscritti dall'Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il perdurare di situazioni di discriminazione e disuguaglianza originate da un'ampia gamma di motivi, i descritti divari di genere che penalizzano le donne sul mercato del lavoro, il Governo non ha nominato un Ministro delle pari opportunità e le deleghe sono rimaste nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre invece «le funzioni di indirizzo politico-amministrativo concernenti le competenze istituzionali relative alle direzioni generali per le politiche dei servizi per il lavoro, ivi comprese le attività di promozione delle pari opportunità» necessitano di un impulso e di un'azione che non può che essere propria di un apposito Ministro. La complessità e l'attualità delle problematiche emarginate, oltreché il rilievo istituzionale e sociale che esse posseggono, devono essere urgentemente rimesse all'attenzione di un Ministro appositamente dedicato, ovvero ad una figura che ne abbia le deleghe: perché discriminazioni ed ostacoli di fatto alla parità di opportunità sono ancora ampiamente presenti; perché la partecipazione al processo di integrazione comunitaria impone all'Italia un vincolo a sviluppare le politiche antidiscriminatorie e di pari opportunità, particolarmente sentite dall'Unione europea. Inoltre, l'effettività della tutela contro le discriminazioni poggia sulla corretta intelaiatura istituzionale opportunamente individuata dal legislatore allo scopo di sostenere e realizzare le politiche di pari opportunità. Le istituzioni rilevanti in tale settore sono identificabili nel Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità (articoli 8-11 del decreto legislativo n. 198 del 2006) e nei consiglieri di parità, nazionale, regionali e provinciali, disciplinati dagli articoli 12-19 del decreto legislativo n. 198 del 2006; in particolare, con il decreto legislativo n. 196 del 2000 si è cercato di rafforzare il ruolo dei consiglieri di parità attraverso la delega di molteplici funzioni in tale materia, nonché grazie all'istituzione di un fondo nazionale destinato a finanziare anche le spese per il funzionamento e le attività della rete nazionale dei consiglieri di parità;
    tuttavia, l'aggravarsi della condizione della situazione occupazionale, specie con riferimento alla presenza delle donne nel mercato del lavoro, richiede un'ottimizzazione del lavoro e del contributo prodotto, in ambito nazionale, dalla Consigliera nazionale di parità e dalle consigliere presenti nei territori, anche attraverso un'attività di razionalizzazione, indirizzo e coordinamento degli organismi di pari opportunità e degli altri attori istituzionali, che, ciascuno per la competenza attribuita, sono chiamati ad intervenire nella materia in esame, nella specie: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Comitato per l'imprenditoria femminile, le commissioni per le pari opportunità regionali e provinciali, istituite presso i consigli regionali e provinciali, il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG) istituito nelle pubbliche amministrazioni, introdotto dall'articolo 21 della legge 4 novembre 2010, n. 183;
    si sottolinea, altresì, come nel giugno 2012 sia stato approvato il primo piano nazionale di politiche familiari, previsto dall'articolo 1, comma 1251, della legge finanziaria per il 2007. Per quanto riguarda le priorità, il suddetto piano individua tre aree di intervento urgente: le famiglie con minori, in particolare le famiglie numerose; le famiglie con disabili o anziani non autosufficienti; le famiglie con disagi conclamati sia nella coppia, sia nelle relazioni genitori-figli, e bisognose di sostegni urgenti. Le azioni previste, fra cui si ricordano la revisione dell'Isee, il potenziamento dei servizi per la prima infanzia, dei congedi e dei tempi di cura, nonché interventi sulla disabilità e non autosufficienza, devono essere adottate all'interno dei piani e programmi regionali e locali per la famiglia, secondo le risorse disponibili,

impegna il Governo:

   a prevedere un coordinamento operativo a livello centrale e nazionale, al fine di una razionalizzazione e valorizzazione degli organismi nazionali e territoriali preposti, a vario titolo, al monitoraggio delle politiche di pari opportunità e alla rimozione delle discriminazioni e degli ostacoli che minano l'effettiva realizzazione della parità di genere;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per introdurre misure volte a contrastare le molteplici forme di diseguaglianza, con particolare riguardo a quelle che si presentano tra cittadini del Nord e cittadini del Sud Italia, che risultano in sensibile aumento per effetto della crisi economica in atto e che si riverberano in misura amplificata sulle donne;
   ad assumere, in tempi rapidi, ogni iniziativa di competenza per introdurre misure volte a contrastare la violenza psicologica endofamiliare e quella sul posto di lavoro, anche attraverso l'individuazione di fattispecie di reato ad hoc;
   ad introdurre nuove e concrete politiche per la conciliazione tra la cura della famiglia e l'attività lavorativa, incentivando particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part-time, il telelavoro, il lavoro autonomo e imprenditoriale, introducendo la possibilità di un uso flessibile e personalizzato dei congedi obbligatori e facoltativi unitamente alla previsione di sgravi contributivi ed agevolazioni fiscali per il genitore lavoratore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza della persona;
   ad adottare iniziative volte a incoraggiare le donne a scegliere professioni «non tradizionali», per esempio in settori verdi e innovativi;
   ad adottare iniziative volte allo sviluppo dell'autoimprenditorialità femminile, con particolare riferimento all'agevolazione dell'accesso al credito.
(1-00611) «Mucci, Rostellato, Di Vita, Rizzetto, Bechis, Chimienti, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Prodani, Spadoni, Da Villa, Vallascas, Baldassarre».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la grande diversità italiana di agroecosistemi e di condizioni socio-economiche ha prodotto nel tempo una pluralità di forme economiche, strutture produttive e mercati agricoli. Nell'ambito di questa pluralità si possono individuare differenti orientamenti: imprese totalmente inserite nel mercato agroindustriale; aziende di ridotta dimensione economica e fisica che producono con alta intensità di lavoro e bassa capitalizzazione; piccole aziende di autoconsumo e con limitata vendita diretta;
    alle realtà descritte andrebbero aggiunte le auto-produzioni delle innumerevoli pratiche di agricoltura informale, che forniscono prodotti alimentari per l'autoconsumo e lo scambio non monetario a tutt'oggi non stimati;
    queste realtà vengono riprese in questo contesto in chiave contemporanea per individuare, all'interno delle innumerevoli esperienze, le pratiche agronomiche e strutture socio-economiche presenti ancora oggi e ritenute una preziosa risorsa per l'agricoltura del presente e del futuro come le diversificazioni colturali, le tecniche agronomiche conservative e di basso o nessun impatto ambientale, come la permacultura, la riproduzione delle sementi e delle razze autoctone, il controllo dei saperi, il radicamento locale e i mercati di prossimità, di dimensioni limitate e in contesti familiari o di comunità. Il tutto coerente con obiettivi di gestione autonoma delle risorse alimentari di ogni territorio e che oggi viene definito come il diritto alla sovranità alimentare di ogni popolo. Occorre oggi riconoscere anche l'esistenza della figura contadina contemporanea, la cui finalità quotidiana è di vivere nel suo luogo, di coltivare e allevare per la propria famiglia e/o comunità e di vendere in modo equo i propri prodotti,

impegna il Governo:

   a valorizzare e a tutelare le agricolture contadine, al fine di promuovere e sostenere modelli socio economici basati su strutture prevalentemente familiari e pratiche agronomiche conservative e a basso, o assente, impatto ambientale;
   a individuare requisiti e procedure semplificate, nel rispetto della normativa recata dai Reg. (CE) n. 852/2004 e n. 853/2004, per la lavorazione, il confezionamento e la vendita diretta di limitati quantitativi di prodotti agricoli di esclusiva produzione propria degli agricoltori contadini che si ritengono individuabili tramite queste caratteristiche:
    a) conducono direttamente, in forma singola, familiare o associata, i fondi, siano essi di proprietà o concessi in locazione, anche avvalendosi del lavoro di salariati temporanei o fissi in numero limitato definito con legge regionali;
    b) praticano diversificazioni e avvicendamenti colturali basati su modelli agro economici conservativi e sostenibili e promuovono la biodiversità animale e vegetale, spontanea e coltivata;
    c) producono prevalentemente beni destinati all'autoconsumo, ovvero rivolti alla vendita diretta presso i mercati locali in circuiti di filiera corta attraverso forme di economia solidale e partecipata;
    d) trasformano le materie prime di esclusiva produzione propria direttamente in azienda o presso la propria abitazione, o in adeguate strutture locali, con esclusione di processi di lavorazione industriale e senza l'utilizzo di personale esterno.
(7-00488) «Parentela, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gallinella, Lupo, L'Abbate, Gagnarli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della realizzazione dell'evento Expo2015, a Rho Pero è stata stabilita la realizzazione di un'area residenziale, composta da 160 edifici di quattro piani ciascuno, che sorgerà dalla riconversione degli spazi adibiti ad accogliere addetti e ospiti nel 2015;
   tale area, che il comune sembra voler classificare come «residenziale edificabile» è, in realtà, pesantemente compromessa dalla sua originaria vocazione industriale;
   l'area è infatti interessata dalla presenza di fabbriche chimiche «a rischio», tra cui: Ecoltecnica Italiana spa, una delle più importanti piattaforme lombarde per la preparazione di rifiuti speciali, pericolosi e non, con una capacità di smaltimento pari a centocinquantamila tonnellate;
   quando è stato firmato l'accordo di programma e il relativo masterplan (cioè il calco urbanistico-architettonico dell'Expo), quell'area era classificata «V.A», cioè «verde agricolo» sulla base di una «perimetrazione» delle aree sicuramente «non conformi alla realtà esistente»;
   la presenza della «Ecoltecnica» era infatti, già da allora, indubbiamente evidenziata, in un'area a raso d'erba, da due camini, per le emissioni in atmosfera, alti 12 e 18 metri;
   una delle gravi ricadute di tale omissione è la collocazione, proprio a ridosso della discarica speciale, dell'area tematica «Agrosistemi», con le sue serre e i suoi campi coltivati;
   quello di Ecoltecnica non è, purtroppo, l'unico caso di un'industria che tratta sostanze pericolose a due passi da Expo. La mappa realizzata da Arpa Lombardia mette in evidenza i siti sensibili, critici e forse incompatibili con l'evento e soprattutto con la sua eredità di zona residenziale;
   sempre a ridosso dell'area Expo c’è, ad esempio la Dipharma Francis, un'altra industria chimica classificata a «rischio di incidente rilevante». Al di là del piano rischi, l'archivio Arpa riporta alcuni esposti riguardanti odori molesti riconducibili al non corretto funzionamento – dell'impianto di depurazione delle acque;
   sono inoltre presenti, nel raggio di sei chilometri, industrie che non sono classificate a rischio rilevante ma che comportano criticità e che, nel numero e nella tipologia di attività, rivelano come si voglia trasformare un'area a vocazione irrevocabilmente industriale in area residenziale, trasferendo il rischio sui cittadini che acquisteranno quegli immobili;
   tali industrie sono: la Siochem di Bollate, che fa commercializzazione e logistica di varie sostanze chimiche (solventi, plastificanti, glicerine e altro) ma trovandosi a 1,2 chilometri dal limite dell'area Expo e raggiungendo un massimo calcolato di 51 metri di propagazione degli effetti da incidente non viene considerata un «pericolo rosso», la Rodhia Italia, a circa 1,3 chilometri dal limite dell'area Expo, che produce ausiliari chimici, tensioattivi, emulsionanti e disperdenti, la Arkema di Rho, che produce fertilizzanti chimici, la Bitolea, specializzata in solventi organici e diluenti, la Eihenmann&Veronelli e l'Enfi con il suo deposito di idrocarburi;
   una porzione importante dell'Expo Village sorgerà poi nelle fasce di pertinenza acustica dell'autostrada e alcune abitazioni saranno distanti solo 60 metri dal guardrail, in una strettoia di territorio che per soli 700 metri divide la A4 e la A8, mentre lì a due passi ci sono il carcere di Bollate e il centro meccanizzato di Poste italiane;
   il rumore rilevato da Arpa, risultato complessivo di industrie e viabilità, è tale che nel rapporto ambientale, redatto su indicazione di regione Lombardia, si auspicano rilevanti opere di mitigazione acustica;
   intenso, infine e con rischi non trascurabili, sarà il traffico dei relativi trasporti per e dalle citate aziende che vanno ad incrociarsi con il traffico relativo alla manifestazione –:
   se il Governo non ritenga opportuno valutare se sussistano i presupposti, tenuto conto dei rischi sopracitati e considerando anche quanto prescritto dalla direttiva 2012/18/UE sugli impianti a rischio di incidente rilevante per assumere iniziative volte a limitare al massimo, durante il periodo di Expo 2015, l'attività delle suddette strutture. (5-03773)


   GNECCHI, MAESTRI, INCERTI, GREGORI, BARUFFI, BOCCUZZI, GRIBAUDO, GIACOBBE, ALBANELLA e CASELLATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 214 del 2011, approvata nel dicembre 2011, è intervenuta sul sistema previdenziale penalizzando fortemente coloro che erano prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici previgenti, allungando oltremodo il periodo di attesa per il diritto a pensione;
   le deroghe previste, che consentono per alcune situazioni particolari di poter mantenere i previgenti requisiti di accesso alla pensione, sono state anche oggetto di successivi interventi legislativi, decreti e relative circolari/messaggi dell'INPS, che hanno reso particolarmente difficoltosa la gestione delle cosiddette salvaguardie, e fra le molte questioni non sufficientemente chiarite, ci sono l'applicazione dell'aspettativa di vita e l'aumento dell'età pensionabile, introdotta dall'articolo 1, comma 20 della legge n. 148 del 2011;
   con la circolare n. 20600 del 2012 l'Inps ha chiarito che per le donne «salvaguardate» per l'accesso alla pensione di vecchiaia, 60 anni, oltre all'aspettativa di vita, si dovevano anche considerare gli incrementi previsti dall'articolo 1, comma 20, della legge 148 del 2011 (un mese a decorrere dal 1o gennaio 2014, ulteriori due mesi dal 1o gennaio 2015, di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1o gennaio 2016, ulteriori quattro mesi a decorrere dal 1o gennaio 2017);
   con successivo intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, fu chiarito che l'aspettativa di vita non sarebbe stata applicata ai cosiddetti quarantisti, in quanto ciò avrebbe pregiudicato l'accesso alla salvaguardia che prevede il raggiungimento del requisito contributivo dei 40 anni entro la fine del periodo di mobilità e la stessa Inps aveva chiesto al Ministero (si veda circolare Inps 76/2013), con la medesima ratio, di escludere dall'applicazione dell'aspettativa di vita, i lavoratori e le lavoratrici in mobilità che avrebbero raggiunto i previgenti requisiti attraverso le quote o attraverso la pensione di vecchiaia, in quest'ultima fattispecie soprattutto le donne, ma la suddetta questione è tuttora rimasta irrisolta, pare in attesa di risposta da parte del Ministero;
   da sempre le donne accedono prevalentemente alla pensione di vecchiaia, raramente con le quote, ancora più raramente con i 40 di contribuzione ed è quindi evidente la disparità di trattamento, se non addirittura una palese discriminazione;
   giova, inoltre, ricordare che la maggioranza delle donne accede alle salvaguardie attraverso altre tipologie, quali ad esempio, contribuzione volontaria, accordi individuali di esodo, cessazioni per licenziamento unilaterale e altro che prevedono per l'accesso, non solo la maturazione dei requisiti, ma l'effettiva decorrenza del trattamento pensionistico entro una data prestabilita dai vari provvedimenti legislativi e ciò ha comportato una affannosa rincorsa per le donne, che oltre ai requisiti pensionistici, devono aggiungere i 12 mesi di finestra, i tre mesi per l'aspettativa di vita e l'incremento dell'età previsto dalla legge n. 148 del 2011 –:
   se il Governo non ritenga di intervenire sulla problematica segnalata, che a giudizio degli interroganti rappresenta una palese discriminazione e condiziona pesantemente l'accesso delle donne alle salvaguardie in relazione alla «manovra Fornero» (salva-Italia). (5-03774)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   KRONBICHLER, FRANCO BORDO e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 5 settembre 2014 i cittadini del comune di Malles (Val Venosta, Bolzano) hanno votato a larga maggioranza un referendum a favore del divieto di utilizzo di pesticidi e erbicidi sul proprio territorio comunale. Al referendum c’è stata un'affluenza record di oltre il 69 per cento e il pronunciamento a favore dello «stop» all'utilizzo dei prodotti fitosanitari è stato del 76 per cento;
   l'amministrazione comunale dovrà recepire la volontà popolare all'interno del proprio statuto municipale, a seguito del risultato referendario visto che la stragrande maggioranza dei cittadini di Malles ha scelto di essere un esempio unico in Europa nella messa al bando dei prodotti chimici agricoli molto tossici, tossici, dannosi per la salute umana e per l'ambiente;
   la mobilitazione sociale, che ha consentito di raggiungere una quasi totalità di consenso all'interno della comunità di Malles, rappresenta una maggiore consapevolezza degli attori sociali in tema di tutela della biodiversità agraria e agroalimentare e nello scegliere sempre di più percorsi di coltivazione colturale biologici. A tal riguardo, è opportuno ricordare che il settore biologico, nonostante la drammatica crisi economica, si sta rivelando meno inflattivo di altri e sta avendo performance economiche anticicliche notevoli. Si pensi che nei primi cinque mesi dell'anno i consumi sono cresciuti del 17,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente e i terreni a coltivazione bio sono aumentati in un anno del 6 per cento con quasi 200 mila ettari in più;
   nel 2004 l'amministrazione pro tempore pubblicò un volume in cui si descriveva una serie di regole e accorgimenti al fine di limitare l'impatto ambientale dei pesticidi. Purtroppo nessuno rispettò quanto stabilito nel volume tant’è che alcuni contadini che producevano secondo i disciplinari tecnici per le colture biologiche, vennero sanzionati dagli organi di controllo perché nel loro fieno e latte furono trovate tracce di sostanze vietate dai disciplinari tecnici, ma che in verità erano il risultato dell'utilizzo da parte di contadini delle tecniche agronomiche tipiche dell'agricoltura convenzionale i cui terreni confinavano, lo sono a tutt'oggi, con i campi a produzione biologica;
   il comune di Malosco (Val di Non, Trento) ha recentemente introdotto nel proprio regolamento comunale misure specifiche che incentivano l'agricoltura biologica, prevedono la messa al bando dei fitofarmaci molto tossici e pongono delle forti restrizioni sull'utilizzo degli altri prodotti chimici. Una delle misure specifiche riguarda che i prodotti chimici debbano essere a una distanza di 30 metri da case e strade, mentre il limite nel resto della Val di Non è di 10 metri;
   a marzo 2014 il comune di Vallarsa (Trento) ha approvato nel proprio regolamento comunale una serie di misure pro-bio tra cui una in particolare che prevede, per le aziende agricole e zootecniche che non adottano metodi biologici, l'obbligo di certificare – ad opera di organismi scientifici e/o tecnici di livello nazionale e internazionale – le sostanze che utilizzano, in quali quantità e con quali modalità, garantendone l'assenza di diffusione al di fuori dei propri terreni. La misura ha una portata storica perché inverte l'onere della prova: secondo la normativa europea e nazionale, le aziende biologiche, che attuano pratiche agricole più sostenibili, devono certificarsi – con conseguenti costi aggiuntivi – mentre le aziende convenzionali possono utilizzare qualunque tipo di pesticida, senza alcuna trasparenza nei confronti della collettività, che a sua volta subisce le esternalità negative che si concretizzano nell'aumento delle patologie tumorali, nella diminuzione della fertilità maschile, nell'abortività spontanea, nell'endometriosi, in gravidanze extrauterine, in parti pre-termine, in disturbi autoimmuni, nell'aumento del rischio di criptorchidismo e ipospadia, nel diabete, in alcune forme di obesità, in deficit cognitivi e disturbi comportamentali, in patologie neurodegenerative, in disfunzioni ormonali (specie alla tiroide), nello sviluppo puberale precoce, così come affermato in un recente articolo pubblicato sulle riviste scientifiche dall'ISDE (International Society of Doctors for the Environment, organizzazione no profit di medici per l'ambiente);
   la «ECBA Project», Environmental Cost-Benefit Analysis, è una società di consulenza specializzata nell'analisi costi-benefici di progetti e politiche di investimento, con una focalizzazione sulle componenti economiche, sociali ed ambientali che le consente di quantificare il valore economico per la collettività dei principali elementi di costo e di beneficio riconducibili ad una determinata opera/intervento. In un recente rapporto la società ha quantificato che le esternalità negative di agricoltura, silvicoltura e pesca valgono 10,9 miliardi di dollari;
   secondo un recente sondaggio fatto nella provincia di Bolzano dal settimanale «ff» è emerso che l'81 per cento della popolazione voterebbe a favore della messa al bando di pesticidi ed erbicidi;
   la richiesta referendaria della popolazione di Malles, le misure specifiche poste in essere sia dal comune di Malosco che di Vallarsa, sono il frutto di una consapevolezza sempre maggiore dei territori nell'implementare le pratiche agronomiche «nell'interesse biologico nel e per il sociale» in un quadro che non tenga conto soltanto dei disciplinari tecnici per le produzioni biologiche per le colture melicole, ma che agisca da contraltare alle produzioni intensive presenti in val Venosta e Val di Non e nei territori prossimi alle aree della rete europea «Natura 2000», zona in cui ricade il comune di Vallarsa;
   la «strategia europea per l'uso sostenibile dei pesticidi» (COM (2006) 372) è stata attuata con la direttiva comunitaria n. 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi;
   l'ordinamento italiano ha recepito la direttiva comunitaria con il decreto legislativo n. 150 del 2012;
   con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 22 gennaio 2014 è stato adottato il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012, che è entrato in vigore il 13 febbraio 2014 –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano porre in essere per consentire di dar seguito alla volontà popolare dei cittadini di Malles, che hanno scelto di essere un territorio libero da pesticidi, avendo quale risvolto positivo una maggiore tutela dell'ambiente e della biodiversità del territorio;
   se non intendano, nelle rispettive competenze, attivare iniziative che diano la possibilità alle comunità indicate in premessa, a fronte anche del fatto che una di esse ricade in prossimità delle aree della rete europea «Natura 2000», di poter essere un'area del Paese di particolare «interesse biologico sociale»;
   se il Governo intenda intraprendere iniziative volte a garantire una «tutela rafforzata» in alcune zone specifiche, in virtù delle loro particolari condizioni socio-ambientali e in conformità al legittimo «principio di precauzione». (3-01086)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, COSTANTINO, MELILLA, NICCHI, PANNARALE, PIRAS e PELLEGRINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la «Persefone», detta anche «Statua della Dea», è una opera di inestimabile valore storico ed artistico. Realizzata nel 460 a.C. in marmo di Paros e alta un metro e 51 centimetri, secondo le ipotesi più, accreditate fu rinvenuta a Taranto nel 1912 durante uno scavo eseguito fra via Mazzini e Via Duca degli Abruzzi;
   successivamente al ritrovamento, la statua fu portata ad Eboli (SA) e da lì fu trafugata in Francia. Alla vigilia della prima guerra mondiale venne posta in vendita sul mercato clandestino svizzero, per esser infine acquistata dall'allora imperatore di Prussia e Germania, Guglielmo II;
   ad oggi, la statua è conservata ed esposta presso l'Altes Museum di Berlino;
   il Museo nazionale archeologico di Taranto, Mar.Ta, istituito nel 1887, è considerato dagli storici dell'arte fra i più importanti d'Italia;
   il Mar.Ta, in vista del rinnovo del suo circuito espositivo, il cui allestimento sarà completato per i primi mesi del 2015, ospiterà una copia della statua della «Persefone». In base ad accordi fra le amministrazioni museali, si è concordato che il museo di Berlino curerà il rilievo al laser scanner della scultura, mentre la riproduzione verrà eseguita in Italia;
   l'Italia ha vissuto numerosi furti di opere d'arte, in particolar modo negli anni pre e post conflitti bellici mondiali, nonché durante l'età napoleonica (1796-1815), che hanno portato ad una costante e riprovevole depredazione dei beni artistici e archeologici quali dipinti, sculture, e altro. Pezzi cospicui del patrimonio archeologico italiano sono stati portati fuori dai confini nazionali e venduti sul «mercato nero della bellezza»;
   l'originale della statua di «Persefone», per la storia della città di Taranto, culla della cultura dorica e della Magna Grecia, troverebbe naturale collocamento nel sopracitato Museo Mar.Ta., con ciò valorizzando, ulteriormente, le esposizioni già presenti e generando un flusso turistico culturale di vitale importanza per il territorio jonico;
   il 16 aprile 2014, l'europarlamento ha dato il via libera ad un nuovo strumento giuridico per la restituzione delle opere d'arte trafugate, approvando una direttiva che mira ad aiutare i Paesi membri dell'Unione europea a organizzare la restituzione dei beni culturali asportati illegalmente dal loro Paese di origine a partire dal 1o gennaio 1993 e che si trovano in altro Stato membro;
   ad ora, è in corso di esame una nuova direttiva europea su un ulteriore meccanismo di restituzione, delle opere d'arte trafugate –:
   se non intenda farsi promotore, a fronte del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, di accordi fra Stati che permettano il rientro, con conseguente valorizzazione, delle opere nel loro naturale contesto storico a partire proprio dalla statua di «Persefone»;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per imprimere un'accelerazione dell'iter di approvazione della nuova proposta di direttiva;
   se il Ministro interrogato non intenda farsi promotore attivo nel portare a termine l'inventario delle opere artistico-culturali e archeologiche considerate di notevole interesse per il patrimonio storico italiano, con particolare riferimento a quelle trafugate. (5-03777)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, DALL'OSSO, CECCONI, NESCI, PARENTELA, DI BENEDETTO, BARBANTI, DIENI, BENEDETTI, D'UVA e BARONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria o Museo nazionale della Magna Grecia è uno storico ed importante ente di conservazione della cultura italiana, in possesso di una delle più ragguardevoli collezioni di reperti provenienti dalla Magna Grecia;
   il museo è diviso in sei sezioni, disposte in quattro piani e in ordine cronologico e topografico. Le collezioni archeologiche del museo comprendono materiali di scavo provenienti da siti della Calabria, della Basilicata, e della Sicilia. Illustrano l'arte e la storia della Magna Grecia dal VIII secolo a.C., e dei periodi precedenti (preistoria e protostoria) e successivi (periodi romano e bizantino);
   alla fine del 2009 sono iniziati i grandi lavori di restauro dell'intero edificio che lo ospita e sono stati aperti al pubblico solo il pianoterra con la sala dei bronzi di Riace e sale con esposizioni temporanee;
   a seguito di una visita informale da parte dell'interrogante è emerso che:
    a) le didascalie, cioè le brevi descrizioni essenziali che forniscono informazioni importantissime sulle opere e sugli artisti che le hanno realizzate, poste generalmente sotto o vicino alle opere d'arte, sono, in questo caso, collocate distanti. Ciò crea un disagio nel visitatore, che dovrebbe poter leggere la descrizione e apprezzare l'opera senza dover essere costretto a spostarsi;
    b) le didascalie relative ai bronzi di Riace riguardano le fasi e le tecniche usate per il restauro, ma non viene fornita una dettagliata descrizione delle due statue bronzee;
    c) nell'ampia stanza al pianoterra, sui davanzali delle finestre che ne occupano i muri sono collocati dei reperti archeologici e nessuna didascalia ad essi riferita è consultabile;

   già in data 15 maggio 2014 il deputato Simone Valente ha presentato interrogazione a risposta scritta n. 4-04823, chiedendo chiarimenti in merito al restauro della struttura museale e agli eventuali interventi ministeriali finalizzati alla conservazione e alla tutela dei reperti non ancora esposti, alla quale non ha ancora ricevuto risposta –:
   se il Ministro competente sia a conoscenza di tali criticità;
   se e come intende intervenire per rendere il museo interamente usufruibile ai suoi visitatori;
   se non ritenga opportuno verificare il reale funzionamento dei servizi elencati alla voce «Informazioni e guide» nel sito ufficiale del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, con particolare riferimento alle audioguide con contenuti audio multilingue, strumenti che, tramite la riproduzione e l'ascolto di un racconto audio registrato, offrono principalmente informazioni e approfondimenti sulle opere d'arte;
   se sia a conoscenza e reputi, altresì, ammissibile che reperti dall'immane valore storico, artistico e culturale vengano collocati sui davanzali delle finestre della grande stanza al pianoterra, senza aver provveduto ad un'adeguata forma di protezione, anzi mettendone, in tal modo, in pericolo la salvaguardia, e impedendo ai visitatori di poterne apprezzare valore e bellezza, e quali immediati provvedimenti intenda prendere per risolvere tale situazione;
   se sia in grado di riferire quando il restauro del museo verrà portato a termine;
   se non ritenga opportuno fare una visita  per accertarsi personalmente delle criticità rilevate. (4-06359)


   ROSATO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Tempietto longobardo di Cividale del Friuli (Udine) è la più importante e meglio conservata testimonianza architettonica dell'epoca longobarda e per questo fa parte del sito seriale «Longobardi in Italia: i luoghi del potere» iscritto alla lista dei patri rioni dell'umanità dell'UNESCO dal giugno 2011;
   il bene è stato interessato nel settembre 2013 da una forte precipitazione piovosa che ha causato alcuni ingenti danni e a tal fine il Ministero si è subito attivato per metterlo in sicurezza, attivando una procedura d'emergenza di stanziamento di fondi nazionali;
   il Ministero, nell'ambito dell'individuazione dei siti da sottoporre ad interventi di tutela del patrimonio culturale con risorse a valere sul fondo di cui all'articolo 5, comma 3-bis, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, ha indicato anche il Tempietto longobardo di Cividale del Friuli (Udine) al quale destinare 150.00 euro della spesa autorizzata per l'anno 2013;
   dalla stampa locale risulta che, però, tali risorse non siano arrivate all'amministrazione comunale per i lavori di recupero del bene –:
   se corrisponda al vero il ritardo nel trasferimento delle risorse individuate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il Tempietto longobardo di cui in premessa;
   quali siano, eventualmente, le ragioni di detto ritardo, quindi, quali siano i tempi che ragionevolmente si possono prevedere per ultimare il trasferimento delle risorse. (4-06361)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del comparto difesa-sicurezza, la tutela dei delegati è intimamente connessa all'interesse primario della compagine militare ed investe direttamente la responsabilità dei quadri presso ciascun livello rappresentativo;
   la vigente normativa di riferimento in tema di «Esercizio della rappresentanza militare» stabilisce che i membri dei consigli della rappresentanza devono essere messi in condizione di espletare le funzioni per le quali sono stati eletti ed avere a disposizione il tempo che si renda necessario;
   la medesima normativa vieta, inoltre, gli atti diretti a condizionare o limitare l'esercizio del mandato dei componenti degli organi della rappresentanza e, nelle procedure in vigore nell'ambito della difesa, con riferimento alle attività da svolgersi in forma collegiale, pone a capo del comandante affiancato la verifica della regolarità formale dei procedimenti deliberativi;
   a quanto consta all'interrogante a causa di presunte irregolarità nei predetti procedimenti deliberativi, talune indiscrezioni riferiscono della condizione di cinque delegati CoBaR Carabinieri Lombardia, a cui verrebbe impedito da oltre un anno di svolgere compiutamente il proprio mandato elettorale, a discapito dei tanti carabinieri elettori in Lombardia;
   i riscontri relativi ai comportamenti finalizzati ad impedire il regolare esercizio del mandato elettorale, sarebbero stati valutati dal CoCeR carabinieri ed anche da altri COIR e CoBaR che si sarebbero occupati della materia, deliberando di interessare i comandanti affiancati, con particolare riferimento a quanto accade in Lombardia;
   risulta all'interrogante che l'ordinamento militare vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa delle convinzioni personali ed, al contempo, non consente che si possa impedire ai delegati di svolgere il proprio mandato elettorale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
   se non ritenga opportuno intervenire al fine di ristabilire la trasparenza, la parità di trattamento ed il pieno diritto di elettorato passivo tra i delegati della rappresentanza militare in Lombardia.
(4-06368)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quanto consta all'interrogante, il Poligrafico dello Stato avrebbe rinnovato, lo scorso anno, per cinque anni, l'affitto dello stabile sito a Roma in via Salaria, n. 1027, alla cifra di un milione e mezzo di euro l'anno e nello stesso sarebbero impiegati solo un centinaio di lavoratori;
   il Poligrafico dello Stato avrebbe deciso di procedere a questo rinnovo pur in presenza, nella stessa città di Roma, di numerosi stabili sfitti, di proprietà dello stesso, che avrebbero potuto essere utilizzati consentendo così un notevole risparmio –:
   se trovi conferma quanto sopra riportato e, nel caso corrispondesse al vero, come si intenda intervenire, in una situazione in cui tutti sono richiamati ad effettuare il massimo controllo sulle spese stante la gravità della situazione economica, affinché sia ripristinata una situazione di trasparenza e siano utilizzati gli spazi a disposizione del Poligrafico dello Stato per le attività dello stesso. (4-06369)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   presso il Tribunale di Vibo Valentia è in corso il procedimento penale denominato Poison, che vede imputate 12 persone accusate d'aver concorso, sia fra loro che singolarmente, a provocare un gravissimo disastro ambientale;
   il predetto disastro è avvenuto per causa dell'illecita gestione di circa 127 mila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi, provenienti quasi per intero dalla centrale termoelettrica di Brindisi e poi finiti illegalmente, dal maggio del 2000 a settembre 2007, nella discarica degli impianti della «Fornace tranquilla srl» a San Calogero (Vibo Valentia);
   la delicatezza del procedimento in parola è rafforzata dal fatto che, per quanto riportato dai mezzi di informazione, il giro d'affari al centro del processo si aggirerebbe attorno 18 milioni di euro, importo corrispondente a un regolare smaltimento dei rifiuti delle centrali Enel di Brindisi, Priolo Gargallo (Siracusa) e Termini Imerese (Palermo), da cui provenivano quelli abusivamente riversati nel territorio vibonese;
   come riportato dalla stampa (non soltanto calabrese), nei giorni scorsi il tribunale monocratico vibonese, presieduto da giudice non togato, ha rinviato al 13 ottobre del 2014 il suddetto processo, per il quale deve esserci necessariamente un giudice togato come presidente;
   nel mese di maggio 2013, con propria lettera, l'interrogante segnalava al Capo dello Stato, in quanto Presidente del Consiglio superiore della magistratura, gravi carenze di organico presso il tribunale di Vibo Valentia, sul punto evidenziando, quale preoccupazione, un «grave nocumento per quanti attendono il riconoscimento dei propri diritti»;
   il suindicato rinvio processuale comporta il rischio che intervenga la prescrizione per gli imputati, con l'effetto che per il succitato grave disastro ambientale non si possano stabilire eventuali responsabilità penali –:
   se siano a conoscenza dei fatti qui riassunti;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per garantire il corretto funzionamento del tribunale di Vibo Valentia, anche con la copertura di tutti i posti, contemplati dalla pianta organica, che dovessero risultare vacanti;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano adottare, anche promuovendo un'indagine epidemiologica da parte dell'istituto superiore di sanità, al fine di controllare gli effetti sulla popolazione del territorio dello smaltimento illecito di cui in premessa. (5-03778)

Interrogazione a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di cassazione ha mandato in pubblicazione sul proprio sito internet tutte le sentenze civili degli ultimi cinque anni, con una possibilità di accesso libero e gratuito da parte di coloro che desiderino conoscere le decisioni dell'alta magistratura;
   la scelta compiuta dalla Cassazione è sicuramente motivata da intenti condivisibili volti a «rafforzare i valori della stabilità e della certezza del diritto non solo tra gli operatori del settore ma fra tutti i cittadini», così come il primo presidente della Corte dichiarava annunciando l'importante decisione;
   del resto il carattere pubblico delle sentenze è previsto dalla legge e, dunque, l'utilizzo delle tecnologie di comunicazione più avanzate per dare corpo ad una previsione normativa che contempla tale pubblicità, non può che essere salutato positivamente;
   ciò che, invece, desta giustificate preoccupazioni in ordine ad una inaccettabile violazione del diritto alla privacy, è la decisione di pubblicare anche i dati identificativi delle persone coinvolte nella sentenza. Come è stato anche rilevato dall'Autorità garante della privacy infatti, l'immissione in rete dei nomi e dei cognomi dei protagonisti del processo, peraltro inessenziali ai fini della comprensione del contenuto giuridico della sentenza, appare come una ingiustificata intromissione nella sfera privata dei cittadini, ai limiti della lesione di diritti costituzionalmente garantiti –:
   quali urgenti iniziative di carattere normativo il Ministro interrogato intenda assumere per far sì che il diritto alla riservatezza e all'oblio, che viene riconosciuto ad ogni cittadino non trovi vulnerazioni con la pubblicazione online delle sentenze della Corte di cassazione. (4-06366)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IACONO, ROBERTA AGOSTINI, LENZI, POLLASTRINI e ALBANELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa e in particolare da un'inchiesta a firma di Antonello Mangano pubblicata dal settimanale l'Espresso si apprende la gravissima e inquietante situazione che riguarda delle donne, in questo caso prevalentemente rumene, che lavorano nelle campagne della zona di Ragusa, vittime di spaventose violenze e sfruttamento sessuale e lavorativo;
   le campagne iblee rappresentano uno dei distretti ortofrutticoli più importanti d'Italia, il centro di un sistema produttivo che esporta in tutta Europa grazie al clima e alla composizione del terreno durante tutto l'anno;
   un tipo di coltivazione così «intensa» richiede moltissima manodopera;
   sono migliaia dunque le donne dell'est che lavorano nelle campagne, vivono segregate in casali isolati, spesso con i figli piccoli;
   dall'inchiesta dell’Espresso risulta che, in questo totale isolamento, esse si trovino costrette a subire ogni genere di violenza sessuale: si racconta, nell'omertà e nell'acquiescenza di tutti, di una realtà fatta di «festini» forzati nei casali sperduti nella campagna, di segregazione, di sfruttamento e di aborti;
   viene rimandata un'immagine delle campagne del nostro Paese come luogo sempre più «borderline», dove la ricerca del lavoro rischia di unirsi sempre più a fenomeni criminali e di sfruttamento;
   le donne rumene che lavorano delle campagne del ragusano sono come molte altre donne con la medesima storia: arrivano in Italia con la speranza di un futuro migliore, non solo dal punto di vista economico, poiché spesso fuggono da contesti familiari difficili e matrimoni deludenti, convinte che qui le prospettive siano più allettanti e gli uomini meno maschilisti;
   l'emigrazione rumena, come quella che segna molti altri paesi dell'Est Europa, ha subito negli ultimi anni una fortissima femminilizzazione, dovuta in gran parte all'offerta di lavoro domestico e di cura nelle società di arrivo, che richiedono per questo tipo di occupazione soprattutto donne ma anche al fatto che le madri, le figlie, le mogli rumene, sembrano essere quelle cui sono maggiormente delegate, più in generale, la fatica del lavoro e la responsabilità di sostenere la famiglia in tutte le sue dimensioni;
   come un rapporto elaborato dall'Associazione per i diritti umani di Vittoria sull'immigrazione femminile nella fascia trasformata del ragusano illustra nel dettaglio, le donne rumene trovano nel lavoro e nell'indipendenza la fondamentale ragione della loro migrazione: la loro principale occupazione è proprio quella di operaie agricole e quasi tutte sono occupate per 10, 11 mesi l'anno;
   in Romania, del resto, moltissime sono le donne ancora impiegate nel settore agricolo e per alcune di loro, quindi, partire dal loro Paese per lavorare altrove, ancora una volta da contadine, sembra una scelta assolutamente percorribile;
   a denunciare per primo questo vergognoso fenomeno, particolarmente diffuso nelle piccole aziende di Vittoria a conduzione familiare, ma non solo, Don Beniamino Sacco, della parrocchia di Santo Spirito, a Vittoria grazie al quale anni fa è stato incarcerato uno degli sfruttatori, secondo il quale «l'arrivo di donne dell'Est ha scombussolato il panorama agricolo siciliano, in cui la moglie del proprietario sta a casa e difficilmente lavora nelle campagne. Questa presenza femminile ha destato inizialmente curiosità e in seguito un vero e proprio scompenso sociale. Si cominciava a dire che i proprietari avessero “riscoperto il piacere della campagna” poiché alla sera tornavano a casa sempre più tardi. Molte famiglie sono entrate in crisi»; in realtà, si faceva strada la tentazione della violenza legata allo sfruttamento e al degrado: una ricerca condotta dall’«Associazione per i diritti umani» di Vittoria rivela di abitazioni nelle quali «I buchi nel soffitto fanno passare l'acqua piovana. Le mura sono erose dall'umidità. Proliferano i miceti, con conseguenti patologie come l'asma in soggetti, soprattutto in tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto nel totale disinteresse del locatario»;
   di fronte a certi orrori lo sfruttamento sul lavoro passa quasi in secondo piano, anche se significa salari da dieci euro al giorno, temperature di fuoco sotto i teloni, veleno che può rovinare i polmoni, la pelle, gli occhi, per tacere delle «fumarole»: quando di notte bruciano piante secche e fili di nylon, di mattina si soffoca;
   nella zona in passato sono intervenuti sia Emergency che Medici Senza Frontiere;
   Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti: spesso le rumene che abortiscono sono giovanissime, e arrivano in ambulatorio accompagnate da uomini, che spesso sono i proprietari delle serre in cui lavorano;
   nelle campagne isolate della provincia ragusana sembra essere tutto lecito, come testimoniato da molte delle vittime: ad approfittare di loro pare siano un po’ tutti, senza distinzione, dai capi ai loro familiari fino ad arrivare ad amici e conoscenti, nella più totale omertà, anche della comunità d'origine: i mariti delle vittime, quando ci sono, spesso nascondono la testa sotto la sabbia, per paura, per necessità;
   «Se non ci fossero i migranti, la nostra agricoltura si bloccherebbe», dice all’Espresso Giuseppe Nicosia, sindaco di Vittoria «C’è una buona integrazione, ma la violenza sulle donne è un peso sulla coscienza di tutti. Un fenomeno disgustoso, anche se in regressione. Così si produce l'ortofrutta che troviamo in tutti i supermercati. Abbiamo circa 3000 aziende agricole di piccola e media dimensione, è la più grossa espressione dell'ortofrutta meridionale, oltre che il mercato è il più importante d'Italia di prodotto con confezionati»;
   nel 2011 risultavano regolarmente registrati 11.845 migranti, una stima di quelli che lavorano nelle serre oscilla tra 15 mila e 20 mila: Giuseppe Scifo della Flai Cgil spiega che allo sfruttamento lavorativo si aggiunge la segregazione. Per questo è stato avviato il progetto «Solidal Transfert», un pulmino che permette di spostarsi senza dipendere dai padroni;
   quello che emerge dall'articolo di Antonello Mangano è un quadro desolante: si scopre di rumene costrette a prostituirsi (a volte con la consapevolezza dei mariti, spaventati dalla possibilità di perdere il lavoro) per dell'acqua o per non perdere la possibilità di recarsi in paese con i figli; si scopre di donne minacciate con le pistole per prestazioni sessuali da «padroni» con la compiacenza delle mogli –:
   quali iniziative urgenti i Ministri competenti intendano adottare al fine di fare luce su tale inquietante situazione e quali misure, immediate e di lungo periodo, ritengano di dover predisporre al fine di proteggere queste donne e i loro figli da tali indicibili violenze e dallo sfruttamento nonché al fine di ripristinare la legalità. (5-03776)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la segreteria nazionale e quella regionale siciliana della Consap hanno segnalato all'interrogante un fatto grave avvenuto nella giornata del 9 ottobre 2014 all'aeroporto di Comiso, dal quale nel primo pomeriggio sarebbe partito un aereo alla volta di Fiumicino con 158 migranti a bordo provenienti da Siria, Libia e Bangladesh, tra cui circa venti donne e bambini. Secondo tale segnalazione, la situazione che si è creata all'interno di questo aereo è stata inverosimile: in un aereo della Blue-air, con una capienza totale di circa 170 posti, sono stati sistemati 158 migranti accompagnati da soli 9 poliziotti del reparto mobile di Roma, più i membri dell'equipaggio;
   secondo quanto sostenuto dal sindacato Consap, «a parte il numero sproporzionato di migranti rispetto ai poliziotti, che per ovvi motivi sull'aereo sono privi di qualsiasi arma o mezzo di difesa (si parla di una proporzione di 1/17), l'estremo affollamento non ha permesso neanche di lasciare liberi i sedili adiacenti i poliziotti seduti accanto alle uscite di sicurezza, che in questi occasioni per prassi è meglio lasciare vuoti. Inoltre i poliziotti erano privi di tuta protettiva e sono stati costretti a viaggiare seduti uni accanto agli altri con i migranti, sulle cui condizioni di salute non si possono avere certezze assolute. Ricordiamo che la scabbia, tanto per citarne una, ha tempi di incubazione che possono andare fino a 3 settimane !»;
   sembrerebbe che, a tal proposito, vi siano state alcune legittime rimostranze da parte dei poliziotti che temevano per la loro sicurezza e quella del volo stesso a queste condizioni –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto avvenuto;
   se fosse assolutamente necessario fare partire il volo nelle condizioni descritte in premessa, che hanno messo a repentaglio la sicurezza degli operatori e di tutto il volo;
   se non si ritenga opportuno effettuare, per quanto competenza, una verifica su tali fatti, per accertarne l'esatta dinamica ed eventuali responsabilità nella catena di comando. (4-06365)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAROCCI, TULLO, GIACOBBE, ASCANI, BASSO, PASTORINO e VAZIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia linguistica nasce a Genova nel 1751 e da allora svolge un ruolo didattico di rilievo con un bacino di utenza che raccoglie studenti in Liguria e fino al basso Piemonte rilasciando titoli di alta formazione artistica e musicale e negli ultimi anni ha visto aumentare il numero degli iscritti di circa il 30 per cento;
   l'Accademia linguistica ha nel suo patrimonio un excursus completo della migliore arte ligure, dal medioevo fino agli impressionisti liguri, una ricca gipsoteca con calchi originali di Eugenio Baroni, per un totale di 300 dipinti, tremila incisioni, marmi ed una collezione di maioliche;
   l'attività dell'Accademia è sostenuta in gran parte da trasferimenti degli enti locali, quali comune, provincia e regione; tali trasferimenti non sono sufficienti per coprire i costi dell'attività didattica dell'Accademia e i tagli ai trasferimenti che stanno caratterizzando questo periodo hanno reso la situazione ancora più insostenibile;
   la mancanza dei contributi statali ha dato avvio ad una situazione economica di crisi che è stata in parte risolta con la decisione, particolarmente dolorosa, di vendere parte del patrimonio di quadri giacenti nei depositi del museo ad una Fondazione bancaria con l'obbligo di restaurarle e di renderle fruibili dalla cittadinanza genovese;
   la legge 508 del 1999, all'articolo 2, comma 8, lettera e), cita la «possibilità di prevedere, contestualmente alla riorganizzazione delle strutture e dei corsi esistenti e, comunque, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato, una graduale statizzazione, su richiesta, degli attuali Istituti musicali pareggiati e delle Accademie di belle arti legalmente riconosciute, nonché istituzione di nuovi musei e riordino di musei esistenti, di collezioni e biblioteche, ivi comprese quelle musicali, degli archivi sonori, nonché delle strutture necessarie alla ricerca e alle produzioni artistiche. Nell'ambito della graduale statizzazione si terrà conto, in particolare nei capoluoghi sprovvisti di istituzioni statali, dell'esistenza di Istituti non statali e di Istituti pareggiati o legalmente riconosciuti che abbiano fatto domanda, rispettivamente, per il pareggiamento o il legale riconoscimento, ovvero per la statizzazione, possedendone i requisiti alla data di entrata in vigore della presente legge.»;
   l'Accademia linguistica di belle arti di Genova ha presentato al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 27 marzo 2014 (protocollo n. 60316) istanza per la statizzazione in applicazione dell'articolo 2 e 8 lettera e) della legge 508 del 1999 sopra riportato in quanto risulta in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla norma:
    a) si registra l'assenza di istituzioni statali su territorio regionale e l'assenza di istituti legalmente riconosciuti che abbiano fatto domanda di statizzazione;
    b) è dotata di autorizzazione, con diversi provvedimenti ministeriali, a rilasciare diplomi triennali ordinamentali e biennali sperimentali – e stato inoltre approvato il suo regolamento didattico;
    c) è stato espresso il parere positivo, ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 212 del 2005, dal comitato di valutazione del sistema universitario, nel dicembre 2010, sugli standard e i requisiti dell'Accademia ligustica rispondenti a quelli prescritti per gli istituti AFAM, con la conseguente emissione dei decreto ministeriale n. 74 del 13 giugno 2011, n. 116 e 117 del 19 febbraio 2013 che autorizzano l'Accademia ligustica ad attivare corsi triennali ordinamentali e biennali sperimentali in ordine ad un'offerta formativa aderente a quella delle accademie statali;
    d) il nucleo di valutazione dell'Accademia linguistica relaziona al Ministero già dal 2007, anche in ottemperanza alle nuove disposizioni dell'ANVUR sulle valutazioni delle accademie;
    e) ha un ruolo didattico di rilievo, con percorsi di studio particolarmente attenti alle potenzialità lavorative del territorio ed un bacino di utenza che raccoglie studenti non solo in Liguria ma nelle regioni limitrofe e, negli ultimi anni, anche numerosi stranieri;
    f) in data 11 giugno 2014 è stato altresì approvato il nuovo statuto dell'Accademia ligustica di belle arti nel quale sono stati inclusi gli organi della scuola, i dipartimenti, il consiglio accademico, la consulta degli udenti e il nucleo di valutazione, organi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 132 del 28 febbraio 2003 – regolamento per l'autonomia didattica e statutaria degli istituti artistici e musicali, assimilando quindi l'organizzazione a quella delle accademie statali;
    g) l'Accademia ligustica di belle arti ha ricevuto, dal 1980, con apposite convenzioni, finanziamenti da comune di Genova, provincia di Genova e regione Liguria. Tali contributi non sono sufficienti per coprire i costi dell'attività didattica e i tagli ai trasferimenti che stanno caratterizzando questo periodo hanno reso la situazione finanziaria dell'istituto insostenibile;
   l'Accademia di belle arti «P. Vannucci» di Perugia, costituita nell'anno 1573, pareggiata alle accademie statali con regio decreto 5 giugno 1940 n. 1086, rilascia diplomi accademici di primo e di secondo livello;
   caratterizzata dalla unicità del suo patrimonio storico-artistico, svolge anche una rilevante attività sul piano culturale e scientifico;
   la biblioteca attualmente conta più di 18.000 volumi e costituisce l'unica fonte regionale di documentazione bibliografica specialistica in storia dell'arte;
   le raccolte d'arte sono costituite da una ricca gipsoteca (600 pezzi), da una collezione di dipinti (440 quadri) e dal gabinetto dei disegni e delle stampe, formato da oltre 18.000 pezzi «cartacei» che vanno dalla fine del XVI al XX secolo;
   l'accademia di belle arti «P. Vannucci», come quella di Genova, ha presentato istanza (protocollo n. 986 del 28.4.2014) per la statizzazione in applicazione dell'articolo 2, comma 8, lettera e) della legge 508 del 1999 sopra riportato, in quanto risulta in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla norma:
    a) si registra l'assenza di istituzioni statali sul territorio regionale e di istituti legalmente riconosciuti che abbiano inoltrato domanda di statizzazione;
    b) è stata autorizzata a rilasciare diplomi triennali ordinamentali e biennali sperimentali, ed è stato approvato il regolamento didattico; ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 212 del 2005, con atto autorizzatorio protocollo n. 5396 del 17 novembre 2004 è stato autorizzato l'avvio dei corsi triennali in pittura, scenografia e scultura e, con decreto ministeriale n. 48 del 1 marzo 2012, è stato autorizzato il riordino dei suddetti corsi triennali con la trasformazione in corsi ordinamentali. Inoltre, con provvedimento autorizzatorio protocollo n. 5394 del 17 novembre 2004, sono stati autorizzati i bienni specialistici in pittura, scenografia, scultura e grafica e con provvedimento del direttore generale per l'A.F.A.M. del 3 dicembre 2013 è stata autorizzata la prosecuzione, nelle more dell'emanazione del decreto direttoriale di approvazione del regolamento didattico, del corso in «progettazione artistica per l'impresa»; con D.D.G. 2 dicembre 2013, n. 2471 è stato approvato il regolamento didattico;
    c) il nucleo di valutazione relaziona al Ministero già da diversi anni, anche in ottemperanza alle sopravvenute disposizioni dell'ANVUR sulle valutazioni delle accademie;
    d) svolge un ruolo didattico di rilievo attraverso percorsi di studio particolarmente attenti alle potenzialità lavorative proprie del territorio e raccoglie un bacino di utenza di studenti non solo umbri, ma provenienti anche da altre regioni e da numerosi Paesi comunitari ed extracomunitari. Negli ultimi due anni l'Accademia ha visto incrementare i propri studenti di oltre il 30 per cento anche in virtù dei rapporti internazionali nel frattempo stabiliti;
    e) con atto del 23 giugno 2002 il comune e la provincia di Perugia, nella loro qualità di soci fondatori della Fondazione Accademia di belle arti «P. Vannucci», in via transitoria si sono assunti l'onere di contribuire all'attività di istruzione artistica fino all'emanazione dei provvedimenti di statizzazione. Tuttavia, la crisi economica degli enti locali da un lato e l'abolizione delle province dall'altro, mettono in estrema difficoltà il funzionamento e la vita stessa dell'Accademia;
   a tutt'oggi non è pervenuta alcuna risposta alle istanza di cui sopra –:
   sia stato intrapreso il percorso di statizzazione di cui all'istanza del 27 marzo 2014 dell'Accademia linguistica di belle arti di Genova ed all'istanza del 28 aprile 2014 dell'Accademia di belle arti «P. Vannucci» di Perugia;
   quali iniziative istituzionali e/o procedure siano state eventualmente adottate per la finalità di cui sopra. (5-03772)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del 1o ottobre 2014 a seguito di un temporale che ha colpito la zona di Anguillara Sabazia, il tetto della palestra della scuola dell'infanzia e scuola elementare «Monte le Forche», proprio nel comune di Anguillara, è crollato causando altresì l'allagamento della scuola;
   fortunatamente, poiché al momento del crollo la scuola era chiusa, a parte danni materiali alla struttura, i bambini e gli insegnanti, che quotidianamente frequentano la scuola, non hanno subito danni fisici altrimenti si sarebbe, con molta probabilità, verificata l'ennesima inaccettabile tragedia;
   i genitori dei bambini che frequentano l'istituto, da anni denunciano i problemi strutturali dell'edificio ed in particolare lo stato di degrado e continui fenomeni infiltrativi che interessano il tetto;
   già la scuola media ha subito un allagamento qualche, anno fa, mentre a seguito della partecipazione di un comitato di cittadini al consiglio comunale straordinario in materia di scuola del 27 marzo 2014, è emersa la necessità di effettuare importanti ed indifferibili interventi di manutenzione straordinaria e di ristrutturazione;
   nello specifico con un comunicato stampa del 31 marzo 2014, il Comitato Scuola Sicura Monte Le Forche ha denunciato la necessità di iniziare i lavori proprio dal tetto in quanto «non sembra solido poiché ci sono evidenti infiltrazioni di acqua quando piove e la cosa che atterrisce ancora di più è vedere che l'acqua di infiltra e cade nel luogo ove è ubicato il quadro elettrico»;
   successivamente anche il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è intervenuto rilevando una «generale vetustà degli intonaci interni, dovuta anche a precedenti infiltrazioni di acque meteoriche, nonché una generale mancata manutenzione delle grondaie esterne e degli infissi vetrati», valutando come necessario un «urgente ed accurato intervento di verifica ... dello stato fessurativo interno e tutti i lavori di assicurazione e ripristino che il caso richiede»;
   anche alcuni tecnici che hanno effettuato sopralluoghi all'interno dell'edificio scolastico hanno riscontrato numerose criticità, con particolare riferimento proprio alla palestra che presentava «in copertura, un sistema di vetrate con isolamento danneggiato che determina durante le precipitazioni esterne, gocciolamenti al suo interno»;
   malgrado le continue segnalazioni e le richieste di intervento da parte degli utenti della scuola e nonostante il rapporto dei vigili del fuoco, le istituzioni competenti non sono mai riuscite ad intervenire con tempestività ed efficacia al fine di risolvere il problema;
   da organi di stampa si è appreso come il sindaco di Anguillara Sabazia, Francesco Pizzorno, avrebbe addirittura dichiarato che la copertura della palestra era stata realizzata forse in maniera non ottimale, e per sistemare alcune problematiche presenti sull'edificio erano stati già appaltati dei lavori, ma che per ragioni burocratiche non potevano iniziare prima del 9 ottobre;
   i genitori dei bambini che frequentano la scuola oggetto del presente atto di sindacato ispettivo, sono ovviamente fortemente preoccupati per lo stato dei luoghi;
   l'utilizzo in piena sicurezza degli edifici scolastici è, come ovvio, un corollario del diritto allo studio costituzionalmente tutelato;
   inoltre, il diritto alla sicurezza ed alla salute, a maggior ragione all'interno degli istituti scolastici, è un diritto riconosciuto anche a livello internazionale in quanto il terzo comma dell'articolo 3 della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 1989, e sottoscritta da 90 Stati (tra cui l'Italia che l'ha ratificata il 27 maggio 1991 con la legge n. 176 nel 1991), prescrive che «Gli Stati vigilano affinché il funzionamento di istituzioni, servizi, istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell'ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l'esistenza di un adeguato controllo»;
   senza contare che la predetta Convenzione, all'articolo 24, afferma l'esistenza di un diritto all'informazione su salute, igiene, prevenzione degli incidenti, salubrità degli ambienti frequentati dai bambini: «Gli Stati si impegnano affinché i genitori e i minori ricevano informazioni sulla salute (...) sull'igiene e sulla salubrità dell'ambiente e sulla prevenzione degli incidenti e beneficino di un aiuto che consenta loro di mettere in pratica tali informazioni»;
   ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 23 del 1996, in attuazione dell'articolo 14, comma 1, lettera i), della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora legge n. 267 del 2000) «provvedono alla realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici: a) i comuni, per quelli da destinare a sede di scuole materne, elementari e medie; b) le province, per quelli da destinare a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, di conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori per le industrie artistiche, nonché di convitti e di istituzioni educative statali»;
   in ogni caso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 febbraio 2014, n. 98, all'articolo 7 affida al «Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali», ed in particolare alla «Direzione generale per interventi in materia di edilizia scolastica, per la gestione dei fondi strutturali per l'istruzione e per l'innovazione digitale» lo svolgimento delle funzioni e dei compiti di spettanza del Ministero, ad esempio, nei seguenti ambiti: programmazione degli interventi strutturali e non strutturali nell'ambito delle attività connesse alla sicurezza nelle scuole e all'edilizia scolastica; attuazione delle normative di competenza del Ministero in materia di edilizia scolastica; studio di soluzioni innovative per la messa in sicurezza e la rigenerazione del patrimonio immobiliare scolastico; gestione del fondo unico per l'edilizia scolastica; opportunità di finanziamento a valere sui fondi internazionali e comunitari, pubblici e privati; programmazione, monitoraggio e attuazione di programmi e iniziative finanziate con i fondi strutturali europei e con i fondi per le politiche di coesione in materia di istruzione;
   alla luce di quanto esposto in precedenza non è accettabile che i bambini debbano crescere, giocare e formarsi in ambienti insalubri e pericolosi ed è necessario un intervento non più procrastinabile con cui mettere in sicurezza gli edifici scolastici che presentano rischi per l'incolumità e pericoli per la salute dei bambini –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se il Ministro abbia proceduto a monitorare lo stato degli edifici scolastici ed, in particolare degli edifici scolastici all'interno del comune di Anguillara Sabazia;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di assicurare il corretto e tempestivo assolvimento degli obblighi in materia di edilizia scolastica, ed in particolare con riferimento agli istituti scolastici all'interno del comune di Anguillare Sabazia;
   quali soluzioni abbia individuato o intenda adottare per procedere alla messa in sicurezza ed alla ristrutturazione del patrimonio immobiliare scolastico;
   se intenda reperire nuovi fondi al fine di procedere alle ristrutturazioni e ad opere di manutenzione straordinaria degli edifici scolastici che presentano gravi problemi strutturali e rischi per l'incolumità dei bambini e degli insegnanti che li frequentano;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per attivare, con urgenza, procedure di controllo e vigilanza sullo stato dell'edilizia scolastica. (4-06367)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERRETTA e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la normativa prevede una maggiorazione sociale della pensione, nel caso in cui il cittadino non possegga redditi o ne disponga in misura limitatissima. Dal 1o gennaio 2002, la legge finanziaria ha stabilito un incremento di tale maggiorazione, così da garantire un reddito pari a 516,4 euro al mese per tredici mensilità. L'importo percepito aumenta di anno in anno, nella stessa misura del trattamento minimo delle pensioni Inps;
   questa prestazione, oltre ad essere legata all'età del pensionato ed all'importo minimo della sua pensione, viene erogata in presenza di determinati limiti di reddito:
    per il pensionato solo, la somma dell'ammontare annuo del trattamento minimo e dell'ammontare annuo della maggiorazione sociale;
    per il pensionato coniugato, la somma del limite di reddito determinato come per il pensionato solo, più l'importo annuo dell'assegno sociale;
   per i pensionati coniugati, assistiamo a 3 diverse situazioni e precisamente:
    a) entrambi i coniugi titolari di pensioni integrate al trattamento minimo: la maggiorazione sociale spetta ad uno dei coniugi;
    b) coniugi titolari uno di pensione da lavoro e l'altro di assegno sociale: la maggiorazione sociale spetta ad uno dei coniugi;
    c) coniuge titolare di pensione da lavoro ed assegno sociale e l'altro proprio di nessuna pensione e/o assegno: non spetta maggiorazione sociale;
   appare evidente che i coniugi nella situazione di cui al punto c) subiscono un trattamento iniquo rispetto alle situazioni a) e b) –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di intervenire per correggere una evidente iniquità, al fine di considerare il limite di reddito coniugale, indipendentemente dalla condizione che solo uno dei coniugi sia titolare di pensione, o che lo siano entrambi. (5-03771)


   ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con risoluzione n. 8-00071, di cui la sottoscritta è prima firmataria, approvata il 31 luglio 2014, concernente gli incentivi per l'assunzione di lavoratori provenienti dalla cosiddetta «piccola mobilità» il Governo si è impegnato a verificare la possibilità di reperire in modo tempestivo le risorse necessarie ad assicurare il finanziamento dei benefici contributivi, e ad assumere ogni opportuna iniziativa nei confronti dell'INPS al fine di sospendere l'invio delle note di rettifica recanti gli addebiti contributivi relativi ai medesimi incentivi contributivi:
   l'inps, infatti, a seguito della risoluzione parlamentare, ha dato indicazioni con il messaggio n. 7119, precisando che: «In attesa che si definisca l'iter avviato in attuazione del suddetto impegno, rimangono sospese le iniziative volte al recupero degli addebiti contributivi corrispondenti (cfr. circolare n. 150 del 25 ottobre 2013); pertanto — al momento — la data di spedizione delle note di rettifica recanti tali addebiti contributivi è rinviata alla terza decade di novembre 2014 –:
   quali aggiornamenti ci siano circa il primo punto dell'impegno preso;
   quante siano le aziende e i dipendenti coinvolti e quale risulti essere l'importo delle note di rettifica sospese, il tutto suddiviso regione per regione. (5-03775)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, CECCONI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 68 del 1999 per il diritto al lavoro delle persone disabili prevede, all'articolo 2 il collocamento mirato. Per collocamento mirato dei disabili si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione; la legge parte dal presupposto che non vi può essere una aprioristica esclusione dal mercato del lavoro perché non sempre ad una particolare tipologia o grado di disabilità corrisponde una diminuzione delle capacità lavorative;
   l'articolo 1 della legge n. 68 del 1999 prevede che le norme sul collocamento dei disabili si applicano alle persone «affette da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento. Le persone disabili che aspirano ad un lavoro conforme alle proprie capacità e sono in possesso di una invalidità superiore al 45 per cento devono dunque iscriversi nelle apposite liste tenute presso l'ufficio per l'impiego territorialmente competente che annota in una apposita scheda le capacità lavorative, le abilità, le competenze e le inclinazioni, nonché la natura e il grado della minorazione e analizza le caratteristiche dei posti da assegnare, favorendo l'incontro tra domanda e offerta di lavoro ed il conseguente collocamento delle persone disabili»;
   tale collocamento può essere attuato con strumenti flessibili tendenti a considerare sia l'esigenza delle imprese che quelle delle persone disabili. Per le persone disabili che presentano maggiori difficoltà di accesso al mercato del lavoro può essere stipulata una convezione di integrazione lavorativa che può prevedere per il datore di lavoro la facoltà di scelta nominativa e per la persona disabile alcune opportunità che possono agevolare l'assunzione come per esempio, lo svolgimento di un tirocinio con finalità formative e di orientamento, l'assunzione con contratto di lavoro a termine oppure un periodo di prova più lungo di quello previsto dal contratto di lavoro;
   questi strumenti sono, o meglio, dovrebbero essere ancora più importanti per agevolare l'inserimento lavorativo delle persone con disabilità psichica. Infatti, dall'esperienza maturata dalle cooperative sociali, ma anche da genitori, educatori, formatori è emerso che i giovani con disabilità psichica necessitano di supporto ed accompagnamento verso il lavoro attraverso attività di formazione professionale, tirocini di lavoro in azienda, esperienze di lavoro guidato. Per questo, la scuola, la formazione e i servizi socio-sanitari, insieme all'azione delle famiglie, hanno instancabilmente promosso iniziative propedeutiche all'inserimento lavorativo permettendo che si affacciassero al mercato del lavoro nuovi gruppi e categorie di disabili in particolare psichici ed attualmente auspicano la possibilità di un maggiore e più diffuso accesso alle opportunità offerte dalla legge n. 68 del 1999;
   relativamente alle modalità di assunzione delle persone con disabilità psichica si intende in questa sede evidenziare alcuni aspetti problematici della legge n. 68 del 1999;
   la disposizione dell'articolo 9, comma 4, della legge n. 68 del 1999 prevede che «I disabili psichici vengono avviati su richiesta nominativa mediante le convenzioni di cui all'articolo 11»;
   l'intento del legislatore è stato quello di tracciare così un percorso di maggiore protezione per i disabili psichici che costituiscono una categoria particolarmente fragile prevedendo che le persone con disabilità psichica siano assunte esclusivamente mediante chiamata nominativa attraverso una convenzione tra il datore di lavoro ed il centro per l'impiego (articolo n. 11 legge n. 68 del 1999). Lo strumento della convenzione può infatti prevedere un percorso d'inserimento guidato e specificamente mirato rispetto alle possibilità del lavoratore e alle esigenze dell'impresa.
   a tale aspetto, però, ne corrisponde un altro problematico consistente nel fatto che le persone con disabilità psichica, in quanto soggetti particolarmente deboli del mercato del lavoro, avrebbero dovuto disporre di una molteplicità di strumenti per agevolarne l'integrazione lavorativa;
   con la formulazione dell'articolo 9, comma 4, invece, per i disabili psichici è stata prevista una unica ed esclusiva modalità di accesso al lavoro attraverso la chiamata nominativa e la stipula di una convenzione precludendo altre possibilità di avvio (per esempio chiamata numerica, chiamata con avviso pubblico);
   il dato è emerso anche dalle segnalazioni pervenute recentemente a questa interrogante da parte di alcune persone con disabilità psichica: secondo queste tale norma impedisce ai disabili psichici di partecipare all'avviamento al lavoro nelle richieste numeriche con avviso pubblico con graduatoria limitata a coloro che aderiscono alla specifica occasione di lavoro. Ciò senza alcuna disamina sulle capacità psico-fisiche dell'inabile psichico rispetto alla mansione oggetto dell'offerta di lavoro, né sull'esperienza maturata dal disabile psichico rispetto a quella mansione;
   si ritiene opportuno richiamare in questa sede la sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 2 febbraio 1990 in cui si sanciva l'illegittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione, dell'articolo 5 della legge 2 aprile 1968, n. 482, nella parte in cui non considerava invalidi civili, ai fini della legge stessa, anche quei soggetti affetti da minorazione psichica con una capacità lavorativa tale da consentirne l'impiego in mansioni compatibili;
   proprio in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 1990, l'articolo 19 della legge 104 del 1992 ha stabilito che, in attesa di una riforma organica, le disposizioni del collocamento obbligatorio, contenute nella legge n. 482 del 1968, e successive modificazioni, devono intendersi applicabili anche a coloro che sono affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacità lavorativa che ne consente l'impiego in mansioni compatibili. L'articolo 19 della legge n. 104 del 1992 prevede altresì che «ai fini dell'avviamento al lavoro, la valutazione della persona handicappata tiene conto della capacità lavorativa e relazionale dell'individuo e non solo della minorazione fisica o psichica. La capacità lavorativa è accertata dalle commissioni di cui all'articolo 4 della presente legge, integrate ai sensi dello stesso articolo da uno specialista nelle discipline neurologiche, psichiatriche o psicologiche»;
   la partecipazione al processo di integrazione comunitaria, si ricorda, impone all'Italia un vincolo a sviluppare le politiche antidiscriminatorie e di pari opportunità, particolarmente sentite dall'Europa. Nel nostro Paese, al contrario, in merito si registra in particolare il mancato, parziale o non corretto recepimento della direttiva 2000/78/CE (parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro). È ridondante, a tal proposito, dover ricordare che più volte il nostro Paese è stato richiamato dall'Europa, anche con atti ben precisi (procedure d'infrazione e sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo), anche relativamente alle quasi inesistenti politiche per l'inclusione delle persone disabili;
   appena nel mese di luglio 2014 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato di nuovo il nostro Paese per non aver adottato regole che garantiscono un adeguato inserimento professionale delle persone con disabilità. In particolare, secondo l'apparato accusatorio della Corte, le norme in vigore riguardano solo alcune categorie di disabili; differenziano – ad esempio – tra datori di lavoro pubblici e private; e infine non copre tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro. Sono insomma «parziali» e insufficienti. Se l'Italia non si adeguerà, la Commissione potrebbe avviare una nuova procedura di infrazione, dopo quelle del 2006 e del 2011, che potrebbe concludersi con pesanti multe;
   dal suo insediamento il Governo non ha nominato un Ministro delle pari opportunità e le deleghe sono rimaste nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri che ad avviso degli interroganti, per ovvie ragioni di ordine pratico, non può occuparsene come sarebbe dovuto e necessario;
   un pieno ed efficace contributo del dipartimento per le pari opportunità, e del relativo Ministro, che fronteggi ogni forma di discriminazione, in sinergia con il Comitato unico di garanzia (CUG), e sensibilizzi Ministeri competenti lavorando di concerto con loro, sarebbe invece oltremodo auspicato poiché altresì richiesto, in alcuni casi espressamente, dalle stesse linee di intervento del succitato programma di azione per le persone con disabilità, trattando queste di rilevanti tematiche quali lavoro, inclusione nella società, inclusione scolastica. Al momento, invece, il lavoro relativo alla realizzazione di tali linee di intervento non sembra esser stato neppure avviato;
   relativamente alle politiche inclusive e antidiscriminatorie per le persone con disabilità, si registra ancora la mancata realizzazione del programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, messo a punto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, adottato il decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 2014. In particolare, nel contesto della presente interrogazione, preme sottolinearsi che con la linea di intervento 2 del piano, titolata «lavoro e occupazione», il legislatore si è impegnato a conseguire l'obiettivo di favorire il mainstreaming della disabilità all'interno delle politiche generali per il lavoro e nella raccolta dati, aggiornando la legislazione in vigore e renderla più efficace nell'offrire occasioni di lavoro, in particolare attraverso un miglior funzionamento del collocamento mirato di cui alla legge 68 del 1999. Per farlo lo Stato dovrà provvedere ad approvare sia modifiche normative per aggiornare la legislazione e renderla più efficace nell'offrire occasioni di lavoro, che azioni di politica attiva sul lavoro prevedendo strategie atte a favorire il miglior funzionamento del collocamento mirato di cui alla legge 68 del 1999;
   il disagio vissuto quotidianamente da molte persone con disabilità, dovuto nello specifico alla scarsa inclusione professionale, non è mancato di sfociare a più riprese nella protesta. In proposito si ricorda, tra le tante, la manifestazione del 3 luglio 2013 promossa dal Comitato genitori giovani disabili psichici, in occasione della quale si chiedeva che fosse rivisto il parere del dipartimento della funzione pubblica, che aveva sospeso l'obbligo di assunzione per le amministrazioni pubbliche previsti dalla legge;
   per tali fatti l'interrogante presentava il 4 luglio 2013 sia una mozione che una interrogazione al Parlamento, con cui, proprio tenendo conto del contesto economico e sociale, ma anche della ricaduta pesante nei confronti di cittadini che in particolare hanno il diritto costituzionale al lavoro, del quale la legge n. 68 del 1999 si fa interprete, veniva chiesta, in sintesi, sia la convocazione delle associazioni di categorie protette al fine di informarle e affrontare la questione in maniera corretta, invece del procedersi con atti burocratici incidenti sulla vita di migliaia di persone disabili e sul loro diritto al lavoro, che di rivedere la sospensione dell'obbligo avallata dalla nota del dipartimento della funzione pubblica;
   detta richiesta di sospensione dell'obbligo di assunzione, si ricorderà, era stata rivolta dall'Inps al dipartimento della funzione pubblica, che il 22 maggio aveva risposto (nota n. 23580) che «l'obbligo di coprire le quote di riserva per le categorie protette, con l'eccezione della disciplina relativa ai centralinisti non vedenti, è sospeso fintanto che le amministrazioni pubbliche non abbiano posti disponibili nella dotazione organica e, a fortiori ratione, laddove presentino posizioni soprannumerari»;
   molto critico in quella occasione fu il Comitato genitori giovani disabili psichici, le cui sole insistenti proteste riuscirono a far scampare il pericolo paventato da una politica mostratasi invero insensibile nella circostanza, che denunciava allora «la gravità delle conseguenze di quanto previsto nel parere, che prescinde anche dalla copertura delle quote di legge»;
   il problema proposto dall'articolo 9, comma 4, della legge n. 68 del 1999 andrebbe oggi analizzato nuovamente con più attenzione da parte del Parlamento, tenendo conto che questo aspetto della legge n. 68 del 1999 ha suscitato non poche perplessità ed interrogativi sia tra gli operatori impegnati, a vario titolo, a promuovere l'inserimento lavorativo di persone disabili sollevando anche dubbi di incostituzionalità che sono stati evidenziati da alcuni studiosi e che ci sono stati segnalati da diverse persone disabili direttamente interessate al problema;
   l'articolo 9, comma 4, andrebbe infine rivisto alla luce della normativa antidiscriminazione: tale impedimento di cui sopra, sempre in base alle segnalazioni pervenute, costituisce una discriminazione illegittima (tra disabili psichici e disabili fisici) ai sensi del decreto legislativo n. 215 del 2003, della legge n. 67 del 2006, dell'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dell'articolo 38 della Costituzione che non fa distinzione o discriminazione tra inabili e minorati –:
   se non ritenga che la disposizione di cui all'articolo 9, comma 4, della legge n. 68 del 1999, sia discriminatoria per l'inserimento lavorativo delle persone con disabilità psichica e se e quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda intraprendere al fine di ovviare al grave pregiudizio generato dalla citata disposizione, in osservanza della normativa antidiscriminazione di cui in premessa;
   se non intenda chiarire definitivamente se e quali somme il Governo abbia già stanziato, o abbia intenzione di stanziare, allo scopo di attuare il piano biennale d'azione sulla disabilità, e in che modo queste siano state ripartite, o saranno ripartite, in particolare, per l'attuazione della succitata linea di intervento 2, «lavoro e occupazione»;
   se possa fornire il dato relativo alle segnalazioni recepite dal Comitato unico di garanzia in relazione alla problematica citata in premessa, o comunque attinenti ad essa. (4-06363)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSTELLATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, il diritto delle donne di scegliere le circostanze nelle quali deve avvenire e svolgere il proprio parto, può qualificarsi come diritto umano, inviolabile, coinvolgente interessi di rango costituzionale, che trova peraltro espresso riconoscimento sia nell'ordinamento giuridico italiano che in quello comunitario ed internazionale; a tal proposito la Corte europea per i diritti umani ha deciso nel 2010 che tutti gli stati membri sono obbligati a garantire il diritto delle donne, alla libera scelta del luogo del parto e del tipo di assistenza al parto e l'Organizzazione mondiale della sanità sostiene che la donna deve avere la possibilità di partorire in un luogo che sente sicuro: casa, casa maternità o ospedale;
   nel luglio 2014 il Comitato centrale della Federazione nazionale collegi ostetriche (di seguito nominato anche «FNCO») ha redatto un parere tecnico riguardante il parto a domicilio delle donne precesarizzate;
   il parere citato, dapprima sostiene che tutti gli studi concordano sull'opportunità/auspicabilità di avere un parto vaginale dopo taglio cesareo, in considerazione dei gravi danni causati dai tagli cesarei multipli, specificando che la probabilità di una rottura d'utero con una singola incisione trasversale del segmento inferiore è del tutto sovrapponibile a quella di donne con utero integro; subito dopo, obbliga di fatto l'ostetrica/o a comunicare alla donna che il parto di prova a domicilio, nel caso di donne precesarizzate, è da ritenersi una pratica non prospettabile; contegno che l'ostetrica/o è tenuta/o ad osservare, anche a fronte di uno specifico consenso informato scritto;
   di fatto l'ostetrica/o che sceglie liberamente di seguire le donne precesarizzate a domicilio, è costretta a dover subire una decisione imposta, limitando la propria libertà professionale;
   a seguito di tale parere, della FNCO, numerose sono state le voci che si sono levate contro tale presa di posizione, da parte di associazioni, professionisti, del campo medico ed ostetrico e donne di ogni cultura e nazionalità;
   si nega alla donna di esercitare liberamente il proprio diritto al consenso informato, diritto strettamente collegato ai principi costituzionali stabiliti negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, costringendola di fatto a subire una scelta;
   il parere tecnico redatto dalla FNCO, pertanto, va ad inficiare anni ed anni di diritti consolidati ed irrinunciabili, diritti intrinseci, che vanno dal diritto inviolabile delle donne di autodeterminarsi rispetto alla propria salute ed al proprio corpo, di scegliere le circostanze in cui partorire, compresa la scelta di avere un'assistenza domiciliare ostetrica, al diritto al consenso informato –:
   quali azioni intenda adottare il Ministro affinché non venga leso il diritto costituzionalmente garantito ed inviolabile delle donne di autodeterminarsi rispetto alla propria salute ed al proprio corpo e di scegliere le circostanze in cui partorire, compresa la scelta di avere un'assistenza domiciliare ostetrica;
   quali azioni intenda adottare il Ministro affinché non venga compromesso il diritto al consenso informato nella sua funzione di sintesi tra due diritti fondamentali della donna: quello all'autodeterminazione e quello alla salute;
   se il Ministro intenda monitorare la situazione affinché le ostetriche che vogliono assistere le donne precesarizzate in casa, non abbiano a subire conseguenze dal proprio collegio professionale;
   se il Ministro non ritenga opportuno promuovere e finanziare in Italia una ricerca scientifica per coloro (le ostetriche) che assistendo in casa le donne precesarizzate possano dare dati certi e percentuali veritiere sulla rottura d'utero e la differenza fra i dati risultanti tra queste donne e coloro che partoriscono in ospedale. (4-06362)


   GRILLO, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dalle audizioni in Commissione affari sociali nell'ambito dell'indagine conoscitiva su Istituto superiore di sanità, AIFA e AGENAS, si è venuti a conoscenza dell'iniziativa spin-off con l'Istituto superiore di sanità promossa della dottoressa Ensoli attraverso la società Vaxxit e finalizzata alla produzione di un vaccino anti AIDS;
   sempre nelle audizioni sopracitate è stato menzionato l'accordo scientifico finalizzato allo sviluppo di vaccini di seconda generazione contro l'HIV/AIDS comprendenti Tat in associazione ad altri antigeni di HIV, ratificato, nel 2002, tra l'Istituto superiore di sanità e Chiron Corporation (oggi NOVARTIS) e concluso nel 2009 –:
   quali siano, in base all'articolo 4 del «Disciplinare per la partecipazione dell'ISS e suo personale ad iniziative spin-off»: il piano economico; i ruoli e mansioni del ricercatore/tecnologo proponente; la specifica regolamentazione della proprietà intellettuale e del know-how derivante dall'attività di ricerca propria dell'Istituto per quanto riguarda l'iniziativa spin-off con Istituto superiore di sanità, promossa della dottoressa Ensoli, attraverso la società Vaxxit e finalizzata alla produzione di un vaccino anti AIDS;
   quale sia il contenuto dell'accordo scientifico ratificato, nel 2002, tra l'Istituto superiore di sanità e Chiron Corporation (oggi NOVARTIS) e concluso nel 2009 riguardo allo sviluppo di vaccini di seconda generazione contro l'HIV/AIDS comprendenti la proteina Tat in associazione ad altri antigeni di HIV. (4-06370)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante si è rivolta la famiglia di un ragazzo che ha perso la vita a 14 anni dopo essere stato sottoposto a trapianto di midollo osseo presso il nosocomio Pausillipon di Napoli;
   secondo tale segnalazione le condizioni interne della struttura TMO sarebbero del tutto fatiscenti dal punto di vista infrastrutturale e critiche soprattutto per ciò che concerne il rapporto infermieri pazienti, l'assenza di un servizio di plasmaferesi e la terapia intensiva e rianimazione. Queste mancanze, assolutamente inconciliabili con la richiesta di sicurezza indispensabile per bambini sottoposti a TMO e affetti da patologie oncologiche, sembrerebbero, tra l'altro, in contrasto con la circolare ministeriale n. 10 della Direzione generale ospedali del Ministero della salute;
   tale mancato rispetto di quanto previsto dalla circolare ministeriale potrebbe mettere a repentaglio la potrebbe mettere a repentaglio la salute dei pazienti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di acquisire elementi ovvero di effettuare verifiche, per quanto di competenza — anche mediante l'utilizzo del comando carabinieri per la tutela della salute — al fine di fare luce sui fatti segnalati all'interrogante e se le criticità descritte, ove trovino conferma, siano da imputare a esigenze di riduzione della spesa derivanti dall'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari. (4-06371)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CRIMÌ. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legislazione attuale in materia di lavori pubblici è farraginosa, adatta agli avvocati più che alle opere, tutela eccessivamente le imprese a scapito dell'ente appaltante, non garantisce attraverso il ribasso delle offerte la trasparenza, l'equità, la qualità delle opere da eseguire, accolla all'ente appaltante una enorme mole di controlli e verifiche; tutti problemi che possono aprire la strada alla corruzione;
   una possibile soluzione è data da una diversa modalità di attestazione dei requisiti delle imprese e dalla eliminazione del ribasso d'asta, utilizzando il sorteggio non come strumento residuale oggi previsto nel caso di parità di gara, ma come effettiva procedure di assegnazione;
   le imprese sono raggruppate in base alle qualifiche e classifiche, che descrivono la loro capacità produttiva ed organizzativa;
   oggi il sistema previsto che riconosce i requisiti e la qualificazione delle imprese non è completo (il sistema di qualificazione è attuato da Società organismi di attestazione (SOA), appositamente autorizzati dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture); infatti, l'Ente appaltante deve comunque controllare tutto (presidenti, amministratori: le loro fedine penali, bilanci, e altro) cioè l'attestazione non garantisce la perfetta affidabilità dell'impresa dal punto di vista produttivo, organizzativo, amministrativo e giuridico (condanne o meno degli amministratori);
   un'attestazione completa e controllata garantirebbe che l'impresa iscritta negli elenchi, secondo la sua categoria, sia sicuramente sana e capace di affrontare i lavori per cui chiede la qualificazione, eliminando il controllo da parte degli enti appaltanti;
   per arrivare a tale risultato è necessario che siano modificate le funzioni dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (nata essenzialmente per contrastare la corruzione), individuandole unicamente nel controllo delle imprese e alla precisa verifica delle loro capacità lavorative, organizzative e giuridiche ed alla tenuta degli elenchi. Solo con la continua sorveglianza da parte dell'Autorità, si potrà essere sicuri della bontà degli elenchi delle imprese e dei loro requisiti e quindi dell'attestazione;
   l'attestazione così formulata non è più soltanto un documento incompleto, ma un riconoscimento della effettiva capacità organizzativa, produttiva e perfetta onestà dal punto di vista giuridico e amministrativo dell'impresa;
   l'ente appaltante quindi dovrebbe solo prendere atto che le imprese che partecipano alla gara siano in possesso di tale l'attestazione e siano inserite negli elenchi nazionali (la stessa cosa vale anche per le imprese straniere che intendano partecipare a gare in Italia), senza ulteriori controlli o verifiche;
   oggi il ribasso da offrire sull'importo a base d'appalto deve essere controllato dall'ente appaltante che deve accertarne la congruità con un lavoro enorme che fa perdere ulteriore tempo ed è oggetto di controversie anche da parte delle imprese non aggiudicatarie. Il ribasso offerto, anche se accertata e verificata la congruità, non dà sicurezza sul fatto che l'impresa riesca a lavorare bene, visto che, per potersi aggiudicare i lavori, gli sconti normalmente sono altissimi; il pericolo è che le somme risparmiate derivanti dallo sconto siano successivamente recuperate dall'impresa attraverso contenziosi e varianti alle volte aprendo la strada alla corruzione;
   è necessario pertanto eliminare il ribasso d'asta, considerando i prezzi del bando di gara come i migliori che l'ente appaltante propone e considerando le imprese partecipanti alla pari, dato che l'attestazione presentata conferma la loro capacità organizzativa, produttiva e l'onestà dei loro amministratori;
   l'ente appaltante dovrebbe quindi stabilire con la gara i prezzi unitari e l'importo complessivo dell'appalto sulla base di prontuari regionali e nazionali (che oggi ci sono ma incompleti e con prezzi troppo alti e fuori mercato), prezzi ed importi complessivi che rimarranno fissi ed immodificabili. Le imprese interessate che possono partecipare sulla base dei requisiti richiesti dal bando, se intendono competere, dovranno accettare il progetto ed i prezzi stabiliti dal bando stesso;
   di conseguenza, le imprese che accetteranno la partecipazione alla gara, presenteranno una fideiussione sull'intero importo dell'appalto, non potranno sollevare alcunché sulla completezza o incompletezza del progetto, visto che l'hanno verificato dal punto di vista tecnico ed economico ed accettato;
   si procederà quindi al sorteggio in seduta pubblica e alla graduatoria delle imprese partecipanti. Il primo estratto sarà l'aggiudicatario. In caso di rinuncia (con l'escussione dell'intera fideiussione bancaria per l'intero valore dell'appalto), si passa al secondo estratto e così via;
   le imprese subappaltatrici dovranno presentare lo stesso tipo di attestazione per le classi e categorie di appartenenza –:
   quali iniziative intendano adottare per modificare, sulla base delle premesse sopra esposte il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni e integrazioni ed il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 e successive modificazioni e integrazioni, al fine di garantire legalità, trasparenza, equità, velocità e qualità nelle realizzazioni di opere pubbliche. (4-06360)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   VITELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il settore del metano per autotrazione occupa in Italia – tra segmento commerciale ed industriale – circa 20.000 addetti, ognuno dei quali contribuisce a sviluppare un giro d'affari complessivo pari a circa 1,8 miliardi euro all'anno. L'industria italiana del gas naturale per il trasporto è riconosciuta a livello mondiale come il punto di riferimento nel suo settore di attività. Nel corso degli anni l'industria ha sostenuto e sviluppato progetti di mobilità sostenibile a basso impatto ambientale sia per i settori del trasporto pubblico che in quello privato. L'Italia è l'unico Paese europeo ad avere una rete abbastanza diffusa sul territorio, parimenti correlata ad un parco circolante di una certa rilevanza;
   a ciò si aggiunge che l'aumento dei prezzi dei carburanti e il calo generalizzato dei consumi, incluso quelli di benzina e gasolio, hanno spinto gli acquirenti verso modelli ad alimentazione alternativa, le cui vendite sono passate dal 5,6 per cento di quota del 2011 al 15,3 per cento del 2013;
   a livello europeo la politica dei trasporti prevede obiettivi di lungo periodo per ricercare, in tutte le scelte strategiche, un equilibrio fra crescita economica, benessere sociale e protezione dell'ambiente. La politica comunitaria dei trasporti ha, inoltre, il fine di integrare gli impegni internazionali in materia ambientale, nonché di contribuire a realizzare gli obiettivi della politica energetica europea, soprattutto in relazione alla sicurezza dell'approvvigionamento e alla sostenibilità;
   i veicoli a gas presentano emissioni inquinanti (PM, NOx, HC) e producono emissioni climalteranti (CO2) inferiori a quelle di un analogo veicolo tradizionale, soprattutto se si considera l'intero ciclo vita dei carburanti. Essi contribuiscono ad assicurare un percorso virtuoso verso la decarbonizzazione nel rispetto dei vincoli in materia di qualità dell'aria;
   l'adozione del metano, sia per quanto riguarda le immatricolazioni che per le conversioni, ha contribuito fortemente a ridurre, le emissioni medie di CO2 delle automobili italiane. Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, negli anni 2011-2013 è continuata la tendenza alla riduzione delle emissioni specifiche di anidride carbonica delle autovetture nuove. In particolare, la media ponderata delle emissioni sul mercato italiano è scesa dai 132,7 g/km del 2010 a 129,5 g/km nel 2011, raggiungendo in anticipo l'obiettivo europeo già previsto per il 2015, ed è ulteriormente migliorata nel 2012, attestandosi a 126,2 g/km, e registrando un'ulteriore diminuzione nel 2013, secondo dati provvisori;
   in tale ottica, il 20 marzo 2014 Parlamento e Consiglio d'Europa hanno raggiunto un accordo sul testo finale della direttiva riguardante la realizzazione di infrastrutture per carburanti alternativi. La proposta, parte del pacchetto «clean power for transport», prevede l'elaborazione di quadri strategici nazionali al fine di promuovere la diffusione sul mercato dei combustibili alternativi;
   inoltre, l'8 novembre 2012, la Commissione europea – sotto la responsabilità del commissario Tajani – ha pubblicato la comunicazione «CARS 2020: piano d'azione per un'industria automobilistica competitiva e sostenibile in Europa», con l'obiettivo di proporre una serie di misure specifiche volte a rilanciare la competitività di questo settore industriale. Tra i quattro pilastri ai quali è stata attribuita alta priorità c’è la promozione «degli investimenti nelle tecnologie avanzate e nell'innovazione in funzione per i veicoli puliti»;
   dal 2011 l'Unione europea sta discutendo una proposta per l'armonizzazione delle accise minime tra i carburanti, volta a modificare la direttiva 2003/96/CE, con il duplice obiettivo di razionalizzare la tassazione del valore energetico dei combustibili e, in particolare, di introdurre una componente che valorizzi le esternalità negative legate alle emissioni di carbonio, da un lato, e di coordinare la tassazione energetica con il sistema EU ETS, dall'altro;
   la proposta iniziale è stata più volte rimaneggiata in sede di negoziati tra i Paesi membri, ma ogni nuova versione rischia comunque di minare la leva universalmente impiegata per consentire la diffusione su larga scala dell'utilizzo del metano per autotrazione: il regime di fiscalità favorevole, che fa sì che ad oggi il metano abbia un prezzo alla pompa di 0,99 euro chilogrammo (da paragonarsi a 1,5 litri di benzina);
   stando a quanto affermato dal Viceministro dell'economia e delle finanze pro tempore Legnini in un'audizione presso le Commissioni riunite ambiente ed attività produttive della Camera, nel secondo semestre 2012 alcuni punti cardine della proposta iniziale della Commissione, tra cui la concatenazione delle aliquote che di fatto limitava fortemente la sovranità fiscale degli Stati membri, sono stati stralciati. È invece stato confermato che i livelli minimi di tassazione previsti nella nuova direttiva dovranno tener conto sia del contenuto energetico dei prodotti sia delle relative emissioni di CO2, fermo restando che gli Stati membri manterranno completa flessibilità nel determinare le aliquote di tassazione nel rispetto dei livelli minimi comunitari e potranno conservare nelle legislazioni nazionali un'imposta unica (senza distinguere tra le due componenti);
   l'agenda dell'ECOFIN del 14 ottobre 2014 prevede la discussione della summenzionata direttiva, per chiedere ai Ministri europei un input per sbloccare lo stallo dei negoziati a livello tecnico –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto;
   in che modo i Ministri interrogati intendano impegnarsi, per quanto di propria competenza, al fine di tutelare il settore del metano per autotrazione, assoluta eccellenza italiana riconosciuta in tutto il mondo;
   se, alla luce del semestre di presidenza del Consiglio dell'Unione europea, intendano adoperarsi per la revisione dell'attuale proposta di direttiva sulla tassazione energetica, al fine di assicurare la sostenibilità economica dell'aliquota sul metano e la dilazione temporale dell'innalzamento della tassazione, anche sulla base delle politiche ambientali dell'Unione europea, che si impegnano alla maggiore diffusione della mobilità sostenibile.
(4-06364)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Tinagli, Carfagna, Giuliani, Dorina Bianchi, Binetti ed altri n. 1-00272, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Di Salvo e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Tinagli, Carfagna, Giuliani, Dorina Bianchi, Binetti, Di Salvo, Amendola, Bergamini, Biffoni, Calabria, Capua, Centemero, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, D'Alessandro, De Maria, Faenzi, Ferranti, Gasparini, Gelmini, Giammanco, Giulietti, Gribaudo, Laffranco, Locatelli, Martelli, Mattiello, Marzano, Milanato, Moretti, Nesi, Oliaro, Paris, Piccoli Nardelli, Polverini, Prestigiacomo, Andrea Romano, Rossomando, Rotta, Sandra Savino, Tartaglione, Vargiu, Vecchio, Venittelli, Verini, Vezzali, Iori, Raciti, Cominelli, De Micheli, La Marca, Gregori, Marchetti, Malpezzi, Lodolini, Tidei, Sbrollini, Scuvera, Carlo Galli, Giampaolo Galli, Chaouki, Saltamartini».

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Cenni e altri n. 7-00487, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pollastrini.

Apposizione di firme a interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Caparini n. 5-03079, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 25 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Marguerettaz, Attaguile.

  L'interrogazione a risposta orale Costantino e altri n. 3-01070, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 7 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Tidei, Miccoli, Bonaccorsi, Campana, Roberta Agostini, Argentin, Coccia, Coscia, Gregori, Marroni, Melilli, Minnucci.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Tinagli n. 1-00272, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta n. 129 del 2 dicembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    non si può non sottolineare come – secondo quanto sostenuto anche dai più alti vertici istituzionali – valorizzare le donne non sia solo una questione etica, ma comporti anche importanti effetti sul piano economico, come dimostra la capacità delle donne di affermarsi e di dare il proprio contributo in tutti i campi, una volta che siano liberate da vincoli giuridici e da pregiudizi sociali;
    secondo il Global Gender Gap Report 2013 del World Economic Forum che ha esaminato il problema delle pari opportunità in diversi ambiti, dalla sanità, alle possibilità di sopravvivenza, all'accesso all'istruzione, alla partecipazione alla vita lavorativa, sociale e politica, l'Italia è all'ultimo posto tra Paesi europei e 71esima sui 136 Paesi analizzati;
    nonostante l'aumento dell'occupazione femminile riscontrato dal rapporto Istat 2013 e ascrivibile, in parte alla crescita delle occupate straniere, in parte alla concentrazione della forza lavoro femminile nel part-time involontario e nelle mansioni a bassa specializzazione, la quota di donne occupate in Italia rimane di gran lunga inferiore a quella dell'Unione europea (47,1 per cento contro 58,6 per cento). Inoltre, le donne continuano a essere pagate meno rispetto agli uomini. Il differenziale di genere italiano nelle retribuzioni è stato misurato dall'Unione europea di 5,8 per cento in Italia, come evidenziato dalla relazione pubblicata nella primavera 2013 sulla parità di genere. Svantaggio che si ritrova anche nelle retribuzioni di chi ha una laurea: gli uomini che hanno un titolo di studio elevato guadagnano in media il 19,6 per cento in più rispetto a chi ha il diploma, per le donne lo scarto tra i diversi livelli di istruzione si riduce al 14,9 per cento;
    la minore partecipazione delle donne al mondo del lavoro, soprattutto in questa fase prolungata di crisi economica, è una perdita di opportunità per l'economia e la società. Come già evidenziato nel 2010 da uno studio condotto dalla Banca d'Italia «l'aumento del tasso di occupazione femminile influenzerebbe positivamente il Pil. Nel nostro Paese, ad esempio, il conseguimento dell'obiettivo del Trattato di Lisbona di un tasso di occupazione femminile al 60 per cento comporterebbe un aumento del Pil fino al 7 per cento, che toccherebbe i 12 punti se l'occupazione femminile eguagliasse quello maschile in ciascuna ripartizione geografica»;
    la difficoltà di inserimento delle donne nel mondo del lavoro è legata anche a problemi di conciliazione tra lavoro e famiglia e al fatto che, rispetto agli uomini, le donne impiegano una parte maggiore del loro tempo in attività di cura non retribuite. Secondo recenti dati dell'Ocse, una donna italiana lavora in media 58,6 ore a settimana, contro le 47,7 di un uomo. Di queste, quasi i due terzi (36,1 ore) sono però di lavoro non retribuito – cura di bambini e anziani, pulizie domestiche, cucina e altri lavori legati alla casa e alla famiglia – mentre solo poco più di 22 ore sono retribuite. Una situazione nettamente opposta rispetto a quella degli uomini, per cui il lavoro retribuito rappresenta oltre 33 ore su 47 (quasi undici in più delle donne), mentre quello non retribuito è di sole 14,5 ore, oltre 21 in meno rispetto alla parte femminile;
    questo gap colloca l'Italia al primo posto tra i 34 Paesi Ocse per differenza tra uomini e donne nella distribuzione del lavoro non pagato, nettamente davanti a Francia (12,6 ore non retribuite in più per le donne), Gran Bretagna (12,2 ore), Usa (9,5 ore) e Germania (6,6 ore);
    i divari nella partecipazione femminile al mercato del lavoro possono essere ridotti considerevolmente attraverso politiche mirate di welfare, con efficaci servizi all'infanzia e alla famiglia, come dimostrano esperienze di altri Paesi europei. Tuttavia, dati Istat evidenziano come l'offerta pubblica sul territorio di asili nido sia non solo mediamente insufficiente, ma abbia visto nel 2012 anche enormi disparità geografiche, andando dall'80 per cento di comuni coperti dal servizio in regioni come l'Emilia-Romagna, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d'Aosta al 13 per cento della Calabria, che presenta il livello regionale più basso di copertura;
    flessibilità degli orari di lavoro ed imprenditorialità sono due strumenti fondamentali per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro, la loro affermazione professionale e la crescita complessiva dell'economia. Tuttavia, sul fronte dei programmi di flessibilità, si rileva un forte ritardo italiano: se nei Paesi europei più avanzati il 36 per cento può accedere a strumenti di flessibilità, in Italia solo il 10 per cento ha questa possibilità;
    con la legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, comma 339, legge 24 dicembre 2012, n. 228) è stata introdotta, dando attuazione alla direttiva dell'Unione europea n. 2010/18/UE, la possibilità di frazionare ad ore la fruizione del congedo parentale. In merito alle modalità di fruizione del congedo su base oraria, ai criteri di calcolo e all'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa, è stato demandato il tutto alla contrattazione collettiva di settore;
    sul fronte imprenditoriale si rilevano alcuni passi in avanti, anche grazie a numerose iniziative e a incentivi per l'imprenditorialità femminile: secondo dati Unioncamere tra marzo 2012 e marzo 2013 le imprese al femminile hanno allungato il passo, aumentando il loro numero di oltre 10 mila unità. Tuttavia, gli stessi dati evidenziano una maggiore fragilità finanziaria delle imprese femminili rispetto alla media: il 72 per cento di esse, infatti, opera con un capitale sociale di meno di 10 mila euro, contro il 67 per cento della media delle imprese;
    la necessità di un maggior supporto all'imprenditoria femminile è legata non solo e non tanto ad esigenze di parità, ma soprattutto ad esigenze di rafforzamento del tessuto economico e produttivo del Paese. Un'indagine McKinsey nei Paesi dell'Unione europea ha rilevato come le performance economiche delle imprese dove ci sono molte donne in azienda è migliore rispetto alle altre: il ritorno sul capitale investito è superiore del 10 per cento alla media e l'utile, prima di togliere le tasse, quasi raddoppia;
    una maggiore integrazione delle donne nel mercato del lavoro e l'eliminazione delle differenze di genere sono, inoltre, uno degli obiettivi chiave dell'Unione europea, che ha attivato numerosi strumenti in tale direzione. Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea nell'articolo 8 pone come obiettivo della sua azione l'eliminazione di discriminazioni e la promozione della parità tra uomini e donne: con gli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la parità fra uomini e donne in tutti i settori viene considerata a pieno titolo quale principio fondamentale del diritto comunitario, principio da applicarsi ovviamente anche in materia di occupazione e di impiego;
    tra i programmi comunitari per il periodo 2014-2020, l'Unione europea ha deciso di stanziare 439 milioni di euro per progetti legati alla lotta contro la discriminazione e la parità fra donne e uomini e le priorità sono: pari indipendenza economica, pari retribuzione, parità nel processo decisionale e contrasto alla violenza di genere;
    nella raccomandazione specifica per Paese rivolta nel 2012 dalla Commissione europea all'Italia si legge l'invito ad «Adottare ulteriori provvedimenti per incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in particolare fornendo servizi per l'infanzia e l'assistenza agli anziani (...)»; nella raccomandazione del 2013 sul programma di stabilità dell'Italia 2012-2017 la Commissione europea afferma che: «La partecipazione delle donne al mercato del lavoro resta modesta e l'Italia presenta uno dei maggiori divari di genere nell'occupazione a livello di UE»;
    anche nelle previsioni di stanziamento per il quadro finanziario pluriennale 2014-2020 per l'erogazione dei fondi comunitari del quadro strategico comune, la Commissione europea ha proposto un nuovo approccio per l'utilizzo dei fondi stessi, in linea con le priorità politiche dell'Agenda Europa 2020, suggerendo in particolare all'Italia di porre tra gli obiettivi di priorità di finanziamento la parità tra uomini e donne e la conciliazione tra vita professionale e vita privata/familiare;
    nel nostro Paese la definizione di politiche per le pari opportunità è stata avviata con consistente ritardo rispetto ad altri Paesi europei: solo negli anni Settanta i legislatori hanno riconosciuto il principio della parità nelle diverse sfere della vita sociale; è poi con la legge n. 125 del 1991, che dispone di «rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità», che prendono il via alcune importanti disposizioni che mirano a creare le condizioni per il riequilibrio dei ruoli sociali e familiari di uomini e donne: sul lavoro a tempo parziale (decreto legislativo n. 61 del 2000), sulla conciliazione (legge n. 53 del 2000) e quote rosa nei consigli di amministrazione delle società per azioni quotate (legge n. 120 del 2011);
    con decreto del Ministro per le pari opportunità del 12 maggio 2009, furono erogati 40 milioni di euro, da distribuire alle regioni, per la realizzazione di «un sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» inerente alla ripartizione delle risorse del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per l'anno 2009. Sulla base dell'esperienza maturata nell'ambito di tale piano d'intesa 2010, il 25 ottobre 2012 la Conferenza unificata Stato-regioni ha approvato l'intesa relativa alla «Conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per il 2012». Le regioni, con il coordinamento del dipartimento per le pari opportunità e grazie alle risorse stanziate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, hanno avuto l'opportunità di realizzare un sistema di interventi per favorire la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e per consolidare, estendere e rafforzare sui territori regionali iniziative volte a promuovere l'equilibrio tra vita familiare e partecipazione delle donne e degli uomini all'interno del mercato del lavoro, favorendo le pari opportunità e contribuendo ad accrescere la produttività delle imprese;
    l'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge n. 92 del 2012, ha previsto, per il triennio 2013-2015, la possibilità per le madri lavoratrici di richiedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un contributo di 300 euro mensili per l'acquisto di voucher e per i servizi di babysitting e asili nido pubblici o privati. La legge istitutiva della misura ha garantito 20 milioni di euro a copertura dell'operazione per il triennio sopra indicato che, secondo la relazione tecnica, avrebbe dovuto soddisfare per l'anno 2013 la domanda di 11.111 beneficiari. Tuttavia, all'avvio della misura il contributo ha riscosso pochissimo successo, come testimoniano le poche richieste pervenute: a fronte di potenziali 11.111 beneficiari, solo 3.762 lavoratrici, secondo dati Inps, sono state ammesse al beneficio, mentre dal punto di vista delle strutture accreditate per il servizio, meno di un terzo degli asili pubblici o privati nazionali si sono convenzionati con lo Stato. Tra le principali cause si deve sicuramente annoverare la scarsa pubblicizzazione dell'iniziativa lasciata soltanto a comunicati stampa, senza un'adeguata promozione sui luoghi di lavoro e senza coinvolgimento di sindacati e associazioni datoriali;
    l'Ufficio nazionale della consigliera di parità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha stanziato e usato il piccolo fondo a disposizione per organizzare e realizzare ben 20 incontri territoriali per donne disoccupate e inoccupate su varie città in tutta Italia, 12 seminari informativi sempre territoriali anche in collaborazione con gli ispettori del lavoro, i consulenti del lavoro e le consigliere di parità, 23 incontri nelle scuole medie superiori e distribuzione di piccole guide per gli studenti per affrontare il mercato del lavoro;
    nonostante l'impegno di molti soggetti ed operatori e le numerose iniziative messe in campo negli ultimi anni, i dati sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sulla loro opportunità di crescita professionale e di conciliazione tra vita e lavoro restano ancora molto bassi, come testimoniato dalla percentuale crescente di donne che non tornano più a lavoro a due anni dal parto: 22,3 per cento nel 2012 contro il 18,4 per cento del 2005 secondo dati Istat. Un dato che si ripercuote sulle donne, rendendole più fragili, più soggette a pressioni economiche, psicologica e purtroppo anche di violenza, ma che, soprattutto, si ripercuote sulle possibilità di crescita, di tenuta economica e sociale del nostro Paese,

impegna il Governo:

   a sostenere, nel contesto del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, le politiche di genere quale priorità per la crescita sostenibile e l'occupazione, supportando gli investimenti in capitale umano e strumentale;
   ad effettuare, entro il primo semestre del 2015, un puntuale monitoraggio sullo stato effettivo delle risorse attualmente impiegabili e disponibili in un'ottica di genere;
   ad applicare una prospettiva di genere nella programmazione e nelle politiche di bilancio, a partire dai futuri esercizi di bilancio e comunque dai prossimi provvedimenti utili di allocazione di risorse e di programmazione di attività;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le parti sociali procedano a una rapida definizione delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria;
   ad assumere iniziative per una razionalizzazione e valorizzazione degli organismi di parità italiani come indicato dalle direttive europee;
   a sensibilizzare, anche in sede di rinnovo del contratto Rai, il servizio pubblico radiotelevisivo ad una maggiore attenzione in merito alla diffusione e alla promozione delle buone pratiche e delle iniziative, anche normative, intraprese sia dallo Stato sia dall'Unione europea a favore dell'occupazione femminile, in collaborazione con gli organismi di pari opportunità;
   a mettere in campo tutti gli strumenti necessari per incentivare le politiche di conciliazione attraverso il potenziamento delle politiche attive per l'occupabilità femminile e dei servizi per il welfare, con particolare attenzione alla realizzazione di un numero adeguato di asili nido su tutto il territorio nazionale, al telelavoro, al part-time e alla promozione degli orari di lavoro flessibili;
   a sostenere lo sviluppo dell'imprenditoria femminile attraverso il sostegno all'accesso al credito delle imprese femminili e una valutazione attenta delle politiche economiche attuate e dei loro risultati, nell'ottica di un costante miglioramento e potenziamento della loro efficacia.
(1-00272)
(Nuova formulazione) «Tinagli, Carfagna, Giuliani, Dorina Bianchi, Binetti, Di Salvo, Amendola, Bergamini, Biffoni, Calabria, Capua, Centemero, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, D'Alessandro, De Maria, Faenzi, Ferranti, Gasparini, Gelmini, Giammanco, Giulietti, Gribaudo, Laffranco, Locatelli, Martelli, Mattiello, Marzano, Milanato, Moretti, Nesi, Oliaro, Paris, Piccoli Nardelli, Polverini, Prestigiacomo, Andrea Romano, Rossomando, Rotta, Sandra Savino, Tartaglione, Vargiu, Vecchio, Venittelli, Verini, Vezzali, Iori, Raciti, Cominelli, De Micheli, La Marca, Gregori, Marchetti, Malpezzi, Lodolini, Tidei, Sbrollini, Scuvera, Carlo Galli, Giampaolo Galli, Chaouki, Saltamartini».

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Nesci  n. 4-02728 del 28 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03778.